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L‟obbedienza
adesione al mistero pasquale
L‟obbedienza che caratterizza la vita consacrata ripropone in modo particolarmente vivo
l‟obbedienza di Cristo al Padre e, proprio partendo dal suo mistero,
testimonia che non c‟è contraddizione
tra obbedienza e libertà.
(Vita consecrata, 91)
L‟obbedienza di Gesù
Il rapporto tra l‟obbedienza nella vita consacrata e il NT
non possiamo appellarci alla tradizione e aggrapparci a un testo
specifico del vangelo che sia il fondamento biblico del voto di
obbedienza. Nondimeno, più degli altri voti, l‟obbedienza trova
nella Bibbia in genere il maggior supporto. Ed è proprio così
perché a monte della chiamata del cristiano all‟obbedienza ri-
mane la chiamata a seguire lo stile di vita di Gesù di Nazaret. La
sua vita è improntata a una profonda apertura e obbedienza a
Dio, che egli chiama Padre.
(F.J. MOLONEY, Discepoli e profeti, 186).
Dall‟ascolto all‟obbedienza
Il concetto greco per dire obbedienza è hypakoḗ:
usato sempre e solo per indicare l‟obbedienza a Dio
o a istanze a lui legate (cf. Flm 1,21: l‟obbedienza a Paolo).
Il significato letterale:
la sottomissione all‟ascolto - hypó-akoúō:
la parola dell‟altro ha un potere sulla propria vita.
L‟estremo opposto è la disobbedienza - pará-akoúō:
ascolto distratto, distaccato, opposto
la preposizione pará:
muoversi in direzione alternativa o opposta,
facendo resistenza.
La Parola accolta con hypakoḗ implica sempre
un movimento di conversione.
Il termine ebraico è shama„ (Shin-Mem-Ayin)
il nono verbo più usato della Bibbia ebraica
(più di 1.000 volte):
esprime il rapporto dialogico tra Israele e Dio
«Shema„ Israel…» - Ascolta, Israele… (cf. Dt 6,4-9).
In latino: oboedientia (particella ob e il verbo audire)
un ascolto attivo, destinato a plasmare l‟esistenza,
dando ad essa una prospettiva gioiosa di partecipazione
(all‟agire stesso di Dio).
L‟obbedienza alla Parola di Dio
CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA
E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA,
Faciem tuam, Domine, requiram,
Istruzione «Il servizio dell‟autorità e l‟obbedienza» (11 maggio 2008).
Numero 7
La prima obbedienza della creatura è quella di venire
all‟esistenza, in adempimento al fiat divino che la chiama ad
essere.
Essa raggiunge piena espressione nella creatura libera di ri-
conoscersi ed accettarsi come dono del Creatore, di dire “sì”
al proprio venire da Dio.
Così essa compie il primo, vero atto di libertà, che è anche il
primo e fondamentale atto di autentica obbedienza.
L‟obbedienza propria della persona credente, poi, è l‟adesione
alla Parola con la quale Dio rivela e comunica se stesso, e at-
traverso la quale rinnova ogni giorno la sua alleanza d‟amore.
Da quella Parola è scaturita la vita che ogni giorno continua ad
essere trasmessa.
Perciò la persona credente cerca ogni mattina il contatto vivo e
costante con la Parola che in quel giorno è proclamata, medi-
tandola e custodendola nel cuore come un tesoro, facendone la
radice d‟ogni azione e il criterio primo d‟ogni scelta.
Alla fine della giornata si confronta con essa, lodando Dio
come Simeone per aver visto il compiersi della Parola eterna
dentro la piccola vicenda della propria quotidianità (Lc 2,27-32),
e affidando alla forza della Parola quanto è rimasto ancora
incompiuto. La Parola, infatti, non lavora solo di giorno, ma
sempre, come insegna il Signore nella parabola del seme (cf. Mc
4,26-27).
L‟amorosa frequentazione quotidiana della Parola
educa a scoprire le vie della vita e le modalità attraverso le
quali Dio vuole liberare i suoi figli;
alimenta l‟istinto spirituale per le cose che piacciono a Dio;
trasmette il senso e il gusto della sua volontà;
dona la pace e la gioia di rimanergli fedeli,
rendendo sensibili e pronti a tutte le espressioni
dell‟obbedienza:
al Vangelo (Rm 10,16; 2Ts 1,8),
alla fede (Rm 1,5; 16,26),
alla verità (Gal 5,7; 1Pt 1,22).
L‟esperienza autentica di Dio resta sempre esperienza di alterità.
“Per quanto grande possa essere la somiglianza tra il Creatore e la
creatura, sempre più grande è tra loro la dissomiglianza” (Ss, 43).
Tutti coloro che hanno gustato l‟intimità con Dio ci ricordano che il
contatto con il Mistero sovrano è sempre contatto con l‟Altro, con
una volontà che talvolta è drammaticamente dissimile dalla nostra.
Obbedire a Dio significa entrare in un ordine “altro” di valori, co-
gliere un senso nuovo e differente della realtà, sperimentare una
libertà impensata, giungere alle soglie del mistero:
«[…] i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non
sono le mie vie, oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la
terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre, i miei pensieri sovra-
stano i vostri» (Is 55,8-9).
Quanto per l‟uomo è impossibile è reso possibile da Dio; è una au-
tentica obbedienza al Mistero di un Dio che è, nello stesso tempo,
“interior intimo meo” («Più interno del mio stesso intimo»:
SANT‟AGOSTINO, Confessioni, III, 6, 11) e radicalmente altro.
Gesù obbediente
Diverse angolazioni:
l‟inno ai Filippesi (2,5-11)
l‟obbedienza del Cristo e la disobbedienza di Adamo
(Rm 5),
La Lettera agli Ebrei: l‟obbedienza di Gesù è l‟atto su-
premo della sua vocazione e missione, e il momento in cui
la sua identità di Figlio si apre alla mediazione piena tra
Dio e l‟uomo.
Ebrei 5,5-10
Così anche Cristo non glorificò se stesso nel divenire gran sa-
cerdote, ma lo fece sacerdote colui che gli disse: Mio figlio sei tu,
io oggi ti ho generato. 6Come anche in altro luogo dice: Tu sei
sacerdote per l‟eternità secondo l‟ordine di Melchisedek. 7Il quale, nei giorni della sua carne, implorò e supplicò con grida
veementi e lacrime colui che poteva salvarlo da morte, e fu e-
saudito per la sua riverenza. 8E imparò da ciò che soffrì
l‟obbedienza, pur essendo Figlio. 9E perfezionato, diventò per tutti quelli che gli prestano obbe-
dienza autore di eterna salvezza, 10
proclamato da Dio sommo
sacerdote secondo l‟ordine di Melchisedek.
La struttura della Lettera agli Ebrei
Ebrei – una “provocazione”:
la profonda continuità esistente tra Gesù e la storia di I-
sraele,
il chiaro superamento che si viene a verificare grazie a lui
(una “disobbedienza”)
Il messaggio
L‟autore presenta Gesù come il perfetto sommo sacerdote
che ha portato a compimento tutto il culto antico.
In Cristo il credente trova la via per eccellenza che con-
duce alla piena e definitiva comunione con Dio.
Facendo propria la via percorsa da Gesù stesso.
A. Il nome di Cristo (Eb 1,5-2,10)
l‟assoluta superiorità di Cristo sugli angeli
B. La mediazione di Cristo (Eb 3,1-5,10)
Gesù è il perfetto “mediatore” tramite una relazione limpida con Dio
(Cristo, sommo sacerdote degno di fede: 3,1-6) e una profonda con-
divisione con gli uomini (Cristo, sommo sacerdote misericordioso:
4,15-5,10).
Restare ancorati a Gesù, unica via per la salvezza (3,7–4,14). Il brano
sull‟obbedienza conclude proprio questa sezione e presenta la me-
diazione di Cristo come un atto di estrema e limpida obbedienza al
Padre.
C. Gesù, perfetto sommo sacerdote (Eb 5,11-10,39) La mediazione di Gesù - un solenne atto sacerdotale, che supera di
gran lunga la mediazione di cui il sommo sacerdote era inca-
ricato.
La riflessione è incorniciata in due esortazioni:
la prima (descritta in 5,11-6,20) invita i credenti a entrare nel cuore del
mistero;
la seconda (raccolta in 10,19-39) richiama ad una fedeltà assoluta agli
impegni battesimali che innestano il credente in Cristo, ren-
dendolo partecipe della sua opera di mediazione.
Tra le due esortazioni c‟è la “perla dottrinale” dello scritto: il sa-
cerdozio di cui Gesù è investito.
Il primo approfondimento presenta Cristo come sommo sacerdote alla
maniera di Melchisedek (7,1-28);
il secondo descrive la grandezza e il valore eterno del sacrificio da lui
offerto (8,1-9,28);
il terzo la portata salvifica del suo supremo atto sacerdotale (10,1-18).
B1. La mediazione dei credenti (Eb 11,1-12,13)
Esortazione alla fede e alla perseveranza, richiamando i credenti al
senso di responsabilità. Discepoli di Cristo e innestati nel suo supremo
atto sacerdotale, essi sono depositari di una dignità che supera di gran
lunga quella dei grandi padri della storia biblica, i quali «pur avendo
ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono
la promessa» (Eb 11,39). Di questa sono depositari i credenti in Cri-
sto: «perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e
raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante
non abbia a storpiarsi ma piuttosto a guarire» (Eb 12,13).
A1. Il nome dei “cristiani” (Eb 12,14-13,25)
La conclusione riprende l‟apertura: il nome di Cristo rifulge ora nel mondo
attraverso la testimonianza e l‟esistenza dei credenti. Questi vengono invitati
a una profonda comunione con i responsabili della comunità, imitandone la
fede e custodendo una sottomissione attiva ai loro insegnamenti.
Eb 5,5-10:
presenta Cristo come supremo sommo sacerdote
e mediatore per eccellenza tra il Padre e l‟umanità.
La gloria e il titolo di “sommo sacerdote”
(tema chiave di tutto lo scritto)
non nascono da una auto-attribuzione
indebita da parte di Gesù.
Il tutto gli viene conferito
a motivo di un atto
di profonda obbedienza.
Eb 5,5-7: Gesù fu esaudito?
La proposizione intera di Eb 5,7-8:
Nei giorni della sua carne avendo offerto preghiere e suppliche,
con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte
ed essendo stato esaudito per la sua pietà, pur essendo figlio,
[Cristo] imparò l’obbedienza dalle cose che patì.
La proposizione principale della frase è quella in corsivo.
Le proposizioni secondarie:
Avendo offerto preghiere e suppliche (Eb 5,7).
Le preghiere e suppliche, come pure le forti grida e lacrime e-
vocano nel lettore le scene del Getsemani e del Golgota.
L‟intenzione dell‟agiografo non sembra essere quella di fissare
l‟attenzione su un momento preciso della passione, ma di ripro-
porla nel suo insieme. La passione è presentata contemporane-
amente come una offerta (si usa il verbo prosphérō) e come una
supplica (déēsis). Il tema dell‟offerta è importante, proprio per-
ché profondamente legato a quello del sommo sacerdozio. Come
ogni sommo sacerdote viene costituito davanti a Dio per “offrire”
qualcosa, allo stesso modo Gesù ha offerto se stesso, in un atto di
profonda obbedienza. Quale risposta ha ottenuto l‟offerta del
Cristo? Una risposta positiva: Gesù è stato esaudito per la sua
pietà.
Essendo stato esaudito (Eb 5,7).
L‟intera frase lascia intendere che Gesù si era rivolto a Dio per-
ché questi era in grado di liberarlo dalla morte. L‟interrogativo
che nasce spontaneo è il seguente: come possiamo dire che egli
sia stato esaudito se di fatto la morte non gli è stata risparmiata?
Su questo interrogativo, in passato, il mondo degli esegeti si è
diviso in due correnti, rappresentate rispettivamente da Adolf
Harnack (1851-1930) e Joachim Jeremias (1900-1979).
A. Harnack propone una negazione: se si inserisce un “non”
(«non essendo stato esaudito»), la frase acquista un senso più
logico; proprio perché Cristo non è stato esaudito, ha imparato
quanto esigente sia la via dell‟obbedienza al volere divino e vi si
è sottomesso.
J. Jeremias propone una soluzione più fine: non è necessario
aggiungere un “non” per capire il senso della frase. Gesù è stato
esaudito: la sua morte, di fatto, ha sconfitto la morte. La via
dell‟obbedienza si è rivelata esigente, ma anche di grande fe-
condità, fino al punto da sbaragliare tutte le potenze della morte
accecandole con la gloria della risurrezione.
L‟obbedienza di Gesù non è stata solamente “passiva”, di sot-
tomissione, ma era un‟obbedienza cosciente che l‟esaudimento
sarebbe comunque arrivato, anche se da una via diversa da quella
attesa.
Per la sua pietà (Eb 5,7).
Il termine greco eulábeia - “pietà” è oggetto di dibattito.
Alcuni traducono l‟espressione con “paura”:
Gesù sarebbe stato liberato dalla paura di affrontare il dolore e
la morte e, in tal modo, confermato e fortificato nel suo at-
teggiamento di obbedienza. I sostenitori di tale ipotesi si ap-
poggiano al fatto che nei vangeli, dopo la preghiera di Gesù al
Getsemani, sembra che scompaia in lui ogni timore e ango-
scia, che invece caratterizzano in modo forte il suo dialogo
con Dio (cfr. Mc 14,32-42; Lc 22,39-46).
A. Vanhoye (rielaborando la lettura di J. Jeremias)
propone una soluzione più convincente:
assalito dall‟angoscia della morte incombente, Gesù prova il
desiderio istintivo di fuggire. Egli non respinge questo im-
pulso, ma lo presenta a Dio in una preghiera supplichevole, che
scaturisce con vigore dal suo voler vivere di uomo. Questa
preghiera, tuttavia, era completamente penetrata da profondo
rispetto verso Dio (eulábeia) e si guardava dall‟imporre a Dio
qualsiasi soluzione prefissata (Sacerdoti antichi, 104).
L‟obiettivo della preghiera sarebbe secondario,
emerge come prioritaria
la relazione di Gesù con il Padre.
Cf. Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42:
«Padre, allontana da me questo calice,
tuttavia, non come voglio io ma come vuoi tu».
L‟obbedienza di Gesù
si traduce in un atto di
docile conformazione alla volontà del Padre.
Pregando, egli aspira prima di tutto
all‟unione con la volontà del Padre,
tendendo ad essa con amore.
La preghiera diventa così
un‟offerta e una consegna di sé. per questo essa viene esaudita,
in un modo che supera ogni attesa.
Eb 5,5-7: un duplice tratto dell‟obbedienza:
offerta di sé
conformazione piena alla volontà del Padre.
Segue Eb 5,8:
un dato di grande significato:
anche per Gesù
l‟obbedienza è il frutto di un percorso personale
maturato in un contesto di sofferenza.
Eb 5,8: Gesù imparò l‟obbedienza?
La sofferenza ha valore educativo secondo l‟esperienza univer-
sale. Nella Scrittura essa viene indicata come un momento pe-
dagogico di crescita e di purificazione, vissuto dal popolo come
da singole persone, il cui effetto è in genere quello di unire
maggiormente a Dio.
Questo passaggio era necessario a Cristo?
dibattito fin dai tempi dei Padri della Chiesa
Posizioni diverse:
il verbo manthánō è da intendere nel senso di insegnare:
Gesù avrebbe insegnato l‟obbedienza attraverso le sue
sofferenze (Cirillo d‟Alessandria, Ambrogio di Milano, J.
Bonsirven). Conseguenze:
- la portata teologica del brano è sottovaluta,
- il termine greco subisce forzatura: non significa inse-
gnare ma apprendere, imparare. Da manthánō deriva
il termine mathētḗs, «discepolo» e non didáskalos
(maestro).
Una seconda soluzione riprende il pensiero di BERNARDO
DI CHIARAVALLE sul testo Ebrei 5,7-8:
La parola imparò può riferirsi non al capo, a Cristo nella sua
persona reale, ma al suo corpo, cioè alla Chiesa, e il senso
potrebbe essere questo: dalle sue sofferenze imparò
l‟obbedienza. Cioè imparò l‟obbedienza nel suo corpo, da
quello che aveva sofferto nel capo. Perché la morte, la croce,
gli obbrobri, gli sputi, la flagellazione, tutte cose attraverso le
quali passò il nostro capo, Cristo, che altro furono se non
ammirevoli insegnamenti di obbedienza per il suo corpo,
cioè per noi? (I gradi dell’umiltà, 111,7).
Bernardo trasforma ciò che Gesù ha vissuto in un insegnamento
esemplare per gli altri, come se Gesù solo “apparentemente”
avesse obbedito, per lasciarci un insegnamento.
La corretta interpretazione
il termine manthánō va preso nel senso stretto di
“imparare con l‟esercizio,
conoscere per esperienza diretta,
apprendere”.
- è l‟apprendimento di qualcosa nel campo del sapere e
del potere che prima non si possedeva.
- assumendo la condizione umana,
Gesù sperimenta quello che
gli uomini sperimentano.
Secondo A. Vanhoye,
dichiarando che Cristo «imparò l‟obbedienza dalle cose che patì»
(Eb 5,8), l‟autore della lettera agli Ebrei manifesta pienamente
l‟autenticità dell‟incarnazione, che non è consistita soltanto
nell‟assumere una natura di carne e sangue, ma nel farsi «simile
in tutto ai fratelli» (Eb 2,17) e quindi trovarsi nella necessità di
accettare un‟educazione per mezzo della sofferenza. Nel con-
tempo, viene offerta una nuova comprensione del mistero della
redenzione; essa non viene più presentata come un riscatto ot-
tenuto a gran prezzo, immagine esterna, ma come una trasfor-
mazione interiore della natura umana, ottenuta per mezzo della
sofferenza accettata (Sacerdoti antichi, 10)
Eb 5,9-10: Gesù, salvezza per tutti coloro che gli obbediscono
Le conseguenze dell‟atto obbedienziale del Maestro sono e-
spresse nei vv. 9-10 da tre affermazioni:
«reso perfetto (teleiōtheís),
divenne, per tutti quelli che gli prestano obbedienza,
autore di salvezza eterna,
essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla
maniera di Melchisedek».
L‟obbedienza non solo rende perfetto il Cristo, ma lo costituisce
come un mediatore perfetto tra Dio e l‟umanità, di cui ha assunto
pienamente la condizione, abbracciando l‟esperienza della sof-
ferenza e sulla quale riversa l‟eternità di Dio.
Il verbo greco teleióō qui è participio aoristo passivo
Esso richiama un‟azione puntuale terminata
Cristo apprende l‟obbedienza da quello che patisce
viene anche reso perfetto nella sua vocazione da tale ob-
bedienza.
essa viene presentata come una vera e propria consacra-
zione sacerdotale.
Filippo Urso mostra il chiaro nesso esistente tra il nostro brano e
l‟espressione di Eb 12,7: «È per la vostra correzione che voi
soffrite! Dio vi tratta come figli e quale figlio non è corretto dal
Padre?».
Grazie all‟offerta sacrificale di Cristo,
camminando sulla via nuova e vivente (10,22; 12,2)
da lui percorsa e trasformata in cammino
che conduce alla comunione con il Padre,
anche i credenti sono chiamati
a riconoscere alla sofferenza un ruolo educativo
per perseverare nella volontà di Dio
e per rendere perfetta, attraverso l‟obbedienza,
la propria figliolanza (F. URSO, La sofferenza, 206).
La trasformazione vissuta da Cristo:
non è la trasformazione di un uomo isolato (individuo),
è l‟inizio della trasformazione di ogni uomo,
comunicabile a chiunque entri in questo stesso dinamismo.
L‟obbedienza diventa il luogo per eccellenza
dove ogni credente e ogni religioso, inserito in Cristo,
può trasformarsi in luogo di mediazione
tra il Padre e l‟umanità.
Il medesimo concetto è presente nel n. 27
dell‟Istruzione Ripartire da Cristo:
Davanti alle tante situazioni di dolore personale, comunitarie,
sociali, dal cuore delle singole persone o da quello di intere co-
munità può riecheggiare il grido di Gesù in croce: «Perché mi hai
abbandonato?» (Mc 15,34). In quel grido, rivolto al Padre, Gesù
fa capire che la sua solidarietà con l‟umanità si è fatta così radi-
cale da penetrare, condividere e assumere ogni negativo, fino alla
morte, frutto del peccato [...].
La vocazione delle persone consacrate
continua a essere quella di Gesù.
Come Lui, essi assumono su di sé
il dolore e il peccato del mondo
consumandoli nell‟amore.
Per questo l‟autore della Ebrei propone ai suoi destinatari
i grandi esempi del passato.
mostrando come sempre la fede sia stata alla base
di quanto è stato attuato di valido
nella storia dell‟umanità (Eb 11,1-40):
dal sacrificio di Abele fino ai martiri del tempo dei Maccabei,
passando per figure come Noè, Abramo, Mosè,
la storia della salvezza è storia di fede e di abbandono nelle mani del Padre.
Solo tali atteggiamenti possono aiutare
a sopportare le prove più tremende.
I cristiani sono invitati a unire alla fede la pazienza,
sull‟esempio di Gesù che sopportò la croce (Eb 12,2).
La prova deve rinforzare la speranza
perché Dio se ne vuole servire.
Come Cristo, nella sua passione,
ha imparato l‟obbedienza (Eb 5,8)
e adempiuto la volontà di Dio (Eb 10,5-10),
così i cristiani, nelle loro prove,
diventano il luogo
in cui si attua la volontà di Dio (Eb 10,36; 12,5-11).
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