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Chiese e dinastie nel mondo carolingio, in Storia di Parma, III/1, Parma medievale. Poteri e istituzioni, a c. di R. GRECI, Parma 2010, pp. 41-67

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Comitato scientifico Storia di ParmaDomenico Vera (Presidente),

Luigi Allegri, Giuseppe Gilberto Biondi, Roberto Campari, Roberto Greci,Gigliola Fragnito, Francesco Luisi, Alba Mora, Massimo Mussini,

Antonio Parisella, Gabriella Ronchi, Giorgio Vecchio

Monte Università Parma Editore S.r.l. Casa editrice costituita il 4 giugno 2002 da Fondazione Monte di Parma e da Università degli Studi di Parma

Consiglio di AmministrazioneMaurizio Dodi (Presidente), Gianni Cugini (Vice Presidente), Giuseppe Costella, Vittorio Gozzi, Pier Paolo Lottici, Giancarlo Menta

Comitato scientifico Giuseppe Gilberto Biondi (Presidente), Ferruccio Andolfi, Roberto Delsignore, Ivo Iori, Franco Mosconi

Direttore editorialeGuido Conti

www.mupeditore.it

ISBN: 978-88-7847-350-8© 2010 Monte Università Parma Editore

Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico,meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare.

Storia di Parma

IIItomo 1

Parma medievale. Poteri e istituzioni

Enti promotori

Con il patrocinio di

In sovracoperta: particolare del capitello raffigurante i cavalieri. Parma, Cattedrale. (Foto G. Amoretti)Nei risguardi: leoni stilofori del protiro di facciata. Parma, Cattedrale. (Foto G. Amoretti)

a cura diRoberto Greci

Monte Università Parma Editore

IIItomo 1

Parma medievalePoteri e istituzioni

testi di

Giuseppe Albertoni, Maria Pia Alberzoni,

Claudio Azzara, Gianluca Battioni, Andrea Gamberini,

Marco Gentile, Roberto Greci, Luigi Provero

Parma longobarda

Claudio Azzara 17

Chiese e dinastie nel mondo Carolingio

Luigi Provero 41

il Potere del vesCovo

Parma in età ottoniana

Giuseppe Albertoni 69

inserto fotografiCo

la via franCigena

origini, sviluPPi e Crisi

del Comune

Roberto Greci 115

il Contado di fronte alla Città

Andrea Gamberini 169

alla Periferia di uno stato

il QuattroCento

Marco Gentile 213

inserto fotografiCo

benedetto antelami

la Chiesa Cittadina, i monasteri

e gli ordini mendiCanti

Maria Pia Alberzoni 261

istituzioni eCClesiastiChe e vita religiosa nei seColi Xiv e XvGianluca Battioni 323

BiBliografia 357

indice dei nomi di persona e di famiglia 369

indice dei nomi di luogo 384

Sommario

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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Chiese e dinastie nel mondo Carolingio

Luigi Provero L’età carolingia – in Italia come nell’insieme dell’Impero – non rappre-senta un periodo di perfetti funzionamenti istituzionali o di pieno controllo regio sul territorio, da contrapporre a un rapido e brusco declino successivo. Si tratta piuttosto di una fase di efficace equilibrio tra il potere aristocratico e l’egemonia regia, un gruppo di decenni in cui i re della dinastia carolingia riescono a coordinare attorno a sé l’aristocrazia militare. In questo quadro, le principali funzioni (di conte e marchese, ma anche di vescovo) rappresentano una via per affermare il proprio potere e al contempo sono sia un’occasione di potenziamento sia un servizio nei confronti del re. Questa chiave di lettura, fondata non sull’opposizione tra regno e aristocrazia ma sulle forme del loro coordinamento, ci permette di cogliere con maggior chiarezza le dinamiche spesso contraddittorie dell’età carolingia, un periodo nel quale la straordinaria potenza delle dinastie aristocratiche poteva costituire non una minaccia, ma un sostegno efficace all’azione regia.

Un territorio e le sUe fonti

Parma carolingia1 era una città di dimensioni nel complesso ridotte, che trovava il suo primo punto di riferimento nelle mura di origine romana che delimita-vano un quadrilatero di poche centinaia di metri di lato. Le mura tuttavia non costituivano affatto un limite insuperabile, una separazione netta tra la città e la campagna: anche se si tralascia la complessa vicenda della collocazione della Cattedrale e dei suoi presunti spostamenti dentro e fuori le mura, il suburbio era in ogni caso un mondo popolato e vivo, in cui si ritrovavano insediamenti e chiese, a destra come a sinistra del torrente Parma.

Benché la città non si esaurisca nella cerchia muraria, allontanandosi dall’im-mediato suburbio la densità insediativa appare bassa e soprattutto assai disegua-le, con una concentrazione maggiore nell’area tra l’alta pianura e i primi rilievi appenninici, e minore nella bassa, dove i villaggi si concentrano soprattutto

Fig. 9 Statuetta bronzea di Carlo Magno (IX secolo). Paris, Musée du Louvre. (© Photo CNAC/MNAM, dist. RMN/J.-G. Berizzi)

1 Saggi di riferimento fondamentali sono: G. La Ferla, Parma nei secoli IX e X: “civitas” e “suburbium”, in “Storia della città”, XVIII (1981), pp. 5-32; G. La Ferla Morsel-li, Fonti documentarie e fonti archeologiche: la cattedrale di Parma ed il suo rapporto con il murus antiquus civitatis, in “Archeologia Medievale”, XXVIII (2001), pp. 571-582, a cui occorre ora aggiungere i testi in D. Vera (a cura di), Storia di Parma, vol. II: Parma romana, Parma, 2009: M. Catarsi, Storia di Parma. Il contributo dell’archeologia, pp. 367-500; P. L. Dall’Aglio, Il territorio di Parma in età romana, pp. 555-602; A. Morigi, La città dentro la città. Le trasformazioni di Par-ma antica, pp. 659-694.

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

42

lungo il corso dei principali fiumi, come il Po e il Taro2. Proprio i fiumi e la loro continua mobilità caratterizzano in modo importante ampi settori del territorio parmense, che da essi traggono risorse importanti (acqua, pesca, possibilità di trasporto etc.), ma ne vengono al contempo modellati; e proprio in età caro-lingia cogliamo diversi riferimenti a corsi d’acqua ‘vivi e morti’, tracce di una continua trasformazione del sistema fluviale locale3.

Appare impossibile individuare i precisi percorsi stradali che attraversavano il territorio, e sarebbe anzi un obiettivo errato, data la loro altissima variabilità e molteplicità. Possiamo però individuare “luoghi di strada”, ovvero spazi ed edifici che sono segnati o condizionati dal proprio rapporto con le strade e i transiti4. Nel territorio di Parma ci troviamo di fronte a tre grandi suggerimenti stradali, di cui però non riusciamo a cogliere in pieno l’efficacia per l’età caro-lingia. Il primo è costituito dall’area appenninica e dal passo della Cisa, una via importante di collegamento tra Pavia – capitale del regno –, Lucca e Roma, le principali città dell’Italia centrale nell’alto Medioevo. Una rilevanza stradale già evidente nella tarda età romana e che nello specifico dell’età carolingia sem-bra tradursi in un intervento regio a tutela dei transiti: analogamente a quanto avviene sui più impegnativi valichi alpini5, anche sulla Cisa l’azione regia si concreta nel controllo dell’ospizio di San Benedetto di Montelungo, nei pressi del passo, che in due diplomi, dell’861 e 868, Ludovico II concede all’abbazia regia di San Salvatore di Brescia6. Più difficile leggere in ottica stradale il pos-sesso regio dell’abbazia di Berceto, non lontano dal passo della Cisa, per cui non abbiamo espliciti riferimenti a un impegno monastico nei confronti delle strade7. Il secondo suggerimento è indubbiamente costituito dalla via Emilia, la cui persistente centralità nel sistema stradale, dovuta prima di tutto alla qualità tecnologica della costruzione, è attestata in modo indubbio dal dislocarsi lungo il suo asse dei principali insediamenti, urbani e non: Piacenza, Fiorenzuola, Fidenza, Parma; non è un caso se, nei conflitti territoriali che oppongono le città di Parma e Piacenza dall’età longobarda in avanti, un punto di riferimento ricorrente sarà ponte Marmoriolo, nodo della via Emilia tra Fidenza e Fioren-zuola8. Infine un suggerimento importante per i transiti nel territorio parmense era costituito non da una strada, ma da un fiume, la grande arteria navigabile del Po: se in questo caso la persistenza nel tempo non è discutibile, dobbiamo anche notare come alcuni riferimenti a porti fluviali mettano in luce lo specifico interesse in tal senso da parte di diversi poteri di età carolingia9.

La storia di Parma e del suo territorio è illuminata da un sistema di fonti di cui occorre chiarire la struttura, per cogliere quali indagini si possano condurre proficuamente e quali temi siano invece destinati a restare oscuri. Com’è ovvio per qualunque area in questo periodo, le fonti ci sono giunte esclusivamente tramite gli archivi delle chiese, principali produttrici di documenti e unici enti che in epoca carolingia disponevano della cultura e della stabilità istituzionale necessarie per conservare gli atti sul lungo periodo10. I fondi archivistici par-mensi sono ingannevolmente ricchi, perché in essi, in età posteriore, è confluita un’abbondante documentazione piacentina, in particolare quella relativa al mo-nastero regio di San Sisto. Le serie documentarie che si riferiscono effettivamen-

2 Si veda la ricostruzione degli insediamenti altomedievali in M. Cremaschi, A. Mar-chesini, L’evoluzione di un tratto di pianura padana (prov. Reggio e Parma) in rapporto agli insediamenti ed alla struttura geologica tra il XV sec. a.C. ed il sec. XI d.C., in “Archeologia Medievale”, V (1978), pp. 553, 558.

3 Ibid., pp. 547 sgg., 552; G. Bottazzi, P. Galloni, Ambiente antico e insediamenti me-dievali nella pianura parmense (secc. IX-XIII), in P. Bonacini (a cura di), Studi matildici, vol. IV: Il territorio parmense da Carlo Magno ai Canossa. Atti e Memorie del Convegno (Nevia-no degli Arduini, 17 settembre 1995), Mode-na, 1997, pp. 46 sg.; cfr. anche i riferimenti contenuti nell’inchiesta condotta nei primi decenni del X secolo per definire i confini diocesani attorno al Po raccolti in E. Falconi, R. Preveri (a cura di), Il Registrum Magnum del comune di Piacenza, vol. I, Milano, 1984, pp. 48-51, documento n. 29.

4 G. Sergi, Evoluzione dei modelli interpretati-vi sul rapporto strade-società nel Medioevo, in R. Greci (a cura di), Un’area di strada: l’Emilia occidentale nel Medioevo. Ricerche storiche e ri-flessioni metodologiche. Atti dei Convegni (Par-ma, Castell’Arquato, novembre 1997), Bolo-gna, 2000, pp. 3-12; cfr. anche le osservazioni di metodologia archeologica in T. Mannoni, Gli aspetti archeologici della ricerca sulle strade medievali, ibid., pp. 13-18.

5 Per l’ospizio del Moncenisio si veda ad esempio G. Sergi, L’aristocrazia della preghie-ra. Politica e scelte religiose nel Medioevo italia-no, Roma, 1994, pp. 124 sgg.

6 MGH, Diplomata Karolinorum, vol. IV: Ludovici II. diplomata, ed. K. Wanner, Mo-nacum, 1994, p. 136, documento n. 34, p. 160, documento n. 48.

7 L’abbazia di Berceto è concessa al vescovo Guibodo in un diploma dell’879 di Carlo-manno, sulla cui autenticità ha però avanza-to fondati dubbi Olivier Guyotjeannin. Cfr. MGH, Diplomata regum Germaniae ex stirpe Karolinorum, vol. I: Ludowici Germanici, Karlomanni, Ludowici Iunioris diplomata, ed. P. Kehr, Berolini, 1932-1934, p. 320, docu-mento n. 24; O. Guyotjeannin, Les pouvoirs publics de l’évêque de Parme au miroir des diplô-mes royaux et impériaux (fin IX e-début XI e siè-

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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te a Parma sono invece assai deboli e illuminano in modo del tutto discontinuo anche il principale ente della città, la chiesa vescovile. Di fatto, se si esclude una presenza – del tutto sporadica – di Carlo Magno in città nel 781, la documen-tazione parmense dell’età carolingia ha inizio con gli anni Trenta del IX secolo, tanto che, ad esempio, il primo conte di Parma è attestato nell’83511. A partire da questo momento si assiste a un lento incremento delle fonti, che tuttavia compiono un importante salto di qualità solo negli ultimi decenni del secolo, nel periodo di episcopato di Guibodo: questo vescovo, con la sua capacità di agire su piani diversi e di entrare in comunicazione con interlocutori politici assai diversificati, stimola la produzione di una documentazione che, pur conti-nuando a essere abbastanza ridotta, ci consente, grazie alla sua varietà tipologica e contenutistica, di cogliere una significativa articolazione di processi sociali in atto nel territorio parmense.

Fig. 10 Cappella Palatina di Aquisgrana. (© Domkapitel Aachen. Photo A. Münchov)

cle), in D. Barthélémy, J.-M. Martin (éd.), Liber largitorius. études d’histoire médiévale offertes à Pierre Toubert par ses élèves, Genève, 2003, pp. 22 sg. L’abbazia è poi confermata al vescovo Aicardo in un diploma di Rodolfo del 922; cfr. L. Schiaparelli (a cura di), I diplomi italiani di Lodovico III e di Rodolfo II, Roma, 1910, pp. 96-97, documento n. 1.

8 Si veda infra, nota 66. Cfr. inoltre il saggio di Claudio Azzara nel presente volume.

9 In particolare il porto Vulpariolo, rivendicato dalla chiesa di Cremona nell’841, e il porto Albaritolo che nell’894 appare confinante con i beni del vescovo di Parma Guibodo. Cfr. C. Manaresi (a cura di), I placiti del Regnum Ita-liae, vol. I, Roma, 1955, p. 578, documento n. 7; MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. III: Arnolfi diplomata, ed. P. Kehr, Berolini, 1940, p. 186, documento n. 125.

10 P. Cammarosano, Italia medievale. Strut-tura e geografia delle fonti scritte, Roma, 1991, pp. 39-111, in particolare pp. 49-61.

11 Si vedano rispettivamente MGH, Diploma-ta Karolinorum, vol. I: Pippini, Karlomanni, Karoli Magni diplomata, ed. E. Mühlbacher, A. Dopsch, J. Lechner, M. Tangl, Hannove-rae, 1906, p. 183, documento n. 132 (781); U. Benassi (a cura di), Codice diplomatico parmense, Parma, 1910, p. 105, documento n. 2 (835).

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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la presenza del re

I re altomedievali sono itineranti, privi di una vera capitale: anche in età carolin-gia la centralità di Aquisgrana (fig. 10) e di Pavia lascia spazio a una mobilità re-gia che non è peraltro da intendere come una debolezza dei re, ma come espres-sione della loro esigenza fondamentale di governare direttamente, di entrare in contatto con le diverse forze operanti sul territorio e di sfruttare localmente le risorse prodotte dalle loro grandi aziende agrarie12. Non è quindi strano vedere come l’azione nelle diverse parti del regno si attui prima di tutto attraverso una presenza diretta del re nelle diverse città.

Le attestazioni di sovrani carolingi a Parma sono tuttavia minime: Carlo Magno vi soggiorna nel 781, quando emana un diploma in favore degli abi-

Carta 3 Principali nuclei patrimoniali regi nel Parmense in età carolingia. Base Gis.

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Parma

Salso - Parola

Cortemaggiore

Principali nuclei patrimoniali reginel territorio di Parma

12 Per la questione della regalità itineran-te si veda l’aggiornata messa a punto in E. Voltmer, “Palatia” imperiali e mobilità della corte (secoli IX-XIII), in E. Castelnuovo, G. Sergi (a cura di), Arti e storia nel Medioevo, vol. I: Tempi, spazi e istituzioni, Torino, 2002, pp. 557-630.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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Fig. 11 L’area tra Po e Taro, nell’alto Medioevo uno dei centri delle tensioni e dei conflitti tra le città di Parma, Piacenza e Cremona. (Foto M. Fallini)

tanti di Comacchio, ma solo nell’862 abbiamo una nuova attestazione sicura della presenza regia in città, con il diploma concesso da Ludovico II alla chiesa di Modena13. Questa situazione ci segnala in modo chiaro come Parma non rappresentasse una delle residenze abituali dei re carolingi, nella loro continua itineranza nei territori dell’Impero. Ma la diretta presenza regia è solo uno dei segni che ci permettono di cogliere la qualità del potere, e non è certo il più si-gnificativo. Dobbiamo invece considerare più latamente gli interventi del regno nei confronti di Parma e del suo territorio.

Una prima chiave di lettura è costituita dal patrimonio regio nel territorio: è un’analisi in cui è particolarmente difficile ricostruire una cronologia precisa, dato che in linea di massima i beni fiscali (appunto il patrimonio regio) lasciano traccia nella documentazione solo nel momento in cui un re li dona a una chiesa o a un fedele. Vale a dire che nella maggior parte dei casi veniamo a conoscenza di un gruppo di beni regi nel momento in cui cessano di essere regi. Con questi limiti importanti, possiamo però cogliere alcuni caratteri fondamentali della distribu-

13 MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. I, p. 183, documento n. 132 (781); vol. IV, p. 143, documento n. 37 (862).

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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zione del patrimonio regio nel Parmense14 (carta 3). Il primo nucleo rilevante è collocato all’interno della città di Parma e nel suo immediato suburbio, dove troviamo una curtis regia, posta forse nell’angolo nord-orientale delle mura citta-dine, un prato nel suburbio settentrionale, e un mulino, posto invece nei pressi della porta Pediculosa, lungo il lato meridionale delle mura15. Questi beni urbani e suburbani, probabilmente cospicui, fanno parte di un ben più ampio sistema di beni fiscali nel territorio parmense, a partire dalla serie di corti regie dislocate lungo l’asse della via Emilia: in particolare Saluciola (Salso) nei pressi di Fidenza, e poco più a sud Evoriano, nell’area di Salsomaggiore; a queste dobbiamo poi ag-giungere Cortemaggiore, nel distretto piacentino, ma nelle immediate vicinanze del territorio parmense16. A questo complesso di beni posti nell’area centrale di pianura e strutturati in corti, si uniscono due altri ampi settori: da un lato la Bassa e l’area del Po, in cui il regno dispone di boschi e isole fluviali, un sistema di incol-ti nei cui confronti la spinta al dissodamento sembra solo iniziale17; dall’altro lato gli Appennini, in cui una serie di casalia (di cui si sottolinea talvolta la collocazio-ne “in alpinis ac scopulosis vastorum moncium locis”) è arricchita, nell’area del passo della Cisa, dal controllo dell’abbazia di Berceto e dell’ospedale di Montelungo18.

La qualità della presenza carolingia in città segna un mutamento importante nell’835, con la fondazione del monastero urbano di Sant’Alessandro da parte di Cunegonda, vedova del re d’Italia Bernardo, nipote di Carlo Magno19. Non è propriamente un’azione regia: Cunegonda è ormai del tutto ai margini del pote-re, dopo la ribellione del marito contro l’imperatore Ludovico il Pio e la sua sop-pressione, nell’81820; il perdono concesso da Ludovico il Pio ai congiurati che avevano sostenuto Bernardo non sembra implicare un reintegro di Cunegonda e del figlio Pipino all’interno dei quadri del potere regio e tanto meno delle linee di successione al trono. In effetti i beni – dislocati nei territori di Parma, Reggio Emilia e Modena – che Cunegonda fa confluire nel patrimonio del suo mo-nastero non sembrano derivare, se non forse in minima parte, dal patrimonio fiscale, dato che per diversi nuclei fondiari la regina fa esplicito riferimento agli atti di acquisto con cui ha preparato questa fondazione. Il rilievo altissimo del documento è però indubbio: basti notare come, dopo la sottoscrizione di Cu-negonda, nel documento si succedano i nomi del vescovo di Parma Lamberto, di un altro vescovo, Nordberto, del conte di Parma Adalgiso, dell’arcidiacono Eriberto e di una serie di gastaldi, in un evidente processo di convergenza dei vertici della società cittadina attorno a Cunegonda e al suo monastero21.

L’impegno diretto delle donne carolingie nelle fondazioni monastiche è peral-tro un processo ben attestato in questi decenni, che trova ad esempio riscontro, in un ambito territorialmente e cronologicamente assai prossimo, nella fonda-zione di San Sisto di Piacenza a opera di Angilberga, vedova di Ludovico II, nell’87722. L’anomalia del caso parmense è costituita dalla sostanziale marginalità politica di Cunegonda, che non fa più parte a pieno titolo del sistema di potere carolingio, ma che può tuttora, nonostante l’allontanamento dalla corte, fruire in sede locale di un grande prestigio connesso al suo passato, ai suoi legami fa-miliari e alla sua ricchezza; prestigio che si esprime con chiarezza nella solennità dell’atto e soprattutto nella lista dei potenti che lo sottoscrivono.

14 Cfr. la rassegna in R. Schumann, Authority and the Commune. Parma 833-1133, Parma, 1973, tabella 5, da cui si sono estratti i dati riferibili con sicurezza all’età carolingia.

15 La corte e il prato sono attestati per la pri-ma volta in documenti parzialmente dubbi: Benassi, Codice diplomatico…, p. 36, docu-mento n. 13 (877); MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, p. 321, documento n. 24 (879); p. 319, documento n. 23 (879, per il mulino). Per le collocazioni di questi beni e della porta Pediculosa cfr. La Ferla, Parma nei secoli IX e X…, pp. 6 sg., 12 e 22 sg. La palu-de regia (ibid., pp. 22 sg.) è attestata solo da un diploma di Ottone III del 989 con pesanti interpolazioni che riguardano in specifico pro-prio l’elenco di beni in cui è compresa la palu-de: MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, vol. II/2: Ottonis III. diplomata, ed. Th. von Sickel, Hannoverae, 1893, p. 459, do-cumento n. 54; le successive attestazioni della palude non sembrano contenere riferimenti a un suo originario carattere fiscale.

16 Rispettivamente: MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. III, p. 185, documento n. 125 (894, per Saluciola); vol. II, p. 203, documento n. 126 (885, per Evoriano); vol. I, p. 221, documento n. 57 (875, per Cor-temaggiore).

17 In particolare la silva di Soragna e le isole fluviali di Sacca e, nei pressi del caput Tari, la confluenza tra Taro e Po: L. Schiaparelli (a cura di), I diplomi di Guido e di Lamber-to, Roma, 1906, p. 6, documento n. 2 (890, per l’isola fluviale nei pressi di caput Tari); MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. III, p. 186, documento n. 125 (per gli al-tri beni); cfr. Schumann, Authority and the Commune…, pp. 294-297 (per le questioni relative alla silva di Soragna).

18 Per Berceto e Montelungo si veda supra, note 6 sg.; per gli altri beni in quest’area cfr. MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. I, p. 323, documento n. 234 (787); vol. IV, p. 164, documento n. 50 (870); MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, pp. 319-323 (879); vol. II: Karoli III. diplomata, ed. P. Kehr, Berolini, 1936-1937, p. 55, do-cumento n. 32 (881, anche per la colloca-zione dei beni); vol. III, pp. 185-186, docu-mento n. 125 (894).

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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Al di là di questa azione diretta del gruppo parentale carolingio all’interno della città di Parma, i beni fiscali sono prima di tutto gli strumenti e l’oggetto di un importante processo di redistribuzione, attuato tramite la serie di diplomi concessi a persone ed enti della città. È una serie documentaria che si connota per una cronologia molto specifica, perché è solo negli ultimi decenni del secolo IX, e in specifico con l’episcopato di Guibodo, che troviamo diplomi destinati ad abitanti ed enti del territorio parmense. Se infatti il primo diploma carolin-gio relativo a quest’area è quello concesso nell’870 da Ludovico II al suo poten-tissimo collaboratore Suppone23, una serie significativa di documenti ha inizio solo con l’879. A partire da quel momento, nel giro di una ventina di anni si addensa un gruppo di tredici diplomi regi destinati a Parma24: il vescovo Gui-bodo, prima di tutto, che si vede concessi o confermati beni nel Parmense e in altre aree emiliane; ma anche i canonici, singoli chierici, abbazie, piccoli aristo-cratici. Non è una società indifferenziata, ma chiaramente polarizzata attorno al vescovo25, e lungo questi canali di solidarietà e di comunicazione politica opera prioritariamente il regno, consolidando la presenza patrimoniale del presule e del suo gruppo parentale, delle chiese a lui direttamente collegate e di altri per-sonaggi attestati in modo del tutto sporadico.

Anche questi diretti interventi tramite i diplomi, tuttavia, non esauriscono certo l’azione regia nel territorio, che si concreta invece in una molteplicità di atti di governo compiuti per delega, tramite i propri rappresentanti. Occorre quindi concentrarsi sui mediatori del potere regio, su coloro che concretamente con-sentono ai re di agire in ambito locale: i conti quindi, prima di tutto, ma anche i vescovi, la cui funzione ecclesiastica si completa naturalmente con una serie di ruoli prettamente civili e con un fondamentale compito di coadiutori del regno che nell’alto Medioevo appare del tutto connaturato con la funzione vescovile.

il regno e i sUoi mediatori

La successione dei conti di Parma è una delle questioni più elusive e meno docu-mentate della vicenda carolingia della città. Di fatto abbiamo notizia di due soli conti: Adalgiso, attestato tra l’835 e l’853, e Radaldo, conte nell’89526. Tuttavia queste due figure ci permettono alcune osservazioni sulla carica comitale.

A Parma nell’atto con cui Cunegonda fonda il monastero di Sant’Alessan-dro nel giugno dell’835, troviamo tra i primi sottoscrittori “Adalghisus comis”27. Né qui né in documenti successivi è detto esplicitamente che Adalgiso sia conte proprio di Parma, ma considerando che è l’unico conte presente a un atto di tale rilevanza per la città, possiamo senz’altro ritenere che questa fosse effet-tivamente la sua carica28. Adalgiso era esponente della seconda generazione dei Supponidi, un grande gruppo parentale che agì ai vertici del regno italico lungo tutto il IX secolo, con una particolare attenzione per alcune aree, come Brescia e l’Emilia occidentale29.

19 L’atto di fondazione e dotazione è edito in Benassi, Codice diplomatico…, pp. 102-106, documento n. 2.

20 Per la vicenda si veda P. Cammarosano, Nobili e re. L’Italia politica dell’alto medioevo, Roma-Bari, 1998, pp. 142-146.

21 Il monastero sarà ricordato (come “mona-sterium quondam Cunicunde”) nell’atto con cui Guibodo nell’877 regola le forme di vita comune della canonica, cfr. Benassi, Codi-ce diplomatico…, p. 36, documento n. 13. I dubbi sull’autenticità di quest’ultimo atto (Guyotjeannin, Les pouvoirs publics…, pp. 23-24) sembrano relativi alle strutture istitu-zionali e soprattutto al rapporto tra vescovo e canonica, e non appaiono intaccare molti dati concreti contenuti.

22 L’atto di fondazione è pubblicato in Benas-si, Codice diplomatico…, pp. 147-156, docu-mento n. 22.

23 MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. IV, p. 164, documento n. 50; per i Supponidi, si veda infra, Il regno e i suoi mediatori.

24 MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, p. 319, documento n. 23; p. 320, docu-mento n. 24 (879); vol. II, p. 23, documen-to n. 15 (880); p. 55, documento n. 32; p. 56, documento n. 33; p. 62, documento n. 36 (881); p. 202, documento n. 126 (885); p. 276, documento n. 171 (887); vol. III p. 185, documento n. 125 (894); Schiaparel-li, I diplomi di Guido e di Lamberto…, p. 6, documento n. 2 (890); p. 48, documento n. 19 (892); p. 77, documento n. 3 (895); p. 93, documento n. 9 (898).

25 Per la figura di Guibodo si veda infra, Gui-bodo, un vescovo carolingio.

26 Appare invece del tutto ipotetica l’occupa-zione della carica di conte di Parma da parte di Pipino, figlio del re Bernardo e di Cune-gonda: cfr. E. Hlawitschka, Franken, Ale-mannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien (774-962). Zum Verständnis der fränkischen Königsherrschaft in Italien, Freiburg im Breis-gau, 1960, p. 246; per Cunegonda e il suo radicamento a Parma, si veda supra, nota 19.

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D I O C E S I

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( C o m i t a t o d i P a r m a )

G A S T A L D A T O

D I B I S M A N T O V A

Confini approssimativi della diocesi e del comitato di Parma nel IX secolo

Qui, tra Parma e Piacenza, i Supponidi furono attivi lungo il secolo sia come ufficiali regi sia come grandi possessori fondiari, e in questo contesto deve essere letta la funzione di Adalgiso come conte parmense.

Occorre valutare tre gruppi di dati: che cosa fa Adalgiso come conte di Parma, quali altri interventi politici compie e infine qual è la consistenza della presenza supponide nell’area. La presenza di Adalgiso all’atto di fondazione di Sant’Ales-sandro riveste diversi significati: prima di tutto esprime certo l’appoggio e la tutela che il rappresentante del potere regio, insieme ai vertici della chiesa locale, dà a una fondazione di rilevante impatto sul sistema religioso. Ma al contempo è evi-dente che la fondatrice non è una persona qualunque: la figura di Cunegonda dà alla fondazione un prestigio del tutto peculiare e collega il nuovo monastero a uno spazio politico che va al di là della realtà parmense. Tanto più significativo appare quindi l’intervento di Adalgiso, membro di un gruppo parentale la cui politica

Carta 4 Confini approssimativi della diocesi e del comitato di Parma nel IX secolo. Base Gis.

27 Benassi, Codice diplomatico…, p. 105, do-cumento n. 2.

28 Cfr. Schumann, Authority and the Com-mune…, p. 34; F. Bougard, Les Supponides: échec à la reine, in F. Bougard, L. Feller, R. Le Jan (éd.), Les élites au haut Moyen Âge. Crises et renouvellements. Actes de la Rencontre (Rome, 6-8 mai 2004), Turnhout, 2006, p. 384.

29 La vicenda dei Supponidi, che ha più volte attirato l’attenzione degli storici, è stata effi-cacemente ripercorsa in ibid.; le conclusioni di Bougard sono qui sintetizzate infra, il box I Supponidi. Le questioni genealogiche erano già state esaurientemente affrontate in Hla-witschka, Franken, Alemannen, Bayern…, pp. 299-307.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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i sUpponidi

Il grande gruppo dei Supponidi – di cui fa parte il primo conte attestato a Parma, Adalgiso – è l’espressione più piena della cosiddetta “aristocrazia carolingia”, non solo perché la sua vicenda politica si esaurisce all’interno di questa fase storica, ma anche perché è la dinastia per cui è più evidente il nesso strettissimo tra potere dinastico e servizio regio. Più in specifico, se la famiglia è di origine forse franca o alamanna, l’ascesa ai vertici politici appare connessa al trasferimento in Italia, ed è in Italia che si compie tutta la loro vicenda: il primo membro identificabile della famiglia è Suppone, conte di palazzo a partire dall’814, che nell’817, di fronte alla ribellione del re Bernardo, si schiera con l’imperatore Ludovico il Pio. È lo schieramento vincente e questa scelta è un passo fondamentale per garantire a Suppone la permanenza ai vertici del regno, prima come conte di Brescia, poi come duca di Spoleto.

Adalgiso, il conte di Parma, è figlio di Suppone, ma la sua azione in sede locale è solo una parte della politica della seconda genera-zione supponide. Il fratello Maurino agisce come conte di palazzo tra 835 e 840 (o forse 844), al fianco di Lotario e di Ludovico II. Lo stesso Adalgiso, se dall’835 all’853 è attestato come conte, solo in poche occasioni agisce effettivamente a Parma e nel suo territorio: lo troviamo invece presente a Roma alle due incoronazioni (regia e imperiale) di Ludovico II nell’844 e 850, tra i capi della spedizione contro i Saraceni progettata da Lotario nell’846, rappresentante dell’imperatore in atti di giustizia di grandissimo rilievo (tra l’arcive-scovo di Ravenna e un vassallo imperiale nell’838, e tra i vescovi di Siena e Arezzo nell’850).

Nella vicenda di Adalgiso vediamo quindi integrarsi il rapporto diretto con il re e un radicamento locale che avrà una significa-tiva prosecuzione nei decenni successivi: i due aspetti appaiono sempre attivi nella vicenda dei Supponidi, ma il radicamento locale non arriverà mai a permettere alla famiglia di creare una forma di dominazione regionale compatta. La loro fortuna appare sempre strettamente dipendente dai loro legami con il regno, che spesso si traducono in funzioni di diretti e intimi consiglieri, com’è il caso di “Suppone III”, stretto collaboratore di Ludovico II negli ultimi anni di regno; a ciò si affiancano incarichi di governo in varie parti d’Italia, da Spoleto a Torino, con una presenza più intensa e duratura a Brescia. Ma luoghi come Brescia, Spoleto o l’Emilia occidentale rappresentano sempre, nella vicenda supponide, un radicamento incompleto, in cui il patrimonio fondiario e l’esercizio di funzioni regie non si articolano all’interno di un progetto di egemonia regionale e non trovano una forma di sanzione simbolica attraverso la fondazione di un monastero di famiglia. Tutto avviene “comme si la proximité avec la sphère royale avait fonctionné comme un frein” (F. Bougard, Les Supponides: échec à la reine, in F. Bougard, L. Feller, R. Le Jan (éd.), Les élites au haut Moyen Âge. Crises et renouvellements. Actes de la Rencontre (Rome, 6-8 mai 2004), Turnhout, 2006, p. 395): è la logica del regno e delle lotte per il trono a guidare l’azione politica dei Supponidi, più che un progetto di rafforzamento dinastico territorializzato.

L’enorme potere della famiglia si rivela nel complesso precario, soggetto alle alterne vicende che lungo la seconda metà del IX secolo coinvolgono il regno, i diversi aspiranti al trono e i gruppi aristocratici che li sostengono, vicende che infine, nei primi decenni del X secolo, portano i Supponidi alla marginalità politica o quanto meno a un ruolo non diverso da molte altre dinastie comitali, un ruolo quindi ben inferiore rispetto allo straordinario potere che avevano in passato espresso sull’intero territorio italiano.

appare costantemente orientata a integrare le azioni e i patrimoni locali all’interno di una prospettiva più ampia, volta all’intero territorio del regno.

Funzione locale e prestigio dinastico sembrano integrarsi anche in un secon-do piccolo gruppo di documenti relativi all’azione di Adalgiso come conte di Parma: in due occasioni, tra l’835 e l’841, egli interviene su ordine regio per tu-telare gli interessi della chiesa di Cremona. Nell’835, pochi mesi prima dell’atto di fondazione di Sant’Alessandro di Parma, Adalgiso – insieme con il cappellano palatino Ructaldo e il conte di palazzo Maurino – aveva ricevuto da Lotario I il compito di condurre un’inchiesta per verificare se la chiesa di Cremona fosse ef-

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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fettivamente tenuta a fornire al re carri e palafreni, inchiesta che si era conclusa affermando l’esenzione della chiesa cremonese da tali obblighi30. Adalgiso entra di nuovo in relazione con la chiesa cremonese nell’841, quando – di nuovo su ordine di Lotario I – conduce una seconda inchiesta volta ad accertare l’effettivo possesso da parte del vescovo di Cremona di una serie di luoghi posti lungo il Po, che vengono poi confermati in un ampio diploma imperiale31.

Adalgiso agisce certo come rappresentante del re, come funzionario inca-ricato di amministrarne la giustizia; ma dobbiamo anche notare che nell’841 egli si trova a gestire una richiesta cremonese relativa a beni posti lungo il Po, a nord e a sud del fiume, ovvero in un’area di tensioni reali e potenziali tra le dio-cesi di Cremona, Parma e Piacenza32. In tale contesto il suo intervento a tutela della chiesa cremonese rappresenta sicuramente un’importante garanzia, sia in quanto conte di Parma (la sede potenzialmente concorrente di Cremona) sia in quanto esponente dei Supponidi (la dinastia che stava accumulando patrimo-nio e potere nell’Emilia occidentale). Se queste implicazioni sono più visibili per l’atto dell’841, dobbiamo tenerle presenti per leggere sia l’atto dell’835 sia l’ulteriore intervento di Adalgiso nelle questioni cremonesi, che pure non è re-lativo a questioni confinarie che potessero coinvolgere Parma: nell’851 è infatti presente nella corte regia di Pavia, impegnata a giudicare il conflitto apertosi tra il vescovo e i cittadini di Cremona33.

Al di fuori di Parma e dei territori confinanti, Adalgiso si muove secon-do modelli che ritroviamo nell’azione politica di altri esponenti della famiglia supponide. A partire infatti dall’ascesa al trono di Ludovico II, Adalgiso è ben attestato al fianco del re o come suo rappresentante nel Veneto, a Pavia, a Roma, in una serie piuttosto ampia di atti tra l’838 e l’85334; punto simbolicamente più alto di questo legame è sicuramente, nell’850, il matrimonio di Ludovico II con la figlia di Adalgiso, Angilberga, che negli anni Sessanta acquisirà un amplissimo potere alla corte regia35. Adalgiso è quindi pienamente uomo di corte, consi-gliere e uomo di fiducia del re, nella cui parabola il passaggio a Parma sembra marginale e quasi occasionale. Ma questa impressione è parzialmente smentita se consideriamo più complessivamente le attestazioni dei Supponidi nell’Emilia occidentale e in specifico nel Parmense.

La carica di conte di Parma è infatti – dal punto di vista dei Supponidi – un elemento importante di un’azione più articolata nell’Emilia occidentale, che si concreta nell’acquisizione di un patrimonio di probabile origine fiscale. Se per questo periodo siamo informati in modo molto discontinuo sui patrimoni laici, in questo caso disponiamo di un atto di particolare interesse, il diploma con cui Ludovico II concede a Suppone, “strenuo vasso dilectoque consiliario nostro”, alcune curtes nel comitato di Parma, nel gastaldato di Bismantova (carta 4)36. Questo Suppone – detto dagli storici “Suppone III” – è un nipote del conte Adalgiso ed è strettamente legato a Ludovico II, da cui viene inve-stito della funzione di duca di Spoleto37. Se quindi l’azione politica al servizio del regno lo porta lontano dai territori emiliani, qui conserva uno specifico interesse patrimoniale: troviamo un riferimento ai beni del conte Suppone nei pressi di Parma nell’882, mentre nell’888 la vedova Berta dispone di beni a

30 MGH, Diplomata Karolinorum, vol. III: Lotharii I. et Lotharii II. diplomata, ed. Th. Schieffer, Berolini et Turici, 1966, p. 99, do-cumento n. 25.

31 I due documenti sono editi in Manaresi, I placiti…, pp. 577-581, documento n. 7 e MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. III, p. 164, documento n. 58, e ora, in edizione più aggiornata a cura di Valeria Leoni, all’interno del Codex Sicardi, http://cdlm.unipv.it/edizio-ni/cr/cremona-sicardo, documenti nn. 56, 6.

32 Cfr. infra, nota 86.

33 Manaresi, I placiti…, p. 194, documento n. 56.

34 La serie completa dei documenti in cui è at-testato Adalgiso è compresa in Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern…, pp. 110 sg.

35 Per Angilberga si veda F. Bougard, En-gelberga, in DBI, vol. XLII, Roma 1993, pp. 668-676, ad v., ripreso, con alcune correzioni, in Idem, La cour et le gouvernement de Louis II, 840-875, in R. Le Jan (éd.), La royauté et les élites dans l’Europe carolingienne (du début du IX e siècle aux environs de 920), Lille, 1998, pp. 261-264.

36 MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. IV, p. 164, documento n. 50 (l’editore sottolinea alcuni dubbi sull’autenticità del documento, che tuttavia non dovrebbero inficiare i suoi contenuti fondamentali); per il gastaldato di Bismantova si veda infra, nota 64.

37 Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bay-ern…, pp. 271 sgg.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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Fogliano, agli estremi occidentali del territorio parmense38. Peraltro questa at-tenzione per l’area è condivisa da altri membri del gruppo parentale: nell’880 il conte di Piacenza Adalgiso – un discendente diretto dell’omonimo conte di Parma – tiene un placito a Piacenza affiancato tra gli altri da uno scabino (ov-vero un personaggio che assiste il conte e i giudici imperiali in occasione dei placiti, cioè delle sedute giudiziarie) e da due vassalli di Parma, a testimoniare probabilmente la persistenza di una rete di relazioni clientelari che nel Par-mense facevano capo ai Supponidi39. La stessa vicenda della figlia di Adalgiso e vedova dell’imperatore Ludovico II ci riporta all’Emilia occidentale: Angil-berga sceglie infatti Piacenza per fondare il monastero di San Sisto, all’interno di un percorso personale di avvicinamento alla vita monastica, ma anche in continuità con una politica familiare di specifica attenzione per la regione40.

La rilevanza di Parma per i Supponidi ci porta a considerare con attenzio-ne l’unica altra attestazione di un conte in età carolingia, quel Radaldo che nell’895 ottiene dal re Lamberto la concessione di una corte nel territorio di Reggio Emilia in favore di Ingelberto, visconte di Parma41. La nomina di Radaldo – membro della famiglia dei Guidonidi e figlio di Corrado, conte di Lecco42 – da un lato costituisce un caso abbastanza analogo ad Adalgiso, in quanto membro di un grande gruppo parentale dell’altissima aristocrazia, che diventa conte di Parma nel contesto di un’azione politica proiettata sull’in-tero regno; ma al contempo la sua funzione rappresenta un chiaro segno di un temporaneo indebolimento dei rapporti tra i Supponidi e il regno, e in particolare sembra la conseguenza di un’errata scelta di campo della famiglia, schierata in favore di Berengario I in anni in cui questi era perdente nel con-flitto contro Guido e Lamberto43.

Radaldo, nell’unico atto che testimonia la sua azione a Parma, mette in evi-denza una funzione fondamentale dei poteri comitali, quella di consentire la co-municazione politica tra la società locale e il regno, ovvero, concretamente, aiutare personaggi ed enti locali a presentare le proprie istanze al re e trovarne sostegno. Ma nel contesto parmense sono soprattutto i vescovi ad agire efficacemente come promotori delle istanze locali nei confronti del quadro politico generale.

Anche per i vescovi, però, l’informazione è assai discontinua fino a oltre la metà del secolo. Il primo vescovo di cui abbiamo notizia in età carolingia è Pietro che, nel 781, insieme con altri vescovi emiliani, si vede affidare da Carlo Magno la risoluzione di un conflitto tra la chiesa di Reggio Emilia e l’abbazia di Nonantola44. Le successive attestazioni riguardano, tra 827 e 835, il vescovo Lamberto, presente prima a un sinodo a Mantova, poi al placito che nell’830 affronta la lite tra le chiese di Fiorenzuola e Fidenza, e infine all’atto con cui la regina Cunegonda fonda il monastero di Sant’Alessandro a Parma45. Sono poco più che tracce, per quanto coerenti con i modelli ben documen-tati di vescovi carolingi: vescovi che agiscono in diretto collegamento con i poteri universali e che al contempo sono al centro delle dinamiche religiose e politiche locali e regionali. Ma questi orientamenti trovano la loro massima espressione – all’interno di una vera e propria esplosione documentaria – con l’episcopato di Guibodo, a cui è opportuno dedicare ampio spazio.

38 Benassi, Codice diplomatico…, p. 46, docu-mento n. 15 bis; p. 60, documento n. 19 bis.

39 Manaresi, I placiti…, pp. 329-330, docu-mento n. 91.

40 Per la fondazione di San Sisto si veda supra, nota 19.

41 Schiaparelli, I diplomi di Guido e di Lam-berto…, p. 77, documento n. 3.

42 Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bay-ern…, p. 247.

43 Bougard, Les Supponides…, p. 396.

44 Il giudizio è ricordato in un ampio diplo-ma di Carlo in favore della chiesa di Reggio Emilia, un documento che peraltro contiene importanti elementi di falsificazione. Cfr. MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. I, p. 326, documento n. 235.

45 MGH, Concilia Aevi Karolini, vol. I, ed. A. Werminghoff, Hannoverae-Lipsiae, 1906, p. 585, documento n. 47 (827); Manaresi, I placiti…, p. 126, documento n. 40 (830); Benassi, Codice diplomatico…, p. 105, docu-mento n. 2 (835).

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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gUibodo, Un vesCovo Carolingio

L’episcopato di Guibodo segna un salto di qualità non solo nella documentazio-ne relativa ai vescovi di Parma, ma più in generale nelle informazioni sulla società cittadina. Per il suo episcopato, tra l’876 e l’892, disponiamo di quasi trenta atti; ma al di là dell’ampiezza, ciò che colpisce è l’altissima varietà formale e contenu-tistica dei documenti, a testimonianza di un’azione politica condotta su diversi livelli, che ci consente di cogliere processi di varia natura e ampiezza. Se com-plessa e assai incerta è la questione relativa alle origini e alla famiglia di Guibo-do46, possiamo invece delineare con precisione i percorsi della sua azione politica. Dobbiamo prima di tutto sottolineare come non si possa attribuire a Guibodo

la famiglia di gUibodo

Come spesso avviene in età carolingia anche per personaggi di rilievo, la documenta-zione relativa a Guibodo alterna aspetti di grande visibilità e altri che restano pressoché ignoti. Così, se da un lato le lettere del papa Giovanni VIII ci illuminano sul ruolo di Guibodo nei rapporti tra Papato e Impero, dall’altro lato non sappiamo con certezza quale fosse la famiglia di origine del vescovo. Si è pensato a un legame parentale con un vescovo di Piacenza, ma anche a un rapporto con un altro Guibodo che a inizio secolo aveva agito come messo imperiale. Quel che possiamo ritenere abbastanza si-curo è che Guibodo non sia originario di Parma, bensì espressione di un sistema di relazioni parentali e politiche che va ben al di là della realtà locale. L’ampiezza dei suoi orizzonti patrimoniali si coglie con chiarezza nel testamento dell’892 che comprende beni dispersi in larga parte della Pianura Padana, da Modena a Como, da Piacenza al Veneto (la “marcha Berengarii”). Ma proprio il testamento pone al centro una figura che ci consente di arricchire l’idea di “famiglia di Guibodo”: destinataria dell’atto è infatti Vulgunda, detta anche “Acia”, “consanguinea mea”, la stessa che aveva affiancato Gui-bodo nel diploma con cui Carlo il Grosso, nell’887, aveva confermato tutti i beni che nei territori di Ravenna e Bologna avevano acquisito Guibodo e Vulgunda. Se le origini del vescovo restano oscure, attraverso Vulgunda possiamo cogliere le vicende successive della famiglia: la donna infatti – forse figlia di Guibodo, forse solo sua parente – ave-va sposato Pietro, duca di Persiceta; rimasta vedova, aveva scelto una vita religiosa, e infatti come “deo dicata” è ricordata sia nel diploma dell’887 sia nel già menzionato testamento e ancora nel 907 si definisce “humilima abatissa” nell’atto di gestire una serie di beni nel territorio di Bologna. È qui infatti che troviamo il seguito della vicenda della famiglia di Guibodo: i discendenti di Vulgunda sono attivi nel X e XI secolo nei territori di Bologna e Modena e ai vertici della società cittadina bolognese. Una vicenda che ci allontana da Parma e da Guibodo, ma che appare assai coerente con le politiche di consolidamento patrimoniale e relazionali impostate dal vescovo.

46 Le posizioni principali sono in Schumann, Authority and the Commune…, pp. 93, 105; N. Wandruszka, Die Oberschichten Bolognas und ihre Rolle während der Ausbildung der Kommune (12. und 13. Jahrhundert), Frank-furt am Main, 1993, p. 172; V. Carrara, Reti monastiche nell’Italia padana. Le chiese di San Silvestro di Nonantola tra Pavia, Piacenza e Cremona. Secc. IX-XIII, Modena, 1998, p. 57; da Vulgunda, consanguinea di Guibodo, discenderà un’importante stirpe cittadina bo-lognese, cfr. T. Lazzari, I “de Ermengarda”. Una famiglia nobiliare a Bologna (sec. IX-XII), in “Studi medievali”, III s., XXXII (1991), pp. 598-601; Eadem, Comitato senza città: Bologna e l’aristocrazia del territorio. Secoli IX-XI, Torino, 1998, pp. 109-110. Si veda inol-tre il box La famiglia di Guibodo.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

53

l’acquisizione di diritti giurisdizionali sulla città, come si è a lungo ritenuto sulla base di due atti – la sua donazione alla canonica di Santa Maria dell’877 (fig. 12) e il diploma di Carlomanno dell’879 – su cui sono stati recentemente avanzati pesanti e fondati dubbi di falsità47. Tuttavia, se solo a metà del X secolo i vesco-vi di Parma otterranno un pieno e riconosciuto potere giurisdizionale48, questo dato non deve sminuire la rilevanza dell’azione politica di Guibodo.

Partiamo dall’alto, dai vivi legami che Guibodo ha sia con il Papato (quindi con i pontefici Giovanni VIII e Stefano V) sia con l’Impero (Carlo il Calvo, Carlomanno, Carlo il Grosso e Guido di Spoleto). Già la prima attestazione di Guibodo ci pone in questo orizzonte: nel novembre dell’876 Giovanni VIII scrive a Carlo il Calvo inviandogli il vescovo di Parma (che già è indicato come tale) e chiedendogli di accoglierlo e di perdonarlo per precedenti conflitti non meglio precisati49. Questo è però solo l’inizio di una serie di lettere papali che testimonia-

47 I due atti sono editi in Benassi, Codice di-plomatico…, pp. 34-40, documento n. 13; MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, pp. 320-322, documento n. 24. Per la più aggiornata valutazione di questi atti cfr. Guyotjeannin, Les pouvoirs publics…, pp. 22 sgg. Si veda inoltre il contributo di Maria Pia Alberzoni in questo volume.

48 MGH, Diplomatum regum et imperatorum Germaniae, vol. I: Conradi I., Heinrici I. et Ottonis I. diplomata, ed. Th. von Sickel, Hannoverae, 1879-1884, pp. 333-334, do-cumento n. 239.

49 MGH, Epistolae Karolini Aevi, vol. V, ed. P. Kehr, Berolini, 1928, p. 26, documento n. 28.

Fig. 12 Diploma con cui il vescovo Guibodo fonda il capitolo dei canonici della Cattedrale (copia del XII secolo). Parma, Cattedrale, Archivio Capitolare, perg. secolo IX, n. XIII. (Foto G. Amoretti)

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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no il profondo coinvolgimento di Guibodo nelle dinamiche e nelle tensioni tra i due poteri supremi, al cui interno il vescovo viene più volte convocato da papa Giovanni VIII e da lui inviato come messo, insieme con figure del massimo rilievo come il conte Suppone o l’arcivescovo di Milano Ansperto50. Al contempo l’altis-simo coinvolgimento nella corte regia è testimoniato ancora negli ultimi anni di episcopato, e in particolare nell’891, quando Guibodo è ricordato come interces-sore nei diplomi che l’imperatore Guido concede alla moglie Ageltrude51. Questi intensi legami politici producono peraltro frutti molto diretti e riconoscibili: da un lato l’ampia serie di diplomi regi emanati direttamente in favore di Guibodo, a cui vengono concessi e confermati beni non solo nel territorio di Parma, ma anche in altre parti dell’Emilia e più in generale del Nord Italia52; e dall’altro la sentenza papale che nell’887 o 888, con una decisione favorevole a Guibodo, ribalta tutte le precedenti sentenze nella lunga lite tra Piacenza e Parma53.

50 Ibid., p. 43, documento n. 45; p. 106, do-cumento n. 116; p. 112, documento n. 125; p. 114, documento n. 128; p. 125, documen-to n. 147; p. 145, documento n. 181; p. 148, documento n. 186; p. 225, documento n. 257 (tutte queste lettere sono datate tra 877 e 880).

51 Schiaparelli, I diplomi di Guido e di Lam-berto…, pp. 10-17, documenti nn. 4-7.

52 MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. II, p. 23, documento n. 15 (880); pp. 55-56, documenti nn. 32-33; p. 62, documento n. 36 (881); pp. 276-277, documento n. 171 (887); Schiaparelli, I diplomi di Guido e di Lamberto…, p. 48, documento n. 19 (892); MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. III, p. 185, documento n. 125 (894). Si esclude da questa lista il diploma di Carlo-manno dell’879, relativo all’abbazia di Berce-to e ai diritti regi in città (MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, pp. 320-321, do-cumento n. 24), sulla cui autenticità i dubbi già espressi dall’editore appaiono ora parti-colarmente pesanti; cfr. Guyotjeannin, Les pouvoirs publics…, pp. 22 sg.

53 MGH, Epistolae Karolini…, vol. V, p. 344, documento n. 20 (887-888); per tutta la vi-cenda si veda infra, note 71 sgg. Si veda da ultimo il contributo di Claudio Azzara in questo volume.

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Patrimonio del vescovo Guibodonel territorio di Parma

Carta 5 Patrimonio del vescovo Guibodo (876-892) nel territorio di Parma. Base Gis.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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Ma i legami politici del vescovo con i vertici dell’Impero si riflettono anche in una serie di concessioni non destinate a lui, ma a enti e persone di Parma che in Guibodo trovano un efficace mediatore per sottoporre le proprie istan-ze all’attenzione regia: se la mediazione vescovile è esplicitamente attestata solo nei due diplomi concessi a San Nicomede di Fontanabroccoli, nell’885 e 89054, la funzione di Guibodo appare senz’altro implicita anche nell’879, quando il suo cappellano Adalberto ottiene da Carlomanno un casale sull’Ap-penino parmense55; e forse non è casuale che proprio in questi anni un tal Cristoforo, “homo parmensis”, sia in grado di fare ricorso alla giustizia regia e ottenere da Carlomanno un diploma di tutela56. Si può infatti ritenere che, al di là dei singoli e specifici interventi di mediazione operati da Guibodo, il suo episcopato rappresenti una fase di apertura dei canali di comunicazione politica tra la società parmense e i poteri universali, in misura molto superiore a quanto accertabile per i primi decenni del secolo.

Il rilievo politico di Guibodo non si esprime quindi tanto nell’accumulo di diritti e poteri, ma piuttosto in un’ottica relazionale, nel promuovere e coltivare legami non solo dello stesso vescovo, ma anche della società cittadina che lo circonda. Ed è una società su cui Guibodo opera lungo una linea di potenzia-mento non esclusivamente personale, ma familiare: in questo senso va letta la costruzione all’interno della Cattedrale di Parma sia di un sepolcro destinato al vescovo (fig. 13), sia di una cappella sepolcrale per il fratello Geroino e la cogna-

54 Cfr. rispettivamente MGH, Diplomata re-gum Germaniae…, vol. II, pp. 202-203, do-cumento n. 126; Schiaparelli, I diplomi di Guido e di Lamberto…, p. 6, documento n. 2.

55 MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, p. 319, documento n. 23. Il diploma è peraltro parallelo a un documento in favore dello stesso Guibodo, da ritenere però proba-bilmente falso, cfr. supra, nota 47.

56 Ibid., vol. II, p. 152, documento n. 93 (883); per questo atto si veda più ampiamen-te infra, nota 90.

Fig. 13 Iscrizione commemorativa del vescovo Guibodo (1567). Parma, Cattedrale. (Foto G. Amoretti)

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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ta Otta; infine il testamento, in favore della sua consanguinea Vulgunda, tende a istituire una forma di continuità familiare per via femminile, i cui esiti tuttavia appaiono leggibili solo per l’area bolognese57. Peraltro gli interessi di Guibodo non si limitano mai allo spazio della diocesi di Parma (carta 5), ed è proprio a Bologna che lo vediamo patrimonialmente attivo58.

Guibodo, se non assume pieno potere giurisdizionale sulla città, è comun-que in tutti i sensi un vescovo di grande potere e la documentazione che lo ri-guarda è un’antologia delle relazioni verso l’alto e verso il basso che un vescovo poteva attivare: dai papi agli imperatori, dai concittadini ai vertici delle chiese emiliane. È un vero vescovo carolingio, uomo di chiesa e uomo di potere, senza che i due aspetti siano in contraddizione, poiché Guibodo è pienamente uomo di potere proprio in quanto vescovo, in quanto uomo di chiesa che assolve in pieno alla sua funzione di pastore dei concittadini.

i lUoghi del potere

La povertà e la fortissima discontinuità della documentazione – in particolare per la prima metà del secolo e soprattutto per quanto riguarda gli assetti del potere regio – rendono pressoché impossibile individuare i luoghi di esercizio del potere. In molti atti si indica genericamente che sono redatti “in Parma”, e in pochi casi troviamo indicazioni più precise, come avviene nel placito che nell’830 oppone le chiese di Fidenza e di Fiorenzuola, le cui due sedute si tengono prima “infra claustra sancte Parmensis ecclesie” e poi “in palacio sancte Parmensis ecclesie infra ecclesiam sancti Laurenti”59. Sono tuttavia indicazioni che hanno suscitato un aspro dibattito sulla collocazione della Cattedrale di Parma nell’alto Medioevo60, ma che in ogni caso ci permettono di individuare negli edifici ecclesiastici un punto di riferimento importante per l’esercizio del potere nel senso più ampio del termine, mentre non appare possibile indivi-duare un palatium regio (punto di riferimento stabile di una regalità sempre itinerante) o comunque un luogo specificamente destinato alle funzioni comi-tali61. La stessa serie degli interventi giudiziari che scandiscono il lungo con-flitto territoriale tra Parma e Piacenza comprende in larga misura documenti redatti direttamente nelle aree di conflitto62.

Ma ragionare in termini di ‘luoghi di potere’ non significa solo considerare dove si trovano i potenti nei momenti in cui agiscono, ma anche e soprattut-to comprendere su quali spazi si proietta la loro azione, ovvero quali sono le articolazioni distrettuali che fanno capo a Parma. Diocesi e comitato, le due circoscrizioni fondamentali dell’età carolingia, qui come altrove, assumono una fisionomia simile ma non coincidente63: infatti, se per entrambi i distretti i limi-ti a nord e a sud erano rappresentati dal Po e dagli Appennini, più complessa e conflittuale appare la dinamica confinaria a est e a ovest.

A est il territorio di Parma confinava con quello di Reggio Emilia, ma qui la

57 Per il sepolcro di Guibodo cfr. Benassi, Codice diplomatico…, p. 47, documento n. 15 bis; nell’884 Amelrico, figlio di Geroino e Otta (e quindi nipote di Guibodo), dona una serie di terre alla cappella funeraria fat-ta costruire dai genitori: ibid., p. 51, docu-mento n. 17; per il testamento: ibid., p. 67, documento n. 25; per Vulgunda e la sua di-scendenza, si veda supra, nota 46 e il box La famiglia di Guibodo.

58 Benassi, Codice diplomatico…, p. 49, docu-mento n. 16; pp. 67-70, documento n. 25.

59 Manaresi, I placiti…, pp. 126-127, docu-mento n. 40.

60 Si veda da ultimo l’intervento di La Ferla Morselli, Fonti documentarie…

61 Sui palatia regi e la loro funzione centra-le nella costruzione e nel funzionamento del potere imperiale, si veda Voltmer, “Palatia” imperiali e mobilità…

62 Si veda in particolare Manaresi, I placi-ti…, p. 210, documento n. 59; p. 313, do-cumento n. 87. Per il conflitto territoriale si veda infra, Tra Parma e Piacenza, un confine dai molti significati.

63 Per una completa presentazione della que-stione si rimanda a Schumann, Authority and the Commune…, pp. 263-278.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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divaricazione tra diocesi e comitato era importante: il confine diocesano seguiva il corso dell’Enza, per poi distaccarsene nei pressi del Po, comprendendo nella diocesi di Parma le località di Brescello e Taneto; il comitato di Parma si estendeva invece ben al di là di questo limite, includendo un’ampia zona degli Appennini reggiani e modenesi, giungendo fino a località come Dinazzano e Fogliano. Quest’area, inclusa nel comitato parmense, corrispondeva a un distretto di tradizione longobarda, il gastaldato di Bismantova (carta 4), esplicitamente ricordato in documenti di età carolingia e postcarolingia64. Questa persistenza di quadri distrettuali minori di tradizione longobarda è un dato comune a larghi settori dell’Emilia occidentale, e si ritrova nei fines Aucenses e nei fines Castellana, distretti che comprendono ampi settori del comitato di Piacenza65. Se non è possibile individuare le ragioni specifiche che hanno indotto il regno a modellare in questo modo le circoscrizioni, dobbiamo comunque ritenere questa struttura l’esito di una scelta ben precisa, non una semplice accettazione passiva di una tradizione antica.

A ovest la diocesi confinava con quella di Piacenza, lungo una linea com-plessa che in area montana seguiva il corso del Taro, per poi spostarsi verso ovest, fino allo Stirone e all’Ongina, comprendendo località come Fidenza e Soragna; qui la diocesi di Parma confinava anche con quella di Cremona, che si estendeva ad alcune località a sud del Po, a destra dell’Ongina. In quest’area i confini di diocesi e comitato appaiono più coerenti, non solo perché seguono lo stesso tracciato, ma soprattutto perché sono coinvolti nello stesso sistema di tensioni che a lungo oppose le città di Parma e Piacenza. I distretti comitali e diocesani sono infatti realtà vive, che si modellano sulla base dei funzionamenti e dei concreti equilibri di potere, e per le quali nascono liti intense e durature; perciò ragionare sui distretti impone di integrare stabilità e dinamica, tradizione e tensioni territoriali, in un contesto in cui territorialità regia ed ecclesiastica sono nozioni distinte ma con continui richiami reciproci. Di questa dinamica è un caso emblematico proprio il confine tra Parma e Piacenza.

tra parma e piaCenza, Un Confine dai molti signifiCati

La fascia confinaria tra i territori di Parma e Piacenza, dagli Appennini fino al Po, è oggetto di una lunga tensione territoriale tra le due città. È una tensione che assume forme via via diverse, concentrandosi su aspetti e luoghi differenti, ma che dobbiamo considerare in modo unitario. Per avere una piena percezione dell’andamento del conflitto, del suo ciclico scomparire e riemergere, è utile ricostruire la sequenza dei momenti di lite di cui abbiamo traccia documentaria, riassumendone i contenuti essenziali.

Se il primo documento conservato è del 674, i riferimenti contenuti nei diversi atti ci permettono di risalire a mezzo secolo prima. Fu infatti il re lon-

64 Si veda ad esempio MGH, Diplomata Karolinorum…, vol. IV, p. 164, documento n. 50 (870).

65 V. Fumagalli, Un territorio piacentino nel secolo IX: i “fines Castellana”, in “Quellen und Forschungen aus italienischen Archi-ven und Bibliotheken”, XLVIII (1968), pp. 1-35; Idem, Città e distretti minori nell’Ita-lia carolingia. Un esempio, in “Rivista stori-ca italiana”, LXXXI (1969), pp. 107-117; Idem, L’amministrazione periferica dello stato nell’Emilia occidentale in età carolingia, in “Rivista storica italiana”, LXXXIII (1971), pp. 911-920; P. Galetti, Una campagna e la sua città. Piacenza e territorio nei secoli VIII-X, Bologna, 1994, pp. 77-102.

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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gobardo Adaloaldo (sul trono dal 615 al 624) a ordinare un’inchiesta che per-mise la posa (o meglio la ricostituzione) dei termini confinari “inter Placentiam et Parmense civitate”, nell’area compresa tra ponte Marmoriolo (nei pressi di Alseno, tra Fidenza e Fiorenzuola) e il torrente Stirone (tra Salsomaggiore e Poggiolo), per poi risalire all’area montana, in riferimento, tra gli altri, al monte Specchio (probabilmente tra Fornovo e Varsi), a Pietramogolana (tra Solignano e Berceto) e ai corsi d’acqua Taro e Gotra (carta 6)66.

Un nuovo conflitto oppone, nel 674, le curtes regie di Piacenza e Parma che si sottopongono al giudizio del re Pertarito per la definizione del possesso “de silvas, de montes vel fines” compresi esattamente nella stessa area, la fascia che da ponte Marmoriolo risale la valle del Taro fino a Pietramogolana e al torrente Gotra. Pertarito fa riferimento a un giudizio del suo predecessore Arioaldo (sul trono dal 626 al 636) e all’antica posa di termini, ma risolve la lite grazie a un’in-chiesta condotta tra i “porcarios et […] seniores homines” e con un giuramento prestato da parte dei Piacentini67.

Entrando nell’età carolingia, il quadro sembra cambiare del tutto, con liti di natura totalmente diversa, di cui però possiamo cogliere la diretta continuità con i conflitti di età longobarda. Nell’830 protagonisti della lite sono infatti il monastero di San Fiorenzo di Fiorenzuola da un lato e il prete della chiesa di San Donnino (Fidenza) dall’altro, che si contendono il diritto di pescare nella “pissina” chiamata “Fischina”, “tenente uno capite in fine sancte Marie in Cocullo et alio capite tenente in rivo Palisone”, diritto che viene infine riconosciuto alla chiesa di Fiorenzuola68. Se la mobilità dei corsi d’acqua nella bassa pianura im-pedisce di individuare con precisione tutti i luoghi69, si può identificare la zona con buona sicurezza, considerando che Palasone è attualmente una borgata nel comune di Sissa, posta sulla destra del Taro, nei pressi della sua confluenza nel Po, mentre Cocullo è da identificare con l’attuale Pieveottoville70. L’oggetto del conflitto è quindi molto specifico ed è posto nella Bassa, più a nord delle aree a cui si riferivano i documenti del VII secolo; ma ci troviamo di fronte a un conflitto tra due chiese che rimanda a un’opposizione tra le due diocesi a cui esse appartengono.

Il nesso tra conflitti locali e tensioni tra le due città appare tanto più evidente se si considera la lite documentata in modo più ampio, ovvero quella che dall’854 all’888 contrappone le chiese di Fornovo e di Varsi per le decime che Sigiprando di Baselicaduce (luogo nei pressi di Fiorenzuola) deve per i beni posseduti sul monte Spinola (da collocare probabilmente nell’area di Varano de’ Melegari)71. Un documento dell’854 narra l’inizio della lite, articolato in due momenti giudiziari72: Giovanni, arciprete di Varsi, di fronte al tribunale presieduto dal conte di Piacenza73, contesta il mancato pagamento delle decime da parte di Sigiprando, il quale risponde che non si sarebbe opposto al pagamento se non fosse per le richieste di Orso, arciprete di Fornovo. L’arciprete di Varsi rivendica quindi i propri diritti sulla base sia di un’antica consuetudine (dato che il padre e gli antenati di Sigiprando avevano sempre versato le decime a Varsi) sia di un breve, un atto di lite che – a suo dire – avrebbe contenuto la definizione dei confini tra i comitati di Parma e Piacenza; Sigiprando accetta

66 Una trascrizione del documento è inserita nel placito dell’854, cfr. Manaresi, I placi-ti…, pp. 213-214, documento n. 59. Per i conflitti di età longobarda si veda S. Gaspar-ri, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento di uno stato altomedioevale, in S. Gasparri, P. Cammarosano (a cura di), Langobardia, Udine, 1990, pp. 249-254, e ora il contributo di Claudio Azzara in questo stesso volume.

67 L. Schiaparelli (a cura di), Codice diplo-matico longobardo, vol. I, Roma, 1929, pp. 23-25, documento n. 6.

68 Manaresi, I placiti…, pp. 126-128, docu-mento n. 40.

69 Cremaschi, Marchesini, L’evoluzione di un tratto…, pp. 547-549, 552.

70 F. Menant, Campagnes lombardes du Moyen Âge. L’économie et la société rurales dans la ré-gion de Bergame, de Crémone et de Brescia du X e au XIII e siècle, Roma, 1993, p. 52; si tratta di un luogo diverso dal Cocullo corrisponden-te al più occidentale San Nazzaro: Fumagal-li, Un territorio piacentino…, pp. 8 sg.

71 Per la collocazione ibid., p. 4; Schumann, Authority and the Commune…, p. 267, nota 13.

72 Manaresi, I placiti…, pp. 210-217, docu-mento n. 59.

73 Per l’identificazione di “Vuifredus illuster comes” come conte di Piacenza, si veda Hla-witschka, Franken, Alemannen, Bayern…, p. 287.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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quindi di presentarsi in giudizio, insieme all’arciprete di Fornovo. La corte si ritrova, nell’agosto dello stesso anno, sotto la guida del conte e del vescovo di Piacenza, e chiede all’arciprete di Varsi di presentare le sue prove. L’arciprete presenta allora un documento antico, “barbarico”: è la sentenza emessa dal re Adaloaldo all’inizio del VII secolo; a questo si aggiungono alcuni testimoni che giurano che gli antenati di Sigiprando, per trenta o quarant’anni, hanno versato la decima alla chiesa di Varsi, e che l’area di monte Spinola è “terminio et parrochia Placentina”. La controparte riconosce la validità delle prove presentate e viene quindi emessa sentenza in favore di Varsi.

Il conflitto è tutt’altro che finito: la persistente tensione è confermata da un atto dell’858 con cui lo stesso Giovanni, arciprete di Varsi, ottiene da una serie di uomini di monte Spinola l’impegno a versargli regolarmente le decime74. Ma

74 S. Celaschi, Un documento inedito dell’858: antiche questioni tra le Pievi di Fornovo e di Varsi, in “Archivio Storico per le Province Parmensi”, IV s., XXIV (1972), p. 114.

Carta 6 Principali punti di riferimento nelle liti tra Parma e Piacenza tra VII e IX secolo. Base Gis.

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Parma

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

60

solo vent’anni dopo il conflitto si riapre: nell’879, davanti alla corte presieduta dai rappresentanti del conte di Piacenza, l’avvocato della chiesa di Varsi dichiara che è in corso una lite tra le chiese di Varsi e Fornovo per le decime del monte Spinola; a lui si affianca un rappresentante del comitato di Piacenza, che chiede sia effettuata un’inchiesta sui confini tra le due città. Il tribunale fa quindi venire “bonos et idoneos homines”, che dichiarano che l’area di monte Spinola paga le decime a Varsi ed è posta “terminium de ipsa plebe et est iudiciaria Placentina”. Segue, nuovamente, una sentenza in favore di Varsi75.

La lite trova un’ulteriore sanzione nel diploma che nel giugno dell’883 Carlo il Grosso concede alla chiesa di Piacenza, a cui conferma in particolare i beni e le decime spettanti alla pieve di Varsi, da poco distrutta in un incendio insieme con i suoi documenti, il che aveva suggerito ad alcuni “pravi homines” di tentare di impossessarsi dei beni della chiesa76. Non abbiamo elementi per affermare che questi “pravi homines” avessero qualcosa a che fare con la chiesa di Fornovo o con gli uomini di monte Spinola, ma possiamo notare che questo diploma, emanato nell’abbazia di Nonantola, presso Modena, non solo si inserisce in una serie di atti in cui l’imperatore appare impegnato a regolare questioni diverse relative all’Emi-lia occidentale77, ma è anche stato redatto in un momento in cui erano probabil-mente presenti a corte alcune figure di un certo rilievo della società parmense78. Elementi di questo genere non permettono certo di cogliere specifiche dinamiche conflittuali: ma il diploma appare comunque collocabile in un contesto di ridefi-nizione degli equilibri regionali da cui la città di Parma non appare esclusa.

Il discorso non è chiuso: pochi anni dopo la conduzione della lite viene as-sunta direttamente dal vescovo che ricorre alla giustizia papale. Tra 887 e 888, papa Stefano V infatti, in continuità con lo stretto rapporto di collaborazione che aveva unito Guibodo di Parma a papa Giovanni VIII, prima convoca il ve-scovo Paolo di Piacenza per rispondere a una denuncia di Guibodo, poi lo con-danna perché non si è presentato in giudizio, stabilendo che il monte Spinola debba spettare esclusivamente alla chiesa parmense, ribaltando quindi i giudizi dei decenni precedenti79.

Una lUnga tensione territoriale

Rileggendo questa serie di documenti, eterogenei per forma e contenuti, ci si rende conto che riguardano tutti un’unica tensione territoriale che contrappone Parma e Piacenza sul lungo periodo. Il richiamo esplicito da una lite all’altra emerge solo nel placito dell’854, relativo alle decime tra Fornovo e Varsi, al cui interno si fa ampio uso della sentenza regia di inizio VII secolo che aveva complessivamente delineato i confini tra le due città. Emerge qui la piena in-terferenza tra piani diversi: se la sentenza di Adaloaldo, in modo assai generico, faceva riferimento a una lite “inter Placentiam et Parmense civitate”, nella querela dell’854 viene ben più specificamente ricordata come atto di definizione dei

75 Manaresi, I placiti…, pp. 313-315, docu-mento n. 87 (879).

76 MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. II, p. 132, documento n. 81.

77 Ibid., p. 128, documento n. 78 p. 129; do-cumento n. 79, p. 137; documento n. 85.

78 Troviamo infatti uno scabino di Bismantova e due di Parma all’interno del placito tenuto dallo stesso imperatore a Nonantola, nel mese di giugno 883, relativo ai territori di Mon-selice e Venezia. Cfr. Manaresi, I placiti…, Appendice, p. 619, documento n. 92 bis.

79 MGH, Epistolae Karolini…, vol. V, p. 344, documento n. 20; per il legame tra papa Giovanni VIII e Guibodo si veda supra, note 49 sgg.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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confini “inter comitatum isto Placentino et partem comitatui Parmense”, per poi essere usata di fatto per fondare una delimitazione delle diocesi, e in quanto tale ritenuta utile a sanare un conflitto tra due specifiche chiese80. È notevole la capacità di manipolare le specifiche valenze giuridiche dei singoli atti, ma al contempo vediamo come fosse a tutti evidente che le liti tra le chiese di Fornovo e Varsi non erano altro che un’espressione locale di una ben più ampia tensione territoriale tra le città di Piacenza e Parma.

Tuttavia la fondamentale unitarietà del sistema conflittuale tra VII e IX se-colo va al di là di questo specifico richiamo: è nel complesso la fascia confinaria, dalla Bassa fino agli Appennini, a essere costantemente oggetto di tensioni e conflittualità, a tratti gestiti complessivamente dalle forze cittadine (come avvie-ne nel VII secolo), a tratti da chiese di frontiera (com’è il caso della lite Fidenza-Fiorenzuola e di quella Fornovo-Varsi); ma anche in questi casi non si tratta di questioni puramente locali, come prova prima di tutto il fatto che il confronto tra le chiese di Fornovo e Varsi si tradurrà, quasi naturalmente, in un’esplicita contrapposizione tra il vescovo parmense e quello piacentino.

Indice della rilevanza delle liti è anche l’impegno di personaggi di altissimo livello per la loro risoluzione: prima i re longobardi, poi in diversi momenti i due vescovi, il conte di Piacenza e infine l’imperatore e il papa. A questo si aggiunge un importante e diretto coinvolgimento della popolazione locale: la dimensione assembleare tipica del placito risponde prima di tutto a un’esigenza di pubblicità, fondamentale in ogni atto giudiziario e tanto più in occasioni come questa, in cui si ridefiniscono i quadri di funzionamento della vita asso-ciata, determinando la dipendenza delle comunità locali da una città o un’altra. Più in specifico, nell’854 l’assemblea si traduce in un’inchiesta81, con testimoni presentati dall’arciprete di Varsi, che confermano la pluridecennale consuetudi-ne per cui le decime relative al monte Spinola erano versate alla chiesa di Varsi. È un’azione indubbiamente utile ad accertare la verità, ma soprattutto a dimo-strare ai giudici che una quota significativa della società locale è orientata verso questa soluzione della contesa82. In generale, infatti, chi detiene il potere di giudicare ha come primo obiettivo non la verità, ma la pace, la fine del conflitto: il consenso della società locale può quindi costituire una significativa garanzia dell’accettazione della sentenza e quindi della futura pacificazione dell’area.

Altri elementi connotano la fascia confinaria tra Parma e Piacenza: un dato fondamentale è la persistente efficacia di distretti non comitali, i cosiddetti fines Aucenses e fines Castellana, che comprendevano la parte più orientale della dio-cesi di Piacenza e parte di quella di Parma, comportando probabilmente fun-zionamenti sociali che prescindevano dal riferimento ai confini diocesani83. Su queste aree inoltre vediamo agire una pluralità di protagonisti sul piano patri-moniale, monastico ed ecclesiastico: oltre alle chiese citate fin qui, si deve ricor-dare l’importantissima abbazia di Nonantola, presso Modena, che concentra un rilevante patrimonio nell’area orientale della diocesi di Piacenza, affidandone la gestione alle case di San Silvestro di ponte Marmoriolo per quanto riguarda i fines Castellana lungo il IX secolo, e a Santa Maria Monachorum per i fines Aucenses nel secolo seguente84. Una specifica presenza monastica è promossa

80 Per tutto ciò si veda Manaresi, I placiti…, pp. 210-217, documento n. 59, in particolare pp. 213-214 per il testo del precetto di Ada-loaldo e p. 212 per la sua definizione come lite “inter comitatum isto Placentino et partem comitatui Parmense”.

81 Ibid., pp. 214-215, documento n. 59.

82 Per questa finalità delle inchieste si veda W. Davies, P. Fouracre (eds.), The Settlement of Disputes in Early Medieval Europe, Cam-bridge, 1986, p. 220.

83 Si veda supra, nota 65.

84 Cfr. Carrara, Reti monastiche…, pp. 54-66.

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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anche dai vescovi di Parma, e in particolare da Guibodo che in due occasioni, nell’885 e 890, ottiene concessioni imperiali in favore del monastero di San Nicomede di Fontanabroccoli (Salsomaggiore), agli estremi occidentali della diocesi di Parma, diplomi che concedono una serie di terre comprese nell’area tra il monastero stesso e il Po, lungo il corso dello Stirone e del Taro85.

Vediamo quindi che il quadro delle presenze e delle tensioni in quest’area si complica, e in questo contesto dobbiamo collocare due interventi della diocesi di Cremona, connessi alla sua estensione anche a sud del Po e quindi alla sua in-terferenza con i distretti diocesani di Parma e Piacenza. Il primo intervento risale all’841, quando la chiesa cremonese chiede e ottiene dalla giustizia regia un’inchie-sta per provare i suoi diritti su una serie di luoghi posti attorno al Po, nell’area di convergenza dei tre distretti diocesani di Parma, Piacenza e Cremona86. L’inchiesta è affidata ad Adalgiso, conte di Parma, grazie al cui intervento la chiesa cremonese si vede tutelata non solo dalla giustizia regia, ma anche da una delle famiglie più potenti del regno e dal potere comitale di una delle due città emiliane nei cui con-fronti Cremona si pone in oggettiva concorrenza sul piano territoriale.

La persistente tensione territoriale trova poi nuova visibilità documentaria all’inizio del X secolo, in un atto databile tra il 915 e il 924, quando l’imperatore Berengario promuove una nuova inchiesta per individuare i diritti attorno al Po della chiesa cremonese, a causa della “non modica confusio” tra detta chiesa e quelle di Milano, Pavia, Piacenza, Parma e Reggio Emilia; l’inchiesta fa emerge-re un quadro estremamente complesso e frammentato, con sovrapposizioni tra le diverse giurisdizioni vescovili87.

Pur con le normali incertezze nell’identificazione dei singoli luoghi e nella ricostruzione di tutte le fasi delle liti, il sistema delle tensioni territoriali ap-pare abbastanza chiaro, e rivela una perdurante e multiforme conflittualità tra Parma e Piacenza lungo tutta la linea di confine, che nell’area della Bassa si intreccia con le pressioni attuate dalla diocesi cremonese. Questa tensione sembra da ricondurre prima di tutto, come in tutte le aree di pianura, alla forte variabilità dei corsi dei fiumi – spesso usati come punti di riferimento per individuare i confini – che comporta una continua incertezza dei limiti esistenti; ma tra Parma e Piacenza questa incertezza appare anche connessa alla persistente efficacia di quadri distrettuali antichi, di matrice non comitale e non diocesana, che sembrano rendere a tratti incerta la pertinenza dei sin-goli segmenti territoriali all’una o all’altra città. L’efficacia di questi distretti minori appare rilevante in piena età carolingia: se la presenza del gastaldato di Bismantova aveva indotto ad ampliare il comitato di Parma ben al di là del territorio diocesano, i fines Castellana e Aucenses sembrano favorire il formarsi di un’area di flessibilità e indeterminatezza confinaria, aprendo lo spazio a un lungo conflitto territoriale.

85 I documenti sono in MGH, Diplomata re-gum Germaniae…, vol. II, p. 277, documen-to n. 171 (885); Schiaparelli, I diplomi di Guido e di Lamberto…, p. 6, documento n. 2 (890); cfr. anche Idem (a cura di), I diplo-mi di Berengario I, Roma, 1903, p. 65, do-cumento n. 22 (899). Per la collocazione dei luoghi compresi nei diplomi, cfr. Schumann, Authority and the Commune…, p. 93, oltre alla tabella 5 e alla mappa 8 nell’Appendice dello stesso volume.

86 Cfr. Manaresi, I placiti…, p. 577, docu-mento n. 581; un’edizione più aggiornata, a cura di Valeria Leoni, è disponibile all’inter-no dell’edizione elettronica del Codex Sicardi, http://cdlm.unipv.it/edizioni/cr/cremona-si-cardo, documento n. 56; per l’identificazione dei luoghi si veda Schumann, Authority and the Commune…, p. 267.

87 Si veda Falconi, Preveri, Il Registrum Magnum…, vol. I, pp. 48-51, documento n. 29.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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dentro la Città: perCorsi di potenziamento dell’élite

Leggere le dinamiche interne a qualunque società cittadina in età carolingia è sempre un’impresa difficile, tranne nei pochissimi casi fortunati di straordina-ria ricchezza documentaria come Piacenza o Lucca. Parma non è uno di questi casi, come abbiamo visto: solo l’Archivio Capitolare ci ha conservato atti che, a partire dalla metà del secolo IX, attestano in modo assai discontinuo le azio-ni patrimoniali di alcuni settori della società cittadina. Sono tuttavia leggibili alcune dinamiche sociali e possono essere individuati o, talvolta, intuiti alcuni percorsi politici.

Se proviamo a considerare i dati a disposizione per leggere le dinamiche interne alla società cittadina, ci rendiamo conto di una chiara discontinuità nella documentazione parmense, poiché è solo a partire dall’episcopato di Gui-bodo, negli ultimi decenni del secolo, che possiamo cogliere l’azione di gruppi familiari che non siano le grandi dinastie comitali. È un’azione documentata in modo estremamente frammentario, ma con alcune indicazioni interessanti. Il primo dato che testimonia con evidenza la crescita di un’élite cittadina all’ombra del potere vescovile è costituito dalla capacità di cittadini parmensi di entrare in comunicazione con il potere regio, ottenendone diplomi di conferma. Così nell’879, in parallelo al diploma – peraltro dubbio – in favore del vescovo Gui-bodo, Carlomanno concede al prete Adalberto, cappellano del vescovo, beni in città e sugli Appennini88. Di nuovo, nell’ottobre dell’883, troviamo un uomo di Parma, Cristoforo, che si rivolge all’imperatore Carlo il Grosso, lamentando che un tal Vuiclando e altri uomini sono entrati illegalmente nella sua proprietà di Medesano (sulla sinistra del Taro, poco a sud di Noceto), portandone via vino e grano; Cristoforo ottiene quindi dall’imperatore un diploma di protezione di tutti i suoi beni89. In entrambi i casi cogliamo i segni di un’élite cittadina che si rafforza grazie al sostegno imperiale e vescovile: già il fatto stesso di accedere a una comunicazione politica con l’Impero è segno indiscutibile di una condizio-ne di eminenza sociale, ma a questo si aggiungono cariche di rilievo nella chiesa cittadina (nel caso di Adalberto), il possesso di servi (nel caso di Cristoforo) e nuclei fondiari apparentemente rilevanti (per entrambi).

Altri atti, negli stessi anni, testimoniano in modo discontinuo ma inequi-vocabile l’elaborazione di solidarietà parentali e clientelari attorno al vescovo Guibodo e alla canonica di Santa Maria: nell’882 il prete Domenico, originario di Martorano ma abitante a Parma, dona alla Cattedrale di Santa Maria una terra in Flaciano, probabilmente nelle immediate prossimità della città. La do-nazione però non è destinata genericamente alla chiesa, ma molto più specifi-camente all’altare di San Michele – dove è predisposta la sepoltura del vescovo Guibodo – e ai preti e al diacono incaricati di custodirlo90. Un’altra donazione di rilievo è quella compiuta nell’884 da Amalrico, nipote del vescovo Guibodo, che dona i suoi beni “in Viconandulfo” alla cappella che la madre Otta aveva costruito all’interno della Cattedrale e che al momento ospitava la sepoltura

88 MGH, Diplomata regum Germaniae…, vol. I, p. 319, documento n. 23.

89 Ibid., vol. II, pp. 152-153, documento n. 93.

90 Benassi, Codice diplomatico…, pp. 46-47, documento n. 15 bis; per l’identità del pre-te Stefano, uno dei custodi dell’altare di San Michele, si veda infra, nota 98.

Storia di Parma. Parma medievale: poteri e istituzioni

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della madre e del padre Geroino, fratello del vescovo91. Sono qui evidenti i segni di un’azione tendente a consolidare una posizione sociale d’élite da parte del gruppo parentale che fa capo al vescovo: nel primo atto un prete manifesta il proprio legame clientelare con il vescovo beneficiando l’altare destinato ad accoglierne la sepoltura; nel secondo abbiamo i più stretti parenti del vescovo che costruiscono una propria cappella funeraria all’interno della Cattedrale, la dotano di beni e si garantiscono che i vescovi futuri non abbiano diritto di interferire nella gestione dei loro beni.

L’appropriazione dello spazio interno alla Cattedrale da parte della famiglia del vescovo è un segno evidente di un progetto di consolidamento dinastico che deve andare oltre l’episcopato di Guibodo; in questo progetto la famiglia sembra ottenere l’appoggio di alcuni personaggi dotati di un certo rilievo so-ciale: non solo il prete Domenico, autore della donazione dell’882, ma anche i chierici che in questa stessa donazione appaiono incaricati dal vescovo di una funzione di altissima fiducia, quella di custodire l’altare destinato alla sua sepol-tura, ovvero di curare l’espressione monumentale del suo dominio sulla città. Non si tratta quindi di un incarico qualsiasi, ma la testimonianza di un legame di tipo clientelare che unisce Guibodo ad alcuni membri eminenti del suo clero. Il dato appare confermato dal fatto che, tra i custodi dell’altare di San Michele, troviamo il prete Stefano, membro di una famiglia di indubbio rilievo nella cit-tà, la cui fisionomia è però comprensibile seguendo una vicenda diversa, quella di due chiese private all’interno della diocesi di Parma.

san QUintino e san savino: dUe Chiese, tre famiglie e Una rete di legami

Nei decenni centrali del IX secolo una serie di documenti, poi confluita nell’Ar-chivio Capitolare di Parma, ci permette di seguire i passaggi di proprietà delle chiese di San Quintino, nell’immediato suburbio di Parma, e di San Savino, sull’Enza, nei pressi del confine del territorio reggiano92. Le chiese, originaria-mente possedute da due famiglie, tra 833 e 860 confluiscono nel patrimonio dell’arcidiacono Eriberto e del nipote, l’arciprete Rimperto, che poi trasferisce quella di San Quintino nelle mani di un suo nipote, il suddiacono e poi prete Stefano, che si impegnerà in seguito a consolidare i possessi dell’ente93.

La vicenda di queste due chiese non è ovviamente solo un fatto di devozione: ci illumina su diversi meccanismi sociali fondamentali, come i processi di costru-zione dei patrimoni familiari, l’uso delle solidarietà parentali, l’elaborazione delle forme di eminenza sociale. In particolare cogliamo la vicenda di tre gruppi fami-liari, legati tra di loro in modi che non sempre possiamo decifrare perfettamente. Prima di tutto ci sono le due famiglie che originariamente condividono a metà il possesso delle due chiese, il che ci fa ritenere che fossero tra di loro imparentate e che la divisione possa risalire a una originaria comproprietà tra due fratelli.

91 Ibid., p. 51, documento n. 17. La relazione di parentela tra Amalrico e Guibodo si dedu-ce dal fatto che Geroino e Otta, i genitori di Amalrico, sono ricordati come fratello e co-gnata del vescovo nel suo testamento dell’892 (ibid., p. 68, documento n. 25); la parentela era già sottolineata in I. Affò, Storia della città di Parma, vol. I, Parma, 1792, p. 304, docu-mento n. 28.

92 La vicenda è ampiamente ricostruita in P. Bonacini, Le famiglie parmensi e le fondazio-ni ecclesiastiche di San Quintino e San Savino nei secoli IX e X, in “Civiltà padana. Archeo-logia e storia del territorio”, V (1994), pp. 99-132.

93 I documenti che segnano la progressiva acquisizione delle due chiese e il successivo trasferimento nelle mani di Stefano sono in Benassi, Codice diplomatico…, pp. 7-9, do-cumento n. 3 (833); pp. 21-23, documento n. 8 (853); pp. 27-31, documenti nn. 10-11 (860). La successiva azione di consoli-damento del patrimonio di San Quintino a opera di Stefano è attestata ibid., p. 44, documento n. 15 (880); G. Drei, Le car-te degli archivi parmensi dei sec. X-XI, vol. I, Parma, 1924, pp. 40-42, documento n. 5 (905). Per i nessi genealogici si veda il box, L’élite cittadina e il possesso delle chiese di San Quintino e San Savino.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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Del primo nucleo familiare sappiamo poco: nell’833 Suniperto di Piacenza, figlio del fu Gisone, cede all’arcidiacono Eriberto e al nipote Lamberto metà delle due chiese94; né Suniperto né il figlio Ariperto, che dà il proprio consenso, sottoscrivono il documento, ma appongono solo il proprio signum, e possiamo quindi ritenere che fossero analfabeti, come la stragrande maggioranza della

l’élite Cittadina e il possesso delle Chiese di san QUintino e san savino

Due chiese del territorio parmense sono illuminate in età carolingia da un piccolo gruppo di documenti che ci offrono interessanti opportunità per cogliere alcune dinamiche sociali interne alla città. In modi non diversi da ciò che nello stesso periodo si riscontra in altre città italiane, vediamo chiese minori che fanno parte integrante di patrimoni familiari e che vengono vendute e cedute in affitto tra diverse famiglie cittadine.

Il nucleo fondamentale è costituito da quattro documenti, compresi tra l’833 e l’860, che sanciscono una serie di passaggi di proprietà delle chiese, trasferendole progressivamente dalle due famiglie che le controllavano originariamente (e che forse le avevano fondate), a una terza famiglia, le cui rispettive figure eminenti sono chierici e diaconi della chiesa di Parma. Questi diversi atti sono strettamente interconnessi e – grazie anche ad alcuni altri documenti degli stessi decenni – ci permettono di ricostruire brevi genea-logie delle famiglie coinvolte, fondamentali per cogliere le dinamiche sociali in atto nella città.

Le persone riquadrate sono quelle direttamente attestate in relazione alle chiese. Le frecce oblique indicano le relazioni indicate con il termine “nepos” (che non possiamo precisare ulteriormente)

genealogie delle famiglie legate alle Chiese di san QUintino e san savino

Famiglia dei donatori dell’833

Gisone

Suniperto833 dona la sua quota delle chiese

Ariperto833 dà il consenso alla donazione paterna

Famiglia dei venditori dell’853 e 860

Ragimbaldo (853 quondam)

Ragimbaldo Chierico

860 cede la sua quota tramite il fratello

Guiberto853 dà in affitto

la sua quota860 quondam

Arioaldo853 dà in affitto la sua

quota; 860 vende la quota sua e dei fratelli

RaidulfoScabino, cognato di Arioaldo; 860 dà il

consenso alla vendita

Famiglia che acquisisce il controllo delle chiese di San Quintino e San Savino

StefanoVassallo imperiale

830 presente a un placito

Rimperto830 presente a un placito

860 quondam

EribertoArcidiacono

833 riceve ½ delle chiesecon il nipote Lamberto;

853 riceve in affitto ½ delle chiese con il nipote Rimperto Lamberto

Suddiacono833 riceve ½ delle chiese

con Eriberto

RimpertoPrete poi arciprete

853 riceve in affitto ½ delle chiesecon Eriberto;

860 riceve ½ delle chiese di proprietà;

860 vende San Quintino alnipote Stefano

StefanoSuddiacono

860 acquista San Quintinoda Rimperto

Lamperto

94 Benassi, Codice diplomatico…, pp. 7-9, documento n. 3.

X (figlia)Sposa lo

scabino Raidulfo

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società laica. Al contempo non siamo in grado di identificare nessuno dei testi-moni presenti all’atto; altri documenti relativi a Piacenza, tuttavia, ci mostrano come Suniperto faccia parte, se non dell’alta aristocrazia, certo di gruppi social-mente rilevanti all’interno della comunità cittadina95.

Più significative le notizie sulla seconda famiglia, che nell’853 cede la quota delle chiese in affitto all’arcidiacono Eriberto e al nipote Rimperto, per poi ven-dere questa stessa quota allo stesso Rimperto nell’86096. La famiglia dei venditori è costituita dai discendenti di un tal Ragimbaldo, che nell’853 risulta già morto: sono infatti i suoi tre figli (il chierico Ragimbaldo, Gariberto e Arioaldo) a com-piere i due atti di affitto e di vendita, mentre nel documento dell’860 vediamo intervenire anche Raidulfo, genero di Ragimbaldo, che dà il proprio consenso a nome della moglie. I due atti contengono alcuni indizi chiari dell’eminenza sociale di questa famiglia: i figli di Ragimbaldo sono alfabetizzati, come testimo-niano le loro sottoscrizioni agli atti; Arioaldo dispone di una propria clientela vassallatica (Adreberto, “vassallo suprascripto Araldi” sottoscrive l’atto dell’860); inoltre il cognato Raidulfo è uno scabino e altri quattro scabini sottoscrivono come testimoni l’atto dell’85397.

Ma è soprattutto la terza famiglia, quella che nel corso dei decenni assume il pieno controllo su San Quintino e San Savino, a mostrare in molti modi la propria rilevanza sociale e la propria rete di relazioni. Prima di tutto diversi membri della famiglia occupano cariche importanti all’interno della chiesa parmense: dall’arcidiacono Eriberto, all’arciprete Rimperto, fino ai due nipoti suddiaconi, Lamberto e Stefano; quest’ultimo diviene poi prete e assume la rilevante funzione di custode dell’altare di San Michele, destinato ad acco-gliere la sepoltura del vescovo Guibodo98. Anche al di fuori dell’ordinamento ecclesiastico il gruppo parentale aveva assunto ruoli di rilievo, come vediamo dall’importante placito dell’830 a cui partecipano il vassallo imperiale Stefano e il figlio Rimperto, rispettivamente nonno e padre di Stefano, ultimo desti-natario della chiesa di San Quintino99. La condizione di vassallo imperiale mostra in modo inequivocabile come, già nei primi decenni del secolo, ci troviamo di fronte a personaggi che possono fruire dei più alti legami politici, confermati nell’835, quando l’arcidiacono Eriberto – lo stesso che due anni prima aveva ottenuto metà di San Quintino e San Savino – sottoscrive come testimone l’atto di fondazione di Sant’Alessandro da parte della regina Cune-gonda, vedova di Bernardo; e non è una sottoscrizione marginale: a quella di Cunegonda seguono quelle del vescovo di Parma Lamberto, di un altro vesco-vo, Nordberto, del conte di Parma Adalgiso e appunto del nostro arcidiacono, che mostra quindi indiscutibilmente la sua posizione di vertice nei confronti della chiesa e della società cittadina100. Negli ultimi decenni del secolo è anche possibile, benché documentato in modo assai più sfuggente, un legame tra il prete Stefano e la potentissima stirpe dei Supponidi101. Infine è la stessa azione patrimoniale condotta dagli esponenti di questa famiglia a testimoniare il suo rilievo economico e la sua capacità di azione sociale: prima tramite l’arcidia-cono Eriberto e i suoi nipoti, che lungo i decenni riescono ad affermare un pieno controllo sulle due chiese, originariamente appartenenti ad altri gruppi

95 Bonacini, Le famiglie parmensi…, pp. 100 sg.

96 Benassi, Codice diplomatico…, pp. 21-23, documento n. 8 (853), pp. 27-28; documen-to n. 10 (860).

97 Sul ruolo degli scabini si veda F. Bougard, La justice dans le royaume d’Italie de la fin du VIII e siècle au début du XI e siècle, Roma, 1995, pp. 140-158.

98 Si veda supra, nota 90; cfr. Bonacini, Le famiglie parmensi…, p. 114.

99 Manaresi, I placiti…, p. 127, documento n. 40.

100 Benassi, Codice diplomatico…, p. 105, do-cumento n. 2.

101 Su questo punto specifico si veda la discus-sione in Bonacini, Le famiglie parmensi…, p. 115.

Chiese e dinastie nel mondo carolingio

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familiari; poi con il prete Stefano, che dopo aver ottenuto la chiesa di San Quintino si impegna a consolidarne il patrimonio con acquisti e permute tra la fine del secolo e l’inizio del successivo102.

Ci troviamo quindi di fronte a un gruppo parentale che nel corso del secolo è in grado di mettere in gioco strumenti assai diversificati per rafforzare la propria posizione nella società cittadina: legami con l’Impero e con un vescovo di ema-nazione imperiale, azione all’interno degli apparati giudiziari cittadini, occupa-zione delle cariche ecclesiastiche. In questo percorso rientra anche il controllo delle chiese di San Quintino e San Savino, strumento ed espressione dell’emi-nenza sociale della famiglia dell’arcidiacono Eriberto.

La vicenda di queste due chiese e delle famiglie che le controllano risulta quindi un punto di sintesi di tutti gli elementi che abbiamo visto in azione all’interno della società parmense in età carolingia: un potere imperiale distante ma indispensabile punto di riferimento; un’articolazione locale del potere tra-mite i conti e gli apparati giudiziari; una concreta e diretta dominazione della chiesa vescovile; e infine un gruppo di famiglie eminenti che, in questo quadro, trovano gli spazi per un’azione politica autonoma.

102 Per l’azione del prete Stefano cfr. Benassi, Codice diplomatico…, p. 44, documento n. 15 (880); Drei, Le carte…, pp. 40-42, docu-mento n. 5 (905).