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I giornalisti
al Concilio Vaticano II
Il Vaticano II è stato il primo concilio
nella storia della Chiesa a svolgersi
sotto gli occhi delle telecamere e delle
cineprese e davanti ai microfoni delle
radio di tutto il mondo.
Il 5 ottobre 1962 viene inaugurata la
nuova sede dell’Ufficio stampa del
concilio, in via Serristori, l’attuale Sala
Stampa vaticana.
Il Vaticano II si apre alla presenza di più
di 1200 giornalisti accreditati e
provenienti da tutti i continenti. I servizi
radiotelevisivi della RAI vengono
utilizzati e diffusi da altre 66 reti
internazionali.
Il “riserbo” mantenuto agli inizi del
concilio da parte delle autorità vaticane,
suscita la reazione della stampa tanto
che Raniero La Valle, giovane direttore
dell’Avvenire d’Italia si fa promotore di
un’iniziativa per avere più informazioni.
Nuovo Ufficio stampa
del Concilio
I giornalisti
al Concilio Vaticano II
Le informazioni veicolate dalla
radio e dalla televisione influenzano
in modo sensibile sia l’opinione
pubblica sia i dibattiti dei padri
conciliari. Per esempio, Congar sul
suo diario nota che «gli arabi del
Medio Oriente sono stati messi su
dalla propaganda in arabo fatta dalla
radio israeliana: ascoltano molto
quella emittente. E quella radio ha
ripetuto il ritornello: il Concilio ha
riconosciuto l’innocenza degli
ebrei».
L’utilità di una corretta diffusione di
notizie da parte dei media si
percepisce soprattutto in quei
passaggi che toccano temi delicati
per gli equilibri nei rapporti con gli
altri.
L’influsso dei media
La televisione dà un
volto a nomi che con il
passare delle settimane
diventano sempre più
noti al grande pubblico.
Si avvicendano sullo
schermo i teologi
transalpini, i vescovi
delle chiese africane e
asiatiche, gli
osservatori non
cattolici.
Alcuni diventano veri e
propri leader mediatici:
per esempio, i cardinali
Bea e Suenens, i
teologi Congar e Küng,
gli ospiti come
Cullmann e frère Roger
Schutz.
Il ruolo della televisione
Un “concilio dei media?” «C’era il Concilio dei Padri - il vero
Concilio - ma c’era anche il Concilio dei
media. Era quasi un Concilio a sé, e il
mondo ha percepito il Concilio tramite
questi, tramite i media. Quindi il
Concilio arrivato al popolo, è stato
quello dei media, non quello dei Padri. E
mentre il Concilio dei Padri si realizzava
all’interno della fede, era un Concilio
della fede che cerca l’intellectus, che
cerca di comprendersi e cerca di
comprendere i segni di Dio in quel
momento, che cerca di rispondere alla
sfida di Dio in quel momento e di
trovare nella Parola di Dio la parola per
oggi e domani, mentre tutto il Concilio -
come ho detto - si muoveva all’interno
della fede, come fides quaerens
intellectum, il Concilio dei giornalisti
non si è realizzato, naturalmente,
all’interno della fede, ma all’interno
delle categorie dei media di oggi, cioè
fuori dalla fede, con un’ermeneutica
diversa» (Benedetto XVI, discorso ai
parroci romani, 14 febbraio 2013).
«Era un’ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere
tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte
che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo.
C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi,
tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice
questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità
popolare.
Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire. E così
anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come rito dove si
fanno cose comprensibili, una realtà attiva della comunità […].
Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi
dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di
fuori della sua propria chiave, della fede. E così, anche nella questione della Scrittura: la
Scrittura è un libro, storico, da trattare storicamente e nient’altro, e così via.
Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello
dominante, più efficiente, e ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie:
seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata... e il vero Concilio ha avuto difficoltà a
concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale […].
È nostro compito lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si
realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa» (Benedetto XVI, discorso ai parroci romani, 14
febbraio 2013).
Nato a Schilpario nel 1908, compie gli
studi nel Seminario di Bergamo.
Viene ordinato sacerdote nel 1931 e
diventa vicedirettore del Patronato San
Vincenzo di Bergamo, fondato da don
Bepo Vavassori. Insegna religione
all’Istituto tecnico industriale.
Nel 1938 assume la direzione del
quotidiano “L’Eco di Bergamo”,
compito che assolve con equilibrio,
autorevolezza e professionalità per oltre
cinquant’anni.
Chiamato alle armi nel 1940 e
assegnato come cappellano militare a un
ospedale da campo, esercita poi il suo
ministero su di una nave-ospedale e a
bordo di un sommergibile.
Rientrato a Bergamo dopo l’8 settembre
1943, diventa cappellano nel carcere di
Sant’Agata in Bergamo Alta e in tale
veste presta assistenza spirituale ai
prigionieri e ai condannati a morte.
Andrea Spada
(1908-2005)
Chiamato da papa Giovanni, che
ne apprezza le doti di prete e
giornalista, partecipa ai lavori del
Concilio Vaticano II dapprima
come componente della
commissione preparatoria e poi
come perito per i mezzi di
comunicazione sociale.
Nel 1988 viene nominato
grand’ufficiale della Repubblica e
nel 2001 riceve la laurea honoris
causa dell’Università di Bergamo
per la scienza della
comunicazione.
È stato pubblicato di recente il
carteggio tra A.G. Roncalli e A.
Spada nel volume, a cura di R.
Belotti, Nel segno di san
Giovanni XXIII.
Amico personale di A.G. Roncalli
«Sono stato lungamente da mons. Capovilla
segretario del Santo Padre.
È molto preoccupato per la salute del Papa
che ha diversi disturbi…
Sono abbattuto come se si trattasse di mio
padre. Dominus conservet eum, per carità!
Per quanto ci si debba fare un’idea di ogni
triste evenienza con un uomo di 81 anni, e
per quanto la Grazia e la Provvidenza di Dio
abbiano dato, proprio di questo Pontificato,
un segno meraviglioso di come Dio guidi la
sua Chiesa, però non riesco a pensare che
questa luce un giorno si spenga su un mondo
che ne ha tanto bisogno.
Speriamo che sia solo un allarme. Ero in
Piazza San Pietro a mezzogiorno: tirava
un’aria fredda che agitava il drappo steso
sotto la finestra del Papa»
(18.11.1962)
«Mi sono trattenuto con il Card.
Alfrink, una figura straordinaria,
che sapeva degli attacchi
mossigli da un giornalista
italiano (Indro Montanelli del
“Corriere della Sera” che ha
scritto tre articoli ignobili sul
Concilio, tentando di presentare
il Papa e i vescovi stranieri come
deboli verso l’eresia).
Mi chiede “L’Eco di Bergamo”
con la mia risposta a Montanelli
e, dopo essersene andato in giro
per San Pietro tranquillamente
con “L’Eco di Bergamo” in
mano, se l’è letto attentamente al
suo posto, al tavolo della
Presidenza» (28.11.1962)
Direttore de L’Eco di Bergamo
«Mi sono molto sorpreso nell’incontro con mons. Oddi,
Nunzio a Bruxelles: egli spiega al card. Testa che dirà al
Papa, se lo potrà vedere prima di ripartire (spero non lo
veda), di non far mai più dei Concili, “perdita di tempo”
con l’assurdo di 3000 vescovi che hanno diritto alla
parola: egli spera che, nella successiva sezione (il card.
Testa mi dice, forse scherzando, che il Concilio durerà
quattro anni) verranno invitati al Concilio solo i
delegati […].
Sono furioso con le parole di Mons. Oddi. È la seconda
volta che mi incontro con questo prelato, piccolo di
statura, intelligente e vivacissimo, ma sconcertante con
quel suo tono da enfant gâté della diplomazia vaticana.
Gli ho fatto visita su Monte degli Olivi, con un
pellegrinaggio, anni fa ed ero latore di una lettera del
Patriarca di Venezia Roncalli, lettera che egli si infilò in
tasca senza leggerla subito: ci offrì gentilmente dei
cioccolatini, ma quella stagnola, condita di una
girandola di parole, non sono ancora riuscito a digerirla
in quell’atmosfera! Come si può non essere entusiasti e
commossi dinnanzi a questo meraviglioso spettacolo di
libertà di parola, di respiro, di amore alle anime?»
Silvio Oddi
(1910-2001)
«Stamane ho avuto un incontro con mons.
Willebrands, che sta nella tribuna degli Osservatori
e che è stato in missione a Mosca. Gli chiedo di
dirmi confidenzialmente quali sono in realtà le
impressioni degli Osservatori delle Chiese
Separate. Mi dice che specialmente gli orientali
sono colpiti dallo spirito di libertà che anima quei
vescovi che loro ritenevano ridotti a semplici
funzionari. Cadono uno a uno - mi dice - molti
pregiudizi. Li colpisce lo spirito comunitario, la
libertà di parola, la franchezza, il continuo
aggancio al Vangelo di molti interventi.
Mi dice che prendono continui appunti, servendosi
anche degli interpreti. Ne trovo alcuni di essi che
conversano assai amichevolmente con Vescovi e
con Periti alla buvette, nelle Cappelle, nel retro
delle tribune.
Nella tribuna i due russi seguono attentissimi e
impassibili: mons. Willebrands mi dice che hanno
terrore dei giornalisti. Abitano in una pensione qui
a Roma. Degli osservatori alcuni sono in
clergyman, parecchi totalmente in borghese, con
cravatta, e due anche in abito chiaro. Osservo che
parecchi sono piuttosto giovani» (31.10.1962)
Gli osservatori della chiesa russa
Roberto Tucci
(1921-2015)
Direttore de La Civiltà CattolicaEntra a 15 anni nel noviziato della
Compagnia di Gesù. Dopo gli studi
classici, nel 1947 consegue la laurea
in filosofia presso l’Università di
Napoli. Nel 1951 ottiene la licenza in
teologia a Lovanio e il dottorato in
teologia all’Università Gregoriana.
Prete dal 1950, nel 1956 inizia a
collaborare con la rivista La Civiltà
Cattolica, periodico della Compagnia
di Gesù, di cui diventa direttore nel
1959 fino al 1973.
Nei lavori del Vaticano II svolge
un'intensa attività sia nella fase
preparatoria che nello svolgimento
delle varie sessioni in veste di perito:
rilevante è stato il suo contributo alla
stesura della Costituzione Gaudium et
spes.
Dal 1985 al 2001 dirige la Radio
Vaticana. Viene nominato cardinale
nel concistoro del 2001.
«Fa una distinzione
abbastanza esplicita tra dogma
propriamente detto, misteri da
accettare umilmente, e le
spiegazioni teologiche.
Per quanto queste siano spesso
le migliori che l’intelligenza
umana si può dare, sono
sempre spiegazioni umane:
applica ciò al mistero della
Trinità, alla teologia
dell’Eucaristia con le sue
distinzioni di sostanza e
accidenti.
Con cautela, soprattutto
rilevando esplicitamente che
ero un teologo, ha messo in
risalto la vera gerarchia dei
valori» (appunti dopo
l’udienza con Giovanni XXIII
del 01.02.1960)
Dogma e teologia
«Poi si è aperto su un problema che
spesso lo occupa: come può mai essere
che dopo 2000 anni che il Figlio di Dio
si è incarnato, così pochi lo conoscono e
tra gli stessi cristiani ci siano tante
divisioni. Avendo io detto qualcosa sulla
buona fede presumibile in tanti
protestanti, ha assentito. Ha osservato
che bisogna sì parlare di inferno, ma che
il Signore sarà buono con tanti. “Certo
tutti ci possiamo andare, ma mi dico:
Signore non permetterai che ci vada il
tuo Vicario!”. Ha rilevato l’importanza
di una migliore comprensione tra
cattolici e acattolici, e di rapporti
personali, portando l’esempio dei suoi
rapporti personali con gli orientali e con
i turchi, per cui oggi questo paese, cosa
un tempo incredibile, chiede una
rappresentanza diplomatica presso il
Vaticano» (appunti dopo l’udienza con
Giovanni XXIII del 01.02.1960)
Sul dialogo ecumenico
«Ha accennato alla sua posizione,
sofferta, di prigioniero di lusso, in
mezzo a tanto fasto e tanto cerimoniale
che non gli piacciono. “Non ho niente
contro queste buone guardie nobili, ma
tanti inchini, tante formalità, tanto fasto,
tanta parata mi fanno soffrire, mi creda.
Quando scendo e mi vedo preceduto da
tante guardie eccetera, mi sento come
un detenuto, un malfattore; e invece
vorrei essere il Pastor bonus per tutti,
vicino al popolo. Qualche formalità in
alcune occasioni, va bene, ma è troppo!
Ma bisogna avere pazienza perché non
si può facilmente cambiare sistema
senza offesa. Il Papa non è un sovrano
di questo mondo”. Racconta come gli
dispiacesse all’inizio di essere portato in
sedia gestatoria attraverso le sale,
preceduto da cardinali spesso più vecchi
e cadenti di lui» (appunti dopo
l’udienza del 07.06.1960)
“Prigioniero di lusso!”
«Per quanto riguarda il Concilio, egli dice di esserne
pienamente soddisfatto […]. Si è lamentato però del
fatto che il Sant’Uffizio crede di comandare lui; ha
detto di averli dovuti mettere in riga […].
Critica fortemente anche il padre Tromp, che crede
di dover insegnare ai Vescovi e si esprime con poca
stima di essi; osserva che purtroppo alcuni eminenti
Padri conciliari, perché hanno insegnato teologia,
credono di dover fare dei testi conciliari manuali di
teologia; riafferma che non si tratta di dirimere
questioni dottrinali […].
A proposito degli ambienti curiali, dice che hanno la
mentalità piccina, ristretta, perché non sono stati mai
fuori di Roma, fuori della Ciociaria: non riescono a
vedere le cose della Chiesa in una prospettiva
veramente universale […].
Osserva che mons. Felici è un gran brav’uomo, ma
che ha la mentalità ristretta; sa il latino e anche
l’italiano e più o meno è tutto» (appunti dopo
l’udienza con Giovanni XXIII del 09.02.1963)
Pericle Felici
(1911-1982)
«A esemplificare i buoni frutti del suo
atteggiamento di semplicità e di bontà, che
smonta gli avversari, mi comunica in via
riservata la notizia della scarcerazione del
Metropolita degli Ucraini, Josyf Slipyj.
Mons. Willebrands si è recato in Russia a
prelevarlo; è atteso a Roma in serata e
risiederà per ora nel monastero di
Grottaferrata. Ci tiene a sottolineare che
certi atteggiamenti “nazionalisti” tipo
quello dei Vescovi ucraini e specialmente
di mons. Ivan Bucko, non fanno che
irritare; invece i buoni rapporti con
Krusciov hanno ottenuto questo passo
distensivo; egli non ritiene che Krusciov
sia quel cinico che si dice; ha le sue gravi
difficoltà interne ed è animato da buoni
propostiti, anche se restando fermo su
principi del tutto opposti ai nostri» (appunti
dopo l’udienza con Giovanni XXIII del
09.02.1963)
Josyf Slipyj (1882-1984)
«Il Papa desidera una linea di minore impegno
nelle cose politiche italiane; egli deve guardare
al bene della Chiesa intera. Inoltre non è
necessario che sia sempre la Civiltà Cattolica a
intervenire su ogni questione.
La Chiesa ha anche altri mezzi per farsi sentire,
se lo ritiene necessario. Occorre stare molto
attenti, perché oggi i politici anche
democristiani cercano di tirare la Chiesa dalla
loro parte e finiscono per servirsi della Chiesa
per finalità non sempre altissime: interessi
economici e di carriera, eccetera.
Mi fa anche il nome di Scelba a questo
proposito. Meglio starne fuori.
Aggiunge testualmente: “Io non me ne intendo,
ma francamente non capisco perché non si
possa accettare la collaborazione di altri che
hanno diversa ideologia per fare cose in sé
buone, purché non vi siano cedimenti
dottrinali. La Chiesa non ha ambizioni
politiche» (appunti dopo l’udienza con
Giovanni XXIII del 30.12.1961)
Giulio Andreotti
e Mario Scelba
Per molto tempo fu definito “il papa
dell’informazione religiosa”. Era entrato a Le
Monde nel 1946. Fatto prigioniero nella 2ª guerra
mondiale, detenuto in Slesia, aveva costituito un
gruppo di studiosi ai quali apparteneva anche un
altro direttore di Le Monde, Jacques Fauvet.
Uno dei primi importanti argomenti che egli
affrontò fu l’affare Finaly, dal nome dei due
bambini ebrei affidati durante l’occupazione a una
famiglia cattolica. Battezzati d’ufficio, diventati
orfani, furono a lungo impediti di ricongiungersi ai
superstiti della loro famiglia.
Anche la crisi dei “preti operai” appassionò i
Francesi: potevano esercitare il loro ministero
lavorando, soprattutto in ambienti operai, e quindi
rimanendo spesso attratti dal marxismo? Qui si
rivelò un Fesquet combattivo, impegnato, per
qualcuno un “progressista”, un giornalista esperto.
Ma fu soprattutto al Concilio Vaticano II che egli
deve la sua reputazione. Egli seguì le quattro
sessioni di questo evento fondamentale per la
Chiesa cattolica.
Henri Fesquet
(1916-2011)
Con altri colleghi, egli stimolò i vescovi
francesi, con domande pertinenti e
impertinenti, a nominare un portavoce
per i giornalisti francofoni, per tradurre
in un linguaggio accessibile i termini
allora troppo specialistici.
Un pastore protestante, Anfré Dumas,
ha qualificato Fesquet il “d’Artagnan
del giornalismo religioso…, giovanile e
informato, pronto al duello per la buona
causa della libertà evangelica”.
Egli riuscì a rendere indispensabile la
rubrica religiosa di Le Monde.
Nel suo Diario del Concilio (1966) ha
lasciato una testimonianza indelebile
del ruolo svolto in quel periodo.
«Si sono prodotte le reazioni attese nel corso dell’esame dello schema sui vescovi, ora
brutali, ora sfumate, ora commoventi come possono essere dei combattimenti
disperati. Esse sono una manifestazione di paura o di sconcerto di fronte all’indirizzo
che sembra prendere irrevocabilmente il Vaticano II. Lasciamo a mons. Méndez
Arceo, vescovo di Cuernavaca (Messico), che ha preso la parola giovedì mattina, il
compito di definire e di giudicare questi interventi: “Ho ascoltato oggi – ha detto –
delle cose molto sorprendenti. Si sarebbe potuto credere di essere al Vaticano I. È un
errore perché noi siamo qui proprio per completare quel Concilio. Noi non siamo più
nell’era costantiniana, che ha imprigionato la libertà della Chiesa”.
Sua Beatitudine Batanian, patriarca di Cilicia degli armeni: “Le nostre innovazioni
ridurrebbero la Chiesa in uno stato miserevole. Si è detto che un senato è necessario
alla Chiesa. Ma questo senato esiste già: sono i cardinali. Non esageriamo i difetti
della Curia. I commenti della stampa hanno fatto molto male. La Curia è molto
meritoria, evitiamo ogni scandalo” (alcuni applausi) […].
Mons. Del Pino, vescovo di Lérida: “Vi sono alcuni che parlano continuamente di
collegialità: come se ogni vescovo fosse papa. È falso, erroneo, contrario al Vaticano I
che i vescovi abbiano tutti i poteri, che il corpo episcopale possieda tutti i poteri. Non
soffochiamo il primato pontificio! Tutto viene dal papa, tutto è sottomesso al papa” (il
vescovo si è fatto interrompere perché il suo tempo era finito, si sono sentiti alcuni
applausi senza che fosse possibile capire esattamente se erano rivolti all’oratore o al
moderatore che l’ha interrotto» (Cronaca dell’8 novembre 1963)
«Mons. Heenan, arcivescovo di Westminster, ha
parlato a nome dei vescovi della Scozia,
dell’Irlanda, della Nuova Zelanda, del Belgio, ecc.
Da buon inglese pieno di realismo, il vescovo ha
rievocato le guerre di religione in Gran Bretagna, le
innumerevoli persecuzioni di cui sono stati vittime,
di volta in volta, cattolici e protestanti. Ha fatto
notare che ancora oggi in Inghilterra la confessione
anglicana è la religione di Stato senza che ciò
nuoccia alla libertà religiosa di chiunque. “Noi
approviamo senza riserve lo schema. Dobbiamo
proclamare una libertà religiosa che possa valere per
tutti i Paesi senza eccezione. L’errore – si dice – è un
pericolo. Certamente! L’errore è un male ma la
mancanza di libertà è un male ancora maggiore […].
Non dobbiamo più parlare di tolleranza come di un
male, ma della libertà religiosa come di un bene”
[…]. La conclusione di mons. Heenan è stata
salutata da un’esplosione di applausi. Essi sarebbero
vietati ma sembra che i moderatori abbiano ormai
rinunciato a far applicare questa regola» (Cronaca
del 29 settembre 1964)
John Heenan (1905-1975)
«Un centinaio di giornalisti, italiani in maggioranza, molti
dei quali seguono i lavori del Vaticano II, si è riunito ad
Assisi il 6 e 7 novembre per un incontro sul tema “Libertà e
informazione” […]. Il Vaticano II ha esercitato una influenza
profonda e irreversibile sulle relazioni fra Chiesa e stampa.
La gerarchia si è resa conto dell’influenza dei giornali
sull’opinione pubblica e si è giunti a dire, non per
complimento, che tre concili si stavano svolgendo
contemporaneamente: quello dei padri, quello degli esperti e
quello dell’opinione pubblica […].
Il Card. Koenig, arcivescovo di Vienna, ha fatto una sintesi
dei lavori compiuti, intitolata “Il Concilio e l’opinione
pubblica”: “L’opinione pubblica – ha detto – ha influenzato
il Concilio. Al posto dei re e dei principi di un tempo, oggi
c’è l’opinione pubblica. Il ruolo dei rappresentanti ufficiali e
degli ambasciatori è oggi esercitato dai giornalisti.
L’informazione che, in pochi istanti, vola da un punto
all’altro del mondo, ha rimpiazzato i messaggi segreti di un
tempo […]. Quando un giornalista cattolico ha qualcosa da
dire, non deve attendere sempre il permesso del vescovo o
una informazione da Roma. Egli deve mettere in guardia chi
crede, deve spronare chi crede. Deve informare il mondo
sulla Chiesa e la Chiesa sul mondo. Può e deve aprire la
bocca e le orecchie della Chiesa. Non deve lasciarsi chiudere
né la bocca né le orecchie» (Cronaca dell’8 novembre 1965)
F. Koenig e J. Ratzinger
I “tre concili”
Raniero La Valle
(1931-)
Nasce a Roma. Dopo la laurea in
giurisprudenza si dedica al giornalismo.
Dapprima lavora al quotidiano DC “Il
Popolo”; per un breve periodo, all’inizio del
1961, è responsabile del quotidiano durante
la direzione di Aldo Moro.
Subito dopo viene chiamato a dirigere
“L’Avvenire d’Italia”. Negli anni del
Vaticano II il quotidiano cattolico bolognese
è tra gli organi d’informazione che coprono
più capillarmente l’evento.
Nel 1967 si dimette dalla direzione del
giornale. Continua l’attività giornalistica
producendo per la RAI documentari e
inchieste sui più scottanti temi dell’attualità,
con un occhio sempre rivolto ai temi della
pace e della giustizia internazionale: guerra
in Vietnam, Cambogia, Pallestina; dittature
in America Latina. Dal 1969 al 1971 tiene
una seguitissima rubrica, dal titolo “Uomini
e Religioni”, sul quotidiano torinese “La
Stampa”.
«Tutti hanno in genere insistito sull’idea che l’apostolato non è un privilegio, ma un
diritto del laico; che esso deriva da una precisa chiamata di Cristo e non dal fatto che i
preti sono pochi; che l’apostolato dei laici non consiste nel surrogare i sacerdoti là
dove essi non arrivano ma che ha un suo compito specifico e proprio; che questo
compito è soprattutto la redenzione delle realtà terrene; che ai laici non si deve
chiedere solo obbedienza, ma devono essere trattati da adulti; e del resto l’obbedienza
non è solo dovere dei laici, ma di tutti, anche dei vescovi che devono obbedire alla
volontà di Dio e alla Scrittura. Ma l’aspetti più interessante della discussione odierna
è stato la contestazione, fatta da numerosi vescovi, della definizione che del “laico” si
dà nello schema, come del battezzato che svolge la sua parte nella missione di tutto il
popolo cristiano, anche mediante un’azione religiosa, ma non appartiene né all’ordine
gerarchico né a uno stato religioso sancito dalla Chiesa. È stata soprattutto la
contrapposizione tra “laico” e “religioso” che è stata contestata […]. I laici possono
benissimo essere dei “religiosi”; infatti, la vita religiosa di per sé non è né clericale né
laica: è una chiamata di Dio che può essere raccolta in diverse condizioni di vita […].
Insomma, la preoccupazione emersa da tutti questi interventi è che una
classificazione troppo rigida degli appartenenti all’unico popolo di Dio, possa
supporre l’esistenza di caselle in cui raggruppare gli uni e gli altri, caselle che non
esistono o sono in stretta interdipendenza e comunicazione tra loro» (Il Coraggio del
Concilio, 18 ottobre 1963)
Sui laici
«L’ultima nota della giornata è che questa
mattina anche i giornalisti sono stati
ammessi al Concilio, e hanno potuto fare la
Comunione insieme agli osservatori laici,
con un po’ di soggezione, sotto gli occhi dei
cardinali da un lato e dei sei patriarchi
orientali che da ieri siedono proprio sotto la
statua di san Pietro, in omaggio alla loro
lungamente rivendicata dignità. Si celebrava
oggi la Messa in rito mozarabico, che è un
rito latino sorto in Spagna nell’VIII secolo
durante la dominazione araba, e presenta
quindi influssi cartaginesi e bizantini. I
giornalisti sono rimasti in San Pietro finché
mons. Felici, dopo l’intronizzazione del
Vangelo, ha tuonato l’exeant omnes, che è un
modo elegante per dire agli ospiti non più
desiderati di andarsene, e di andarsene
contenti perché se lo sono sentito dire in
latino e non in “lingua volgare”»
(Il coraggio del Concilio, 15 ottobre 1963)
Testi di riferimento
R. La Valle, Coraggio del Concilio, Morcelliana, Brescia 1964.
Guadet Mater Ecclesia. Diario di don Andrea Spada al Concilio
Vaticano II, a cura di R. Belotti, Centro Studi Valle Imagna 2012.
G. Sale, Giovanni XXIII e la preparazione del Concilio Vaticano II
nei diari inediti del direttore della “Civiltà Cattolica” padre Roberto
Tucci, Jaca Book, Milano 2012.
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