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1 Alcune occorrenze del termine “biblioteca” nella letteratura del mondo antico. 1. Da archivio a βιβλιοϑήχη: breve introduzione allo sviluppo della biblioteca nel mondo antico. L’invenzione della scrittura ha contribuito alla nascita della “civiltà”. La sua origine si colloca in due zone distinte del mondo orientale, localizzate in Mesopotamia e in Egitto, senza possibilità di stabilire un primato. La diffusione della scrittura, spartiacque tra il mondo preistorico e la fase storica dell’evoluzione umana, ha determinato la necessità di supporti adatti alla scrittura e, tra i principali, figurano l’argilla e il papiro. Anche se siamo in possesso di una considerevole mole di documenti, il papiro è, tuttavia, il supporto più deteriorabile, soprattutto se rimosso dalle zone climatiche di origine. Assai più resistente è l’argilla trasformata in tavolette e incisa dagli scribi mesopotamici con cannucce, nella caratteristica scrittura cuneiforme. Ma per quale ragione gli uomini del Vicino Oriente hanno creato la scrittura? In una fase preliminare, la scrittura fu un vero e proprio strumento amministrativo, essendo utilizzato dai funzionari di Sumer per compilare inventari dei materiali conservati nei magazzini. Sembra quindi evidente come, col passare del tempo, fu necessario creare spazi appositi per la conservazione di queste tavolette: si allestirono così i primi archivi. La funzione di questi archivi ebbe grande sviluppo nei regni successivi a quello di Sumer (Akkad, Asur e Babilonia), soprattutto dal punto di vista dei contenuti. Le indagini archeologiche condotte nella valle dei due fiumi hanno portato al rinvenimento di diversi archivi, caratterizzati da documenti di tipo amministrativo e altri tipi di tavolette che riportano nomi geografici, nomi di dèi o inni religiosi. È il caso dell’archivio rivenuto a Nippur, città sacra degli Assiri o dell’enorme archivio di Ebla in Siria, entrambi risalenti al III millennio a. C.. Le tavolette furono rinvenute accatastate una sull’altra, facendo presuppore l’esistenza di appositi scaffali di legno sui quali poggiavano. La composizione eterogenea del materiale ha lasciato spazio all’ipotesi che si trattasse della “biblioteca” di una scuola per scribi, largamente testimoniate e diffuse nel

Alcune occorrenze del termine "biblioteca" nel mondo antico

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Alcune occorrenze del termine “biblioteca” nella letteratura del mondo antico.

1. Da archivio a βιβλιοϑήχη: breve introduzione allo sviluppo della biblioteca nel

mondo antico.

L’invenzione della scrittura ha contribuito alla nascita della “civiltà”. La sua origine

si colloca in due zone distinte del mondo orientale, localizzate in Mesopotamia e in

Egitto, senza possibilità di stabilire un primato.

La diffusione della scrittura, spartiacque tra il mondo preistorico e la fase storica

dell’evoluzione umana, ha determinato la necessità di supporti adatti alla scrittura e,

tra i principali, figurano l’argilla e il papiro. Anche se siamo in possesso di una

considerevole mole di documenti, il papiro è, tuttavia, il supporto più deteriorabile,

soprattutto se rimosso dalle zone climatiche di origine. Assai più resistente è l’argilla

trasformata in tavolette e incisa dagli scribi mesopotamici con cannucce, nella

caratteristica scrittura cuneiforme. Ma per quale ragione gli uomini del Vicino

Oriente hanno creato la scrittura? In una fase preliminare, la scrittura fu un vero e

proprio strumento amministrativo, essendo utilizzato dai funzionari di Sumer per

compilare inventari dei materiali conservati nei magazzini. Sembra quindi evidente

come, col passare del tempo, fu necessario creare spazi appositi per la conservazione

di queste tavolette: si allestirono così i primi archivi. La funzione di questi archivi

ebbe grande sviluppo nei regni successivi a quello di Sumer (Akkad, Asur e

Babilonia), soprattutto dal punto di vista dei contenuti. Le indagini archeologiche

condotte nella valle dei due fiumi hanno portato al rinvenimento di diversi archivi,

caratterizzati da documenti di tipo amministrativo e altri tipi di tavolette che riportano

nomi geografici, nomi di dèi o inni religiosi. È il caso dell’archivio rivenuto a Nippur,

città sacra degli Assiri o dell’enorme archivio di Ebla in Siria, entrambi risalenti al III

millennio a. C.. Le tavolette furono rinvenute accatastate una sull’altra, facendo

presuppore l’esistenza di appositi scaffali di legno sui quali poggiavano. La

composizione eterogenea del materiale ha lasciato spazio all’ipotesi che si trattasse

della “biblioteca” di una scuola per scribi, largamente testimoniate e diffuse nel

2

mondo mesopotamico. Dall’esempio fornito da queste due importanti scoperte, si

evince come già in quest’epoca molto remota si fosse sviluppato un tentativo di

razionalizzare le raccolte del sapere.

A partire dal XII secolo a.C. sono noti i nomi di due sovrani che organizzarono vere

e proprie biblioteche in grandi sale dei rispettivi palazzi reali: il primo di cui si ha

notizia è il re assiro Tiglath-Pileser I, seguito da Assurbanipal, vissuto nel VII secolo

a.C. e al quale gli studiosi attribuiscono “la prima biblioteca formata in modo

sistematico in Mesopotamia”1.

Relativamente alla civiltà del Nilo, non abbiamo attestazioni dirette dell’esistenza di

biblioteche risalenti alla fase precedente il III periodo intermedio (VI secolo a. C.) e

alla conquista macedone (IV secolo a.C.). Tuttavia sembra attesta l’esistenza di una

“biblioteca sacra” allestita in una serie di edifici all’interno del palazzo di Ramses II,

risalenti alla prima metà del XIII secolo a.C.2

Per il mondo greco sembra plausibile uno sviluppo delle biblioteche pubbliche prima

di quelle private. Tra le più importanti figuravano quelle di molti tiranni o di illustri

personaggi. Le biblioteche private sono invece attestate dal V secolo a. C. Dopo la

conquista macedone dell’Egitto, in piena epoca ellenistica, il diadoco Tolomeo Lagide

trasformò Alessandria nel principale centro di diffusione della cultura di tutto il bacino

del Mediterraneo. La Biblioteca di Alessandria, il cosiddetto Museo, è considerabile

la più grande del mondo ellenistico, alla quale fu annessa, in una fase successiva, una

nuova ala presso il tempio di Serapide. Affiancava la biblioteca di Alessandria quella

di Pergamo, appartenuta ad Attalo I.

A partire dal III secolo a.C. sorsero le prime biblioteche anche a Roma. Tuttavia, la

capitale della Res Publica si distinse dalla realtà greca ed ellenistica: le prime

biblioteche romane erano private. Sorgevano all’interno di grandi residenze patrizie,

diventando ben presto uno dei principali tratti distintivi dell’aristocrazia romana. Nota

è la biblioteca di Pomponio Attico nella sua residenza sul Quirinale, rinomata per la

quantità di testi originali e copie di opere antiche e rarissime. Altrettanto note sono le

biblioteche che i generali romani riportarono come bottino di guerra dalle spedizioni

in Oriente. Solo a partire dalla seconda metà del I secolo a. C. si svilupparono le

1 Cit. L. Casson, Biblioteche del mondo antico, Milano 2003, p.19. 2 Cfr. Casson, Op. cit., p.20.

3

biblioteche pubbliche. Il primo tentativo di creare una biblioteca pubblica si

attribuisce a Casare, il quale aveva incaricato Varrone della gestione del progetto, mai

portato a termine a causa degli avvenimenti politici del 44 a. C. e dell’assassinio del

dittatore. Un secondo progetto venne sovvenzionato da Asinio Pollione nel 39 a. C.,

il quale fece allestire una biblioteca nell’atrio del Tempio della Libertà. Seguono nel

28 a. C. e nel 23 a. C. la biblioteca pubblica del tempio di Apollo Palatino e quella nel

Campo Marzio presso il portico di Ottavia, entrambe realizzate per volere di Augusto.

Di matrice imperiale e degna di nota, accanto a quelle di Tiberio e Vespasiano, è

doveroso citare la Biblioteca Ulpia, costruita all’interno del foro di Traiano per

volontà del cesare stesso.

Questa breve relazione metterà in evidenza la maggior parte delle fonti inerenti alcune

biblioteche del mondo greco e romano.

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2. Alcune occorrenze del temine “biblioteca” nella letteratura greca e latina.

I grandi eruditi del mondo antico hanno lasciato numerose attestazioni che si

riferiscono alla biblioteca, dimostrando la sua conclamata diffusione. Innumerevoli

sono gli autori del mondo latino che ne testimoniano la presenza e, allo stesso tempo,

anche illustri autori del mondo greco, come Strabone, Polibio o Pausania, hanno dato

il loro contributo.

La “biblioteca” viene citata dai nostri autori in maniera a volte casuale, come nei casi

di Cicerone e Tacito, in altri casi l’attenzione e completamente rivolta ad essa

sull’esempio di Vitruvio o Plinio. Per Petronio la biblioteca diventa addirittura oggetto

della sua spietata satira, mentre per il mondo tardo antico e alto medievale, importanti

sono le testimonianze di Paolo Orosio e Isidoro di Siviglia, vissuti tra il IV e il VII

secolo d.C.

Polibio, nato a Megalopoli intorno al 206 a.C., fu un autore greco noto per la sua

grande stima per il mondo romano, coniando per primo il concetto di “costituzione

mista” applicata al governo della Res Publica. In un passo delle “Storie” riporta una

testimonianza molto importante della diffusione delle biblioteche nell’antichità,

asserendo come, talvolta, sia relativamente facile reperire dei testi letterari:

“Si può fare ricerca dai libri senza pericolo né fatica, basta solo provvedere a trovare

una città che disponga di una grande quantità di opere o una biblioteca”3.

Segue Cicerone, vissuto circa cento anni dopo Polibio. Nel De Oratore, l’avvocato

mette a confronto, attraverso il punto di vista di Quinto Mucio Scevola l’Augure, la

maggiore validità di insegnamento delle XII tavole, testo giuridico romano della fase

alto repubblicana, in contrapposizione con la formazione che i filosofi possono trovare

all’interno delle biblioteche:

“A me pare che il libricino delle Dodici Tavole abbia da solo più autorità e più

utilità di tutte le biblioteche di tutti i filosofi”4.

3 Pol. XII 27 4. 4 Cic. De orat. I 195.

5

Nel De Divinatione descrive un ipotetico colloquio sul tema della divinazione con il

fratello Quinto, immaginando di trovarsi nella sua villa di Tusculum. Leggiamo di

seguito:

“Dopo che mio fratello Quinto ebbe detto sulla divinazione ciò che ho riferito nel

libro precedente, e ci parve di aver passeggiato abbastanza, ci mettemmo a sedere

nella biblioteca che vi è nel Liceo”5.

Per quel che concerne l’approccio degli eruditi nei confronti delle biblioteche,

Vitruvio, nel De Architettura, non dimentica affatto di fornire delucidazioni sui

migliori luoghi ove fondare una biblioteca specificando, per l’appunto, come

l’umidità produca il deterioramento dei volumi e di come si renderà necessario esporre

i muri ad oriente:

Cubicula et bibliothecae ad Orientem spectare debent, usum enim matutinum

postulat lumen, item in bibliothecis libri non putrescent6.

Il punto di vista di Seneca non manca di profonda asprezza nei confronti delle

immense raccolte di libri. L’autore palesa più volte nelle sue opere l’inutilità di

possedere enormi collezioni di libri. In virtù di questo, nel De tranquillitate animi

Seneca sostiene che non è tanto il numero dei volumi posseduti ma la qualità delle

nozioni in essi contenute. È più che certo che il padrone di una enorme biblioteca a

stento leggerà i titoli di tutti i libri che possiede:

Quo innumerabiles libros et bybliothecas quarum dominus vix tota vita7.

Nel passo successivo, continua la sua invettiva contro il ruolo di status symbol che le

biblioteche hanno assunto per l’aristocrazia romana. Egli ci ragguaglia su come sia

necessario per una grande domus dei suoi tempi, accanto a terme e bagni, esporre

anche una biblioteca:

5 Cic. De div. II 8. 6 Vitr. De Arch. VI 4 1. 7 Sen. De tranq. IX 4.

6

“Le collezioni degli oratori e degli storici le puoi trovare in casa di chi meno studia,

in scaffali che toccano il soffitto. Oggi, di fatto, in una casa, con terme e bagni, è

indispensabile allestire una bella biblioteca […] si comperano per arredare e

abbellire casa”8.

Petronio, la cui satira non si discosta molto dal punto di vista di Seneca a proposito

dell’ostentazione legata al possesso di una grande biblioteca, nel Satyricon presenta il

liberto Trimalcione, ormai ricchissimo ma pur sempre ignorante, che si vanta di

possedere una biblioteca, fornitissima di testi latini e greci:

Bybliothecam habeo, unam graecam, alteram latinam9.

Marco Fabio Quintiliano, uno tra i primi insegnanti di retorica stipendiato dal fiscus

dello Stato romano, nell’ Institutio Oratoria menziona diverse volte la biblioteca.

Nella prima citazione contenuta nella Institutio, un vero vademecum per il potenziale

oratore, Quintiliano riferisce addirittura di un catalogo. Ciò dimostra che le

biblioteche del mondo antico erano dotate di indici organizzati delle opere in esse

contenute:

“Nessuno è davvero digiuno di quegli scrittori [latini e greci] da non poterne

trascrivere nei propri libri il catalogo delle opere, prendendolo dalla biblioteca”10.

Prosegue poi citando un elenco delle principali arti, comprese quelle letterarie,

mettendo a confronto i greci con i latini. A proposito degli storiografi Quintiliano,

considerando i latini non inferiori ai greci, cita alcuni dei loro nomi, senza soffermarsi

tuttavia, come egli stesso dichiara, su tutti i migliori storici del mondo romano:

8 Sen. De Tranq. IX 7. 9 Petron. Satyr. IV 8 2. 10 Quint. Inst. X 1 57.

7

“Altri buoni scrittori non mancano, ma noi tocchiamo di sfuggita i generi, non

rispolveriamo biblioteche”11.

In conclusione il nostro autore, a proposito dell’actio, che Cicerone definisce

”eloquenza del corpo”, riferisce degli attori di teatro, i quali:

“Aggiungono anche ai migliori testi che recitano quel tocco che basta a renderli

infinitamente più graditi alla lettura […] ciò spiega perché poeti, che non trovano

posto nelle biblioteche, vengono spesso rappresentati sulle scene”12.

Tacito, nel passo XXI dell’opera “Dialogo degli Oratori”, discutendo di Bruto e

Cesare, asserisce che essi composero dei canti e delle opere che si posso reperire nelle

biblioteche:

fecerunt enim carmina et in bibliothecas rettulerunt13,

successivamente, nel passo XXXVII, riferendosi ai propri interlocutori, cerca di

evocare nella loro mente l’immagine di una biblioteca, di quelle possedute dagli

antiquari e piene di libri:

nescio an venerint in manus vestras haec vetera, quae et in atiquariorum

bibliothecis adhuc manet14.

Paolo Festo, vissuto nel II secolo, asserisce chiaramente come nel mondo greco e in

quello romano siano chiamate biblioteche quei grandi luoghi in cui sono depositati i

libri:

Bibliothecae et apud Graecos et apud nos tam librorum magnus per se numerus

quam locus ipse, in quo libri collocati sunt, appellatur15.

11 Quint. Inst. X 1 104. 12 Quint. Inst. XI 3 4. 13 Tac. Dial. XXI. 14 Tac. Dial. XXXVII. 15 Fest. p. 34 Lind.

8

Per l’epoca degli Antonini, fortemente permeata dalla ricerca della verità nella

filosofia greca, Apuleio, noto autore delle “Metamorfosi”, assumendo un tono

fortemente critico nei confronti di Aristotele, prevede conseguenze negative in quei

giovani che si accosteranno allo studio del filosofo greco:

cuius nisi libros bybliothecis exegeris et studiosorum manibus extorseris16.

Un altro autore degno di nota è Macrobio il quale, nella sua opera Saturnalia,

componimento del V secolo che celebra e descrive gli antichi costumi romani, cita il

nome di Vittio Pretestato che, in seguito ad un banchetto, ricevette gli invitati in

bibliothecam.

In VI 1 aggiunge:

quantum se mutuo compilarint bibliothecae veteris auctores17,

e in VI 9 conclude:

saeculum nostrum ab Ennio et omni bibliotheca vetere descivit18.

Ormai di epoca pienamente medievale degno di nota è Isidoro di Siviglia, vescovo

vissuto nella Spagna visigota tra il 560 e il 636. La sua opera “Origini” o

Etymologiae, importante compendio in XX libri, fu composto per tentare di spiegare

l’etimologia di diversi termini. Il lemma “biblioteca”, sostiene Isidoro, trova la sua

origine nella lingua greca, derivando a βιβλιων “libro” e ϑήχη “cassa” o “deposito”:

Bibliotheca a Graeco nomen accepit, ab eo quod ibi recondantur libri. Nam βιβλιων

librorun, ϑήχη repositio interpretatur19.

16 Apul. 41. 17 Macr. Sat. VI 1 3. 18 Macr. Sat. VI 9 9. 19 Isid. Orig. VI 3 1.

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3. Le più importanti biblioteche del mondo greco e latino attraverso le testimonianze

letterarie.

L’area greca.

A proposito delle testimonianze relative alla presenza di biblioteche nell’antica

Grecia, fondamentali sono le voci di Aulo Gellio, giurista romano autore delle “Notti

Attiche”, componimento scritto in seguito ad un viaggio in Grecia20 e dell’erudito

greco Ateneo di Naucrati.

In prima istanza Aulo Gellio fornisce un dato importante: secondo l’autore, infatti, in

una fase preliminare, non si può parlare di un sistema di biblioteche private in Grecia

ma di biblioteche pubbliche. Successivamente l’autore romano parla espressamente

di creatori di raccolte di libri aperte al pubblico e, tra questi, cita Pisistrato, tiranno di

Atene vissuto nel VI secolo a.C.:

“fu il tiranno Pisistrato, si dice, il primo ad organizzare ad Atene la distribuzione

pubblica, per la lettura, di libri attinenti alle arti liberali”21,

Gellio, quindi, spiega che la biblioteca, definita “raccolta di libri”, fu trafugata da

Serse quando, durante la II Guerra Persiana (480 a.C.), il Grande Re prese Atene22 e

fece trasportare l’intera biblioteca in Persia. Solo dopo novantanove anni, Seleuco

Nicatore, generale dell’esercito di Alessandro il Grande, fece tradurre nuovamente la

biblioteca nella capitale dell’Attica:

“ma poi Serse si impadronì della città di Atene la bruciò risparmiando la rocca, e

tutta la massa di libri la portò via e la trasferì in Persia. Molto tempo dopo il re

Seleuco [...] fece riportare ad Atene tutti quanti quei libri23”.

20 È probabile che entrambi gli autori si siano basati su Strab. XIII. 21 Gell. Not. Att. VII 17 1. 22 In un passo successivo Aulo Gellio si domanda quanti siano stati, effettivamente, i libri trasportati in

Persia e quanti distrutti. Cfr. Gell. Not. Att. VII 17. 23 Gell. Not. Att. VII 17.

10

Ateneo di Naucrati, autore dei Deipnosophistai, “Il banchetto dei Sofisti”, non solo

conferma quanto detto da Aulo Gellio ma fornisce anche altri nomi di illustri greci

proprietari di biblioteche. Tra questi Policrate, tiranno di Samo e Nicocrate, tiranno di

Cipro; senza tralasciare illustri personaggi come Euripide o Aristotele che lasciò in

eredità la sua biblioteca alla famosa Accademia.

Leggiamo di seguito:

“[Larense] aveva acquistato, dice, una tale quantità di libri antichi greci da superare

tutti quelli che erano stati ammirati per le loro biblioteche: Policrate di Samo,

Pisistrato, Euclide, Nicocrate di Cipro, Euripide, Aristotele, Teofrasto e Neleo, che

conservò i libri di costoro”24.

Altri autori più tardi, come Tertulliano e Isidoro, hanno confermato quanto

testimoniato dai due autori precedenti. Tertulliano nel suo Apologeticum cita la

biblioteca di Pisistrato come modello da seguire:

cum studio, bibliothecarum Pisistratum, opinior, aemularetur25.

Isidoro, in un più ampio discorso relativo alle biblioteche del mondo greco ed

ellenistico, cita a sua volta la grandiosa biblioteca del tiranno e di come fu trafugata

dal Grande Re Serse dopo l’incendio di Atene:

apud Graecos bibliothecam primus instituisse Pisistratus creditur Atheniensium

tyrannus, quam deinceps ab Atheniensibus auctam Xerses incensis Athenis evexit in

Persas26.

24 Ath. IV 1; Strab. XIII. 25 Tert. Apol. 18. 26 Isid. Orig. VI 3.

11

L’età ellenistica.

Tra le più importanti biblioteche dell’età ellenistica, accanto alla più famosa biblioteca

di Alessandria d’ Egitto, figura la biblioteca di Pergamo, un’antica colonia greca

dell’Asia Minore. Il suo creatore fu Attalo, sovrano della polis vissuto nel II secolo

a.C. La fondazione di questa biblioteca, come del resto di quella di Alessandria,

testimonia lo spiccato gusto del mondo greco per l’erudizione e la ricerca scientifica.

Purtroppo, per quel che concerne la biblioteca di Pergamo, è oggi assai difficile

consultare fonti che la descrivano nella sua struttura o nella qualità dei testi che

conteneva, tuttavia le indagini archeologiche sembrano aver stabilito la collocazione

fisica della biblioteca, sita probabilmente a nord del palazzo reale, nei pressi del

tempio della dea Atena. La sua esistenza è comunque descritta da alcuni autori.

Nell’opera “Vite di Demetrio e Antonio” Plutarco narra uno degli episodi legati al

cruento scontro tra Cesare Ottaviano e Antonio, avvenuto dopo lo scioglimento del II

triumvirato nel 33 a.C.. Oltre ad aver ripudiato la moglie Ottavia, sorella di Ottaviano,

per la regina d’Egitto, Marco Antonio si era macchiato di un ulteriore onta.

Dice a tale proposito Plutarco:

“Calvisio, compagno di Cesare, mosse queste accuse contro Antonio, riguardanti

Cleopatra: egli le aveva graziosamente donato le biblioteche di Pergamo, ove si

trovavano duecentomila libri”27.

Vitruvio, nel De Architettura, nomina la dinastia di Attalo e l’istituzione stessa della

biblioteca di Pergamo e ci illumina su come la sua creazione sia stata da esempio per

Tolomeo al fine della costruzione della biblioteca di Alessandria:

reges Attalici cum magnis philologiae dulcedinibus inducti cum ae egregiam

bibliothecam Pergami ad communem delectationem istituissent, tunc item

Ptolemaeus, infinito zelo cupiditatis quae incitatus studio non minoribus industriis

ad eundem modum contenderat Alexandriae comparare 28.

27 Plut. Ant. LVIII 9. 28 Vitr. De Arch. VII praef. 4.

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Allo stesso modo Plinio, nella “Storia Naturale” fornisce un ulteriore dettaglio: non

solo, ci dice, la biblioteca di Pergamo è stata fondata prima di quella di Alessandria

ma, addirittura, sembra che Tolomeo, per inficiare il lavoro di produzione di opere,

abbia vietato l’esportazione del papiro nella polis, spingendo la città di Pergamo a

trovare altri supporti di scrittura. Secondo questa tradizione, si dice, venne inventata

la pergamena29.

“Poi, a causa della rivalità tra il re Tolomeo ed Eumene a proposito delle loro

biblioteche, Tolomeo impedì l’esportazione della carta”30.

Diversamente da Pergamo, le fonti sulla biblioteca di Alessandria d’Egitto sono più

numerose. Infatti, proprio a partire dalla fondazione della città per volere di

Alessandro il Grande nel 331 a.C. e nel successivo periodo del regno tolemaico fu

centro di diffusione della cultura. In una fase preliminare la biblioteca, il così detto

Museo, sorgeva dei pressi del palazzo reale, nel quartiere chiamato Broucheion. La

sua istituzione avvenne, con ogni probabilità, per volere di Tolomeo I Soter, diadoco

di Alessandro, intorno al 290 a.C.; fu poi ulteriormente ampliata da Tolomeo II

Filadelfo. Verso la fine del III secolo a.C., Tolomeo III Evergete ampliò ulteriormente

la biblioteca nel peristilio del Tempio del dio Serapide, nel quartiere di Rhakotis,

facendo così di Alessandria il più grande centro culturale del bacino del Mediterraneo.

Una delle caratteristiche peculiari della biblioteca di Alessandria fu, infatti,

l’eterogeneità dei testi conservati, che non si limitavano solo a quelli greci, ma si

spingevano ben oltre, raccogliendo testi egiziani, persiani o ebraici. Secondo quanto

riportato da Aulo Gellio (si veda oltre) arrivò a contenere quasi settecentomila rotoli.

Ecco di seguito alcune testimonianze letterarie della sua esistenza.

Plinio il Vecchio cita contemporaneamente la biblioteca di Alessandria e quella di

Pergamo, facendo riferimento a Eumene II, successore di Attalo I:

…aemulatione circa bibliothecas regum Ptolemaei et Eumenis31.

29 Plin. Nat. Hist. XIII 70, cfr. nota del testo. 30 Plin. Nat. Hist. XIII 70. 31 Plin. Nat. Hist. XIII 70.

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Tertulliano fornisce una importante delucidazione sulla tipologia dei testi che

potevano erano contenuti nella biblioteca tolemaica e, nella fattispecie, testi ebraici:

hodie apud Serapeum Ptolemaei bibliothecae cum ipsis hebraicis litteris exhibetur32.

Più dettagliata nelle fonti antiche è la distruzione di una parte del Museo, che avvenne

in concomitanza con l’arrivo di Cesare in Egitto, durante l’inseguimento di Pompeo

dopo la sconfitta di Farsalo (48 a.C.). Il primo a farne menzione è Plutarco nella “Vita

di Alessandro e Cesare”. Nel testo l’autore greco racconta come, in seguito all’unione

con Cleopatra, Cesare fu messo al corrente di una congiura ordita nei suoi confronti

dal generale egiziano Achilla e dall’eunuco Potino. Cesare fece assassinare l’eunuco

ma dovette ingaggiare battaglia con Achilla. Durante lo scontro venne data in fiamme

la flotta romana e l’incendio, propagandosi, raggiunge il Museo, distruggendo la

maggior parte delle opere:

“Ma dall’arsenale dove si trovavano le navi, l’incendio si propagò anche alla grande

biblioteca di Alessandria e la distrusse completamente”33.

Dione Cassio conferma quanto enunciato da Plutarco, asserendo che “furono bruciati,

tra gli altri edifici, il granaio e la biblioteca piena, come si dice, di preziosissimi

libri”34.

Diversi autori, relativamente all’incendio che interessò la biblioteca, furono anche in

grado di fornire notizie sul considerevole numero dei volumi in essa conservati. Tra

le principali fonti: Seneca, Aulo Gellio e alcuni autori cristiani come Ammiano

Marcellino e Orosio.

Seneca asserisce che “ad Alessandria bruciarono quarantamila volumi”35, mostrandosi

del tutto indifferente all’evento. Seneca, infatti, considerava biblioteche come quelle

32 Tert. Apol. 18. 33 Plut. Ces. 49. 34 Dion. Cass. Hist. Rom. XLII 38 2. 35 Sen. De tranq. IX 5.

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di Alessandria uno sfarzo culturale, non effettivamente atto allo studio ma

all’ostentazione. Aulo Gellio e Ammiano Marcellino circa settecentomila:

“In seguito un forte numero di libri fu acquistato o prodotto in Egitto: circa

settecentomila volumi”36;

in quo bybliothecae fuerunt inaestimabiles: et loquitur monumentorum veterum

coincinens fides, septigenta voluminum milia ptolemaeis regibus vigiliis intentis

composita37.

Un ultimo sguardo al mondo cristiano è la testimonianza di Orosio nella sua opera

“Storie contro i pagani”. L’autore tramanda dell’incendio di Alessandria e un diverso

numero di opere ivi contenute, che sarebbero state quattrocentomila:

ea flamma cum partem quoque urbis invasisset, quadrigenta milia librorum

proximis forte aedibus condita exussit38.

Roma: biblioteche private.

Una sorte differente ha avuto lo sviluppo delle biblioteche nel mondo romano. A

differenza del mondo greco ed ellenistico, a Roma non fu immediato lo status

pubblico delle biblioteche.

Come si è visto a proposito della biblioteca di Pisistrato, trafugata dal Grande Re

Serse, ci avvediamo che nel mondo antico non era raro questo tipo di approccio.

Alcune tra le prime biblioteche romane del I secolo a.C. furono infatti frutto di tale

pratica.

La prima di cui si ha memoria viene menzionata da Plutarco nella Vita di Emilio

Paolo. Lucio Emilio Paolo, console romano, fu soprannominato il Macedonico dopo

la sua gloriosa vittoria a Pidna nel 168 a.C., che concluse la III Guerra Macedonica e

36 Gell. Not. Att. VII 17 3. 37 Amm. Hist. XXII 16 13. 38 Oros. Hist. VI 15 32.

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stabilì il dominio di Roma sulla Grecia. Dice Plutarco che, in seguito a questa vittoria,

l’intero bottino fu destinato all’Erario della Res Publica, sebbene Emilio Paolo:

“Permise soltanto ai suoi figli, che amavano gli studi, di prelevare i libri del re”39.

“I libri del re” a cui allude Plutarco si riferiscono ovviamente alla biblioteca di Perseo

di Macedonia.

La seconda biblioteca che fu trafugata e portata a Roma fu quella di Apellicone di

Teo, noto antiquario greco. Ancora è la voce di Plutarco a raccontarci dell’accaduto:

dall’ 87 a.C. Silla stava tenendo sotto assedio la capitale dell’Attica contro le truppe

di Mitridate IV del Ponto e del tiranno di Atene Aristione. Nel marzo dell’ 86 a.C.

l’assedio cessò con la capitolazione di Atene, Silla ordinò che la città non fosse

incendiata ma permise ai suoi legionari di saccheggiarla.

Egli invece:

“[…] si appropriò della biblioteca di Apellicone di Teo, ove si trovavano quasi tutti i

libri di Aristotele e Teofrasto[…] e fu portata a Roma e in gran parte, si racconta,

riordinata da Tirannione”40.

Infine Lucio Licinio Lucullo gettò le basi per la sua inestimabile biblioteca in seguito

alla sconfitta di Mitridate VI del Ponto contro il quale condusse una vittoriosa

campagna. Nelle “Vite di Cimone e Lucullo”, ancora una volta è Plutarco a fornirci

una chiara testimonianza:

“Quello che egli [Lucullo] fece per l’allestimento di una biblioteca merita un

fervido elogio. Raccolse infatti molti libri e ben scritti, l’uso che poi ne fece fu

ancora più onorevole del loro acquisto. I libri della biblioteca erano aperti a tutti”41.

39 Plut. Aem. XXVIII 10. 40 Plut. Syll. XXVI 1. 41 Plut. Luc. XLII.

16

Plutarco non è il solo a citare la presenza di queste biblioteche, esiste anche la

testimonianza di Isidoro di Siviglia il quale, però, ci riferisce solamente di Emilio

Paolo e Lucullo:

Romam primus librorum copiam advexit Aemilius Paulus Perse Macedonum rege

devictio, deinde Lucullus e Pontica praeda42.

Numerose sono altresì le biblioteche private in possesso di innumerevoli altri cittadini,

dai nomi spesso famosi. Degne di nota sono le testimonianze contenute negli

“Epistolari” di Cicerone. L’avocato arpinate, infatti, cita non solo le biblioteche in suo

possesso ma anche quella di Pomponio Attico, suo amico. Proprio in una lettera ad

Attico, scritta a Roma intorno al febbraio del 67 a.C., Cicerone esorta l’amico perché

lo aiuti nell’allestimento della biblioteca della sua casa, una promessa a cui Attico non

adempì rapidamente:

“Abbi anche la bontà di pensare, come mi hai promesso, al modo di realizzare una

biblioteca per me”43.

In una lettera successiva, scritta ad Anzio nel 56 a.C., apprendiamo che, finalmente,

Attico ha mantenuto la sua promessa.

Scrive infatti Cicerone:

“I tuoi esperti mi hanno abbellito la biblioteca, creando scomparti ordinati e

aggiungendo etichette che recano i titoli”44.

In altre due epistole inviate da Cicerone ad Attico, l’avvocato ci fornisce dei dati

importati non solo sulla effettiva esistenza della biblioteca di Pomponio Attico che si

trovava in una sontuosa villa presso il Quirinale, ma anche dei testi in essa contenuti.

La prima delle due lettere risale al maggio del 67 a.C. e fu inviata dalla villa di

Cicerone di Tusculum. In maniera perentoria Marco si vuole assicurare che l’amico

non prometta a nessuno la sua biblioteca, nemmeno ad un appassionato offerente:

42 Isid. Orig. VI 5 1. 43 Cic. Ad Att. I 7. 44 Cic. Ad Att. IV 5.

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“Bada bene di non promettere a chicchessia la tua biblioteca, anche se ti capitasse un

amatore che paga a prezzo d’affezione”45.

Nella seconda lettera inviata nel maggio del 54 a.C., Cicerone si lamenta con l’amico

e lo esorta affinché comunichi ai suoi attendenti a Roma di permettergli la

consultazione delle biblioteca del Quirinale, Cicerone ha la necessita di consultare le

opere di Varrone:

“Usami la cortesia di scrivere a casa tua a Roma che mi sia dato libero accesso ai

tuoi libri […] dico a tutti i libri, ma specialmente agli scritti di Varrone”46.

Nelle “Epistole ai familiari”, è addirittura Varrone stesso il destinatario di una lettera,

scritta a Roma e risalente al giugno del 46 a.C.. Marco pianifica un incontro con

l’erudito reatino e lo rincuora, qualora Varrone non possa spostarsi, lo farà lui:

“Se tu non verrai da noi, corriamo noi da te. Se hai una biblioteca ben fornita, non ci

mancherà nulla”47.

Cicerone e Varrone furono entrambi vittime della lista di proscrizione compilata dal

II Triumvirato. A questo proposito Aulo Gellio ci parla del saccheggio della biblioteca

del reatino.

“Varrone stesso aveva dichiarato di aver scritto oltre quattrocento opere, un bel

numero dei quali, con la proscrizione subita e il saccheggio delle sue biblioteche,

non erano più accessibili”48.

Nelle “Epistole al fratello Quinto”, in conclusione, siamo in possesso di altre due

testimonianze delle biblioteche di Quinto e di Cicerone. La prima è contenuta in una

45 Cic. Ad Att. I 10. 46 Cic. Ad Att. IV 14. 47 Cic. Ad. Fam. XIII 77. 48 Gell. Nott. Att. III 10 17.

18

missiva risalente all’ottobre del 54 a.C., dove Marco esorta Quinto a potenziare la sua

biblioteca con ulteriori testi greci e latini:

“Riguardo al potenziamento della tua biblioteca, di opere greche, allo scambio di

libri di testi latini[…]”49.

L’ultima lettera, scritta da Cicerone a Publio Sulpicio, ci informa di come l’avvocato

intenda porre all’attenzione dell’imperator, come egli stesso lo definisce, l’accusa di

furto di alcuni dei suoi libri rivolta ad uno schiavo. Per Cicerone, la fuga di

quest’ultimo è chiara prova della sua colpevolezza:

“Il mio schiavo Dionisio, che si è occupato della mia biblioteca, un bene di

considerevole valore, avendo sottratto molti libri, e ritenendo che non sarebbe

riuscito a farla franca, è fuggito”50.

Marco Valerio Marziale, negli “Epigrammi”, elogia grandemente la villa di Giulio

Marziale che si trova sul Gianicolo. Al suo interno, una biblioteca si affaccia su Roma:

“o biblioteca della villa deliziosa, donde il lettore vede da vicino Roma”51.

Infine, doveroso è citare una lettera di Plinio il Giovane che scrive all’amico Gallo

per celebrare la sua villa sul Laurentino. Procede quindi con la descrizione di una teca

che funge da biblioteca:

“a quest’angolo è adiacente una stanza incurvata a semicerchi, che con tutte le sue

finestre segue l’orbita del sole. In una delle due pareti, un armadio a guisa di

biblioteca, in cui sono riposti i libri, che richiedono non una semplice lettura, ma una

frequente consultazione”52.

49 Cic. Ad Q. frat. III 4. 50 Cic. Ad Q. frat.. XIII 77. 51 Mart. Epig. VII 17. 52 Plin. Ep. II 17 8.

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Roma: biblioteche pubbliche e imperiali.

La prima biblioteca pubblica di cui si abbia attestazione nel mondo romano fu, in

realtà, un progetto che non vide mai la luce. Tra gli interventi urbanistici sognati da

Giulio Cesare vi era, per l’appunto, quello di una biblioteca pubblica. Il progetto fu

affidato Varrone e, a testimonianza di questo incarico, l’erudito reatino redasse i tre

libri del De Bibliothecis. La prima fonte che testimonia questo evento è Svetonio

nell’opera “Le vite dei Cesari”, il quale attesta che fu intento di Cesare “aprire al

pubblico biblioteche greche e latine. Le più ricche che gli fosse possibile, dopo aver

incaricato Marco Varrone di raccogliere e di catalogare libri”53. Tuttavia, come è stato

sottolineato in precedenza, il progetto non fu mai portato a termine a causa della

congiura ordita contro Cesare che condusse alla sua morte nel 44 a.C.

L’eredità del progetto di Cesare venne ben presto raccolta da Gaio Asinio Pollione,

grande oratore e letterato romano originario del Sannio, considerato il primo vero

fondatore della biblioteca pubblica a Roma. Seguace di Cesare e poi di Marco

Antonio, nel 39 a. C. allestì la sua biblioteca nell’atrio del tempio della Libertà. Nello

stesso anno aveva condotto una grande vittoria in Illiria e fu proprio con quel bottino

che compose la collezione. Ci informa in questo senso Plinio nella “Storia Naturale”:

“la statua di Marco Varrone fu posta nella prima biblioteca pubblica del mondo,

quella che fu aperta a Roma da Asinio Pollione”54.

A proposito della biblioteca di Asinio Pollione, grazie a Plinio il Vecchio e al Giovane,

apprendiamo come fosse comune esporre all’interno delle biblioteche statue e ritratti

di illustri personaggi. Secondo Plinio il Vecchio, questa pratica fu proprio introdotta

per la prima volta da Pollione55, mentre Plinio il Giovane in una missiva esorta Vibio

Severo perché questi invii due ritratti di Cornelio Nepote e Tito Cazio, suoi

concittadini, cosicché Erennio Severo possa affiggerli nella sua biblioteca:

53 Svet. Caes. XLIV 2. 54 Plin. Nat. Hist. VII 31 115. 55 Plin. Nat. Hist. XXXV 2 9 10.

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Herennius Severus […] magni aestimat in bybliotheca sua ponere imagines

municipum tuorum, Corneli Nepotis et Titi Cati56.

Successivamente si assiste ad un vero proliferare di biblioteche pubbliche in diversi

luoghi del territorio extra Romam: Tivoli, Como, Patrasso o Nicea sono solo alcune

tra le tante.

Aulo Gellio cita la biblioteca di Tivoli in due occasioni: nella prima, l’autore sta

spiegando il significato del termine facies interrogandosi sul perché questa parola

venga scritta in maniera diversa a seconda dell’autore. Gellio sostiene che la biblioteca

di Tivoli fosse annessa al tempio di Ercole e che proprio in tiburti bibliotheca57 aveva

trovato una ulteriore versione del termine, riportata da Quinto Claudio, storico romano

vissuto alla fine del II secolo a.C.

In una seconda occasione Aulo Gellio narra di essersi ritirato a Tivoli a causa della

calura che opprimeva Roma e qui di essere venuto a conoscenza di un uomo del quale

non specifica il nome, ma ne sottolinea la passione per Aristotele. Questi recava con

se un libro che, a detta di Aulo Gellio, era stato preso in prestito nella biblioteca della

cittadina che sorgeva, per l’appunto, presso il tempio di Ercole:

promit e bibliotheca tiburti, quaetunc in Herculis tempio satis commade instructa

libris erat, Aristotelis librum […]58.

A Patrasso, città della Grecia occidentale, Aulo Gellio sostiene di aver consultato un

libro di Livio Andronico, definito dall’autore veramente antico:

offendi enim in bibliotheca patrensi librum verae vetustatis Livii Andronici59,

mentre Plinio il Giovane, impegnato a redimere una questione giudiziaria a Nicea,

nell’Asia Minore, inviò una missiva all’imperatore Traiano, mettendolo a conoscenza

del fatto che nella biblioteca era presente una sua statua:

56 Plin. Epist. IV 28 1. I due autori erano originari di Hostilia, nella Gallia Cisalpina, oggi Ostiglia in

provincia di Mantova. 57 Gell. Not. Att. IX 14 3. 58 Gell. Not. Att. XIX 5 4. 59 Gell. Not. Att. XVIII 9 5.

21

Ipse in re praesenti fui et vidi tuam quoque statuam in bibliotheca positam60.

Plinio il Giovane ci fornisce anche un ragguaglio importante sulla pratica di donare

biblioteche alle città. A tale proposito ne donò proprio una a Como, sua città natale.

In una missiva inviata a Pompeo Saturnino, il Giovane lo esorta a rileggere con

attenzione il discorso che egli tenne il giorno dell’inaugurazione:

“ho dunque intenzione di invitarti a riesaminare il discorso che tenni d’innanzi ai

miei concittadini al momento della consegna ufficiale della biblioteca”61.

Con l’inizio del principato (27 a. C.), gli imperatori romani diedero grande impulso

alla fondazione di biblioteche.

Le due biblioteche fondate per volere di Augusto sono quella del tempio di Apollo

Palatino e quella del portico di Ottavia, dedicata a Marcello e allestita nel Campo

Marzio. Le fonti letterarie si riferiscono principalmente alla biblioteca del tempio di

Apollo, costruito in un luogo per nulla casuale. Infatti, secondo la tradizione, venne

fondato laddove il Palatino fu colpito da un fulmine. I fulmini, come altre

manifestazioni atmosferiche, erano considerati dei prodigia inviati dagli dèi stessi,

quindi, secondo l’interpretazione degli auguri, doveva trattarsi della volontà di

Apollo. Augusto promise la costruzione del tempio nel 36 a.C., ma fu solo inaugurato

il 9 ottobre del 28 a.C.; la biblioteca ad esso annessa era divisa, secondo la tradizione

romana, in testi latini e greci e fu anche utilizzata, insieme ad altri edifici, come sede

ufficiale per le riunioni del Senato. A questo proposito è fondamentale la

testimonianza di Svetonio, il quale sostiene che dopo la caduta del fulmine e la

costruzione del tempio, Augusto:

“vi aggiunse dei portici con una biblioteca latina e greca”62.

60 Plin. Epist. X 81 7. 61 Plin. Epist. I 8 2. 62 Svet. Aug. XXIX 3.

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Dione Cassio cita la biblioteca dell’Apollo Palatino, prima elencando le opere

urbanistiche sostenute dal princeps:

“inoltre, completò e consacrò il tempio di Apollo sul Palatino, con relativo recinto

sacro, ed inaugurò le biblioteche”63,

quindi facendo riferimento ad un terribile sisma che aveva colpito Roma sotto Tito, e

che aveva portato alla distruzione “degli edifici e delle biblioteche di Ottaviano”64.

Svetonio ci informa che queste opere distrutte dal fuoco furono poi ristrutturate da

Domiziano, nonostante il biografo sostenga che questo spirito fosse in antitesi con la

poca sensibilità del princeps nei confronti delle alle arti liberali:

“benché si fosse dato cura, senza badare a spese, di ricostruire le biblioteche distrutte

dal fuoco”65.

Marco Cornelio Frontone, precettore di Marco Aurelio e di Lucio Vero, in una missiva

inviata all’imperatore filosofo, asserisce di essere in possesso di alcune opere di

Catone, altrimenti reperibili “nella biblioteca di Apollo”66.

Aulo Gellio tramanda della biblioteca di Tiberio, allestita nella sua domus. Questa

biblioteca, ufficialmente privata poiché sita nella casa del princeps, era aperta a tutti

gli studiosi. Lo stesso Aulo Gellio, tentando di stilare una genealogia della gens

Porcia, sostiene che:

“Stavamo un giorno io, Sulpicio Apollinare e alcuni altri amici miei e suoi, nella

biblioteca del palazzo di Tiberio, e caso volle che ci fosse portato un libro di cui

figurava autore Marco Catone Nipote”67.

L’interesse per le arti liberali di Tiberio viene anche testimoniato da Svetonio, il quale

sostiene che l’imperatore fosse un grande amante della poesia e che ad essa:

63 Dion. Cass. Hist. LIII 3. 64 Dion. Cass. Hist. LVI 24. 65 Svet. Dom. 20. 66 Fron. Epist. IV 5. 67 Gell. Not. Att. XIII 1. Marco Catone Nipote non è altri che Catone l’Uticense.

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“diede un posto d’onore nelle biblioteche pubbliche”68.

Anche la gens Flavia contribuì alla costruzione di biblioteche o, come abbia visto,

alla ristrutturazione di precedenti. La biblioteca del Tempio della Pace è attribuita a

Vespasiano, la cui presenza è tramandata, anche in questo caso, da Aulo Gellio. In

prima istanza, la biblioteca viene citata a proposito di una raccolta di epistole di Sinnio

Capitone, grammatico latino vissuto al tempo di Augusto:

“Esistono di Sinnio Capitone molte lettere raccolte in un solo libro che si trovano,

mi pare, nel tempio della Pace”69.

Nel capitolo XVI, Gellio tenta di spiegare il significato del termine “assioma” e che

cosa intendono gli eruditi quando lo utilizzano. La fonte citata dall’autore è Varrone,

e la sua opera “De lingua latina” che, a detta di Gellio, in Pacis bibliotheca repertum

legimus70.

Uno dei più grandiosi progetti urbanistici mai realizzati nel mondo romano fu proprio

una biblioteca: la biblioteca Ulpia. Questo edificio, di cui oggi rimane come traccia

solo l’imponente Colonna Traiana, fu costruita per volontà dell’Imperatore Traiano e

inaugurata nel 113. La struttura, annessa al tempio del divo Traiano e su quattro piani,

era sostenuta da un porticato e circondava la colonna. In questo modo gli avventori

della biblioteca, man mano che salivano di piano in piano, potevano contemplare le

gesta di Traiano nella guerra vittoriosa che aveva condotto contro i Daci. Oggigiorno

non è possibile ammirare i resti della biblioteca, ma le indagini archeologiche hanno

confermato la presenza di due grandi sale, i cui testi contenuti, ci dicono le fonti,

probabilmente raggiungevano le ventimila unità.

Aulo Gellio asserisce di trovarsi presso la biblioteca del Tempio del divo Traiano per

cercare il significato della frase “quelli che hanno in pubblico appalto i fiumi da

retare” negli antichi editti dei pretori. Così riferisce:

68 Svet. Tib. LXXII . 69 Gell. Not. Att. V 21 9. Nella nota del testo consultato viene specificato che si tratta della biblioteca. 70 Gell. Not. Att. XVI 8 2.

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edicta veterum praetorum, sedentibus forte nobis in bibliotheca templi traiani71.

La biblioteca Ulpia fu, indubbiamente, la più longeva dalla storia di Roma antica. La

sue persistenza viene testimoniata da Fulvio Vopisco di Siracusa, uno dei presunti

autori della Historia Augusta. Questo testo raccoglie le biografie di alcuni degli

imperatori vissuti nella fase basso imperiale e, in particolar modo, è una importante

attestazione relativa a uno dei periodi più controversi della storia romana. Si tratta

dell’ “età dell’anarchia”, così definita dallo storico russo Michael Rostovtzeff

nell’opera “Storia economica e sociale dell’Impero Romano”, in cui si susseguirono

un grande numero di imperatori e usurpatori, fino alla salita al potere di Diocleziano

(285).

La prima fonte riguarda l’imperatore Aureliano, che fu uno dei più duraturi dell’età

dell’anarchia, pur avendo governato solo cinque anni dal 270 al 275.

Secondo quanto riportato da Vopisco, il cesare ordinò che venissero stilate delle

cronache sulla storia di Roma su teli di lino, i famosi libri lintei. Questi libri, si dice,

erano conservati nel tempio di Giunone Moneta e “nella biblioteca Ulpia”72.

Successivamente, Vopisco, riferendosi allo stesso interlocutore, gli comunica che,

qualora i libri lintei non fossero sufficienti alla sua ricerca, egli consigliava

“di leggere gli autori greci e latini…che la biblioteca Ulpia ti metterà a

disposizione”73.

Nel libro XXVII Vopisco narra delle gesta di Marco Claudio Tacito, successore di

Aureliano, che governò l’impero solamente un anno, dal 275 al 276, prima di essere

annientato dall’usurpatore Floriano. Tacito viene accusato di non aver presenziato

alla sua nomina imperiale in Senato, trovandosi a Baia. Vopisco sostiene che sia

possibile consultare gli archivi dei senatoconsulti a testimonianza della sua presenza.

I resoconti delle sedute del Senato, a detta di Vopisco, erano conservati anche nella

biblioteca Ulpia:

71 Gell. Not. Att. XI 7 1. 72 Vopis. Aurelian. XXVI 1 7. Riguardo ai libri lintei cfr. nota del testo. 73 Vopis. Aurelian. XXVI 1 10.

25

“vi è nella biblioteca Ulpia, nel sesto scaffale, un libro d’avorio per cui è trascritto

per esteso questo senatoconsulto”74.

Inoltre l’autore fornisce un ulteriore dettaglio a proposito di Tacito il quale,

sostenendo di avere una parentela con Publio Cornelio Tacito, noto storico del I

secolo:

“fece collocare in tutte le biblioteche opere di Cornelio Tacito, storico dell’età

imperiale, vantando una parentela con lui”75.

Successore di Tacito fu Marco Aurelio Probo il quale, a differenza del suo

predecessore, governò per ben sei anni, dal 276 al 282. Vopisco sostiene di aver letto

della vita di Probo, e degli altri cesari, su testi conservati nella biblioteca di Traiano

e, importante, è la citazione della biblioteca di Tiberio, ancora in auge dopo cinque

secoli:

“ti dirò che mi sono servito soprattutto dei libri della biblioteca Ulpia, ai miei tempi

trasferiti alle terme di Diocleziano, e anche di quelli del Palazzo di Tiberio”76.

In ultima analisi, interessante è una testimonianza relativa alle statue che furono

collocate nella biblioteca Ulpia. In questo caso si tratta di quella dell’imperatore

Numeriano, successore di Probo, che governò Roma dal 283 al 284. Vopisco ricorda

il cesare, non tanto per le sue qualità di governatore ma per quelle di oratore, che gli

valsero una statua nella biblioteca:

“si dice che il suo discorso riferito al Senato fosse così ricco di arte oratoria, da

fargli decretare una statua…essa avrebbe dovuto essere collocata nella biblioteca

Ulpia”77.

74 Vopis. Tac. XXVII 8 1. 75 Vopis. Tac. XXVII 10 3.

76 Vopis. Prob. XXVIII 2 1. Questa sembra essere l’unica attestazione sul trasferimento dei libri della

biblioteca Ulpia alle terme di Diocleziano. Cfr. nota nel testo. 77 Vopis. Car. XXX 11 3.

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L’imperatore Adriano, filoellenico, fu promotore della fondazione di una biblioteca

ad Atene e, a riprova di quanto detto, importante è la voce di Pausania:

“Adriano costruì altri monumenti ad Atene: il tempio di Era e di Zeus Panhellenios,

il santuario comune a tutti gli dèi. Ci sono ambienti adorni di un tetto dorato, e di

alabastro, e inoltre di statue e pitture: questi ambienti servono da biblioteca”78.

In ultima analisi, Orosio fornisce un ragguaglio importante su un secondo incendio

che colpì Roma all’epoca dell’imperatore Commodo e che avrebbe distrutto una

biblioteca. Secondo Orosio a causa degli eccessi del cesare, ultimo della dinastia degli

Antonini, Dio lo avrebbe punito scagliando un fulmine, dice, sul Campidoglio,

scatenando un terribile incendio:

“Il Campidoglio fu colpito da un fulmine. Ne derivò un incendio che ridusse in

cenere la famosa biblioteca”79.

La testimonianza di Orosio tuttavia non è chiara. Inoltre, in un passaggio precedente

della sua opera, sembra fare confusione già a proposito delle biblioteche di

Alessandria, invertendo la distruzione del Serapeo, avvenuta alla fine del IV secolo

con quella del Museo, avvenuta nel III secolo80. Alla luce di quanto asserito da Orosio,

e a seguito di una ricerca più approfondita, non è stato possibile riscontrare

testimonianze di una biblioteca costruita sul Campidoglio. Presso il colle, però,

sorgeva l’archivio della Res Publica, il così detto Tabularium. Postulo quindi che

Orosio potrebbe aver definito l’archivio di stato col termine di “biblioteca”.

©Ilary Sechi 2013

78 Paus. I 18 9. 79 Oros. Hist. VII 16 3. 80 Oros. Hist. VI 15 32, cfr. nota del testo.