View
0
Download
0
Category
Preview:
Citation preview
Stati generali dello Sport del Consiglio regionale del Piemonte
Seminario del 26 settembre 2016
“PRO…muoviamoci. Le nuove responsabilità delle scienze motorie e sportive”
FALCO Silvio, moderatore
Benvenuti a tutti. Buon lunedì e buon inizio settimana.
Chiamerei al Tavolo per i saluti l'Assessore Giovanni Maria Ferraris e il professor
Massazza, che interverrà per primo. In assenza dell'avvocato Zanetta, che è impegnato in un
convegno alla Città della Salute, l'introduzione sarà svolta da Silvio Falco, componente del
Direttivo di Federsanità Anci Piemonte.
A voi tutti auguro buon lavoro e ringrazio i relatori che con grande disponibilità si sono
prestati. Sarà una giornata intensa. Sarà una giornata importante.
Grazie a tutti e buon lavoro.
FERRARIS Giovanni Maria, Assessore allo sport della Regione Piemonte
Buongiorno signore e signori, ragazzi e autorità.
Sono molto lieto ed onorato di portare i saluti miei, del Presidente della Giunta
regionale, Sergio Chiamparino, e di tutta la Giunta (che tra poco raggiungerò, per cui mi scuso
sin d'ora per la mia assenza), a questo Seminario, che giudico di rilievo e di importanza,
considerata anche la platea dei relatori, per le tematiche affrontate e per gli argomenti che
andrete ad ascoltare, che saranno sicuramente oggetto di futuri approfondimenti, e che in
qualche modo vi porteranno a conoscere bene e nello specifico gli effetti positivi del binomio
sport-salute. Ringrazio, a tal riguardo, il Presidente del Consiglio Laus, che ci raggiungerà a
breve, per aver voluto organizzare tale incontro.
Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi studi che collegano l'attività fisica ai
benefici per la salute del corpo e alla riduzione del rischio di contrarre malattie croniche. E se
della pratica sportiva ne giova certamente la salute del singolo individuo, lo stesso si può dire
per l'intera comunità.
Infatti la riduzione delle malattie si traduce immediatamente in un risparmio per il
bilancio della sanità pubblica. Purtroppo, il numero di persone che nel nostro Paese svolge una
vita sedentaria è ancora molto - direi troppo - elevato. Fatto che rende ulteriormente
importante diffondere la cultura dello sport, soprattutto fra i più giovani; ciò significa
abbracciare fin dalla tenera età un'adeguata educazione ad un sano stile di vita, fatto di
attività fisica e corrette abitudini alimentari, ma non solo. Anche per gli adulti risulta
un'ottima attività di prevenzione. E per i più anziani, addirittura, la cura di particolari
patologie legate all'età.
Inoltre, specialmente per i più giovani, lo sport rappresenta un importante valore
aggiunto, perché insegna loro a sapersi confrontare, ad accettare sfide e sconfitte, fare gioco di
squadra, aiutare a crescere anche chi si trova escluso.
Quindi l'attività sportiva favorisce non solo il benessere fisico, ma anche la prevenzione
del disagio sociale, contribuendo a costruire una società migliore. Nella promozione di queste
pratiche virtuose sono tanti gli attori che svolgono un ruolo fondamentale, a cominciare dalla
famiglia, la scuola, l'ambiente di lavoro, ma anche le Istituzioni. Queste ultime devono
lavorare affinché possano crescere le opportunità di fare sport, sia per quanto riguarda le
strutture, che per ciò che concerne gli eventi e la promozione. Ma non ultimi - vorrei ricordarli
- gli educatori e gli istruttori sportivi. A loro la responsabilità principale della trasmissione di
quei valori che lo sport incarna.
In Piemonte si sta già lavorando in questa direzione: qui si contano più di 4.000 grandi
impianti, simbolo dell'impegno delle varie Amministrazioni locali nel tempo, che si sta
cercando di valorizzare, associandoli anche a proposte legate al turismo sportivo e ai grandi
eventi. Soprattutto perché vengano utilizzati e non restino delle belle "cattedrali" inespresse.
Inoltre, nella nostra Regione stiamo lavorando sempre di più per incrementare la
possibilità, anche per i disabili, di praticare sport. Un impegno nato da grandi eventi quali le
Paralimpiadi invernali di Torino 2006; sempre nel 2006 vi ricordo quel bellissimo evento che è
stato il Campionato Mondiale di Scherma a Torino, che ha visto mettersi in gioco normodotati
con disabili e affrontarsi per la prima volta insieme, facendo scuola per molte altre federazioni
nazionali e internazionali di varie discipline sportive. In merito, mi preme ricordare la recente
approvazione della legge di riordino e di semplificazione dell'ordinamento regionale, nella
quale – e qui saluto il Presidente Valle, la Vicepresidente del Consiglio, Angela Motta e il
Consigliere Corgnati, che ringrazio per la loro presenza - il Consiglio ha voluto votare
l'equiparazione di CIP (Comitato Italiano Paralimpico) a CONI - ne approfitto per salutare il
Presidente del CONI regionale - scelta che io ho fortemente voluto. Questo perché come
Consiglio regionale abbiamo compreso la necessità del rapporto tra sport e disabilità, e tra
sport e inclusione sociale, restituendo quindi pari dignità e interlocuzione anche a istituzioni
quali il CIP, e aprendo, di fatto, lo sport a nuovi scenari per chi è meno fortunato o per chi si
sente emarginato. Esempi, questi, che mettono in luce ancora una volta la sensibilità e la
particolare propensione del nostro territorio e di Regione Piemonte per uno sport senza
barriere, finalmente uno sport per tutti.
L'attività fisica è quindi non solo fonte di divertimento, di inclusione e di crescita
individuale e personale, ma a mio avviso può anche diventare e venire considerata a tutti gli
effetti come un'efficace medicina.
Mi avvio alla conclusione, lasciando aprire il dibattito da autorevoli membri della nostra
struttura sanitaria regionale. In chiusura, vorrei ricordare che se è vero che lo sport fa bene a
tutti, allora facciamolo veramente. Pratichiamolo.
Come sosteneva il fondatore dei moderni Giochi olimpici, Pierre de Coubertin, "Lo sport è
parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna e la sua assenza non potrà mai essere
compensata".
Buon dibattito a tutti.
FALCO Silvio, moderatore
Darei la parola a Gianfranco Porqueddu, Presidente CONI Piemonte.
PORQUEDDU Gianfranco, Presidente CONI Piemonte
Buongiorno a tutti.
Porto il saluto del CONI regionale del Piemonte e del suo Presidente Nazionale Giovanni
Malagò, che ho informato della mia presenza a questo convegno.
Vorrei rivolgere i complimenti al Presidente Laus, che spero di vedere prima del termine
del convegno, per questa brillante iniziativa degli Stati Generali, che credo stiano ben
operando, all'interno dei quali si inserisce questo convegno.
Il tema trattato stamattina è di grande interesse ma credo che la lectio magistralis del
Professor Gilli illustrerà benissimo la fondamentale importanza che riveste il movimento
coniugato con sani stili di vita e con una corretta alimentazione.
Su questo fronte - quello del movimento coniugato con queste due peculiarità importanti
- ci si sta muovendo da diverso tempo e l’impegno del CONI negli Stati Generali (noi siamo
inseriti all'interno del Direttivo) lo documenta.
Il CONI non si occupa esclusivamente di sport agonistico - credo che voi lo sappiate - ma
da tempo abbiamo scelto la strada (che credo sia quella più importante) del movimento
dedicato a tutti, dall'inizio della vita di ciascuno di noi.
Siamo una repubblica che non ha ancora istituito l'educazione motoria nel curriculum
della scuola primaria. Sappiamo che altre nazioni europee - mi riferisco alla civilissima
Danimarca, per esempio - dedicano un'ora al giorno all'educazione motoria già dalla scuola
materna: credo che già questo particolare la dica lunga!
Il CONI segue questa strada da almeno sei o sette anni. In realtà, prima aveva
cominciato la Regione Piemonte, con il progetto "Tutor", con il quale si inseriva l'educazione
motoria nella scuola elementare. Successivamente, il CONI e il Ministero hanno ripreso
questo progetto (noi avevamo mandato tutte le documentazioni).
È partito il progetto "Alfabetizzazione motoria", che non ha riscosso grande fortuna,
anche se è stato portato avanti per quattro anni (si è trattato di un progetto sovra strutturato).
Siamo passati all'attuale "Sport di classe", che è ormai al terzo anno di realizzazione.
Io ritengo - l'ho scritto più volte al Presidente Malagò - che in questo Paese non ci sia più
bisogno né di progetti né di sperimentazioni. Abbiamo bisogno dell'inserimento di due ore.
(minimo) di attività motoria nella scuola elementare. Credo che sia ormai assolutamente
improrogabile.
I problemi riguardano sempre il reperimento di fondi ma visto che i quattrini si trovano
per molte cose, credo che si debbano trovare anche per questo. A tal fine, vorrei rivolgere un
appello alla politica: anche la politica regionale può fare sicuramente la sua parte.
Bisogna insistere affinché l'educazione motoria venga inserita; altrimenti, rimangono
solo parole al vento. Considerate che aumentando anche solo del 10% la popolazione attiva del
territorio si risparmierebbero milioni di euro della nostra sofferente sanità. A tal proposito,
credo che l'Assessore Saitta potrà fare delle interessanti considerazioni.
Voglio terminare con l'auspicio che di questo convegno non rimangano solo atti scritti -
quei famosi atti che giacciono impolverati nei cassetti! - ma diventino fondamento di tutta la
pratica sportiva di questo territorio.
Buon convegno a tutti. Grazie.
FALCO Silvio, moderatore
Ringrazio il Presidente del CONI Piemonte, Gianfranco Porqueddu.
Vorrei rivolgere due parole di saluto anche all'Università di Torino, che ha patrocinato
l'evento. Non è presente il Direttore della Scuola di Medicina, Professor Ezio Ghigo, ma sarà
brillantemente sostituito dal Professor Massazza.
MASSAZZA Giuseppe, Scuola di Medicina Università degli studi di Torino
Buongiorno. Porgo i saluti da parte della Scuola di Medicina e del Professor Ghigo.
I Colleghi che mi hanno preceduto hanno sottolineato l'importanza che le Scienze
Motorie e l’attività motoria entrino nelle scuole e nella vita di tutti i giorni. Ritengo altresì,
che l’insegnamento delle Scienze Motorie diventi un bagaglio culturale anche dei giovani
medici e pertanto trovi uno spazio nel percorso didattico nella Scuola di Medicina. Infatti
l'attività motoria ha un ruolo importante nella prevenzione di molte patologie e pertanto deve
diventare parte integrante delle conoscenze dei nuovi medici.
La seconda considerazione nasce dalla mia esperienza universitaria che inizia dalle
Scienze Motorie e poi viene affiancata dal mondo della riabilitazione.
Il percorso riabilitativo può essere amplificato dalla sinergia con il percorso non
sanitario dell’attività motoria. Riabilitazione prima e attività motoria dopo sono il modus
operandi che viviamo quotidianamente; il futuro dovrà vedere una sinergia dei due percorsi:
sanitario e non sanitario. Il Medico Fisiatra dovrà confrontarsi con un team di professionisti
(Fisioterapisti e Laureati in Scienze Motorie) così da intregrare le competenze sanitarie e non
sanitarie.
Dunque, un'alleanza forte tra i due mondi sarà l'obiettivo dei prossimi anni. Grazie.
FALCO Silvio, moderatore
Ci ha raggiunto il Presidente del Consiglio regionale Mauro Laus, che ringraziamo per la
partecipazione. Poi, in occasione delle conclusioni della mattinata, ci porgerà le sue riflessioni
(si scusa del breve ritardo, ma era in compagnia dell'Ambasciatore del Vietnam).
Due parole come Federsanità ANCI: rappresenta aziende sanitarie insieme ai Comuni e
ha voluto fortemente, insieme al Consiglio regionale e al Presidente, alla Presidenza del Coni,
al CUS Torino, all'Università di Torino, al SUISM (qui rappresentato dal Presidente Professor
Gilli), questa mattinata di riflessione. Perché questo "PRO...muoviamoci"? Effettivamente, più
che un farmaco è veramente un elemento di prevenzione il sapersi muovere in qualsiasi età,
infatti, nella prima sessione delle tavole rotonde i relatori proprio ci racconteranno come
interfacciarsi con il movimento nei vari momenti di vita.
Per non tediare troppo con questi saluti il pubblico giovane che è intervenuto, lascerei la
parola al professor Gilli per la sua lectio magistralis, prego.
GILLI Giorgio, Presidente SUISM, Università degli Studi di Torino
Buongiorno, grazie per l'invito.
Lectio magistralis è un termine molto ampio, la mia non sarà sicuramente una lectio
magistralis, ma semplicemente una carrellata, in qualche modo, sul titolo che mi è stato
assegnato e sul quale spero di rimanere compiutamente.
Parlare di un'attività fisica come determinante dello stato di salute è sicuramente
importante. Giuseppe Massazza diceva: "Attenzione, l'attività del movimento è
sostanzialmente equivalente ad un farmaco" e l'attenzione di questi ultimi anni sicuramente
ha consapevolizzato la collettività e ha convinto tutti noi che il muoversi, in qualche modo,
esercita beneficio sul nostro ben-essere; però, chiaramente, i determinanti di salute sono
complessi e compositi, sono costruiti con una serie di situazioni che, in qualche modo, cerco di
sintetizzare attraverso una serie di passaggi.
Se noi andiamo a vedere, in via del tutto sintetica - e mi auguro che si veda, anche se lo
schermo è relativamente piccolo - il patrimonio di "determinanti di salute" prevede azioni che
devono essere supportate da attività di natura politica e, conseguentemente, la responsabilità
del mondo politico nel dare elementi compiuti di miglioramento dello stato di salute; dall'altra,
indicazioni di natura socio-economica, che vedono nuovamente la politica e, quindi, il progetto
dello Stato democratico, ma vedono anche forti capacità individuali, ad esempio, le condizioni
economiche e il livello socio-culturale, che è l'intersecarsi di ciò che la politica di un Paese
democratico offre, ma anche la capacità del singolo individuo ad assumere responsabilmente
tutte quelle opportunità che gli vengono offerte.
Esistono poi condizioni di natura ambientale (aria, acqua, alimenti) che in qualche modo
sono governate da leggi, da normative straordinariamente attuali (e che devono essere
mantenute tali), a tutela sempre della salute collettiva.
Esiste, poi, un capitolo dei determinanti squisitamente individuale, cioè arriviamo ad un
confine in cui, tutto sommato, non è più semplicemente passiva l'attività nei confronti della
nostra salute, ma siamo chiamati alla piena responsabilità per migliorare e per mantenere il
nostro stato di salute. E' il capitolo dei cosiddetti stili di vita, ma gli stili di vita sono
l'abitudine al fumo, l'alimentazione, l'uso dei farmaci, l'attività del movimento, ed è un po'
l'oggetto che questa mattinata, in qualche modo, intende affrontare per capire se e quanto è
misurabile il beneficio indotto dall'attività del movimento.
Ovviamente, tutto questo nei determinanti di salute si chiude con l'ultima parte che
vedete proiettata alla vostra destra, che ho denominato "accesso ai servizi", perché in una
società democratica l'accesso ai servizi diventa uno strumento fondamentale al fine che tutti –
e dico tutti – possano accedere a quei benefici che sono determinati dagli anelli della catena
che prima sinteticamente ho rappresentato.
Il concetto di salute è andato modificandosi; il concetto di salute è stato per lungo tempo
inteso come l'assenza di malattia; il concetto di salute modernamente inteso, a partire dal
1948, passando per quei due tipi di esemplificazione che proietto in questo momento, ci ha resi
consapevoli che dire "salute" significa non solo non avere malattia, ma avere un buon –
utopicamente perfetto – stato di salute psicofisico, quindi non solo l'assenza di malattia, ma
un'adeguata posizione all'interno di una società in cui mi esprimo, in cui sono compreso, a cui
partecipo, da cui vengo in qualche modo tutelata. Questo è il concetto di benessere inteso
oggigiorno, e il concetto di salute sposa esattamente il concetto di benessere.
Però, la promozione della salute vede interventi prevalentemente a livello globale da
parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che determina, fin dal 1948, le definizioni
della salute collettiva, quindi della sanità pubblica, e, coerentemente, si muove da allora.
Questo processo, che, in qualche modo, rappresenta una promozione costante della salute, pur
con la grande diversità a livello globale, come è facile comprendere, evidenzia la necessità
anche di definire il concetto. Mi piace richiamare la Carta di Ottawa, che è del 1986, quindi è
già significativamente datata, perché - leggiamola insieme – questa Carta recita: "La
promozione della salute è il processo che consente alle persone di esercitare un maggiore
controllo sulla propria salute e di migliorarla".
Questa frase, riletta attentamente, mette insieme quanto dicevo prima: una parte è
dovuta a chi deleghiamo nel campo della politica ad esercitare l'evoluzione del Paese in cui
viviamo, dall'altra, però, nel passaggio, si recita già molto compiutamente la necessità che sia
partecipata la mia salute, e, conseguentemente, la responsabilità che in qualche modo io
rivesto nel mantenimento della mia stessa condizione di salute.
La Carta di Ottawa segna una serie di passaggi, che ho sintetizzato in questa slide
(lascio il materiale a disposizione per coloro che eventualmente avessero la curiosità di
approfondirlo), ma porto la nostra comune attenzione sul quinto punto, che recita: "riorientare
i servizi sanitari elaborando una politica pubblica per la salute".
Questo è un buco nero, va detto al mondo della politica dell'altro ieri, di ieri e di oggi, mi
auguro non di domani, perché se andiamo a vedere gli investimenti sulla prevenzione primaria
– la prevenzione primaria è l'area della non malattia ed utopicamente l'area del ben-essere –
vediamo le briciole, non vediamo nulla.
Quando noi parliamo del Ministero della salute nel nostro immaginario collettivo
pensiamo alla mutua, cioè all'assistenza, all'assistenza per la prevenzione secondaria, cioè
diagnostica o terziaria, cioè la cura. In effetti, noi stiamo facendo questa mattina un discorso
completamente diverso, stiamo dicendo: cosa si può fare? Cosa posso fare? Cosa può fare lo
Stato nei miei confronti al fine di garantirmi che cosa? Il che cosa dobbiamo chiarirlo subito.
Dal 1950 ad oggi - il passaggio è straordinariamente evidente, è sotto gli occhi di tutti - l'età
media di morte è andata radicalmente cambiando, siamo passati da un valore attestato
attorno a più di 50 anni ad un valore che supera abbondantemente gli 80 per le femmine e,
arrancando un po', anche per i maschi, questo nelle popolazioni occidentali, cioè nel nord del
mondo.
Questo valore numerico, che è straordinariamente importante ed è costato molto, è il
successo della prevenzione primaria o è il successo della prevenzione secondaria? Ahimè, è un
successo in parte – storicamente - totalmente a carico della prevenzione primaria (controllo
delle malattie infettive), ma quando passiamo alle cronico-degenerative, oggi godiamo ancora
significativamente di un successo a onda lunga della prevenzione secondaria e terziaria, cioè
accertamento tempestivo, precoce e affidabile e significativi interventi di natura terapeutica.
Qui il problema diventa nuovamente sociale, perché in uno stato democratico l'accesso ai
servizi a cui facevo riferimento prima, nel quinto step dei determinanti di salute, diventa un
elemento nodale e fondamentale, altrimenti un Paese con difficoltà economiche potrebbe
essere attratto significativamente da una situazione di inversione di tendenza: "Mi curo se ho i
soldi". Allora, comprendete che il passaggio diventa straordinariamente politico, e torniamo al
discorso di prima.
Allora, il riorientare i servizi sanitari nell'ambito della salute significa far capire al
mondo dei decisori politici che la prevenzione primaria paga sempre - così è stato, dalle
malattie infettive all'igiene del lavoro - ma in tempi non coerenti con il mandato politico,
quindi vuol dire dare alla politica la dignità del termine etimologicamente inteso, cioè il "per
tutti" che trascende dal reddito, dalla cultura e dal tempo, e investire significativamente oggi
perché i benefici si traducano e si possano misurare liberando risorse dedicate alla cura e alla
riabilitazione, al fine di poter vivere più anni, ma in condizioni di salute, che è il grosso
problema della nostra epoca. Abbiamo la fortuna, e tutti ce lo auguriamo, ovviamente, di
vivere anagraficamente a lungo, ma la domanda è: come ci arrivo a 90 anni? Arrivo portatore
di patologia? Arrivo con esigenze di assistenza? Oppure arrivo a 90 anni in condizioni di
autonomia, in condizione di autosufficienza fisica (quindi, anche economica, mi auguro)? E' il
grosso interrogativo a cui siamo chiamati.
La Carta di Giacarta, sempre dell'OMS, arriva qualche anno dopo, nel 1997, 11 anni
dopo, e ripresenta una serie di termini. Mi spiace, leggo alcune parole perché mi rendo conto
che lo schermo è piccolissimo e temo che, non avendo schermi nelle postazioni, si veda poco o
niente, ed è un vero peccato, perché diventa poco utile. Sono tutti termini che ripresentano e
categorizzano in modo più significativo quanto era già rappresentato nella Carta di Ottawa.
Passiamo allora a vedere se è possibile in qualche modo intervenire attraverso delle
azioni che mi permettano di capire se facendo qualcosa ottengo dei benefici, quindi non tanto
la parte di natura politica, quando la parte individuale. Non dico che la politica non c'entri più,
la politica deve raggiungermi con informazioni e formazione per farmi capitalizzare le
conoscenze della comunità scientifica e renderle quotidianamente spendibili.
Abbiamo interventi di educazione e promozione alla salute, allora la scuola, come diceva
il Presidente del Coni, diventa il luogo in cui non solo informo, ma formo le nuove generazioni
di cittadini - e io mi auguro anche le vecchie e le nuove generazioni di docenti, che
appartengono ad una categoria un po' abbandonata a se stessa in questo Paese, che merita
un'attenzione diversa semplicemente da quello che è l'arruolamento nelle categorie di
appartenenza - con una costante formazione, perché quella è prevenzione primaria sulla
cultura del cittadino e, conseguentemente, non possiamo più assolutamente lasciare lo stato
della scuola in cui è. E' un giudizio del tutto personale, vale per la scuola, ma vale anche per il
mio livello, cioè per quello universitario.
Mentre interventi di educazione alla salute prevedono tutte le cose fino alle campagne di
informazione sui media. Le campagne di informazione sui media, però, vedono una disparità
di intervento: l'intervento della pubblicità progresso, che normalmente è un po' grigetta, è un
po' scipita, meno accattivante, e la grande capacità di comunicazione con i media del mondo
della pubblicità commerciale, che individua percorsi di convincimento e modifica
pesantemente i nostri stili di vita.
Allora, l'interrogativo che mi pongo e che pongo al mondo della politica è: forse è
possibile andare a braccetto anche con il mondo cosiddetto "commerciale" per utilizzare gli
strumenti invasivi del mondo commerciale per far passare alcuni messaggi – mi si consenta il
termine – salutistici? Cioè far sì che si riesca, attraverso il mondo della commercializzazione, a
introdurre un'etica nel commercio, che produca un ritorno di valori positivi anche per la
salute?
Io personalmente sono convinto di sì, perché se vado a vedere i bilanci di alcune aziende
del settore alimentare mi accorgo che quelle aziende che hanno intuito anticipatamente il
valore della paura individuale sulla malattia e sulla morte e hanno investito in modifiche di
prodotti ad indirizzo salutistico hanno visto rapidamente schizzare i propri bilanci. Questo
significa che siamo maturi, grazie alla paura della malattia e della morte, a ricevere messaggi
salutistici; siamo anche convinti di poterlo fare cambiando il biscottino, piuttosto che lo yogurt,
piuttosto che qualche altro prodotto, perché, tutto sommato, ci hanno convinti che quello fa
meno male dell'altro, anzi ci piace pensare che faccia bene, tanto per intenderci. Allora, forse,
lì, questo binomio potrebbe essere proficuamente preso.
Poi esistono meccanismi di accompagnamento alla cosiddetta "cura primaria" (counseling
dell'attività motoria, counseling dell'attività alimentare), ma bisogna capire quanto tipo di
risultato ci attendiamo scientificamente, non possiamo pensare di individuare miraggi,
vogliamo capire se e quanto, ma anche quando, cioè in quanto tempo.
Il terzo settore è quello delle misure fiscali di regolamentazione del settore
agroalimentare in genere, perché attraverso quello – mi riaggancio a quanto dicevo prima –
l'azione politica può esercitare una moralizzazione dell'intero sistema e può usufruire dei
benefici attraverso la capillare azione che questo settore è in grado di esercitare.
E' chiaro che la longevità e il benessere fanno parte del passaggio cui facevo riferimento,
abbiamo acquisito a caro costo un'elevata longevità, vorremmo acquisire ad un costo inferiore
la longevità con il benessere; conseguentemente, la sfida di questi prossimi decenni,
sicuramente, è segnata da questo passaggio.
La domanda è la seguente: se prendo uno spaccato di vent'anni circa (1990-2012), questa
sensibilità nei confronti dell'attività del movimento, del fare per noi stessi un qualcosa per
migliorare il nostro stato di salute, della coinvolgente attività commerciale, dell'azione politica,
dell'attività educativa, ha dato qualche risultato oppure i risultati devono ancora venire?
Se paragono il 1990 al 2012, mi accorgo di essere di fronte a risultati che, detto in
termini semplici, mi fanno cadere le braccia, per alcuni aspetti, perché nel 1990 l'OMS (quindi,
l'Organizzazione Mondiale della sanità che, in qualche modo, misura l'evolversi della salute
nelle collettività umane, sempre riferibile sostanzialmente alla parte economicamente più
fortunata del mondo, cioè al nord del mondo) dice: "L'inattività fisica non l'ho neppure
misurata". Quindi, l'attività fisica non veniva neppure tenuta in conto nelle misure relative a
un qualcosa utile a migliorare il mio stato di salute. Quindi, vuol dire che circa vent'anni fa
questo tipo di valutazioni erano fatte da pochi eletti che si interessavano dell'attività del
movimento nelle varie categorie professionali interessate, che producevano interessanti
risultati di natura scientifica, prevalentemente nel mondo sportivo, ma che, in effetti, non
aveva contagiato il modo di vivere di tutti noi.
Il 2012 contro il 1990 ci dice: attenzione, noi abbiamo visto schizzare nelle varie categorie
patologie tipo (a livello di valutazione di mortalità) l'ipertensione e il consumo di tabacco (che
pensavamo di avere abbattuto, mentre in questo ventennio è cresciuto come responsabilità del
3%). L'inquinamento, invece, è andato diminuendo; la dieta povera di frutta non è stata così
incisiva come ci attendevamo; l'indice di massa corporea addirittura è schizzato dell'80%, e lo
vediamo dalle indicazioni nelle età adolescenziali (il 15-20% di soggetti obesi al confine tra
l'età dell'adolescenza e l'età adulta). Abbiamo tutta una serie di rappresentazioni che
preoccupano: l'alimentazione e la nutrizione, e così via per altri tipi di parametri. L'inattività
fisica non era compresa, quindi ci attendiamo che i risultati adeguati per il 2015 introducano i
risultati ottenuti attraverso una maggiore pratica dell'attività del movimento, l'accesso alle
palestre o qualsiasi altro tipo di attività ne sono l'esempio.
Però, per entrare nella misurazione, riporto i risultati che in qualche modo uno studio di
Moore ha lanciato nel campo della comunità scientifica, nel 2012, su una coorte di circa 660
mila soggetti, quindi una rappresentatività significativa, cioè non un piccolo studio cucinato
per ottenere alcuni risultati prolusivi a successive indagini: 660 mila soggetti controllati
rappresentano un significativo studio.
Questo studio si basa su un principio generale che è il MET - Metabolic Equivalent of
Task - che in qualche modo mi dice quanta attività fisica distribuisco nell'arco della settimana
e cerco di misurare quale benefici posso ottenere.
Lo sintetizzo.
I livelli di attività fisica minima raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità
sostanzialmente viaggiano tra 7.5 e 14.9 MET alla settimana (MET ore settimana).
Cosa intendo dire?
Faccio un esempio: un'ora di camminata veloce tutti i giorni, per sette giorni alla
settimana, corrisponde a 28 MET. Come dire che se cammino mezzora, un po' velocemente,
però tutti i giorni, mi becco 14 MET, che stanno nella fascia alta dei valori raccomandati
dall'OMS.
Questo per dire che anche quelli come me, che non hanno una grande passione per
l'attività del movimento - lo confesso - possono essere virtuosi nel momento in cui, non
necessariamente si mettono una tuta e "zompano" in palestra o vanno in bicicletta, ma…
FALCO Silvio, moderatore
Mai dire mai.
GILLI Giorgio, Presidente SUISM, Università degli Studi di Torino
Mai dire mai, effettivamente.
Mai dire mai, però, per il momento, la mia attività fisica si riduce a camminare. Questo
vuol dire che camminare mezzora al giorno, velocemente, rappresenta quel valore considerato
già nella fascia alta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità
Ma andiamo a vedere le stime che sono state fatte.
Per alcuni versi sono interessanti, ma per altri sono addirittura inquietanti, e non vorrei
che il "mai dire mai" del Presidente ad un certo punto lo traducessimo in un obbligo normativo
per cui mi tocca anche fare ginnastica obbligatoriamente, altrimenti mi tolgono il ticket
sanitario, tanto per dire.
E' chiaro? E non vorrei che tu avessi queste idee, perché mi preoccupano.
La stima fatta è quella di anni persi, in relazione ad una serie di parametri: se io prendo
i grandi obesi, cioè gli obesi di secondo livello, mi accorgo che gli anni persi, rispetto ad una
popolazione standardizzata per genere e per età, perde mediamente 7.2 anni di vita per la sua
condizione (non entriamo del perché della condizione, non ci interessa in questo momento).
Lo stesso soggetto che sviluppa un'attività pari a 7.5 MET, cioè mezzora di camminata
veloce al giorno (poi faccia altro se gli piace, ma solo per andare ai numeri, tanto per
intenderci), passa da 7.2 a 4.5, cioè si guadagna tre anni di vita circa. E stiamo parlando
solamente dell'attività del movimento.
Ma se io vado ad un normopeso che non fa niente, il normopeso che non fa niente - e qui è
l'altro rovescio formidabile della medaglia - perde 4.7 anni di vita per essere immobile,
inattivo. Il che è straordinariamente importante, perché da un lato guardo il grande obeso
dicendo: “Beh, fai bene a muoverti perché ti guadagni qualche anno”; però, per quello
normopeso - che è quello un po' più magro di me - tutto sommato il fare niente significa
perdere più di 4 anni e mezzo di vita; il che sta a significare che c'è spazio per tutti, cioè il
movimento è trasversale, colpisce età, condizioni fisiche e così via, con indicazioni che lascio a
disposizione, per quanto riguarda il soprappeso e l'obeso di primo livello.
C'è anche da dire, politicamente: ma se io introduco norme restrittive, norme
convincenti, facilitazioni e così via, quel miglioramento in quanto lo ottengo? Alcune indagini
di natura sociologica sono andate ad investire se e quanto gli interventi sulla politica fiscale,
sulla politica delle attività del movimento, sull'educazione alimentare, o meglio ancora
nutrizionale, e così via, danno dei risultati.
Qui il grafico si intuisce più facilmente: in asse verticale sono gli anni di vita guadagnati
in salute (quindi quelli in asse verticale), in asse orizzontale è il tempo. Il tempo è sempre
abbastanza lungo, come vedete, nelle misure collettive, ma immediatamente si impenna, e cioè
nell'arco di cinque/sei anni, se protraggo l'intervento di tipo educativo, politico e così via, e
ottengo dei risultati straordinariamente significativi (e sono quelli che risultano con la linea
blu).
Il primo tipo di intervento che produce beneficio, e quindi libera risorse e fa vivere meglio
i singoli, lo trovo nel tipo nutrizionale. Vuol dire che c'è un capitolo che si distingue dagli altri
perché se intervengo sull'informazione, formazione ed educazione in campo nutrizionistico,
ottengo dei risultati.
Ecco, mi riallaccio alla possibilità di un patto sociale che non danneggia chi produce,
smercia e commercia prodotti alimentari, ma che, convinto da una nuova etica, possa in
qualche modo essere un soggetto attivo in una società moderna come la nostra.
A seguire, ma in modo distanziato, l'accompagnamento, non sull'informazione,
formazione ed educazione alimentare, ma l'informazione, formazione ed educazione
sull'attività del movimento. E' al secondo posto, ma non facciamoci coinvolgere delle
graduatorie: questa non è una graduatoria.
Quella di prima misurava i benefici su un'attività del movimento che restano, e se io
resto a fare attività fisica - quella lì - mezzora, facciamo 45 minuti di camminata veloce al
giorno, diminuisco un po' il giro vita - mi auguro - e nello stesso tempo ottengo dei benefici che
sono misurati in quegli anni.
Ma i due risultati non sono tra loro dissociati, sono sostanzialmente da mettere insieme
e, quindi, se aggiungo i benefici dell'attività di movimento ai benefici, cioè l'asse orizzontale,
gli anni di vita guadagnati in salute, mi accorgo che la miscela può essere il risultato di un
cocktail straordinario: guadagnare anni di vita in salute, cioè anni di vita in condizione di
benessere, con due piccole leve che nulla hanno a che vedere con la medicina curativa di tipo
occidentale, quindi né con la diagnosi né con la cura, ma semplicemente con la cura del mio
stile di vita, che mi porta con semplicità e a basso costo, se prendo l'esempio del camminare
(consumerò qualche scarpa in più), ma di fatto ottengo dei benefici straordinariamente
positivi.
E certo che è interessante, perché se io invece faccio una proiezione mondiale inorridisco:
noi che siamo abituati ad avere l'accesso facile e poco costoso al cibo (lasciamo da parte la
qualità, sto parlando solo in termini di spesa pro capite rispetto al reddito per l'alimentazione),
non ci rendiamo forse conto che, sostanzialmente, contro 36 milioni di morti all'anno per
carenza di cibo, che è un numero drammatico com'è facile comprendere, e che riguarda la
parte più abitata del Pianeta, ne contiamo 29 milioni all'anno morti per eccesso di cibo, cioè la
malnutrizione per difetto, per distribuzione o per eccesso. Il che deve far riflettere, perché in
questo modo abbiamo dei risultati che dovrebbero convincerci e convincere il decisorio politico
ad investire rapidamente su questo tipo di progetto.
Chiudo con un esempio grafico, perché forse è quello che riusciamo a vedere meglio, che è
il progetto della Nord Carelia, una Regione della Finlandia (lo porto sovente ad esempio
perché mi pare molto impattante). Il Nord Carelia, nei primi anni '70, era parte di una
Regione della Finlandia che aveva la peggiore performance relativa alla morte per malattie
infartuate o cardiovascolare in genere, se non andiamo a dissociarle, e partiva da valori
drammatici in cui la mortalità, misurata per 100 mila, era pari a 700 quando, mediamente, in
Europa eravamo a meno della metà, tanto per intenderci, quindi un problema sociale
importante. Perché? Perché patologia che si esprime, nel caso infartuale, in modo acuto e si
sposta rapidamente in età anche imprevista, fino a vent'anni fa, quindi anche una mortalità
che abbassa significativamente l'età media di morte.
Il Nord Carelia fa un'operazione a tutto campo. Si modificano i comportamenti
alimentari? No, perché è difficile modificare i comportamenti alimentari di massa, però si
modifica la composizione del latte, conseguentemente dei suoi derivati, essendo il latte
l'alimento prevalente che costituisce la dieta dei danesi. E allora si fa una campagna che mette
insieme chi produce il latte ed è facile comprendere che arriviamo fino a chi produce il
mangime, cambiando la biochimica funzionale delle vacche lattifere e, cioè, si fa quello che da
noi è stato denominato, dieci anni dopo, il "latte qualità": meno grassi, più proteine.
Quindi abbatto significativamente il latte, riducendo che cosa? Il tasso di colesterolo, per
fare un esempio, o di grassi saturi circolanti nel nostro organismo.
Quindi, una politica di tipo sanitario che, trasversalmente, intercetta - e a noi appare
lontanissimo - chi? Addirittura chi produceva il mangime per gli animali lattiferi.
Secondo, si fa una politica fiscale e si dice: analisi statistiche di gruppo.
Quella circoscrizione, che da noi potrebbe essere misurata per valori di colesterolo e giro
vita ad un determinato tipo di range, migliora il proprio stato, cioè riduce il colesterolo, con
tutti i limiti che oggi ci vengono riferiti sul valore del colesterolo (allora siamo negli anni '70) e
diminuisce il giro vita. In quella circoscrizione ci saranno dei benefici di natura fiscale: ti
riduco l'IRPEF o la tassa regionale, che è comunque alta.
E' chiaro che si tratta di una misura che in qualche modo è di beneficio per tutti, quindi
il comportamento virtuoso mio, o il comportamento non virtuoso mio, può danneggiare gli altri
e, di conseguenza, ci si muove su questo tipo di attività.
Poi si fanno le attività di movimento collettivo: le camminate collettive e tutta una serie
di iniziative.
Ecco, voglio far vedere i risultati.
Quella era la mortalità generale, se andiamo alla prossima, o alle prossime, vediamo il
confronto tra alcuni indicatori: tasso di mortalità standardizzato per malattie del sistema
circolatorio riferito ad ogni 100 mila abitanti. Quindi si parte, alla vostra sinistra, con un
valore superiore a 700 morti per 100 mila per malattie cardiovascolare (all'inizio degli anni
'70), mentre gli Paesi sono in successione (il verde la Francia, il blu l'Italia e in nero la
Spagna). Vedete che il trend della prevenzione raggiunge risultati, ma lì c'è un misto tra la
prevenzione primaria e i risultati della prevenzione secondaria.
Ma se voi vedete, nell'arco dei trent'anni, la Finlandia raggiunge il valore medio ottenuto
dai Paesi come il nostro, che hanno investito molto in terapia e diagnosi, tanto per intenderci.
Il risultato è straordinariamente alto perché, in soldoni, la mortalità si riduce del 31% in
Francia, che era quello meglio performante fin dall'inizio e del 70% in Finlandia. Trent'anni!
Certo, non è un mandato amministrativo, ma è pochissimo rispetto alla lunga permanenza
dell'uomo su questo pianeta.
Vado ancora con la prossima. Ugualmente, se io vado a verificare le malattie ischemiche,
mi accorgo che la storia è straordinariamente identica. Allora si può; si può perché non ha
modificato il servizio sanitario offrendo check-up continui alla propria popolazione, ma hanno
detto alla popolazione: attiviamoci per migliorare lo stato di salute collettiva attraverso azioni
di natura collettiva che non escludano nessuno.
Questa è la forza della prevenzione primaria, in cui l'attività del movimento - di cui
trattiamo questa mattina e mi scuso per la pochezza dei risultati, ma sono quelli del MET che
vi ho proiettato - rappresenta la possibilità di misurare addirittura i benefici di tipo
individuale, che è la cosa a cui siamo normalmente tutti più sensibili.
Vi ringrazio per l'attenzione.
FALCO Silvio, moderatore
Grazie, professor Gilli per la sua, anche se non lectio magistralis, sicuramente relazione
con grandi stimoli e riflessioni.
Ringrazio anche la Consigliera Accossato per averci raggiunto e l'avvocato Zanetta, che è
riuscito ad intervenire.
Direi che possiamo incominciare, con qualche minuto di ritardo, il primo momento di
riflessione, dove parliamo di movimento nel ciclo della vita nelle varie età, incominciamo dalla
più piccola.
E' inutile dire che l'attività fisica... intanto diciamo che, probabilmente, uno dei motivi
per cui mi hanno invitato, non è tanto il ruolo, ma perché amo particolarmente l'attività fisica.
Quando la mattina, pur svegliandomi presto (alle 5.00) scendo a Torino per fare un'ora di
canoa sul Po, devo dire che quello è sicuramente il giorno della settimana dove il lavoro va
meglio e vanno meglio anche le relazioni che durante la giornata mi trovo ad intrattenere, per
non parlare di quando ho poi l'occasione di poter scalare una montagna.
Incominciamo con la dottoressa Fabiani, con cui parliamo di stimoli di movimento dai 0
ai 6 anni, quindi partiamo proprio dall'inizio.
Prego.
FABIANI Loretta, Scuola Regionale dello Sport CONI Piemonte
Fascia età 0-6 anni
Buongiorno a tutti.
Sono un insegnante di scienze motorie sportive e da tanti anni mi occupo anche di
formazione e consulenza per le scuole dell'infanzia e primarie. Questo intervento, quindi, mi è
ovviamente molto gradito e ringrazio per l’opportunità il Consiglio Regionale del Piemonte.
Stimolare il movimento dagli 0 ai 6 anni sembrerebbe quasi un'ovvietà, perché
effettivamente si può pensare come, partendo proprio dai più piccoli, questa sia una parte
innata della loro natura, quindi quasi una cosa ovvia, spontanea che non necessita di essere
incentivata. In realtà, non è proprio così. Perché è molto importante “stimolare il movimento”
in modo non solo quantitativo, ma anche qualitativo.
La prima slide del mio intervento avrebbe potuto essere anche una slide di chiusura, ma
volutamente l'ho scelta per iniziare. C'è scritto: "L'idea che ognuno si forma dell'educazione e
della funzione dell'educazione dipende, evidentemente, dall'idea che si ha dell'uomo e del suo
destino".
E' una bella responsabilità quando - e questo seminario di oggi lo conferma - ci si raduna
intorno ad un tavolo con delle forze politiche, con una componente pedagogica, una parte
scientifica e una parte medica: significa essere consapevoli che è necessario assumersi delle
grosse responsabilità, a cominciare proprio dai più piccoli.
Le statistiche confermano un alto livello di sedentarietà a cominciare dai primi anni.
Un bambino su due ha la televisione in camera; un bambino su due vede la tv o gioca con
i videogiochi per più di tre ore al giorno. Il 10% dei bambini, quindi, dedica questo compito,
purtroppo sedentario, a volte dalle quattro alle cinque o sei ore al giorno.(cfr.Ricerca "Okkio
alla salute).
L'obesità pediatrica sta diventando effettivamente un problema. Per noi esperi di Scienze
Motorie lo è perché la nostra parte di intervento, a questo punto, correlata a quello di
un'alimentazione corretta ed adeguata, è fondamentale ed insostituibile.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità la definisce un'epidemia silente. A me ha
impressionato molto il discorso che sia epidemico, quindi che si stia diffondendo come una
malattia.
Silente fa pensare che molta parte delle persone che hanno un ruolo educativo - con
difficoltà se ne rendono conto, a volte anche per una difficile ammissione di responsabilità in
questo stato di cose.
I bambini italiani, secondo alcune statistiche, sarebbero i più grassi d'Europa: abbiamo il
24% dei bambini in soprappeso, quindi un milione e 138 mila, che sulla bilancia superano il
peso forma. Quella percentuale sale al 25,2% se noi aggiungiamo i bambini dai 3 ai 6 anni.
Sempre questa ricerca molto interessante riporta che ben il 38% dei genitori non si rende
conto dello stato di ipernutrizione dei propri figli. Tendenzialmente nei genitori, e chi come me
è un insegnante lo sa perché ha a che fare con i genitori quotidianamente, c'è quasi una non
ammissione, cioè questo essere assolutamente morbidi e rotondi dei loro piccoli dà loro un
grosso senso di benessere, di salute: il bambino grasso è un bambino che sta bene.
In due casi su tre abbiamo un bambino in soprappeso, ciò significa che esiste un elevato
rischio di avere un adulto in soprappeso. Oltre ad avere questa grossa responsabilità, il
problema è proprio legato alla forma mentis: come si costruisce la salute, il benessere, il
concetto di star bene, di vivere bene la propria vita anche dal punto di vista professionale in
un adulto che parta con queste premesse?
Quindi stimolare il movimento fin dall'infanzia è fondamentale. Io però farei una
sottolineatura importante. So che qui ci sono tanti colleghi, per cui sono più - se me lo
concedete - addetti ai lavori e quindi sanno di che cosa sto parlando; di conseguenza,
richiamerei l'attenzione delle persone che forse meno conoscono questo aspetto. Quando
parliamo di bambino da zero a sei anni, noi diciamo che ha un corpo, ma in realtà è un corpo.
Questa sottolineatura è fondamentale, perché definisce quella che è l'identità personale.
Definirei il corpo dei bambini come un luogo che loro abitano: tutte le percezioni, la parte
affettiva, la parte relazionale, quella emotiva confluiscono a definire il CORPO come un luogo
fondamentale di esperienza, di crescita cognitiva, affettiva e relazionale.
La corporeità legata fortemente al movimento permette di stabilire una serie di
progressione tra le funzioni, le abilità, le competenze, le capacità. Voi pensate che addirittura,
dal punto di vista della legislazione europea, la scuola ormai ha strutturato quelle che sono le
Competenze di Cittadinanza Europea – necessarie per diventare cittadini consapevoli – si
comincia la loro strutturazione dalla scuola dell'infanzia, costruendo delle competenze sociali
attraverso l'uso del corpo e del movimento.
E' fondamentale perché è quello che permette la maturazione dell'individuo. Sto
cercando di spostare, di sottolineare non solo l'aspetto movimento-gioco-dando importanza non
solo a tutte quelle che sono attività che da tanti anni conosciamo e che abbiamo favorito; la
nostra Regione, poi, è molto attiva da questo punto di vista, sia nell'ambito scolastico che
extrascolastico, ma sto facendo una sottolineatura dal punto di vista della qualità e della
tipologia degli interventi.
La corporeità diventa un valore, perché è quello che poi costruisce la personalità. Quando
poi nella scuola media, inferiore o superiore, insorgono tutta una serie di difficoltà nelle crisi
adolescenziali, la prima strutturazione di personalità, tutto quello che crea gli elementi di base
e di partenza, si struttura e si avvia primariamente nella scuola dell'infanzia ed è li’ che si
vanno a cercare le cause.
Parliamo di personalità. Quando parliamo di personalità, che è un costrutto molto
complesso - e non entro nell'ambito psicologico - parlo proprio di una costruzione che basa
fortemente tutto quello che vede la sua parte più importante sulla strutturazione del
movimento. Se mi concedete un pensiero un po' forte, non si tratta solo di pensare solo al
bambino che gioca, che faccia gioco e movimento, ma è importante che faccia una qualità
precisa di attività. Tutto il lavoro di metodologia dell'insegnamento che viene progettato anche
nelle attività di avviamento allo Sport, che viene evidenziato nella scuola, basa la sua
struttura scientifica su questo concetto.
E' vero, quando parliamo di bambino e di attività motoria in questa fascia di età,
parliamo sicuramente di un'attività di GIOCO: si pensi come la sottolineatura è sempre
ludica; ma l'attività di gioco è quella che crea un apprendimento. Voi pensate che, ad esempio,
le sequenze temporali che costruiscono i bambini della scuola dell'infanzia durante un gioco,
nel quale per noi la struttura temporale è molto semplice e chiara (se uno parla di azioni
successive o contemporanee, per un adulto o per un adolescente tendenzialmente la
costruzione a livello cognitivo è immediata), si pensi che nei bambini la strutturazione avviene
proprio in questa prima fascia di età, ed avviene solo ed esclusivamente attraverso le attività
motorie, quindi la capacità ad esempio di costruire una sequenza.
Pensate: i bambini, quando vi dicono "e dopo cosa facciamo?", il "dopo" in realtà non ha
una correlazione perfetta con la realtà, tant'è che i genitori lo sfruttano spesso ("te lo faccio
dopo", lo compriamo dopo"), perché la strutturazione temporale dell'azione non ha una logica
cognitiva immediata, ma passa solo attraverso l'esperienza del movimento. Ecco perché è così
importante.
Costruzione dell'identità. La costruzione dell'identità viaggia di pari passo con le
relazioni. Quale posto è più idoneo ed adeguato di un posto dove si gioca e si fanno attività
costruite, progettate e studiate insieme ad altri bambini? Sono i primi elementi in cui io
comincio a costruire. Io insegno nella scuola superiore e vi assicuro che a volte ho grosse
difficoltà a far lavorare i ragazzi su azioni cooperative, su attività in piccole squadre, su
gruppi, perché è un altro elemento che si allena e si prepara fin da piccoli.
Tutto quello che sto dicendo è fondamentale, ma è legato anche a correlazioni di tipo
scientifico. Madeleine Portwood, ha fatto molti studi sulle disprassie e ha correlato il
movimento a tutta una serie di aspetti neurologici, sottolineando come negli ultimi anni circa
il 30% dei bambini non sa con quale mano scrivere, cioè i bimbi che passano dalla scuola
dell'infanzia, dove si fanno attività di pregrafismo e di prescrittura, alla prima classe della
scuola primaria elementare, rispetto a 18 anni fa, ben il 30% non sa con quale mano scrivere.
Questo perché? Perché la dominanza rispetto all'uso e successivamente la lateralizzazione si
strutturano – secondo le sue ricerche attraverso la fase del “gattonamento”, cioè nei momenti
in cui il bambino, nei primi anni di età, va a quattro zampe: in quella fase, il contatto col
terreno, la capacità di muoversi, di fare esperienze concrete e pratiche nell'andare
semplicemente a quattro zampe, determina una scelta elettiva, quindi ovviamente di
dominanza e conseguentemente di lateralizzazione. Con la riduzione di tutto questo
movimento, la ricercatrice sottolineava come bambini tenuti sempre in braccio, tenuti sempre
occupati a fare qualcosa da seduti, arrivano nella scuola primaria e hanno effettivamente
difficoltà a scegliere con quale mano provare a scrivere.
Qualificate esperienze neurologiche dicono anche che i processi motori influiscono
notevolmente sulla plasticità del cervello. In maniera molto semplice, l'aumento delle
connessioni sinaptiche – (qui chiedo scusa, ma sicuramente ci sono medici che saprebbero
esprimere molto meglio ciò che sto dicendo io) - avviene attraverso l'esperienza, quindi è e
fondamentale il proprio patrimonio genetico, ma è senz'altro importante un'altra fortemente
esperienziale. Allora questo contributo scientifico rafforza il concetto che è fondamentale
l’aspetto di fare esperienze di movimento, perché se pensiamo che nella fascia dallo zero ai tre
anni c'è un aumento di crescita del cervello dell'80% e, a seguire, del 90%, se è vero che le
connessioni sinaptiche sono – utilizzando una metafora -un po' come i rami di un albero: più
rami ci sono e più connessioni abbiamo, ma questi rami e queste connessioni si strutturano e
crescono solo attraverso esperienze di tipo pratico. Di conseguenza è fondamentale e direi che
la correlazione scientifica avalla assolutamente questa ipotesi,la parte motoria anche dal
punto di vista cognitivo e neurologico.
Il movimento è uno dei primi elementi di sviluppo del pensiero logico: la seriazione e la
classificazione degli oggetti afferiscono tutte ad aree cognitive, e queste passano di nuovo
attraverso l'attività ludico-motoria.
FALCO Silvio, moderatore
Grazie, dottoressa Fabiani. Mi scuso se ho dovuto chiederle di stringere i tempi.
Chiedo agli altri relatori, giusto per lasciare alla seconda metà della mattinata il
ragionevole tempo, di rimanere nel quarto d'ora.
Una sola considerazione. Mi hanno colpito molto le prime slide che ha fatto vedere, dove
l'inattività di questi nostri giovani bambini è impressionante; leggevo, giusto per lasciare uno
slogan, il 5-2-1 nella prima età, ma credo anche dopo l'avere cinque pasti al giorno
privilegiando frutta e verdura, le due ore al massimo di videogioco, tablet o televisione e
almeno 1 ora (e qua ritorno a quello che diceva il prof. Gilli) di movimento siano sicuramente
cose semplici che ci manterebbero in salute.
Lasciamo la parola, sempre della scuola CONI, a Luigi Casale su "Educare il movimento
dai 6 agli 11 anni".
CASALE Luigi, Scuola regionale dello Sport CONI Piemonte
Buongiorno a tutti. Grazie alla Presidenza della Regione, grazie alla Presidenza del
CONI.
Anch'io, come la collega che mi ha preceduto, sono un insegnante di scienze motorie
sportive e mi occupo, con la scuola regionale dello sport, di formazione dei nuovi docenti della
scuola stessa.
Questa mattina parlerò brevemente di educare il movimento dai 6 agli 11 anni, e voglio
partire proprio dal primo termine "educare", cioè e-ducere, condurre fuori, tirare fuori,
permettere, favorire appunto le buone attività e le buone formazioni nei nostri bambini.
I primi anni di vita sono senz'altro cruciali (l'ha sottolineato più volte la collega Fabiani)
per il grado di sviluppo ed evoluzione di un bambino. L'ambiente e gli stimoli diventano,
ovviamente, la strutturazione e lo sviluppo motorio.
Il bambino un pochino più grande, rispetto all'intervento precedente, è un bambino
rispetto al quale dobbiamo soprattutto cercare di far emergere le potenzialità. Mi sembra
abbastanza divertente, ma - nello stesso tempo - interessante, questa immagine di un bambino
che può fare tante cose: può giocare - anche in modo spensierato - può sognare, può studiare,
può applicarsi in tante attività e processi. Lo può fare se noi contribuiamo, insieme ad altri
soggetti, ad educarlo.
Velocemente: educare chi? Qual è il soggetto? Tra i 6 e gli 11 anni.
Prima cosa, non dobbiamo fare di tutta l'erba un fascio. Ci sono già delle fasce
significativamente diversificate, tra i 6 e i 7 anni. Nel bambino, in questa fascia di età,
aumenta l'altezza, diminuisce il peso, ci sono altre situazioni e cambiamenti, altre
strutturazioni molto importanti. I muscoli sono relativamente poco tonici rispetto alle altre
età, e altre strutture anatomofisiologiche vanno a modificarsi, a implementarsi, oppure ad
avere dei momenti di stasi. Ci sono soprattutto carenze coordinative. Questo lo vedremo
successivamente (sempre brevemente, ma lo vedremo).
Accennerò a come, invece, sia possibile stimolare ed educare.
A livello psico-sociale, il bambino di 6-7 anni, rispetto alla fascia precedente, ha una
apertura verso il mondo, verso gli altri; non è più solo interiorizzato verso se stesso. Ama
muoversi anche in modo organizzato e gratificante, se messo nelle giuste situazioni e
condizioni. Molto bene diceva la collega Fabiani: non basta farlo solo giocare in senso lato;
occorre vedere cosa si propone al bambino. Il gioco, comunque, è e continua ad essere il perno
di tutta la sua attività. A questa età, incomincia a incontrare le prime regole, comincia a
confrontarsi con gli altri, cominciano le piccole sfide.
Questo è un disegno, ma mi sembra un'immagine abbastanza significativa (anche per
ricongiungerci agli interventi che ci sono stati precedentemente) dei cambiamenti che ci sono
stati negli ultimi anni, sulle abitudini di attività e di gioco, da parte dei bambini.
Ci sembra molto significativa: nello stesso giardino, sotto lo stesso albero, molti anni fa, i
bambini - vedete - potevano svolgere molte attività diverse: chi giocava con la bambola, chi
giocava a pallone, chi saltava la corda, ecc. Oggi - probabilmente è un'esagerazione, è
effettivamente - mi rendo conto - un po' una forzatura - tutti i fratelli minori degli stessi
bambini si troverebbero sotto l'albero a giocare con il proprio smartphone.
Un'altra provocazione: cosa succede oggi, cosa fanno i ragazzini, i bambini, quando
nevica? Pochissimi, escono di primo acchito per giocare con i fiocchi di neve o a palle di neve.
Come prima cosa, lo comunicano attraverso i social, poi - se sono messi nelle giuste condizioni
- possono anche uscire a giocare, come fa questa bambina, felicissima, ritratta a sinistra.
Facciamo un piccolo salto in avanti: 8-11 anni, per i maschi, e 8-9 anni, per le femmine.
Incominciano delle differenziazioni molto importanti a livello ormonale. C'è un
rallentamento della crescita, della statura, c'è un aumento dei diametri traversi del tronco.
Questo periodo viene chiamato turgor secundus: c'è un aumento della capacità vitale, il
cuore è più proporzionato in relazione alla massa corporea totale, quindi cuore e polmoni
rispondono decisamente meglio alle richieste di impegno fisico.
Qui, l'allenamento e lo sport in generale - come discipline sportive - cominciano ad
inserirsi in modo decisamente importante e significativo. A questa età, la consapevolezza
incomincia a svilupparsi decisamente, come età della ragione, analisi e valutazione delle
situazioni e tanti altri aspetti che, per brevità, tendo solo a riportare.
Educare come? Come possiamo, noi educatori, insegnanti e professionisti del settore,
educare i bambini così giovani? Ad esempio - questa non è una lezione vera e propria, è solo
un intervento esplicativo - puntando sul miglioramento delle capacità coordinative, come
l'orientamento, la differenziazione, l'equilibrio, la reazione, il ritmo, attraverso situazioni di
gioco che cominciano ad avere già delle specifiche decisamente maggiori.
Questa bambina deve compiere un certo passaggio su una scaletta e,
contemporaneamente, svolgere un'azione preordinata con le braccia. Una bambina di 8 o 9
anni deve poter essere in grado di eseguire un movimento del genere, un movimento già più
finalizzato. Anche qua, dipende dal suo pregresso, dal suo punto di partenza.
Educare quando e quanto? Questo passaggio è importante.
Quando? Sempre. Abbiamo detto - è stato riportato prima - della particolare suddivisione
delle attività giornaliere secondo lo schema 5-2-1. Io cercherei di cambiare i due ultimi fattori,
quindi due ore di attività motoria e un'ora sola di gioco elettronico. Però, ricollegandomi
all'immagine precedente, cioè quella dei bambini che stanno sotto l'albero fermi a giocare,
ricordiamoci che non possiamo lottare contro i mulini a vento, non possiamo non riconoscere la
situazione attuale e, pertanto, non bisogna nemmeno demonizzare i mezzi di comunicazione.
Bisogna cercare, assieme ad altri soggetti - ovviamente - di educare anche all'uso consapevole
dei mezzi elettronici.
Educare al movimento. Quando? Sempre, in ogni occasione possibile.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità dice che - come minimo - il bambino, in questa
fascia di età, deve poter svolgere almeno un'ora al giorno di attività motoria specifica,
organizzata. Un'ora al giorno.
Mi ha fatto molto piacere sentire il Presidente Porqueddu, all'inizio, sottolineare
l'assoluta necessità di inserire le ore curricolari, quindi non a macchia di leopardo (in alcune
situazioni sì e in altre no), per tutti i bambini italiani, tutti quanti, almeno due ore alla
settimana di educazione motoria organizzata, finalizzata e proposta da personale altamente
qualificato e specializzato.
Quanto? Dipende. Dipende, per non rischiare, se caduti in mani ad allenatori con finalità
diverse; ad esempio, la specializzazione precoce. Molto spesso si tende, già in questa fascia di
età a iperspecializzare, poiché i risultati, il miglioramento delle tecniche, il miglioramento di
apprendimento delle nuove tecniche è molto accelerato e positivo.
Faccio un piccolo commento che non rientra nelle slide che ho preparato. Ieri sera,
Michael Phelps ha dichiarato in un’intervista che da bambino era iperattivo e, proprio fino a
questa età (11-12 anni), praticava tante attività sportive, non solo il nuoto. Inoltre, ha
confessato, non so se avete sentito o notato, che non gli piace molto nuotare nell'acqua
profonda, quindi ha paura di nuotare nel mare. Eppure è uno sportivo, forse il più grande
nuotatore di ogni tempo ed ha vinto 28 medaglie olimpiche.
Questo significa che la specializzazione precoce non sempre porta ai massimi risultati.
Assolutamente. A questa età, si può (noi diciamo che si deve) non ricercare la specializzazione,
proprio per evitare la base motoria stretta, che comporta una prestazione finale non molto
elevata. Invece, un'ottima multilateralità, finalizzata con principi maggiormente corretti,
porta a sviluppare prestazioni finali massimali.
Il rischio della specializzazione precoce è che i risultati iniziali siano di alto livello,
pertanto, già a questa età, ci sono i campionati e ci sono sportivi in miniatura, che fanno quasi
i professionisti.
La foto qui riprodotta riporta ad un caso limite. Qualcuno di voi ricorderà il bambino
indiano di nove anni che, per fortuna, è stato salvato dall'azione di un'organizzazione
particolare, che lo faceva partecipare addirittura alla maratona. Per fortuna, è stato salvato da
una fine sicuramente tragica.
Senza arrivare a questi eccessi, ricordiamo che l'allenamento giovanile, basato sulla
multilateralità, conforme a processi evolutivi, ecc., crea la base per un'efficace successiva
specializzazione.
Concludo con un auspicio: la professionalità e la passione sono due concetti che vanno
sempre a braccetto. Nella scuola primaria, da quasi 20 anni, ci sono già dei progetti mirati: il
progetto PERSEUS, l'Alfabetizzazione Motoria e Sport di classe. L'auspicio è che possano
essere incrementati e sviluppati, sempre nell'ottica del benessere del bambino.
Grazie.
FALCO Silvio, moderatore
Grazie, Casale, per l'intervento.
Passiamo ad una fase successiva: 12-23 anni.
Riprendo una considerazione che faceva il Presidente Porqueddu: l'importanza dello
sport anche per prevenire il disagio sociale.
E' un'esperienza di qualche giorno fa: in una scuola superiore, due classi sono state
coinvolte in un'esperienza di vela. Effettivamente, tre barche, un piccolo equipaggio di sette-
otto persone, il vivere in mare, hanno aiutato molto, non solo a conoscere uno sport nuovo, ma
soprattutto a vivere insieme in un ambiente ristretto e a collaborare nei vari movimenti.
Pertanto, l'esperienza di questa scuola superiore è stata sicuramente positiva, valutata
in modo estremamente positivo dai ragazzi.
La parola ad Alessandro Saglietti, che parlerà del movimento dai 12 ai 23 anni.
Prego.
SAGLIETTI Alessandro, tecnico CUS Torino
Buongiorno a tutti. Grazie per l'invito.
Sono un tecnico del CUS Torino e, nello specifico, mi occupo di lotta olimpica (lotta greco
romana e lotta libera). Pertanto, parlerò più specificamente della parte di palestra che della
parte scolastica, che - comunque - considero molto importante. Ritengo anche un po' assurdo
che in Italia non si riesca a dedicare almeno un'ora al giorno all'attività sportiva, all'interno
della scuola.
Ho cercato di focalizzare l'intervento sulla questione dei rischi dell'allenamento, visto il
"PRO…muoviamoci".
Quella dei 12-23 anni è una fascia di età molto ampia. A 12 anni abbiamo dei bambini e
a 23 anni abbiamo parecchi campioni olimpici, per esempio. Quindi, parlare di allenamento
dai 12 ai 23 anni è complesso: in 15 minuti, impossibile, però provo a fare un'introduzione
generale.
Nel primo blocco di questa fascia d'età è importantissima - come potete leggere dalla
slide - la multilateralità, quindi proporre esercitazioni il più vario possibile, perché il bambino,
comunque l'individuo, deve apprendere più cose possibili, più schemi motori, più capacità
motoria possibile, per creare una base fondamentale, per apprendere - poi - la parte specifica,
successivamente.
Pertanto, occorre organizzare l'allenamento - se così si può dire - in quelle fasce di età,
basandosi sulla multilateralità.
L'obiettivo della multilateralità è l'attrazione di individui in possesso di un ampio raggio
di abilità motorie, sviluppate capacità organiche e coordinative, in grado di realizzare
numerosi e potenzialmente infiniti 1.37 motori.
Questo, perché - come diceva anche il collega Casale - la specializzazione precoce è
controproducente. Occorre, dunque, cercare di dare - in queste fasce di età - la possibilità di
specializzarsi successivamente, idealmente, in qualsiasi tipo di attività sportiva.
Come allenare la multilateralità? Proponendo, appunto, esercitazioni diversificate, senza
dimenticare gli attrezzi, perché anche la proposizione di allenamenti con attrezzi diversi,
differenti, sviluppa sicuramente queste capacità.
Inoltre, occorre non trascurare l'aspetto ludico, cosa importantissima - a mio avviso - in
tutte le fasce d'età; non solo - come diceva la collega - per i bambini, ma anche nelle fasce di
età più grandi, perché l'aspetto ludico è fondamentale: oltre all'aspetto della proposta, anche
per il fatto del non annoiare gli atleti. Io propongo allenamenti ludici anche nelle prime
squadre, ovviamente non tutti i giorni, per variare un po' allenamento e per fare annoiare
meno gli atleti.
Multilateralità estensiva. Come ho detto, nelle fasce di età è opportuno rivolgere il focus
dell'allenamento sull'acquisizione del più ampio patrimonio possibile di partner motori, per
stimolare un accrescimento generale e le varie qualità, focalizzandosi sulla formazione
dell'individuo. Parliamo di individuo e non di atleta, perché ritengo che il discorso della
specializzazione e del rischio di specializzazione precoce sia più elevato in questa fascia di età,
piuttosto che prima. Pertanto, occorre cercare di non pensare all'atleta vero e proprio, quindi
alla prestazione e al risultato, ma cercare di creare un individuo su cui lavorare
successivamente.
La multilateralità intensiva, invece, subentra successivamente, quando - appunto -
vogliamo cercare di focalizzare la nostra attenzione sull'agonismo. Quindi, magari, sulla
pratica sportiva, sulla prestazione e sul risultato. Infatti, nell'avvicinamento all'agonismo è
bene utilizzare esercitazioni via via più specifiche dei metodi di allenamento strutturati,
spostando l'obiettivo sulla formazione dell'atleta vero e proprio. Passiamo, quindi, da individuo
ad atleta e cercheremo di individuare gli allenamenti specifici, i gesti tecnici specifici della
disciplina praticata.
Le criticità si legano molto a quello che sosteneva il collega Casale: in questa fascia di
età, per noi tecnici, è molto facile incappare nell'errore di specializzare troppo l'atleta. Questo
perché il nostro sistema sportivo ci porta a voler ottenere risultati troppo presto, per esempio
le nazionali di tutti gli sport iniziano ad individuare gli atleti già nelle fasce esordienti cadetti,
quindi intorno ai 14-15-16 anni. Questo cosa vuol dire? Che se io, come allenatore, non ottengo
risultati in quelle fasce di età, rischio che il mio atleta, che sto cercando di specializzare invece
nella fascia di età successiva, non venga convocato in Nazionale, quindi non venga inserito nei
programmi e nei progetti federali e si perda per strada. Questo è un rischio.
Quindi, molti allenatori in tutti gli sport cercano di specializzare precocemente gli atleti
proprio per questo motivo.
Lo diceva già il collega Casale: specializzare troppo presto è vero che dà dei risultati
nell'immediato, ma a lungo termine sicuramente livella la crescita.
Questo è molto importante: il periodo dai 12 ai 16 anni è il periodo che coincide con il
secondo picco di crescita. Questo vuol dire che se io ho specializzato l'atleta - perché se
specializzo prima di questa età è perché voglio costruire un atleta - prima di questa età è vero
che rischio di ottenere il risultato, ma dopo, quando l'atleta cresce, si trova ad avere un corpo
differente. Spesso abbiamo degli esempi di atleti che crescono di 20 cm. in un anno e mezzo o
aumentano di peso di 20-30 kg. in un anno e mezzo. Questo è controproducente, perché se si è
specializzato prima di questa fascia successivamente ovviamente trova difficoltà a capire come
coordinare e come muovere il suo corpo.
E' un ulteriore problema il fatto che, non avendo costruito le basi prima, dopo correggere
questo errore diventa difficile, perché non avendo la base per lavorarci sopra, non riusciamo a
correggere questo errore.
16-23 anni. 16, forse, è ancora fin troppo presto però possiamo già parlare di
specializzazione. In questa fascia di età possiamo pensare di specializzare l'atleta ed
incentrare il nostro focus sulla prestazione e sul risultato. Quindi, organizzare degli
allenamenti e una programmazione specifica atta a migliorare proprio il gesto tecnico
piuttosto che la prestazione sportiva. Questo lo facciamo, ovviamente, studiando il movimento
e la tecnica.
Periodizzazione degli allenamenti secondo il calendario delle gare.
Ovviamente se io devo fare una programmazione adeguata, devo incentrarla sulla
calendarizzazione delle gare; identifico quali sono le gare importanti nella stagione e cerco di
far arrivare l'atleta in forma a quell'evento.
Utilità tecnica, sia libera che comandata. E' importante, ad esempio, nei nostri sport
insegnare la tecnica che decide l'allenatore, ma anche quella che viene meglio all'atleta, quindi
non cercare di indirizzarlo sulla tecnica specifica ma quella individuale.
Preparazione atletica mirata secondo il modello di prestazione.
Questo è importantissimo: il modello di prestazione va studiato, perché ovviamente
quando io strutturo un allenamento, che sia tecnico che sia di preparazione atletica, deve
essere legato al gesto motorio e al modello di prestazione.
Studi della tattica. Anche questo è fondamentale.
Detto questo volevo concludere, perché, come detto prima, parlare di allenamento in
questa fascia di età è talmente vario che poi per andare nello specifico bisognerebbe perdere
molte ore. Grazie.
FALCO Silvio, moderatore
Grazie, Dottor Saglietti, anche per essere rimasto nei tempi.
La parola al Dottor Nunzio Nicosia, docente SUISM dell'Università di Torino.
Proviamo a dire qualcosa sul tema "Adattare il movimento nell'età adulta".
NICOSIA Nunzio, docente SUISM, Università degli Studi di Torino
Buongiorno a tutti.
Innanzitutto ringrazio il dottor Laus, Presidente del Consiglio regionale, per aver
organizzato questo seminario e soprattutto per l'attenzione che sta ponendo al problema
dell'attività motoria in tutte le fasce di età. Ringrazio altresì il Prof. Gilli, Presidente del
SUISM Centro Servizi presso il quale opero, per avermi dato l'opportunità di fare questo
intervento.
Il mio compito è quello di iniziare a parlare dell’importanza della attività fisica in un'età
critica, quale l'età adulta, età nella quale spesso accade il fenomeno opposto, ossia l'abbandono
dell'attività fisica. Perché questo? Perché non avendo più esigenze sportive, non avendo più
mire agonistiche, praticare una attività fisica viene spesso interpretato come un qualcosa di
inutile, superfluo, un qualcosa che ci fa "sprecare" del tempo che, invece, potremmo dedicare
ad altre attività ritenute più accattivanti.
Andiamo quindi, a mettere in relazione il rapporto che esiste tra la salute, tra il
praticare attività fisica e tra la comparsa delle cosiddette malattie ipocinetiche, ossia quelle
malattie determinate dal “non movimento” ossia dalla non pratica abituale e soprattutto
regolare di un'attività fisica mirata, di un'attività fisica che ha come obiettivo primario il
benessere dell'individuo e non necessariamente il raggiungimento di una determinata
prestazione sportiva agonistica.
Pensare che già la storia ci insegna, vedi quanto diceva Platone, che “la mancanza di
attività distrugge la buona condizione di qualunque essere umano; al contrario, il movimento e
l'esercizio fisico metodico la conservano e la preservano”.
Tutti quanti noi, da sempre, facciamo riferimenti alle citazioni dei vari filosofi o ai
consigli dei vari esperti in materia, però spesso ci dimentichiamo o tralasciamo quelle che ci
sembrano più scomode da seguire e/o da utilizzare come “stile di vita”.
Faccio anche io riferimento alle direttive dello OMS già citate dal prof. Gilli, secondo le
quali "La salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplicemente
un'assenza di malattia". La maggior parte degli adulti invece, è convinta di stare bene se non è
malata, se non ha una patologia che la costringa a non poter svolgere determinate azioni della
giornata.
In realtà il termine generico di "salute" va a collegare non solo l'aspetto fisico e l'aspetto
psichico, ma anche l’aspetto sociale, ossia la possibilità di interagire nella comunità in cui
viviamo.
Secondo l’OMS, la salute è quindi “un diritto fondamentale che spetta ad ogni cittadino
di tutto il mondo, e ogni Stato ha il compito di modificare i fattori di rischio, ossia quelle
cattive abitudini di vita che possono influire negativamente sulla salute del soggetto”.
Purtroppo, nel bene o nel male, l'adulto ha subito delle modificazioni comportamentali a
causa della cosiddetta “modernizzazione”. La necessità di non cacciare, quindi di non
muoversi, ha creato un minor dispendio energetico e quindi automaticamente un aumento del
peso corporeo, che ha causato in questi ultimi anni un preoccupante raggiungimento di
situazioni di sovrappeso e di obesità.
La diminuzione dei lavori manuali ha portato un uomo sempre più sedentario, sempre
più seduto, sempre più "costretto" a lavorare da seduto, che dedica quindi pochissimo tempo al
movimento.
Un'indagine del PASSI nel 2010 ha evidenziato che solo il 33% della popolazione adulta
pratica attività fisica ad un livello che può essere definito attivo. Quindi, solo un terzo della
popolazione adulta fa un'attività fisica sufficiente per riuscire a mantenere lo stato di
benessere. Un ulteriore 37% pensa di praticare un'attività fisica, ma è stato dimostrato che il
livello di questa attività fisica non è sufficiente a mantenere lo stato di salute nel tempo. Il
31%, invece, è praticamente un sedentario completo.
Gli effetti di questa sedentarietà si ripercuotono in maniera negativa su diversi aspetti
del nostro corpo, andando a creare tutta una serie di patologie e di problematiche che, bene o
male, si ripercuotono sia sulla vita dell'individuo stesso, sia sulla comunità sociale.
E’ stato scientificamente dimostrato che il “non movimento” causa problemi sia a livello
di malattie cardiovascolari, le cosiddette CHD (coronary heart diseases), quali, scompenso
cardiaco, ipertensione, aterosclerosi, controllo del colesterolo, sia problemi legati all’apparato
muscolo-scheletrico quali, mal di schiena, osteo-artrosi, fratture ossee, alterazioni del tessuto
connettivale, osteoporosi, con conseguenti ripercussioni di ordine psicologico causa la perdita
di autonomia e di autostima. Problemi, quindi, che andranno a creare tutta una serie di
condizioni di disagio che andranno ad influire negativamente sulle capacità lavorative del
soggetto stesso:
E' stato dimostrato che la sedentarietà può anche causare depressione, sbalzi di umore e
attacchi di ansia. Può far inoltre comparire problemi a livello di malattie polmonari quali,
enfisema, bronchite cronica, asma, ma soprattutto può anche favorire l'insorgere di tumori
quali, tumore al seno, tumore al colon, tumore alla prostata, tumore al polmone stesso. In
aggiunta può creare tutta una serie di disordini metabolici quali sovrappeso, obesità e diabete.
E' evidente che tutte le problematiche sopracitate sono frutto non solo della sedentarietà,
ma anche di un non adeguato stile di vita.
Quindi, come diceva il Prof. Gilli nel suo intervento, dal combinare la sedentarietà con
cattive abitudini comportamentali che riguardano sia l'aspetto alimentare, (è stato dimostrato
che la maggior parte delle persone si sovralimenta rispetto al fabbisogno calorico necessario),
sia altre deleterie abitudini quali il fumo, l'eccesso di alcool o l'uso di sostanze stupefacenti,
fenomeno che purtroppo, riguarda sempre di più i giovani.
Partire da un corretto stile di vita per creare una situazione di benessere, è quello che
l'adulto moderno deve iniziare a capire per poter fronteggiare quelle problematiche che
probabilmente sta già vivendo o starà per vivere.
Senza entrare in polemica, come laureato in Scienze Motorie, tengo a precisare che molto
spesso i vari studi fatti prescrivono, come risoluzione dei problemi, una attività fisica che
preveda attività di movimento elementari quali il semplice camminare un'ora, l’andare a fare
la spesa a piedi o fare le scale a piedi. In realtà, se andiamo a guardare la piramide del
movimento, questi non sono altro che la base di questa piramide, attività che tutti noi
dovremmo fare ogni giorno, non come esercizio specifico ma come abitudine di vita.
Dovrà, in aggiunta, essere praticata una attività fisica mirata o meglio una attività fisica
adattata, ossia una attività specifica che aiuti a prevenire e a risolvere, se già presenti, le
patologie che abbiamo visto. “Se ho mal di schiena non posso pretendere che camminando
un'ora al giorno mi passi!!!”
Sarà utile invece fare un'attività fisica mirata che vada a riequilibrare l’apparato
muscolo-scheletrico, in modo da eliminare la sintomatologia dolorosa che mi affligge.
Inoltre, in funzione delle varie problematiche, è necessario che ci sia non solo una
semplice indicazione guida, ma un vero e proprio programma di allenamento.
Quindi, l'attività fisica mirata o adattata può essere realmente considerata come una
naturale medicina che noi abbiamo a disposizione e che spesso ci rifiutiamo di prendere.
Perché? Per abitudine, perché quando abbiamo un qualsiasi dolore la prima cosa che ci viene
in mente è "Cosa devo prendere? Quale farmaco devo prendere?".
Potremmo invece ovviare alla maggior parte dei problemi precedentemente trattati,
prevenendoli e risolvendoli, utilizzando quei farmaci naturali, che ci ha dato la natura, ossia il
movimento e l'attività fisica.
Quindi il prevenire l'insorgere di patologie tipiche delle malattie ipocinetiche, il
preservare e il mantenere lo stato di salute dell'individuo crea notevoli benefici non solo per la
persona ma anche per il sistema sanitario nazionale. Un'indagine del CONI del 2015 ha
dimostrato che anche solo la diminuzione di un punto percentuale di soggetti sedentari
potrebbe portare ad un risparmio annuo notevole a carico della spesa sanitaria e,
conseguentemente, notevoli benefici per l'intera comunità.
Quale tipo di attività? Non un'attività qualsiasi, ma un'attività mirata, adattata alle
singole esigenze di ogni soggetto. Ogni soggetto ha purtroppo delle problematiche diverse e
ogni soggetto ha anche un approccio psicologico diverso rispetto alle stesse problematiche.
Pertanto, una giusta sinergia tra l'esperto in materia, laureato in Scienze Motorie, e la
classe Medica non potrà altro che generare un corretto protocollo di lavoro che aiuterà a
risolvere le problematiche di ogni individuo.
Che tipo di attività? Attività che vadano a interessare la resistenza cardio-respiratoria,
la forza e la resistenza muscolare e la mobilità articolare.
Anche su questo ritorno, come tecnico del settore, sull'importanza dello specialista. Per
resistenza cardio-respiratoria si intende lavoro mirato, ma soprattutto lavoro accuratamente
monitorato.
Il Prof. Gilli giustamente ha parlato di consumo espresso in MET; per i non addetti ai
lavori lavorare a 6 MET o a 7 MET vuol dire lavorare in maniera superiore di 6/7 volte al
consumo di ossigeno che noi abbiamo a riposo. E' un impegno intenso però difficilmente
monitorabile.
LAUS Mauro, Presidente del Consiglio regionale Piemonte
Può ripetere il concetto?
NICOSIA Nunzio, docente SUISM, Università degli Studi di Torino
Certo! Le spiego.
Il MET è un'unità di misura che rapporta il consumo di ossigeno a riposo (che è 3,5 ml/kg
peso corporeo/min) rapportato al consumo di ossigeno che si ha facendo determinata attività.
Se lei va a correre o cammina velocemente, ipotizziamo che consumi 5 MET. Cosa vuol dire?
Che lei avrà un consumo di ossigeno 5 volte superiore a quello che ha in questo momento in
cui è seduto ad ascoltarmi.
Esistono in letteratura delle tabelle di riferimento utilizzate dai medici sportivi, che
rapportano e valutano i vari consumi metabolici in funzione delle diverse attività praticate. Ne
dico alcuni a caso: tennis 10 MET, pedalare 8 MET, fare judo 12 MET eccetera.
Il problema qual è? Che questa unità di misura, anche se altamente utilizzata a livello
scientifico, non potrà essere certo utilizzata per la signora Rossi o il signor Rossi, perché
incomprensibile!!! (immaginate se io dovessi dire a uno di voi: "Adesso vai fuori, corri o
cammina a 5 MET, oppure vai a giocare a tennis, però, mi raccomando, mantieni 7 MET
costanti")
Quindi, si dovranno preferire parametri di riferimento che consentano all’utente di
valutare, in modo facile e comprensibile, l’intensità con cui esegue un determinato esercizio,
come ad esempio, la misurazione della frequenza cardiaca, effettuata sia manualmente sia
utilizzando un cardio-frequenzimetro, attrezzo, ai giorni nostri, economico e facilmente
acquistabile in qualsiasi negozio di articoli sportivi. . Solo in questo modo possiamo essere
certi che il soggetto esegua un allenamento mirato, sicuro, rispettando i propri limiti.
Attenzione! Spesso si parla in maniera negativa a riguardo dell’allenamento della forza e
della resistenza muscolare, perché nell'immagine del popolino forza e resistenza muscolare
vogliono dire body building, vogliono dire esasperazione muscolare. In realtà non è
assolutamente così!
Noi dobbiamo immaginare il corpo umano come un insieme il cui equilibrio è
determinato da tutta una serie di tiranti che sono i nostri muscoli. Solo l'equilibrio di questi
tiranti garantisce una corretta postura e quindi una situazione di benessere. Appena uno di
questi tiranti ha una predominanza rispetto all'altro, insorge una problematica che poi può
trasformarsi in patologia e generare sintomatologie dolorose. L’allenamento muscolare, sia a
livello di forza sia a livello di flessibilità, ci garantisce di mantenere nel tempo questo
equilibrio.
Grazie per l'attenzione.
FALCO Silvio, moderatore
Grazie, Prof. Nicosia.
Passiamo la parola alla Prof.ssa Liubicich, docente SUISM Università di Torino, sul
tema "Adattare il movimento nelle grande età".
LIUBICICH Monica Emma, Docente SUISM, Università di Torino
Adattare il movimento nella grande età
Dati demografici e studi epidemiologici ci inquadrano una società che si appresta a
divenire tendenzialmente vecchia o molto vecchia, per la quale saranno sempre più necessari
studi e ricerche indirizzate al mondo dell’anziano e finalizzate alla progettazione di interventi
che possano contribuire a migliorarne la qualità della vita.
E' vero che ci prepariamo tutti a vivere cent'anni, ma quello che l'Organizzazione
Mondiale della Sanità ha riferito essere il trionfo dell'umanità, ci porta a riflettere su come
l'aumento della speranza di vita, in realtà, non si accompagni all’aumento della speranza di
vita in salute. Infatti, i dati ci sottolineano che gli anziani sono connotati dai livelli di salute
più bassi rispetto al resto della popolazione. Saranno, quindi, sempre più necessari, nell'ottica
del contenimento di quelli che sono i costi economici, ma anche psico-sociali, sia la
prosecuzione di interventi di prevenzione finora intrapresi, sia la formazione di quelle figure
professionale che si prenderanno cura della vecchiaia e delle cronicità ad essa associate.
Le modificazioni fisiologiche e psicologiche che l'invecchiamento porta con sé si
ripercuotono negativamente su quelle che sono le abilità motorie ed, in particolare, sulle abilità
nella gestione della vita quotidiana. Non solamente le attività di base, ma anche quelle attività
strumentali, cioè quelle che richiedono l'usabilità degli oggetti, sempre più indispensabili in una
società come la nostra dalle forti connotazioni multitasking.
Tuttavia gli individui invecchiano in maniera differente gli uni dagli altri costituendo una
fascia di popolazione eterogenea in termini di salute, autonomie, abilità e bisogni. Non è quindi
possibile parlare di anziano come categoria, quanto di singolo anziano. Del resto anche le differenze
di genere connotano la vecchiaia: le donne vivono più a lungo degli uomini, veleggiando verso la
vecchiaia a piccoli passi, ma sperimentano molto più dei coetanei anni vissuti in malattia e di
disabilità.
I dati, tuttavia, ci portano a riflettere sul fatto che al compimento del 65° anno di età ci
attendono da vivere, senza limitazioni funzionali, circa 10 anni. E' quindi un obiettivo per ciascuno
di noi, ma anche per le politiche sociali, il renderci indipendenti per il più lungo tempo possibile.
La sedentarietà può preconizzare la perdita dell'indipendenza e, allo stesso modo,
patologie fortemente invalidanti. Già nel 2002 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha
sottolineato come sia fondamentale la promozione di un invecchiamento attivo che possa
ottimizzare il funzionamento dell’individuo, nell’ottica di un invecchiamento di successo alla
luce del modello di Rowe e Khan che si focalizza su una bassa possibilità di malattia e
disabilità, un alto funzionamento cognitivo e fisico, il mantenimento dell’impegno sociale.
Tuttavia i dati che emergono dalle indagini a livelli nazionale sottolineano come i cittadini
italiani anziani siano tendenzialmente sedentari e che l’ultima fase del ciclo di vita sia
connotata dall’assenza di una regolare pratica di attività motoria e sportiva. Il 48% della
popolazione di età compresa tra i 65 e 74 anni è sedentaria e, se ci riferiamo agli over 75, la
percentuale sale al 69%.
La vecchiaia non è né una malattia né un impedimento alla pratica motoria.
La letteratura sottolinea che sono più longevi tutti quegli individui che svolgono
movimento, e che questo svolge un ruolo protettivo in termini di autonomie nella gestione
della quotidianità. Anziani, autonomia e attività motoria sono, quindi, un buon ingranaggio
che, se funzionante, può contribuire alla qualità della vita dell’individuo.
Le evidenze scientifiche sottolineano ormai da tempo il ruolo del movimento nella vita
della persona anziana, evidenziandone quello protettivo ed il contributo in termine di
benessere, declinandolo nelle più diverse sfaccettature, con focus che si sono via via sviluppati,
in particolare relativamente alle demenze senili, alla malattia di Alzheimer, alla malattia di
Parkinson. Ed alle tematiche relative al rischio di caduta ed alla caduta, che rappresenta un
costo economico e sociale, anche in termini di impegno dei caregiver, non indifferente.
Gli obiettivi dell'attività motoria rivolta alla popolazione anziana, facendo proprie quelle
che sono le indicazioni dell'American College of Sports Medicine, sono quindi quelle di
mantenere più a lungo possibile l’individuo in condizioni di indipendenza, con quelle abilità
motorie che sottendono alle capacità di resistenza, forza muscolare, equilibrio e flessibilità in
un'ottica, di adattamento ai bisogni del singolo, alle risorse, ed ai vincoli presenti. Questi
obiettivi risultano perseguibili e raggiungibili, se vengono definiti alcuni aspetti e
caratteristiche dei programmi di attività motoria: non solo la tipologia, ma anche la durata e
la forma, individuale o collettiva, l’intensità e la frequenza.
Ciò vale anche per tutti quegli anziani che, attraverso un percorso di locomozione sociale,
transitano da una condizione normativa ad una non normativa, terminando la propria
esistenza presso strutture residenziali. Anche per loro il movimento assume una valenza
importante nell'ottica della riscoperta di un corpo che è cambiato, che diventa a volte un
ostacolo per essere al mondo, ma le cui abilità devono essere mantenute.
Obiettivo, quindi, è la salvaguardia dell'autonomia che può essere raggiunta solamente
attraverso percorsi di movimento, mirati e dalle caratteristiche multidimensionali. I laureati
in Scienze Motorie e Sportive, con un percorso di studi che vede integrarsi insegnamenti
differenti nei settori biomedico, psicologico, sociale, pedagogico e delle scienze motorie,
acquisiscono quelle competenze necessarie per accompagnare l'anziano rendendolo
protagonista attivo e consapevole di un cambiamento, anche negli ultimi anni della vita.
FALCO Silvio, moderatore
Grazie ai relatori di questa prima sessione e al pubblico che è rimasto attento a questa
prima parte.
Passo la parola al prof. Rainoldi per la seconda sessione.
RAINOLDI Alberto, docente Dipartimento di Scienze Mediche e SUISM Università
degli Studi di Torino
Grazie.
Passiamo alla seconda parte della mattinata che, dopo una in cui si è steso l'impianto
teorico su questo tema, vorrebbe essere sostanzialmente propositiva. Per rispettare i tempi
chiederei a tutti coloro che interverranno subito dopo di me di cercare di stare (e io per primo)
in circa 10 minuti, così riusciamo a portarci all'ora prevista.
Se facciamo un passo indietro e rileggiamo il titolo di questa giornata, vorrei che ci
rendessimo conto di quanto sia, dal nostro punto di vista, particolarmente straordinario. Cioè,
il sottotitolo: le nuove responsabilità nelle scienze motorie e sportive. L'obiettivo di questa
seconda parte è sicuramente quello di rispondere alla domanda: ma che ruolo hanno questi
professionisti? Viene riconosciuto un ruolo speciale e particolare al laureato in scienze motorie
e descritto come possa realizzare quanto raccontato in questa prima parte della mattinata.
Intanto vi ricordo che il logo che vedete nella diapositiva è della Società Italiana delle
Scienze Motorie e Sportive che costituisce la “casa scientifica” dei laureati in scienze motorie,
quindi è qualcosa di particolarmente importante anche se relativamente giovane perché nata
nel 2007.
E’ stato ampiamente ripetuto e quindi in questo senso voglio andare velocemente, che un
primo ruolo del laureato in scienze motorie può essere nella prevenzione primaria, quindi nel
tentare di aiutare a prevenire, con l'attività fisica mirata, una certa serie di fenomeni
patologici che possono insorgere nell'età adulta, ma anche con dei prodomi nell'età
adolescenziale. Abbiamo stabilito che l'attività fisica è ormai classificata e considerata una
sorta di medicina, ma dobbiamo imparare anche la posologia di questa medicina.
Un altro approccio è quello della possibile prevenzione secondaria. Cioè il laureato in
scienze motorie può avere un ruolo in quei processi che si possono realizzare intorno a pazienti
presi in carico in prima battuta dalla realtà clinica (l'ortopedico, il fisiatra e il fisioterapista
seguendo), ma che puoi devono tornare, per esempio, alla vita di tutti giorni, oppure essere
riatletizzati se si tratta di atleti, come ben sanno i nostri studenti. In quella condizione, o in
condizioni di patologie cosiddette esercizio-sensibili, il ruolo del laureato in scienze motorie è
riconosciuto e non deve essere conflittuale con quello di altre figure, che lo hanno
correttamente preceduto.
La domanda è: questo ruolo può essere normato? Mi sembra che il Presidente Laus stia
cercando, in una giornata come questa, di raccontarci che questa strada può essere seguita.
Che cosa hanno fatto altre Regioni in Italia? Guardarci intorno, come sempre, può essere utile.
Siamo innovativi? C'è qualcuno che ci ha preceduto? Si, c'è qualcuno che ci ha preceduto. Ci
sono leggi regionali che già tengono in considerazione il ruolo del laureato in scienze motorie
riconoscendogli una competenza specifica. Non solo, come è ragionevole che sia, il laureato in
scienze motorie come condizione necessaria per gestire una palestra, ma anche il laureato in
scienze motorie nell'Attività Fisica Adattata, quella che noi chiamiamo laurea magistrale
LM67, con la responsabilità di gestire, in rapporto con i medici, le cosiddette Palestre di Salute
(con questo termine coniato da alcune Regioni italiane).
Nella diapositiva potete vedere il caso della Regione Veneto, la Regione Sardegna e
qualcun'altra Regione in Italia. Non tutte, ma alcune hanno già stabilito che il laureato in
scienze motorie ha un ruolo straordinario rispetto al passato nel suggerire, insieme con la
responsabilità medica, l'attività corretta per quelle patologie esercizio-sensibili.
Unitamente a questa introduzione, con lo scopo di preparare il terreno agli interventi che
seguiranno, mi sembra opportuno offrire due esempi di attività che SUISM, cioè l'Università
di Torino e la sua struttura dedicata alle scienze motorie, hanno intrapreso recentemente. Due
esempi che mi sembrano interessanti e in sintonia con quanto detto fino adesso.
Il primo è quello di rivolgerci al benessere del mondo studentesco universitario. Gli
studenti, i loro parenti e tutto il mondo che vi gravita intorno -che può ampliarsi se
consideriamo anche gli studenti del Politecnico e tutti gli affiliati al CUS- costituiscono una
realtà a cui il nostro Centro Medico, che è centro dell'Università, può fornire un'attenzione
particolare. Per fare questo abbiamo ipotizzato una sorta di circuito che abbiamo chiamato del
welfare universitario. Un circuito che fa interagire tre realtà: la realtà medica classica, un
centro medico locale che esiste nella struttura dell'università e una palestra di salute. La
nostra idea è quella di aprire una prima Palestra di Salute in linea e, anzi, mi sento di dire, in
anticipo rispetto alla legge regionale che speriamo si realizzi e si concretizzi in questa
direzione. Una palestra di salute che faccia un po' da studio pilota. Realizzare, all'interno
dell'università, un modello simile offrirà un’occasione unica agli studenti di quella laurea
magistrale: impareranno le regole del gioco prima di riuscire a realizzare la loro professione.
Ciò che ci sembrava assurdo era di laureare dei professionisti che non avessero
occasione, all'interno dell'Università, di sperimentare quel tipo di attività che in alternativa
sono costretti ad imparare fuori.
Il secondo esempio è stato un piccolo esperimento, anche questo, pilota realizzato in una
scuola di Buttigliera Alta che abbiamo chiamato “chilometro al giorno”. Lo abbiamo copiato da
un'iniziativa inglese che si chiama Daily Mile in cui i bambini/ragazzi, in questo caso studenti
delle scuole medie inferiori, escono a metà della giornata, insieme con tutti i loro compagni e
docenti, e camminano, corrono, per un miglio, nel nostro caso per un chilometro, su un
percorso prestabilito per una decina di minuti all’aperto. Come vedete, non siamo soli, ma
siamo la prima esperienza in questo senso in Italia. È un'esperienza pilota che vorremmo
cercare di esportare in altre realtà torinesi, cercare di moltiplicare per raccontare e far provare
ai ragazzi alcuni aspetti estremamente positivi. Si è svolto da febbraio a giugno 2016, e hanno
sostanzialmente partecipato tutti. Poteva sembrare una scommessa molto difficile da
realizzare perché i docenti erano un po' contrari e temevano che, tornando in classe, i ragazzi
sudati e agitati non avrebbero più seguito le lezioni; invece è accaduto esattamente il
contrario. I ragazzi si erano sfogati ed erano pronti ad ascoltare con un po' più di attenzione i
loro insegnanti.
Questo solo per dire che ci sono dei piccoli interventi che si possono fare, che sono
peraltro già sperimentati altrove in Europa e negli Stati Uniti, che educano a tutto ciò che
abbiamo detto questa mattina. Un ragazzo di 10-13 anni che impara a considerare un po' di
attività fisica nella giornata un automatismo, sarà molto più predisposto ad accettare di
muoversi in età adolescenziale e a non considerare, a trent'anni, il movimento come un lusso
che non vale lo sforzo di seguire e perseguire.
Ho portato questo esempio, non a caso, in questo contesto e tra voi perché ovviamente
costituisca una captatio, nella speranza di ricever proposte (possibilmente dalle Istituzioni) a
replicare questa esperienza a macchia d’olio in altre scuole.
Detto ciò passerei la parola al primo intervento del dottor De Luca, componente degli
Stati Generali dello Sport.
DE LUCA Riccardo, componente Stati Generali dello Sport
Buongiorno a tutti.
Approfitto per ricollegarmi a molte degli interventi di questa mattina dando alcuni dati.
Un discorso più di ambiente. Dobbiamo considerare che, ad oggi, il 70-80% delle risorse
sanitarie a livello mondiale sono investite nella gestione, più che cura, della patologia cronica
e che per l'80% i soggetti, con età superiore a 65 anni, sono affetti da patologia cronica.
Nell'ambito di meno di 50 anni questa situazione, probabilmente, peggiorerà in quanto i
soggetti con età superiore a 65 anni, quasi raddoppieranno a livello europeo e ci troveremo
nella situazione in cui questi soggetti, i soggetti anziani, saranno circa il doppio dei soggetti
con età inferiore ai 15 anni.
Altro dato. Diventa importante affrontare la patologia cronica e a livello europeo si sta
percorrendo questa strada, ma anche a livello italiano. A livello italiano è stato recentemente
pubblicato a luglio di quest'anno il piano della cronicità che fa il doppio con il piano della
patologia diabetica, che è stata affrontate a sé stante, di due anni fa. Questo piano sulla
cronicità ha una visione innovativa, perché non si concentra sull'affrontare la patologia, ma
sull'aiutare il soggetto che ha una patologia cronica ad affrontare la stessa. È una visione di
sistema, non è una visione esclusivamente clinico-assistenziale del mondo sanitario, ma
coinvolge il sistema stesso in tutte le sue articolazioni. Ovviamente, in quello che è il network
assistenziale tipico del modello di assistenza della patologia cronica.
Interventi, quindi, multidimensionali, professionali, istituzionali che sono riportati in
molte linee guida nazionali italiane, a partire dai progetti Guadagnare Salute, che sono
dedicati a quattro setting particolari in tutta Italia e che fanno parte dei Piani nazionale e
regionali della prevenzione, ma anche dei pubblicandi LEA, nuovi LEA 2016, che hanno avuto
l'imprimatur delle Regioni a luglio di quest'anno e che vedono, per quanto riguarda la
prevenzione collettiva e della sanità pubblica, sei azioni, una di queste espressamente dedicata
a aree di azione, una di queste espressamente dedicata alla patologia cronica. Come?
Insistendo sugli stili di vita, in particolare per quanto riguarda l'alimentazione e il movimento,
ma sempre con quest'ottica multi professionale e multi istituzionale.
Affrontiamo un altro dato significativo. Attualmente, 3,6 miliardi della popolazione
mondiale abita in città e nelle nazioni disagiate. Un terzo di questa popolazione abita in
baraccopoli e fra una trentina di anni il 70% della popolazione mondiale si prevede che abiti in
città. La città può avere due visioni, può essere vista in due modi. Potenzialmente un
grossissimo determinante di salute negativo, perché può aumentare le disuguaglianze
economico-sociali, quindi con l'aumento delle malattie trasmissibili per situazioni igenico-
sanitarie, ma della patologia cronica per difficoltà dell'applicazione degli stili di vita salutari.
Così come possono essere anche significativi tutti gli altri elementi di peggioramento della vita
della popolazione. Quindi possono diventare una bomba da esplodere. Ovviamente, se noi
saremo capaci di intervenire da oggi in avanti, potremmo revertire tutti questi determinanti di
salute negativi, o critici, in determinati positivi e quindi far sì che le città possano avere uno
sviluppo tale da consentire e promuovere la salute. Ed è il tema delle città in salute o
promotrici della salute. È un tema che ormai si sta sviluppando e a luglio di quest'anno in
Italia, a Roma, c'è stato il primo forum sul tema specifico.
D'altra parte ricordo anche questo manifesto della salute nelle città, bene comune che è
stato sviluppato da un pensatoio italiano che però fa parte di un network internazionale, che
mi sembra interessante perché, di fatto, indica dieci regole. Ovviamente tutte importanti e mi
sono permesso di sottolineare in rosso quelle più significative dove vedete che si affrontano
tematiche varie, quindi stili di vita sì, ma non solo per il soggetto in prevenzione primaria o
secondaria, ma proprio nei luoghi di lavoro: accesso alle pratiche sportive e motorie, che vuol
dire accesso per tutti e, in particolare, per quelle classi disagiate che non potrebbero
permetterselo, favorire il trasporto urbano. Che vuol dire non solo favorire un trasporto
efficace, ma favorire anche il trasporto attivo (pista ciclabile e quant'altro), promuovere
l'adesione a programmi di prevenzione e ultimo, che mi sembra particolarmente importante,
costituire delle cabine di regia. Regia di che cosa? Anzitutto di studio di quelli che sono,
localmente, i determinanti di salute più critici per quel contesto urbano. Come? Certo, non solo
da parte di un'istituzione, ma dall'insieme di istituzioni che saranno quella sanitaria,
universitaria, saranno quella dell'istruzione e della politica, per determinare le soluzioni più
efficaci per far sviluppare una città che diventi promotrice di salute.
A questo proposito, quando si parla di cabina di regia, forse l'iniziativa promossa, voluta
dalla Presidenza del Consiglio regionale, gli Stati Generali dello Sport, costituiscono questo
tipo di regia. Un organismo che riunisce in sé tutte quelle istituzioni che devono, insieme,
partecipare a promuovere la salute e gli stili di vita attivi. In questo senso, sottolineo e metto a
conoscenza che, nel programma 2016, uno dei programmi facenti parte dell'annata è quello che
riguarda lo sviluppo progettuale per adulti sedentari con malattia cronica non trasmissibile,
che si riaggancia ad un progetto promosso dall'ASL TO1. Questo progetto si avvale dell'uso di
un modello operativo, sviluppato dalla diabetologia dei distretti 8,9 e 10 dell'ASL insieme alla
Medicina dello Sport, che a Torino è sovrazonale, TO1-TO2. Modello operativo, sottolineo,
quindi un qualcosa di riproducibile, di fruibile da chi? Da parte di tutte quelle altre discipline
di patologie cronica in quanto la diabetologia è un buon test di patologia cronica,
particolarmente diffusa.
In effetti questo modello, sviluppato a partire dal 2010, è stato già adottato da parte di
altre strutture di patologia cronica, quindi esercizio sensibile sia dell'ASL TO1, sia dell'ASL
TO 2, è entrata a far parte di un progetto di guadagnare salute, in particolare del setting
sanitario. In un setting di due azioni: due azioni dedicate espressamente alla malattia cronica
e non trasmissibile e due azioni dedicate espressamente alla diabetologia.
Il progetto dell'ASL TO1 si propone di andare avanti, si propone di dare una valutazione
costo-beneficio di questa modalità operativa e si propone di arrivare ad identificare dei metodi
per monitorare quanto e promuovere la presecuzione dell'attività da parte del soggetto, finito
l'avvio da parte della struttura sanitaria. Noi siamo coscienti, come struttura sanitaria - a
seguito di tutto quello che ho detto, necessità di interazione e necessità di azioni di sistema -
che da soli non possiamo dare tutte le risposte. Abbiamo bisogno che il cittadino trovi poi nel
contesto sociale in cui vive delle occasioni che gli sono create dall'istituzione sociale,
dall'istituzione politica per proseguire queste attività. Per trovare la possibilità di farle. Punto
estremamente importante.
Grazie a tutti.
RAINOLDI Alberto, moderatore
La parola a Silvio Venuti, Direttore Servizio territoriale continuità delle cure ASL TO3
VENUTI Silvio, Direttore Servizio territoriale continuità delle cure ASL TO3
Buongiorno.
Ringrazio anch'io tutti per l'invito, in particolare ringrazio l'amica Monica Liubicich che
ci ha pronosticato cent'anni di vita a tutti. Speriamo che abbia ragione. Come cittadino e come
persona sono molto contento, come Direttore dei servizio territoriale di un' ASL un po' più
preoccupato. Non tanto perché viviamo tutti più a lungo tutti, e cresce naturalmente il rischio
di un tempo di vita con patologia cronica, quanto piuttosto perché la nostra società spesso
produce “cose” e non sa cosa farsene, e con gli anziani a volte succede così; si sottolinea motl
‘importanza dell’allungamento della prospettiva di vita, ma da un certo momento in poi si
parla degli anziani come se fossero dei pesi, che zavorrano l società con i costi che inducono.
Mi sembra che oggi forse stiamo dicendo cosa vorremmo fare con loro, “con” le persone, oltre
che “delle” persone.
In linea con la tematica odierna mi interrogo dunque su cosa a quest'ora, quasi a
mezzogiorno, l'Azienda Sanitaria deve aver fatto per rispondere ai suoi propri mandati?
Abbiamo visto, deve essersi occupata che i bambini non abbiano mangiato troppo, troppi cibi
ipercalorici e che li spingono all’obesità.. Deve essersi occupata che abbiano fatto abbastanza
sport, poi deve essersi occupata che gli adulti, andando a lavorare, non abbiano tutti preso la
macchina o il mezzo più vicino a casa, ma abbiano fatto un po' di attività di moto.
Infine, che una gran quantità di anziani non sia stata solo depositata nelle strutture, ma
in esse abbia avuto un'accoglienza civile e degna della loro storia di cittadini.
Come facciamo? Vorrei iniziare dal fondo. Abbiamo un piccolo problema. Magari dico dei
dati noti, ma permettetemi di ribadirli in questa sede: il 23,4 della popolazione piemontese ha
oltre 65 anni. Vi dirò di più. Il 7% ha più di 80 anni e ogni 100 bambini abbiamo 181 anziani.
È evidente che tutto questo dà ragione alle osservazioni del professor Gilli quando diceva
prima che la nostra società sta migliorando, ci garantisce un invecchiamento molto più alto
che nel passato, e anche un invecchiamento in salute.
Lo stesso professore Gilli – che stimo moltissimo e che considero un maestro - con
un'osservazione un po' più preoccupante diceva, ad un certo punto, che fra i determinanti di
salute ci sta la capacità e la possibilità di accesso ai servizi e lo stile di vita.
Ecco, ricomincio a sentire un legame molto più profondo tra tutta la parte tecnico-
sportiva della mattina e il mio mandato di Direttore di un servizio aziendale. A questo punto
certo che un collegamento possiamo e dobbiamo trovarlo, tra indicazioni tecnico-sportive e
mandati sanitari, ma quali sono i canali e le interconnessioni per questo collegamento?
E’ noto che un'azienda sanitaria ha sostanzialmente, come sapete, tre punti di forza:
curare, prevenire e promuovere la salute. Perché si realizzino i sistemi di welfare dell'Europa
occidentale, hanno investito molti miliardi negli ultimi decenni, fino al punto che si è arrivati
ad un soglia di crisi che tutti gli studi, sia in ambito economico, sia in ambito sociale, hanno
messo in evidenza: l’insostenibilità graduale di questo impianto, a fronte della richiesta. Una
risposta molto frequente è stata: tagliamo i servizi. Se non ce la facciamo a fare tutto quello
che ci serve, tagliamo questo, questo e quest'altro come fettine di salame, e assottigliamo il
salame. Il problema di fondo è che quelle fettine non sono salame, ma salute.
Gli studi degli ultimi decenni ci hanno insegnato che le Aziende Sanitarie devono
spostare enormemente il focus della loro attività e, come rileva il Piano Nazionale della
Cronicità, molto correttamente citato dal Dottor De Luca, non più occuparci, come si diceva
una volta, delle morti evitabili, ma della salute possibile, che sono naturalmente due concetti
molto diversi. Per fare questo le aziende sanitarie dispongono di tre canali. Le cure primarie,
l'assistenza specialistica e l'assistenza integrata.
Le cure primarie sono il modo di accesso più comune che noi abbiamo per tutelare la
salute. Sono date dal nostro pediatra, dal nostro medico di famiglia e dalle strutture
assistenziali diffuse nei distretti sanitari. Un primo elemento fondamentale già emerso è che
noi abbiamo necessità di riorganizzare le cure primarie. Si diceva una volta con un termine
tecnico, che le cure primarie sono gatekeeper, si pongono come porta d'accesso per il cittadino
che ha necessità di assistenza sanitaria. Ora tutto questo non ci serve più, o meglio, non ci
basta più. Mi pare chiaro che adesso abbiamo bisogno di un systemkeeper, cioè che le persone
che vengano coinvolte da professionisti che propongono loro un piano integrato che non offra
solo singole prestazioni, per quanto ben strutturate, ma un piano di coinvolgimento
complessivo per la salute. Dentro questo piano di coinvolgimento, però, sempre più importante
-per ricollegarci al discorso del welfare e dei nostri ruoli - sta il fatto che, gradualmente, il
possesso dei mezzi di salute sta passando dal tecnico, al cittadino, ad un insieme di altri
tecnici. Ecco il secondo punto allora, ossia che il systemkeeper ci porterà dentro un sistema di
salute organizzato, in cui più attori svolgono più ruoli, e affidano una parte del ruolo al
cittadino che, finalmente, si riprende in mano il diritto alla salute, non più esercitato solo da
attività e da autorità esterne.
Se noi ampliassimo gradualmente questo percorso, da quello che ho introdotto
inizialmente come cure primarie alle cure specialistiche e, ancora di più, a quello che è
l'intervento integrato Socio Sanitario, ci renderemmo conto immediatamente che una quantità
di risorse “ricompaiono” perché il nostro salame/salute non venga tagliato ma, anzi,
addirittura, si possa allungare. Tutto questo si chiama con un termine tecnico empowerment.
Empowerment è la restituzione e la crescita di capacità individuali che promuovono salute e
possibilità future.
Credo che il seminario di oggi sia strategico rispetto al discorso dell'empowerment.
Strategico perché evita bambini obesi, perché insegna loro fin dall'inizio che la salute, come
diceva molto bene la collega intervenuta precedentemente, è la nascita di un corpo, di una
mente corredati armoniosamente insieme. Questo può avvenire se lo imparo da bambino e non
a 50 anni. Lì i nostri pediatri possono obiettivamente fare molto.
Noi in quanto Azienda Sanitaria, abbiamo dei progetti-obiettivo per i minori che
mettiamo in campo sull'alimentazione e sul movimento ma, soprattutto, abbiamo una
mentalità da trasmettere ai genitori, che è ancora più importante da mettere in campo.
Questo secondo punto, secondo me, può essere esteso ancora di un passo, ed è che oltre
che i bambini non diventino obesi, dobbiamo imparare che gli adulti devono essere
corresponsabili della propria salute. Troppo spesso, con il nostro ottimo sistema sanitario,
abbiamo demandato, fatto in maniera che il cittadino delegasse, chiedesse la salute a delle
macchine. La salute non si ottiene così, ma si autoproduce con la corresponsabilizzazione che
ricade anche alla fine sui costi.
Da ultimo, quale terzo punto, vorrei tornare ora a parlare degli anziani, concludendo il
discorso che ho aperto all’inizio del mio intervento.
Dopo aver parlato dei minori e degli adulti, è doveroso infatti riprendere la riflessione su
di essi.
Abbiamo detto che l’empowerment è uno degli elementi sostanziali per sostenere il
welfare state, il sistema sanitario, e fare in modo che esso non si collassi sotto una spesa
insostenibile.
Ebbene questo vale in tutte le età della vita, e in modo straordinario anche nella terza
età.
Allora grazie, Dottoressa Liubicich, spero veramente di poter fare quello che lei dice, e di
arrivare a cento anni, però vorrei farlo non occupandomi della ruota nuova della mia
carrozzina, ma del mio benessere fisico e della mia salute
Prima ancora che qualcuno mi debba organizzare un ambiente accogliente, vorrei poter
esprimere le mie capacità personologiche, prima ancora che motorie, affinché non perda
l'identità, e conseguentemente dunque anche quelle motorie nella forma più ampia possibile
nella vita quotidiana.
Quanto sia importante il rapporto fra movimento, persona, identità e salute, credo che
ormai sia apparso chiaro nel corso di questo seminario.
Mi pare necessario sottolineare che, nella prospettiva dello sviluppo e della sostenibilità
dei servizi pubblici, sempre più interventi “per la salute” debbono essere de-sanitarizzati, ed
affidati a professionisti che aiutino ed educhino i cittadini in tal senso, come possono essere ad
esempio gli specialisti in attività fisica adattata.
Nel disegnare il profilo futuro di una società più longeva e sana, è dunque necesario
articolare in forma corretta attività sanitarie vere e proprie ed attività di supporto e
prevenzione affidate a specifici professionisti e con la corresponsabilizzazione del cittadino.
In tal modo arriveremo a cent’anni e lo faremo bene.
In conclusione mi sembra che la giornata di oggi abbia evidenziato un forte collegamento
tra sport, salute e sistema sanitario, se noi abbiamo, come punto di riferimento, non più il
“malato”, ma il cittadino e le istituzioni che hanno cura di lui nel senso più ampio della parola.
Grazie
RAINOLDI Alberto, moderatore
Sicuramente in linea con quanto appena detto è l'intervento del dottor Zignin Claudio,
docente SUISM, Università degli Studi di Torino.
ZIGNIN Claudio, docente SUISM, Università degli Studi di Torino
Grazie.
Mi associo al pensiero dell'amico Venuti perché il laureato in scienze motorie possa
diventare un operatore sul territorio : un “operatore di situazione”. La situazione è quella
circostanza in cui possiamo intervenire con la massima efficacia . Una persona isolata, sola e
depressa, facilmente si allontana dal suo trend di vita. È fondamentale che l'aspetto e
l'approccio, per affrontare queste situazioni, sia di tipo culturale. Il nostro Paese deve
inevitabilmente affrontare il crescente disagio determinato dalla cronicità da un punto di vista
educativo. Lo stile di vita non lo cambiamo a 50 anni, tanto meno a 60, ma possiamo renderlo
sostenibile attraverso percorsi educativi partendo dall’ istituzione scolastica. Il professionista
del movimento può diventare un educatore alla consapevolezza operando non solo in ambienti
istituzionali e sportivi ma in ogni situazione in cui il movimento rappresenti una risorsa per la
qualità della vita . La biologia ha delle potenzialità illimitate, basti pensare alle performance
indotte dall’ allenamento in ambito sportivo e artistico, oggi, più che mai, diventa doveroso
sfruttarne queste caratteristiche di plasticità anche in ambito preventivo e di potenziamento
della salute. Questa plasticità, propria dell’ uomo, nonostante tutto è ancora a disposizione e
rappresenta un’ importante risorsa per permettere al sistema biologico di affrontare “una
società altamente tecnologica” senza particolari danni. La giusta dose di stimoli mirati a
sollecitare l'apparato “senso neuro osteo mio articolare” possono garantire il mantenimento
delle nostre funzioni. Alla sindrome ipocinetica dobbiamo contrapporre il movimento utile a
non perdere ciò che non usiamo, senza nuocere e tenendo conto delle caratteristiche
biocostituzionali e genetiche della persona.
L’ attività motoria rappresenta un’ importante risorsa per l’inclusione sociale evitando
l’isolamento soprattutto alla fine di un percorso medicalizzato quando la persona dimessa dal
mondo sanitario ha il diritto di perseguire il massimo livello di qualità di vita. Questo percorso
oltre a restituire la dignità alla persona, permette di contenere la spesa sanitaria riducendo l’
uso del farmaco, delle visite specialistiche degli esami e dei ricoveri.
Sono convinto che la medicina di base e il medico di medicina generale possano essere
una grande risorsa, indispensabile in questo momento, ad attivare percorsi di prevenzione e di
contenimento in quelle situazioni che possano pregiudicare l’equilibrio del sistema biologico.
Le Istituzioni hanno il dovere etico di promuovere il movimento come determinante di
salute in ogni ambiente, dai corsi universitari ai luoghi di lavoro, in modo da responsabilizzare
il cittadino a sani stili di vita prevenendo, contenendo e ritardando situazioni che oggi
rappresentano costi insostenibili per il sistema sanitario.
Grazie.
RAINOLDI Alberto, moderatore
Abbiamo avuto un'impennata nelle velocità degli interventi, quindi avanza molto tempo
per la dottoressa Gamna, Direttore della Medicina Fisica e Riabilitazione dell'Ospedale San
Luigi Gonzaga di Orbassano.
Federica GAMNA, Direttore Medicina fisica e della riabilitazione AOU San Luigi
Gonzaga Orbassano
Grazie per questo invito e per questa bella iniziativa che mi permette di inserirmi a
complicare un po' le cose con un argomento spinoso: la disabilità cronica complessa.
Riprendo l'intervento del Prof: Massazza per sottolineare ciò che mette in relazione il
mondo della Riabilitazione con quello delle Scienze Motorie con specializzazione in AFA. Il
mondo della riabilitazione è impegnato sul terreno della disabilità che, a causa delle
modificazioni demografiche ed epidemiologiche diventa sempre più cronica e complessa.
Complessità, Cronicità e Disabilità sono le tre parole chiave che ricorrono maggiormente
all'interno dei documenti ministeriali, dal Piano Nazionale della Cronicità e il Piano
Nazionale di Indirizzo della Riabilitazione, fino al recentissimo Piano Nazionale di Indirizzo
per le Persone con Disabilità.
L'obiettivo del team riabilitativo (fisiatri, fisioterapisti, logopedisti, psicologi, tecnici
ortopedici, terapisti occupazionali ed infermieri per la riabiltazione in regime di degenza) è il
recupero della funzione, dell'attività e della partecipazione dei nostri pazienti. I nostri
interventi in regime di ricovero, ambulatoriale, e domiciliare esitano in un recupero di
abilità che necessitano di un "mantenimento continuo" di cui il movimento è parte essenziale.
L'obiettivo, in questo caso, consiste nel non perdere il guadagno di salute raggiunto con
l'intervento riabilitativo.
L'ambito non è piu' quello sanitario ma il bisogno esiste e deve essere guidato e
monitorato.
La "Scienza" ha dimostrato che le potenzialità del recupero sono assai piu' ampie rispetto
a quanto si pensava anche soltanto un decennio fa. La ricerca sulla plasticità neuronale e le
potenzialità del cervello umano, le innovazioni in campo farmacologico e l'aspettativa di vita
ci impongono oggi di garantire al paziente cronico con disabilità un percorso sempre piu'
articolato e protratto nel tempo in tutte le età della vita;
Per questa ragione diventa importante che le persone possano proseguire il loro
cammino anche al di fuori dell'ambito sanitario, in ambienti idonei, in compagnia di persone
che condividano gli stessi problemi e si approprino della capacità di diventare protagonisti
della propria condizione di salute.
L'unica strada possibile è quella della collaborazione per costruire un continuum di ben-
essere che accompagni la persona e la guidi nel corso dell'intera esistenza.
Vi racconto una storia recente, accaduta questa primavera. Alcuni pazienti cronici,
affetti da una patologia neurologica disabilitante, si sono rivolti a me lamentando il problema
della mancanza di risorse per attività di riabilitazione dedicate che, in altre regioni italiane,
vengono svolte in regime di ricovero a cicli di 15-20 giorni, 1 o 2 volte all'anno.
Un caso evidente di inappropriatezza nell'uso delle risorse destinate, in questo caso, a
"pillole di riabilitazione" senza alcuna garanzia di una presa in carico continuativa, per una
spesa di circa 9.000 euro/anno pro capite.
Queste persone in realtà hanno bisogno di una presa in carico riabilitativa continua, che
puo' richiedere in alcuni momenti della storia clinica di malattia un intervento ospedaliero
intensivo ma che deve essere svolta in ambulatori territoriali dedicati e, terminata la fases
sanitaria deve prevedere la possibilità di indirizzare il paziente verso programmi strutturati
di AFA integrati con il percorso di cura.
Questa richiesta mi ha fatto molto riflettere sulla qualità delle prestazioni sanitarie per
il paziente cronico e su quanto si potrebbe fare mettendo insieme competenze diverse per
garantire una presa in carico integrata a lungo termine.
Si creerebbe un circolo virtuoso che assicuri al paziente cronico giunto all'apice del
recupero funzionale, di essere indirizzato verso un' Attività Fisica, Adattata alle sue condizoni
di salute, con professionisti preparati, in grado di reindirizzare il paziente in ambito sanitario
quando necessario.
Abbiamo sottolineato il ruolo cruciale dell'empowerment del cittadino, sempre più
consapevole e corresponsabile della sua salute; aprire queste nuove strade di collaborazione
significa anche favorirne il processo.
Un processo che richiede nuove competenze, nuova formazione e una nuova cultura dell'
integrazione tra professionisti e tra istituzioni. Università, Regione, Ordini e Associazioni
Professionali e Associazioni dei pazienti, tutti sono chiamati a fare un passo avanti in questa
direzione.
Non si parte da zero: nel territorio di alcune ASL piemontesi l'AFA inizia ad essere
un'opzione reale per disabiltà minori e per la popolazione anziana e , al San Luigi, abbiamo
iniziato a sperimentare questo modello per alcune patologie croniche ad elevato impatto
epidemiologico quali l'ictus, il parkinson, la BPCO e la malattia coronarica.
A supporto del progetto stiamo realizzando uno spazio esterno aperto all'attività
riabilitativa e alla sperimentazione dell'AFA, ispirato dalla filosofia dell' "Healing Garden", il
giardino che cura.
L'obiettivo della sperimentazione è quello di indirizzare e monitorare in ambito
sanitario i risultati dei programmi AFA sulla disabilità secondarie ai quadri patologici
descritti, definendo modalità, tempi e ruoli dei diversi attori in campo : il MMG, il Team
Riabilitativo, il Laureato in Scienze Motorie e naturalmente.... il cittadino/paziente.
Concludo con una nota sugli spazi esterni: oggi non ne ho sentito parlare. Le palestre
sono un nodo fondamentale della rete dell'attività motoria ma non dimentichiamo che
l'ambiente naturale offre un significativo valore aggiunto in termini di motivazione e svolge
una funzione essenziale per la sfera cognitiva ed emozionale che tanta parte svolge nei
processi del recupero funzionale.
RAINOLDI Alberto, moderatore
Un fuoriprogramma: la parola al Presidente Federsanità Anci Piemonte, Gian Paolo
Zanetta.
ZANETTA Gian Paolo, Presidente Federsanità Anci Piemonte
Con il mio fuoriprogramma vi aiuto ad arrivare all'ora giusta, per l'intervento del
Presidente Laus. Ruberò pochi minuti.
Anzitutto, mi scuso per non essere stato presente all'avvio dei lavori, pur rappresentando
Federsanità, che aveva e ha lavorato su questo tema insieme al Consiglio regionale e al
Presidente Laus, ma ero impegnato in un convegno alla Città della Salute, peraltro non molto
distante in termini concettuali da quello che si è trattato oggi, perché il convegno di questa
mattina riguardava il tema dell'alimentazione multietnica nei contesti sanitari.
Ritorna, quindi, il tema dell'alimentazione, ritorna il tema anche, già richiamato prima,
degli stili di vita nel luogo di lavoro, che mi pare un argomento importante, peraltro da noi già
trattato attraverso alcune iniziative e convegni.
Il mio interesse adesso era di portare il saluto di Federsanità, che rappresento, e della
Città della Salute; vorrei inoltre ringraziare, per questa iniziativa, soprattutto il Presidente
Laus che da tempo sta perseguendo, continua ed insiste sul tema sport, stili di vita e
soprattutto attenzione alle nuove professionalità che si presentano sul campo sanitario.
Due riflessioni che faccio per i richiami che sono stati fatti dagli interventi molto
puntuali, molto precisi e molto interessanti, tant'è che ho chiesto di avere, se è possibile, le
slide di tutti gli interventi che si sono succeduti, perché due argomenti credo siano importanti
per chi, come il sottoscritto, lavora nell'ambito sanitario.
Anzitutto, questo richiamo agli stili di vita, richiamo al tema del rapporto tra
determinanti di salute e sistema sanitario; l'altro tema è quello, citato dal professor Gilli, della
necessità di riorientare i sistemi sanitari.
Dico questo, collegandomi anche ad un altro concetto che, tra l'altro, è a me caro in
termini di riflessione sul quali possono essere le prospettive dei sistemi sanitari e cioè il tema
della sostenibilità.
In questi anni, abbiamo sempre discusso di sostenibilità del sistema sanitario
fermandoci, quasi arroccandoci, sull'aspetto di carattere finanziario: mancano risorse, occorre
dare risorse al sistema sanitario, occorre fare in modo che ogni anno rappresenti in termini
finanziario una quota in più rispetto all'anno precedente.
Credo sia riduttivo pensare al concetto di sostenibilità in questi termini, perché se il
concetto di sostenibilità contiene al proprio interno il ragionamento sulla "indispensabilità" del
mantenimento di un sistema sanitario nazionale, come noi abbiamo e come abbiamo avuto da
anni e che è importante, in quanto elemento non solo fondamentale per la salute del cittadino,
ma io credo come elemento fondamentale per mantenere la coesione sociale. Oggi in una
società moderna credo che il mantenimento di un welfare ragionato, intelligente, ma vicino al
cittadino sia l'elemento più importante della coesione sociale, quindi credo che se parliamo di
sostenibilità sia necessario allargare lo sguardo, non solo più pensare al discorso finanziario,
ma pensare anche a cosa deve fare il sistema sanitario per essere sostenibile.
Le due riflessioni che voglio fare sono le seguenti.
Anzitutto, la necessità, come dicevano il professor Gilli ed il dottor Venuti poc'anzi ed io
lo riprendo, è quella di riorientare i sistemi sanitari. Dobbiamo incominciare a ragionare e fare
in modo che le parole che, ormai quasi ritualmente, ripetiamo nei convegni, come la
prevenzione, l'importanza di prestare attenzione alle famiglie, far sì che ci siano degli stili di
vita diversi escano dalla ritualità per entrare ad essere un elemento fondante della nostra
attività.
Lo dico non solo come direttore di un'Azienda sanitaria-ospedaliera, quindi il termine
prevenzione mi dovrebbe essere un po', a latere, non direttamente coinvolgente, ma lo dico
anche come Federsanità, in quanto rappresentante delle ASL territoriali, e lo dico anche come
Azienda ospedaliera, perché credo che il ruolo di un'Azienda ospedaliera sia solo non dare la
risposta immediata in termini di cure, in termini di risposta urgente e immediata alle
patologie, ma anche di collaborare insieme alle Aziende per indirizzare il futuro della sanità,
per guidare il futuro della sanità. La divisione oggi tra ASL e ASO è una divisione sbagliata, a
mio parere. Se il termine integrazione, che è un termine oggi molto usato (bisogna vedere se
concretamente applicato), ma se il termine "integrazione" è un termine giusto, credo che
l'integrazione ASL e ASO debba diventare uno dei canali fondamentali ed importanti.
L'altro elemento che volevo sottolineare in questo discorso che riguarda la sostenibilità e
quindi il riorientamento dei sistemi sanitari riguarda un po' la categoria dei doveri, che è un
tema, anche questo, a me caro e ne ho fatto oggetto di un discorso - tu eri presente - di una
discussione la scorsa settimana.
Credo sia necessario anche fare in modo che, dal punto di vista dei sistemi sanitari, ci sia
una capacità di informazione e di comunicazione di incidere sulla vita del cittadino molto più
forte di quella che oggi viene fatta.
Noi oggi crediamo che il nostro lavoro istituzionale sia fare quello che deve essere fatto,
ma io credo che un compito di informazione e formazione nei confronti del cittadino sia
fondamentale. In questo vedo un dovere delle Istituzioni, ma vedo anche un dovere del
cittadino. Penso sia necessario che anche il cittadino cominci ad interpretare il proprio bisogno
di salute come un interesse proprio, personale ma un dovere nei confronti degli altri cittadini.
Una sorta di riscoperta dell'etica delle responsabilità, che penso sia in questo momento
difficile che il nostro Paese sta vivendo, la società Occidentale sta vivendo in generale, credo
che questa riscoperta della responsabilità anche nei confronti degli altri, nei confronti
dell'ambiente, nei confronti comunque del vivere sociale sia fondamentale. Ritengo che si
possa fare uno sforzo comune verso questa direzione.
Mi preoccupa quello che si legge e quello che ho letto recentemente, proprio in questi
giorni, sui giornali: un articolo di Umberto Veronesi, "La sanità non può selezionare la Specie",
riporta i fatto che in alcuni ospedali del Nord dell'Inghilterra incominciano a garantire
interventi chirurgici, ma meno alle persone obese, meno alle persone che fumano; in pratica,
una selezione rispetto alle diversità di patologie. Quindi, quasi come dire che se alcuni non
hanno stile di vita io non li continuo a seguire.
Questa mi pare una scelta drastica, che credo non rientri nella nostra cultura, mi pare
sbagliata, ma soprattutto perché credo che il compito del sistema sanitario sia quello di
lavorare fortemente e decisamente sui sistemi e sugli stili di vita, anche perché attraverso gli
stili di vita rispondiamo anche all'altro tema, quello di superare gli sprechi - un tema già
richiamato questa mattina - gli sprechi alimentari, ma anche gli sprechi nell'erogazione di
prestazioni sanitarie.
L'ultima riflessione che voglio fare e vado alla chiusura è che l'iniziativa di oggi è molto
importante, anche perché è chiaro che per fare questa svolta, per operare questo
riorientamento dei sistemi c'è la necessità di professionalità. Allora, l'impegno che viene posto
oggi è anche quello di lavorare d'accordo con il SUISM verso delle nuove professionalità credo
che sia fondamentale, perché certamente l'approccio dilettantesco, come posso fare io, può
magari servire, ma in realtà serve che ci siano delle nuove professionalità, delle nuove energie
che diano linfa vitale al sistema sanitario in questa direzione. Un conto è dire stili di vita, ma
un conto poi è attrezzare il sistema ad essere in grado di rispondere a questi stili di vita.
Concludo con una riflessione, perché credo che tutto questo si tenga ragionando sempre
partendo dall'articolo 32 della Costituzione, il quale dice che "La tutela della salute è un diritto
fondamentale", ormai tutti abbiamo ben presente che è l'unico diritto che viene chiamato
fondamentale all'interno della Carta Costituzionale, ma dice anche un'altra cosa, dice che la
tutela della salute è anche "interesse della collettività".
Allora, se siamo collettività, se siamo singoli facenti parte di una collettività che crede
nella tenuta della coesione sociale della collettività, il dovere e l'impegno verso questi stimoli
che il Consiglio regionale ci dà è molto importante. Quindi da parte mia, come Federsanità e
come Azienda Ospedaliera, garantisco che cercheremo di impegnarci fino in fondo su questa
strada che il Presidente Laus ci ha tracciato. Grazie.
LAUS Mauro, Presidente del Consiglio regionale
Grazie a tutti e buongiorno.
Mi scuso per l'inizio, ma c'era l'Ambasciatore del Vietnam, perché sta organizzando un
convegno.
Ringrazio intanto per i contributi puntuali.
A me il compito delle conclusioni di questa giornata.
Sono onorato, perché questa legislatura sotto la mia presidenza ha caratterizzato il
proprio lavoro principalmente su questo tema. Queste sono le motivazioni e le argomentazioni
che hanno indotto il sottoscritto e i colleghi del Consiglio regionale all'unanimità alla
costituzione degli Stati Generali. Ma di questo parlerò alla fine.
Che cosa è emerso oggi in questo incontro? Che cosa ci dicono i relatori?
Partiamo da un dato: la salute è un bene prezioso e ciascuno di noi può dare un
contributo per preservarla, partendo da piccoli gesti, piccoli comportamenti.
Sembrano cose sciocche, ma in realtà sono cose basilari, come per esempio l'attività
fisica, anche la semplice passeggiata; oggi ci è stato detto, in modo implicito, di evitare quando
è possibile di prendere la macchina, di evitare di andare in palestra tanto per dire di esserci
andato o di cedere alla pigrizia e prendere l'ascensore, eccetera. Quindi, ci è stato detto di
porre in essere tutta una serie di comportamenti che sono finalizzati ad aumentare la qualità
della vita, il benessere, e a combattere la sedentarietà.
Inoltre, è emerso in modo chiaro e inequivocabile che non c'è distinzione di età, da zero
fino a 100, per i più fortunati, quindi che il messaggio vale per tutti, senza distinzione e che
bisogna intervenire, a seconda delle fasce di età, puntando sulla professionalità.
Questi li chiamo "piccoli accorgimenti", ma sono già, come ricordava il professor Gilli,
una straordinario risultato; un'ora al giorno è uno straordinario risultato. Possiamo fare anche
un collegamento con l'intervento del dottor Zanetta, dal quale emerge, altresì in modo chiaro,
che il fabbisogno aumenta sempre di più perché la popolazione fortunatamente aumenta,
perché si muore più tardi rispetto a prima. Al contempo, la disponibilità economica del nostro
Paese non è costante, diminuisce. E spesso i politici - non voglio minimizzare il mio intervento
conclusivo, voglio dire che cosa stiamo facendo - quando si ritrovano a presenziare e a
partecipare a questi incontri o a convegni ripetono in modo garbato e brillante quanto i tecnici,
cioè voi, hanno detto. Cioè, il politico di turno si riduce a dire che è necessario, per prevenire
ad esempio, per le malattie cardiovascolari, aumentare l'attività fisica, e così pure per il
diabete, eccetera. Quindi, la politica ripete gli stessi concetti.
Questo è il motivo per cui dico basta, non dobbiamo più parlarci addosso, perché la
politica, (complessivamente, al netto di qualche eccezione), le Istituzioni hanno fallito rispetto
a questa vostra richiesta. Quando parlo delle Istituzioni significa tutte, senza distinzione di
colorazione; destra, sinistra, non sto parlando di forze politiche. Questo è un tema trasversale,
che tocca tutti e tutte le forze politiche devono dare un contributo significativo per dare una
risposta alle vostre richieste.
Ad oggi, se ci fosse stata una risposta significativa alle vostre richieste non ci avreste
raccontato quello che oggi ci avete raccontato.
Spesso in politica parliamo del "diritto alla salute", dell'accesso alle cure, del dovere di
debellare delle malattie e invece no, qui la partita è un'altra: la prevenzione.
E la questione non può essere risolta da un solo comparto. Cioè, l'Assessore alla sanità
non è nelle condizioni di dare una risposta da solo, perché tocca solo un pezzo; né la persona né
la politica sanitaria sono in grado di dare da sole una risposta.
Le politiche sportive non sono in grado singolarmente di dare una risposta. Le politiche
educative, l'istruzione, sono il più grande vero veicolo di crescita, perché così si arriva alla
famiglia: si educa il ragazzo per arrivare alla famiglia, o si educano le famiglie per arrivare ai
ragazzi.
Scienze motorie, una straordinaria disciplina, tra l'altro - una piccola digressione - non
possiamo "sfornare" laureati in scienze motorie, senza valorizzarli, non va bene, è un'offesa
allo Stato, a noi e al Paese, è un'offesa alla loro professionalità, non può funzionare. Quindi è
necessario e indispensabile attivare e azionare una regia multidisciplinare. Non venga
nessuno di questi "pezzi" a dire di fare come dicono loro, non può funzionare così, ci va una
regia, anche da un punto di vista politico.
Queste sono le motivazioni che hanno indotto questo Consiglio regionale a istituire gli
Stati Generali dello Sport. Ringrazio i tre colleghi che vedo, la collega Silvana Accossato, il
Presidente della Commissione Daniele Valle e il Consigliere Domenico Rossi, con loro e tanti
altri Consiglieri abbiamo creato - quindi, esiste già - una maggioranza trasversale di
Consiglieri e di forze politiche che hanno espresso una certa sensibilità per dare una risposta
al tema. Dobbiamo facilitare, dobbiamo promuovere le buone pratiche, i corretti stili di vita. Il
vostro lavoro, mi viene da dire per semplificare e mi scuso (sottotitolo: "continuate") è finito.
Adesso voi siete spettatori, perché la politica deve dare la risposta e se la politica non dà la
risposta voi dovete bocciare la politica.
Non dovete spaventarvi, dovete alzare la voce, per rispetto vostro, per rispetto della
vostra professionalità e per rispetto di questi giovani che ci stanno ad ascoltare, per quello che
rappresentano.
Quindi, dobbiamo creare le condizioni per modificare gli stili di vita e gli stili di vita,
piaccia o non piaccia, principalmente si modificano con interventi fiscali e interventi
normativi.
Fiscali e normativi: devono essere premiate le persone che fanno attività fisica.
Comprendo il ragionamento del dottor Zanetta, però io, non dico proprio a quel livello lì, sulla
selezione della Specie, ma un po' bisogna trovare qualche modalità per tirare le orecchie a chi
ha la fortuna di nascere sano, a chi ha la fortuna di essere consapevole del proprio
comportamento e però poi non può gravare sulla collettività e mettere in difficoltà addirittura
chi questa fortuna non ce l'ha perché ha avuto altri tipi di difficoltà. Quindi dobbiamo fare dei
ragionamenti seri, seri, molto seri: dobbiamo dare delle risposte, e l'ambizione della Regione
Piemonte è quella di fare da apripista, in maniera forte. Sono già in collegamento con colleghi
di altre Regioni: dobbiamo capire tutti insieme la direzione e qui in Regione Piemonte lo
abbiamo capito, perché voi siete stati bravi e ci avete spiegato bene che cosa dobbiamo fare,
quindi è solo una questione di volontà politica. Se non si fa è perché qualcuno non vuole farlo.
Volevo proporre ai colleghi Consiglieri una sorta di incontro generale e farlo prima di
dicembre e incontrare i 315 sindaci della Provincia di Torino, poi chiaramente questo si dovrà
fare in tutte le altre Province e lì vedremo la sensibilità dei Consiglieri provinciali; dicevo, i
315 Sindaci, i rappresentanti delle forze sociali, le Organizzazioni sindacali (CGIL, CSL, UIL)
i corpi intermedi (ASCOM, Confersercenti, Confartigianato, Unione industriale, piccole
industrie), tutti gli ordini professionali, in pratica tutte le persone che possono essere
protagoniste attive, come anche le imprese (ho sentito parlare anche di impresa sociale e di
comunicazione). Abbiamo la necessità di spiegare alle aziende: “anziché fare solo la pubblicità
del tuo prodotto cerca di veicolare quel tuo prodotto con una pubblicità etica. Mettiamoci in
rete!”
Proprio perché non ci sono risorse, promuoviamo, tutti insieme, comportamenti corretti e
buone pratiche.
In quel contesto avremmo tutti gli attori protagonisti di una provincia. E quando un
Sindaco (o un Ordine professionale, perché non dobbiamo tralasciare nessuno) è latitante nella
risposta, va denunciato politicamente. Perché un Sindaco, anche per quei comportamenti
elementari - le cosiddette buone pratiche - deve creare le condizioni affinché si sviluppino. È
importante!
Tutti insieme, quindi, dobbiamo fare sistema. Ma non è sufficiente dirlo: è necessario che
qualcuno se ne assuma la responsabilità. Questo è ciò che la politica doveva fare già in passato
e che dovrà fare anche in futuro. Per questo motivo non possiamo affidarci al singolo Assessore
(entro sul personale). Ma quegli Assessori vanno aiutati, perché devono rispondere a chi oggi
ha il governo della Regione. E il governo della Regione ce l'ha questo Consiglio regionale,
quest'Aula parlamentare. La stessa cosa vale per le altre Regioni. La stessa cosa vale per il
nostro Paese. Perché la tematica non riguarda più solo un "pezzo".
Se il Consiglio regionale decide di dedicare delle risorse sul tema specifico, l'Assessore,
che gli piaccia o meno, dovrà farlo. Perché qui ci sono gli "azionisti" del sistema Piemonte,
maggioranza e opposizione. Nessuno è il primo della classe! In più, nell'ambito sportivo (come
in tutti gli ambiti, peraltro) spesso ci sono dei contrasti: ecco, qui non sarà più possibile.
Su questo tema non bisogna litigare, ma vincere tutti assieme. Perché altrimenti ci
facciamo male, vista la spaventosa carenza di risorse.
Questa mattina ci avete ancora spiegato che fra le prescrizioni del medico c'è sì la
prescrizione del farmaco, ma anche la prescrizione dell'attività fisica. Per le persone affette da
determinate patologie, la somministrazione dell'attività fisica è parte integrante della terapia.
Però mentre noi adesso ci capiamo, la signora "Rossi", che abita in un paesino sperduto o in
zona Falchera ed è piena di problemi perché ha anche un malato non autosufficiente in casa,
che in questo momento contribuisce a impoverire sempre di più la famiglia, è in difficoltà a
seguirci su questo terreno: non ha certo tempo di partecipare al nostro convegno; né ha il
tempo di ascoltare quello che stiamo dicendo.
Siamo noi - la politica - che dobbiamo garantire le condizioni affinché quella signora
venga agevolata per la "somministrazione" dell'attività fisica. Dunque, come rispondiamo noi,
come Consiglio regionale, a questo aspetto, oltre che con la straordinaria campagna di
comunicazione che dobbiamo attivare? Abbiamo studiato ed elaborato una bozza di legge
(perché abbiamo visto che cosa è successo nelle altre Regioni). Abbiamo ascoltato. Quando mi
parlate - professor Rainoldi - io ascolto.
Oggi è cambiata anche la comunicazione. Anziché dire: "Abbiamo comunicato", si dice:
"C'è stato il confronto". Spesso la politica confonde la comunicazione con il confronto.
Comunicazione: vengo, ti dico. Confronto: vengo, mi spieghi che ho sbagliato e io ti chiedo come
mai, perché cerco di capire.
Questo mio ragionamento non è altro che la sintesi di quello che voi da anni continuate a
spiegare a noi, nella città di Torino, in Piemonte e in tutte le altre Regioni.
Chiaramente, quando si innesca un iter legislativo i rappresentanti degli organi
competenti saranno auditi nelle relative Commissioni. E il nostro sarà un progetto di legge
aperto, perché potrà anche non essere perfetto. Ma non ci sono problemi: lo modifica Tizio? Lo
modifica Caio? L'importante è che alla fine ci facciamo tutti quanti un applauso nel dire
"questa è la direzione di marcia". Non è risolutivo, ma è la direzione di marcia.
Mi permetto, intanto, di leggervi qualche articolo. Stiamo parlando dei progetti di salute
e delle palestre della salute. Come giustamente diceva la dottoressa Gamna prima, le palestre
dovranno essere anche a cielo aperto (quindi non solo chiuse), con la responsabilità del
laureato in scienze motorie, che dev'essere il preposto - il responsabile - e si dovranno dunque
attivare, poi, dei protocolli d'intesa che vedano protagonista anche la sanità. Perché nessuno è
sufficiente a se stesso, ma è necessaria una regia interdisciplinare, anche con la medicina dello
sport. Tutti insieme.
La politica non può permettersi il lusso di trovare una soluzione con la bacchetta magica:
dovete concentrarvi anche voi, perché può essere che da parte nostra ci sia stata una svista
tecnica. Ecco perché ognuno ha il suo compito. Ecco perché il confronto. Ecco perché le
audizioni devono rappresentare un momento di riflessione.
Perché se organizziamo le audizioni e ascoltiamo, ma i testi sono già blindati, stiamo
prendendo in giro noi stessi e chi audiamo.
Veniamo agli articoli: "La Regione Piemonte riconosce e promuove l'attività motoria e
sportiva quale strumento di realizzazione del diritto alla salute, per la prevenzione in ambito
sanitario, per la terapia e la riabilitazione in persone affette da patologie croniche non
trasmissibili, in condizioni cliniche stabili.
Gli strumenti di pianificazione e programmazione sanitaria della Regione sono ispirati
alle finalità di cui al comma 1, il cui perseguimento è garantito anche attraverso l'assegnazione
di specifici obiettivi ai Direttori generali delle Aziende del Sistema Sanitario Regionale".
Entriamo più nel dettaglio: non si tratta, quindi, di obiettivi generici, ma di obiettivi
dettagliati.
"Progetti e palestre di salute. I protocolli di esercizio fisico strutturato e adattato su
prescrizione di personale medico adeguatamente formato sono da svolgersi sotto il controllo di
un laureato magistrale in Scienze Motorie con specifico indirizzo nell'ambito di idonei
programmi denominati 'Progetti e palestre salute'.
I Progetti e palestre salute possono aver luogo in spazi aperti, ovvero in idonee strutture
pubbliche o private".
Devono essere, comunque, delle strutture accreditate.
"I progetti sulla somministrazione dell'esercizio fisico in spazi aperti sono svolti previa
comunicazione all'Amministrazione competente.
Accreditamento, verifiche e accertamenti. L'istanza di accreditamento di Progetti e
palestre salute è presentata all'ASL territorialmente competente, che svolge anche i relativi
controlli preventivi e successivi all'accreditamento stesso, sui requisiti previsti per lo
svolgimento dell'attività finalizzata alla prevenzione e alla riabilitazione in ambito sanitario
attraverso la pratica di esercizio fisico, strutturato e adattato nelle strutture e negli spazi
accreditati.
Le ASL verificano, altresì, il rispetto dei requisiti tecnici, degli impianti e delle
attrezzature sportive e il loro mantenimento nel tempo, conformemente a quanto disposto dalla
deliberazione".
Ci sarà il coinvolgimento anche del nostro Istituto di Ricerche Economico Sociali del
Piemonte (IRESS) e saranno inserite, sostanzialmente, le clausole valutative.
Perché il nostro Paese fa acqua da tutte le parti? Perché quando facciamo un progetto o
un disegno di legge o un intervento normativo, siamo convinti che quell'intervento normativo
debba darci un risultato pari a "x". Peccato che poi, a distanza di due o tre anni, nessuno vada
a verificare qual è stata la sostanziale efficacia di quel progetto di legge.
Se il progetto di legge o gli obiettivi sono disattesi, fallimentari oppure non hanno
raggiunto quel target, non succede niente: basta intervenire, con umiltà, e capire che cosa si
deve correggere.
Interverranno, quindi, queste clausole valutative.
La Giunta regionale - chiaramente non può farlo il Consiglio o, meglio, può farlo, ma è
giusto che non lo faccia - avrà la competenza di approvare i Regolamenti attuativi.
Periodicamente, la Giunta regionale dovrà venire a rispondere in quest'Aula su che cosa
ha fatto e su che cosa non ha fatto.
Capite che non ci può essere differenza di posizionamento partitico per quello che stiamo
dicendo?
Per questo motivo - e mi avvio alla conclusione - abbiamo istituito gli Stati Generali dello
Sport, che vogliono essere un organismo super partes, strutturato. Perché oggi il politico ha la
necessità - capisco che sia difficile per molti - di organizzare il consenso (perché se non
organizzi il consenso, non ti siedi e non governi). È un sistema un po' particolare. Ma poi chi
deve pianificare e programmare il futuro?
Da qui, la necessità degli Stati Generali. È un organismo destinato a durare nel tempo,
per cui tra cinque, sei, sette o dieci anni, chi verrà dopo di me (e dopo di noi) dirà: "Menomale
che dieci anni fa si è iniziato questo percorso ed è stata canalizzata in questa direzione di
marcia".
Gli Stati Generali vantano, al proprio interno, la presenza dell'Assessore alla Sanità,
dell'Assessore allo Sport e del Miur. Siamo fortunati, perché qui in Piemonte abbiamo il Dottor
Fabrizio Manca, il Direttore, che è una persona squisita, brillante ed eccellente, rappresentato
qui dalla Dottoressa, che vedo e che saluto. Quindi anche la scuola è a disposizione per entrare
con questo canale e veicolo di comunicazione.
Le istituzioni camminano sulle gambe degli uomini e quando intercettiamo degli uomini
che possono essere dei "facilitatori", li dobbiamo utilizzare. Anzi, per usare un termine
improprio, li dobbiamo "sfruttare", perché dobbiamo andare in quella direzione.
Ricordo anche la presenza del Professor Gilli come SUISM e del CONI. Devono essere
ancora nominate le associazioni sportive. Al più presto dovrà essere nominato anche il CUS,
perché la presenza universitaria è indispensabile: è un tassello senza il quale non possiamo
parlare di null'altro (facciamo prima a chiudere gli Stati Generali). Ognuno dev'essere
protagonista.
Gli Stati Generali non fanno norme, ma grazie agli Stati Generali ho avuto la possibilità
di interloquire ancora di più con i colleghi Consiglieri, trasversalmente.
Veniamo alle conclusioni, mie e della giornata. Nella nostra regione la politica inizia a
prendere atto che tutti insieme possiamo e dobbiamo fare tante cose. E le possiamo farle
nell'interesse nostro e nell'interesse della comunità. Noi abbiamo il dovere di assolvere le
nostre funzioni.
Ho parlato principalmente dell'attività fisica, ma questa va chiaramente integrata con le
buone pratiche dell'attenzione alimentare, perché è importante. Una persona può mangiare
quattro o cinque chili di formaggio al giorno: lo faccia liberamente, ma deve sapere a che cosa
va incontro! La stessa cosa vale per il fumo e per l'alcool. Bisogna avere questa
consapevolezza: quando entra del cibo nel nostro corpo, dobbiamo sapere che cosa stiamo
facendo.
Quando ci guardiamo allo specchio, ci concentriamo sulla parte estetica, che è quella che
più balza all'occhio (il brufolo, le rughe, eccetera). Peccato che, poi, trascuriamo gli organi del
nostro corpo. Guardate che appartengono a noi! Noi dobbiamo imparare a rispettare noi stessi.
Chiudo con il senso del dovere: quella è la chiave di volta per costruire una comunità più
giusta. Ciascuno di noi ha il dovere di rispettare se stesso e gli altri.
Concludo col dire che abbiamo capito che cosa volete dirci. Grazie.
Recommended