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Villa DamecutaInnesti e permanenze tra memoria e archeologia
SCUOLA DI ARCHITETTURA URBANISTICA INGEGNERIA DELLE COSTRUZIONI
A.A. 2015/2016
RELATORE: Prof. Emilio Faroldi
STUDENTI: Beatrice Canonaco Arianna Guarducci
Livia Siciliano
Grazie al professor Emilio Faroldi, che con amore e passione per l’architettura ci ha condotte al raggiungimento di questo risultato.
Villa Damecuta è un complesso archeologico romano di spettacolare bellezza sito sull’isola di Capri e costruito
per volere di Tiberio. La sua posizione strategica, ai piedi di Anacapri e al di sopra delle rocce che giungono a picco sul mare alla Grotta dell’Arcera e alla Grotta Azzurra, permette di ammirare l’unicità del paesaggio caprese. L’obiettivo del progetto è quello di valorizzare il sito oggi abbandonato: l’incuria di una natura rigogliosa nega la lettura dell’impianto delle sostruzioni. L’assenza di un supporto museale, amministrativo e ricettivo incide negativamente sulla gestione del luogo: da tale assenza nasce il progetto, con la volontà di restituire una fruizione contemporanea alla Villa. Innesti e permanenze costituiscono elementi integrati e uniti da un "nastro’’ che porta ad osservare la Villa da punto di vista privilegiato. Declinandosi in percorso
e recinto, definisce la leggibilità del palazzo romano e degli innesti ricettivi e museali, tra il rigoglio della natura mediterranea e della maestosa pineta. L’approccio progettuale concepisce la trasformazione da monumento a luogo di fruizione e percezione collettiva: la sopravvivenza sua e delle rovine valorizzano l’identità del luogo sia morfologicamente sia metaforicamente.
ABSTARCT
INTRODUZIONE
PARTE I. CAPRI, UN PATRIMONIO DI TESORI
1. LUOGO: LA CAMPANIA FELIX1.1. Morfologia
2. STORIA2.1. Preistoria 2.2. Capri greca e romana2.3. Settecento, secolo aureo dell’archeolgia caprese2.4. Ottocento, fra ricerca e mito
3. VILLE ROMANE3.1. Villa Jovis3.2. Palazzo a Mare
4.ARTE DEL GIARDINO NELLA VILLA ROMANA
PARTE II. INTERVENIRE SULLE ROVINE
1. RAPPORTO TRA STORIA, CONSERVAZIONE E COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA1.2. Moderna estetica della rovina
INDICE
2.INTERGRAZIONE DELLE LACUNE SENZA MIMETISMI2.1. Giorgio Grassi, Teatro Romano Sagunto
2.2. Rafel Moneo, Museo Nazionale di Merida
3.RICOMPOSIZIONE CRITICA 3.1 Minissi, Villa Romana del Casale Piazza Armerina3.2. Ignacio Garcia Pedrosa e Angela Garcia Paredes, Copertura area archeologica Olmeda
4.INTEGRAZIONE TRA NUOVO E REPERTO4.1. Alvaro Siza Vieira, Eduardo Souto de Moura, Stazione Municipio a Napoli
5.PROTEZIONE DEL REPERTO ARCHEOLOGICO
5.1. Richard Maier, Ara Pacis
6.RECUPERO E MUSEILIZAZZIONE DELLE SPAZIALITÀ DEL SITO ARCHEOLOGICO6.1.Joao Luis Carillho da Graca, Parca Nova de Castelo6.2.Rafael Mone, Museo Archeologico di Cartegna
p. 41
p. 46
p. 50
p. 52
p. 58
p. 62
p. 66
p. 70p.37
p.40
p.40
p. 11p. 13
p. 15p. 16p. 18p. 20p. 21
p. 22p. 26p. 31 p. 33
p. 41
p. 66
p. 62
p. 58
p.10
p. 8
PARTE III. IL PROGETTO
1. VILLA DAMECUTA
2.PROGETTO2.1 Individuazione dell’area di progetto2.2 Il rapporto con la natura
3.PRINCIPI E INTENTI DEL PROGETTO3.1. Concept 3.2. Sviluppo progettuale
MEMORIA NEL FUTURO
BIBLIOGRAFIA
APPENDICE TECNICAInquadramento territorialeInquadramento storico: siti archeologiciConceptPlanivolumetricoPiano terraPiano ipogeoApprofondimento: Museo Villa DamecutaApprofondimento: Bar e Bookshop
p. 75
p. 80p. 82
p. 85p. 85p. 88
p. 92
p. 94
p. 97
p. 99
p. 101
p. 103
p. 105
p. 107
p. 109
p. 111
p. 74
p. 80
8
Il territorio italiano è tra i paesaggi più noti e
celebri del mondo per l’importante relazione e
sintesi tra natura e storia, attirando da sempre
e specialmente in epoca moderna, l’attenzione
di viaggiatori e artisti che lo hanno descritto e
ritratto, generando una multiforme immagine
di grande bellezza. Di questo patrimonio
territoriale, che denota l’Italia come un grande
museo diffuso a cielo aperto, siamo responsabili
individualmente e collettivamente per la sua
protezione, conservazione e valorizzazione.
La cronica carenza di risorse economiche,
investimenti, e figure competenti, rende spesso
passivo e inappropriato questo processo di
“museificazione” territoriale. Nuovi modelli
attivi di tutela e valorizzazione partono anche dal
superamento della partizione delle competenze
fra Stato ed enti territoriali, rinnovando la
gestione del patrimonio culturale attraverso nuove
figure private, di associazioni e volontariato, in
grado di raccontare il territorio investigandone
le contemporanee capacità attrattive e di
tutela. I musei non dovrebbero più essere solo
presidi territoriali, ma anche centri culturali di
interpretazione del paesaggio italiano, ampliando
il loro ruolo, non solo alla conservazione, ma
anche alla ricerca e alla comunicazione di
nuove conoscenze. L’Italia mira a un restauro
di tipo conservativo, che risulta essere spesso
passivo rispetto alle esigenze contemporanee
del pubblico fruitore, il quale necessita di una
partecipazione sempre più attiva e sperimentale
nei confronti della cultura. Questo comporta una
svalorizzazione del patrimonio culturale, che
dovrebbe invece essere linfa vitale del nostro
Paese. Il concetto stesso di restauro è comunque
ambiguo se lo si intende come un atto puramente
critico ossia come un cauto intervento sulla
materia dell’antica testimonianza, volto a
INTRODUZIONE
9
mantenerla e a tramandarla nella sua integrità
che non deve necessariamente né essere riportata
allo stato originale, né apparire falsamente
nuova, oppure come sinonimo di “ripristino”
ossia, letteralmente, di restituzione originale che
dovrebbe ottenersi reintegrando nel manufatto
artistico le parti danneggiate attraverso un
processo “creativo” più che critico. Considerando
l’importanza del patrimonio culturale connesso
al territorio, l’indagine progettuale vuole partire
da questa tematica. La Campania, esempio di un
processo di svalutazione delle risorse artictiche,
si presta a essere il luogo ideale per la ricerca
del tema “costruire sulla storia” come processo
per avviare una rivitalizzazione del territorio. Il
progetto ha come soggetto Villa Damecuta, una
delle dodici ville romane site nell’isola di Capri.
La Villa si presenta in condizioni di degrado e
abbandono, pur avendo delle potenzialità elevate
sia dal punto di vista paesaggistico che di polo
turistico. L’intervento mira a una riqualificazione
dell’area, intesa come addizione di funzioni
contemporanee in grado di asservire alle richieste
di un potenziale pubblico eterogeneo. Partendo
dal principio di non intaccare la preesistenza e di
non tentare un ripristino al suo stato originario,
si opera attraverso sovrapposizioni di layers.
Il complesso, rivolto verso il mar Tirreno, è
costruito attorno alle mura originarie ancora
riconoscibili, instaurando in tal modo, un
rapporto tra la nuova costruzione, resti, storia
e paesaggio. Il progetto non vuole essere un
facile e non meno vincolante rinnovamento del
sito, tramite l’abbattimento del vecchio impianto,
ma nemmeno vuole dare alle rovine un ruolo marginale e puramente decorativo all’interno
del complesso architettonico. La scelta è quella
di creare un nastro, una traccia tra le due
strutture, integrandole a vicenda.
10
CAPRI, UN PATRIMONIO DI TESORI
Parte I
11
1. Luogo: La Campania felix
L’isola di Capri, nel Mar Tirreno è la più
meridionale del gruppo delle isole Partenopee,
le quali incorniciano il meraviglioso paesaggio del
Golfo di Napoli costituendone una delle maggiori
attrattive. Capri dispone tra le più ricercate
bellezze naturali ed ha panorami di grande
bellezza ed è per questo motivo, una località
turistica di prim’ordine; ad essa si attribuisce
l’appellativo di “perla del Golfo di Napoli” e quello
di “isola delle Sirene”. A differenza delle altre isole
del gruppo partenopeo, tutte di origine vulcanica,
Capri ha origine sedimentaria, e i terreni che la
costituiscono, sono della stessa natura dei terreni
della vicina penisola sorrentina, di cui Capri era
probabilmente la prosecuzione verso occidente,
rappresentando quindi un frammento separato
dalla massa continentale in seguito a fratture
e a depressione della zona interposta. I terreni
mesozoici dell’isola di Capri, come nella sezione
occidentale della penisola sorrentina, sono
ricoperti, specie nella parte centrale dell’isola, da
strati calcarei e per vaste aree da tufi vulcanici,
questi ultimi provenienti da materiali lanciati
dagli apparati eruttivi dei Flegrei e del Vesuvio
e trascinati poi dal vento. L’isola emerge dal
mare con ripidissime fiancate, che sono le Atlante Geografico del Regno di Napoli a cura di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni
12
facce di frattura lungo le quali si è effettuato
il sollevamento; su queste fiancate l’azione
delle onde, ha scavato molte grotte, alcune
d’insuperabile bellezza (Grotta Azzurra, Grotta
dell’Arcera, Grotta Verde, Grotta Bianca,) e ha
contribuito a staccare imponenti pilastri rocciosi,
che come grandi scogli adornano specialmente la
parte meridionale dell’isola. Negli ultimi millenni
il suolo di Capri dall’epoca romana ai nostri
giorni si è abbassato pare di 6 metri, come può
rilevarsi dalla presenza di opere murarie romane
lungo la costa al di sotto del livello del mare.
Panorama rivolto ai Faraglioni dal Monte Solaro
13
L’isola, che ha una forma pressapoco
rettangolare, con i vertici nelle punte
Vitareta, Carena, Tragara e Capo, presenta una
larga insenatura nella costa settentrionale, a cui
ne corrisponde un’altra nella costa meridionale:
le due rientranze, dette rispettivamente
Marina Grande e Marina Piccola, finiscono col
creare una strozzatura mediana, alla quale fa
riscontro una minore altitudine e una specie
d’insellatura nel rilievo. Questa parte mediana
di Capri, più stretta, più bassa e in parte coperta
da un mantello di terreni geologicamente più
giovani, può dirsi che divida l’isola, da ovest
ad est, in tre zone: l’occidentale, la centrale e
l’orientale. La zona occidentale è più massiccia,
con pareti ripidissime quasi da ogni parte; sia,
cioè, verso il mare, sia verso l’interno con le
maggiori quote dell’isola: M. Solaro, 589 m.; M.
Cocuzzo, 552 m.; M. Cappello, 515 m. Nella sua
forma prevalentemente piatta essa rappresenta
un terrazzo di abrasione marina, inclinato
complessivamentte verso ovest; il centro abitato,
che sorge su questo pianalto, Anacapri, non era
fino a pochi decenni fa raggiungibile che per
delle scalinate: solo nella seconda metà del secolo
scorso è stata inaugurata la strada carrabile che
1.1 Morfologia
MARINA GRANDE
MARINA PICCOLAMONTE SOLARO
14
oggi la unisce a Capri e che, offrendo punti di
vista veramente incantevoli, è tagliata sul fianco
di nord-est. Il pianalto di Anacapri è fittamente
abitato, ma la zona che nell’isola meglio si offre
all’insediamento umano è quella centrale: più
riparata, più fertile, più accessibile; il centro
abitato domina sull’insellatura, e il terreno
scende meno ripidamente verso settentrione,dove
si trovano molte ville con vista sul Golfo di Napoli.
A Marina Grandesi trova il porto dell’isola.
La zona orientale ripresenta la figura erta e
rocciosa del tratto occidentale e in alcune aree ne
riproduce, attraverso dei terrazzamenti, l’origine
per abrasione marina, ma la minore altitudine e
la vicinanza a Capri, la rendono più accessibile e
la fanno meta di tutte le piccole escursioni dalla
città.
15
L’interesse univoco verso una particolare
e breve fase di Capri, ha avuto particolari
ricadute su un piano storiografico: di
fatto il “monopolio” della Capri augusto-
tiberina, ha generato di conseguenza una
scarsa attenzione per periodi della storia
sicuramente degni di attenzione. In questo
la storia di Capri non registra particolare
differenza rispetto ad altri luoghi dell’Italia
meridionale, meta ambita soprattutto a
partire dal Settecento, di eruditi e viaggiatori
più o meno dilettanti, con al conseguente
descrizione non sempre fedele dell’antichità
del posto. Se si escludono gli anni felici
del consistente lavoro di ricerca di Amedeo
Maiuri, l’Isola non è mai stata fatta oggetto
di un piano di ricerca continua, sistematica
e capace di riunire forse ed esperienze
specializzate differenti. Una situazione di
impasse delineata da una non collaborazione
delle forze in campo, Sovrintendenza,
autorità locali, centri ed asociazioni culturali
e cittadini in generale. Ripercorrere i
diversi momenti che carat terizzano la storia
antica di capri non è quindi semplice, ma è
fondamentale ai fini di ricollocare le diverse
fonti storiche spesso inquinate da variazioni
personali. Non si può comunque fare a meno di
notare come il periodo tiberiano e le scoperte
ad esso correlate, come la Villa Damecuta qui
presa in esame dal progetto, siano attuate
esclusivamente attraverso il recupero dotto di
fonti letterarie antiche.
2. Storia
Disegno di Capri tratto da uno studio del 1837
16
La preistoria di Capri é una dei più
interessanti capitoli della preistoria
italiana ed è necessario alla conoscenza
delle vicende geologiche dell’Isola. Dalla
originaria appartenzenza al territorio della
sommersa Tirrenide, al distacco dalla terra
ferma e alla sua prima formazione di isola.
I primi osservatori della preistoria di Capri
furono i romani; gli architetti e gli schiavi,
nello scavare le fondazioni, diedero vita sia
alle loro grandi fabbriche, che a singolari
scoperte: ossa gigantesche di animali ed armi
in pietra. Queste furono mostrate ad Augusto,
che non amava circondarsi di opere d’arte ma
volle conservare tuttavia quegli strani e rari
monumenti che succesivamente, all’inizio del
Novecento, vennero ritrovati durante lo scavo
per l’ampliamento della struttura alberghiera
Quisisana. A causa dei cataclismi tellurici
e delle deiezioni dei vulcani, che dettero a
Capri la sua esistenza di isola, riapparve solo
successivamente a queste, nelle caverne e
all’aperto, la natura umana, tra l’ultima Età
della Pietra e l’Età del Bronzo. Con le mutate
condizioni di clima e natura, mutarono anche
i costumi di vita: dopo la lotta con le belve si
2.1 Preistoria
La grotta delle Felci è un grande anfratto di 370 m² che si apre sul versante meridionale dell’Isola di Capri.
17
sviluppò l’esercizio della caccia e della pesca,
l’industria domestica delle suppellettili, si
ricorse alle macine per la triturazione dei
primi cereali e della frutta selvatica, si fece
tesoro dello stillicidio delle acque, attraverso
le fessure delle grotte. La più importante
struttura preistorica scoperta si trova nella
Grotta delle Felci, nella parete rocciosa del
Monte Solaro, importante anche per la sua
funzione di vedetta. Gli scavi, fatti prima da
Ignazio Cerio, poi da Rellini e recentemente
Buchner, hanno recuperato grandi quantità
di materiale, pertinente sopratutto ad
abitazioni: pugnali in selce, lisciatoi, pietre
da fionda in diorite ed arenaria quarzosa,
coltelli e raschiatoi in ossidiana, macine,
frammenti di ceramica policroma a fondo
giallo chiaro con fini decorazioni brune,
vasi ad impasto nerastro decorati con solchi
spiraliformi riempiti di pasta gessosa bianca,
che costituiscono il primo prodotto d’arte
della ceramica preistorica.
Frammeti ossei rinvenuti nella Grotta delle Felci, Collezione Cerio1 Ignazio Cerio Nacque a Giulianova (Teramo) il 28 febbr. 1840 da Pasquale e da Raffaella Fossi. Laureatosi in medicina nel 1860, fu avviato
dal padre alla carriera militare che abbandonò nel 1869 per ritirarsi a vivere a Capri. Dedicò il resto della sua vita all’isola di Capri e al suo popolo, come medico e come studioso.
1 2
1
2 Rellini, Ugo. - Paletnologo (Firenze 1870 - Roma 1943); insegnò all’univ. di Roma. Importanti le sue ricerche nelle Marche, nelle regioni dell’Italia centrale e meridionale e in Campania. Condusse scavi diretti a conoscere la civiltà del Bronzo appenninica.
3 Georg Büchner (Goddelau, 17 ottobre 1813 – Zurigo, 19 febbraio 1837) è stato uno scrittore tedesco.
18
Chiuso il ciclo della remota civiltà
preistorica, anche Capri entra nel grande
evento della colonizzazione greca campana.
Nella più alta cittadina di Anacapri un chiaro
monumento greco è costituito dalla Scala
Fenicia, che con oltre 500 gradini, formava
l’unico collegamento con Marina di Capri.
Quella scala, ricostruita più volte, conserva
ancora alcuni gradini intagliati nella roccia
secondo quanto usavano i greci nelle isole
rocciose dell’egeo per unire al mare le
inaccessibili acropoli. Sventonio narra che
nel 29 a.C. Cesare Ottaviano, non ancora
sotto il sacro nome di Augusto, tornando
dalle campagne orientali sbarcasse a Capri e
avvenne un singolare prodigio: un elce secco
avrebbe messo nuove fronde e germogli al
suo passaggio. Grazie a questo avvenimento,
Augusto tolse Capri dalla dipendenza di Napoli
e ne fece un dominio privato, restituendo in
cambio l’isola di Ischia. Da quel momento
inizia la vita imperiale di Capri, che divenne
il soggiorno prediletto del fondatore e del
primo e tenace difensore dell’Impero Augusto,
Tiberio, divenendo in pochi anni centro
della vita mediterranea di Roma. Nacquero
le prime fabbriche residenziali, seguite da
una nuova costituzione amministrativa e
giuridica.Nell’ultimo soggiorno di Augusto
a Capri, era presente anche Tiberio, il
quale ereditò l’Impero e la predilizione per
Capri. Egli, cupo e solitario, si chiuse in un
volontario esilio sull’isola, nell’arco del quale
si narra che abbia fatto erigere dodici dimore.
Dopo la morte di Tiberio l’isola ebbe ancora
qualche sprazzo di vita fino all’ Eta dei Flavi,
a Domiziano si deve il restauro della Torre del
Faro a Villa Jovis.
2.2 Capri greca e romana
19
Fotografia della Scala Fenicia e della statua di Augusto ai Giardini di Augusto
20
Il Settecento può considerarsi il secolo della
vera e propria scoperta di Capri Antica.
Alla fine del secolo Giuseppe Maria Secondo,
governatore dell’isola, stende la prima
relazione sulle antichità di Capri, con
l’intenzione di far rientraree anche questa
come centro d’interesse nell’illuminata
politica del re di napoli Carlo III.
In rapporto diretto con le autorità borboniche,
Norbert Hadrawa, va alla riscoperta delle
antchità favorendo numerosi scavi per
poter identificare le dodici ville imperiali di
tacitiana memoria. Le memorie dei suoi scavi,
raccolte in forma epistolare, costituiscono
una testimonianza basilare per la storia degli
studi delle antichità. Segue di pochi anni la
descrizione archeologica dell’isola curata dal
conte Gastone.
2.3 Settecento , secolo aureo dell’archeologia caprese
Ricerche e disegni a cura di Norbert Hadrawa1 Hadrawa scrisse nel 1974 per lettera ad un suo amico in Vienna alcuni Ragguagli di varii scavi, e scoverte di antichità fatte nell’isola di Capri, un documento di notevole interesse per lo studio della storia dell’Isola.
1
21
Probabilmente il consolidamento della fama di
Capri come meta privilegiata del Grand Tour, ha
avuto delle strette relazioni con la storia antica
dell’isola. In questo senso sembra agire non tan-
to una rivalutazione critica, quanto la curiosità
connessa al mutato clima culturale europeo, ver-
so la Capri di Tiberio vista come paradiso della
trasgressione, e per la moda architettonica che
produce sull’isola, l’uso dei ruderi come fonda-
zioni, revivals, caratterizzati da notevole ecletti-
smo. L’Ottocento è anche il secolo che segna il
nascere di una reale attenzione scientifica per la
documentazione epigrafica caprese, raccolta da
Theodor Mommsen e da Georg Kaibel. Sul finire
del secolo, una certa attenzione sulla storia anti-
ca di Capri, proviene anche da uno dei più grandi
storici del tempo, Julius Beloch, il quale dedica gli
dedica alcune pagine nella sua monografia sulla
Campania antica.
2.4 Ottocento, fra ricerca e mito
Capri, August Leu 1864
22
Parlare di villa in età romana significa cogliere
uno degli aspetti più significativi e tangibili
della romanizzazione nel mondo antico. Per villa
generalmente si intende un edificio progettato
per sorgere in spazi aperti, solitamente in
campagna, finalizzato a soddisfare l’esigenza di
svago e riposo del suo proprietario. L’elemento
di piacere infatti contraddistingue la villa intesa
come edificio residenziale a parte. Un altro
elemento fondamentale risiede nel rapporto
inscindibile che la villa ha con la città, come
completamento della vita urbana, sia dal punto
di vista economico che sociale. L’influenza della
scelta visiva, del “panorama”, costituisce poi un
altro aspetto fondamentale del rapporto tra arte,
natura e uomo, condizionando enormemente
il progetto costitutivo e costruttivo. L’edilizia
romana ebbe a capri un suo carattere ben
definito, dovuto soprattutto al periodo ristretto
in cui nacque, si sviluppò e si concluse durante
il governo di Augusto e Tiberio. Si ebbe pertanto
tra l’antico e l’età di mezzo lo stesso distacco
che si nota nella zona vesuviana fra le città
sepolte del Vesuvio, con la notevole differenza
che le fabbriche imperiali rimasero a Capri per
gran tempo allo scoperto e vennero usate dagli
3. Ville Romane
23
abitanti nei loro impianti essenziali: volte di
copertura e cisterne. L’archeologia caprese è
dominata dalla ricerca delle dodici ville in cui,
stando a una testimonianza di Tacito, Tiberio si
sarebbe insediato, dedicandole alle varie divinità
dell’Olimpo. Data la natura ventosa e l’instabilità
del clima marittimo dell’isola, si cercava nella
ricca varietà dei luoghi le condizioni adatte
ad un prolungato soggiorno. Per quanto sia
vasta e varia la bellezza dell’isola sembrano
comunque troppe dodici ville imperiali, costruite
unicamente da Tiberio. Pertanto è importante
riconsiderare la previa opera di Augusto, e la
scarsità di fonti scientificamente certe. Tiberio
ha dato comunque fama all’isola di Capri,
soprattutto agli occhi dei viaggiatori del Gran
Tour, codizionando certamente e profondamente
la ricerca dell’archeologia caprese, portando
studiosi e ricercatori fra Settecento e Ottocento,
all’individuazione dei possibili siti , lasciandosi
spesso forviare. Tale interesse ha determinato
una mancanza rispetto a una visione d’insieme
dei ruderi, molti dei quali attualmente ignoti a
causa di manomissioni e distruzioni che hanno
alterato la visione dei luoghi. All’epoca dei primi
scvi, mancava infatti l’esatta concezione del Disegno dellà800 che ritrae la vita di Tiberio a Capri
24
termine topografia e da un attento esame è stato
dimostrato che molti dei resti individuati come
ville sono pertinenti ad altri tipi di strutture.
Dotti capresi dell’Ottocento hanno cercato di
ricostruire la storie delle dodici ville augustee e
tiberiane, elencandole:
Villa JovisVilla Di TragaraVilla D’unghia MarinaVilla del Colle San MicheleVilla del CastiglioneVilla del TruglioVilla di AjanoPalazzo a MareVilla di Capodimonte o San MicheleVilla di TimberinoVilla di MonticelloVilla di Damecuta
Ma quello citato, è solo uno dei possibili elenchi
di ville individuate nel territorio caprese, quello
più attendibile ed effettuato dal Mangoni, il quale
attinse informazioni dal prezioso manoscritto di
ricerche effettuate dal sindaco e sovrintendente
delle antichità sotto il regno borbonico, Giuseppe
Feola. Quello che non è mai stato considerato
dagli scrittori antichi, oltre al dato topografico,
è quello storico. Capri era abitata da popolazioni
di origine greca che sull’isola avevano costruito
anche edifici pubblici; su questa realtà pregerssa
si inserisce la figura di Augusto che, attratto dalla
bellezza dei luoghi, fa di Capri un dominio privato,
25
e da inizio alla trasformazione edilizia che affida
all’architetto Masgaba. Tiberio poi soggiorna
sull’isola per ben dieci anni, dal 27 a.C. Al 37
a. C., seguito certamente da una nutrita corte e
scorta. Quindi, oltre a quelle che dovevano essere
le residenze imperali, sull’Isola dovevano essere
dislocate abitazioni di vario genere. Di questa
costellazione di ville più o meno disordinatamente
frugate e saccheggiate nei primi scavi tra ‘’700 e
‘800, sono solo tre ad essere ancora superstiti
e definibili più certamente come ville imperiali:
Villa Jovis,che corona il vertice del promontorio
orientale (Monte Tiberio), la seconda, quella sulla
spianata di Palazzo a Mare che discende verso i
Bagni di Tiberio, e quella in esame di Damecuta,
dove l’altopiano di Anacapri, digradando in
terrazze di ulivi e carrubi, si allarga e si distende
lungo la costa ai piedi del Solaro. Tre ville e tre
diverse quote altimetriche.
Statua di Tiberio dalla cima del Monte Solaro
26
E’ la più grandiosa villa imperiale di Capri ed
è quella che per la sua singolare posizione
e per le sue massicce strutture di cittadella
fortezza, esprime una volontà di dominio, una
necessità di difesa e non soltanto un desiderio
ludico. La villa ebbe nel periodo borbonico la
stessa triste vicenda di rapina che ebbero
le altre ville imperiali dell’isola: venne
saccheggiata da archeologi di avventura,
spogliata fin dall’età di Carlo Borbone dei
suoi pavimenti preziosi in tarsie di marmo
policromo. Un solo scavo regolarmente
autorizzato venne eseguito nel 1932, e portato
a termine con successive campagne di lavori
nel 1935. Lo scavo ha messo in luce una vastità
ed organicità d’impianto che spesso le previe
rappresentazioni avevano sostanzialmente
falsato. E pertanto Tiberio che non ha lasciato
fama di grande costruttore, ha dato qui prova
di composizione organica architettonica. La
Villa ricopre con il suo nucleo principale e
con le fabbriche accessorie dipendenti, tutto
l’acrocoro del monte: i fabbricati messi in luce
luce abbracciano una superficie di oltre 7000
mq, ma l’area della villa che comprendeva
giardini, boschi e ninfei, doveva avere
3. 1 Villa Jovis
Assomometria dello stato attuale di Villa Jovis
27
un’adeguata zona di rispetto e sorveglianza
e quindi essere ancora più estesa. Dalla
Torre del Faro, il pendio roccioso sale
ripidamente fino alla vetta un tempo Terrazzo
del belvedere. Circa 40 metri di dislivello
ricoperti dai fabbricati della Villa colmati da
terrapieni e lavorati con terrazzamenti. La
fabbrica principale del Palazzo è contenuta
in un grande quadrilatero, al centro del
quale vi sono quattro grandi cisterne scavate
profondamente nella roccia, divisa ciascuna
in due o quattro settori intercomunicanti,
coperte da volte, oggi in gran parte crollate, ma
che anticamente erano destinate a raccogliere
le acque pluviali cadenti sul loro estradosso
e sui tetti circostanti. I vari quartieri della
villa si sipongono razionalmente intorno al
quadrato centrale delle cisterne, conservando
lo schema a quadrilatero, ampliandosi verso
oriente, con una costruzione ad emiciclo
addossata alle rocce e prolungandosi verso
nord con una grande terrazza di belvedere e
di paesaggio. Dal viale dei mirti si sale poi
per una rampa, che conserva ancora parte
della pavimentazione originaria, all’entrata
principale della Villa. Il prospetto imponente Pianta piano terra di Villa Jovis
28
che si eleva gradatamente sulle rocce verso
la Marina grande di Capri contorna le stanze
del quartiere del Bagno: le tracce che qui
si notano di stucco bianco mostrano come
la grande mole degli edifici era rivestita
di bianco intonaco in modo da spiccare fra
il verde del Parco. Il vestibolo superiore
dopo la rampa è il vero e proprio centro
delle comunicazioni del Palazzo. Il bagno,
è collocato sul lato meridionale del palazzo.
Nonostante alcuni avvenimenti, come il crollo
delle volte e gli attacchi dei predoni in cui le
Termae vennero spogliate di ogni decorazione,
mosaici e rivestimenti in marmo, è ancora
riconoscibile un’accuratezza d’impianto e
di funzionamento. E’ una serie di cinque
ambienti disposti parallelamente al corridoio
principale del Palazzo, disimpegnati da un
proprio corridoio di accesso e da un separato
corridoio di servizio. Il corridoio principale
della Villa, passando tra il Bagno e la
cisterna meridionale, sbocca con una grande
gradinata sul ciglio della roccia e mediante
una rampa, raggiunge il quartiere imperiale
posto nella parte più elevata. Il Ninfeo è un
complesso di sei ambienti collegati ad un Ricostruzione di Villa Jovis da sud-ovest,C.Weichardt(1900).
29
emiciclo racchiuso e quasi incassato fra il
muro delle grandi cisterne, il ciglio della
roccia e la terrazza belvedere, e aveva la
funzione di essere un vero e proprio ambiente
di rappresentanza. La loggia imperiale si
trova uscendo dall’alloggio imperiale verso la
discesa del grande corridoio del palazzo. La
loggia, ridossata alla pendice settentrionale
del monte e separata dal nucleo centrale da
un dislivello di 20 m, si apre a settentrione
verso il Golfo di Napoli e corre rettilinea per
una lunghezza di 92 m. Venne ricavata in
parte dallo spianamento e dal riempimento
della roccia e in parte, venne sopraelevata su
sostruzioni a volta e robusti muri di sostegno.
All’estremità orientale la loggia si prolunga
in un’esedra che si affaccia vertiginosamente
verso il mare con una parete d’appicco di
circa 300 m. La Loggia della Marina s’innalza
sul ciglio del monte volto a ponente verso
Marina Grande, con muri di grandissimo
spessore, circa 4 m. La struttura appare
omogenea in reticolato di tufo e filari di
laterizi e probabilmente la funzione di questo
poderoso rudere era quella di Specularium,
ossia un osservatorio che, rispondendo alle
30
esigenze mistiche dell’imperatore, facesse
anche da vedetta e segnalazione. Precede e
si stacca dal nucleo della fabbrica, la Torre
del Faro, piantata saldamente sul ciglio
di roccia che forma il crinale fra i due
versanti dell’Isola. Un massiccio basamento
quadrato di circa 12 m. di lato, ben conservato
nell’altezza del primo piano. All’angolo nord
ovest sono inseriti un pilastro e la spalla di
un arco che costituivano un comodo viadotto
d’accesso al primo livello del Faro. Questo
sorse sicuramente come Torre di segnalazio
ne ed era collegato al viciono Faro del Capo
Antheo e con quello del Porto di Miseno, dove
stazionava la flotta romana pronta ai comandi
dell’imperatore.
Sostruzioni della Villa
31
Di tutte le ville capresi di carattere più
spiccatamente imperiale, esclusa Villa
Jovis e Damecuta che, per la loro natura
impervia rispondono più al carattere
misantropo di Tiberio, quella che invece
sembra particolarmente adatta all’indole
di Augusto, è la Villa che conserva il nome
classicamente imperiale di Palatium,
nella moderna denominazione di Palazzo
a Mare. Posta ad immediato contatto con
il litorale lungo il basso promontorio che
dall’antico porto romano, sale alla grande
spianata dell’attuale campo sportivo, per poi
riscendere ai Bagni di Tiberio, presenta un
impianto tipico delle ville della prima età
imperiale, con poche fabbriche e molte aree
aperte. La località era particolarmente adatta
alle costruzioni di Augusto, sia per ragioni
climatiche che per la sua vicinanza al porto
che veniva ad essere collegato direttamente
alla residenza dell’imperatore a Capri. Altro
aspetto importante era la sua vicinanza al
centro maggiore dell’isola quindi ai suoi
cittadini, elemento fondamentale per seguire
la politica di Augusto per la comprensione
e fusione fra ellenismo e romanità. Palazzo
2.4 Palazzo a Mare
Ridisegno dell’impianto di Palazzo a Mare
32
a Mare ha avuto forse il destino più infelice
rispetto alle atre ville capresi. Dopo essere
stato spogliato e depredato, ha subito altri
danni dopo le opere di fortificazione che vi
fecero francesi e inglesi fra il 1806 e il 1815,
spianando e riducendo l’ area centrale della
villa a Piazza d’Armi, trasformando il nucleo
principale delle fabbriche del alto orientale
in Fortino. Nel XIX secolo e ancora oggi poi
ville, alberghi, case rurali sorsero nell’area
del vecchio Platium traendo profitto delle
solide opere di terrazzamento che i Romani
avevano costruito. Nonostante la distruzione
quasi totale degli edifici antichi, l’unità
della Villa si riconosce dai muri possenti di
sostegno che accompagnano le varie parti
riservate ad abitazioni o giardini.
Mura di Palazzo a Mare ai bagni di Tiberio
33
Uno sguardo allla storia delle civiltà antiche
del Mediterraneo lascia intuire come
l’arte dei giardini fosse, patrimonio comune
ai diversi popoli: essa ne testimonia i
periodi di maggior splendore, gli sviluppi
economici, artistici e tecnologici. Nel bacino
del Mediterraneo confluiscono esperienze
molteplici, grazie anche alle quali si matura
il pensiero del mondo ellenico e si costituisce
la sua grandezza culturale. Quando Roma si
affaccia alla ribalta della scena politica ad
oriente, la civiltà greca ormai è al tramonto. I
romani riscoprono, nell’arte dei greci, i valori
naturalistici inespressi nelle loro tradizioni e
li traducono in opere che per la loro creatività
saranno un esempio fino ai giorni nostri. Con
la conquista dei paesi dell’area ellenistica,
nel II secolo a.C., Roma incontrò un’ arte
matura, caratterizzata dal gusto orientale che
i greci avevano assimilato dai popoli vinti.
Agli occhi dei generali romani apparve
un’arte molto raffinata, espressione dei
grandi parchi persiani descritti da Senofonte,
dei quali un riverbero si aveva nei giardini
siciliani costruiti dai tiranni di Siracusa. Una
fedele immagine del mondo greco era di fatto
4.Arte del giardino nelle ville romane
Giardino dipinto con alloro,aloe ed edera, Pompei,Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
34
rappresentata in Italia nei centri maggiori
dello sviluppo, come quelli campani, dove
si era manifestato il germoglio della civiltà
greco-sannita. Presso i popoli conquistati
l’arte dei giardini aveva raggiunto momenti
di splendore, uscendo dai recinti sacri in cui
fino ad allora era stata elegata. Le prime ville
le aveva possedute in Atene il filosofo Epicuro
e la botanica aveva trovato in Teofrasto la
sua affermazione. Da lui sappiamo che i
platani erano stati piantati in Italia da alcuni
secoli, e che i famosi pini e abeti del Lazio
fornivano la pece, chiamata in lingua gallica
padus, da cui deriva il nome della pianura
del Po. Teofrasto ci fa conoscere anche un
cactus in Sicilia ignoto alla Grecia e piante
officinali in Etruria e nel Lazio. La maturità
delle conoscenze scientifiche e tecniche che
si riscontra nella coltivazione della terra era
il frutto di una trattatistica che annoverava
numerosi scrittori e ricerche alla base degli
Scriptores Rei Rusticae e altre raccolte
come quelle dello spagnolo Columella e del
Palladio. Il gusto per i giardini all’interno
delle residenze private si diffonde per
primo in Campania. I porti della Campania Peristilio di una domus a Pompei
35
erano infatti in diretto rapporto con l’Oriente
attirando un grande numero di negotiatores
italiani verso quell’area, provocando una
prima trasformazione dell’abitazione italiana.
Infatti in quel periodo si affermano i primi
peristili pompeiani, che aprono le stanze
nelle quali si viveva per disporre di verde e
fiori. Persino quando non si poteva avere
un vero e proprio giardino a causa delle
ristrette dimensioni, si cercava di riprodurlo
illusoriamente, dipingendo alberi sul muro
di fondo e paesaggi visibili fra le colonne.
L’esaltazione dell’origine rurale della civiltà
romana cantata dai poeti, rimane presto
solo un ricordo lasciando spazio ai giardini
di ispirazione greca, fastosi e maestosi.
Le ville sono divise generalmente in tre:
urbana, rustica e fructuaria. Gli impianti dei
giardini riaffermano l’assialità e la simmetria
dell’architettura e curano l’articolazione degli
spazi che sfrutta spesse volte attraverso i
terrazzamenti la morfologia del paesaggio
collinare. Dal giardino greco il viridarium
romano aveva importato il criptoportico
usato per il collegamento tra i vari ambienti,
e il portico, addossato generalemnte a un Villa marittima con portico,statue e giardino rigogliosi. Da Pompei, Napoli, Museo Archeologico Nazionale
36
muro e rialzato con dei gradini, ornato di
piante e pitture. Da questo deriva poi il
quadriportico, che attorniava il giardino
come nei peristili delle case. Elemento
rilevante era lo xystus, che rapprestentava
una specie di terrazza giardino, con passaggi
coperti. Questi potevano assumere anche
un tracciato circolare, e nei luoghi pubblici
erano provvisti di una indicazione in metri
del percorso, per poter orientare il cittadino
nelle sue passeggiate. Non mancavano poi le
piscine e i bagni, che spesso si trovavano in
settori distinti del giardino e collegati tramite
viali alla residenza. I giardini dell’epoca
repubblicana, accoglievano peschiere e
uccelliere che rappresentavano un’attrazione
per gli ospiti della villa. Verrone ci lascia una
dettagliata descrizione del suo ornithon di
Cassino, mentre nella villa a Tuscolo, ad un’ora
stabilita, al suono di un corno accorrevano
cinghiali e cervi. Lo spettacolo delle bestie
che accorreva al segnale, circondando gli ospiti,
doveva essere molto suggestivo e ricreava uno
spirito orientale.Giardino dipinto con alloro,aloe ed edera e statue, Pompei,Napoli,
37
INTERVENIRE SULLE ROVINE
Parte II
38
La storia sta alla base della conoscenza
e va interpellata criticamente in modo
da scegliere tra i molti significati dei tanti
avvenimenti. Il problema del rapporto con
la storia, il problema tra antico e nuovo,
innovazione e conservazione ha prodotto
in Europa, durante tutto il Novecento un
vivace dibattito culturale che appare oggi
più che mai difficile in presenza di una
realtà contemporanea così instabile e
sradicata. Nella cultura progettuale italiana
il confronto è particolarmente sentito per
l’importanza del patrimonio storico delle
nostre città. Con posizioni e interpretazioni
differenti si sono occupati del rapporto tra
storia, conservazione e progetto, Gustavo
Giovannoni, Manfredo Tafuri, Roberto
Pane, Salvatore Settis, Saverio Muratori,
Aldo Rossi, Carlo Aymonino, Giorgio Grassi,
Rafael Moneo, Vittorio Gregotti, Bruno Zevi,
Marco Dezzi Bardeschi, Franco Purini e
molti altri. Oggi, in una realtà oggetto di
trasformazioni rapide, il patrimonio di
conoscenze acquisito può apparire sempre
più privo di legittimazione. Ma l’approccio
storico e quello progettuale, una volta
inseriti in una situazione critica e dinamica
dovrebbero trasformare la lettura storic in
un valido laboratorio di progettazione. Nella
contemporaneità, in seguito ai processi di
forte trasformazione, si rende più che mai
necessaria una riflessione tra antico e nuovo.
Riflessione particolarmente necessaria
in Italia dove il tema del rapporto tra
modernità e patrimonio storico si ripropone
frequentemente, per il peculiare tessuto
storico delle città, e investe il confronto
sulla legittimità di interventi di architettura
contemporanea oltre alla necessaria
39
salvaguardia delle opere monumentali e
degli ambienti urbani. lʼossessione del nuovo,
il non confrontarsi con il passato genera
un “rapporto irrisolto e lacunoso, il non è
di ciò che è” , con Operazione preliminare
e necessaria alla progettazione è l’analisi
dei complessi rapporti che intercorrono tra
patrimonio storico e monumentale, tra la
politica della tutela e del bene culturale, la
memoria sociale ed infine la composizione
architettonica. L”architettura contemporanea,
potrebbe imparare a guardare alla storia
dell’architettura come alla storia dei tanti
tentativi fatti per cercare di risolvere le
diverse problematiche e per elaborare
possibili linguaggi. La storia è assunta
come oggetto di riflessione, l’architettura è
intesa come un processo, come successione
logica, da seguire con regole imposte da una
ragione precisa. La ricerca compositiva e
progettuale ritrova nella storia i segni che
possano spiegare l’essenza dell’opera e i
motivi della sua permanenza.Secondo Moneo
c’è un rapporto diretto tra le architetture,
anche quelle più moderne e apparentemente
estranee alla storia, e il passato, quel passato
nel quale inevitabilmente ci imbattiamo
quando inizia il primo lavoro richiesto dalla
costruzione, cioè lo scavo che precede il
processo di fondazione. Le operazioni di
scavo, che costituiscono le prime operazioni
di una costruzione, pongono l’architetto in
collegamento con il passato di un luogo,lo
scavo diventa lo strumento per cercare
nelle sue viscere la diretta testimonianza
di un passato sepolto. L’architettura può
utilizzare strumenti dell’epoca moderna
senza abbandonare il rispetto per il passato
ed il dialogo con esso. La storia è un medium
fondamentale per esplorare l’architettura
e la trasformazione di un monumento,
rispettando l’identità del monumento stesso.
40
Ogni periodo storico elabora, in modi
diversi, propri atteggiamenti nei confronti
delle rovine e della memoria del passato. Nel
periodo attuale è riscontrabile non solo molta
attenzione nel voler conservare le rovine,
recepite come simboli di un determinato
luogo. Ciò sviluppa nuove forme di approccio
estetico. Attraverso le immagini del turismo le
rovine s’imprimono nella memoria collettiva,
conquistano il ruolo di catalizzatori della
memoria, e si insediano nella coscienza
delle popolazioni locali. La nascita della
possibilità di percepire le rovine attraverso
immagini si deve molto agli archeologi
che, fin dall’Ottocento, si sono occupati
della presentazione e ricostruzione delle
rovine, liberando i monumenti dalle tante
superfetazioni che, nel corso dei secoli ,spesso
li avevano inglobati. Possono considerarsi
positivi i numerosi interventi, oggi diffusi,
di allestimento di parchi archeologici, in cui
la simbiosi fra natura e rovine, porta a dover
trovare compromessi tra le diverse esigenze
di tutela, mentre la presenza delle rovine
stimola la riflessione rispetto al tema della
memoria dei luoghi.
1.2. La moderna estetica della rovina
Disegno del Piranesi delle rovine del Canopo di Villa Adriana
41
Il Teatro di Sagunto, situato fra il centro
storico attuale e quello che resta dell’antico
castello della città, al momento dell’incarico a
Grassi, si presentava come una sorta di rovina
artificiale, composta da pochi resti originali,
inseriti in una ricostruzione mimetica, a volte
anche errata, eseguita tra il 1956 e il 1978. Il
progetto di Grassi rifiuta ogni mimesi con le
preesistenze e basa il progetto sulla rimozione
degli errati interventi di ricostruzione. Mira a
ricreare soprattutto l’idea di teatro romano.
La quasi totale eliminazione del muro del
postscenium aveva determinato l’impressione
di trovarsi di fronte alle rovine di un teatro
greco, ricavato sul pendio del monte e rivolto
verso la pianura circostante. L’obiettivo che si
propone Grassi è quello di ricreare la perduta
identità attraverso la ricostruzione del
fronte scena, contrapposto al prospetto del
postscenium trasformando questo intervento
nell’elemento caratterizzante del progetto. Il
frontescena, elemento essenziale dello spazio
teatrale romano viene ricostruito ricalcando
le tracce dell’originario impianto, elevandolo
fino alla quota del muro di contenimento
della cavea. Il prospetto appare astratto
2. Intergrazione delle lacune senza mimetismi2.1. Giorgio Grassi, Teatro Romano Sagunto
42
attraverso la sua compattezza, scandita dalle
ritmiche e rigorose aperture. Per la cavea, la
ricostruzione parziale ha portato al restauro
delle scale e al rivestimento dei gradini,
lasciando una parziale visione delle rovine e
privilegiando quindi anche qui una soluzione
architettonica a carattere incompiuto. Il
progetto si caratterizza quindi per un’estrema
chiarezza metodologica, confrontandosi
senza incertezze con la preesistenza: il nuovo
non si impone come presenza distruttrice ma
deriva direttamente dall’architettura antica,
dialogando con la rovina.Disegni e fotografia dell’appato di sostegno dei resti del teatro
43
Sezioni prospettiche del progetto nel teatro
44
45
46
Il Museo di Arte Romana di Merida, sorge su
un terreno ricco di tracce dell’antico tessuto
edilizio romano, inserito in un contesto urbano
anonimo. Moneo progetta il Museo come un
volume imponente e massivo, organizzato
attraverso uno schema semplice, generato da
due corpi collegati da una passerella sospesa
sui resti archeologici di un’antica via romana.
L’impianto planimetrico generale riprende il
sistema stradale circostante, mentre la pianta
dell’area espositiva ripropone lo schema
morfologico del sistema circostante. Dei due
corpi che compongono il Museo, il primo
ospita le sale espositive, il secondo i servizi,
uffici, laboratori di restauro, sala conferenze,
biblioteca, caffetteria. Sul lato nord la galleria
appare come un edificio industriale con i
muri in mattoni che salgono fino al tetto su
cui si aprono dieci piccoli timpani in vetro. Le
differenti funzioni dei due corpi di fabbrica
sono leggibili anche all’esterno: quello
del Museo, monumentale e solido rimanda
all’architettura romana, il blocco dei servizi
al contrario ricorda invece architetture
moderne industriali o residenziali. Il percorso
espositivo non si configura tradizionalmente,
2.2 Rafael Moneo,Museo Nacional De Arte Romana di Merida
Pianta del piano terra e della cripta
47
ma piuttosto come un archivio, in cui i
reperti, collocati in una grande aula, possono
essere osservati liberamente dal visitatore.
Non potendo ricostruire materialmente un
luogo dove esporre i reperti romani ritrovati,
Moneo ricrea l’atmosfera servendosi di
una scala architettonica monumentale e di
prospetti esterni chiusi. Viene poi proposta
una sequenza prospettica di elementi
strutturali come muri, contrafforti e arcate
che crea un luogo interno definito. I reperti
vengono messi in evidenza dalla studiata
disposizione dell’illuminazione naturale,
creata da lucernari e da poche aperture. Lo
studio dell’illuminazione ha portato alla
genesi di un effetto simile a quello generato
dalla luce che penetra attraverso parti
crollate di una copertura. Il museo non è
progettato unicamente come luogo espositivo
ma rappresenta anche il nodo di un sistema
di collegamenti con le rovine della vicina
area archeologica. Come spazio pubblico
si connette allo spazio antico, definito dal
Teatro, servendosi del passaggio sotterraneo
che si mostra come una cripta illuminata dalla
luce proveniente da alcune aperture sul lato Sezione assonometrica
48
ovest e pavimentata in terra battuta. Il Museo
di Merida ingloba direttamente i resti del
tessuto edilizio romano, sottostante la navata
principale, mentre la maglia urbana guida il
progetto. In questo modo viene applicata la
metodologia progettuale di Moneo, che punta
a sviluppare uno stretto legame tra gli edifici
e il passato, e quello che i luoghi nascondono.
49
50
Minissi nell’intervento di protezione dei
mosaici della Villa del Casale di Piazza
Armerina progetta un sistema di coperture
che concilia la protezione in situ dei ruderi
archeologici con il rispetto e mantenimento
dell’atmosfera creata dalle rovine stesse.
Il progetto, atttraverso la trasparenza e la
leggerezza dei materiali utilizzati, lascia
riconoscibile l’impianto della villa, le tracce
murarie e i mosaici dei pavimenti e crea
uno spazio immateriale illuminato da una
luce naturale diffusa. Egli realizza in questo
modo la sua proposta di riconfigurare
un’immagine volumetrica e spaziale
comprensibile e non equivoca. L’architetto
realizza più coperture al di sopra della
domus, ciascuna con materiali e tecnologie
moderne, riproponendo le forme che
avrebbero potuto assumere originariamente.
Attraverso questa sostituzione Minissi
ricostruisce idealmente la volumetria della
Villa, molto articolata per la complessa
morfologia del terreno, riproponendo la netta
distinzione tra la zona residenziale e quella
di rappresentanza con il peristilio ellittico,
la grande sala trilobata e il complesso delle
3.Ricomposizione critica 3.1 Minissi, Villa Romana del Casale Piazza Armerina
51
terme. La realizzazione di passerelle aeree
consente di conservare la funzione originaria
di pavimentazione ai mosaici, che in questo
modo hanno la possibilità di rimanere nel
luogo originario senza essere calpestati.
L’intervento interpreta il dibattito tra antico
e nuovo e fa del progetto della Villa del
Casale il manifesto del restauro del XX secolo
per quello che riguarda l’uso di materiali
all’avanguardia su reperti archeologici.
Minissi interviene affidando al restauro la
prima e indispensabile fase di protezione
dei reperti facendo convivere passato e
futuro attraverso un linguaggio originale
e innovativo, una soluzione architettonica
trasparente, di rigorosa pulizia formale e
di impatto ambientale limitato, garantendo
una migliore fruizione museografica ad un
numero sempre maggiore di visitatori.
52
Verso la metà degli anni Novanta venne
previsto un intervento di salvaguardia
per la villa romana di Olmeda scoperta nel
1968 e venne bandito un concorso per un
progetto di protezione e musealizzazione dei
reperti archeologici. Lo studio Pedres Pedrosa
Arquitectos vince nel 2004 il concorso,
prevedendo la copertura degli scavi, la
protezione in situ dei mosaici, l’allestimento
di un centro espositivo e di un centro di studi
per turisti e archeologi. Il progetto all’interno
dell’area archeologica possiede quattro nuove
costruzioni che interferiscono con il percorso
espositivo. L’ingresso all’area archeologica,
segnalato da un capitello in marmo ritrovato
negli scavi della villa, avviene lungo un
percorso curvilineo fiancheggiato da cipressi.
I quattro padiglioni, che ricordano i tronchi
dell’albero del bosco vicino, sono rivestiti in
legno e sono ribassati rispetto all’intradosso
della copertura generale. Nel primo dei
padiglioni, collocato sul perimetro della villa,
sono posti il vestibolo d’ingresso, il bookshop,
la caffetteria, i servizi e gli uffici. Il secondo
padiglione ospita la sala espositiva e
l’antiquarium, il terzo l’auditorium e il quarto
3.2.Ignacio Garcia Pedrosa e Angela Garcia Paredes, Copertura area archeologica di Olmeda
Plastico e impianto della museo della Villa romana di Olmeda
53
il laboratorio di restauro, vicino all’accesso
per il personale. Questi ultimi tre padiglioni
si snodano lungo un percorso leggermente
rialzato rispetto al livello dell’area
archeologica. Un’ampia copertura metallica,
a volte ribassate, sorretta da 24 pilastri.
protegge l’intero complesso architettonico. I
sostegni puntiformi sono disposti secondo una
maglia longitudinale che segue la planimetria
della villa, iniziando dalll’impluvio quadrato.
La struttura romboidale è un sistema
costruttivo modulare prefabbricato, e le
dimensioni dei rombi hanno permesso il
trasporto e facilitato l’assemblaggio in situ
degli archi di 25 metri di luce, che sono
stati innalzati fino alla posizione finale,
per fissarli, mediante viti, agli elementi
consecutivi. I mosaici sono delimitati da
paretine in fibra di vetro e resina per
ricostruire parzialmente lo spazio originario
delle stanze e favorire la contemplazione dei
mosaici in ambiti differenziati. Infine per
separare le camere si sono impiegate reti
metalliche semi-trasparenti che imitano con
un linguaggio del secolo contemporaneo,
i muri delle stanze di questa grande casa, Ingreasso al museo
54
senza ostacolare una visione globale di
tutta la villa nel suo insieme e in modo da
fare intuire le proporzioni di ogni ambiente.
Questa soluzione permette anche di fare
recuperare la terza dimensione alle camere
pavimentate e di incorniciare i mosaici
favorendone l’illuminazione. Le passerelle
aeree permettono la visione dei mosaici a
distanza ravvicinata. Si presenta in questo
modo al visitatore un organismo complesso
nel quale i diversi ambienti che formano la
villa si possono osservare separatamente
ma, nello stesso tempo, è possibile ammirare
con un solo colpo di vista tutto lo scavo. La
facciata che racchiude l’edificio è formata da
una base di cemento bianco trattato a doghe
verticali e da una superficie di policarbonato
traslucido che permette di illuminare,
evitando abbagliamenti. L’andamento a zig
zag del rivestimento ha anche una finalità
protettiva, fungendo da ostacolo al forte
vento della pianura. In vari punti del percorso
sono stati progettati alcuni spazi espositivi,
audiovisivi e per uffici, utilizzando per
le pavimentazioni, le pareti e i soffitti
lo stesso tipo di legno. L’inserimento nel
55
paesaggio è ottenuto attraverso l’utilizzo del
rivestimento in acciaio corten che ricopre la
struttura, e diventa elemento caratterizzante
dell’intervento, evocando il colore ocra,
tipico della campagna castigliana. Inoltre, il
rivestimento metallico varia la densità delle
perforazioni, gradatamente, verso la zona
superiore, e si apre verso il cornicione e
verso il cielo, integrandosi e, per certi versi,
imitando, il paesaggio alberato circostante.
Questa variazione del passaggio della
luce all’interno genera punti di maggiore
luminosità e di ombra, come se si stesse
dentro un gran bosco di pioppi. Gli architetti
impongono al progetto non solo l’obiettivo
di proteggere e riparare alcuni resti
archeologici mediante una copertura a ponte,
ma, soprattutto, intendono restituire al luogo
il carattere monumentale che aveva avuto un
tempo. Il paesaggio è l’orizzonte entro cui
nasce il progetto, che sembra interpretarlo,
quasi mimeticamente, nei volumi geometrici
elementari, nelle prospettive profonde,
ma per scelta culturale decide anche di
esprimere costantemente la discontinuità
storica per sottolineare, senza compromessi, Fotografie degli interni e del rapporto con l’archeologia
56
il valore dei resti antichi. Il risultato finale
è uno spettacolare ma semplice edificio che
si integra perfettamente nell’ambiente e che
è dotato dei volumi necessari per ammirare
quello che è e quello che fu questa villa.
Fotografie degli interni e del rapporto con l’archeologia e le nuove funzioni
57
Fotografie degli interni e del rapporto con l’archeologia e i mosaici della pavimentazione
58
Le operazioni di scavo, che comprendono
l’area di Castel Nuovo, quella di Palazzo San
Giacomo e Via Vittorio Emanuele III, hanno
portato, nel 2005, alla scoperta del bacino
dell’antico Porto di Neapolis nell’insenatura
compresa tra le attuali Piazza Municipio e
Piazza Bovio. Lo scavo è sceso diciassette
metri al di sotto della strada e ha raggiunto
il livello in cui si trovano reperti del IV-III
secolo a.C., tagliando stratigraficamente
più di due millenni di storia della città.
Il ritrovamento del porto, risalente alla
fine del IV secolo a.C., è molto utile per la
conoscenza dell’andamento della linea di
costa, molto più arretrata rispetto all’attuale.
Queste scoperte sono state molto importanti
per la conoscenza della stessa evoluzione
urbanistica di Neapolis. Sono state ritrovate
le strutture portuali di epoca romana, e
riportato alla luce il fondale marino del I
secolo d.C., a quota -2,50 metri sotto il livello
del mare. Sono state trovate e rimosse inoltre
tre imbarcazioni romane due barche di dieci
metri ciascuna, usate per i collegamenti tra
Neapolis e l’Africa del Nord, e una terza, la
più grande, che si rivelerà un’eccezione
4. Integrazione tra nuovo e reperto4.1. Alvaro Siza Vieira, Eduardo Souto de Moura, Stazione Municipio a Napoli
Interno della stazione metropolitana
59
nell’archeologia dell’antica Roma. Le barche,
in ottimo stato di conservazione, insieme
ai numerosi reperti rinvenuti durante la
campagna degli scavi archeologici, saranno
conservati ed esposti in un museo da allestire
all’interno di Castel Nuovo. Altre scoperte
archeologiche in Piazza Municipio hanno
riportato alla luce la cittadella aragonese
formata da una serie di fabbricati intorno
al Maschio Angioino. La nuova stazione
si presenterà come una grande galleria
trasparente, posta a una decina di metri di
profondità, illuminata con luce naturale,
che , dai giardini di Palazzo San Giacomo, si
estenderà fino ai binari del metrò, per uscire
infine sul piazzale della Stazione Marittima.
Siza ha progettato di lasciare visibile nella
galleria la base dei bastioni del Maschio
Angioino e il muro vicereale, accanto a
negozi, bar e ristoranti. Il tunnel pedonale è
progettato come un museo in cui sistemare i
reperti del cantiere archeologico, uno spazio
particolare sarà riservato alle tre barche di
epoca romana, una delle quali sarà appesa
alla parete. Siza recupera l’idea di fondo della
piazza che restituisce il collegamento della Reperti ritrovati durante le operazioni di scavo
60
città con il mare. Il progetto mostra il massimo
il rispetto, verso i reperti archeologici
rinvenuti, è rispettoso inoltre dei materiali,
dei colori, e della luce. È questo il principio
che regola il lavoro degli architetti i quali
hanno studiato molto sulle carte topografiche
e sulle antiche incisioni della piazza, e
da questo è emerso un progetto capace di
fondere storia, archeologia e soluzioni eco-
compatibili con un’area monumentale. «L’idea
complessiva - dice Alvaro Siza Vieira - si basa
su un dato molto visibile nelle tante incisioni
del porto e di piazza Municipio, la persistenza
di questa fortissima penetrazione della città
verso il mare”, per questo occorre rinforzare
l’asse con il golfo e insieme rispondere ai i
bisogni della metropolitana e della mobilità
cittadina. Un elemento di novità è il fossato
del Maschio Angioino, ingrandito come
accesso principale alla metropolitana, ma
un altro aspetto importante è costituito dalla
galleria sotterranea che si apre sulla Stazione
marittima con una rampa per accogliere in
città i turisti del mare.
61
62
L’incarico è stato affidato allo studio
Richard Meier & Partners Architects
con una formula senza precedenti, che ha
scavalcato la procedura di un concorso; ai
progettisti, è stato imposto l’unico vincolo
di non poter spostare la collocazione
dell’Ara e di rispettare l’assialità nord-
sud del progetto degli anni Trenta. Il nuovo
museo dell’Ara Pacis è la prima architettura
contemporanea costruita dagli anni
Trenta all’interno della cerchia delle mura
aureliane del centro storico, e si pone come
elemento di dialogo tra antico e moderno
e in evidente contrapposizione al barocco
romano. L’approfondita analisi diagnostica
effettuata negli anni Novanta sull’Ara Pacis
ha rilevato condizioni conservative critiche,
che hanno convinto l’Amministrazione
Comunale di Roma a sostituire la vecchia teca
del 1938. In seguito ai lavori di demolizione
del vecchio padiglione del Morpurgo, il
progetto del nuovo Museo dell’Ara Pacis
ha previsto la completa risistemazione
dell’area del Mausoleo di Augusto e la
costruzione di un nuovo padiglione. Il nuovo
complesso museale ricompone la quinta
5.Protezione del reperto archeologico5.1. Richard Maier, Ara Pacis
Pianta e fotografia dell’ingresso al museo e prospetto sul fronte stradale.
63
edilizia ad ovest del Tridente, si sviluppa
longitudinalmente tra la via di Ripetta e il
Lungotevere ed è caratterizzato, in pianta
e in alzato, da una composizione tripartita.
Il sito, per le eccezionali caratteristiche
storiche, archeologiche e architettoniche,
ha richiesto un intervento di valorizzazione
particolarmente delicato e non da tutti
apprezzato. I progettisti, si sono posti
alcuni obiettivi principali. La prima finalità
dell’edificio è stata quella di garantire
la massima protezione all’Ara Pacis. Si è
pensato poi di affiancare alla principale
esposizione una serie di funzioni museali, per
mostre temporanee e installazioni dedicate
all’archeologia, oltre a una biblioteca
digitale sulla cultura del periodo augusteo,
una libreria, un auditorium, uno spazio
convegni e due terrazze, Meier ha voluto
fortemente che il Museo fosse permeabile
e trasparente nei confronti della città. Il
nuovo spazio espositivo è concepito come una
galleria organizzata come percorso museale
e didattico, con pannelli, plastici e ritratti
ed è illuminata artificialmente. La seconda
area ospita il padiglione centrale in cui si Interno del museo
64
conserva l’Ara e che appare come una teca
trasparente, perimetrata da quattro colonne
che formano simbolicamente un baldacchino.
Il padiglione è formato da un’unica navata
centrale, dalle pareti trasparenti su montanti
in acciaio, con la griglia utilizzata spesso
da Meier e che ricorda le strutture navali.
La struttura è separata dall’edificio per
lasciare una maggiore trasparenza, le
vetrate di divisione sono calcolate secondo
le proporzioni dell’altare. La lunga loggia
vetrata, con funzione protettiva ed espositiva,
determina anche un diaframma trasparente
tra la riva del Tevere ed il cenotafio circolare
di Augusto. La terza area, infine, ospita un
auditorium su due piani per 150 posti, un
locale per la ristorazione, un museum-shop
e un’area ipogea per gli uffici. L’auditorium,
posto a nord, è collegato al Museo attraverso la
gradinata della sala agli spazi museali e può
funzionare anche autonomamente. Gli spazi
espositivi e quelli destinati alla didattica sono
ospitati nel piano semi-interrato, ottenuto
sfruttando il dislivello tra il Lungotevere
e via di Ripetta, qui alloggiano i locali che
ospitano i frammenti della ricostruzione,
una biblioteca, gli uffici di direzione e due
grandi sale, illuminate con luce artificiale.
Intuizione importante è stata quella di
riuscire a sfruttare questo dislivello in modo
da formare una cerniera tra le due vie, come
se la parte seminterrata fosse il negativo
della parte sovrastante. La luce è stata trattata
in modo da avere una illuminazione diffusa
che diventa quasi immateriale, rendendo,
verso sera l’Ara indefinita, quasi eterea. I
lucernari, orientati a nord, sono provvisti
di schermature regolabili per regolare il
filtraggio e modulare la luce, eliminando
le false ombre. il Museo dell’Ara Pacis è un
opera molto controversa, anche se sono state
valutate positivamente la purezza dei volumi
e le proporzioni dell’edificio l’intervento è
stato recepito come un’intrusione nel tessuto
storico della città.
65
Ara Pacis e interni del ”museo-teca”
66
L’area di Praca Nova è stata aperta al pubblico
nel 2010, dopo quattordici anni di campagna
di scavo e al termine dell’intervento di tutela
e musealizzazione, realizzato dagli architetti
portoghesi Joao Luìs Carrilho da Graca e Joao
Gomes Da Siva. All’architetto portoghese Joao
Luìs Carrilho da Graca è stato conferito il Premio
Internazionale Piranesi Prix di Roma 2010,
premio che si propone di selezionare le opere di
architettura che meglio interpretano il principio
del recupero del patrimonio archeologico come
soluzione di design contemporaneo. Il sito della
Piazza del Castello Nuovo di San Jorge presenta,
in un luogo ricoperto da pini, olivi, cipressi e
recintato da un muro medievale ricostruito, la
stratificazione di più età storiche. l progetto di
musealizzazione ha come obiettivo la creazione
di una struttura che possa accogliere e mostrare
tutti i differenti resti archeologici, che si sono
stratificati nelle diverse epoche sul sito, che si
estende per un’area di circa 3500 metri quadrati.
L’intervento aggiunge una serie di elementi che ne
facilitano la lettura e lo trasformano in un nuovo
museo urbano. Il progetto ha compreso numerose
e diversificate fasi, a partire dalla delimitazione
del nucleo archeologico, con una parete continua
6. Recupero,tutela e museilizazzione delle spazialità del sito archeologico6.1.Joao Luis Carillho da Graca, Parca Nova de Castelo
Schema dell’impianto
67
in acciaio corten, nel cui interno, sono stati
organizzati: percorsi, sedute e un bianco edificio,
sollevato da terra, che protegge le rovine del XI
secolo. A protezione dei resti dell’insediamento
preistorico dell’età del ferro è stato costruito
un volume formato da pareti di acciaio corten,
ripiegato e tagliato da fessure orizzontali. Si
presenta come edificio minimalista, attraverso
cui i visitatori possono raggiungere le antiche
fondazioni delle architetture, e serve a raccogliere
i reperti dell’insediamento preistorico dell’età del
ferro. Sul primo livello del sito, corrispondente
al periodo più recente, è stata costruita una
struttura sospesa, mobile, a protezione dei
resti e dei mosaici del palazzo arcivescovile
del XV secolo. La prima fase dell’intervento ha
delimitato il nucleo archeologico con una sottile
e bassa parete continua in acciaio corten che
ha racchiuso la superficie perimetrale dell’area
storica alla sua quota più alta, ha separato i reperti
delle diverse epoche ed articolato il percorso. La
parete discontinua in corten definisce un luogo
di lavoro, e lascia un camminamento perimetrale
a ridosso delle mura del castello, segnando il
limite finale del sito. All’interno dell’area, ma
in posizione. All’interno del muro di corten Schema dell’impianto Il sito archeologico, tra innesti e archeologia
68
un edificio, sollevato da terra, ospita le rovine
arabe. Sulle fondamenta di un antico quartiere
arabo è stato realizzato un nuovo volume bianco
che ripropone, in maniera astratta, due case-
patio. Come una reinterpretazione della vecchia
costruzione la nuova scatola bianca segue le
linee antiche dei muri, ma non li tocca (se non
in soli 6 punti), in questo modo viene a crearsi
un volume-non volume, in sospensione, per non
gravare sulle rovine. La luce artificiale, di sera,
evidenzia lo spazio libero tra le mura antiche
e le pareti bianche, aumentando l’effetto di
sospensione. La copertura del volume è composta
da due distinte parti, ad altezza diversa, ed è
realizzata in legno e policarbonato, in questo
modo, la superficie semi opaca lascia filtrare la
luce solare in modo suggestivo. Una struttura
sospesa, mobile protegge i mosaici ancora
esistenti del palazzo, la parte inferiore della
struttura è rivestita da una superficie specchiante
di colore nero che riflette la decorazione musiva
che si legge così attraverso il suo riflesso. I
resti dell’insediamento preistorico dell’età del
ferro sono inglobati in un volume formato da
pareti di acciaio corten ripiegato e tagliato da
fessure orizzontali che permettono al visitatore Fotografia dall’alto del volume principale
69
di osservare i resti racchiusi all’interno. l volume
che protegge i resti sottostanti del villaggio
dell’età del ferro stimola la curiosità del visitatore
che è portato ad osservare l’interno attraverso le
fessure e ad andare in giro lungo la buca scavata.
I reperti dell’insediamento preistorico dell’età
del ferro sono esposti in un edificio essenziale
e minimalista attraverso cui i visitatori possono
raggiungere le quote più basse dello scavo ed
osservare le antiche fondazioni delle architetture.
l progetto partendo da un’attenta lettura del
paesaggio, con sensibilità plastica, nelle forme e
nei materiali del Museodichiara che un metodo
progettuale che può distinguersi in due parti, una
prima più legata alla fase costruttiva che tiene
conto dell’esigenza di conservare e ripristinare
le preesistenze e una seconda che cura il
ripristino delle relazioni tra l’edificio, gli spazi
all’aperto e il paesaggio. L’intervento riesce a
conciliare la volontà di unificare le diverse storie
del sito, servendosi del forte segno di recinzione
perimetrale e attraverso i percorsi, con la
distinzione tra le differenti età che hanno formato
il sito, che attua attraverso la realizzazione di
architetture singole e diversificate tra loro.
Rapporto tra interni ed esterno, particolare della muratura ‘‘sospesa” sulle rovine
70
In seguito ai lavori di scavo, iniziati nel
1996, l’architetto Rafael Moneo riceve
l’incarico di intervenire nel contesto urbano
dell’area archeologica di Carthago Nova e
di progettare un Museo in cui conservare
ed esporre i reperti ritrovati. Nel suo
intervento, Moneo, consapevole del’impatto
urbano dell’archeologia sulla città, propone
di conservare il Teatro e collegare i vari
livelli topografici della città con un percorso
che, attraversando i due edifici del Museo,
trasformi iI Museo stesso in una passeggiata
archeologica. Il visitatore è così messo a
contatto diretto con gli scavi e può osservare
i diversi strati storici della città. Nonostante
le complesse problematiche urbane presenti,
il progetto propone come soluzione un
intervento capace di mettere in sintonia le
diverse stratificazioni della città ed esaltare
lo spazio del Teatro. L’intervento è organizzato
come una passeggiata nel ventre della città di
Cartagena ,un tempo importantissimo porto
del Mediterraneo. L passeggiata che deve
superare circa 25 metri di dislivello, inizia da
piazza dell’Ayuntamiento, dove è l’ingresso
del Museo Archeologico, entra nel corpo
6.2. Rafael Moneo, Museo Archeologico di Cartegna
Fotografia dall’alto dell’area di progetto
71
centrale adibito ad Esposizione, un edificio
a più piani addossato alla collina dove sorge
il Teatro a cui è collegato, passa attraverso
la cripta di una casa romana pavimentata a
mosaico, arriva ad una passerella sospesa
ed infine al Teatro. Questo, trovandosi a
una quota più elevata rispetto al porto e
all’ingresso al Museo, appare all’improvviso,
mostrando intatto tutto il suo carattere di
grande giacimento archeologico. Dalla zona
del Teatro i visitatori hanno la possibilità di
salire ad una terrazza panoramica sul tetto
dell’edificio delle Esposizioni, con vista sul
porto, possono poi proseguire la visita fino
al parco collinare, progettato dallo stesso
Moneo o possono discendere di nuovo e
arrivare al Municipio. Per Moneo esiste un
rapporto diretto tra le architetture, anche
quelle che sembrano più indifferenti verso
la storia. Questo legame crea il collegamento
tra l’architetto e il passato di un luogo,
diventando «... lo strumento per cercare
nelle sue viscere la diretta testimonianza di
un passato sepolto». L’intervento di Moneo,
a Cartagena, lavora sull’idea dello scavo
come “momento evocativo” e la metodologia Il rapporto del museo con il contesto storico urbano
72
progettuale che lo guida ha come obiettivo
la creazione di un giusto e possibile modo di
convivere con il passato. Secondo Moneo, il
suo progetto crea “un modo de convivir con
el pasado y hablar de continuidad” per questo
non si limita a costruire un museo e un luogo
dove mostrare i lavori di scavo del Teatro
ma pensa ad un progetto di unificazione
storica, permettendo la lettura delle diverse
epoche. Il Museo diventa un edificio a più
piani che attraversa più epoche e che mette in
comunicazioni sezioni differenti di città e il
visitatore, a partire dall’ingresso che
avviene attraverso un palazzotto borghese dell’Ottocento. L’idea progettuale portante del Museo
può riassumersi nell’intento di creare un corridoio attraverso il tempo.
Supporti per l’archeologia all’interno del museo
73
Rapporto tra il prima e il dopo progetto
74
IL PROGETTO
Parte III
75
L’altopiano di Anacapri, con la sua maggiore
elevazione, aperta alla esposizione ai venti di
maestro e di ponente, doveva rappresentare il
sito più adatto ad un soggiorno estivo. La zona,
con i suoi querceti, le macchie di ginepri, mirti
e ginestre, le umile casette, è separata dal resto
dell’isola da un valico rupestre. Abbandonato il
centro dell’antico abitato, troppo addossato al
monte Solaro e troppo lontano dalla veduta del
mare, furono prescelti i pianori e le terrazze
lungo l’altopiano per le Ville e le fattorie, tra
cui una sicuramente residenza imperiale.
Villa Damecuta: la più aperta alla veduta e la
più raggiungibile dal mare che sorse tra quel
magico incanto di rupi e di acque. Lo scavo
della villa ha avuto inizio nel 1937, dopo che
furono completati i lavori di ricerca di Villa
Jovis, fu interrotto e ripreso più volte fino al
1948. Alex Munthe, donando allo Stato italiano
la Torre e il terreno, di sua proprietà, ne rese
possibile l’esplorazione, delle scoperte fatte si
hanno ben poche notizie ma, nei recenti scavi,
sono stati recuperati frammenti di colonne in
marmo greco, pavimenti in marmo, stucchi
e decorazioni dipinte. Quando la villa era
collegata al capoluogo da un valico alpestre e
1.Villa Damecuta
L’area di progetto, stato di fatto.
1
1 Le origini del nome della Villa sono incerte ma vi sono due possibili significati da attribuirle; il primo risiede nella scoperta dei resti di un soggiorno (domus) e di un’alcova simile ad una grotta (cuta, in latino medioevale) da cui deriverebbe il nome di Domus-cuta e poi Damecuta. Un’altra ipotesi è quella di Maiuri il quale sosteneva una derivazione di origine greca ‘‘ Damo-Kyra” (nome del luogo).
76
al porto dalla famosa “Scala Fenicia”, l’accesso
più veloce era dal mare, approdando a Punta di
Gradola, qui alcuni tagli nella roccia indicano un
punto di ormeggio. Nonostante le devastazioni,
la Villa ha conservato la parte più interessante,
ossia il belvedere semicircolare lungo il ciglio
della spianata. Gli ambienti formati da pareti in
opus reticolatum irregolare, erano coperte da
una volta a botte a sesto ribassato in laterizio.
Il corridoio esterno, che conserva il piano
pavimentale originario, prosegue verso sud-est e
si raccorda, tramite alcuni gradini, all’ambulatio
di quota leggermente inferiore e costituita da una
loggia pavimentata in cacciopesto, larga 2 metri e
lunga poco più di 60 metri, e da un altro corridoio
sul retro del loggiato. La loggia era aperta sul
lato del mare, vi sono ancora i resti di otto piccole
colonne in laterizi rivestiti di intonaco e poste a
distanza di 2 metri l’una dall’altra. Il corridoio
parallelo è largo 4 metri e presenta un muro
perimetrale reticolato e articolato in sei esedre,
definite “troni” in quanto, su un livello rialzato,
risultano come sedute di riposo. All’estremità,
sotto la torre medioevale, si accede ad un
piccolo quartiere attraverso una ripida scala,
costituito da tre ambienti con murature in opus Fotografia dello stato di fatto delle rovine nell’area del Belvedere della Villa
77
Resti della pavimentazione del Loggiato a picco sul mare e dei troni adiacenti.
78
reticolatum che conservano ancora una parte di
rivestimento in intonaco dipinto. Un ambiente
trapezoidale di quota inferiore, probabilmente
un terrazzino panoramico, raccorda la zona
precedente con un vestibolo dal quale si accede
ad uno stretto cubiculum ad est, e nel quale si
scoprì, durante una delle ultime fasi di scavo, un
torso nudo efebico, raffigurante un Narcissos o
uno Yakinthos. Il vasto pianoro che si stende alle
spalle della loggia e del belvedere conserva solo
qualche traccia di un antico pavimento a mosaico
e di condotti di canalizzazione. Fin dall’inizio
degli fu piantato a parco con specie arboree
e arbustacee, pino marittimo e pino d’Aleppo,
ginepro, mirto, elce, sorbo e ginestra, coprendo
gran parte dell’area della villa: in un raggio di
200 metri si incontrano resti di mura reticolate e
a circa 200 metri a monte c’è ancora una cisterna
romana nel sottosuolo a pianta rettangolare a due
scomparti comunicanti con una fila di pilastri e
arcate per raccogliere l’acqua piovana. La Villa di
Damecuta venne abbandonata presto, la cenere
trovata addossata alle mura della loggia prova
che la villa, al momento dell’eruzione del Vesuvio
del 79 d.C., doveva essere già stata abbandonata
divenendo poi un cumulo di rovine. Sul cubiculo
sorse la torre di vedetta e, durante la presa di
Capri nel 1808, fu bombardata dall’armata di
Murat contro le truppe inglesi.
Sostruzione delle mura perimetrali del Belvedere semicircolare con arcate e resti della colonna del Loggiato .
79
La Torre Medioevale e seduta di epoca romana a conclusione del cammino del Loggiato
80
Il progetto architettonico e museografico
in un’area archeologica, ha il compito di
valorizzare attraverso degli interventi,
l’accrescimento della fruibilità del sito e la sua
comprensione. Villa Damecuta è un complesso
archeologico di spettacolare bellezza sia per
quanto riguarda i resti archeologici, sia per
la sua collocazione geografica. Attraverso il
servizio di trasporto pubblico, dalla piazza
di Anacapri si giunge nei pressi della Villa,
alla quale il visitatore accede attraverso un
percorso a picco sul mare fino a giungere
ad un belvedere circolare dal quale poter
ammirare il vicino Fortino di Orrico.
Un’atmosfera magica composta dai colori
accesi della natura mediterranea, i profumi
e l’azzurro del mare. I resti della villa non
permettono di comprendere l’imponenza del
palazzo di Tiberio all’epoca dell’impertatore,
ma attraverso le basse sostruzioni si può
cogliere comunque il suo impianto. Oggi
il totale stato di abbandono dell’area non
permette di godere a pieno dell’osservazione
di queste a causa della vegetazione che vi
cresce al di sopra e che non permette una
libera fruizione del parco e della pineta
retrostante. Non esiste inoltre un percorso chiaro e fornito di spiegazioni per i visitatori. Il
progetto quindi intervenendo in questa area vuole proporsi di riattivarla e renderla prima
di tutto agibile e riconoscibile nella sua itegrità.
2. .Il progetto2.1 Indiviuduazione dell’area di progetto
Ingresso attuale al complesso archeologico della Villa
81
Stato attuale delle rovine e del rapporto con la natura del luogo
82
Studiare ed analizzare l’architettura di Villa
Damecuta, significa prendere coscienza del
suo rapporto imprscindibile con la natura
circostante, in quanto è un chiaro esempio di
architettura legata al paesaggio. Il rapporto
tra natura e architettura sta alla base delle
regole compositive della Villa che si affaccia
sul mare erigendosi sopra la ripida roccia
carsica caprese. Il rapporto con questa natura
pone le regole del linguaggio morfologico del
progetto che si innesta nella pineta attraverso
dei volumi, e si affaccia tra il belvedere e le
rovine con una passerella che ne permette
una lettura dall’alto. La flora e la fauna sono
un elemento caratterizzante dell’isola e per
questo motivo, sono stati introdotti come
tematiche nel processo di musealizzazione
del progetto. I volumi nella pineta sono
infatti dedicati al racconto di questa natura
esponendo la flora e la fauna tipici del luogo.
2.2 Il rapporto con la naturaPINUS
QUERCUSILEX
ARBUTUS UNEDO
CERATONIA SILIQUA
LUCERTOLA AZZURRA
FALCO PEREGRINO
ARCERA
Flora e fauna presenti nell’area di progettotipiche dell’Isola di Capri
83
La pineta adiacente ai resti di Villa Damecuta
84
Il rapporto con la natura e il territorio
è determinante anche dal punto di vista
logistico in quanto la Villa si trova in un
punto cruciale rispetto a due importnti
percorsi situati nella costa ovest dell’Isola di
Capri, quello dei Fortini e quella delle Grotte.
Valorizzare quest’area vorrebbe quindi dire
proporre una nuova polarità turistica da
fruire in funzione dei percorsi già esistenti
apportandone un valore aggiunto attraverso i
servizi proposti.
PERCORSO DEI FORTINI
PERCORSO DELLE GROTTE
85
Il concept progettuale, sviluppatosi
attraverso la comprensione e la lettura
del luogo, parte dall’idea di non voler
ricostituire l’architettura originaria della
villa attraverso un ridisegno, quanto più dal
volerla riportare ad una chiara visibilità nelle
sue parti restanti, integrate in un ambiente
morfologico ormai integrato nella natura e
connaturato allo scenario di rudere. Da qui
l’idea di accompagnare l’osservatore ad
una visita guidata attraverso un “nastro”, un
percorso che si innesta ai margini dell’area
e al di sopra delle rovine per poterne
cogliere il particolare disegno in pianta.
Il nastro, matericamente contraddistinta
da un materiale contemporaneo come il
corten, diviene quindi una traccia distinta
nel paesaggio e un filo conduttore per poter
guidare la visita all’interno delle funzioni
introdotte nella pineta: un museo inerente
alle rovine romane, un museo deicato al
racconto della flora e della fauna del luogo,
un bookshop e un bar. Funzioni indispensabili
per poter attrarre e coinvolgere il pubblico.
Questo landmark fa da recinto a un sistema
di volumi che si innestano nella pineta.
Inglobando al proprio interno alcuni dei
pini marittimi per delineare ancora di
più un intensione di integrazione al suo
interno. Il materiale scelto per i volumi del
museo della flora e della fauna, bookshop
e bar è bianco, poiché l’integrazione
nell’area archeologica e nella pineta non
vuole essere mimesis ma piuttosto un
riconoscibile innesto che offre attività del
tutto estranee all’originaria funzione della
Villa ma appunto necessarie ad una sua
musealizzazione contemporanea.
3. Principi e intenti del progetto3.1. Il Concept
86
STATO DI FATTO
IL NASTRO
INNESTI VOLUMI
87
Lo studio del concept ha portato anche al disegno del logo per il nuovo complesso polifunzionale di Villa Damecuta.L’ispirazione nasce dal rappresentare le iniziali della Villa come se fossero incise da un nastro, la stessa traccia che cinge il progetto e tiene insieme memoria e innesti.
88
Il progetto di tesi studiato per Villa Damecuta
consiste nella valorizzazione del sito
archeologico mediante l’inserimento di un
complesso polifunzionale dichiaratamente
contemporaneo collocato per quanto riguarda
i volumi all’interno della pineta che cinge
il versante sud della villa, e lungo tutti i
margini di confine dell’area, con il nastro in
corten che si declina come passerella e muro.
L’ingresso al nuovo complesso si delinea
sulla piazzetta circolare del belvedere
antecedente alla villa;entrando nel parco, il
museo archeologico accoglie il visitatore con
un primo open space, illuminato dalla grande
vetrata che si affaccia verso la pineta, e nel
quale sono collocati Infopoint e biglietteria.
Delle scale monumentali portano poi al
museo ipogeo nel quale si trovano i reperti
ritrovati nella villa, ora costuditi in altri
musei dell’isola; un affaccio vetrato verso il
Fortino e la costa crea una connessione con la
natura e l’esterno. La geometria dell’impianto
ipogeo è pensata in modo tale da poter subire
una ‘‘metamorfosi’’ durante il processo di
costruzione, includendo al suo interno i
possibili resti rinvenuti durante lo scavo. Un
punto di risalita conduce poi alla passerella panoramica
che affaccia sia sul mare che sulle rovine e, ripercorrendo
l’antico belvedere, giunge alla Torre Medioevale e porta
poi ad attraversare il complesso museale dedicato alla
flora e alla fauna e ai servizi ad esso connessi. Il percorso
si conclude quindi con il bookshop e il bar, e permette di
attraversare gli spazi chiusi in un continuo contatto con la
pineta. Gli innesti si definiscono attraverso un’architettura
contemporanea, come volumi semplici ma riconoscibili
all’interno del parco della Villa. La composizine in pianta
prende le sue regole dai vuoti e pieni della pineta e dalle
direttrici del Belvedere e dei troni che suggeriscono due
visibili allineameti tra l’archeologia e le nuove funzioni.
3.2. Sviluppo progettuale
89
SCHEMATIZZAZIONE DELLE FUNZIONI DEL PROGETTO
PERCORSO PRINCIPALE
PERCORSO LIBERO
90
GEOMETRIA IPOGEA
CONO OTTICO
PREESISTENZE/METAMORFOSI
ASSE BELVEDERE
ASSE TRONI
DIRETTRICI VOLUMI
91
92
MEMORIA NEL FUTUROLO studio progettuale della tesi, parte
dall’interesse verso la ricchezza
insita nella stratificazione delle memorie
all’interno dei tessuti del paesaggio italiano.
Un territorio in cui la sopravvivenza non
può, e non dovrebbe, prescindere dalla sua
valorizzazione e fruizione, attraverso il
rispetto e l’ascolto della cultura dei luoghi.
La varietà del paesaggio e delle sue epoche
è sinonimo di bellezza e, nonostante spesso
i fenomeni contemporanei tendano ad
indebolire tale armonia, è fondamentale
riflettere sui concetti di memoria e identità.
Il rapporto con la storia, con la memoria e
con la natura dei luoghi, è detreminante
per la salvaguardia delle identità collettive;
le preesistenze dei contetsi storici e dei
patrimoni culturali possono in epoca
contemporanea, costruire una nuova traccia
rispetto alle previe stratificazioni, in cui
ritrovare il significato dei valori odierni.
Fra questi quello stesso dell’appartenenza al
territorio, alla cultura e alla sua tradizione. In
una visione dinamica ed evolutiva, i contesti
storici richiedono nel tempo innesti di nuove
funzioni e quindi architetture, accanto ad
interventi di salvaguardia e manutenzione.
L’aspetto principale di questa tematica,
e del rapporto tra memoria, presente e
futuro, risiede nella comprensione di questa
relazione che si detrmina nel progetto e
che deve riguardare sia le istanze della
salvaguardia, sia quelle dell’innovazione, tra
memoria ed esigenze della contemporainetà.
‘‘Questa lettura è fatta non a partire dal
consenso mimetico rispetto all’esistente ma
dal dialogo che ne rende contemporaneo
l’uso, secondo uno sforzo progettuale che
passa attraverso una complessa operazione
93
in cui la storia è vista come risorsa
intellettuale per il progetto, recuperando il
tema della specificità del luogo come storia e
come fisicità dell’ambiente, quale materiale
portante il progetto architettonico»(Gregotti
in Dialoghi possibili. Scritti sull’opera di Alvaro
Siza, Clean Napoli, 2016). Lo studio per la
progettazione di una nuova fruizione
dell’ area di Villa Damecuta e della sua
musealizzazione, intende agire quindi a più
livelli, il primo dei quali è “quello di costruire
sul costruito”, rispettando la leggibilità della
memoria delle rovine della Villa e del luogo,
misurandosi con le necessità contemporanee
e permettendo al luogo di divenire materia
protagonista del nuovo progetto. Tale
processo determinerebbe lo sviluppo di
una conoscenza verso il valore di un luogo
ora abbandonato, “attraverso la coscienza
del passato, la consapevolezza del presente
e la propensione verso il futuro” (cit.
Emilio Faroldi, Prologo, TECHNE n.12/2016,
Architettura memoria e contemporaneità).
94
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TECHNE, Journal of Technology for Architecture and Environment, Architettura memoria e contemporaneità, issue 12, Journall of STda, 2016
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01Inquadramento territoriale
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02Inquadramento storico: siti archeologici
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03Sviluppo progettuale e concept
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04Planivolumetrico
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05Piano terra
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06Piano Ipogeo
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07Approfondimento: Museo Villa Damecuta
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08Approfondimento: Bar e Bookshop
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