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L’EQUIVOCO DELLA BELLEZZA Congdon e il problema dell’icona A ciascuno Dio ha concesso Una certa misura di fede, cioè una convinzione di cose invisibili Pavel Aleksandrovič Florenskij

Lequivoco Della Bellezza Congdon E Il Problema Dellicona

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Page 1: Lequivoco Della Bellezza   Congdon E Il Problema Dellicona

L’EQUIVOCO DELLA BELLEZZA

Congdon e il problema dell’icona

A ciascuno Dio ha concessoUna certa misura di fede,cioè una convinzionedi cose invisibili 

Pavel Aleksandrovič Florenskij

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Introduzione

-E così, è questo il genere di bellezza che voi apprezzate?[…]

-Si, questa..[…]-Perché?

-In questo viso...c’è molta sofferenza

F. M. DOSTOEVSKIJ, L’idiota

In questo percorso si rifletterà sulle icone e la loro “analogia” con l’arte di William Congdon, e in particolar modo sull’evoluzione dei suoi Crocifissi. Si tratta di “giustificare” questa analogia, ricercando una bellezza “altra” che prescinda dalla grandezza e dalla maestosità di una estetica “senza conflitto”. In questo senso nasce un equivoco nella bellezza, che porta con sé, o, meglio, com-porta, una frattura in se stessa leggibile sia nell’icona “tradizionale”, sia nelle raffigurazioni di Congdon. 

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Il gioco simbolico dell’icona ci permette di “dis-velare il velato” e giungere a una visione “altra” e più “alta”, soprattutto se il “campo di gioco”della raffigurazione è l’ eikôn del Cristo, dove l'invisibile (Dio) si fa vedere .

L’icona diventa veicolo di una sovrabbondanza di significato, simbolo di una Presenza e guida per la vita di quanti la contemplano.

Una teologia ampiamente e finemente elaborata dell’icona sorge in Russia fra il XIX e il XX secolo: è un vero e proprio rinascimento dell’icona e un fiorire della sua ermeneutica.

In questo contesto si pone l’opera di Pavel Florenskij (1882-1943)

1.L’ Icona: incontro degli sguardi 

«Per incontrare la bellezza a volto svelato, per attingere alla ricchezza della sua grazia, occorre mediante una trans-ascendenza, mediante un superamento del sensibile e dell’intelligibile oltrepassare le porte del Tempio con l’icona. »

Pavel Evdokimov

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« A dirla in breve, la pittura d’icone è una metafisica dell’essere – non una metafisica astratta ma concreta. Mentre la pittura a olio è più adatta a riprodurre la presenza sensibile del mondo, e l’incisione il suo schema razionalistico, la pittura d’icone sente ciò che raffigura come manifestazione sensibile dell’essenza metafisica »

P. FLORENSKIJ

Iconostasi , Gerusalemme, Chiesa del Santo Sepolcro

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L’oro, nell’interpretazione di Florenskij non è un colore; è cifra dell’altro, qualcosa di diverso dalla pura struttura metafisica delle cose: è il divino, è la luce della grazia divina che, nelle tracce dorate dei panneggi a lisca di pesce, penetra dentro il corpo santo raffigurato. 

Icona della S. Famiglia

« La luce [...] si dipinge con l’oro [...] mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina.

Nel suo grembo ‘viviamo, ci muoviamo ed esistiamo’, questo è lo spazio della realtà autentica ».

P. Florenskij

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Icona della Trinità, dipinta da Andrej Rublév agli inizi del secolo XV

« Se esiste la trinità di Rublév, l’icona della trinità di Rublév, esiste pure Dio »

(P. Florenskij )

L’icona permette di toccare il divino e infonde la luce nella vita umana e aiuta l’uomo a percepirsi come immagine di Dio.

Il valore più grande dell’iconografia consiste nella possibilità di raccogliere insieme, di unire ciò che è eterno e temporale; incarnare l’incorruttibile in ciò che subisce morte e passa.

« non esiste altrove nulla di simile quanto a potenza e a bellezza artistica »

(Evdokimov)

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2.L’equivoco della bellezza

Come la bellezza può salvare il mondo?Solo in Cristo rifulge la bellezza dell’Essere di Dio, e solo in Cristo questa bellezza diviene esperienza umana. Una bellezza, segnata dal dolore, che nel dolore acquisisce la sua più compiuta ed umana verità.

Come può il Figlio dell’Uomo apparire glorioso e sfigurato insieme?

È la bellezza che si cela nelle smorfie del dolore quella che mi apre alla Luce divina?

Icona della crocefissione - particolare

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« L’essere dell’uomo è l’immagine di Dio, e poiché il peccato ha compenetrato tutto il “tempio” del creato, secondo l’Apostolo la persona non soltanto non è l’espressione esterna, ma anzi cela quest’essere. Come il peccato s’impadronisce della persona, il volto cessa d’essere la finestra da cui si effonde la luce di Dio. Viceversa la sublime ascesa spirituale accende nel volto uno sguardo luminoso, cancellando tutta la tenebra»

P. FLORENSKIJ

Se è vero che la bellezza salverà il mondo, allora questa bellezza non potrà essere altro che la manifestazione dell’Invisibile nelle cose visibili; sarà l’incontro fra l’esperienza estetica, etica e religiosa. Questo incontro si esperisce nell’icona, in una lotta tra lo Sguardo di santità dei “vivi testimoni” dell’invisibile e la larva del male. Questa lotta è contro ciò che è inautentico, che seduce e inganna, contro il “sensuale” che allontana dall’essere “a immagine di Dio”.

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L’icona ci invita a vedere l’invisibile, «cercare attraverso il visibile, malgrado il visibile, il recupero di una dimensione invisibile»; e così ci costringe a un rimando alla salvezza, intesa in senso simbolico di una unità che conserva in sé il segno di una frattura che ci dischiude un mondo, un altro mondo, un aldilà.

Proprio nel verbo salvare è espresso il concetto di interezza e di integrità. Salvare, dunque, per restituire integrità alle parti che tendono a dissociarsi, per ricomporre la totalità. Quest’idea di armonizzazione, di costituzione di un ordine ed equilibrio, appartiene proprio al concetto convenzionale di bellezza.

Possiamo pensare a un’altra idea di bellezza che non abbia nella propria essenza l’armonia, la simmetria e l’ordine?È su questo che Florenskij ci interroga ancora, quando scrive la sua “prospettiva rovesciata”.

Di qui :

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Nelle varie stagioni dell’arte coesistono due modalità espressive differenti, una di natura imitativa della realtà e l’altra di natura simbolica, due modi di vedere e rappresentare ai quali corrispondono “due esperienze del mondo”, l’una “interiore”, l’altra “esteriore”. La “prospettiva rovesciata” è un procedimento simbolico, sintetico, corrisponde ad una determinata concezione della vita e dell’umana esperienza del mondo.

Madre di Dio della Tenerezza di Vladimir Inizio del XII secolo

L’icona ci chiede di cambiare il nostro sguardo sul mondo, di rinnegare la simmetria e il calcolo della visione prospettica, e di correre con gli occhi per “altre vie”, e miracolosamente riesce a non farci sentire a disagio.

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3.William Congdon

« certo è la ferita nella bellezza

che fa nascere il quadro

- fuori questa ferita,

c'è solo lo zuccheroso estetico-

"sangue"allora ci vuole - l'arte nasce da,

è fatta di sangue »

WILLIAM CONGDON 18 II 84.

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L’arte di William Congdon (Providence 1912 - Gudo Gambaredo 1998) con la sua bellezza ci ferisce, ci provoca, ci fa “pensare molto”.

Interprete della “prospettiva rovesciata” florenskiana, nei suoi dipinti, possiamo afferrare quella della frattura simbolica tipica dell’icona “tradizionale” , e sentirci sospinti attraverso la tavola e la densità materica dell’olio, a compiere quella che Pavel Evdokimov chiama “trans-ascendenza”.

La vita del pittore americano, scomparso nel 1998, fu caratterizzata da un singolare cammino di conversione, culminato con l’adesione alla fede cattolica nel 1959. Proveniente dall’esperienza artistica della Action Painting, approdò poi, nella sua permanenza italiana, al cosiddetto espressionismo astratto, focalizzando la sua riflessione artistica sul tema del Crocifisso.

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Destroyed City - William Congdon (1949)

« ritornando dalla guerra alla ricchezza degli Stati Uniti non ho più potuto sopportare la vita né le cose della vita: dovevo cancellare ogni oggetto per creare la possibilità di una nuova vita

… con un ferreo scarabocchio d’inchiostro su carta bagnata volevo cancellare l’eleganza vittoriana della mia origine »

William Congdon

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Piazza San Marco ,1957

« Il mio romanticismo esigeva sensazioni sempre più nuove e stravaganti. Come fossi assalito da un impeto cosmico per abbracciare tutta la terra in un’immagine monumentale.. Viaggiavo rapidamente e costantemente cercando nei simboli redentivi degli altri la salvezza … Ogni quadro, fatto con grande rapidità e intensità, era per me come un salvagente per l’uomo che affoga »

William Congdon

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Eiffel Tower 3,1955

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Sahara 12 ,1955

« il divino spunta dove vuole, e quindi anche nella natura e il deserto mi è sembrato così stupendo perché sono talmente consapevole delle barriere che l’uomo costruisce contro Dio. Il piede nel colore è l’impronta nella sabbia è il viandante nel deserto. È il passo dell’intruso dell’uomo di città – nella casa del Nomade; della mente occidentale nella fede di un altro »

William Congdon

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Guatemala 7 (Dying Vulture), 1957

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Crocefisso 2,1960

« Nella misura in cui Cristo aveva salvato la mia vita dal naufragio e adesso era la mia Verità, la Sua figura cominciava a prevalere su qualsiasi altra fonte di ispirazione.

L’incontro con Cristo mi fa scoprire che il suo dramma di croce è pure mio.»

WILLIAM CONGDON

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Crocefisso 1b ,1960

«..E questo mi porta al Crocifisso tramite un ritorno alla figura, figura mai più da vedere o dipingere disgiunta dalla croce.Mi interessava non la figura in sé ma la figura come Croce, in ciò che la Croce fa del corpo di Cristo

.. Il Crocefisso non è altro che la nostra carne sofferente/peccante... E’ la mia carne Crocefissa!»

William Congdon

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Crocefisso 46 ,1969

« il nero è per me origine di luce; è la morte cristiana; non è superficie; non è solo supporto; io vivo per il nero – perciò è sempre carico di luce »

William Congdon

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la figura non ha più articolazioni anatomiche, il tutto è una larva, quasi il bozzolo di quella nuova creatura che esploderà con la resurrezione. Anche il rapporto cromatico è ribaltato: corpo scuro, fondo luminoso. Egli resta inchiodato a quel Crocifisso che vive e soffre il dramma della Croce ieri come oggi, a Bombay in India nei corpi accasciati nelle strade della città, fatti larve, non più uomini, come recita il Salmo 22

Crocifisso 90 (1974)

7ma io sono verme, non uomo,infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.8Mi scherniscono quelli che mi vedono,storcono le labbra, scuotono il capo 15Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere.

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Crocifisso 90 ,1974

«[il Crocifisso 90] è tutto una piatta schiacciata colata di lava secca, ma calpestata come se il traffico del “peccato” l’avesse da eternità passato sopra, finché il corpo, ciò che era corpo, è diventato macchia. È la strada di Bombay, è il mondo che continuamente schiaccia il Cristo»

William Congdon

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Relitto 4, 1997

« Dipingo sempre quello che sono, non quel che vedo. Se ho dipinto la nave abbandonata vuol dire che c’è l’abbandono della nave in me. Ma abbandono vuol dire l’estrema, l’ultima compagnia. Non c’è compagnia più bella, perché abbandono vuol dire abbandonare se stessi e tutto quello che c’è di comodo e di comfort.Io ho “abbandonato” dal primo giorno che ho preso i colori per dipingere, quello è stato l’inizio del mio abbandono e della mia compagnia. La compagnia che accompagna l’abbandono è Cristo, e la pittura è l’immagine dell’estrema compagnia »

William Congdon

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Tre Alberi (Venerdì Santo) ,10 aprile 1998

Questo quadro è stato dipinto pochi giorni prima di morire, dopo aver letto Proust:

«Vidi gli alberi allontanarsi agitando disperatamente le braccia... E quando la carrozza svoltò...e cessai di vederli[...] ero triste come se avessi perduto un amico, come se fossi morto io stesso, avessi rinnegato un morto e disconosciuto un dio»

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Conclusione

  Questo percorso ha attraversato la gloria e la sacralità dell’icona per giungere alla carne ferita di Congdon per comprendere che la forza espressiva dell’icona, e in maniera più carnale in Congdon, trova la sua origine proprio in quella ferita che tormenta la rappresentazione e il Rappresentato, nel distacco e nella lontananza che, di fronte a queste opere, percepiamo e patiamo.

Il richiamo di Congdon al “sangue” evoca la dimensione della corporeità, di quella carne sofferente/peccante grazie alla quale possiamo comprendere il dolore di quel “corpo di morte” che è il Cristo sulla Croce, identificandoci con essa. La prospettiva rovesciata ci dimostra proprio questo, cioè che la bellezza prescinde dalla formalità e dalla conciliazione.

.. Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite

ETTY HILLESUM

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“Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite” , si vorrebbe fermare quel sangue, ma Il nostro essere “balsamo” non può trovare realizzazione in un’arte che è costitutivamente simbolica, e che deve avere necessariamente in sé questa frattura, in modo da lasciare entrare l’invisibile, e non rendere la rappresentazione ad esso impermeabile.

La ferita nella bellezza rivela qui il suo aspetto positivo: nella sua costante richiesta di nuovi sguardi, di nuove interpretazioni, stimola la nostra immaginazione e ci dà la possibilità, citando Kant, di “pensare molto”, facendo leva sull’immaginazione e rendendo qualitativamente più vasta la nostra conoscenza.

Questo pensare molto, nel nostro caso, non può essere altro che il pensare la trascendenza divina.