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LEADERSHIP
� L’esercizio efficace della leadership consiste nel contenere e
gestire le ansie e la paure dei membri del gruppo durante i
momenti di crisi e cambiamento.
� ORIENTAMENTO AL COMPITO.
� ORIENTAMENTO ALLE RELAZIONI.
� Utilizzo dell’intelligenza sociale nella gestione delle relazioni.
� Partendo dalle scoperte più recenti delle neuroscienze (neuroni
specchio, cellule a fuso, oscillatori), gli autori sostengono che
l'intelligenza sociale sia un insieme complesso (e non facilmente
assimilabile) di competenze relazionali e interpersonali costruite
all'interno di specifici circuiti neurali.
� Questo sottolinea l'importanza dell'intelligenza sociale per lo
sviluppo di un esercizio efficace della leadership.
L'intelligenza sociale ha solide basi biologiche e comportamentali, il
mostrare empatia o il mettersi in sintonia con gli altri influenzano la
chimica cerebrale sia del leader che del followers.
Competenze
� Analitica: riconoscere e formulare i problemi.
� Interpersonale: costruire e mantenere diversi tipi di relazioni e
gruppi.
� Emotiva: gestire le esigenze emotive del ruolo manageriale
stesso.
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� Gestire il sè (i propri stati interni)
Essere correlati e coerenti nel sistema dato dalla visione (dove) e
l'azione (Che cosa).
Essere congruenti con il proprio messaggio. Comunicazione
verbale e non verbale.
Acquisire consapevolezza delle proprie mappe mentali e dei propri
assunti.
Competenze
� Padroneggiare la comunicazione
Sviluppare abilità di comunicazione verbale e non verbale.
Utilizzare in maniera consapevole i canali rappresentazionali.
Interpretare e gestire i metamessaggi.
� Padroneggiare le relazioni
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Essere in grado di assumere prospettive multiple
Comprendere i diversi stili di pensiero
Riconoscere le intenzioni positive
� Padroneggiare lo spazio problema (il sistema)
Effettuare un'analisi complessiva del sistema
Individuare gli elementi e le tematiche rilevanti
Spezzettare gli obiettivi (chunking).
� Empatia
Saper capire che cosa motiva gli altri, anche coloro che
provengono da ambienti ed esperienze diversi, sviluppare
sensibilità ai loro bisogni
� Sintonizzazione
Ascoltare con attenzione, pensare a come si sentono gli altri,
sintonizzarsi sui loro umori
� Consapevolezza organizzativa
La capacità di apprezzare la cultura dell'organizzazione e di
comprenderne reti sociali e regole esplicite e implicite.
� Influenza
La capacità di persuadere e di raccogliere il sostegno delle persone
chiave.
� Crescita degli altri
Competenze e Abilità relative al coaching, al mentoring, al fornire
feedback utili ed efficaci
� Ispirare gli altri
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Elaborazione di una visione convincente, costruzione di un tono
emotivo positivo, capacità di infondere orgoglio e trarre il meglio
dalle persone
� Lavoro di gruppo
Incoraggiamento alla partecipazione ed alla collaborazione da
parte di tutti i membri del team.
IL GRUPPO
Definizioni: GRUPPO
INSIEME DI 2-(3) PERSONE INTERAGENTI FACCIA A FACCIA, CHE
PERCEPISCONO SE’ STESSI COME FACENTI PARTE DI UNA UNITA’
DUREVOLE NELLO SPAZIO E NEL TEMPO CHE CONDIVIDONO ALMENO
UNA FINALITA’(SCOPO) IN COMUNE.
� Il gruppo è qualcosa di più della somma dei suoi membri.
� Ha fini peculiari (generali o specifici).
� Ha relazioni particolari al suo interno (INTRAGRUPPO) e vs altri
gruppi (INTERGRUPPO).
� Il gruppo tende al autoregolazione costante attraverso i vari
momenti di conflitto/confronto nei quali si confrontano i
BISOGNI individuali e i bisogni del gruppo.
� ESPRIME: Varietà di modi di stare insieme e di interventi
integrati con coinvolgimento personale di tutti i soggetti
implicati nella cura e nelle attività, attraverso la condivisione
di dati, informazioni, emozioni, sentimenti, visioni.
� I risultati vanno sempre confrontati, per giungere a
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Conclusioni sia pur diverse, ma comuni a tutti i partecipanti.
� il lavoro di gruppo
persegue obiettivi comuni, sia di contenuto che di relazione.
FUNZIONE DI MANTENIMENTO DELLE “buone relazioni”:
� Armonizzazione
� Compromesso
� Sostegno
� Incoraggiamento
� Diagnosi
� Fissazioni criteri di giudizio
� Controllo dei criteri di giudizio
Possibili sintomi del pensiero di gruppo-ECCESSI:
� Illusione di invulnerabilità
� Illusione di moralità
� Stereotipi negativi condivisi
� Razionalizzazioni collettive
� Autocensura
� Illusione di unanimità
� Pressione a conformarsi
� “Guardiani del Pensiero”
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La struttura del compito che si evolve in un gruppo è
composta da comportamenti regolari, tesi in maniera
specifica ad assicurare la sopravvivenza del gruppo
nell’ambiente esterno.
LIVELLI LOGICI
Territorio del fare, territorio dell’essere e Dinamiche di relazione.
LE TRE POSIZIONI PSICOLOGICHE
Sicuramente molti di voi possono comprendere il significato di
CIRCOLARITA' NEL PROCESSO COMUNICATIVO.
La comunicazione non è lineare, a senso unico o alternato, ma,
poiché ogni messaggio verbale e non verbale determina comunque
una reazione nell'altro (la quale, a sua volta, influirà su di noi in un
processo continuo e circolare che implica una stretta reciprocità),
sarà bene porre molta attenzione alla retroazione o feedback, ossia
alla risposta dell'altro a noi, utilizzandola per correggere con minime
o grandi virate il nostro messaggio (verbale e/o non verbale).
Ciò implica la possibilità e la capacità di divenire "registi
transazionali", nel senso di imparare a cogliere la globalità delle
reazioni che avvengono nell' interazione fra noi e gli altri.
Per addentrarci di più in questo argomento, faccio riferimento alle
TRE POSIZIONI PSICOLOGICHE, da intendersi come allargamento
delle possibilità che ogni individuo ha di "muoversi" mentalmente
nell'ambíto di una relazione interpersonale, per meglio gestirla,
viverla, comprenderla e giudicarla nella sua complessità.
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1) La PRIMA POSIZIONE è quella che ci consente di rimanere
dentro di noi,
a contatto con i nostri valori, credenze, idee, come se
l'interlocutore venisse in un certo senso disattivato
dall'interazione: in realtà il vero processo comunicativo ha luogo
tra noi e noi stessi.
E’ la posizione psicologica che, se esasperata, dà vita ad un
personaggio che non si fa entrare il mondo dentro e che non
entra nel mondo, ma che lo giudica da dentro di sé, sempre
categoricamente rigido al limite della chiusura e della caparbietà.
Come se, potremmo interpretare, avesse troppa paura che l'altro
possa "mettere in crisi" la sua preconcetta ed ammuffita mappa
che tiene ben arrotolata dentro alle proprie tasche.
2) La SECONDA POSIZIONE ci consente di entrare nel mondo
dell'altro attraverso il suo comportamento, le sue reazioni, ci
pone nei suoi panni, ci permette di compredere quello che l'altro
ci mostra di sé.
Entriamo nel mondo e consentiamo al mondo di avvicinarsi a noi,
mantenendo possibilmente integra la nostra identità. Infatti,
l'esasperazione di tale posizione psicologica ci fa immaginare
qualcuno che rischia di perdere le coordinate di se stesso per
rendere vero e assoluto ciò che è esterno a sé, che diviene quasi
una sorta d'identità esterna tale da renderlo passivo e
dipendente. E' mia impressione che problemi psicologici, talora
assai gravi, che rischiano certi “imitatori” dipendano proprio da
quanto appena esposto.
Ad esempio, per la prima posizione. il "direttore-accusatore"
Gianni Agus e per la seconda il "dipendente-propiziatore"
Fantozzi.
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3) La TERZA POSIZIONE psicologica è quella che ci permette di
distanziarci
dalla relazione con l'altro per cogliere "dall'alto” il contesto nella
sua interezza, come se, per un momento, potessimo trasformare
una parte osservatrice-ascoltatrice di noi stessi in una
videocamera con la quale riprendere noi nell'interazione con
l'altro, al fine di apportare le necessarie correzioni migliorative.
Una sorta di posizione del genitore che aiuta a meglio percepire
se stessi nella relazione col mondo esterno.
Restare autonomamente ancorati a questa sola posizione
significherebbe isolarci dal mondo e dalle nostre emozioni, in una
sorta di "anestesia esistenziale" che impedisce di partecipare e
dare un senso alla vita, di cui si diverrebbe soltanto degli asettici
cronisti.
Ancora una volta affermo l'importanza dell'ELASTICITA' nel processo
d'interazione con altri esseri umani: la possibilità di avere coscienza
delle tre posizioni psicologiche allarga enormemente la nostra
capacità di comprensione e di relazione permettendoci spostamenti a
360 gradi nel contesto comunicativo, che diviene così più controllabile
e gestibile non essendo più connotato da incognite che ci
obbligherebbero a chiuderci in noi stessi o ad aprirci troppo o a
dissociarci dalla relazione divenendone soltanto severi, passivi o
sterili spettatori senza rendercene per nulla conto.
LE CATEGORIE DELLA SATIR 1.INDICATORIO: nel momento in cui adotta tale stile la persona è
molto attiva, tende ad imporsi, è focalizzata sull’io, decisa,
determinata, il movimento delle mani è a taglio o con il dito puntato.
Utilizza imperativi o generalizzazioni.
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VISIVO (V) sono riconoscibili per la postura diritta, per l’orientamento
degli occhi prevalentemente verso l’alto o frontale, per la respirazione
alta, voce acuta, frasi brevi e periodi meno letterari.; tenderà inoltre
a dare molta importanza all’aspetto estetico. Mentre parla utilizzerà:
vedo...mi è chiaro........bello ecc. ecc.
2.SUPERLOGICO: Il movimento delle mani è rotatorio e riflessivo.
Mentre parla utilizza le enumerazioni del tipo: "Dato
che"........"perché"..........Il suo ragionamento è logico, vuole
ottenere dimostrando. Si focalizza sull’argomento e vi è un’assenza
di "io" e "tu".
UDITIVO(A) durante una conversazione muove gli occhi lateralmente,
ha una respirazione più toracica, impara ascoltando e rispetto al
visivo ha maggiori capacità riflessive. La voce è melodica e racconta
più lungamente. Gli avverbi che utilizzerà sono: “ Mi suona bene”.
3.PROPIZIATORIO: nel momento in cui adotta tale stile la persona
cerca di rendersi simpatica, comunica emozionalmente, quindi il
ragionamento è emozionale. Vuole ottenere propiziando e rendendosi
accondiscendente. Questa tipologia di persona tende a focalizzarsi
sull’altro ed è più passivo che reattivo. Il movimento delle mani è
aperto o a triangolo verso l’alto.
CENESTESICO (k) ha una respirazione addominale, ama il contatto
fisico e tutto ciò che ha a che vedere con tatto gusto e olfatto; ha una
gestualità lenta, meno considerazione dell’aspetto esterno delle cose
rispetto ai contenuti; memorizza facendo pratica. La voce è profonda
e spesso parla poco. Si focalizza sull’altro!
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I LIVELLI RELAZIONALI
Le relazioni umane, al di là del contenuto verbale che di volta in
volta le caratterizza (natura e complessità degli argomenti), si
svolgono su un livello per lo più non verbalizzato che può avere
differenti inclinazioni e linee di forza.
Sostanzialmente possiamo immaginare tale livello come un piano, ai
cui estremi si trovano i due interlocutori e la cui relazione può essere
di due tipi:
1) SIMMETRICA
I due sono su un piano di parità, perfettamente orizzontale o
ritmicamente ed armoniosamente altalenante in funzione
dell'alternarsi della comunicazione.
Entrambi (e nessuno al tempo stesso) sono "padroni" della
relazione: i tempi, gli spazi, la scelta degli argomenti sono pressoché
liberi ed implicitamente condivisi.
E' ciò che avviene in talune coppie di coniugi, di soci, di amici ecc.
2) COMPLEMENTARE
Il piano e' inclinato, trovandosi uno dei due interlocutori in
POSIZIONE UP e l'altro in POSIZIONE DOWN.
Significa che (per contesto gerarchico, di professionalità, di ruolo, di
personalità, d'età o di luogo) uno dei due interlocutori definisce la
relazione e l'altro accetta nello stesso tempo che questa sia in tal
modo definita.
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L'immagine visiva che i due termini anglosassoni ci suggeriscono
immediatamente (up = su e down = giù) evoca probabilmente
concetti di valore (chi sta sopra e chi sta sotto, chi impone e chi
subisce, chi conta di più e chi meno ecc.) che talora innescano una
vera e propria lotta "psicologica" fra due individui per il dominio della
situazione relazionale, creando così forti oscillazioni del piano e
tremendi scossoni alle linee di forza, con il rischio di rottura della
relazione stessa.
Questo, soprattutto quando non preesiste un "codice gerarchico" che
implicitamente impone una chiara e precisa complementarità.
Nessuno di noi presumo (al di là del contenuto) ha dubbi sul livello di
relazione che automaticamente si instaura nel momento in cui il
Presidente dell'Azienda ci autorizza ad entrare nel suo ufficio!
Talora, tale implicita chiarezza di livello, può essere semplicemente
legata a contesti spazio-temporali: durante una seduta di consiglio
comunale, un assessore e' evidentemente in posizione UP nella
relazione col vigile urbano che lo saluta al suo ingresso e gli apre la
porta dell'automobile all'uscita.
La stessa automobile può essere il giorno dopo fermata per non aver
rispettato una regola di cui lo stesso vigile e' controllore autorizzato:
l'assessore e' in questo caso DOWN ed il piano risulta
necessariamente, invertito senza alcun problema.
Talora un "lei non sa chi sono io" può mutare inclinazione o scatenare
al contrario un marasma tra le linee di forza.....
Le dispute non verbalizzate sul piano della relazione che avvengono
quotidianamente nelle interazioni umane sono molto più frequenti di
quanto si possa immaginare: sono a mio avviso ancora più importanti
del contenuto oggetto della relazione stessa.
Spessissimo, il vero contenzioso non e' l'argomento, bensì la
definizione della complementarità.
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Lo ripeto, la posizione down non e' necessariamente sminuente o
sfavorevole: come ogni altro aspetto relazionale, va utilizzata in modo
efficace in base al contesto.
Il braccio di ferro sulla complementarità serve solo ad indebolire la
relazione stessa.
Non e' infrequente nei miei rapporti, professionali e non, che sia
proprio io a chiedere implicitamente all'altro di definire la relazione;
questo mi consente alcuni vantaggi, quali il conoscere il territorio
relazionale dell'altro, la sua disponibilità temporale, la sua necessità
di controllo della complementarità e la sua flessibilità nello scambio
delle posizioni up-down.
Non solo ma, come avrete certamente intuito, nel momento in cui
"chiedo" all'altro di definire la relazione (di mettersi in up time), in
realtà sono io a definirla e, se l'altro accetta, significa che la
complementarità e' implicitamente concordata..... ed il contenuto fila.
Questa sorta di "trucco", ben noto a moltissime mogli, consente di
"guidare dal basso" la relazione, invertendo quindi le linee di forza dal
down time verso l'up time.
Nelle relazioni, questo processo e' segno di grande abilità e flessibilità
e viene solitamente definito RELAZIONE METACOMPLEMENTARE.
Quanti di voi hanno già fatto un tragitto in vespa seduti dietro al
pilota? Come vi comportavate? Vi e' mai capitato di aiutarlo in
qualche occasione inclinandovi insieme con lui per affrontare meglio
una curva un po' brutta?
Avete conosciuto qualche coppia automobilistica in cui pilota e
navigatore alternavano in modo armonico la complementarità
relazionale al punto di renderla perfettamente sinergetica?
"Quella è una relazione simmetrica!" potrebbe affermare qualcuno.
Tu che cosa ne pensi? “ ribatterei io sentendo quel ma”.
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IL TERRITORIO DELL'ESSERE
a) L'IDENTITA’
Più volte, negli ultimi paragrafi, è ricorso il termine IDENTITA'.
Vorrei evitare ogni definizione letteraria poiché ne esistono diverse ed
ognuno di voi potrà liberamente scegliere quella che gli si confà di più
nel preciso momento della sua esistenza in cui la leggerà su qualche
manuale di psicologia, purché sia poi pronto a sceglierne una più
adatta alla sua esistenza successivamente.
L'identità ha comunque a che fare con la nostra essenza, con la parte
più intima e privata del nostro essere: io la immagino come una
pietra preziosa, del colore che preferisco e dotata di una consistenza
tale da reggere a qualunque evento ed a qualsiasi cambiamento, da
cui può soltanto essere smossa ed arricchita.
Credo che l'identità di ognuno di noi sia ben in grado di sentire ciò
che la può arricchire, così come sono sicuro che sappia non badare a
ciò che non ci è utile e diventare ancora più forte per combattere ciò
che ci sarebbe dannoso...
L'Identità rappresenta il CHI E' più profondo dell'individuo. il nucleo
dell'ESSERE, da cui prende vita il territorio più vasto e via via più
"periferico" dell'Essere, costituito dal mondo dei Valori e da quello
delle Credenze.
b) I VALORI
I VALORI rappresentano il contenuto dello scrigno, più o meno ricco,
da cui deriva il nostro destino, inteso nel senso della Missione, della
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Spinta che orienterà le nostre scelte e la direzione della nostra vita. I
valori di ogni individuo possono essere rappresentati in una scala o
una graduatoria di importanza.
Il mio Maestro mi consigliava di individuarne, all'interno del mio
interlocutore almeno sette, di cui stabilire l'esatta gerarchia in quel
momento della sua esistenza e in quel preciso spazio o compito.
Intendo dire che, stabilito il contesto in cui il soggetto si trova (ad
esempio il lavoro), sarebbe molto importante poter comprendere la
sua gerarchia di Valori è più importante l'integrità oppure la riuscita,
o è il denaro il valore che occupa il primo posto in classifica? L'onestà
esiste fra i suoi valori nel contesto lavoro? Se si, viene prima o dopo
la salute fisica e questa in che rapporto gerarchico è con i rapporti
umani?
Potete immaginare come talora possano esistere in un individuo dei
conflitti di scelta anche nell'ambito del lavoro; ebbene, spesso ciò
deriva da un conflitto di valori.
Pensate per esempio ad una persona che deve gestirsi un conflitto fra
due valori, magari entrambi ai primi posti d'importanza nella sua
scala: l'affermazione personale e la famiglia... Chissà a quanti di noi è
capitato trovarsi a lavorare per la propria affermazione e provare un
sentimento di colpa per aver magari trascurato i familiari; spesso ci si
cava dal dubbio col solito salvagente "ma alla fin fine lo faccio per
loro...
Altre volte può nascere un conflitto fra il valore benessere economico
ed onestà, altre ancora, magari, fra salute ed amicizia...
Avrete ben inteso come il mondo dei Valori sia vario e come
all'interno della scala gerarchica possano verificarsi cambiamenti,
anche nei diversi periodi della vita (quando vi siete innamorati
davvero, é cambiato qualcosa nella vostra scala dei Valori? I vostri
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Valori, oggi, sono esattamente gli stessi di 15 anni fa?) e nei diversi
contesti (la gerarchia di Valori che ci spinge nel nostro lavoro è
probabilmente differente da quella che automaticamente inseriamo
quando siamo in famiglia o in un altro contesto).
Vale comunque la pena di sottolineare che, malgrado la variabilità in
base a differenti situazioni, alcuni Valori di Base sono in noi
decisamente stabili in quanto precocemente e solidamente definiti.
La variabilità di questi nei diversi individui (in base all'educazione, alla
cultura, al livello sociale di appartenenza) è talora notevole.
Riuscire a cogliere i principali Valori di un individuo può avere un gran
peso nel rapporto con lui.
I Valori (la gerarchia dei nostri Valori) sono spesso (purtroppo!) il
parametro attraverso il quale giudichiamo gli altri, il loro
comportamento. la loro visione del mondo e la loro missione nella
vita.
L'accordo o il disaccordo profondo, di contenuto, fra persone ha molto
spesso questa matrice.
c) LE CREDENZE
Le CREDENZE formano la zone più periferica del Territorio
dell'ESSERE e derivano per lo più dai Valori, di cui sono spesso
emanazioni.
Definiscono i PERMESSI ed i DIVIETI rispetto a comportamenti ed
azioni, come una sorta di codice interno che ci consente o ci
impedisce di muoverci nel mondo in un modo o in un altro.
Esistono codici più o meno rigidi, altri dogmatici, altri ancora molto
elastici, talvolta al limite del vivere sociale, inteso come LIBERTA' DI
SCELTA NEL RISPETTO DELL'ALTRUI LIBERTA' DI SCELTA.
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Spesso più Credenze formano un Valore; talora alcune, magari
imposte dall'ambiente e "non sentite" dall'individuo, non hanno
rapporto col mondo dei Valori.
E' quasi sempre vero, comunque, che il cambiamento di un Valore
implica il cambiamento di più Credenze.
Mentre i Valori si traducono nel linguaggio verbale con locuzioni del
tipo "per me è importante che..." o "lo faccio per ... (onestà, amicizia,
autoaffermazione, successo, salute ecc.)", le Credenze ci fanno usare
frasi del tipo "si deve, è necessario, bisogna, posso (o non posso, non
si deve, non bisogna)" ecc.
Ribadisco quindi che, mentre i Valori determinano, in base alla scala
gerarchica secondo la quale sono presenti in ognuno di noi, LA
NOSTRA MISSIONE o nella vita o in quello specifico contesto della
nostra esistenza, le Credenze costituiscono IL CODICE DI PERMESSI
E IMPEDIMENTI che condiziona il nostro ESSERE NEL MONDO.
Possiamo ímmaginare, per quanto riguarda la disposizione topografica
delle Credenze, dei Valori e dell'Identità una sorta di piramide
capovolta, la cui base è costituita dall'insieme delle Credenze, che si
sviluppa, restringendosi verso il basso, nel territorio dei Valori fino
all'apice prezioso dell'Identità.
Quello appena descritto è il mondo dell'ESSERE dell'individuo, il suo
codice etico, il luogo dei suoi ideali, delle sue ragioni di vita, dei suoi
pudori.
Ogni giudizio che noi esprimiamo su un essere umano può riferirsi a
ciò che quell'individuo è, o a ciò che fa o al modo in cui lo fa.
Nella nostra cultura i giudizi sull'Essere sono molto frequenti. Non
credo che sia azzardato paragonare i giudizi sull'Essere alla violazione
della zona intima di un individuo, dato che tali giudizi riguardano,
magari sul filo dei Valori e/o delle Credenze, la sua Identità.
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"Sei buono, sei cattivo, sei intelligente, sei coraggioso, sei un
incapace ecc. suonano come pareri che hanno la drammatica
caratteristica, positivi o negativi che siano, di staticità, riferendosi non
a ciò che un individuo FA' ma a ciò che un individuo E', spogliandolo
della possibilità di cambiare, di fruire di quella meravigliosa dinamica
che caratterizza l'essere umano.
Il giudizio sull'Essere stigmatizza, congela l'individuo come la
fotografia di un bozzolo ferma, in chi non è a conoscenza dei processi
trasformativi, il meraviglioso filmato del ciclo vitale della farfalla.
Pensate come tutto questo assume toni tanto più drammatici quanto
più giovane e non ancora formato nella propria identità è un essere
umano.
Pensiamo quanto un giudizio statico sull'essere può bloccare
l'evoluzione di un bambino che, non sapendo ancora "chi è", si sente
quello che gli altri di lui percepiscono e a questo tende ad uniformare
il proprio comportamento, esasperando così talora in modo disastroso
per la sua esistenza, quello che all'inizio di questo scritto abbiamo
definito "effetto Pigmalione".
Diverso è dire ad un bambino "sei un disordinato" da "stamattina non
hai messo in ordine i tuoi libri".
Sarà diversamente percepito da un dipendente un capo che gli dice
"sei un introverso" da un altro che magari commenta "con quella/e
persona/e ad un certo punto del colloquio ti sei come bloccato, hai
perso la tua capacità di mantenere rapporto. Come mai?"
E' ben diverso, vero?
Con questo desidero anticipare la grande differenza che esiste fra il
mondo dell'ESSERE ed il mondo del FARE, così come fra le varie
"Zone" già descritte in questo lavoro.
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Occorre porre attenzione fra ciò che pensiamo SIA quell'individuo
(ricordate Mappa e Territorio?) e ciò che CON CERTEZZA POSSIAMO
VALUTARE del suo comportamento, in un preciso momento e in un
preciso luogo.
Intendo quindi entrare nel territorio del FARE.
IL TERRITORIO DEL FARE
L'individuo vive in un ambiente costituito da TEMPO e SPAZIO, che
rappresenta il QUANDO e il DOVE l'essere umano FA' qualcosa.
Le singole azioni che l'individuo compie rappresentano il CHE COSA
nel territorio del Fare.
Questo Che Cosa può essere osservato e registrato dalla nostra
mente con estrema precisione.
Le singole azioni seguono per lo più uno schema finalizzato a qualche
scopo, si svolgono in successione secondo individui e contesti, in
modo osservabile e obiettívo.
Questo modo rappresenta il COME nel territorio del Fare, insomma i
COMPORTAMENTI di ogni singolo essere umano. Il Come ha per lo più
schemi d'azione abbastanza caratteristici e ripetitivi, che divengono
spesso tipici di quell'individuo in determinati contesti spazio
temporali.
Ciò che rende ripetitivi e tipici gli schemi di comportamento è il
carattere, che, sempre al di là di ogni più precisa definizione, ha la
funzione di far riconoscere ogni individuo in base a particolari
sfumature comportamentali che lo rendono unico.
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Tra poco cercheremo di comprendere almeno alcuni schemi
comportamentali tipici degli individui, tali da consentirci di conoscerne
più in fretta il carattere dei nostri interlocutori e di poterlo così
prevedere, fornendoci soprattutto il mezzo per poterci mettere in
rapporto con loro attraverso un'attenzione mirata al "passo" ed un
buon orecchio per la "musica", tali da evitarci di affermare (o di
pestare i piedi a chi balla il tango mentre noi ci avviciniamo a passo di
valzer) che quello “E’” un individuo aggressivo o scostante o
imprevedibile.
Per la Comunicazione, che costituisce l'oggetto del nostro discorso, il
MONDO DEL FARE E' PIU' CHE SUFFICIENTE per stabilire una buona
relazione con l'altro, almeno nell'ambito di rapporti professionali o
non intimi.
L'intimità permette qualunque sconfinamento nel Territorio
dell'Essere, anzi lo impone.
Pertanto, limitare la nostra attenzione ai comportamenti (CHE COSA e
COME qualcuno FA' qualcosa) e all'ambiente (DOVE e QUANDO
qualcuno FA' qualcosa in quel modo) ed imparare a leggere bene
questi due livelli dell'esistenza, non solo ci permetterà di esprimere
giudizi più precisi sugli altri, ma ci abituerà a diventare più elastici nei
"nostri" comportamenti, evitando per quanto possibile quei giudizi
sull'Essere che, se da un lato definiscono il TUTTO di un essere
umano (permettendoci magari di rassicurarci congelandolo in una o
due parole "cella"), dall'altro ci fanno perdere l'unica cosa davvero
controllabile attraverso i nostri sensi che sono l'esperienza del
comportamento di QUELL'essere umano, su cui possiamo sintonizzarci
per creare un rapporto e finalizzarlo.
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Ricordiamo anche che il giudizio sull'Essere, oltreché fuorviante, può
anche risultare sgradevole per l'individuo, che magari non vi si
riconosce o sì sente "toccato" nel suo territorio privato.
Occorre a questo punto completare la piramide già abbozzata,
allargandone la base con l'aggiunta, sopra alle Credenze, dei
Comportamenti (il come), seguito dalle Azioni (il cosa), posizionate
sotto una nuova grande base costituita dall'Ambiente, definito come
Spazio e Tempo (il dove e il quando).
Se l'ambiente rappresenta il dove e il quando, le Azioni il cosa ed i
Comportamenti il come, il resto della piramide (Credenze e Valori fino
al loro apice rappresentato dall'Identità) è contrassegnato dai
PERCHE'.
Se noi osservassimo un individuo che ogni volta che si sente guardato
(o interrogato) da altri all'interno di un gruppo si aggiusta il nodo
della cravatta (forse un gesto inconscio di sicurezza) e gli
chiedessimo "perchè?", potrebbe magari risponderci che ha bisogno
di sentirsi in ordine. Se a questo incalzassimo con altri perché, forse
ci risponderebbe "è necessario essere composti" (ricordate? Risposte
come "devo", "è necessario" ecc. appartengono al mondo delle
Credenze). Un altro perché, sempre che quel tipo sia così paziente
(chi legge magari incomincia ad irritarsi un po', vero?) potrebbe
strappargli un "per me è importante il rispetto degli altri" (mondo dei
Valori, e forse questo è uno dei suoi valori) e poi, dopo l'ennesimo
perché, probabilmente ascolteremmo un "mi dà sicurezza" (potrebbe
essere un valore ai primi posti).
Oppure quello stesso individuo potrebbe, al primo perché, risponderci
che ha caldo (fuga nell'Ambiente) ed ogni altro perché troverebbe
spiegazioni sempre più esterne (difensive), magari fino alle
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bombolette spray e all'effetto serra, portandoci fuori dalla nostra
ricerca troppo intrusiva con un nemico sicuro in più.
E' implicito che la risposta (rara per un individuo che ha quel
comportamento in quel contesto) potrebbe anche essere "ma che te
ne frega?”! Quanti di voi l'hanno già data?
Certo, se quello fosse il mio più caro amico gli chiederei questi
perché, anche per aiutarlo.... dipende solo dal rapporto di maggiore o
minore intimità che esiste fra due individui.
I "perché" sono comunque strumenti acuminati, intrusivi.
L'attenzione al cosa e al come ci dà un grande e prezioso strumento
che possiamo utilizzare ogni volta come un solido e delicato filo per
metterci in rapporto con l'altro.
A questo proposito infatti, chi di voi ha maggiore familiarità con la
rappresentazione visiva può cercare di immaginare un ideale
interlocutore semaforo, con accesi il verde (indicatore di via libera)
per quanto riguarda Ambiente, Azioni e Comportamenti, con il giallo
(segnalatore di prudenza) per le Credenze e con il rosso (obbligo di
arresto) per ciò che riguarda Valori ed identità.
Poiché ciò che avviene dentro di noi ha sempre una conseguenza in
ciò che appare fuori, voglio ricordare che ogni strato della piramide
descritta dalla base superiore all'apice inferiore, comporta dei
movimenti delle nostre mani dall'esterno all'interno, man mano che si
scende in senso centripeto.
Le mani sono, come in parte abbiamo già avuto modo di vedere,
buoni "insegnanti", nel senso che segnalano ed indicano la parte di
noi coinvolta in quel processo mentale.
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Corpo e mente, è forse superfluo ricordarlo, sono entità inscindibili, in
continua interdipendenza (salvo, come sempre, le eccezioni che in
questo caso possiamo definire, con molte probabilità e in senso lato,
patologiche).
Vale anche la regola contraria e cioè che ad ogni cambiamento della
nostra fisiologia (postura, respirazione, colorito della pelle ecc.)
corrisponde sempre un cambiamento interno.
Per specificare meglio, quando noi ci riferiamo all'ambiente, le nostre
mani e le nostre dita si rivolgono in modo evidente all'esterno.
Se descriviamo il nostro comportamento nei confronti di qualcuno
sono coinvolte insieme alle mani, più che le dita, le braccia (e spesso
anche le gambe), ancora orientate all'esterno, senza necessariamente
indicare come nel primo caso.
Quando parliamo di ciò in cui crediamo, di ciò che è necessario, o
ingiusto, o impossibile (mondo delle Credenze, inizio "zona perché")
le nostre mani tendono più verso di noi e più precisamente verso
quella zona di noi deputata alla critica, ai "criteri": la nostra corteccia
cerebrale. Infatti, le mani si avvicinano per lo più alla testa, alla
regione temporale o temporo-parietale.
In caso di dubbio (conflitto fra credenze?) ci si gratta spesso la stessa
zona, forse con la speranza di rimettere ordine "dentro".
Nel caso in cui, magari in situazioni più intime, si entri in contatto col
mondo dei nostri Valori o della nostra Identità (non a caso mi è
"scappata" la parola “entrare”), il movimento delle mani sarà
fortemente centripeto, per lo più verso il petto (assonanza non
casuale), zona che nella nostra cultura rappresenta la vita, il calore,
l'interiorità, il nutrimento.
Dall'esterno all'interno dunque dall'ambiente all'identità, dal fare
all'essere. dal movimento al sentimento, dalla periferia al centro.
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Aggiungo, a titolo di curiosità, che il "centro" nel mondo occidentale si
sta spostando sempre più in alto nel nostro corpo.
Gli americani (lo dico per battuta) rischiano di ritrovarselo nei capelli
fra qualche decennio. Anche se voi ed io siamo sicuri che forse
cambierà... Gli orientali lo individuano invece piuttosto in basso
rispetto a noi. Infatti alcuni sociologi sostengono che, proprio per
questo motivo, gli orientali sono più solidi sulle gambe, hanno i piedi
più saldi al terreno ed un maggior equilibrio posturale.
L'uomo occidentale - dicono - ha un minor equilibrio, avendo
individuato culturalmente il centro del proprio essere piuttosto in alto.
Credo che sotto sotto ci sia del vero...
Si può tradurre tutto ciò in termini psicobiologici?
Forse appare ancora azzardato, ma alcuni studiosi di Comunicazione
direbbero: "dal Sistema Nervoso Periferico alla
PsicoNeuroImmunologia".
Mai come oggi la ricerca in tale direzione pare tesa ad individuare i
legami esistenti fra la psiche ed il sistema nervoso (visto che non
esiste cervello senza pensiero e pensiero senza cervello) con la
speranza, condivisa dalla maggior parte di noi, di mettere fine
all'annoso problema del "tutto psichismo" o "tutto organicismo" che ci
ha davvero rotto le tasche!
A questo proposito è interessante la connessione che pare esistere fra
il "mondo del fare", inteso come Azioni - Comportamenti (Sistema
Nervoso Periferico) e il "mondo dell'essere", inteso come Valori -
Identità (Sistema Immunitario).
Fra i due, il territorio delle Credenze, a me tanto care e invise al
tempo stesso, che pare in stretta relazione col sistema nervoso
centrale.
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Si tratta di definizioni assai sommarie e oltremodo generiche, che
richiederebbero specificazioni e precisazioni sia anatomotopografiche
sia funzionali che non mi pare comunque necessario affrontare in
questa sede (a Proposito, "non mi pare necessario" è una credenza?).
FARE
ESSERE
AMBIENTE
COMPORTAMENTI
CAPACITA’
VALORI, CREDENZE
IDENTITA’
DOVE - QUANDO
COSA
COME
PERCHE'
CHI
IL CERCHIO DELL’ECCELLENZA
1. Scegli uno stato-risorsa in cui vorresti trovarti più spesso.
2. Identifica un’occasione in cui ti sei trovato pienamente in quello
stato.
3. Immagina che per terra, di fronte a te, ci sia un cerchio, oppure
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seleziona un colore, un simbolo un segnale visivo e/o sonoro che
assoceresti a quello stato.
4. Quando ti senti pronto, fai un passo in avanti nel cerchio. Rivivi
quell’esperienza risorsa, associandoti pienamente allo stato. Vedi
attraverso gli occhi, senti attraverso le orecchie e percepisci tutte le
sensazioni in prima persona, nota il ritmo del tuo respiro.
5. Fai una breve lista degli schemi cognitivi e comportamentali
associati allo stato.
Focalizza internamente l’attenzione e rileva tutte le rappresentazioni
interiori, le caratteristiche sensoriali, il ritmo della respirazione, la
tensione muscolare ecc.
6. Aumenta l’esperienza che hai dello stato amplificando le
sottomodalità dello stato risorsa individuato.
7. Fai un passo indietro (uscendo dal cerchio*) e distogliti dallo stato.
8. Adesso fai nuovamente un passo dentro il tuo cerchio
dell’eccellenza, verificandone così il funzionamento. Fai attenzione a
quanto è rapido l’effetto su di te.
9. Ripeti i passaggi dall’1 al 7, per avere un velocissimo e semplice ri-
accesso al tuo stato risorsa.
10. Identifica alcune situazioni in cui vorresti essere in questo stato.
Immagina di poter portare con te il cerchio in qualunque luogo.
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