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V
VITA DELLO SPIRITO
VITA COMUNITARIA
ATTUALITA’
FINESTRA LIBERA
F
L’ANGOLO DELLA CULTURA
POESIA NON POESIA
FINESTRA APERTA
In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?". Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli………………………..
n. 113
ESTATE
2012
Il bambino
che non
gioca non è
un bambino,
ma l'adulto
che non
gioca ha
perso per
sempre il
bambino
che ha
dentro di sé.
Pablo Neruda
Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i
bambini siano sempre costretti a spiegar loro le cose.
Antoine de Saint Exupéry
I bambini sono il
futuro felice nei
nostri sogni
Kind Butterfly
2
Lasciamoci coinvolgere
Siamo arrivati alla fine dell’anno pastorale. Uno sguardo per tutto quello che abbiamo fatto ci aiuta a dire
grazie al Signore che ci ha aiutato ad affrontare il cammino non sempre facile. Voglio ringraziare tutti per
l’impegno e la disponibilità generosa nei vari servizi resi a tutta la comunità parrocchiale.
Tutto l’anno è stato pieno di inviti a crescere nella nostra formazione cristiana e da vari parti sono arrivati
delle sollecitazioni. Penso all’aiuto che la commissione biblica diocesana ha offerto nella Lectio Divina,il
vangelo di Marco. L’evangelista che presenta Gesù come il Maestro impegnato a formare i discepoli, gli
apostoli e la folla riguardo al regno dei Cieli. Vangelo che sembra un “giallo” iniziando con l’affermazione :
“Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1) per concludere con la professione di fede da parte
del centurione che vedendo Gesù morire sulla croce afferma “ Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (Mc
15,39). Vangelo che viene letto nelle domeniche di quest’anno. Leggendo e meditando il testo marciano
sembra trovarsi sul posto e partecipi in prima persona a quel che avviene sulle strade e nelle case in Israele.
Assistere a vari colloqui, ai vari interventi del Signore verso i più bisognosi non solo di salute fisica, ma di
quella salvezza che coinvolge la persona intera. Sentire le esigenze così forti per appartenere al regno di
Dio. Emblematico l’incontro con il giovane ricco che chiede “cosa mi manca per avere la vita eterna? “ Non
è sufficiente l’avere osservato i comandamenti fin da bambino, ma necessità un passo ulteriore: vendere il
tutto, dare tutto ai poveri e poi seguire Gesù nel cammino verso Gerusalemme ed oltre. Purtroppo questo
giovane, come tanti ancora oggi, non sono pronti a fare questo passo.
Marco usa i verbi “lo guardò” e “lo amò”. Gesù penetra nel profondo del cuore di questo giovane e vede
che c’è tanto “terreno” buono per ricevere il seme della Parola. Lo amò, cioè gli apri tutto il suo cuore per
rivelargli la strada per ottenere ciò che chiedeva. Anche a noi Gesù continua a guardarci ed a amarci a darci
delle risposte, ma ci capita di essere come il giovane che non risponde perché impaurito dalla “povertà” che
Gesù chiede e dal cammino da seguire. Siamo incuriositi dalle Parole di Gesù, facciamo tante domande, ma
abbiamo paura delle risposte che ci vengono date. Siamo troppo ricchi delle nostre idee, delle nostre
convinzioni e non siamo disponibili a lasciarli per essere arricchiti di altre cose che non sono compatibili con
la mentalità del mondo. Siamo spaventati dal fatto di essere privi del potere del comando che Gesù traduce
in servizio umile e quasi nascosto. “Chi vuole essere il primo deve essere il servo di tutti.”, “chi si umilia
sarà esaltato”. Gesù chiede di camminare verso Gerusalemme, cioè verso la Croce che porterà alla
partecipazione della vita del Risorto. Cammino di rinuncia, di incomprensione, di emarginazione, di
persecuzione e di sofferenza.
Sono convinto che se nella nostra comunità parrocchiale non ci metteremo in questo cammino, lo stesso
diventerà molto più difficile perché si va a scontrarci con una realtà ben più grande di noi. Invece se ci
lasciamo guidare dal buon pastore, il cammino sarà sì impegnativo, ma non insopportabile (“Il mio giogo è
dolce, il mio carico leggero”). Tutti abbiamo bisogno di essere più umili nel comprendere che siamo tutti
chiamati alla continua formazione, alla vita cristiana. Nessuno è ancora arrivato, ma tutti siamo “discepoli”,
cioè scolari nella scuola di Gesù.
Per far crescere un bambino
ci vuole un intero villaggio
Proverbio africano
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Un altro invito ci è stato fatto dalle convocazioni diocesane sul tema della famiglia in preparazione
all’incontro mondiale che si è svolto a Milano in giugno. Purtroppo ho visto pochi parrocchiani presenti a
questa “scuola”. Quante cose belle sono state dette e condivise nei vari gruppi di lavoro. Quanta ricchezza è
stata donata. Parlare della famiglia come dono di Dio, come scuola di vita, dove nascono e crescono le varie
vocazioni a servizio della famiglia di Dio e del mondo.
In parrocchia molte sono state le iniziative rivolte a tutti, ma non da tutti recepite. Il discorso è sempre lo
stesso: manca il tempo! Credo sia opportuno riflettere sull’importanza della nostra vita cristiana. Abbiamo
bisogno di riscoprire la bellezza della vita vicino al Maestro che illumina la nostra fatica e la nostra gioia
quotidiana.
Il periodo estivo ci aiuterà a prendere un po’ di riposo, che non vuole significare perdere tempo, ma poter
fare quello che abbiamo lasciato indietro durante l’anno lavorativo con la speranza che a settembre ci
possiamo rincontrare con nuove energie per fare le cose che il Signore ci chiede. Buone vacanze.
Fr. Marco
GLI OCCHI DEI BAMBINI DELL’ALDEA
Occhi che ti scrutano, occhi che ti osservano, occhi che ti seguono. Occhietti che si aprono, si
chiudono, s’illuminano. E poi brillano, si adombrano, piangono. Volti che unanimi ti guardano, e
poi vergognosi girano, e poi tornano a guardarti. Sorrisi che si schiudono: bianche perline si
ordinano sul volto scuro per dare gioia ai due occhietti che attenti si aprono e si chiudono.
Sono i bambini dell’aldea.
Come una cucciolata ben affiatata si avvicinano guardinghi, apri loro una mano con qualche
caramella, e si guardano tra di loro come per intendersi, il più audace allunga una timida mano e
prende la golosina: il ghiaccio è rotto!
Arrivano tutti e in batter d’occhio il palmo è vuoto, e tu li hai addosso: «como te llamas? Eres
VITA DELLO SPIRITO
Tre cose ci sono rimaste del
paradiso: le stelle, i fiori e i
bambini.
Dante Alighieri
Per ciò che riguarda il catechismo si ricorda ai genitori di lasciare liberi da impegni i
lunedì e i venerdì .
Gli orari saranno comunicati a settembre
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italiano? De donde? Tomame una foto! L’abuelo, abuelo!! » Ueh, a me nonno non me l’ha detto
nessuno, come ti permetti! Il più piccolo però non s’impressiona: abuelo! Ribadisce. Eccoli tutti
compatti che toccano la barba, il cappello, vogliono esser presi in collo. Ma non hanno mai visto un
bianco? Non hanno mai assaltato p.Ottavio? E l’esperto agronomo del Minnesota?
Sono i bambini dell’aldea.
L’occhio è la tua luce: se l’occhio è terso tutto di te è nella luce, ma se il tuo occhio è buio vuol dire
che sei notte. Gli occhi dei bambini sono la luce di un popolo, se questi occhi si spengono tutto il
popolo è al buio. Ed ecco allora quanto è importante questa parte della popolazione affinché possa
tenere sempre più a lungo occhi da bambino.
La bimba che da dietro sorregge un’altra più piccola mi guarda, m’indaga, mi fruga la faccia, e
quando mi giro verso di lei e incrocio i suoi occhi, ritrae vergognosa il volto e timida si gira. Il
bambino invece è interessato alla mia macchina fotografica: la tocca, pigia qualche pulsante, la gira.
Un altro è interessato ai miei sandali, che spuntano da mezzo il gruppo.
Sono i bambini dell’aldea.
Che cosa – mi chiedo – passa per la loro testa, cosa gira nei loro pensieri, chi sono io per loro, cosa
vedono in me, come mi pensano e come mi vedono? Vorrei chiedere a ciascuno: che cosa vedi di
me da dentro dei tuoi occhi? Quale immagine o che cosa impressiona di me i tuoi occhi?
Normalmente sono gli adulti che dicono ai bambini cosa vedere, cosa pensare, cosa fare, ma se una
volta tanto ci facessimo dire al contrario che cosa dovrebbero fare secondo i bambini gli adulti…
che mondo ci apparirebbe? Sarebbe questa una bella prova: fare quello che ci dice il bambino.
Cerco d’immaginare… non saremmo più razzisti, ci fideremo ciecamente degli altri, saremo umili,
non saremo boriosi, non saremo avidi di beni, saremo attenti a quanto ci vienedetto, e così via. Mica
poco!
Ecco perché è importante non solo aver cura dei bambini ma anche dar loro un posto dignitoso nella
società, che ha sempre bisogno di essi.
In Guatemala, leggevo nel giornale, c’è un vero
disinteresse per il bambino, non tanto che non gli si
voglia bene – è pur sempre un figlio –, ma non è
importante all’interno dello sviluppo sociale. Forse
perché ce ne sono tanti, al contrario dell’Italia dove la
rarità dei bambini li pone come beni preziosi.
Ma il risultato alla fine è lo stesso: la trascuratezza
educativa, da un lato, o l’eccesso di possesso e di
attenzione materiale, dall’altro, porta alla stessa
conclusione: il bambino è un oggetto e non è
valorizzato in se stesso, non è un soggetto da educare. Così da un lato vengono su con istinti
salvaggi, dall’altro vengono su già drogati di averi e di possesso, e in tal modo sono la rovina della
società anziché esserne il motore portante e il tramite di civilizzazione. Due mondi, due
infanzie,due educazioni, uno stesso risultato:il dramma di una civiltà futura senza valori e senza
ideali.
Ora sono io che frugo dentro gli occhi loro per vedere questi ideali e questi valori, e il mio sguardo
li turba, perché si sentono invasi nel loro profondo,nel loro intimo, come avessero paura che sia lì a
rubare loro il bene più prezioso che hanno: l’innocenza. Torno a sorridere, torno a giocare, torno a
far foto, e loro riprendono la loro allegria intorno a me. È bella questa innocenza, che indica
trasparenza, anzi di più: che i bambini sono incapaci,per i loro occhi chiari, di opporre resistenza,
cosa che gli adulti sanno ben fare. L’occhio del bambino non ha ancora serrande e così può essere
quella luce che brilla nella notte degli adulti, nella notte delle popolazioni perse nel buio del denaro
e delle passioni.
Sono i bambini dell’aldea. Fr. Athos
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La Santa bambina
"Mamma, quando farò la Prima Comunione?" "Teresa, quando torniamo a fare la Comunione? Non vedo l'ora!"
Per una Santa che ha lasciato solo poche frasi del suo passato tra di noi, ben due si riferiscono
all'Eucaristia.
Un particolare per nulla casuale nella sua storia di "piccolo fiore di campo", un tassello di spicco del suo metodo di camminare verso Dio con occhi di bambina.
Marietta e l'Eucaristia: molti aspetti approfonditi, altri che meritano maggiore riguardo con qualche inevitabile cono d'ombra.
Cominciamo proprio da quest'ultimo che si riferisce alla data esatta, il giorno della Prima
Comunione di S. Maria Goretti. Mamma Assunta, la fonte privilegiata della biografia gorettiana,
non riesce ad essere precisa alla domanda sul giorno della Prima Comunione di sua figlia.
La chiesa dell'Annunziata in Conca (oggi Borgo Montello) dipendeva dall'arcipretura di S. Giovanni
di Nettuno, una cappella stagionale nel cuore delle Paludi Pontine, officiata dai Passionisti del Santuario, gli unici a garantire un servizio sia religioso che soci
ale in quella terra dimenticata.
Nessun documento riporta la data delle Prime Comunioni, né
il nome dei comunicandi. L'indagine storica indirizzata in
questa direzione si è trovata in un vicolo cieco. Meglio tentare
la via della "tradizione", e in quest'ottica sono state formulate
delle ipotesi. La più attendibile è quella che assegna la data
della Prima Comunione dei bambini della Palude il giorno
dell'Ottava del Corpus Domini, che nell'anno 1901 cadeva il 16 giugno.
Tutti gli altri particolari invece hanno permesso si scrivere il
capitolo della prima Comunione di Marietta, e del suo amore
all'Eucaristia, con una ricchezza di dettagli rigorosamente
documentata.
Il catechismo mandato a memoria
Il giorno della Prima Comunione era uno dei pochi momenti
di autentica festa per gli abitanti della Palude.
Quel giorno anche i figli dei desaparecidos del Pianeta delle
Zanzare potevano sedersi allo stesso posto dei figli dei
signori. L'estate iniziata da poco regala colori e fantasia. Le ginestre vestono di giallo la collina del
borgo e nei fazzoletti di terra, rubati al fango, spighe di grano e papaveri sprizzano gioia di vivere.
Dal Santuario della Madonna delle Grazie di Nettuno venne quell'anno il sacerdote Gregorio
Morganti. Proprio quel giorno nel registro delle SS. Messe celebrate al Santuario manca la sua
firma. Una storia davvero singolare la sua, un uomo che della condivisione degli ultimi aveva fatto
NETTUNO - Il Santuario della Madonna delle Grazie e Santa Maria Goretti
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ragione della sua vocazione.
Basti citare il particolare che, quando le Paludi vennero bonificate, chiese ed ottenne di andare nella pampa argentina dove morì.
Marietta per arrivare a quel giorno partì da molto lontano. Molti biografi scrivono di un presagio,
un presentimento di qualcosa che stava maturando nella sua vita. Oppure è Dio che
inspiegabilmente e senza logica mette nel cuore e nella mente delle persone desideri e aspirazioni,
che i posteri etichetteranno come "profezia".
Siamo nell'anno 1900, da qualche mese Luigi Goretti era stato stroncato dalla malaria; Marietta
portava il peso del lavoro in casa, mille problemi da affrontare per sopravvivere nell'inferno delle Paludi.
Eppure, prima timidamente, poi con vigore, quella strana richiesta di Marietta di voler fare la prima Comunione con il suo strascico di difficoltà da settimo grado.
La bambina aveva 10 anni, e l'età media per accostarsi all'Eucaristia per la prima volta si aggirava
sui 13-14 e nessuno e niente lasciava intuire le grandi aperture di Papa Pio X che solo nel 1910,
con il decreto Quam Singularis, modificava totalmente i delicati equilibri tra Eucaristia ed i bambini.
Marietta inoltre era analfabeta, non potè frequentare la scuola. Come imparare il catechismo? E come trovare il tempo per partecipare comunque ad un corso di preparazione?
A levare le castagne dal fuoco sarà proprio Marietta in persona, saranno altre credenziali a
sciogliere tutti i nodi della questione.
La piccola è una bambina tenace e volenterosa, il suo impegno di responsabilità in casa lo porta
avanti con cura e precisione, segue i fratellini, garantisce che i doveri saranno rispettati e che il tempo "per mandare a memoria il catechismo" lo troverà.
Una volta, dopo aver assistito alla funzione del Venerdì Santo nel Santuario di Nettuno, ripeté a casa per filo e per segno l'intera omelia del sacerdote.
Mamma Assunta, in seguito, con gli occhi lucidi ricordava così quei momenti: "Mamma, ripeteva la
piccola Maria, vedrai, farò tutto a casa e nel primo pomeriggio andrò a Conca a fare il catechismo. Imparerò tutto a memoria!".
Assunta Carlini è una donna concreta, severa con i figli. Si rese conto che la figlia non chiedeva giocattoli o cose stravaganti, c'era qualcosa che andava al di là dei capricci di una bambina...
Anche il parroco di Nettuno, Temistocle Signori, interpellato in proposito, rimase impressionato dalle idee chiare di Marietta.
Una vita che dura in eterno
Da Cascina Antica a Conca son circa 700 metri da percorrere dopo le fatiche domestiche e con il sole incandescente delle Paludi.
Il catechismo era tenuto da Elvira Schiassi in casa del proprietario Attilio Mazzoleni. Marietta si
fece subito apprezzare per la sua allegria ed intelligenza e a sera, alla luce della lampada,
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raccontava a mamma ed ai fratellini di quel Gesù povero tra i poveri, fratello e Signore anche
degli uomini e delle donne delle Paludi, chicco di grano venuto a morire per donarci una vita che durerà per l'eternità.
I suoi 10 anni erano tutti su quel volto e su quei piedini senza scarpe, con tanti graffi e molta
polvere, ma la sua anima un gigante dagli occhi spalancati nell'infinito!
Adesso veramente è tutto a posto. Forse lo stesso buon Dio quel giorno si inchinerà ad
accarezzare la Palude.
Un giorno particolare che Marietta sigillerà secondo il suo stile, fatto di concretezza e di profondità, senza dimenticare attimi di struggente poesia.
Il bisogno d'infinito di una giovanissima
C'è aria di festa a Cascina Antica, forse la prima dopo la tragedia della morte di Luigi Goretti, appena un anno prima (6 maggio 1900).
Il sole, così mattiniero in questa stagione, trova i fratellini già svegli. Ma anche i Serenelli partecipano alla festa.
Marietta, prima di uscire di casa, scrive due o tre righe dal suo diario non scritto che rimarranno
incancellabili.
Ad Angelo, il fratellino più grande, che comincia a fare i capricci per via delle scarpe vecchie,
ricorda che a Gesù interessa soprattutto il cuore, quello deve essere nuovo e pulito.
Poi prima di uscire di casa, davanti a tutta la famiglia che fa ala al suo passaggio, chiede perdono, in ginocchio, di tutto ciò che del suo comportamento avesse ferito i presenti.
Mamma Assunta per l'occasione le mise i suoi orecchini, quelli di Corinaldo, quelli del suo
matrimonio, poi mai più ritrovati. Il vestito bianco le fu prestato e sulla testa le fu messo un serto di fiori di campo.
Marietta è commossa profondamente, un particolare che non sfuggì neanche ad Alessandro.
Soprattutto nel momento della celebrazione, quando Gesù venne nel suo cuore per la prima volta, i presenti rimasero colpiti dall'atteggiamento di Marietta.
La processione per le vie del borgo è un tripudio di colori e di allegria, con i rudi uomini della Palude con il cappello in mano in segno di rispetto.
Poi le ombre della sera calarono in fretta, sia a Cascina Antica che nella esistenza della Goretti.
Il momento della prova e della solitudine, un prezzo durissimo nell'orizzonte dei suoi 11 anni. Solo quelle parole all'amica Teresa: "Quando andiamo a fare la Comunione? Non vedo l'ora!"
Una invocazione di aiuto e la sicurezza che su quel pane poteva contare per essere forte.
Ora che le tessere del mosaico hanno occupato ognuna il suo posto, è possibile ammirare il
disegno nella sua completezza.
Indubbiamente l'intero capitolo della Prima Comunione ha permesso di verificare in modo
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inconfutabile lo spessore del cammino interiore di Manetta. Un termometro così eloquente che ci
permette di affermare che nell'universo dello spirito gli stadi psichici dipinti da Jean Piaget sembrano strutture inadeguate e riduttive.
Il bisogno di infinito si può manifestare in età giovanissima, scavalcando ritmi e dinamiche
sconosciute alla psicologia dell'età evolutiva. Marietta ne è la prova.
In questa ottica anche il problema irrisolto della data della Prima Comunione interessa
relativamente, rimane uno stimolante dettaglio per gli storici.
Nella Marietta della fede, il suo rapporto con Gesù Eucaristia è un memoriale che parla di orizzonti
infiniti, incuriosisce e commuove, una parabola non scritta da Dio sullo stile dei piccoli di cui ci parla la Bibbia.
Una icona senza tempo e senza età, con il respiro ed il tocco dell'Eterno.
Tratto da un articolo sul Web
FAMIGLIA DOMENICANA
L’ABITO NON FA IL MONACO MA…….
Don Luigi Sturzo era un sacerdote, di quelli con la classica sottana nera, secco allampanato, e come
La Pira, anche lui siciliano. Ricordo le sue fotografie sui giornali ma, all’epoca, ero troppo piccola
per capire chi fosse; ora mi trovo a tratteggiare a ritroso la sua vita ma sono felice, perché mi
sembra di essere nuovamente bambina. Dunque don Sturzo fu un sociologo, un uomo politico,
fondatore del partito popolare italiano, fu terziario domenicano, insomma un uomo che con la
sottana nera visse secondo la spiritualità delle “bianche lane” senza per questo cadere in alcuna
contraddizione , e di personaggi come lui in passato li abbiamo avuti anche nel santuario di S.
Agnese!
Nel mondo dei bambini
tutti i quadri sono
appesi troppo in alto.
Stig Dagerman
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La sua cultura e il suo acume però, hanno spesso rivolto lo sguardo verso categorie considerate
povere e diseredate, cioè contadini e operai, e di quelli ne ha sposato la causa per una lunga
missione politico-sociale.
Mia nonna è stata operaia a Torino all’inizio del secolo scorso e mi ha spesso raccontato le
problematiche che lei stessa ha vissuto in fabbrica, quindi penso che quanto ha potuto osservare don
Sturzo nel mondo di quel tempo lo abbia enormemente impressionato e spinto, di conseguenza, ad
interessarsi del problema e delle possibili soluzioni. Non mi interessa la politica ma lui da sociologo
ha esaminato le cause del disagio, della povertà, dell’ingiustizia e, da politico, ha aperto la strada
perché indipendentemente dalla sua persona, se ne potesse trovare la giusta soluzione.
Quando sono venuta a Montepulciano andavo a fare spesa alla cooperativa Toniolo ma non sapevo
chi cappero fosse il personaggio che aveva dato il nome a questo esercizio commerciale; ora so che
fu amico di don Sturzo insieme a Romolo Murri e Antonio Malvezzi e posso immaginare la valenza
sociale di entrambi i personaggi che entrarono capillarmente nel collettivo delle persone più
indifese per stimolarle all’azione comune e consentir loro l’accesso ad una vita migliore e più
dignitosa.
Ma la sua lotta non fu certo semplice se fu costretto all’esilio e quando ritornò, alla fine della
seconda guerra mondiale, fu fatto senatore a vita, ma io solo ora mi rendo conto di quali meriti
avesse per poter accedere q quella carica.
Intanto comincia ad appocarsi il numero delle persone che, per questione di età, hanno conosciuto,
se non militato, nel partito popolare italiano (all’epoca i partiti che sorgevano amavano tutti
definirsi anche “italiani” mentre ora portano il nome del fondatore) e quel partito, per alcuni periodi
anche clandestino, ha avuto vita più lunga di quello che successivamente avrebbe voluto
sottolineare la sua matrice cristiana con un nome altisonante (democrazia cristiana!) ma poi
rovinosamente terminato. Forse avrebbe avuto ancora lunga vita il semplice partito popolare
italiano, se magari fosse stato tutto composto da…terziari domenicani cone don Sturzo.
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Ma io voglio avere fiducia in un mondo che, quanto meno, possa assomigliare a questa mia
“utopia”, un mondo dove non ci siano mormorii ma azioni concrete a favore di chi è più sfortunato
di noi, e ce ne sono al di là della pubblicità, dei numeri verdi, rossi o gialli; ci sono persone che
hanno diritto ad una dignità che non favoriamo con i nostri comportamente, che hanno vergogna
delle loro povertà perché altrimenti gli si aggiungerebbe anche la derisione; perché al giorno d’oggi,
la carità viene fatta solo suonando la biblica tromba, per avere successo, per avere una qualche
medaglia al merito….di cartone.
Don Sturzo, leggo, si ritirò dalla vita politica
attiva presto l’istituto Canossiano di Roma (perciò
non ne avevo più sentito parlare!) ma fece ancora
sentire in Senato e fra i suoi la parola
illuminatrice. Non ricordo una particolare
diffusione della notizia della sua morte avvenuta
nel 1959 all’età di 88 anni, ma è riferito che era
amareggiato forse proprio perché stava venendo
meno, nelle istituzioni da lui fondate, lo spirito
iniziale; al contrario, si gloriò sempre del suo
essere laico domenicano il cui “Direttorio” portò sempre con sé. Grazie don Sturzo per la
testimonianza che ci hai offerto con la tua vita.
Siamo dunque alla comparazione fra La Pira e don Sturzo: dal profondo meridione due analoghe
spiritualità che si sono manifestate nel sociale a livelli diversi ma in maniera ugualmente incisiva;
del primo è iniziata una causa di beatificazione a significare la profondità della sua vita personale,
non in quanto sindaco di Firenze; dell’altro non si sente più neppure parlare perché…forse non se
ne vuole parlare, perché si preferisce non confrontarsi a quei livelli; in comune: l’umiltà di fare le
cose a onore e gloria del Signore senza vantarsi dell’opera svolta, anche se poi se ne deve
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ammettere la grandiosità, ed il coraggio di vivere la propria vita in coerenza con le scelte fatte e le
promesse dichiarate.
Di recente, e concludo, ho scoperto un altro terziario domenicano: Oscar Luigi Scalfaro, questa
volta piemontese, che fu Presidente della Repubblica Italiana, e qui il livello politico sociale ha
raggiunto lo scalino più alto della gerarchia.
Attenti, voi ragazzi, a non cadere dalle scale!
Elvira Fernandez
Campo Estivo
Il Campo Estivo, nel quale
riassumo anche le vacanze di
Branco e la Route, è quella cosa
che fa la differenza negli occhi
dei ragazzi che vi partecipano, da
quelli che invece rimangono a
casa.
Gli occhi dei ragazzi sono libri
che parlano e che fissano
immagini di sole, di boschi, di
acqua fresca, e di notte si
illuminano dello splendore delle
stelle e dei guizzi del fuoco che si innalza verso il cielo. Sono occhi che anche se a volte parlano
della stanchezza di un Campo e di quella della Strada, non sono mai annoiati, ma pieni di gioia di
I fanciulli sono
continuamente ebbri: ebbri
di vivere.
Paul-Jean Toulet
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vivere, di quella gioia che viene data dall’euforia di chi sa di aver riempito le proprie giornate di
emozioni, di esperienze a volte dure, a volte solo faticose, ma il più delle volte entusiasmanti. E’ la
voglia di vivere che viene fuori davanti alla caccia al tesoro in un campo di lucciole, o quando, dopo
l’ennesima curva si apre lo scenario incredibile delle montagne che pensi di poter toccare
allungando una mano. E’ la voglia di vivere che scorre dentro insieme all’acqua fresca delle fonti
che sono lungo il cammino, dove altri viandanti negli anni, nei secoli andati, hanno sostato prima di
noi.
E’ la riscoperta dell’essenzialità, che ci accompagna in questa settimana vissuta in un’altra
dimensione, che fa la differenza di un semplice piatto di pasta condita con la salsa di pomodoro qui
e a casa, è la riscoperta del sapore del pane, alimento dimenticato nelle nostre diete urbane, tutte
improntate alla dieta e al fitness.
E’ la voglia di essere insieme, di ritrovarsi, di riscoprirsi, di provare stupore davanti alle piccole
cose, è la gara di cucina, il pasto cotto nello stesso fornellino, il caffè bevuto in cima a un monte, i
piedi stanchi che ritrovano refrigerio nelle fresche acque di un ruscello.
È quella voglia che spinge i ragazzi a essere sempre più ebbri di vita, a fare una risereva di ricordi
per il tempo che verrà e che non sarà solamente il tempo del dopo Campo, ma il tempo futuro,
quello in cui di tanto in tanto in ciascuna delle loro frettolose giornate si riaffaccerà il ricordo di un
nome, di una montagna, di un fiume, di una veglia alle stelle, di un pianto, di un sorriso, del gioco,
della tenda in disordine, della pioggia che ci batte sopra nella lunga notte, del momento struggente
del ‘Signor tra le tende schierati’ il bellissimo canto-preghiera che ogni scout rivolge a Dio alla fine
di ogni giornata.
E’ la voglia di vivere ……. vivere…..vivere….vievere…………………Un Capo Scout
Anche se queste sono le “VACANZE DELLO SPREAD” , la
redazione della ‘Voce’, che di spread ne sa qualcosa ormai
da molto tempo e cerca di conviverci, augura a tutti i
quattro lettori affezionati che le sono rimasti
BUONE VACANZE
e daaaiiiiiiiiiiiiiiiiii…………..che ce la facciamo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Dal nostro inviato in Guatemala
LA VITA IN GUATEMALA.
1) Il pullman che dalla Capitale del Guatemala porta a Dolores, del Petèn, corre veloce per la nuova
strada asfaltata e larga. Solo venti anni fa era una specie di pista nella quale si dovevano trovare i solchi per
non perderla. L’autista è tranquillo, parla al telefonino dei suoi problemi familiari, sorpassa
non curante enormi camion con la linea continua, rasenta i passanti e gli animali lungo i bordi della strada…
è la nuova realtà del Petèn.
A Dolores le capanne hanno lasciato il posto a
casette in muratura, alcune cominciano ad alzarsi
a uno o due piani. La gente ha dismesso gli abiti
dello stile charitas, e soprattutto i giovani sono
vestiti alla moda. Tutti hanno scarpe più o meno
moderne, e il cavallo di s.Francesco è stato
abbandonato per
passare a moto, auto, pikcup. Vi sono infiniti apini
modello India che fungono da taxi che qui
chiamano tuc-tuc, così per 5 quetzal (50cent.)
chiunque li può prendere e spostarsi per Dolores
senza subire l’infernale caldo afoso del tropico.
L’antico Petèn fatto di povertà estrema, di selva, di capanne, di sentieri… e ancora di fame, di malattie, di
ATTUALITA’
Quando l'infanzia muore, i suoi cadaveri
vengono chiamati adulti ed entrano nella
società, uno dei nomi più garbati dell'inferno.
Per questo abbiamo paura dei bambini, anche
se li amiamo: sono il metro del nostro sfacelo.
Brian Aldiss, The Trillion Year Spree, 1986
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sofferenza, non c’è più. Chi cercasse l’avventura in terra selvaggia dovrà andare da altra parte: lattine,
cartacce,sacchetti neri e quelli colorati delle patatine … rivelano che qui più nessuno è il “primo”.
Un male tutto ciò? Assolutamente no, perché ogni popolo ha il diritto di emanciparsi e di svilupparsi. Ma il
punto è proprio questo: che cosa è lo sviluppo, cosa significa emancipazione, cos’è il progresso di un
popolo?
2) Non entro in questioni cervellotiche sulla definizione di queste parole, ma seguo la via concreta di
quanto vedo. Intanto direi che se qui nel Petèn è rimasto qualcosa di selvaggio è proprio lo sviluppo,
caotico e violento, feroce e spietato. Tutti contro tutto e tutto contro tutti. Il nocciolo è proprio questo
come può un popolo calpestarsi a vicenda per correre più avanti quando davanti c’è sempre lo stesso
popolo? Partiamo per negativo: uno sviluppo così non è un progresso, né è capace di emancipare i suoi
partecipanti.
A questo punto mi chiederei: quali le cause? Sinceramente penso che potremmo fare la lista della spesa da
quante potremmo elencarne. Ma ne metterei in risalto due.
La prima sta in qualche secolo di coabitazione tra due società parallele: vicine ma non comunicanti.
Un primo livello sociale, che ha sempre occupato circa il 6% della popolazione, è la discendenza dei
conquistatori spagnoli, hanno sempre dominato e posseduto il paese, hanno da sempre mandato avanti i
loro interessi senza mai integrarsi con gli altri, chiusi nel loro cerchio di conquistatori. Un secondo livello
sociale, che ha costituito da sempre circa il 94% della popolazione, discendenza maya e gli incroci, sono i
vinti, i sottomessi, i conquistati. Hanno sempre vissuto abbandonati a se stessi, sfruttati, emarginati nella
loro vecchia cultura maya mescolata e sopraffatta (obtorto collo) dalla cultura europea. Questo livello di
società andata avanti in una impossibile sintesi delle due culture non è mai riuscita a imporsi perché in se
stessa non coesa e sfilacciata, come dimostra R. Menchù che in tanti anni non ha saputo mettere insieme
un progetto o un programma politico alternativo e convincente.
La seconda causa penso sia conseguente: è lo stato di abbandono e ignoranza nel quale il 90%
dellapopolazione è stata lasciata. Questo comporta che non si trovano leaders preparati, ma neppure è
preparata la gente per essere un «soggetto» politico. Quindi il pensiero che lo sviluppo di un popolo passa
principalmente dalla politica sfiora poche persone. La gente capisce subito una cosa: che dalla fame e dalla
miseria se ne esce con il denaro e tutto ciò che produce denaro è appetibile. Ai capi politici vabbene a
questo modo, perché continuano a lasciare la popolazione nel suo brodo, mentre loro fanno i propri
interessi… come sempre. Da qui lo sviluppo come dicevo selvaggio, feroce, spietato: senza tener conto né
dell’umanità, né della natura, né dell’habitat.
Tutto può essere sacrificato per il nuovo Dio: Denaro!
3) Come se ne esce? Non lo so.
Qui si vede solo una cosa. L’unica “organizzazione” che lavora per il popolo è la chiesa cattolica, i suoi preti
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sono veramente impegnati nell’istruzione del popolo. Incontri, riunioni, formazioni, progetti, programmi,
attività... e quant’altro. La chiesa cattolica sembra essere la unica organizzazione che potrebbe far
emancipare e educare la popolazione a una visione e a un impegno politico. Ma pare inceppata. Infatti mi
sembra lodevole il fatto che ritenga la formazione umana e spirituale, che per essa è la base di ogni
successiva educazione, stia al primo posto, tuttavia questo messaggio di umanità al momento sembra che
venga travolto via dalla forza del denaro e del benessere a tutti i costi. In tal modo anche il messaggio
umano e cristiano non attecchisce. A mio avviso manca nella formazione cattolica il taglio politico,
la educazione alla politica vera e propria, come azione di ogni persona alla costruzione comune della
società, manca insomma l’educazione all’attività politica come tale: nei suoi modi, nelle sue forme, nei suoi
servizi. Si noti formare una persona politicamente non vuol dire “partiticamente”, non significa indirizzarla
in un partito politico, ma vuol dire solo insegnarle come ci si deve muovere socialmente e quali sono le
mansioni, i diritti e i doveri di ogni cittadino che vuol partecipare al progetto e alla costruzione di uno Stato
comune.
La chiesa dice che non è suo compito. Mi lascia perplesso: forse in Europa… ma dove, come qui, non ci sono
alternative, mi sembrerebbe un dovere imprescindibile. Intanto il Guatemala prosegue imperterrito
nell’avida ebbrezza verso il sogno dell’ Eldorado.
«NUEVO PROGRESO»
Sostiene don Juan di averli visti. Erano 10, forse più, sono passati, armati di fucili e macheti, per il campo
che costeggia la strada, hanno assalito la famigliola che lavorava la milpa (campo di mais), e li hanno
ammazzati come cani. Cinque cadaveri più o
meno barbaramente assassinati sono rimasti
lì, nel campo, nonostante le urla di aiuto e
l’inutile tentativo di difesa con i loro macheti:
babbo, mamma e tre figli non ritorneranno
alla loro capanna. La giustizia stranamente ha
preso a cuore il caso e in base alle
testimonianze 9 persone dell’Aldea «Nuevo
progreso» sono finite in carcere, alcune
famiglie sono scappate all’estero, e uno dei
responsabili ideatori del massacro ha pagato 30.000 queztales (3.000€) ed è fuori.
P.Ottavio sostiene che dobbiamo andarci, perché anch’esse hanno bisogno di riprendersi e di ritornare a
credere nella vita. l’Aldea è sempre stata piccola, ma dopo questi avvenimenti sono rimaste 3-4 famiglie. E
dunque andiamo. Passiamo per altre aldee a recuperare un po’ di gente per fare massa, dal momento che lì
sono già pochi… troviamo poche adesioni, ma un chitarrista e la famiglia vengono con noi.
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Nella chiesetta di legno e lamiera, ci stiamo larghi, siamo una quindicina. Ma sostiene p.Ottavio è
importante esserci. Ottavio invita uno dei catechisti a unirsi al chitarrista con un’altra chitarra. Si aspetta 10
minuti perché si accordino, le cantanti sono tre e si comincia il canto iniziale della messa. Si alza un baccano
infernale, le donne sono stonate, le chitarre non concordano, e per le urla non capisco se si canti la stessa
canzone. Non importa, sostiene p. Ottavio, è troppo importante la presenza in qualsiasi forma.
La messa finisce, la gente esce per un rinfresco a base di latte, con riso e cannella, e un consistente strato di
zucchero.
Rimango dentro la chiesetta e mentre considero quei fatti, il mio sguardo osserva 4 bambini che nel
piazzalino della chiesa giocano a pallone: tranquilli si scartano, si rincorrono, si spingono, ridono. Erano
troppo piccoli per avere traccia dell’accaduto. In disparte la suora attorniata da bambine che sorridono
liete, fa loro le treccine. Più in lontananza sta l’immagine di Rio Bo: “tre capannucce dai tetti di paglia, un
verde praticello, un esiguo ruscello:
NuevoProgreso. Microscopica aldea, è vero, aldea da nulla, ma però… ” quante cose possono succedervi.
Quello che m’impressiona che in questo luogo così semplice, povero, piccolo, tranquillo e materialmente
sereno possano scatenarsi pulsioni così devastanti e antitetiche. I 4 bambini si vede che sono amici, che si
vogliono bene, che fraternizzano tra loro come i cuccioli di una stessa covata. Le bambine lo stesso intorno
alla suora si abbracciano timide e anche le più piccole che appena camminano sono sotto osservazione e
attenzione delle più grandicelle.
Cos’è, poi, che nel cammino esistenziale e vitale successivo porta gli esseri umani a distruggersi tra loro,
quando provengono dalla stessa nidiata?
Infatti gli avvenimenti narrati sono circoscritti alla stessa Aldea, per questioni di terreni e di difficili rapporti
tra le persone della piccola comunità. Da dove sorgono e per dove entrano nell’animo umano forze così
perverse e distruttive fino a portare a questi eccidi?
La foresta circonda il villaggio da ogni parte, e dà un senso di pace e di tranquillità. È vero: la povertà è
tangibile, il disagio infinito, la vita dura e cruda la si può vedere ovunque, però non dovrebbe essere
apportatrice di contrasti, bensì di fratellanza e solidarietà, come succede in ogni dove nei
momenti difficili. Da qui il problema di capire. Ho riportato i fatti avvenuti in questa piccola aldea, ma
possiamo comprendere che essi sono estensibili anche ad altri luoghi e situazioni. Mi sembra che il nocciolo
del problema stia proprio nel cuore della società tutta: la gioventù. Come maturano i giovani: come si
formano e come si educano?
A un certo momento della adolescenza sembra che i giovani confondano tra vita reale e quella dei reality
che si vedono in TV. Tra “realismo” e“realityvismo”. E non accettano più la vita concreta, lasciando che il
loro spirito venga percorso da quelle forze estreme che emergono dagli istinti e sfuggono a ogni
ragionamento. A questo punto senza una educazione previa al controllo di se stessi, i giovani cadono in
balia di quegli agenti esterni che li porteranno a qualsiasi agire. Qui in Dolores, come in tutta la diocesi del
Peten, è molto forte l’impegno della Chiesa cattolica nella pastorale della terra, che noi appoggiamo con
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finanziamenti sufficienti, tuttavia in ragione di una continua estensione di pascoli del latifondo, sempre
meno terra coltivabile c’è. E allora sarebbe necessaria una pastorale del lavoro più in generale che
indirizzasse i giovani verso altri tipi di lavoro che possono aprirsi da questa situazione. Dovrà pensarsi il
lavoro non solo come un’occupazione, ma anche come una forma di emancipazione dalla vita nuda e cruda
verso la quale altrimenti un giovane è destinato.
Io aggiungerei anche educare i bambini a pensare e a progettare insieme, come si gioca insieme e come si
prega e si canta insieme. Pensare insieme è il “gioco” più grande della vita umana.
IL SENTIERO
Lo stradello, che è largo una persona e lungo due ore, ci tiene tutti in fila indiana. È un filo nero che
serpeggia per l’alta erba cresciuta dopo l’incendiodella foresta, impossibile spostarsi a destra o a sinistra,
dobbiamo tenere ilnostro posto. Esso è asfaltato dalla cacca di cavallo, unico “mezzo” che passa di qui,
ma… “No te preocupe –dice Ottavio – è drenata, non c’è lo schizzo”. E dopo 45 minuti incontriamo una di
queste rare “asfaltatrici” con sopra un bambino, che per evitarci si ferma ai bordi del sentiero e lascia
passare la processione. Una prima salita, e relativa discesa, una seconda salita… la fila si allunga, si sfilaccia,
si sbriciola, alla terza salita dobbiamo aspettarci per non perderci. Il sole tropicale martella il capo e le
spalle. Due grandi farfalle di un viola luminoso si rincorrono. Lo stridere di pappagalli che si alzano in volo al
nostro passaggio rompe il silenzio meridiano. Ma dove stiamo andando, mi chiedo dopo quasi due ore di
cammino? Dietro una curva lo stradello all’improvviso si allarga e termina in un bel fiume ricco d’acqua. E
ora?
Dobbiamo guadarlo. Comincia il rito dello scioglimento dei lacci delle scarpe e del rigirare i calzoni più su
che si può, del prepare il fardello dei cenci e delle scarpe e di quant’altro non deve bagnarsi. Si attraversa il
fiume in un nugolo d’imprecazioni, urli doloranti, gridi di soccorso, e parolacce di chi cade dentro l’acqua.
Nell’altra riva scena contraria alla precendente, e si riparte. Esattamente due ore ed eccoci alla fine dello
stradello, precisamente nel problema.
Il problema si chiama «Nueva Armenia» poche capanne, molti bambini, molti animali, molti disperati. Oltre
le alte e dritte colline che sovrastano il villaggio c’è il Belize. Che ci fanno queste persone qui? Cacciate da
altri luoghi queste famiglie hanno pensato bene di venire qui a trovare un poco di terra per vivere. Ma
sapevano che era una zona protetta, e che è la zona d’ interposizione tra stati. Due motivi per cui non
possono starci. Sanno che saranno cacciati. Dove andranno? Nessuno sa dirglielo oltre che le promesse mai
concretizzate. Il fiume vicino intanto è preso d’assalto da cercatori d’oro. Ottavio chiede a un giovane delle
informazioni: l’oro si trova a circa 9 ore a piedi da qui, a monte del fiume, in territorio Belizegno. Alcuni
giorni fa un conflitto a fuoco tra l’esercito del Belize e questi campesinos improvvisatisi cercatori d’oro ha
portato a un morto. C’è una novità: in territorio del Belize, dove si trova l’oro, è presente un Gringo, un
americano, che rappresenta una società. Sembra che l’oro della zona sia già “prenotato”. Il ragazzo
insomma dice che la situazione è complessa, perché la corsa all’oro non prevede confini, e perciò il
problema dovrà risolversi tra Belize, Guatemala e questa continua presenza americana che riappare in tutti
e qualsivoglia problema di questo Paese.
Ottavio comunque s’informa sullo stato delle persone di questo villaggio: nessuno dei bambini è andato a
scuola, non possono avere strade, non possono coltivare, queste persone insomma non esistono o sarebbe
meglio che non esistessero, perché ogni tanto fanno sentire la voce e il Sindaco di Dolores, intento ai suoi
affari, viene distolto dai loro reclami: è intollerabile… che se ne vadano! E dove? Il sindaco si sa è lì per fare
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promesse, non per risolvere problemi, e di promesse lui gliele ha fatte tante: e dunque che cosa
vogliono ancora?!
La messa è celebrata dentro la capanna di don Juan, le amache ci fanno da baldacchino, il tavolo che fa da
altare ha 4 gambe differenti adatte al terreno della cucina, e qui la differenza è rimediata da legni,
tronchetti e pietre. Dio si fa presente in questa povertà come si fece presente nella capanna di Betlemme.
Anche un pastore protestante è presente alla messa, pur di partecipare a una preghiera comunitaria con
altri fratelli figli tutti dello stesso Dio. Oltre la povertà estrema dell’ambiente e delle cose, si sente una
profonda povertà «umana» che si può riassumere con una parola: abbandono.
Brillerà alla fine anche qui una stella, basterebbe anche non tanto grande? Il fiume scende vivace per le rive
boschive, e ci vede rifare le stesse cose dell’andata. E anche il sentiero ci accoglie di nuovo sotto il suo sole,
sopra la sua cacca, lungo il suo serpeggiare per le alte colline del suo percorso.
Fr. Athos
Beata innocenza
In questo caldo e triste periodo, dominato dalla grande crisi economica e non solo, (adesso
abbiamo capito quanti aspetti della società coinvolga oltre ad economia e finanza), io e Susanna,
mia moglie, abbiamo deciso di ritagliarci una breve vacanza al mare.
Per il nostro bambino di due anni in primis. Ai bambini si sa: fa bene il mare. Ma anche per noi, per
staccare la spina da quella faticosa routine che quotidianamente ci schiaccia dentro la sua morsa.
Così è stato. Noi ci siamo subito immersi fra spiaggia e mare, lettini e ombrelloni, palette e
secchielli. Presentazioni e chiacchiere di circostanza. Come è facile immaginare, tanti bambini con
altrettanti genitori affollavano la spiaggia ed in questi contesti è facile (parlo di noi genitori),
passare molto tempo a parlare con i nuovi vicini.
Nella nostra infanzia
c'è sempre un momento
in cui una porta si apre
e lascia entrare
l'avvenire.
Graham Greene
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I meccanismi sono semplici e ripetitivi: i
bambini nel tentativo di giocare con gli altri
fanno avvicinare gli adulti che li
accompagnano. Il tema bambini diventa in
genere, il primo motivo di conversazione, il
modo per studiarsi; poi se il colloquio prende
la giusta piega si passa alle presentazioni. Da
quel momento cambia lo status: il passaggio
da illustri sconosciuti ad amici di ombrellone
è un attimo.
Stessa cosa per gli argomenti e passare da
frasi di circostanza alle proprie vicissitudini il
salto è breve. Ci si lascia facilmente andare,
si affrontano anche argomenti personali,
gioie e dolori della vita. La forza di questi rapporti temporanei è nel fatto che poi, i nuovi amici,
spariranno in un istante, al termine della vacanza, così come sono apparsi.
Questa certezza rende forti e libera dalle inibizioni che normalmente mettono un freno ai rapporti
quotidiani tra vicini di casa, colleghi e conoscenti vari. Finalmente puoi lasciarti andare a
confidenze anche intime che normalmente non faresti, certo del fatto che quelle parole
resteranno a fluttuare tra le onde e la brezza di quel luogo, che le persone a cui le hai dette le
dimenticheranno o forse non le hanno neanche ascoltate.
Si perché è talmente importante parlare di se stessi che non c’è tempo di ascoltare, l’essenziale è
prendere la parola alla prima occasione e restare protagonista il più a lungo possibile.
E i bambini? I bambini sono l’aspetto più bello e interessante di tutto il contesto. I bambini nella
loro innocenza, restano alieni da chiacchiere e presentazioni. Si avvicinano agli altri non tanto per
stare insieme a giocare ma per impossessarsi di uno dei giocattoli dell’altro e poterlo utilizzare a
proprio piacimento. I bambini non cercano amicizie, non s’interessano agli altri. E questo, in fondo
vale anche per gli adulti. Ma in loro, nei bambini, non c’è quella ipocrisia che serpeggia perenne
nel mondo dei grandi.
I
Stefano Crociani
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Quando è sera…………..
Mi capita molte volte sul calar della sera, quando sento suonare il rintocco delle
campane di sant’Agnese, di pensare a mia nonna. Un’immagine fuggevole e dolce che
richiama immediatamente la mia fanciullezza e tanti ricordi.
La mia nonna si chiamava Aurelia Biagiotti e da sposata prese il nome di Rachini,
cambiandolo purtroppo ben presto in quello di ved. Rachini. Suo marito, mio nonno,
infatti morì nella prima guerra mondiale, quella del ’15-’18 e lei così diventò una delle
tante vedove di guerra , all’età di 26 anni con due figli di cinque e tre anni e tutti i
problemi che comporta l’educazione e la crescita e la sistemazione di due figli. Ha
dovuto infatti fare una vita di sacrifici per portare a termine il suo lavoro, ma infine ne
assaporò anche i frutti
Era la mamma del mio babbo, la mia nonna Aurelia e la sua vita si è compiuta dal 10 -3-
1891 al 3 – 12 – 1962. E’ morta il giorno di santa Barbara alla quale era molto devota.
Ha dato tanto ai suoi figli e a noi nipoti, esempio, esperienze, ricordi, tutte cose che io
ho conservato e che cerco a mia volta di tramandare…. come il ricordo delle preghiere.
Preghiera del mattino
La mattina quando mi rizzo metto in terra il mio piede dritto, mi raccomando a Gesù
Cristo. Gesù Cristo è mio padre la Madonna è mia madre, mi coprono con il loro manto
nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
La preghiera della sera
La sera quando vado a letto con la mia croce al petto con sei angeli di Dio torno torno
al letto mio, tre da piedi e tre da capo la Madonna mi ha guardato mi ha guardato e mi
disse che mi segnassi e mi benedisse, che paura non avessi né di giorno né di notte fino
al punto della morte né di notte né di dì fino al punto di morì
Preghiera del crepuscolo
Suona l’un’ora San Pietro ,l’Angeli la cantano, la Madonna l’adora. Beata quest’anima
che passa in quest’ora. Passasse anche la mia in nome di Gesù, Giuseppe e Maria.
Adriana Ciuffetti
I bambini nella loro innocenza, sono
spesso capaci di vedere gli angeli che
vengono ad aiutarli
E. Clare Prophet
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Miei cari lettori
Basandomi su fatti miracolosi avvenuti qui in Montepulciano in tempi oramai lontani; e confortata
dall’esistenza di un’edicola che tuttora possiamo ammirare nella parrocchia di Sant’Agnese,
dedicata alla Madonna e sulla quale recentemente è stata ricollocata l’immagine della Madre di
Gesù, m’è venuto di scrivere questo racconto semplice ma pieno di edificazione e che esprime una
mentalità e una religiosità d’altri tempi. Con la speranza che sia per voi una lettura gradita, vi
saluto di tutto cuore. Maria Giovanna. Giugno 2012
QUELL'IMMAGINE DAL MANTO BLU
Giovanni si recava spesso nella piazzola, per chiacchierare con i tre o quattro amici che
gli erano rimasti.
Erano tutti anziani, da tempo pensionati e con una pensione piuttosto misera; e, siccome in
questo mondo in cui si paga tutto molto caro, quello di stare un po' insieme era uno svago che
ancora non costava nulla, tutti loro se lo concedevano abbondantemente. Anche perché in casa
avevano poca compagnia o erano del tutto soli, come Giovanni. A turno, ogni giorno, compravano
il giornale. E quello che aveva la vista più buona, od era più in forza di voce, leggeva le notizie
principali o le più curiose; e tutti poi le commentavano. In questo modo continuavano a sentirsi
importanti, perché, quando uno di loro parlava, gli altri lo stavano a sentire, e ne approvavano
le idee o le criticavano; mentre in famiglia, per chi ne aveva ancora una, questo non
succedeva più, o non era mai successo.
Nessuno aveva alcunché da comunicare ad un altro; o si interessava di ascoltare quello che un
altro diceva. E si riunivano in quella piazzola tutte le volte che il tempo lo permetteva, d'estate e
d'inverno. Giovanni, poi, vi faceva le sue scappate anche quando il tempo minacciava
seriamente, nella speranza che anche qualcun altro degli amici avesse osato sfidare la sorte.
E questo perché Giovanni era quello che abitava più vicino. Ma soprattutto perché era il più
sfortunato di tutti. I suoi amici avevano ancora parenti, magari lontano, figli o nipoti. Lui era
proprio solo. La moglie, Maria, era sempre stata una donna insoddisfatta della loro povertà e
scontenta del piccolo paese, in cui si neanche dopo la nascita del loro figlio; e ben presto li aveva
L’ANGOLO DELLA CULTURA Quam’ero ragazzino, mamma mia
me diceva: “Ricordate fijolo,
quanno te senti veramente solo
tu prova a recita n’Ave Maria.
L’anima tua da sola spicca er volo
e se solleva, come pe’ maggia”.
Trilussa
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abbandonati . Da allora lui non aveva più voluto sentirne parlare; ma si sapeva che era finita
male; come, del resto, si era sempre immaginato.
Il figlio, nato da quell'unione, era cresciuto praticamente orfano della madre. E, dopo
l'abbandono definitivo, era venuto su, affidato ora ad una donna, ora ad un'altra, dato che lui,
Giovanni, non si era sentito di rifarsi una compagna. E per di più, occupato in un lavoro che gli
richiedeva molto tempo e gli dava modestissimi guadagni, era costretto a rimanere assente da
casa per gran presto e troppo facilmente, il ragazzo aveva ottenuto una libertà senza condizioni;
di cui si era servito per rubacchiare prima e rubare poi; sino alla rapina. E, acciuffato, era
finito in galera con una pesante condanna.
Del resto, già da molto prima il figlio aveva rotto col padre, da lui guardato con disprezzo come
un fallito e che aveva avuto il torto di insistere troppo a che si avviasse su una strada odiosa per
lui, quella del lavoro e dell'onestà.
Così Giovanni aveva perduto prima la moglie e poi il figlio. Ma non si era abbandonato
completamente al dolore; anche se, per una comprensibile reazione, si era rinchiuso in se stesso,
diventando solitario e misantropo.
Salvo che nei confronti dei pochi amici dell'infanzia e della giovinezza. Questi rappresentavano
la sua unica consolazione, la sua unica gioia. Per il resto si contentava di quel tetto ormai modesta
pensione. Modesta più del normale, perché dal lavoro si era ritirato precocemente, quando il figlio
gli aveva tolto anche le ultime speranze. Data la situazione, non aveva più nessuno per cui
risparmiare; e poi gli anni avevano cominciato a pesargli più del previsto.
La piazzetta era situata un po' fuori del paese, lungo una via di accesso non molto importante.
Aveva la forma di un semicerchio e, tutto intorno, salvo per la parte diametrale, occupata quasi
interamente da una grande arcata, la circondava un alto bordo di cemento che poteva fungere
da sedile; in più, aveva qualche comoda panchina. Ai due lati, due spazi piuttosto larghi
permettevano l'accesso anche alle automobili; ma, di queste, nella piazzetta se ne vedevano
poche; nessuna struttura vicina ne motivava il parcheggio, perché all'intorno c'era quasi solo
campagna; la piazzetta poi era scarsamente frequentata anche dai pedoni: qualcuno che si
riposava per breve momento in quei sedili, tornando dai poderi; o che vi si fermava alcuni istanti
durante la sua passeggiata fuori dal paese. Si trattava, comunque, di poche persone, perché la
strada che costeggiava la piazzetta, per andare giù, alla pianura era ritenuta pericolosa per chi
camminasse a piedi a causa delle troppe curve.
La piazzetta, infatti, neppure inizialmente era stata concepita come luogo di ritrovo o di
riposo dopo il passeggio; era invece un luogo sacro. In ricordo di un antico miracolo operato
da una immagine della Madonna una volta lì collocata e che si trovava oramai da tempo nella
chiesa principale del paese.
Secoli prima, un empio aveva sfregiato il volto di un'effigie di Maria posta sull' arco di
mattoni che si trovava semplicemente lungo la via per la pianura. Dalla ferita inferta, subito era
colato sangue. La Chiesa aveva accettato il miracolo e questa Madonna era diventata meta di
devozione da parte dei fedeli. La pietà e la frequenza dei devoti aveva in seguito suggerito la
costruzione di questa piazzetta.
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La figura miracolosa, poi, per ragioni di opportunità e di salvaguardia, era stata portata via e
collocata nella chiesa cattedrale, in cima al paese. Era rimasto l'arco nudo. E così lo aveva sempre
visto Giovanni.
Ma, un bel giorno, gli amici, nell'incavo che aveva ospitato l'antica Madonna, videro una
nuova immagine sacra di Maria; comperata e collocata in seguito a una sottoscrizione tra i
fedeli della vicina parrocchia. Si trattava di una figura della Madre di Dio eseguita a
mosaico; era una Madonna piuttosto piccola per il grande monumento, ma la rivestiva un manto
di un blu molto vivace.
Mentre i suoi compagni avevano mostrato di gradire la nuova Inquilina, a Giovanni essa non
era sembrata per nulla bella. Tanto che, da allora in poi, nello scegliere il luogo dove sedersi, lo
aveva sempre fatto in modo da voltarle quasi le spalle.
Comunque, nonostante l' 'intrusa', l'abitudine di riunirsi nella piazzetta era durata, per Giovanni e
per gli altri, immutata e piacevole ancora per diversi anni. Poi, quasi in un momento, la
compagnia si disciolse. Uno degli amici era morto improvvisamente. Un altro morì anche lui; ma
dopo lunga malattia. Gli ultimi due, già del resto frequentatori meno assidui, perché avevano figli
in altri paesi, che ogni tanto andavano a trovare, quasi contemporaneamente, furono
costretti dal loro stato di salute a stabilirsi, per sempre, lontano.
Così Giovanni, un brutto giorno si trovò del tutto solo. Ma non volle lasciare la quotidiana
abitudine della piazzetta. Vi andava a leggere il giornale e vi rimaneva a pensare. E, favorito dal
lungo tempo di noia, elaborò tutta una teoria su dove era preferibile, a seconda del sole e del clima,
sedersi ad ogni diversa ora del giorno e nelle diverse stagioni dell'anno. E fu così che,
cercando ogni volta la posizione più adatta, si ritrovò a dover guardare quasi negli occhi
l'immagine religiosa. E cominciò a guardarla sempre più spesso nelle pause della lettura o
durante le sue abbastanza tetre meditazioni. L'immagine a poco a poco gli parve sempre meno
brutta; anzi quasi bella; anzi bella, molto bella, bellissima. Come ricordava il viso della moglie.
La quale, però, dietro quella sua bellezza, nascondeva pensieri e sentimenti negativi e
disordinati, come il disamore, l'ingenerosità, l'egoismo, la superbia.
Il volto di questa immagine, invece...
E cominciò anche a parlarle. Ma non come si parla a Maria, lassù, alla Madre di Dio nel Cielo; ma
come si parla a una donna, che sia bella e anche dolce... "Sai che ormai mi sei simpatica? Non
per quella che rappresenti; che ha pure lo stesso nome di mia moglie... Quella che rappresenti,
se pure c'è, non ha fatto niente per mia moglie, né per mio figlio. Eppure l'ho invocata nei
momenti più disperati, anche se ho sempre pregato pochissimo, fin da ragazzo... L'ho
invocata; e poi non ho fatto mai del male a nessuno; e ho sempre chiesto cose oneste... E
questo avrebbe dovuto contare. Ma non c'è giustizia neanche in cielo. E così non ne ho più
voluto sapere, della Madonna di lassù. Tu però mi piaci e mi fai compagnia. E io, pur in questo
deserto, non mi sento solo". E ogni giorno veniva nella piazzetta. E vi veniva con una
Comtemplava a lungo l'immagine. Ormai si sedeva sempre dove la poteva vedere meglio. A
lei confidava i suoi commenti ai fatti di cronaca che veniva leggendo, i suoi piccoli propositi e
tutti i suoi pensieri più segreti; la soave figura sembrava sempre annuire e quegli assensi erano
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per lui un dolce conforto. In più, l'espressione malinconicamente triste e addolorata di quel
viso, come di chi è consapevole dei mali della vita, ben si addiceva allo stato d'animo di lui.
E non aveva più troppa nostalgia degli amici. Non si rammaricava più di essere rimasto solo.
Perché, ogni giorno, il suo appuntamento era con la donna che aveva sempre sognato e che non
aveva mai avuto; e che, ora invece, in vecchiaia, era presente per consolarlo.
Anche nei giorni più piovosi o gelidi non sapeva rinunciare a contemplare, anche per un breve
momento, quel viso soave che lo guardava e che ascoltava quello che lui diceva e che sembrava
sempre assentire; quel viso così dolce e bello e pieno di tanta profonda comprensione.
Questa immagine di donna fu la compagna del vecchio per qualche anno.
Poi Giovanni si ammalò gravemente. Ma non volle restare ad attendere la fine in ospedale.
Ritornò presto nella sua casupola. Così era almeno più vicino alla sua piazzetta, dove,
purtroppo, non poteva più recarsi. E poi c'era un'anziana donna che lo curava per amor di Dio.
La quale, vista prossima la fine del vecchio, si prese la responsabilità di chiamare un
sacerdote. Giovanni, risvegliatosi da un greve torpore, si vide improvvisamente vicino un
giovane prete, che, con parole di conforto e
di speranza, cercava di convincerlo a
ricevere i Sacramenti.
Il vecchio era pronto a resistere a
quell'invito, e aveva già alzata la mano per
indicare la porta a chi voleva farlo ancora
sperare, quando, improvvisamente, vide in
mano al sacerdote l'immagine di una
Madonna col manto blu e un viso che, ai
suoi occhi annebbiati, parve
somigliantissimo a quello della figura della
piazzetta. Era Lei, era venuta a trovarlo!
Allora quel groppo d'ira e di ribellione che
aveva covato nel cuore per tanti anni si
sciolse. Chinò il capo e scoppiò in pianto.
Il giovane sacerdote ritornò, il giorno seguente, a portargli il conforto di quel viso e
accontentò il piccolo capriccio del vecchio che volle avere sempre lì vicino quella dolce
immagine femminile; che oramai, anche per lui, era tornata ad essere l'immagine della Madonna
che abita su nel cielo; perché Giovanni, per il poco tempo che gli restava, non volle più
negarsi la speranza di poter contemplare quella Divina Bellezza anche nell'altra vita, in
quell'eternità in cui amò nuovamente credere.
Intanto, in paese, già si parlava del nuovo miracolo operato dalla prodigiosa immagine di Maria, la
bella Madonna dal manto blu.
Maria Giovanna Perroni LorenziniE' dentro noi un
fanciullino che non solo ha brividi, come credeva b suoi.
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E' dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come di suoi
Controllo invalidità
La lettera dell’INPS arrivò circa trenta gg prima: la convocazione era per il 02.07.12 alle ore 12.45. Protestai
dentro di me: Questi fanatici tesorieri dello Stato ti mandano a chiamare in piena canicola di luglio, e nel
pieno dell’ora di pranzo, ti convocano a Siena, una città in quella data intasata dall’immancabile affluenza
per il Palio, per controllare se sei un falso invalido oppure no. La lettera era piena di avvertimenti, quasi
minacce: il non presentarsi alla data e all’ora indicate, comportava la perdita immediata dell’assegno di
invalidità; dovevo essere munito di un documento di identificazione, se lo desideravo potevo essere
assistito da un medico di mia fiducia. Non bastava il dottor James Parkinson ad attestare la mia invalidità.
Comunque sia, grazie anche alla competenza e sicurezza di guida della giovane Francesca che per conto
della Misericordia di Montepulciano su una specie di FIAT 2000 debitamente attrezzata, mi aveva portato al
luogo dell’appuntamento, io alle ore 12 e 45 del due luglio ero davanti alla Commissione che doveva
decidere sulla mia qualità di falso o vero invalido.
Erano in due, lei e lui, una dottoressa, immagino, e un dottore.
Ci fecero entrare (mi accompagnava mia moglie) e ci fecero accomodare, pregandoci di attendere qualche
istante, il tempo che avessero terminato di consegnare al computer le diagnosi relative all’aspirante
invalido che mi aveva preceduto.. Lei, la dottoressa, aiutandosi con dei certificati, dettava a lui che digitava
sul computer le varie patologie che costituivano il grado di invalidità. Una signora sui cinquanta anni, un
vestito leggero estivo, di un’eleganza sobria e professionale, di una bellezza persistente, pur nei segni di
un’età ormai provetta, dettava a lui che digitava, ripetendosi le varie formule. Per il momento, nel viso della
donna, nessun segno di umana cordialità; solo la sicurezza e l’imparzialità del funzionario statale che è lì per
verificare. Lui, sui 35 anni, sembrava più pronto alle emozioni, visto come mutava la sua espressione, al
variare della gravità delle diverse formule di malattia. Fra i due, a lei certo spettava la parola decisiva nella
sentenza finale. In noi, che ce ne stavamo seduti e silenziosi di fronte a loro, il disagio di chi si sente
indagato col rischio di apparire colpevole. Vivevamo in uno Stato ossessionato dal problema del denaro,
che si compiaceva di intercettazioni telefoniche e di bliz di controllo finanziario.
Terminato il verbale del precedente paziente, il dottore si rivolse a noi (lei era ancora nel riordino di certe
carte): le mie generalità; i risultati dei verbali precedenti; l’esame dei certificati nuovi che presentavo,
insomma i preliminari d’uso, in attesa che anche lei concentrasse la sua attenzione su la mia persona. Cosa
che finalmente avvenne, quando mi chiese la carta di identità. E fu a questo punto che l’atmosfera cambiò
da informale e inquisitoria divenne cordiale e conversevole. Infatti, esaminando la mia carta e
trascrivendone i dati, la dottoressa esclamò: “Dunque lei si chiama Carlo Lorenzini?”. E domandandomi e
guardandomi il suo volto si illuminò di una luce che la trasfigurava, “Carlo Lorenzini, come l’autore di
Pinocchio?”. Intuii subito che il ‘fanciullino’ si era impadronito di quella assoluta professionalità
trasportandola in un mondo di poesia. Ne approfittai. Dissi: “Non solo mi chiamo come lui, ma sono anche
scrittore come lui. E poi non solo…”. “Che significa ciò? Come sarebbe a dire…?” Il mio Parkinson stava
“Per diventare bambini occorre una
vita”
(Picasso)
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svanendo come nebbia al sole. “Sarebbe a dire, che anch’io sono scrittore e che…”. Il suo viso ora
esprimeva i segni della curiosità. Terminai: “E che di Collodi io ho tradotto in Latino la sua 'Storia di un
burattino' del 1881”.”Ma che dice?” E da come guardava me e guardava mia moglie, io pensai che lei
pensasse che in me di morbo non ci fosse solo quello di Parkinson. Ma io non le diedi tempo a ulteriori
considerazioni, perché subito tirai fuori l’asso che avevo nella manica: estrassi dalla mia borsa e gliela misi
fra le mani una copia del mio ‘Pinoculus’, che è la traduzione in lingua latina della ‘Storia di un burattino’
che è del 1881. Il libro era uscito a Genova per i tipi della Golden Press nel febbraio precedente. La
copertina è del pittore Alessandro Mancuso. Non era uno scherzo ed io per ora non ero affetto da altro
morbo, oltre il Parkinson. A questo punto, mentre la dottoressa guardava il libro che aveva fra le mani,
mentre ne contemplava la copertina, in cui il Pinoculus è così ironicamente superiore al mondo in cui si
trova a vivere, e mentre sfogliando vedeva che era una cosa seria, perché vedeva il Patrocinio del Comune
di Ortonovo e del Sindaco di Ortonovo leggeva la Presentazione, mia moglie intervenne e disse
solennemente: “Siamo due scrittori ed io sono poetessa”; A questo punto la dottoressa guardò il suo
compagno, lui guardò lei e il libro che aveva in mano; tutti e due guardarono noi e fu uno di quei momenti
in cui la poesia celebra il suo trionfo e in cui lo spirito vola sopra la materia; momenti sacri in cui ognuno di
noi si veste dei suoi panni curiali , e fa silenzio perché la Poesia ha esclamato ‘favete linguis!’, tacete!,
essendo la sacerdotessa in procinto di celebrare il rito.
E a questo punto la dottoressa che professionalmente era
soprattutto in confidenza con le diagnosi e le terapie; ma , si
vedeva, non ignorava le leggi della fantasia e del cuore, dopo
un minuto di silenzio, disse: “Io, la mia passione di adolescente
era per letteratura italiana e per il latino. Ma all’università ho
in un certo senso tradito, perché ho preso medicina…
Comunque ‘nel campo mezzo grigio e mezzo nero’ e ‘fresche
le mie parole nella sera’ oppure ‘s’ode a destra uno squillo di
tromba’, oppure ‘Tytire, tu patulae’… non sono più riuscita a
dimenticarli”.
E poi ci fu ancora silenzio, ciascuno di noi intento ad ascoltare
il suo fanciullino che sembrava dimenticato oppure assente,
mentre invece era vivo ed eloquente a far rivivere nel nostro
cuore età dell’oro che credevamo morte e che invece erano
solo dimenticate.
E il mio Parkinson ? Non fu dimenticato. Ad un certo punto,
fu richiamato in mezzo. Gli fu chiesto da quando si era presentato; attraverso quali segni si era fatto
conoscere; quali progressi aveva realizzato. Fu esaminato in tutte le sue manifestazioni. Vollero sapere
come dormiva, come vegliava, come si nutriva, come camminava, come scriveva, come ricordava, come
dimenticava, quale tipo di tremori e di paure aveva. Insomma in casa del signor Parkinson fecero un vero e
proprio blitz di verifica, ma questa volta con il viso sereno, con nell’animo la consapevolezza che la malattia,
se è sempre un accidente della vita, non sempre toglie alla vita i suoi veri valori, che sono valori che
guardano all'infinito e all'eterno. Carlo Lorenzini
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Queste pagine sono a disposizione di tutti coloro che vogliono inviarci qualche loro riflessione o esperienza o comunicazione
Profumo di vento - favola
Questa storia comincia in una bella baia,
uno di quei posti prediletti dalla natura,
dove il mare è dell’azzurro più incredibile,
gli alberi del verde più acceso, il cielo
costantemente sereno, i fiori smaglianti e
profumatissimi, insomma quasi il giardino
dell’Eden. Nessuno sa dove sia questa baia,
si sa solamente il suo nome e anche quello è bellissimo; infatti si chiama ‘Profumo di vento’.
Questo però non è sempre stato il suo appellativo, perché un tempo molto lontano qualcuno l’aveva
nominata ’Approdo sicuro’, poi per le strane vicissitudini della vita a un certo punto invece diventò
’l’Antro del drago’ e questo la dice lunga.
Il drago in questione aveva un nome e un cognome. Si chiamava Ego Stormy. Non si sapeva da
dove venisse, ma alla fine da una voce che tira l’altra, venne fuori che era ricchissimo, che aveva
comprato quella baia, ci si era costruito una casa fiabesca…..e non voleva essere disturbato da
nessuno. Il malcapitato che ignaro dei divieti di accesso a quel luogo osava avventurarsi perdeva la
voglia di ripetere l’esperimento, perché veniva sempre scacciato in maniera poco ortodossa dalle
guardie del corpo di mr. Stormy, grosse bestie pelose, un po’ animali un po’ uomini, che
somigliavano molto a certi personaggi che di tanto in tanto si vedono in televisione e fanno il bello
e il brutto tempo finché arriva un’onda che li spazza via e li rimpiazza con nuove leve più
aggiornate sull’uso del ladrocinio, del doppiogioco, della strafottenza e del malcostume.
Queste erano le uniche persone che stavano vicine a Ego Stormy, del quale avevano un timore
riverenziale e verso il quale erano animati non da sentimenti di affetto e neanche di stima ma solo di
losca sudditanza e di odio profondo. Potete quindi immaginare che se guardie del corpo di tale
calibro erano tenute in pugno da quest’uomo misterioso, quale abisso insondabile e tortuoso
dovesse essere la sua anima, la sua personalità e la sua intelligenza.
Nessuno conosceva il suo aspetto, solo qualcuno, da lontano aveva intravisto qualcosa e l’aveva
descritto, aggiungendo del suo alla paura deformandone lentamente l’immagine,,,,,,,e così Mr.
Stormy era diventato prima alto, poi altissimo, poi di colore verdognolo, infine allungato su se
stesso che strisciava sulla sabbia bianca della spiaggia tirandosi dietro una lunga coda, e infine
l’avevano visto sputare fiamme e fuoco dalla bocca, verso il mare, che sotto quella cascata ribolliva
come l’acqua che aspetta gli spaghetti. Così un po’ alla volta la gente del posto perse l’abitudine di
chiamarlo col suo vero nome e gliene diede un altro, ancora più temibile: il Drago.
FINESTRA APERTA
Le favole non dicono ai bambini che i
draghi esistono. Perché i bambini lo
sanno già. Le favole dicono ai
bambini che i draghi possono essere
sconfitti.
Gilbert Keith Chesterton
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Quella mattina, Roy chiese alla mamma di andare al mare. Fu proprio lui a domandarglielo, ed era
la prima volta da quando erano giunti in quel posto due mesi prima. La mamma lo guardò stupita,
piacevolmente stupita. Possibile che finalmente in suo figlio si destasse l’interesse per il mare? Fino
a quel momento, da che erano arrivati, spinti dalla necessità di aria salmastra, che il medico aveva
detto sarebbe stata salutare per Roy, per fortificarlo e prepararlo al meglio per il difficile intervento
chirurgico che avrebbe dovuto subire agli occhi per permettergli di recuperare la vista, il bambino
aveva dimostrato una tranquilla indifferenza verso quei luoghi e verso quel mare che in genere
piace a tutti i bimbi del mondo.
Si affrettò dunque ad esaudire il suo desiderio e si incamminarono verso la solita spiaggia dove
andavano abitualmente. Ma Roy a un certo punto si fermò e disse
“Non voglio andare lì, voglio andare da quell’altra parte!”
“Perché? – gli domandò la mamma un po’ perplessa – questa spiaggia ormai la conosci come le tue
tasche. Non ci sono più pericoli per te!”
“Ti prego mamma – e Roy la guardò con i suoi bellissimi occhi azzurri che non vedevano – voglio
andare là!” E con il dito indicò un posto proprio nella direzione opposta
“Ma perché?” domandò
ancora sua madre
“Perché da là arriva il
profumo del vento”.
La mamma lo guardò, poi
sospirò. Era abituata ormai
da lungo tempo a
considerare le stranezze di
suo figlio come qualcosa
che lei non riusciva a
capire, ma che nascevano
da una sensibilità maggiore
che lui aveva a causa della
sua menomazione.
“Senti il profumo di fiori?”
gli chiese per potersi
orientare e seguire una
direzione un po’ precisa
“No mamma. Il vento non
profuma di fiori…il vento profuma di vento” e Roy sorrise
“Allora dovrai guidarmi tu. Dimmi dove dobbiamo andare”
“Va bene mamma…seguimi!”
Finalmente arrivarono e davanti a loro si spalancò l’incredibile bellezza di un paesaggio non
contaminato.
“Ma è bellissimo Roy” disse la mamma stupefatta
“Vero mamma? – Roy era felice si vedeva – e lo senti che profumo di vento?”
La mamma non sentiva niente, ma si fidava di suo figlio per cui con gli occhi lucidi rispose
dolcemente
“Sì Roy, lo sento!”
“Andiamo dai mamma! Voglio fare il bagno e giocare sulla riva….vieni?”
“Agli ordini” e ridendo andarono a tuffarsi nelle onde appena increspate
Dopo due ore pensarono che era il momento di fare una bella colazione e la mamma si affrettò a
tirare fuori dalla sua grande borsa tutto ciò che poteva servire per sfamare il suo cucciolo finalmente
ridente. Ma dopo che ebbe apparecchiato per bene, rimettendo la mano dentro la borsa per prendere
per ultimo la bottiglia dell’acqua, si accorse che non c’era più il portafoglio.
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“Che c’è mamma?” chiese Roy volgendo i suoi occhioni verso sua madre. Riusciva sempre a intuire
gli stati d’animo di sua madre e capiva che c’era qualcosa che l’agitava.
“Non trovo più il portafoglio! Forse mi è caduto quando abbiamo lasciato la strada per entrare in
spiaggia. Ricordi che ho tirato fuori dalla borsa il tuo cappellino? Ecco penso che sia stato in quel
momento ……”
“Vallo subito a cercare mamma …..non ti preoccupare, io non mi muovo da qui, ci vogliono solo
pochi minuti!”le disse Roy con convinzione
“Me lo prometti?”
“Certo … e stai tranquilla …. lo sai che di me ti puoi sempre fidare!”
“Lo so amore mio … allora vado e tu intanto fai la tua colazione!”
“OK!” e Roy addentò con appetito il suo primo panino
La mamma si era allontanata solo da due o tre minuti e Roy si stava gustando il suo panino con le
prelibatezze che ciascuno di voi vorrebbe avere nel panino, in una bella mattinata d’estate in riva al
mare, quando una voce aspra lo apostrofò.
“E tu che ci fai qui?”
Roy si girò verso quella voce e rispose tranquillamente
“Aspetto che torni la mia mamma che è andata a cercare il suo portafoglio?”
“Non è questa la domanda che ti ho fatto … Perché sei qui? Non ti ci voglio …. qui non deve
entrare nessuno, questa è la mia spiaggia”
“Mi scusi signore, ma io non lo sapevo …..oggi ho convinto io la mamma a portarmi qui perché
volevo sentire da vicino il profumo del vento?” gli disse sorridendo
“Il profumo del vento?” tuono la voce
“Sì, proprio il profumo del vento … lo sente anche lei signore?”
“Io non sento proprio nessun profumo. Ma da quando il vento ha un profumo? Vorrai dire profumo
di fiori, o di altra roba portata dal vento ….. ma chi vuoi prendere in giro giovanotto?”
“Non voglio prendere in giro nessuno signore. Io sento il profumo del vento e sento che viene da
questa parte del mare, proprio da quella parte là!” e col dito indicò una bellissima villa sopra un
promontorio, una villa che lui non vedeva , ma che il Drago perché era proprio lui, vedeva
benissimo, perché era casa sua
“Profumo di vento – disse tra sé e sé l’uomo con cipiglio accentuato – profumo di vento! ….Ora
basta con queste sciocchezze. Vattene ragazzo e non ti azzardare a tornare mai più qui!”
“Non posso!” rispose piano Roy improvvisamente triste
“Ti ho detto vattene subito …..non costringermi a chiamare le mie guardie!!!”
“Ho detto che non posso!” disse ancora Roy con voce più sottile
“E di grazia …... perché non potresti? Parla su …. non farmi arrabbiare di più di quello che sono
già!” disse il Drago con voce severa
“Ecco signore io non posso, non posso proprio, primo perché ho promesso alla mamma che non mi
sarei mosso da qui …...e poi- e qui i suoi occhi divennero lucenti – poi … ”
“Allora?! Poi?.....ti vuoi decidere?” tuonò la voce del Drago
“…. poi perché sono cieco!”
La corazza che un uomo si è costruita intorno a sé in tutta la sua vita, può crollare nel giro di un
secondo? La risposta è sì, perché quella del Drago, fatta di ghiaccio, si dissolse come la neve al sole
davanti agli occhi di un bambino, e il povero drago si ritrovò in un attimo spoglio dei suoi aculei,
della sua potente coda, della sua bocca sputa fuoco, per essere solo e semplicemente un uomo che
aveva avuto paura di amare.
“Non piangere - disse bruscamente a Roy mentre guardava le perle trasparenti che scendevano
silenziosamente dagli occhi del bambino – non piangere! Perché non fai sentire anche a me il
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profumo del vento? – e cosa inammissibile per lui, gli tese la sua grande mano, senza ricordarsi che
Roy non poteva vederla.
“Andiamo – gli disse – camminiamo insieme sulla battigia. ..... forse lì anch’io sentirò quel
profumo!”
“Non posso … ho promesso alla mamma che non mi sarei mosso finché lei non fosse tornata!”
rispose Roy nuovamente tranquillo
“La mamma è qui tesoro – disse la dolce e inconfondibile voce di sua madre,che aveva assistito in
silenzio e in disparte al miracolo che si stava compiendo e del quale lei era inconsapevole.
“Signora – disse – Mi chiamo Ego Stormy e vorrei chiederle il permesso di fare una passeggiata
con suo figlio”
“Ho sentito parlare molto di lei mr. Stormy – rispose la giovane donna guardandolo intensamente -
……. permesso accordato, purché dopo si fermi a fare colazione con noi!”
Anche l’uomo la guardò con la stessa intensità. Poteva essere la figlia tanto amata che non c’era più
da troppo tempo ormai.
“Va bene!”
Nient’altro fu detto e mentre Roy si allontanava con la sua manina nella mano di quel grande uomo,
la giovane madre seppe in cuor suo che quell’incontro non sarebbe rimasto fino a se stesso.
E infatti così è stato. Roy si è operato e oltre al viso dolce della sua mamma ha potuto vedere anche
quello di un uomo che ora chiama nonno, che un giorno di qualche tempo non si sa quando ritrovò
se stesso negli occhi di un bambino, e alla fine arrivò anche per lui il momento di sentire il profumo
del vento.
Da quel momento l’isola si chiamò ‘Profumo di vento’.
Perché ho scritto una favola?
Proverò a rispondere con sincerità
1 – Perché a me le favole piacciono tanto anche ora, che il tempo delle favole per me è passato da
un pezzo.
2 - Perché mi piace allentare la briglia alla mia fantasia. Ciascuno di noi ha ricevuto i suoi doni
dalla vita. A me è stato fatto questo.
3 - Perché appena ho letto l’aforisma di Chesterton ho capito che era lo spunto per farmi dire che è
sempre bene uscire fuori dai luoghi comuni e dalla manìa di etichettare le persone, perché spesso
proprio le stesse persone delle quali si dice tutto il male del mondo sono invece le migliori.
4 - Perché i draghi esistono veramente e i bambini lo sanno e siamo noi che dobbiamo dare ai
bambini la possibilità di sconfiggerli e più che altro di far loro riconoscere quelli veri da quelli che
invece la vita ha provato con la sofferenza. Il problema è tutto nostro perché quasi sempre siamo
proni davanti ai draghi del potere e aiutiamo a uccidere quelli che invece portano solo una
maschera di difesa. Facciamo uscire i nostri bambini da questa confusione. Come? Con l’onestà.
5 - Perché ….. forse anche io sono un Drago?
Giuly
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DETTO,SENTITO,SCRITTO……….IN PARROCCHIA
Per tutti quanti tra voi hanno figli e non lo sanno, abbiamo un’area attrezzata per i bambini!
Giovedì alle 5 del pomeriggio ci sarà un raduno del Gruppo Mamme. Tutte coloro che vogliono
entrare a far parte delle Mamme sono pregate di rivolgersi al parroco nel suo ufficio.
Il gruppo di recupero della fiducia in se stessi si riunisce Giovedì sera alle 7.Per cortesia usate le
porte sul retro.
Venerdì sera alle 7 i bambini dell’oratorio presenteranno l’”Amleto” di Shakespeare nel salone
della chiesa. La comunità è invitata a prendere parte a questa tragedia.
Care signore, non dimenticate la vendita di beneficenza! E’ un buon modo per liberarvi di quelle
cose inutili che vi ingombrano la casa. Portate i vostri mariti.
Tema della catechesi di oggi: “Gesù cammina sulle acque”. Catechesi di domani: “Dov’è Gesù?”.
Il coro degli ultrasessantenni verrà sciolto per tutta l’estate, con i ringraziamenti di tutta la
parrocchia.
Il torneo di basket delle parrocchie prosegue con la partita di mercoledì sera: venite a fare il tifo
per noi mentre cercheremo di sconfiggere il Cristo Re!
Il costo per la partecipazione al convegno su “preghiera e digiuno” è comprensivo dei pasti.
Per favore mettete le vostre offerte nella busta, assieme ai defunti che volete far ricordare.
Il parroco accenderà la sua candela da quella dell’altare. Il diacono accenderà la sua candela da
quella del parroco, e voltandosi accenderà uno a uno tutti i fedeli della prima fila.
Martedì sera, cena a base di fagioli nel salone parrocchiale. Seguirà concerto
Ringraziamo per il contributo
alla Voce di S. Agnese
Fanciulli Alda
Siti internet:
www.parrocchiasantagnese.it
www.santaagnese.it
Sito caterinati:
www.caterinati.org
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Se c'è qualcosa che desideriamo
cambiare nel bambino, dovremmo
prima esaminarlo bene e vedere se
non è qualcosa che faremmo
meglio a cambiare in noi stessi.
Carl Gustav Jung
Un bambino può insegnare
sempre tre cose ad un adulto:
a essere contento senza
motivo, a essere sempre
occupato con qualche cosa, e a
pretendere con ogni sua forza
quello che desidera.
Paulo Coelho
Quanto pesa una lacrima? Secondo:
la lacrima di un bambino capriccioso
pesa meno del vento, quella di un
bambino affamato pesa più di tutta la
terra.
Gianni Rodari
I figli sono
come gli
aquiloni………..
Erma Bombeck
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