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Soteriologia e teologia della Redenzione: una revisione.
Antonio DUCAY
Sommario:
I. REVISIONE DEL FONDAMENTO BIBLICO. I. Soteriologia ed evoluzione della teologia negli ultimi decenni. II. Il
fondamento della soteriologia nella vita e nella pasqua di Cristo: a) Gesù e il Regno. b) Gesù di fronte alla sua morte. c) Il
Risorto e la salvezza. III. La contestualizzazione biblica dell‟opera salvifica di Cristo: a) Mediatore di salvezza. b) La
mediazione salvifica: giustizia e sacrificio.
II. REVISIONE DEL CONTENUTO. I. La questione dell‟“orizzonte” e dell‟unità della soteriologia: a) Soteriologia e
unità del piano salvifico di Dio. b) Rivelazione e salvezza. c) Salvezza integrale. II. Il Mediatore e la sua azione salvifica: a)
Trascendenza e storia nell’azione salvifica. b) Cristo, causa di salvezza. III. Sull‟opera redentiva: a) La Croce, rivelazione
dell’amore di Dio. b) La Croce, assunzione del peccato del mondo. c) La Croce come dono sacrificale. d) Redenzione, liberazione e
peccato. e) La Risurrezione, assunzione del mondo nella comunione trinitaria.
III. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE.
Non tutti i trattati sono stati coinvolti allo stesso modo dal rinnovamento teologico maturato dal
Concilio Vaticano II e prolungatosi negli anni successivi. Alcuni trattati, infatti, lo hanno potuto
assumere avendo già un' identità ben definita, o perché il loro contenuto essenziale era già stato
fissato in epoche anteriori (come nel caso del De Deo uno et trino), o perché il Concilio stesso ne
diede, con la sua dottrina una strutturazione essenziale (come per il De Ecclesia o la mariologia).
Per altri trattati non fu così.
La storia della teologia ha conosciuto epoche nelle quali si è affrontata con più attenzione una
specifica area del dogma: la Trinità, la cristologia, la grazia, quella che chiamiamo la "teologia
fondamentale"..., ma non ci sono stati periodi dedicati specificatamente alla soteriologia. Le
proposizioni magisteriali a riguardo sono limitate e sobrie. Ancorata a pochi riferimenti e fatta
emblema di una nuova sensibilità teologica, la soteriologia ha sofferto, come pochi altri trattati,
delle oscillazioni del processo di rinnovamento. Si è vista obbligata a prestare servizio ad aree
molto diverse, assecondando la "svolta antropologica" e quei parametri che hanno occupato un
ruolo preponderante nella scena teologica: la rivelazione, la fede, l'esistenza umana, la storia della
salvezza, il "Gesù storico", l' "immagine di Dio"... Tutto ciò ha determinato una notevole pluralità
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di orizzonti e di contesti per la produzione soteriologica, e non ne ha favorito un sereno sviluppo1.
Da ciò deriva un certo disorientamento, specialmente per chi non ha molta familiarità con
l'argomento.
Con questo articolo ci proponiamo di offrire ai giovani professori e agli studenti degli ultimi
cicli di teologia uno strumento che permetta loro di orientarsi nell'ambito della teologia della
redenzione e dei suoi recenti sviluppi. Ci limiteremo alla teologia cattolica2 e alle questioni che ci
paiono di maggior rilevanza per la “disciplina” soteriologica3. Non è nostro intento fare una cronaca
di ciò che è stato detto, desideriamo invece far emergere gli aspetti principali, le linee di tendenza e
le correnti della soteriologia recente. Privilegeremo perciò gli aspetti di novità, senza però
soffermarci sulle posizioni dei singoli autori, salvo in casi che lo richiedano4. La trattazione si
comporrà di due parti: prima forniremo una revisione dei contenuti biblici che stanno alla base della
soteriologia e poi ne esamineremo i principali contenuti teologici5.
Per iniziare però conviene soffermarsi brevemente su ciò che costituisce il quadro di
riferimento di tutto questo, ossia i passi compiuti dalla soteriologia sul percorso che ha guidato il
rinnovamento comune a tutta la teologia e che ha portato a mettere in rilievo le questioni bibliche.
1 Nel 1989, O. González de Cardedal affermava: «la soteriologia sistematica si trova oggi di fronte ad una
montagna di problemi. Non è un caso che compaiano varie elaborazioni che si propongono come un abbozzo di una
nuova soteriologia. Si ha l'impressione di dover cominciare a pensare un problema con categorie nuove, con una nuova
sensibilità, con una rinnovata lettura della Sacra Scrittura. Sono pochi gli ambiti dove sia così evidente, come in questo,
la condizione e il limite del linguaggio teologico secondo quanto indicava la Mysterium Fidei. Le espressioni teologiche
anteriori nel trasmettere il dogma ad un epoca concreta ne assumevano le speranze e le precomprensioni; oggi noi non
possiamo riprendere le medesime espressioni senza correggerne gli accenti, i presupposti e le intuizioni». La
soteriologia contemporánea, «Salmanticenses» 36 (1989) 294-295. Traduzione nostra.
2 Altri autori o linee di pensiero saranno incluse nella misura in cui influenzano la teologia cattolica.
3 A rigore, “soteriologia” copre un campo semantico più vasto rispetto a “teología de la redención” (la prima fa
riferimento a tutto ciò che è relativo alla salvezza). Nel contesto di questo lavoro, però, li useremo come termini
equivalenti. La nostra prospettiva, in ogni caso, sarà quella di una “teologia della redenzione”, perché in essa si centra
la soteriologia come “disciplina” teologica.
4 Data la ampiezza dell'esposizione e per rendere più agevole la lettura in ambito accademico, ci è parso
opportuno riportare tutte le citazioni in italiano; quando l'originale è in un'altra lingua e abbiamo potuto disporre della
traduzione spagnola lo abbiamo tradotto all'italiano mantenendo il rif. bibliografico delle edizioni in spagnolo. La
traduzione è sempre nostra (NdT).
5 Non tratteremo in questa sede alcune questioni che, per la loro grande attualità sono già state oggetto di
eccellenti esposizioni. Non tratteremo, in particolare, il tema della universalità salvifica di Cristo in riferimento alle
religioni, né temi a questo vicini, come quello della salvezza fuori dalla Chiesa. Rimando, a modo di introduzione, a
G. CANOBBIO, Salvezza solo in Gesù Cristo?, «La Rivista del Clero Italiano» 88 (2007), 340-354; J. RATZINGER, La
unicidad y la universalidad salvífica de Cristo y de la Iglesia, in Cristo, camino, verdad y vida, Murcia, Universidad
Católica San Antonio 2003, 307-322; A. AMATO, L'unicità della mediazione salvifica di Cristo: il dibattito
contemporaneo, en M. CROCIATA, Gesù Cristo e l'unicità della mediazione, Edizioni paoline, Milano 2000, 13-44; G.
O'COLLINS, Christ and the Religions, «Gregorianum» 84 (2003), 347-362.
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I. Revisione del fondamento biblico.
I. Soteriologia ed evoluzione teologica degli ultimi decenni
Il quadro generale è determinato dalla questione problematica della "comunicabilità" della fede
in un mondo che si percepisce sempre più lontano dalla dottrina cristiana. Come spiega Ratzinger,
ogni volta che si apre una distanza, o un contrasto, tra l'aspetto storico dell'uomo e ciò che per lui è
essenziale, si apre anche una dinamica di revisione nella quale l'uomo "smonta" - per così dire - il
suo passato per ricostruirlo dalle radici6.
La rotta tracciata dall'ideale dell'uomo del XVIII e XIX secolo aveva aperto questa distanza e
creava lo spazio per una nuova formulazione del cristianesimo che entrasse in dialogo con le nuove
prospettive. Tanto in ambito cattolico come in ambito protestante venne accolta tale esigenza, e si
cercarono nuove modalità di comunicazione e di rinnovamento dottrinale tornando alle radici del
dogma cristiano e alle sue fonti.
Ciò fu fatto in modi molto diversi, il mondo protestante privilegiò inizialmente la via
antropologica, vale a dire la ricerca di punti di contatto tra le istanze genuinamente cristiane e quelle
che parevano più vere e familiari allo spirito moderno. Tale desiderio di "attualizzazione" della fede
alla modernità fu senz'altro alla base della ricerca che tentava di indagare il Gesù autentico, capace
di commuovere l'uomo7, o del Gesù che introduce l'esistenza umana nella sua dimensione
"autentica" (Bultmann)8. Questi progetti però vennero meno quando fu manifesto il rischio
6 Teoría de los principios teológicos. Materiales para una teología fundamental, Herder, Barcelona 1985, 181.
7 Fu questo l'intento principale della scuola liberale protestante presso la quale si designa come “prima ricerca”
della vita di Gesù (First Quest). La First Quest si sviluppò principalmente lungo il XIX secolo, lesse i Vangeli come
documenti biografici sorti dall'impatto suscitato dalla figura di Gesù e cercò di ricostruire l'evoluzione psicologica della
sua affascinante personalità. La bibliografia riguardo ai vari metodi di accesso al Gesù dei Vangeli è molto numerosa.
Per un’introduzione si veda: J.-N. ALETTI, Exégètes et théologiens face aux recherches historiques sur Jesús,
«Recherche de Science Religieuse» 87 (1999), 423-444; G. BARBAGLIO, L'attuale ricerca storica su Gesù. Un'opera
monumentale, «Cristianesimo nella storia» 25 (2004), 877-896; A. CADAVID, La investigación sobre la vida de Jesús,
«Teología y vida» 43 (2002), 512-540; V. FUSCO, Un secolo di metodo storico nell'esegesi cattolica, «Studia Patavina»
41 (1994), 37-94; A. J. GODZIEBA, From «Vita Christi» to «Marginal Jew». The Life of Jesus as Criterion of Reform in
Pre-critical and Post-critical Quests, «Louvain Studies» 32 (2007), 111-133; D. MARGUERAT, La ricerca del Gesù
storico tra storia e teologia: nessi e tensioni, «Teologia» 33,1 (2008), 37-54; J. SCHLOSSER, La recherche historique
sur Jésus: menace et/ou chance pour la foi?, «Revue des Sciences Religieuses» 80,3 (2006), 331-348; G. SEGALLA, La
verità storica dei vangeli e la “terza ricerca” su Gesù, «Lateranum» 61 (1995), 461-500.
8 La costatazione di Albert Schweitzer del 1906, che metteva in evidenza come la ricostruzione del Gesù storico
dipendesse dalle preferenze di ogni storiografo, che finiva per tracciare la figura di Gesù di maggiore interesse per sé,
pose termine alla First Quest e portò alcuni autori a concludere che il Gesù dei vangeli era inaccessibile e inutile alla
fede, e che la fede cristiana non potesse dipendere dalla storia di Gesù. Da qui la conclusione di R. Bultmann che la
storia di Cristo sia irrilevante ai fini della fede e che ciò che è decisivo sia la predicazione del messaggio di Gesù sul
desiderio di Dio di salvare il mondo. Questo messaggio sarebbe in sintonia con gli interrogativi degli uomini sul senso
della propria esistenza e permetterebbe loro di orientare la vita.
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dell'arbitrarietà che portavano in sé; ne venne una forte reazione, volta a sottolineare l'oggettività
della Rivelazione cristiana. Può essere utile soffermarci brevemente su questi passaggi perché da
essi provengono due elementi che hanno poi influenzato notevolmente la soteriologia cattolica.
In primo luogo, con K. Barth9 si sottolinea decisamente il carattere verbale, divino e
indisponibile della Rivelazione (intesa come Parola di Dio in Cristo che si rende presente all'uomo
in virtù della fede che essa stessa suscita); il soggetto/oggetto della teologia non è l'uomo con le sue
inquietudini, ma il Dio superno (il Totalmente Altro) che in Cristo traccia l'unico cammino di
salvezza. Sebbene la teologia cattolica non seguirà la via del teologo svizzero nella sua pretesa di
annullare il significato teologico del mondo e dell'uomo, non ne sottovaluterà tuttavia la
rivendicazione della priorità dell'azione salvifica di Dio, né l'insistenza sul fatto che l'economia
della salvezza sia fondata su un movimento verticale di ordine discendente.
Grazie a O. Cullmann [Cristo y el tiempo (1946)10] e alla scuola della historia salutis11, si
giunse in seguito ad una comprensione della Rivelazione come "storia di salvezza", preparata dalla
Antica Alleanza e compiuta in Cristo, orientata permanentemente alla futura consumazione
escatologica. Al carattere verbale della Rivelazione sottolineato da Barth, Cullmann contrappone la
visione secondo la quale essa sarebbe essenzialmente avvenimento, kairós, sequenza di eventi
salvifici che Dio compie nella storia.
Sono anni di rinnovamento anche per la teologia cattolica, che accoglie l'idea di fondo del
teologo di Strasburgo, purificando l'opposizione tra evento e parola e sottolineandone, al contrario,
la mutua implicazione e la reciproca comprensione12 (come sarà poi reso esplicito dalla Dei
Verbum).
In questo stesso periodo, la prospettiva storico-salvifica è ben sostenuta anche dalla prospettiva
scritturistica. Da una parte infatti si comincia a superare lo scetticismo di Bultmann e a prendere
9 Si veda soprattutto l'opera monumentale Die Kirchliche Dogmatik, EVZ-Verlag, Zürich, 13 voll., 1932-1967.
10 Orig. Christus und die Zeit. Die urchristliche Zeit- und Geschichtsauffassung, Evangelischer Verlag, Zollikon
(Zürich), 1946.
11 Cfr. G. SEGALLA, Teologia biblica del Nuovo Testamento. Tra memoria escatologica di Gesù e promessa del
futuro regno di Dio, Elledici, Leumann (TO) 2006, 44-45.
12 Se ne fa eco specialmente J. Danielou nel 1953, quando pubblica il suo Essay sur le mystère de l‟histoire,
Èditions du Seuil, Paris 1953.
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coscienza che la storia ha parte ineludibile nel kerigma13, e cioè che i Vangeli non sono solo
messaggio posto nella storia, ma che la storia del messaggio è parte integrante di essi; i vangeli
infatti desiderano trasmettere proprio la memoria della storia di Cristo, raccolta da chi ne fu
testimone. D'altra parte, gli studi sull'Antico Testamento del bavarese G. von Rad affrontavano da
un'altra prospettiva l'integrazione della storia all'interno della Rivelazione14. Il professore tedesco
proponeva una lettura dinamica dei testi biblici, comprendendoli in seno alla tradizione che li aveva
generati, sia per il contesto storico sia per il contesto di fede nei quali furono scritti ed elaborati. Da
questo punto di vista, la Parola di Dio che la Scrittura trasmette è una Parola incarnata nella storia
della comprensione della fede del popolo d'Israele e solo a partire da essa diviene pienamente
accessibile.
Nonostante alcune circostanze particolari portarono i teologi cattolici ad elaborazioni differenti,
molte di queste istanze si ritrovano anche tra loro15 che, con il mondo protestante, condivisero le
sollecitazioni provenienti dal mondo della cultura. Si percepì innanzitutto come inadeguata la
concezione teologica dominante – che era di stampo neoscolastico e apologetico – poiché appariva
come un sistema di pensiero costrittivo ed eccessivamente rigido per la mentalità contemporanea16.
Emerse dunque un conflitto tra sensibilità distanti (una più ontologica ed una più storica) che diede
luogo a due sistemi e a due metodi teologici differenti17. Da un lato la dottrina cristiana pretendeva,
nella sua versione scolastica, di essere una verbalizzazione dell'Assoluto, dell'immutabile verità
13 In questo è contenuto l'apporto della "seconda ricerca" della vita di Gesù (chiamata anche New Quest). L'inizio
della seconda fase viene attribuito alla conferenza di E. Käsemann (uno dei discepoli di Bultmann), pronunciata a
Marburgo nel 1953, pubblicata con il titolo, Das Problem des historichen Jesus, ZTK 51 (1954), 125-153. Come indica
Bordoni, «per Käsemann è necessario ammettere che il Gesù terrestre appartiene costitutivamente alla fede nel Cristo
pasquale, e che l'indagine sul Gesù storico è un'esigenza della fede nel Cristo Salvatore». M. BORDONI, Gesù di
Nazaret. Signore e Cristo, I: Problemi di metodo, Herder - PUL, Roma 1982, 46.
14 Theologie des Alten Testaments, Bd I, Die Theologie der geschichtslichen Überlieferungen Israels, München
1957; Bd II, Die Theologie der Prophetischen Überlieferungen Israels, München 1960.
15 Cfr. G. ANGELINI, La vicenda della teologia cattolica nel secolo XX, en Dizionario Teologico Interdisciplinare,
III, Marietti, Torino 1982, 609-672; G. CANOBBIO, Uno sguardo complessivo sulla teologia del '900, in IDEM, Teologia
e storia: l'eredità del '900, San Paolo, Cinisello Balsamo 2002, 7-32; J. M. CONNOLLY, Le renouveau théologique dans
la France contemporaine (orig. inglese: The voices of France. A survey of contemporary theology in France), Éditions
Saint-Paul, Paris - Fribourg 1966; R. AUBERT, La théologie catholique durant la première moitié du XX siècle, in R.-V.
VAN DER GUCHT, H., Bilan de la Théologie du XX siècle, I, Paris 1970, 423-478; B. MONDIN, Storia della teologia,
EDB, Bologna 1996-1997, 446-571; A. DONI, La riscoperta delle fonti, en R. FISICHELLA (a cura di), Storia della
teologia, III: Da Vitus Pitcher a Henry de Lubac, EDB, Roma - Bologna 1995, 443-474; R. GIBELLINI, La teologia del
XX secolo, Queriniana, Brescia 2007, 161-270; R. WINLING, La théologie contemporaine : (1945-1980), Le centurion,
Paris 1983, 60-92.
16 Cfr. WINLING, La théologie contemporaine, 67.
17 Le correnti che cercano di rinnovare in questi anni il modo e la forma di fare teologia costituirono il
movimento della Nouvelle Théologie.
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divina, e quindi di essere al riparo dalla mutevolezza dei tempi, come si conviene a chi raccoglie
una verità rivelata da Dio e pertanto eterna. Dall'altro lato, per una mentalità che si era esercitata a
cogliere i fenomeni secondo le loro caratteristiche storiche questo carattere di immutabilità risultava
frutto di una concezione di stampo fondamentalista, imposizione arbitraria di un unico modo di
accedere alla realtà, e non un'esigenza resa necessaria dalla trasmissione genuina del dogma
cristiano18.
Questo conflitto acutizzato nella forma del modernismo fu giustamente condannato dal
Magistero della Chiesa nei primi anni del Novecento, ma l'istanza di verità resa presente dal
movimento di rinnovamento era destinata ad emergere, sia a livello del dibattito sullo specifico
cristiano (l'essenza del cristianesimo), sia sul piano metodologico delle vie di accesso a tale
specificità.
Si metteva in evidenza (Danielou) che «la rivelazione cristiana non è soltanto una teoria
sull'ordine ideale del cosmo, ma insieme di testimonianze di avvenimenti che, nella loro
successione progressiva, sono le categorie che fanno la "storia della salvezza"»19. Si volse dunque
lo sguardo ai Padri che con il loro schema della oeconomia salutis offrivano l'opportunità di
intrecciare la Tradizione al rinnovamento teologico desiderato; al contempo si estendeva una
maggiore accettazione del metodo storico applicato alla Sacra Scrittura man mano che si potevano
riconoscere i buoni risultati raggiunti da alcuni esegeti protestanti che lo applicavano20. Tutto
questo appuntava, seguendo il parere di Doni, a «una maggior libertà nel campo delle
interpretazioni e dei costrutti teologici, (...) e ad una percezione più ricca e globale del mistero
rivelato»21. Il mondo teologico cattolico si andava spostando da una posizione più concettuale e
centrata sulle formulazioni dogmatiche ad una maggiormente storica e personale, più centrata su
Cristo e sul suo mistero.
18 Su questo aspetto si veda cfr. J. RATZINGER, Teoría de los principios teológicos, Herder, Barcelona 2005, 105-
109; CANOBBIO, Uno sguardo complessivo, 10.
19 Cfr. G. ANGELINI, Storia, storicità, en Dizionario Teologico Interdisciplinare, III, 343, che sintetizza la
posizione di Danielou.
20 Il cardinale J. Ratzinger ricordava quest'ultimo aspetto in una conferenza tenuta davanti alla Pontificia
Commissione Biblica a motivo dei 100 anni dell'istituzione. Cfr. J. RATZINGER, La relación entre Magisterio de la
Iglesia y exégesis, Zenit, 9-V-2005.
21 DONI, La riscoperta delle fonti, 458.
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I vantaggi di questo spostamento erano evidenti: ancorare il discorso cristiano a ciò che ne
costituisce il fondamento, vale a dire all'azione salvifica di Dio, attribuiva la priorità al dato rivelato
rispetto alle speculazioni teologiche e alle dottrine di scuola, e semplificava la presentazione della
dimensione apologetica del cristianesimo, che si fonda sui fatti testimoniati e non sulle dottrine
teoriche; avvicinava infine il discorso cristiano ad una cultura che evidentemente era propensa alla
storia e ad una rinnovata sensibilità per il dato storico. Ma anzitutto si sottolineava la distanza che
intercorre tra la fede cristiana e ogni genere di narrazione mitologica o di soggettivismo religioso, e
si affermava la realtà dell'extra-nos della salvezza, così come la volle Dio e cioè offerta
nell'incarnazione e nel mistero del Figlio di Dio. Si poteva inoltre scorgere meglio la profonda unità
tra l'evento che fonda il cristianesimo, la comprensione che ne ebbe la prima comunità cristiana e la
formulazione dogmatica che se ne fece posteriormente, in modo da mostrare più chiaramente la
coerenza della Chiesa rispetto alla propria origine e allo sviluppo che seguì 22.
In ogni caso, come afferma Serenthà, «riscoprire il primato dell'economia, la centralità della
dimensione storico-salvifica, porta a mettere in primo piano, come conseguenza logica, la
cristologia, l'azione di salvezza operata da Cristo, includendo tutta la sua vicenda storica fino
all'apice della sua Pasqua»23. L'attenzione dunque, non solo degli esegeti, ma anche dei teologi, si
orientò sul significato della vita di Cristo, del suo messaggio e della sua predicazione, delle sue
guarigioni e dei miracoli, del processo che lo condusse alla morte e alla glorificazione.
Ci soffermeremo di seguito su tre ambiti degni di special nota in questa revisione della figura
del Cristo: la sua concezione del Regno, il suo pensiero riguardo alla propria morte e la realtà della
sua risurrezione corporale.
II. Il fondamento della soteriologia nella vita e nella pasqua di Cristo
a) Gesù e il Regno
Una delle domande principali che ha dovuto affrontare la teologia negli ultimi decenni potrebbe
essere formulata così: che cosa volle fare Gesù? ovvero: come intese la sua missione? Anche se la
risposta a tale questione ha una risonanza su tutta la dogmatica cristiana, la teologia della
redenzione ne è toccata in modo particolare giacché il fondamento del discorso soteriologico
22 Cfr. M. BORDONI, Gesù di Nazaret. I, 24 ss.
23 Cfr. M. SERENTHÀ, Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre, Elle-Di-Ci, Torino-Leumann 1986, 15.
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cristiano non può che essere costituito dalla missione che Cristo venne a realizzare e ciò può essere
fondato soltanto su ciò che Egli stesso disse e operò.
La questione sulla missione di Cristo è stata affrontata seguendo approcci diversi. Il più
recente, in linea con la Third Quest 24, cerca di stabilire gli obiettivi di Gesù a partire dalla stessa
comprensione che Gesù ebbe delle Scritture di Israele e delle aspettative del suo tempo. Si potrebbe
formulare il punto di partenza in questi termini: quale era la prospettiva nella quale Gesù
considerava le promesse di Dio a Israele?25. La risposta non è semplice, soprattutto se si accoglie
l'opinione di Dunn, secondo la quale i diversi motivi della speranza di Israele all'epoca di Gesù non
sono riconducibili ad una prospettiva uniforme e determinabile ma costituiscono «una serie di realtà
disperse, di speranze e aspirazioni giustapposte, senza alcuna pretesa di totalità »26. In ogni caso, a
partire dai racconti evangelici e dalle formulazioni delle speranze dell'Antico Testamento, è
possibile stabilirne alcuni aspetti fondamentali.
Genericamente tutti gli specialisti si trovano in accordo nello stabilire che «la missione di Gesù
fu orientata completamente alla venuta del regno di Dio e alla sovranità salvifica di Dio, presente e
futura»27. Il regno di Dio fu il centro unitario della missione e dell'opera di Cristo. Per determinare
come Gesù intese questo Regno e il ruolo che in esso attribuì a se stesso, bisogna riprendere tre
questioni che storicamente sono state sollevate su questo tema in area protestante. Le accenniamo
qui semplicemente per poi chiarirle a poco a poco in seguito.
24 La New Quest constatò l'impossibilità di separare la vita di Gesù dall'annuncio che di Lui fecero i primi
discepoli (cfr. nota 13), e si volse ad individuare ciò che fosse caratteristico di Gesù, con la piena consapevolezza che
le fonti erano costituite da testimoni credenti. In seguito, grazie alla scoperta di nuove fonti sul contesto socio-religioso
giudaico del primo secolo, si aprirono nuove prospettive per inquadrare la figura di Cristo. L'interesse teologico
(escatologico) della New Quest lasciò il passo ad un nuovo orientamento, a carattere più sociologico, che si suole
designare come Third Quest.
25 A questo proposito è stato oggetto di dibattito il libro di N. T. WRIGHT, Jesus and the victory of God, SPCK,
London 1996. Wright propone un' interpretazione delle intenzioni di Gesù in linea con Is 52,7-12, (la restaurazione di
Israele da parte di Dio). Scrive: «Gesù condivise i sentimenti di molti dei suoi contemporanei: il Dio di Israele aveva
deciso di agire definitivamente nella storia per compiere le sue promesse: liberare Israele e instaurare il diritto nel
mondo intero. Gesù pensò che il suo compito e la sua vocazione consistessero nel portare a termine (bring about) questi
accadimenti». N. T. WRIGHT, In Grateful Dialogue. A Response, en C. C. Newman (ed.), Jesus & the Restoration of
Israel. A critical assessment of N.T. Wright's „Jesus and the Victory of God‟, InterVarsity Press - Paternoster Press,
Downers Grove (IL) - Carlisle (UK) 1999, 270.
26 J. D. G. DUNN, Jesus and the Kingdom: how Would his Message Have Been Heard?, in D. E. AUNE et al.
(edited by), Neotestamentica et Philonica. Studies in honor of Peder Borgen, Brill, Leiden-Boston 2003, 3-36 (citazione
alle pp. 8-9).
27 G. SEGALLA, Il Regno di Dio centro unitario della missione e dell'opera di Gesù, in IDEM, Teologia biblica,
131.
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La prima è la nota obiezione di von Harnack (+1930) secondo la quale nel Vangelo la
"cristologia" sarebbe marginale, mentre il punto focale sarebbe la relazione degli uomini con il
Padre28. Da ciò si potrebbe dedurre che la Chiesa primitiva avrebbe corrotto il cristianesimo quando
incentrò la propria dottrina sulla predicazione di Gesù, Figlio di Dio, quasi estraendola dal contesto
del regno di Dio che Gesù predicava. Un secondo aspetto sarebbe la tesi (oggi ampiamente
superata) del "segreto messianico", messa in luce da Wrede (+1906), che consisterebbe nel fatto che
Gesù non avrebbe avuto l'intenzione di proclamarsi Messia prima della sua Risurrezione, fornendo
così una spiegazione al silenzio imposto ripetutamente da Gesù circa la sua identità e specialmente
marcato nel vangelo di Marco29. Infine facciamo riferimento alla domanda formulata soprattutto a
partire dall'opera di J. Weiss, sul carattere di fondo della predicazione di Cristo, e, concretamente,
sulla domanda se Gesù concepisse la sua predicazione come un annuncio di conversione radicale
nelle imminenze dalla fine del mondo30.
Tenendo presenti tali quesiti, cerchiamo ora di enucleare su che cosa si centrò il ministero
pubblico di Gesù e che tipo di Regno predicò e come intese la propria relazione con questo Regno.
Per far questo conviene descrivere prima brevemente l'attività iniziale di Gesù e vederne lo sviluppo
posteriore.
Non c'è dubbio che in un dato momento della sua vita Gesù comprese che era giunta l'ora di
agire pubblicamente. Nei Sinottici questo momento è marcato dall'esperienza dello Spirito, che
avvenne in occasione del suo battesimo nel Giordano, per mano di Giovanni. A partire da allora
«Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona
novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23).
L'Evangelista Marco sintetizza la predicazione di Cristo con queste parole: «Il tempo è compiuto, e
il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).
28 «L'unico che costituisce il Vangelo predicato da Gesù è il Padre, non il Figlio » in A. VON HARNACK, La
esencia del cristianismo (1900), [J. MIRÓ FOLGUERA, v. I, Barcelona 1904, 133].
29 W. WREDE, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien. Zugleich ein Beitrag zum Verständnis des
Markusevangeliums, Göttingen 1901. Per Wrede il vangelo di Marco sorse con l'intento di spiegare perché Gesù ebbe
un atteggiamento così poco "messianico" per tutta la sua vita. Attraverso l'artificio letterario del “segreto” (Gesù che
proibisce ai demoni, ai sanati, ai discepoli, di rivelare la sua identità), Marco ha ottenuto di stabilire che Gesù è il
Messia –come pensava la Chiesa del suo tempo– e che nessuno lo seppe fino a dopo la sua morte, poiché fu rivelato
solo con la proclamazione della sua Risurrezione.
30 J. WEISS, Die Predigt Jesu vom Reiche Gottes, Gottingen 1892. La tesi fu poi sostenuta in modo più sistematico
nell'opera di A. Schweitzer. Cfr. Geschichte der Leben-Jesus-Forschung, Tübingen, 4a ed. 1926.
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I contemporanei di Gesù non dovettero rimanere sorpresi dal fatto che Gesù metteva al centro
del suo messaggio il regno di Dio. La confessione monoteista e la particolare relazione dell'unico
Dio con Israele costituivano il fondamento della vita sociale giudaica. Ogni pio israelita recitava la
professione che si legge in Dt 6, 4-5: «Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore.
Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze». Un israelita
devoto sentiva come propria l'espressione che Davide aveva cantato quando l'arca fu trasportata a
Gerusalemme e raccolta più volte nei Salmi: “Il Signore è il Re” o “il Signore regna” (Jhwh malak):
Dio si è proclamato re e governa su Sion. Quando Gesù parla del "regno di Dio", o del "regno dei
cieli" (hē basileía toû theoû o tôn ouranôn) fa riferimento alla sovranità regale di Dio, anche se
l'immagine del Regno che predicava Gesù, incentrata sul volto di un Dio paterno e misericordioso,
che ama gli uomini, non mancava di elementi di originalità31. Gesù non affermava soltanto la
prossimità del Regno, come faceva Giovanni il Battista, ma anche la sua presenza: il Regno è
giunto32, si trova in mezzo ai discepoli33, e questo si deduce dalle opere stesse che Gesù compie:
esorcismi, miracoli, guarigioni. Tale presenza – che forse costituisce « l'aspetto più caratteristico del
Regno predicato da Gesù»34– manifesta che il Regno è «un dono puramente gratuito di Dio, un bene
che offre all'uomo senza che questi possa in alcun modo forzarlo a venire né accelerarne i tempi»35;
è l'inizio della salvezza definitiva dalla condizione di miseria e di peccato nella quale si trova
l'uomo. L'accento è, pertanto, sul cambiamento epocale che Gesù porta con sé: il tempo della
promessa termina e si entra nel tempo decisivo, escatologico, del compimento.
31 G. SEGALLA, Teologia bíblica, 133. Secondo J. D. G. Dunn, nel quadro delle aspettative messianiche di Israele,
era comune pensare che «Yahweh è re ed Egli ha un disegno coerente su Israele, che si sta compiendo». Questo però
non significava che ci fosse una visione uniforme di come questo compimento di sarebbe dato. Cfr. Jesus and the
Kingdom, 3-36 (cit. pp. 8 y 9).
32 Cf. Mt 12,28.
33 Cf. Lc 17,21.
34 G. SEGALLA, Teologia bíblica, 157. Che il Regno sia presente nella persona, nell'insegnamento e nelle opere di
Gesù, è posizione quasi unanime tra gli esegeti di ambito cattolico. Nel mondo protestante si riconosce a questa scelta
una posizione un equilibrio tra le correnti dell'escatologia “conseguente” che, con A. Schweitzer, affermavano che Gesù
pensasse ad una irruzione imminente dell'ultima consumazione, e quelle della escatologia “realizzata”, che con C. H.
Dodd, suggerivano che il Regno consistesse precisamente nel dono che attraversava la storia nell'agire di Gesù. Queste
due correnti continuano ad influenzare l'ambiente dei teologi della Riforma.
35 M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, memoria, attesa, Queriniana, Brescia 1988, 141. La formulazione
stessa impiegata da Gesù quando parla della “venuta del Regno” (Mc 9,1; Mt 6,10), ne indica il carattere di dono
gratuito e, al contempo, definitivo: il Regno.
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Vi è certamente, nella predicazione di Cristo, un senso di urgenza e di imminenza, reso
manifesto dalla radicalità della chiamata a mettersi a totale disposizione dell'invito divino36 e dalla
convinzione di essere entrati nell'ora decisiva della conversione e della azione salvifica. Vero è pure
che Gesù inquadra il suo messaggio in un'ottica di futuro ultimo, nell'orizzonte del giudizio finale e
della consumazione del mondo37. Però Gesù non incentra la sua predicazione sul Giudizio o
sull'Ultimo Giorno, quanto piuttosto sul carattere definitivo della salvezza offerta da Dio per mezzo
di Lui e sulla necessità di non trascurarla38. Gesù non è il messaggero della fine dei tempi bensì
dell'inizio dei tempi definitivi, che, come tali, sono connessi alla fine dei tempi. Neppure nei suoi
miracoli39 si diedero le manifestazioni apocalittiche della fine dei tempi; essi furono invece segni
rivelatori di un mondo nuovo che trovava nella missione di Gesù la sua origine e il suo
compimento40.
Speciale interesse vi è nella relazione sussistente tra Gesù e il Regno, che diviene sempre più
evidente quanto più avanza la sua missione terrena. Si può approcciare questo rapporto, per così
dire, “dal di dentro”, a partire cioè da quanto è stata chiamata la “cristologia implicita”41, che ha
due elementi portanti: la “autorità” (éxousía) di Cristo e la “sequela” di Cristo.
36 Cfr. P. STUHLMACHER, Gesù di Nazaret, Cristo della fede, Dehoniane, Bologna 1992, pp. 29-39 (in particolare
si veda p. 31).
37 È caratteristica l'espressione «in quel Giorno ….», pronunciata in riferimento al giudizio ultimo di Dio e alla
consumazione del mondo. Cfr. Mt 7,22; Mc 2,20; Lc 5,3; 10,12 ecc.
38 Non accada che quel giorno giunga come un ladro e non si sia pronti. Questa disposizione alla vigilanza –
presente nelle parabole delle dieci vergini (Mt 25,1-13), del ladro di notte (Lc 12,39-40//Mt 24,43-44), del
amministratore disonesto (Lc 12,41-46//Mt 24,45-51), dei talenti o delle mine (Mt 25,14-30//Lc 19,11-27)– è ciò che
interessa a Gesù. Questo però non significa che Gesù abbia vissuto in attesa di questo evento messianico, secondo la
congettura di J. A. T. Robinson (The Most Primitive Christology of All, «Journal of Theological Studies» n. s. 7 (1956),
177-189).
39 Sui miracoli di Gesù e la loro storicità si veda B. L. BLACKBURN, Miracles and Miracle Stories, in J. B. GREEN,
et al. (ed.), Dictionary of Jesus and the Gospels, Inter-Varsity Press, Downers Grove (IL) - Leicester (UK) 1992, 549-
560; L. ERDOZAIN, Los milagros, «Estudios Eclesiásticos» 77 (2002), 141-162. Una disanima delle posizioni esegetiche
più recenti, ma eccessivamente acritica, è contenuta in J. J. BARTOLOMÉ, Jesús de Nazaret, “Ese varón acreditado por
Dios con hechos prodigiosos” (He 2,22). Una reseña de la investigación sobre los milagros, «Salesianum» 63 (2001),
225-266.
40 M. BORDONI, Gesù de Nazaret. Presenza, 143.
41 Vale a dire la cristologia che si ricava indirettamente da ciò che Gesù dice e fa. Si veda in merito J. M.
CASCIARO, La cristología implícita en los evangelios sinópticos, in IDEM, Jesús de Nazaret, Alga, Murcia 1994, 433-
484; J. SCHLOSSER, Q et la christologie implicite, in A. LINDEMANN, The Sayings Source Q and the Historical Jesus,
Peeters, Leuven 2001, 289-316.
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Da una parte, man mano che avanza nella sua missione, le opere che Gesù realizza, e l'autorità
e la sapienza con cui parla, sorprendono sempre più il popolo che si interroga con maggior interesse
riguardo alla sua identità: chi è mai costui, che perfino i venti e i mari gli obbediscono? (Mt 8,27).
Chi è costui che perdona anche i peccati? (Lc 7,49). Chi è dunque costui, del quale sento dire queste
cose? (Lc 9,9). La domanda nasce spontanea, giacché per mezzo di Lui si dispiega un'azione
potente di Dio nel mondo, e «cosa notevole, tale sovranità divina pare esercitarsi nell'autorità dello
stesso Gesù»42. A tale questione il Signore non dà una risposta diretta, almeno inizialmente; lascia,
per così dire, che parlino le opere da se stesse. Persino, seguendo il racconto di San Marco, si
potrebbe dire che Gesù non voglia che la sua identità di Messia venga chiaramente svelata (“segreto
messianico”: o più propriamente “riserbo”). L'atteggiamento del Signore manifesterà comunque un
cambiamento rispetto a questo punto. Vediamolo più dettagliatamente.
L'attività iniziale di Cristo si svolse in Galilea e nelle zone limitrofe, interrotta talvolta da brevi
viaggi a Gerusalemme in occasione di feste importanti. Dal momento che Gesù desiderava
predicare in luoghi nuovi e che la Galilea non è una regione molto estesa, dopo alcuni mesi il suo
messaggio era noto e diede luogo a reazioni contrastanti. È opinione piuttosto concorde tra gli
esegeti il fatto che, dopo un periodo iniziale di favore durante il quale Gesù era circondato da
moltitudini di persone, la sua attività sia entrata in una fase di crescente polemica e ostilità. Si
cominciò a delineare una certa opposizione, in parte per invidia in parte per l'esigenza della dottrina
che predicava, e in ultimo perché la sua figura, dopo un periodo di attesa, non coincideva con
l'immagine del Messia che si erano prefigurati43. Alcuni autori chiamano questa fase «la crisi
galilaica»44.
42 I. DE LA POTTERIE, Fundamento bíblico de la teología del Corazón de Cristo. La soberanía de Jesús. Su
obediencia al Padre. Su conciencia filial, in Instituto Internacional del Corazón de Jesús, Confirmación y desarrollo del
culto al Corazón de Cristo, Edapor, Madrid 1982, 84.
43 In questo senso il Vangelo ci presenta l'incredulità dei suoi familiari, i dubbi di Giovanni Battista in carcere, il
conflitto che lo stesso Gesù ebbe con i suoi concittadini in occasione della visita alla sinagoga di Nazareth, gli scribi che
dubitano della sua condizione messianica e chiedono un segno dal cielo. S. Giovanni racconta anche l'episodio della
resistenza al suo discorso sul pane di vita, e dice che molti lo abbandonarono e cessarono di seguirlo (cfr. Gv, 6,66). Di
questa incredulità sono eco le lamentazioni di Gesù sulle città di Corazim, Betzaida e Cafarnao, situate sulle sponde del
lago di Tiberiade (cfr. Mt 11, 21-24).
44 Cfr. W. KASPER, Jesús el Cristo, Sígueme, Salamanca 202, 115; M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Signore e
Cristo, II: Gesù al fondamento della cristologia, Herder - PUL, Roma 1982, 313. In ogni caso non bisogna pensarla
come un fallimento o l'abbattimento di ciò che si era costruito; si tratta piuttosto di una fase di disinteresse e abbandono
da parte di molti. Dopo un lungo periodo di attività, non solo gli oppositori a anche i discepoli non lo capivano a
sufficienza. Cfr. R. T. FRANCE, The Gospel of Mark. A Commentary on the Greek Text, W.B. Eerdmans Paternoster
Press, Grand Rapids (MI) ; Cambridge Carlisle (UK) 2002, 309-319.
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L'evangelista Marco, struttura il suo racconto intorno a questo tema. Mentre nella prima
sezione del suo vangelo, quando Gesù è acclamato, insiste sul “segreto messianico”, dando a
intendere il rischio di una interpretazione erronea del messianesimo di Cristo45, a partire dalla
confessione di Pietro a Cesarea, quando l'incomprensione dei farisei e la disaffezione di numerosi
seguaci rende improbabile che si corra questo rischio, Gesù comincia a manifestare con maggiore
chiarezza il suo destino di croce e la sua identità. Così le due questioni –identità e tipologia di
messianesimo– sono intrecciati. Da questo momento, e dato il ritrarsi di molti dei suoi seguaci,
Gesù dedica più tempo alla formazione dei suoi46. Lo fa con un orientamento chiaro, che si intuisce
dalla durezza del rimprovero rivolto a Pietro47 e si conferma nell'insegnamento che in seguito
rivolge a tutti (discepoli e uditori): « Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda
la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). In queste parole, la sovranità regale di Dio, che Gesù predica, si
realizza solo a condizione di seguirlo per la via della rinuncia e della abnegazione. Gesù non appare
come messaggero del Regno ma come il suo centro e il suo modello. Nelle intenzioni di Gesù, «il
discepolo non si caratterizza soltanto per aver accettato il messaggio del regno di Dio che viene
attraverso la conversione del cuore, ma per aver aderito in modo particolare a Cristo e alla sua
vita»48, vale a dire, per aver fatto propria la decisione radicale di condividere con Lui la sua
missione e il suo destino.
I due aspetti che abbiamo segnalati in riferimento alla “cristologia implicita” mostrano a
sufficienza la centralità di Cristo rispetto al regno che veniva a predicare. Esso si poteva fondare
ultimamente soltanto sul mistero della sua persona, e così come Egli stessa la percepiva, cioè nella
sua condizione di Figlio di Dio. La critica biblica degli ultimi decenni ha studiato a fondo anche
questo aspetto: la coscienza filiale di Gesù49. I dati dei Vangeli ci permettono di appurare che Gesù
45 L'enfasi posta dall'evangelista sul silenzio «serve a ritardare un giudizio prematuro sulla persona e il ministero
di Gesù, fino alla croce e alla resurrezione; lì e solo lì se ne disvela pienamente il significato». A. J. HULTGREN, Christ
and His benefits. Christology and Redemption in the New Testament, Fortress Press, Philadelphia (PA) 1987, 60.
46 Cfr. J. POTIN, Jésus. L'histoire vrai, Centurion, Paris 1994, 316-317; V. TAYLOR, The Gospel according to St.
Mark, Macmillan & Co., New York 1963, 147.
47 « E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani,
dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso
apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli,
rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"».
(Mc 8,31-33). Ricordiamo che Marco riassume nel suo Vangelo la predicazione petrina: a Pietro queste parole dure non
smisero di risuonare.
48 BORDONI, Gesù di Nazaret, II, 323.
49 Le opere principali risalgono agli anni Sessanta, con W. MARCHEL, bbà ère La prière du Christ e des
chr tiens. tude e g tique sur les origines et la signification de l invocation à la divinit comme père, avant et dans le
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«parlava di Dio come Padre suo, in un senso assolutamente unico»50. Nei quattro Vangeli appare,
per bocca di Gesù, la distinzione tra “mio Padre” e “vostro Padre”51. Si è studiato abbastanza bene
anche l'uso particolare che Gesù fa del termine Abba (Padre mio: Mc 14,36), che dovette rimanere
impresso nei discepoli tanto da passare alla primitiva comunità cristiana come attesta S. Paolo (Gal
4, 6; Rm 8,15)52. In altre occasioni Gesù si riferiva a se stesso usando il titolo di “Figlio” in senso
assoluto (il Figlio)53. In definitiva, Gesù si sentiva Figlio di Dio e questa filiazione conteneva una
conoscenza intima ed esclusiva del Padre, e la consapevolezza di rappresentarlo pienamente nel
mondo54. D'altro canto, la sua filiazione e il suo stesso messianesimo potevano essere malintesi55;
perciò Gesù associò storicamente la sua filiazione alla sua obbedienza al Padre, e svelò la sua
identità principalmente nel contesto del suo destino di sofferenza56. Questo modo di agire che
teneva strettamente unite la propria identità filiale con il dono totale di sé, orientava nella direzione
di una comprensione di Dio e del Regno centrate sull'amore (agápe).
Nouveau Testament, Biblical Institute Press, Rome 1971 (1ª ed.: 1963) e J. JEREMIAS, Abba und das tägliche Gabet im
Leben Jesu und der ältesten Kirche, Göttingen, 1966 (traduzione spagnola in Abba y el mensaje central del Nuevo
Testamento, Salamanca, Sígueme 1981, 17-89).
50 DE LA POTTERIE, Fundamento bíblico, 106.
51 Ibidem.
52 Abbá si usava normalmente in ambito familiare, indicando “Padre” o “Padre mio”, ma non per la relazione con
Dio. Cfr. SEGALLA, Teologia biblica, 174 ss. I discepoli avranno ricordato l'espressione come qualcosa di proprio di
Gesù, di specificamente suo. Nel giudaismo del I secolo era frequente rivolgersi a Dio con l'espressione “Padre nostro
che sei nei cieli”.
53 Tra i luoghi di sicura autenticità, si trovano senz'altro la parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,1-9), il logion
dell'ora finale (Mc 13,32) e il passo sulla conoscenza reciproca del Padre e del Figlio (Mt 11,27). Cfr. M. GRONCHI,
Trattato su Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, Queriniana, Brescia 2008, 187-189.
54 Cfr. Lc 10,22.
55 Come di fatto accadde con quelli che gli gridavano: « Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha
detto infatti: "Sono Figlio di Dio!" » (Mt 27, 43).
56 S. Giovanni lo esprime chiaramente nel suo Vangelo quando mette in bocca a Gesù queste parole: «Quando
avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha
insegnato il Padre, così io parlo» (Gv 8, 28).
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b) Gesù davanti alla propria morte
Ci si può dunque chiedere se una comprensione di questo genere, nella quale ogni cosa sembra
trovare unità (la concezione di Dio, la percezione del regno, il destino di sofferenza, ecc.), risponda
realmente alla storia o se non sia piuttosto un punto di arrivo di un processo di riflessione portato a
termine dalla primitiva comunità, la quale aveva bisogno, per essere ascoltata, di dare ragione della
morte di Gesù. In ultima analisi, seppure si sarebbe potuto trovare nella Scrittura i testi che
prefiguravano l'evento della Croce, la credibilità della predicazione cristiana sarebbe risultata
seriamente menomata se carente di un modello esplicativo del senso della “morte del Messia”1.
Per questo è legittima la domanda che pone in questione se la centralità della croce e della
dottrina del suo valore salvifico siano da attribuirsi a Gesù stesso o alla primitiva comunità.
Cercando di rispondere a tale questione, gli specialisti hanno enucleato tre distinti argomenti di
indagine: se si debba sostenere, dal punto di vista storico, che Gesù previde e abbracciò il suo
destino di croce; se, in caso positivo, attribuì un senso preciso a questa morte; come, infine, ed è la
domanda centrale, si possa compaginare la predicazione del Regno con la sua morte salvifica.
Riguardo al primo argomento, oggi non si possono nutrire dubbi. Lo scetticismo di Bultmann,
che non permetteva di dire nulla di preciso, è stato ampiamente superato2. Nonostante le predizioni
esplicite della passione (Mc 8,31; 9,31; 10,33) ammettano la possibilità di essere state precisate a
partire dall'avvenimento già accaduto, testi quali la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-46) o
la domanda rivolta ai due discepoli (se potessero bere il «calice che io sto per bere » ed essere
battezzati con «il battesimo con cui io devo essere battezzato», in Mc 10,39 e Mt 20,23) offrono
garanzie sufficienti riguardo alle esigenze proprie della critica storica3. Lo stesso vale per il
comportamento di Gesù quando si dirige risolutamente verso Gerusalemme incontro al suo destino,
senza farsi trattenere dalla conoscenza della fine toccata ai profeti e di quella di Giovanni Battista4.
1 Cf. M. HENGEL, Crocifissione ed espiazione, Paideia, Brescia 1988, 43.
2 In reazione a Bultmann ebbero una certa importanza, tra gli altri, alcuni contributi di J. Jeremias raccolti nellasua Neutestamentiche Theologie. Teil 1. Die Verkündigung Jesu, Gütersloh, 1971 (trad. spagnola: Teología del NuevoTestamento, Salamanca, Sígueme 1985). In ambito cattolico fu notevole il contributo di H. SCHÜRMANN, Jesu ureigenerTod. Exegetische Besinnungen und Ausblick, Herder, Freiburg 1975 [trad. española: ¿Cómo entendió y vivió Jesús sumuerte? Reflexiones exegéticas y panorámica, Salamanca, Sígueme 1982]; IDEM, Gottes Reich, Jesu Geschick. Jesuureigener Tod im Licht seiner Basileia-Verkündigung, Herder, Freiburg 1983 (trad. italiana: Il Regno di Dio e il destinodi Gesù. La morte di Gesù alla luce del suo annunzio del Regno, Jaca Book, Milano 1996).
3 In un'altra occasione Gesù invita i discepoli a seguirlo sino in fondo, senza temere coloro che hanno il potere di“uccidere il corpo” (Lc 12,4 ss; 14.27)
4 Cf. C. PORRO, Sviluppi recenti della teologia della croce, «La Scuola Cattolica» 105 (1977), 383.
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Gesù, inoltre, aveva sperimentato molto presto l’opposizione di alcuni farisei e delle classi dirigenti,
sia in Galilea sia poi a Gerusalemme, ed era consapevole della determinazione con la quale alcuni
osteggiavano la sua dottrina fino a volere la sua morte5. Questi dati manifestano non soltanto la
prescienza di Gesù ma anche una sua disponibilità al patire, che ha lasciato tante tracce nei Vangeli,
anche in quello di S. Giovanni. Per esempio il quarto evangelista nel raccontare l’arresto di Gesù e
riportare il principio di resistenza manifestato dai discepoli, mette in bocca a Gesù una espressione
che prova la determinazione con cui Gesù si consegna alla sua passione: «il calice che il Padre mi
ha dato, non dovrò berlo? » (Gv 18,11).
È allo stesso modo ragionevole pensare che se Gesù potè prevedere la sua morte vi diede pure
un significato, coerente con la missione che il Padre gli aveva affidato. In questa linea, dopo aver
studiato i testi che verosimilmente raccolgono più alla lettera le affermazioni di Gesù (le parole
dell’istituzione dell’Eucarestia6, i logia del riscatto7, della spada8 e di Elia9, l’espressione “sarà
consegnato”10, i temi dell’aggressione al pastore11 e dell’intercessione per i peccatori12), J. Jeremias
conclude: «la passione si spiega, in generale, come azione vicaria a favore della moltitudine»13, vale
a dire avendo come orizzonte interpretativo il quarto poema del Servo di Yahvé (Is 52,13-53,12)14.
Tra questi testi i due testi più importanti sono probabilmente il logion del riscatto e le parole
5 Cfr. Mc 3,16; 11,18; Lc 13,31.
6 Cfr. 1Cor 11,23-33; Lc 22,15-20; Mc 14,22-25; Mt 26,26-28.
7 Cfr. Mc 10,45; Mt 20,28.
8 Cfr. Lc 22,35-38.
9 Cfr. Mc 9,12 ss.
10 Cfr. Mc 9,31 par; 14,41 par; Lc 24,7.
11 Cfr. Mc 14,27b.
12 Cfr. Lc 23,34a. Secondo Jeremias i testi di Lc 22,16-18 e di Mc 14,25 si devono intendere alla luce del digiunopraticato nella Chiesa di Palestina per affrettare la venuta del Messia.
13 Teologia del Nuevo Testamento, 342.
14 Non tutti però sono concordi sulla possibile identificazione di Gesù con la figura del Servo sofferente. Statusquaestionis parziale, sulle posizioni degli esegeti a riguardo, sono in W. M. BECKER, The Historical Jesus in the Faceof His Death. Internal, Historical, and Systematic Perspectives, Pontificia Universitas Gregoriana, Roma 1994, 105-160(specialmente alle pp. 98 e 99 le note 58 e 59); S. MCKNIGHT, Jesus and His Death: Some Recent Scholarship,«Currents in Research: Biblical Studies» 9 (2001), 185-228. Segnaliamo inoltre, anche se non abbiamo potutoconsultarlo, W. H. BELLINGER, Jr. - W. R. FARMER (eds.), Jesus and the Suffering Servant. Isaiah 53 and ChristianOrigins, Trinity Press International, Harrisburg (PA) 1998.
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pronunciate sul calice nell’Ultima Cena, sia per quanto concerne il significato, sia per le garanzie di
autenticità che offrono.
Il logion del riscatto corona alcuni insegnamenti di Gesù sulla necessità di servire. La
formulazione è la stessa in Matteo e Marco: «il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma
per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20, 28; Mc 10, 45). Nella versione di Marco,
che è quella che seguirò, il logion del riscatto costituisce un testo chiave poiché con esso termina la
sezione centrale del vangelo che prepara la passione di Gesù15. A favore della storicità di queste
parole vi è il loro marcato carattere semitico16, la loro presenza tanto nei sinottici come in S. Paolo
(molteplice attestazione)17, e la loro collocazione al termine di una scena imbarazzante per i
discepoli: Gesù li riprende per la discussione sorta tra loro su chi dovesse essere il più grande nel
Regno. In tale contesto Gesù glossa la sua condizione di servo la quale deve essere normativa per il
discepolo. Notando che la seconda parte del logion (10, 45b: «e dare la propria vita in riscatto per
molti») è assente nella redazione di Luca al momento di presentare l’alterco tra i discepoli18, alcuni
autori la considerano una glossa dell’evangelista. Ci sono però motivi diversi per pensare che anche
questa seconda parte trasmetta le parole di Gesù, o almeno che l’idea ivi raccolta abbia in Gesù la
sua origine19. Da un lato è più unita alla prima parte di quanto appaia a prima vista, e dà anzi
l’impressione di esserne una parte integrante20; inoltre vi sono forti risonanze di Isaia21, il profeta
15 S. PAGE, Ramson Saying, en Dictionary of Jesus and the Gospels, 660. «Questo detto è uno dei più importantidel Vangelo », afferma V. Taylor (The Gospel According to Saint Mark, McMillan, London 1963, 444).
16 Le espressioni: “Figlio dell’Uomo”, “dare la sua vita”, “per molti” sono una buona prova. Cfr. W. J. MOULDER,The Old Testament Background and the Interpretation of Mark X, 45, New Testament Studies, 24 (1978), 120. Lo stilesemitico si apprezza anche se si confronta con la forma paolina, molto più ellenizzata, di 1 Tim 2, 5-6: «l’uomo CristoGesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti».
17 Mc 10,45; Mt 20,28; Lc 22, 27; 1 Tim 2,5-6.
18 Lc 22,24ss menziona soltanto il tema del servizio di Cristo, ma non parla di “riscatto”. Probabilmente elabora ildato tradizionale in maniera indipendente da Marco (Cfr. JEREMIAS, Teologia del Nuevo Testamento, 335-336).
19 Anche se l’evangelista avrebbe potuto unirle autonomamente nel suo lavoro di editing per meglio trasmetterel’idea.
20 Il libro di Daniele (Dn 7,13-14) presenta la figura del Figlio dell’Uomo, personaggio celeste che ricevedall”Anziano” (Dio) l’imperio, l’onore e la gloria, e che tutti popoli servono per sempre. Si evoca la promessa fatta daDio a Davide: «il suo potere è un potere eterno che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto». Nel logion diMc, invece, la prospettiva cambia: il Figlio dell’Uomo non è servito ma servitore. Ancora di più, è venuto per questoservizio (V. Taylor: «Kaì gar può esser tradotto etenim, o, con maggior enfasi, nam etiam»; in italiano sarebbe: «Einfatti il Figlio dell’Uomo non è venuto …» The Gospel According, 444). Qui c’è una prossimità con la teologiadell’inno di Fil 2 che non è passata inavvertita (Cfr. MOULDER, The Old Testament, 122). L’enormità del paradossorichiede un’ulteriore spiegazione: perché deve abbassarsi a servire in così grande personaggio? La seconda parte dellogion dà la risposta: perché lui può veramente riscattare la moltitudine.
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che più spesso appare citato da Gesù; da ultimo, è frequente trovare parole di Cristo, di indubbia
autenticità, che hanno uno stile letterario simile e simile l’orizzonte di pensiero22. Ne segue che, da
un punto di vista rigorosamente storico, è probabile che Gesù abbia fatto allusione al riscatto dei
peccatori come al motivo della propria morte.
Questo senso emerge ancor più chiaramente dal racconto dell’Ultima Cena. Non ci dovrebbe
essere alcun dubbio in merito alla storicità di ciò che viene narrato anche se le quattro narrazioni
differiscono lievemente23. Si tratta di particolari accidentali che spiegano o precisano, per ogni
lettore-tipo, il significato comune ai testi. D’altra parte, la pratica eucaristica della Chiesa primitiva
è attestata con certezza fin dall’inizio, come mostrano i dati provenienti dall’epistolario paolino e la
memoria dei primi passi della Chiesa24. Per questo, e per molti altri motivi, bisogna attribuire a
Gesù i gesti eucaristici e il loro significato25. Il senso appare già implicito nella parola essenziale sul
corpo: «mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro,
21 Sono numerosi gli esegeti che vedono punti di contatto con la teologia isaiana del Servo di Iahvè, specialmentecon Is 53,10-12. Non si tratta soltanto della terminologia: «al di là delle somiglianze linguistiche, la nozione di dare lavita è centrale in Is 53» (FRANCE, The Gospel of Mark, 420). Il tema è stato però oggetto di un intenso dibattito. Non siè prestata invece sufficiente attenzione al radicamento del logion nella teologia di Is 43, 3-4, a eccezione di P.Stuhlmacher (Vicariously Giving His Life for Many, Mark 10, 45 (Mt 20, 28), en IDEM, Reconciliation, Law andRighteousness: Essays in Biblical Theology, Philadelphia, Fortress Press 1986, 16-29) e W. Grimm. In Is 43,3-4 siafferma che, per amore, Dio dà uomini e nazioni in cambio della vita di Israele: «Perché tu sei prezioso ai miei occhi,perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita» (v. 4). Di questa stessaopinione è M. HENGEL, Crocifissione, 181.
22 In vari testi (per esempio nelle parabole della pecorella smarrita o del figlio prodigo) Gesù considera il peccatocome “perdizione”. In Lc 19,10 si afferma che è questa perdizione all’origine della missione di Gesù: «il Figliodell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». In altri contesti si mette in relazione questa perdizionecon un prezzo, come in Mt 16,26: « quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propriavita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?». Il testo lascia intravedere la presenza del temaveterotestamentario del riscatto: il peccatore non può riscattare la propria vita: «Certo, l’uomo non può riscattare sestesso né pagare a Dio il proprio prezzo», dice il Salmo 49,8 (fonte per Mt 16,26). «Certo, Dio riscatterà la mia vita, mistrapperà dalla mano degli inferi (seol)» afferma di seguito il salmista (Sal 49,16). Quello che invece l’uomo può fare èdedicare la sua vita alla causa di Gesù: «perché chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propriavita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). Tanto il linguaggio come le idee di questi testi contestualizzano il nostrologion: Gesù ha potuto considerare se stesso “strumento” dell’azione di Dio per riscattare i peccatori, dando la sua vitaper loro.
23 Cfr. 1Cor 11,23-33; Lc 22,15-20; Mc 14,22-25; Mt 26,26-28. Cfr. P. BENOIT, Les Récits de l’institution del’Eucharistie et leur portée, in IDEM, Exègése et théologie, t. I, Paris 1961; H. SCHÜRMANN, Le récit de la dernièreCène, Luc 22, 7-38, Éditions Xavier Mappus, Le Puy 1966.
24 Cfr. A. GARCÍA-IBÁÑEZ, La eucaristía, don y misterio. Tratado histórico-teológico sobre el misterioeucarístico, EUNSA, Pamplona 2009, che conclude (p. 51): «La cronologia dei racconti mostra che dalla morte diCristo all’apparizione di questa tradizione liturgica non passò un lasso di tempo significativo».
25 Paolo, per esempio, è convinto di aver ricevuto quanto trasmette sulla Cena da una tradizione che fa capodirettamente al Signore (cfr. 1 Cor 11,23). L’importanza attribuita dai racconti ai due gesti, del pane e del vino, e il fattoche tendono ad essere svincolati dal contesto della cena pasquale, attesta che si tratta di un ricordo di ciò che fece Gesù.Lo stile di Gesù è presente nell’amen che precede l’affermazione (Mc 14,25), nel passivo divino che usa Lc 22,22, etc.Cfr. J. JEREMIAS, La Última Cena. Palabras de Jesús, Cristiandad, Madrid 1980, 220-221.
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dicendo: “prendete, questo è il mio corpo”» (Mc 14, 22). La frazione e la distribuzione del pane tra i
presenti veicola l’idea che questo corpo che Gesù dona loro è il corpo che soffrirà e morirà per loro.
Il gesto successivo è ancora più esplicito: «Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne
bevvero tutti» (v. 23). Tutti partecipano dell’unico calice, il cui significato è spiegato
immediatamente: «E disse loro: “questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”». La
formula, sobria ma densa di contenuto, evoca possibilmente tre rimembranze: la nuova alleanza26, il
sacrificio del servo27 e la liberazione pasquale28. Di tutto questo beneficiano i discepoli che
partecipano del calice.
È attestato da questi testi, dunque, che Gesù intese la sua morte come necessaria per instaurare
il Regno. Con essa si realizzava la riconciliazione definitiva di Dio con il suo popolo e si stipulava
una alleanza nuova, con valore e significato universali. Si apre perciò la questione se ci sia
compatibilità tra questa prospettiva e il ministero precedente, posto che anch’esso implicava la
salvezza. In altre parole: se Gesù predica che la salvezza o la perdizione si decidono riguardo alla
posizione che si assume rispetto a Lui e al suo messaggio, se è chiave accettare Gesù, la sua morte
che ruolo ha29? O meglio, se Gesù si aspettava un qualche successo dalla sua predicazione di
conversione, la sua morte non dovette avere inizialmente nessuna funzione. In realtà, però, non è
necessario opporre le due cose (ministero e morte), né è imprescindibile coniugarle in senso
puramente storico (prima Gesù pensa alla sua missione come ad una instaurazione del Regno ma
poi, dato l’insuccesso, si persuade che la sua stessa morte sia l’unico rimedio). Bisogna mettere in
evidenza, con Schürmann, che la basileia predicata da Gesù è contrassegnata dalla sua intima
conoscenza del Padre, e dalla sua convinzione che il Padre lo invia per la salvezza dei peccatori30.
26 Il sangue sparso evoca le parole di Mosè (Es 24,8) nella cerimonia originale dell’alleanza sinaitica che seguìalla Pasqua e all’uscita dall’Egitto e che concluse il processo di formazione del popolo di Dio: «Mosè prese il sangue ene asperse il popolo, dicendo “ Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte questeparole!». Come la prima alleanza fu suggellata con un sacrificio, e Mosè asperse il popolo con il sangue della vittima,così analogamente la nuova alleanza si inaugura con un sacrificio del quale partecipa il nuovo popolo. Necessariamentesi evocano insieme le profezie di Ger 31,31-34 e il testo di Zc 9,11 che si riferiscono alla nuova alleanza che Dio potràstipulare. Cfr. FRANCE, The Gospel of Mark, 570.
27 Il linguaggio sacrificale seguito dal “per molti” evoca anche qui i “molti” della traduzione dei LXX nel quartopoema del Servo di Iahvè, in Is 53,11-12, come già accadeva per logion del riscatto. Cfr. Ibidem, 570-571.
28 Il contesto pasquale è senza dubbio presente nelle parole di Gesù. Il sangue dell’agnello pasquale segnò le casedei giudei e il sacrificio dell’agnello fece parte del piano di liberazione approntato da Dio. Cfr. Ibidem, 571.
29 «Come compaginare (con la predicazione del Regno) la convinzione che Dio realizza la salvezza degli uominisoltanto attraverso la morte di Gesù? Non si toglie valore così, a posteriori, a tutta la precedente attività di Gesùabbassandola a mero antecedente?» KASPER, Jesús el Cristo, 204-205. Cfr. anche SCHÜRMANN, Regno di Dio, 20.
30 SCHÜRMANN, Regno di Dio, 45-46.
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Con Wright sottolineiamo che Gesù attribuì sempre alle sue parole e azioni il senso di portare a
compimento quello che il Padre aveva promesso a favore di Israele e dell’umanità tutta31. In questa
prospettiva ciò che risulta davvero centrale è il disegno, ciò che il Padre determina in ordine
all’instaurazione del Regno; ciò che indicano le Scritture e ciò che Lui conosce nell’intimità della
sua filiazione. Questo è quello che volle Cristo. Che le reazioni potessero essere di opposizione,
anche radicale, non doveva essere sorprendente per Gesù, né fu qualcosa che scoprì con l’andare del
tempo. Non era forse patente che la stessa storia di Israele, quella passata come quella presente, era
marcata da tale opposizione? Fin dall’inizio gli fu chiaro che questo progetto avrebbe portato al
sacrificio della sua vita32. Forse la certezza a riguardo, e i contorni concreti di tale destino si
andarono profilando progressivamente nel constatare che la sua intuizione prendeva consistenza,
nelle resistenze di tante persone che lo ascoltavano e della classe dirigente di Israele, però la realtà
della piena e filiale messa a disposizione della sua vita33 dovette animare fin dall’inizio la sua
predicazione della basileia. Del resto, come mostrano le parole della sua preghiera nell’orto degli
ulivi, nella vita di Gesù rimase sempre uno spazio di libertà aperta al Padre, al di là di ogni sua
personale certezza: Gesù sa che, davanti all’ora della morte che si avvicina inesorabile, una
disposizione differente del Padre è sempre possibile34.
c) Il Risorto e la salvezza
«La salvezza non è soltanto qualcosa che Gesù ottenne, ma qualcosa che si realizzò in Lui »35.
Questa affermazione di padre Durrwell –uno degli autori che maggiormente contribuì a rinnovare la
teologia della risurrezione36– potrebbe sintetizzare la prospettiva dalla quale la soteriologia
31 WRIGHT, Jesus and the victory, 653.
32 Notiamo, con Schürmann, che tanto il celibato di Gesù (che aveva già più di trent’anni) quanto la sua riccadottrina sul Padre, sul Regno, ecc. (che non poterono formarsi nel breve intervallo della sua vita pubblica) testificanoche prima di cominciare la sua missione Gesù ne aveva già maturato le caratteristiche fondamentali. Cfr. Regno di Dio,36-37.
33 Il suo essere completamente dedito a realizzare la misericordia di Dio, anche se questa dovesse seguire vieimpraticabili.
34 «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice». Lc 22,42.
35 F.-X. DURRWELL, La Pâque du Christ selon l'Écriture, in AA. VV., La Pâque du Christ, Mystère du salut, DuCerf, Paris 1982, 11.
36 Soprattutto con l’opera La Résurrection de Jésus, Le Puy 1950 rielaborata da lui stesso più volte e riscritta apartire dalla decima edizione francese del 1976 [trad. spagnola di questa decima edizione francese: La Resurrección deJesús misterio de salvación, Herder, Barcelona 1979]. In questo processo di rielaborazioni, l’autore andò perdendo lacontinuità con la theologia recepta e sostenne alcune opinioni criticabili, come per esempio la simultaneità di morte erisurrezione di Cristo. J. Mimeault ha studiato con profondità l’opera teologica di Durrwell, segnalando, oltre ai meriti
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contemporanea guarda al mistero della risurrezione di Gesù. Negli ultimi secoli infatti aveva
prevalso un approccio apologetico che presentava questo mistero sotto l’aspetto della credibilità
della fede cristiana, ma che lasciava poco spazio alla considerazione soteriologica. Tale carenza era
anche in parte frutto di una polarizzazione della soteriologia sul mistero della croce, che pareva
richiamare a sé tutto il tema relativo alla salvezza degli uomini. Vi era certamente uno squilibrio tra
i due avvenimenti salvifici ed era necessario colmarlo37. Nel Nuovo Testamento, infatti, la
risurrezione di Gesù presenta una soteriologia molto ricca: «è un atto di Dio, un atto di
creazione»38; è l’accesso ad una forma di esistenza corporale trasfigurata, incorruttibile, gloriosa,
piena, pneumatica39; è l’apertura di una fonte di presenza e di vita nuova per la Chiesa e per il
cristiano40; è la causa efficiente e configuratrice della risurrezione universale della fine dei tempi41.
È chiaro che gli elementi che tracciano la dimensione soteriologica della risurrezione di Gesù,
hanno per fondamento la realtà di quest’ultima (i.e. Gesù davvero è risorto) e il carattere corporeo
del risuscitato. Entrambi gli aspetti però sono stati messi in discussione.
La storicità della risurrezione di Gesù continua ad essere oggetto di numerosi studi. Il tema
continua ad essere una “spada a doppio taglio”, come al tempo di S. Paolo, perché tertium non
datur. I tentativi di mediazione tra le posizioni realiste (che affermano la risurrezione corporale) e le
posizioni scettiche (che la negano o la relegano alla soggettività del credente) finiscono con l’essere
giochi di parole. Vi è un consenso piuttosto generale sul fatto che dopo la morte di Gesù i discepoli
ebbero delle esperienze particolari che i vangeli esprimono come apparizioni del Risorto e che
diedero origine alla proclamazione del vangelo. Sebbene alcuni abbiano teorizzato che bastasse una
del religioso redentorista, gli aspetti discutibili dei suoi scritti (cfr. J. MIMEAULT, La sotériologie de François-XavierDurrwell. Exposé et réflexions critiques, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1997).
37 Durrwell lo mostra bene, ricordando un’esperienza dei suoi studi da seminarista: «il professore di dogmatica–scrive–, il P. Dillenschneider, era il migliore. Cercava di superare un lunga tradizione che privilegiava gli aspettimorali e giuridici nello studio della Redenzione. Un giorno del 1937, verso la fine della mia permanenza nel seminario,dedicò un’ora al ruolo della risurrezione di Cristo (ndr: nella redenzione). Ispirandosi ad un articolo di San Tommasod’Aquino, mostrò che la risurrezione non è causa meritoria, che ha per oggetto ricompensare Cristo e che è per noimodello della giustificazione e causa della futura risurrezione dei corpi. Passata quell’ora, senza sapere perché, io erosicuro che la risurrezione di Cristo era molto di più, che era qualcosa di veramente grandioso». La Pâque, 11.
38 B. RIGAUX, Dio l'ha risuscitato. Esegesi e teologia biblica, Edizioni paoline, Cinisello Balsamo 1976, 429.
39 Cfr. Ibidem, 491-492.
40 «La risurrezione coinvolge il credente fin nelle fibre più intime del suo essere, perché mediante la fede ilcristiano entra nella dimensione escatologica, definitiva e ultima della rivelazione divina, dove la salvezza è determinatadalla presenza viva e dinamica di Cristo», Ibidem, 511.
41 Cfr. Ibidem, 555 ss.
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generica presenza di Cristo nell’anima dei discepoli per spiegare tali esperienze, l’interpretazione
che si tratti invece di vere apparizioni ha fatto valere le proprie credenziali42 ed è attualmente
sostenuta dai migliori specialisti43. Ciò che dà più peso a questa interpretazione è la constatazione
che la risurrezione di Gesù fu predicata fin dal primo momento (come testimonia la cronologia
paolina e le sue lettere) e il fatto che il linguaggio della risurrezione poteva essere compreso dal
mondo giudaico del I secolo solamente come un “ritornare alla vita” secondo la sua dimensione
corporea (per ciò la predicazione apostolica richiedeva che la tomba di Cristo fosse realmente
vuota). Alcuni aspetti delle narrazioni mostrano anche con chiarezza come gli eventi narrati siano
eventi ricordati (per esempio si noti il ruolo di primo piano attribuito alle donne) e alcune
affermazioni degli apostoli Pietro e Paolo che indicano che essi stessi erano ben consapevoli che
l’annuncio era difficile da accettare ma che non vi si potevano sottrarre senza rinnegare Dio44, e che
perciò furono disposti a pagare l’evangelizzazione al prezzo della loro vita. Una ricezione
maggiormente documentata di alcuni di questi aspetti, e l’assenza di alternative ragionevolmente
paragonabili, depone quindi sostanzialmente a favore di una reale storicità dei racconti45.
D’altro canto, al momento di concettualizzare il carattere corporale della risurrezione di Cristo
può sorgere un certo scetticismo. «Molti credenti nella risurrezione la intendono più o meno come
un fenomeno spirituale», scrive Gundry. E continua: «Alcuni sostengono che il racconto della
tomba vuota non sia storico, e che il corpo di Gesù abbia subito il normale processo di
42 Una sintesi delle diverse posizioni sulla risurrezione di Gesù si trova in G. R. HABERMAS, Mapping the RecentTrend towards the Bodily Resurrection Appearances of Jesus in Light of Other Prominent Critical Positions, in TheResurrection of Jesus. John Dominic Crossan and N. T. Wright in Dialogue, in R. STEWART, (ed), Fortress Press,Minneapolis 2006, pp. 78-92. Altre fonti utili in questa linea: IDEM, Experiences of the Risen Jesus: The FoundationalHistorical Issue in the Early Proclamation of the Resurrection, «Dialog: A Journal of Theology» 45 (2006) 288-297; G.O'COLLINS, The Resurrection. The State of the Question, en S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), TheResurrection. An Interdisciplinary Symposium on the Resurrection of Jesus, Oxford University Press, Oxford 1997, 5-28; J. A. SAYÉS, La resurrección de Jesús y la historia. Problemática actual, Facultad de Teología del Norte de España,Burgos 1983.
43 Come J. D. G. Dunn, N. T. Wright, W. L. Craig, R. H. Gundry, G. R. Habermas, M. J. Harris, T. Peters e altri.
44 Paolo, per esempio, afferma che se al predicare la risurrezione di Cristo, questa non fosse avvenuta, la suapredicazione sarebbe blasfema: «Ma se Cristo non è risorto (…) noi, poi risultiamo falsi testimoni di Dio, perché controDio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato il Cristo mentre di fatto non lo ha risuscitato…» 1 Cor 15,14-15.Riguardo a Pietro si veda At 4,19b-20.
45 Da questo punto di vista risulta importante il voluminoso testo di N. T. WRIGHT, La resurrección del Hijo deDios. Los orígenes cristianos y la cuestión de Dios, Verbo Divino, Estella 2008 [orig. inglés, 2003]. D’altro canto,come sottolinea Pannenberg riferendosi ai tentativi di spiegare le apparizioni come esperienze psicologiche, «a volte sirimane sorpresi di quanto facilmente gli storici, che esaminano le proprie fonti con grandi dosi di scetticismo, credanoinvece alla propria immaginazione senza sottoporla a verifica con lo stesso rigore». W. PANNENBERG, Resurrection: theUltimate Hope, en K. TANNER - C. A. HALL, Ancient and Postmodern Christianity. Paleo-orthodoxy in the 21thCentury. Essays in honor of Thomas C. Oden, InterVarsity Press, Downers Grove 2002, 260.
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decomposizione dei cadaveri anche se Gesù potè godere di una risurrezione che fu una forma di
esaltazione incorporea o di un’esistenza celestiale. Altri, dando maggior credito alla tomba vuota,
dicono che era vuota perché il corpo di Gesù si dissolse [evaporated], per così dire, cosicché il Gesù
risorto non sarebbe un’entità fisica; oppure dicono che il suo cadavere si trasformò in un corpo vivo
ma essenzialmente immateriale, che adotterebbe caratteristiche fisiche solo quando le apparizioni lo
richiedano»46.
Il fondamento biblico per suffragare queste posizioni è stato attribuito alla visione paolina della
risurrezione di Cristo, con l’idea che questa contenga una concezione immateriale della risurrezione
e che sia anteriore alla formulazione dei racconti evangelici; questi ultimi, che sottolineano
maggiormente gli aspetti fisici, corrisponderebbero ad una fase successiva della tradizione. Si fa
dunque riferimento ad un discreto numero di testi paolini e, soprattutto, all’opposizione tra “corpo
naturale” e “corpo spirituale” (1 Cor 15,44). San Paolo, però, parla del risorto a partire dalla propria
esperienza –e perciò vi è una originalità nella sua comprensione– ma la sua visione non si oppone a
quella dei vangeli, piuttosto le due prospettive si rafforzano mutuamente. In entrambi i casi, sono
indicate con sottolineature differenti la continuità e la novità dell’esistenza gloriosa rispetto a quella
terrena. Ad esempio, proprio l’espressione particolare “corpo spirituale” (soma pneumatikon) di
1Cor 15 è preceduta da una lunga argomentazione che mette in evidenza esattamente questa
continuità/discontinuità. In tale contesto, l’apostolo parla di un “corpo spirituale” «non nel senso di
“immateriale” ma di “soprannaturale” (…) non perché sia fatto di “spirito” ma perché è un corpo
adattato alla condizione di esistenza escatologica e posto sotto il dominio dello Spirito»47. La stessa
precisazione si raccoglie anche dai racconti evangelici, laddove presentano le apparizioni come
avvenimenti insieme misteriosi e umani. La realtà fisica-corporale del Risorto è sottolineata in
modo paradossale48 senza occultare però che la sua nuova condizione la sottrae alle leggi fisiche e
storiche49. Non poteva essere altrimenti: le sue apparizioni «non potevano obbedire alle leggi delle
nostre constatazioni sensibili, effettuate nello spazio e nel tempo, sotto pena di divenire il segno di
46 Cfr. R. H. GUNDRY, The Essential Physicality of Jesus' Resurrection according to the New Testament, in J. B.GREEN - M. TURNER, Jesus of Nazareth: Lord and Christ. Essays on the Historical Jesus and New TestamentChristology, W.B. Eerdmans, Grand Rapids (MI) 1994, 204-205.
47 G. D. FEE, The First Epistle to Corinthians, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan) 1987, 786. «Il corpo risortoanimato dallo Spirito, come il corpo terreno (il soma psychikon) è animato dal principio vitale, o dalla forza cheall’inizio della Creazione Dio diede all’uomo quando soffiò sopra di lui». B. WITHERINGTON III, Conflict andCommunity in Corinth. A Socio-Rhetorical Commentary on 1 and 2 Corinthians, Eerdmans, Grand Rapids (Michigan)1987, 308.
48 I discepoli mangiano con il Signore, camminano con Lui, ecc.
49 Gesù si presenta loro quando sono riuniti a porte chiuse, non lo riconoscono se non quando vuole Lui, ecc.
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ciò che non è; i discepoli, che non essendo risuscitati, hanno ancora bisogno dei loro sensi per
“vedere” Gesù e non possono servirsene se la manifestazione di Gesù non si inserisce in modo
sensato nella trama della loro storia con Lui»50. Le apparizioni dovevano perciò materializzare la
condizione escatologica, finale, nel presente storico. Si doveva cioè percepire che, «nonostante la
discontinuità tra l’attuale realtà fisica corruttibile e quella incorruttibile del mondo futuro, c’è una
continuità che soggiace alla vita corporale attuale e futura» 51.
Questa continuità/novità pone la vita umana al di là della morte, con «il realismo di una
“condizione di esistenza” personale, spirituale e corporale»52, nella quale si fa visibile la vita eterna
che Dio possiede in pienezza. Il nuovo corpo di Gesù è «il segno e la presenza escatologica della
realtà trinitaria di Dio nell’umanità e nel mondo»53: la salvezza compiuta. Secondo le Scritture,
questa salvezza si realizza in Cristo per noi e in nostro favore. Di modo che, come il suo corpo
offerto inaugura la possibilità universale del perdono, così il suo corpo risorto è la fonte della vita
nuova54. Il suo corpo consegnato alla morte si trasforma nel corpo dal quale viene la vita: ecco il
nucleo soteriologico della risurrezione di Gesù.
I. La concettualizzazione biblica dell’opera salvifica di Cristo
La soteriologia del Nuovo Testamento può essere considerata, genericamente, come una
meditazione su Gesù e più precisamente sul senso salvifico della sua venuta e della sua storia. La
cornice di questa meditazione su Gesù è la storia della salvezza del popolo di Israele, e le Scritture
danno il contesto e i presupposti per inquadrare la figura e l’azione salvifica di Gesù. I presupposti
potrebbero essere riassunti così: in primo luogo il fatto che Dio è Salvatore55, ed è l’unico vero
salvatore56, anche se a volte di serve di intermediari. Poi che la salvezza è gratuita ed è frutto del
50 B. SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador. Ensayo sobre la redención y la salvación, II: El relato de lasalvación: propuesta de soteriología narrativa, Secretariado trinitario, Salamanca 1990, 208.
51 WRIGHT, Resurrección, 430.
52 BORDONI, Gesù di Nazaret, II, 569.
53 Ibidem, III, 591.
54 Cfr. Ro 4,25. Si veda anche: S. TOMÁS DE AQUINO, Summa Theologiae, III pars, q. 56.
55 Presente con insistenza nei Salmi: «Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesadella mia vita: di chi avrò paura?» (27,1). «Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia salvezza» (62,2). Altreespressioni simili ricorrono nei libri del Deuteroisaia: «io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, tuo Salvatore»(43,3).
56 Che l’uomo abbia bisogno di salvezza è ovviamente un presupposto correlativo al Dio Salvatore. Per laScrittura la necessità di salvezza è qualcosa di evidente. Sorge «dall’esperienza comune della fragilità della vita,
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suo amore fedele e misericordioso. Dio benedice Abramo e lo rende padre di una moltitudine
perché lo vuole e, per lo stesso motivo, si ricorda sempre, una volta e un’altra, della sua alleanza
con Abramo, con Isacco, con Giacobbe57. In ultimo, che Dio è un Dio geloso. Egli è fedele e non
viene meno al suo impegno perché ama davvero il suo popolo58. Tutto questo si fonda sulla
memoria dei prodigi che Dio ha compiuto in passato ma anche sulla sua presenza in mezzo al
popolo attraverso il Tempio, e sulla garanzia che, attraverso i sacrifici, Israele può considerarsi
sempre un popolo santo nonostante i peccati e le trasgressioni perché Dio restaura sempre il suo
patto59. Un altro presupposto è che il patto è orientato al futuro: dal futuro il popolo si attende di
lasciarsi alle spalle per sempre la reiterata esperienza di insuccessi e umiliazioni, di esilio e di
dominazione straniera che pesa su di esso. Il patto è orientato perciò ad un tempo nuovo, nel quale
tutto cambierà, Dio giustificherà il suo popolo, lo libererà dai nemici, gli concederà prosperità come
mai fu prima. Sarà il tempo del Messia e della restaurazione, quando Egli riverserà il suo Spirito e
riempirà Israele di benessere e di pace.
È proprio il compimento di questo futuro ciò che rilevano innanzitutto gli autori del Nuovo
Testamento. È la prima cosa che dice San Pietro nel discorso di Pentecoste: la promessa si è
realizzata con l’intronizzazione messianica del Risorto e l’invio dello Spirito60. Ciò da una parte
conferma tutto il quadro precedente del Dio dell’Alleanza61, ma d’altra parte pone il problema se la
promessa non si sia realizzata in un modo imprevedibile, in opposizione alle attese, perché
apparentemente la storia continua ad essere soggetta a calamità. La soteriologia del Nuovo
Testamento gira attorno a questo punto centrale: spiegare il fatto, percepito nella fede pasquale, che
la vita e la storia di Gesù culminata nella Pasqua, corrisponde profondamente, e sviluppa in modo
costantemente minacciata da un’interminabile sequenza di rischi –malattia, dolore, raccolti persi, fame, inondazioni,eserciti nemici, ingiustizia, oppressioni, errori umani, usura, incidenti, vecchiaia e molto altro–. Il termine salvezzaraccoglie in sé l’aiuto necessario, il riscatto atteso, ecc., in definitiva la condizione di uno che è sopravvissuto a tutti ipericoli e ha raggiunto una posizione che è al di sopra di essi: la posizione di chi è stato salvato». J. D. G. DUNN, NewTestament Theology. An Introduction, Abingdon Press, Nashville (TN) 2009, 71.
57 Cfr. Gn 12,1-3; Ex 2,24; 6,4-5.
58 «Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre» dice il Salmo 117,1.
59 Cfr. DUNN, New Testament, 78-79.
60 Cfr. At 2,14ss.
61 Tanto che San Paolo può dire ai giudei di Roma: «è a causa della speranza di Israele che io sono legato daquesta catena» (At 28,20).
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nuovo e impensabile, l’immagine di Dio Salvatore. Spiegare che la sua vita realizza e compie la
salvezza promessa e cominciata dallo stesso Dio, con la scelta dei Padri e ancor prima62.
Le promesse di Dio si sono realizzate in Cristo. Gli autori del Nuovo Testamento considerano
fondamentalmente «ciò che Dio ha realizzato per noi nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo,
la rimozione di tutti gli ostacoli che si frapponevano tra Dio e noi e il dono che ci fa partecipi della
sua Vita»63. Questa sintesi, così corretta, è però forse prematura; per giungervi, bisogna risolvere
prima due questioni di fondo presenti in essa: quella del Mediatore e quella della mediazione: del
ruolo cioè che Cristo ha avuto nella salvezza e del linguaggio appropriato ad esprimere la sua
mediazione salvifica.
a) Mediatore della salvezza
Che Gesù sia il mediatore della salvezza è un’affermazione chiave del Nuovo Testamento: con
Lui giunge la salvezza. Tracciare però le linee dello sviluppo di questa mediazione, e del suo
significato nel Nuovo Testamento, è un compito più complesso. Dietro ogni modo di
concettualizzare la mediazione di Cristo, soggiacciono vari fattori: quelli relativi al tipo di scritto
cui si fa riferimento; quelli relativi all’ambiente nel quale esso viene prodotto; quelli riferiti al grado
di sviluppo della cristologia, con la maggiore o minore attesa di un suo pronto ritorno, ecc.
Hultgren, per esempio, distingue quattro tipi principali di mediazione applicata a Cristo nel Nuovo
Testamento64: nei primi due l’attore principale è Dio anche se Cristo è l’agente della redenzione;
mentre negli altri due tipi, al contrario: l’accento cade maggiormente su Cristo, visto come il
protagonista del riscatto dell’umanità e della sua riconciliazione con Dio. I quattro tipi di
mediazione proposti sono: la redenzione compiuta in Cristo65; la redenzione confermata attraverso
Cristo66; la redenzione guadagnata da Cristo67 e la redenzione mediata da Cristo68. Ad ogni modo
62 Cfr. J. WERBICK, Soteriologia, Queriniana, Brescia 1993, 162; M. SERENTHÀ, Gesù Cristo, 152.
63 COMISIÓN TEOLÓGICA INTERNACIONAL, Cuestiones selectas sobre Dios Redentor (1994), [IDEM, Documentos1969-1996, Madrid 1998, 499-500].
64 HULTGREN, Christ and His benefits, 41-44.
65 Dio opera la riconciliazione con l’uomo attraverso il mistero pasquale di Cristo. Questa visione si attribuiscesoprattutto alle prime lettere di San Paolo e al vangelo di Marco.
66 La croce e risurrezione di Gesù verranno essenzialmente a confermare il proposito redentivo di Dio,manifestato nelle sue promesse. Questa sarebbe la visione espressa dal vangelo di Matteo e dagli scritti di Luca.
67 Si sottolinea l’azione potente di Cristo per sconfiggere le potenze nemiche e stabilire il suo regno celeste. Lalettera agli Ebrei, le lettere pastorali e alcune della lettere chiamate deuteropaoline, sarebbero i testi che marcano questavisione.
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queste fluttuazioni non vanno interpretate come un tentativo di mettere in campo soteriologie
alternative o concorrenziali69; esse sono piuttosto il segno della difficoltà ad esprimere in modo
sistematico e completo qualcosa di così ricco come è la mediazione di Cristo. Se, come sostiene
Grillmeier, «in nessuno scritto del Nuovo Testamento esiste una sistematizzazione della realtà
salvifica»70, ciò avverrebbe a causa di un “eccesso di realtà”: l’opera di Cristo non può essere
affrontata se non da prospettive molteplici e plurali. È comunque chiara la constatazione comune a
tutte le prospettive: «l’amore di Dio, la giustificazione di Dio, la ricchezza e benedizione di Dio
sono offerte all’uomo (in Cristo) affinché, accogliendole, esso divenga giusto, ricco, santo e
compiuto, della ricchezza, santità, giustizia e vita di Dio»71; ma al momento di declinare tale
affermazione un unico linguaggio risulta insufficiente72. Questo è il motivo per cui si accumulano le
“categorie”, dal frequente tenore metaforico73, e si parla di: salvezza, redenzione e riscatto,
liberazione giustificazione, consegna per i peccati, perdono e purificazione, riconciliazione,
vivificazione, adozione filiale, espiazione, sacrificio e propiziazione, pacificazione, cambiamento di
regno, e altre ancora74. Senza dimenticare che, quando le parole terminano con –zione solitamente
valgono sia nella forma dei verbi sia in quella dei sostantivi. Nella Scrittura, parole come
redenzione, riconciliazione, possono riferirsi al processo di essere redenti, riconciliati, o al risultato
68 Cristo è la Parola del Padre nella quale ci vengono date tutte le cose, e particolarmente la vita eterna. Il corpusIoanneum sarebbe il principale latore di questa impostazione.
69 Da questo punto di vista convince poco lo studio di Hultgren, che appare condizionato da alcuni presuppostitipici della New Quest. Egli tende a sottolineare gli aspetti redazionali e in genere ad esagerare sulla differenza dellafisionomia tra gli scritti, forse con il proposito di stabilire, come normativo per la fede di oggi, una sorta di minimocomun denominatore del contenuto dei diversi scritti. Cfr. Christ and His benefits, 179. A ragione, I. H. Marshall necritica questo aspetto (New Testament Theology. Many Witnesses, One Gospel, Inter-Varsity Press, Downers Grove (IL)2004, 727-730).
70 A. GRILLMEIER, La afirmación bíblica sobre el efecto de la acción salvífica de Dios en Cristo, in J. FEINER - M.LÖHRER (eds.), Mysterium Salutis, III/2, Cristiandad, Madrid 1971, 380.
71 GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 262.
72 Come afferma G. D. Fee, «sebbene le metafore [le categorie soteriologiche bibliche: ndr] diano davveroespressione ad una dimensione della realtà, nessuna di esse è adeguata per dire completamente la realtà», Paul and theMetaphors for Salvation: some Reflections on Pauline Soteriology, in S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.),The Redemption. An Interdisciplinary Symposium on Christ as Redeemer, Oxford University Press, Oxford 2004, 48.
73 Secondo Sesboüe, queste categorie soteriologiche sono modi per concettualizzare l’evento salvifico narratodalle fonti. «I racconti –afferma il teologo francese– agiscono per quello che sono, sollecitano la nostra libertà (…) èimportante però segnalarne il senso in maniera più speculativa. La funzione della categoria consiste nell’esercitare unpotere di regolamento nel discorso, per assicurarne l’ordine e la coerenza. La categoria però illumina nella misura in cuiè generata dal racconto, dove essa riceve il suo soffio di vita e dove, da parte sua, ricapitola in sé ciò che i raccontiintendevano dire». SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 124.
74 GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 278.
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dell’azione (lo stato di redento, riconciliato) oppure anche a entrambe le possibilità75. Ciò dà
un’idea dell’ampiezza di ciò cui abbiamo fatto riferimento sopra.
b) La mediazione salvifica: giustizia e sacrificio.
Di tutti i linguaggi, il più utilizzato è quello della salvezza, anche se forse quello della
redenzione è più in uso nella teologia76. Quest’ultimo accentua, più del primo, l’aspetto di
liberazione presente nell’opera di Cristo. Mentre redenzione appunta più al passato, all’evento di
salvezza, all’obiettività di ciò che fece Cristo, la categoria della salvezza si riferisce più al presente
e al futuro ed evoca maggiormente l’aspetto soggettivo. Entrambi i termini, però, godono di certa
flessibilità. Altri linguaggi invece, come quello del sacrificio o dell’espiazione hanno un campo
semantico chiaramente più ristretto giacché si riferiscono al modo/mezzo della redenzione o della
salvezza77.
Nell’ordine della mediazione, dunque, due questioni sembrano avere la priorità sulle altre:
quella del significato di “giustizia di Dio” nella sua azione di salvezza, e la sua caratterizzazione in
termini di “sacrificio, propiziazione ed espiazione”.
a) Quando nell’Antico Testamento ci si riferisce alla giustizia di Dio, ci si muove in un ambito
che comprende tanto la norma giuridica come il rapporto personale78. Nel senso più immediato, la
giustizia è conformità alla norma e per tanto chi si predispone ad essa è giusto. Siccome la Legge è
la norma per eccellenza di Israele, il giusto è colui che la compie, o ancor meglio, colui che vive di
essa. Il concetto veterotestamentario di giustizia non si esaurisce però in questo. È giusto anche
colui che adempie agli obblighi che discendono da una relazione: il re è giusto quando compie i
suoi doveri verso i sudditi, il giudice quando amministra correttamente la giustizia ai ricchi come ai
poveri; collocata in questo ambito relazionale si trova l’espressione “giustizia di Dio”79. Dio è
75 G. O'COLLINS, Jesus Our Redimer. A Christian Approach to Salvation, Oxford University Press, New York2004, 3.
76 I vocaboli «salvezza e redenzione possono spesso servire come equivalenti nei testi biblici, liturgici e teologici,ma il significato del primo appare più ricco e più ampio, specialmente nei contesti nei quali sono implicati il progetto, ilcarattere e l’immagine di Dio (e del Figlio di Dio)». Ibidem, 10.
77 Cfr. G. O'COLLINS, Redemption: Some Crucial Issues, in S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), TheRedemption, 5, nota 4.
78 Cfr. B. JOHNSON, Sādaq, in G. W. ANDERSON, et al. (eds.), Grande lessico dell'Antico Testamento, Paideia,Brescia 2007, cols. 516-539 (spec. 516-518).
79 Cfr. DUNN, New Testament, 77-78.
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giusto perché è garante del bene del popolo eletto. Da qui il concetto assume la connotazione
soteriologica. È chiaro infatti che, sulla base dell’impegno assunto con Israele, sarà proprio della
giustizia di Dio rialzare i suoi, dar loro riparo e sostenerli nella loro comunione con Lui. Così per
esempio il salmista prega: «Signore ascolta la mia preghiera! Per la tua fedeltà, porgi l’orecchio alle
mie suppliche e per la tua giustizia rispondimi» (Sal 143,1), che equivale a dire “per la tua
benevolenza” o “per lealtà riguardo alle tue promesse”. In questa prospettiva, dunque, l’intervento
salvifico e liberatore di Dio non esce dall’ambito della sua giustizia, ma piuttosto la manifesta. La
giustizia di Dio è perciò strettamente legata alla sua fedeltà a se stesso, alla sua misericordia e alla
stabilità del suo amore.
Nel Nuovo Testamento l’espressione “giustizia di Dio” è fondamentalmente paolina80. Quando
San Paolo la usa non si riferisce al giusto giudizio con il quale Dio castiga il malvagio, ma –in linea
con l’Antico Testamento– intende la sua giustizia portatrice di salvezza, cioè l’azione potente di
Dio che opera la salvezza predeterminata da lui stesso81. L’espressione dice relazione a Dio Padre,
non a Cristo; in cambio la giustizia si realizza e si rivela in Cristo, cosicché Cristo stesso è la
giustizia che Dio ci fa82. Anche se potrebbe sembrare ovvio, giova notare la direzione discendente
di questo approccio: «non è stato Cristo a cambiare un (presunto: ndr) giudizio divino di condanna
con uno di giustificazione. Piuttosto, la morte di Cristo si qualifica come l’atto salvifico che
proviene dalla giustizia manifestata fin dal principio dal Dio Unico nei riguardi di Israele»83. Cristo,
giustizia di Dio, rivela e dispiega definitivamente la fedeltà di Dio alla sua creazione e al suo
popolo e lo fa con la sua morte e risurrezione84. Si tratta pure di una giustizia dall’incidenza
antropologica, che non elude l’umano né prescinde dall’uomo ma che cambia e trasforma l’uomo.
80 Cfr. A. PITTA, Il vangelo paolino e la giustizia, in AA.VV., Giustizia e giustificazione nella Bibbia, Borla,Roma 2001, 171-173.
81 Cfr. Rm 1,16, dove S. Paolo parla del vangelo come «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede», e diseguito dice che il vangelo rivela la giustizia di Dio. Il concetto di “giustizia di Dio” in S. Paolo si può affrontare apartire dalle seguenti opere: J. D. G. DUNN, The Theology of Paul the Apostle, W.B. Eerdmans, Grand Rapids (MI);Cambridge 1998, 340-346; K. L. ONESTI - M. T. BRAUCH, Righteousness, Righteousness of God en G.F. HAWTHORNE -R.P. MARTIN -D.G. REID (eds.), en Dictionary of Paul and His Letters, Intervarsity Press, Leicester 1993, 827-837; K.KERTELGE, “Giustificazione” in Paolo. Studi sulla struttura e sul significato del concetto paolino di giustificazione,Paideia, Brescia 1991, 83-130; A. PITTA, Il vangelo paolino, 170-207; J.-N. ALETTI, Comment Dieu est-il juste? Clefspour interpréter l'épître aux Romains, Seuil, Paris 1991.
82 Cfr. 1Cor 1,30.
83 DUNN, Theology of Paul, 718. Cfr. anche PITTA, Il vangelo paolino, 179-180.
84 DUNN, Theology of Paul, 724. Diremo qualcosa più avanti riguardo a questa relazione tra la giustizia di Dio e lapasqua di Cristo; si tratta di un tema centrale, anche se ostico, della soteriologia paolina.
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Indipendentemente da come si debba intendere l’idea della “giustificazione per la fede”85, è chiaro
che nella teologia paolina non la si può isolare né dalla santificazione né dalla glorificazione,
termini riferiti all’operare di Dio nel giustificato. Neppure “giustizia di Dio” sostituisce gli altri
linguaggi di grande portata come quello dell’essere “nuova creatura” e dell’essere “in Cristo
Gesù”86 o dell’inabitazione dello Spirito Santo nel credente. Soltanto se prese nella loro
complementarietà queste espressioni ci danno il significato paolino della salvezza in Cristo87. Se lo
stesso cristiano arriva ad essere “giustizia di Dio”88 è perché nel suo essere e nella sua vita si fa in
qualche modo presente ciò che Dio ha operato a suo favore. Se l’uomo è «partner del Dio della
Alleanza, difficilmente smetterà di essere trasformato da una relazione vitale con il Dio che dà la
vita»89. Inoltre, anche se l’uomo si appropria della giustizia di Dio in virtù della fede e non delle
opere, la sua giustificazione non prescinde dalle opere, giacché si colloca nel quadro del giudizio
della parusia, vale a dire del giorno della «rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale darà a
ciascuno secondo le sue opere» (Rm 2,5)90. Le opere, illuminate e realizzate nella fede, hanno
anch’esse un ruolo decisivo nel processo di salvezza.
b) Al momento di spiegare come la giustizia salvifica di Dio si misura con la storia, il Nuovo
Testamento ricorre soprattutto al linguaggio sacrificale91. Abbiamo già avuto modo di considerare
85 Cfr. N. T. WRIGHT, Redemption from the New Perspective? Towards a Multi-Layered Pauline Theology of the
tradizionale, la giustificazione ha soprattutto un valore dichiarativo (di assenza di condanna, di non imputazione, ecc.)mentre la tradizione cattolica accentua più l’aspetto performativo (l’azione di essere colmato dalla giustizia –grazia–che viene da Dio).
86 «Essere “in Cristo” significa appartenere alla nuova creazione: il vecchio è passato, è giunto il nuovo. Questopunto di vista radicale del nuovo ordine –vita risuscitata, marcata dalla croce– è nel nucleo di tutto ciò che Paolo pensae fa» FEE, Paul and the Metaphors, in S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS, The Redemption, 47.
87 Parlando di come San Paolo concepisce la salvezza cristiana, G. D. Fee dice: «Ciò che questo può significareper chi si unisce al popolo di Dio attraverso la fede in Cristo, San Paolo lo esprime con una varietà di metafore, nessunadelle quali esaurisce la totalità [del significato, ndr] anche se ciascuna è partecipe dell’intero». Paul and the Metaphorsin S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS, The Redemption, 67. Y, e prima: «quasi sempre la metafora che sceglie S.Paolo è in funzione dell’aspetto della peccaminosità umana che ha davanti agli occhi. Gli schiavi del peccato (e dellalegge) sono “redenti”; i nemici di Dio sono “riconciliati”; i trasgressori della legge sono “giustificati”». Ibidem, 51.
88 Cfr. 2Cor 5,21.
89 DUNN, The Theology of Paul, 344.
90 Cfr. WRIGHT, Redemption from, S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), The Redemption, 95. Qui lateologia paolina si intreccia pienamente con le affermazioni dei vangeli sul giudizio finale.
91 «Il Nuovo Testamento parla della morte di Cristo sotto diverse forme, che includono il destino dei profeti, lamorte del martire (Rm 5,6-8), la giustificazione del Giusto sofferente, il prezzo della redenzione dello schiavo, l’atto diriconciliazione, la vittoria sulle potenze ostili del male e la conquista del potere della morte. L’immagine però più usataè quella del sacrificio». DUNN, New Testament, 88.
Cross, S. T. DAVIS - D. KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), The Redemption, 93-95. È notorio che per la visione protestante
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che tale linguaggio ha la sua origine in Gesù, perciò non risulta strano che in qualche modo abbia
avuto una certa risonanza in tutti gli scritti del Nuovo Testamento92. Non è semplice però
determinare il significato preciso del vocabolario sacrificale. In generale la morte-glorificazione di
Gesù porta a pienezza il sistema sacrificale giudaico, ma siccome quest’ultimo comprende vari tipi
di sacrifici, con differenti finalità e importanza93, l’idea generale finisce per dar luogo ad una
pluralità di immagini dal contenuto diverso94. I poli principali sono però senza dubbio due: la
pasqua giudaica, che evoca le categorie della liberazione-redenzione e dell’alleanza, e i sacrifici
espiatori (in particolare il rito del Giorno dell’Espiazione), o elementi relazionati all’espiazione
come il rito Propiziatorio. Di tutte queste immagini, la più importante, e anche la più delicata, è
quella del sacrificio di espiazione, o del sacrificio per i nostri peccati, sulla quale ora mi detengo
brevemente.
Nell’Antico Testamento, i sacrifici per il peccato hanno la funzione di rimediare alle colpe di
Israele riguardo all’osservanza della Legge, in modo che i peccati e le trasgressioni non
impediscano l’accesso a Dio, né originino la rottura del Patto. Sono soprattutto i sacrifici per il
peccato (Lv 4-5) e il rito annuale del Giorno dell’Espiazione (Lv 16). Per intenderne i modi e le
funzioni95 bisogna collocarsi nella prospettiva del rispetto per la santità di Dio e della condizione di
92 C’è una controversia sulla portata e il significato del linguaggio sacrificale nel Nuovo Testamento. Autoripostbultmanniani come E. Käsemann o F. Hahn vi attribuiscono scarsa importanza. Ponendosi su una linea analoga I.U. Dalferth afferma: «il linguaggio sacrificale è soltanto uno dei filoni, non il più importante, nella pluralità dei terminie simboli che il Nuovo Testamento usa per esprimere l’esperienza di salvezza». Christ Died for Us: Reflections on theSacrificial Language of Salvation., en S. W. SYKES (dir.), Sacrifice and Redemption. Durham Essays in Theology,Cambridge University Press, Cambridge 1991, 309. La maggior parte degli esegeti, però, constata che l’immagine piùlargamente utilizzata nel Nuovo Testamento per rappresentare il valore della morte di Cristo è quella del sacrificio (Cfr.nota precedente). Come osserva G. Paximadi: «sono molti i testi del Nuovo Testamento che attribuiscono un valoresacrificale alla morte di Cristo». I sacrifici nell'Antico Testamento e il sacrificio di Cristo, «Rivista Teologica diLugano» 11,2 (2006), 313.
93 Una spiegazione dei diversi tipi di sacrificio (con bibliografia) si può trovare in G. A. ANDERSON, Sacrifice andSacrificial Offerings (OT), in A. B. BECK - D. N. FREEDMAN - G. A. HERION, The Anchor Bible Dictionary, V,Doubleday and Co., New York etc. 1992, 870-886. Utili anche, G. PAXIMADI, I sacrifici nell’Antico, 291-315, e l’operaclassica di R. DE VAUX, Les sacrifices de l'Ancien Testament, J. Gabalda et C.ie, Paris 1964.
94 G. Paximadi nota che il Nuovo Testamento riferisce la morte di Cristo tanto alle forme levitiche del sacrificio(l’olocausto, il sacrificio di comunione, il sacrificio per il peccato ecc.) come ad altre non levitiche (il sacrificiodell’Alleanza, il sacrificio di Isacco, ecc.) I sacrifici nell’Antico, 313.
95 Si discute sul senso di questi riti: se siano soltanto di purificazione (dell’altare e del santuario) o se si offronoper il perdono dei peccati individuali e del popolo. Con Bell pensiamo che questa seconda interpretazione, condivisa daalcuni esegeti di Tubinga, annovera maggiori motivazioni a suo favore. È inoltre espressamente indicata dai testi delLevitico che menzionano il peccato e il perdono (si vedano per esempio Lv 4,10.26.31.35). Una disanima delle dueposizioni in R. H. BELL, Sacrifice and Christology in Paul, «Journal of Theological Studies» 53 (2002), 1-5 e in G. A.ANDERSON, Sacrifice and Sacrificial, 879-880. L’opera di S. LYONNET - L. SABOURIN, Sin, Redemption, and Sacrifice.A Biblical and Patristic Study, Biblical Institute Press, Rome 1970, riassume gli studi di autori come A. Feuillet, L.Moraldi e altri che si orientano a concepire l’espiazione in termini di “purificazione”. Un sintetico status quaestionis deltema si trova in G. MOIOLI, Cristologia. Proposta sistematica, Glossa, Milano 1989, 154-158.
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fragilità, peccato e impurità del popolo e dei suoi componenti. Un’intromissione dell’uomo nella
sfera divina è una specie di violazione della santità di Dio, e porta con sé la morte. Certamente
l’uomo non può contaminare Dio con la sua impurità, però, siccome Israele ha una fede salda nella
presenza del Signore in mezzo al suo popolo e specialmente nel suo Tempio, sono di fatto possibili
le profanazioni. Contaminare il Santuario con la propria impurità è un’offesa alla presenza divina;
esporre il Santo alla massa dei peccati è un’istigazione alla sua giusta ira96. I riti di espiazione
hanno perciò la funzione di neutralizzare questo problema. La vittima del sacrificio espiatorio
rappresenta in qualche modo la colpa del peccatore. Con l’imposizione della mano l’offerente lo
costituisce rappresentante della sua peccaminosità (o del peccato del popolo), del suo “io peccatore”
(o delle colpe di Israele). Nell’animale si offre a Dio la propria vita e si riconosce la propria
indegnità. L’immolazione della vittima però è solo un prolegomeno, è il modo per avere il sangue
che è l’elemento principale dell’espiazione97. L’espiazione risiede nel sangue98. Il sangue è latore di
vita, appartiene alla sfera divina e per questo è capace di dissipare la sporcizia del peccato e rendere
possibile il contatto con Dio99. In questo senso placa, o acquieta, la sua ira per i peccati e le
inavvertenze. Per mezzo del sangue l’offerente si inserisce nell’ambito della sacralità divina, si
abilita nuovamente alla relazione e alla comunione con Dio. Resta beninteso che, in tutto ciò,
l’azione dell’uomo è secondaria: l’espiazione è un dono di Dio, che attraverso la vita presente nel
sangue, dà all’uomo una via di purificazione e un modo di riabilitare la sua condizione di alleato, in
modo che Dio possa mantenere il suo patto, purificandolo, perdonandolo e ristabilendo il popolo
nella comunione.
Alcuni testi del Nuovo Testamento evocano in un modo o nell’altro questo insieme di idee100.
Sono ben noti i capitoli della lettera agli Ebrei che si riferiscono alle cerimonie del Giorno
96 È questo il contesto nel quale si trova meglio collocato il tema dell’ira di Dio: si tratta dell’ira di chi èostacolato nella sua volontà e azione di salvezza a causa dei peccati e degli sbagli; l’ira di chi non può abitare presso isuoi perché si sono riempiti di immondezze.
97 H. GESE, L'espiazione, in IDEM, Sulla teologia biblica, Paideia, Brescia 1989, 118. L’aspetto decisivo del cultoespiatorio «non è il semplice fatto di immolare, né l’annichilimento, ma l’offerta della vita a colui che è sacro, e alcontempo l’incorporazione alla sacralità attraverso il contatto con il sangue». Ibidem, 119. Cfr. anche J. WERBICK,Soteriologia, 293-297.
98 «Poiché la vita della carne è nel sangue . Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare in espiazione per le vostrevite» (Lv 17,11).
99 Secondo la Lettera agli Ebrei, Cristo entrò con il proprio sangue nel vero santuario. Si presentò a Dio munitodel proprio sangue, capace di purificare le opere di morte. Cfr. Eb 9,11-14.
100 Anche se, come abbiamo già notato, la dottrina del Nuovo Testamento non si limita alle categorie sacrificaliper intendere l’efficacia salvifica della Pasqua, ma si estende a molte altre; neppure quando usa il vocabolariosacrificale si limita soltanto a quello dell’espiazione: in Ef 5,2, per esempio, S. Paolo usa un’immagine legata
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dell’Espiazione, e che vedono questi riti come prefigurazioni di ciò che in Cristo si sarebbe
compiuto una volta per sempre101. Anche la prima lettera di Giovanni parla di Gesù costituito
«come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10), e vede in ciò la manifestazione
dell’amore di Dio. San Paolo, da parte sua, dice che Dio ha prestabilito Cristo come «come
strumento di propiziazione (hilastērion) nel proprio sangue» (Rm 3,25)102. L’Apostolo segue anche
l’usanza ebraica di mettere in Dio il soggetto dell’espiazione103, e di vedere, per tanto, l’obiettivo
dell’atto dell’espiazione nella rimozione del peccato, sia di persona, sia di luogo sacro
(contaminazione)104. San Paolo porta oltre la teologia del sacrificio di Cristo, attraverso il tema
della “condanna del peccato”. «Dio, –dice in Rm 8,3– mandando il proprio Figlio in una carne
simile a quella del peccato e in vista del peccato, ha condannato il peccato nella carne»: vale a dire,
Cristo prese la carne sofferente per poter cancellare in essa il peccato. L’Apostolo allude
implicitamente al sacrificio espiatorio nel quale la vittima rappresentava in qualche modo il
peccatore e l’immolazione sacrificale rimuoveva il peccato105; in modo analogo, Cristo ci
rappresenta dinnanzi al peccato, lo rimuove con la sua morte e per questo noi otteniamo la
giustizia106. La stessa idea è presente in 2Cor 5,21: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo
trattò da peccato in favore nostro, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio».
Qui il riferimento all’innocenza di Cristo (“non aveva conosciuto peccato”) allude all’insistenza
cultuale per la quale la vittima del sacrificio doveva essere pura e senza macchia, e potesse così
all’olocausto (nel quale la vittima veniva bruciata) e dice che «ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio disoave odore».
101 Soprattutto in Eb 8,1-10-31. Sul contesto e la struttura di questi capitoli si veda A. VANHOYE, La Lettre auxhebreux. Jesus-Christ, mediateur d'une nouvelle alliance, Desclee, Paris 2002, 109-113.
102 Hilastērion si riferisce al Propiziatorio, che era il luogo dove, nel Giorno dell’Espiazione, si versava il sangueper espiare per il santuario e per tutta l’assemblea di Israele (cfr. Lv 16,16-17).
103 A differenza di quanto accade nel mondo greco, dove la divinità è l’oggetto dell’espiazione e può essere“propiziata” o “placata”.
104 Cfr. DUNN, Theology of Paul, 214.
105 La considerazione dei testi che stiamo citando secondo la prospettiva sacrificale è quella più frequente nellatradizione esegetica. S. Agostino, per esempio, di 2Cor 5,21 scriveva: «Deus fecit Christum “peccatum”, id estsacrificium pro peccato (vel pro peccatis)» Carta 140, 73: Obras de S. Agustín (edición bilingüe), t. IXa: Cartas 124-187, BAC, Madrid 1986, 222. J.-N. Aletti non assume questa opinione e preferisce intendere l’espressione “lo fecepeccato” come una metonimia (dell’effetto per la causa). Bisognerebbe allora tradurre: «lo identificò con gli effetti delpeccato» (God Made Christ to Be Sin (2Corinthians 5, 21): Reflexions on a Pauline Paradox, en S. T. DAVIS - D.KENDALL - G. O'COLLINS (eds.), The Redemption, 118. Forse le due opzioni non vanno contrapposte: come abbiamomostrato, nel sacrificio di espiazione si dà una certa identificazione tra la vittima e gli effetti mortali del peccato.
106 Di fatto il testo continua menzionando la giustizia in relazione ai beneficiari della morte di Cristo: «perché lagiustizia della Legge fosse compiuta in noi…» (Rm 8,4).
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rappresentare il peccatore. In questo quadro di riferimento si colloca il tema di Cristo nuovo
Adamo107, che viene a introdurre la grazia nel mondo in analogia a come Adamo introdusse nel
mondo il peccato. Per questo prese la carne di peccato e per questo fu fatto peccato, cioè Dio pose
su di Lui l’“io peccatore” dell’umanità, affinché attraverso il suo sangue potessimo anche noi
arrivare ad essere giustizia di Dio.
In queste brevi frasi, San Paolo non ci dà una spiegazione completa (non si riferisce al motivo
ultimo della via scelta da Dio) ma lascia intravedere con chiarezza il suo pensiero, che non può
essere rinchiuso in uno schema “rappresentativo” né in uno schema “sostitutivo”. L’idea di Paolo è
quella dello “scambio108 o della capitalità: nel piano di Dio formiamo una sola cosa con Cristo109 e
per questo Egli prese su di sé la nostra morte affinché noi potessimo raggiungere la giustizia, come
indica chiaramente nella lettera ai Romani: «il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui,
perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. 11Così anche
voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6, 6-11). San Paolo
sembra pensare in questo modo: Dio Padre ha imposto la mano su Cristo, cioè lo ha costituito
vittima di espiazione consegnandolo ai peccatori, i quali hanno dato corso alla logica del peccato
che è logica di morte. In questo senso Dio lo ha fatto “peccato per noi”, ha “condannato il peccato
nella sua carne” come si faceva con la vittima del sacrificio, al fine di eliminare il peccato. Non si
può accedere a Dio rimanendo nella condizione del peccato, vivendo sotto il “dominio della carne”.
Ma in Cristo non c’è solo la materialità del nostro “corpo di peccato”, c’è pure la sua fedeltà, la sua
obbedienza, che sono il mezzo usato da Dio per eliminare il peccato. Il sangue (il dono della vita) di
Cristo sopprime il dominio del peccato110 e riversa sul mondo la nuova vita dello Spirito. Per la fede
e il battesimo, il cristiano muore anche al peccato e riceve il pieno accesso a Dio, ottiene di essere
nuova creatura in Cristo e possiede la primizia della risurrezione futura.
107 Sviluppato specialmente in Rm 5 e in 2Cor 5,14: «L’amore del Cristo infatti ci possiede; e noi sappiamo beneche uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti».
108 «L’insegnamento di Paolo non è che Cristo morì “al posto” di altri, così che questi non passassero attraversola morte (come richiede la logica della “sostituzione”). Piuttosto, Cristo, condividendo la loro morte, li fa capaci dicondividere la sua propria morte» DUNN, Theology of Paul, 223.
109 S. Paolo radica la relazione di Cristo con gli uomini in definitiva nella sapienza eterna di Dio, che haprogettato il piano della creazione e della salvezza (cfr. 1 Cor 2,7; Ro 8,29-30; Ef 1,3-12; ecc.) e nel quale Cristo èCapo e nuovo Adamo (cfr. 1Cor 11,3; 15,22.45; Ro 5,14; Ef 1,10; ecc.).
110 Dio ha costituito Cristo come «giustizia, santificazione e redenzione»: 1Cor 1,30.
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1
II. Revisione del contenuto
In questa seconda sezione presenteremo i contenuti della teologia della redenzione. La nostra
attenzione si concentrerà sui temi e dibattiti che hanno interessato lo studio dei teologi. Quali aspetti
sono emersi nel discorso soteriologico degli ultimi decenni? Quali sono gli aspetti di interesse per la
“disciplina” soteriologica? Il compito di rispondere a queste domande trova difficoltà in ciò che
abbiamo segnalato all'inizio, ovvero, una certa “dispersione” della soteriologia contemporanea e la
mancanza di unità nelle proposte e nei modi di pensare. Vi sono, in ogni caso, elementi di
unificazione su cui ora rifletteremo come la tendenza a vedere i problemi dal punto di vista del
progetto di Dio, l'assunzione di una idea di Rivelazione con una forte risonanza soteriologica1, e
altri ancora.
I. La questione dell’“orizzonte” e dell'unità della soteriologia
Nel clima di cambiamento e di incertezza che seguì il Concilio Vaticano II, M.-J. Le Guillou
invocava «un rinnovamento della capacità di comprensione (intelligenza) cristiana, che fosse in
grado di rendere manifesto, in maniera sempre più approfondita, il mistero cristiano»2. E definiva
l'oggetto del mistero in questi termini: «È, in realtà, il Dio vivente che nella sua Parola si rivela:
Lui stesso e il piano da Lui concepito liberamente di creare, adottare e salvare l'umanità nel suo
Figlio»3. Secondo il domenicano francese questo deve essere ritenuto il punto centrale di tutto il
lavoro teologico. Tale esigenza di adottare la prospettiva del progetto di Dio, per poter prendere in
considerazione i vari elementi teologici in modo unitario e integrato, è una delle caratteristiche
principali della teologia contemporanea. Quindi il discorso soteriologico è posto in continuo
riferimento a Dio, alla Rivelazione, all'uomo, alla Chiesa, alle realtà ultime e in particolare a Gesù
Cristo. Ci si propone così un progetto ambizioso che cerca di evitare il rischio di unilateralismo (che
ha avuto chiari esempi nella teologia della liberazione, nella soteriologia “femminista”, ecc.). Esso
cerca di pensare la soteriologia dal “centro”, dall'unità del mistero4, che conduce, a sua volta, ad
1 Questa nozione «esperimenta una trasformazione: da essere intesa fondamentale e quasi esclusivamente come
insieme di verità dottrinali, a comprendersi a partire da una prospettiva più storica, dinamica, cristologica, personale e
trinitaria» Á. CORDOVILLA PÉREZ, El ejercicio de la teología. Introducción al pensar teológico y a sus principales
figuras, Sígueme, Salamanca 2007, 63.
2 M.-J. LE GUILLOU, El misterio del Padre. Fe de los apóstoles, gnosis actuales, Encuentro, Madrid 1998, 36-37.
3 Ibidem, 41.
4 Ibidem, 102-105.
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2
inquadrarlo all'interno dell'unità: a) tra la creazione, la redenzione e l’escatologia; b) tra la
rivelazione e la salvezza; c) tra i “benefici della salvezza” e le “aspirazioni umane”.
a) Soteriologia e unità del piano divino
La soteriologia contemporanea ha cercato una migliore integrazione tra l’ordine della creazione
e l'ordine della chiamata a diventare figli di Dio5. C’è stata una certa frattura nell’esposizione
dogmatica degli ultimi secoli, che può essere attribuita al modo di comprendere la creazione.
Nell’orizzonte di una visione del mondo basata sulla scienza greca e araba, la cosmologia si
esprimeva in termini di “gerarchia” ed in una visione piuttosto “statica”. «Il mondo è stato
concepito come perfettamente ordinato (ordinata collectio creaturarum) e prestabilito, al punto che
l'uomo lo può solo ammirare e penetrare con la conoscenza (theoreîn). In questo modo il creato si
pensava come qualcosa di già compiuto all'inizio del tempo e dove risiedeva la perfezione totale
delle cose»6. In questo contesto, il tempo storico era soprattutto un tempo di “conservazione” e di
perdita della perfezione originale, ma anche di possibile “recupero” di ciò che si è perduto. L'opera
redentrice da questo punto di vista, era collegata solo con il peccato, ed è venuta a coincidere più o
meno, con un ristabilimento dell'ordine turbato. Ciò che la redenzione apporta si misura in rapporto
al passato, alle origini paradisiache che si erano perse7. La nostra epoca tende a considerare la realtà
creata in modo diverso: non come qualcosa di precostituito in maniera perfetta e originaria, ma
piuttosto come una realtà dinamica chiamata ad un progresso e ad una perfezione. «Essendo opera
di Dio, non si deve pensare la creazione come un evento che ha avuto luogo soltanto all'inizio del
tempo, che si estende nella storia attraverso “un atto di conservazione” e che eventualmente sarà
riportata all’ordine originario. L’opera di Dio è attiva, e dispiegandosi, fin dall'inizio, ripercorre la
storia conducendo il mondo alla sua perfezione finale, in cui si compiono le intenzioni creatrici di
5 Quest’istanza è presente anche in altre aree della teologia; come, per esempio, nell’antropologia nel tema della
“creazione in Cristo”: cfr. G. COLOMBO, La teologia della creazione nel XX secolo, in R. VAN DER GUTCH- H.
VORGRIMLER, Bilancio della teologia del XX secolo, Città Nuova, Roma 1972, 44-66; A. CORDOVILLA, La creación en
Cristo en la teología de K. Rahner y H.U. von Balthasar, PUG, Roma 2002; J. L. MARTÍNEZ CAMINO, “Through Whom
of Thing Were Made”: Creation in Christ, «Communio» 28 (2001), 214-229; F. MUSSNER, Creación en Cristo, IN J.
FEINER - M. LÖHRER (dir.), Mysterium Salutis, II/1, Cristiandad, Madrid 1969, 505-513; J. L. RUIZ DE LA PEÑA,
Creación, gracia, salvación, Sal Terrae, Santander 1993; S. VERGÉS, El hombre creado en Cristo, Ediciones
Secretariado Trinitario, Salamanca 1975. Un lavoro di ampio respiro sull’unità tra creazione ed alleanza (salvezza) si
trova in S. SANZ SÁNCHEZ, La relación entre creación y alianza en la teología contemporánea. Status quaestionis y
reflexiones filosófico-teológicas, EDUSC, Romae 2003.
6 BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 728.
7 Ibidem.
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3
Dio»8. Questa visione dinamica del mondo, mostra con maggiore efficacia la trascendenza e la forte
enfasi escatologica attribuita alla storia nel pensiero biblico. Inoltre permette di radunare in unità i
tre grandi momenti del piano di Dio (la creazione, la redenzione, la consumazione) ed esprimere
cone maggiore profondità il ruolo e il posto di Cristo nel disegno di Dio, come perno attorno al
quale tutto ruota, fondamento di unità e coerenza del disegno del Padre9.
Cioè, se si pensa la creazione come momento fondatore e primo di un progetto destinato a
svilupparsi, e si riflettere alla luce della rivelazione su questo progetto, si è anche in grado di
percepire la chiave di esso, che è Gesù Cristo. Il secondo momento, la redenzione, sarà in una certa
misura uno sviluppo del primo: la trama nella quale, attraverso il peccato, emerge pienamente la
novità di Cristo. Certamente questa seconda creazione non è implicata nella prima, ma appartiene
ugualmente al progetto divino, libero e gratuito; c’è tuttavia uno stretto rapporto tra i due momenti
poiché la prima creazione è rivolta alla seconda e alla sua consumazione escatologica. In questo
modo «è sempre più chiaro che tutto comincia in Cristo e tutto in Lui assume valore»10
; non c'è un
prima che preceda Cristo nel piano di Dio e, quindi, le altre realtà teologiche (la stessa creazione,
l’elevazione soprannaturale, il peccato, ecc.) sono in qualche modo subordinate al dono
fondamentale di Gesù Cristo. Questo non è semplicemente accettare la posizione di Scoto,
abbandonando la tomista, perché in realtà, entrambe le posizioni tradizionali, con la loro enfasi
ontologica, orbitano attorno alla grandezza del Dio Uno e alla gloria che egli riceve per il suo
progetto. Invece, l'enfasi della teologia contemporanea nel dono di Gesù Cristo come fondamento
del piano di Dio, nella sua qualifica storica (vale a dire, alla luce della sua incarnazione, vita e
Pasqua) cerca di mettere in evidenza qualcosa di diverso: il movimento di Dio verso di noi, per
rivelarsi e salvarci. Il suo punto finale è la concezione di Dio come amore tri-personale, in cui le
persone divine si donano a vicenda, e sono quindi il fondamento di un progetto focalizzato sulla
manifestazione della purezza e gratuità dell'amore che giunge fino al sacrificio.
Almeno in parte, la soteriologia attuale assume il proprio orientamento sul motivo della venuta
di Gesù Cristo. Vede in essa la manifestazione del mistero di Dio e del Suo amore, che cerca di
8 Ibidem, 729.
9 Si fa riferimento in questo contesto all’originalità del pensiero paolino, che esprime in termini di “creazione” le
prospettive cosmologiche, cristologico-soteriologiche ed escatologiche, e le unifica nella persona e nell’opera di Cristo.
Cfr. R. PENNA, L'idea di creazione in Paolo e nel paolinismo: il ruolo di Cristo per un nuovo concetto di cosmo, di
uomo e di chiesa, en M. V. FABBRI - M. Á. TÁBET (a cura di), EDUSC, Roma 2009, 191-212. Ci riferiamo a quei testi
paolini che presentano Cristo come: l’archetipo, mezzo e fine dell’opera creatrice (p. es. Col 1,15-20); centro
ricapitolatore della realtà (Ef, 1, 10.22.29); capo del genere umano (Rm 5,12; 1Cor 15,22.45) e signore del cosmo (1Cor
11,3; Col 2,10; Ef 1,22); primogenito della creazione, nella quale Egli diffonde il pleroma divino (Ef 1,22-23; Col 1,19-
20; 2,9-10); Alfa e Omega della storia (Ap 1,8; 21,6; 22,13).
10
MOIOLI, Cristologia. Proposta, 61.
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4
comunicarsi agli uomini, di liberarli dal proprio peccato, perché risplenda la loro dignità di figli di
Dio. Si avvicina così, in qualche modo, alla concezione giovannea del rapporto tra l'opera di
salvezza e il mistero trinitario. Come nota Giovanni Paolo II, nel quarto vangelo è rivelata «la
logica più profonda del mistero salvifico contenuto nel piano eterno di Dio, come espansione
dell'ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È la “logica” di Dio, che dal
mistero della Trinità porta al mistero della Redenzione del mondo attraverso Gesù Cristo»11
.
b) Rivelazione e salvezza
Con questo entriamo già nel secondo aspetto: l'unità della rivelazione e della salvezza. Qui le
istanze teologiche del trattato su Dio sono direttamente connesse alla soteriologia. «Il rinnovamento
del discorso sulla Trinità, che si afferma a partire dall'inizio del ’900, consiste principalmente nel
superamento di una concezione intellettualistica della fede, ricollocando al centro l'evento della
rivelazione, culminante in Gesù Cristo. [...] La storia della salvezza diventa sempre più il luogo
della rivelazione della Trinità»12
. Infatti, come risultato di questo rinnovamento, «l'orizzonte che
domina la riflessione, nel campo degli studi sulla Trinità, è la prospettiva economico-salvifica, così
come la troviamo attestata nella Scrittura [...]. Non si tratta tanto di comunicazione di verità su Dio,
quanto della sua autocomunicazione nella storia, dell’azione personale di Dio in favore degli
uomini»13
. O meglio, si tratta sempre di Dio e della sua relazione con l'uomo, ma si è consapevoli
del fatto che al Dio “in sé” (la “Trinità immanente”14
) si accede solo dalla sua rivelazione nella
storia della salvezza (la “Trinità economica”15
). In questo senso, a partire da K. Rahner16
, molti
autori hanno sottolineato il principio che «Dio è in sé, così come rivelato in Gesù Cristo per mezzo
11
Cfr. Enc. Dominum et Vivificantem, 11.
12
P. CODA, Trinità, in J.-Y. LACOSTE - P. CODA, Dizionario critico di teologia, Borla - Città nuova, Roma 2005,
1409.
13
J. PRADES LÓPEZ, “De la Trinidad economica a la Trinidad inmanente”. A propósito de un principio de
renovación de la teología trinitaria, «Revista española de teología» 58 (1998), 287-288.
14
Anche chiamata: Trinità in Sé, Trinità ontologica o Trinità ad intra.
15
Trinità per noi, Trinità soteriologica o Trinità ad extra.
16
Cfr. K. RAHNER, El Dios Trinitario como principio y fundamento trascendente de la historia de la salvación, en
J. FEINER - M. LÖHRER (dir.), Mysterium Salutis I/II, Madrid 1969, 359-449. In generale i teologi hanno accolto senza
difficoltà la prima parte del Grundaxiom rahneriano, cioè: «la Trinità economica è la Trinità immanente». Cfr. PRADES
LÓPEZ, De la Trinidad econàonomica, 291. La formulazione inversa, al contrario, è discutibile poiché corre il rischio di
dissolvere la “Trinità immanente” nella “Trinità economica”. L’analogia tra i due termine deve conservarsi, allora,
come ha affermato la Commissione Teologica Internazionale: «la distinzione tra “Trinità immanente” e “Trinità
economica” concorda con l’identità reale di entrambe». COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia,
Cristologia, Antropologia, I, C. 3 [IDEM, Documenti: 1969-1996, 250].
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5
dello Spirito Santo, o, meglio ancora, che nella sua rivelazione Dio si comunica realmente e si fa
conoscere come è veramente»17
. Ma dal momento che la rivelazione del mistero di Dio si svolge
nella testimonianza che abbiamo ricevuto (nella Chiesa) di quello che Dio ha operato e opera per
noi, si stabilisce un nesso inscindibile tra la realtà di Dio, la sua rivelazione nella storia e la salvezza
dell'uomo. È Dio stesso a rivelare se stesso e a renderci capaci di partecipare alla propria realtà,
salvandoci (senza prescindere dalla nostra libertà).
Queste prospettive riportano al centro della scena teologica la vita di Gesù e, soprattutto, il
mistero pasquale18
, che è ora considerato come luogo privilegiato della rivelazione di Dio e della
salvezza dell'uomo19
. Questa doppia dimensione soteriologica e rivelante, necessariamente
confluisce in unità, «perché laddove la Trinità immanente si comunica come Trinità economica (e
questo ha il suo vertice nell'evento pasquale), Essa si rivela al tempo stesso nella sua vita intima e
si comunica agli uomini, redimendoli dal peccato (perciò la soteriologia si mostra allora come unità
della redenzione nel senso stretto e della divinizzazione)»20
. In questo modo le due dimensioni sono
strettamente correlate21
: la rivelazione non è solo verbale, ma esistenziale22
; è rivelazione di una
Vita che si comunica proprio nell’azione salvifica e questa salvezza trova il suo presupposto e la
“norma” nell'amore preesistente all’interno della Trinità.
17
P. CODA, Trinità, 1410. 18
In questa linea, ha avuto molto influsso l’opera di G. LAFONT, Peut-on connaître Dieu en Jésus-Christ?, Cerf,
Paris 1969, insieme ad altri lavori. Segnaliamo, tra questi: H. U. VON BALTHASAR, El misterio pascual, in J. FEINER -
M. LÖHRER (dir.), Mysterium salutis, III, Madrid, 1980, 666-814. Anche se in realtà si tratta di un movimento molto
ampio, come si vede passando in rassegna i teologi del secolo XX. Cfr. T. CITRINI, Gesù Cristo, rivelazione di Dio, La
Scuola Cattolica, Venegono Inferiore 1969.
19
Cfr. M. SCHMAUS, Teologia Dogmatica: III: Dios Redentor, Rialp, Madrid 1962, 325. A condizione
naturalmente che i misteri di Cristo si considerino fondati sull’Incarnazione, e questa sia intesa, contemporaneamente
come condizione ontologica permanente ed esistenziale e come processo temporale e storico di Gesù stesso. (Cfr.
BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 930-931).
20
P. CODA, Acontecimiento pascual. Trinidad e historia, Secretariado Trinitario, Salamanca 1994, 166.
21
«La questione della salvezza cristiana non solo non può esser separata, ma deve esser necessariamente esposta a
partire dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Parlare di salvezza richiede di parlare del Dio Trino, in questo risiede
la novità cristiana: l’uomo si salva poiché il Dio Trino si comunica così com’è». M. GONZÁLEZ, Il ricentramento
pasquale-trinitario della teologia sistematica nel XX secolo, in P. CODA, - A. TAPKEN, La Trinità e il pensare. Figure,
percorsi, prospettive, Città nuova, Roma 1997, 353.
22
«È la stessa esistenza di Cristo, in tutto il suo sviluppo che culmina nella croce, la quale rivela il mistero
trinitario. Questa dimensione rivelativo-esistenziale (nel senso dinamico-evolutiva) è la dimensione più profonda del
mistero soteriologico». CODA, Acontecimiento pascual, 167. I caratteri italici sono dell’autore.
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6
Due osservazioni possono aiutare a cogliere meglio la portata del tema:
a) Con la ridefinizione dell'immagine di Dio a partire dall'evento pasquale si apre una serie di
questioni difficili23
: sul piano teologico la teologia “trinitaria” della croce dovrà pronunciarsi sulla
delicata questione della “immutabilità” e “sofferenza” in Dio; come anche sul rapporto di questo
Dio crocifisso con il Dio Creatore, al quale si accede con la ragione (“Dio dei filosofi”) e con la
Rivelazione (“teologia della gloria”). Analogamente a livello metodologico, il tema della
“normatività” della Pasqua nella definizione di Dio24
, non dovrà ignorare le diverse dimensioni del
mistero di Cristo (cosmica, storico-salvifica, escatologica), o le prospettive che la ragione umana ha
raggiunto nel suo pensiero su Dio per ea quae facta sunt25
. Ciò richiede una metodologia ben
sviluppata, in grado di evitare approcci unilaterali.
b) Nel trattare la soteriologia dal punto di vista della rivelazione trinitaria, avviene una
“inversione di tendenza”, con conseguenze significative. Nel secondo millennio aveva prevalso una
considerazione “ascendente” dell’opera salvifica. Questa mirava a riparare il peccato, e la
riparazione consisteva, secondo Sant’ Anselmo, nel risarcimento che Gesù ha offerto a Dio in
nostro favore (soddisfazione penale, espiazione vicaria). La nuova prospettiva, tuttavia, è verso il
basso, “discendente”. L'azione di Cristo è integrata nella rivelazione di Dio, che è possibile se si
considera l'espiazione dal punto di vista esistenziale, come dono generoso della vita, come essere-
23
Lo mostra con chiarezza l’esposizione di E. BENAVENT VIDAL, El misterio pascual en la teología reciente, in
Asociación Española de Profesores de Liturgia, El misterio pascual en la liturgia, Grafite, Bilbao 2002, 191-246
(soprattutto 195-213).
24
Posta con eccessiva radicalità nell’opera del teologo luterano J. MOLTMANN, Der gekreuzigte Gott. Das Kreuz
Christi als Grund Kritik christlicher Theologie, Kaiser, München 1972 [trad esp.: El Dios crucificado, Salamanca,
1975]. In ogni caso, il tema è presente anche in ambito cattolico: «Se la croce di Cristo è un avvenimento trinitario e se
la sofferenza in Dio deve esser intensa in chiave trinitaria, significa che la kenosi del Figlio nell’Incarnazione e,
soprattutto, nel momento culminante della croce, costituisce la pienezza della rivelazione della Trinità e che il
significato della croce si comprende solamente quando è contemplata come il luogo dove si scopre pienamente il Dio
cristiano». BENAVENT VIDAL, El misterio pascual, 205.
25
«La stessa santa madre Chiesa ritiene ed insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto
con certezza con la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create; “infatti, dalla creazione del mondo in
poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute” (Rm 1,20)».
CONCILIO VATICANO I, Const. Dogm. Dei Filius, 24-IV-1870, cap 2 [Dz-Sch, 3004].
Pag. 6/40
7
per-gli-altri26
(o proesistenza27
), usando allora concetti che permettono di mostrare la rivelazione
dell'amore di Dio28
.
Questa “inversione di tendenza” orienta la soteriologia verso una nuova sintesi, con nuovi
paradigmi significativi ed una diversa struttura interna rispetto alla precedente teologia. La
soteriologia di Anselmo e Tommaso d'Aquino situava la croce in collegamento con il giusto ordine
dato al mondo (ovvero, con l'ordine della creazione danneggiata dal peccato e risanata da Cristo) e
riconosceva nell’ontologia di Cristo (Deus-homo) la possibilità di recupero della giustizia persa da
Adamo in poi; la nuova prospettiva valuta la croce a partire dall'amore di Dio e fonda la sua
efficacia salvifica sulla corrispondenza degli atti di Cristo con questa carità: il mondo è salvato
perché negi atti di Cristo è presente la carità del Dio Trino29
. Ma se il parametro di riferimento non
è più il mondo visto in rapporto a Dio bensi la manifestazione del Dio-Amore, si origina anche un
cambio nel modo di considerare la mediazione di Cristo: il dato entitativo (Deus-homo) «non ha più
lo scopo di garantire il valore salvifico dell'azione di Cristo, ma piuttosto di tutelare la fedele
corrispondenza tra la manifestazione storica e l’auto-rivelazione di Dio, vale a dire che ciò che si
manifesta è espressione di Dio e non del mondo»30
. Nascono da questo nuove proposte per
articolare la mediazione di Cristo31
.
c) Salvezza integrale
La ricerca di unità della soteriologia si mostra anche nell’ambito dei benefici della redenzione.
Forse la nostra epoca passerà alla storia come quella che ha enfatizzato una salvezza conforme alla
26
Cfr. W. KASPER, Introducción a la fe, Sígueme, Salamanca 1976, 159; J. RATZINGER, Introducción al
cristianismo, Sígueme, Salamanca 1971, 200ss.
27
H. Schürmann ha dato un fondamento esegetico e ha promosso con abilità questa categoria nella teologia attuale.
Cfr. Il suo lavoro: ¿Cómo entendió y vivió Jesús su muerte? Reflexiones exegéticas y panorama, Sígueme, Salamanca
1982, 129-163. [Orig. Jesu ureigener Tod. Exegetische Besinnungen und Ausblick, Verlag Herder, Freiburg 1975].
28
«Ciò che nell’uso tradizionale si chiama “espiazione vicaria” deve essere inteso e sottolineato come un evento
trinitario». COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Questioni scelte di cristologia, IV, C.3.5 [IDEM, Documenti:
1969-1996, 237].
29
«La morte di Gesù fu una “espiazione vicaria” definitivamente efficace, giacché il gesto del Padre di consegnare
e offrire il suo proprio Figlio si raccoglie esemplarmente e realmente in Cristo che dà se stesso, consegnandosi e
offrendosi con perfetta carità». Ibidem.
30
A. DUCAY, Revelación y salvación. Incidencia de la noción de revelación en la orientación actual de la teología
sobre la Cruz, in AA.VV, Cristo y el Dios de los cristianos. Hacia una comprensión actual de la teología, Eunsa,
Pamplona 1998, 453.
31
Cfr. Più avanti, la sezione II, 2, b.
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8
portata delle aspirazioni umane32
. La soteriologia recente ha cercato di riflettere sul bene integrale
dell'uomo, per mostrare che Dio in Gesù Cristo si prende cura della creatura umana tutta intera:
della sua vita terrena e del suo destino eterno, dei bisogni spirituali e materiali, della vita personale
e di quella sociale.
Tuttavia, questa esigenza non è stata il risultato di intuizioni particolarmente acute o di analisi
accurate. Piuttosto, su questo punto si concentra il conflitto e, in qualche misura, l’adozione del
processo del pensiero moderno da parte della soteriologia. Dal momento che si è sostituita la
concezione teocratica (ontocratica), che aveva fondato la sintesi medievale, in favore di
un’interpretazione che attribuiva all'uomo il ruolo centrale (e non a Dio o all'ordine o alle istituzioni
tradizionali)33
, la teologia necessitò di un adattamento: ha dovuto discernere, a poco a poco, gli
aspetti positivi del nuovo paradigma, orientato verso una visione antropocentrica della vita, e ha
dovuto rilevare anche ciò che per un cristiano era incompatibile con quella visione e inaccettabile
per l'uomo. In ogni caso, la forza e la validità del messaggio cristiano di salvezza richiedono, nel
nuovo contesto, di sottolineare il carattere pienamente umano della salvezza. Dio non è un redentore
unilaterale, preoccupato solamente degli aspetti morali e religiosi degli uomini, ma garantisce la
completa felicità delle sue creature.
L'ambito della teologia della redenzione è stato quindi sottoposto alle tensioni ed ai rischi
dell'incontro tra la fede cristiana e il “pensiero moderno”, e questi sono, in definitiva, gli aspetti che
hanno caratterizzato la soteriologia degli ultimi decenni. La constatazione della difficoltà di
annunciare il messaggio rivelato, la percezione di una certa inefficacia evangelizzatrice, gli aspetti
di verità presenti in alcune critiche hanno potuto generare l'impressione che fosse necessario un
cambiamento radicale: dare alla soteriologia una nuova identità per affrontare le attuali difficoltà.
Ma la ricerca frettolosa di una nuova sintesi come potrebbe evitare il rischio di un’acritica (o, a
volte, compiaciuta) assunzione delle mode del momento?34
«La constatazione -certamente
ingrandita, aggiungiamo noi- della distanza abissale tra il tradizionale dogma della redenzione e la
problematica esistenziale e tematica che l'uomo sperimenta a riguardo del proprio destino»35
è stata
origine di una soteriologia troppo centrata sull’uomo, concepito in modo unilaterale come un
progetto di umanizzazione e di emancipazione.
32
Cfr. G. COLZANI, La salvezza oggi: cultura e teologia, in A. TERRACCIANO (ed.), Attese e figure di salvezza oggi,
Campania notizie, Napoli 2009, 48-54.
33
Cfr. LOCHMAN, Christ ou Prométhée?, 93. Anche: WINLING, La théologie contemporaine, 16.
34
Cfr. L. SCHEFFCZYK, Il compito della teologia di fronte all'odierna problematica della redenzione, in AA. VV.,
Redenzione ed emancipazione, Queriniana, Brescia 1975, 13.
35
D. WIEDERKEHR, Fe, redención, liberación. De la soteriología antigua a la moderna, Madrid 1979, 6.
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9
L’esigenza di fondo, però, era reale. Era necessario mostrare che la salvezza cristiana non è
estranea alla promozione dell'uomo e che deve spingere per un mondo più umano. Buona parte di
quelle aspirazioni erano legittime e dovevano trovare spazio nella soteriologia cristiana. Da questo
punto di vista è degna di nota la riflessione del Magistero della Chiesa, tanto dell’epoca del
Vaticano II fino a quella contemporanea36
, dal momento che ha avuto il grande merito di presentare
in un quadro unitario gli aspetti trascendenti e storici della salvezza.
II. Il Mediatore e la sua azione salvifica
Tra le questioni trattate abitualmente dalla soteriologia classica di solito si trovava la domanda:
“Perché affermiamo che Cristo è il mediatore? Dove si fonda questa condizione?” San Tommaso le
ha dedicato una questione nella sua Summa Teologica37
, che ha trovato il favore dei teologi per
secoli38
. La soteriologia contemporanea non ha sollevato la questione esattamente negli stessi
termini. È stata più preoccupata dal senso e dalla dinamica della mediazione piuttosto che delle sue
formalità, sollevando la questione in questi termini: “Come possono mediare la salvezza gli atti di
Cristo, la sua vita e la sua storia?” La riflessione teorica su questo tema, anche se poco affrontata, è
importante, perché costituisce parte dei “presupposti” non sempre dichiarati delle varie
interpretazioni soteriologiche.
La questione è complessa, come vedremo, ma può essere strutturata attorno ad alcune polarità39
,
tra cui: la direzione prioritaria della mediazione (discendente o ascendente), la caratterizzazione
essenziale del Mediatore (la persona o la doppia natura), il modo di realizzazione della salvezza
36
Lo sforzo del magistero della Chiesa in questo settore è stato enorme: si pensi all’impulso dato alla promozione
sociale con le encicliche di Paolo VI Evangelii Nuntiandi e Populorum Progressio; alla teologia della dignità dell’uomo
e delle culture con le encicliche Redemptor Hominis e Redemptoris Missio; alla abbondante riflessione sopra la donna,
la famiglia, il valore del corpo ecc., di Giovanni Paolo II; allo sforzo comune degli ultimi Pontefici per affrontare, nel
solco della dottrina sociale cristiana, le questioni aperte nell’ambito lavorativo, dei sistemi economici, della giustizia
nelle relazioni internazionali, ecc. I principi di riflessione, i criteri di giudizio e le linee di azione, che offre il Magistero
costituiscono una vera praxis di liberazione della Chiesa «affinché si realizzino questi cambiamenti profondi che le
situazioni di miseria e di giustizia esigono, e tutto ciò si attui in modo che contribuisca al vero bene degli uomini».
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis Conscientiae, 22-III-86, cap. V, [EV X, nn. 292-
335].
37
La q. 26 de la III pars si intitola: De hoc quod Christus dicitur mediator Dei et hominum.
38
Studiata tra gli altri da G. GUITIÁN CRESPO, La mediación salvífica según Santo Tomás de Aquino, EUNSA,
Pamplona 2004.
39
Alcune di queste si possono incontrare in: GRONCHI, Trattato, 925; A. COZZI, Conoscere Gesù Cristo nella fede.
Una cristologia, Cittadella, Assisi 2007, 384-386; SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 120-124; COMISSIONE
TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia, Cristologia, Antropologia, I, D, 1 [IDEM, Documenti: 1969-1996, 250-251].
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(manifestativo o performativo), la direzione della salvezza ottenuta (“deificazione” o
“umanizzazione”)40
. Al centro di tutte queste polarità risiede il problema di esprimere
adeguatamente le dimensioni trascendenti41
e storiche42
dell'atto salvifico di Cristo.
Inoltre, la mediazione salvifica è generalmente intesa in senso causale: Cristo è la causa della
nostra salvezza. Perciò si dovrà indagare come si è intesa tale causalità.
a) Trascendenza e storia nell’atto salvifico
Torniamo alla domanda circa il senso fondamentale della mediazione. Non c'è dubbio che
l'opera della salvezza è qualcosa che gli uomini non sono capaci di fare da soli. Non è possibile
l’autoredenzione e Dio si è fatto carne propter nos ed è giunto fino alla morte. Ma l’atto salvifico è
soprattutto Dio che opera in Cristo a nostro favore, o Cristo che opera per noi davanti a Dio?43
Qual
è il suo nucleo: l'amore di Dio che purifica il nostro egoismo o l'obbedienza di Cristo che espia i
nostri peccati? La prima posizione vede l'opera redentrice come carità e misericordia, la seconda
come riparazione e giustizia. Alla radice di queste valutazioni ci sono due prospettive diverse del
rapporto tra Dio e l'uomo: una più personale, l'altra più oggettiva. Esse indicano «un problema
fondamentale: la relazione tra l'ordine ontologico e quello personale sul piano del rapporto
dell'uomo con Dio»44
.
I due aspetti non devono opporsi radicalmente, anche se resta aperto il problema di come
coniugarli ed integrarli, e su quale porre la priorità. Abbiamo già segnalato che nel secondo
millennio, la soteriologia si era polarizzata intorno alla giustizia e la redenzione si esprimeva
principalmente con categorie “ascendenti”: la soddisfazione penale, il merito, il sacrificio di Cristo,
40
Di quest’ultimo argomento ci occuperemo brevemente più avanti.
41
L’iniziativa divina, la persona che lo realizza, la manifestazione della sua volontà salvifica, ciò che è misterioso
nella salvezza.
42
La presente situazione, l’azione umana, l’avvenimento storico, ciò che è “tangibile” nella salvezza.
43
Le categorie del Nuovo Testamento e della tradizione teologica per esprimere l’azione salvifica di Cristo sono
state ben studiate nel volume I dell’opera di Sesboüe, Jesucristo, el único mediador (già citata). L’autore rileva in esse
una prima strutturazione fondamentale: «le diverse categorie si ordinano secondo due movimenti principali: uno va da
Dio all’uomo attraverso l’umanità di Gesù; l’altro va dall’uomo a Dio, giacché in Gesù, il Figlio per eccellenza, l’uomo
“merita” di arrivare a Dio» (p. 65).
44
GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 314. L’ allusione all’ordine ontologico si riferisce a
ciò che in giustizia corrisponde all’uomo come creatura e a Dio come Creatore, in quanto diversa dalla relazione di
amicizia o benevolenza.
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mediatore di fronte a Dio45
. Recentemente, tuttavia, si è insistito a dare la priorità al movimento
“discendente”, perché «tutto viene innanzitutto da Dio e dalla sua grazia»46
: egli è il Salvatore. Se il
significato dell'opera di salvezza è posto nella riconciliazione, è soprattutto un «atto di Dio che ha
l'uomo come oggetto finale»47
, anche se comporta una certa reciprocità: “lasciarsi riconciliare”48
.
Ma non si deve «cadere in un unilateralismo inverso: questo movimento (discendente) deve
articolarsi con quello ascendente considerando l’armonia dei due aspetti della mediazione»49
. Le
due dimensioni possono dare una soteriologia soddisfacente solo nella loro reciproca convergenza
in un atto unico e personale, Cristo porta la salvezza di Dio per l'uomo e conduce l'uomo al Padre.
La seconda polarità è in qualche modo inclusa nella prima. Come vedere la mediazione di
Cristo. A partire dalla persona, dal Figlio di Dio, o dalle nature, come azione dell’uomo-Dio?50
La
cosa essenziale è il rapporto tra Gesù e Dio Padre nello Spirito Santo, con tutto il suo carico di
rivelazione della vita intima di Dio?51
Oppure deve essere prioritario il riferimento alla situazione
umana davanti a Dio e la riparazione richiesta all’uomo?52
Domande simili alle precedenti, ma con
una direzione diversa. Quando la dimensione personale è centrale, il referente di Cristo è il Padre e
la storia concreta di Gesù è sostanziale, divenendone l’espressione della persona; quando la natura è
l’elemento centrale, si evidenzia la perfezione del lavoro redentrice di Cristo-uomo dinnanzi a Dio,
della sua passione che è uno strumento di riconciliazione con Dio.
45
SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 67-69.
46
Ibidem, 122.
47
Ibidem.
48
Cfr. 2Cor 5,20.
49
SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 69.
50
Secondo G. Moioli, la teología occidentale ha proposto fondamentalmente due modelli di mediazione: «nel
primo l’unione ipostatica è la ragione profonda della “mediazione” di Cristo, però si parla di mediatore formalmente
perché è l’uomo ipostaticamente unito al Figlio di Dio; nel secondo –che ha guadagnato recentemente importanza–
Gesù è “mediatore” tanto quanto è “mediazione”, cioè, manifestazione-presenza-azione del Figlio di Dio Salvatore». Cristologia. Proposta, 149.
51
In linea con quanto abbiamo esposto nella sezione precedente.
52
Questa prospettiva della “doppia natura” la incontriamo nel documento della Comisione Teologica Internazionale
Questioni scelte di cristologia, IV, a) 2 [IDEM, Documenti: 1969-1996, 537]: «La redenzione, di conseguenza, è un
processo che implica tanto la divinità quanto l’umanità di Cristo. Se Egli non fosse divino, non potrebbe pronunciare il
giudizio di perdono efficace di Dio e neppure potrebbe far partecipare nella vita trinitaria intima di Dio. Però se non
fosse uomo, Gesù non potrebbe compiere la riparazione in nome dell’umanità per le offese commesse da Adamo e dalla
sua discendenza. Solamente perchè possiede entrambe le nature ha potuto offrire soddisfazione per tutti i peccatori e
concedere loro la grazia come loro capo rappresentativo».
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Se si adotta la prospettiva personale e si collega strettamente la storia di Gesù con la
rivelazione/salvezza sorge la questione di come qualcosa di contingente e di esteriore, come la
storia (di Gesù), possa far trasparire in maniera inequivocabile l'assoluto ed il divino53
. Per
risolverla è necessario dar rilievo alla questione della “unicità di Cristo”54
. Essa può certamente
essere intesa come «il darsi storico della trascendenza o dell'Assoluto nella storia di Gesù»55
(perché «nella contingenza dell’evento o dell’avvenimento concreto, rappresentato da Gesù di
Nazareth, si incontra una dimensione assoluta, normativa, universale, definitiva, ecc.»56
), ma, in
ultima analisi, si deve tener conto che la dimensione “del divino” presente nella storia si comprende
solo quando si considera a partire dalla “filiazione” (e quindi non della natura ma della persona):
cioè dal particolare rapporto tra Gesù e il Padre che si manifesta nella sua storia57
. La mediazione di
Cristo è intrinsecamente filiale e questa filiazione singolare è la novità radicale che Egli porta con
sé58
. Di conseguenza, il principale referente dei suoi misteri di salvezza non è un indistinto “Dio”,
ma il Padre, e il parametro per la valutazione di questi misteri non è l'ordine della creazione, intesa
a partire dalla “scala dell’essere” (in cui Dio e l'uomo si definiscono in base alle loro perfezioni
naturali), ma il progetto divino di creare, adottare e salvare l'umanità nel suo Figlio.
Anche la terza polarità può partire da quelle precedenti. Si riferisce al rapporto fra trascendenza
e storia, tra il disegno salvifico di Dio e le azioni libere degli uomini. Come si relaziona questo
progetto con la storia? Il piano di Dio contiene ciò che svilupperà la storia? O questo progetto si
53
G. E. Lessing e l’illuminismo tedesco hanno esposto un problema simile: Come un fatto singolare e contingente
può assumere il valore di principio di comprensione universale dell’uomo e della salvezza?: «le verità storiche, in
quanto contingenti, non possono servire da prove delle verità di ragione, che sono necessarie». G. E. LESSING, Escritos
filosóficos y teológicos, Herder, Barcelona 1990, 482. «Può fondarsi una felicità eterna su un sapere storico?» si
domandava Kierkegaard nel frontespizio dei suoi Frammenti filosofici (Madrid, Trotta, 1997).
54
Spesso anche chiamata: “singolarità” di Cristo. Qui ci interessa solo marginalmente.
55
G. MOIOLI, Per l'introduzione del tema della singolarità di Cristo nella trattazione teologica, «La Scuola
Cattolica» 103 (1975), 775. Cfr. también P. L. VIVES PÉREZ, La singularidad de Cristo: claves de comprensión en la
cristología contemporánea, «Revista española de teología» 67,4 (2007), 455-488.
56
G. MOIOLI, Cristologia, en Diccionario Teológico Interdisciplinar, I, Sígueme, Salamanca 1982, 769.
57
Come abbiamo visto questo è ciò che ha riconosciuto l’esegesi (particolarmente quella cattolica) nel suo intento
di definire con precisione ciò che è singolare ed unico in Cristo.
58
«Nel modo dell’azione si mostra la peculiarità della persona che agisce. Giacchè la persona agente dà la forma al
proprio agire, Cristo conferisce al suo agire umano precisamente il tratto distintivo che caratterizza la modalità
dell’azione divina: la sua filiazione eterna. (…) La conseguenza più importante che si deriva per il nostro tema è la
certezza che l’agire umano di Gesù, il suo modo di azione, rivela la vita del Dio Trino», afferma CH. VON SCHÖNBORN,
El icono de Cristo. Una introducción teológica, Encuentro, Madrid 1999, 109. E, forse per l’influenza di questo autore,
leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica: «la natura umana di Cristo appartiene propriamente alla persona divina
del Figlio di Dio che l’ha assunta. Tutto ciò che è e che compie in essa appartiene all’ “Uno della Trinità”. Il Figlio di
Dio comunica, allora, alla sua umanità il suo modo personale di esistenza nella Trinità. Così, nella sua anima come nel
suo corpo, Cristo esprime umanamente gli comportamenti divini della Trinità». Catechismo della Chiesa Cattolica,
470.
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attua nella forma di dialogo tra Dio e gli uomini, e rimane quindi aperto mentre perdura la storia?
Nel primo caso, la storia della salvezza, e soprattutto Cristo, diventa segno manifesto della salvezza
che Dio offre nel suo piano. Si accetta come premessa che nulla di compiuto nella storia è in grado
di determinare, facendole subire una flessione o un cambiamento, l'eterna volontà di Dio59
. La storia
della salvezza sarebbe, piuttosto, l'effetto visibile della volontà divina di perdonare e salvare l'uomo.
Questa posizione ha la difficoltà che non spiega la causalità salvifica di Cristo: come la sua vita e la
Pasqua sia realmente la causa della salvezza umana; sarebbe piuttosto il segno del perdono divino.
La soteriologia di K.Rahner si avvicina a questa posizione60
. Anche se in realtà il teologo tedesco
sostiene formalmente che la storia e la Pasqua di Cristo sono contemporaneamente causa ed effetto
della volontà salvifica di Dio61
, tuttavia nel suo sistema questi misteri rispondono alla
fenomenologia della salvezza, che, predeterminata da Dio, appare nella storia con la forma adeguata
per essere riconosciuta dall’uomo62
. Perciò i misteri di Cristo rientrano nell'ambito del segno, più
che della causa63
. Di fronte a questo è stato giustamente sottolineato il fatto che i misteri della
salvezza non solo rivelano l'amore eterno di Dio al mondo, ma anche “operano” un effettivo
cambiamento della situazione di colpa umana. Cioè, introducono una vera novità nella storia, che
riguarda il rapporto dell'uomo con Dio64
. Eppure anche questa posizione può non essere libera di
59
Cfr. GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología contemporánea, 305.
60
Di cui il modello più radicale è, forse, la teologia di K. Barth. Cfr. A. SCHILSON - W. KASPER, Cristologie, oggi.
Analisi critica di nuove teologie, Paideia, Brescia 1979, 55-67: «nell’elezione eterna dell’uomo-Gesù si incontra
l’avvenimento, già costituito previamente, della creazione, rivelazione e salvezza. In questo modo la storia terrena di
Gesù corre il rischio di essere ridotta alla semplice apparizione di un qualcosa già deciso nell’eternità» (p. 65). E più
avanti: «anche se la croce e la resurrezione non sono una pura apparenza, sono molto vicine ad essere semplicemente la
maifestazione di un processo deciso da molto tempo nell’eternità di Dio, processo che solo una volta si fa “oggettivo”
sulla terra, e può essere riconoscito nella fede» (p. 67).
61
Effetto, perché Dio determina questi misteri, li pone come segno della salvezza e li compie in Cristo; causa
perché la salvezza deriva dal fatto che il segno si dà efficacemente nella storia e questo, a sua volta, è necessario perché
Cristo si dona liberamente alla volontà di Dio nei suoi misteri.
62
Rahner attribuisce ai misteri di Cristo una causalità di tipo quasi-sacramentale. Secondo lui, «Cristo e la
consumazione del suo destino (consumazione che si realizza nella resurrezione) è la causa della salvezza come la
costituzione storica dello stato di salvezza per tutti, che non è storicamente reversibile». K. RAHNER, Redención, en
AA.VV., Sacramentum mundi, vol V, Herder, Barcelona 1976-1978, p. 772. Però si noti che questo stato costituisce
nella storia solo ciò che già è stato previamente dato nella volontà divina e nella struttura della creatura (dottrina
rahneriana dell’esistenziale-soprannaturale). Cfr. G. MANSINI, Rahner and Balthasar on the Efficacy of the Cross, «The
Irish Theological Quarterly» 63 (1998), 234-237.
63
Da questo la Commissione Teologica Internazionale ha raccolto sinteticamente la critica che H. U. von Balthasar
espresse (Theodramatik, III, Johannes, Einsiedeln 1980, 253-263). Secondo la Commissione: «alcuni autori, tuttavia, si
sono chiesti se la teoria dà sufficiente spazio all’efficacia causale dell’avvenimento Cristo, e specialmente al carattere
redentivo della morte di Gesù sulla croce. Il simbolo Cristo esprime e comunica semplicemente ciò che
precedentemente è stato dato nella volontà salvifica di Dio?». Questioni scelte, III, b) 32 [CTI, Documenti: 1969-1996,
533] Su questo aspetto cfr. anche F. IANNONE, Karl Rahner: eteroredenzione o autoredenzione?, «Rassegna di
Teologia» 37 (1996), 597-622.
64
E. BABINI, Per un ripensamento della soteriologia. Approfondimento critico e prospettive, «Rassegna di
teologia» 39 (1998), 704-705.
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problemi: quando la novità si riferisce al dialogo che le persone della Trinità mantengono tra loro
nell’economia, il cambiamento ricade sulle stesse persone, soggetti di un evento che si situa allora
ad intra di Dio, e questo solleva la questione di come capire l’immutabilità divina. La teologia di H.
U. von Balthasar si colloca su questi percorsi, costringendo il teologo svizzero a “ripensare” la
Trinità immanente, così che in Essa possa entrare la croce con il suo carico di negatività. La
soluzione si rivela insoddisfacente65
. Di queste riflessioni forse la soteriologia deve mantenere l'idea
che, anche se gli eventi della storia non cambiano la volontà salvifica di Dio66
, tuttavia,
contribuiscono a darle una forma concreta, che dipende dalla libertà umana, e senza la quale la
volontà divina non avrebbe motivo a costituirsi come salvifica.
b) Cristo, causa della salvezza
Correlata a quello che abbiamo appena descritto, anche se meno speculativa, è la questione
della causalità salvifica di Cristo. Si tratta di illustrare teologicamente come gli atti di Cristo, che
sono azioni umane, siano fonte di salvezza per l'umanità. La soluzione classica tomista, con
precedenti in sant'Agostino e san Giovanni Damasceno, si basa sull'idea che la natura umana di
Cristo costituisce un canale “adeguato” per l'agire della sua persona divina. Ispirandosi al modello
antropologico di unione tra corpo e anima, san Tommaso nella Summa contra Gentiles spiega che il
Verbo, nell’assumere la sua umanità, la eleva e adatta a se stesso, così che gli sia propria e possa
operare le realtà divine67
. Costituita così in “strumento” della persona del Verbo, tutto ciò che
l'umanità di Cristo realizza possiede un’efficienza divina e salvifica, che le corrisponde
intrinsecamente68
.
65
Cfr. Le critiche di MANSINI, Rahner and Balthasar, 247-249, il quale termina il suo articolo con una punta di
ironia: «se usiamo Rahner per criticare Balthasar, e Balthasar per criticare Rahner, terminiamo affidandoci alla
tradizione primitiva, che parla con Sant’Anselmo e San Tommaso di “soddisfazione”» (p. 249). Segnalo anche: V.
HOLZER, Le Dieu Trinité dans l'histoire. Le differend theologique Balthasar-Rahner, Cerf, Paris 1995.
66
Già Sant’Agostino avvertiva il problema: «che cosa significa dire riconciliati per la morte di suo Figlio? Dio
padre, irato contro di noi, vista la morte pia di suo Figlio depose la sua ira a noi rivolta? Per caso il Figlio si era già
riconciliato con noi fino a morire per noi, mentre il Padre ancora nutriva la sua rabbia che si sarebbe placata solo a
condizione che il suo Figlio fosse morto per noi? [...] Forse, se il Padre non fosse stato placato da non perdonare suo
Figlio, lo avrebbe donato per noi? Non sembra questa frase contraddire le precedenti? (…) Però ci amò non solo prima
della morte del Figlio per noi, ma fin dalla creazione del mondo…», S. AGOSTINO, La Trinità, XIII, XI, 15 [Obras
Completas de S. Agustín (edición bilingüe), t. V: La Trinidad, BAC, Madrid, 1985, 616-617].
67
«La natura umana fu assunta in Cristo per realizzare strumentalmente operazioni che sono proprie solo di Dio:
perdonare i peccati, illuminare le coscienze mediante la grazia e introdurre nella perfezione della vita eterna. Per questo
la natura umana di Cristo è per Dio come uno strumento proprio e a lui unito, come la mano lo è per l’anima». SAN
TOMMASO D’ACQUINO, SCG, IV, cap. XLI.
68
Per San Tommaso, «la redenzione non esiste come “prodotto” dell’azione (ndr: di Cristo), ma è l’azione stessa di
Cristo [...] Tommaso non si separa mai dall’opera di Cristo e non intende le categorie del merito, della soddisfazione e
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Nel contesto contemporaneo, tuttavia, l'idea della strumentalità della umanità di Cristo, presenta
anche alcuni svantaggi: in primo luogo, sembra introdurre una giustapposizione tra l'azione divina e
la forma umana che essa adotta; lo strumento di solito è inteso come una realtà in se stessa, terza,
che media tra causa ed effetto. Questo non può corrispondere all’umanità di Cristo69
e neppure al
significato originale che ne dava la scolastica. Inoltre, «il pensiero contemporaneo, con il suo acuto
senso della distinzione tra il valore delle persone e delle cose, tende ad applicare il concetto di
strumento a queste ultime, o alle prime quando vengono trattate come le seconde: da ciò trae origine
il verbo strumentalizzare»70
. Pertanto, alcuni preferiscono abbandonare il linguaggio classico e
parlano di “causalità sacramentale”71
. Questa linea può essere compresa da varie prospettive72
, ma
in tutte la mediazione è intesa come il luogo in cui si rivela la persona del Salvatore attraverso le
sue azioni. «Come ci salva Gesù? Esercitando una causalità discendente e libera, che appartiene
all'ordine della rivelazione e della comunicazione, la causalità dell’amore [...]. La causalità salvifica
di Gesù può essere definita come una causalità sacramentale. Incarnata nella sua persona, nella sua
corporeità eloquente, che comprende tutta la sua esistenza terrena, la sua morte e risurrezione, Gesù
è il sacramento di salvezza»73
.
Altri preferiscono parlare di “causalità personale” per superare il pericolo di pensare la salvezza
in termini di “prodotto”, come un qualcosa, una realtà a sé, ottenuta in passato per l’opera di
Gesù74
. A questo contribuirebbe anche la tradizionale distinzione tra “redenzione oggettiva” e
della redenzione come realtà indipendenti da quella. Si tratta sempre di qualità di questa “azione umana”; che è azione
soddisfacente, meritoria, sacrificale, efficace». BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 368.
69
Essa non è qualcosa “tra” Dio e l’uomo. Cfr. CITRINI, Gesù Cristo, rivelazione, 352.
70
Ibidem.
71
«La critica alla categoria di “strumento unito” deriva precisamente dal timore che un certo senso di esteriorità,
che il concetto di strumento porta con sé, soprattutto nel pensiero moderno, sottragga precisamente ciò che l’aggettivo
unito cerca di dare. E questo [...] a maggior ragione, dal momento che non si tratta dell’unità di due realtà preesistenti, o
pensabili come separate (il Verbo lo è, però questa umanità non lo è), ma della costituzione di una realtà (precisamente
quella sacramentum, l’umanità corporea di Cristo) che si costituisce in funzione dell’espressione dell’altra». Ibidem,
393.
72
«Si dovranno considerare, sicuramente, i protagonisti di questo discorso, con i loro modi originali di procedere:
E. Schillebeeckx e K. Rahner; mentre H. U. von Balthasar deve essere considerato a parte: fuori dalla preoccupazione di
fondare un discorso propriamente sacramentale». MOIOLI, Cristologia. Proposta, 142. Altre posizioni in CITRINI, Gesù
Cristo, rivelazione, 393-400.
73
SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 241 y 242.
74
Cfr. B. A. WILLEMS, La Redenzione nella Chiesa e nel mondo, Morcelliana, Brescia 1969, 28. Alcune idee nella
stessa direzione in SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 246-248.
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16
“redenzione soggettiva”75
, che tende a consolidare una visione astratta e impersonale della
redenzione. In particolare, Bordoni, parlando di “causalità personale”, sottolinea il fatto che la
redenzione è un incontro tra persone, e quindi deve essere trattato con categorie che rispettino la
natura personale di questo rapporto76
. A suo parere, sarebbe vantaggioso sostituire la classica
distinzione (tra redenzione oggettiva e soggettiva)77
, con il binomio “offerta-accettazione” della
salvezza. Dal momento che la redenzione è soprattutto «dono gratuito di sé da parte di una persona
ad un'altra, mediante il quale la seconda riceve la chiamata a liberarsi dalla propria chiusura [...], il
termine “redenzione oggettiva” può, allora, esprimersi in termini personali, come l'offerta di amore
che irrompe nella nostra vita, da quella persona»78
. Il teologo romano comprende questo tipo di
causalità alla luce del mistero della risurrezione di Cristo, che racchiude in sé il trascendente amore
di Dio rivelato nella croce e nella vita di Gesù. «È mediante la risurrezione che l’amore del
Crocifisso mi viene incontro qui e ora, personalmente, modificando la struttura interpersonale della
mia esistenza e operando efficacemente in favore della mia libertà»79
. In questo modo la “causalità
personale” può essere ricondotta alla dinamica trinitaria della communicatio personae Christi, dove
l'invito a seguire Cristo mediante la parola esteriore risuona interiormente per la presenza operante
di Cristo risorto, e simultaneamente concede alla libertà umana la possibilità di accoglierla nello
Spirito80
. La causalità “personale” sembra un modo interessante di attualizzare l'approccio
tradizionale.
III. La riflessione sull'opera redentiva
75
Secondo il modello attribuito a M. J. Scheeben. «Da allora –afferma Bordoni– la teologia ha pensato la categoria
dell’efficacia causale come un processo in due momenti: nel primo (la redenzione oggettiva) Cristo avrebbe costituito,
con la sua vita e la sua morte, come un deposito di forza redentrice, già completo per sempre; mentre nel secondo
momento (redenzione soggettiiva) avrebbe luogo l’attuazione di questa energia lungo il corso della storia, per tutti gli
uomini. In modo che i meriti acquisiti una volta per sempre dal redentore, siano comunicati a ciascun credente». Gesù
di Nazaret, III, 488. Nell’ ultima frase l’autore sta citando A. D’ALÈS, De Verbo Incarnato, Paris 1930, 379.
76
BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 487-490.
77
«È il modello stesso di pensiero oggetto-soggetto che attualmente tende ad essere oggetto di critiche: esso cerca,
effettivamente, di spiegare la redenzione con categorie importate dall’ambito della natura impersonale e fisica». Ibidem
78
Ibidem, 489.
79
Ibidem, 496.
80
«Nello Spirito di Cristo Risuscitato, si supera tutto l’oggettivismo e soggettivismo della redenzione, perché in
Lui non solo la parola del kerigma acquisisce forza comunicativa per la presenza personale del Salvatore, ma anche lo
stesso soggetto umano è costituito soprannaturalmente come partner del dialogo della rivelazione, capace di accogliere
e rispondere, aprendosi nella propria intimità, all’offerta di salvezza». Ibidem, 498.
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17
Per introdurre questa sezione può essere utile fare riferimento a San Tommaso. La sua quaestio:
“De modo efficiendi Passionis Christi”81
ha avuto grande risonanza nei trattati classici di
soteriologia. Il santo teologo esamina come la passione di Cristo produca frutti di salvezza e offre
cinque modi di efficacia salvifica: il merito, la soddisfazione, il sacrificio, la redenzione,
l'efficienza. Sono nessi causali che legano la salvezza dell'uomo all’opera redentrice di Cristo, e
definiscono gli ambiti di relazione tra queste due realtà. Nella recente soteriologia queste aree non
sono scomparse, ma sono state sottoposte ad una “inversione di tendenza”, come abbiamo
sottolineato in precedenza. Considerata come opera di Dio in Cristo, la croce rimanda alla bontà
compassionevole di Dio che assume la sofferenza, che porta in sé il peccato umano, che si dona
vincendo le nostre resistenze, che ci libera dal nostro egoismo e che ci rende partecipi della sua
resurrezione82
. Useremo queste prospettive per strutturare la sezione; essa cercherà di esporre alcuni
aspetti di interesse delle più recenti riflessioni sull’opera redentrice83
, e per fare ciò ci ispireremo
liberamente a queste categorie tomiste.
Un'altra osservazione è anche necessaria. Spesso, si è sottolineato che non è possibile isolare un
singolo mistero della vita di Gesù per erigerlo ad unica causa di salvezza. Ciò che ci salva è la
venuta di Cristo, considerata nella sua interezza: dalla sua Incarnazione alla sua gloriosa
Ascensione, con l'invio del suo Spirito. Ciascuno dei suoi misteri possiede un’ efficacia salvifica
specifica che viene rivelata solo a partire dell’unità del senso della venuta di Cristo. Niente è in
eccesso o è inefficace nella vita di Cristo. Tuttavia, per motivi pratici, può essere attribuita
l'efficacia salvifica di Cristo alla sua croce o al suo mistero pasquale84
. Non si cade nell’errore
perché «donando la propria attività, i propri pensieri e sentimenti, l'uomo fa certamente dono di sé,
però nella morte più che consegnarsi in una serie di atti, si consegna direttamente nel proprio
essere»85
, e perché «la risurrezione di Cristo è la risurrezione dei morti: per essere intesa deve
sempre rinviare alla morte sulla croce»86
. Ma se è legittimo riassumere il senso della vita di Gesù
81
SAN TOMMASO D’ACQUINO, Summa Theologica, III pars, q. 48: De modo efficiendi passionis Christi.
82
Una soteriologia matura deve saper integrare tutti questi aspetti discendenti ed ascendenti. Deve così
comprendersi l’osservazione della Commissione Teologica Internazionale: «Un certo numero di teologi cattolici
contemporanei stanno cercando di mantenere in tensione i temi “ascendente” e “discendente” della soteriologia».
Questioni scelte, III, b) 37 [CTI, Documenti: 1969-1996, 535].
83
Ciò che nel mondo anglosassone si suole definire salvific work of Christ.
84
Oltre al fatto che il mistero pasquale possiede un’essenza ed uno statuto che non hanno gli altri misteri. Infatti,
propriamente, in esso si compie l’opera salvifica che gli altri misteri annunciano ed avviano.
85
J. GALOT, Gesù Liberatore, LEF, Firenze 1978, p. 265.
86
SERENTHÀ, Gesù Cristo, 349.
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18
nel mistero della croce, non si deve mai dimenticare che questa è una sintesi e si sta concentrando
tutto il mistero in una delle sue parti. Non è corretta, quindi, una lettura di questa “parte” che rompa
l'unità con le altre o non concedere a queste altre uno spazio adeguato.
a) La Croce rivelazione dell'amore di Dio
«La radice del merito è la carità», dice San Tommaso87
. Se trascuriamo i riferimenti alla visione
classica, dobbiamo riconoscere che la teologia recente ha utilizzato poco il linguaggio del merito. In
parte perché solo in un senso improprio si può riferire il merito all'azione di Dio, e anche perché
all’interno del diffuso linguaggio dell’amore può essere implicato il criterio di merito. In ogni caso,
se vi è una parola usata in soteriologia è questa: “amore”. C'è una convinzione fondamentale che «la
salvezza è legata all'amore»88
. Filosofi e teologi cristiani hanno sviluppato questa affermazione a
partire da posizioni personaliste89
: il potere che redime l’uomo è l'amore, perché senza la capacità di
amare, senza un “tu” che lo accetti e approvi, l'uomo è sempre troncato. Giovanni Paolo II ha
espresso brillantemente questo concetto: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane un
essere incomprensibile a se stesso, la sua vita è priva di senso se l'amore non si rivela, se non si
incontra l'amore, se non lo sperimenta e lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»90
. Quindi, la
salvezza che Cristo offre deve essere sotto il segno dell'amore; deve essere una manifestazione di
amore e una comunicazione che permetta alle persone di riacquistare la loro capacità di amare.
Se la venuta di Cristo è la grande manifestazione dell'amore di Dio, la sua croce è in particolare
il momento più radicale ed estremo di questo amore. Tale affermazione chiara e comune nella
teologia incontra, tuttavia, il problema della presentazione della croce sotto il segno della giustizia
vendicativa, comune nella tradizione protestante e, talvolta, anche nella teologia e retorica
cattolica91
. Si è così potuta presentare la partecipazione del Padre nell’evento della croce in modo
87
SAN TOMMASO D’ACQUINO, Summa Theologica, III pars, q.48, a.1, 3.
88
Questo è stato formulato da J. Ratzinger nel 1972 in un suo intervento durante un Congresso di teologia. Cfr. J.
RATZINGER, Questioni preliminari ad una teologia della redenzione, in AA.VV., Redenzione ed emancipazione, 187.
89
Il tema è stato molto trattato e comprende, tra molti altri, i nomi di G. Marcel, J. Pieper, R. Spaemann. E anche
K. WOJTYLA, Persona y acción, Editorial Católica, Madrid 1982.
90
Enc. Redemptor Hominis, 10.
91
Cfr. il dossier già classico di SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 59-97. «La croce non è piuttosto il segno
di un Dio crudele, collerico, violento, che necessita di un capro espiatorio e che sacrifica il proprio Figlio come prezzo
da pagare per la riconciliazione?» W. KASPER, La Croce come rivelazione dell'amore di Dio, «Lateranum» 73 (2006),
420.
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19
passivo, sottolineando in particolare l’esigenza del sacrificio imposto al Figlio, con inflessibile
volontà, al fine di ottenere una riparazione per i peccati dell'umanità92
. In questo senso è stato posto
l’accento eccessivamente sulla giustizia retributiva, piuttosto che sull’amore e sulla misericordia.
Ma, leggendo con attenzione la Scrittura emerge chiaramente che non vi è passività da parte del
Padre; infatti, il Nuovo Testamento considera la croce a partire dall'unità d'amore del Padre e del
Figlio93
. Contrariamente a quanto avvenuto per Isacco, Dio non ha voluto salvare il proprio Figlio,
ma lo ha dato per noi94
, coinvolgendosi profondamente nel dramma del Calvario. Lui, in prima
persona, ha assunto l'onere di salvare l'uomo dal pesante fardello del peccato. Ha assunto questo
peso con tutte le sue conseguenze, mostrando una generosità e un amore oltre ogni misura. «Dio
permette che la sua fedeltà gli domandi il suo Figlio, la sua stessa vita»95
. Il Crocifisso ci dice che
«questo Dio apparentemente debole è il Dio che perdona senza misura, è il Dio tanto più forte
quanto più sembra impotente»96
.
Tra le dimensioni di questo amore, per lo più evidenziate nel contesto contemporaneo, vi è
l'assunzione della sofferenza. Nella kenosi della croce, efficacemente descritta nell’inno della lettera
ai Filippesi, ha il suo punto di arrivo tutta la teologia del Dio vicino, compassionevole e
misericordioso, del «Padre degli orfani» (Sal 68,6) , che sempre accompagna l'uomo nel suo dolore
e nella sofferenza. Sia che si faccia riferimento al libro di Giobbe, ai passi del Deutero-Isaia, alla
storia di Geremia o alla impressionante teologia di Osea, che riconosce la santità di Dio come
disponibilità al perdono, in tutti questi casi Dio mostra sempre la sua pazienza compassionevole97
.
In ogni situazione, anche nella notte oscura della sofferenza, Dio dimora con gli uomini: è l'aiuto
della vita, il padre degli orfani. Per lui «la storia della salvezza è totalmente compenetrata da questa
domanda preoccupata: Dove sei popolo mio? Dove sei, uomo? Ritorna da me!»98
. È l’inquietudine
92
Cfr. J. GALOT, La paternité divine: révélation et engagement, «Gregorianum» 79 (1998), 708-709.
93
Non solo il corpus giovanneo possiede questa prospettiva, ma anche San Paolo mostra che considera la croce
solo a partire da questa unità (cfr. Gal 2,20; Rm 5,8; 8,32). Cfr. K. ROMANIUK, L'amour du Pere et du Fils dans la
soteriologie de saint Paul, Biblical Institute Press, Rome 1974.
94
Cfr. Rm 8,32.
95
J. RATZINGER, Cerco il tuo volto, Dio. Meditazioni nel corso dell'anno liturgico, Edizioni paoline, Roma 1985,
22.
96
J. RATZINGER, La sal de la tierra. Cristianismo e Iglesia católica ante el nuevo milenio: una conversación con
Peter Seewald, Palabra, Madrid 1997, 30.
97
Cfr. F. COURTH, Un Dios que sufre con el hombre. Sobre la identidad de la fe en Dios Trino, in J. MORALES
MARÍN et al. (eds.), Cristo y el Dios de los cristianos. Hacia una comprensión actual de la teología, Servicio de
Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 1998, 354-358.
98
Ibidem, 357.
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20
che si è fatta carne, che si fa evento sul Calvario. Dio nella sua ricerca dell’uomo, non ha voluto
stare lontano dai mali di questo mondo, che sono propri solamente dell'uomo e delle creature. Si è
vincolato con la nostra storia nel suo Figlio e nello Spirito Santo. Nella notte oscura della vile
esecuzione di Gesù Cristo, il Santo e Onnipotente Dio, senza cessare di essere tale, si è fatto
compartecipe «degli umiliati e offesi, degli oppressi e sfruttati»99
. Facendosi vittima di tale
sofferenza e aprendola alla speranza, ha risposto, in modo pratico, alla questione fondamentale della
sofferenza innocente. Il dolore e la morte non hanno l'ultima parola, sono il cammino verso la
trasfigurazione e resurrezione eterna.
Queste considerazioni mostrano la sofferenza della croce come la massima solidarietà di Dio
con la storia della sofferenza dell'umanità100
. Il Crocifisso è qui, in modo eccellente, «Dio con noi»
(Is 7,14), «uomo dei dolori, esperto nella sofferenza» (Is 53,3), portatore dell’immenso amore
divino che cerca l'uomo perduto, che si rivolge agli indigenti ed ai diseredati. «La croce, Giovanni
Paolo II ha detto, è il più profondo chinarsi della Divinità sull'uomo e su tutto ciò che l’uomo,
specialmente nei momenti difficili e dolorosi, chiama il suo destino infelice»101
. È evidente il valore
della solidarietà di Cristo con il nostro destino102
, per condividere, aiutarci e sostenerci, perché fino
a questo arriva l’amore. La legge di Cristo, dice S. Paolo, si esprime nel fatto di “farsi tutto a tutti
per guadagnare tutti” e “portare gli uni i pesi degli altri”103
, come la sofferenza di Cristo ha
sopportato le nostre. Così la solidarietà del crocifisso diventa via della misericordia divina, perché,
riconoscendoci persona amata, si innesca nell’uomo una potente spinta alla conversione e all'amore.
La salvezza è infatti legata all'amore.
b) La Croce come assunzione del peccato del mondo
99
Ibidem.
100
Cfr. BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 484.
101
GIOVANNI PAOLO II, Enc. Dives in Misericordia, 8. E continua: «la croce è come un tocco dell’eterno amore
sopra le ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo».
102
Sulla dimensione cristologica di questa categoria cfr. SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, I, 127-131; 416-
426; II, 313-315; KASPER, Jesús el Cristo, Salamanca, Sígueme 2002, 347-365; GALOT, Gesú liberatore, 284-292. Più
in generale, I. SANNA, La solidarietà. Aspetti teologici in Carità e politica, la dimensione politica della carità e la
solidarietà nella politica, EDB, Bologna 1990, 207-221; L. BOISIO, Solidarietà in S. GAROFALO (a cura di), Dizionario
del Concilio Ecumenico Vaticano II, UNEDI, Roma 1969, col. 1862-1864; R. COSTE, Solidarité in Dictionnaire di
Spiritualité, XIV, Beauchesne, Paris 1990, 999-1006.
103
Cfr. 1Cor 9,19 e Gal 6,2.
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21
La categoria tomista di soddisfazione si colloca nel campo della pena e dell’onere del peccato
umano. La sua espressione più importante si deve a Sant’Anselmo nel suo Cur Deus Homo104
. La
sua tesi parte dalla gloria di Dio che si riflette nell'ordine del mondo. La rottura di questo ordine è
un affronto al Creatore. Ma poiché l'uomo è una creatura preziosa ai suoi occhi, Dio non lo
abbandona al suo destino e gli dà una via di salvezza, che non consiste nella pura misericordia,
poiché il Dio perfetto deve anche esprimere l'infinita giustizia dei propri atti. Si richiede all’uomo
una riparazione per compensare il danno commesso, ma l'uomo non può farlo da solo; infatti, come
può l'uomo dare qualcosa a Dio e compensarlo, se tutto quello che ha lo ha ricevuto da lui? E per
questo Dio ha mandato il suo Figlio per compiere questa riparazione. Il dono che Cristo fa della sua
vita è veramente un dono realizzato a nostro nome, giacché, a causa della sua santità, Cristo non era
soggetto alla legge della morte. Ripara, quindi, con la sua morte il reato umano.
La novità e la coerenza con cui il santo arcivescovo presentò la sua riflessione garntì al Cur
Deus Homo un posto privilegiato nella teologia della redenzione per parecchi secoli. Ultimamente
però la modifica dei parametri introdotti dal pensiero moderno nella cultura e nella teologia, ha
indebolito l’efficacia del suo approccio, dando origine al recente dibattito sul valore e sui limiti
della sua esposizione105
. Oggetto centrale delle critiche è il rischio che, seguendo le argomentazioni
di Anselmo, si incorra in una presentazione non corretta di Dio. Il Dio presentato da Anselmo non
sarebbe il Dio della rivelazione cristiana, «ma piuttosto uno stereotipo mitologico di un Dio geloso
e arrabbiato che richiede il risarcimento “per la giustizia” anche a spese del sangue innocente del
suo Figlio»106
. Non tutti, però, sono d'accordo. Tracciando lo status quaestionis di tale discussione,
M. Serenthà osservava nel 1980 che il giudizio dei vari autori andava «dal rifiuto radicale alla più
104
S. ANSELMO, Cur Deus Homo [J. ALAMEDA (ed.), Obras Completas de San Anselmo, vol I, BAC, Madrid 1952,
739-891]. 105
Tra la bibliografia recente segnaliamo: N. ALBANESI, Cur Deus Homo: la logica della redenzione. Studio sulla
teoria della soddisfazione di S. Anselmo arcivescovo di Canterbury, Pont. Univ. Gregoriana, Rome 2002; D. J. BILLY,
Anselm of Canterbury's Meditatio Redemptionis Humanae, «Studia Moralia» 42 (2004), 391-410; D. DEME, The
Christology of Anselm of Canterbury, Aldershot (UK) - Burlington (VT), Ashgate 2003; M. DENEKEN, Le salut per la
croix dans la theologie catholique contemporaine: 1930-1985, Cerf, Paris 1988; A. DUCAY, Dios Padre en el Cur Deus
Homo de San Anselmo, in AA.VV., El Dios y Padre de nuestro Señor Jesucristo, Eunsa, Pamplona 2000, 151-163; S.
R. HOLMES, The Upholding of Beauty. A Reading of Anselm's Cur Deus Homo, «Scottish Journal of Theology» 54
(2001), 189-203; V. HUERTA, Libertad, pecado y redención en el pensamiento teológico de S. Anselmo, «Excerpta et
Dissertationibus in Sacra Theologia» 23 (1993), 101-152; A. MILANO, Croce e Trinità: la questione storico-teologica
ed il caso di sant'Anselmo di Aosta, «Ricerche Teologiche» 14 (2003), 273-317; R. NARDIN, Il Cur Deus Homo di
Anselmo d'Aosta. Indagine storico-ermeneutica e orizzonte tri-prospettico di una cristologia, PUL, Roma 2002; A.
OREZZO, Il “Cur Deus Homo” di S. Anselmo, «Rassegna di Teologia» 39 (1998), 889-898; M. SERENTHÀ, La
discussione più recente sulla teoria anselmiana della soddisfazione- Attuale 'status quaestionis', «La Scuola Cattolica»
108 (1980), 344-393; N. VARISCO, Per una lettura del 'Cur Deus Homo' di Anselmo di Aosta, «Rivista di filosofia neo-
scolastica» 90 (1998), 121-124.
106
BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 365. Cfr. La presentazione succinta di queste critiche in BABINI, Per un
ripensamento, 694-702.
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22
vigorosa difesa»107
. Dal dibattito si possono dedurre, in ogni caso, alcune conclusioni: Anselmo
comprese la sua visione nel contesto della razionalità della fede e cercò di dare argomenti che
servissero sia ai cristiani che ai pagani108
; spesso ciò che si critica è una visione distorta e positivista
del suo pensiero109
, che, indubbiamente, fu forgiato nel contesto della società medievale del suo
tempo110
. Infatti, esso presenta correttamente e con grande vigore intellettuale la logica dell'atto
redentivo, come ritorno del mondo all'amore di Dio operato “dal di dentro”, attraverso il dono del
consegnarsi del Dio-uomo. Tuttavia, alcuni aspetti fondamentali non sono inclusi nel suo
approccio111
: in particolare, dà poco spazio al carattere filiale di Cristo, alla risurrezione ed alla vita
di Gesù, al fatto che furono i malvagi coloro che condannarono il Signore. Così l'approccio di
Anselmo risulta poco adatto per presentare la dimensione trinitaria della croce, il senso complessivo
della venuta di Cristo e la dimensione storica della salvezza.
Alla scomparsa dell’ordo medievale e giungendo al forte individualismo moderno, si
accentuarono gli aspetti giuridici in chiave nominalista e si giunse a pensare che nella croce si
attribuissero estrinsecamente a Cristo i peccati degli uomini112
, questa teoria ebbe un ruolo
importante nella visione dei riformatori protestanti. A differenza di Anselmo che collegava la
soddisfazione all'offerta gratuita della vita di Gesù, Lutero comprende la croce come il luogo dove
Gesù si fece carico dei nostri peccati e patì l’ira di Dio. Qui non si tratta della lode e della gloria che
107
SERENTHÀ, La discussione recente, 345. Cfr. anche G. BIFFI, Soddisfazione vicaria o espiazione solidale?, in
Miscellanea Figini, Venegono 1964, 643-663.
108
Secondo l’interpretazione di M. Corbin (Lettre sur l'incarnation du Verbe. Pourquoi un Dieu-homme, in
L'oeuvre d'Anselme de Cantorbéry, vol. III, Cerf, Paris 1988, 11-163) la preoccupazione di Anselmo è mostrare
l’identità in Dio tra la giustizia e la misericordia, e pensare entrambe in modo tale che non possa concepirsi nulla di
maggiore. Gradualmente conduce il suo interlocutore, Bosone, a scoprire la profondità di questa armonia divina, da cui
scaturisce il cammino di redenzione. Mostrando così la grandezza di questo Dio Anselmo cerca di portare alla
conversione Bosone.
109
«Sant’Anselmo non è un uomo di diritto, ma un contemplativo, che parte dalla realtà di Dio come amore e
giustizia, come volontà ed intelligenza la cui azione risponde sempre alle esigenze oggettive. L’azione mai è arbitraria o
violenta. La sua opera risponde ad un criterio di giustizia, rettitudine e correttezza. Il fatto dell’incarnazione e morte di
Gesù corrisponde ad un ordine di realtà. L’azione di Gesù si lega all’ordine dell’essere. La redenzione va al passo con le
esigenze della creazione. La storia si misura sull’ordine dell’essere». GONZÁLEZ DE CARDEDAL, La soteriología
contemporánea, 280-281.
110
Segnala W. Kasper che la teoria fu elaborata nel contesto dell’ordine germanico dell’epoca, il quale è fondato
sulla relazione di reciproca fedeltà tra signore e vassallo: «il vassallo riceve dal signore il feudo e la protezione e, con
esso, una parte del pubblico potere; il signore riceve dal vassallo la promessa di adesione e servizio. Pertanto, il
riconoscimento dell’onore del signore è la base dell’ordine, della pace, della libertà e del diritto». KASPER, Jesús el
Cristo, 355-356.
111
«Riducendo tutta l’opera redentrice alla soddisfazione, la teoria soffre di una certa miopia, dal momento che
pretende di spiegare e giustificare l’opera redentrice solo in funzione del peccato». M. PONCE CUÉLLAR, Cristo, siervo y
Señor, EDICEP, Valencia 2007, 319-320.
112
Ibidem.
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23
Cristo dona al cuore del Padre per riparare il peccato, ma piuttosto del fatto che la punizione di Dio
non è imposta ai colpevoli, ma al solo giusto, Gesù (sostituzione vicaria). Il che porta
necessariamente ad una prospettiva diversa da quella anselmiana. Lutero infatti considera l'evento
della croce come manifestazione della salvezza, la quale però viene eseguita in modo dialettico: Dio
mostra la sua misericordia dando spazio alla sua ira113
. Ciò che avviene in Gesù Crocefisso è il
giudizio di Dio sul peccato, per questo la sua morte è la manifestazione dell’ira divina. Dio salva in
realtà ma sotto le apparenze della condanna (theologia crucis luterana). In questa posizione si
riconosce ancora l’ortodossia protestante114
, anche se oggi c'è un forte dibattito all'interno di essa115
.
Smile presenta sinteticamente i problemi: la stranezza di dire che Dio si placa con se stesso, la
difficoltà di allontanare l'idea che Dio deve essere persuaso al perdono, l'affermazione che Cristo è
stato punito al posto dei peccatori. Chi sostiene questo tipo di sostituzione vicaria tende a dire che
tutto questo non è esatto, e si tratta di cattive interpretazioni, ma, tuttavia, rimane aperta la questione
se esista un linguaggio che non faccia sorgere equivoci. La domanda di fondo sembra essere: Gesù
prende in sé il giudizio di Dio sul peccato, o semplicemente va a fondo, fino alle sue ultime
conseguenze, di un mondo che è dominato dal peccato?116
In ambito cattolico chi più ha sostenuto l'idea della sostituzione è stato H. U. von Balthasar117
.
Il teologo svizzero riprende le idee della riforma sul giudizio di Dio che si compie in Cristo, ma le
integra in un quadro originale, nel quale l'ira che scende su Cristo per eliminare il peccato del
mondo, si lega all’amore kenotico iscritto nella Trinità delle Persone divine. Attraverso un concetto
di amore come espropriazione e rinuncia di sé, come abbandono e consegna all’altro, Balthasar
riesce a presentare l'assunzione da parte di Cristo di tutti i peccati umani come una forma di amore
113 Su questi aspetti risulta sempre utile W. L. VON LÖWENICH, Theologia crucis. Visione teologica di Lutero in
una prospettiva ecumenica, Dehoniane, Bologna 1975. E anche A. E. MCGRATH, Luther's theology of the cross. Martin
Luther's Theological Breakthrough, B. Blackwell, New York 1985.
114 Fu anche la posizione di K. Barth: «in Gesù –dice– vediamo il peccato, però come condannato. Ecce Homo:
guarda ciò che è l’uomo! Il nemico di Dio, e per questa ragione –chi potrà resistere a Dio?- schiacciato dalla collera
divina» (Traduciamo dalla versione inglese: Credo, Scribner, New York 1962, 90).
115
Indicazioni sulle diverse posizioni si trovano in I. H. MARSHALL, Aspects of the Atonement. Cross and
Resurrection in the Reconciling of God and Humanity, Paternoster Press (London) - Colorado Springs (CO), Hyderabad
2007, 1-9.
116
T. SMILE, Once and for All. A Confession of the Cross, London, DLT 1998, 80-99.
117
Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Teodramática, 5 vols., Encuentro, Madrid 1990-1995. In una direzione analoga,
ma più promettente di quella del teologo svizzero, cfr. N. P. HOFFMANN, Kreuz und Trinität. Zur Theologie der Sühne,
Johannes-Verlag, Einsiedeln 1982. Una comparazione tra i due autori in F. G. BRAMBILLA, Redenti nella sua croce.
Soddisfazione vicaria o rappresentanza solidale?, in F. G. BRAMBILLA et al., La redenzione nella morte di Gesù, San
Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 15-83 (in particolare: 50 ss.).
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24
assoluto118
. Dio, quando ha voluto sollevare e sanare l'uomo dal di dentro, ha dovuto mettere
l'accento precisamente sulla peccaminosità e sulla caducità dell’uomo, nella povertà e tristezza per
la sua separazione da Lui. Così Cristo, venuto nel mondo nella nostra carne peccaminosa, prende su
di sé il peccato e soffre davvero ciò che il peccatore merita, cioè la separazione da Dio, fino alla
separazione più completa e finale che è inerente al peccato: l’oscurità della morte eterna119
. Ma
questo dramma, incentrato sulla sostituzione vicaria di Cristo, non è altro che l’attuazione nella
storia dell’amore assoluto del Padre che si separa dal Figlio e lo lascia andare su questa strada di
abbandono, amore assoluto del Figlio che si sottomette con disponibilità totale al volere del Padre e
infine amore assoluto dello Spirito che mantiene l'unità delle due persone divine in lontananza e
separazione “economica”. Così Dio condivide la contraddizione della situazione dell’uomo nella
condizione di peccato: diventando uomo Egli si allontana da se stesso, e allontanandosi da sé mostra
l'amore che egli è.
Questa visione mistica di Dio, espressa in termini di abbandono e di sostituzione penale, non è
stata priva di critiche. Essa si fonderebbe più sull'esperienza mistica privata120
che nella Scrittura e
nella tradizione121
. Si forza, forse, la realtà dell'amore, con le categorie che provengono
dall’esperienza della nostra condizione decaduta e applicandole a Dio si cerca di aprire in Lui lo
spazio necessario per il dramma della salvezza122
. Si utilizza una visione di sostituzione di matrice
luterana che non convince fino in fondo. Come Remy nota: «La contraddizione che riguarda le
relazioni trinitarie, a seguito dell’incarnazione nella carne del peccato, ha come luogo e soggetto
l'umanità nella quale si abbassa il Figlio. Ma il peccato di cui è rivestito per questo motivo, e che lo
allontanerebbe da Dio, non lo fa realmente. Al contrario lo avvicina interiormente, giacché è
118
Cfr. G. REMY, La déréliction du Christ: terme d'une contradiction ou mystère de communion?, «Revue
Thomiste» 98 (1998), 93.
119
Si domanda Von Balthasar: «Non c’è qualcosa come un misterioso farsi carico da parte di Cristo del peccato del
mondo, che certamente non ha commesso, ma la cui essenza e gli effetti Egli riceve e sperimenta nella sua ora –l’ora del
Padre e allo stesso tempo delle tenebre? Non c’è forse come un’identificazione del Redentore con i suoi fratelli, con i
peccatori, in un modo tale che Egli non voglia distinguersi da essi di fronte a Dio, fino al punto di attrarre sopra di Sé,
come un parafulmine, il giudizio di Dio sopra la realtà dell’antidivino del mondo?». Gesù ci conosce? Noi conosciamo
Gesù?, Morcelliana, Brescia 1981, 33.
120
Mi riferisco in particolare alla dipendenza della teologia di Balthasar dalle esperienze mistiche di A. von Speyr.
Cfr. H. U. VON BALTHASAR, Adrienne von Speyr e sa mission théologique, Paris - Montreal 1976.
121
Cfr. G. REMY, La substitution. Pertinentia ou non-pertinentia d'un concept théologique, «Revue Thomiste» 94
(1994), 585-596.
122
Ibidem, 585-587. «In una parola l’abbandono può servire da categoria comune a Cristo e al peccatore da
permettere il meccanismo della sostituzione?» (p. 599). «La trasposizione della kenosis a livello intratrinitario, il rigido
gioco della sostituzione al livello economico, non conducono sull’orlo di una mitizzazione?» (p. 600).
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25
segnato da un’obbedienza che conduce il Figlio alla più piena auto-spoliazione»123
. Ma poi, in
definitiva, «il Cristo è estraneo al “no” del peccato, perché è il “sì” a Dio in persona»124
. C'è sempre
un elemento che impedisce l'identificazione di Cristo con il peccato, perché quanto più sembra
concentrare il peccato in se stesso, tanto più risulta evidente che solo la sua santità ed assenza di
peccato possono essere la causa della distruzione di quest’ultimo. Inoltre, anche se Balthasar
presenta la sostituzione in senso inclusivo125
, come incorporazione a Cristo, al fine di evitare la
posizione che l'uomo non è cooperatore alla propria salvezza, si ha l'impressione che la libertà e la
storia umana siano, per così dire, risanate dell'amore assoluto di Dio, senza un intervento
sostanzialmente umano126
.
A differenza di Balthasar, la maggior parte dei teologi cattolici evitano di introdurre una
dialettica intratrinitaria, e fondano l'opera della redenzione sull'unità d'amore tra il Padre e il
Figlio127
. Ugualmente si segue la prospettiva tradizionale che non enfatizza la giustizia vendicativa:
l'amore del Padre è presente in Cristo, come san Tommaso128
ha detto. Si sottolinea la priorità della
dimensione discendente dell'iniziativa e dell’opera della Trinità, ma si segnala anche la dimensione
ascendente quando si parla della convenienza di un intervento di riparazione. Questa categoria è
preferita alla tradizionale di soddisfazione, perché «più generale» e perché «include quanto di
comune c'è nei termini di redenzione, soddisfazione, merito, sacrificio, carità, liberazione,
123
IDEM, La déréliction, 82.
124
Ibidem.
125
Cfr. IDEM, La substitution, 559-600. Praticamente tutto l’articolo si riferisce all’uso di questa nozione in Von
Balthasar.
126
M. SCHUMACHER, The Concept of Representation in the Theology of Hans Urs von Balthasar, in «Theological
Studies», 60 (1999), 62-63. In quest’ultima pagina, afferma: «Balthasar insiste forse troppo unilateralmente in una
soluzione al problema dall’alto. La dinamica Creatore-creatura si dissolve nell’eterno dramma tra il Padre ed il Figlio,
con l’obbedienza di quest’ultimo che tende a sostituirsi Egli stesso alla relazione tra Dio e l’uomo più che integrarla in
sé».
127
Quest’unità appare ben presente nel finale del Cur Deus Homo, mostrando così la sua diversità rispetto alla
presentazione luterana: «In riferimento alla misericordia di Dio, che pareva sul punto di venir meno quando
consideravamo la giustizia di Dio ed il peccato dell’uomo, la incontriamo tanto grande e tanto conforme alla giustizia,
che non si può pensare nulla di maggiore, nulla di più giusto. Perché che cosa può pensarsi di più misericordioso che
un peccatore condannato ai tormenti eterni, e senza potersi redimere da solo, gli venga detto da Dio Padre: “Ricevi il
mio Unigenito e offrilo per te”, e il Figlio a sua volta: “Prendimi e compi la tua redenzione”? Questo viene a dirci
quando siamo chiamati alla fede cristiana e siamo attratti da essa». S. ANSELMO, Cur Deus Homo, L II, c. XX, [IDEM,
Obras Completas, vol I, BAC, Madrid 1952, p. 887].
128
Dopo aver risposto affermativamente alla domanda se Dio ha consegnato Cristo alla passione, San Tommaso si
domanda nella Summa Teologica se questa azione non costituisca un atto crudele da parte del Padre. «No, –risponde–
perché fu lo stesso Padre ad ispirare nel Figlio la volontà di patire per noi». III pars, q. 47, a. 3, ad 1°.
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26
espiazione»129
. È anche un modo per evitare l'idea di una giustizia commutativa, con la difficoltà,
che ne conseguirebbe, nell'indicare il ruolo attivo del Padre. La riparazione, in ogni caso, è
giustificata dall'amore del Padre: «c'è stata una richiesta di riparazione perchè il Padre nel suo
amore desiderava la collaborazione dell’uomo nella salvezza e ha voluto dare all'uomo il potere di
riparare. La redenzione è stata l’opera del Figlio di Dio, perché il Padre ha voluto dare il proprio
Figlio: in questo modo è stato il primo a pagare il prezzo di riparazione. Cristo è morto, perché il
Padre non ha esitato a darlo in sacrificio in favore degli uomini. Fornendo Egli stesso la riparazione
che richiedeva, il Padre ha sottolineato la gratuità dell’opera della salvezza»130
. È Cristo, tuttavia,
che ha effettuato l’opera, attraverso la pena ed i dolori, in riparazione per i nostri peccati, anche se
per Lui non ha propriamente avuto il carattere di “pena”131
. Comunque, se la riparazione viene
compresa come l'oggetto diretto della missione di Cristo, si incorre nei problemi di linguaggio che
abbiamo segnalato prima. Sia che si parli di Cristo che si addebita il giudizio di Dio sul peccato, o
che si parli della sua riparazione, i malintesi circa l'immagine di Dio e la missione di Cristo sono
alla porta, come un segno di qualcosa di insufficiente. Manca, in effetti, la mediazione del contatto
di Cristo con il mondo deteriorato. La missione di Cristo è quella di introdurre la realtà divina nelle
profondità di un mondo dominato dal peccato, per purificarlo e fornirgli una via d’uscita. «Il
comandamento del Padre è questo: che il Figlio torni al Padre con il mondo per la cui salvezza è
stato mandato dal Padre in missione»132
. Il pro nobis della salvezza è la via per realizzare il pro
Patre. Il suo addentrarsi nel mondo fino all’ingiustizia estrema per ricostituirlo dal di dentro,
attraverso la sua umanità innocente e giusta, è l'oggetto della riparazione compiuta per l'amore del
Padre, e costituisce un’opera di riparazione solo nella misura in cui è strettamente una completa e
gratuita ricostruzione dell'umanità caduta nel peccato.
c) La Croce come donazione sacrificale
La categoria del sacrificio, la terza che considera San Tommaso nella quaestio che stiamo
seguendo, si trova in un orizzonte somigliante a quello della soddisfazione, anche se entrambi i
concetti mantengono differenze significative tra loro. Nella teologia recente è stata applicata anche
129
A. AMATO, Gesù il Signore, Saggio di cristologia, Dehoniane, Bologna 1991, 430.
130
GALOT, Gesù Liberatore, 275.
131
Assumere una pena come riparazione non è lo stesso che assumere il castigo dovuto al peccato, e non origina
una sostituzione nel castigo. Non sono concetti equivalenti: «Ille proinde qui, sine ullo debito, poenam peccati assumit
ex mera pro reo charitate, dici sane potest aliquo modo punire pro alio, nam patitur materialiter poenam alii debitam,
sed tamen illa poena non habet pro illo rationem poenae» P. GALTIER, De Incarnatione et Redemptione, Beauchesne,
Parisiis 1926, 398.
132
M. SCHUMACHER, Concept of Representation, 69.
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27
al sacrificio la prospettiva discendente. Già notavamo, quando si trattavano gli studi biblici, il fatto
che tutta l'azione sacrificale d’Israele è inquadrata nell’iniziativa divina della salvezza. Lo stesso si
deve dire ora: nel sacrificio di Cristo l'iniziativa appartiene al Padre. «Paradossalmente -nota
Sesboüé- visto che il sacrificio di sé è una categoria ascendente, il sacrificio di Gesù è vissuto
secondo un movimento discendente, che sospinge ad accettare la morte in croce per la salvezza
della moltitudine dei suoi fratelli. L’obbedienza di Gesù al Padre, la quale può essere considerata a
buon diritto come un aspetto centrale del suo sacrificio, è presentata dall’inno di Filippesi 2 come
punto estremo del suo abbassamento (v. 8). Se vogliamo andare fino in fondo a questo paradosso,
dobbiamo dire che il sacrificio di Gesù è anzitutto ed in primo luogo un sacrificio che Dio fa
all’uomo, prima di ed al fine di poter divenire un sacrificio che l’uomo fa a Dio»133
.
Si cerca, anche qui, di evitare una visione del sacrificio «come un transfert liberatorio per cui
l’umanità peccatrice verrebbe a sgravarsi delle colpe gettandole sulla vittima designata da Dio, che
verrebbe uccisa al nostro posto (sostituzione penale) per soddisfare la sete divina di giustizia»134
.
Per questa ragione, la teologia cattolica, superando sterili dibattiti sull'opportunità o meno
dell'utilizzo di questo concetto135
, ha puntato a sottolineare sempre più il fatto che la redenzione
sacrificale è il frutto e la manifestazione di una iniziativa di amore di Dio che offre se stesso nel suo
Figlio completamente, e pone quindi un’esigenza di risposta perfetta da parte dell’uomo. La
dinamica di amore guida alla comprensione del sacrificio: esso rimuove dal di dentro l'ostacolo che
il peccato costituisce perché l'amore assoluto di Dio possa radicarsi nella creatura136
.
Diverse sollecitazioni conducono a questa conclusione:
133
SESBOÜE, Jesucristo, el único mediador, II, 233. Cfr. E anche in questo senso B. HILBERATH-TH. SCHNEIDER,
Sacrificio, in AA.VV, Enciclopedia Teologica, Queriniana, Brescia 1989, 924-932.
134
BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, 376.
135
L’esegeta ed il teologo devono illuminare il significato del linguaggio sacrificale, e spiegarlo in modo
accessibile a tutte le culture. Non hanno, tuttavia, la libertà di rifiutarlo o sostituirlo con altro. È sufficiente la lettura
diretta del Nuovo Testamento per rendersi conto che questo linguaggio non è uno dei tanti (qualcosa di opzionale come
sostiene I. U. DALFERTH, Christ Died for Us, en S. W. SYKES, Sacrifice, 302); né è del tutto vero che nella nostra
cultura «il concetto di sacrificio si è trasformato in qualcosa di molto equivoco e poco comprensibile, per la mancanza
di un referente nell’ambito delle nostre esperienze» (H. KÜNG, Essere cristiani, Mondadori, Milano 1976, 481); non è
neppure sufficiente l’accesso a questa categoria dell’antropologia culturale per comprendere rettamente il senso biblico
(R. GIRARD, Des choses cachées depuis la fondation du monde, B. Grasset, Paris 1978). Proposte come quella di M.
Deneken (Le salut per la croix dans la theologie catholique contemporaine: 1930-1985, Cerf, Paris 1988, 332) di
abbandonare il linguaggio sacrificale sono poco utili e costruttive.
136
BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, 376-377.
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28
a) Seguendo gli studi di teologia biblica, i teologi hanno messo in evidenza il rapporto
particolare del sacrificio con il dono personale137
. Inserito nel contesto dell’Alleanza e della
giustizia salvifica di Dio, il concetto di sacrificio è vicino a quello del dono, svincolandosi così da
una visione prevalentemente giuridica. Nel contesto del pensiero biblico, l'azione salvifica di Dio
non è indirizzata principalmente al passato come un tempo di peccato e d’infedeltà, ma riguarda
piuttosto la fedeltà e la misericordia di un Dio, che dal peccato e dal giudizio divino transitorio,
conduce la storia verso una meta di grazia, e si dirige verso un futuro che deve compiersi secondo
l'intenzione originaria di Dio. Il sacrificio di Cristo si integra in questo orizzonte divino come
suprema manifestazione dell'amore di Dio, fedele alle sue promesse, che realizza in lui la sua
definitiva giustizia salvifica138
. Inoltre, si concentra in questo sacrificio la tendenza, perfettamente
distinguibile nell’Antico Testamento, di una trasfigurazione e spiritualizzazione del sacrificio139
:
più che gli aspetti rituali e cruenti, si favoriscono sempre più gli atti interiori di obbedienza e di
amore. Così, S. Paolo riassume la teologia del sacrificio di Cristo nel dono di sé140
e S. Giovanni, in
misura ancora maggiore, la presenta come il grande segno dell'amore di Dio per il mondo141
.
Specialmente per il quarto evangelista l’obbedienza e la santità di Cristo, che si offre in sacrificio,
mostra, ed allo stesso tempo attua anche storicamente, il mistero della comunione del Padre e del
Figlio. Cosicché è solo l'amore del Padre per l'umanità che conduce Gesù a donarsi come vittima di
redenzione: «Gesù si è abbandonato con immensa gratitudine alla forte corrente d'amore che fluiva
dal Padre, e così fu in grado di trasformare la sua morte, inflitta da peccatori, con la più grande
137
Un quadro della riflessione recente sul sacrificio di Cristo nell’ambito cattolico lo offre: BORDONI, Gesù di
Nazaret, III, 503-511.
138
L’integrazione del sacrificio nell’azione divina si pone chiaramente nella novità radicale del sacerdozio di Cristo
rispetto a quello dell’Antico Testamento. A. Vanhoye si riferisce ad una doppia “inversione di tendenza” nel Nuovo
Testamento: nell’Antico la posizione del Sommo Sacerdote era ambita, Cristo indubbiamente la ottiene per la via
dell’abbassamento e della morte. Inoltre, la funzione del Sommo Sacerdote si fondava sulla separazione dagli altri: era
elevato, “assunto tra gli uomini”. Cristo al contrario entra nel mondo con una solidarietà che lo assimila in tutto ai suoi
fratelli. Gesù viene da Dio e si fa uno di noi abbassandosi : di queste caratteristiche parteciperà anche il suo sacrificio.
Cfr. A. VANHOYE, Sacerdotes antiguos, sacerdote nuevo según el Nuevo Testamento, Sigueme, Salamanca 1984, 84-
102.
139
Cfr. Il dossier relativo in BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 103-109.
140
I testi in cui si mostra che: Dio ha dato il suo Figlio per tutti noi (Rm 8,32); Cristo se è consegnato per i nostri
peccati (Gal 1,4), per la Chiesa (Ef 5,25), per noi (Ef 5,2), per me (Gal 2,20). «Si tratta di un’attitudine interiore che non
si deve intendere disincarnata dalla realtà storica della croce, ma piuttosto come l’anima interiore che dà la vita
all’intero avvenimento, qualificandolo da un lato in riferimento al Padre, come atto di amore - obbedienza attraverso il
quale Gesù ritorna a lui (esaltazione: Fil 2,9-11; Ef 4,8-10), e dall’altro in riferimento a noi» BORDONI, Gesù di Nazaret,
III, 113.
141
In misura maggiore di San Paolo, San Giovanni riconduce l’evento della croce alla categoria dell’agape,
espressamente formulata nel testo di 1 Gv 4,8-10, ma soprattutto nel complesso dei suoi scritti: Cfr. A. FEUILLET, Le
mystère de l'amour divin dans la théologie johannique, Gabalda, Paris 1972.
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29
ingiustizia e crudeltà, in un dono di amore ed in una sorgente di ogni grazia»142
. Questo completo
affidamento di Gesù all’amore di Dio e per gli uomini ha condotto Schürmann a formulare la
categoria di “pro-esistenza”, con la quale si cerca d’indicare il pro aliis dell'esistenza di Cristo143
.
b) Dal punto di vista del disegno di Dio si è cercato di dimostrare che l'effetto della rimozione
del peccato, mediante il sacrificio, non è qualcosa di estrinseco all'amore di Dio che costituisce
questo progetto, ma piuttosto una dimensione interna ad esso144
. E questo, in primo luogo, perché
nel presceglierci e predestinarci al suo amato Figlio, Dio ha legato la nostra libertà (fallibile) alla
libertà santa del Figlio. In questo modo lo spazio della nostra risposta a Dio, positiva o negativa,
rimane nell’ambito dell'amore del Padre, che si mostra nel suo Figlio disposto al sacrificio per noi.
«Il mistero di Giuda -spiega Le Guillou- consiste in questo: pur essendo situato nel cuore del
sacrificio di Gesù, che continua ad avvolgerlo con il suo amore, egli si dirige in ogni caso verso “il
posto da lui scelto” (At 1,25) come “figlio della perdizione” (Gv 17,12) [...]. Pertanto, contribuisce
alla consumazione sacrificale dell’amore salvifico»145
. Questa logica può essere applicata a tutto il
peccato, il che dimostra come il sacrificio sia la forma dell'amore di Dio, alla risposta negativa
dell'uomo: «Quanto più l'uomo orienta la sua libertà contro il piano di adozione al quale la deve,
tanto più sacrificale viene ad essere questo disegno. Il “sino alla fine” per gli uomini, a cui Cristo è
voluto arrivare nella sua Pasqua, è il punto limite che coincide, senza poterlo annullare, con il
rifiuto da parte della libertà umana»146
. Questo rapporto tra il peccato e l'amore costituisce un
linguaggio persuasivo, un invito attraente di Dio al peccatore; da questo l’uomo capisce che il
sacrificio fa parte dell’ amore generoso e disinteressato di Dio, che si lascia mettere in uno stato di
“scacco matto”. È questo che dona la redenzione e, in definitiva, la conversione del cuore, che può
essere sanato da Dio dal di dentro, e senza alcuna manipolazione della libertà. Questo dimostra
anche che il sacrificio non è la giustizia di un Dio vendicativo che cerca un riscatto del suo onore, al
contrario, è il modo per essere fedele da parte di Dio alla grazia (dell’adozione filiale) che ha dato
all'uomo creandolo. Non c'è vera tensione qui tra la giustizia e l'amore, infatti, la giustizia si misura
142
A. VANHOYE, Dio ha tanto amato il mondo. Lectio sul sacrificio di Cristo, Paoline editoriale libri, Milano 2003,
127.
143
L’esegeta tedesco si esprime così: «in Gesù di Nazaret sembra venirci incontro una persona che, al posto del
cuore egoista degli uomini, dispone di uno “spazio libero”; spazio libero dal quale scaturisce un amore radicale verso
Dio e verso il prossimo. E questo perché da questo spazio libero fluisce l’amore di Dio per il mondo». SCHÜRMANN,
¿Cómo entendió?, 148.
144
Lo mostra con particolare efficacia M-J. Le Guillou nel suo libro su El misterio del Padre, già citato.
145
M-J. LE GUILLOU, Misterio del Padre, 89.
146
Ibidem.
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30
in relazione al disegno di amore e richiede che la redenzione si compia in virtù della stessa efficacia
dell’amore147
.
c) Alla luce di quanto notato sopra è possibile fare del sacrificio il centro della dinamica
trinitaria, così come sostiene Bordoni148
. Infatti, se il Padre si dona nell’Unigenito amato, e
attraverso di lui ci consegna la sua paternità, se il Figlio si dà a noi con la sua libera consegna fino
alla morte, e per questo dono del Padre e del Figlio la storia si riempie con la fecondità dello
Spirito, allora è proprio questa consegna, il sacrificio di Cristo, che produce e introduce nella storia
l'amore delle tre persone di Dio. Dio qui è presentato come offerta d'amore e di vita, che si esprime
attraverso l'offerta di Gesù della propria vita per i peccatori. Qui, come nella visione di Le Guillou,
la sofferenza di Cristo è dovuta al contatto dell’amore con la condizione decadente dell’umanità.
Infatti, «nella misura in cui l'azione dell’Amore Assoluto entra nel mondo della creazione, genera
un dramma che raggiunge, nella passione della croce e sotto forma di lotta (tentazione), la relazione
del Figlio incarnato con il Padre»149
. Dal momento che Cristo ha assunto la condizione mortale e
sottoposta alle passioni del genere umano, dominato dalla legge dell’affermazione di sé (eros), non
elude la resistenza che questa condizione ha nel compiere la volontà del Padre150
, e non potrà
neppure sfuggire alla ribellione ostinata di coloro che preferiscono vivere nel peccato. In breve, la
strada scelta dell'amore di Dio, la generosità e la pro-esistenza assolute, non possono che innescare
un conflitto in questo mondo autosufficiente. «Per essere in grado di esprimere un'esperienza
radicalmente nuova di amore, è necessario spezzare il circolo egoista che domina l'essere umano,
perché ci si apra, nel dono, ad essere totalmente e completamente per gli altri»151
. La sofferenza
della croce rende conto di questo conflitto, in cui la morte obbediente e altruista di Cristo rende
147
Ibidem, 112.
148
BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 511-521. 149
Ibidem, 517.
150
Tradizionalmente si è sostenuto che Cristo (e lo stesso si deve dire di Maria, sua Madre) ha posseduto una
umanità santa e giusta dal primo istante della sua concezione. Non ha avuto un’inclinazione disordinata verso se stesso.
Tuttavia, possedendo un’umanità passibile e mortale come la nostra, ha sofferto le difficoltà di questa vita, perfino in
modo più drammatico per la maggiore delicatezza e perfezione del suo spirito. Anche per lui le esigenze dell’amore di
Dio sono state costose, sebbene siano state accettate volontariamente e con gioia. Bisogna prendere atto che il tema non
ha avuto molto rilievo nella teologia recente. Alcune indicazioni in T. G. WEINANDY, In the Likeness of Sinful Flesh. An
Essay on the Humanity of Christ, T. & T. Clark, Edinburgh 1993. Utile anche la monografia di P. GONDREAU, The
Passions of Christ's Soul in the Theology of St. Thomas Aquinas, Aschendorff, Münster 2002, sulla visione di San
Tommaso.
151
BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 517.
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31
possibile che il mondo possa ricevere la forma dell’amore di Dio. Il mondo si rinnova in una nuova
condizione di essere: «l’essere trinitario Dio»152
.
d) Redenzione, liberazione e peccato
Il linguaggio della redenzione, centrale nella soteriologia, trasmette l'idea che Gesù ha cambiato
la condizione dell’umanità, liberandola dai mali che l'affliggono, e ha ottenuto per essa la possibilità
di una felicità piena ed eterna. Questo stesso linguaggio indica anche l'aspetto gravoso dell’opera di
Cristo, che ha dovuto versare il proprio sangue per questo scopo. L'Antico Testamento accosta
l’immagine della redenzione con quella del riscatto, e fa uso di entrambe in molti contesti153
. In
continuità con l'Antico, il Nuovo Testamento considera il sangue di Cristo come “prezzo del
riscatto”154
. Ciò potrebbe dare l'impressione che il nostro riscatto esiga un pagamento, una
transazione, che avviene attraverso la morte di Cristo: un corrispettivo richiesto da Dio (o dal
diavolo155
). Con il desiderio di evidenziare il ruolo della Trinità nell'opera di Cristo, evitando queste
interpretazioni, si è cercato di sottolineare i limiti che la Scrittura pone a questa metafora del prezzo.
Dicendo che Cristo è venuto a «dare la sua vita in riscatto per molti» (Mc 10,45) si indica la
condizione di schiavitù del genere umano, insieme al fatto che Gesù ha voluto “pagare con la
propria persona”, non esitando a “gravare se stesso” con l’onere di un riscatto doloroso e caro156
. Si
tratta della generosità di un amore che non si ferma di fronte alla morte, e al tempo stesso, del
grande valore che Cristo attribuisce a tutti coloro a cui Egli dona la vita. Questa è la sostanza
dell’insegnamento biblico, e quindi non prevede di estendere la metafora riflettendo sul destinatario
di questo prezzo. Una domanda di questo tipo «è oltre i limiti della pertinenza della metafora»157
,
che non è destinata a definire la natura dell’opera di salvezza, ma ad offrire un’analogia di essa in
un particolare ambito di significato. Il prezzo, in effetti lo ha pagato Dio nel suo Figlio, ma
l'articolazione interna della metafora, che distingue l'azione economica delle persone divine, si
152
Ibidem, 518.
153
Un’esposizione sulla redenzione nell’antico Testamento con una bibliografia adeguata in G. IAMMARRONE,
Redenzione. La liberazione dell'uomo nel cristianesimo e nelle religioni universali, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995,
66-101.
154
Cfr. Mt 27,9; 1Cor 6,20;7,23; 1Pt 1,18.
155
È ben noto che nell’antichità si giunse a pensare che questo prezzo sarebbe servito a compensare il diritto che il
diavolo aveva sui peccatori. Cfr. L. RICHARD, The mystery of Redemption, Helicon, Baltimore – Dublin 1965, 149-156.
156
SESBOUE, Jesucristo, el único mediador, I, 164.
157
Ibidem, 165.
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sofferma su Gesù che offrì la sua vita al Padre per i nostri peccati, e in questo senso, a causa della
filiazione di Cristo, questo prezzo è anche qualcosa di consegnato al Padre.
Più importante è stata la questione della schiavitù umana: lo scopo di questo riscatto. Nel
contesto del pensiero moderno, con la sua insistenza antropocentrica e la sua esigenza di
concretezza, efficienza e tangibilità, tale domanda tende a formularsi in questi termini: da che cosa
dovremmo essere liberati? I tentativi di soluzione, inoltre, sarebbero da ricercare nell’azione storica
destinata a combattere la disumanizzazione. La soteriologia recente ha cercato di avvicinarsi a
queste istanze evidenziando il carattere pienamente umano della salvezza cristiana. Purtroppo ci
sono stati eccessi, soprattutto quando si è preteso di identificare la salvezza con progetti terreni, con
l'utopia di una umanizzazione in grado di risolvere le contraddizioni della vita. In ogni caso, i
tentativi di avvicinare la soteriologia alle moderne aspirazioni si sono sviluppati principalmente in
tre direzioni: emancipazione, giustizia, liberazione politica e sociale158
. Anche se tale progetto
sembra ora dissolversi in una moltitudine di stimoli che finiscono per avere soltanto una debole
relazione con il messaggio cristiano.
a) Nei suoi ultimi scritti Dietrich Bonhoeffer formulò lucidamente la domanda cruciale. Come
conciliare la coscienza di un mondo che si ritiene adulto e cerca la propria autonomia, con la fede in
Cristo? Rifiutando posizioni estreme, Bonhoeffer era a favore di una “interpretazione secolare”
della fede159
. Per questo vedeva necessaria una nuova comprensione dei concetti fondamentali del
cristianesimo (Dio, Cristo, Chiesa, fedele cristiano, ecc.) in grado di cambiare la nostra immagine di
Dio. Si propose allora di abbandonare il “Dio della religione”, cioè l’Essere onnipotente che
schiaccia l'uomo e non può smettere di essere in conflitto con la sua autonomia, e di aderire al Dio
di Gesù Cristo160
: un Dio che dà spazio all’uomo, dice Bonhoeffer.
La riflessione del teologo luterano può essere considerata paradigmatica per tutta la corrente
che comprende la liberazione soprattutto come un processo di emancipazione. In questa prospettiva,
il Vangelo coincide con una piena e radicale umanizzazione, che è stata intesa da alcuni, ad esempio
da H. Küng, come assunzione delle istanze moderne di libertà e di solidarietà, e come rifiuto di ogni
158
Qui potremo limitarci solamente ad un breve cenno.
159
Cfr. D. BONHOEFFER, Cartas 30.IV.1944; 5.V.1944, citato da GIBELLINI, La teologia del XX secolo, 124.
160
Cfr. R. GIBELLINI, La teologia del XX secolo, o. c., pp. 124-126.
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dogmatismo, tradizionalismo, e biblicismo volti a sottomettere l'uomo ad un controllo estrinseco161
.
In tale ottica, Küng ha criticato la redenzione intesa come divinizzazione, tra le altre ragioni, perché
«il nostro problema non è la deificazione dell'uomo, ma piuttosto la sua umanizzazione»162
. In
questi approcci, in cui la mentalità moderna tende a riplasmare radicalmente gli elementi principali
della fede, si rilevano i rischi di una sostituzione della mediazione della Chiesa con quella della
cultura163
, di un esilio dalla fede nella soggettività164
e di un dissolvimento della grazia di Cristo
nella retta intenzione umana. È innegabile che questi sono major problems.
b) Nella direzione della giustizia è andata soprattutto la “teologia politica”, con i suoi sforzi per
dare vita ad una prassi cristiana di trasformazione della società. L'accusa di presunta inefficacia del
cristianesimo nel forgiare una società più giusta, ha portato a ripensare il problema della felicità
umana, identificata nel problema del dolore, della storia di sofferenza e di una giustizia possibile165
.
G. B. Metz ha cercato di fondare un discorso pratico166
, in grado di dare senso alle vittime
dell’umanità, dimenticate, a suo parere, da una soteriologia eccessivamente interessata con la
redenzione delle colpe167
. Se si condannano all'oblio le vittime, ha detto Metz, si corre il rischio di
avere solo una storia di vittorie168
. Ma una storia scritta in questo modo non è sorgente di
161
Cfr. KÜNG, Essere cristiani, 26.
162
Ibidem, 501. In una linea simile si sono mossi altri autori come J. I. González Faus. Cfr. La humanidad nueva.
Ensayo de cristología, Sal Terrae, Santander 1984. Sulla teologia di quest’opera, cfr. la critica di J. L. ILLANES, La
nueva humanidad. Análisis de un ensayo cristológico, «Burgense» 22 (1981), 265-304 (e la risposta in appendice
dell’edizione del libro citato) e J. A. MATEO GARCÍA, La cristologia de J. I. González Faus. lcances l ites de un
ensa o cristol gico, PUG, Romae 1998.
163
Questa è stata una delle critiche più comuni del pensiero di Hans Küng, e una di quelle che portò alla
dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1979 sugli Errori nella dottrina teologica del
professore H. Küng [EV 6, 1942-1951].
164
Cfr. R. BEAUD, Hans Küng, problèmes posés, «Revue Thomiste» 81 (1981), 91-103.
165
In questa linea si è sviluppata buona parte della teologia dell’evangelico J. Moltmann, orientato ad elaborare una
teologia fondata sulla categoria della speranza (J. MOLTMANN, Teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle
implicazioni di una escatologia cristiana, Queriniana, Brescia 1970), e diretta a promuovere la presenza liberatrice del
Rgno di Dio nel mondo.
166
Qui Metz si avvicina alla scuola di Francoforte, in particolare, a M. Horkheimer. Cfr. J. J. SÁNCHEZ BERNAL,
Teología política y teología de la liberación. Un discurso crítico-liberador sobre Dios, in AA.VV., El Dios de la
teología de la liberación, Secretariado Trinitario, Salamanca 1986, 101.
167
Cfr. J. B. METZ, Memoria Passionis. Un ricordo provocatorio nella società pluralista, Queriniana, Brescia
2009, 72-80.
168
«La teologia cristiana, in nome della vittoria di Cristo non ha epurato e pulito minuziosamente la storia da tutte
le contraddizioni con un po’ troppa facilità? [...] E in questo modo non si è relazionata alle catastrofi con l’apatia dei
vincitori?». J. B. METZ, Auschwitz: termine locale irrinunciabile di un discorso cristiano su Dio, in BENEDETTO XVI,
Dove era Dio? Il discorso di Auschwitz (con contributi di A. A. Cohen, W. Bartoszewsky, J. B. Metz), Queriniana,
Brescia 2007, 57.
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cambiamento né di miglioramento, non impregna il mondo con il fermento cristiano né trasforma la
realtà. Pertanto, è necessario coltivare la denuncia critica, ben presente nella tradizione biblica, ed
evidenziare le caratteristiche della figura di Cristo che, come buon samaritano, mostra compassione
per la sofferenza e la sua sensibilità per la povertà umana169
. La memoria della pasqua di Gesù,
coltivata dalla Chiesa, dovrà sempre essere «memoria critica delle false ideologie e aperta alla
realizzazione continua e progressiva di un futuro di libertà e di umanità, che deve compiersi solo in
Dio»170
. La memoria pasquale è soprattutto memoria degli ultimi, di quelli che nessuno ricorda,
affinché, nella fede, la storia della sofferenza di Cristo e la solidarietà con le vittime, diventi fonte di
una compassione che riporti ogni uomo alla propria dignità di soggetto di fronte a Dio. Metz
segnala qui un aspetto interessante, che bisogna tuttavia interpretare bene. Concretamente quella
“memoria degli ultimi” non può essere limitata a una considerazione puramente sociologica (il
povero, l’emarginato), ma dovrà trovare il suo oggetto dalla prospettiva di una salvezza
trascendente (lo scandalizzato, lo spogliato dalla religione).
c) Infine, la “teologia della liberazione”171
, ha cercato di affermare la forza della Buona Novella
della liberazione dell'uomo attraverso Cristo, in un mondo governato dalla sopraffazione e dalla
morte172
. Da una situazione socio-culturale in cui il problema fondamentale non è la crisi o l'eclissi
di Dio proprio delle società occidentali, ma l’oppressione e la morte delle masse povere del
continente (latinoamericano)173
, questa teologia si schierava con la moderna critica della religione,
secondo la quale il Dio sofferente cristiano non è il Dio liberatore del popolo, ma colui che legittima
il loro dolore e conforta la loro rassegnazione. Per superare questa critica la teologia della
liberazione rileggeva la figura di Cristo alla luce della proclamazione dell'amore liberatore di Dio e
della sua opposizione allo sfruttamento e alla miseria dei poveri. In ogni caso, la polarizzazione su
169
«La prima intenzione di Gesù non si diresse al peccato degli altri, ma al dolore del prossimo. Per lui, il rifiuto di
partecipare al dolore dell’altro, il rifiuto di pensare oltre all’oscuro orizzonte della propria storia di sofferenza non è un
elemento secondario del peccato [...]. Chi riconosce il Dio di Gesù Cristo, sa che per la disgrazia del prossimo può
essere necessario andare contro al proprio interesse, come mostra la parabola del Buon Samaritano» METZ, Memoria
Passionis, 153.
170
P. CACCIAPUOTI, L'idea di salvezza nella teologia contemporanea, in A. TERRACCIANO (ed.), Attese e figure di
salvezza oggi, Campania notizie, Napoli 2009, 73.
171
Sorge negli anni ’60 e si manifesta con chiarezza nella II Conferenza Episcopale Latinoamericana (Medellin
1968) e con la pubblicazione del libro Teología de la Liberación di Gustavo Gutiérrez nel 1971 (vers. spagnola:
Sígueme, Salamanca 1972).
172
Cfr. G. IAMMARRONE, Redenzione, 237.
173
Cfr. SÁNCHEZ BERNAL, Teología política, 112. Anche in questo è evidente la differenza d’accento e di metodo
rispetto alla teologia politica. Le preoccupazioni di quest’ultima si situano in relazione alla crisi religiosa del mondo
industrializzato.
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35
questi temi portò ad una radicale politicizzazione delle affermazioni di fede. Promuovendo la reale
liberazione sociale attraverso la mediazione dell’analisi marxista, si stabiliva una pericolosa
comunione (e confusione) tra il marxismo e la fede cristiana. Di qui la contro-critica da parte della
Congregazione per la Dottrina della Fede, che evidenziava come questa teologia si orientasse verso
un messianismo temporale, che tendeva a identificare la figura del Redentore con gli uomini
impegnati a combattere per gli oppressi174
, i poveri della Scrittura con il proletario marxista, e ad
opporre una chiesa popolare alla Chiesa gerarchica secondo una dialettica di classe175
.
Senza dubbio, insieme ad aspetti non condivisibili, sussistono anche in queste tendenze aspetti
equi e ragionevoli, e in particolare la necessità di collegare la redenzione cristiana con una vita
piena e umana. Questo pone il problema di quale sia la fonte, il criterio di misura di una tale
pienezza e umanità, e se per determinare questo criterio la priorità debba essere attribuita a quanto
impariamo da Cristo, o a ciò che sembra ragionevole o desiderabile fare alla luce delle concrete
circostanze o della situazione generale dell'uomo nel mondo. In definitiva si pone la questione della
relazione tra cristologia e antropologia su questi aspetti176
. Ma la priorità epistemologica non può
non corrispondere alla cristologia perché, come indica la Gaudium et Spes, la manifestazione del
mistero umano e la sublimità della sua vocazione si compiono nella stessa rivelazione del mistero
del Padre e del suo amore, che costituisce propriamente l'opera di Cristo. Cioè, Dio, «mentre destina
l'uomo all’eterna comunione con lui, allo stesso tempo gli fa intravedere qualcosa della sua essenza
intima, della sua grandezza e dignità, del senso dell'esistenza umana»177
. È precisamente attraverso
l’azione salvifica di Dio che l'uomo comprende la nobiltà del suo essere destinato all'amore di Dio,
ma anche la propria condizione di peccaminosità178
. Pertanto la manifestazione dell’uomo si può
dare pienamente solo nella fede, nella conversione e nella Chiesa che è il “luogo” della memoria
Christi. La situazione storica dovrà essere considerata a partire da questa consapevolezza, e questo
vale ugualmente per l'azione diretta al miglioramento del mondo.
174
Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis Nuntius, 6-VIII-1984, X, 11.
175
Ibidem, IX, 10-13.
176
Il tema è stato trattato in vari documenti del magistero (Gaudium et Spes, Redemptor Hominis, ecc.) e in
numerosi lavori. Segnaliamo tra questi: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Teologia, Cristologia,
Antropologia, [IDEM, Documenti: 1969-1996, 243-264]; M. BORDONI, Cristologia e antropología in Gesù di Nazaret, I,
186-229; P. O'CALLAGHAN, Cristo revela el hombre al propio hombre, «Scripta Theologica» 41 (2009), 85-111.
177
O'CALLAGHAN, Cristo revela, 98.
178
Ibidem, 98-99.
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36
Tenuto conto di questa priorità cristologica, l’aspetto centrale della liberazione non può che
essere la liberazione dal peccato, e quindi la ricreazione nell’anima dell'uomo di una nuova libertà,
che San Paolo chiama la «libertà gloriosa dei figli Dio» (Rm 8,21). La liberazione consiste,
essenzialmente, nell’essere sciolti dal proprio egoismo per l’influsso della potenza salvifica del
Risorto179
. G. B. Metz ha giustamente evidenziato come l’uomo moderno tende ad attribuirsi i
successi e le vittorie, mentre scarica su vari automatismi (biologici, sociologici, strutturali) i propri
fallimenti e sconfitte180
, bloccando così la novità liberante di Cristo. Il cristianesimo ha sempre
notato l'inganno che si trova in questa lettura della realtà; ha considerato l'uomo “imputabile”,
proprio perché è ha preso atto del fatto che egli è libero e superiore agli automatismi della natura.
Solo chi è libero e responsabile, può essere davvero colpevole e, allo stesso tempo, solo chi è in
grado di riconoscere la sua colpa davanti a Dio può tenere un dialogo autentico ed essere soggetto
di vera comunione181
. Nell'ambito dell'Alleanza, di un Dio che si preoccupa profondamente per
l'uomo fino ad adottarlo filialmente, questo “stare” dell'uomo davanti a Dio, con la propria
grandezza e miseria, con la colpa e il peccato, non può essere relegato ad un ruolo secondario.
Quindi la salvezza cristiana possiede necessariamente il carattere di redenzione, implica il perdono
dei peccati e costituisce l’uomo in un nuovo rapporto con Dio. Questo aspetto “verticale” di
redenzione non sostituisce o esime dalla ricerca della salvezza “integrale”, ma al contrario la
fonda182
. Precisamente da ciò, la salvezza cristiana si estende alla sfera dei rapporti umani e delle
relazioni tra uomo e mondo, con i suoi componenti di emancipazione e di liberazione umana e
sociale183
.
e) La Resurrezione, assunzione del mondo per la comunione trinitaria
Nella quaestio che abbiamo citato all'inizio di questa sezione San Tommaso applica alla
passione di Cristo la causalità efficiente strumentale184
. La teologia contemporanea estende questo
179
«La redenzione consiste nella potenza creatrice di Dio che trasforma il nostro essere per amore» R. GUARDINI,
El Señor, II, Rialp, Madrid 1954, 193-194.
180
Memoria Passionis, 167.
181
Cfr. Ibidem.
182
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Es. Ap. Reconciliatio et Poenitentia, 7.
183
Cfr. Y. M. CONGAR, Un popolo messianico, Queriniana, Brescia 1983, p. 145-154.
184
Cfr. Summa Theologica, III pars, q. 48, a. 6, c.
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concetto al mistero pasquale e sottolinea in particolare l'unità tra la croce e la risurrezione185
.
Un’unità intrinseca, perché la fedeltà al Padre manifestata sulla croce conduce alla salvezza
definitiva della resurrezione. Questa ultima presuppone la morte, e non una morte qualsiasi, ma una
morte tale che possa tradursi in una piena e perfetta accoglienza da parte del Padre186
. Croce e
risurrezione vengono così ad essere, in prospettiva soteriologica, come due facce della stessa
moneta. La carne annientata dal peccato e la carne ricreata dalla potenza di Dio, compiono il
passaggio dalla caducità di un mondo di peccato all’eternità del mondo di Dio. Quest’ultimo si
presenta come l’opera che Dio realizza quando il peccato smette di essere una possibilità, perché
definitivamente confinato nel passato187
, e si dà pieno corso all’amore188
. In questo senso, la
risurrezione è una seconda creazione (che però presuppone la prima) ed è escatologica, cioè, non
ammette alcun miglioramento.
In Gesù risorto appare con evidenza che né la morte né le altre realtà ad essa associate hanno il
dominio sul Cristo (Rm 6,8). Infatti, sono state annientate dalla croce e non possono intaccare il
corpo di Cristo, nella cui spiritualizzazione si riflette l’impassibilità e l'immortalità di Dio. Il
Risorto è l'immagine vivente della cancellazione del peccato umano e del suo confinamento in un
passato che non può tornare. È quindi il simbolo e l'incarnazione dell’eterno presente di Dio, che
non ammette la miseria, la disintegrazione o la caducità189
. Da questa prospettiva, la risurrezione
corona tutto ciò che è stato detto sulla croce. La solidarietà nella sofferenza che Dio ha stabilito con
l'uomo diventa nella risurrezione, nuovo atto dell’amore di Dio, una costante comunione nella
185
«La teologia contemporanea ha studiato il mistero pasquale partendo principalmente dalla relazione tra morte e
risurrezione. Questi due misteri della vita di Cristo si presentano oggi così intrecciati, che si può dire che costituiscano
“due momenti” di un “processo salvifico unitario”, due momenti correlativi di un unico avvenimento». PORRO, Sviluppi
recenti, 391.
186
«Gesù affrontò la morte per i peccati degli uomini, e li cancellò con il suo morire in croce. E questa stessa morte
nella risurrezione di Gesù Cristo si rivelò come vita, si compì nella vità. Il morire della croce si svelò come vita di Dio e
per Dio». H. SCHLIER, La Risurrezione di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 1973. p. 52.
187
Nel suo libro Memoria e Identità (Esfera de los libros, Madrid 2005) Giovanni Paolo II ha sottolineato l’idea
che «la Redenzione è il limite divino imposto al male [...], in essa il male è vinto radicalmente dal bene, l’odio
dall’amore, la morte dalla resurrezione» (p. 36).
188
Sottolineare la relazione tra resurrezione e amore è l’intento di fondo di G. O'COLLINS, Gesu risorto.
Un'indagine biblica, storica e teologica sulla risurrezione di Cristo, Queriniana, Brescia 1989. Giovanni Paolo II
esprime con profondità questo aspetto nell’enciclica dedicata alla misericordia: «Nel compimento escatologico, la
misericordia si rivelerà come amore, mentre nel tempo, nella storia dell’uomo –che è contemporaneamente storia di
peccato e di morte- l’amore deve rivelarsi innanzi tutto come misericordia e attuarsi come tale». Dives in Misericordia,
8.
189
Soprattutto W. Pannenberg ha insistito su queste prospettive: «La resurrezione del crocifisso è l’autorivelazione
escatologica di Dio» (Rivelazione come storia, Dehoniane, Bologna 1969, 183). Il suo influsso in ambito cattolico è
stato notevole, soprattutto la sua presentazione della risurrezione di Cristo come anticipazione (prolepsis) del futuro
ultimo verso cui cammina la storia.
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pienezza della gioia. L'abbassamento e l'umiliazione che sono state mediatrici dell’espiazione del
peccato lasciano il posto al nuovo mondo riconciliato ed elevato alla comunione con Dio. Il dono di
se stesso e la consegna “proesistente” compiuta una volta e collocata nella storia, aprono la strada
ad un maggiore dono di sé, che è senza limiti nel tempo o nello spazio. Mediante la risurrezione di
Cristo il mondo e la storia cominciano a vivere sotto il segno della grazia, a partecipare alla nuova
vita nel Signore Risorto in ordine alla salvezza190
.
Questa partecipazione conduce alla dimensione trinitaria della risurrezione: «nella gloria della
risurrezione e dell'elevazione alla destra del Padre, il Figlio porta con sé la creazione redenta e
aperta alla perfetta comunione dell'amore trinitario»191
. In particolare, l'immanenza eterna del Padre
e del Figlio viene pienamente partecipata nell’assunzione della carne, costituendo l'umanità gloriosa
del Salvatore in “luogo” dal quale questa reciproca presenza si riversa su tutto il mondo192
. «La
risurrezione conferisce una dimensione universale al messaggio di Cristo, alla sua azione e a tutta la
sua missione»193
. Ciò conduce particolarmente a riconoscere il valore dell’azione e della presenza
dello Spirito del Risorto, perché tanto l'offerta della salvezza, come l'incontro e l'adesione con
Cristo sono frutto dello Spirito Santo194
. Il dono pasquale dello Spirito rende concreta l’apertura
dinamica della comunione divina con il mondo umano, così che il mistero pasquale non può non
comprendere la Pentecoste195
. In virtù di questo «il Cristo vivente diventa la fonte di vita dei suoi e,
attraverso di essi, del mondo intero»196
.
Dal momento che la terza persona è la via di comunicazione di questa nuova vita, tale
comunicazione è, a sua volta, il nostro luogo principale per la conoscenza dello Spirito.
190
«Cristo risuscitato inaugura la redenzione, perché la sua presenza ci è offerta e può essere accolta, in particolare
nella comunione ecclesiale…». M. FLICK - Z. ALSZEGHY, Il mistero della Croce, Queriniana Brescia 1978, 227.
191
BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 518.
192
Cfr. Gv 17,21. L’inabitazione trinitaria nel battezzato è una partecipazione di questa immanenza divina nel
Cristo glorioso.
193
GIOVANNI PAOLO II, Enc. Redemptoris Missio, 16.
194
Nella terza persona della Trinità «la vita intima di Dio uno e trino si dona interamente (…) [Lo Spirito] è amore
e dono (increato) dal quale deriva come una fonte (fons vivus) ogni dono per le creature (dono creato): il dono
dell’esistenza ad ogni cosa mediante la creazione; il dono della grazia agli uomini mediante tutta l’economia della
salvezza». Giovanni Paolo II, Enc. Dominum et Vivificantem, 10.
195
«Il mistero pasquale è in modo eccellente il luogo in cui questa perfetta comunione si diffonde e rivela nello
Spirito». BORDONI, Gesù di Nazaret, III, 519.
196
J.-M. PERRIN, Il est ressuscité pour moi. La résurrection du Christ, G. Beauchesne, Paris 1969, 61.
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III. Osservazioni conclusive
Concludo con tre osservazioni generali:
1. Come il resto della teologia, anche la soteriologia si fonda sulla storia di Cristo, sul
significato che Gesù ha dato alla sua vita ed alla Pasqua e sulla comprensione che la prima
comunità cristiana, seguendo Gesù ed assistita dal suo Spirito, ha avuto di questo evento originario.
È quindi importante che il teologo sistematico abbia una buona conoscenza delle principali linee
dello sviluppo della soteriologia del Nuovo Testamento e possa strutturare, alla luce di queste linee,
il ricco e variegato dato della tradizione ecclesiale e della storia teologica. Inoltre,
l’approfondimento critico della Scrittura si rivela essenziale per sviluppare una soteriologia che
risponda alle sollecitazioni di verità proprie del nostro tempo197
. Si dovrà rinforzare o realizzare un
quadro ragionevolmente consistente della genesi e dello sviluppo della soteriologia
neotestamentaria, che possa servire, entro l'ermeneutica di fede della Chiesa, come criterio
normativo della costruzione sistematica.
2. La mediazione salvifica di Cristo, come tema teologico, presenta delle oscillazioni che non
facilitano un discorso soteriologico coerente198
. A mio parere la soteriologia deve continuare a
sottolineare la priorità della dimensione discendente, evitando unilateralismi. Il modo migliore per
farlo è quello di dare la dovuta importanza al carattere intrinsecamente filiale della mediazione di
Cristo. Infatti, questo permette di collegare: la persona divina con la sua espressione umana199
,
l'ontologia con le dinamiche storiche200
, gli aspetti discendenti con quelli ascendenti201
, la
rivelazione trinitaria con l'azione salvifica202
. La soteriologia classica, con i suoi innegabili meriti, è
stata forse insufficiente da questo punto di vista.
197
«La questione della rivelazione non ricerca un’istanza autoritaria, che ponga a tacere i problemi critici e il
proprio giudizio (così come è stato ritenuto nell’ambito dell’illuminismo), ma come manifestazione della realtà divina,
che mostra di esserlo di fronte ad una matura comprensione dell’uomo» W. PANNENBERG, Stellungsnahme zur
Diskussion in J. B. COBB - J. M. ROBINSON (ed.), Theologie als Geschichte, Zwingli, Zürich - Stuttgart 1967, 294.
198
Sono stati esposti nella sezione II, II.
199
La filiazione eterna assume una connotazione umana nell’Incarnazione.
200
La persona incarnata del Figlio di Dio vive la sua storia a partire da una prospettiva filiale: la coscienza della sua
relazione col Padre, del suo essere inviato dal Padre in nostro favore, ecc.
201
Allora la filiazione presenta in unità due dimensioni: una iconica (Gesù incarna il volto paterno di Dio) e l’altra
responsoriale (Gesù incarna la risposta perfetta all’amore del Padre).
202
Poiché la filiazione di Cristo è simultaneamente la via della rivelazione del mistero trinitario e il principio del
rinnovamento che introduce nel mondo il mistero pasquale.
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3. La soteriologia si perde quando si ferma a considerare il dramma, sia anche il dramma tra
Dio e l'uomo, come in alcuni modelli classici, o tra il Padre e il Figlio, come in alcuni modelli
recenti. Ciò che è importante nell’opera salvifica non è il dramma, ma piuttosto l'assunzione: il fatto
che Dio “riprende” il mondo (si associa a lui e lo fa suo in un modo nuovo, umano) e lo conduce al
suo compimento in Gesù Cristo. Il dramma realizza solo la forma, il modo in cui è stato assunto il
mondo. L'amore di Dio per il mondo è un requisito indispensabile per l'intero progetto: che questo
amore passi attraverso la croce è “solo” la determinazione del dramma. Non è possibile fondare una
soteriologia subordinandola ad una determinazione contingente, ma, anche per quella
determinazione, il criterio ultimo deve essere quello che fonda il progetto e costituisce la sua
premessa assoluta. Lo stesso amore e lo stesso “impegno” (in primo luogo di Dio Padre, come fons
et origo totius Trinitatis203
) già testimoniato dalla creazione, si realizza nella storia della salvezza
veterotestamentaria e poi, in un modo nuovo (assumendo la realtà creata sino all’estremo contatto
con l'ingiustizia), nella vita e nella Pasqua di Gesù, in cui il mondo raggiunge il suo compimento
finale. Da questo punto di vista l’opera redentrice si configura come un “trascinamento”, una
“riassunzione” o un “innesto” del mondo nell’amore di Dio, che si realizza nell’impegno, nella
dedizione e nel dono di sé compiuto da Gesù. Attraverso questo dono si dischiede
sacramentalmente per noi l’intimità trinitaria e si costituisce l’eterna alleanza.
203
CONCILIO VI DI TOLEDO, 9-I-638 [Dz-Sch 490]. Cfr. S. BASILIO DI CESAREA, Contra Sabellianos et Arium et
Anomaeos, 4 [CPG 2869].
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