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diritto e formazione Rivista del Consiglio Nazionale Forense La giurisprudenza sul processo disciplinare Le tecniche del penalista Un metodo per la formazione nelle Scuole forensi Le novità tributarie per l’avvocato Il punto sul diritto civile, penale e amministrativo La nozione di consumatore La revisione dei processi penali e l’obbligo di riparazione I termini del processo amministrativo Consiglio Nazionale Forense Periodico per la formazione e l’aggiornamento degli Avvocati Diritto e Formazione n. 1- 2007 Futurgest Edizioni 1

Estratto Dal Numero 1 De F

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Page 1: Estratto Dal Numero 1 De F

diritto e formazione

Rivista delConsiglio Nazionale Forense

La giurisprudenza sul processo disciplinare

Le tecniche del penalista

Un metodo per la formazione nelle Scuole forensi

Le novità tributarie per l’avvocato

Il punto sul diritto civile, penale e amministrativo

La nozione di consumatore

La revisione dei processi penali e l’obbligo di riparazione

I termini del processo amministrativo

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Periodico per la formazione e l’aggiornamento degli Avvocati

Diritto e Formazionen. 1- 2007

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III

Sommario

Editoriale

Alla ricerca dei significati di “diritto privato”,� di Guido Alpa 1

Giurisprudenza e diritto

civile Il punto su... il diritto civile,� di Maria Rosaria San Giorgio 17Neocontrattualismo,� consenso informato,� emotrasfusioni ed appartenenza a confessione religiosa preclusiva,� di Onofrio Fittipaldi 25I confini della nozione del consumatore,� di Lorenzo Delli Priscoli 37

penaleIl punto su... il diritto penale,� di Giuseppe Santalucia 45Revisione dei processi e convenzione europea dei diritti dell’uomo: l’adempimento dell’obbligo di riparazione,� di Barbara Piattoli 55Responsabilità penale del ginecologo e del neonatologo,� di Anna Tiseo 62

amministrativo Il punto su... il diritto amministrativo,� di Roberto Chieppa 73Risarcimento del danno per esercizio illegittimo dell’attività amministrativa e colpa della p.a.,� di Domenico Ielo 83I temini del processo amministrativo (I parte): i termini del rito abbreviato dell’art. 23 bis l. Tar,� di Rosanna De Nictolis 91Tabelle riassuntive dei temini dei termini del rito abbreviato dell’art. 23 bis l. Tar,� di Rosanna De Nictolis 101

Deontologia e processo disciplinare

Processo disciplinare,� di Maria Rosaria San Giorgio e Vincenzo Comi 107

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IV

Metodologia e didattica della formazione

tecniche difensiveTecniche difensive del penalista. Le indagini preliminari: strategia e deontologia del difensorea,� di Ettore Randazzo 117Come si legge una sentenza,� di Maurizio Paganelli 121

formazione per l’accessoDal sapere giuridico alle abilità del giurista: la missione delle scuole forensi e di specializzazione per le professioni legali,� di Giovanni Pascuzzi 127Avvocati,� formazione e metodo: le prospettive per le scuole forensi,� di Alarico Mariani Marini 133

aggiornamento professionaleIl codice di consumo: aspetti generali,� di Ubaldo Perfetti 138

Professione e cultura

Novità tributarie: adempimenti fiscali e professione forense,� di Nicola Bianchi 147Avvocati fra tradizione e nuovi modelli organizzativi,� di Giovanni Vaglio 155Avvocati e letterati tra settecento ed ottocento: Lorenzo Collini e l’Accademia della Crusca,� di David Cerri 159Il procedimento possessorio. Tutela,� legittimazione e rito,� recensione di Alessandro Barca 163La Costituzione e le fragilità della democrazia,� recensione di Federica Resta 166Studi di diritto amministrativo,� recensione di Fabio Cintioli 170

Gli autori

Notizie sugli autori di questo numero 173

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Editoriale

Diritto e Formazione, la rivista per la formazione e l’aggiornamento nelle professioni giuridiche, ha ormai consolidato, sotto la direzione scientifica e operativa di Alarico Mariani Marini, e con la collaborazione di prestigiosi magistrati, avvocati e docenti universitari, la sua presenza nel panorama delle riviste giuridiche. Ma, a differenza delle molte, che si dedicano all’analisi delle novità giurisprudenziali, o, per singoli settori, alla trattazione di temi specialistici, è votata alla formazione e all’aggiornamento del giurista “professionista”. Ha dunque una doppia valenza: da un lato orientare con gli scritti e i documenti proposti l’educazione, la formazione, l’aggiornamento del giurista; dall’altro sviluppare temi riguardanti il giurista dal punto di vista professionale. Riunire insieme le due qualità è un fatto raro, per lo più episodico, mentre Diritto e Formazione riesce a coniugare i due obiettivi con una veste grafica e dei contenuti del tutto nuovi. Realizzare il dialogo tra giuristi di diversa estrazione e di diversa formazione è ancora più difficile. Proporre poi scritti pensati per la formazione è - credo - quasi un unicum.

Credo però che l’omaggio migliore alla rivista, all’avvocato Alarico Mariani Marini e a coloro che cooperano con lui non consista tanto nel descriverne le finalità e i meriti, che si rendono evidenti già sfogliandone il fascicolo, ma piuttosto nel consumare il tentativo di scrivere un lavoro che ne riprenda lo stile. E tra i tanti aspetti interessanti del metodo seguito da Diritto e Formazione, quello che mi ha colpito di più, e che quindi ho cercato di seguire, è quello che non considera come scontato il significato di un termine usuale, come acquisito un principio di uso frequente, come privo di interesse l’interrogativo su di un problema già risolto, ma piuttosto, e al contrario, proporre una rivisitazione permanente delle categorie linguistiche, delle tecniche del ragionamento giuridico, del “modo di essere” del giurista.

Guido Alpa

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Giurisprudenza e diritto

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Il punto su… il diritto civiledi Maria Rosaria San Giorgio

La rubrica “Il punto su …il diritto civile” parte con la segnalazione di alcune pronunce della Corte costituzionale e della Corte di cassazione su di un tema di particolare attualità, quel-lo della amministrazione di sostegno, istituto creato a tutela dei soggetti deboli, che ha af-fiancato le tradizionali figure della interdizione e della inabilitazione, ponendo, a causa di alcune evidenti lacune nella disciplina normativa, recata dalla legge 24 gennaio 2004, n. 6, notevoli problemi applicativi legati alla coesistenza delle diverse figure; nonché sulla mate-ria processuale, con riguardo alla operatività, ampiamente dibattuta anche in dottrina, del principio della translatio iudicii con riguardo a decisioni di declinatoria della giurisdizio-ne. Le sentenze selezionate vedono, come si potrà constatare dalla lettura delle brevi note di presentazione, intersecarsi, quando non contrapporsi, opzioni ermeneutiche ed impostazioni dogmatiche, in un sempre vivace e fertile colloquio a distanza tra il giudice delle leggi e quel-lo della legittimità.

settore: capacità della persona fisica

Corte costituzionale, ord. 19 aprile 2007, n. 128 È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 407 e 408 del co-

dice civile, nel testo introdotto dall’art. 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’ istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli arti-coli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, non-ché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), e 716 del codice di procedura civile, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost.

Cass., sez. I civ., sent. 29 novembre 2006, n. 25366 Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttu-

ra e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitar-si ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’ intervento dell’amministratore; necessita, per contro, detta difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’ interessato, incida sui diritti fondamentali della per-sona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’ interdetto o l’ inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio.

La Corte di legittimità affronta per la prima volta,� con la sentenza n. 25366 del 2006,� la questione della obbligatorietà o meno della difesa tecnica per la proposizione dell’atto in-troduttivo del procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno,� e,� più in ge-nerale,� per la partecipazione allo stesso: una questione che,� nel silenzio della legge 24 gen-

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNONomina dell’ammi-nistratore – Difesa tecnica – Obbligatorietà – Mancata previsione – Questione di legittimi-tà costituzionale

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNONomina dell’ammi-nistratore – Difesa tecnica – Obbligatorietà – Mancata previsione – Questione di legittimi-tà costituzionale

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Nomina dell’ammini-stratore – Differenze rispetto ai procedimenti in materia di interdizio-ne e di inabilitazione – Ministero del difen-sore – Obbligatorietà – Esclusione – Limiti.

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Nomina dell’ammini-stratore – Differenze rispetto ai procedimenti in materia di interdizio-ne e di inabilitazione – Ministero del difen-sore – Obbligatorietà – Esclusione – Limiti.

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naio 2004,� n. 6 – la quale ha introdotto nell’ordinamento l’istituto dell’amministrazione di sostegno,� accanto alla interdizione ed alla inabilitazione,� tradizionali figure di protezio-ne degli incapaci - ,� vede divisa la dottrina,� come la giurisprudenza di merito,� tra due tesi contrapposte.

La prima,� muovendo dalla considerazione della portata generale del principio dell’one-re del patrocinio legale nel vigente ordinamento processuale,� posto dall’art. 82,� terzo com-ma,� del codice di rito – principio che subisce le sole deroghe espressamente previste da di-sposizioni codicistiche ovvero da normative speciali,� nonchè quelle desumibili alla stregua dei normali criteri di ermeneutica in relazione ad ipotesi in cui,� per la peculiarità delle fasi di determinati procedimenti,� il dover far ricorso al patrocinio di un difensore come con-dizione essenziale per il compimento di atti processuali,� entro rigorose scadenze,� si risol-verebbe in un irreparabile danno per la parte (ad es.,� la volontaria giurisdizione)-,� ritiene applicabile la regola di cui si tratta nella materia del procedimento per l’apertura di un’am-ministrazione di sostegno,� qualificato come contenzioso,� sia per il sostanziale rinvio,� con-tenuto nella citata legge n. 6,� alle norme disciplinanti il procedimento di interdizione,� sia perché avente ad oggetto diritti soggettivi e status personali,� anche se assoggettati al rito camerale.

La tesi contrapposta,� che esclude la necessità della difesa tecnica nel procedimento di no-mina dell’amministratore di sostegno,� è fondata essenzialmente sul rilievo secondo il qua-le detto procedimento non avrebbe la funzione di accertare la mancanza della capacità di agire in capo al beneficiario,� e,� quindi,� non inciderebbe su status,� essendo,� piuttosto,� inqua-drabile nella materia della volontaria giurisdizione,� siccome rivolto alla gestione degli in-teressi del destinatario dell’amministrazione,� attraverso la nomina di un soggetto cui vie-ne affidato il compito di compiere determinati atti,� concernenti la cura della persona o del patrimonio dello stesso.

I sostenitori della opzione da ultimo richiamata evidenziano le <<deviazioni camera-li>> che distinguono il procedimento di cui si tratta da quello di interdizione (la forma del decreto data al provvedimento conclusivo,� il regime di impugnazione,� modellato sul re-clamo,� la inidoneità alla formazione del giudicato,� emergente dalla modificabilità del de-creto). In tale quadro,� nemmeno dalla previsione,� recata dall’art. 720-bis cod.proc.civ.,� in-trodotto dalla citata legge n. 6,� della impugnabilità per cassazione del decreto pronunciato in sede di reclamo,� potrebbe desumersi la natura contenziosa del procedimento in questio-ne,� in considerazione dell’ormai frequente della adozione di forme e garanzie tipiche della cognizione piena anche in relazione alla giurisdizione volontaria.

La soluzione che al problema evidenziato ha fornito la Cassazione con la sentenza n. 25366 del 2006 muove dal riconoscimento che il rito camerale è ormai divenuto una sorta di contenitore neutro nel quale possono svolgersi non soltanto questioni inter volentes,� ma vere e proprie controversie su diritti o status,� con la conseguenza che il criterio per la affer-mazione,� ovvero la negazione,� della necessità della difesa tecnica,� nelle ipotesi di mancata previsione legislativa espressa in un senso o nell’altro,� non può essere individuato nel carat-tere contenzioso ovvero di volontaria giurisdizione della procedura di cui si tratta,� doven-do,� invece,� essere rapportato alla consistenza delle situazioni soggettive coinvolte. La Cor-te richiama,� allo scopo,� le considerazioni già svolte nella sentenza n. 13584 del 2006 - di pochi mesi precedente quella in rassegna – con la quale ha per la prima volta compiuto una operazione di perimetrazione dell’istituto in esame. Detto istituto,� come si è visto,� è stato introdotto nell’ordinamento dalla legge 9 gennaio 2004,� n. 6,� germogliata da un vivace di-

Giurisprudenza e diritto civile Il punto su... il diritto civile

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battito che ha visto impegnate la dottrina,� la comunità scientifica e,� in genere,� la società ci-vile in ordine alla efficacia ed adeguatezza degli strumenti di tutela dei soggetti più deboli,� e destinata ad innovare profondamente la disciplina codicistica della protezione degli in-capaci,� anche attraverso la modifica dei tradizionali istituti della interdizione e della ina-bilitazione,� in una ottica meno custodialistica e maggiormente orientata al rispetto della dignità umana ed alla cura complessiva della persona e della sua personalità,� e non più es-senzialmente del suo patrimonio.

Dalla esplicitazione della finalità della legge – enunciata nella formulazione dell’art. 1 dello stesso testo normativo,� che così recita: <<La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente>>,� finalità che,� come si legge nella citata sentenza della Corte di cassazione n. 13584 del 2006,� rappresenta la <<stella polare>> destinata ad orien-tare l’interprete nella esegesi della nuova disciplina,� anche con riguardo ai rapporti tra la figura dell’amministrazione di sostegno e le altre forme di protezione degli incapaci,� sulla cui disciplina pure la legge ha inciso,� emerge una linea di tendenza,� che permea di sé l’in-tero testo legislativo,� diretta alla massima salvaguardia possibile dell’autodeterminazione del soggetto in difficoltà.

La rivisitazione degli istituti di protezione,� unita alla introduzione di quello dell’am-ministrazione di sostegno,� ha determinato una giustapposizione di tale ultima figura agli altri,� già noti,� strumenti di tutela delle persone prive,� in tutto o in parte,� di autonomia,� secondo un criterio che sembra lasciare in ombra la linea di demarcazione tra le diverse fi-gure,� la quale deve,� invece,� necessariamente trovare una sua identificazione al fine di evita-re la confusione tra gli ambiti di operatività dei singoli strumenti di protezione.

Che il legislatore abbia operato una duplicazione di istituti sostanzialmente coincidenti è stato già escluso dalla Corte Costituzionale,� la quale,� nel dichiarare non fondata la que-stione di legittimità costituzionale,� tra l’altro,� degli artt. 404 e 405 c.c.,� numeri 3 e 4,� e art. 409 c.c.,� nel testo introdotto dalla L. n. 6 del 2004,� sollevata proprio sotto il profilo del-la mancata indicazione di criteri chiari per la distinzione dell’amministrazione di soste-gno dalla interdizione e dalla inabilitazione,� ha sottolineato che la nuova disciplina affida al giudice il compito di individuare l’istituto che garantisca la tutela più adeguata,� limi-tando la capacità del soggetto nella minore misura possibile,� e di ricorrere alla interdizio-ne solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare tale protezione (sent. n. 440 del 2005).

Ciò posto,� il problema del discrimen tra amministrazione di sostegno ed interdizione – sul quale la dottrina,� come la giurisprudenza di merito,� sono pervenute a soluzioni diversi-ficate - è stato risolto dalla Corte di legittimità con la citata sentenza n. 13584 del 2006 nel senso di escludere che il criterio di distinzione debba essere correlato in via esclusiva al di-verso grado di incapacità manifestato dal soggetto di cui si tratta,� poiché,� per effetto della definizione contenuta nell’art. 404 c.c.,� beneficiari dell’amministrazione di sostegno sono anche i soggetti affetti da infermità psichica che li pone in una situazione di “impossibili-tà,� anche parziale o temporanea,� di provvedere ai propri interessi”: formulazione,� questa,� che non esclude l’applicabilità dell’istituto di cui si tratta ove questa sia invece totale o per-manente,� non apparendo in questo secondo caso configurabile una sostanziale differenza tra i presupposti dei due strumenti di tutela sulla base del diverso grado di impossibilità,� o incapacità,� di provvedere ai propri interessi.

Giurisprudenza e diritto civile Il punto su... il diritto civile

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E,� dunque,� rispetto agli istituti tradizionali,� l’ambito di applicazione dell’amministrazio-ne di sostegno,� secondo le affermazioni della predetta sentenza va individuato con riguar-do non già al diverso,� e meno intenso,� grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia,� ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto,� in relazione alla sua flessibi-lità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. In particolare,� con l’am-ministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico,� mo-dellato a misura delle esigenze del caso concreto,� che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo,� ma sotto quello funzionale: ciò induce a non escludere che,� in linea generale,� anche in presenza di patologie particolarmente gravi,� possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela,� e che soltanto la specificità delle singole fatti-specie,� e delle esigenze da soddisfare di volta in volta,� possa determinare la scelta tra i di-versi istituti,� con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere resi-duale,� intendendo il legislatore riservarlo,� in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano,� a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura. Una tale scelta,� ha avvertito la Corte nella citata sentenza,� non può non essere in-fluenzata dal tipo di attività che deve essere compiuta in nome del beneficiario della prote-zione. Ad un’attività minima,� estremamente semplice,� e tale da non rischiare di pregiudi-care gli interessi del soggetto,� ed,� in definitiva,� ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità dell’interessato,� corrisponderà l’amministrazione di sostegno,� che si fa preferire non solo sul piano pratico,� in considerazione della maggio-re snellezza della procedura,� ma altresì su quello etico-sociale,� per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che essa sottende,� in contrapposizione alle più invasive misure del-la inabilitazione e della interdizione,� le quali attribuiscono uno status di incapacità,� con-cernente,� nel primo caso,� i soli atti di straordinaria amministrazione,� ed estesa,� per l’inter-dizione,� anche a quelli di amministrazione ordinaria. Al contrario,� la disciplina della L. n. 6 del 2004 delinea una generale capacità di agire del beneficiario dell’amministrazione di sostegno,� con esclusione di quei soli atti espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita l’amministrazione medesima. Ne consegue che il giudice - che,� non casual-mente,� è il giudice tutelare,� e cioè una figura cui sono normalmente affidate funzioni ri-conducibili all’amministrazione di interessi ed alla vigilanza ed al controllo (più che alla soluzione di controversie tra parti che contendano su di un diritto),� da esercitare attraverso un procedimento in relazione al quale l’ordinamento non conosce casi in cui sia richiesto l’onere della difesa tecnica - si limita,� in via di principio,� ad individuare gli atti in relazio-ne ai quali ritiene necessario l’intervento dell’amministratore,� senza peraltro determinare una limitazione generale della capacità di agire del beneficiario. Egli,� infatti,� non si muo-ve,� come il giudice della interdizione,� nell’ottica dell’accertamento della incapacità di agi-re della persona sottoposta al suo esame - finalizzato essenzialmente alla difesa degli inte-ressi dei familiari,� che potrebbero subire pregiudizio dalla sua condotta,� oltre che dei terzi che vengano con essa in contatto - ma nella diversa direzione della individuazione,� nell’in-teresse del beneficiarlo,� dei necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole cate-gorie di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo.

In definitiva,� l’istituto attiene a situazioni intrinsecamente ed essenzialmente diverse tra loro che si estendono dalla mera impossibilità - anche solo fisica e transeunte - di porre in essere atti giuridici di pochissimo momento (la materiale riscossione della pensione) a fat-tispecie di vera e propria incapacità fisica o psichica,� omologhe a quelle giustificanti l’ina-

Giurisprudenza e diritto civile Il punto su... il diritto civile

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bilitazione o l’interdizione; correlativamente,� prevede e consente interventi che vanno dal-la semplice attribuzione all’amministratore di sostegno di compiti di mera “assistenza”,� talvolta soltanto fattuale,� alla possibilità “dell’estensione al beneficiario dell’amministra-zione di sostegno” di “determinati effetti,� limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato” (art. 411 c.c.,� comma 3). Il tutto,� peraltro,� senza mai comportare l’incapacità generale,� totale o parziale,� dell’amministrato,� ma solo una limita-zione rispetto a determinate attività.

Sul piano del “modello del procedimento” relativo all’amministrazione di sostegno,� os-serva la Corte nella sentenza in rassegna,� si individuano precetti che - mentre sono sicu-ramente armonici e coerenti al nuovo istituto - risultano del tutto antinomici rispetto al pregresso sistema processuale ed alla sua ricostruzione da parte della dottrina e della giu-risprudenza. Valga ad esempio la finora ritenuta impossibilità di coniugare - secondo il di-ritto vivente - l’ammissibilità del ricorso per cassazione con la non definitività dei provve-dimenti connessa alla loro revocabilità e modificabilità,� laddove per la L. n. 6 del 2004 è previsto il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno (art. 720 bis,� comma 3,� c.p.c.) nonostante questi siano sempre modificabili o revo-cabili (art. 407,� comma 3,� c.c.).

Vale a dire che l’amministrazione di sostegno si configura come un istituto nel cui conte-nitore sono riunite ed unificate fattispecie che secondo il sistema previgente erano conside-rate tra loro ontologicamente diverse. Ne discende la inevitabilità,� secondo la Cassazione,� di soluzioni differenziate a seconda delle varie fattispecie per le quali è richiesta l’ammini-strazione di sostegno.

Invero,� in presenza di interventi che,� come si è visto,� si limitano all’attribuzione all’am-ministratore di sostegno di compiti di mera “assistenza”,� si profila del tutto incongrua - ferma,� ovviamente,� la possibilità,� da riconoscersi a chiunque,� di farsi assistere da un patro-cinante,� ove lo ritenga opportuno - la previsione del necessario ministero del difensore a favore di un soggetto che non fa valere una sua pretesa nei confronti di un altro soggetto,� ma chiede l’intervento del giudice in funzione attuativa di un proprio interesse,� tra l’altro coincidente con l’interesse generale. Ed invero una tale previsione appare incompatibile con quelle esigenze di rapidità,� semplificazione,� non onerosità che sono a base della scelta legislativa che ha dato luogo alla nuova figura.

Allorché,� invece,� il provvedimento comporti una limitazione della capacità di agire del soggetto interessato,� e dunque una compressione della sua libertà ed autonomia,� tale da incidere nella sfera dei diritti inviolabili,� la soluzione al problema dell’onere del patroci-nio legale è diversa. Ed invero,� nell’esercizio degli ampi poteri discrezionali affidati al giu-dice tutelare nella individuazione delle misure idonee a garantire la migliore tutela del be-neficiario,� tra i quali quello,� previsto dall’art. 411 c.c.,� u.c.,� di disporre che “determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’ interdetto o l’ inabili-tato si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno...”,� ben può detto giudice emettere provvedimenti incidenti nella sfera giuridica dell’interessato con effetti analoghi a quelli “incapacitanti” dei due tradizionali istituti di protezione: a fronte di detta possi-bilità,� una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento esige che il destinatario della misura ablativa di diritti disponga delle medesime garanzie che assisto-no le procedure di interdizione o di inabilitazione,� con particolare riferimento al rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio. Sarà allora necessario invitare l’interessato a no-minare un difensore.

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E proprio tale lettura costituzionalmente orientata è mancata – donde la pronuncia di manifesta inammissibilità adottata con la recentissima ordinanza della Corte costituzio-nale n. 128 del 2007 - nella ordinanza di rimessione alla stessa Corte della questione di le-gittimità costituzionale degli articoli 407 e 408 cod.civ. nel testo introdotto dall’art. 3 della legge n. 6 del 2004,� e 716 cod.proc.civ.,� nella parte in cui non impongono,� a favore della persona interessata,� l’assistenza tecnica da parte di un patrocinatore legale nel pro-cedimento di cui si tratta: questione sollevata per sospetta violazione dell’art. 2 della Co-stituzione,� in quanto le norme impugnate delineerebbero un procedimento che dà luogo a provvedimenti incidenti sulla capacità legale della persona,� e,� quindi,� sulla sfera di liber-tà e di autodeterminazione della persona umana in assenza della osservanza delle regole in tema di patrocinio delle parti nel giudizio; degli artt. 3 e 24 Cost.,� per la mancata garanzia della difesa in giudizio dell’interessato.

conseguenzeDeve escludersi, in via generale, l’esistenza di un obbligo di patrocinio legale nel procedimento per la nomina di un amministratore di sostegno. Tale obbligo si configura nelle ipotesi in cui il giudice tutelare intenda - rite-nendolo l’unico in grado di apprestare un’adeguata tutela nei confronti del beneficiario dell’amministrazione di sostegno – emettere un provvedimento che comporti una limitazione della capacità di agire del soggetto interessato, e dunque una compressione della sua libertà ed autonomia, tale da incidere nella sfera dei diritti inviolabili dell’uomo.Resta ferma la possibilità di farsi assistere da un legale in ogni fase del procedimento.

settore: processo civile e amministrativo

Corte costituzionale, sent. 12 marzo 2007, n. 77 È costituzionalmente illegittimo l’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non preve-

de che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.

Corte di cassazione, Sez. un., sent. 22 febbraio 2007, n. 4109 In base ad una lettura costituzionalmente orientata della disciplina della materia, deve ritenersi che sia

stato dato ingresso nell’ordinamento processuale al principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale e viceversa in caso di pronuncia sulla giurisdizione, emessa in sede di decisione su regolamen-to preventivo di giurisdizione ovvero su ricorso ordinario ex art. 360, n. 1, cod.proc.civ.: sicchè il processo, ini-ziato dinanzi ad un giudice privo di giurisdizione, può proseguire, dopo la relativa pronuncia, dinanzi al giudice dotato della stessa.

Emerge,� dalla lettura delle due decisioni in rassegna – non a caso qui riportate in un me-desimo contesto - un evidente divario di opinioni tra giudice della giurisdizione e giudice delle leggi circa la configurabilità o meno nel nostro ordinamento di un divieto espresso di translatio iudicii nei rapporti fra giudice ordinario e giudice speciale.

1.

2.

3.

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Difetto di giurisdizione del giudice amministrativo –

Conservazione degli effetti della domanda e degli

atti compiuti – Mancata previsione – Illegittimità

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Difetto di giurisdizione del giudice amministrativo –

Conservazione degli effetti della domanda e degli

atti compiuti – Mancata previsione – Illegittimità

GIURISDIZIONE Pronuncia sulla

giurisdizione – Translatio iudicii

–Ammissibilità

GIURISDIZIONE Pronuncia sulla

giurisdizione – Translatio iudicii

–Ammissibilità

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La questione dell’ammissibilità della trasmigrazione del processo dal giudice del quale sia stato accertato il difetto di giurisdizione a quello designato come munito di potestas deci-dendi assume particolare importanza nella materia processuale,� ove si consideri che dalla soluzione positiva che si dia alla stessa dipende la possibilità di conservare gli effetti sostan-ziali della domanda,� evitandosi,� così,� i gravi inconvenienti derivanti dal ritenere inidoneo alla produzione di effetti l’atto introduttivo del giudizio affetto da un siffatto vizio. Tan-to più in un sistema caratterizzato da una disciplina del riparto di giurisdizione partico-larmente complessa,� quale è il nostro,� sul quale ha ulteriormente inciso la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004,� intervenuta sui limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,� con la declaratoria di parziale illegittimità costituzionale de-gli artt. 33,� commi 1 e 2,� del d.lgs. 31 marzo 1988,� n. 80,� come sostituito dall’art. 7,� lettera a), della legge 21 luglio 2000,� n. 205,� e 34,� comma 1,� dello stesso decreto legislativo,� come sostituito dall’art. 7,� lettera b), della citata legge n. 205 del 2000. Detta sentenza,� infatti,� nell’escludere la giurisdizione per <<blocchi di materie>>,� comporta anche che,� non appli-candosi,� secondo la giurisprudenza dominante,� alla ipotesi di sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale del principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 cod.proc.civ.,� la domanda rivolta al giudice munito di giurisdizione secondo la legge vigente al momento della sua proposizione rimanga sfornita di tutela per la sopravvenuta carenza di giurisdizione. Il problema della translatio iudicii nasce dal rilievo che il codice di procedu-ra civile del 1942,� all’art. 50,� ha espressamente affermato il principio della conservazione degli effetti della domanda con riferimento al solo caso del difetto di competenza.

Sul punto la dottrina,� come la recente sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2007 non manca di rilevare,� è pressoché unanime nel sollecitare una riforma legislativa che pre-veda meccanismi idonei - come accade per l’ipotesi di difetto di competenza - ad assicura-re,� con la trasmigrazione del giudizio davanti al giudice munito di giurisdizione,� la conser-vazione degli effetti che la legge collega alla proposizione della domanda giudiziale.

Una parte della dottrina,� poi,� ha sostenuto che alle pronunzie emesse dalla Corte di cas-sazione in tema di giurisdizione potrebbe conseguire - in base al combinato disposto degli artt. 50,� 367 e 382 cod. proc. civ. - la translatio iudicii con conservazione degli effetti del-la domanda giungendo,� recentemente,� a desumere da tale conclusione che - non potendo-si imporre alle parti,� affinché operi il meccanismo della translatio iudicii,� di adire necessa-riamente la Suprema Corte a sezioni unite - analogo risultato sarebbe conseguibile,� de iure condito, nel caso di declinatoria di giurisdizione da parte di un giudice di merito.

Nella sua pronuncia,� il giudice delle leggi si fa carico della decisione adottata con la sen-tenza n. 4109 del 2007 dalle Sezioni unite,� le quali,� nel rinviare al Consiglio di Stato,� per violazione del giudicato interno,� una controversia definita dal medesimo Consiglio con una pronuncia declinatoria della giurisdizione,� hanno affermato di intendere in tal modo modificare il proprio «precedente,� risalente orientamento,� secondo cui la decisio-ne del giudice ordinario o del giudice speciale,� con la quale viene dichiarato il difetto di giurisdizione,� non consente che il processo possa continuare dinanzi al giudice fornito di giurisdizione».

Il giudice della giurisdizione ha,� cioè,� ritenuto di poter giungere per via interpretativa,� attraverso una lettura costituzionalmente orientata della disciplina,� all’affermazione del-la esistenza del principio della translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale,� e viceversa,� in caso di pronuncia sulla giurisdizione: e ciò in considerazione,� per un verso,� della mancanza di un espresso divieto della translatio nei rapporti tra giudice ordinario e

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giudice speciale; per l’altro,� che la cassazione senza rinvio è possibile,� a norma dell’art. 382,� comma terzo,� cod. proc. civ.,� in caso di difetto assoluto di giurisdizione,� dovendosi in ogni altro caso cassare con rinvio,� perché il giudizio prosegua,� al giudice munito di giurisdizio-ne. Del resto,� l’estensione legislativa del regolamento di giurisdizione al processo ammini-strativo e a quello tributario impone,� secondo la Cassazione,� di interpretare estensivamen-te l’art. 367,� comma secondo,� cod. proc. civ.,� ammettendo la riassunzione anche davanti al giudice speciale.

Con la conseguenza che,� a seguito sia di ricorso ordinario ex art. 360,� n. 1,� cod. proc. civ.,� come di regolamento di giurisdizione,� dovrebbe ritenersi sempre ammessa la riassunzione del processo davanti al giudice (ordinario o speciale) munito di giurisdizione: tale riassun-zione,� secondo la Corte,� è poi possibile,� per ragioni di completezza sistematica,� anche nel caso di sentenza del giudice di merito,� che abbia declinato la giurisdizione.

Il giudice delle leggi non condivide tale lettura delle norme operata dalla Cassazione,� ri-tenendo,� da una parte,� che l’espressa previsione della translatio con esplicito ed esclusivo ri-ferimento alla competenza equivale a divieto di applicazione della stessa alla giurisdizione; dall’altra,� che la funzione di «rendere praticabile la translatio»,� con la conservazione de-gli effetti della domanda proposta al giudice (che risulta essere) privo di giurisdizione,� non può ritenersi affidata ad un ricorso proponibile «in ogni tempo» (e,� quindi,� anche anni dopo il manifestarsi del conflitto).

Ciò posto,� la Corte costituzionale,� affermata la incompatibilità del principio della in-comunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi con i valori costituzionali che presidiano la tutela giudiziale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi (artt. 24 e 111 Cost.),� in quanto esso finisce per sacrificare il diritto delle parti ad ottenere una risposta,� affermativa o negativa,� in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa,� dichiara l’illegittimità costituzionale della norma censurata nella parte in cui non prevede la con-servazione degli effetti della domanda nel processo proseguito,� a seguito di declinatoria di giurisdizione,� davanti al giudice munito di giurisdizione.

Spetta ora al legislatore adottare il meccanismo di riassunzione ritenuto più opportuno,� fermo restando che i giudici potranno dare attuazione al principio della conservazione de-gli effetti della domanda nel processo riassunto.

conseguenzeAllorché una causa, instaurata davanti ad un giudice, debba essere decisa, a segui-to di declinatoria della giurisdizione di detto giudice, da un altro, gli effetti so-stanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta devono essere conservati nel nuovo giudizio.

Giurisprudenza e diritto civile

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Gli autori

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Notizie sugli autori di questo numero

Guido Alpa – Professore ordinario di istituzioni di diritto privato

Alessandro Barca – Avvocato

Nicola Bianchi – Avvocato

David Cerri – Avvocato

Roberto Chieppa – Consigliere di Stato

Fabio Cintioli – Professore straordinario di diritto amministrativo

Vincenzo Comi – Avvocato

Lorenzo Delli Priscoli – Magistrato ordinario

Rosanna De Nictolis – Consigliere di Stato

Onofrio Fittipaldi – Consigliere di Cassazione

Domenico Ielo – Avvocato

Alarico Mariani Marini – Avvocato

Maurizio Paganelli – Avvocato

Giovanni Pascuzzi – Professore ordinario di diritto privato comparato

Ubaldo Perfetti – Professore straordinario di istituzioni di diritto privato

Barbara Piattoli – Assegnista di ricerca

Ettore Randazzo – Avvocato

Federica Resta – Avvocato

Maria Rosaria San Giorgio – Consigliere di Cassazione

Giuseppe Santalucia – Magistrato ordinario

Anna Tiseo – Avvocato

Giovanni Vaglio – Avvocato

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Direzione

Alarico Mariani Marini

Roberto Chieppa

Comitato di direzione

Alessandro Barca

David Cerri

Fabio Cintioli

Vincenzo Lopilato

Francesco Macario

Maurizio Paganelli

Giovanni Pascuzzi

Ubaldo Perfetti

Maria Rosaria San Giorgio

Giuseppe Santalucia

Pierluigi Tirale

Comitato Scientifico

Guido Alpa

Vincenzo Carbone

Alberto de Roberto

Adelino Cattani

Sergio Chiarloni

Giuseppe Conte

Giovanni Iudica

Cesare Mirabelli

Stefano Racheli

Eligio Resta

Umberto Vincenti

Vincenzo Zeno Zencovich

Diritto e FormazioneRivista bimestrale del CNF per la formazione e l’aggiornamento degli avvocati

Direttore responsabile: Filippo Galli

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Reg. n. 270 Tribunale di Rovereto del 6/03/2007

Numero 1,chiuso in redazione il 10/05/2007in distribuzione dal 19/05/2007

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