77
inedita, 44 saggi

Baruffe e parodie. Equicola, Tebaldeo e un polimetro inedito, in Metafore di un pontificato. Giulio II (1503-1513), a cura di F. Cantatore et al., Roma, Roma nel Rinascimento, 2010,

Embed Size (px)

Citation preview

i n e d i t a , 4 4s a g g i

RR inedita, 44 saggi

Roma nel RinascimentoVia della Scrofa, 8000186 – Romatel. e fax 066832038e-mail: [email protected]

ISBN 88-85913-31-8

In sovracoperta:ceramica del 1508 conservata al Metropolitan Museum of Art, New Yorktratta dal volume P. THORNTON, Interni del Rinascimento italiano,Milano 1992, p. 107

Roma nel Rinascimento2010

roma nel rinascimentoFONDAZIONE“A. DE MARI”

CASSA DIRISPARMIODI SAVONA

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

METAFORE DI UN PONTIFICATOGIULIO II (1503-1513)

Roma, 2-4 dicembre 2008

a cura diF. CANTATORE - M. CHIABÒ - P. FARENGA - M. GARGANO

A. MORISI - A. MODIGLIANI - F. PIPERNO

Comitato Scientifico

Gianvito Resta, Presidente di Roma nel RinascimentoMyriam Chiabò, Vicepresidente di Roma nel RinascimentoAnna Modigliani, Segretario di Roma nel RinascimentoFlavia Cantatore, Università di Roma “Sapienza”Arnold Esch, Istituto Storico Germanico, RomaPaola Farenga, Università di Roma “Sapienza”Maurizio Gargano, Università Roma TreMassimo Miglio, Università della TusciaAnna Morisi, Università di Roma “Sapienza”Rosanna Pettinelli, Università di Roma “Sapienza”Franco Piperno, Università di Roma “Sapienza”Franco Tateo, Università di Bari

SOMMARIO

Premessa IX

MASSIMO MIGLIOCome introduzione. Marco Antonio Altieri tra curia e municipio 1

ANNA MORISIProfezie e progetti di riforma 15

MARIA GRAZIA BLASIOMachiavelli, Giulio II, il principato ecclesiastico 27

ISABELLA IANNUZZILe radici culturali di uno spagnolo alla corte papale: Bernardino de Carvajal 45

ROSANNA ALHAIQUE PETTINELLIRaffaele Maffei e i «Commentarii Urbani» 61

ROSSELLA BIANCHIPier Francesco Giustolo fra Pomponio Leto e Angelo Colocci 75

CONCETTA BIANCALa stampa a Roma: le edizioni di antiquaria 117

STEFANO BENEDETTI«E veramente … qui è l’arte de l’oratore»: l’eloquenza a Roma dopo Pomponio 135

ITALO PANTANILa poesia volgare a Roma negli anni di Giulio II 159

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINOBaruffe e parodie. Equicola, Tebaldeo e un polimetro inedito 181

FRANCESCO LUCIOLI«Oracula Christi» e «dictata sacro verba Helicone» nella poesia di Jacopo Sadoleto 251

RICHARD SHERRLa cappella papale di Giulio II 279

GREGORIO MOPPIGiulio II e la musica 295

SIRO FERRONEAlle soglie dello spettacolo rinascimentale 323

RAIMONDO GUARINOArcheologia e spettacolo a Roma nell’età di Giulio II 345

MATTHIAS WINNERL’Obelisco Vaticano nell’utopia architettonica di Giulio II 365

SIMONA RINALDI-CLAUDIO FALCUCCIRaffaello lettore di Plinio e la tecnica del chiaroscuro 387

LORENZO FINOCCHI GHERSISebastiano del Piombo nella villa di Agostino Chigi alla Lungara 403

ANNA CAVALLAROSacralità e tradizione nell’ultimo Antoniazzo (†1508) 421

MAURIZIO GARGANOAlessandro VI e Giulio II: architetture e città 445

FLAVIA CANTATOREA proposito del tempietto di San Pietro in Montorio 457

MICAELA ANTONUCCIGiulio II e l’area dei Banchi a Roma 483

ROSANNA NICOLÒSviluppi architettonici del Belvedere di Innocenzo VIII con Giulio II 501

SOMMARIOVI

SOMMARIO VII

RITA BERTUCCIEdifici religiosi a pianta centrale: studi, progetti e nuove fondazioni 523

PAOLA CARLA VERDEGiovanni Donadio il Morlando: architetture a Napoli e riflessi dalla Roma di Giulio II 549

CONFERENZE

GIACOMO FERRAÙMedievali e moderni nel De cardinalatu di Paolo Cortesi 573

VALERIA PIACENTINIIl commercio con l’Oriente. Quando i mercati e il commerciocontinuano ad essere al centro del potere e della politica 593

PAOLA PIACENTINIIl commercio con l’Oriente. Dalla parte di Roma 607

GENNARO SAVARESEGiulio II ed Egidio da Viterbo 631

INDICI:- delle abbreviazioni 657- delle fonti manoscritte 659- delle illustrazioni 663- dei nomi 669

CD: - Illustrazioni del volume

Durante i lavori del Convegno sono state presentate anche le relazioni:AMEDEO QUONDAM, Paolo Cortesi, “De Cardinalatu”; ANNA MARIA TE-STAVERDE, Il cerimoniale della conquista: Giulio II a Bologna nel “Diario”di Paride de’ Grassi (1506); ARNOLD NESSELRATH, Le Stanze di Raffaello;PIER NICOLA PAGLIARA, I Tribunali e via Giulia, che non è stato possibileacquisire agli Atti

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO

Baruffe e parodie. Equicola, Tebaldeo e un polimetro inedito*

1. Una baruffa letteraria alla corte di Roma (1512): due libelli de imitatione

Negli ultimi mesi del pontificato di Giulio II, tra il novembre e il di-cembre del 1512, Mario Equicola assurge a bersaglio polemico privilegia-to di due anonimi libelli satirici: l’Epistola eloquentissimi oratoris ac poe-tae clarissimi d. Marii Aequicolae in sex linguis; e il Dialogus in linguaMariopionea sive Piomariana Carmentali pulcherrimus. Il primo testochiama in causa anche il Pio, gli Asolani del Bembo e il Polifilo, mentre ilsecondo associa all’Equicola soltanto il Pio1.

L’Epistola, aperta da una dedicatoria al Pio dell’Ercole di Parione, cioèPasquino, propone due lettere fittizie dell’Equicola a Giovanni Muzzarelli,

* La presente ricerca ha potuto giovarsi della raffinata e generosa consulenzadi Massimo Scorsone, al quale sono debitore in particolare di risolutive indicazioniper l’edizione dei testi proposti in Appendice e della preziosa Nota metrica qui pub-blicata in chiusura per sua gentile concessione.

1 Su tali testi resta fondamentale C. DIONISOTTI, Gli umanisti e il volgare fraQuattro e Cinquecento [1968], II ed., a cura di V. FERA, con saggi del curatore e diG. ROMANO, Milano 2003, in part. il cap. V. Giovan Battista Pio e Mario Equicola,pp. 70-113. Per il coinvolgimento dell’Equicola mi permetto di rinviare a due mieiprecedenti contributi dei quali il presente costituisce uno sviluppo: La fixa tramon-tana dell’imitazione. Equicola, il classicismo volgare e l’Epistola in sex linguis, inPetrarca e Roma. Atti del Convegno di studi, Roma 2-4 dicembre 2004, a cura diM.G. BLASIO, A. MORISI e F. NIUTTA, Roma 2006 (RR inedita, 35), pp. 227-294; eLa maschera dell’Equicola, fra satira e parodia. Il Dialogus in lingua Mariopioneae le due redazioni del Pentecontametron, in Auctor/Actor. Lo scrittore personaggionella letteratura italiana, a cura di G. CORABI e B. GIZZI, Roma 2006, pp. 121-148.Per gli attacchi al Pio cfr. S. BENEDETTI, Itinerari di Cebete. Tradizione e ricezionedella Tabula in Italia dal XV al XVIII secolo, Roma 2001, pp. 141-155; ID., Per l’o-ratoria accademica di primo Cinquecento: la praelectio romana di Giovan BattistaPio (1512), in Per Mario Petrucciani, a cura di A. BARBUTO, Roma 2004, pp. 116-146; ID., La Cebetis Tabula e Giovan Battista Pio tra «vocabuli exquisiti» e curio-sitas erudita, in Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento. Atti del convegno in-ternazionale di studi, a cura di S. COLONNA, Roma 2004, pp. 183-207. Due glosseattribuite al Pio si leggono poi nell’esegesi parodica dell’Epulum del Siculo: cfr. ID.,Dalla Sicilia a Roma. Giulio Simone Siculo maestro, poeta e oratore, in «Studi Ro-mani», 55 (2007), 3-4, pp. 1-35: 29 (in corso di stampa).

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO182

l’una in latino e l’altra in volgare, entrambe inviate da Mantova, rispettiva-mente il 22 e il 21 novembre 1512. Il colophon assegna l’edizione a Bolo-gna, patria dell’apuleianesimo del Pio, ma è più probabile che la stampa el’elaborazione dell’opera siano romane. Assai vicina al reale periodo di ste-sura dovrebbe essere invece la data della finzione2. Anche per il Dialogussembrano probabili una genesi e una pubblicazione romane. Il colophon nonindica il luogo e si limita ad assegnarlo al 1512. Poiché nel testo viene ri-cordata l’Epistola, si può tuttavia dedurre che la stampa avvenne dopo il 21novembre e prima della fine dell’anno3.

Entrambe le satire si inseriscono nel dibattito sull’imitazione riaperto aRoma nell’autunno del 1512, quando il Bembo si impegnò sul versante dellatino e nello stesso tempo preparò l’affondo decisivo nel campo del volga-re. Con piena consapevolezza dell’unicità della partita, l’Epistola in sex lin-guis, fantasmagorica parodia di sei opzioni linguistico-stilistiche, tre ri-guardanti il latino (Lingua antiqua latina, Apuleiana sive del Pio, Marianalatina) e tre, all’incirca omologhe, riguardanti il volgare (Lingua Poliphy-lesca, Thoscana, Mariana vulgare), non risparmia gli Asolani, mimandonei tratti più arcaizzanti e affettati nella Thoscana. Occorre tuttavia distingue-re le ragioni dei due libelli, pur nell’eventualità che i mandanti siano glistessi, se non l’autore, perché il Dialogus si concentra sul latino e soprat-tutto non colpisce il Bembo, sebbene appaia irriducibile al monolinguismoda lui teorizzato. Diversa è del resto la strategia dell’attacco, focalizzato suuna raffinata parodia degli stili nell’Epistola e invece condotto con moda-lità più genericamente satiriche nel Dialogus, che mette in scena una con-versazione grottesca tra l’Equicola, il Pio e un anonimo Interprete, inne-scata dalla declamazione di un Pentecontametron equicoliano di argomen-to amoroso. Indubbio è comunque che i due opuscoli combattano una bat-taglia comune. Né sorprende che nel Dialogus il Pio giudichi l’Epistola co-me l’opera migliore dell’Equicola: «Caetera alia [opera] aliis meliosa et mi-riora sunt; illud mirissimum omnium est» (c. 6v).

2 L’Epistola è stata pubblicata in DIONISOTTI, Gli umanisti e il volgare cit., pp.102-106, sulla base dell’esemplare conservato presso la Biblioteca Apostolica Vati-cana (R. I. IV. 1734, 7). Un’altra copia della stampa è alla Cambridge University Li-brary (H*. 11. 1 (D), 18): cfr. S.D. KOLSKY, Further corrections and additions to thebibliography of Mario Equicola, in «Aevum», 62 (1988), pp. 310-315: 313 nota 16.

3 Del Dialogus si conosce un unico esemplare a stampa (Biblioteca Universi-taria di Barcellona, B. 10. 3. 50. 1680), segnalato in S. KOLSKY, Mario Equicola.The real courtier, Genève 1991, pp. 137-138 nota 90. Dalla stampa derivano le duecopie manoscritte descritte in R. SABBADINI, Una satira contro Battista Pio, in«Giornale storico della letteratura italiana», 27 (1896), pp. 185-186, e in ID., Bri-ciole umanistiche, ibid., 47 (1906), p. 39.

BARUFFE E PARODIE 183

L’offensiva dell’Epistola e del Dialogus contro il Pio non sorprende.Meno ovvio risulta invece il coinvolgimento dell’Equicola, sostenitore fer-vido dell’eclettismo ma immune dagli eccessi degli apuleiani, tanto che del-la Mariana latina e della Mariana vulgare risulta difficile cogliere in pienola sostanza polemica. Tuttavia è probabile che egli sia stato scelto anche peril ruolo politico giocato nella corte di Mantova, in qualità di precettore e diuomo di fiducia della marchesa Isabella d’Este Gonzaga. Non a caso queilibelli lo colpirono nell’intervallo fra due sue importanti missioni diploma-tiche a Roma, cui era legato fin dagli anni della formazione4. La prima av-venne nei mesi di giugno e luglio del 1512, per tentare una riconciliazionetra Alfonso d’Este e Giulio II; la seconda nei mesi di marzo e aprile del1513, per onorare il neoeletto Leone X. L’ambasceria del 1512 si svolse nelcorso di due soggiorni, uno limitato a pochi giorni, all’incirca dal 5 all’11giugno, e l’altro durato quasi un mese, con arrivo a Roma il 4 luglio e rien-tro a Mantova il 23; quella del 1513 fu anch’essa abbastanza lunga, pro-traendosi all’incirca dal 18 marzo al 20 aprile5.

In ogni caso, l’analisi della rilettura satirica del Pentecontametroncompiuta nel Dialogus deve innanzi tutto confrontarsi con l’inconsueta for-ma metrica del componimento. Memore di opere sperimentali quali il Decentum metris che va sotto il nome di Servio, l’Equicola propone infatti untesto formato da cinquanta metri differenti, in cui il prologo in esametri el’epilogo in distici elegiaci valgono ciascuno per un solo metro. I metri di-chiarati dal sostantivo pentecontametron (composto da pentäkonta, ‘cin-quanta’, e métron, ‘metro’) risultano dunque così distribuiti: vv. 1-7, esa-metro; vv. 8-55, quarantotto metri vari; vv. 56-63, distico elegiaco. Ma perfar tornare i conti occorre affidarsi ad altri tre testimoni del carme, rispettoai quali il Dialogus omette i vv. 23 e 37 (e anche l’aggettivo iniquum al v.24): il ms. Magliabechiano VII 630 della Biblioteca Nazionale Centrale di

4 L’Equicola trascorse nella città circa un decennio della sua vita, dal 1482-84al 1492-94 (ovvero dai 12-14 anni ai 22-24). Si trattò di un periodo decisivo per lasua crescita culturale, segnato dai contatti con l’Accademia Romana e dall’insegna-mento dello stesso Pomponio Leto: cfr. KOLSKY, Mario Equicola cit., pp. 25-40.

5 Nel corso della seconda missione, l’Equicola ebbe tra l’altro modo di testi-moniare, in una lettera alla marchesa Isabella del 21 marzo 1513, da Roma, la vio-lenta effervescenza di componimenti maledici innescata dalla morte di Giulio II:«Contra papa Iulio sono stati facti un milion di versi latini di gran maledicentia etaltretanti vulgari: di alcuni più belli ve portarò la copia» (ASMn, Archivio Gonza-ga, b. 861, f. 284r). Un ampio stralcio della missiva, notevole anche per gli accen-ni alla frequentazione di personaggi quali l’Ariosto, l’Unico Aretino, il Bibbiena, ilBembo e il Sadoleto, si legge in A. LUZIO, Isabella d’Este ne’ primordi del papatodi Leone X e il suo viaggio a Roma nel 1514-1515, in «Archivio storico lombardo»,ser. IV, 6 (1906), pp. 99-108 e 454-489: 457.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO184

Firenze, il ms. Laurenziano Ashburnhamiano 436 della Biblioteca MediceaLaurenziana di Firenze e il ms. IV 17 della Milich Collection della Biblio-teka Uniwersytecka di Wroclaw. Importante è soprattutto quest’ultimo, per-ché in esso il Pentecontametron è preceduto da una dedicatoria dell’Equi-cola che brevemente ne descrive e motiva la struttura metrica:

Ornatissimo d. Federico Gonzagae, principis Mantuae primogenito.Quam maximo labore consecuti sumus rem difficillimam verbis non mi-nore expressimus: quinquaginta enim metrorum genera compexi, ex Pal-lade septenario septies ducto, addito qui numerum implet versu, numinematris tuae herae, meae diae Isabellae Estensis, nobis iubileum compara-vimus (f. 36v)6.

Dedicatoria alla quale in modo trasparente allude una battuta del Dia-logus che di poco precede la recita del polimetro equicoliano:

M[ARIUS] Vidistin tu carmen Pentecontametron? In quo, Pallade septiesducto et uno insuper addito qui numerum lacunantem implet versu, mihiiubilaeum comparavi? Nonne illud alterum tantum ac etiam permagis pla-citat tibi? (c. a4r).

Lo strumento fondamentale della satira del Dialogus nei confronti delPentecontametron è l’enfasi di un commentatore inaffidabile. La recita daparte dell’Equicola del proprio carme viene infatti di tanto in tanto inter-rotta da espressioni di apprezzamento del Pio. A parte ciò, l’analisi delle va-rianti dimostra che nessun intervento manipolatorio di tipo parodico è ri-scontrabile nel testo del Pentecontametron proposto dal Dialogus. Tale ri-spetto “filologico” del testo nasce evidentemente dalla fiducia nelle sue po-tenzialità autoparodiche7.

6 Interpreto compexi come perfetto anomalo di compingo, da cum + pango. Nelms. tra versu e numine si legge minimae, cancellato con un tratto orizzontale.

7 Eppure l’Equicola dovette avere ai suoi tempi fama di buon poeta latino, sedobbiamo prestar fede agli apprezzamenti di personaggi quali il Bembo e lo Scalige-ro: cfr. D. SANTORO, Della vita e delle opere di Mario Equicola, Chieti 1906, p. 197;e S.C. VIAL, Mario Equicola in the opinion of his contemporaries, in «Italica», 34(1957), pp. 202-221: 211. Pochi i componimenti superstiti. Un gruppo di sei fu pub-blicato, con traduzione, in SANTORO, Della vita cit., pp. 197-207. Ad essi è da ag-giungere un carme in distici elegiaci, databile al giugno del 1497, compreso nel poe-ma Lo Balzino di Rogeri de Pacienza (6, 943-980), secondo quanto stabilito in M.MARTI, Un carme inedito di Mario Equicola per Isabella Del Balzo, in Letteraturecomparate. Problemi e metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, Bologna 1981, III,pp. 1319-1328: 1321 (cfr. ROGERI DE PACIENZA DI NARDÒ, Opere (cod. per. F27), a cu-

BARUFFE E PARODIE 185

Alla satira del Dialogus l’Equicola reagì, senza fare nomi, nel Nec spenec metu, un dialogo latino sul motto di Isabella d’Este pubblicato o ri-pubblicato nel novembre del 15138. L’opera si apre infatti con il Pente-contametron, presentato in una seconda redazione (non dichiarata come ta-le)9, e con una dedicatoria a Giuliano de’ Medici che svolge un articolatodiscorso sulla scrittura letteraria e sulle strategie per conseguire uno stilepersonale.

L’esordio richiama con asprezza i più urgenti motivi del contendere ecolloca il testo da difendere, dissimulandone gli aspetti sperimentali, all’in-

ra di M. MARTI, Lecce 1977, pp. 215-216). Quattro epitaffi sono poi nella raccolta ma-noscritta di Poesie diverse in morte di Aura, cagnolina della marchesa Isabella d’E-ste Gonzaga (ASMn, Serie Autografi, busta 10), datata al 30 agosto 1511 (cfr. A. LU-ZIO-R. RENIER, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga [1899-1903], a cura di S. ALBONICO, introduzione di G. AGOSTI, indici e apparati a cura di A.DELLA CASA, M. FINAZZI, S. SIGNORINI, R. VETRUGNO, Milano 2005, pp. 30-31; e Ca-ni di pietra. L’epicedio canino nella poesia del Rinascimento, a cura di C. SPILA, tra-duzioni di M.G. CRITELLI e C. SPILA, Roma 2002, in part. pp. XI e XXV nota 1, coned. di testi tratti dal ms. alle pp. 17 e 23-40): Hic parva catella, nomine Aura, f. 3r;Occidit Aura, canum reboet celum ulutatu, f. 3r-v (edito in Cani di pietra cit., pp. 39-40); Fletus Isabellae Lavagnolae in Auram, ff. 5r-6v, costituito da un prologo (inc. Li-querat Herculei flammantia terga leonis) e da una Nenia (inc. Me miseram, Aura mevita mihi carior ipsa), in cui l’autore affida la voce a Isabella Lavagnola, la damigel-la di Isabella d’Este da lui amata (cfr. LUZIO-RENIER, La coltura cit., p. 31); Ante diempaulo, has voces his auribus hausi, f. 10r-v. Si sa inoltre che l’Equicola scrisse un ser-mone e un epitaffio anche per la morte del gatto Martino (cfr. ibid., p. 30 nota 134).Infine soltanto la notizia resta del poema Alae Amoris: cfr. Memorie historiche delSannio, chiamato hoggi Principato Ultra, contado di Molisi, e parte di Terra di La-voro, Provincie del Regno di Napoli. Divise in cinque libri … Raccolte dal dottor Gio.Vincenzo Ciarlanti …, In Isernia, per Camillo Cavallo, 1644, pp. 468-469: 469.

8 Marii Equicoli Olivetani Nec spe nec metu. Dialogus ad Iulianum Medicem,[colophon:] Impressum Mantuae, per Francischum Bruschum, MDXIII, die XXVIINovembris (una ristampa anastatica è in L. PESCASIO, Rarità bibliografiche mantova-ne, Mantova 1973, pp. 105-134). Da una lettera di Isabella d’Este all’Equicola del 18maggio 1506 risulta che una redazione dell’opera le venne inviata prima di quella da-ta (cfr. KOLSKY, Mario Equicola cit., p. 93). L’esistenza di una prima edizione sembraconfermata dal fatto che il testo è ricordato nel Dialogus insieme ad altre opere equi-coliane a stampa: «Pellegi opus quod tu De opportunitate, quod Nec spe nec metu,quod De religione attitulas» (c. a6r). Il De religione fu pubblicato senza note tipogra-fiche non prima del 1498, probabilmente a Ferrara, per Lorenzo de’ Rossi; il De op-portunitate apparve invece a Napoli nel 1507, per Giovanni Antonio de Caneto.

9 Una trascrizione del Pentecontametron funzionale alla comprensione dellestrategie satiriche attivate nel Dialogus è stata da me proposta in appendice a La ma-schera dell’Equicola cit., pp. 141-148. In appendice al presente contributo pubblicoinvece la seconda redazione del testo, collocata in apertura del Nec spe nec metu.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO186

terno di una tradizione prestigiosa, di cui partecipano anche Virgilio, Pro-perzio e Terenzio:

Pentecontametron hoc in amicorum manus, Iuliane optime, me non invi-to pervenerat … Cum grammaticis bene actum erat omneque, cum his ne-gocium ex sententia compositum, ecce autem hominum quoddam genus,qui me parum accurate Equicolus contumaci syllaba, resipiscit parum la-tine, moriri antique nimis usurpasse asseverabant. Ego patronos in meamcausam duxi Vergilium, Propertium, Terentium: nimium, ut vera loquar,iracunde (c. A2r-v).

Rigettando le accuse che provengono da giudici insipienti e invidiosi,l’Equicola accenna anche a un altro attacco contro di lui, relativo a una suaepistola in volgare, divulgata con una falsa e malevola aggiunta:

Qui insolentissimo mendacio arrogantiae mihi notam inurere impudentertentarunt, dum in calce epistolae quae Materna Italica lingua de in curiaagentibus circumfertur me gloriantem falsa additione finxere (c. A3r).

Poi la riflessione si allarga a considerazioni di ordine generale. Inter-venendo all’interno del dibattito sull’imitazione, l’Equicola si schiera a fa-vore di un classicismo multipolare che assuma a modello i boni auctores,tutti fioriti nell’età compresa fra Terenzio e Ovidio, definita aurea, e nellostesso tempo si distingue senza incertezze dai cosiddetti apuleiani e soprat-tutto da fanatici cultori della latinità estrema.

Nella dedicatoria del Nec spe nec metu l’autore svolge dunque una dife-sa ad ampio raggio, che riguarda non soltanto l’attacco del Dialogus ma anchela falsificazione di una sua epistola. Per chiarire questo aspetto occorre riper-correre quella che Cian definì una «baruffa letteraria alla corte di Mantova»10.

2. Una baruffa letteraria alle corti di Mantova e Roma (1513): «sonetti» e«libelli famosi»

Il giorno d’Ognissanti del 1513 furono affissi sui muri di Mantovaalcuni sonetti in vituperio dell’Equicola e di Isabella Lavagnola, una da-

10 Cfr. V. CIAN, Una baruffa letteraria alla corte di Mantova (1513). L’Equicolae il Tebaldeo, in «Giornale storico della letteratura italiana», 8 (1886), pp. 387-398, conin appendice le due missive più importanti per la ricostruzione della vicenda: quelladella marchesa al fratello Ippolito del 4 novembre 1513, da Mantova, e quella a lei diElisabetta Gonzaga del 20 novembre 1513, da Urbino. Da qui le citazioni che seguo-no, con qualche ammodernamento grafico e interpuntivo.

BARUFFE E PARODIE 187

migella di corte da lui amata. Isabella d’Este fece svolgere delle indagi-ni e scoprì che i versi erano stati scritti dal Tebaldeo, allora a Bologna, eaffissi da un familiare di lei, il tesoriere Giulio Oldoino. Indignata dal-l’episodio e intenzionata a impedire la divulgazione di altri testi satirici,già il 4 novembre 1513 la marchesa scrisse al fratello Ippolito, a Roma,e lo pregò di informare il cardinale Luigi d’Aragona, il Bibbiena e Giu-liano de’ Medici. Poi inviò missive di analogo tenore a Lucrezia Borgiae a Elisabetta Gonzaga, duchessa d’Urbino. Anche Francesco Gonzagaintervenne con severità, comunicando l’accaduto sia al Bembo sia a Raf-faele Riario, al quale affidò inoltre una durissima lettera per lo stesso Te-baldeo.

La vicenda, nel manipolo di lettere da cui si ricostruisce, è collegata adun’altra verificatasi qualche tempo prima: una lettera dell’Equicola, furti-vamente sottrattagli, era stata pubblicata con una «gionta», che ne mettevain ridicolo la vanità di letterato, e con una «macharonea», che ingiuriava luie l’amata. Nell’interpolazione apocrifa gli si faceva affermare che il suo sti-le volgare era il migliore di tutti, secondo quanto comunicava la marchesaIsabella al fratello Ippolito:

Credo che V. S. R.ma et Ill.ma habbi inteso de quella lettera de MarioEquicolo mio preceptore, quale gli fu surrepta et poi stampata cum alcu-ne adicioni tendenti ad sua arrogantia grandissima, quali non erano in lasua minuta, et cum certi versi macharonei facti in suo vituperio e di Isa-bella mia creata e camerera; et mi persuado che essa et ogni gentil si-gnore et persona habbi damnata la imprudentia et malignità del invento-re. Dil che confesso havermi sentito non pocho dispiacere, non per ri-spetto di Mario, che di questo haverei lassata la cura a lui de iustificarsi,ma per vedere essere nominata con cossì pocho rispetto et reverentia unamia alleva, et più ch’io anchora cum la gionta fatta in la lettera sii statatacitamente taxata di imprudentia, fingendo ch’io confirmi il scriveresuo in lingua vulgare essere il megliore de tutti gli altri che componeno.Ma perché di tal calunnia mi pareva mal potersi ritrovare lo auctore, benche de molti et dil vero anchora si havesse suspicione, me ne passava ex-pectando che da sé col tempo et per via incognita si ritrovasse chi fusse,sapendo che ’l malfactore, gloriandosi in sé medesimo del mal occulto etimpunito, va tanto perseverando nel suo errore che finalmente devienemanifesto et punibile, sì come in questo caso è accaduto. Però che ’lgiorno de tutti li sancti furono affixi in più loci di questa cità alcuni so-netti in magior vituperio anchora di Mario e di Isabella che non è la ma-charonea, come la S. V. R.ma vederà per uno de li proprii che furono ri-trovati11.

11 Ibid., pp. 395-396.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO188

L’Equicola si difese pubblicando la lettera originale e corredandola diuna «iustificatione» in cui ricostruiva l’accaduto:

Per la iustificatione che ha facta Mario de la epistola sua viciata V. S.R.ma conoscerà la ignorantia et invidia dil Thebaldeo, perché dovea conaltro modo reprendere et castigare le compositioni de Mario: io testificoche la lettera sua stava a pontino, come lui l’ha facta di novo stampare, etche non era anchora mandata fori quando gli fu robbata. Per il sonetto co-noscerà la impudicitia et maligna natura sua a non havere rispetto a ma-culare l’honore de una giovinetta per odio ch’el porti ad uno che fa l’a-moroso più presto per suggetto di scrivere che per affecto, come so che V.S. et tutto il mondo iudica et vede, facendolo tanto pubblico con permis-sione dell’Ill.mo S.r mio consorte et mia12.

Secondo Cian l’epistola venne rubata «probabilmente nell’ottobre»13.A me sembra che occorra ipotizzare tra quel furto e l’episodio del primo no-vembre una distanza di almeno un paio di mesi, in considerazione sia deltempo necessario per allestire la pubblicazione dell’opuscolo infamante epoi della lettera originale con «iustificatione», sia della paziente attesa dielementi utili allo smascheramento dichiarata da Isabella nel resoconto alfratello («expectando che da sé col tempo et per via incognita si ritrovassechi fusse»). Né forse è da escludere che l’intera vicenda relativa alla lette-ra si svolgesse in un periodo abbastanza prossimo al soggiorno equicolianodel marzo-aprile 1513 a Roma, dove l’opuscolo con la falsa epistola fustampato, stando alla testimonianza di Elisabetta Gonzaga, che così scrivealla cognata in data 20 novembre 1513:

Non mi sono punto meravigliata del dispiacere che V. Ex. per sue lette-re mi mostra havere preso delli pubblicati versi a carico di Mario suoprecettore et d’Isabella sua creata, imperoché della macharonea stampa-ta in Roma ne pigliai tanto dispiacere che forsi più non ne ‹ha› preso V.Ex., sì per rispetto suo come di ammidoi loro, ché sempre l’uno e l’altradi nisun biasmo, anzi di molta lode, conobbi meritevoli … Là unde som-mamente mi è piaciuta la giustificatione di esso Mario, avenga appo menon fosse necessaria, da me stessa persuadendomi la sua lettera con quel-la gionta esser stata vitiata, ché ben tutto fori di sentimento sarebbe quel,per troppo letterato che fosse, che in sé stesso tanto si gloriasse. Né inquesta gionta so cognoscere essere taxata in alcuna cosa V. Ex., come el-la si dole di essere, perciò che ’l vanto datosi di essere il primo in linguavolgare non si vede che fosse in presentia di quella, come finge che re-citata fosse la disputa del buon cortesiano, ma vedessi quelle ultime pa-

12 Ibid., pp. 396-397.13 Ibid., p. 389.

BARUFFE E PARODIE 189

role essere in tutto dirizate al Marchese di Pescara, senza alcuna saputadi V. Ex.14

Dalle testimonianze disponibili risulta quindi che in un periodo ante-cedente al 4 novembre 1513 fu pubblicato a Roma almeno un altro libellocontro l’Equicola, formato da una sua lettera con una falsa aggiunta e dauna maccheronea. Di esso i marchesi di Mantova considerarono responsa-bile il Tebaldeo, per quanto Francesco Gonzaga in una lettera al Bembo,amico e protettore del Tebaldeo, riferisse con astuzia la voce che attribuivagli attacchi antiequicoliani proprio al Bembo:

Quelli proprii che erano in colpa, per fare più difficile la via di ritrovareil vero, havevano sparso voce in tutta questa corte et città che la S. V. erastata autore di questo, come persona ingiuriata da Mario (ché così dice-vano). La qual cosa mai ce haveressimo possuto lassare indure a credere,conoscendo la modestia et dolce natura di essa V. S., aliena da ogni vilevendetta15.

Sempre alla sola testimonianza del marchese si deve poi l’indicazioneche i libelli fossero più d’uno. In una lettera diretta allo stesso Tebaldeo, indata 5 novembre 1513, egli parla infatti di «libelli famosi» e di «sonetti»,specificando poi che si tratta di «libri et sonetti» in vituperio dell’Equicolae della Lavagnola:

Thebaldeo, intendessimo più giorni fanno che tra vuy et Mario Equicoloera nasciuta qualche contesa, et persuadendoni che la fosse per emulatio-ne de lettere ni pigliavimo piacere, parendoni che non si havessi ad aspec-tare di questa contentione virtuosa se non effetti laudabili, ma troviamoessersi tanto exacerbata dal canto vostro che non haveti havuto rispetto adprorumpere in ogni ville persecutione contra esso Mario, sino ad haverefatto stampare libelli famosi et attacare sonetti in diversi loci di questa no-stra città in vergogna et carico suo. Dil che quanto fossi per il rispetto deMario non ce saressimo molto commossi, sapendo che lui da sé era mol-to ben apto a rispondervi, ma visto che non vi seti vergognato nominarein essi libri et sonetti una creata et doncella di la Ill.ma Ma.ma nostra con-sorte, et maculare l’honestà di la giovine, non havemo possuto fare chenon entramo in quello sdegno contra vuy che si conviene ad una tanta of-fesa16.

14 Ibid., p. 397.15 Ibid., p. 392.16 Ibid., pp. 392-393.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO190

Fra i «libelli famosi» si è tentati di annoverare l’Epistola e il Dialogus,ma almeno la prima è da escludere con certezza, parodiando essa anche gliAsolani, aperti da una dedicatoria del Bembo a Lucrezia Borgia in cui eramenzionato con onore proprio il Tebaldeo, segretario della duchessa di Fer-rara dal 1504 al 1508 e suo fervido cantore17, oltre che letterato legato daprofonda amicizia con il Bembo stesso almeno dal 1505, sebbene le rela-zioni tra i due si intensificassero soprattutto nel corso del comune soggior-no romano, a partire dal 151318. Per giunta l’Epistola coinvolge anche Gio-vanni Muzzarelli, al quale il Tebaldeo indirizzò un accorato carme latino(Desere belligeri furiosos, Iane, tumultus), invitandolo a lasciare Ferrara,dove imperversava la guerra contro Venezia (che durò dal 1508 al 1512), ea rifugiarsi con lui in campagna19. Si può invece ritenere plausibile chel’aggressione del Tebaldeo, provocata da ragioni di rivalità personale e diinvidia cortigiana, si intrecciasse e in parte si confondesse con quella delledue satire de imitatione, sorretta da motivazioni culturali e letterarie, oltreche politiche.

Della lettera dell’Equicola prima pubblicata con una falsa aggiunta euna maccheronea e poi ripubblicata dall’autore con una sua giustificazio-ne è comunque possibile delineare una caratterizzazione sommaria addu-cendo tre testimonianze finora lette separatamente. Le prime due già sonostate citate: una è costituita dall’affermazione di Elisabetta Gonzaga che, adifferenza di quanto avveniva nella «disputa sul buon cortesiano», nellafalsa «gionta» l’autore si rivolgeva non a Isabella ma al Marchese di Pe-scara; l’altra dall’affermazione dell’Equicola, nella dedicatoria del Nec spenec metu, che una sua epistola volgare «de in curia agentibus» era statamanipolata tramite l’inserimento in calce di una falsa aggiunta. Da en-trambe si deduce che la lettera rubata e la «disputa del buon cortesiano»

17 Cfr. G. DILEMMI, «Giovin pianta in morbido terreno». Lucrezia Borgia nel-la Ferrara dei poeti, in Lucrezia Borgia. Storia e mito, a cura di M. BORDIN e P.TROVATO, Firenze 2006, pp. 23-42: 36-42.

18 L’amicizia tra i due letterati risale a prima del 20 giugno 1505, quando il Te-baldeo scrisse la lettera commendatizia con la quale il Bembo e Paolo Canale si pre-sentarono per la prima volta a Isabella d’Este. Cfr. V. CIAN, Pietro Bembo e Isabel-la d’Este Gonzaga. Note e documenti, in «Giornale storico della letteratura italia-na», 9 (1887), pp. 81-136: 100; e G. BERTONI, Pietro Bembo e Isabella d’Este Gon-zaga, ibid., 50 (1907), p. 260.

19 Il carme è stato pubblicato in F. CAVICCHI, Intorno al Tebaldeo, in «Giorna-le storico della letteratura italiana», suppl. 8 (1905), pp. 106-138: 135-138, sulla ba-se del cod. 52. II. 1 della Biblioteca Universitaria di Bologna, ff. 469r-470v; e poiin Poeti estensi del Rinascimento cit., pp. 36-38, sulla base del ms. Vat. lat. 3389della Biblioteca Apostolica Vaticana, ff. 30v-33r. Un’altra copia del testo è nel ms.Vat. lat. 2835 (ff. 31r-32v), un codice di cui si parlerà più avanti.

BARUFFE E PARODIE 191

coincidono20. Un terzo tassello è offerto dal brano del Libro de natura deamore in cui l’Equicola rinvia a un sua opera in cui disputava sulle qualitàdel «bon cortegiano»:

Altre volte scrissi un piccolo volume, il qual si expose al grido del vulgoet maledicentia de invidi, preponendo al paterno nido il publico. Ivi di-sputamo quali habiano ad essere le parti di colui il qual di bon cortigianopò meritare il nome. Noi in quel nostro libretto concludemo la modestia,la mansuetudine et ‹la› urbanità essere le prime virtù che ’l cortegiano or-nano21.

20 Si può ipotizzare che il termine «cortesiano» fosse nel titolo stesso dell’o-pera, trattandosi di una forma peculiare dell’usus scribendi dell’Equicola: R. DRU-SI, La lingua «cortigiana romana». Note su un aspetto della questione cinquecente-sca della lingua, Venezia 1995, pp. 76-77 nota 93.

21 Libro de natura de amore di Mario Equicola, secretario de l’illustrissimo s.Federico II Gonzaga, marchese di Mantua, 1525 (colophon: Stampato in Venetia,per Lorenzo Lorio da Portes, adì 23 zugno 1525, regnante il serenissimo duce An-drea Griti) [d’ora in poi: Libro], c. 166v. Sono stati modernamente editi soltanto duedei sei libri che compongono il trattato: La Natura d’amore. Primo libro, a cura diN. BONIFAZI, Urbino 1983; De natura d’amore. Libro quarto, a cura di E. MUSAC-CHIO e G. DEL CIUCO, Bologna 1989. Disponibile in ed. critica è invece La redazio-ne manoscritta del Libro de natura de amore, a cura di L. RICCI, Roma 1999 [d’orain poi: Libro ms.]. Il testo base della redazione ms., conservata nel codice N. III. 10della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, risale al primo decennio del Cin-quecento: agli anni 1505-1508, secondo l’ipotesi formulata in I. ROCCHI, Per unanuova cronologia e valutazione del Libro de natura de amore di Mario Equicola, in«Giornale storico della letteratura italiana», 153 (1976), pp. 566-585; ovvero aglianni 1506-1509, precisamente agli anni 1506-1508 per i libri I-IV e all’anno 1509per i libri V-VI e la dedicatoria, secondo la proposta di F. CIMAROSTI, Mario Equi-cola, De Natura de Amore: il sesto libro, Tesi di Laurea, Università degli Studi diVenezia, 1990-1991 (citata in P. TROVATO, Storia della lingua italiana. Il primo Cin-quecento, Bologna 1994, p. 101). Le revisioni del testo base furono almeno due: laprima durata dal gennaio all’ottobre del 1509; la seconda compresa entro la fine del1511 (cfr. ROCCHI, Per una nuova cronologia cit., p. 569). Il riconoscimento del-l’autografia del Libro ms. e il conseguente smascheramento della finzione secondola quale, stando alla dedicatoria, esso sarebbe il frutto di una traduzione dell’operadal latino al volgare compiuta da Francesco Prudenzio, nipote dell’Equicola, si de-vono a G. CASTAGNO, L’autografo del Libro de natura de amore di Mario Equicola,in Arte, pensiero e cultura a Mantova nel primo Rinascimento in rapporto con laToscana e con il Veneto. Atti del VI Convegno Internazionale di Studi sul Rinasci-mento, Firenze-Venezia-Mantova 27 settembre-1° ottobre 1961, Firenze 1965, pp.133-143. Sull’opera cfr. A. VILLA, Istruire e rappresentare Isabella d’Este. Il Librode natura de amore di Mario Equicola, Lucca 2006.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO192

La dedicatoria del Nec spe nec metu difende pertanto sia il Pentecon-tametron dalla satira del Dialogus, sia la «disputa del buon cortesiano» dal-la falsificazione consegnata a un libello malevolo pubblicato a Roma primadel novembre 1513. Ne emergono due linee distinte di aggressione all’E-quicola, che a un certo punto si alimentano l’una degli argomenti dell’altra:la maschera dell’innamorato è anche nel Dialogus, oltre che nei sonetti af-fissi sui muri di Mantova e nella «macharonea»; la vanagloria del letteratoè anche nella «gionta», oltre che nel Dialogus e prima ancora nell’Episto-la. Che gli argomenti siano in parte gli stessi e che a vicenda si rafforzinonon autorizza tuttavia ad accomunare le satire dell’Epistola e del Dialoguscon i libelli antiequicoliani del Tebaldeo, per quanto sia probabile che que-sti abbia agito con l’aiuto di qualche umanista di stanza a Roma o che vi-ceversa altri si sia avvalso a Roma del suo aiuto.

Tra il novembre del 1512 e il novembre del 1513 furono dunque sfer-rate all’indirizzo dell’Equicola due batterie di attacchi satirici, diverse perle motivazioni di fondo e tuttavia concomitanti negli effetti perseguiti, didenigrazione di un letterato molto influente alla corte di Mantova, e in ge-nerale rappresentativo della cultura e degli interessi cortigiani. Il primogruppo si inserì nella disputa de imitatione riaccesasi a Roma nell’autunnodel 1512; il secondo si alimentò dell’astio del Tebaldeo ed ebbe come sce-nario, in un periodo compreso con ogni probabilità tra il marzo e il novem-bre del 1513, le città di Roma e di Mantova.

3. Altre scintille: quattro epigrammi e un’invettiva

I sonetti affissi sui muri di Mantova il giorno d’Ognissanti del 1513 so-no andati perduti. Ma è possibile farsi un’idea del loro tenore da quattroepigrammi antiequicoliani trasmessi dal ms. Vat. lat. 2835 della BibliotecaApostolica Vaticana, che testimonia il progetto del Colocci e del Bembo perun’edizione complessiva dei carmina tebaldeani22. L’attribuzione degli epi-

22 Sull’allestimento di un volume che raccogliesse la produzione latina del Tebal-deo cfr. N. CANNATA SALAMONE, Per l’edizione del Tebaldeo latino. Il progetto Coloc-ci-Bembo, in «Studi e problemi di critica testuale», 47 (1993), pp. 49-76; e N. CANNA-TA, Il canzoniere a stampa (1470-1530). Tradizione e fortuna di un genere fra storiadel libro e letteratura, Roma 1996, pp. 125-142 (§ I. 5. Fra latino e volgare: i canzo-nieri di Antonio Tebaldeo dai manoscritti alla stampa). Per una bibliografia sul Vat. lat.2835 rinvio al § 1 dell’Appendice. I testimoni manoscritti più importanti dei carminatebaldeani sono i seguenti: Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea, I 395; ibid., I 434;Modena, Biblioteca Estense Universitaria, a. O. 8. 18 (Est. ital. 846); ibid., a. T. 9. 17(Est. lat. 680); ibid., a. T. 9. 18 (Est. lat. 681); ibid., a. T. 6. 8 (Est. lat. 150); Città delVaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2835, 3352, 3353, 3389; ibid., Ottob.

BARUFFE E PARODIE 193

grammi al Tebaldeo è certo da avanzare con prudenza, o comunque sarà davalutare anche l’ipotesi che non tutti e quattro siano a lui ascrivibili, perchéessi si leggono in fascicoli del codice che comprendono testi anche di altriautori, e sono per giunta collocati in fogli distanti tra loro; ma è pur veroche il primo nome che viene in mente è senz’altro quello del Tebaldeo, la

lat. 2860. Per altre attestazioni cfr. P.O. KRISTELLER, Iter Italicum, London-Leiden1963-1997, ad indicem. In assenza di un’edizione complessiva, si può ricorrere alla sil-loge proposta in Poeti estensi del Rinascimento. Con due appendici, introduzioni e te-sti a cura di S. PASQUAZI, Firenze 19662, pp. 3-86. Carmi del Tebaldeo sono poi in LU-DOVICO SANDEO, [Sonetti], [Bologna, Ugo Ruggeri, 1485] (colophon: Finis vulgariumEpigrammatum seu iuxta vulgus Sonettorum Ludovici Sandei Ferrariensis), ff. 23v-24v (cfr. A. PEONIA, Prime indagini su Ludovico Sandeo, letterato ferrarese del seco-lo quindicesimo, in «Quaderni di critica e filologia italiana», 2 (2005), pp. 23-53: 49-52); [PAULI IOVII] Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita. Quae in MusaeoIoviano Comi spectantur. Addita in calce operis Adriani Pont. vita, [colophon:] Vene-tiis, apud Michaelem Tramezinum, 1546, ff. 19v-20r, 21v, 26r, 33v, 43v (ora in PAOLOGIOVIO, Elogi degli uomini illustri, a cura di F. MINONZIO, trad. di A. GUASPARRI e F.MINONZIO, prefazione di M. MARI, nota alle illustrazioni di L. BIANCO, Torino 2006, ri-spettivamente alle pp. 88, 96, 120, 153, 201); Pauli Iovii Novocomensis, episcopi Nu-cerini, Elogia virorum bellica virtute illustrium veris imaginibus supposita, quae apudMusaeum spectantur. Volumen digestum est in septem libros, Florentiae, In officinaLaurentii Torrentini ducalis typographi, 1551, p. 159; Carmina poetarum nobilium Io.Pauli Ubaldini studio conquisita, Mediolani, apud Antonium Antonianum, 1563 (co-lophon: Mediolani, apud Valerium ac fratres Metios, 1563), ff. 25v-29r; Carmina illu-strium poetarum Italorum. Io. Matthaeus Toscanus conquisivit, recensuit, bonam par-tem nunc primum publicavit …, Lutetiae, apud Aegidium Gorbinum, e regione Colle-gii Cameracensis, 1576, I, ff. 225r-230r; Delitiae CC Italorum poetarum, huius supe-riorisque aevi illustrium, collectore Ranutio Ghero, [Francoforte], prostant in officinaIonae Rosae, 1608, II, pp. 1147-1152; Amphitheatrum sapientiae Socraticae joco-se-riae … Opus ... in duos tomos partim ex libris editis, partim manuscriptis congestumtributumque, a Caspare Dornavio philos. et medico, Hanoviae, typis Wechelianis, im-pensis Danielis ac Davidis Aubriorum et Clementis Schleichii, 1619, I, p. 529; Epi-taphia ioco-seria, latina gallica italica hispanica lusitana belgica, Franciscus Suver-tius Antuerp. posteritati et urbanitati collegit, Coloniae, apud Bernardum Gualtheri,1623, pp. 225-226; Carmina illustrium poetarum Italorum, Florentiae, Typis RegiaeCelsitudinis, apud Joannem Cajetanum Tartinium et Sanctem Franchium, 1722, IX, pp.239-245; Museum Mazzuchellianum, seu numismata virorum doctrina praestantium,quae apud Jo. Mariam Comitem Mazzuchellum Brixiae servantur a Petro Antonio deComitibus Gaetanis … edita atque illustrata. Accedit versio italica studio equitis Co-simi Mei elaborata, Venetiis, Typis Antonii Zatta, 1761, I, pp. 183-186; GIOVANNI AN-DREA BAROTTI-LORENZO BAROTTI-GIROLAMO BARUFFALDI, Memorie istoriche di lette-rati ferraresi, Bologna 1970 (rist. anast.: I-II, in Ferrara, per gli eredi di Giuseppe Ri-naldi, 1792-1793; III, Ferrara, presso i soci Bianchi e Negri, 1811), I, p. 62, e II, pp. 24-25; G. ROSSI, Il codice estense X.*.34, in «Giornale storico della letteratura italiana»,30 (1897), pp. 1-62: 34.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO194

cui vena satirica fu del resto prolifica e duratura, tanto che il Bembo, nellastessa lettera a Girolamo Negri del 4 gennaio 1538 in cui piangeva la mor-te dell’amico, anche si dichiarava sollevato dall’apprendere che questiavesse ordinato o di bruciare i propri «scritti maledici» o di mutare in essii nomi degli avversari, e insieme approvava la decisione dell’interlocutoree del Colocci di «rivedere i detti suoi scritti»23.

Il Vat. lat. 2835, per il quale faccio riferimento alla numerazione mo-derna, è sostanzialmente suddivisibile in due parti: ff. 1-160, in cui con-fluiscono testi del Tebaldeo provenienti da carte autografe conservate nelms. a. T. 9. 18 (Est. lat. 681) della Biblioteca Estense Universitaria di Mo-dena e nel ms. Vat. lat. 3389 della Biblioteca Apostolica Vaticana24; e ff.

23 Cfr. la lettera a Girolamo Negri del 4 gennaio 1538, da Padova, in PIETROBEMBO, Lettere, ed. critica a cura di E. TRAVI, IV. 1537-1546, Bologna 1993, lett.1909, pp. 95-96: 95. In generale, sul Tebaldeo poeta cfr. innanzi tutto ANTONIO TE-BALDEO, Rime, a cura di T. BASILE e J.-J. MARCHAND, Modena-Ferrara 1989-1992(I. Introduzione, 1989, a cura di BASILE e MARCHAND; II. Rime della vulgata, 1992,a cura di BASILE, t. 1. Testi, t. 2. Commento; III. Rime estravaganti, 1992, a cura diMARCHAND, t. 1. Ultima silloge per Isabella d’Este, t. 2. Altre rime estravaganti.Stanze. Abbozzi autografi. Rime dubbie). Cfr. anche gli interventi su tale edizione diM. CASTOLDI, Tebaldeana. Postilla a un’edizione delle rime di A. Tebaldeo, in «Stu-di e problemi di critica testuale», 48 (1994), pp. 27-55; M. DANZI, Sulla poesia diAntonio Tebaldeo. Con un’appendice metrica e lessicale, in «Giornale storico dellaletteratura italiana», 171 (1994), pp. 258-282; N. CANNATA SALAMONE, Per una sto-ria delle rime del Tebaldeo. Alcune recenti indagini critiche, in «RR roma nel rina-scimento», 1995, pp. 79-100; T. BASILE e J.-J. MARCHAND, Postille ad un recente in-tervento sull’edizione di Tebaldeo, ibid., 1996, pp. 60-79. Cfr. poi CAVICCHI, Intor-no al Tebaldeo cit.; ID., Poesie storico-politiche del Tebaldeo, in «Atti e memoriedella Deputazione ferrarese di storia patria», 18 (1908), pp. 3-74; T. BASILE, Anto-nio Tebaldeo nel giudizio dei contemporanei, in Umanità e storia. Scritti in onoredi Adelchi Attisani, Messina 1971, II, pp. 187-220; M. CASTOLDI, Appunti sul se-condo Tebaldeo: 1520-1521, in «ACME. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofiadell’Università di Milano», 41, 2 (1988), pp. 41-61; ID., Nello scrittoio del Tebal-deo: tra resistenze cortigiane e classicismo bembiano. Tre sonetti inediti: note e va-rianti, in «Italianistica», 20, 1 (1991), pp. 55-66; N. CANNATA SALAMONE, Nuovi ele-menti per una biografia di Antonio Tebaldeo, in «The Italianist», 13 (1993), pp. 47-56; C. DIONISOTTI, Appunti sul Tebaldeo, in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratu-ra e filologia italiana, a cura di S. ALBONICO, A. COMBONI, G. PANIZZA, C. VELA,Milano 1996, pp. 175-183; J.-J. MARCHAND, Le disperate di Antonio Tebaldeo dal-l’elegia al racconto dell’io, in Dal primato allo scacco. I modelli narrativi italianitra Trecento e Seicento, a cura di G.M. ANSELMI, con un saggio introduttivo di F.RICO, Roma 1998, pp. 125-137; e P. VECCHI GALLI, Fra Ariosto e Tebaldeo. A pro-posito del capitolo XXVI, in Fra satire e rime ariostesche, Gargnano del Garda (14-16 ottobre 1999), a cura di C. BERRA, Milano 2000, pp. 354-378.

24 Il ms. a. T. 9. 18 è quasi per intero autografo, mentre il ms. Vat. lat. 3389 è

BARUFFE E PARODIE 195

161-281, che contengono per lo più componimenti del Tebaldeo e di altritrascritti anche nelle raccolte di epigrammi allestite dal Colocci nei mss.Vat. lat. 3352, Vat. lat. 3353 e Ottob. lat. 2860 della Biblioteca ApostolicaVaticana25. Gli epigrammi antiequicoliani si leggono ai ff. 165v, 217v, 227v

totalmente autografo e conserva l’ordinamento autoriale dei testi: cfr. CANNATA SA-LAMONE, Per l’edizione del Tebaldeo latino cit., pp. 49-63. Gli indici dei carminatebaldeani contenuti in questi due mss. e nel ms. I 395 della Biblioteca ComunaleAriostea di Ferrara sono in Poeti estensi del Rinascimento cit., pp. 5-16. Per il co-dice a. T. 9. 18 cfr. anche CAVICCHI, Intorno al Tebaldeo cit., pp. 115-133.

25 Sui manoscritti approntati dal Colocci e più in generale sulla sua attività fi-lologica e critica cfr. Poesie italiane e latine di monsignor Angelo Colocci con piùnotizie intorno alla persona di lui, e sua famiglia, raccolte dall’abate GIANFRANCE-SCO LANCELLOTTI …, Jesi, Presso Pietropaolo Bonelli, Stampatore Pubblico Vesco-vile e del Sant’Uffizio, 1772; P. DE NOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini. Con-tribution à l’histoire des collections d’Italie et à l’étude de la Renaissance, Paris1887, pp. 79-80, 133-135, 249-258; G. BERTONI, Per le relazioni del Colocci col Te-baldeo, in «Giornale storico della letteratura italiana», 47 (1906), pp. 451-453; S.LATTÈS, Recherches sur la bibliothèque d’Angelo Colocci, in «Mélanges d’archéo-logie et d’histoire, publiés par l’École Française de Rome», 48 (1931), pp. 308-344;FRANCESCO UBALDINI, Vita di mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originaleitaliano (Barb. lat. 4882), a cura di V. FANELLI, Città del Vaticano 1969; Atti del con-vegno di studi su Angelo Colocci (Jesi, 13-14 settembre 1969), Jesi 1972; R. AVE-SANI, Due codici appartenuti ad Angelo Colocci, in «Annali della Facoltà di Lette-re e Filosofia dell’Università di Macerata», 7 (1974), pp. 383-384; V. FANELLI, Ri-cerche su Angelo Colocci e la Roma cinquecentesca, Introduzione e note addizio-nali di J. RUYSSCHAERT, Città del Vaticano 1979; R. BIANCHI, Per la biblioteca diAngelo Colocci, in «Rinascimento», 30 (1990), pp. 271-282; C. BOLOGNA, Sull’uti-lità di alcuni descripti umanistici di lirica volgare antica, in La filologia romanza ei codici. Atti del Convegno Messina 19-22 dicembre 1991, a cura di S. GUIDA e F.LATELLA, Messina 1993, II, pp. 531-587; CANNATA SALAMONE, Per l’edizione delTebaldeo latino cit.; S. DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecentoe Tre secoli di studi provenzali, ed. riveduta, con integrazioni inedite, a cura e conpostfazione di C. SEGRE, Padova 1995; CANNATA, Il canzoniere a stampa cit., pp.125-142; C. BOLOGNA, Colocci e l’Arte (di «misurare» e «pesare» le parole, le co-se), in L’umana compagnia. Studi in onore di Gennaro Savarese, a cura di R. ALHAI-QUE PETTINELLI, con la collaborazione di F. CALITTI e di C. CASSIANI, Roma 1999,pp. 369-407; ID., La copia colocciana del Canzoniere Vaticano (Vat. lat. 4823), in ICanzonieri della lirica italiana delle origini, a cura di L. LEONARDI, Firenze 2000,IV. Studi critici, pp. 105-152; Angelo Colocci e gli studi romanzi, a cura di C. BO-LOGNA e M. BERNARDI, Città del Vaticano 2008 (in part. i contributi di C. BOLOGNA,La biblioteca di Angelo Colocci, pp. 1-20; M. BERNARDI, Per la ricostruzione dellabiblioteca colocciana: lo stato dei lavori, pp. 21-83; ID., Intorno allo zibaldone co-locciano Vat. lat. 4831, pp. 123-167; N. CANNATA, Il primo trattato cinquecentescodi storia poetica e linguistica: le Annotationi sul vulgare ydioma di Angelo Coloc-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO196

e 246r. Li ha individuati e trascritti Kolsky26. In Appendice ne propongoun’edizione che per due di essi tiene conto anche dell’attestazione nei mss.Vat. lat. 3352 e Vat. lat. 3353. La loro datazione risulta abbastanza diffici-le. Si può tuttavia ritenere plausibile, se non probabile, che appartengano amomenti distanti fra loro. Anche in questo caso a essere attaccato è sia loscrittore, rappresentato con la maschera ora dell’innamorato ora del pedan-te, sia il funzionario di corte.

L’epigramma forse più vicino per tenore e tema ai sonetti affissi suimuri di Mantova è il quarto, che mette in scena un Equicola lussurioso chenon si limita a scrivere di amore, ma anche ne vive occultamente tutta laforza, bruciato dal fuoco dei sensi:

Cum magni vires Marius scripsisset amoris,2 occultumque domi continuisset opus,

indignans, miseri succendit pectora, cumque4 insuper occuleret tecta, cremavit Amor.

A sua volta l’Equicola scagliò contro il Tebaldeo una violenta invetti-va in senari giambici. Conservata nel cod. 400 (254) della Biblioteca Uni-versitaria di Bologna, ai ff. 27v-28v, fu pubblicata da Cavicchi, e venne poiriedita, con traduzione da Santoro27. La ripropongo in Appendice.

Con ogni probabilità il carme risale agli anni 1518-1521, in quanto in-nescato da certi versi del Tebaldeo in lode della villa che il cardinale Giu-lio de’ Medici aveva cominciato a costruire vicino al Tevere, da identifi-care senz’altro con Villa Medici, oggi Villa Madama, fatta erigere a parti-re dal 1518 e con ogni probabilità abitata già entro il 1520-1521, per quan-to la sistemazione e la decorazione del complesso durassero ancora per al-cuni anni28.

ci (ms. Vat. lat. 4831), pp. 169-197 [intervento anticipato, con il titolo Alle originidella trattatistica sul volgare nel primo Cinquecento: le Annotationi sul vulgareydioma di Angelo Colocci (ms. Vat. lat. 4831), in «The Italianist», 26 (2006), pp.197-222]; C. PULSONI, Il De Vulgari Eloquentia tra Colocci e Bembo, pp. 449-471);Lo Zibaldone colocciano Vat. lat. 4831. Edizione e commento, a cura di M. BER-NARDI, Città del Vaticano 2008; N. CANNATA, Trascrizione, edizione e commento ditesti di lingua cinquecenteschi. Alcune questioni editoriali, in Scrivere il volgare fraMedioevo e Rinascimento. Atti del Convegno di studi, Siena, 14-15 maggio 2008, acura di N. CANNATA e M.A. GRIGNANI, Pisa 2009, pp. 43-54.

26 KOLSKY, Mario Equicola cit., p. 238 nota 27.27 Cfr. F. CAVICCHI, Una vendetta dell’Equicola, in «Giornale storico della

letteratura italiana», 37 (1901), pp. 94-98: 95-96; SANTORO, Della vita cit., pp.205-207.

28 La costruzione di Villa Madama fu lunga e complessa: cfr. R. LEFEVRE, Vil-la Madama, Roma 1973; CH.L. FROMMEL, Villa Madama, in Raffaello architetto, a

BARUFFE E PARODIE 197

Non sono riuscito a individuare il componimento tebaldeano censura-to dall’Equicola (al quale non di rado gli studiosi hanno rinviato senza in-dicare la fonte della notizia, lasciando presumere al lettore che esso fossenoto alla comunità scientifica29), ma con ogni probabilità doveva essere inqualche modo simile ai poemetti dedicati da Blosio Palladio e da EgidioGallo alla Farnesina di Agostino Chigi o da Francesco Sperulo alla stessaVilla Madama30. L’infamante episodio mantovano ricordato nel carme co-me accaduto tempo addietro è invece con certezza il pubblico smaschera-mento dell’offesa che nel 1513 il Tebaldeo aveva portato non soltanto al-l’Equicola ma all’intera corte dei Gonzaga (cfr. vv. 22-24: «deosque ni-mium obliviosos autumo, | hominum impune praetereuntes flagitia, | quasiparum siet quod olim Mantuae»).

Anche l’aggressione equicoliana, intrisa di umori catulliani e segnatada ostentati arcaismi plautini, colpisce indistintamente il cortigiano e il let-terato, i vizi dell’uomo e l’imperizia dello scrittore. Efficace in particolare

cura di CH.L. FROMMEL, S. RAY, M. TAFURI (e di H. BURNS e A. NESSELRATH per lasezione Raffaello e l’antico), Milano 1984, pp. 311-342; e Villa Madama. Il sognodi Raffaello, a cura di C. NAPOLEONE, Torino 2007.

29 La mancata segnalazione della fonte è denunciata anche nella scheda1520/26 di J.K.G. SHEARMAN, Raphael in early modern sources (1483-1602), NewHaven-London 2003, I, p. 662. Tra gli studi che rinviano alla testimonianza del Te-baldeo cfr. L. VON PASTOR, Storia dei Papi dalla fine del Medio evo. Compilata colsussidio dell’Archivio segreto pontificio e di molti altri Archivi, IV. Storia dei pa-pi nel periodo del Rinascimento e dello scisma luterano dall’elezione di Leone Xalla morte di Clemente VII (1513-1534), parte I. Leone X, Versione italiana del sac.prof. A. MERCATI, Roma 1908, p. 422; R. LEFEVRE, Note sulla “vigna” del Cardi-nal Giulio a Monte Mario, in «Studi Romani», 9 (1961), pp. 394-403: 403; S. RAY,Raffaello architetto. Linguaggio artistico e ideologia nel Rinascimento romano,prefazione di B. ZEVI, Roma-Bari 1974, p. 177. Chiare invece le parole pronunciatein LEFEVRE, Villa Madama cit., p. 131 nota 70: «Le ricerche allo scopo condottenon hanno portato al rinvenimento di tanto criticato elogio del Tibaldeo per VillaMadama».

30 Per il poemetto del Gallo, a stampa nel 1511 (De viridario Augustini Chigiipatritii senen. vera libellus Galli Egiddii romani poe. laur. …, [colophon:] Impres-sum Rome, per Stephanu Guillireti et Herculem Nani consocios), cfr. M. QUINLAN-MCGRATH, Aegidius Gallo, De Viridario Augustini Chigii Vera Libellus. Introduc-tion, Latin Text and English Translation, in «Humanistica Lovaniensia», 38 (1989),pp. 1-99; per quello del Palladio, edito a Roma nel gennaio del 1512, per GiacomoMazzocchi, cfr. ID., Blosius Palladius, Suburbanum Augustini Chisii. Introduction,Latin Text and English Translation, ibid., 39 (1990), pp. 93-156; per quello infinedello Sperulo, datato al 1° marzo 1519 e conservato nel ms. Vat. lat. 5812, con il ti-tolo Villa Julia Medica, cfr. la trascrizione offerta in SHEARMAN, Raphael in earlymodern sources cit., I, pp. 414-438.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO198

la rappresentazione delle donne ferraresi che canticchiano gli sciocchi ver-si del Tebaldeo mentre stanno a guardia dei paperi pascolanti:

Iste iste Tubaldeus, quem solae probantprefectae anserculis pascundis virginesad graveolentis paludes Ferrariesinsulas eius dum cantitant nenias (vv. 10-13)31.

Dove il sintagma insulsas nenias è innanzi tutto da riferire alle elegietebaldeane pronunciate da una voce femminile, secondo il suggerimentodell’anonimo lettore che nel ms., all’altezza del v. 13, annota a margine:«Non aspettò già mai con tal disio». Si tratta infatti dell’incipit della più no-ta epistola elegiaca del Tebaldeo (Rime 274)32.

31 Il Giovio testimonia invece di poesie del Tebaldeo cantate al suono della ce-tra in ambienti meno umili, e anche da uomini: «Hic primus fere post Petrarcam su-pra aemulantes Seraphinum atque Manutium plane extinctum Ethrusci carminis de-cus excitavit, usque adeo grata auribus alternantium numerorum suavitate, ut quumexpetitis ubique eius iucundae facultatis illecebris in amatorios lusus Principum au-las perambulasset, edita vel surrepta eius carmina a viris pariter et foeminis ad citha-ram cantarentur» ([IOVII] Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita cit., c.59r-v, ora in trad. it. in GIOVIO, Elogi cit., p. 277).

32 Cfr. TEBALDEO, Rime cit., II/1, pp. 425-429 (testo), e II/2, pp. 283-285 (com-mento). Sull’elegia Non expectò giamai cum tal desio, che si finge pronunciata da unavoce femminile, esprime un giudizio senz’altro favorevole il Calmeta, inquadrandocriticamente la produzione elegiaca del Tebaldeo: «E però essaminate le elegie sueamorose, dico generalmente tra quelle più presto esser luoghi e tratti che continuazio-ne, benché quando fa parlar donna sia un poco più nel suo regno, come appare in quel-la elegia, Non aspettò già mai con tal desio, la qual, semplice come a donna si con-viene, tutta è affettuosa e compassionevole. Non è così quando vuol far parlare uomo,come appare in quella elegia, Se poi che l’alma già disciolta e scarca [Rime 284], nel-la quale volendo un cavalier morto in guerra confortar il Marchese di Mantova suo Si-gnore e padrone alla liberazione d’Italia e opponersi al furor gallico, avengaché conbuoni argomenti lo persuada e in essa siano arguzie e sentenze non poche, nientedi-meno non serva il decoro nello stile, il qual più è conveniente a donna afflitta che ageneroso cavaliere, né ancora gli affetti che vi sono possono molto movere, perchél’argomento è troppo sopranaturale»: VINCENZO CALMETA, Prose e lettere edite e ine-dite (con due appendici di altri inediti), a cura di C. GRAYSON, Bologna 1959, p. 18.Né diverso è il parere del Calmeta ragionando di quel particolare sottogenere elegia-co rappresentato dalle epistole amorose: «La figura del dire deve essere mediocre, mapiù presto candida e affettuosa che piena di fuco e calamistri. Alcune elegie tenganouna certa simplicità piena di ardore e affetti, como fu quella de Tebaldeo: Non aspet-to già mai cum tal desio» (ibid., pp. 54-55). L’elegia in persona di donna innamorataebbe una certa fortuna nella poesia latina e volgare del secondo Quattrocento e delCinquecento. Per quanto qui interessa cfr. S. LONGHI, Lettere a Ippolito e a Teseo

BARUFFE E PARODIE 199

Nell’insieme il dossier di accuse e diffamazioni reciproche fra i dueletterati lascia emergere un astio che fu viscerale e duraturo. Nulla di nuo-vo, per chi conosce la virulenza degli scontri fra umanisti. Ne deriva inve-ce qualche elemento in più per comprendere quali fossero per i contempo-ranei i fattori che potevano contribuire con maggiore incisività a delineareuna maschera satirica dell’Equicola, rappresentato come letteratucolo ma-ledico e insieme come cortigiano truffaldino.

4. Un polimetro inedito

Baruffe e parodie, dunque. Almeno due le baruffe che coinvolsero l’E-quicola, una alla corte di Roma, tra novembre e dicembre del 1512, e unaalla corte di Mantova, culminata nel novembre del 1513, ma esportata an-ch’essa nella corte di Roma, presumibilmente in concomitanza con la suapresenza in città, tra il 18 marzo e il 20 aprile all’incirca. Almeno tre le pa-rodie o satire parodiche che colpirono l’Equicola: l’Epistola in sex linguis,il Dialogus e la falsa aggiunta alla «disputa del bon cortesiano», con an-nessa «macharonea». Testi ai quali vanno poi aggiunti i sonetti ingiuriosiaffissi sui muri di Mantova, e forse anche i quattro epigrammi antiequico-liani fatti trascrivere dal Colocci. Testimonia invece una terza baruffa, omeglio una tappa ulteriore di uno scontro personale insanabile, l’invettivaantitebaldeana dell’Equicola.

Inoltre il Pentecontametron deve essere messo in relazione anche conun polimetro elegiaco (d’ora in poi: Elegia) che da una parte presenta unastruttura simile, con un’apertura di sette esametri, una chiusura di quattrodistici elegiaci e un corpo centrale di metri vari, e dall’altra propone conte-nuti omologhi, per quanto da una prospettiva opposta, che canta non la fi-ne dall’amore ma il suo inizio. Rispetto al Pentecontametron l’Elegia con-ta tuttavia un numero maggiore di versi, sessantotto contro sessantatré, e unnumero inferiore di metri, trenta contro cinquanta (e potrebbe pertanto es-sere considerato un triacontametron).

Il dialogo tra i due componimenti, dei quali in Appendice propongoun’edizione annotata, è innegabile, e consapevolmente instaurato, a partiredal proemio in esametri, che in entrambi assolve al compito di enunciare il

[1989], in LONGHI, Le memorie antiche. Modelli classici da Petrarca a Tassoni, Ve-rona 2001, pp. 49-66, dove il discorso riguarda non soltanto le elegie volgari del Te-baldeo, ma anche una sua coppia di epistole latine in distici elegiaci (Ecce ferunt ve-ros nocturna insomnia visus e Adriaci veniens spumosa per aequora ponti, entrambeedite in Poeti estensi del Rinascimento cit., pp. 42-45, sulla base del ms. Vat. lat. 3389,ff. 38r-41r); e MARCHAND, Le disperate di Antonio Tebaldeo cit.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO200

locutore, il luogo e l’argomento del carme: nel Pentecontametron abbiamol’Equicola che si autorappresenta sulle rive del Po mentre esprime la suagioia per essersi liberato dall’amore; nell’Elegia un Cantelmus, definitopuer infelix, che effonde i propri lamenti amorosi lungo le sponde del Min-cio. Ma è poi l’insieme della scansione argomentiva a presentarsi abba-stanza simile, stabilendo un evidente rapporto di confronto e ribaltamentotra le rispettive caratterizzazioni dell’amore.

L’Elegia è trasmessa dal già citato ms. Vat. lat. 2835, nel quale il Co-locci e il Bembo, intorno agli anni 1538-1544, raccolsero i carmina del Te-baldeo per allestirne un’edizione, traendoli dalle carte autografe conserva-te nel ms. Vat. lat. 3389 e nel ms. a. T. 9. 18 (Est. lat. 681) della BibliotecaEstense Universitaria di Modena, ma anche aggiungendone altri provenien-ti da fonti diverse. La prima parte del codice, formata dai primi 16 fascico-li (su un totale di 32 di varia consistenza), ossia dai primi 160 fogli, costi-tuisce un insieme compatto che accoglie esclusivamente testi del Tebaldeogià presenti nei due citati mss. autografi, tranne che per i fascicoli II e XIII-XIV, che derivano da testimoni non identificati33. Ora il nostro polimetro ètrascritto proprio in uno di questi ultimi fascicoli, il XIV, formato da unbifoglio (ff. 143-144), e lo occupa interamente, tranne che per la parte su-periore del f. 143r, sulla quale si leggono gli ultimi due distici di una lungaelegia, anch’essa inedita, giocata sulla contrapposizione tra fuscus e albus,o meglio tra le qualità delle res fuscae e quelle delle res albae (inc. Qui pue-rum versu numeroso sydera fuscum).

I fascicoli XIII-XIV sono stati trascritti da un unico copista, che dimo-stra una notevole perizia calligrafica, e contengono, tra gli altri, i seguentitesti: una corona di sette epitaffi per il cane Borgetto, donato al Tebaldeodal duca Valentino (f. 135r)34; una lettera latina del Tebaldeo a Galeazzo

33 Cfr. CANNATA SALAMONE, Per l’edizione del Tebaldeo latino cit., pp. 63-67.34 I testi sono i seguenti: Borgettus canis hic, adeo formaque fideque; Borgettus

canis hoc tegitur sub marmore, cui; Si volueris Thelesina habuit cervusque Maronis;Hic Thebaldei tegeris Borgette voluptas; Accipe care canis tumulum Borgette, dede-runt; Siste, canis tegor hic. Cane, quid pudet esse retentum?; Qui vivo Borgetti canispropriumque cubile. Una serie più nutrita di epitaffi per il cane Borgetto, compren-siva di cinque dei sette trascritti al f. 135r, si legge sempre nel Vat. lat. 2835, ai ff.196v-197v, sotto il titolo Epit. Borgetti canis: Borgettus tegitur canis hoc sub mar-more, cui pro, f. 196v; Borgetti canis hic situs est, qui corpore quantus (canis his <his canis, tramite l’espunzione di his e l’inserimento nell’interlinea di hic), ibid.; Si-ste, canis tegor hic. Cane, quid pudet esse retentum? (retentum < terentum, trascor-so di penna corretto sia dal Colocci, sul margine destro, sia dal Bembo, sul marginesinistro), ibid.; Accipe care canis tumulum Borgette, dederant, ibid.; Si volueris The-lesina habuit cervusque Maronis, ibid.; Urna canis miraris? Habet fidus canis urna(espunto con tre tratti obliqui e l’indicazione «Non», scritta dal Bembo sul margine

BARUFFE E PARODIE 201

Facino (detto il Pontico) per la morte di Ermolao Barbaro, inviata da Bolo-gna il 26 luglio 1493 (f. 135r-v)35; due epitaffi per lo stesso Barbaro (Condi-tur Hermoleos hic Barbarus, immo Latinus, f. 135v; Hermoleos nec opes am-plae nec candida virtus, ff. 135v-136r)36; sei epigrammi del ciclo per il bustomarmoreo di Beatrice de’ Notari, eseguito poco prima del 1493 da TommasoMalvito (o Malvico), su commissione di Ambrogio Leone (f. 136r-v)37; un

sinistro), ibid.; Borgettus canis hic, adeo formaque fideque, ibid.; Parve canis Bor-gette vale, mea magna voluptas, ibid.; Urat humum canis ille, ille umbras terreat attu, f. 197r; Borgetti tumulus, procul hinc vos merere cauti (merere: a lato il Bemboriscrive merere, forse perché considera poco chiara la grafia del copista), ibid.; Quogenitus sum mense peris, Borgette, Novembri, ibid.; Pars inhumata tui, pars est, Bor-gette, sepulta, ibid.; Borgettus canis hic, monitum docet urna, lacusque, ibid.; Bor-getti canis hic cultos qui malluit hortos, ibid.; Borgetti canis hic quem Martius ab-stulit ensis, ibid.; Suetus heri canis in molli recubare cubili, ibid.; Borgettus canis hicrecubat quo multa sepulto, ibid.; Qui canis hac nivea recubat Borgettus in urna,ibid.; Fide canis lacrimas Borgette et caras, et urnas, ibid.; Donatum tumulo, parce,adlatrare catellum, ibid.; Borgettus canis hic est, cuique pia turba poetae, ibid.; Ter-na, catelle, soror vitam nevit tibi, ternum (espunto con un tratto obliquo e l’indica-zione «Non», scritta dal Bembo sul margine sinistro; vitam: inserito nell’interlinea),f. 197v; His requiesce hortis, Borgette catelle, dare astra, ibid. Per la morte di Bor-getto scrissero anche Ercole Strozzi, il Postumo, il Navagero e un non meglio iden-tificato Rapallo: cfr. BASILE, Antonio Tebaldeo nel giudizio dei contemporanei cit., p.198 nota 22; e Cani di pietra cit., pp. 47-49. Inoltre tre epicedi per Borgetto e unodedicato congiuntamente a Borgetto e a Tita, una cagnolina appartenuta anch’essa alTebaldeo, si leggono nel ms. Vat. lat. 3353, ff. 61r, 62r, 63r e 82r (cfr. M. FAVA, I ca-gnolini dell’epigrammatario colocciano, in Atti del convegno di studi su Angelo Co-locci cit., pp. 231-241: 238-239; e Cani di pietra cit., pp. 21-22). Versi del Tebaldeoin morte di cani sono poi nel ms. Vat. lat. 3389, ff. 10v-12v (De morte catuli ab ami-ca dilecti); nelle Poesie diverse in morte di Aura cit., ff. 8v-10r, dove si leggono do-dici epitaffi attestati, in diverso ordine e con qualche variante, anche nel ms. Vat. lat.3353, ff. 127r-140v (cfr. FAVA, I cagnolini cit., pp. 239-241; e Cani di pietra cit., p.17); e nelle sillogi secentesche Amphitheatrum sapientiae Socraticae joco-seriae cit.,I, p. 529, e Epitaphia ioco-seria cit., pp. 225-226 (cfr. Cani di pietra cit., p. 16).

35 La lettera è stata pubblicata in L. GARGAN, Un umanista ritrovato: Galeaz-zo Facino e la sua biblioteca, in «Italia medioevale e umanistica», 36 (1983), pp.257-305: 267.

36 Cfr. ibid., pp. 267-268. Entrambi gli epitaffi si leggono, nel ms. Vat. lat.2835, anche al f. 202v.

37 I testi sono i seguenti: Malvici dum spectat opus natura, laboro, f. 136r; Col-la Beatricis, crines, humerosque, genasque, ibid.; Hinc studium artificis spectes, for-mam inde puellae, f. 136r-v; Tu, cui cuncta orbis miracula visa fuerunt, f. 136v; Ar-tifici natura potest concedere saxa, ibid.; Pulchra Beatricis pario de marmore Tho-mas, ibid. Un’altra attestazione dei sei carmi e di altri due appartenti al medesimo ci-clo si trova, sempre nel Vat. lat. 2835, ai ff. 202v-203v, sotto il titolo De imaginesculpta a Thom.o Malvico pro Ambrosio Leone: Hinc studium artificis spectes, for-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO202

gruppo di epigrammi ed epitaffi del Tebaldeo attestati anche nel ms. a. T. 9.18 (ff. 137r-140v)38; e un epitaffio per Marco Longo (Urbis honos Venetae

mam inde puellae, f. 202v; Tu, cui cuncta orbis miracula visa fuere, f. 203r; Artificinatura potest concedere saxa, ibid.; Pulchra Beatricis pario de marmore Thomas,ibid.; Malvici dum spectat opus natura, laboro, ibid.; Colla Beatricis, crines, hume-rosque, genasque, f. 203r-v; Cerne, et abi subito, spectator, non modo vivae, f. 203v;Miraris formam egregiam? Quae corda Leonis, ibid. Nel medesimo codice si trova-no anche una lettera non datata del Tebaldeo al Leone (edita in L. AMMIRATI, Am-brogio Leone nolano, Marigliano 1983, p. 147, App. I), al f. 11v, e a seguire, ai ff.11v-12v, sei degli otto testi del ciclo, in redazione in parte diversa (Hinc artem arti-ficis spectes, formam inde puellae, f. 11v; Tu, cui cuncta orbis miracula visa fuerunt,f. 12r; Artifici natura potest concedere saxa, ibid.; Pulchra Beatricis pario de mar-more Thomas, ibid.; Cerne, et abi subito, spectator, non modo vivae, ibid.; Mirarisformam egregiam? Quae corda Leonis, ibid.). Al busto e all’amore di Leone per Bea-trice il Tebaldeo dedica inoltre otto sonetti (Rime 223-229 e 656): cfr. TEBALDEO, Ri-me cit., II/1, pp. 355-361 (testo), e II/2, pp. 227-233 (commento); e III/2, pp. 872-873. Tali componimenti latini e volgari erano destinati al Beatricium, una raccoltapoetica a più voci con la quale il Leone intendeva celebrare la scultura e la sua ispi-ratrice. Della silloge, che non apparve mai a stampa, dovevano far parte anche seiepigrammi di Ercole Strozzi, un sonetto di Giovan Francesco Caracciolo, due sonet-ti di Timoteo Bendedei, un sonetto di Giovanni Pincaro e sei epigrammi di LancinoCurti: cfr. E. PÈRCOPO, Una statua di Tommaso Malvico ed alcuni sonetti del Tebal-deo (per Nozze Caravelli-Mucci), Napoli 1892, poi in «Napoli nobilissima», 2(1893), pp. 10-13; P. DE MONTERA, La Béatrice d’Ambroise Leone de Nola. Ce quireste d’un «Beatricium» consacré à sa gloire, in Mélanges de philologie, d’histoireet de littérature offert à Henri Hauvette, Paris 1934, pp. 191-210; M. SANTAGATA, Lalirica aragonese. Studi sulla poesia napoletana del secondo Quattrocento, Padova1979, pp. 68-69; A. ROSSI, Serafino Aquilano e la poesia cortigiana, Brescia 1980,p. 110; M. CASTOLDI, Per il «Beatricium», in «Quaderni di filologia e lingue roman-ze», ser. III, 4 (1989), pp. 31-49; ID., Giunta minima al “Beatricium”: un sonetto diGiovanni Pincaro e sei epigrammi di Lancino Curti, ibid., ser. III, 7 (1992), pp. 49-58; Poeti del Cinquecento, I. Poeti lirici, burleschi, satirici e didascalici, a cura di G.GORNI, M. DANZI e S. LONGHI, Milano-Napoli 2001, p. 34; G. AGOSTI, Su Mantegna.I. La storia dell’arte libera la testa, Milano 2005, pp. 145-146 nota 78 (e più in ge-nerale, sui rapporti del Tebaldeo con l’arte, pp. 144-148 note 78-79); C. DAMIANAKIROMANO, «Come se fussi viva e pura»: ritrattistica e lirica cortigiana tra Quattro eCinquecento, in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 60 (1998), 2, pp. 349-394; L. BOLZONI, Poesia e ritratto nel Rinascimento, Testi a cura di F. PICH, Roma-Bari 2008, pp. 157-167 (e anche pp. 51-53). Forse apparteneva al ciclo anche l’epi-gramma De quadam imagine marmorea (inc. Quid lascive mea, spectator, imagineflagras?), conservato nel ms. a. T. 9. 18, f. 165r (per l’ipotesi cfr. TEBALDEO, Rimecit., II/2, p. 227). Estranei al Beatricium dovrebbero essere invece altri due sonetti delTebaldeo al Leone (Rime 246 e 451): cfr. TEBALDEO, Rime cit., II/1, p. 378 (testo), eII/2, pp. 245-246 (commento); e III/1, pp. 424-426.

38 Questi i testi, con l’indicazione tra parentesi dei fogli interessanti del ms. a.

BARUFFE E PARODIE 203

Marcus cognomine Longus) introdotto da un carme di dedica al Facino(Mausolo insignem tumulum pia condidit uxor, f. 141r)39.

Nel Vat. lat. 2835 sono presenti numerose correzioni e postille di ma-no del Colocci e anche del Bembo, che aveva accettato di rivedere i mate-riali fatti trascrivere dall’amico. La supervisione bembiana è attestata dadue dichiarazioni esplicite: «Revisit B.», al f. 48r; e «Vista dal Bembo etcopiata», al f. 160v. Gli interventi sull’Elegia sono pochi, e si concentranosu un paio di versi nei quali si fatica a far tornare il senso. Ma qui importache in testa al polimetro il Colocci scrivesse il nome «Marius»40. Non pardubbio infatti che egli intendesse riferirsi a quel Mario Equicola con il qua-

T. 9. 18 (qui siglato Me7, come nell’ed. Basile-Marchand delle Rime del Tebaldeo):Alter ab undecimo Petrum quem coeperat annus, f. 137r (Me7, f. 129r); Externaquae luce dedit tibi muniera Zenus, f. 137r (Me7, f. 129r); A Zeno collata mihi dummunera laudas, f. 137r (Me7, f. 129v); Sabata, quis credat? Nostro gens infera mo-re, f. 137v (Me7, f. 130r: Nostro gens infera more] Nostro ‹…› more Me7); Regi-naeque ducisque soror, patre rege, futura, f. 137v (Me7, f. 130r: ducisque] ducis);Te tibi tam similem si stes, si presseris ora, f. 137v (Me7, f. 131r; e f. 181v: ora]oras); Aemula naturae quam sit pictura potentis, ff. 137v-138r (Me7, f. 131r; e f.181v); Bartholomaeus ero si me tantum modo spectes, f. 138r (Me7, f. 131r; e f.182r); Desine, spectator, naturam extollere: vivunt, f. 138r (Me7, f. 131r); Pulchraquidem et similis nostri, quam fingis, imago, f. 138r (Me7, f. 131r; e f. 182r); QuiVenetum ductor fuerat, princepsque Pisauri, f. 138r (Me7, f. 132r); Consumis som-no taciturnae tempora noctis, f. 138r-v (Me7, f. 133r); Desine mirari: non me ieiu-nia torquent, f. 138v (Me7, f. 133v); Fingere mos vatum est: si te laudavero, vates,f. 139r (Me7, f. 135r: laudavero] laudavere); Haud capere innumeros poteras Fer-raria cives, f. 139r (Me7, f. 128r: poteras] poterat; e f. 139r, in altra redazione: Haudcapere innumeros poterat Ferraria plebem); Qua mage veste mihi placeas, meaFlavia, quaeris?, f. 139v (Me7, f. 128v; e f. 185v: Flavia, quareris?] Flavia ‹…›);Nil mirum si tardus erit, Federice, triumphus, f. 139v (Me7, f. 136r); Iungar amici-tia tecum ut, mi Gondola, dicis, ff. 139v-140r (Me7, f. 177r); Seu variam magnis for-tunam laudibus ornes, f. 140r (Me7, f. 178r); Nuper Aragoniae cum candida mem-bra puellae, f. 140r-v (Me7, f. 178v); Consilio si laesa meo est tua, candide Quer-cens, f. 140v (Me7, f. 176r). Il primo componimento di questo gruppo, Alter ab un-decimo Petrum quem coeperat annus, si legge anche nel Vat. lat. 3389, al f. 81r.

39 Cfr. GARGAN, Un umanista ritrovato cit., p. 263 nota 25. L’epitaffio per ilLongo e il carme al Facino sono anche al f. 246r. Un secondo epitaffio per il Lon-go (Pectora divini cui sacra fuere Platonis), senz’altro del Tebaldeo, in quanto at-testato anche nelle carte autografe del ms. a. T. 9. 18 dell’Estense (f. 94v), è al f.152v (il distico iniziale è inoltre il medesimo di un epitaffio per Ludovico Carbonetrascritto al f. 7r del ms. I 395 dell’Ariostea: cfr. Poeti estensi del Rinascimento cit.,p. 80).

40 Ringrazio vivamente Nadia Cannata per avermi aiutato a distinguere le ma-ni del Colocci e del Bembo nelle postille che corredano l’Elegia, e più in generaleper avermi fornito utili indicazioni sul ms. Vat. lat. 2835.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO204

le condivideva l’interesse per l’antica poesia romanza, così come nei mar-gini di un suo codice di rime provenzali rinviava alle varianti attestate in unaltro codice con l’indicazione di Liber Marii, oltre che di Liber Equicoli oEquicola41.

L’ipotesi più economica è che quel «Marius» svolga una funzione at-tributiva. Ma non si può escludere del tutto che con la sua postilla il Colocciintendesse limitarsi a segnalare il rapporto del testo con il Pentecontame-tron, per quanto si tratterebbe dell’unica indicazione di questo tipo presen-te nell’intero codice. Del resto l’Elegia non venne espunta dal manoscritto,ma anzi ricevé le medesime attenzioni riservate ai componimenti del Te-baldeo, con interventi correttori e anche ripensamenti di quegli interventi:una scelta che si può accordare con l’ipotesi che il Colocci non attribuisseil carme al Tebaldeo soltanto a patto di supporre che la paternità equicolia-na fosse da lui scoperta dopo aver effettuato le correzioni, oppure, con mag-giore plausibilità, che egli ritenesse comunque interessante il polimetro edecidesse pertanto di correggerlo, riservandosi di trasferirlo in un diversocontenitore. In ogni caso, desta sospetto che quel testo fosse trascritto incarte che volevano essere preparatorie di un’edizione complessiva del Te-baldeo latino.

Nell’insieme l’Elegia appare frutto di una sapienza compositiva mag-giore di quella esibita nel Pentecontametron, e in generale dà l’impressio-ne di una più fresca e vivida realizzazione. In essa, anzi, ben si avverte laperizia metrico-sintattica di un poeta sicuro dei propri mezzi, quale fusenz’altro il Tebaldeo, mentre la pronuncia del Pentecontametron risultapiù stentata e franta, oltre che in alcuni passaggi incerta fra tono moraleg-giante e affettazione dello stile (fino al virtuosismo esibizionistico del v. 41:«color colori concolor»). Tuttavia, volendo assegnare entrambi i polimetriall’Equicola, si potrebbe ipotizzare che la scaltrezza tecnica dimostrata nel-l’Elegia, caratterizzata da iperbati frequenti e da inarcature agili ed estese,che abbracciano dai due-tre ai sette versi (cfr. vv. 32-38), non sia stata co-munque sufficiente all’esecuzione disinvolta di una partitura che arriva aproporre ben cinquanta metri, ossia quasi il doppio dei trenta presenti nel-l’altro testo.

Un’indicazione utile per la datazione dell’Elegia, e in parte anche perl’attribuzione, mi sembra che sia offerta dal riferimento a un Cantelmus de-finito puer infelix. Esso permette infatti di ipotizzare che il polimetro siastata scritto prima del 30 novembre 1509, giorno della morte di Ercole Can-telmo, primogenito di Sigismondo e di Margherita Maloselli, ucciso sottogli occhi del padre a soli ventidue anni, nel corso della guerra della Lega diCambrai contro Venezia. Difficile pensare che dopo quell’evento l’Equico-

41 Cfr. DEBENEDETTI, Gli studi provenzali in Italia cit., p. 252.

BARUFFE E PARODIE 205

la avesse cuore di mettere in scena un giovane Cantelmo infelix o di assu-merne le sembianze, considerato che egli fino al 1508, quando divenne pre-cettore di Isabella d’Este, prestò servizio presso i Cantelmo e soprattutto fumolto legato proprio al giovane Ercole42. Né sembra probabile che in untempo successivo a quella efferata uccisione il Tebaldeo scegliesse di rap-presentare un puer della famiglia Cantelmo come un innamorato che la-menta il dolore straziante dei vulnera inflitti dalla hasta di un amore cru-dele e letale, anzi di un amore che è esso stesso una mors e fera e nigra (cfr.vv. 46-48). Certo il Cantelmus in questione potrebbe anche essere l’altro fi-glio di Sigismondo e di Margherita Maloselli, Francesco (nato probabil-mente a Ferrara intorno al 1595), che dal 1510 ebbe come precettore Laz-zaro Bonamico e nel 1516 si arruolò nell’esercito francese43; ma a mio av-viso non verrebbe comunque meno l’inopportunità di rappresentare un gio-vane Cantelmo infelix. In generale, l’assegnazione della voce elegiaca a unCantelmus può poi essere considerato un elemento a sfavore dell’attribu-zione dell’Elegia al Tebaldeo, che nelle rime volgari comprese nell’edizio-ne Basile-Marchand e nei carmi latini finora noti non menziona mai unmembro della famiglia Cantelmo, tranne forse che in due epitaffi, a lui at-tribuibili, trasmessi ancora una volta dal Vat. lat. 2835, al f. 247r-v44.

42 L’Equicola svolge un accorato elogio funebre di Ercole Cantelmo in apertu-ra del libro quinto del suo trattato d’amore (Libro, cc. 161r-162v); e già ne piangela morte nella stesura manoscritta del testo (Libro ms., p. 266 [= f. 46v]), dove inol-tre il giovane è chiamato in causa come consulente linguistico nella dedicatoria del-l’opera, poi depennata in fase di revisione (ibid., p. 212 [= f. 4r]). Anche l’Ariostoricordò l’uccisione di Ercole, esprimendo commossa partecipazione al dolore delpadre (OF 36, 6-7).

43 Cfr. T. ASCARI, Cantelmo, Francesco, in DBI, 21, Roma 1975, p. 264. In trelettere, rispettivamente del 10 marzo 1510, dell’aprile 1511 e del maggio 1511, ilBonamico raccomanda il giovane ad Aldo Manuzio: cfr. P. DE NOLHAC, Les corre-spondants d’Alde Manuce. Matériaux noveaux d’histoire littérarie (1483-1514),Rome 1888, pp. 78-81, lett. 69, 73 e 74. Per la datazione delle missive cfr. E. PA-STORELLO, L’epistolario manuziano. Inventario cronologico-analitico. 1483-1597,Firenze 1957, p. 33, lett. 209, 219 e 221.

44 Il primo epigramma mette in scena anche la reazione delle Naiadi: «De Her-cule Cantelmo. | Dum genus Illiricum ripas populatur amenas | Eridani et valida flu-mina classe tenet, | Cantelmi immeritum caput Herculis ensis recidit,| et spem Naia-dum, delitiasque tulit. | Criminis ultrices se promisere nephandi, | cum misero flen-tes ultima dona darent, | Hippolytique ausus fovere ingentius et quas | et scelerispoenas barbara turba dedit. | Hoc tibi si factum pensetur, Hylaeque rapina, | Alcide,Nymphas parcere iure potes» (f. 247r). Nel ms. al v. 6 il sintagma ultima dona è cor-retto nell’interlinea in oscula summa, cancellato con un tratto orizzontale; al v. 7 laseconda i di Hippolytique è soprascritta a una o; sempre al v. 7 la clausola et quasrisulta espunta con un tratto orizzontale e corretta a margine in alti (?); inoltre il pe-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO206

Ma proviamo a valutare distintamente tutte le ipotesi dotate di unaqualche plausibilità, ragionando anche sul rapporto di anteriorità o di po-steriorità dell’Elegia rispetto al Pentecontametron.

1) Ipotizziamo che l’Elegia sia del Tebaldeo e preceda il Penteconta-metron. Attribuendo l’Elegia al Tebaldeo, si potrebbe pensare che l’Equi-cola con il suo Pentecontametron abbia deciso di riscriverla e insieme di ri-baltarne il significato, in una sorta di gara di abilità che lo avrebbe portatoa incrementare il numero dei metri adoperati. Ma sembra poco probabileche l’Equicola non riuscisse a trovare un modo migliore di omaggiare ilmotto di Isabella d’Este che quello di riscrivere un componimento di unprecedente precettore della stessa marchesa, perché in tal modo egli avreb-be comunque innescato il ricordo delle notevoli capacità poetiche del Te-baldeo, laddove l’intenzione prima del Pentecontametron, e soprattutto del-l’intero opuscolo al quale immette, è quella di dimostrare il possesso dicompetenze affatto inconsuete, se non proprio uniche.

2) Ipotizziamo che l’Elegia sia del Tebaldeo e segua il Pentecontame-tron. Se attribuita al Tebaldeo, l’Elegia potrebbe essere considerata una ri-scrittura satirico-parodica del Pentecontametron, capovolgendo un conge-do dall’elegia in elegia e presentando una fisionomia di innamorato fintroppo lamentevole e di maniera, tanto da somigliare alla maschera dell’E-quicola sbeffeggiata nel Dialogus. Tuttavia la raffigurazione comica del lo-cutore dipenderebbe interamente da un elemento extratestuale, ed è pertan-to da ritenersi molto debole. Abbastanza plausibile è invece che il Tebaldeoingaggiasse con l’Equicola una contesa virtuosistica, considerato che la fa-ma di maestro di poesia lo accompagnò fin da giovane e che i suoi rappor-ti con l’Equicola dovettero essere buoni almeno fino all’agosto del 1511,quando in uno degli epitaffi equicoliani per la cagnolina Aura venne ricor-dato il canto di Ercole Strozzi per la morte di Borgetto45. Eppure poco miconvince l’idea che il Tebaldeo rispondesse al Pentecontametron con un te-

nultimo distico (vv. 7-8) è corretto in fondo alla carta in Hippolytique ausus magnusfovere; suaeque | saevitiae poenas barbara turba dedit, ma una linea obliqua trac-ciata su fovere sembra espungere l’intera correzione. Il secondo epigramma dà laparola direttamente a Venere: «De eodem. | Caput, nivea caput a cervice revulsum,| Cantelmi spectans Herculis, alma Venus: | “Raptus – ait – quondam mihi Marte su-perstite Adonis; | heu, nunc ille mihi raptus, et ille fuit”» (f. 247v). Nel ms. il Bem-bo espunge con una linea obliqua il componimento e scrive «Non» sul margine si-nistro; inoltre il secondo verso è proposto in due lezioni scritte l’una di seguito al-l’altra. Accolgo a testo la variante scritta per ultima. L’altra è Cantelmi spectans di-va Ericina sui.

45 Il ricordo è ai vv. 3-4 dell’epicedio Ante diem paulo, has voces his auribushausi: «Ille Thebaldei Borgettus ad aethera cantu | altisono erectus Stroza poeta tuo[ms.: tuo corregge suo]» (Poesie diverse in morte di Aura cit., f. 10r).

BARUFFE E PARODIE 207

sto che proponeva un numero inferiore di metri e soprattutto riconosceva al-l’Equicola il merito di essersi provato per primo in un campo nuovo.

Nel caso si consideri satirico-parodica l’Elegia, si potrebbe anche ipo-tizzare un coinvolgimento del Tebaldeo nel Dialogus, fermo restando l’o-nere di motivare lo scarto tra la satira implicita e lieve dell’Elegia e quellaesplicita e sarcastica del Dialogus. Al contrario, se si ritiene che l’Elegia siaun carme tebaldeano privo di intenti polemici, non è possibile annoverare ilTebaldeo tra gli autori o i mandati del Dialogus, perché lo sberleffo delPentecontametron lì messo in scena avrebbe inevitabilmente coinvolto an-che un suo testo che con quello era strettamente collegato. In ogni caso è daescludere che l’Elegia sia stata scritta dal Tebaldeo dopo la pubblicazionedel Dialogus, che consegnò il Pentecontametron al mondo del ridicolo e lorese inutilizzabile per qualsiasi operazione di riscrittura polemica che nonfosse enfaticamente sarcastica.

3) Ipotizziamo che l’Elegia sia dell’Equicola e preceda il Penteconta-metron. Se si attribuisce l’Elegia all’Equicola, come sembra che a questopunto si debba fare, non resta che riconoscerne la priorità rispetto al Pente-contametron. Certo, si potrebbe pensare che l’autore abbia deciso di riscri-vere, anche per una ulteriore dimostrazione di bravura, il suo Penteconta-metron, ribaltandone il significato. Ma ben più plausibile è l’ipotesi che l’E-legia preceda il Pentecontametron, che ne rappresenterebbe una riscrittura,e insieme formulerebbe una proposta di sperimentazione metrica più con-sapevole. Infatti, mentre nell’Elegia la sperimentazione non viene esplici-tata e resta priva di limiti, nel Pentecontametron il titolo stesso del carme ladichiara e insieme la vincola a un limite, per quanto molto comprensivo. Disicuro è da escludere che l’Elegia sia stata scritta dopo l’uscita del Dialo-gus, quando l’Equicola si impegnò in una strenua difesa del Pentecontame-tron e anzi ne pubblicò una seconda redazione in apertura del Nec spe necmetu.

La priorità dell’Elegia rispetto al Pentecontametron sembra tuttaviacontraddetta dalla diversa ambientazione dei due testi, se letta in rapportoalla biografia dell’Equicola. Infatti, mentre l’Elegia si immagina pronun-ciata sul Mincio, ossia a Mantova, e quella del Pentecontametron sul Po,ossia a Ferrara, noi sappiamo che l’Equicola visse prima a Ferrara e poi aMantova. Ma si può ipotizzare che entrambi i testi siano stati composti fral’inizio del 1508, quando l’Equicola si trasferì a Mantova, ma ancora con-servava fitti rapporti con Ferrara, e il novembre del 1509, quando ErcoleCantelmo fu ucciso46.

46 Cfr. KOLSKY, Mario Equicola cit., pp. 107-108, dove anche si segnala cheappena dopo il trasferimento a Mantova, l’Equicola dovette tornare a Ferrara per unlungo periodo.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO208

Insomma, l’ipotesi più economica è quella di considerare il polimetroda me individuato tra i carmina del Tebaldeo come una sorta di variante pri-migenia del Pentecontametron, o meglio come un testo da cui poi il Pente-contametron sarebbe derivato per rovesciamento, se non per palinodia. Sipotrebbe anzi pensare che esso sia stato inserito nella prima redazione delNec spe nec metu, offerto in dono a Isabella il 18 maggio 1506, quando l’E-quicola era ancora alle dipendenze di Sigismondo Cantelmo e della moglieMargherita, di cui era segretario e consigliere, e pertanto ben poteva auto-rappresentarsi nelle vesti di un Cantelmus innamorato; o comunque si po-trebbe ipotizzare che esso sia stato composto poco prima del polimetro ge-mello. Del resto, in una lettera da Ferrara del 18 settembre 1507 l’Equico-la si rivolgeva a Isabella d’Este con espressioni che direttamente rinvianoad alcuni versi del Pentecontametron, nel descrivere gli effetti della sua de-vozione amorosa per Margherita Cantelmo:

Amando io lei, como lei ama Vostra Signoria, et epsa in me non ha man-co forza, potentia, auctorità e iurisditione che ha Vostra Excellentia in lei,rendame mei ioci, facetie, risi, lepore, urbanità et letitia47.

Il brano richiama infatti i seguenti versi del polimetro:

Clarior ecce dies: risus, lepidisque lepos salibus delitiae et iocus omnis adsunt (vv. 30-32)48.

Inoltre non va dimenticato che l’Equicola, con lettera da Gazzuolo del16 novembre 1507, inviò alla marchesa Isabella proprio un’elegia, perquanto resti incerto se fosse sua o di altri49.

Quindi l’Elegia spetta con maggior probabilità all’Equicola, che poi laribalterà nel Pentecontametron, che a sua volta sarà ribaltato satiricamentenel Dialogus. Al Tebaldeo non sembra invece da attribuire l’Elegia, né for-se un ruolo nella beffa del Dialogus; ma certo la presenza tra i suoi carmi

47 ASMn, Archivio Gonzaga, b. 1241, f. 494r. La lettera si legge in VILLA,Istruire e rappresentare Isabella d’Este cit., p. 243.

48 Nella prima redazione del Pentecontametron il v. 31 proponeva un altro ele-mento dell’elenco: «facetiae cum risibus».

49 Il riferimento al testo è poco chiaro: «Le mando la elegia: quella prego nonla monstre fino alla mia tornata, che serrà presto, ché non so se me mancha qualcheverso (io perhò credo che non)» (ASMn, Archivio Gonzaga, b. 1813, f. 29r). Nellastessa missiva l’Equicola dichiara di aver scritto per la Grotta: «Et sappia quella cheho composto per la Grocta, et spero bene» (ibid.). Cfr. LUZIO-RENIER, La colturacit., p. 46, e KOLSKY, Mario Equicola cit., p. 106.

BARUFFE E PARODIE 209

di quel polimetro di «Marius» getta sulla vicenda un’ombra lunga di so-spetto. Magari, avendo a disposizione il dittico, l’Elegia e il Penteconta-metron, il Tebaldeo avrà fornito agli esecutori della beffa il testo da lui ri-tenuto più adatto. In ogni caso, per quello che importa in questa sede, ri-tengo che lo studio dell’Elegia si riveli utile non soltanto per ragionare sul-la fortuna e sulle forme dell’elegia umanistico-rinascimentale, ma ancheper illuminare, sebbene di lontano e obliquamente, il retroscena della beffamessa in scena nel Dialogus.

5. Due polimetri a confronto: Elegia vs Pentecontametron

Il due polimetri propongono una scansione argomentativa abbastanzasimile. Ma non sono l’uno il rovescio perfetto dell’altro, soprattutto perchéil Pentecontametron mostra di ambire a una maggiore severità e comples-sità, per quanto risulti poi più manierato e freddo dell’Elegia, con punte diartificio che il Dialogus non mancò malevolmente di apprezzare.

L’Elegia attinge a piene mani al repertorio topico del genere, con va-riazioni minime che sembrano indotte non tanto da una prospettiva almenoin parte innovativa, quanto dall’inconsueta forma metrica. Muovendosi trariproposizioni di miti classici e sporadici tentativi di conseguire una sen-tenziosità memorabile, essa dialoga tuttavia più con la produzione di un Ti-to Vespasiano Strozzi, e in generale con la lirica latina influenzata dal Pe-trarca volgare, che con la tradizione elegiaca latina50. Invece il Penteconta-metron, per quanto viva anch’esso dell’assemblaggio di topoi elegiaci spes-so reinterpretati in senso petrarchesco, mostra di volersi confrontare con unpreciso modello classico, quello dell’elegia properziana 3, 24, l’ultima delterzo libro51, nella quale, attraverso la tradizionale rappresentazione dell’a-

50 Sull’appropriazione da parte della poesia neolatina della topica fisio-psico-logica fisssata dal Petrarca e variamente riproposta dal petrarchismo, fosse essoquello cortigiano del secondo Quattrocento o quello bembiano del primo Cinque-cento o ancora quello oltremodo frastagliato del secondo Cinquecento, cfr. N. TO-NELLI, Landino: la «Xandra» e il codice elegiaco, in «Giornale storico della lettera-tura italiana», 179 (2002), pp. 193-211; I. PANTANI, «La fonte d’ogni eloquenzia». Ilcanzoniere petrarchesco nella cultura poetica del Quattrocento ferrarese, Roma2002, in part. cap. 5. L’elegia latina incontra Petrarca: Tito Vespasiano Strozzi, pp.245-289; e M. SCORSONE, Petrarchismo e lirica neolatina tra i secc. XVI-XVII: unaricognizione in limine, in Petrarca in Barocco. Cantieri petrarchistici. Due semi-nari romani, a cura di A. QUONDAM, Roma 2004, pp. 199-225.

51 Per alcuni editori si tratterebbe di due elegie consecutive, di cui la secondainizierebbe al v. 21.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO210

more come pericoloso viaggio per mare (presente anche in PROP. 2, 14, 29-30), il poeta canta il ritorno in porto della sua navicella, ossia la liberazio-ne dalla schiavitù amorosa e la riconquistata serenità, dopo le angosce el’ardore della passione. Quel carme di Properzio offre infatti al polimetrodell’Equicola, al di là delle riprese puntuali, che sono appena un paio, lastruttura argomentativa complessiva, oltre che situazioni, motivi e spuntirelativi appunto al tema della liberazione dall’amore. Ma non bisogna di-menticare che la metafora della navigazione amorosa, specificazione diquella della vita come viaggio in un mare tempestoso, è molto diffusa nel-la letteratura classica e romanza, e che è attestata, ad esempio, nel Petrarcadella sestina Chi è fermato di menar sua vita (Rvf 80) e dei sonetti Passa lanave mia colma d’oblio (Rvf 189) e Lasso, Amor mi trasporta ov’io non vo-glio (Rvf 235), oltre che della canzone Standomi un giorno solo a la fene-stra (Rvf 323, 13-24), e anche nel Tebaldeo di Hor che tempo era di torna-re in porto (Rime 4)52.

Secondo il fondamentale modello dell’elegia properziana 3, 24, il Pen-tecontametron è pertanto un congedo dall’elegia stessa, quasi una sorta dianti-elegia (in quanto canto del ritorno felice al porto della razionalità e del-la saggezza, o meglio dell’approdo alla quotidiana e pacificata vita dell’uo-mo divenuto adulto, dopo la folle navigazione nel tempestoso mare dell’a-more), laddove l’Elegia ripropone un centone di alcuni dei più frequentatiluoghi comuni della lirica latina e umanistica d’intonazione elegiaca, senzaeleggere un testo con il quale istituire un rapporto privilegiato, per quantoanche in essa sia avvertibile la presenza di Properzio, del resto autore es-senziale in molta poesia dell’età umanistico-rinascimentale53. Il dialogo frai due polimetri si coglie soprattutto nell’apertura in esametri e nella chiu-sura in distici elegiaci, ma riguarda poi l’insieme del discorso. L’un carmesi ribalta infatti nell’altro, ne rappresenta il rovescio. Una suddivisione insequenze dei due testi che evidenzi tale dinamica responsiva potrebbe es-sere la seguente:

52 Cfr. TEBALDEO, Rime cit., II/1, p. 132 (testo), e II/2, pp. 10-20 (commento).53 Cfr. Properzio nella letteratura italiana. Atti del Convegno nazionale, Assisi

15-17 novembre 1985, a cura di S. PASQUAZI, Roma 1987; Commentatori e tradutto-ri di Properzio dall’Umanesimo al Lachmann. Atti del Convegno internazionale, As-sisi 28-30 ottobre 1994, Roma 1996; A confronto con Properzio (da Petrarca aPound). Atti del Convegno internazionale, Assisi 17-19 maggio 1996, Roma 1998;L. NICASTRI, Properzio coturnato. L’itinerario poetico di Pomponio Gaurico elegia-co [1988], in NICASTRI, Classici nel tempo. Sondaggi sulla ricezione di Properzio,Orazio, Ovidio, introduzione di V. AMORETTI, Salerno 2003, pp. 23-113; F. TATEO, Larinascita umanistica di Properzio, in TATEO, Riscrittura come interpretazione. Dagliumanisti a Leopardi, Roma-Bari 2001, pp. 35-94; TONELLI, Landino: la «Xandra» eil codice elegiaco cit.; PANTANI, «La fonte d’ogni eloquenzia» cit.

BARUFFE E PARODIE 211

Elegia Pentecontametron I Proemio: la schiavitù Proemio: la liberazione

dell’amore (1-7) dall’amore (1-7)II Inizio dell’amore (8-31) Fine dell’amore (8-19)III Effetti dell’innamoramento (32-48) Effetti della liberazione dall’amore (20-43)IV Trionfo dell’amore (49-60) Trionfo della libertà (44-55)V Epilogo: i supplizi presenti (61-68) Epilogo: i supplizi passati (56-63)

Ma analizziamo sequenza per sequenza il dialogo tra i due testi, checomunque conservano una loro autonomia e mai si contrappongono in mo-do meccanico.

I) Elegia 1-7 vs Pentecontametron 1-7: schiavitù dell’amore vs libera-zione dall’amore.

La struttura del proemio è identica: in entrambi i testi i primi due versisono dedicati alla presentazione del locutore e del luogo in cui egli si trova,e i successivi cinque all’argomento, per giunta espresso in tutti e due i casimediante un paragone scandito dalla medesima correlazione (Ut … sic …).Nell’Elegia il giovane Cantelmus, all’ombra degli ontani che fiancheggia-no il Mincio, volge nell’animo i propri tormenti e, insofferente della recen-te ferita d’amore, come un torello fino allora libero dal giogo servile, into-na mesti lamenti. Invece nel Pentecontametron il maturo Equicola, errandolungo le rive del Po, medita sui propri amori e, come un marinaio final-mente giunto in porto, canta la serenità riconquistata. Evidente è soprattut-to l’adozione di un’articolazione della struttura e della sintassi abbastanzasimile:

Elegia 1-7Fessus ad umbrosas Minci consederat alnosCantelmus, sua dira animo infortunia volvens.Ut latis liber campis errare iuvencusarmentumque sequi, et matris vestigia suetus,

5 indomita cervice iugum servile recusat, flammarum sic impatiens et vulneris altihas puer infelix mesto dabat ore querelas.

Pentecontametron 1-7Eridani ad ripas errabat Equicolus altumsuspirans, secumque suos volvebat amores.Ut nauta, ad certos solvit cum lintea portusper mare velivolum, subito deprensus ab austro

5 ingemit, ille idem tuta statione receptuscantat, et optata resipiscit laetus arena,sic Marius tales fundebat carmine voces.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO212

Da segnalare in questa sede che anche l’epigramma tebaldeano Deamore et morte si apre con Fessus, per quanto si tratti poi di un incipit ab-bastanza diffuso nella poesia classica e umanistica54.

II) Elegia 8-31 vs Pentecontametron 8-19: inizio dell’amore vs finedell’amore.

Dopo la sequenza introduttiva il dialogo tra i due testi prosegue con la trat-tazione di contenuti omologhi, per quanto sempre da prospettive divergenti:

Elegia 8-31Nullis laesus ab ignibuscaelestis pueri, qui ferula modo

10 frustra membra liquoribus merso nostra tuis, optime fluminum,perstat, et tactis nova flamma maiorsurgit ab undis.Uror, et nostro minor est calore

15 quo calet Aetna. Nec sic rapit quam flamma messis arida,nec ardet rapta sic ab ignibus seges,ventis furorem augentibus,uritur ut meum cor.

20 Nec sic feruntur Thyades incitae Patris furore Liberiacri, fixus ut in castro Cypridis invia per loca curro.Fuisse fama praedicat Medusam,

25 in gelidas quae lumine cautes humana transformare posset corpora,aquasque saxum quod daret perennes;Tantalidos Niobes meras ego haec iam fabulasrebar, heu nunc credo: venusta in silicem rigentem

30 puella visu me mea transtulit,in silicem miseris qui manat usque humoribus.

54 L’epigramma è stato pubblicato, sulla base del ms. Vat. lat. 3352, f. 22r, in C.DIONISOTTI, Amore e morte [1958], in DIONISOTTI, Scritti di storia della letteraturaitaliana. I. 1935-1962, a cura di T. BASILE, V. FERA, S. VILLARI, Roma 2005, pp. 267-275: 268. Il testo si legge anche nel ms. Vat. lat. 2835, f. 192v, dove compare in unaredazione che diverge da quella nota per la proposta di due differenti esecuzioni deldistico finale, segnalata a margine da un ut: Has etenim gerit in nitidis mea Flaviaocellis: | illa homines urit, cum libet, illa necat. Vat. lat. 3352] Haec tela gerit ‹in›nitidis mea Flavia ocellis: | illa homines urit, cum libet, illa necat. ut | Si mutare ususMortis valet, altera posthac | mitior, et solito savior alter erit. Vat. lat. 2835.

BARUFFE E PARODIE 213

Pentecontametron 8-19Iam sum liber amoribus;iam torrere meum cessat amor iecur.

10 Nec metu nec spe moveor: recessitfrigus et aestus.Preces Lethaeus audiit meas Amor,oblivionemque inferenscompede liberavit.

15 Syrtes tremendas fugimus: anchoraratem ligavit altius.Fallacis scius auraenon iterum mare naufragus intrat.Perilli in aere mugii tot annos.

In entrambi i polimetri i temi sono quelli della condizione paradossaledell’innamorato, espressa con l’immagine delle fiamme che ardono violen-te nell’animo, e soprattutto con la compresenza ossimorica di fuoco e di ac-qua, di caldo e di freddo. Nei vv. 8-19 dell’Elegia l’ardore dell’amore ap-pena nato è un fuoco che si sprigiona dalle acque del fiume: una nuovafiamma di forza straordinaria, che per iperbole richiama il calore di cui bru-cia l’Etna e che cresce improvvisa e feroce, come quella che attacca conavidità le aride messi e le devasta, sospinta da favorevole vento. Invece i vv.8-11 del Pentecontametron annunciano la liberazione dall’ardore amorosoe da un’angoscia furiosa che si alimenta simultaneamente della paura e del-la speranza, del freddo e del caldo. La contrapposizione fra i due testi è benrappresentata dal diverso uso dell’aggettivo liber, che nel v. 3 dell’Elegiadescrive la condizione che precede l’innamoramento, mentre nel v. 8 delPentecontametron dichiara la fine dell’amore.

Poi entrambi i testi ricorrono alla mitologia: l’Elegia ai vv. 20-31 ricordale Baccanti, Medusa e Niobe, per rappresentare la forza impetuosa e pietrifi-cante dell’amore, da una parte collegando il mito delle Baccanti alla prece-dente descrizione del furore che rapisce con venti di fuoco le messi inaridite(mediante l’anafora di nec, prima ai vv. 16-17 e poi al v. 20), e dall’altra av-valendosi dei miti della Medusa e di Niobe in un’unica microsequenza incen-trata sul fenomeno della pietrificazione per incantesimo (enfatizzato dalla ri-petizione anaforica in silicem ai vv. 29 e 31); il Pentecontametron ai vv. 12-19richiama invece la divinità di Amore Leteo, insieme alle Sirti e allo scultorePerillo, per dire i pericoli scampati e confermare la raggiunta saggezza di nonvolersi più allontanare dal porto, rischiando un secondo naufragio.

Al proposito può essere interessante notare che l’accostamento dei mi-ti di Medusa e Niobe, per il quale alla pietrificazione si somma la meta-morfosi in roccia piangente, è anche in un epigramma di Ercole Strozzi perLucrezia Borgia:

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO214

Si quis Apollineos perferre diutius igneis 2 lumine tentarit, lumine captus erit.

Et qui saxificae conspexerat ora Medusae, 4 mutato rigidum corpore marmor erat.

At quicunque tuos miratur, Borgia, vultus, 6 fit primo intuitu caecus, et inde lapis.

Moxque velut Sypili cautes lacrymosa madescit, 8 vivit et in saxo (quis putet) usque dolor55.

Il dialogo tra l’Elegia e l’epigramma strozziano a me sembra abba-stanza sicuro, perché una fruizione congiunta dei due miti, e soprattuttoconvergente su un unico motivo, non mi risulta attestata altrove. Né va tra-scurato che entrambi i possibili autori dell’Elegia furono in relazione conlo Strozzi, il quale ebbe nel Tebaldeo uno dei suoi più intimi amici, comerisulta dalla rappresentazione che ne diede nella Venatio56 e in tre compo-nimenti a lui indirizzati57, oltre che dalla stima attestata nell’elegia in cui la-menta di non riuscire a sottoporre al necessario labor limae i propri carmi58,e nello stesso tempo intrattenne rapporti stretti con l’Equicola, cui rivolseuna delle sue elegie più graziose e argute59. L’Equicola dovette del resto co-noscere almeno una parte dei componimenti dello Strozzi già prima dellapubblicazione del 1513, considerato che nel 1508, appena dopo la morte delpoeta, poté frugare tra le carte di lui e visionarne le stesure autografe60, eche nel 1510 mostrò di essere a conoscenza dell’incarico dato ad Aldo Ma-nuzio dai congiunti di Ercole di pubblicarne i versi61.

55 Strozii poetae pater et filius, [colophon:] Venetiis, in aedibus Aldi et AndreaAsulani soceri, 1513, f. 84r-v, dove igneis sta per ignes, e Sypili per Sipyli. Sulla poe-sia di Ercole cfr. C. MONTEFORTE, Ercole Strozzi, poeta ferrarese: la vita, le sue poe-sie latine e volgari con un sonetto inedito, Catania 1899; M. WIRTZ, Ercole Strozzipoeta ferrarese (1471-1598), in «Atti della Deputazione Ferrarese di Storia Patria»,36 (1906), pp. 21-157; C. CAZZOLA, Per una lettura degli epigrammi latini di Tito edErcole Strozzi per Lucrezia Borgia, in «Schifanoia», 26-27 (2004), pp. 7-37: 31.

56 Venatio ad Divam Lucretiam Borgiam Ferrariae Ducem, in Strozii poetae pa-ter et filius cit., ff. 14r-30r. Nel poemetto il Tebaldeo è presentato in compagnia delcane Borgetto (vv. 276-282), al quale anche Ercole – come già ricordato – dedica unepitaffio (Borgeti canis Epicedium per Herculem Strozam Titi filum, ff. 45r-48v).

57 Ad Antonium Thebaldeum, ibid., ff. 58v-60r; Ad Thebaldeum, ibid., f. 91v;Ad Thebaldeum, ibid., f. 94r-v.

58 Queritur, relictis Musis, regendae reipublicae incubuisse. Ubi praesagit bre-vi se moriturum, inemendatosque relicturum suos libellos, ibid., ff. 67v-69v.

59 In tunicarum munus pro Mario Aequicolo, ibid., ff. 80r-81r.60 Cfr. la lettera dell’Equicola a Isabella d’Este del 24 agosto 1508, da Ferrara,

pubblicata in CAZZOLA, Per una lettura cit., p. 31. Il testo è conservato presso l’A-SMn, Archivio Gonzaga, b. 1242, f. 4r-v.

61 Cfr. la lettera dell’Equicola ad Aldo Manuzio del 10 marzo 1510, da Manto-

BARUFFE E PARODIE 215

III) Elegia 32-48 vs Pentecontametron 20-43: effetti dell’innamora-mento vs effetti della liberazione dall’amore.

Alla rappresentazione della passione condotta nell’Elegia, che dipingea tinte fosche il dolore straziante e l’indomabile carica autodistruttiva del-l’innamorato, corrisponde nel Pentecontametron quella del pentimento se-reno e della felicità della nuova vita. Entrambe sono centrate sugli effetti to-pici dell’amore, in un caso lamentati come presenti e nell’altro dichiaratiormai passati: le lacrime, l’insonnia, il dolore, il desiderio di morire. Evi-dente in particolare la contrapposizione tra l’insonnia dell’amante infelicee i sonni tranquilli dell’uomo divenuto saggio, tra la condizione di perennedormiveglia dell’uno, che non distingue più la notte dal giorno, e l’arrivoper l’altro di una nuova alba e di giorni più luminosi:

Elegia 32-48Res mira, semper amnibus tenor non estidem: modo alveus quasi aridus, modo intumens est.Mea, seu caelum horrescit glacie

35 seu rapido igne Canis ardet, lachrymis mage plena fluuntlumina, quae placidus reliquitsomnus. Nulla dies hos potis est claudere turgidosnox nulla ocellos; nec deus,

40 servantibus divae iuvencam qui potuit soporem centum oculis immittere, mollisollicitum caput hoc quietevincat. Nil mihi carmina Circes,nil herba mihi profuit: errat,

45 qui quaerit his opem artibus amoris. Unus vulnerasanat amor: fera quae me perculit hasta, morsque nigrafinem huic dare feroci potest dolori.

Pentecontametron 20-4320 Non eadem est mens, non eadem aetas:

barba albicat, canis caput iam aspergitur.

va (ms. Vat. lat. 4104, f. 51r), edita in DE NOLHAC, Les correspondants d’Alde Ma-nuce cit., p. 91, lett. 81: «Clarissime vir, al mio partire di Ferrara, il quale fo repen-tino, me parlarno li Strozi facendomi intendere che la Illustrissima S. Duchessa ha-veva electo voi, il quale havesse ad corregere le opere del mio Messer Hercule Stro-za. Laudai la electione summamente et del mio Messer Aldo parlai como meritanosue excellentissime virtù, lettere et bontà. Ve prego me vogliate dare aviso quel neè seguito, che me serrà cosa gratissima». Cfr. anche PASTORELLO, L’epistolario ma-nuziano cit., p. 33, lett. 207.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO216

Tulisse taedet quae tuli impudenter.Fabula quanta fui, scio: tacebit nunc loquax.Ivi ego ad certamen iniquum in dubio duello;

25 receptui demum tuba concinit.Asserui miserum me a servitutis vinculo.Vulnus reformidans manum in cicatricemtandem coivit: obstinatus obstiti valenter.Tenebras sol dimovit radiis.

30 Clarior ecce dies: risus, lepidisque lepos salibusdelitiae et iocus omnis adsunt.Vivebam alterius, qui in proprio corpore mortuus;nunc vivo amicis et mihi.

35 Plenae querelarum repulsaeiraque amantium et crux et rabies quam iniuria movit,curaque zelotypos adurenset desiderium periere.Preposta meis munera nostri

40 rivalis et data invicem: color colori concolor.Et dolor et lacrimae et suspiria corde tracta ab imodormire mihi somnos sinunt quietos.

L’Elegia dice la meraviglia, l’innaturalità paradossale di un dolore chescorre sempre a sé uguale, sia che inorridisca il gelo sia che arda la canico-la. Sempre le lacrime scorrono abbondanti, sempre gli occhi invocano in-vano che una placida notte scenda su di loro. La sorte dell’innamorato è di-versa da quella del pastore Argo, il custode dai cento occhi addormentatodal flauto di Ermes mentre sorvegliava Io: nessun dio gli dona mai un po’di sopore. Né a lui giovano le formule e le erbe della maga Circe, perchésoltanto l’amore può sanare le ferire dell’amore62.

Nel Pentecontametron invece, dalla prospettiva della maturità e dellasaggezza, propria di un uomo cui la barba sta diventando bianca e i capellisi stanno incanutendo, l’Equicola riconosce che non ha più l’età e la mente

62 A proposito dell’espressione sanat amor (v. 47) merita di essere segnalatoche, volgendo in latino il sonetto petrarchesco Pace non trovo, et non ò da far guer-ra (Rvf 134), il Tesauro così rendeva i vv. 7-8 dell’ipotesto («et non m’ancide Amo-re, et non mi sferra, | né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio»): «Nec perimit necsanat Amor. Mihi perfidus annos | demetit, atque annis finem non destinat ullum»(cfr. E. RAIMONDI, Un esercizio petrarchesco di Emanuele Tesauro, in RAIMONDI,Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano, Ristampa aggiornata, Firenze1991, pp. 77-94, alla p. 85). Dove il sintagma Amor perimit è poi, ad incrementaregli intrecci, nel Tebaldeo del citato epigramma De amore et morte, al v. 5: «Morsaccendit, Amor perimit, cum spicula torsit».

BARUFFE E PARODIE 217

di un tempo, e che ora prova vergogna di aver sopportato quello che ha sop-portato. Sul modello di Orazio prima e del Petrarca poi, ora ben vede comefavola fu gran tempo al popol tutto. Il suo canto, rimarginata la ferita, suo-na la ritirata. L’alba di una nuova vita ha dissipato le tenebre della notte: sipreannunciano giorni più chiari, di facezie e risa, di delizie e giochi, di ar-guzie piacevoli. Egli ha recuperato sé stesso: ora per sé e per gli amici vi-ve una vita che gli appartiene. Lontani, come bagliori di una fiamma cheappena intacca la linea dell’orizzonte, riemergono i più temibili vitia del-l’amore passato: l’ira arrogante, i rifiuti e i lamenti, l’angoscia della gelo-sia, i tormenti e la rabbia, e ancora la preferenza accordata al rivale. Oraniente più dolore, lacrime e sospiri; ora può dormire sonni tranquilli.

In questa sequenza centrale i due polimetri si muovono in modo abba-stanza autonomo l’uno dall’altro. Il Pentecontametron, ad esempio, nonsembra rispondere a una specifica argomentazione dell’Elegia laddove pri-ma enuncia il pentimento, ai vv. 20-23, e poi ricorda la passata guerra d’a-more, ai vv. 24-28; e anche quando svolge l’elenco dei vitia amoris, ai vv.33-43, risponde in modo parziale e insieme sproporzionato all’altro testo,che è focalizzato soltanto su quattro di quei vitia (le lacrime, l’insonnia, ildolore e il desiderio di morire). Inoltre l’Elegia esprime qui quell’opposi-zione tra il caldo e il freddo che nel Pentecontametron compare nella se-quenza precedente, ai vv. 10-11.

La maggiore libertà di movimento dei due polimetri nella parte centraleemerge anche dalla loro differente articolazione metrico-sintattica, segnatanell’Elegia da almeno tre forti enjambements, e invece nel Pentecontametrongiocata spesso su versi sintatticamente autonomi. Nell’Elegia risulta inoltreprevalente la costruzione negativa: ai vv. 38-39 abbiamo nulla dies e nox nul-la (38-39), in chiasmo; al v. 30 nec, già presente ai vv. 16-17 e 20; e ai vv. 43-44 la ripetizione anaforica di nil, rafforzata dalla ripetizione anche di mihi.

IV) Elegia 49-60 vs Pentecontametron 44-55: trionfo dell’amore vstrionfo della libertà.

Le due sequenze hanno la medesima estensione (dodici versi) in en-trambi i testi. Il loro percorso argomentativo potrebbe essere così schema-tizzato, ponendole a confronto: preghiera a Cupido di disamorare l’inna-morato o di esaudire i suoi desideri vs richiesta a Cupido di restare lontano;Licoride spietata vs amata disperata; trionfo dell’amore vs trionfo del disa-more. Abbastanza simile anche l’articolazione sintattica, imperniata su pro-posizioni interrogative:

Elegia 49-60Misero parce, Cupido, precor. In me

50 tua quid spicula torques? Quis honos? Quae tibi laus estpuerum figere inermem, puer saeve?

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO218

Tuae quid aetati noces, crudelis?Senes vince severoset iugo iuvenum preme

55 colla fortia, si triumphare concupis, ut telitem decet, vel pectora ferrea percutiasimpiae Lycoridis.Ego non faces tuas, non tua vincula fugio.Quaero ut vincta pari calescat igne:

60 amare non amantem, onus miserrimum est.

Pentecontametron 44-55Abeas quaeso Cupido procul a me:

45 tua mi castra secuto toties maxima vota inerant velle moriri.Amabit unquam quis rogo fide tanta?Amatae quis honoreset tuos canet unius?

50 Illa nomine me vocatura saepius unguibusore morsis, expetet anxia sollicitidiligentiam obsequi.Ego amator ocii iam iam animi ad bona propero.Qualiscumque mihi valebit ergo.

55 Io triumphe! Me quis est beatior?

Nell’Elegia l’innamorato prega Cupido che non lo tormenti più oppu-re che celebri il proprio trionfo colpendo anche il ferreo cuore della spieta-ta Licoride. Invece nel Pentecontametron l’Equicola prima chiede a Cupi-do di restare lontano da lui, poi prospetta per la donna un tempo amata unfuturo di disperazione, e infine rappresenta sé stesso che gode della ritro-vata libertà e dichiara il proprio trionfo. Evidente in particolare l’opposi-zione tra il trionfo dell’amore e quello del disamore, tra Cantelmus che ri-conosce il trionfo del dio su di lui, oppresso dal giogo d’amore, ed Equico-lus che celebra il proprio trionfo, libero dall’amore.

V) Elegia 61-68 vs Pentecontametron 56-63: supplizi presenti vs sup-plizi passati.

Nell’epilogo in distici elegiaci, le differenze di contenuto sono limita-te, ma comunque significative. Anche in questo caso la prospettiva è infat-ti opposta:

Elegia 61-68Tantalus ille ego sum qui poma fugacia captat,

quem sitis in mediis arida torret aquis.Ille ego sum Ixion cita vinctum quem rota versat.

Sisyphus ille ego sum quem grave laxat onus.

BARUFFE E PARODIE 219

65 Belides illae ego sum cava quas implere volentes dolia frustratus detinet usque labor.

Ille ego sum Tityus volucres qui pectore pascit.Omnia vesano haec sunt in amore mala.

Pentecontametron 56-63Tantalus ille olim, nunc poma fugacia capto,

aridaque e nostro est pectore pulsa sitis.Qui saxum frustra volvebam Sisyphus ingens,

nunc tenet immotum dulcis et alta quies.60 Belides, Ixion, non sum velut ante, sed undas

mecum habeo et velox constitit axe rota.Et Tityi iecur hoc in poenas usque renascens

impastas tandem libere abegit aves.

I miti della sofferenza richiamati nei due testi sono i medesimi cinque,ma con la differenza che Issione nell’Elegia ha un verso interamente a luidedicato, mentre nel Pentecontametron è richiamato nel distico in cui siparla anche delle Danaidi. Nell’Elegia il modello prevalente della chiusa indistici elegiaci è Tibullo, nel Pentecontametron è Ovidio. Ma poi entrambii testi costruiscono mosaici abbastanza raffinati, accostando tessere prove-nienti anche da poemi quali l’Eneide e la Tebaide. Prossima la costruzionedel primo verso della sequenza: «Tantalus ille ego sum qui poma fugaciacaptat» (Elegia 61) vs «Tantalus ille olim, nunc poma fugacia capto» (Pen-tecontametron 56), in entrambi i casi con fruizione di una clausola ovidia-na: «poma fugacia captat» (am. 2, 2, 43). Nel secondo verso compare il me-desimo sintagma arida sitis (attestato in LUCR. 3, 917 e 6, 1180 [1175]; e inOV. met. 11, 129), ma diversamente dislocato: nell’Elegia posto integro al-l’interno del verso, e invece spezzato tra inizio e fine verso nel Pentecon-tametron. Ne deriva che soltanto l’Elegia dà una rappresentazione ossimo-rica della condizione di Tantalo, il quale brucia nell’acqua di un fuoco cheproprio dall’acqua è alimentato. In comune i due polimetri hanno inoltre ilmedesimo avvio di verso con Belides e l’impiego del termine rota per direlo strazio di Issione. Distingue invece l’Elegia l’iterazione con valore strut-turale di ille ego sum (illae ego sum per le Danaidi), espressione che prece-de o segue tutti i personaggi mitici menzionati, laddove il Pentecontame-tron pone al centro della sequenza un chiaro non sum velut ante, riferendo-si congiuntamente alle Danaidi e a Issione, e poi gioca sull’opposizione traolim e nunc per Tantalo, ripete nunc per Sisifo, e chiude con un tandem ri-ferito a Tizio.

La differenza più significativa consiste nella chiusa epigrammaticadell’Elegia, «Omnia vesano haec sunt in amore mala», costruita tramitel’intarsio del sintagma vesanus amor, prelevato da PROP. 2, 15, 29: «Errat,qui finem vesani quaerit amoris» (luogo già usufruito nei vv. 44-46 della

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO220

stessa Elegia: «errat, | qui quaerit his opem artibus | amoris»), con l’espres-sione in amore mala, derivata da LUCR. 4, 1141-1142: «Atque in amore ma-la haec proprio summeque secundo | inveniuntur». Ed è notevole che l’Ele-gia ribalti il significato del verso lucreziano, passando dai mali nascosti inamore secundo a quelli presenti in amore vesano, ed insieme operi quel ro-vesciamento all’interno di un rispetto sostanziale della concenzione amoro-sa esposta da Lucrezio nel quarto libro del suo poema.

La presenza di una chiusa epigrammatica fa pensare più allo stile delTebaldeo che a quello dell’Equicola, così come il ricorso dell’Elgia alla sen-tenziosità in almeno altri due luoghi: «Unus vulnera | sanat amor» (46-47);«amare non amantem, onus miserrimum est» (60). La sentenziosità tuttavianon manca nemmeno nel Pentecontametron: «Fallacis scius aurae | non ite-rum mare naufragus intrat» (17-18). Né in esso manca il rapporto con Lu-crezio. Rispetto all’Elegia, il Pentecontametron si avvale anzi di una tramaintertestuale più fitta e complessa, che coinvolge non soltanto la lirica maanche l’epica, e nell’insieme si presenta come una dimostrazione di affinatecompetenze umanistiche. L’analisi dei loci paralleli di sicura pertinenza la-scia infatti emergere una meditata strategia musiva, per la quale l’interte-stualità tende spesso ad assumere le forme della scissione, dell’inversione odella sovrapposizione.

Ai vv. 20-23 l’Equicola esprime il proprio pentimento attraverso unamosaico di tessere prelevate da Ovidio e da Orazio, per il tramite del Pe-trarca (Rvf 1, 9-11: «Ma ben veggio or sì come al popol tutto | favola fuigran tempo, onde sovente | di me medesmo meco mi vergogno»). Al v. 20,l’inversione e la conseguente variazione ritmico-strutturale riguardano unatessera oraziana: «non eadem est aetas, non mens» (HOR. epist. 1, 1, 4) >«Non eadem est mens, non eadem aetas». Il v. 22 riformula un verso ovi-diano: «et quae non puduit ferre, tulisse pudet» (OV. am. 3, 11a, 4) > «Tu-lisse tedet, quae tuli impudenter». Il v. 23 attinge di nuovo a Orazio: «Heume, per urbem (nam pudet tanti mali) | fabula quanta fui! …» (HOR. epod.11, 7-8) > «Fabula quanta fui, scio: tacebit nunc loquax». Importante è co-munque soprattutto il nesso intertestuale con il carme ovidiano, che rivelaun altro modello essenziale del polimetro equicoliano, in quanto anch’essoassume ad argomento la fine di un amore, se non dell’amore.

Al v. 29 un caso unico nel testo per complessità d’intrecci: mentre laprima redazione («Aurora dimovit noctis umbras») deriva abbastanza fedel-mente da VERG. Aen. 3, 589 e 4, 7 («umentemque Aurora polo dimoveratumbram»), la seconda («Tenebras sol dimovit radiis») complica il gioco conalcune scelte ispirate da un gusto intellettualistico della variatio: innanzi tut-to sceglie una tessera antica meno nota (LUCR. VI 869: «inde ubi sol radiisterram dimovit obortus») e la combina con una tessera moderna che proprioda quella antica deriva (PONTANO hendec. I 8, 5: «Pellit sol radiis suis tene-

BARUFFE E PARODIE 221

bras»), secondo una dinamica intertestuale bidirezionale, che dialoga insie-me con gli antichi e con i moderni che imitano gli antichi; poi colloca la pa-rola finale del verso pontaniano in posizione iniziale (tenebras), quindi spez-za l’unico sintagma comune alle due tessere (sol radiis) e ne distribuisce imembri in seconda e ultima posizione, e infine colloca al penultimo posto laparola che occupa la stessa posizione nel verso lucreziano (dimovit), in mo-do che il prelievo risulti equamente distribuito fra i due autori (tenebras dalPontano, sol radiis dal Pontano e da Lucrezio, dimovit da Lucrezio).

Altri giochi combinatori si concentrano poi nell’epilogo in distici ele-giaci. Il v. 56, «Tantalus ille olim, nunc poma fugacia capto», deriva da OV.am. 2, 2, 43-44, «Quaerit aquas in aquis et poma fugacia captat | Tantalus»,con prelievo della clausola finale e anticipazione all’inizio del verso del no-me proprio collocato nel secondo dei due versi ovidiani. Nel v. 57 della pri-ma redazione, «aridaque e nostro pectore pulsa sitis», l’incipit staziano«Pulsa sitis» di Theb. 5, 1, si trasforma in clausola e su di esso si innesta,con inversione dei membri, il sintagma «sitis arida», lucreziano prima (6,1180 [1175]) e ovidiano poi (met. 11, 129). Al v. 59 diventa invece clauso-la un incipit virgiliano (Aen. 6, 522: «dulcis et alta quies»). Al v. 60, «Beli-des, Ixion, non sum velut ante, sed undas», i due membri della clausola ovi-diana «Belides undas» (met. 4, 463 e Ib. 178) sono collocati, rispettiva-mente, all’inizio e alla fine del verso.

Un’altra caratteristica del Pentecontametron è inoltre il riuso di alcunetessere prelevate da contesti non elegiaci, offerti da opere quali l’Eneide diVirgilio, le Metamorfosi di Ovidio, il De rerum natura di Lucrezio, la Far-salia di Lucano e la Tebaide di Stazio. Il che potrebbe essere dettato ancheda un consapevole sforzo di rinnovare lo stile e le immagini dell’elegia, perquanto si tratti di pratiche intertestuali abbastanza diffuse, fra Umanesimoe Rinascimento. Rappresentativo in tal senso soprattutto l’ultimo verso,«impastas tandem libere abegit aves», che esibisce un sintagma, impastaavis, attestato soltanto in STAT. Theb. 1, 625.

6. L’Equicola e la deriva elegiaca del petrarchismo

Una certa insofferenza dell’Equicola nei confronti della tradizione ele-giaca non deve sorprendere, considerato che nel Libro de natura de amore,fin dalla redazione manoscritta, egli censura la stanca ripetizione dei piùabusati topoi della poesia amorosa, in particolare di tipo elegiaco, esclu-dendo dalla rassegna delle moderne opere sull’amore quelle prive diprofonda cultura e di adeguate competenze tecniche. In questione non è l’e-legia in quanto tale, ma la straripante produzione contemporanea di tonoelegiaco. L’Equicola rivolge infatti i propri strali contro la lirica più ripeti-tiva e asfittica, chiusa nel giro stretto di consumati giochi metaforici. L’at-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO222

tacco alla folla di rimatori è condotto con tono fermo e insieme divertito,lasciando emergere dall’accumulo di topoi lo svuotamento di qualsiasi va-lenza conoscitiva, anzi la palese incapacità ad andare oltre una descrizioneconvenzionale dell’amore:

Ho pretermessi de infiniti versificatori la ‹gran turba, per› essere stati partealla loro fama superstiti, et parte ‹più presto› de loro accidenti che de natu-ra di amore scriveno, raccontando timori, speranze, suspitioni, gelosia, cu-re, pensieri, pene, tormenti, martyri, cruciati, lai, guai, oimei, dolori, dissci-dii, reconciliationi, guerre, paci, tregue, partenze, retorni, con querele etstridi, più volte contra fortuna et caso, con accusare li celi et maldire allanatura, per essere loro pecto fornace ardente, receptaculo di fiamme, Ethnaet insule vulcanie di incendii et vapori piene, il core signo exposto a vene-nate et mortifere sagicte, li occhi fonte abundantissimo di lacrime, li suspi-ri furiosi venti, et infiniti altri miraculi, tra quali il minimo è che viveno sen-sa anima. O vero, se la amata laudano, diva et dea nominandola, di quellamille volte replicano divini moti, angelici custumi, celesti portamenti, piùche humane actioni, parole che ’l sole fermano et il mare fanno tranquillo,de oro li crini, de hebeno le ciglia, stelle li occhi, rose le guancie, coralli lelabra, di avorio li denti, di lacte il pecto, poma le mamelle, di neve le ma-no, di perle le ungie (Libro ms., pp. 228-229 [= ff. 17v-18r])63.

Elenco coloratissimo, e dilettevole, ma anche polemico, di polemicaironia64. Lo si può considerare bipartito: infatti vengono enunciati distinta-mente i topoi dell’innamoramento e quelli della lode dell’amata. All’inter-no del primo gruppo sembra poi avvertibile una progressione in tre mo-menti, che dagli effetti dell’amore conduce ai lamenti degli innamorati e ai“miracoli d’amore”. Nel segmento iniziale scoperta è l’allusione a un luo-go dell’Eunuchus di Terenzio già messo a frutto da Cicerone (Tusc. 4, 35,

63 Il brano, contenuto nel capitolo del Libro ms. intitolato «Opinioni de’ mo-derni scriptori circa le cose de amore» (secondo del libro I), torna con variazioni mi-nime, e per lo più grafiche, nel «Prohemio» del Libro a stampa. Preferisco citaredalla redazione ms., cronologiamente più vicina alla composizione dell’Elegia e delPentecontametron.

64 Su di esso e più in generale sulla presenza della modalità ossimorico-amo-rosa nel Libro, cfr. R. GIGLIUCCI, Contraposti. Petrarchismo e ossimoro d’amore nelRinascimento: per un repertorio, Roma 2004, pp. 49-54. Si soffermano sul branoanche M. AURIGEMMA, Il gusto letterario di Mario Equicola nella prima parte delDe natura de amore, in Studi di letteratura e storia in memoria di Antonio di Pietro,Milano 1977, pp. 86-106: 91; M. BEER, Romanzi di cavalleria. Il «Furioso» e il ro-manzo italiano del primo Cinquecento, Roma 1987, pp. 83-108; e A. QUONDAM,Sull’orlo della bella fontana. Tipologie del discorso erotico nel primo Cinquecento,in Tiziano. Amor Sacro e Amor Profano, Milano 1995, pp. 65-81.

BARUFFE E PARODIE 223

76) e anche dal Petrarca, sia nel Secretum (ed. Carrara, pp. 159-160), sullascorta di Agostino (Civ. 19, 5), sia – limitatamente all’incerto trascorreredell’innamorato dalla pace alla guerra e da questa alla tregua – in alcuni te-sti dei Rerum vulgarium fragmenta (105, 74; 150, 1-2; 316, 1-2), oltre chenel Triumphus Cupidinis (3, 151-153):

In amore haec omnia insunt vitia: iniuriae, suspiciones, inimicitiae, indutiae, bellum, pax rursum: incerta haec si tu postules ratione certa facere, nihilo plus agas quam si des operam ut cum ratione insanias (Eun. 1, 59-63).

L’Equicola colloca tuttavia in un diverso contesto l’enunciazione deimalanni amorosi e la priva di qualsiasi valenza antierotica, mettendola alservizio di una diversa polemica, non contro l’amore in sé ma contro la poe-sia amorosa priva di sostanza filosofica. Ne deriva un’accumulazione cheinnesta sui vitia enunciati da Terenzio i topoi del lamento d’amore più dif-fusi nella lirica umanistico-rinascimentale. La tessera terenziana viene cosìusufruita in un attacco che ha obiettivi meno generici e più vicini.

Nello stilare il suo catalogo, l’Equicola ebbe certo presenti gli Asola-ni, a partire dalle sequenze dedicate ai “miracoli d’amore”, prima nella pro-spettiva di Perottino (1, 12-18), che li enumera a sostegno della divinità diamore, e poi in quella opposta di Gismondo (2, 8-9), che li annette alla sfe-ra della pura finzione letteraria. Ma la carica polemica del brano coinvolgepoi l’intero panorama della poesia amorosa, che tra Quattro e Cinquecentodivenne anche rito sociale e mondano, arrivando a coinvolgere produttori efruitori di limitata cultura. Molti degli abusati topoi stigmatizzati compaio-no del resto non soltanto nei testi di autori minori e minimi che saturaronoi propri versi di luoghi comuni, senza misura alcuna, ma anche nelle operepiù rappresentative della poesia cortigiana, dagli Strambotti di SerafinoAquilano alle Rime del Tebaldeo.

I componimenti che l’Equicola intendeva biasimare non dovevano es-sere diversi da un sonetto come Dui vivi soli, or fino, hebeno raro, oggi at-tribuito al Tebaldeo (Rime 325)65, ma in passato ritenuto di Cino da Pistoia,e anche del Bembo, che certo lo tenne presente nel sonetto Crin d’oro cre-spo et d’ambra tersa et pura (Rime 5)66. Esso costruisce infatti, su una fit-

65 Cfr. TEBALDEO, Rime cit., III/1, pp. 170-172.66 Per l’attribuzione del sonetto Dui vivi soli, or fino, hebeno raro al Bembo,

oltre che a Cino e al Tebaldeo, cfr. PIETRO BEMBO, Rime, a cura di A. DONNINI, Ro-ma 2008, I, p. 19, e II, p. 593. Ma l’assegnazione del testo a Cino e la sua fruizioneda parte del Bembo erano già nel commento di Sertorio Quattromani alle Rime bem-biane: «Sonetto quinto. Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura. Ad imitation di

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO224

ta trama petrarchesca, una descrizione dell’amata simile a quella sbeffeg-giata nel Libro ms:

Dui vivi soli, or fino, hebeno raro, onde Amor l’arco e reti e faci prende; dui pomi, quai non so se altro horto rende,

4 che cela un velo ingiurïoso e avaro; vermigli fior’ che al giel mai non mancaro,

neve al sol salda, perle senza mende, parlar che muta in marmo chi l’intende,

8 riso che il mar tranquillo e il ciel fa chiaro; senno maturo in non matura etate,

novo habito, accorti atti, andar celeste, 11 infinita beltà con honestate,

fur l’ésca con che il foco m’accendeste. Ch’io arda, donna, per voi non ve ammirate:

14 meraviglia vi sia che vivo io reste.

Il punto di contatto più forte del discorso equicoliano con il sonetto sistabilisce al v. 8, che costruisce un’immagine in parte nuova, o comunquela esprime in modo abbastanza originale, per quanto si avvalga del sintag-ma petrarchesco «mar tranquillo» (Rvf 312, 2 e 323, 16). Allora merita diessere segnalato che nel Libro ms. il segmento «parole che ’l sole fermanoet il mare fanno tranquillo» è inserito a margine in fase di revisione; e an-che che nella stampa il segmento viene ridotto all’espressione «parole che’l mar fan tranquillo» e insieme fatto precedere dal sintagma «li acti vaghiet adorni» (Libro, f. 2v), il quale ancora una volta richiama il sonetto tebal-deano, in cui si parla di «accorti atti» (v. 10). Non va tuttavia trascurato cheformulazioni simili, del resto abbastanza diffuse nella tradizione lirica, ri-corrono anche nella canzone bembiana Perché ’l piacer a ragionar m’in-voglia (Asolani 3, 8), dove nelle stanze seconda e terza viene rappresentatala miracolosa metamorfosi della natura suscitata dall’apparizione dell’ama-ta, e soprattutto trovano riscontro nel Boiardo degli Amorum libri: «Al suodolce guardare, al dolce riso | l’erba vien verde e colorito il fiore | e il mar

questo il Casa fece quel sonetto che comincia Sagge, soavi, angeliche parole. Et ilBembo tolse il concetto da questo sonetto di misser Cino da Pistoia: “Duo vivi so-li, or fino, hebano raro» (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Palat. 1036, f.2r-v). Sul commento del Quattromani, del quale ho allestito un’edizione per la miaricerca di dottorato (L’esegesi della lirica dei “moderni” nel Cinquecento: indagi-ni e prospettive, relatore A. Quondam, XX ciclo, a.a. 2007-2008), cfr. G. GORNI, Uncommento inedito alle Rime del Bembo da attribuire a Sertorio Quattromani, in Ilcommento al testo lirico. Atti del Convegno, Pavia 25-26 ottobre 1990, a cura di B.BENTIVOGLI e G. GORNI, in «Schifanoia», 15-16 (1995), pp. 121-132.

BARUFFE E PARODIE 225

se aqueta e il ciel se raserena» (1, 6, 12-14); «Alto diletto che ralegri il mon-do | e le tempeste e i venti fai restare, | l’erbe fiorite e fai tranquillo il ma-re» (1, 9, 1-3).

Qui importa poi che la polemica equicoliana contro gli epigoni del-la tradizione elegiaca lasci qualche traccia anche nel Pentecontametron,per quanto questo sia un’elegia a tutti gli effetti e ampiamente attingaproprio a quel repertorio topico che il Libro ms. comprime in una grotte-sca rappresentazione di assurdità logiche e di metafore inverosimili. Larappresentazione della liberazione dalla passione delineata nei vv. 35-43del polimetro si avvale infatti di un’enumerazione dei vitia amoris che,pur in assenza di precisi nessi intertestuali, si può far risalire senz’altroa quella proposta da Terenzio nell’Eunuchus, con evidenza riecheggiatanel passo in questione del Libro ms. Né il Pentecontametron resta del re-sto insensibile alla tentazione antierotica insita nella polemica antiele-giaca del trattato equicoliano, che pure è consapevolmente costruito inopposizione alla tradizione umanistica del discorso antierotico, e in par-ticolare agli Anterotica di Pietro Edo (1492) e all’Anteros di Battista Fre-goso (1496), testi entrambi accolti nel canone proposto nel libro I del-l’opera soltanto dopo qualche ripensamento e a patto di un’esplicita pre-sa di distanza67.

A mio avviso, comunque, la polemica equicoliana contro l’elegianon diviene mai rifiuto, a differenza di quanto sostiene Cracolici, per ilquale in una nutrita serie di trattati quattrocenteschi sull’amore è possi-bile constatare l’affermarsi di quell’«autentico ostracismo nei confrontidell’elegia» che «diviene categorico nel Libro de natura de amore di Ma-rio Equicola», il quale sarebbe il primo ad «attribuire alla lirica, e in par-ticolare alla lirica di tono elegiaco, un potenziale disgregante», all’inter-no dell’incerta cultura amorosa che caratterizza gli ultimi anni del Quat-trocento e i primi del Cinquecento, in cui fittamente si intrecciano com-ponenti diverse (filosofiche, teologiche, mediche, letterarie)68. Infatti la

67 Nel Libro a stampa i capitoli dedicati a Pietro Capretto (latinamente Edo) ea Battista Fregoso, il primo dei quali espunto nello stadio ultimo del Libro ms., so-no aperti entrambi da premesse cautelative che segnalano i dubbi dei contempora-nei sul valore delle loro opere. Ma diverso è il trattamento riservato ai due autoridall’Equicola, che da una parte sembra attenuare, se non rigettare in tutto, le per-plessità relative al Fregoso (ff. 26v-27r), e dall’altra mostra di condividere in pienoil giudizio negativo sull’Edo (ff. 31v-32r).

68 S. CRACOLICI, «Remedia amoris sive elegiae»: appunti sul dialogo antiero-tico del Quattrocento, in Il sapere delle parole. Studi sul dialogo latino e italianodel Rinascimento, a cura di W. GEERTS, A. PATERNOSTER e F. PIGNATTI, Roma 2001,pp. 23-35: 24-25.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO226

scelta di escludere dal Libro ms. la lirica priva di valenza filosofica è det-tata soprattutto dal desiderio di conferire un carattere scientifico al trat-tato, e mai comporta la dimenticanza della poesia, come anche dimostrail fatto che, mutati i tempi, ma non l’affondo antielegiaco, il Libro astampa concederà uno spazio ampio, per quanto separato, anche alla liri-ca, dedicando un intero capitolo del libro V all’illustrazione di come gliantichi e i moderni poeti abbiano cantato l’amore e la donna, con una se-lezione meditata e sapiente dei topoi più ricorrenti (Come latini et grecipoeti, iocolari provenzali, rimanti francesi, dicitori thoscani et trovatorispagnoli habiano loro amate lodate et le passioni di loro stessi descrit-te, ff. 187v-208v).

La censura equicoliana dell’elegia necessita inoltre di una contestua-lizzazione storico-letteraria che provi a chiarirne i rapporti con la tradizio-ne volgare del genere, a lungo priva di connotati specifici, in quanto nonidentificata con un metro e un contenuto determinati. Anzi, trovandosi alconfine di vari generi e convenzioni, l’elegia volgare finì quasi per so-vrapporsi alla poesia lirica tout court. All’interno di tale opacità e fluiditàdella codificazione, si assistette così, nel Quattrocento cortigiano e poi an-cora nel primo Cinquecento, a una vera e propria deriva elegiaca, soprat-tutto nella forma del capitolo ternario di contenuto amoroso e d’intonazio-ne lamentosa.

Una prima delimitazione dello spazio d’azione e una scarna descrizio-ne furono proposte dal Calmeta, nella lettera sul «comporre versi volgari»,indirizzata nel 1504 a Isabella d’Este: affine all’epistola e legata alla musi-ca, l’elegia sarebbe una «figura del dire mediocre», caratterizzata da «sem-plicità piena di ardore e affetti» e insieme da «cultezza e ornato», e assu-merebbe quale forma peculiare il capitolo di media estensione (cioè non su-periore ai 25-30 ternari)69. Se ne desume – secondo la Vecchi Galli – chenelle aspettative dei letterati di primo Cinquecento essa fosse «una formapoetica “mediocre” o mediana, un registro lirico e patetico quintessenziale;qualcosa di più del madrigale, di meno della canzone; una specie di canzo-ne declassata a capitolo ternario, e perciò non pienamente abilitata al tragi-co o al sublime propri della canzone. Cosicché non stupisce che, a distanzadi vent’anni [dall’epistola del Calmeta], il Libro de natura de Amore di Ma-rio Equicola (1525) tratti con fastidio (di più, censuri senza appello) la ca-sistica amorosa – euristicamente inerte – espressa dall’elegia in volgarecontemporanea»70.

69 Cfr. Littera di Vincenzo Calmeta scritta alla Illustrissima et EccellentissimaMadama Marchesana nostra, in la quale se contengono alcuni precetti e osserva-zioni pertinenti al comporre versi vulgari, in CALMETA, Prose e lettere cit., pp. 51-53: 52-54.

70 P. VECCHI GALLI, Percorsi dell’elegia quattrocentesca in volgare, in L’ele-

BARUFFE E PARODIE 227

Ma la lettura dell’opzione antielegiaca dell’Equicola in rapporto allariflessione critica del Calmeta si dimostra più utile e convincente se riferi-ta non al Libro del 1525, ma al Libro ms. degli anni 1505-1511, conside-rato che le due redazioni del brano in questione si distinguono soltanto peralcune varianti di poco conto, per lo più di ordine grafico. Infatti, ancheper il fatto che nemmeno le indicazioni calmetiane produssero una effetti-va specializzazione dell’elegia volgare, all’altezza del Libro a stampa il di-scorso dell’Equicola, pur nella sostanza rimasto invariato, sembra assume-re quale referente polemico non tanto la forma poetica mediana dell’ele-gia, quanto la smisurata proliferazione di componimenti d’intonazione ele-giaca, e in generale il petrarchismo più ripetitivo. Del resto, già BàrberiSquarotti segnalava che la pagina equicoliana contro la «gran turba» dei«versificatori» anticipa «quella, tanto più folta e più accanitamente pole-mica, che il Bruno comporrà, elencando le formule della lirica amorosa diderivazione petrarchista, nel proprologo del Candelaio»71. Nel denunciarel’assurdità logica e la frivolezza di alcuni topoi di largo impiego, mossodall’esigenza di sostanziare di pensiero la poesia lirica, l’Equicola inaugu-ra così la polemica letteraria e culturale contro il petrarchismo deteriore,con tratti di ironia che di lontano preannunciano lo sconfinamento nella sa-tira e nella parodia.

gia nella tradizione poetica italiana, a cura di A. COMBONI e A. DI RICCO, prefazio-ne di S. CARRAI, Trento 2003, pp. 37-79: 47.

71 G. BÀRBERI SQUAROTTI, L’amante cortigiano, in BÀRBERI SQUAROTTI, L’o-nore in corte. Dal Castiglione al Tasso, Milano 1986, pp. 110-128: 126.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO228

APPENDICE DI TESTI

Gli interventi sui testi sono stati minimi: sono state sciolte le abbreviazioni;la nota tironiana è stata resa con et; si è distinto u da v; si è reso j con i; l’inter-punzione è stata ricondotta alle consuetudini attuali. Le parentesi uncinate deli-mitano le integrazioni di lacune materiali. L’annotazione registra i loci parallelipiù congruenti, verificati con l’ausilio di tre preziosi database: Bibliotheca Teub-neriana Latina (BTL-1), a cura di P. TOMBEUR, Stuttgart-Leipzig (Germany) eTurnhout (Belgium) 1999; Poetria Nova. A Cd-rom of Latin Medieval Poetry(650-1250 A.D.) with a gateway to Classical and Late Antiquity texts, a cura diP. MASTRANDREA e L. TESSAROLO, Firenze 2001; Poeti d’Italia in lingua latinatra Medioevo e Rinascimento, a cura di M. PASTORE STOCCHI, R. CERVANI, P. MA-STANDREA e A. CAVARZERE (http://www.mqdq.it/mqdq/poetiditalia/).

1. Un polimetro inedito attribuibile all’Equicola

L’edizione è fondata sull’unico testimone a me noto: Città del Vaticano, Bi-blioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2835, ff. 143r-144r. Il codice, descritto inCANNATA SALAMONE, Per l’edizione del Tebaldeo latino cit., pp. 63-67, è forma-to da 281 fogli, secondo la numerazione moderna (alla quale faccio riferimento),mentre la numerazione antica salta il numero 170, passa dal numero 182 al nu-mero 186, e ripete i numeri 182-188 dopo il f. 188. Il suo stato di conservazioneappare discreto, ma i fogli in cui è stato trascritto il polimetro sono segnati dallacaduta parziale o totale di alcune lettere. Il testo è vergato da una mano elegantee calligrafica (sulla quale cfr. ibid., pp. 67-68). Come nel resto del ms. sono pre-senti interventi correttori del Colocci e del Bembo (per la cui differente tipologiacfr. ibid., pp. 71-73). In generale sul Vat. lat. 2835, che testimonia il progetto diedizione del Tebaldeo latino approntato dal Colocci e dal Bembo, cfr. DENOLHAC, La bibliothèque de Fulvio Orsini cit., p. 257; LATTÈS, Recherches sur labibliothèque d’Angelo Colocci cit., pp. 331 e 342; KRISTELLER, Iter Italicum cit.,II, 1967, p. 353; CANNATA SALAMONE, Per l’edizione del Tebaldeo latino cit.;CANNATA, Il canzoniere a stampa cit., pp. 125-142; BERNARDI, Per la ricostru-zione della biblioteca colocciana cit., pp. 29 e 35; e ID., Intorno allo zibaldonecolocciano Vat. lat. 4831 cit., p. 134 nota 29. Cfr. poi i seguenti contributi, in cuisono segnalati o citati testi presenti nel codice: CAVICCHI, Poesie storico-politi-che del Tebaldeo cit., p. 49 nota 1; UBALDINI, Vita di mons. Angelo Colocci cit.,p. 53 nota 72; GARGAN, Un umanista ritrovato: Galeazzo Facino cit., pp. 263 no-ta 25, e 267-268; M. CHIABÒ, Paolo Pompilio professore allo Studium Urbis, inUn pontificato e una città: Sisto IV (1471-1484). Atti del Convegno, Roma 3-7dicembre 1984, a cura di M. MIGLIO et alii, Città del Vaticano 1986, pp. 503-514:512 nota 46, e 514; E. GALLINA, De tribus humanistis atque tribus cardinalibus,in «Latinitas», 38 (1990), pp. 34-47: 44-45; A. ONORATO, Un umanista cremone-se del primo Cinquecento: Giovanni Benedetto Lampridio, in «Studi umanistici»,1 (1990), pp. 115-179:163-164 nota 3; QUINLAN-MCGRATH, Blosius Palladius

BARUFFE E PARODIE 229

cit., pp. 148-149; CANNATA SALAMONE, Nuovi elementi per una biografia cit., pp.49-53; EAD., Per una storia delle rime del Tebaldeo cit., p. 99; I.D. ROWLAND,Mostri e portenti nella storiografia del Rinascimento romano, in Disarmonia,bruttezza e bizzarria nel Rinascimento. Atti del VII Convegno internazionale,Chianciano-Pienza 17-20 luglio 1995, a cura di L. ROTONDI SECCHI TARUGI, Fi-renze 1998, pp. 307-317: 313; G. RONCONI, Giorgio Bevilacqua da Lazise e l’in-gresso di Ermolao Barbaro nel vescovado di Verona, in Filologia umanistica perGianvito Resta, a cura di V. FERA e G. FERRAÙ, Padova 1997, III, pp. 1631-1675:1654; M. PROVVIDENZA LA VALVA, Per un’assenza nelle “Rime” tebaldeane, in«Studi e problemi di critica testuale», 58 (1999), pp. 45-81: 53 nota 11; SHEAR-MAN, Raphael in early modern sources cit., I, pp. 640-647 e 661-662; R. FABBRI,Bartolomeo d’Alviano, condottiero e mecenate, e l’«Accademia Liviana», in LaSerenissima e il Regno. Nel V Centenario dell’Arcadia di Iacopo Sannazaro. At-ti del Convegno di Studi, Bari-Venezia 4-8 ottobre 2004, raccolti da D. CANFORAe A. CARACCIOLO ARICÒ, prefazione di F. TATEO, Bari 2006, pp. 265-283: 276 no-ta 50, e 279; T. LEUKER, Sannazaro vs. Poliziano. Gli attacchi contro la Miscel-laneorum centuria prima e la loro sconosciuta continuazione (con un epilogo de-dicato al alcune tra le prime poesie italiane contro Erasmo), ibid., pp. 457-472:466-467, 469, e 471-472.

[MARIUS]

Fessus ad umbrosas Minci consederat alnosCantelmus, sua dira animo infortunia volvens.Ut latis liber campis errare iuvencusarmentumque sequi, et matris vestigia suetus,

5 indomita cervice iugum servile recusat, flammarum sic impa‹tien›s et ‹vu›lneris altihas puer infelix m‹e›sto dabat ore q‹ue›relas.

Nullis laesus ab ignibuscaelestis pueri, qui ferula modo

10 fr‹ustra› me‹mbra› liquoribus merso nostra tuis, opti‹me› fluminum,perstat, et tactis nova flamma maiorsurgit ab undis.Uror, et nostro minor est calore

15 quo calet Aetna. Nec sic rapit quam flamma messis arida,nec ardet rapta sic ab ignibus seges,ventis furorem augentibus,uritur ut meum cor.

20 Nec sic feruntur Thyades incitae Patris furore Liberiacri, fixus ut in castroCypridis invia per loca curro.

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO230

Fuisse fama praedicat Medusam,25 in gelidas quae lumine cautes

humana transformare posset corpora,aquasque saxum quod daret perennes;Tantalidos Niobes meras ego haec iam fabulasrebar, heu nunc credo: venusta in silicem rigentem

30 puella visu me mea transtulit,in silicem miseris qui manat usque humoribus.Res mira, semper amnibus tenor non estidem: modo alveus q‹u›asi a‹ridu›s, modo intumens est.Mea, seu caelu‹m› horrescit glacie

35 seu rapido igne Canis ardet, lachrymis m‹a›ge plena fluuntlumina, quae placidus reliquitsomnus. Nulla dies hos p‹o›tis est cl‹a›u‹de›re tu‹r›g‹idos›nox nulla ocellos; nec deus,

40 servantibus divae iuvencam qui potuit soporem centum oculis immittere, mollisollicitum caput hoc quietevincat. Nil mihi carmina Circes,nil herba mihi profuit: errat,

45 qui quaerit his opem artibus amoris. Unus vulnerasanat amor: fera quae me perculit hasta, morsque nigrafinem huic dare feroci potest dolori.Misero parce, Cupido, precor. In me

50 tua quid spicula torques? Quis honos? Quae tibi laus estpuerum figere inermem, puer saeve?Tuae quid aetati noces, crudelis?Senes vince severoset iugo iuvenum preme

55 colla fortia, si triumphare concupis, ut telitem decet, vel pectora ferrea percutiasimpiae Lycoridis.Ego non faces tuas, non tua vincula fugio.Quaero ut vincta pari calescat igne:

60 amare non amantem, onus miserrimum est.

Tantalus ille ego sum qui poma fugacia captat,quem sitis in mediis arida torret aquis.

Ille ego sum Ixion cita vinctum quem rota versat.Sisyphus ille ego sum quem grave laxat onus.

65 Belides illae ego sum cava quas implere volentes dolia frustratus detinet usque labor.

Ille ego sum Tityus volucres qui pectore pascit.Omnia vesano haec sunt in amore mala.

BARUFFE E PARODIE 231

Tit. Marius: nel ms. aggiunto dal Colocci nello spazio bianco che precede l’inizio deltesto, verso il margine sinistro. 3 Nel ms. campis < campus, con espunzione della se-conda gamba della u e inserimento di un puntino sopra la prima gamba. 7 infelix]inf´lix ms. 9 ferula] funera ms. Nel codice il termine funera, sottolineato e barra-to da una linea orizzontale, è corretto dal Bembo, sul margine destro, con una parola,anch’essa sottolineata, di cui resta leggibile con sicurezza soltanto la lettera iniziale:forse fure‹…› o fune‹…›. La congettura accolta a testo è di Scorsone, che anche miha fatto notare come la ferula, del resto assai consentanea all’ambientazione bucoli-ca del carme, rappresenterebbe quasi un’anticipazione della hasta che tormenta l’in-namorato al v. 47. 16 rapit quam] quam rapit ms. L’inversione permette di ricon-durre a norma il verso, interpretabile così come un trimetro giambico. 22 ut in ca-stro] ut castro ms. L’integrazione autorizza a leggere il verso, altrimenti formato daepitrito IV + molosso (cola che l’incerta metricologia primocinquecentesca avrebbeavuto difficoltà a riconoscere), come un gliconeo catalettico. Lo stesso risultato di ot-terrebbe congetturando la lezione uti castro, che anzi è forse da ritenere più probabi-le. 39 ocellos: nel ms., sul margine sinistro, corretto dal Colocci in oculos. 49Nel ms. precor < pr´cor, con espunzione della cediglia. 55-56 te | litem: nel ms.l’espressione è corretta dubitativamente in coelitem tramite interventi che sembra dipoter attribuire al Colocci: prima te viene espunto con un tratto di penna e sostituitosul margine destro da coe-; poi litem viene sottolineato, ma con sottolineatura cassa-ta da tratti di penna, e sostituito sul margine sinistro da coelitem, a sua volta cassato.59 ut vincta: nel ms. il Bembo inserisce illa tra ut e vincta. 65 Nel ms. Belides <Bellides, con espunzione della prima l.

1-7 Per la situazione cfr. BOCCACCIO egl. 2, 5-12: «Nunc tacet omne nemus, subeuntvineta cicade, | omne pecus radios cessat, cantare volucres | desistunt et colla boumdisiungit arator | fessus et umbrosos querit per rura recessus: | me miserum male sa-nus Amor per devia solum | distrahit et longos cogit sine mente labores | ut subeamvictusque sequar vestigia nondum | cognita Pampinee». 1 Fessus: identico avvionell’epigramma del Tebaldeo De amore et morte (cfr. DIONISOTTI, Amore e morte cit.,p. 268). Ma l’aggettivo fessus a inizio di verso e di frase è ampiamente attestato nel-la poesia latina e umanistica: ad es. in Ovidio (am. 2, 9, 19; met. 10, 128; trist. 4, 1,11). 5 indomita cervice: medesimo incipit in HOR. epist. I 3, 34; e in LUC. 9, 380.6 Il sintagma impatiens vulneris è attestato in VERG. Aen. 11, 639. 7 mesto dabatore querelas: cfr. LANDINO Xandra 3, 17, 9: «Sed tamen ut moesto tristis dedit orequerelas». La clausola ore querelas, attestata in CIC. progn. fr. 4, 6 (citato in CIC. div.1, 14), è abbastanza diffusa nella poesia umanistica: ad es. si legge in PONTANOParthen. 2, 2, 69, e in MANTOVANO Parth. I 3, 537. 14-19 Cfr. OV. epist. 15, 9-12:«Uror, ut, indomitis ignem exercentibus Euris, | fertilis accensis messibus ardet ager.| Arva Phaon celebrat diversa Typhoidos Aetnae; | me calor Aetnaeo non minor ignetenet». 14-15 Cfr. l’elegia che Ercole Strozzi indirizzò all’Equicola (In tunicarummunus pro Mario Aequicolo, in Strozii poetae pater et filius cit., cc. 80r-81r): «Urorut Aetna, graveis [= graves] sed non meus ore querelas | edit, ut Herculeus igne mi-nore dolor» (vv. 75-76); e ANDRELINO amor. 1, 2, 3-4: «Torrida Sicaniis veluti caletAetna cavernis, | sic mea ferventi corda furore calent». 16-17 Cfr. OV. met. 12, 274-275: «Correpti rapida, veluti seges arida, flamma | arserunt crines …». 20 Per lacostruzione fero incitus cfr. SIL. 12, 184: «Fertur acerba lues disiectis incita portis».24-31 L’accostamento dei miti di Medusa e Niobe, per il quale alla pietrificazione si

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO232

somma la metamorfosi in roccia piangente è anche nell’epigramma di Ercole Strozziper Lucrezia Borgia citato supra al § 5 (Si quis Apollineos perferre diutius igneis, inStrozii poetae pater et filius cit., c. 84r-v). 24-27 Per lo sguardo pietrificante di Me-dusa cfr., tra gli altri, OV. met. 4, 772-781 (in part. 780-781), e 5, 177-249 (in part.216-217, 230-235 e 246-249); e LUCAN. 9, 624-684 (in part. 624-628, 645-658, 669-670 e 681-683). 28-31 Per la trasformazione di Niobe piangente in una roccia dimarmo dalla quale sgorgano lacrime cfr. innanzi tutto OV. met. 6, 301-312 (in part.310-312: «Flet tamen et validi circumdata turbine venti | in patriam rapta est; ibi fixacacumine montis | liquitur, et lacrimas etiam nunc marmora manant»), e SEN. Agam.392-397 («Tu Tantalidos funera matris | victrix numeras: | stat nunc Sipyli verticesummo | flebile saxum, | et adhuc lacrimas marmora fundunt | antiqua novas»). 31Cfr. POLIZIANO sylvae 3, 106-108: «Sed vertite, quaeso | me quoque iam dudum in si-licem, nec marmora solum | tristibus aeternum lacrimis Sipyleia manent». 34 Perla costruzione horreo glacie cfr. SIL. 4, 741-742: «Horrebat glacie saxa inter lubricasummo | piniferum caelo miscens caput Appenninus». 36-38 lachrymis … reliquit| somnus: cfr. LANDINO Xandra 4, 3-4: «cur placidus mihi relevet non somnus ocellos| cur lacrimae a facie fluminis instar eant?». 37-39 lumina … nulla ocellos: cfr. CA-TULL. 50, 10: «nec somnus tegeret quiete ocellos»; PROP. 1, 5, 11: «Non tibi iam som-nos, non illa relinquet ocellos». 39-41 Il custode dai cento occhi è il pastore Argo,incaricato da Era di sorvegliare Io, amata da Zeus, mentre il dio che lo addormenta èErmes: cfr. OV. met. 1, 610-688 e 713-750; VAL. FL. 4, 344-421. 41-43 molli …quiete | vincat: cfr. PROP. 3, 17, 42: «atque hoc sollicitum vince sopore caput»; e an-che CATULL. 63, 37-38: «Piger his labante languore oculos sopor operit; | abit in quie-te molli rabidus furor animi». 43-48 Nil mihi … potest dolori: cfr. PROP. 2, 1, 51-64, in part. 57-58: «Omnis humanos sanat medicina dolores: | solus amor morbi nonamat artificiem». Cfr. anche TIB. 2, 3, 11-14: «Pavit et Admeti tauros formosus Apol-lo, | nec cithara intonsae profueruntve comae, | nec potuit curas sanare salubribus her-bis: | quidquid erat medicae vicerat artis, amor»; OV. her. 5, 149-150: «Me miseram,quod amor non est medicabilis herbis! | Deficior prudens artis ab arte mea»; OV. met.1, 521-524: «Inventum medicina meum est, opiferque per orbem | dicor, et herbarumsubiecta potentia nobis; | ei mihi, quod nullis amor est sanabilis herbis, | nec prosuntdomino, quae prosunt omnibus, artes!”»; e POLIZIANO Stanze 108, 7-8: «né li giova asanar sue piaghe acerbe, | perch’e’ conosca le virtù dell’erbe». 43 carmine Circe:identica clausola in SIL. 8, 440. 44-46 errat … artibus | amoris: cfr. PROP. 2, 15,29: «Errat, qui finem vesani quaerit amoris». 46-47 Unus vulnera | sanat amor:riformula una nota sentenza di Publilio Siro (A 31), che applica alla fenomenologiaamorosa il mito della lancia di Peleo che ferisce e risana: «Amoris vulnus idem sa-nat, qui facit». Il motivo è di uso comune nella tradizione letteraria. Per una sua de-clinazione prossima a quella dell’Elegia cfr. OV. rem. 43-48: «Discite sanari per quemdidicistis amare; | una manus vobis vulnus opemque feret. | Terra salutares herbas ea-demque nocentes | nutrit, et urticae proxima saepe rosa est. | Vulnus in Herculeo quaequondam fecerat hoste, | vulneris auxilium Pelias hasta tulit»; e soprattutto il Petrar-ca di Rvf 75, 1-6: «I begli occhi ond’i’ fui percosso in guisa | ch’e’ medesmi poriansaldar la piaga, | et non già vertù d’erbe, o d’arte maga, o di pietra dal mar nostro di-visa, | m’ànno la via sì d’altro amor precisa, | ch’un sol dolce penser l’anima appa-ga». 47 perculit hasta: per la costruzione percellere hasta cfr. SIL. 5, 461-462, e 17,302. 48 Cfr. PROP. 1, 16, 21: «Nullane finis erit nostro concessa dolori». 49-51Cfr. T.V. STROZZI erot. 2, 5, 15-19: «Parce, puer, saevas in me torquere sagittas: | ar-

BARUFFE E PARODIE 233

denti infixum pectore vulnus alo. | Parce, puer, quid me extremum sentire furorem |cogis? An haec ullum vindicat ira nefas». 49 Misero parce Cupido precor: tra glialtri, cfr. TIB. 1, 4, 83: «Parce, puer, quaeso: ne turpis fabula fiam»; OV. rem. 3-4:«“Parce tuum vatem sceleris damnare, Cupido, | tradita qui totiens te duce signa tu-li»; OV. trist. 2, 179-180: «parce, precor, fulmenque tuum, fera tela, reconde, | heu ni-mium misero cognita tela mihi!». 50-51 Quis honos? … puer saeve?: cfr. LANDI-NO Xandra 4, 19-20: «Quae te, quae laus est, quae gloria tanta misellum | perdereme?». 50 spicula torques: nella poesia classica la costruzione torquere spicula è at-testata in contesti epici, ad es. in Virgilio (Aen. 11, 773), Stazio (Theb. 4, 325, e 8,537) e soprattutto Silio Italico (4, 190 e 557; 10, 122-123; 12, 400-401; 14, 377; 15,669). Ricorre invece di frequente nella lirica umanistica (ad es. al v. 5 dell’epigram-ma tebaldeano De amore et morte: «Mors accendit, Amor perimit, cum spicula tor-sit»). 51 puer saeve: cfr. OV. am. 1, 1, 5: «“Quis tibi, saeve puer, dedit hoc in car-mina iuris?». 53 Per il sintagma senes severi cfr. LUC. 6, 453-454: «flammisque se-veri | illicitis arsere senes». 56 Il sintagma pectora ferrea è attestato in IUV. sat. 7,150. 60 Cfr. MARULLO epigr. 1, 45, 11: «Nam miserrimum amare non amantemest». L’espressione gnomica riecheggia un noto proverbio medievale: «Illi poena da-tur qui semper amat, nec amatur» (H. WALTHER, Lateinische Sprichwörter und Sen-tensen des Mittelalters in alphabetischer Anordnung, 5 voll., Göttingen 1963-1967,nr. 11477). 61-68 Nell’epilogo in distici elegiaci l’espressione ille ego sum svolgeuna funzione strutturale evidente, considerato che viene ripetuta quattro volte, in duecasi a inizio verso, e che una quinta volta è variata in illae ego sum. Il modulo è ab-bastanza comune: ad es. ricorre a inizio verso in vari luoghi ovidiani (Pont. 1, 2, vv.33, 34, 129, 131, 136; Pont. 4, 3, vv. 11, 13, 15, 16, 17; Ib. 247; met. 4, 226; trist. 4,5, 12), oltre che in PROP. 4, 9, 39 e TIB. 1, 6, 31. Notevole l’esempio proposto da Pom-ponio Gaurico nell’elegia Credam ego servitiis venisse oblivia tantis? (nona in Pom-ponii Gaurici Neapolitani Elegiae XXIX, Eclogae IIII, Sylvae III, Epygrammata, [Ve-nezia], [Francesco Bindoni e Maffeo Pasini], 1526), dove la formula ille ego (sum) èripetuta quattro volte e soprattutto è completata da ben dodici proposizioni relative:cfr. NICASTRI, Properzio coturnato cit., pp. 63-67. Ille ego apre anche il carme del-l’Equicola incluso nel poema Lo Balzino (6, 943-980): cfr. ROGERI DE PACIENZA, Ope-re cit., pp. 215-216. 61-67 La sequenza deve molto a un passo di Tibullo dedicatoai supplizi di Issione, Tizio, Tantalo e Danaidi (1, 3, 73-80), tranne che per il disticosu Tantalo e il verso dedicato a Sisifo, derivati da Ovidio (rispettivamente am. 2, 2,43-44, e met. 13, 26). Tra gli altri luoghi che rappresentano insieme o distintamente ipiù noti miti di supplizi infernali, cfr. OV. met. 4, 456-463 (Tizio, Tantalo, Sisifo, Is-sione e le Danaidi); OV. Ib. 173-180 (Sisifo, Issione, le Danaidi e Tantalo); HOR.epod. 17, 65-69 (Tantalo e Sisifo); PROP. 2, 17, 5-10 (Tantalo e Sisifo), e 4, 11, 23-26(Issione e Tantalo). 61-62 Cfr. OV. am. 2, 2, 43-44: «Quaerit aquas in aquis et po-ma fugacia captat | Tantalus: hoc illi garrula lingua dedit». 62 Per il sintagma sitisarida cfr. LUCR. 3, 917 e 6, 1176 [1175]; e OV. met. 11, 129. 63 Cfr. TIB. 1, 3, 73-74: «Illic Iunonem tentare Ixionis ausi | versantur celeri noxia membra rota». Cfr. an-che OV. Ib. 174: «quique agitur rapidae vinctus ab orbe rotae». 64 Cfr. OV. met.13, 26: «Aeoliden saxum grave Sisyphon urget». 65-66 Cfr. TIB. 1, 3, 79-80: «etDanai proles, Veneris quod numina laesit, | in cava Lethaeas dolia portat aquas». 67Cfr. TIB. 1, 3, 75-76: «porrectusque novem Tityos per iugera terrae | adsiduas atro vi-scere pascit aves». Per la clausola pectore pascit cfr. CLAUD. carm. min. 53, 21-22:«hinc volucrem vivo sub pectore pascit | infelix Scythica fixus convalle Prometheus».

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO234

68 Per il sintagma vesanus amor cfr. PROP. 2, 15, 29 (luogo già citato per i vv. 44-46);PLIN. nat. 7, 127; T.V. STROZZI carm. 1, 224; e ARIOSTO carm. 54, 6. 68 Cfr. LUCR.4, 1141-1142: «Atque in amore mala haec proprio summeque secundo | inveniuntur».Cfr. anche CALLIMACO carm. 14, 62: «Quam bona quod non sint plura in amore ma-la»; e soprattutto il v. 28 dell’elegia 29 di Pomponii Gaurici Neapolitani ElegiaeXXIX cit.: «omnia nam certe sunt in amore mala».

2. La seconda redazione del Pentecontametron dell’Equicola

La presente edizione migliora e insieme completa quella da me proposta inappendice a La maschera dell’Equicola cit., pp. 141-148, fondata sulla prima re-dazione del testo. I testimoni da me finora rintracciati sono sei. Ne fornisco quidi seguito gli elementi essenziali.

A = Milano, Biblioteca Ambrosiana, D 465 inf.Cart., sec. XVI, ff. IV + 347 + IV. Descrizione in A. RIVOLTA, Catalogo dei

codici pinelliani dell’Ambrosiana, Milano 1933, pp. 228-230, nr. 243; KRISTEL-LER, Iter Italicum cit., I, 1963, p. 288; e Manus online (http://manus.iccu.sbn.it/).

Dialogus in lingua Mariopionea sive Piomariana Carmentali pulcherrimus,ff. 147r-154v.

B = Dialogus in lingua Mari‹o›pionea sive Piomariana Carmentali pul-cherrimus, [Roma], s.e., 1512.

Si conosce un unico esemplare: Barcellona, Biblioteca Universitaria, B. 10.3. 50. 1680.

L = Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. Ashburn. 436.Cart., sec. XVI, ff. numerati per 325, ma i numeri 109-111 sono stati saltati

e i numeri 135-138 sono stati ripetuti due volte consecutivamente. Mancano i ff.43-48, 66-68, 88-93, 221-235. Descrizione in C. SCROFFA, I cantici di Fidenzio.Con appendice di testi fidenziani, a cura di P. TRIFONE, Roma 1981, pp. 109-111.Nel codice si riconoscono almeno quattro mani. Quella del polimetro equicolia-no è la medesima del testo successivo, un carme in lode di Paolo III datato 10 ot-tobre 1544 (inc. Sancte pater summo demissum numen Olympo, ff. 312v-315r).

Marii Equicolae ode pentecontametros, ff. 311r-312r.

M = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. VII 630.Cart., sec. XVI, ff. I + 44. Descrizione in Inventari dei manoscritti delle bi-

blioteche d’Italia, XIII, a cura di G. MAZZATINTI e F. PINTOR, Forlì 1905-1906,pp. 124-125; e in MATTEO BANDELLO, Rime, ed. e commenti a cura di M. DANZI,Ferrara-Modena 1989, p. 322. Il ms. è vergato da un’unica mano, ma sono pre-senti sporadici interventi di correzione e integrazione attribuibili a un’altra mano.Il carme equicoliano è seguito dal medesimo componimento in lode di Paolo III,datato 10 ottobre 1544, che lo segue anche in L (inc. Sancte pater summo demis-sum numen Olympo, ff. 12r-14v).

BARUFFE E PARODIE 235

Marii Equicolae ode pentecontametros, ff. 10v-11v.

N = Marii Equicoli Olivetani Nec spe nec metu. Dialogus ad Iulianum Me-dicem, [colophon:] Impressum Mantuae, per Francischum Bruschum, MDXIII,die XXVII Novembris.

V = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5191.Cart., sec. XVI, ff. 10. Il ms. è occupato per intero dal Dialogus in lingua

Mari‹o›pionea [: la o è aggiunta in interlinea] sive Piomariana Carmetali pul-cherrimus.

W = Wroclaw, Biblioteka Uniwersytecka, Mil. IV 17. Cart., sec. XVI, ff. I + 201 (con errori nella numerazione: il recto del f. 40 è

segnato con il numero 41, quello del f. 129 con il numero 130, quello del f. 185con il numero 186). Mancano i ff. 41, 70-83, 130, 186, 199. Descrizione in KRI-STELLER, Iter Italicum cit., IV, 1989, p. 437; A. DI STEFANO, I Salices del Sanna-zaro, in La Serenissima e il Regno cit., pp. 217-244: 222; e S. MONTI, Due fram-menti ignoti della Cristeide di J. Sannazaro (= III 89 ss. e 281 ss. della princepsnapoletana del DPV), ibid., pp. 479-500: 479-483. La trascrizione con ogni pro-babilità fu eseguita da un unico copista. Al f. 1r una mano seicentesca appose poil’indicazione Farrago poematum selectorum. Quae lit. D notantur desunt in De-litiis poet. Italorum, con riferimento alle Delitiae CC Italorum poetarum cit., edi-te nel 1608.

Marii Equicolae ode pentecontametros [: nel ms. pentecontametros espuntocon un tratto orizzontale], ff. 36v-37v.

I mss. V e A sono descripti della stampa B, dalla quale divergono soltantoper poche varianti grafiche. Esclusi V e A, che permettono tuttavia di sanare al-cune lacune di lettere prodotte in B dai tarli, l’esame dei testimoni da una parteindividua l’esistenza di due redazioni del polimetro, la prima attestata da M, L,W e B e la seconda da N, in cui le varianti introdotte sono da considerare auto-riali, per la loro quantità e qualità; e dall’altra stabilisce che M, L e W sono testi-moni della prima redazione più fedeli di B, in cui il carme equicoliano, per quan-to definito Pentecontametron, risulta formato non da cinquanta ma da quarantot-to metri, per l’assenza dei vv. 23 e 37, oltre che di iniquum al v. 24.

Considerato che B diverge da M, L e W soltanto per tre casi di omissione equalche variante grafica non è economico pensare che attesti una redazione dif-ferente dalla prima. Tuttavia al v. 28 si potrebbe emendare la lezione erronea ob-stituti di M e L non in obstiti, attestato in B e N, ma in obstitui, attestato in W,oppure si potrebbero emendare sia la lezione obstituti di M e L sia la variante ob-stitui di W nella forma obstituit, da assumere con valore di presente gnomico (peril verbo obstituo, foggiato sul modello di constituo, cfr. Thesaurus linguae Lati-nae, II ed., fasc. 9.2.2, Leipzig 1983, col. 244, r. 84: «obstituo, -u¥, -u- tum, -ere.vox fidei vix certae, ab ob et statuere»), prospettando una revisione della primaredazione limitata al caso in questione (e forse ad alcuni ritocchi di ordine grafi-co: 12 Letheus M L Letheus corretto in Lethaëus W > Lethaeus B N; 22 tedet M

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO236

L > taedet W B N; 32 deliciae M L W > delitiae B N; 37 zelotipos M L W > ze-lotypos B N). Sembra giusto pertanto dar conto in apparato anche della testimo-nianza di B, per quanto funzionale a una rappresentazione satirica, e quindi so-spetta.

Accolgo a testo la lezione di N. Le integrazioni di B compiute senza margi-ni di incertezza, sulla base della concorde testimonianza dei descripti V e A, nonsono segnalate. Allo stesso modo non sono evidenziati i quattro casi in cui in Malcune lettere sono ormai illeggibili, potendo restaurare con sicurezza le lezionisulla base di L: 6 laet‹us›; 7 ‹c›armine; 50 Ill‹a›; 50 vocatu‹ra›.

L’apparato dà conto di tutte le lezioni divergenti, inclusi gli errori, che ri-propongo distintamente qui di seguito, per meglio caratterizzare i diversi testi-moni.

Errori comuni a M e L: 25 nobil per nobis; 28 obstituti per obstiti (oppureper obstitui o obstituit); 49 decet per dicet.

Errori presenti soltanto in L: 42 tracto corde per tracta corde; 51 expectetper expetet (in sé ammissibile, expectet è da considerare un trascorso di penna,altrimenti sarebbe l’unica variante sostanziale di L rispetto a M); 58 Silyphus perSisyphus.

Errori di W: 20 eadem est aetas per eadem aetas; 24 heri per heu; forse 28obstitui per obstiti (oppure per obstituit); 46 mori per moriri; 50 me nomine pernomine me; 63 liber per libere.

Errori di B: 3 porrus per portus; 4 deprhensus per deprensus; 23 om.; 24 ini-quum om.; 27 om.; 52 obsequii per obsequi (in sé ammissibile, obsequii è da con-siderare un refuso, altrimenti sarebbe l’unica variante sostanziale di B rispetto atutti gli altri testimoni, oltre i tre casi di omissione).

Errori di N: 5 in gemit per ingemit; 32 omis (manca il segno di abbreviatu-ra) per omnis; 50-51 ungni | bas per 50 unguibus; 53 ocil per ocii; 60 nudas perundas.

I mss. M e L derivano con ogni probabilità da un medesimo antecedente, inquanto accomunati da tre errori, e insieme non separati da alcuna variante so-stanziale. Si potrebbe anzi ipotizzare che L sia stato esemplato su M, il testimo-ne più corretto della prima redazione, ma nessun elemento sicuro confermerebbepoi tale ipotesi. In ogni caso appare indubbio che le due copie siano tra loro le-gate, perché propongono, nella medesima successione e con poche varianti gra-fiche, uno stesso gruppo di dodici testi, M nei fogli iniziali (1r-16v) e L in quel-li finali (302r-316r):

1) Il Molza al R.mo et Ill.mo Car.le [L: S.re Car.le] di Ravenna, Ecquid, seposi-tis dum te iuvat, optime, curis [M: te iv‹vat› ‹…›] (F. MOLZA eleg. 3, 7);

2) Fr. M. Molsae, Ultima iam properant, video, mihi fata, sodales [M: mih‹i›‹…›] (F. MOLZA eleg. 3, 9);

3) Pet. Bem., Ante alias omnes, meus hic quas educat hortus (BEMBO carm.8);

4) Pii Papae, Discite pro numeris numeros sperare [M: ‹s›perare], poete [ML: poetae] (PICCOLOM. carm. 29 [= 129, in ENEE SILVII PICCOLOMINEI postea PIIPP II Carmina, edidit commentarioque instruxit A. VAN HECK, Città del Vaticano1994]);

BARUFFE E PARODIE 237

5) Campani, Si tibi pro numeris numeros fortuna dedisset (CAMPANO carm.app. 26);

6) Leoniceni, Pro numeris licuit numeros sperare poetis (l’epigramma è daaggiungere a quelli che vari umanisti scrissero in risposta a PICCOLOM. carm. 29[= ed. van Heck, 129]: cfr. M. BORSA, Pier Candido Decembri e l’Umanesimo inLombardia (Cont. e fine), in «Archivio storico lombardo», ser. II, 10 (1893), pp.358-441: 440-441; Poeti latini del Quattrocento, a cura di F. ARNALDI, L. GUAL-DO ROSA, L. MONTI SABIA, Milano-Napoli 1964, pp. 26-27; M.T. GRAZIOSI AC-QUARO, Petri Odi Montopolitani Carmina nunc primus e libris manu scriptis edi-ta, in «Humanistica Lovaniensia», 19 (1970), pp. 7-113: 113; J. IJSEWIJN, PetriOdi epigramma emendatum, ibid., 27 (1978), p. 297; G. PAPARELLI, Enea SilvioPiccolomini. L’umanesimo sul soglio di Pietro, Ravenna 1978, pp. 210-215; PIC-COLOMINEI Carmina cit., carmi 129-131, p. 205);

7) In Academiam Florent. M. A. F., Evertere solo bellorum incendia Romam(il carme, qui probabilmente attribuito a Marco Antonio Flaminio, compare an-che, adespoto, nel ms. Magl. VII 1024 della Biblioteca Nazionale Centrale di Fi-renze: cfr. B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del Rinascimento in Italia, Fi-renze 1936, con ed. del testo alle pp. 54-55; e KRISTELLER, Iter italicum cit., II,1967, pp. 511-512);

8) Faunus ad Nympeum fluvium, Quid tibi nobiscum est, fluviorum infamia,Nympeu? (BEMBO carm. 2);

9) Marii Equicolae ode pentecontametros, Eridani ad ripas errabat Equico-lus altum;

10) Laudatur Paulus III Pont. Max. a pace facta inter Christianos, et ex hor-tatur in Turcas, Sancte pater summo demissum numen Olympo;

11) De victoria Cesaris in Saxones, Aurea si quando posuisti templa to-nanti;

12) In podagram Cesaris, Filia desidiae, et languentis filia somni (il carmeè attribuito sia a un Amalteo medico – da individuare tra i fratelli Girolamo, Gio-van Battista e Cornelio –, in una lettera di Antonio Casario ad Aldo Manuzio ilGiovane del 16 marzo 1566, sia ad Agostino Nifo, sulla base di un ms. che all’i-nizio del Novecento era conservato presso Raffaele d’Ari, suo discendente: cfr.,rispettivamente, E. PASTORELLO, Inedita Manutiana 1502-1587. Appendice al-l’inventario, Venezia-Roma e Firenze 1960, lett. 1261, pp. 262-264, con ed. delcarme Amaltei medici, in podagram, et chiragram Caroli V imp. alla p. 264; e G.TOMMASINO, Tra umanisti e filosofi. Una nobile figura sessana di letterato e diuomo attraverso l’epoca del pieno Rinascimento: Philalethes (Parte I e II), Mad-daloni 1921, Parte I, pp. 139-141, con ed. del carme In Caroli V podagram allepp. 139-140).

Al Pentecontametron fa riferimento anche una lettera senza data di CelioCalcagnini al nipote Tommaso: «Scribis adolescentes quosdam Romanos con-stantissime magnisque clamoribus asseruisse nuper versiculum quendam MariiAequicoli mei, is est: Has Marius tales fundebat pectore voces, non carere foe-dissima labe soloecismi. Super qua re iudicium meum exploras. Ego vero, miThoma charissime, non minus Marianum hoc carmen syncerum puto quam Ver-gilianum illud ex septimo Aeneidos: Quae ne monstra pii paterentur talia Troes

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO238

| delati in portus neu littora [: litora] dira subirent, | Neptunus ventis implevit ve-la secundis [VERG. Aen. 7, 21-23.]. Vale» (CELIO CALCAGNINI, Opera aliquot, Ba-silea 1544, p. 2). Ciò che alcuni adolescenti romani hanno considerato un soleci-smo, ossia la ridondanza generata dalla compresenza di has e tales, è giudicatauna scelta espressiva legittima, tanto quanto la concordanza di quae e talia inAen. 7, 21. Ad essere messo sotto accusa è il v. 7 del Pentecontametron, in unalezione differente sia da quella di M, L, W e B sia da quella di N. Né si può pen-sare a un errore di memoria del Calcagnini, altrimenti l’accusa non avrebbe avu-to ragione d’essere, mancando nelle altre due redazioni la ridondanza incrimina-ta. Per tale verso abbiamo dunque tre varianti differenti, delle quali quella atte-stata dal Calcagnini sarà da considerare la più antica, perché sembra plausibileche l’Equicola eliminasse subito il solecismo imputatogli: has Marius tales fun-debat pectore voces Calcagnini > sic Marius tales fundebat carmine cantus M LW B > sic Marius tales fundebat carmine voces N.

Eridani ad ripas errabat Equicolus altumsuspirans, secumque suos volvebat amores.Ut nauta, ad certos solvit cum lintea portusper mare velivolum, subito deprensus ab austro

5 ingemit, ille idem tuta statione receptuscantat, et optata resipiscit laetus arena,sic Marius tales fundebat carmine voces.

Iam sum liber amoribus;iam torrere meum cessat amor iecur.

10 Nec metu nec spe moveor: recessitfrigus et aestus.Preces Lethaeus audiit meas Amor,oblivionemque inferenscompede liberavit.

15 Syrtes tremendas fugimus: anchoraratem ligavit altius.Fallacis scius auraenon iterum mare naufragus intrat.Perilli in aere mugii tot annos.

20 Non eadem est mens, non eadem aetas: barba albicat, canis caput iam aspergitur.Tulisse taedet quae tuli impudenter.Fabula quanta fui, scio: tacebit nunc loquax.Ivi ego ad certamen iniquum in dubio duello;

25 receptui demum tuba concinit.Asserui miserum me a servitutis vinculo.Vulnus reformidans manum in cicatricemtandem coivit: obstinatus obstiti valenter.Tenebras sol dimovit radiis.

BARUFFE E PARODIE 239

30 Clarior ecce dies: risus, lepidisque lepos salibusdelitiae et iocus omnis adsunt.Vivebam alterius, qui in proprio corpore mortuus;nunc vivo amicis et mihi.

35 Plenae querelarum repulsaeiraque amantium et crux et rabies quam iniuria movit,curaque zelotypos adurenset desiderium periere.Preposta meis munera nostri

40 rivalis et data invicem: color colori concolor.Et dolor et lacrimae et suspiria corde tracta ab imodormire mihi somnos sinunt quietos.Abeas quaeso Cupido procul a me:

45 tua mi castra secuto toties maxima vota inerant velle moriri.Amabit unquam quis rogo fide tanta?Amatae quis honoreset tuos canet unius?

50 Illa nomine me vocatura saepius unguibusore morsis, expetet anxia sollicitidiligentiam obsequi.Ego amator ocii iam iam animi ad bona propero.Qualiscumque mihi valebit ergo.

55 Io triumphe! Me quis est beatior?

Tantalus ille olim, nunc poma fugacia capto,aridaque e nostro est pectore pulsa sitis.

Qui saxum frustra volvebam Sisyphus ingens,nunc tenet immotum dulcis et alta quies.

60 Belides, Ixion, non sum velut ante, sed undasmecum habeo et velox constitit axe rota.

Et Tityi iecur hoc in poenas usque renascensimpastas tandem libere abegit aves.

1 Equicolus] Aequicolus B 3 portus] porrus B 4 deprensus] deprehensus W de-prhensus B 5 ingemit] in gemit N 6 arena] harena M L W B 7 voces] cantusM L W B 12 Lethaeus] Letheus M L Letheus > Lethaëus W (aggiunta della cedi-glia e della dieresi alla seconda e) 15 anchora] ancora W 16] est iacta fune im-mobili M B W est iacta fune inmobili L 19 Perilli] Perylli B 20 eadem aetas]eadem est aetas W 21 canis caput iam aspergitur] canent capilli M L W B 22taedet] tedet M L 22 impudenter] impududenter < impudenter W (espunzione del-la seconda occorrenza del nesso -ud-) 23] om. B 24 Ivi ego ad certamen] Inivi,heu, certamen M L B Inivi, heri, certamen W 24 iniquum] om. B 25 demum] no-bil M L nobis W B 25 tuba] turba < tuba W (espunzione della r) 28 obstiti] ob-stituti M L obstitui W 29] Aurora dimovit noctis umbras M L W B 31] facetiae

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO240

cum risibus M L W B 32 delitiae] deliciae M L W 32 omnis] omis N 33 inproprio corpore mortuus > in corpore W (espunzione di proprio e mortuus) 35-36]Ira amantium insolens | plenae querelarum repulsae M L W B 37] om. B 37 ze-lotypos] zelotipos M L W 39] Praeposta nostris munera M L W (nostris > nobis:espunzione di nostris e aggiunta nell’interlinea di nobis) B 40 invicem] in vicem W42 lacrimae] lacrymae M lachrymae L W B 42 corde tracta] tracta corde M W Btracto corde L 43 mihi somnos sinunt] somnos dant M L W B 45 maxima] maxu-ma B 46 moriri] mori W 47] Fide quis unquam sic amavit tanta? M L W B 49canet] decet M L dicet W B 50 nomine me] me nomine W 50 unguibus] 50-51ungni | bas N 51 expetet] expectet L 52 obsequi] obsequii B 53] Ego liberta-tis amator ad ocia propero M L W B 53 ocii] ocil N 54 Qualiscumque] Quali-scunque M (ma anche in L e B la consonante che precede la q potrebbe essere n, inquanto resa con un segno abbreviativo) 57 e nostro est pectore pulsa] e nostro pec-tore pulsa M L W B 58 Sisyphus] Silyphus L Sysiphus W 59 Belides] BellidesW 60 undas] nudas N 61 axe] ecce M L W B 62 Tityi] Tytii W 63 libere]liber W

3-7 Per l’espressione equicoliana della metafora dell’amore come viaggio attraversoun mare insidioso, ampiamente attestata fin dall’antichità (ad es. in tre epigrammi diMeleagro accolti nell’Antologia Palatina: 5, 156 e 190; 12, 197), cfr. PONTANOParthen. 2, 2, 9-12: «Candida felices sustollant lintea nautae, | quoque petant portus,aura ministrat iter, | magnetem et gelido surgentis axe Triones, | quosque sequatur ha-bet tuta carina deos»; e T.V. STROZZI erot. 3, 12, 5-10: «Lintea tota dedit rapidis ubinauta ventis | et cita iam medio gurgite cymba volat, | non facile ad portus retro con-vertere cursum | quos modo discedens liquerit, ipse volet. | Sic ego, qui cupidi pela-go male sanus amoris | iactor, ab hac nequeo vela referre via». Per una suggestioned’insieme, oltre all’elegia properziana 3, 24, e ai testi petrarcheschi centrati sulla na-vigatio amorosa (Rvf 80; 189; 235), cfr. anche T.V. STROZZI erot. 2, 7: «Accipe inau-diti formam maris et mea quali | cymba sit, Antoni, structa magisterio. | Unda hic suntlacrymae, venti suspiria, remi | vota, error velum, mens male sana, ratis. | Spes temo,curae comites, constantia amoris | est malus, dolor est anchora, navita Amor. | Adde,quod est portus reliquis maribus, mare nostrum | non tantum portu, sed statione ca-ret». 3 lintea portus: a fine verso anche in PROP. 3, 7, 5; e in ANDRELINO amor. 1,8, 39. 4 mare velivolum: tessera prelevata da VERG. Aen. 1, 224. 5 tuta stationereceptus: cfr. Ov. her. 7, 89: «Fluctibus eiectum tuta statione recepi». 6 Il sintag-ma optata arena è attestato in VERG. Aen. 1, 172; per un uso del verbo resipisco in uncontesto simile, cfr. il luogo properziano riportato nella nota ai vv. 15-16. 7 car-mine voces: a fine verso anche in Dirae 1; e poi in PONTANO egl. 2, 74; VERINO Carl.app. 1, 397 e 1057; e SANNAZARO part. Virg. 3, 337. Quanto alla prima redazione, laparonomasia carmine cantus, priva di attestazioni nell’antichità, si legge a fine versoin SASSO epigr. 3, 25, 11; e FERRERI somnium 610. 8-9 Per la ripetizione anaforicadi iam in un contesto simile cfr. LANDINO Xandra, 2, 5, 9-10: «Iam tibi, iam liceat,miser o Landine, catenas | frangere et a duro demere colla iugo». 9 Cfr. HOR. carm.4, 1, 12: «si torrere iecur quaeris idoneum»; e anche DI NATALE carm. 2, 36: «…meum falso torret amore iecur». 10 nec metu nec spe: è il motto di Isabella d’Estealla cui illustrazione l’Equicola dedica l’opera omonima, aperta dalla seconda reda-zione del Pentecontametron. 12 Lethaeus Amor: cfr. OV. rem. 551-552: «Est illicLethaeus Amor, qui pectora sanat | inque suas gelidam lampadas addit aquam». 15-

BARUFFE E PARODIE 241

16 Cfr. OV. ars 1, 772: «hic teneat nostras ancora iacta rates»; OV. trist. 5, 2a, 42:«Ancora iam nostram non tenet ulla ratem»; e BRACCESI carm. 1, 25, 5-6: «Laeta quisin tristes vertit mea gaudia luctus, | quaeve meam in Syrtes impulit unda ratem?». Ilpunto di riferimento fondamentale, evidente soprattutto nella prima redazione (che alv. 16 ha est iacta fune inmobili), è comunque rappresentato da PROP. 3, 24, 15-16:«Ecce coronatae portum tetigere carinae, | traiectae Syrtes, ancora iacta mihi est».Proverbiale la pericolosità delle Sirti libiche, per l’instabilità dei loro banchi di sab-bia. Basti qui ricordare altre due occorrenze properziane: 2, 9, 33; e 3, 19, 7. 17Cfr. HOR. carm. 1, 5, 11-12: «nescius aurae | fallacis». 19 Cfr. PROP. 2, 25, 11-12:«Nonne fuit satius duro servire tyranno | et gemere in tauro, saeve Perille, tuo?»; OV.ars 1, 651-652: «Et Phalaris tauro violenti membra Perilli | torruit; infelix inbuit auc-tor opus»; OV. trist. 5, 1, 53-54: «Ipse Perilleo Phalaris permisit in aere | edere mu-gitus et bovis ore queri»; e anche Ov. Ib. 435-442. Per il sintagma mugire annos cfr.PROP. 2, 28, 17-18: «Io versa caput primos mugiverat annos: | nunc dea, quae Nili flu-mina vacca bibit». Il toro di bronzo (secondo altri di ferro o di rame) realizzato dalloscultore greco Perillo (o Perilao) per Falaride, tiranno di Agrigento nel VI sec. a.C.,era in grado di trasformare in suoni simili a muggiti le grida di coloro che vi eranoposti dentro ad arrostire: una macchina di cui proprio l’inventore fu la prima vittima.Il tormento del toro di Perillo, motivo di uso comune nella letteratura antica (cfr. ades. Ov. trist. 3, 11, 39-54, e SIL. 14, 211-217), compare anche in Dante (Inf. 27, 7-10)e nel Tebaldeo (Rime 443). 20 Cfr. HOR. epist. 1, 1, 4: «non eadem est aetas, nonmens». 21 Cfr. OV. Pont. 1, 4, 1: «Iam mihi deterior canis aspergitur aetas». In par-ticolare per la prima redazione (barba albicat, canent capilli) cfr. anche Priapea 76,1-2: «Quod sim iam senior meumque canis | cum barba caput albicet capillis». 22-26 Cfr. OV. am. 3, 11a, 1-4: «Multa diuque tuli; vitiis patientia victa est. | Cede fati-gato pectore, turpis amor. | Scilicet adserui iam me fugique catenas, | et quae non pu-duit ferre, tulisse pudet». 23 Fabula quanta fui: tessera prelevata da HOR. epod. 11,8 (7-8: «Heu me, per urbem (nam pudet tanti mali) | fabula quanta fui!»), certo per iltramite di Rvf 1, 9-11: «Ma ben veggio or sì come al popol tutto | favola fui gran tem-po, onde sovente | di me medesmo meco mi vergogno». Cfr. anche PONTANO Parthen.2, 3, 81-84: «Non ego tam multos sentirem in amore dolores, | servitium et querererregna superba diu, | nec turpis de me per multas fabula gentes | isset, et ingenii famasinistra mei». 24 Per il sintagma dubium duellum, assente nella poesia classica, cfr.PETRARCA epist. metr. 3, 14, 20: «extrema sic tempestate magister | eligitur, dubio mi-les sic sepe duello». 27-28 Vulnus reformidans … coivit: cfr. PROP. 3, 24, 17-18:«Nunc demum vasto fessi resipiscimus aestu, | vulneraque ad sanum nunc coieremea». 28 obstinatus obstiti valenter: richiama una delle più note clausole di Ca-tullo: «At tu, Catulle, destinatus obdura» (8, 19), per la quale è attestata anche la va-riante obstinatus per destinatus. 29 Cfr. LUCR. 6, 869: «inde ubi sol radiis terramdimovit obortus»; e PONTANO hendec. 1, 8, 5: «Pellit sol radiis suis tenebras». La pri-ma redazione (Aurora dimovit noctis umbras) dialoga con VERG. Aen. 3, 589, e 4, 7:«umentemque Aurora polo dimoverat umbram», verso in duplice attestazione. 30-43 Nello stilare il catalogo degli effetti amorosi, l’Equicola dovette avere presentienumerazioni simili a quella di CAMBINI eleg. 7, 5-10: «Est amor insidiae, pax, bella,dolorque iocique, | spes, furor, anxietas, gaudia, cura, dolus, | credulitas, lacrymae,fraudes, suspiria, risus, | suspicioque gravis, deliciaeque breves, | nuda salus, tenui-sque fides, non tuta voluptas, | gratia, blanditiae, perpetuusque timor». 30 Cfr. PON-TANO laud. 5, 28: «Splenduit et solito clarior orbe dies». 31-32 Per la figura eti-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO242

mologica lepos lepidis cfr. CALLIMACO epigr. 2, 157, 7: «Nam si fers lepidos satis le-pores». Per la compresenza di sal e lepos cfr. CATULL. 16, 7; MART. 3, 20, 8, e 4, 23,6-7. Per elencazioni simili a quella equicoliana cfr. POLIZIANO epigr. 3, 10-11: «Cuiusdelitias, facetiasque, | lusus, nequitias, sales, lepores»; PONTANO hendec. 2, 24, 20-25:«Haec curas abigens molestiasque, | iucundi memor et memor leporum, | miscet de-litias facetiasque, | ludorum admonet, admonet iocorum | atque ore ac teneris procaxlabellis, | et circum omnia lusibus serenat»; CALLIMACO epigr. 1, 37, 10-13: «Aetatemteneram decent Camenae | molles ac Veneris Cupidinisque | lusus cum salibus lepo-ribusque | audis et ioco et omnibus cachinnis». In particolare per la prima redazione(che al v. 31 ha facetiae cum risibus) cfr. anche MART. 10, 35, 8-9: «sed castos docetet pios amores, | lusus, delicias facetiasque»; CARBONE carm. 22, 18-21: «O, lusus,delicias, facetiasque | mesto quae revocas ab ore, risus | quicquid et Veneris Cupidi-nisque | urens mollibus insidet medullis!»; e ARIOSTO carm. 17, 26-28: «Lusus, ille-cebras, delitias, iocos, | risus, quicquid et almo est | regno dulce Cupidinum». Note-vole che l’Equicola assegni all’uomo ormai libero dall’amore una serie di effetti chenella tradizione elegiaca appartengono all’amante corrisposto. 33 Cfr. AUGURELLIcarm. 1, 18, 21-24: «Hinc ille nobis mutuus est amor, | hinc sensus unus quo, Glyce-re, modo | pendemus haerentes et alter | vivimus alterius sub aura»; e M.A. FLAMINIOcarm. 3, 38, 8: «Alter in alterius corpore vivat amans». 35-38 Il rinvio più con-gruente sembra essere all’elenco dei vitia amoris stilato in TER. Eun. 1, 59-63: «Inamore haec omnia insunt vitia: iniuriae, | suspiciones, inimicitiae, indutiae, | bellum,pax rursum: incerta haec si tu postules | ratione certa facere, nihilo plus agas | quamsi des operam ut cum ratione insanias». L’enumerazione terenziana fu messa a frutto,tra gli altri, da Cicerone (Tusc. 4, 35, 76), Agostino (Civ. 19, 5) e Petrarca (Secretum,ed. Carrara, pp. 159-160). 42-43 Cfr. CARBONE carm. 22, 9: «non suspiria cordeducta ab imo»; ANDRELINO amor. 1, 2, 49-50: «Tracta nec exirent imo suspiria corde,| dum queror ad surdas, nocte silente, fores»; CASTIGLIONE carm. 1, 135-138: «Hucsaltem, o saltem umbra levi per inania lapsu | advolet, et nostros tandem miserata do-lores, | accipiat lacrimas, imo et suspiria corde | eruta, quasque cava haec responsantantra querelas»; M.A. FLAMINIO carm. 1, 19, 11-13: «praeterquam lacrimae, et que-relae, ab imo | et suspiria corde tracta»; ibid., 4, 18, 1: «Has lacrimas, atque haec imosuspiria corde | tracta gemens libo, candida Hyella, tibi». 44-46 Cfr. Ov. am. 2, 5,1-2: «Nullus amor tanti est (abeas, pharetrate Cupido) | ut mihi sint totiens maximavota mori»; e T.V. STROZZI erot. 2, 12 47-48: «Ianus ut hac visa, sensus amisit, ut il-li | maxima cum puero vota fuere mori». 45 Per la costruzione sequi castra cfr., tragli altri, OV. met. 5, 128; e PONTANO Parthen. 2, 3, 85-86: «Ah pudeat vatem, pudeatpia sacra colentem | nequitiam et Veneris turpia castra sequi». 47-49 Avvertibile ilricordo delle strazianti domande di CATULL. 8, 15-18: «Scelesta, vae te, quae tibi ma-net vita? | Quis nunc te adibit? Cui videberis bella? | Quem nunc amabis? Cuis essediceris? Quem basiabis? Cui labella mordebis?». 47 Cfr. PROP. 1, 12, 6-7: «Olimgratus eram: non illo tempore cuiquam | contigit ut simili posset amare fide»; OV. am.1, 3, 6: «Accipe, qui pura norit amare fide»; OV. ars 3, 544: «et nimium certa scimusamare fide»; e soprattutto PONTANO Parthen. 1, 19, 15-16: «Hoc nocuit misero ser-visse fideliter uni, | hoc nocuit tanta semper amasse fide». 48-49 Per uno spunto si-mile cfr. LANDINO Xandra 1, 4-21-22: «Quis roseam faciem, quis cygnea colla ma-nusque, | si peream, vel quis lumina nigra canet?»; e T.V. STROZZI erot. 4, 25, 61-62:«Quis canet hanc faciem, quam, cum foret oblita fucis, | praeposui nivibus, purpurei-sque rosis?». 50-52 Per l’espressione nomine vocaturus cfr. VERG. Aen. 4, 382-384:

BARUFFE E PARODIE 243

«Spero equidem mediis, si quid pia numina possunt, | supplicia hausurum scopulis etnomine Dido | saepe vocaturum». 53 Il passaggio dalla prima alla seconda reda-zione del testo comporta la rinuncia a un’espressione ossimorica (ad ocia propero) euna formulazione nell’insieme più moderata 54 Cfr. PROP. 3, 21, 15-16: «Romanaeturres et vos valeatis, amici, | qualiscumque mihi tuque, puella, vale!»; e OV. am. 1,6, 71-72: «Qualiscumque vale sentique abeuntis honorem, | lente nec admisso turpisamante, vale». 55 Io triumphe: tra gli altri, cfr. gli esempi di Orazio (carm. 4, 2, 49e 50; epod. 9, 21 e 23) e Pontano (lyra 7, vv. 39, 43 e 47). 55 me quis est beatior?:cfr. CIC. Tusc. 1, 41, 97: «Cui si similis est perpetuitas omnis consequentis temporis,quis me beatior?»; PICCOLOMINI epigr. 54, 3-4: «Quis me felicem, quis me neget es-se beatum, | perfero qui manibus pallia texta tuis?»; AUGURELLI iamb. 2, 4, 1-2: «Quishoc beatior dies, quis hoc iocis | magis refertus omnibus?»; e TEBALDEO Rime 278,28-29 : «Quanto già iubilando, quante volte | dissi: “Qual altro è più di me beato?”!».56-63 Tra i numerosi luoghi che rappresentano insieme o distintamente i più noti mi-ti di supplizi infernali, cfr. OV. met. 4, 456-463 (Tizio, Tantalo, Sisifo, Issione e le Da-naidi); OV. Ib. 173-180 (Sisifo, Issione, le Danaidi e Tantalo); TIB. 1, 3, 73-80 (Issio-ne, Tizio, Tantalo e Danaidi); HOR. epod. 17, 65-69 (Tantalo e Sisifo); PROP. 2, 17, 5-10 (Tantalo e Sisifo), e 4, 11, 23-26 (Issione e Tantalo). Ma per la sospensione deisupplizi all’arrivo di Orfeo agli inferi, sulla quale l’Equicola modella la fine delle pro-prie pene, cfr. anche VERG. georg. 4, 481-484; HOR. carm. 3, 11, 21-24; OV. met. 10,40-44; BOETH. c. phil. 3, 12, 29-39; POLIZIANO Orfeo 183-188 e Nutricia 291-297.56-57 Cfr. OV. am. 2, 2, 43-44: «Quaerit aquas in aquis et poma fugacia captat | Tan-talus; hoc illi garrula lingua dedit». L’espressione pulsa sitis, qui a fine verso, è a ini-zio verso in STAT. Theb. 5, 1: «Pulsa sitis fluvio, populataque gurgitis alveum». Cfr.anche PONTANO Parthen. 2, 3, 88: «cessit amor, vacuo est pectore pulsa venus». Peril sintagma arida sitis cfr. LUCR. 3, 917: «quod sitis exurat miseros atque arida tor-rat»; LUCR. 6, 1176 [1175]: «insedabiliter sitis arida corpora mersans»; e OV. met. 11,129-130: «sitis arida guttur | urit». 58 Cfr. Ov. Ib. 173: «Sisyphus est illic saxumvolvensque petensque». 59 Cfr. VERG. Aen. 6, 522: «dulcis et alta quies placidae-que simillima morti». Per l’avvio del verso, nunc tenet, cfr. OV. met. 14, 516; per laclausola, alta quies, cfr. MART. 7, 42, 4. 60 La clausola Belides undas è attestata indue versi ovidiani: met. 4, 463, e Ib. 175. 61 velox constitit axe rota: cfr. VERG.georg. 4, 484: «atque Ixionii vento rota constitit orbis». Per il sintagma velox rota cfr.BOETH. c. phil. 3, 12, 34-35: «non Ixionium caput | velox praecipitat rota». Per axerota a fine verso cfr. OV. Pont. 4, 9, 10; e VEN. FORT. carm. 7, 4, 2. 62 Anche perrenascens a fine verso, cfr. OV. Pont. 1, 2, 39-40: «Sic inconsumptum Tityi semper-que renascens | non perit, ut possit saepe perire, iecur». 63 Il sintagma impasta avisè attestato in STAT. Theb. 1, 625. Il sinonimico impasta volucris si legge in LUC. 6,628.

3. Quattro epigrammi antiequicoliani

I quattro componimenti contro l’Equicola si leggono nel Vat. lat. 2835. Unodi essi compare anche nei mss. Vat. lat. 3352 e Vat. lat. 3353, mentre un altro ri-torna soltanto nel Vat. lat. 3353. Per il Vat. lat. 2835 rinvio al § 1 di questa Ap-pendice; per il Vat. lat. 3352 e il Vat. lat. 3353 cfr. da ultimo BERNARDI, Per la ri-costruzione della biblioteca colocciana cit., pp. 34-36, e Angelo Colocci e gli stu-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO244

di romanzi cit., ad indicem. La presente trascrizione diverge da quella proposta inKOLSKY, Mario Equicola cit., p. 238 nota 27, che si fonda soltanto sulla testimo-nianza del Vat. lat. 2835, per alcune scelte interpuntive e per le seguenti lezioni: I.Ad Marium, 1 Si mea] Simea Kolsky; III. De Mario, 1 lapidis] lapidii Kolsky;ibid., 6 deposuit] leposcuit Kolsky; IV. De Mario, 4 cremavit] ore mavit Kolsky.

I. Ad Marium

Si mea crudeli Gallorum obsessa caterva2 Iulia, res alium postulat ista ducem.

Es Marius, Marii est Cymbros superare. Camillus,4 qui Gallos alias contudit, aptus erit.

Vat. lat. 2835, f. 165v. Il Bembo espunge il testo con un tratto obliquo e, sul marginesinistro, scrive: «Non intelligo».

1-2 La richiesta di contrastare i Galli sarà da ritenere malevola, considerato che l’E-quicola aderì alla politica filofrancese degli Estensi e fu autore in proprio di una ProGallis apologia. Dell’opera si conservano due redazioni: una manoscritta, compostaprobabilmente in Francia nel 1504 (Leida, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, BPL183); e una a stampa, pubblicata fra il maggio e l’agosto del 1509 (forse per Lorenzode’ Rossi, a Ferrara). Sono entrambe in C. VECCE, Un’apologia per l’Equicola. Ledue redazioni della Pro Gallis apologia di Mario Equicola e la traduzione francese diMichel Roté, Napoli 1990). La Giulia assediata da spasimanti francesi potrebbe esse-re la medesima cantata dal Tebaldeo in un suo carme latino: cfr. Poeti estensi del Ri-nascimento cit., p. LXII. 2 ista ducem: a fine verso in ANDRELINO epigr. 10, 8, eamor. 3, 6, 20. 3-4 Per l’identificazione di Camillo con Mario si tenga conto cheGaio Mario fu definito un “secondo Camillo”, per aver salvato dalla distruzione Ro-ma nella guerra contro i Cimbri, come già Furio Camillo contro i Galli. 4 aptuserit: a fine verso in OV. ars 760, e rem. 94 e 126.

II. Epitaphium Marii Aequicolae

Aequicola hac situs est vili scrobe, funere cuius2 Tartareo quarta est addita lingua cani.

Vat. lat. 2835, f. 217v] Vat. lat. 3352, f. 122r; Vat. lat. 3353, f. 53v. Tit.Epit(aphium) Marii Aequicolae] Marci Aequicolae Vat. lat. 3353 (con ogni probabi-lità l’Equicola è chiamato Marco per la memoria del nome del Musurro, cui è dedi-cato il testo che precede). 2 Nel Vat. lat. 2835 il pentametro viene proposto in duelezioni differenti, scritte l’una di seguito all’altra, ma già la medesima mano che ver-ga il testo scrive ut alla fine della prima variante, per segnalare che segue una diver-sa esecuzione del verso. La duplice redazione del pentametro è inoltre richiamata daun tratto obliquo posto all’inizio della prima variante. Accolgo a testo la variantescritta per ultima, così come avviene nel Vat. lat. 3352 e nel Vat. lat. 3353. L’altra è

BARUFFE E PARODIE 245

reddita Tartareo tertia lingua cani est, che fa riferimento alla tradizione antichissimache rappresentava Cerbero con due teste, della quale restano soltanto alcune testimo-nianze figurative: cfr. G. SGATTI, Cerbero, in Enciclopedia dell’arte antica classica eorientale, Roma 1959, II, pp. 505-508.

1-2 Forse l’epigramma fu scritto prima della morte dell’Equicola, considerato che l’e-pitaffio satirico intendeva «colpire generalmente – con una sorta di compianto alla ro-vescia fatto di ingiurie ed oscenità – qualcuno ch’era ancora in vita» (S. CARRAI, Ma-chiavelli e la tradizione dell’epitaffio satirico tra Quattro e Cinquecento [1986], inCARRAI, I precetti di Parnaso. Metrica e generi poetici nel Rinascimento italiano, Ro-ma 1999, pp. 155-166: 161). Anche Niccolò d’Arco scrisse un velenoso epitaffio perl’Equicola: «Marii Equicolae epithaphium. | Extinxi et tranxi moriens vitia omniamecum, | Equicola: heu saeclum iam sine labe, vale» (M. WELBER, I Numeri di Nic-colò d’Arco, dal manoscritto Laurenziano Ashburnhamiano 266, dalle edizioni diMantova, Padova e Verona, dal manoscritto 1973 della Biblioteca Comunale di Tren-to, da saggî dei secoli XVIII-XX, Trento 1996, p. 61). Il componimento del d’Arco fusegnalato in LUZIO-RENIER, La coltura cit., p. 77 nota 152, e poi in SANTORO, Dellavita cit., p. 98. Sul personaggio cfr. S. CARRAI, Nicolò d’Arco personaggio di un’e-cloga ariostesca [1998], in CARRAI, I precetti di Parnaso cit., pp. 141-151. 2 Tar-tareo: incipit in VAL. FL. 1, 730, e in SIL. 2, 674.

III. De Mario

Vertire qui lapidis Letheum acceperunt ictum:2 excidit Acteo littera quaeque viro.

Res haec credibili maior fuit hactenus. At nunc4 accepit casu vel leviore fidem.

Nam, Graium ponens habitum, Graio orbe petita6 cuncta simul Marius grammata deposuit.

Vat. lat. 2835, f. 227v. 1 lapidis: nel ms. la s sembra cancellata. 1 acceperunt:nel ms. il nesso un non si legge bene, forse perché deriva dalla correzione di una i.2 Acteo: nel ms. forse è stata cancellata una cediglia sotto la e.

1-2 Il caso del letterato ateniese che, colpito da un sasso, dimenticò le lettere dell’al-fabeto, ma non la memoria di tutte le altre cose, è narrato in VAL. MAX. 1, 8, 2: «Etquoniam ad externa transgressi sumus, quidam Athenis vir eruditissimus, cum ictumlapidis capite excepisset, cetera omnia tenacissima memoria retinens litterarum tan-tum modo, quibus praecipue inservierat, oblitus est». Cfr. anche PLIN. nat. 7, 90:«Nec aliud est aeque fragile in homine: morbum et casus inurias atque metus sentit,alias particulatim, alias universa. Ictus lapide oblitus est litteras tantum; ex praealtotecto lapsus matris et adfinium propinquorumque cepit oblivionem, alius aegrotusservorum, etiam sui vero nominis Messala Corvinus orator». 3 Res haec … hacte-nus: cfr. OV. fast. 3, 618: «Ei mihi, credibili fortior illa fuit». 4 Per la costruzioneaccipere fidem e anche per fidem in clausola cfr. MART. spect. 5, 2: «Vidimus, acce-pit fabula prisca fidem». 5-6 Sulla conoscenza della lingua e della letteratura gre-ca da parte dell’Equicola cfr. N. ZORZI, Demetrio Mosco e Mario Equicola: un vol-

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO246

garizzamento delle Imagines di Filostrato per Isabella d’Este, in «Giornale storicodella letteratura italiana», 174 (1997), pp. 522-572. 6 grammata: forma attestata inSEN. RH. contr. 9, 4, 18, e in MART. CAP. 3, 229; e poi abbastanza diffusa tra gli uma-nisti, ad es. in PONTANO tumul. 2, 17, 1.

IV. De Mario

Cum magni vires Marius scripsisset amoris,2 occultumque domi continuisset opus,

indignans, miseri succendit pectora, cumque4 insuper occuleret tecta, cremavit Amor.

Vat. lat. 2835, f. 246r] Vat. lat. 3353, f. 205r. Tit. De Mario] Ad Marium Vat. lat.3353 2 occultumque: nel Vat. lat. 2835 tra la l e la t c’è una lettera cancellata.

1 Cum magni: a inizio verso in OV. met. 6, 94. 1. 1 Per il sintagma amoris vires cfr.OV. her. 9, 162, e 19, 139; OV. met. 5, 374; e CALLIMACO carm. 15, 21. 3 indignans:avvio attestato in STAT. Theb. 11, 741; e poi abbastanza diffuso nella poesia neolati-na (ad es. in BOCCACCIO egl. 5, 127, e 9, 45; PONTANO Uran. 4, 680, e meteo. 1153;NALDI carm. 8, 95; e MARULLO instit. 374). 4 miseri succendit pectora: cfr. PON-TANO Uran. 2, 606: «Uritur, ac tacitis succendit pectora flammis». 5 cremavit Amor:a fine verso anche in ANGERIANO erot. 80, 4.

4. Un’invettiva dell’Equicola contro il Tebaldeo

Il testo si legge nel cod. 400 (254) della Biblioteca Universitaria di Bologna,ai ff. 27v-28v. Il ms. è un interessante zibaldone di Achille Volta. Vi si leggono,oltre al De partu Virginis del Sannazaro, carmi dei maggiori rappresentanti dellapoesia latina cinquecentesca (Navagero, Aleandro, Molza, Cotta, Flaminio, Ber-ni, Tebaldeo) e di vari membri del circolo letterario romano di Hans Goritz (Blo-sio Palladio, Sanga, Lampridio, Casanova, Cattaneo). Cfr. L. FRATI, Indice deicodici latini conservati nella R. Biblioteca Universitaria di Bologna, in «Studiitaliani di filologia classica», 16 (1908), pp. 103-432: 204; JACOPO SANNAZARO,De partu virginis, a cura di C. FANTAZZI e A. PEROSA, Firenze 1988, pp. IX-XIV;U. MOTTA, Castiglione e il mito di Urbino. Studi sulla elaborazione del “Corte-giano”, Milano 2003, pp. 341-342 nota 26; G. RABITTI, Vittoria Colonna tra laFrancia e la Spagna, in Il Petrarchismo. Un modello di poesia per l’Europa, Ro-ma 2006, II, a cura di F. CALITTI e R. GIGLIUCCI, pp. 481-498: 496-497.

La presente trascrizione diverge da quelle proposte in CAVICCHI, Una ven-detta dell’Equicola cit., pp. 95-96, e in SANTORO, Della vita cit., pp. 205-206, sol-tanto per alcune scelte interpuntive e per la lezione del v. 12: ad graveolentis pa-ludes Ferraries] ad graveolentis paludes Ferrariens Cavicchi (in accordo con ilms.) ad graveolentis paludis Ferrariens Santoro.

BARUFFE E PARODIE 247

Apage, sultis, vos, inauspicatissimosvorsus cito auferte hinc poetae pessimi,factos sinistre in laudem villae nobilis,quam Medices ad Tiberim incipisset struere

5 regia prope Iulius magnificentia.Vos, immortales dii, et vestram imploro fidem:adeone perditae est nebulo iste audaciaeut tam nobile opus tam cacatis versibus,vobis viventibus, inquinare audeat?

10 Iste iste Tubaldeus, quem solae probantprefectae anserculis pascundis virginesad graveolentis paludes Ferrariesinsulas eius dum cantitant nenias;iste, inquam, qui simul per municipia

15 Italiae omnia, probe notus cauponibus,voravit helluatos patrimonium,decoctor, ganeo, lurco, gulo maxumus,iam capularis senex, vile silicernium,se se aris consecravit. Si fers, Iupiter,

20 sacerdotales puto odoratus optumecoenas, ut parasitum famelicum addecet;deosque nimium obliviosos autumo,hominum impune praetereuntes flagitia,quasi parum siet quod olim Mantuae …

25 Dicamne, an potius consulte silentiosupprimam rem homine, pol, indignam libero?Pudet farier, hunc quod haud patrare piguit.Negat id Mintius negare Mantuam,unde, si iste cito non arripuisset fugam,

30 dedisset poenas, populo saxis obrutus.At, o vos, quae ripam isthanc opacam accolitis,Driades, Amadryades, Napeae, Oreades,Faunique et quicquid est Satyrorum his in locis,id quod ego in rem vestram optumum esse arbitror,

35 hinc pestilentes vorsus, mera seculinostri venena, publicamque infamiamauferte, abradite, abstergite, eluite.

11 pascundis] pescundis ms. 12 Ferraries] Ferrariens ms. 13 Nel ms. un ano-nimo lettore scrive a margine: «Non aspettò già mai con tal disio» (incipit di TEBAL-DEO, Rime 274) 22 autumo] autu’ ms. 27 piguit] pinguit ms.

1-2 Cfr. CATULL. 14, 21-23: «Vos hinc interea valete abite | illuc unde malum pedemattulistis | saecli incommoda pessimi poetae»; e 36, 1-8: «Annales Volusi, cacata car-ta, | votum solvite pro mea puella. | Nam sanctae Veneri Cupidinique | vovit, si sibirestitutus essem | desissemque truces vibrare iambos, | electissima pessimi poetae |

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO248

scripta tardipedi deo daturam | infelicibus ustulanda lignis». 1 Apage: interiezionefrequente in Plauto. 1 sultis: forma arcaica e plautina per si vultis. 2 poetae pes-simi: ribalta gli elementi della clausola catulliana pessimi poetae (14, 23; 36, 6), pas-sata anche ai Priapea (61, 13). 7 Il sintagma perdita audacia è attestato in IUV. 3,73. 8 cacatis versibus: variazione della clausola catulliana cacata carta (36, 1 e18). 9 inquinare audeat: per la costruzione cfr. CIC. Tusc. 5, 6: «Vituperarequisquam vitae parentem et hoc parricidio se inquinare audet et tam impie ingratusesse ut eam accuset, quam vereri deberet, etiam si minus percipere potuisset?». 12Cfr. PONTANO egl. 4, 100: «Et Cumae vacuae et cryptae graveolentis Averni». 13Per l’uso di cantitare in testi poetici cfr. PONTANO laud. 14, 8, e M.A. FLAMINIO carm.4, 4, 8. 14-15 per municipia | Italiae omnia: cfr. TAC. hist. 3, 2, 1: «per omnia Ital-iae municipia». 15 notus cauponibus: cfr. APUL. apol. 59: «quamquam est illecauponibus quam nomenclatoribus notior». 17 Per un elenco simile cfr. BRACCESIepigr. 45: «Cum tibi displiceant fur, ganeo, moechus, adulter, | ut quoque displiceasest opus, Albe, tibi». 17 decoctor: cfr. CATULL. 41, 4, e 43, 5: «decoctoris amicaFormiani». 17 ganeo: cfr. IUV. 11, 58. 18 capularis senex: sintagma attestato inAPUL. apol. 66, e in MARSO Steph. 324. 18 silicernium: termine attestato in TER.Ad. 587, con il significato di ‘cadavere ambulante’. 21 parasitum famelicum: sin-tagma attestato in TER. Eun. 38, e Heaut. 39; HOR. epist. 2, 1, 173; e APUL. flor. 16.23 impune … flagitia: APUL. met. 4, 30: «impune committit tanta flagitia». 25Dicamne … libero?: cfr. ARIOSTO carm. 22, 12: «Dicamne an sileam? Ah quid ah sile-bo?». 26 rem homine … libero: CIC. Rab. perd. 16: «mentio ipsa denique indignacive Romano atque homine libero est». 27 Cfr. MART. 9, 27, 14-15: «pudet fari |Catoniana, Chreste, quod facis lingua». 27 patrare piguit: cfr. NALDI eleg. 2, 43,92: «Hos ut adulterium pigeat patrasse nefandum?». 28 Il poliptoto negat … ne-gare ricorre in CATULL. 4, 6-7: «Et hoc negat minacis Hadriatici | negare litus insu-lasve Cycladas»; e VERG. catal. 10, 6-7: «Et hoc negat Tryphonis aemuli domum | ne-gare nobilem insulamve Ceryli». 29 arripuisset fugam: per la costruzione, non at-testata nel latino classico, cfr. tra gli altri SASSO epigr. 1, 63, 5-6, e 4, 102, 3-4. 31-37 Nessuna opera classica presenta in un medesimo contesto tali divinità. Invece Dri-adri, Amadriadi, Napee e Oreadi compaiono insieme in un poemetto dedicato a un’al-tra nota villa della Roma rinascimentale, la Farnesina di Agostino Chigi: «Hic aderatlonga serie Dryadumque vicissimque | omnis Amadryadum numerus: facilesque Na-peae. | Hic etiam Oreades» (GALLO libell. 4, 272-274); e poco dopo si incontrano an-che i Fauni e i Satiri: «videas Satyrosque bicornes: | et Faunos, Panes, et Silvanos Hir-sutos» (ibid., 4, 286-287). Driadi, Oreadi e Napee sono poi in PONTANO hendec. 2, 18,2-4; e MANTOVANO Nicol. 2, 127. 31 Cfr. NAEV. trag. 65: «Vos ques adcolitisHistrum fluvium atque algidam» (verso citato in CIC. orat. 152: «Vos, qui accolitisHistrum fluvium atque aldigam»). 31 Il sintagma ripa opaca è attestato nei Puni-ca (SIL. 4, 85; e 6, 311-312.), e in Pontano (Uran. 5, 542; egl. 1, 5, 161; Parthen. 2,14, 9). 35 Cfr. PLAUT. Aul. 144-145: «Id quod in rem tuam | optumum esse arbi-tror, ted id monitum advento». 35-36 mera … venena: cfr. M.A. FLAMINIO carm. 5,43, 16-18: «Boni poetae | quem Aquinum, Bavium, et sui venenum | saecli, atque op-probrium esse praedicabunt».

* * *

BARUFFE E PARODIE 249

Nota metricadi MASSIMO SCORSONE

Come l’altrimenti noto Pentecontametron equicoliano, anche il componi-mento inedito dell’Elegia – che delegittima senza possibilità di equivoco, quan-tunque «permixtis in unum versibus omnis generis et metri», la troppo sommariadefinizione attribuita al genere ‘ditirambico’ nella manualistica dell’età successi-va – appare complessivamente consertato in una varietà di metri (una trentina: esi tratterebbe perciò di un triacontametron, stante la sostanziale analogia fra le di-verse serie anapestiche adoperate, che sarebbe superfluo immaginare di poter dif-ferenziare ulteriormente) uniti katà stichon, quasi tutti – eccezion fatta per i dueinconsueti ‘asinarteti’ di 41 e 51 – di evidenti ascendenze letterarie.

Oltre ai versus simplices e alle strofe iniziale (esametri) e conclusiva (disti-ci elegiaci), in alcuni casi è presumibilmente possibile individuare imbastiture di(neo-)formazioni strofiche, ovvero abbozzi di sistemi, per lo più originali (fa ec-cezione a 47-48 l’occorrenza di archilocheo maggiore e trimetro giambico cata-lettico, elemento-base della strofe archilochea III). Alcuni di tali metra concepitiin termini unitari, tanto tristici – 49-51 (trimetro ionico a minori + tetrametro io-nico + dipodia ionica a minori e antispasto), 53-55 (ferecrateo + gliconeo + pria-peo sine caesura) – quanto tetrastici – 8-11 (gliconei catalettici e asclepiadei mi-nori), 12-15 (endecasillabo saffico e adonio, ove la ‘novità’ appare invero soltan-to parziale, limitata com’è alla giustapposizione meccanica del plesso costituitodall’unione degli elementi di clausola della saffica maggiore) –, paiono dunqueaffiorare dal contesto come strutture caratterizzate da una certa omogeneità pro-sodica.

L’anomalia di 22 – formato all’apparenza da epitrito IV + molosso, cola an-cora assai difficilmente riconoscibili per l’approssimativa metricologia dell’epo-ca in cui fu redatto il componimento – più che il senso generale dell’espressioneha suggerito la necessità di un minimo (e forse ulteriormente riducibile) inter-vento integrativo, che permetterebbe di rivendicare il ‘verso’ alla tipologia poli-schematica del gliconeo in spondium desinens.

Prospetto dei metri adoperati

1-7 esametri8, 10, 22, 54 gliconei catalettici 9, 11 asclepiadei minori12, 14 endecasillabi saffici13, 15 adonii16, 17, 26, 32, 60 trimetri giambici18, 21, 39, 45, 46 dimetri giambici acataletti19 aristofanio20, 30 endecasillabi alcaici23, 25, 34, 43, 44 anapesti24, 27, 48, 52 trimetri giambici catalettici28, 31 elegiambi

PIETRO PETTERUTI PELLEGRINO250

29 pentadecasillabo saffico33 tetrametro giambico catalettico (settenario)35 trimetro dattilico catalettico37, 42 decasillabi alcaici38 asclepiadeo maggiore40 dimetro giambico ipercatalettico41 saffico minore + tetrametro catalettico in disyllabum47 archilocheo maggiore49 trimetro ionico a minori50 tetrametro ionico51 dipodia ionica a minori + antispasto53 ferecrateo55 priapeo56 giambelego57 dimetro trocaico catalettico58 galliambo59 endecasillabo faleceo61- 68 distici elegiaci