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Newsletter trimestrale a distribuzione telematica gratui-ta della Fondazione Venezia 2000 Cultura e Impresa, Dorsoduro 3488/U , 30123 Venezia. Redazione a cura di Sistema snc, Dorsoduro 1249, 30123 Venezia, info@myvenice.org. il sito myvenice.org è realizzato con SPIP da HCE web design; logo, grafica web e newsletter a cura di hstudio - Venezia.www.myvenice.org
Per vizio professionale, mi trovo spesso a leggere
in controluce i fenomeni che via via attirano la mia
attenzione. Ed è per questo vizio, non per snobisti-
ca tentazione di controtendenza, che mi è venuto
spesso di domandarmi quale sia l’altra faccia della
diaspora del patrimonio artistico veneziano. Ripe-
tiamo spesso “diaspora”, “dispersione”, “svendita ,
“saccheggio”, “spoliazione”, “smembramento”: tutti
termini che indicano la fine infelice d’una straordi-
naria accumulazione; ma che ci fanno dimenticare
una cosa tanto banale, quanto non tenuta in conto:
se un patrimonio è stato disperso, quel patrimonio
come e perché era stato messo insieme? È certo
interessante esaminarlo come oggetto di diaspora;
ma sarebbe altrettanto interessante vederlo nei
processi e nelle motivazioni della
Pontus Hulten scende a Venezia dalla sua nativa
Stoccolma dopo tanti anni, e lo fa in una veste
inedita: da collezionista. Centocinquanta opere di
una collezione che ne contiene oltre quattrocento
verranno esposte a Palazzo Franchetti dell’Istituto
Veneto di Scienze Lettere ed Arti dal 5 Marzo al
9 Luglio a cura di Stefano Cecchetto. Sono opere
che dicono di tanti incontri, di intensi e duraturi
legami d’amicizia con chi, in arte, ha movimentato
il Novecento: Sam Francis, Warhol, Ernst, Brancu-
si, Malevic, Duchamp, Oldenburg, Tinguely, per
citarne solo alcuni.
Pontus lasciava Venezia nel 1993 dopo aver avviato
con straordinario successo la stagione delle gran-
di mostre a Palazzo Grassi. Una
Calle delle Beccarie 792 a San Giobbe: un palazzetto
del 1800 è stato restaurato, a regola d'arte, con i crite-
ri di solito applicati ai monumenti storici, per ricavarne
quattro alloggi, da assegnare in base alle graduatorie
comunali, di cui uno riservato a una persona con dif-
ficoltà motorie. Una goccia nel mare delle necessità,
ma comunque un intervento a favore dei residenti. Se
ne è parlato, ieri, alla Facoltà di Economia di Ca' Fo-
scari, in occasione della presentazione del volume “Un
restauro per Venezia” (a cura di John Millerchirp e Leo
Schubert, edizione Mazzotta) che ricostruisce la gene-
si del restauro e relaziona sui lavori ormai completati. A
proporre l'intervento, una decina di anni fa, il Comitato
Privato “The Venice in Peril, Found”,
TADAO ANDO E I BIG MONDIALI PER UNA DOMANDA IRRISOLTA: DOVE VA L’ARTE CONTEMPORANEA? Riapre Palazzo Grassi gestione Pinault con la mostra dal titolo “Where are we going?”
Enzo Di Martino
Editoriale
(continua a p.3)
anno 3, numero 1, maggio 2006
(continua a p.4) (continua a p.2)
Il segnale della mostra, po-
sto all’esterno del palazzo
sul Canal Grande, è un enor-
me pupazzo rosso a forma di
cane. È dell’americano Jeff
Koons, uno dei più clamorosi
“fenomeni” del mercato inter-
nazionale dell’arte, assieme
all’inglese Damien Hirst ed
all’italiano Maurizio Cattelan.
Entrambi peraltro rappresentati
nell’esposizione: Cattelan dal
suo realistico “Him”, un picco-
lo Hitler in ginocchio, posto in
un angolo come se pregasse,
mentre ad Hirst viene riservato
l’intero salone nobile con due
delle sue mucche sezionate, la
sua “farmacia” di scaffali di vetro pieni di migliaia
di pastiglie colorate e le bacheche coi modellini di
scheletri di animali preistorici, che danno il titolo
alla mostra curata dall’americana.
Alison Gingeras: “Where are we going?”, cioé,
dove stiamo andando?, ponendo
Primo Piano
VENEZIA, NASCITA DI UNA CITTÀEsce con Neri Pozza la nuova edizione del capolavo-
ro di Sergio Bettini
Giovanna Dal Bon
“Proprio perché la forma di Venezia non è data, per
così dire una volta per sempre, ma continuamente
si discioglie e si ricompone ad ogni istante, si crea
di nuovo entro il nostro tempo: proprio per questo
essa non mente”. Questa è Venezia nel pensiero
di uno dei più interessanti storici e critici dell’arte
del Novecento, Sergio Bettini. La riflessione sulla
sfuggente tra le città comincia agli inizi della sua
,otibus ad ,atroppar is e erotacrecir id arutnevva
ad una più vasta concezione della forma in divenire,
della forma-evento così com’era pensata da Focil-
lon. È il 1945 quando Bettini introduce il pensiero
del filosofo francese in Italia con l’edizione padova-
na di “Vie de formes”. Un primo nucleo su Venezia,
vista tra tutte come paradigma puro dell’arte in
movimento, Bettini lo abbozza nella pubblicazio-
ne del 1950 già in bozze nel 1942. Esce in questi
giorni, edito Neri Pozza, nella collana recentemente
affidata a Giorgio Agamben “La quarta prosa” un
volume che sfugge ai generi e contiene una com-
plessa operazione di montaggio, (continua a p.2) (continua a p.3)
Progetti
QUEGLI APPARTAMENTISONO UN MONUMENTORestauri a San Giobbe presentati i lavori in un palaz-
zetto ripristinato con tecniche conservative avanzate
Lidia Panzeri
Percorsi
PONTUS HULTENARTISTI DA UNA COLLEZIONEAll’Istituto Veneto a Palazzo Franchetti fino a luglio
Giovanna Dal Bon
Venezia Altrove
LE MOLTE LUCI E OMBRE IN CINQUESECOLI DI UN COLLEZIONISMO ASSAI COLTO E FASTOSODa VeneziAltrove almanacco della presenza venezia-
na nel mondo n.4-2005
Giuseppe De Rita
anno 3, numero 1, maggio 2006 - p 2
una domanda sullo stato dell’arte contemporanea
che molti studiosi (Jean Clair, Baudrillard, Meinric
etc.) propongono da tempo e che appare davvero
inquietante e forse senza risposta.Ma la collezio-
ne d’arte contemporanea del magnate francese
François Pinault, con una selezione della quale
riapre ora un Palazzo Grassi rinnovato da Tadao
Ando, rivela in effetti un orizzonte molto più vasto
e complesso che appare qui diviso nettamente in
due sezioni. E mentre al piano terra - il pavimento
di 1296 piastrelle di Carl Andre - ed al primo piano
vengono esposte le testimonianze più esasperate
della nuova ricerca espressiva dell’arte, al secondo
piano sono invece confermate, anche attraverso la
“grande pittura”, le predilezioni “minimaliste” del
munifico collezionista francese.
Ecco allora, naturalmente al primo piano, un vero
e proprio “trattore” in alluminio di Charles Ray, il
realistico e conturbante “Mechanical Pig” (Maia-
le meccanico) di Paul McCarthy, l’impressionante
sala dedicata alle fotografie di bambole sezionate
di Cindy Sherman, il perentorio “I shop, therefore
I am” (Compro, perciò esisto) di Barbara Kruger,
la saletta anch’essa riservata agli oggetti “banali”
di Jeff Koons, per citare solo alcuni lavori esposti.
Naturalmente non poteva mancare in questa ras-
segna il giapponese Tahashi Murakami del quale
viene presentato il suo “Inochi” una sorta di pu-
pazzo alieno davvero conturbante. Ma, sempre al
primo piano, si incontra anche un ormai “classi-
co” ritratto di Mao di Andy Warhol ed un grande
collage del poco noto polacco Pjotr Uklanskj, un
albero a forma di bomba davvero molto bello.
Assai diversa la situazione al secondo piano del
palazzo dove vengono esposti molti dipinti, a vol-
te di grande qualità formale. Come i due lavori
di Richter, lo straordinario taglio bianco (Attesa
del 1966) di Lucio Fontana accostato a quattro
“Achrome” di Pietro Manzoni. Ed ancora, la rigo-
Tadao ando e i big mondiali per una domanda irrisolTa: dove va l’arTe conTemporanea?
Editoriale
(continua dalla prima pagina)
rosa sala dedicata ad Agnes Martin con quattro
dipinti caratterizzati da rarefatti piccoli segni, e
quella altrettanto importante di Cy Twombly con
dieci dipinti di rara bellezza.
Il salone principale viene invece dedicato ad uno
dei padri del minimalismo, l’americano Donald
Judd, che occupa potentemente lo spazio con
le sue forme geometriche. Altre sale ospitano i
neon colorati di Dan Flavin, i “bianchi” di Robert
Ryman, e tre straordinari dipinti dei primi anni
’50 di Mark Rothko. Bisogna infine rimarcare il
grande rilievo dato agli artisti dell’Arte Povera
italiana con opere di Pistoletto, Penone, Zorio,
Anselmo, Fabro, Parmiggiani, Paolini, Kounellis
e naturalmente Mario Merz, del quale vengono
esposti un bellissimo “Igloo” e la sequenza dei
numeri al neon di Fibonacci che si concludono
con una motocicletta Suzuki. Ne risulta una mo-
stra bella e scontata ad un tempo, che pone per
davvero l’inquietante interrogativo su dove stia
andando l’arte contemporanea
Enzo Di Martino
Percorsi
ponTus HulTen arTisTi da una collezione(continua dalla prima pagina)
per tutte “Futurismo e futurismi” ha letteralmente
cambiato l’atteggiamento politico che si aveva fino
ad allora verso i militanti di quel movimento: ”bi-
sogna pensare che i futuristi avevano l’etichetta
di fascisti prima di considerare il movimento nella
sua complessità” racconta facendosi pensoso. Se
gli si chiedono notizie di quella densa avventura
veneziana rievoca le perlustrazioni in laguna nel-
la sua barca dal nome insolito “Tempi d’ozio”, la
frequentazione assidua degli amici artisti Emilio
Vedova e Santomaso e gli affiora dalla folta barba
bianca un sorriso di irresistibile dolcezza. Pontus
Hulten ha sempre vissuto in città d’acqua: Stoc-
colma, dove ha diretto il Modern Museet prima di
approdare in laguna, Los Angeles, al Museum of
Contemporary Art: ”una fatalità, e ovunque andas-
si c’era una barca ad aspettarmi per portarmi in
giro. A Venezia ho avuto la fortuna di vivere mo-
menti magici muovendomi per la laguna e mi sono
spinto poi lontano fino alle coste istriane e ritorno”
ancora quel magico sorriso diffonde sui forti zigo-
mi scandinavi e accende gli occhi azzurrissimi. Gli
piace soffermarsi sulle origini nordiche di Venezia,
sulle prime tracce rinvenute all’isola di Torcello. Si
sente che non è un caso se proprio a Venezia ha
deciso di dare visibilità a una parte della sua col-
lezione privata che coincide con la sua vita intima,
con i tanti doni di amici. È stato grazie all’amica
Clarenza Catullo, sua assistente negli anni di Pa-
lazzo Grassi, che gli è stato possibile far ritorno in
città con le sue opere. La mostra vuole raccontare
soprattutto una trama di amicizie e incontri felici,
tutti molto personali e veritieri. È divisa in tre se-
zioni che coinvolgono diverse tematiche. La prima,
“gli amici di Hulten” è un percorso espositivo che
avvolge cinquant’anni di frequentazioni e vorrebbe
svelare attraverso il manufatto d’arte la dimensio-
ne intima e segreta di un reale, fertile interscambio
tra critico e artista; quadri, installazioni, fotografie
di amici come Robert Rauschenberg, Niki de Saint-
Phalle, Jasper Johns, Jean Tinguely (il più fraterno
tra gli amici), Rebecca Horn. La seconda sezione
riguarda Hulten allo specchio (par lui meme) ed
è una galleria di omaggi in forma di ritratto dov’è
sempre lui il soggetto da ritrarre in molti, caleido-
scopici, angoli visuale. La più intima e segreta è
la terza sezione: una piccola galleria di disegni e
opere su carta che lo storico dell’arte svedese ha
collezionato per sé. Vi figurano: Malevic, Marcel
Duchamp, Francis Picabia, Max Ernst, Constantin
Brancusi, EmilioVedova, Daniel Buren. “La strada
di Pontus” è inveve un racconto per immagini foto-
grafiche del lungo e “contagiante” percorso artisti-
co-affettivo di questo straordinario personaggio.
Giovanna Dal Bon
anno 3, numero 1, maggio 2006 - p 3
in approfondimenti e ritorni (il curatore Andrea
Cavalletti ci avverte in postfazione che può essere
letto come un libro di fenomenologia). Un acuto
esercizio critico sulla città considerato inter omnes
il suo capolavoro “Venezia. Nascita di una città” (€
50,00) con un fitto apparato iconografico. La Ve-
nezia di Bettini obbedisce attraverso i secoli ad un
originale Kunstvollen, una sua prorpia intenzione
artistica. La nascita, il divenire, la struttura urbana,
le architetture risolte in facciata, l’assenza di pro-
spettive, i tagli asimmetrici, i fuori scala, rispondo-
no ad una forma che contrasta l’ordine geometrico
e sovverte le gerarchie della statica. Uno sguardo
assolutamente nuovo e maturo su una città voluta
fortemente e altrettanto tenacemente costruita su
strati instabili. Bettini offre in apertura una defi-
nizione della città come unica grande superficie:
“Venezia nasce tra l’aria e l’acqua: la sua immagine
si innesta nel punto, quasi matematico, di contatto
tra aria ed acqua, si concreta tra coteste due di-
mensioni illimitate: quindi la sua forma potrà dirsi
coerente se saprà interpretare il valore dell’una e
dell’altra”. Prima di affrontare il problema “storico”
del nascere e del formarsi della città Bettini sof-
ferma sulla quantità di miti sorti nel tempo sulla
sua immagine. Ripropone l’idea di Georg Simmel
filosofo sottile e sensitivo e ormai “sull’estrema
frontiera del romanticismo” di accostare Firenze a
Venezia asserendo una superiorità della prima su
quel qualcosa di “incompleto e superficiale” che
caratterizza la seconda. Convoca le ansie morbose
di Walter Pater, Ruskin, Byron, De Musset e la
genia svenevole delle morti a Venezia. È interes-
sante come Bettini faccia risalire al barocco nordi-
co la prefigurazione romantica del mito di Venezia.”
(…) affinità di Stimmung. Ambedue sono aperture,
o almeno tensioni di una forma plastica chiusa”.
Ed è veloce ad indicare la visione di Marcel Proust
lontana da torbidi equivoci romantici; una Vene-
zia “attuale” perché diversa da una qualsiasi città
classica e perpetuamente sciolta in “una forma
aperta, versata nel tempo, quindi risolta in colore
e ritmo”. Documentato il setaccio critico sugli ini-
zi, garantiti da un esodo tardoromano a popolare
isolotti deserti. Conseguenti gli influssi bizantini a
dare fondamento. Fatale il passaggio da villa tardo-
romana in fondaco per il deposito delle merci e la
progressiva “marmorizzazione” tra il Trecento e il
primo Quattrocento “quando le zone ancora vuote
si colmano”. Bettini propone una lettura della cit-
tà in chiave anticlassica “fondata cioè non su una
struttura prospettica dello spazio urbanizzato, ma
sulla continuità temporale di codesto spazio”. At-
traversa e cesella svolte cruciali nel gusto e negli
stili soffermando spesso e volentieri sull’importan-
za dei manufatti e la loro funzione (memorabili le
pagine che dedica alla forcola). In chiusura cor-
regge il tiro di una sua definizione “piuttosto facile
e un poco turistica” sul simbolo di Palazzo Ducale
per rivederlo nel contesto in cui si forma quando
nei finestroni “s’accendono luci di uno strano rosa
violaceo, che contrasta fuggevolmente coi marmi
della facciata, che paiono farsi d’oro bianco: e tutta
la superficie ha uno sguardo intenso e un po’ obli-
quo, di altero e gelido orgoglio”.
Giovanna Dal Bon
Primo Piano
venezia, nasciTa di una ciTTà(continua dalla prima pagina)
Venezia Altrove
le molTe luci e ombre in cinQue secoli di un collezionismo assai colTo e fasToso(continua dalla prima pagina)
raffinata, o “industriale”, sua formazione. L’incame-
razione di esso è importante come la sua disper-
sione, nel respiro centenario dell’arte veneziana. La
scelta editoriale di «VeneziAltrove» è naturalmente
portata a ragionare del flusso “in uscita”, sottoli-
neando magari che esso non è stato solo frutto di
spoliazioni, ma anche di una eccezionale capacità
industriale, di produzione e di marketing, che si è
andata più o meno coscientemente formando nella
città nei secoli del suo splendore e della sua do-
minante presenza economica e culturale. Ma non
abbiamo mai posto attenzione, se non per via inci-
dentale, al flusso “in entrata”: garantito dalle voglie
e dalle scelte di collezionismo ricco e raffinato delle
grandi famiglie veneziane (e non soltanto loro, se
solo si pensi all’accumulazione operata da chiese e
conventi). I contributi pubblicati quest’anno ci fanno
intravedere una realtà molto meno conosciuta della
diaspora. Il lettore si stupirà (questa è stata almeno
la mia reazione) leggendo che «fin dal Quattrocento,
se non prima, non v’era palazzo o dimora veneziana
di una certa ricchezza che non vantasse la presenza
di almeno alcune sculture greche o romane, fossero
iscrizioni, rilievi, statue o teste». E poi, da metà Cin-
quecento, si sono moltiplicate le collezioni di tutte
le espressioni d’arte: dipinti, medaglie, pietre dure,
tempietti, reliquie e “corpi santi”, libri,
monete, cippi, stampe, stampe di un solo
soggetto (magari l’immagine della Beata
Vergine), paramenti e arredi, vetri antichi,
affreschi, bulini veneti e italiani, conchi-
glie, cose napoleoniche, volatili «esotici ed
indigeni». Si ha l’impressione di una città
bulimica, che attirava e incorporava tut-
to, spesso anche i falsi «unendo l’oro alla
fanghiglia». Ci soffermiamo spesso sull’in-
gordigia o su l cinismo di c hi ha spogliato
Venezia (si veda il testo su Pietro Edwar-
ds), ma ci dimentichiamo spesso che non
erano stati meno ingordi – comunque
pagando di tasca propria – i veneziani, quando
avevano accumulato «quel gran ben di Dio» oggetto
poi dello smembramento e della diaspora. Se Al-
vise Zorzi, riferendosi unicamente ai dipinti andati
via soltanto nell’ultima dispersione, fra Settecento
e Ottocento, valuta che si trattò di 25 mila pezzi, è
pensabile stimare tutto ciò che si era accumulato
n elle collezioni veneziane in oltre 100 mila dipin-
ti, e in molte centinaia di migliaia di pezzi vari. E a
parte la “fanghiglia”, del resto inevitabile a tali livelli
quantitativi, c’era il meglio della produzione artistica
di allora; il meglio del mercato (anche dei giorni no-
stri); il meglio per chi volesse “approvvigionarsi” di
opere d’arte e cimeli.
Da dove veniva quell’enorme propensione ad accu-
mulare, quell’ingordigia collezionistica che caratteriz-
zò Venezia per almeno cinque secoli? Non è proprio il
caso di gettarsi in interpretazioni sociologiche e psi-
cologiche (il collezionismo come coazione a ripetere,
e come ambizione alla sicurezza della completezza);
assai meglio attenersi alla constatazione che la socie-
tà veneziana era una società ricca, amante del lusso,
di gusti raffinati e di orgogliosa tendenza a possedere
e a mostrare il meglio. Sfruttava a tal fine le risorse
produttive interne (dallo stipendiato Vivaldi, alle cen-
tinaia di botteghe artigiane), o le attirava dall’esterno
(anche per pochi anni, come per Antonello da Messi-
na o per Scarlatti), o comprava direttamente prodotti
già esistenti sul mercato (un atteggiamento costante
se, in piena e atroce dispersione, la Marciana,con
audace controtendenza, acquistò nel 1835 i tredici
volumi scarlattiani oggi di sua proprietà).
Quando mercanti d’arte spregiudicati, speculatori
astuti, viaggiatori e ambasciatori in cerca di buoni
ProgettiQuegli apparTamenTi sono un monumenTo(continua dalla prima pagina)
anno 3, numero 1, maggio 2006 - p �
affari si mi-
sero assieme a «far man bassa in laguna», riusci-
rono a farlo non solo perché s’era sfasciato il potere
politico della Serenissima, ma anche e specialmen-
te perché non c’erano più quella ricchezza, quel-
l’amore per l’arte, quella coazione al collezionismo
che avevano sostenuto la precedente accumulazio-
ne. Un’accumulazione di cui solo alcune famiglie e
alcune chiese hanno capito il valore e l’esigenza di
conservazione (i Grimani e i Correr che lasciano alla
città, i Quercini che creano una loro struttura per-
manente), mentre tutto il rimanente patrimonio vie-
ne esitato sui mercati di diversa qualità, dalle aste
alla ricettazione. Il collezionismo non sopravvive al
tempo se non ha dentro ì valori culturali profondi, se
si sono solo messi confusamente assieme insiemi
e sottoinsiemi, i più diversi (dai capolavori pittorici,
agli uccelli esotici impagliati). Il collezionismo, infat-
ti, è fenomeno psicologico; non è cultura. Quando
crolla, nel suo crollo trascina tutto il bello e il m e d i
o c re che si è messo insieme, senza criteri selettivi,
e forse senza neppure una capacità di stabilire il va-
lore di quel che si cede, come è evidente dai “prezzi”
con cu i sono esitati alcuni grandi capolavori. Non
sarebbe inutile quindi un ulteriore approfondimento
delle grandezze e delle mise rie de l collezionismo
d’arte. È cosa che interessa la Venezia d’altri tempi;
ma, temo, sarebbe argomento interessante anche
per i nostri giorni.
Giuseppe De Rita
(continua dalla pagina precedente)
rappresentato, ieri, dall'attuale presidente Anna Somers
Cocks. Scettico, all'inizio, il sindaco Massimo Cacciari;
entusiasta, invece, l'assessore Roberto D'Agostino. La
gara d'appalto risale, invece, al novembre del 2003. In
precedenza era stato eseguito il rilievo stratigrafico in
modo da ricostruire, sin nei dettagli, la storia dell'edifi-
cio (Frank Becker). Poi il restauro vero e proprio , affi-
dato agli architetti Mario Piana della Soprintendenza e
a Leo Schubert. Due i principi ispiratori: conservare il
più possibile i materiali preesistenti (nei terrazzi e negli
infissi) e applicare, invece, tecnologie aggiornate per
la risoluzione dei problemi dell'acqua alta. Questa fase
tecnica (48.068 euro) è stata finanziata dal Comitato.
La spesa complessiva è risultata, invece, di 517.362
euro, con un costo medio per metro quadrato di 1500
euro, in linea con i prezzi di mercato. Finanziamento
della Legge Speciale. «Di cui si sono prosciugati i fondi,
così che neppure il ceto medio può provvedere, ora, ai
restauri», stigmatizza il sindaco Massimo Cacciari, ag-
giungendo «non basta un Pinault a salvare Venezia». Il
direttore del Veneto per i Beni Culturali, Bruno Malara,
ha sottolineato la necessità di ristabilire in centro stori-
co un equilibrio residenziale. Comunque un restauro a
favore dei residenti e non a beneficio dei turisti, sinte-
tizza l'assessore Mara Rumiz.
Lidia Panzeri
Progettiun Tram per veneziaIl nuovo sistema tramviario di Mestre e Venezia
Manuela Bertoldo
Anche Venezia, come molte altre città europee, ha
scelto di realizzare un trasporto pubblico elettrico in
primo luogo per contribuire all'abbattimento delle
emissioni inquinanti a livello atmosferico ed acustico
ma anche come alternativa al trasporto privato e ai
problemi di mobilità tra centro storico e Terraferma.
Tra le varie opzioni di trasporto elettrico, il tram corri-
sponde molto bene anche alle esigenze del trasporto
locale, il motore elettrico non produce l'inquinamento
acustico tipico dei motori termici e la trazione su gom-
ma lo rende meno rumoroso di un tram tradizionale
che "sferraglia" nell'attrito ruota rotaia.
L’amministrazione comunale di Venezia e le associa-
zioni di categoria hanno sottoscritto lo scorso marzo
un protocollo d’intesa per la realizzazione del nuovo
sistema tramviario di Mestre e Venezia. Il protocollo
è il risultato di una serie di incontri tra il comune di
Venezia la PVM (Società di Patrimonio per la Mobilità
Veneziana) PMV SpA, Società del Patrimonio per la
Mobilità Veneziana, [1]e le associazioni di categoria.
Nel 2004 Unindustria di Venezia chiese al presidente
di PVM di istituire un tavolo tecnico sul quale recepi-
re tutte le istanze degli associati in particolare quelle
provenienti dal settore turistico. Il progetto all’inizio
aveva destato le preoccupazioni di alcuni albergatori
a causa della prevista costruzione di un sottopasso in
via Piave, di fronte alla stazione ferroviaria di Mestre,
nonostante venisse riconosciuta e condivisa l’im-
portanza della nuova opera da tutte le associazioni
di categoria. Si esaminò su proposta di Unindustria
di modificare il tracciato e prevedere il sottopasso
in via Capuccina, fu formalizzato un documento che
prevedeva la richiesta di informazione preventiva su
ogni fase del progetto e sul tipo di intervento dei nuovi
lavori: pericolosità, rumore, tempi e definizione con-
giunta della viabilità generale con percorsi alternativi
a quelli oggetto del cantiere.
La proposta di modificare il tracciato è stata presa
in esame dalla nuova Amministrazione comunale
prevedendo due varianti al tracciato originario, che
saranno oggetto di discussione in Giunta Comunale
nei prossimi mesi. Il comune di Venezia preso atto
che l’esecuzione dei lavori avrebbe causato ricadu-
te sulle attività produttive, commerciali, e ricettive
localizzate nelle prossimità dei cantieri ha valutato
forme di agevolazioni (eventuale riduzioni della To-
sap, Cimp e altro) nel caso i lavori si dovessero pro-
trarre oltre i tempi previsti dal progetto.
Il successo del protocollo d’intesa è infatti quello
di rendere sistematico un dialogo tra le parti: su lo
stato di avanzamento dei lavori, sulle modalità ope-
rative e sui tempi di realizzazione.
DATI TECNICIIl sistema tranviario di Mestre-Venezia prevede la rea-
lizzazione di due linee con uno sviluppo complessivo di
circa 20 Km. e 20 veicoli.
Linea 1 : Il tracciato prevede una percorrenza di oltre
14 Km con la localiz-
zazione di 23 fermate,
capolinea localizzati
in Favaro Veneto - Ve-
nezia, punto d'inter-
scambio con la linea
due in centro Mestre e
frequenza del servizio
ogni 5 minuti
Linea 2 Il tracciato pre-
vede una percorrenza di
circa 6 Km con localiz-
zazione di 17 fermate,
capolinea localizzati in
Marghera (Panorama)
– Centro Mestre zona
interscambio, frequen-
za del servizio ogni 7
minuti.
Note :
[1] nasce nel dicembre 2003 a seguito di un atto di
scissione di ACTV SpA che aveva lo scopo di separare
l’attività di esercizio del trasporto pubblico dalla proprietà
delle infrastrutture
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