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NOTIZIE DALLA MARIAPOLI PERMANENTE
REDAZIONE: LOPPIANO - 50064 INCISA VALDARNO (FI) - ANNO VIII N. 2 - MARZO-APRILE 1985
SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPO IV (70%)
Vivere la vita
Cristo è amore ed il cristiano non può non esserlo.
E l'amore genera la comunione: la comunione come base della vita cristiana e come vertice.
In questa comunione l'uomo non va più solo a Dio, ma vi cammina in compagnia. E questo è un fatto d'una bellezza incomparabile, che fa ripetere alla nostra anima il verso della Scrittura: "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!"
La comunione fraterna però non è stasi beatifica: è una perenne conquista, col risultato continuo non solo del mantenimento della comunione, ma del dilagare di essa fra tanti, perché la comunione di cui qui si parla é amore, è carità, e la carità é diffusiva di sua natura.
Quante volte, tra fratelli che hanno deciso di andar uniti a Dio, l'unità illanguidisce, della polvere si frammette fra anima e anima e cade l'incanto, perchè la luce, che era sorta fra tutti, lentamente si spegne!
È questa polvere un pensiero o un attaccamento del cuore a sè stessi o agli altri: un amar sé per sé e non per Dio, o il fratello o i fratelli per sé e non per Dio; è altre volte un ritirare l'anima che si era posta per gli altri; un concentrarsi sul proprio io, sulla propria volontà, e non su Dio, sul fratello per Dio, sulla volontà di Dio.
È molto spesso un giudizio inesatto su chi vive con noi.
Avevamo detto di voler vedere solo Gesù nel fratello, di trattare con Gesù nel fratello, di amare Gesù nel fratello, ma ora s'affaccia il ricordo che quel fratello ha questo o quel difetto, ha questa o quella imperfezione.
Il nostro occhio si complica e il nostro essere non è più illuminato. Di conseguenza si rompe l'unità, errando.
Forse quel fratello, come tutti noi, ha commesso degli errori, ma Dio come lo vede? Ma qual è in realtà la sua condizione, la verità del suo stato? Se é a posto davanti a Dio, Dio non ricorda più nulla, ha tutto cancellato col suo sangue. E noi perché ricordare?
Chi è nell'errore in quel momento? lo che giudico, o il fratello? lo. E allora devo mettermi a veder le cose dall'occhio
di Dio, nella verità, e trattare in modo conforme col fratello.
La carità si mantiene con la verità e la verità è misericordia pura, della quale dobbiamo essere rivestiti da capo a fondo per poterei dire cristiani.
Il mio fratello torna? lo debbo vederlo nuovo come nulla fosse stato e ri
cominciare la vita insieme, nell'unità di Cristo, come la prima volta, perchè nulla più è. Questa fiducia lo salvaguarderà da altre cadute ed anch'io, se così avrò misurato con lui, potrò aver speranza d'esser da Dio un giorno così giudicato.
Chiara Lubich
Un aspetto della Mariapoli
Quelle domeniche piene di gente Loppiano, meta di migliaia di visitatori,
in tutto l'arco dell'anno.
Una qualsiasi domenica a Loppiano, Sala San Benedetto, sera. Gli ospiti della giornata festiva
sono ormai partiti sui loro pullmann o in automobile, ed ora sfrecceranno già sull'autostrada verso casa. Dopo il vociare allegro, la musica, gli altoparlanti, torna il silenzio. S'ode solo il frusciare della scopa e degli stracci che puliscono i pavimenti; qualcuno fischietta l'aria di una canzone udita nel programma. Si sistemano sala e ingressi, per essere pronti ad accogliere altri visitatori.
In un angolo della hall, si raccolgono i piccoli, preziosi fogli giallo paglierino, il ricordo lasciato dagli ospiti, una nota, una riflessione, un indirizzo.
Leggo a caso: "Sono la mamma di Daniela, che qualche giorno addietro ha cercato di togliersi la vita. Sono venuta con lei per farmi perdonare. Qui ho trovato la vera pace, ho scoperto una nuova forza per ricomporre i rapporti disgregati nella mia famiglia". Fabrizio, autista di un pullmann, dichiaratamente ateo, divorziato, che si potrebbe definire un "duro": «Sono entrato nel salone per cercare un caffè; non ne sono più uscito, mi son sentito in un altro mondo».
Vita della Mariapoli
Come inizio non c'è male, un campionario di varia umanità. Paola, operaia tessile: «Ho capito che il mio lavoro insulso non dev'essere altro che un dono al prossimo». Dalla marca trevigiana una mamma commossa: "Sarebbe troppo facile dire che qui tutto è bello. Sono troppo egoista per capire la vita che fate, certamente avete molta più fede di me. Però anch'io la cerco. Grazie». Ilario, diciottenne, non nasconde il suo stupore: "M'aspettavo uno dei tanti collegi; invece ... qui vorrei viverci
Carissima Loppiano� .. Lettere scritte
da famiglie passate per Loppiano.
La testimonianza di famiglie unite nello sforzo di applicare il Vangelo nelle situazioni della vita quoti-
diana è segno di speranza e di unità per le famiglie che passano dalla Mariapoli, e che a loro volta, ritornate nei loro ambienti, ne trascinano altre in questo modo di vivere. E più intensa è la vita all'interno della famiglia, più la sua luce si diffonde d'intorno.
Abbiamo stralciato alcuni brani dalIa fitta corrispondenza giunta in questi ultimi mesi "alle famiglie di Loppiano"; proprio così, con questa semplice intestazione, che mostra la compattezza della realtà delle famiglie che risiedono
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Judalito
nella Mariapoli. È vero, ogni famiglia mantiene la sua necessaria intimità, ma nel contempo l'attenzione alle gioie e ai problemi altrui fa da cemento tra i diversi microcosmi d'ogni nucleo familiare.
anch'io». E Silvia, racconta la sua sorpresa di sedicenne: "Sono stata accolta come una cara amica di vecchia data; mi sono sentita cittadina di questa fantastica città». Lui e lei, veneti, vicini alle nozze: "Cercavamo Dio e abbiamo toccato l'Amore». Manolo, sette anni: "Mi sono sentito a casa». Alberto, settantasette anni: «Grazie».
Qualche foglietto giallo paglierino racconta di storie dure, senza apparenti vie d'uscita. Francesco, ex-tossicodipendente: «Tornerò a Loppiano
Il postino ci recapita una lettera della Nuova Zelanda, a firma Anna e Bill. Si erano fermati a Loppiano oltre un mese, più per necessità che per programma: Bill era costretto a letto da una brutta polmonite. Nella Mariapoli, allo-
ra, ci si era prodigati in mille modi perchè la terapia fosse il più efficace possibile e perchè i coniugi neozelandesi si sentissero a casa loro.
«Pur credendo nell'unità - ci scrivono - non pensavamo che fosse possibile viverla e sperimentarla alla nostra età. Invece la vita nuova che tra voi abbiamo colto continua tuttora e si comunica ad altri. È proprio lì tra voi che abbiamo cominciato ad aprire il nostro cuore l'uno all'altro, donandoci le cose più intime, la voce di Dio che abbiamo imparato ad ascoltare in ogni momento della vita in noi e tra noi. Ora facciamo una gran quantità di incontri, ed abbia-
per stare qualche giorno. Ho il sentore d'aver trovato qu�J che cercavo iniettandomi porcherie nelle vene». Maria, 58 anni sulle spalle stanche: «Sarebbe troppo lungo raccontarvi la mia storia di disperazioni; ma oggi ho capito che Dio non mi ha mai abbandonata».
C'è chi manifesta la volontà, il desiderio di «riprendere a vivere bene», se non addirittura di «cominciare una nuova vita». Anna, in rotta col marito: «Sono pronta a ricominciare con Franco, senza aspettarmi niente in cambio». Alessandro, otto anni: <Noi siete giovani che vivono insieme per amare: voglio anch'io essere uno di voi». Antonella, ventitre anni: «Per sentirmi viva non devo aspettare che siano gli altri a rivolgersi a me, ma devo io amare». E poi altre: «Ho gustato la gioia d'amare Gesù nei fratelli»; <Noglio portare l'amore tra i miei colleghi»; <Nivere quest'esperienza fa vedere il volto dell'Amore».
Ogni foglietto, una vita. Ora ci sta proprio bene qualche do
manda a questi ragazzi e ragazze che stanno risistemando il salone, ne scorgo un gruppetto: «Francesco -faccio
mo cominciato con altre famiglie a visitare ammalati e carcerati. .. ».
Dal Messico Esperanza e Juda, ad un anno dalla loro partenza da Loppiano, così scrivono: «II dono più bello che (fossiamo fare alla Mariapoli è farvi sapere che ora a Puebla ci sono sessanta famiglie che vivono l'ideale dell'unità». E non possiamo fare a meno di riportare un piccolo episodio con protagonista Judalito, un loro figlio, così come viene raccontato dalla mamma: «Dopo la nostra partenza da Loppiano, il volto di Judalito era talvolta serio e pensieroso. "Cosa succede Judalito?", gli abbiamo chiesto un giorno di ritorno dal
ad un biondino che so essere di Torino -ho letto su questi foglietti frasi come "ho capito", "ho scoperto", "ho trovato", che lasciano intuire d'essere state scritte da uomini e donne che qui hanno avuto un contatto con la gioia, con l'amore. Come te lo spieghi?»
«Guarda -mi risponde deciso -sicuramente il merito non è nostro, anche perchè non abbiamo nessuna tecnica di convincimento; e col fatto che molti di noi sono stranieri, nemmeno il parlare convincente è il nostro forte. E
poi, in sala, chi parla sul palco non ha certo frequentato una qualche scuola di retorica o di dizione. Siamo gente del tutto simile ai nostri ospiti. Quel che offriamo è un po' d'amore, questo sì. Che vuoi dire tante cose, atteggiamenti, pensieri. .. Amare vuoi dire ascoltare, cercare d'entrare nel cuore della gente e tirarne fuori gioie e dolori; soprattutto i più riposti e angoscianti, per condividerli e renderli perciò meno pesanti. Amare vuoi dire anche non pretendere nulla da nessuno, non pretendere che cambi la sua idea, nemmeno che si converta.»
«Francesco -continuo -chi t'ha insegnato ad amare in questo modo?»
«È semplice - mi risponde - sono stato prima amato io in questo modo, e a lungo, con grande pazienza, con tutte le attenzioni possibili ed immaginabili. .. »
Bruna è di Roma. «Ma questo non basta -le faccio -, a qualcuno potrebbe apparire filantropia ... »
«Non è solo filantropia, assolutamente -mi fa decisa -perchè è l'amore per Gesù che sta alla base di tutto. Quest'amore nasce e si alimenta pro-
supermarket. E lui: "Perchè le persone non si amano come a Loppiano? Perchè non sono felici come noi? Mi viene la voglia di chiedere a Dio di rifare il mondo!"
«Noi abbiamo cercato di spiegargli che questo non è possibile, ma lui ha ribattuto: "A Dio è possibile, Lui ha fatto così nel diluvio, lasciando soltanto Noè e quelli che amano Dio ... " Gli abbiamo ricordato come Gesù desidera che ci amiamo e che amiamo. Alla fine Judalito ci ha detto: "Voglio amare Gesù sempre, perchè tutti si amino"".
La vita che si diffonde non è solo prerogativa dei grandi. È di pochi giorni fa la lettera di una giovane signora francese: «Ho conosciuto -ci scrivemolti bambini di tutti gli ambienti, anche ben educati; ma prima della visita a Loppiano, non mi era mai capitato che una piccola di tre anni mi venisse incontro domandandomi come mi chiamassi, da dove venissi e ... se desiderassi restare a cena a casa sua!»
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Quelle domeniche piene di gente
prio dal vivere per Dio, è fiamma che nasce dal fuoco del suo amore, e che perciò può far sentire il suo calore nel freddo, nel gelo di tanti cuori. Se io con quest'amore cerco di vivere l'altro, se amo il prossimo uno alla volta, in modo esclusivo, talvolta succede che qualcuno ... rimane scottato».
«E poi -prosegue Daniel, argentino -c'è un altro fattore, importantissimo. C'è scritto nel Vangelo: "Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri". È soprattutto l'amore scambievole, che cerchiamo d'avere tra di noi, a impressionare tante persone e a spingerle a fare altrettanto una volta tornate a casa. Quei foglietti che hai letto lo dimostrano: più che l'amore d'uno è l'amore tra due o più a conquistare all'amore, all'Amore di Dio».
Leggo ancora un foglietto, di una diciassettenne bergamasca: «Pensavo che fosse la classica riunione di Chie-
Carissima Loppiano ...
Lut ed Eric, coniugi belgi, tempo fa avevano trascorso un periodo di tempo a Loppiano coi loro due bambini. Dopo un pomeriggio trascorso in casa di una famiglia con nove figli, ci dicevano: «Pensavamo che la nostra casa in Belgio fosse piccola, e ne desideravamo una più grande; ora la vediamo più che sufficiente per le esigenze di una famigliola come la nostra. E forse è 6
sa, ma ho trovato una Chiesa diversa dalla solita: persone che si amano, amici che hanno assorbito il Vangelo e lo trasmettono agli altri». E Paolo, diciottenne: «L'amore che ho visto tra di voi m'ha mostrato quel che anch'io devo fare».
Da questa, come dalle poche altre frasi che ho letto, vie n proprio da credere che la strada sia quella giusta. È vero, quei ragazzi m'hanno parlato di diversi movimenti sorti nell'ambito dei Focolari e dediti a questo o a quel settore della vita umana -famiglia, lavoro, giovani, giovanissimi, parrocchie, ecc. - e che pur hanno un notevole peso, ma a sentirli ci si convince proprio che senza quell'amore gratuito, amore che viene dall'alto, nulla sarebbe venuto fuori, nulla avrebbe senso.
A cura della redazione
Le innumerevoli occasioni d'attenzione alle gioie e ai problemi altrui -
fanno da cemento tra i diversi nuclei familiari
giunto il tempo di aprire la porta ad un altro figlio».
In questi giorni ci hanno fatto recapitare un biglietto che annuncia la nascita della loro terzogenita.
Tre lettere tra le tante, piastrelle d'un mosaico d'amore.
A cura della redazione
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I
ar a I marzo 1985
"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?" (Rm 8,31).
"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"
Così Paolo conclude i capitoli precedenti, nei
quali ci ha mostrato il piano di Dio per salvare gli uo
mini e la sua attuazione in Gesù che muore e risorge
per noi.
Dio ha impegnato tutto se stesso per noi e la sua
iniziativa ed il suo amore per l'umanità sono apparsi a
Paolo talmente evidenti, talmente stupendi da farlo
prorompere in questa esplosione di ammirazione e di
gratitudine.
L'Apostolo immagina una seduta di tribunale,
nella quale noi dovremmo essere giudicati. Senon
ché il giudice di questo tribunale - nientemeno che
Dio stesso - si è fatto nostro avvocato e difensore.
Ora, si chiede l'Apostolo, se Dio si è schierato dalla
nostra parte, chi potrà erigersi come accusatore con
tro di noi? Evidentemente nessuno.
Anche le accuse che ci possono essere mosse
dalla nostra coscienza, nel ricordo dei peccati com
messi, oppure dagli uomini, oppure dal grande avver
sario - cioè Satana -, cadono nel vuoto.
"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"
Il brano che si apre con questo versetto è stato
chiamato l'inno della speranza cristiana e cioè di
quella virtù che ci dà la forza di essere fedeli alla chia
mata di Dio nonostante tutte le difficoltà che potremo
incontrare nel nostro cammino.
La vita cristiana - lo sappiamo - consiste
nell'accogliere la parola di Dio e nello sforzarci di met
terla in pratica. Questa vita, però, noi dobbiamo co
struirla in un modo ed in situazioni dove giocano con
di2;ionamenti interiori ed esteriori di ogni genere, di
fronte ai quali potremmo spaventarci e bloccarci spi
ritualmente. Si pensi ad es. all'esperienza della pro
pria debolezza, specialmente di fronte a tentazioni
molto forti ed insistenti, alle difficoltà provenienti
dall'ambiente, oppure a quelle derivanti dalla nostra
condizione economica o di salute, ecc. La speranza ci
fa superare tutti questi ostacoli, facendo leva proprio
sul fatto che Dio ci ama. La speranza è quindi corag
gio, è ottimismo, è sicurezza - quella sicurezza, natu
ralmente, che viene da Dio -, è decisione, è gioia.
"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"
Se vogliamo conoscere esattamente cos'è la
speranza dobbiamo guardare a Gesù. Egli ha incon
trato tante difficoltà: l'incredulità della gente, lo scher
no, l'opposizione feroce degli avversari, il rinnega
mento da parte dei suoi e poi la morte, con la sensa
zione del fallimento totale della sua opera. Sapeva ciò
che lo attendeva. Tuttavia egli è andato incontro a tut
te queste prove tenendo lo sguardo fisso al disegno
del Padre, con la certezza che il Padre lo avrebbe risu
scitato.
E subito dopo la resurrezione lo vediamo appari
re ai suoi discepoli, che erano dispersi, per riunirli,
confortarli, rassicurarli che egli era vivo e sarebbe sta
to sempre con loro. Dimenticando le loro mancanze,
Gesù risuscita in loro la speranza. Egli fa di questi uo
mini paurosi, rivolti al passato, ripiegati sui loro pro
getti che sembravano ormai crollati per sempre, gli
uomini della speranza, capaci di guardare al futuro, di
costruire il regno di Dio, appoggiandosi unicamente a
lui, alla forza della sua risurrezione.
"Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?"
Come allora vivere questa parola di vita? Essen
do anche noi gli uomini della speranza. Ciò significa
non chiuderci nel nostro passato, ma buttarci fuori,
gettar tutto in colui che è capace di colmare ogni vuo
to; credere che Dio porterà a compimento l'opera del
la nostra santificazione; credere che il Vangelo è pos
sibile; che il bene è più forte del male e che nessun at
to di bontà vera resterà senza frutto; essere convinti
che il domani, costruito da Dio, sarà più bello dell'og
gi; saper subordinare i nostri progetti, sempre piccoli,
ai progetti immensi che Dio tiene nascosti nel suo
amore.
Certe scuse, che uno potrebbe addurre - "non
me la sento", "non ce la faccio", "il coraggio chi se lo
può dare?", "Dio mi ha dimenticato", e così via - or
mai non reggono più. C'è Dio il quale. si è schierato
dalla nostra parte. C'è Gesù che è morto ed è risorto
per darci speranza e per fare di noi delle persone ca
paci di comunicare speranza.
Chiara Lubich
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I
ar a I aprile 1985
"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune" (At 4,32).
"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"
San Luca, autore degli Atti degli Apostoli, ci descrive sinteticamente in questo versetto la vita della
comunità di Gerusalemme, presentandola come modello per la Chiesa di tutti i tempi.
Egli mette in evidenza lo spirito che la animava:
l'unione profonda dei cuori, che faceva dei credenti
una sola famiglia, dove tutto era comune, tutto era partecipato. Unione, di cui anche la condivisione dei beni materiali era la conseguenza logica e l'espressione più tangibile.
Qualcuno arrivava persino a vendere il proprio podere o la casa e a darne il ricavato agli Apostoli per
chè venisse distribuito secondo le necessità di ciascuno. In forza di questa disponibilità vicendevole,
non c'erano più indigenti. S'era realizzata la vera comunità cristiana.
"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"
Leggendo queste parole si può aver l'impressio
ne che nella vita della comunità tutto funzionasse alla
perfezione. È invece lo stesso Luca ad awertirci poco dopo (vedi cap. 6) dei casi di trascuratezza che si veri
ficavano nella Chiesa di Gerusalemme. Tuttavia, nonostante tali mancanze, del resto comprensibili, il tono della comunità era caratterizzato dalla tensione,
che tutti animava, per realizzare la comunità cristiana. Ed è appunto questa tensione che Luca vuole sottoli
neare. I casi, poi, di quei cristiani che avevano vendu
to le loro proprietà, rivelano tutta la forza rivoluzionaria del Vangelo, cioè la sua capacità di creare rapporti sociali totalmente nuovi, con riflessi concreti anche sul piano economico.
Nessuno era costretto a disfarsi dei propri beni. E Luca vuole mostrarci come il Vangelo, pur nel rispet
to della libertà di ciascuno, sia in grado di farci superare tutte le barriere che ci dividono, delle quali l'uso egoisti
co della proprietà privata è una delle cause più gravi.
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"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"
Naturalmente questa rivoluzione sociale scaturisce da una forza interiore, dalla fede e dall'amore per Gesù: questa disponibilità concreta, per Luca, è l'uni
tà di misura dell'autentico amore cristiano.
Qualunque sia il sistema economico in cui il cristiano si troverà a vivere, in forza di questo amore sarà
chiamato innanzitutto a superare ogni forma di attaccamento ai beni terreni, in cui la paura, l'avidità,
l'egoismo, il calcolo meschino, tendono continua
mente ad imprigionarlo.
"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune"
L'esame di coscienza che queste parole ci invita
no a fare abbraccia un campo vastissimo di valori. Rapporti con la comunità politica, per quanto riguarda i nostri doveri di cittadini, chiamati a contribuire
solidalmente al bene comune mediante il pagamento delle imposte. Con la comunità sociale, impegnando
ci seriamente a costruire una società più giusta. Con la comunità ecclesiale, donando il nostro superfluo di tempo, di energie, di mezzi materiali per venire incon
tro ai fratelli bisognosi; e con quei prossimi, di cui forse noi soli conosciamo le difficoltà.
Nella primitiva comunità di Gerusalemme, nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva.
Ecco il cuore del problema. Si tratta di sapere se ci sentiamo dei padroni assoluti, oppure dei figli di Dio e
dei fratelli in Cristo, i quali amministrano i beni ricevuti tenendo sempre presenti anche gli altri.
Nei primi secoli l'amore a Gesù, fermentando le
coscienze, ha trasformato la società pagana aprendola alla liberazione progressiva da situazioni invete
rate di ingiustizia istituzionalizzata (la schiavitù,
l'emarginazione della donna, dei poveri, dei deboli, dei piccoli, ecc.). Perchè il nostro amore per Gesù
non potrebbe fare altrettanto di fronte alle gravi situazioni di ingiustizia del mondo di oggi?
Chiara Lubich
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