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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTA’ DI INGEGNERIA
CORSO DI LAUREA IN INGEGNERIA MECCANICA
DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE E MECCANICA
I leganti aerei ed idraulici
Prof. G. Siracusa
Ing. S. Russo
Ing. R. Milazzo
INDICE
1 Leganti aerei ed idraulici 3
2 Il gesso 3
2.1 Materie prime 3
2.2 Le varie forme del gesso 5
2.3 Preparazione del gesso semiidrato 11
2.4 Considerazioni e annotazioni sui processi di fabbricazione industriale del gesso 13
cotto
2.5 Presa del gesso 16
2.6 Agenti che influiscono sul tempo di presa del gesso cotto 24
2.7 Come agiscono gli agenti ritardanti e acceleranti 25
2.8 Agenti modificanti l’indurimento 29
2.9 Impermeabilizzazione del gesso 29
2.10 Additivi speciali per il gesso 31
2.11 Il gesso come additivo del cemento 33
2.12 L’intonaco 34
2.13 Altri impieghi del gesso 36
3 Il cemento magnesiaco o Sorel 43
4 La calce 44
4.1 Materie prime 45
4.2 La cottura 46
4.3 Proprietà della calce 55
4.4 Malte di calce 58
4.5 Norme 60
4.6 Altri impieghi della calce 61
5 Calci idrauliche 63
6 Agglomerati cementizi 66
2
1 Leganti aerei ed idraulici
I leganti sono dei materiali da costruzione impiegati allo scopo di legare e cementare altri materiali
(pietre, blocchi, laterizi... etc.): impastati con acqua ed eventualmente in miscela con sabbia e/o
ghiaia e pietrisco forniscono una massa plastica che una volta indurita è in grado di sviluppare, nel
tempo resistenze meccaniche talvolta anche assai elevate. Essi sono classificabili, in funzione del
loro comportamento, in due grandi categorie:
· Leganti aerei, che possono indurire soltanto in aria;
· Leganti idraulici, che induriscono anche in acqua e induriti resistono al contatto con l’acqua.
Alla prima categoria appartengono il gesso e la calce; alla seconda la calce idraulica e il cemento.
I leganti aerei sono impiegati, mescolati con acqua e sabbia, per la produzione di malta da intonaco;
i leganti idraulici, invece, sono destinati soprattutto alla produzione di calcestruzzo aggiungendo
l’aggregato più grosso (ghiaia o pietrisco) agli atri ingredienti.
Le malte e i calcestruzzi rappresentano dal punto di vista quantitativo, i materiali più importanti nel
campo delle costruzioni. Tanto le malte quanto i calcestruzzi vengono prodotti miscelando e
processando i seguenti ingredienti principali: acqua, legante, e aggregati o inerti. Se la dimensione
massima dell’aggregato non supera i 5 mm, se si impiega cioè la sabbia come ingrediente lapideo,
il materiale risultante prende il nome di malta; se, invece, la dimensione massima dell’aggregato
supera i 5 mm il conglomerato risultante è chiamato calcestruzzo. Ne deriva pertanto, che il
calcestruzzo può essere di fatto considerato come una malta alla quale venga aggiunto un certo
quantitativo di aggregato grosso. Nel processo di irrigidimento è possibile distinguere due fasi:
- Presa: la sospensione fluida si trasforma in massa rigida in grado di trattenere la forma
iniziale, e ha una durata che và da pochi minuti alle decine di ore.
- Indurimento: miglioramento progressivo e indefinito nel tempo delle proprietà meccaniche.
2 Il gesso
2.1 Materie prime
Il materiale di partenza per la produzione del gesso è costituito dalla pietra da gesso la quale viene
dapprima frantumata, quindi inviata ai forni di cottura ove subisce la disidratazione (perdita di
acqua) che conferisce al prodotto finito le proprietà leganti, ed infine, setacciata ed omogeneizzata.
3
Il minerale usato per la fabbricazione del gesso legante è il solfato di calcio biidrato CaSO4·2H2O,
esso cristallizza nel sistema monoclino: comunemente una combinazione di un prisma verticale con
un prisma obliquo e con il pinacoide. Questa varietà di gesso naturale, generalmente in grossi e bei
cristalli incolori e trasparenti, prende il nome di selenite; caratteristici sono i cristalli geminati a
ferro di lancia o a coda di rondine, come pure le associazioni lenticolari, note soprattutto come rose
del deserto. Oltre a queste varietà del gesso naturale, si hanno quelle in masse lamellari vetrose
(specchio d’asino), in masse saccaroidi, translucide e coroidi (l’alabastro gessoso) in masse fibrose
con lucentezza serica (sericolite o gesso fibroso) e in masse compatte (la pietra da gesso). Come è
noto l’alabastro gessoso, che abbonda in varietà bianchissime e trasparenti nella provincia di Pisa, è
usato in lavorazioni di decorazione. Anche la sericolite è usata per fare oggetti d’ornamento,
insieme all’alabastro gessoso, viene compresa tra le pietre preziose. Il ballatine è una varietà di
alabastro gessoso a zone di belle tinte che proviene dalla Sicilia; invece la mont-martrite (che
prende il nome dalla famosa collina di Parigi) è una varietà di gesso naturale che contiene del
carbonato di calcio. In natura si trova anche l’anidride, minerale costituito essenzialmente da
solfato di calcio anidro, composto chimico dalla formula CaSO4. Cristallizza nel sistema rombico,
ha un peso specifico di 28,45÷29,28 N/dm3 e una durezza di 3÷3,5 della scala di Mohs. Una sua
varietà, con struttura saccaroide e colore grigio-azzurognolo, la volpinite, è usata come pregevole
pietra da decorazione per interni, sotto il nome di bardiglio di Bergamo. L’anidride, sotto l’azione
degli agenti atmosferici, si idrata lentamente, con aumento di volume, trasformandosi in gesso
naturale. Va notato che sotto il nome di rocce gessose si intendono sia le rocce semplici costituite
prevalentemente da gesso naturale, sia quelle costituite prevalentemente da anidrite.
L’Italia è ricca di giacimenti, tra cui si possono elencare quelli lungo il lago d’Iseo, del versante
adriatico, dell’Appennino Emiliano e Marchigiano e in Sicilia.
I giacimenti di gesso naturale si sono formati soprattutto in seguito a deposito dell’acqua dei mari,
delle lagune o anche dei laghi; infatti il solfato di calcio è uno dei sali contenuti in maggior quantità
nelle acque marine. Ciò spiega perché il gesso naturale o l’anidrite accompagnino sempre il
salgemma o i minerali a base di solfati solubili in acqua; per esempio, è noto un minerale, la
glauberite, che è una combinazione di solfato di sodio con solfato di calcio, dalla formula
Na2SO4·CaSO4 . Talvolta, i giacimenti si sono formati in seguito all’ossidazione dello zolfo o dei
solfuri metallici e conseguente reazione, dell’acido solforico o dei solfati solubili che ne sono
derivati, con il calcare; quindi, il gesso naturale, oltre che in terreni di natura sedimentaria, si trova
in terreni vulcanici, in giacimenti metalliferi e anche di torba o di carbon fossile.
Se il minerale è costituito da solfato di calcio biidrato chimicamente puro o quasi, il suo colore è
bianco, con cristalli perfettamente incolori e trasparenti; se lo accompagnono delle impurezze
4
(soprattutto ossido ferrino, argilla o sostanze organiche), il colore può variare molto, dal giallino e
rosa al grigio e bruno, più o meno intensi.
Le principali proprietà fisiche di un buon gesso naturale sono le seguenti:
• Peso specifico: 22,70÷22,83 N/dm3 (è un minerale piuttosto leggero)
• Durezza: 1,5÷2 della scala di Mohs (è uno dei minerali più teneri)
• Solubilità in acqua: 0,241% a 0°C , che aumenta fino a 36°C con un massimo dello 0,25% e
che diminuisce successivamente con l’elevarsi della temperatura.
Di grande importanza è il comportamento del gesso naturale di fronte all’azione del calore; su di
esso si basa appunto la preparazione industriale del gesso comune in commercio, ottenuto mediante
cottura a temperatura più o meno elevata del gesso naturale. Quest’ultimo viene allora chiamato
anche gesso crudo, in contrapposizione al prodotto industriale che si può ottenere, gesso cotto.
2.2 Le varie forme di gesso
L'azione legante del gesso si basa sul fatto che la pietra da gesso, una volta persa acqua per
calcinazione, è in grado di riassumerla durante il fenomeno di presa. La fabbricazione del legante è
perciò basata sul riscaldamento della pietra da gesso. Riscaldando il gesso naturale a 128°C, il suo
costituente essenziale, ossia il solfato di calcio biidrato, perde una molecola e mezzo di acqua di
cristallizzazione; si ha così la trasformazione in gesso da presa, il cui costituente essenziale è
appunto il solfato di calcio semiidrato:
CaSO4. 2H2O → CaSO4
. 0,5H2O + 1,5 H2O ΔH = 19.500 cal/mol (128°C)
Ha un peso specifico di 24,52÷26,49 N/dm3 e contiene il 5÷7,5% d’acqua; polverizzato ed
impastato con acqua, riprende con facilità l’acqua perduta, “fa presa”, cioè indurisce rapidamente
formando un cristallino compatto. La presa avviene con leggero aumento di volume così che il
semiidrato serve egregiamente come gesso da forma o gesso da modellatori, in quanto l’aumento di
volume che si produce garantisce il perfetto riempimento degli stampi.
Del semiidrato si conoscono due varietà allotropiche; una α a presa rapida ed una β a presa lenta,
entrambe dotate di notevole solubilità nell’acqua. Mentre, infatti, alla temperatura ordinaria il
biidrato si scioglie nell’acqua in ragione di 2,4 g/l, il semiidrato vi si scioglie nella misura di 10 g/l.
Con un ulteriore riscaldamento a 163°C (in pratica si raggiungono o si superano i 200°C), il solfato
di calcio semiidrato ottenuto dapprima a 128°C perde tutta l’acqua di cristallizzazione e diventa
solfato di calcio anidro solubile:
5
CaSO4 · ½ H2O → CaSO4 + ½ H2O
Si ottiene così l’anidrite solubile o anidrite α, con un peso specifico di 23,94 ÷ 24,03 N/dm3 e una
presa più lenta; è anche chiamato gesso da fabbrica. Spingendo poi la temperatura sui 500÷600 °C,
non si ha alcuna modificazione nella composizione chimica, ma una trasformazione in solfato di
calcio anidro insolubile, il che significa che questo prodotto, detto gesso morto, non reagisce più
con l’acqua e non fa più presa. Come composizione chimica e proprietà si identifica allora con
l’anidrite naturale già descritta e viene anche chiamato anidrite insolubile o anidrite β; quest’ultima
rappresenta la forma stabile, mentre l’anidrite solubile o anidrite α, descritta prima, rappresenta la
forma instabile, cioè suscettibile di idratarsi.
A 1000°C circa, si ha poi una parziale dissociazione del solfato di calcio anidro insolubile, con
liberazione sino a 3% circa di ossido di calcio o calce viva CaO e formazione di solfato di calcio
basico; il prodotto risultante prende il nome di gesso idraulico o gesso a lunga presa, ha un peso
specifico di 27,5÷28,4 N/dm3 e fa presa soltanto dopo parecchie settimane. A 1360°C il prodotto
fonde e a 1375°C si ha praticamente una dissociazione completa in ossido di calcio, anidride
solforosa e ossigeno, secondo la seguente reazione chimica:
2 CaSO4 → 2 CaO + 2 SO2 + O2
Secondo le ricerche più recenti sembra certo che il solfato di calcio esista in cinque modificazioni:
tre stabili (anidrite I, anidrite II, bi-idrato) e due metastabili (anidrite III, emiidrato) le cui
caratteristiche sono riportate nella seguente tabella:
Trasformazione Denominazione Formula Tenore in H2O
Massa Volumica
g/cm3 Temperatura Nuova forma
Gesso CaSO4·2H2O 20,92 2,31 100°C Semiidrato β Semiidrato α
Semiidrato α CaSO4·1/2 H2O 6,21 2,757 >110°C Anidrite III
(α) Semiidrato β CaSO4·1/2
H2O 6,21 2,619÷2,637 140-200°C Anidrite III (β)
Anidrite III (α) CaSO4 0 2,484 circa 250°C Anidrite II (insolubile)
Anidrite III (β) CaSO4 0 2,484 circa 250°C Anidrite II (insolubile)
Anidrite II CaSO4 0 2,93-2,97 1193°C Anidrite I Anidrite I CaSO4 0 - 1450°C Fusione
6
In natura si trovano soltanto il biidrato e l’anidrite II, tutte le altre modificazioni si ottengono per
disidratazione parziale o totale del biidrato.
Di ciascuna fase metastabile, emiidrato e anidrite II, si conoscono due forme che si distinguono con
le lettere greche alfa e beta. Esse non sono modificazioni strutturali dei due composti e quindi non
costituiscono fasi distinte, bensì sono due forme che hanno reticolo cristallino identico e
differiscono soltanto per il grado di perfezione e di accrescimento dei cristalli. La forma alfa si
presenta in cristalli ben sviluppati che, a seconda del metodo di preparazione, possono essere
aghiformi o prismatici e più o meno accresciuti.
L’emiidrato beta è criptocristallino e nella dimensione di massimo sviluppo i cristalli raggiungono
raramente una lunghezza di circa 10-9 mm, rispetto alla forma alfa la sua densità è inferiore, mentre
la solubilità in acqua, il calore di idratazione e la superficie specifica sono superiori. L’emiidrato
beta si ha per disidratazione del gesso biidrato in ambiente secco con differenze di tensione di vapor
d’acqua fra gesso e ambiente circostante relativamente grandi (per esempio rapida decomposizione
a 100°C a pressione ridotta). In pratica riscaldando la pietra da gesso finemente macinata fra 120° e
150°C, a pressione atmosferica, si ottiene prevalentemente emidrato nella forma beta. Il cosiddetto
“Gesso di Parigi” del commercio, ottenuto per cottura in forni rotanti od a caldaia, è costituito
soprattutto da questa forma beta, accompagnate da piccole percentuali sia di gesso biidrato che di
anidrite solubile, che si forma nelle zone surriscaldate dei forni, specie di quelli rotanti; questa
anidrite reattiva tende a reidratarsi durante la conservazione a contatto con l’umidità dell’ambiente
dando nuovamente il biidrato.
L’emiidrato α si ottiene dal gesso biidrato per disidratazione quando la differenza di tensione di
vapore d’acqua fra gesso ed ambiente circostante è piccola, o per lenta decomposizione del gesso in
atmosfera di vapor d’acqua o a contatto con acqua al di sopra di 97°C o a temperature inferiori
quando nell’acqua sono presenti sali capaci di abbassarne la tensione di vapore.
In ogni caso affinché la reazione proceda con adeguata velocità occorre realizzare condizioni di
disequilibrio per le quali la differenza tra le tensioni di vapore del biidrato e quelle dell’acqua siano
sensibili. In pratica si deve operare in autoclave a temperature dell’ordine di 125-150°C che sono
risultate le più favorevoli sia per la differenza di tensioni di vapore che per l’accrescimento dei
cristalli di alfa-emidrato.
Il trattamento in autoclave può essere effettuato in presenza di fase liquida o in atmosfera costituita
da solo vapor d’acqua saturo: nel primo caso l’aggiunta di piccole quantità di sali di acidi organici
7
(acido succinico, maleico, citrico) o di sali inorganici agisce sull’abito cristallino dell’emiidrato
favorendo la formazione di cristalli prismatici ben sviluppati.
Sulla base delle considerazioni esposte l’alfa-emidrato può essere ottenuto alla pressione
atmosferica e a temperature inferiori a 100°C ricorrendo all’uso di soluzioni saline o acide
concentrate (chimicamente inerti verso le fasi solfatiche) capaci di ridurre la tensione di vapore
della fase acquosa a valori inferiori a quelle della sola acqua. Dal punto di vista pratico le migliori
condizioni di processo si raggiungono quando le differenze di tensione di vapore fra biidrato e la
soluzione acquosa sono maggiori di 200 mmHg e la temperatura e di 115-150°C. Industrialmente il
processo avviene in presenza di una fase acquosa costituita da una soluzione al 30% in CaCl2 e alla
temperatura di ebollizione di questa soluzione; è stato proposto l’impiego di soluzioni di NaCl e di
MgCl2. L’afa-emiidrato ottenuto con il metodo descritto è in cristalli prismatici più sviluppati di
quelli ottenuti in autoclave.
Le due forme alfa e beta dell’emidrato differiscono per aspetto esterno, per proprietà fisiche, per le
caratteristiche meccaniche dei prodotti induriti ottenuti dai loro impasti in acqua.
L’emidrato alfa è cristallino; il suo aspetto a seconda delle condizioni di cristallizzazione, può
variare da aghiforme a prismatico. La pietra da gesso trasformata in alfa-emidrato acquista aspetto
setaceo.
L’emidrato beta è criptocristallino, voluminoso, soffice e distinguibile più facilmente al
microscopio della forma alfa. La pietra da gesso trasformata in emidrato beta acquista aspetto
terroso. Rispetto alla forma alfa, quella beta ha una densità minore, un maggiore sviluppo
superficiale, una solubilità più elevata e un maggiore calore di idratazione ed è più instabile della
forma alfa.
La forma beta impastata con acqua ne trattiene più della forma alfa, dando masse più plastiche; la
forma alfa invece fa presa più rapidamente e da manufatti di migliori caratteristiche meccaniche,
come da tabella:
8
Emidrato
α β
Resistenza a compressione
Dopo 1 ora
A umido (N/cm2)
A secco (N/cm2)
Resistenza a trazione
Dopo 1 ora
A umido (N/cm2)
A secco (N/cm2)
Consistenza normale
(cm3 H2O/100 g emidrato)
Esposizione
Tempo di presa
2800
5600
350
660
35
0,0028
15-20
280
560
70
130
90
0,0016
25-35
Il maggior sviluppo superficiale dei cristalli beta porta ad un più elevato grado di idratazione al
quale poi è dovuto il maggior ritiro. La varietà alfa richiede invece per la maggiore grossezza dei
cristalli una minore quantità di acqua di impasto e dopo indurimento i manufatti presentano densità
maggiore.
Le altre fasi che si ottengono dalla pietra da gesso al variare delle condizioni di cottura sono
costituite da varie anidriti. Le diverse varietà sono di solito suddivise in tre forme allotropiche; due
universalmente riconosciute ed una non da tutti accettata; precisamente: la "gamma", detta anche
"anidrite solubile" e da taluni autori indicata come "anidride III"; la beta detta "anidrite insolubile"
ed indicata anche come "anidrite II''; e la alfa indicata anche come "anidrite I'' e di dubbia esistenza.
La gamma-anidrite o "anidrite III" a sua volta può esistere in due forme: la anidrite III-alfa e la
anidrite III-beta a seconda che derivi dall' alfa o dal beta-semiidrato, entrambe capaci di indurire
con acqua e quindi dotate di proprietà leganti. La forma II o beta fa presa solo se catalizzata da
aggiunte di sali; la forma I o alfa è caratterizzata da una notevole lentezza di presa.
9
Nella tabella sono riportati schematicamente i campi di stabilità e le principali caratteristiche del
gesso biidrato e delle diverse forme di gesso cotto semiidrato e anidro.
Processi di fabbricazione industriale
I processi industriali di preparazione del gesso semi-idrato o "gesso cotto" (che costituisce il
materiale più largamente usato in edilizia) possono essere così classificati:
1) preparazione mediante procedimenti a secco a temperatura al di sopra di 125° C
a) a cottura diretta in forni rotanti
b) a cottura indiretta in piccole o grosse caldaie
2) preparazione mediante procedimenti a umido a temperature maggiori o eguali a 1000 °C
a) sotto pressione in autoclave
b) a pressione atmosferica in soluzioni saline o di acidi diluiti
c) processo di "aridizzazione"
Sostanzialmente questi processi consistono in una cottura del biidrato in 'opportune caldaie o in
forni speciali a varie temperature per ottenere rispettivamente le varie forme di gesso cotto.
In linea generale l'intero processo si sviluppa nella seguente successione di operazioni; il gesso,
proveniente da cave o miniere, subisce innanzitutto una frantumazione fine in pezzi di dimensioni
opportune; viene quindi inviato alla macinazione e quindi raccolto e immagazzinato in silos
appositi. Dai silos il gesso viene prelevato e inviato ai forni, dai quali esce il gesso cotto che viene
mandato ai silos di raccolta del gesso cotto. Successivamente viene sottoposto a macinazione fino
alle dimensioni necessarie per raggiungere determinati requisiti di qualità richiesti al prodotto
finito, dopodiché viene addizionato con additivi opportuni, ove richiesto, e inviato all'insaccamento
10
finale. Per quanto riguarda i forni di cottura è possibile distinguerli in apparecchiature di tipo
continuo o discontinuo, a cottura diretta o indiretta, statici o rotanti.
2.3 Preparazione del semiidrato beta
- Forni statici a funzionamento continuo.
a) a fuoco indiretto:
sono forni a ripiani sovrapposti in cui un sistema di coclee fa avanzare il gesso in direzioni opposte
tra uno strato e l'altro. Il riscaldamento indiretto viene realizzato con olio o vapore d'acqua
surriscaldato, e si raggiunge una buona regolazione della temperatura.
b) a fuoco diretto:
il forno è del tipo a torre verticale, costituito da una struttura portante di cemento armato rivestita
internamente da una camicia di mattoni comuni. Tra la struttura portante esterna e la camicia di
mattoni comuni viene solitamente interposto del materiale incoerente che ha la funzione di assorbire
le sollecitazioni dinamiche causate dalle variabili di temperatura. Il gesso crudo viene caricato da
aperture disposte nella parte superiore del forno. Al fondo del forno si trova il focolare nel quale
viene bruciato il combustibile, generando in tal modo una corrente ascendente di gas caldi i quali,
passando attraverso la massa di materiale crudo, ne provocano la disidratazione. Il vapore acqueo
ceduto dal gesso esce con la corrente di gas caldi dalla sommità del forno. Il prodotto cotto viene
estratto dalla zona inferiore ed inviato alle successive operazioni.
- Forni statici a funzionamento discontinuo, a fuoco diretto
Queste apparecchiature sono rappresentate dai "forni a caldaia" o "forni a marmitta" e dai "forni a
padella". I forni a marmitta sono costituiti da un recipiente cilindrico in lamiera, al fondo del quale è
posto un focolare in muratura. All'interno un agitatore provvede a rimescolare la massa durante la
disidratazione. Nelle apparecchiature più recenti il riscaldamento della marmitta viene effettuato
lungo tutta la sua superficie mediante percorsi obbligati del gas caldo.
Il gesso viene caricato in polvere fine nella marmitta ed il continuo rimescolamento cui è soggetto
consente di realizzare una distribuzione uniforme della temperatura ed il facile allontanamento del
vapore d'acqua che si sviluppa.
I gas caldi ed il vapor d'acqua si scaricano dalla parte superiore dell'apparecchiatura. Il prodotto
cotto viene scaricato inferiormente dopo che è stato raggiunto il grado di cottura desiderato.
I forni a padella sono analoghi a quelli a marmitta, però il recipiente cilindrico ha un diametro
superiore all’altezza.
11
- Forni rotanti a funzionamento continuo
a) a fuoco diretto:
il forno è costituito da un cilindro metallico rotante che viene riscaldato esternamente dai gas caldi
provenienti da un focolare. I gas caldi vengono fatti passare anche all'interno del forno in un tubo
coassiale, in modo da non venire a contatto col materiale in cottura. Il gesso crudo viene alimentato
in graniglia ed il prodotto deve essere macinato.
b) a fuoco diretto: .
il forno è costituito da un cilindro metallico rotante in cui i gas caldi di combustione vengono a
contatto direttamente col gesso.
c) a fuoco misto:
il forno è costituito da due cilindri concentrici in cui parte del gesso è cotto a fuoco diretto e parte a
fuoco indiretto.
- Forni rotanti a funzionamento discontinuo.
Questi forni sono costituiti da un cilindro metallico rotante disposto orizzontalmente che viene
riscaldato a fuoco indiretto. La carica, costituita da gesso macinato, viene introdotta nel forno dove
viene rimescolata con opportuni agitatori.
Lo scarico del materiale cotto si fa invertendo il senso di rotazione del forno. Generalmente dopo
ogni ciclo si scarica una quantità di materiale pari alla metà della carica introdotta.
- Forni mulini
La cottura del biidrato per dare il semiidrato può essere effettuata in impianti speciali, detti forni-
mulini, nei quali si realizza contemporaneamente la macinazione e la cottura del gesso. Il mulino,
generalmente del tipo a sfere o a rulli, viene percorso da una corrente di aria calda che disidrata il
gesso e nello stesso tempo e ne effettua il trasporto pneumatico.
12
- Preparazione del semiidrato alfa.
La preparazione del gesso semiidrato nella modificazione cristallina alfa, viene realizzata in
autoclave. La temperatura operativa è di circa 120°C e nell'autoclave viene mantenuta una
atmosfera di vapor d'acqua. Prima del processo in autoclave il gesso viene mescolato con soluzioni
di acidi organici, quali l'acido succinico, maleico, citrico o i loro sali solubili. Altri metodi di
preparazione tecnica del semiidrato alfa non sono impiegati su scala industriale.
- Preparazione dell’anidrite II.
La preparazione dell'anidrite II viene realizzata in forni verticali o in forni rotativi. I forni impiegati
sono analoghi a quelli esaminati precedentemente per la preparazione del semidrato beta.
Per ottenere la disidratazione completa del materiale caricato è opportuno alimentare il gesso in
blocchi di dimensioni piuttosto limitate.
2.4 Considerazioni e annotazioni sui processi di fabbricazione
industriale del gesso cotto
Nei sistemi a secco la cottura avviene a temperatura più elevata e con velocità più alta, causa il forte
gradiente di temperatura esistente fra prodotto da cuocere e mezzo riscaldante; la eliminazione
dell'acqua porta ad un residuo costituito da particelle molto suddivise: si ottiene prevalentemente
gesso emidrato beta. .
La cottura ad umido porta ad emidrato alfa. Per ottenere questa forma è necessario infatti operare la
calcinazione in ambiente di vapore saturo, poiché l'emidrato alfa può solo cristallizzare da una
soluzione ed è perciò necessario avere almeno aderente alla superficie dei granuli in cottura un film
di acqua. Una elevata pressione parziale di vapore d'acqua consente di evitare la formazione di
gesso stracotto. Queste necessarie condizioni si realizzano in autoclavi ed anche, in misura minore,
nel processo a secco, ma in caldaie di grandi dimensioni nelle quali si ha uno strato di materiale
elevato, così che nelle zone più basse della caldaia, durante gran parte del periodo di cottura, si
viene ad avere una pressione di vapore sensibilmente alta.
In questi casi si ottengono prodotti con un' elevata percentuale di fase alfa; nelle grosse caldaie più
recenti si può arrivare ad ottenere un gesso formato per il 75% ed oltre della forma alfa.
La percentuale di emidrato alfa può essere ulteriormente accresciuta mediante aggiunta alla carica
di sali igroscopici che abbassano la pressione parziale del vapore nella zona di cottura.
I forni a marmitta sono costituiti da cilindri di 1-5m di altezza e di 2-3 m di diametro, riscaldati
indirettamente dai gas caldi della combustione capaci di dare fino a 15-20 tonnellate di prodotto per
ogni operazione; il materiale ridotto in granuli della grossezza di circa 3/4 mm sono mossi
13
continuamente dall'azione di un agitatore con bande di trascinamento sul fondo. La cottura è rapida,
2-3 ore, ma irregolare; il consumo di calore è abbastanza elevato e si aggira intorno alle 1046-1884
kJ/kg (50-450 kcal/kg) di gesso cotto.
Attualmente si dà la preferenza a forni più alti nei quali una maggiore altezza della carica rallenta la
velocità di cottura, ma anche l'eliminazione del vapore d'acqua e quindi porta ad un prodotto più
ricco di emidrato alfa e di caratteristiche più omogenee.
Questi forni hanno le pareti laterali munite di tubazioni percorse dai prodotti di combustione, ciò
che assicura una maggiore superficie riscaldante; inoltre il materiale da cuocere è macinato più
finemente ed è talora preessiccato, sempre utilizzando i gas di scarico, il consumo di combustibile è
dell'ordine delle 1255 kJ/kg di gesso cotto.
L'operazione è discontinua: si carica il materiale macinato, si eleva gradualmente la temperatura
fino verso 120-130° C; a questo punto lo sviluppo di vapore provoca ebollizione che ha termine
quando la temperatura raggiunge i 150-160° C.
A questo punto si nota una netta diminuizione di volume della massa del 10-15% il che indica
l'avvenuta trasformazione in semidrato della gran parte del gesso caricato.
Se si prosegue il riscaldamento verso i 170-180° C la massa costituita dalla forma semiidrato col 5-
6% di acqua, entra nuovamente in ebollizione sia pure in maniera meno intensa e per minore tempo
e si raggiunge la completa disidratazione del materiale. Il volume della massa si riduce ancora del
15-18%. Il gesso ottenuto è costituito in gran parte da anidrite solubile, con percentuali variabili di
emidrato e di anidrite a lenta presa; presenta minore plasticità, ma maggiore densità e resistenza del
precedente.
Un prodotto di analoghe caratteristiche si può ottenere dal gesso cotto a temperature inferiori a 160°
C facendogli subire una opportuna stagionatura o aggiungendo durante la calcinazione sali
deliquescenti.
Si usano anche forni continui, specie rotativi, del diametro di circa 2 m e della lunghezza di 20-40
m dove il materiale, di granulometria inferiore a 15-20 mm viene cotto in circa un'ora in corrente di
gas caldi a temperatura tra i 100-200° C circa; il consumo di calore è dell'ordine di 1170-1235 kJ/kg
di gesso cotto.
Poiché in questo caso la regolazione del calore è molto difficile il prodotto ha caratteristiche di
uniformità inferiori, potendo contenere gesso ancora crudo insieme ad altro a diverso grado di
calcinazione. Tale gesso, se è adatto per intonaci o per blocchi o pannelli, non lo è per modelli.
Si può ovviare almeno in parte alla scarsa uniformità macinando il prodotto ancora caldo appena
scaricato dal forno; sotto l'azione del calore residuo e di quello che si produce nella macinazione il
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materiale poco cotto può continuare a perdere acqua, la quale può essere presa, almeno in parte, da
quello troppo cotto che cosi si reidrata parzialmente.
Si hanno anche forni continui a piani nei quali il gesso da calcinare, in granuli di dimensioni
inferiori ai 5-6 mm, scende dall'alto ed è spostato da un piano all'altro per mezzo di braccia fissate
ad un albero centrale ruotante.
Per cottura in forni verticali a 900-1100° C della pietra da gesso od anche di anidrite naturale, in
pezzi di 10-20 cm si ottiene il cosiddetto gesso da pavimenti costituito da anidrite accompagnata da
CaO. La cottura può essere fatta per contatto diretto o indiretto col mezzo riscaldante; il CaO
presente, che agisce come accelerante, può derivare dalla dissociazione di un po' di carbonato
presente come impurezza o anche da decomposizione del CaSO4 stesso. La macinazione del
prodotto non viene di solito molto spinta; il tempo di presa varia da 4 a 36 ore.
Un altro tipo di forno usato per la produzione di gesso da pavimenti è quello a griglia costituito,
come indica il suo nome, da una griglia metallica senza fine sulla quale si carica il materiale; questo
è preventivamente frazionato in granulometrie diverse e le singole frazioni provenienti da tramogge
distinte Sono distribuite sulla griglia in strati successivi, quelli a granulometria più fine in basso e
gli altri più sopra. Il nastro si muove lentamente, 15-20 m/h, al disotto di una camera comunicante
con la zona di combustione.
I gas caldi a 900-1000° C attraversano gli strati sovrapposti di materiale raccogliendosi al di sotto
della griglia; parte di essi vanno al camino gli altri ritornano in circolo.
Il rendimento termico di questi forni a griglia è elevato, superiore al 70%; il prodotto di cottura
risulta da una miscela di anidrite insolubile e solubile accompagnata da un pò di emidrato.
Nel processo di cottura ad umido il gesso in pezzi da 10 a 80 mm viene sottoposto in autoclave
all'azione di vapore saturo alla temperatura di 110-150° C; scaricato il vapore, l'emidrato è
essiccato e macinato al di sopra di 80-90° C per evitare la farmazione di nuovo biidrato.
Dal punto di vista delle proprietà meccaniche dei manufatti induriti un trattamento più prolungato a
bassa temperatura è preferibile ad uno più rapido ad alta temperatura, poiché, a parità di altre
condizioni, nel primo casa si formano cristalli alfa piuttosto piccoli e ne secondo caso invece
cristalli più grandi, aghiformi. L'aggiunta di piccole percentuali di sali alcalini o di acidi organici
durante la cottura favorisce l'ottenimento di prodotti capaci di migliorare le caratteristiche,
meccaniche; essi abbassano la temperature di decomposizione, modificando la forma dei cristalli di
emidrato alfa, fanno aumentare il tenore di emidrato alfa, con conseguente incremento della densità
del prodotto e delle proprietà meccaniche dei manufatti.
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La cottura per via umida si può fare anche a pressione normale, infatti in presenza di soluzioni
saline (CaCl2, MgSO4) concentrate, alle quali si possono aggiungere speciali sinergizzanti, il gesso
si può disidratare parzialmente fino a alfa-emidrato. Alla temperatura di ebollizione di queste
soluzioni il gesso presenta una tensione di vapore più elevata che alla pressione atmosferica,
condizione questa necessaria per la trasformazione in emidrato. In soluzione di CaCl2 si possono
avere facilmente differenze di tensione di vapore adatte a produrre il tipo di gesso desiderato.
In pratica il gesso macinato finemente si cuoce in presenza di una soluzione al 25-40% di CaCl2, si
evapora l'acqua di cristallizzazione separata oppure si compensa la diluizione da essa prodotta con
aggiunta di altro CaCl2.
L'emidrato cristallizzato viene lavato accuratamente con acqua bollente ed essiccata fra 100 e 170°
C.
Il gesso non va immagazzinato per lunghi periodi, perché possono verificarsi alterazioni; però un
insilamento non prolungato porta ad un miglioramento delle caratteristiche del gesso cotto,
favorendo la trasformazione dell'anidrite solubile in emidrato, la ricristallizzazione della forma beta
in alfa.
Questo benefico effetto di "invecchiamento'' è marcato con il gesso prodotto nel forno a caldaia e
quando la conservazione avviene in presenza di aria. Il tempo occorrente perché gli effetti
dell'invecchiamento si stabilizzino varia da prodotto a prodotto e probabilmente esso dipende anche
dalle condizioni che si verificano durante la conservazione.
Le proprietà che subiscono una netta variazione sono la quantità di acqua necessaria per ottenere
una pasta lavorabile e la velocità di indurimento: la prima diminuisce, la seconda aumenta. La
diminuzione dell'acqua di impasto è, dal punto di vista pratico, di notevole interesse, perché il
legante darà una pasta indurita di maggiore resistenza meccanica.
Gli effetti dell'invecchiamento naturale possono essere prodotti anche artificialmente mediante il
cosidetto processo di "aridizzazione" che consiste nell' aggiungere alla pietra da gesso prima o
subito dopo la calcinazione una piccola quantità (0,01-0,05%) di cloruro di calcio.
Le caratteristiche dell'emi-idrato aridizzato sono molto simili per resistenza meccanica e durezza a
quelle del gesso di seconda ebollizione preparato di fresco.
2.5 Presa del gesso
Il fenomeno dell'indurimento o presa del gesso è stato studiato per la prima volta nel 1765 dal
famoso chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier, ma più razionalmente dal 1900 al 1903 dal
pure celebre chimico olandese Jacobus Henricus van't Hoff e dai suoi allievi.
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Anzitutto, si basa sul fatto che i costituenti essenziali del gesso cotto, i solfati di calcio semiidrato e
anidro solubile, posti in presenza di acqua, sono capaci di riidratarsi, cioè di riprendere l'acqua di
cristallizzazione perduta durante la cottura; si ottiene cosi il gessobiidrato, il cui costituente
essenziale, ossia il solfato di calcio biidrato CaSO4·2 H2O, è identico a quello del gesso naturale.
Ciò si può, schematizzare nelle seguenti reazioni chimiche, che in sostanza sono l’inverso di quelle
riportate già a proposito della cottura del gesso:
CaSO4·1/2H2O + 3/2H2O → CaSO4·2H2O
CaSO4 +2H2O → CaSO4·2H2O
Tuttavia, si spiega completamente con il fatto che il gesso cotto (come pure la piccola proporzione
di gesso più o meno stracotto che sempre l'accompagna) è più solubile in acqua del gesso biidrato in
cui appunto si trasforma mediante la reidratazione; cosi, quando si fa l'impasto con l'acqua, il gesso
cotto si scioglie in quest’ultima, ma contemporaneamente si reidrata, formando una soluzione
soprasatura di gesso biidrato, dalla quale quest'ultimo si separa immediatamente, in masse
cristalline aghiformi, indurenti rapidamente. Il fenomeno della presa del gesso avviene in un gran
numero di fasi susseguentesi velocemente l'una all'altra; in altre parole dapprima si scioglie in acqua
e si reidrata soltanto una piccola porzione di gesso cotto, ma appena questa è cristallizzata, un'altra
piccola porzione subisce la stessa trasformazione e cosi via, sino a che tutto l'impasto risulta
costituito da gesso biidrato.
È anche molto importante la struttura a fibre lunghe di quest'ultimo; infatti i cristalli aghiformi si
intrecciano fittamente e fortemente fra loro formando una specie di tessuto.
La solidità della massa indurita dipende essenzialmente dalla densità della feltratura di cristalli;
densità che riesce minore o maggiore secondo la quantità dell'acqua impiegata per l’impasto.
L'acqua in eccesso lascia, evaporando, dei vuoti o degli spazi porosi e la porosità nella massa vuol
dire debole resistenza.
Le tensioni capillari determinano in seguito, nella pasta, un supplemento di coesione ma il loro
apporto all'indurimento, non è, nel caso dei gessi, cosi importante come in quello delle argille e dei
cementi.
A voler essere precisi sul fenomeno della « presa», bisogna distinguere due tempi, e cioè:
1) il tempo di gemito che costituisce il tempo che passa dall'inizio dell'impasto a quello in cui la
pasta cessa di essere una poltiglia malleabile da comandarsi o maneggiarsi a volontà;
2) il tempo di presa che costituisce il tempo intercorrente tra la fine del tempo di gemito e
l'indurimento completo del gesso.
Nella tabella che segue abbiamo indicati i valori approssimativi del tempo di gemito e di presa dei
tipi di gesso di uso corrente:
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TIPI DI GESSO TEMPO DI
GEMITO (min)
TEMPO DI
PRESA (min) Da Fabbrica 5 10
Da ornati o da stucchi 15 30
Da forma 15 30
Da intonachi 40 2 ore
Da pavimenti 1 ora 36 ore
Ad alta resistenza 1 ora 12 ore
La presenza di impurità o di particelle mal cotte nuocciono sensibilmente alla presa del gesso, il
quale assorbe meno acqua e ad un dato punto del riscaldamento della pasta si ha un arresto
repentino, senza ulteriore ripresa. L'acqua che non ha potuto partecipare alla presa, essendogli
mancato il mezzo di cristallizzazione, a causa del raffreddamento, si libera, trasuda fino alla
superficie, dove resta assorbita, alterando la presa già avvenuta. Quando poi tutta la massa della
pasta è ben secca ne risulta una condizione di facile sfarinatura, simile al gesso marcito.
Non sempre le impurità e le altre cause menzionate, sono tali da far perdere la facoltà di presa al
gesso; alle volte o la rallentano o la riducono molto meno dura. Nei casi di rallentamento o tardata
presa si può quasi certamente ritenere che la causa è costituita da anidrite solubile (gesso idraulico)
formatasi con un po' di eccesso di cottura; in questo caso il fenomeno non è dannoso perchè la
presa, pur ritardata, riesce più forte del normale.
Si ha un danno invece quando la presa viene troncata e poi ripresa quando la massa è pressochè o
definitivamente indurita.
Questo fenomeno avviene perchè non tutta l'acqua di idratazione si è cristallizzata nel tempo
normale della presa e la parte rimasta inerte inizia a cristallizzarsi per effetto di parti di gesso non
completamente cotte, aiutata anche dal calore emesso dalla presa, prima di essere troncata. Le
conseguenze di ciò sono intuibili; il secondo tempo di presa con la relativa temperatura riesce a
formare una nuova cristallizzazione, la quale va a ingrovigliarsi ed incunearsi in quella avvenuta nel
primo tempo, disorganizzandola, rompendola e deformandola.
Pertanto ogni volta che si constata la presenza nel gesso di impurità superiori al 3% è opportuno
scartarlo dall' uso per manufatti e trasferirlo a quello di concimazione.
Sulla rapidità di presa e sull'indurimento, oltre alla qualità del gesso, ha sempre influenza, molto
sensibile, la quantità dell'acqua d'impasto.
La quantità di acqua necessaria per trasformare il semiidrato in biidrato si aggira sul 25% in massa
(peso) della polvere; ma tale quantità deve essere molto aumentata in pratica per avere una presa
meno rapida ed un impasto più lavorabile. Praticamente l'acqua che si adopera si aggira sul 65% in
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massa (peso) per i gessi macinati grossi e sul 75% per quelli macinati fini. Se si vogliono impasti
più fluidi si arriva anche all'80÷85%, ma queste ultime dosi sono da ritenersi le massime
consigliabili perchè il gesso impastato con troppa acqua si presenta poroso e quindi permeabile,
igroscopico e meno resistente dal punto di vista meccanico.
Col crescere della percentuale di acqua d'impasto le resistenze a compressione ed a trazione del
gesso vanno diminuendo.
Queste resistenze, nel caso del gesso, dipendono molto anche dall'acqua di imbibizione presente nel
gesso, essendo i cristalli di biidrato solubili nell'acqua, e quindi la resistenza del loro intreccio
influenzata dall'umidità presente.
Un gesso di buona qualità che, impastato col 68% di acqua, dà a 28 giorni una resistenza di 1000
N/cm2 (100 kg/cm2) a pressione e di 200 N/cm2 (20 kg/cm2) a trazione allo stato asciutto, può
vedere ad esempio crollare tali resistenze rispettivamente sino a 300 ed a 60 N/cm2 una volta
saturato d'acqua.
Il fenomeno della “presa”
Nel processo di indurimento del gesso si possono distinguere sostanzialmente quattro stadi:
a) solubilizzazione delle fasi anidre (emidrato e anidrite) con formazione di una soluzione satura
rispetto a queste e soprassatura rispetto al biidrato che precipita;
b) stabilizzazione del biidrato inizialmente prodottosi e formazione di germi di cristallizzazione;
c) crescita dei germi di cristallizzazione, sviluppo dei cristalli di biidrato;
d) diminuzione della velocità di indurimento causa lo scomparire di fasi anidre.
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Le diverse fasi anidre presenti nel gesso cotto impastate con acqua si comportano di fronte a questa
in modo analogo, ma diverse sono però le loro velocità di idratazione e quindi di indurimento.
La velocità d'idratazione si può misurare in base al calore sviluppato, mentre quella di indurimento
attraverso variazioni di consistenza e resistenza della massa. La temperatura agisce in ugual maniera
su entrambe le velocità e così pure la grandezza dei granuli, la durata ed il grado di impasto; la
quantità di acqua di impasto agisce sensibilmente sul tempo di indurimento degli impasti mentre
agisce poco sulla velocità d'idratazione e così pure l'aggiunta di inerti minerali che non influisce
sulla velocità d'idratazione mentre provoca un aumento di quella d'indurimento.
Il processo di indurimento del gesso può essere accelerato o ritardato da alcuni fattori, così
l'idratazione si può accelerare aumentando la velocità con la quale le fasi anidre passano in
soluzione oppure accrescendone la loro solubilità in confronto a quella del biidrato; ciò insieme ad
un accrescimento della velocità di formazione dei germi di cristallizzazione porta ad accelerare il
processo d'indurimento.
L'aggiunta di idracidi o di sali agisce in questo senso; l'efficacia è legata più alla natura dei cationi
che a quella degli anioni e la loro azione varia secondo la sequenza H + > Me+ > Me++ > Me+++; a
parità di catione l'efficacia dell'azione dipende dall'anione secondo l'ordine: Cl- > NO-3 > SCN- >
SO4--.
Un esempio di impiego di acceleranti è quello che si fa nella preparazione del cosiddetto gesso
Keene. In figura è riportata l'azione acceleratrice esercitata da K2SO4, dal gesso biidrato e da una
loro miscela. Il gesso biidrato risulta un efficace accelerante nonostante la sua minore solubilità
rispetto all'emidrato o all'anidrite solubile; l'azione è infatti da attribuire al fatto che con la sua
aggiunta aumenta il numero dei germi di cristallizzazione.
Una diminuzione della velocità di indurimento si può realizzare con aggiunta di sali capaci di
ridurre la solubilità del biidrato rispetto alle fasi anidre o con aggiunta di sostanze capaci di ridurre
l'accrescimento dei germi di cristallizzazione, ad es. perchè adsorbite sulla loro superficie.
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Agiscono come ritardanti gli idrati alcalini o alcalino-terrosi, i carbonati ed i fosfati, alcalini o
d'ammonio sia neutri che acidi, i composti capaci di formare complessi, le soluzioni di
idrolizzatiproteici, l'acido aspartico, il glutammico, ecc.
L'azione dei ritardanti non si esplica solo modificando la velocità di crescita, ma anche la foggia dei
cristalli; con l'aggiunta già di 1% di gelatina i cristalli non riescono più ad intrecciarsi ed una tale
pasta, nonostante si idrati, non indurisce.
I regolatori dell'indurimento devono avere diverse caratteristiche:
agire in piccola percentuale, costare poco, non deteriorare, anche dopo anni, il prodotto finito;
possono venire aggiunti prima o dopo la cottura o la macinazione, o all'atto dell'impasto con acqua.
Il gesso destinato alla preparazione di stampi richiede pochissimo ritardante; quello per intonaci
viene di solito addizionato di 0.2-0.5% di ritardante, quello per rasature solo di 0.05-0.15%. Come
ritardanti od acceleranti a volte possono essere sufficienti le impurezze presenti nella pietra da
gesso; si può anche modificare la velocità di presa variando la temperatura dell'acqua di impasto;
usando acqua calda si riesce a prolungare, anche notevolmente, il tempo durante il quale l'impasto
conserva una sufficiente fluidità ed il prodotto indurito non presenta caratteristiche meccaniche
scadenti. D'altra parte è noto che più caldo è il clima nel quale il gesso viene adoperato e minore è
la quantità di ritardante richiesta.
La resistenza a compressoone dei manufatti di gesso dipende dalla quantità di acqua usata per
l'impasto, dal tipo e dalla quantità delle aggiunte, dal grado di riempimento dei vuoti, dal contenuto
di acqua libera che riempie i pori, ecc. Gli inerti aggiunti impediscono l'intrecciarsi dei cristalli ed
abbassano la resistenza in maniera all'incirca proporzionale alloro con tenuto; ci sono aggiunte (ad
esempio resine sintetiche) capaci invece di farla aumentare. La variazione di resistenza a
compressione con la quantità di acqua d'impasto segue una relazione del tipo R = K(l/A)n dove K ed
n sono delle quantità che variano col tipo di gesso, ma in maniera non troppo marcata e A è il
rapporto fra acqua d'impasto e volume dell'impasto.
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L'acqua presente nei pori abbassa la resistenza a compressione perciò la resistenza finale
raggiungibile dai manufatti dipende dalla umidità ambientale; agiscono come l'acqua, ma in misura
minore, i liquidi polari mentre quelli non polari sono privi di azione. Infine la resistenza dipende
dalle condizioni nelle quali viene fatto l'impasto (temperatura, grado di mescolamento, ecc.) capaci
di influire sulla foggia dei cristalli, sul loro intreccio, ecc.
L'indurimento del gesso avviene con aumento di volume ciò che è vantaggioso per molte
applicazioni alle quali il gesso è destinato (rappezzi, stampi, ecc.). In realtà si hanno due effetti
contrastanti e precisamente:
- una contrazione iniziale, poichè il volume dell'emidrato + acqua è maggiore di quello del gesso
biidrato che si forma;
- una espansione della massa dei cristalli che s'accrescono disordinatamente durante l'indurimento.
La contrazione è prevalente durante l'impasto, ma poichè alla idratazione del gesso segue
l'indurimento dell'insieme dei cristalli accompagnato dall'espansione, di entità superiore alla
contrazione, questa non si nota e l'effetto globale è rappresentato da una espansione.
La reazione tra l'acqua ed il gesso emidrato avviene con riduzione di volume di circa il 7%; infatti
per idratare 100 g di gesso emidrato (alfa o beta) occorrono 18,7 cm3 di acqua e nel caso
dell'emidrato alfa la variazione di volume risulta:
a) α-emidrato 100,0 g
H2O 18,7 g
biidrato 118,7 g
b) Volume dell’α-emidrato = 336,3675,2
100 cm=
H2O 37,18 cm
Volume del biidrato = 316,5132,2
7,118 cm=
c) Volume iniziale dell’impasto:
36,36 + 18,7 = 55,06 cm3
Volume finale = 51,16 cm3
3,9 cm3
Diminuzione del volume corrispondente al 7%
In pratica si osserva invece un aumento di volume che mediamente è compreso tra il 2 ed il 5%;
l'entità dipende dagli additivi presenti i quali agiscono sul volume e sulla distribuzione dei
micropori che restano tra gli elementi aghiformi della struttura di cristallizzazione ed è all’esistenza
di questa porosità fine che si attribuiscono l'origine dell'aumento di volume osservato.
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A convalida di questa ipotesi vi è il fatto che l'aumento di volume può essere ridotto con aggiunte di
particolari additivi come il borace, il citrato di sodio, il tartrato sodicopotassico, etc.
La quantità di acqua che occorre aggiungere per ottenere un impasto lavorabile è in genere
superiore a quella stechiometrica e dipende principalmente dalla finezza e dalla forma delle
particelle solide, oltre che dalla costituzione del legante. Di tutta l'acqua aggiunta una parte serve a
rendere l'impasto plastico e lavorabile, una parte è consumata per la reazione di idratazione a
biidrato ed una parte, molto piccola rispetto alle altre, è perduta per evaporazione durante la presa e
l'indurimento.
Poiché per idratare 100 g di emidrato o di anidrite sono necessari rispettivamente 18,7 e 25,4 cm3 di
acqua, l'acqua d'impasto in eccesso ai valori indicati è impiegata ai fini della lavorabilità. A parità di
consistenza dell'impasto, per un legante a base di emi-idrato beta, il rapporto in peso acqua/legante
varia tra 0,6 e 1, per l'emidrato alfa ottenuto in autoclave è circa 0,3, mentre per l'emidrato alfa
ottenuto alla pressione atmosferica per ebollizione della soluzione al 30% di cloruro di calcio,
scende a 0,22-0,24. Per le varie forme di anidrite i valori oscillano tra 0,28-0,30 per i leganti a base
di anidrite naturale e tra 0,35- 0,4 per il gesso di seconda ebollizione.
A parità di costituzione l'acqua di impasto dipende dalla finezza di macinazione, in generale
l'optimum di finezza corrisponde ad un massimo nel valore del peso specifico apparente.
La velocità di presa dipende poi dalla durata della miscelazione dell'impasto; precisamente aumenta
con l’aumentare di questa.
Questo succede in quanto una miscelazione prolungata rende più omogeneo l'impasto e quindi più
intimo il contatto fra i reagenti che interagiscono con maggiore facilità e rapidità.
Nella tabella sono riportati i tempi di presa sperimentali in funzione del rapporto acqua/gesso e
della durata della miscelazione.
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Data la solubilità del gesso biidrato in acqua i manufatti di gesso non sono adatti per opere destinate
a venire a contatto col terreno umido o per essere esposti alla pioggia; si possono proteggere i
manufatti incorporando al gesso sostanze capaci di formare composti resistenti all'acqua (ad es.
cemento, addittivi minerali) o difficilmente solubili (ad es. ossido di bario, cloruro di sodio, di
bario, fosfato o ossalato di ammonio, acetato di piombo, ecc.) o spalmando o, incorporando nei
manufatti sostanze idrofobe (cere, siliconi, fluosilicati, resine sintetiche). Oggi si va sempre più
estendendo l'aggiunta agli impasti, o sui manufatti induriti, di resine di diverso tipo: acriliche,
melamminiche, ureiche, furaniche, acetoviniliche, le quali oltre a migliorare la resistenza
all'umidità, migliorano altre proprietà quali, a seconda dei casi: resistenza a compressione, durezza,
resistenza alla fiamma, agli sbalzi termici, isolamento acustico, rallentamento della presa.
Inoltre data la variazione esponenziale della tensione di vapore del gesso biidrato con la temperatura
i manufatti non saranno stabili all'aria a temperature superiori ai 40÷50 °C, perchè tenderanno a
perdere parte dell'acqua di cristallizzazione perdendo la compatezza.
Il gesso non è neppure idoneo ad essere usato in ambienti ove si hanno esalazioni ammoniacali
(latrine, stalle, ecc.) causa la formazione di solfato d'ammonio, igroscopico che fa perdere la
consistenza ai manufatti:
CaSO4 + 2NH3 + H2O + CO2 → (NH4)2SO4 + CaCO3
Anche l'anidrite naturale trova impieghi nonostante la sua lenta velocità di idratazione; si usa per la
preparazione di malte; occorre macinare molto finemente il prodotto (granuli dell'ordine di 0.005-
0.01 mm) ed aggiungere acceleranti (solfati e bisolfati alcalini, basi, ecc.) i quali ne aumentano la
velocità di dissoluzione e rallentano l'evaporazione dell'acqua impedendo che essa se ne vada prima
che sia completata l'idratazione. Malte a base di anidrite impastata con quantità non troppo grandi di
acqua(20-30%) danno resistenze a compressione che possono arrivare anche a 300 kg/cm2 ed oltre.
2.6 Agenti che influiscono sul tempo di presa del gesso cotto
Si è visto che per cottura del biidrato a 120-150°C a pressione atmosferica a secco si forma il
semiidrato beta con piccole quantità di biidrato e di anidrite solubile. La presa di questo materiale è
troppo rapida per permettere un' agevole manipolazione per cui ad esso viene aggiunto un ritardante
(di solito cheratina in quantità pari allo 0,1%). Il materiale che cosi si ottiene presenta una velocità
di presa moderata.
La cottura del gesso a temperatura superiore provoca una diminuzione della reattività del materiale
cotto, finché a partire da 600°C circa si forma l'anidrite insolubile che non fa presa se non è
convenientemente catalizzata.
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A tale scopo si addiziona il materiale con sostanze acceleranti, ad esempio allume o solfato
potassico, in rapporti dello 0,5-1%, oppure miscele di solfati di ferro o zinco con solfato di potassio.
In tal modo si ottiene un prodotto con tempo di presa moderato conosciuto con il nome di "cemento
Keene" che viene impiegato per stucchi, decorazioni e che è molto sensibile all'umidità.
Se durante la preparazione viene impiegata una soluzione di borace, si ottiene il cosiddetto
"cemento Parian" che assume, dopo indurimento, una durezza paragonabile a quella del marmo.
Le sostanze acceleranti o ritardanti la "presa" impiegate nella tecnica sono molte e devono essere
scelte in base al tipo di gesso ed all'impiego cui questo deve soddisfare.
Si può infine modificare la velocità di presa del gesso agendo sul tempo di mescolamento e sulla
temperatura alla quale si effettua l'impasto.
Il rimescolamento deve comunque avvenire con la massima rapidità per evitare che l'operazione
costituisca un elemento di perturbazione per la struttura di cristallizzazione assunta dal biidrato che,
come si è già detto, è responsabile della resistenza meccanica della pasta indurita.
La temperatura porta ad una variazione della velocità di reazione e delle costanti di equilibrio delle
reazioni:
CaSO4 + 1/2 H20 → CaSO4·H20
CaSO4. 1/2 H2O + 3/2 H2O → CaSO4·2H2O
Pertanto, operando a temperature opportune (in pratica impastando il gesso con acqua calda a
diverse temperature) si riesce a conservare sufficientemente fluido l’impasto per diverse ore.
Al limite, tenendo conto delle variazioni di solubilità del solfato biidrato in funzione della
temperatura e dell'influenza della stessa sulla velocità di idratazione, si può determinare la
temperatura alla quale l'impasto rimane fluido per un tempo indefinito.
Precisiamo in proposito che un tale modo di procedere non porta alcuna diminuzione delle
caratteristiche meccaniche del manufatto indurito, a differenza di quanto avviene con il
rimescolamento.
2.7 Come agiscono gli agenti ritardanti e acceleranti
Tra le molte teorie esposte per spiegare il fenomeno del ritardo e dell'accelerazione della presa del
gesso quella più accreditata riguarda il rapporto di solubilità.
Una presenza di una sostanza estranea in soluzione o sospensione nell'acqua di impasto del gesso
può aumentare o diminuire la velocità di dissoluzione di solfato di calcio emidrato ed anche del
solfato di calcio biidrato provocando un aumento o diminuzione del grado di saturazione necessario
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all'innesco della cristallizzazione. In altri termini, affinché si possa manifestare un ritardo nella
presa del gesso è necessario che il rapporto di solubiIità tra il solfato di calcio emidrato e biidrato
deve essere il più basso possibile e tendere verso l'unità. Per raggiungere questo risultato è
necessario:
a) diminuire la solubilità dell'emidrato;
b) aumentare quella del biidrato.
Le sostanze che aumentano la solubiIità dell'emidrato sono acceleranti della presa mentre quelle che
la diminuiscono sono ritardanti. In linea generale la solubiIità di un sale diminuisce quando viene
addizionato di un altro sale a ioni comuni e l'effetto è tanto maggiore quanto il sale dissociato è
meno solubile. Nel caso del gesso il biidrato è quello che precipita per primo quando viene
addizionato con sostanze a ioni comuni solubili, come ad esempio SO4-: Si ha quindi una
accelerazione del tempo di presa quando si impiegano sali di questo tipo, quali solfato di potassio,
di sodio, di magnesio di zinco, di alluminio.
I sali che non hanno ioni comuni con il solfato di calcio provocano una maggiore solubilità di
questo e quando la loro azione risulta nettamente elevata con il semiidrato si ha ugualmente
un'accelerazione della presa come avviene appunto con il cloruro di sodio usato in piccole quantità.
Aumentando il contenuto di cloruro di sodio si ha invece un effetto ritardante dovuto, forse,
all'aumento della tensione superficiale da esso provocata.
Secondo alcuni studiosi, i ritardanti capaci di agire sulla cristallizzazione del biidrato sono quei sali
che aggiunti nell'acqua di impasto del gesso determinano la formazione di corpi insolubili o poco
solubili che avvolgono i cristalli del biidrato in formazione con una pellicola che impedisce il loro
sviluppo.
A questa categoria appartengono il borace, il fosfato di sodio, il carbonato di sodio, il silicato di
sodio i quali danno luogo, per duplice scambio, alla formazione di borati, fosfati, carbonati e silicati
di calcio poco solubili.
Le sostanze organiche, soprattutto quelle a grosse molecole, agiscono in modo analogo a quello
esposto per i sali, portando alla modificazione della formazione e sviluppo dei germi cristallini del
biidrato. Esse agiscono soprattutto sulla velocità di sviluppo e crescita delle diverse facce dei
cristalli, per cui determinano una riduzione delle diverse caratteristiche del gesso: velocità di presa,
espansione e resistenza meccanica.
Quei prodotti che assieme all'azione ritardante sviluppano anche un'azione fluidificante dell'impasto
di gesso, portano ad un aumento della resistenza meccanica per la riduzione della quantità
dell'acqua di impasto, compensando i difetti sopra elencati.
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In base alle considerazioni esposte, gli agenti che influiscono sul tempo di presa del gesso possono
essere classificati come segue:
a) Ritardanti
Primo gruppo: sostanze che diminuiscono la solubilità del gesso: glicerina, alcool, acetone, etere,
zucchero, acido acetico, borico, citrico, fosforico, lattico e loro ,sali.
Secondo gruppo: composti organici a peso molecolare elevato che agiscono da colloidi protettori:
cheratina, caseina, pepsina, albumina, gomma arabica, gelatina, proteine idrolizzate, melassa,
prodotti di idrolisi da residui animali, prodotti di reazione di acidi amminici con formaldeide,
tannini.
Terzo gruppo: sostanze che influiscono sulla struttura cristallografica del gesso: acetato di calcio ed
anche carbonato di calcio e di magnesio.
b) Acceleranti
Tutti i solfati ad eccezione del solfato di ferro, gli acidi solforico, cloridrico e nitrico; i cloruri,
bromuri e ioduri alcalini; il solfato di calcio biidrato, il cloruro d'ammonio, il bicromato di potassio,
i tartrati e gli ossalati in concentrazione elevata.
Il gesso biidrato risulta un efficace accelerante nonostante la sua minore solubilità rispetto
all'emidrato o all'anidrite solubile; l'azione è infatti da attribuire al fatto che con la sua aggiunta
aumenta il numero dei germi di cristallizzazione.
L'aggiunta di idracidi o di sali accresce ancora più la solubilità in confronto al biidrato; l'efficacia è
legata più alla natura dei cationi che a quella degli anioni e la loro azione varia secondo la sequenza
H- >Me+ >Me+ + >Me+ + +; a parità di catione l'efficacia dell'azione dipende dall'anione secondo
l'ordine: Cl-ND3->SCN->SO4
--.
Una diminuzione della velocità di indurimento si può realizzare con aggiunta di sali capaci di
ridurre la solubilità del biidrato rispetto alle fasi anidre o con aggiunta di sostanze capaci di ridurre
l'accrescimento dei germi di cristallizzazione, ad esempio perché assorbite sulla loro superficie.
Come abbiamo detto, agiscono da ritardanti gli idrati alcalini o alcalino terrosi, i carbonati ed i
fosfati alcalini o d'ammonio, sia neutri che acidi, i composti capaci di formare complessi, le
soluzioni di idrolizzati proteici, l'acido aspartico, il glutammico, etc. L'azione dei ritardanti non si
esplica solo modificando la velocità di crescita ma anche la foggia dei cristalli: con l'aggiunta già di
1% di colla di pelle i cristalli non riescono più ad intrecciarsi ed una tale pasta, nonostante si idrati,
non indurisce.
Il gesso destinato alla preparazione di stampi richiede pochissimo ritardante; quello per intonaci
viene di solito addizionato di 0,2-0,5% di ritardante, quello per rasature solo di 0,05-1,15%.
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L'impasto di gesso e acqua presenta inizialmente una viscosità troppo bassa per consentire una
facile manipolazione; esso diventa lavorabile solo dopo un certo tempo, ma, data la rapidità di presa
del gesso, questa condizione di lavorabilità risulta troppo breve. Per poter ottenere una viscosità
sufficiente fino dai primi istanti dell'impasto si aggiungono a questo speciali agenti addensanti i
quali permettono di estendere il campo di lavorabilità all'intero periodo di tempo della presa.
Aggiungendo assieme all'addensante anche un agente ritardante, oppure scegliendo un addensante
che abbia anche azione ritardante, si può ampliare l'intervallo di lavorabilità degli impasti di gesso
fino a soddisfare tutte le esigenze applicative.
Questo sistema, di combinazione addensante/ritardante viene ampiamente sfruttato per la
composizione degli intonaci di gesso, a spatola ed a macchina. In questi casi l’agente addensante ha
anche il compito di conferire particolari caratteristiche di adesività dell’impasto sui supporti edilizi,
di facilitare al massimo le operazioni di stesura, lisciatura e ritocco, di poter applicare intonaci
anche à elevato spessore, e soprattutto di evitare la formazione di crepe, e di distacchi in fase di
indurimento del gesso. Naturalmente nelle composizioni degli intonaci moderni, entrano a far parte
varie altre sostanze: indurenti, plastificanti, distendenti, fluidificanti, aeranti, scivolanti,
impermeabilizzanti, germicidi, fungicidi. Inoltre il gesso di partenza deve possedere caratteristiche
particolari derivanti da un sistema di cottura adeguato, in base a quanto abbiamo esposto in
precedenza, e da una successiva macinazione a grado di finezza, richiesto da questa applicazione
specifica. L’eventuale aggiunta di materiali di carica ha lo scopo di conferire al gesso un certo
grado di leggerezza o sofficità, migliorando possibilmente la sua buona resistenza al fuoco e la
durezza superficiale. In genere le cariche servono soprattutto per distribuire meglio la miscela degli
additivi nel gesso in polvere data la loro piccolissima percentuale rispetto al solfato di calcio.
Per molte applicazioni del gesso ed in particolare per il settore ceramico e per quello odontotecnico,
è importante ridurre al massimo l’aumento di volume o la dilatazione che si manifesta nella fase di
indurimento.
Abbiamo già accennato al fatto che tale aumento di volume può essere ridotto con l’impiego di
particolari additivi come il borace, il citrato di sodio, i carbonati alcalini ed il tartrato sodico
potassico.
Migliori risultati si possono raggiungere ricorrendo alla tecnica dell’impiego simultaneo di un
ritardante e di un accelerante, particolarmente scelti e combinati, in dosaggi prestabiliti così da
ottenere l’effetto desiderato.
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2.8 Agenti modificanti l'indurimento
Per aumentare l'indurimento del gesso possono essere impiegate sostanze capaci di reagire con il
solfato di calcio e tra loro, formando prodotti di elevata durezza (ad esempio, carbonati, solfati,
silicati, fluosilicati, barite) oppure sostanze capaci di riempire i vuoti dell'impasto e che presentano
il vantaggio di impermeabilizzare i manufatti (caseina, gelatina, emulsioni di cere e/o di resine
naturali e sintetiche, allume, alginati, gomma arabica, derivati cellulosici,etc.). Tali sostanze devono
avere appropriate caratteristiche di base: agire in piccola percentuale, costare poco, non deteriorare,
anche dopo anni, il prodotto finito.
Nel settore delle resine sintetiche in emulsione si sono avuti sviluppi importanti in questi ultimi anni
con l'apparizione sul mercato di prodotti nuovi molto interessanti come le resine poliuretaniche, le
resine acriliche, i lattici di gomma sintetica, i lattici di gomma naturale modificati.
Molti di questi prodotti possono essere impiegati assieme al gesso al quale conferiscono, proprietà
nuove, particolari e di estremo interesse soprattutto per il settore edilizio, ma anche per quello della
ceramica, ed in odontotecnica.
In genere questi agenti di indurimento agiscono meglio se usati in piccole quantità, perché
diversamente possono influire in senso negativo sulla configurazione cristallina e sulla cosiddetta
"feltratura" del gesso.
Prove sperimentali sono sempre necessarie per adattare l'uso delle singole sostanze al tipo di gesso
di cui si dispone ed alle applicazioni alle quali questo è destinato. Si ricordi che in genere i migliori
risultati si raggiungono con combinazioni di vari prodotti e con l'uso, di additivi tra loro
sinergizzanti.
2.9 Impermeabilizzazione del gesso
Per rendere impermeabile il gesso si può agire in vari modi:
a) aggiungere al gesso sostanze con esso reagenti e formanti composti resistenti all'acqua;
b) aggiungere al gesso sostanze con esso reagenti e formanti composti difficilmente solubili;
c) impiegare sostanze idrofobe reagenti con CaO;
d) impiegare sostanze idrofobe non reagenti con CaO.
Le sostanze del primo gruppo sono: cemento ed additivi minerali; quelle del secondo gruppo
possono essere: ossido e doruro di bario, fosfato d'ammonio, cloruro di sodio, ossalato d'ammonio,
acetato di piombo, fluosilicati di magnesio, alluminio e zinco, solfati di ferro, zinco e magnesio.
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Le sostanze del terzo gruppo sono costituite soprattutto da bitumi, resine, oli minerali, gomma, cere;
quelle dell'ultimo gruppo sono saponi alcalini, oli vegetali, resine naturali e sintetiche.
I processi di impermeabilizzazione del gesso più comuni riguardano il trattamento con cere che
possono essere applicate sia allo stato fuso che disciolte in particolari solventi e soprattutto sotto
forma di emulsioni; la protezione all'acqua risulta efficace e l'aspetto del gesso cosi trattato è
esteticamente gradevole, per la possibilità di raggiungere gradi di finitura lucida, opaca, vellutata
molto efficaci. Processi comuni sono anche il trattamento con silicati e soprattutto fluosilicati di
magnesio, zinco, alluminio con i quali si raggiungono anche effetti di indurimento di buona
resistenza a molti agenti chimici.
Opportune resine sintetiche costituiscono il mezzo più efficace e più interessante per rendere il
gesso resistente all'umidità ed all'acqua con il contemporaneo miglioramento di altre caratteristiche
quali la resistenza meccanica e la durezza.
L'impiego di resine sintetiche apre un campo nuovo nelle applicazioni industriali dei manufatti in
gesso. Resine anioniche melamminiche, resine polimeriche melammina-urea, melammina-
formaldeide, urea formaldeide, oltre a migliorare le caratteristiche di resistenza meccanica dei
prodotti, in particolare della resistenza a compressione, ne migliorano anche la resistenza alla
fiamma, agli sbalzi termici e permettono un tempo di lavoro più lungo, perché rallentano la presa.
Altre resine impiegate sono le resine fenolo-formaldeide, resorcina-formaldeide e le resine
acetoviniliche. Queste ultime presentano il vantaggio di un basso costo in realizzazione alle notevoli
caratteristiche di resistenza, durezza, impermeabilità, durata, isolamento termico e acustico, ritardo
della presa, che si possono ottenere in manufatti di gesso con esse preparati.
Molto spesso alle emulsioni viniliche vengono aggiunte opportune sostanze atte a migliorare le
caratteristiche del prodotto finito; ad esempio: allume, borati, alginati, bicromati, amido, solfato di
alluminio, superfluidificanti. speciali, etc.
I polimeri acrilici in emulsione portano a risultati superiori dei polimeri vinilici, perché, oltre a
conferire le caratteristiche di resistenza meccanica e di impermeabilità sopra indicati, agiscono da
ottimi agenti ritardanti o acceleranti (a seconda dei tipi impiegati) del tempo di presa. L'impiego di
questi prodotti, sia da soli che in combinazione con altri additivi organici ed inorganici, deve essere
considerato e sperimentato attentamente da parte degli utilizzatori del gesso, perché consente di
raggiungere risultati molto interessanti in tutte le applicazioni del gesso dalle malte, ai prefabbricati,
ai pannelli isolanti, ai rivestimenti ed intonaci.
Anche le resine furaniche vengono impiegate per impregnare le superfici dei manufatti in gesso
conferendo agli stessi, oltre ad una notevole impermeabilità, anche un'elevata durezza, resistenza
alla compressione ed agli agenti chimici.
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2.10 Additivi speciali per il gesso
Con il termine di "additivo" si intendono tutte quelle sostanze aggiunte all'atto dell'impasto con lo
scopo di modificare una o più proprietà del gesso fresco e indurito.
In base alla loro azione questi "additivi" si distinguono in acceleranti, ritardanti la presa (che
abbiamo già esaminato in precedenza) riduttori di acqua fluidificanti, plastificanti, idrofughi,
aeranti, inibitori della dilatazione, disaeranti, fungicidi, germicidi, insetticidi.
L'impiego di uno o più additivi non va inteso alla stregua di un accorgimento che consenta di
eludere i principi che sono alla base dello studio di un buon "gesso", ma è giustificato quando si
debbono conferire proprietà che non sia possibile conseguire in altro modo o in modo altrettanto
economico.
Nella scelta è bene tenere presente che un additivo ha quasi sempre azione plurivalente e che i
prodotti commerciali sono in gran parte miscele di più ingredienti; perciò oltre agli effetti principali,
si debbono attendere altri secondari che nella particolare situazione d'impiego potrebbero risultare
indesiderati. Il dosaggio richiede un accurato controllo, perché le quantità usate sono molto piccole
ed un eccesso si rivela sempre dannoso o per la resistenza o per altre proprietà.
Fluidificanti e superfluidificanti. Comprendono sostanze ioniche e non ioniche; le prime sono le più
usate e contengono nella molecola gruppi (CHOH; OH; COOH; OC; COH) che interagiscono con
la superficie delle particelle di gesso e consentono alla molecola di additivo di restarvi agganciata.
Poiché si tratta di sostanze a carattere prevalentemente anionico, le particelle di gesso assumono un
potenziale negativo e si circondano di film di molecole di acqua orientate. Di conseguenza le
particelle non possono avvicinarsi oltre un certo limite, la pasta non ha tendenza a flocculare e la
mobilità relativa è facilitata. Si è anche accertato che le stesse sostanze agiscono sull'andamento
delle reazioni di idratazione del solfato di calcio e sulla struttura iniziale di cristallizzazione, la
quale, come si è detto, è di preminente importanza ai fini delle resistenze meccaniche finali.
Gli additivi anionici si distinguono in due categorie, alla prima appartengono gli acidi
ligninsolfonici ed i loro sali di Ca, Na, Mg, NH4; alla seconda gli acidi idrossicarbossilici ed i loro
sali di Ca, Na, i polimeri idrossilati. Gli additivi delle due categorie sono sia fluidificanti che
ritardanti o acceleranti, i primi però si comportano anche da deboli aeranti che consentono di
inglobare dal 3 al 5% di aria. Le modifiche del tempi di "presa" sono ottenute mediante aggiunte di
uno o più tipi di acceleranti o ritardanti di cui abbiamo parlato in precedenza. Meno impiegati a
questo scopo sono i preparati a 'base di sostanze non ioniche; essi sono a prevalente azione
ritardante e sono costituiti da zuccheri, polisaccaridi, destrine, derivati solubili della cellulosa e di
resine siliconiche.
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Per quanto riguarda l'azione fluidificante è possibile ridurre l'acqua d'impasto, a parità di
lavorabilità, dal 10 al 15-20% in relazione al tipo di additivo, al suo dosaggio, al contenuto di gesso.
I superfluidificanti si distinguono dai normali fluidificanti solo da un punto di vista quantitativo; la
riduzione del rapporto acqua/gesso che mediamente è del 10% per un fluidificante, raggiunge il 30-
50% ed oltre per un superfluidificante.
Se si tiene conto dell'enorme influenza del rapporto acqua/gesso sulla struttura dell'impasto di gesso
e sulle caratteristiche del prodotto indurito, si può comprendere l'importanza del ruolo giocato dai
superfluidificanti sia dal punto di vista teorico che da quello pratico.
In linea di massima il dosaggio di un fluidificante o di un superfluidificante è dell'ordine dell'1-3%,
rispetto alla massa (al peso) del gesso; aumentando questo rapporto fino a raggiungere il 10%, la
riduzione del rapporto acqua/gesso può arrivare a valori superiori al 50%. Dosaggi maggiori non
sono consigliabili, perché non si ottengono risultati migliori di quelli indicati.
I prodotti principali sui quali si basano la maggior parte dei superfluidificanti sono dei polimeri di
sintesi quali il naftalinsolfonato condensato con formaldeide e la trimetilolmelammina solfonato
condensata con formaldeide.
Ciascuno dei due polimeri può essere a sua volta mescolato con altri prodotti per ottenere
superfluidificanti di tipo normale, accelerante o ritardante. In realtà le modificazioni possono essere
apportate sia aggiungendo ai polimeri altri prodotti, sia intervenendo nel processo di sintesi per
modificare la lunghezza del polimero o il numero dei gruppi solfonici oppure per introdurre gruppi
sostituenti o per variare l'anello naftalinico con altri gruppi aromatici.
A differenza degli altri additivi, per i fluidificanti e superfluidificanti per gesso non esistono molti
dati riportati nella letteratura scientifica che riguardi l'influenza dei prodotti sulla idratazione del
gesso, mentre è più ricca la letteratura tecnica concernente l'effetto dei prodotti commerciali
soprattutto sulle proprietà tecnologiche del gesso indurito.
Aeranti. Sono sostanze che consentono di inglobare negli impasti di gesso aria sotto forma di bolle
minutissime. Essi contengono nella molecola gruppi idrofobi non polari, spesso di natura
idrocarburica, terminanti con gruppi polari idrofili come COO-; SO3H; NH3-: I più comuni sono i
sali alcalini di estratti resinosi di legno di pino, l'abietato sodico, i solfonati arilalchilici, i sali di
etanolammine, quelli di acidi poliidrossicarbossilici ed i sali di calcio di proteine.
All'interfaccia aria-acqua la molecola dell'aerante si orienta con il gruppo idrofilo verso la fase
acquosa e con il gruppo idrofobo verso l'aria e ciò determina un abbassamento della tensione
superficiale che favorisce la formazione di bolle in gran numero e di piccolo diametro,
All'interfaccia acqua/gesso i gruppi idrofili si fissano sul solido con i gruppi idrofobi orientati verso
la fase acquosa cosicché le particelle di gesso acquistano carattere idrofobo e non trattengono le
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molecole di acqua. Le bolle di aria hanno quindi la possibilità di spostare l'acqua e di rimanere
attaccate alle particelle di gesso.
Il volume di aria inglobata e la distribuzione delle bolle dipendono principalmente dalla natura e
quantità di additivo, dal metodo e dalla durata del miscelamento, dalla temperatura dell'impasto, dal
rapporto acqua/gesso, dal contenuto di acqua. La quantità di additivo è sempre molto bassa e si
aggira tra 0,2 e 0,6% sul peso del gesso. L'aria inglobata agisce negli impasti di gesso come un
fluido esaltandone la plasticità e la lavorabilità ai quali, purtroppo, fa riscontro, nel gesso indurito,
una minore resistenza meccanica.
L'impiego degli aeranti è sfruttato largamente per la produzione del gesso espanso spugnoso.
Altre categorie di additivi. Gli "idrofughi" in base al meccanismo di azione si distinguono in
sostanze che agiscono occludendo i pori più grossolani ed in sostanze idrorepellenti che riducono le
forze capillari. L'occlusione dei pori è realizzata impiegando polveri inerti che possono essere
quelle già citate nel paragrafo della "impermeabilizzazione del gesso" e altre come ad esempio il
solfato di bario (raccomandato nel caso in cui si richiede elevato peso specifico) o aggiungendo
sostanze che reagiscono nell'ambito dell'impasto con formazione di composti insolubili (silicati o
fluosilicati alcalini, silice reattiva, cloruro di alluminio).
Gli additivi idrorepellenti consentono di limitare la capacità di assorbimento e di trasmissione di
acqua; i più noti sono saponi di calcio o alcalini, stearato di alluminio, di sodio o di ammonio, oli
vegetali, acidi grassi, cere, emulsioni cerose o bituminose, prodotti di demolizione di sostanze
proteiche. Di maggiore diffusione sono però gli stearati e le miscele di silicati alcalini con oli
vegetali, con acidi grassi e con prodotti di origine proteica.
Quando in un impasto, per una qualsiasi ragione, sia stata inglobata un'eccessiva quantità di aria si
può ridurre l'inconveniente con l'impiego di un "disaerante"; molte sono le sostanze a tale scopo
proposte, ma la più efficace si è dimostrata il fosfato tributilico.
Un impasto indurito al quale siano stati aggiunti fenoli polialogenati, composti del rame e del
mercurio, acquista in una certa misura proprietà germicida, fungicida, insetticida.
2.11 Il gesso come additivo del cemento
Il gesso esercita sostanzialmente due tipi di azioni quando viene impiegato nella preparazione del
cemento. Se il gesso viene aggiunto al clinker di cemento, generalmente durante la macinazione del
clinker, la sua azione si esplica con un ritardo della presa dell’impasto mediante un’azione di
controllo delle reazioni iniziali di presa del cemento Portland e per questo scopo è ampiamente
usato nell’industria del cemento. Se invece il gesso entra a far parte di una miscela cruda per
cemento, cioè se viene anch’esso caricato nel forno assieme ai componenti grezzi di una miscela per
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cemento, la sua azione viene definita “mineralizzazione”. La presenza del solfato di calcio si
manifesta attraverso una modificazione nelle specie e nella quantità dei costituenti normali di un
cemento, migliorando le caratteristiche di impiego del clinker che, in questo modo, può essere
prodotto ad una temperatura inferiore rispetto a quella necessaria per il processo normale.
Il meccanismo con il quale si sviluppa l’azione ritardante del gesso sulla presa del clinker di
cemento Portland non è completamente conosciuto; il gesso reagisce con l’alluminato tricalcico per
formare due composti complessi praticamente insolubili; il trisolfoalluminato di calcio ed il
monosolfoalluminato di calcio. Questi solforali, secondo la teoria più accreditata, avvolgono con un
film protettivo semipermeabile i granuli di cemento, ritardandone l’idratazione. La quantità di gesso
aggiunta influenza, oltre al tempo di presa anche altre caratteristiche del cemento quali la resistenza
a compressione, il ritiro durante l’essiccamento, l’espansione ritardata del calcestruzzo quando la
quantità aggiunta è elevata, la velocità di liberazione del calore durante la presa del calcestruzzo. E’
stato provato che l’aggiunta del gesso aumenta l’efficienza di macinazione del clinker, valutata
come variazione della superficie specifica dei prodotti macinati.
2.12 L’intonaco
L'intonaco è uno strato di rivestimento protettivo delle murature. Esso, oltre alla funzione
protettiva, assume, talvolta, una funzione estetica.
L'intonaco è tradizionalmente una malta composta da una parte legante (indurente) che ingloba
sabbia di dimensione granulometrica selezionata con diametro massimo generalmente non superiore
ai 2 millimetri. Negli intonaci moderni, inoltre, sono presenti sostanze additive (ad esempio
cellulosa, amido, fumo di silice ecc.) aggiunte con lo scopo di modificare le caratteristiche
dell'intonaco.
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Gli intonaci più applicati sono costituiti da due strati: il rinzaffo od intonaco rustico che serve a
compensare le diseguaglianze e a dare al rivestimento la necessaria resistenza, e la stabilitura od
intonaco civile che serve a regolarizzare la superficie dell’intonaco rustico. In genere si adopera il
gesso da intonachi tenendo presente che maggiore è la sua finezza e più compatto e resistente risulta
il lavoro.
Per il rinzaffo o sottofondo si impiegano le quantità più correnti e granulose di gesso, miscelato ad
un uguale quantità di sabbia fine e quarzosa e aggiungendo eventuali pigmenti colorati nel caso che
l’intonaco civile o di finitura debba risultare colorato.
Per l’intonaco civile si ricorre invece all’uso di gesso da intonachi in grana quanto più fine
possibile, senza alcuna aggiunta in sabbia, impiegando per la sua idratazione una quantità di acqua
non superiore al 50÷60% in modo da ottenere una buona resistenza finale e quindi una maggiore
durezza.
Modificando l’impasto di acqua e gesso con l’aggiunta di pasta di calce bianca (grassello) in
proporzione di 1 p. di gesso e 2÷3 p. di calce, si ottiene una malta bastarda che da un intonaco
superiore per durezza e resistenza. Il gesso per quanto sia presente in piccola misura non compie la
parte meno importante perché serve ad accelerare la presa dell’impasto, ad assicurare la perfetta
aderenza, ad attivare l’essiccazione e ad aumentarne la resistenza. Inoltre la malta bastarda,
suddetta, permette l’esecuzione di intonachi di finitura lisci e perfetti. Aggiungendo a tale miscela
una piccola quantità di cemento idraulico o Portland, l’intonaco acquista una perfetta resistenza
all’acqua ed all’umidità tanto da poter essere impiegato anche per lavori all’esterno. Sostituendo
nelle malte suddette, al gesso da muratore il gesso idraulico si ottengono impasti di meno rapida
essiccazione e quindi di più comoda lavorazione per dare finezza ed esattezza all’insieme. Il gesso
idraulico rende altresì il manufatto più duro e resistente all’umidità.
Quando la malta di gesso deve servire per intonachi bianchi si può mescolare un quinto di polvere
di marmo o carbonato di calce, senza pregiudizio della sua presa, con vantaggio invece della
uniformità e del suo colore.
Per ottenere intonachi colorati si mescolano, alle malte suddette, ossidi colorati in misura no
superiore al 10%, rispetto al gesso, in modo da non nuocere alla efficacia della presa e quindi della
durezza finale.
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Intonachi leggeri si ottengono mescolando alle malte di gesso suddette, vermiculite o perlite
espansa, di grana più o meno sottile. Malte leggere si ottengono anche con fiorette di amianto; esse
si prestano in modo particolare per l’intonacatura dei soffitti. La massa totale di tali intonachi non è
così bassa come quella degli impasti con vermiculite, ma in compenso questi permettono spessori
nettamente minori. Nella maggior parte dei casi sono sufficienti intonachi dello spessore di 5÷6
mm.
2.13 Altri impieghi del gesso
Blocchi per tramezze
Per la costruzione di pareti divisorie si impiegano, da noi, blocchi e lastre piane, oppure forate, in
conglomerato cementizio areato, oppure in conglomerato leggero di pomice; questi blocchi hanno
dimensioni maggiori di quelle dei laterizi forati e pertanto richiedono per la messa in opera minore
tempo e minore malta. All’estero, oltre alle lastre suddette, vengono usate molto più diffusamente le
lastre e i blocchi prefabbricati in gesso semplice od espanso, misto a segatura di legno, fibre di
cocco, canna da zucchero, setole, granuli di sughero od altri materiali analoghi. La ragione di tale
preferenza accordata è dovuta al fatto che in alcuni paesi il gesso costa meno del cemento e del
laterizio, ed inoltre tanto la fabbricazione che la utilizzazione del gesso è stata oggetto di attenti
studi e ricerche che hanno messo in luce le pregevoli caratteristiche di tale materiale e le sue infinite
possibilità di trasformazione superficiale e profonda, per renderlo più idoneo agli usi specifici cui è
destinato. Infatti con uno studio appropriato degli impasti e con una organizzazione razionale dei
cicli lavorativi è possibile portare la produzione dei manufatti in gesso su di un piano altamente
produttivo e redditizio, con notevole risparmio di tempo, di lavorazioni complicate e laboriose e di
mano d’opera nei confronti delle corrispondenti lavorazioni a cui debbono essere sottoposti i
conglomerati cementiti. Conseguentemente anche il costo finale dei manufatti in gesso viene ad
essere ridotto in modo così sensibilmente da risultare inferiore a quello dei corrispondenti manufatti
in laterizio o cemento, i quali peraltro si trovano in netto svantaggio sul piano delle caratteristiche
naturali. Il tipo di malta da impiegare per la costruzione dei blocchi è quella preparata con gesso da
muratore o gesso comune, idratato in modo da garantire la massima resa, e misto a sabbia fine
lavata e depurata nella quantità di 1 p. di sabbia per ogni 6÷10 p. di gesso.
Alla malta suddetta si unisce dal 10 al 20% di calce grassa spenta, la quale oltre a reagire con la
silice della sabbia formando un silicato monocalcico duro e impermeabile, favorisce sensibilmente
le ulteriori operazioni di indurimento a cui si sottopongono questi manufatti. I materiali di
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riempimento e di rinforzo sono costituiti da fibre di cocco e di canna da zucchero, setole, paglia,
stoppa, segatura di legno, granuli di sughero, mica in fibre, vermiculite, rete, fili, piattine e tondini
metallici di vario tipo.
Le dimensioni normali dei blocchi sono comprese fra i 20÷30 cm di altezza ed i 40÷50 cm di
lunghezza, mentre la larghezza può essere di 10, 15, 20 e 25 cm.
Lastre per tramezze
Le lastre si differenziano dai blocchi per le dimensioni maggiori e lo spessore minore. In genere
esse misurano 40÷50 cm di altezza, 60÷65 cm di lunghezza e spessore variabile da 5 a 15 cm.
Quando le lastre sono destinate alla costruzione di pareti isolanti esterne ed interne, da appoggiare
direttamente sulla muratura in pietra o calcestruzzo oppure ossature in legno, le loro dimensioni
possono raggiungere i 100÷200 cm di lunghezza, mentre la larghezza viene ridotta a 25÷30 cm e lo
spessore a 5÷6 cm. Gli orli delle lastre sono sagomati a forma di incastro a battente od a coda di
rondine, in modo da permettere la rapida e perfetta unione dei diversi elementi. L’armatura interna
delle lastre è costituita da intrecci di fibre vegetali lunghe e resistenti miste eventualmente a granuli
ed a fibre più corte per diminuire il peso del manufatto. Per accrescere la resistenza agli urti
(resistenza trasversale) ed alle vibrazioni si impiegano carte speciali, tele collate e reti metalliche
che si dispongono sulla malta di gesso alternandole a questa in più strati sovrapposti. Se le lastre
devono sopportare carichi o pressioni rilevanti e debbono resistere a continue e discrete
sollecitazioni meccaniche, si deve provvedere ad annegare nella malta di gesso e fibre vegetali, dei
tondini o piastrine di ferro zincato intrecciati fra loro o con fili più sottili, in modo da costituire una
solida armatura metallica. La formatura delle lastre si effettua a mano per compressione in stampi
metallici oppure, per produzioni di un certo rilievo, con apposite macchine dette calandre. Il
montaggio delle lastre può avvenire a secco, quando la tramezza od il rivestimento deve essere
smontabile, mentre per costruzioni fisse si impiega malta di gesso fluida o preferibilmente gli
stucchi di gesso plastico od i mastici di gesso, a cui si possono miscelare fibre corte di cocco, sisal o
manilla per ottenere un bloccaggio più stabile ed elastico. L’applicazione più interessante delle
lastre è costituita dalla costruzione delle doppie pareti, nelle quali si può elevare sensibilmente il
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potere isolante e fono-assorbente riempiendo l’intercapedine con materassini di lana di vetro o
minerale oppure di vermiculite o perlite espansa (racchiuse in involucri di plastica in modo da
formare una specie di cuscinetto). Le costruzioni a doppia parete in lastre di gesso sono
particolarmente indicate per porte e serramenti scorrevoli dove realizzano la duplice funzione di una
più facile ispezionabilità degli elementi interni e di un sensibile smorzamento dei rumori.
Pavimentazioni in gesso
L’impiego del gesso per pavimentazioni è alquanto limitato date le sue caratteristiche negative per
tale genere di lavoro dove si richiede una elevata resistenza alle sollecitazioni meccaniche ed una
spiccata impermeabilità ai liquidi. Esso trova invece una vasta applicazione nelle formulazioni
leganti, mastici e cementi per pavimentazioni di fabbricati rurali ed industriali dove esercita una
duplice funzione di riempitivo od aggregato minerale e di migliorante delle composizioni. Ma
l’applicazione più importante del gesso nel campo delle pavimentazioni è quella riguardante
l’attenuazione dei rumori negli edifici civili ed industriali. Inoltre le pavimentazioni in gesso
costituiscono un sottofondo ideale, migliore di quello in conglomerato cementizio, per rivestimenti
o coperture di linoleum, gomma e laminati plastici in genere.
Dobbiamo infine notare che adoperando gesso da pavimenti di ottima qualità si possono ottenere
pavimentazioni esenti da efflorescenze e da fessurazioni, dotate di elevato potere isolante e perfetta
incombustibilità, ed aventi una resistenza alla compressione di 1100 N/cm2 dopo 7 giorni e 1700
N/cm2 dopo 28 giorni.
38
Gesso espanso
E’ un particolare tipo di gesso ottenuto facendo subire al comune gesso dei trattamenti, fisici o
chimici, che portano alla formazione di pori regolarmente distribuiti e tutti di eguale dimensione
(mediamente dell’ordine del millimetro). E’ largamente diffuso negli Stati Uniti e in molti paesi
europei dove viene utilizzato per realizzare lastre leggere per tramezze e pannelli isolanti per
rivestimenti, divisori e soffittature. In Italia il suo uso è limitatissimo ed è quindi molto difficile
reperire letteratura tecnica in merito a questo materiale, soprattutto se si tiene conto che i
procedimenti per la sua realizzazione sono coperti da brevetti. In line generale i metodi realizzativi
sono sostanzialmente due:
• Produzione nell’impasto fresco di gesso, di un gas capace di svilupparsi e diffondersi
con uniformità. Si ottiene così un gesso espanso gassoso.
• Introduzione nella pasta di gesso, di una schiuma composta di bolle d’aria che si
mescolano poi intimamente alla pasta stessa. Si ottiene così un gesso espanso
schiumoso.
Per il gesso espanso gassoso sarà necessaria la formazione di una reazione chimica che produca del
gas e che la sua pressione sia tale da non fuoriuscire dalla pasta. Ciò può essere ottenuto:
1. Introducendo nella pasta due composti che reagiscono tra loro producendo gas in
presenza dell’acqua utilizzata per l’idratazione.
2. Impastando il gesso con calce grassa spenta e incorporando alla massa ottenuta
un solo prodotto chimico capace di reagire, in presenza dell’acqua, con la calce
dando luogo alla formazione di gas.
Riportiamo alcune delle possibili reazioni:
H2O2 + CaOCl2 → CACl2 + H2O + O2
C2Ca + 2 H2O → C2H2 + (CaOH)2
Oppure è possibile utilizzare delle polveri metalliche finemente suddivise, capaci di reagire con la
calce libera, presente nell’impasto di gesso, con formazione di un sale di calcio e svolgimento di
idrogeno.
39
Per la produzione del gesso espanso schiumoso può essere usato un qualsiasi prodotto schiumogeno
(resine viniliche, saponi insensibili alla calce, soluzioni di albumina, saponi resinosi, ecc), ma
poiché la presenza dell’acqua d’idratazione produce un abbassamento della tensione superficiale, è
necessario aggiungere un prodotto stabilizzatore che assicuri la stabilità delle bolle d’aria durante le
varie operazioni di impasto del gesso.
La caratteristica essenziale del gesso espanso è la sua leggerezza accoppiata, conseguentemente, ad
un elevato potere isolante termico ed acustico. A tale proprietà se ne aggiungono altre come: la
chiodabilità, la segagione, la buona resistenza all’umidità ed al fuoco. Purtroppo alle caratteristiche
positive suddette fa riscontro un difetto capitale, quello della fragilità e scarsa resistenza meccanica.
Tuttavia è possibile diminuire la fragilità incorporando nella massa spugnosa opportuni materiali
leggeri di rinforzo quali: lana, fibre e trucioli di legno, paglia, fibre vegetali varie.
Condotte per impianti di condizionamento
Tali canalizzazioni vengono realizzate con impasti di gesso finissimo addizionati quasi sempre con
soluzioni di resine sintetiche o di colle in modo da migliorarne le caratteristiche meccaniche e
soprattutto da rendere le superfici dei manufatti più omogenee e compatte. Questo tipo di canali
risultano più economiche e migliori dal punto di vista tecnico rispetto a quelle in lamiera. La
resistenza del manufatto è affidata alla presenza di un continuo e sottile materassino in fibre
vegetali, oltre che alla presenza di un’armatura di tondino in ferro zincato, opportunamente
distribuita e sagomata, che garantisce la rigidità e permette l’agganciamento alla struttura muraria.
40
Tali elementi possono essere realizzati in maniera semplice ed economica nella forma e dimensione
richiesta dal progettista, garantendo facilità e rapidità di montaggio, ed inoltre gli elementi
costituiscono condotte esteticamente perfette che non richiedono alcun mascheramento. Sempre per
esigenze estetiche è possibile assegnare esternamente una sezione costante e far variare per
necessitò funzionali la sezione interna. Viene inoltre completamente eliminata la trasmissione di
rumore dovuta ai ventilatori e fortemente ridotta la trasmissione della rumorosità attraverso l’aria,
soprattutto nei canali a doppia sezione con interposizione di un materassino di materiale fono-
assorbente. Il fattore di assorbimento acustico per queste condotte, alle frequenze interessate, si
aggira sul valore di 0,7.
Stampi in gesso
Si usano per pezzi di alta precisione dimensionale come valvole, ingranaggi e pezzi molto piccoli
come ornamenti fino ad 1 gr. Si usano anime in Al, Zn, ottone o resine termoindurenti (no legno),
ricoperte con gesso e acqua (più aggiunte di stabilizzanti come silice). Una volta che il gesso ha
solidificato, si rimuove l’anima e si disidrata. I pezzi dello stampo vengono assemblati e scaldati a
120°C per 16 ore. Questi stampi hanno bassa permeabilità ai gas e si usano con colate in pressione o
sotto vuoto. Si aumenta la permeabilità con processi in autoclave o gesso con schiume. Gli stampi
in gesso si usano fino a 1200°C, cioè leghe basso fondenti.
Gesso nell’odontotecnica
Fra i vari materiali da impronta e da modello il gesso è quello che vanta la più antica diffusione
poiché, oltre al basso costo ed alla facilità di impiego, offre dei particolari vantaggi, quando se ne
sappia sfruttare appieno le pregevoli caratteristiche. Come gesso da impronta si impiega l’alabastro
gessoso ed anche il gesso precipitato ridotto in polvere finissima. Si impasta con acqua nelle
proporzioni consuete e la poltiglia fluida si versa in un apparecchio speciale, detto porta impronta, il
quale viene introdotto nella bocca del paziente. Ivi deve essere tenuto fermo fortemente, fino a che
il gesso abbia completato la presa.
Per evitare di tenere il gesso troppo a lungo nella bocca del paziente ed impedirgli lo stimolo al
vomito, si uniscono al gesso piccole quantità di catalizzatori positivi in modo da accelerarne la
presa. Tra le sostanze idonee allo scopo andranno scelte quelle innocue e che non irritano il paziente
come: solfato di potassio, il cloruro di potassio, l’allume, ecc. E’ inoltre pratica comune introdurre
sostanze aromatiche all’impasto di gesso che lo rendono più gradevole.
41
Il gesso da impronta deve essere più tenero del gesso da modello al fine di facilitare la separazione
del modello dall’impronta. Per rendere più tenero il gesso da impronta lo si mescola con sostanze
estranee polverizzate, ad esempio: sabbia arenaria, pietra pomice in polvere finissima, perlite, ecc.
Dall’impronta negativa si può formare, in modo assai semplice, un’impronta positiva (modello), la
quale rappresenta una copia fedele della mascella e serve per la preparazione della protesi. Il gesso
per modelli deve risultare, dopo la presa, molto duro in modo da resistere alle varie sollecitazioni a
cui va soggetto durante le fasi di preparazione della protesi. Un’ ottima composizione di gesso per
modelli è la seguente:
Gesso da dentisti: p 95
Borace: p 0,05
Solfato di potassio: p 0,5
Marmo in polvere finissima: p 1,5
Quarzo in polvere finissima: p 3
La presa avviene in mezz’ora e dopo una o due ore la massa acquista una resistenza di 70 N/mm2.
Gesso nell’ortopedia
Le garze o bende usate soprattutto in medicina e chirurgia per ottenere fasciature protettive rigide, si
preparano immergendo, al momento dell’impiego, i rotoli di garza in un impasto di gesso finissimo
(gesso da forma) misto a piccole quantità di sostanze agglutinanti che ritardano convenientemente il
tempo di presa ed aumentano la plasticità e la resistenza.
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Una composizione molto efficace è la seguente:
Allume…………………………………p. 1 Butirrale di polivinile………………….p 25 Alcole a 95°…………………………....p 650 Disutile ftalato…………………………p 5 Gesso da forma, finissimo……………..p 320
3 Cemento magnesiaco o Sorel
Altro legante aereo, ma di modesto uso pratico, è rappresentato dal cemento magnesiaco detto
anche di Sorel, ottenuto impastando ossido di magnesio, del tipo leggero, con soluzioni concentrate
di cloruro di magnesio; attraverso una reazione sensibilmente esotermica si ha formazione di una
massa costituita da ossicloruro di magnesio idrato la cui formula più probabile è 3MgO . MgCl2
·xH2; un prodotto analogo si può ottenere da ossido di magnesio e soluzioni di solfato di magnesio.
Altri ossicloruri sono possibili e la composizione dipende dalla temperatura raggiunta nella
preparazione dell'ossido, dal tempo di contatto con la soluzione di cloruro, ecc; l'idrossicloruro
sopra indicato, con 8 o 11 moli di acqua, viene detto anche del tipo 3 perchè tale risulta il rapporto
fra le moli di Mg(OH)2 e di MgClz.
L'ossido di magnesio si può ottenere calcinando il carbonato di magnesio e le caratteristiche del
prodotto sono legate alla temperatura raggiunta nella calcinazione, alla grossezza delle particelle,
alle impurezze presenti; l'ossido di magnesio da usare deve essere del tipo leggero, cioè ottenuto da
cotture a relativamente bassa temperatura e non del tipo pesante, usato ad es. per refrattari; la
presenza di calce risulta di solito dannosa perchè abbassa le caratteristiche meccaniche e la
durevolezza dei manufatti e può provocare sensibili variazioni di volume. La presenza di altri
cloruri (di calcio, di ferro, ecc) di solito non interferisce ed a volte può contribuire allo sviluppo di
resistenze meccaniche elevate.
Per la preparazione dei manufatti l'ossido di magnesio, eventualmente mescolato con inerti, con
aggregati, ecc, viene impastato con soluzione concentrata di cloruro di magnesio; l'impasto si pone
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in opera in maniera analoga a quella seguita per gli altri leganti. La massa fa presa ed indurisce in
poche ore sviluppando resistenze anche dell'ordine di 400-600 kg/cm2.
Per esposizione prolungata ad ambienti fortemente umidi i manufatti subiscono alterazioni (lenta
idrolisi); se l'esposizione agli elevati tenori d'umidità è di breve durata o saltuaria le caratteristiche
di resistenza del prodotto non vengono sensibilmente influenzate perchè nei periodi durante i quali
il materiale si viene a trovare in presenza di tenori più bassi di umidità esso tende a riprendere lo
stato e le caratteristiche iniziali. Per evitare alterazioni da parte dell'umidità si possono
impermeabilizzare superficialmente i manufatti con olio, con cere. Le soluzioni cloridriche usate
nella preparazione dei manufatti possono provocare corrosioni di parti ferrose eventualmente
presenti; nel porre in opera il cemento magnesiaco occorre infatti prevedere la protezione di tali
parti (tubi, ecc.) rivestendole con guaine o ricoprendole con vernici anticorrosive.
Il cemento magnesiaco è in grado di legare saldamente fra loro materiali diversi (legno, trucioli,
segatura, fibre, ecc); si possono così ottenere manufatti con proprietà fisiche, meccaniche, ecc.
differenti usando riempitivi ed aggregati diversi. Il cemento magnesiaco trova impiego nella
preparazione di materiali da costruzione (pannelli, marmi artificiali, pannelli per soffittature,
isolanti termici), nella preparazione di sottofondi per pavimenti, di mattonelle, nell'agglomerazione
di polveri abrasive, ecc.
4 La calce
L'uso della calce come legante è antichissimo; tracce del suo impiego si trovano in costruzioni del
vecchio Egitto, della civiltà minoica, nelle rovine di Troia, nei muri dell'antica Grecia e dell'antica
Roma.
Col nome di calce si indica correntemente sia l'ossido di calcio (o calce viva), ottenuto dalla cottura
dei calcari, sia l'idrato di calcio (o calce spenta), ottenuto dalla idratazione dell'ossido di calcio.
La calce viva se pura è costituita da solo ossido di calcio; però spesso contiene percentuali più o
meno sensibili di ossido di magnesio o di altre impurezze derivanti sia dal calcare che dal
combustibile usato per la cottura. Si presenta sotto forma di pezzi o di polvere amorfa incolore, di
peso specifico 3,2÷3,3, fonde a circa 2500 °C; ha una solubilità di 1,27 g CaO/l di acqua, a 16 °C,
che si riduce a 0.97 g/l a 50° ed a 0.54 g/l a 100 °C. La soluzione satura a temperatura ambiente
presenta un pH di 12,3 circa; a temperature più elevate il pH è minore data la diminuzione del
contenuto di calce presente nella soluzione satura. La solubilità della calce è più elevata nelle
soluzioni acquose di glicerina o di zucchero; così una soluzione al 35% di zucchero a 25 °C scioglie
44
circa 100 g/l di CaO. Esposta all'aria la calce sfiorisce, reagisce cioè con l'umidità e con la CO2
dell'aria trasformandosi in una massa polverulenta contenente idrato e carbonato di calcio.
Reagendo con l'acqua, a seconda della quantità di questa, dà calce idrata in polvere, o grassello o
latte di calce.
4.1 Materie prime
Per la preparazione della calce si parte dai calcari costituiti essenzialmente da carbonato di calcio,
CaCO3; questo è un minerale largamente diffuso in natura dove esiste nelle due forme di calcite e di
aragonite; la prima romboedrica, stabile a bassa temperatura ha durezza 3, la seconda, meno
frequente, si forma a temperature superiori ai 30 °C, ha densità e durezza maggiore della
precedente. Il carbonato di calcio è un costituente fondamentale delle rocce sedimentarie formatesi
per precipitazione da acque, salate o dolci, o per accumulo di resti fossili più o meno metamorfosati.
Allo stato naturale il carbonato di calcio si presenta in forma criptocristallina che però a seconda del
diverso stato di cristallizzazione e delle impurezze che l'accompagnano assume grande varietà di
tipi: calcari ordinari, argillosi, marnosi, silicei, bituminosi, ecc. Si distinguono sostanzialmente due
gruppi di rocce calcaree, quelle ad elevato tenore di calcite e quelle dolomitiche, contenenti fino al
45% di carbonato di magnesio; queste rocce sono sempre accompagnate da percentuali più o meno
piccole di impurezze: ossidi di ferro, fosfati, solfati, sostanze organiche.
Allo stato microcristallino la calcite forma i calcari compatti risultanti spesso dall'accumulo di resti
di animali marini o da formazioni corallifere.
Il marmo è un calcare ricristallizzato sotto l'influenza di azioni metamorfiche (pressioni e
temperature elevate); possiede una tessitura particolare che gli consente di prendere buona politura.
La creta è un calcare friabile costituito principalmente da residui di foraminifere; può essere molto
puro (98-99% di CaCO3), di colore chiaro, o contenere anche fino al 20% di impurezze acquistando
colore più o meno grigiastro.
La calcite ha peso specifico 2,71, l'aragonite 2,93; i calcari che si trovano in natura hanno peso
specifico 2,65÷2,75, le dolomiti 2,75÷2,90 a seconda delle impurezze, ma soprattutto della porosità,
che di solito è compresa fra l e 2% (alcuni tipi di marmo hanno porosità anche solo di 0.1%).
La solubilità del carbonato di calcio in acqua pura, priva di CO2, è bassissima, dell'ordine di 14÷15
mg/l a temperatura ambiente e cresce con la temperatura fino verso i 100 °C, in corrispondenza dei
quali diviene di 30÷40 mg/l. La presenza nell'acqua di CO2 provoca un aumento di solubilità perchè
dà origine a bicarbonato di calcio, solubile; in ambiente a pressione di l atm di CO2, la solubilità (in
g/l) è:
45
10° 25° 35°
Calcite 1,30 0,94 0,76
Aragonite 1,46 1,06 0,87
tale solubilità cresce all'aumentare della pressione di CO2, fino ad un massimo di 3,93 g/l a 56 atm
di CO2, a 18 °C. La solubilità del carbonato di magnesio è 15÷20 volte maggiore di quella del
carbonato di calcio.
La presenza di sali nell'acqua può provocare sia un aumento che una diminuzione di solubilità,
come indica la seguente tabella:
Si ha anche carbonato di calcio ottenuto per precipitazione (per lo più come sottoprodotto di
lavorazioni chimiche) che si presenta sotto forma di particelle finissime, largamente usato come
filler nell'industria delle vernici, della gomma, della carta, delle materie plastiche, dei dentifrici, ecc.
4.2 Cottura
Per riscaldamento il calcare si dissocia dando calce viva e liberando anidride carbonica:
CaCO3 → CaO + CO2 ------ 42 kcal
100 56 44
46
Per potersi effettuare la reazione (l) richiede calore, circa 420 kcal per kg di calcare o 750 kcal per
kg di ossido di calcio.
Il valore della tensione di dissociazione alle varie temperature è:
Tensione di dissociazione, mmHg 0,41 1,34 22,2 167 760 2942
°C 550 600 700 800 895 1000
Poichè la tensione di dissociazione raggiunge il valore di l atm a 895 °C occorrerà raggiungere tale
temperatura per poter assicurare la completa dissociazione del calcare a pressione atmosferica. Tale
temperatura si abbassa se si opera a pressioni inferiori, cosa che però complica la cottura (in effetti
nei forni regna una leggera depressione causata dal tiraggio);si può anche cercare di favorire
l'eliminazione dell'anidride carbonica mano a mano che si forma così da mantenere nel forno una
sua pressione parziale più bassa; ciò si può ottenere, ad es., bagnando la calce, facendo in modo che
durante la cottura si sviluppi del vapore d'acqua, che oltre a produrre un abbassamento della
pressione parziale della CO2, crea piccole fessure e microporosità nel materiale, le quali ne
facilitano la cottura.
La velocità della decomposizione del calcare è legata alla struttura del materiale da cuocere; essa
raggiunge buoni valori al disopra dei 900 °C. I calcari porosi o fessurati contenenti umidità o
sostanze organiche cuociono più rapidamente di quelli a struttura cristallina, compatti; il calcare
contrassegnato con 4 pur essendo cristallino, a granuli fini, cuoce rapidamente perchè contiene
sostanze organiche che col riscaldamento si decompongono creando porosità.
47
La calcinazione dei calcari non è mai completa perchè, specie se i pezzi sono relativamente grossi,
le parti centrali si calcinano con maggior difficoltà (dato che il calcare è cattivo conduttore del
calore), ed anche per la tendenza alla ricarbonatazione, cioè le parti esterne, superficiali, trovandosi
esposte ai gas di combustione, ricchi di CO2, reagiscono con questa riformando CaCO3. La calce
ottenuta a seconda del tipo di materia prima, delle modalità di cottura, dell'efficienza dei forni,
contiene sempre una piccola percentuale di CaCO3 che può arrivare anche a qualche unità per cento.
La dissociazione procede gradualmente dall'esterno all'interno; perché possa avvenire
completamente anche all'interno dei pezzi occorre il raggiungimento al centro di essi di
sufficientemente alte temperature per favorire oltre che la decomposizione del calcare la fuoriuscita
della CO2; ciò comporta un aumento della temperatura dell'ambiente del forno che può raggiungere
anche alcune centinaia di gradi, se i pezzi da cuocere hanno dimensioni piuttosto grandi.
Con una cottura a temperatura relativamente bassa il prodotto finale è più facilmente idratabile,
contiene ancora parti non cotte; se invece il materiale rimane a lungo nella zona del forno ove la
temperatura è più alta il prodotto risultante è stracotto (calce bruciata), si idrata più lentamente e
rappresenta un prodotto di minor pregio. In pratica la cottura di solito si esegue intorno agli 850-900
°C. Altre caratteristiche del prodotto ottenuto dalla cottura, importanti per i riflessi che hanno sul
suo impiego (reattività, ecc.) sono: densità, porosità, grandezza e distribuzione dei pori. Nelle figure
che seguono è riportata l'influenza esercitata sullo sviluppo dell'area superficiale dalla temperatura
(fig. a) e dalla permanenza del prodotto alle varie temperature (fig. b);si vede che una permanenza
anche prolungata a bassa temperatura esercita una azione modesta sulla riduzione dell'area
superficiale
48
la quale invece decresce rapidamente, anche per permanenze brevi, alle temperature più elevate. Un
riscaldamento brusco del calcare anzichè graduale produce un maggior addensamento del prodotto.
Le impurezze di solito esercitano effetto sfavorevole sulle proprietà del materiale cotto e sulla sua
reattività.
L'aumento della densità apparente e quindi i maggiori ritiri prodotti dalle alte temperature e dalla
maggiore permanenza a temperature relativamente elevate, è dovuto ad un graduale aumento dei
cristalliti; cosi si è riscontrato che calcinando a 900 °C un calcare si ottengono cristalliti di circa 0.1
μ; questi saldandosi gli uni agli altri divengono 10 volte maggiori se la calcinazione si effettua a
1000°C ed ancor più grandi se è condotta a 1100 °C; passando dalle temperature basse di
calcinazione del calcare a quelle più elevate, di sinterizzazione (circa 1500°C), la grandezza di
questi cristalliti cresce di circa 1000 volte. La seguente figura schematizza quanto avviene in un
calcare sottoposto a cottura a temperature crescenti; i piccoli cristalliti di ossido presenti in a
ingrossano gradualmente raggruppandosi in agglomerati sempre più grossi (c e d).
La reattività della calce è caratteristica di fondamentale importanza sia per il prodotto destinato alle
costruzioni che all'industria chimica; tale reattività può essere valutata in base a misure di superficie
attiva, di porosità, di densità, caratteristiche tutte dalle quali essa dipende; infatti, come già detto, a
parità di altre condizioni aumentando la temperatura di calcinazione e prolungandola nel tempo si
49
verifica un graduale progressivo aumento della densità apparente del prodotto, un ingrossamento
dei cristalli, una diminuzione della porosità e tutto ciò porta ad una diminuzione della reattività del
materiale.
I metodi proposti per la valutazione della reattività oltre che sulla determinazione del peso specifico
apparente si possono basare sulla misura della velocità di dissoluzione (determinabile ad es. per
titolazione con acido della calce che passa in soluzione in condizioni standard di operazione) o
sull'andamento della curva temperatura-tempo relativa allo spegnimento che è del tipo indicato in
figura. Quest'ultimo metodo, adottato da normative estere, consiste nel misurare, in funzione del
tempo, l'aumento di temperatura dovuto alla esotermicità della reazione, operando lo spegnimento
in condizioni standard (tipo di apparecchio, finezza di macinazione del prodotto, rapporto CaO/H20,
ecc.). Si ottengono delle curve del tipo di quelle di figura dalle quali si ricava il tempo in minuti
necessario per arrivare alla massima temperatura (tmax) raggiungibile a spegnimento completo e
quello per avere una trasformazione dell'80% (tu).
La cottura in passato si realizzava in forni intermittenti costituiti da camere in muratura o da piccoli
tini muniti inferiormente di una volta a secco sulla quale si ponevano i pezzi di calcare, quelli più
grossi in basso e disposti in modo da lasciar passare i prodotti gassosi destinati al riscaldamento.
Si accendeva poi al di sotto della volta un fuoco la cui intensità si faceva crescere fino a portare il
materiale al color rosso. La calce viva veniva estratta dopo raffreddamento. Tali forni, di piccola
potenzialità, richiedevano un lungo periodo di cottura, 50-100 ore, una forte spesa di mano d'opera
e presentavano una bassa utilizzazione del calore, inoltre la calce non era di buona qualità per la
irregolare distribuzione della temperatura nei vari punti del forno.
50
Oggi si adoperano forni continui, verticali o rotanti; i primi sono formati da un involucro di lamiera
di ferro, rivestito internamente di refrattario e sollevato da terra, sostenuto su robuste colonne, da
come si vede in figura.
Il calcare, sottoforma di pezzi del diametro di 15÷20 cm ed il coke, in pezzi da l0 cm circa, vengono
caricati dall'alto o frammisti o a strati alternati. In un forno si possono distinguere diverse zone e
precisamente, partendo dal basso:
- di raffreddamento, nella quale aria fredda e calce calda si muovono in contro corrente, così che la
calce si raffredda mentre si preriscalda l'aria, che poi si utilizza come comburente;
- di calcinazione, dove si effettua la decomposizione del calcare;
- di preriscaldamento, dove il calcare appena caricato viene riscaldato a spese dei gas di
combustione che salgono e vanno allo scarico.
Mano a mano che il calcare scende attraversa zone a temperatura crescente fino a quella più elevata,
che si ha al di sopra dell'entrata dell'aria nella zona di combustione del coke; esso prima si
preriscalda a contatto dei fumi caldi che salgono e poi si decompone, nella zona di massima
temperatura, infine si raffredda prima di venire scaricato dal forno a contatto dell'aria fredda
aspirata dal basso per tiraggio naturale o forzato del forno.
La calce viva scaricata risulta frammista alle ceneri del combustibile, ciò può non costituire un
inconveniente per molte applicazioni della calce prodotta; per evitare tale inquinamento si può
disporre di uno o più focolari laterali che vengono alimentati con combustibili a lunga fiamma ed
inviano nel forno i prodotti di combustione caldi. Si hanno anche forni muniti inferiormente di
51
griglia ruotante, di tipo simile a quella che si ha nei gassogeni, e che consente uno scarico più
regolare del materiale ed una migliore separazione della calce dalle ceneri.
Si hanno forni a calce alimentati con gas di gassogeno o con gas naturali (metano ecc.) ed anche
con olio combustibile, in questo caso anziché immettere l'olio combustibile nebulizzato si preferisce
di solito gassificarlo iniettandolo in una corrente calda di gas di ricircolo per non avere zone a
temperatura troppo alta.
Questi forni a tino, dell'altezza di 15÷20 m, del diametro di 3÷5 m, possono dare produzioni anche
di 40÷50 t di calce/24 ore. Il consumo di combustibile è dell'ordine dei 18-20 kg/100 kg di calce
viva prodotta (cioè circa il doppio del teorico); i gas uscenti hanno una percentuale di CO2 intorno al
30% ed in molte industrie chimiche tale gas viene utilizzato come fonte di CO2. In questi ultimi
anni ai forni verticali tipici sono state apportate diverse modifiche allo scopo di migliorarne il
rendimento o la qualità della calce, di accrescere la produttività, ecc; si hanno così i forni con due
zone anulari sovrapposte di combustione, i forni rigenerativi ad equicorrente, ecc.
Si possono usare anche forni rotativi, del tipo di quelli da cemento della lunghezza da 20 a 120 m e
da 2 a 3,5 m di diametro; essi sono contraddistinti da una elevata capacità produttiva, che può
superare anche le 300 tonn/giorno,da una bassa richiesta di mano d'opera; però hanno un costo di
installazione più elevato ed una efficienza termica più bassa dei forni verticali. La pezzatura del
materiale in questi forni può andare da 5 a 50 mm circa, cioè sono in grado di utilizzare una
maggiore percentuale dei calcari disponibili.
Di solito in questi forni il rapporto fra diametro e lunghezza è dell'ordine di 1 : 20÷30; hanno una
inclinazione 3÷5% , velocità di rotazione di 1÷2 giri/1'. Un forno della lunghezza di 55 m, del
diametro di 2,5 m può produrre 250 t/giorno di calce.
Il cilindro metallico è rivestito internamente di uno strato di 15÷25 cm di refrattario (o di isolante
termico + refrattario); i forni più recenti, ispirandosi a quelli in uso per cementi allo scopo di
migliorare il rendimento termico, adottano preriscaldatori del calcare (a torre verticale, a griglia) e
scambiatori di calore o raffreddatori della calce prodotta (a contatto, a griglia, ruotanti), come quelli
indicati in figura.
Nella cottura in forni rotativi i gas di scarico trasportano sensibili quantità di parti polverulente
costituite sia da CaO che da CaCO3; queste polveri che possono variare dal 2 all'8% del calcare
trattato non possono essere scaricate nell'ambiente circostante; per trattenerle si usa far passare i gas
in camere a polvere, o in cicloni o in precipitatori elettrostatici o se ne opera un lavaggio con acqua.
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Per utilizzare i calcari polverulenti (2 mm o meno) o addirittura il carbonato di calcio di
precipitazione, residuato in varie lavorazioni chimiche, sono stati studiati forni a letto fluido,
formati da una camera cilindrica, a compartimenti sovrapposti; in ciascuno di questi i granuli di
calcare mantenuti in sospensione dalla corrente gassosa ascendente, sono ad intimo contatto con
questa ed hanno così modo di decomporsi con maggiore facilità.
La quantità di calore teoricamente necessaria per la dissociazione del calcare, ricavabile dalla
reazione (l) è, come già detto, di 420 kcal/kg; a questo calore occorre aggiungere le perdite nei
prodotti di combustione, nel solido scaricato, per irraggiamento, ecc. A seconda delle possibilità di
recupero del calore sensibile dei gas e della calce e della riduzione delle altre perdite l'efficienza dei
forni di calcinazione varia in pratica dal 40 all'80%; naturalmente i valori più bassi si avranno nei
forni senza alcun particolare sistema di recupero.
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In tabella sono riportati i bilanci termici di due forni rotanti l'uno munito di sistemi di recupero di
calore (a) e l'altro no (b).
I dati della tabella presuppongono: di partire da un calcare al 98% di purezza, di ottenere una resa in
calce del 93%; la temperatura ambiente si assume di 15 oC, quella dei gas di scarico di 675 °C, nel
forno senza recupero e di 3900 nell'altro caso.
Nello stabilimento Italsider di Taranto è stato adottato un forno verticale a sezione rettangolare, a
correnti trasversali, riscaldato con gas di combustione prodotto in una camera adiacente al forno
vero e proprio; il materiale caricato dall'alto subisce prima un preriscaldamento, poi una
calcinazione ed infine un raffreddamento; i gas caldi, ceduto parte del proprio calore sensibile alla
carica, vanno in parte al camino ed in parte ricircolano mescolandosi ai gas caldi provenienti dalla
camera di combustione.
Un forno di diversa concezione è quello noto col nome di calcimatic;è costituito da una parte
mobile, formata da una platea circolare ricoperta di refrattario, ruotante lentamente su supporti e da
una parte fissa costituita da una zona anulare disposta perifericamente alla platea, suddivisa in
settori nei quali sono sistemati diversi bruciatori a gas che mantengono la temperatura ai valori
prefissati. Il calcare alimentato dall'alto, attraverso una camera di preriscaldamento si distribuisce
sul piano mobile in uno strato di una decina di cm. Il consumo è dell'ordine di 1300 kcal/kg di calce
prodotta; il forno può trattare calcare in pezzatura variabile da 0.5 a 10 cm circa; la parte mobile del
forno raggiunge i 5 m di diametro, quella fissa i 15 m.
54
4.3 Proprietà della calce
Allo scarico dai forni la calce viene passata attraverso vagli in modo da separare le pezzature più
minute da quelle più grosse; il prodotto può anche essere sottoposto ad una cernita che consente di
eliminare i pezzi stracotti o poco cotti, che si differenziano per il diverso colore da quelli a giusta
cottura. Le parti polverulenti sono macinate e polverizzate, in qualche caso si tenta oggi di
pellettizzarle.
La calce viva può essere venduta tal quale (calce viva in zolle) o trasformata in idrato o in grassello.
Queste ultime due forme si ottengono per spegnimento della calce viva, cioè per trattamento con
acqua; mescolando calce ad acqua nel rapporto stechiometrico (56 parti di CaO per 18 di acqua) si
ottiene:
CaO + H2O → Ca(OH)2 + 15.6 kcal
L'idrato di calcio che si ottiene si presenta sotto forma di una polvere soffice che riscaldata a circa
580 °C perde acqua dando nuovamente CaO; in acqua l'idrato di calcio è poco più solubile
dell'ossido: 1,6 g/l a 20°C, 0,7-0,8 a 100°C; all'aria assorbe la CO2 trasformandosi in carbonato.
La quantità di acqua necessaria allo spegnimento, che dalla reazione precedente risulta essere del
32% per l'ossido di calcio puro, in pratica cresce sensibilmente e per avere uno spegnimento
completo occorre usarne un quantitativo superiore, fino anche al 50%, perchè una parte di essa
evapora causa l'innalzamento di temperatura prodotto dalla esotermicità dell'idratazione e perchè
parte rimane come acqua libera presente sotto forma di film attorno alle particelle di idrato.
Occorre operare lo spegnimento lentamente così da fare disperdere una frazione del calore
sviluppato; la reazione inoltre avviene con forte aumento di volume, circa 10%. Lo spegnimento è
di solito rapido; la velocità della reazione dipende però da diversi fattori, specialmente dalla
temperatura alla quale è stato cotto il calcare, dal grado di finezza e dalla struttura fisica della calce.
Se la calce è stata cotta a temperatura dell'ordine di 850-900 °C e specie se il calcare di partenza era
costituito da elementi cristallini piuttosto minuti e non troppo compatti, la velocità di spegnimento è
elevata; se la temperatura è salita sensibilmente invece al di sopra di tali limiti la calce presenta,
come già detto, una certa lentezza a reagire con l'acqua perchè una elevata temperatura di cottura
provoca la sinterizzazione del prodotto, cioè questo tende a divenire compatto, ad addensarsi. Si ha
un restringi mento dei pori che può anche risultare così spinto che l'acqua riesce a penetrare con
difficoltà per idratare tutta la massa; inoltre a seguito dell'ingrossamento dei grani diminuisce la
superficie attiva esposta all'acqua.
55
Anche l'impiego di un eccesso di acqua fa diminuire la velocità della reazione di spegnimento
riducendo la temperatura della massa. La presenza di sali (AlCl3, BaCl2, CaCl2, ecc.) provoca un
innalzamento nella velocità di spegnimento a causa, probabilmente, della maggiore solubilità della
calce in tali condizioni.
La sinterizzazione della calce può non interessare tutto il prodotto, ma può verificarsi solo
localmente, cioè nel forno anche se gran parte del calcare non raggiunge una alta temperatura
durante la cottura, ci possono essere alcuni pezzi che per surriscaldamenti locali, ecc., vengono
portati ad una temperatura molto più elevata. Durante lo spegnimento queste particelle sinterizzate
non riescono a reagire con l'acqua, rimangono così nella massa della calce idrata dei granuli di CaO;
una volta che questa calce verrà utilizzata, tali granuli sinterizzati reagiranno molto lentamente con
l'acqua d'impasto, così che la loro idratazione si effettuerà quando la restante parte è già indurita e
poichè essa avviene con sensibile aumento di volume si potranno verificare fessurazioni nei
manufatti, ecc. È quanto si osserva spesso ad es. negli intonaci; in corrispondenza dei granuli
sinterizzati presenti (di solito nella tecnica delle costruzioni indicati col nome di bottaccioli), si ha
fessurazione, sollevamento e distacco di pezzetti di intonaco.
Industrialmente per lo spegnimento si usano dispositivi a marcia continua costituiti da una camera
cilindrica, verticale od orizzontale, munita di agitatori o, nel caso di quelli orizzontali, di
trasportatori ad elica che spostano la calce da un'estremità all'altra rimescolandola mentre viene
spruzzata la necessaria quantità di acqua; per accelerare la reazione l'acqua può essere preriscaldata
a spese del vapore che si sviluppa nella idratazione iniettandola nel condotto di scarico di questo
vapore; per lo spegnimento si può usare il latte di calce proveniente dal lavaggio con l'acqua, di
solito in cicloni, dei gas prima del loro scarico nell'atmosfera.
Si hanno anche sistemi di spegnimento costituiti da camere verticali a piani sovrapposti munite, al
centro, di un albero al quale sono fissate braccia che provvedono al rimescolamento del prodotto sui
singoli piani ed al suo spostamento da un piano all'altro; superiormente alla camera è disposto il
condotto di scarico dei gas e dei vapori nel quale si spruzza l'acqua; il prodotto finito si estrae dal
basso a mezzo di una coclea. Si hanno anche apparecchi formati da più camere cilindriche
orizzontali sovrapposte, fra loro comunicanti ad estremità alternate e ciascuna munita di
trasportatore a vite così che il materiale introdotto nella parte superiore percorre tutte le camere ed a
contatto dell'acqua spruzzata nella camera superiore ha modo di idratarsi completamente.
Le calci fortemente magnesiache nelle quali, date le temperature di cottura raggiunte, l'MgO
presente risulta certamente stracotto, possono essere idratate sotto pressione ed a temperatura
elevata (125-175 °C) in modo da accelerare la reazione con l'acqua.
56
Le condizioni e le modalità con le quali viene effettuato lo spegnimento (in particolare:
temperatura, granulometria, rapporto acqua/calce) esercitano una notevole influenza sulle
caratteristiche della calce prodotta.
Durante l'idratazione le particelle di ossido di calcio, causa l'aumento di volume che accompagna la
reazione, specie se rapida, si rompono; i granuli si polverizzano dando luogo alla formazione di una
massa soffice, ad elevata superficie specifica; questa dipende sia dalle caratteristiche della calce
viva che dalle modalità dello spegnimento; essa infatti a parità del tipo di calce viva aumenta con la
temperatura e con l'agitazione; l'azione di entrambi questi fattori contrasta la tendenza presentata
dalle particelle di idrato, appena formatesi, di raccogliersi in agglomerati più o meno grossi.
Se alla calce idrata si aggiunge altra acqua o se lo spegnimento della calce viva viene fatto con una
quantità di acqua superiore a quella necessaria per ottenere l'idrato si forma una massa pastosa,
untuosa al tatto, che prende il nome di grassello (essa è costituita da idrato di calcio in parte sotto
forma di cristalli ed in parte sotto forma gelatinosa). Il prodotto trattiene dal 35 al 45% di acqua
libera, oltre quella entrata a formare l'idrato di calcio; a seconda del maggiore o minore contenuto di
acqua libera il grassello apparirà più o meno molle. La preparazione del grassello è operazione che
di solito si compie direttamente nei cantieri dove deve essere impiegato; essa si compie irrorando
con un forte eccesso d'acqua la calce viva entro recipienti di legno a forma di trapezio aventi il lato
minore mobile e munito di rete filtrante che lascia passare solo la poltiglia diluita ma non i pezzi o i
granuli non ancora spenti; la sospensione si raccoglie poi in vasche, interrate, con pareti e fondo
poroso (calcinaie). Si può anche immergere in acqua la calce contenuta entro cestelli metallici.
La poltiglia di acqua e calce lasciata in riposo entro le calcinaie perde parte dell'acqua in eccesso
(insieme anche ad una frazione dei sali solubili), si rassoda e ad un certo momento comincia a
fessurarsi. Il rapporto fra il volume del grassello in queste condizioni di incipiente fessurazione ed il
peso della calce viva prende il nome di resa in grassello (mc/t).
In base al valore di questo rapporto le calci si distinguono in grasse e magre: le prime sono quelle
che danno un rendimento in grassello superiore a 2,5; esse di solito si idratano anche rapidamente;
le seconde danno una minore resa in grassello, che non deve essere però inferiore a 1,5, e si idratano
anche più lentamente. Le calci grasse derivano dai calcari più puri; quanto più piccolo sarà l'abito
cristallino del calcare tanto più piccolo sarà il granulo di ossido e tanto più abbondante ed untuoso il
grassello risultante.
Le calci grasse sono più plastiche e si mescolano meglio con i granuli di sabbia per dare malte
omogenee, che si mettono in opera più facilmente.
Le calci magre derivano da calcari impuri (il contenuto di ossido di calcio può essere minore del
94%) o da calcari mal cotti (presenza di parti non cotte o di parti troppo cotte). Calcari anche puri,
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come il marmo, possono dare per cottura delle calci magre data la loro struttura macrocristallina che
porta a granuli piuttosto grossi di CaO più compatti data la maggiore temperatura di cottura, che si
idratano più lentamente e trattengono una minore quantità di acqua.
L'ossido di magnesio è una delle impurezze più frequenti delle calci e la sua presenza contribuisce a
rendere magra la calce; inoltre poiché esso si forma prima dell'ossido di calcio (per la più bassa
temperatura di decomposizione del carbonato di magnesio rispetto a quello di calcio) alla fine della
cottura della calce esso risulterà stracotto per cui si idraterà più lentamente dell'ossido di calcio.
Quando la calce viene a contatto con l'acqua si forma inizialmente una soluzione soprassatura di
idrato di calcio che dà origine alla formazione di più o meno grandi quantità di nuclei di
cristallizzazione. Poi i cristalli si accrescono, assumendo la forma di lamine o di bastoncini; per
avere una buona plasticità occorre ottenere una quantità per quanto possibile elevata di cristalli
tabulari e questi si ottengono di preferenza se il grado di soprassaturazione della soluzione è
relativamente basso, ciò che risulta se la cristallizzazione avviene a temperatura bassa perchè la
concentrazione alla saturazione è più elevata. L'importanza delle caratteristiche della calce viva di
partenza deriva dal fatto che se questa è fortemente reattiva, ad elevata porosità, a granuli fini, lo
spegnimento sarà rapido e ciò porta allo stabilirsi rapidamente di una elevata soprassaturazione che
provoca la formazione di un elevato numero di germi di cristallizzazione che in seguito si
accrescono formando cristalli tabulari, se la sovrassaturazione si riduce rapidamente.
Un grassello di elevata plasticità presenta la capacità di trattenere una forte quantità di acqua; la
formazione di un maggior volume di grassello, a parità di calce di partenza, riveste importanza dal
punto di vista pratico poichè nelle malte il grassello impiegato viene misurato a volume. Anche la
qualità dell'acqua usata per la preparazione del grassello influenza le caratteristiche di questo, ma di
questo fattore raramente si tiene conto. Se la quantità di acqua aggiunta alla calce è ancor più
elevata di quella necessaria per formare il grassello si ottiene il latte di calce,sospensione acquosa
più o meno diluita di idrato di calcio.
4.4 Malte di calce
Nelle costruzioni la calce viene usata per formare le malte di calce e sabbia capaci di indurire e far
presa all'aria.
Se la calce viva o quella idrata o il grassello vengono lasciate all'aria, reagiscono con l'anidride
carbonica, sempre presente in essa formando carbonato di calcio, più o meno rapidamente a seconda
del grado di umidità dell'ambiente, ma sempre formando un prodotto polverulento. Quando la calce
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idrata od il grassello vengono impastati con sabbia ed acqua per formare le malte, che sono messe in
opera in strati più o meno sottili, esse inizialmente subiscono una contrazione, causa l'evaporazione
di una parte dell'acqua d'impasto, assumendo una certa consistenza; contemporaneamente l'anidride
carbonica dell'aria reagisce con la calce disciolta nell'acqua usata per l'impasto secondo la reazione
esotermica:
Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3 + H2O
Siccome la solubilità del carbonato di calcio che si forma è minore di quella dell'idrato mano a
mano che si realizza la carbonatazione della calce si avrà precipitazione del carbonato, sotto forma
di cristallini che si interpongono fra gli elementi della sabbia aderendo ad essi e legandoli sotto
forma di una massa che via via assume consistenza e durezza sempre maggiore.
La resistenza meccanica che una malta aerea va acquistando col tempo dipende sostanzialmente
dalla coesione della massa dei cristalli di carbonato di calcio che crescono intrecciandosi e
inviluppando i granuli di sabbia e dalla adesione che questi cristalli presentano oltre che fra di loro
anche con la sabbia.
Naturalmente la carbonatazione degli strati superficiali avverrà abbastanza rapidamente, ma
procederà poi verso l'interno sempre più lentamente.
Il velo di carbonato di calcio che si forma sulle singole particelle di idrato fa diminuire la porosità e
quindi riduce il progredire della carbonatazione.
Ciò insieme alla scomparsa dell'acqua spiega perchè all'interno di vecchie murature sia possibile
riscontrare ancora oggi presenza di idrato di calcio non carbonatato. Per accelerare il fenomeno di
presa si può aumentare il tenore di anidride carbonica nell'ambiente.
Per quanto sopra detto risulta inoltre necessario, perchè la carbonatazione possa continuare ad
avvenire, che l'impasto conservi un certo grado di umidità; se si ha una essiccazione troppo rapida
la malta stenta a carbonatarsi e dà una massa incoerente; per questo i materiali che devono essere
legati dalla malta (mattoni, tufi, ecc.) si bagnano prima di metterli in 4 opera in modo che essi non
sottraggano acqua all'impasto. Ad una troppo rapida essiccazione delle malte si deve la «bruciatura»
degli intonaci (che risultano quasi incoerenti) messi in opera ad es. in periodi troppo caldi o in zone
troppo ventilate.
L'ossido di magnesio che, se presente in una calce la rende magra, determina un indurimento meno
favorevole delle malte aeree; infatti poiché esso si scioglie meno e meno rapidamente della calce la
malta ha già perso gran parte dell'acqua prima ancora che la magnesia sia passata in soluzione ed
abbia potuto prendere parte a fenomeni di presa e quindi finisce per agire come un inerte.
Per ottenere una buona malta di calce e sabbia oltre alle caratteristiche della calce occorre tener
conto di quelle della sabbia e dell'acqua d'impasto.
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La sabbia, naturale o artificiale, deve risultare costituita da granuli resistenti, non provenienti da
rocce decomposte o gessose; i granuli, non devono essere friabili, nè contenere sostanze argillose
che fanno diminuire l'aderenza del grassello con la sabbia, né sostanze organiche capaci di
influenzare l'indurimento, né elementi volatili; deve essere lavata con acqua se contiene sostanze
nocive, capaci di essere asportate col lavaggio. Di notevole interesse è la sua granulometria, questa
condiziona la quantità di vuoti che rimangono nella massa della sabbia e quindi la quantità di
legante da aggiungere; deve infatti essere bene assortita, cioè presentare granuli di diversa
grandezza nel giusto rapporto, al fine di dare un materiale col minore volume di vuoti. Se i granuli
fossero tutti della stessa grandezza essi formerebbero una massa col 40-50% circa di vuoti, se
invece sono di grandezza diversa danno una percentuale minore di vuoti, perchè i granuli più piccoli
vanno a disporsi nei vuoti lasciati da quelli più grossi.
Le acque d'impasto devono essere limpide e dolci. La quantità di calce da usare nella preparazione
della malta affinchè possa richiudere tutti i vuoti presenti fra i granuli della sabbia usata, di solito
30-40%, è dell'ordine di l volume di grassello per 2÷3 volumi di sabbia e, nel caso delle calci in
polvere, di 15 kg per 100 kg di sabbia.
Le malte di calce e sabbia servono a formare piani di posa fra i vari elementi costruttivi,
collegandoli fra loro saldamente; esse però non presentano caratteristiche meccaniche elevate
(molto lontane da quelle delle malte di cemento); i valori della resistenza a compressione che di
solito si possono ottenere sono dell'ordine di qualche kg/cm2.
Oltre alle malte di calce e sabbia in alcune località si usano malte di calce e pozzolana (v. pag. 122).
4.5 Norme
In Italia l'impiego dei leganti, sia aerei che idraulici, è regolato da norme di legge, alle quali si farà
spesso riferimento nel seguito chiamandole brevemente col nome di Norme; esse fissano i requisiti
che i materiali considerati debbono avere per potere essere impiegati nelle costruzioni, i controlli
che si devono fare su di essi e le modalità della loro esecuzione; esse costituiscono quindi una guida
per il costruttore, per il direttore dei lavori, per il collaudatore che devono accertarsi della
rispondenza dei materiali usati e delle modalità d'impiego alle prescrizioni di legge.
Per le calci aeree tali Norme prevendono i seguenti tipi:
a) calce grassa in zolle;
b) calce magra in zolle;
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c) calce idrata in polvere che comprende i due tipi: fiore di calce e calce idrata da costruzione.
Queste ultime vengono messe in commercio in sacchi di carta, per lo più da 33 kg, che recano
impresso il nome della Ditta fabbricante ed il tipo di prodotto contenutovi.
Per i vari tipi di calce sono fissati i requisiti riportati in tabella:
Inoltre tutti questi tipi devono corrispondere, come già ricordato, alla prova di stabilità di volume,
che consiste nel formare con la calce in esame una malta di buona plasticità che distesa su di una
lastra di vetro viene lasciata far presa in ambiente bene areato e poi esposta per 6 ore in ambiente
circondata di vapore vivo. Non devono comparire fessurazioni, distorsioni, ecc. che sarebbero
l'indice della presenza nella calce di ossido di calcio stracotto non idratato e che si idrata nella prova
accelerata.
La calce oltre che per confezionare malte in alcuni Paesi si usa nella preparazione di blocchi o di
mattoni cellulari ottenuti addizionando alla miscela di calce e sabbia (o di altri aggregati) piccole
quantità di cemento e di polvere di alluminio che reagendo con la calce sviluppa idrogeno che fa
« lievitare» la massa; variando i rapporti fra i costituenti si possono produrre materiali a diverso
grado di porosità e di leggerezza.
4.6 Altri impieghi della calce
La calce usata nelle costruzioni rappresenta solo una frazione di quella prodotta, e
quantitativamente non la maggiore, come risulta dai dati della tabella 4 che si riferisce a rilevamenti
effettuati negli USA (1969):
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Gli altri usi sono: in metallurgia, nell'industria chimica, nella stabilizzazione dei terreni, nel
trattamento acque, ecc.
In metallurgia la calce trova impiego come fondente e come scorificante; viene aggiunta come
calcare alla carica negli alti forni in quantità variabile (0.3-0,5 t/t ghisa) a seconda della purezza del
minerale di ferro e delle ceneri del coke usato; l'ossido di calcio che si forma dalla decomposizione
del calcare contribuisce alla formazione di una scoria fusibile che incorpora sia allo stato libero che
sotto forma di composti (silicati, silicoalluminati,ferriti) le principali impurezze del minerale ferroso
e del coke, quali fosforo, silice e in parte manganese e zolfo; la scoria basica che si produce viene
utilizzata sia per la preparazione dei cementi di miscela (di alto forno, di scoria,) che di aggregati
leggeri.
Un'elevata quantità di calce viene usata nell'affinazione della ghisa ad acciaio e tale quantità cresce
costantemente; infatti mentre nei sistemi di affinazione al forno Martin o nel Bessemer basico il
consumo di CaO è dell'1-2% rispetto all'acciaio prodotto, nei convertitori ad ossigeno esso
raggiunge anche il 5-6% L'industria metallurgica consuma poi altra calce nella preparazione di
rivestimenti refrattari (pigiate).
Nell'industria chimica la calce si usa per la preparazione del carburo di calcio, nella caustificazione
del carbonato sodico, nella preparazione del cloruro di calce, nella fabbricazione di diversi tipi di
vetro, nella depurazione dei sughi zuccherini, nel trattamento delle acque, sia di quelle destinate
all'uso industriale che quelle di scarico (dolcificazione, neutralizzazione), ecc.
Quantitativi notevoli di calce, si usano, specie all' estero, ma oggi in misura crescente anche in
Italia, nella stabilizzazione dei terreni: la calce scambiando gli ioni sodio dei materiali argillosi
contribuisce a provocare l'agglomerazione di particelle fini in frazioni più grossolane, friabili; essa
esplica anche un'azione cementante reagendo coi costituenti del terreno (silice, allumina) formando
composti (alluminati, silicati) che conferiscono ad esso maggiore compattezza.
La produzione mondiale di calce è di poco inferiore ai 100 milioni di tonnellate/anno; i maggiori
produttori sono URSS, USA, Francia, Giappone; la produzione italiana si aggira sulle 6.000 t/anno.
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5 Calce idraulica
Si è già detto che un calcare contenente sostanze argillose dà per cottura una calce magra; se però la
temperatura alla quale esso viene portato è più alta di quella che regna in un normale forno a calce,
si ottiene un prodotto che prende il nome di calce idraulica.
In questo caso il prodotto di cottura non è più costituito da solo ossido di calcio, ma anche dai
prodotti di reazione di questo coi costituenti dell'argilla (silice, allumina), cioè da silicati ed
alluminati (ed anche da ferriti) di calcio, i quali, come già detto, sono i costituenti che possiedono le
proprietà idrauliche. È ovvio che essendo l'idraulicità delle calci legata alla presenza di detti
costituenti essa, a parità di altri fattori, dovrà aumentare, almeno fino ad un certo limite, al crescere
della quantità dei costituenti argillosi presenti nel calcare.
Si definisce come indice di idraulicità, I, di un calcare il rapporto fra le percentuali di argilla e di
ossido di calcio in esso presenti, cioè:
CaOillaI arg
=
che si può esprimere anche come:
MgOCaOOFeOAlSiOI
+++
= 32322
che tiene conto dei costituenti e delle impurezze presenti nell'argilla (ossido di ferro) e nel calcare
(ossido di magnesio).
In base al valore di tale indice le calci idrauliche si distinguono in:
La tabella si potrebbe completare introducendovi anche le calci aeree (che devono avere indice di
idraulicità inferiore a 0,1) e i cementi a rapida presa per i quali l'indice è dell'ordine di 0.95÷1,20.
Come materia prima per la produzione di una calce idraulica si usa generalmente un calcare
argilloso nel quale l'argilla risulta disseminata in maniera possibilmente omogenea.
Le Norme italiane distinguono i seguenti tipi:
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- calce idraulica naturale in zolle,che rappresenta il prodotto di cottura di calcari argillosi di
natura tale da risultare di facile spegnimento; calcari di questo tipo sono abbastanza diffusi
in Italia (in provincia di Bergamo, di Pisa)
- calce idraulica naturale e artificiale in polvere, che risulta dalla cottura di marne naturali o
di mescolanze intime ed omogenee di calcare e di materiale argilloso seguita da estinzione,
stagionatura e macinazione;
- calce eminentemente idraulica, naturale o artificiale in polvere, come la precedente, ma con
valore più elevato dell'indice di idraulicità (0,4÷0,5). A differenza di quanto si fa per i
cementi per la preparazione di calci idrauliche di solito non risulta tecnologicamente ed
economicamente conveniente partire da miscele di calcare e argilla.
- calce idraulica artificiale pozzolanica, in polvere, costituita da una miscela omogenea
ottenuta dalla macinazione di pozzolana e calce aerea idrata.
- calce idraulica siderurgica, risulta da una miscela omogenea ottenuta per macinazione di
loppa basica di alto forno granulata e di calce aerea idrata.
Si è già detto che la temperatura di cottura delle calci idrauliche è intorno ai 1000÷1200°C, a
seconda della natura e della struttura fisica del materiale di partenza, per dare modo al calcare di
decomporsi, e ad una certa parte dell'ossido di calcio formatosi di reagire con silice ed allumina
messe in libertà all'atto della decomposizione dell'argilla.
Se la temperatura è troppo bassa, i componenti dell'argilla non hanno modo di reagire con la calce,
vengono a formare un inerte ed il prodotto risultante è una calce magra; se la temperatura è troppo
alta l'ossido di calcio in eccesso rispetto ai costituenti dell'argilla si spegne difficilmente e impastato
con acqua fa presa tanto più lentamente quanto più alta è stata la temperatura raggiunta.
I forni usati per la cottura sono di solito verticali, di tipo analogo a quelli usati per la produzione di
calci aeree; il materiale di partenza viene caricato sotto forma di pezzi, per lo più a strati alternati
col combustibile.
I fenomeni che avvengono durante la cottura delle calci idrauliche sono del tutto analoghi a quelli
che si verificano nei primi stadi della cottura del cemento portland, cioè eliminazione dell'acqua,
decomposizione dei materiali argillosi e del carbonato di calcio, reazione dell' ossido (o del
carbonato) di calcio con la silice e con l'allumina (ed anche con l'ossido di ferro sempre presente);
anche i composti che si formano sono gli stessi che si trovano nel cemento portland, ad eccezione
del silicato tricalcico, che non può essere presente perchè può formarsi solo a temperature più alte;
essi sono naturalmente in quantità diversa, variabile a seconda del materiale di partenza e delle
condizioni raggiunte nella cottura (nel caso delle calci idrauliche le reazioni di formazione dei
composti idraulici sono lente perché avvengono tutte allo stato solido).
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La formazione dei composti idraulici impegna solo una parte della calce totale; la rimanente é
presente nel prodotto sotto forma di ossido di calcio; infatti scaricato dal forno il materiale deve
essere trattato con acqua e lasciato poi stagionare per convertire tale ossido di calcio in idrato. Lo
spegnimento si esegue distendendo le calci in strati di 10-15 cm, innaffiandole con acqua in quantità
tale, 15-20%, da spegnere la calce, senza però idratare i silicati e gli alluminati (una quantità
insufficiente di acqua lascerebbe nel prodotto della calce non spenta che messa in opera si
idraterebbe lentamente provocando rigonfiamenti (bottaccioli) come già detto per le calci aeree.
Data l’elevata temperatura raggiunta dalla calce durante la cottura lo spegnimento è lento e il
materiale va ammucchiato per non lasciare disperdere il calore di idratazione della calce, cosi da
utilizzarlo per l'essiccazione del prodotto; l'estinzione di una calce eminentemente idraulica richiede
15-20 giorni. La calce si sbriciola e si riduce in polvere; essa viene setacciata per separala dai noduli
di materiale troppo cotto o stracotto che prendono anche il nome di grappier. Questi avendo
raggiunto una temperatura di cottura più elevata possiedono una maggiore densità ed un grado di
idraulicità più alto; possono venire macinati a parte e messi in commercio come cemento (cementi
di grappier), oppure, macinati vengono addizionati alla calce idraulica che allora prende il nome di
pesante per distinguerla da quella senza grappiers, detta anche leggera; in altri casi si macina
insieme tutto il prodotto dell'estinzione. Oltre alle calci idrauliche naturali ed artificiali in polvere,
normali o eminentemente idrauliche, le Norme prevedono anche la calce idraulica artificiale
pozzolanica e quella siderurgica, in polvere, costituite da miscele intime, ottenute per macinazione,
di calce aerea e di pozzolana o di loppa basica di alto forno granulata.
Si è visto come la pozzolana e le loppe basiche, presentino la proprietà di fissare la calce con
formazione di composti idraulici, insolubili in acqua, di tipo analogo a quelli prodotti dalla
idratazione del clinker di cemento portland.
Leganti idraulici costituiti da miscele di calce e pozzolana furono largamente usate dagli antichi
Romani in costruzioni, pregevoli, di opere marittime, alcune delle quali sono pervenute fino a noi.
L'indurimento delle calci idrauliche messe in opera sott'acqua è dovuta all'idratazione dei silicati e
degli alluminati presenti, cioè a fenomeni analoghi a quelli già visti nel caso dei cementi; quando le
calci idrauliche fanno presa ed induriscono all'aria si verifica anche la carbonatazione della calce
idrata presente, analogamente a quanto si ha per le calci aeree.
La resistenza a compressione determinata, come per i cementi, su provini di malta normale plastica
(l : 3) dopo 28 giorni di stagionatura deve essere:
65
Anche le calci idrauliche devono soddisfare al requisito della stabilità di volume; la prova per
stabilirla si esegue in maniera diversa da quella in uso per la calce idrata: con la malta in esame, si
preparano due gallette del diametro di 10÷15 cm e dello spessore di l÷2, che si conservano per 48
ore in ambiente a 18÷20°C e umidità relativa non inferiore al 75% e poi si immergono in acqua che
dalla temperatura ambiente viene portata gradualmente, in circa mezz'ora, all'ebollizione e vi è
mantenuta per 3 ore per facilitare l'idratazione dell'eventuale calce stracotta presente. Dopo
raffreddamento le gallette non debbono presentare ne fessurazioni ne rigonfiamenti.
6 Agglomeranti cementizi
Le Norme italiane distinguono una terza classe di leganti idraulici, gli agglomeranti cementizi, a
lenta ed a rapida presa; in pratica si producono e si utilizzano quasi solo i primi.
Col nome di agglomeranti cementizi si intendono i leganti idraulici che presentano resistenze
meccaniche e requisiti chimici che non rientrano nei limiti stabiliti dalle Norme per i cementi
normali.
La resistenza a compressione si determina su provini in malta normale per gli agglomeranti a lenta
presa e su provini in pasta normale per quelli a rapida presa; i primi debbono presentare resistenze
non inferiori a 100 e a 160 kg/cm2 rispettivamente a 7 a 28 giorni; la resistenza degli agglomeranti a
rapida presa non deve essere inferiore a 130 kg/cm2 a 7 giorni.
Dal punto di vista chimico gli agglomeranti debbono presentare un contenuto di SO3≤3,5%, un
contenuto di MgO≤4%, non debbono lasciare sul setaccio con maglie da 0,18 mm un residuo
superiore al 2%, debbono presentare valori inferiori a limiti prestabiliti nella prova di
indeformabilità e di espansione in autoclave; la presa per quelli a lenta, non deve iniziare prima di
45' e non deve terminare dopo le 12 ore; per quelli a rapida presa questa deve terminare prima di
30'. 66
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