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La crisi alimentare del 2007-2008
“Prima viene lo stomaco pieno e poi la morale”,
Brecht – L’opera da tre soldi
Dalla fine del 2007 all’inizio del 2008 (si veda figura 7), i prezzi alimentari sono saliti al livello più alto dal
1984. Dopo una flessione nel 2009 e 2010 in cui comunque i valori dell’indice si sono mantenuti a livelli
superiori alla medie degli anni precedenti, il global food price index è tornato a livelli elevati, registrando il
secondo picco in meno di quattro anni. Quali sono le cause di questi aumenti? E quali le conseguenze? Gli
economisti1 identificano le seguenti cause: la siccità in Russia ed in Argentina, le alluvioni in Canada ed in
Pakistan, il blocco delle esportazioni imposto da paesi che cercano di preservare le loro scorte alimentari, la
corsa all’acquisto da parte di importatori che, nel timore di carenze o rincari futuri, cercano di ricostituire le
riserve di cereali, la riduzione della superficie coltivata negli Stati Uniti per produrre biocarburanti e la
riduzione delle coltivazioni in Cina a causa di una modificazione dell’alimentazione della popolazione che è
passata dalla dieta vegetariana alla carne.
Un ruolo particolare è attribuito al prezzo del petrolio in quanto le sue variazioni influiscono fortemente
sulle variazioni dei prezzi alimentari (figura 8). E’ infatti stato stimato che un aumento del 10% del prezzo
del petrolio implica un incremento del 2,7% del World Bank Food Price Index, attraverso differenti canali (si
veda l’andamento dei prezzi in figura 8). Inoltre la banca Mondiale ha calcolato che ogni volta che il petrolio
supera i 50 dollari al barile, “un aumento dell’1% si traduce in un rincaro dello 0,9 per cento del prezzo del
mais perché ogni aumento di un dollaro del prezzo del petrolio aumenta il margine di profitto dell’etanolo
e, di conseguenza la richiesta di mais per la produzione di biocarburante. Non bisogna stupirsi, quindi, che
negli ultimi sei anni l’aumento della produzione mondiale di mais sia stato assorbito per due terzi dalla
crescente richiesta di biocarburante negli Stati Uniti, lasciando poco spazio per soddisfare la domanda
mondiale di cibo e mangime”2. Aumenti del prezzo del petrolio incrementano inoltre i costi di produzione e
di trasporto dei generi alimentali, andando in questo modo ad incidere in maniera indiretta sul prezzo
finale del bene. Quali sono gli effetti di un incremento dei prezzi dei beni alimentari? Un aumento dei prezzi
alimentari non accompagnato da pari aumenti di reddito, incrementa la percentuale del budget familiare
impiegata per alimentarsi oppure riduce la quantità consumata, ceteris paribus. Per alcuni Paesi e gruppi di
persone, la percentuale di spesa in cibo è così elevata che anche piccole variazioni dei prezzi possono
modificare fortemente il consumo alimentare, portandolo al di sotto della soglia di povertà3. Inoltre i Paesi
1 The World Bank, Food Price Watch, Aprile 2011; Headey, D., and S. Fan, (2008), “Anatomy of a crisis: the causes and
consequences of surging food prices”, Agricultural Economics, Volume 39, Issue Supplement s1, pages 375–391 (link:
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1574-0862.2008.00345.x/full)
2 Klare, M., T., “The Oil-Food Price Shock”, The Nation, 10 marzo 2011: http://www.thenation.com/article/159165/oil-food-price-
shock
3 Ivanic, M. and W. Martin, (2008), “Implications of higher global food prices for poverty in low-income countries”,
Agricultural Economic and World Bank, Volume 39, Issue Supplement s1, pages 405–416, November 2008;
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1574-0862.2008.00347.x/full
più poveri risultano maggiormente vulnerabili a fluttuazioni dei prezzi degli alimentari per una serie di
motivi: a) poiché in genere l’inflazione derivante da prezzi del cibo è maggiore nei paesi caratterizzati da
redditi bassi o medio bassi; (figura 9) b) poiché anche la volatilità dei prezzi risulta maggiore nei Paesi in via
di sviluppo4. Ciò aumenta la vulnerabilità del Paese.
L’impatto di elevati prezzi dei generi alimentari ha avuto differenti effetti sul livello di povertà. Per prima
cosa, l’aumento dei prezzi ha inasprito il livello di povertà per molti di coloro che già si trovavano al di sotto
della linea di povertà di 1,25 dollari al giorno e che spendevano un’alta percentuale del proprio reddito in
cibo (figura 10). Inoltre, secondo i dati presentati dal presedinte della Banca mondiale Robert Zoellick,,
l’aumento dei prezzi dal giugno 2010 ha portato sotto la soglia di povertà un numero stimato di 44 milioni
di persone. Alcune simulazioni economiche mostrano che una ulteriore aumento del 10% del Food Price
Index potrebbe portare ulteriori 10 milioni di persone sotto la soglia di povertà, mentre un aumento del
30% impatterebbe su 34 milioni di persone.
Quali le aspettative per il futuro? Si stima5 che, nei prossimi dieci anni, i prezzi medi delle materie prime
alimentari supereranno i livelli dei dieci anni precedenti prima dei picchi registrati nel 2007/08, in termini
nominali e reali (rivalutati in base all’inflazione). I prezzi del frumento e del granturco dovrebbero registrare
un aumento oscillante tra il 15 e il 40% in termini reali rispetto al decennio 1997-2006, mentre è previsto
un aumento di oltre il 40% dei prezzi reali degli oli vegetali. Entro il 2019, anche i prezzi mondiali dello
zucchero supereranno la media del decennio precedente, ma resteranno al di sotto dei massimi raggiunti
durante la crisi del 1929, e nuovamente registrati alla fine del 2009.
Il mercato dei biocarburanti fa sempre più affidamento sugli incentivi e sull’uso obbligatorio, ma
l’incertezza sulle tendenze future dei prezzi del greggio, sui cambiamenti delle misure politiche e
sull’evoluzione della tecnologia di seconda generazione rendono difficile ogni previsione. Un futura rapida
espansione della produzione avrà un impatto inflazionista sui prezzi del frumento, del granturco, degli oli
vegetali e dello zucchero utilizzati come materie prime per biocarburanti.
Contesto ambientale
Crisi del Corno d’Africa
Nel Corno d’Africa si sta assistendo alla più grave siccità degli ultimi 60 anni (figura 11), che sta mettendo in
ginocchio tutta la regione orientale africana, già segnata dall’instabilità politica oramai cronica. In
particolare la Somalia si trova nelle condizioni peggiori: la drammatica mancanza di accesso al cibo,
l’elevata malnutrizione (“Il tasso di malnutrizione in alcune aree della Somalia supera il 40% fra i bambini al
di sotto dei 5 anni” 6
) e gli alti tassi di mortalità, hanno indotto le Nazioni Unite a dichiarare lo stato di
carestia il 29 luglio 2011. A causa della seconda stagione di siccità inoltre si è avuta una drammatica
4 “Safeguarding Food Security in Volatile Global Market”, edited by Adam Prakash, FAO, 2011
http://www.fao.org/economic/est/volatility/vgm/en/ 5 OECD-FAO Agricultural Outlook 2010 - ISBN 978-92-64-083752 © OECD 2010
6 Food Price Watch, The World Bank, August 2011;
http://siteresources.worldbank.org/INTPOVERTY/News%20and%20Events/22982478/Food-Price-Watch-August-
2011.htm
riduzione della produzione agricola che ha indotto, spinta anche dai dati internazionali, l’aumento dei prezzi
dei cereali. I prezzi dei due principali prodotti agricoli che sono la saggina rossa ed il mais bianco, sono
aumentati da 30 a 240 e da 50 a 154, rispettivamente (figura 12). La drammatica situazione ha inoltre
causato un flusso di sfollati verso le regioni limitrofe che ha raggiunto cifre da esodo biblico: 135 mila
dall’inizio del 2011, 54 mila solo nel mese di giugno (dati forniti dall’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i
Rifugiati7). Oltre alla malnutrizione si è aggiunta la diffusione delle malattie. Nel campo sfollati di Kobe il
crude mortality rate (CMR) è pari a 5.7 per 10,000 al giorno per giorno, mentre “the under five mortality
rate” (U5MR) è pari a 12.9 per 10,000 al giorno.
Non è la prima volta che la siccità colpisce questo territorio, tuttavia in genere avveniva con una certa
ciclicità al punto tale che le comunità locali erano in grado di trovare delle misure per poter fronteggiare il
problema. Tuttavia il cambiamento climatico ne ha aumentato la frequenza al punto che dal 2001,
consecutivi periodi di siccità in alcune zone dell'Africa hanno portato ad una grave penuria alimentare in
molti paesi8.
Quali sono le aspettative per il futuro? Un recente rapporto del Programma delle Nazioni Unite per
l'ambiente (Unep) in collaborazione con l'Istituto internazionale di gestione dell'acqua (Iwmi;
http://www.iwmi.cgiar.org/), pubblicato in occasione dell'apertura a Stoccolma della Settimana mondiale
dell'acqua (http://www.worldwaterweek.org/) afferma che entro il 2050, quando la popolazione mondiale
raggiungerà quota 9 miliardi di individui, servirà il doppio dell'acqua utilizzata attualmente per garantire la
sicurezza alimentare della popolazione. L’indagine sottolinea che “attualmente 1,6 miliardi di persone
vivono in zone già colpite dalla siccità e potranno rapidamente arrivare a due miliardi se tutto resterà come
ora. Se rimangono le stesse attività agricole ed i regimi alimentari attuali, se continua a crescere
l'urbanizzazione, la quantità d'acqua necessaria per l'agricoltura che oggi è di 7.130 chilometri cubici,
aumenterà dal 70 al 90% per nutrire nove miliardi di persone entro il 2050».
La FAO per poter fronteggiare I problemi inerenti la siccità del Corno d’ Africa ha deciso di focalizzare i
propri interventi sulle seguenti tematiche:
- L’incremento dell’accesso alle riserve idriche attraverso il ripristino o la costruzione di accesso in
aumento per innaffiare risorse riabilitando e costruendo punti di acqua;
- La fornitura di materiale utile a migliorare e rivitalizzare l’agricoltura, come semi reistenti alla
siccità, mangime, acqua e foraggio per animali (includendo anche strumenti di mercato per favorire
gli scambi);
- L’utilizzo di trasferimenti di denaro per mitigare la crescita dei prezzi, prevenendo il rischio della
vendita di asset produttivi, attraverso anche il pagamento immediato del lavoro svolto;
- Controlli contro le malattie;
7 http://data.unhcr.org/horn-of-africa/regional.php. “Secondo i risultati di una missione congiunta sul campo con a capo UNHCR e
Governo dell’Etiopia, sono 17.500 i somali che negli ultimi 6 mesi hanno raggiunto altre aree dell’Etiopia - Gode e Afder. Si tratta di
corridoi di entrata completamente nuovi, circa 250 chilometri a nord-est di Dollo Ado, che ha rappresentato la destinazione
principale per i somali in fuga da insicurezza, siccità e fame nel proprio paese.”
8 United nation Environmentale Programme.
http://www.unep.org/conflictsanddisasters/News/PressReleases/tabid/417/language/en-
US/Default.aspx?DocumentID=2649&ArticleID=8828&Lang=en
- Il miglioramento della gestione delle risorse idriche da parte delle comunità, insegnando ai
contadini a coltivare ed allevare bestiam in zone aride.
- Gli investimenti post-crisi per recuperare i mezzi di sussistenza e rafforzare l’economia per
eventuali shocks futuri.9
- Fame nel mondo
- “Food security exists when all people, at all times, have physical, social and
economic access to sufficient, safe and nutritious food which meets their dietary
needs and food preferences for an active and healthy life.”
Nel settembre del 2010, la FAO ed in particolare il dipartimento dello sviluppo economico e sociale10
ha
diffuso un documento relativo alla situazione della fame nel mondo ed al trend del numero di persone
sottonutrite. Per la data in cui il documento è stato diffuso, esso non poteva tenere conto di quattro fattori
che si sono sviluppati da lì a qualche mese: a) la crisi dei debiti sovrani con relativa ricaduta per una
possibile seconda crisi economica; b) l’incremento dei prezzi alimentari (figura 7); c) la siccità e la pesante
carestia nel Corno d’Africa (figura 11); d) lo scoppio della primavera araba. Tutto ciò modifica alcune
conclusioni del documento e soprattutto le stime che verranno mostrate nelle figure 13 e 14, ma mantiene
valide le analisi economiche e di contesto e quelle relative alla distribuzione della povertà nel mondo.
La maggior parte delle persone sottonutrite nel mondo vive nei paesi in via di sviluppo (figura 15), dove
costituiscono il 16% della popolazione. Due terzi vivono in soli sette paesi (Bangladesh, Cina, Repubblica
Democratica del Congo, Etiopia, India, Indonesia e Pakistan) e oltre il 40 per cento vive in Cina e India. Le
stime per il 201011
indicavano che il numero di persone sottonutrite sarebbe dovuto diminuire a livello
grlobale (figura 13) ed in proporzione per i paesi in via di sviluppo (figura 14). Tali previsioni si basavano su
due assunzioni che si sono poi dimostrate fallaci: a) che i prezzi dei beni alimentari si sarebbero potuti
ridurre o comunque stabilizzare; b) che la crescita globale avrebbe seguito le previsioni (rivelatesi poi
ottimistiche) del FMI. E’ plausibile pertanto ritenere che a seguito degli ultimi andamenti economici e
climatici, le previsioni si siano rivelate sovrastimate, tuttavia il trend di riduzione della proporzione di
persone sottonutrite nel mondo sia una tendenza stabile (figura 14) derivante dal miglioramento delle condizioni economiche, specialmente nei paesi che mostrano elevati tassi di crescita.
La regione con la maggior parte delle persone sottonutrite continua ad essere l'Asia e il Pacifico, ma con
una tendenza in calo dovuta alla forte stabile crescita economica. La percentuale di persone sottonutrite
rimane più alto in Africa sub-sahariana, al 30 per cento nel 2010.
Sebbene tuttavia tendenzialmente si sta riducendo la percentuale di persone sottonutrite nel mondo, si è
ancora ben distanti dal perseguimento del target fissato dal Primo Obiettivo di Sviluppo del Millenio (MDG),
di dimezzare la percentuale di persone sottonutrite nei paesi in via di sviluppo dal 20% nel 1990-92 al 10%
nel 2015 (figura 14 e confronto figura 16 e 17).
9 http://www.fao.org/crisis/horn-africa/home/en/
10 http://www.fao.org/docrep/012/al390it/al390it00.pdf
11 Si noti che il documento deve essere datato al 2010. Pertanto non teien in considerazione la crisi alimentare del
Corno d’Africa.
- Tsunami in Giappone e Fukujima
L’ 11 marzo 2011 il Giappone è stato colpito da un violento terremoto seguito da uno tsunami che ha
causato ingentissimi danni a tutto il Paese e migliaia di morti. Dal punto di vista economico il disastro ha
causato due ordini di problemi. Il primo è stato un blocco dell’attività produttiva; il secondo è stato ed è la
necessità di ricostruire il Paese incrementando quindi la spesa pubblica. L'ipotesi più ottimistica quantifica
in 220 miliardi di euro la spesa pubblica per iniziare la ricostruzione, l'8 per cento del Pil nazionale, più del
doppio di quanto speso per il terremoto di Kobe nel 1995. Per un Paese già gravato da un debito pubblico
superiore al 200 per cento, sempre più nelle mani di creditori cinesi, si profilano impegni finanziari capaci di
bloccare gli investimenti produttivi, i piani per il rilancio dell'occupazione e il sostegno a servizi e previdenza
per una popolazione sempre più vecchia. 12
Tutto ciò ridurrà la crescita prevista: lo scorso anno la crescita
giapponese è stata del 3 per cento e gli esperti avevano previsto una frenata massima fino a un più 1,3. Le
attese sono già ridimensionate a un più 0,7, che potrebbe tradursi entro agosto in una piena stagnazione.
Per le multinazionali "made in Japan" la dimensione del calo di produttività e di fatturato non ha
precedenti. Un terzo elemento portante di tutta la struttura economica del Giappone è stato messo in
ginocchio: il sistema energetico. Lo tsunami ha causato danni ai reattori di Fukushima. Ciò ha comportato
blocchi della produzione e un danno ambientale enorme e di lungo periodo derivante dalle forti radiazioni
che ne sono scaturite. Milioni di tonnellate di acque radioattive sono state scaricate nell'oceano ed in
atmosfera sono stati immessi vapori contaminati.
Nel frattempo oltre il 60 per cento dei giapponesi, per la prima volta, si dichiara favorevole allo stop a siti
nucleari costruiti in zone a rischio e il governo è pronto a "riesaminare da zero il ricorso al nucleare".
Prima dello tsunami, 54 centrali atomiche fornivano oltre il 30 per cento dell'energia elettrica giapponese,
destinata ad arrivare al 50 per cento entro il 2030. Tokyo, sconvolta dalle previsioni di altri terremoti
distruttivi, si dice decisa a rivoluzionare il proprio modello di sviluppo, puntando su energia eolica, solare o
da biomassa.
L’entità del disastri ha condotto parecchi Paesi a mettere in discussione il nucleare come energia “sicura”.
La Germania ha deciso di uscire irreversibilmente dal nucleare, investendo in fonti alternative ed avviando
un piano di sviluppo sostenibile. “La strategia tedesca prevede una serie di azioni. Primo, incrementare la
produzione da rinnovabili che nel 2010 hanno raggiunto il 17 per cento del fabbisogno elettrico così da
arrivare al 35 per cento nel 2020. Secondo, le infrastrutture elettriche: sono stati stanziati 500 milioni di
euro per la ricerca e sviluppo di sistemi per accumulare l'elettricità e ridistribuirla in maniera efficiente. In
particolare, l’obiettivo è avere una rete capace di trasferire al sud del paese l'energia eolica prodotta in
grande quantità al nord e centrali dalla produzione modulabile, capaci di coprire i momenti in cui la
produzione di fonti come l'eolico è più bassa: il pensiero va soprattutto agli impianti a gas. Poi efficienza
energetica negli edifici – si punterà a ridurre i consumi del 20 per cento in dieci anni – e sensibilizzazione
dei cittadini. Infine, una riduzione delle emissioni di gas-serra del 40 per cento nello stesso periodo.”13
Anche la Svizzera ha deciso di uscire dal nucleare entro il 2034. I cinque reattori, tre dei quali vecchi quanto
quelli di Fukushima-Daichi, attualmente in grado di generare il 38 per cento di tutta l’elettricità elvetica,
12
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/06/03/news/fatti_male_i_conti-17183921/
13 http://www.lavoce.info/articoli/-energia_ambiente/pagina1002346.html
verranno disattivati alla fine del loro ciclo di vita e non verranno sostituiti (tabella 2). Durante il G8 di
Deauville dedicato naturalmente all’atomo, il premier giapponese Naoto Kan ha annunciato che il suo
paese ridisegnerà completamente la sua politica energetica anticipando al 2020, dieci anni prima del
previsto, l’obiettivo di un mix composto per il 20 per cento da fonti rinnovabili.
In Italia, la vittoria dei si al referendum sul nucleare ha allontanato per un lungo periodo la ripresa
dell’energia nucleare nella penisola.
- Scenari Energetici
Dal punto di vista energetico, di fronte ad una domanda comunque crescente di energia14
, gli effetti che
scaturiscono dalla catastrofe giapponese e che sono oramai inclusi nelle previsioni degli operatori, sono la
riduzione dell’offerta di energia15
prodotta dal nucleare, e l’incremento di gas, anche non convenzionale16
e
l’aumento delle energie rinnovabili17
.
Contesto storico-sociale
Il Rapporto sulla situazione sociale mondiale 2011: La crisi globale sociale, pubblicato dal Dipartimento
delle Nazioni Unite per gli Affari Economici e Sociali (UN-DESA), trova che molti governi non hanno prestato
sufficiente attenzione alle implicazioni sociali della crisi economica globale. Il rapporto dice che le politiche
economiche considerate separatamente dalle loro conseguenze sociali spesso creano risultati terribili per la
nutrizione delle persone, la sanità, l’istruzione e che, a sua volta, può influenzare negativamente la crescita
economica nel lungo periodo.
14
Anche se le previsioni della crescita globale sono state ritoccate al ribasso, si prevedono tassi di crescita positive e
superiori al 3%. Da ciò deriva che, con questi tassi di crescita si prevede un aumento della domanda di energia.
Diversamente, se avvenisse una crisi profonda tutto lo scenario muterebbe.
15“Securing Future Energy Supply at an Affordable Cost”, Tanaka, N.
http://www.iea.org/speech/2011/Tanaka_St.Petersburg_Security_Panel_speech.pdf
16 “Are we entering a golden age of gas?”, IEA;
http://www.iea.org/weo/docs/weo2011/WEO2011_GoldenAgeofGasReport.pdf
17 Si veda Rio + 20, http://www.uncsd2012.org/rio20/;
“Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication - A Synthesis for Policy
Makers”, http://www.unep.org/greeneconomy/Portals/88/documents/ger/GER_summary_en.pdf
Primavera Araba
Le proteste nel Nordafrica e Medio Oriente del 2010-2011 (figura 18), comunemente generalizzate con il
termine 'Primavera Araba', sono una serie di tumulti e agitazioni attualmente in corso, in atto nelle regioni
del medio oriente e vicino-oriente e del nord Africa. I paesi maggiormente coinvolti ad oggi dai
sommovimenti sono Algeria, Bahrein, Egitto, Tunisia, Yemen, Giordania, Gibuti, Libia e Siria, mentre
incidenti minori sono avvenuti in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco e
Kuwait
I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono, tra le maggiori cause, la
corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e le condizioni di vita molto dure,
che in molti casi riguardano o rasentano la povertà estrema. Il crescere del prezzo dei generi alimentari18
e
della fame sono anche considerati una delle ragioni principali del malcontento, che hanno comportato
minacce all'equilibrio mondiale in ordine all'alimentazione di larghe fasce della popolazione nei paesi più
poveri nei quali si sono svolte le proteste, ai limiti di una crisi paragonabile a quella osservata nella crisi
alimentare mondiale nel 2007-2008.
Le proteste sono cominciate il 18 dicembre 2010 in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed
Bouazizi che si è dato fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia, il cui gesto è servito da
scintilla per l'intero moto di rivolta che si è poi tramutato nella cosiddetta "rivoluzione dei gelsomini". Per le
stesse ragioni, un effetto domino si è propagato ad altri paesi del mondo arabo e della regione del
Nordafrica, in seguito alla protesta tunisina. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali ha preso avvio
la rivolta, sono stati chiamati "giorno della rabbia" o con nomi simili. “
Saccheggi di Londra, Sommosse in Grecia, Indignados in Spagna
Di fronte ai forti sacrifici richiesti dai governi ai propri cittadini, si sono sviluppati in Grecia, Spagna ed
Inghilterra dei movimenti di protesta (in taluni casi anche violenti). Ciò in linea con quanto sollevato da UN-
DESA.
18
Tra i venti principali importatori di frumento del 2010, quasi la metà sono paesi del Medio Oriente.
Nell’elenco troviamo : al primo posto l’Egitto, l’Algeria al quarto, l’Iraq al settimo, il Marocco all’ottavo, lo
Yemen al tredicesimo, l’Arabia Saudita al quindicesimo, la Libia al sedicesimo e la Tunisia al diciassettesimo.
TABELLE E FIGURE
Figura 7. World Bank: Indice Globale dei Prezzi (prezzi in dollari USA, anno base 2000=100)
Figura 8:Andamento dei prezzi dei generi alimentari e del petrolio.
Figura 9: Inflazione dei prezzi del cibo per Paesi a basso e medio basso reddito.
Figura 10: percentuale di spesa in generi alimentari sul totale della spesa.
Figura 11: Anomalie nella piovosità (mm). Marzo – Maggio 2011
Figura 12: Prezzi alimentari in Somalia – Variazioni di prezzo (giugno 2010 - giugno 2011)
Nota: La figura 11 mostra valori facenti riferimento ad alcune aree molto popolose di cui sono
disponibili i dati.
Figura:13.
Figura 14
Figura 15:
Figura 16
Figura 17
Figura 18:Primavera Araba
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