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Città interetnica. Spazi forme e funzioni per l’aggregazione e per l'integrazione

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Collana “Città e Architettura”

diretta da Massimo Clemente

La Fondazione Aldo Della Rocca, Ente Morale per gli Studi di Urbanistica

D.P.R. 5-7-1958 n° 1013, ha voluto promuovere e sostenere questa pubblica-

zione di Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita, per l’affinità culturale

e per il comune sentire scientifico e formativo sul tema della multiculturalità

in urbanistica e in architettura. Il volume, infatti, si collega direttamente alle

attività di ricerca, formazione e sperimentazione sviluppate per la “città inte-

retnica cablata” dalla Fondazione Della Rocca e, in particolare, al recente Volume 29 della Collana

di Studi di Urbanistica, dal titolo “Città Cablata, Carta di Megaride ’94, Città Europea Interetnica.

Genetica e Destino di un Percorso”.

Massimo Clemente Gabriella Esposito De Vita

0011 CCiittttàà iinntteerreettnniiccaaSpazi, forme e funzioni per l’aggregazione e per l’integrazione

Editoriale Scientifica

Proprietà letteraria riservata

© Copyright 2008 Editoriale Scientifica s.r.l.

Via San Biagio dei Librai, 39

80138 Napoli

ISBN 978-88-6342-000-5

Progetto promosso e sostenuto dalla Fondazione Aldo Della Rocca all’interno della reta di ricerca

e alta formazione sulla «città interetnica cablata».

Ricerca sviluppata nell’ambito della Convenzione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e il

Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università degli Studi

Federico II di Napoli.

Pubblicazione finanziata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito della Promozione

della ricerca 2004, Prima stampa 2007 - Pubblicazione opere e periodici - prot. 1262 Resp. Scient.

Massimo Clemente.

Indice

Note introduttive

CORRADO BEGUINOT 9

Presidente della Fondazione Aldo Della Rocca, Ente Morale di Studi di Urbanistica, Roma

WALTER ESPOSTI 13

Direttore del Dipartimento Sistemi di Produzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma

FRANCESCO FORTE 15

Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università

degli Studi Federico II, Napoli

LUIGI FUSCO GIRARD 19

Past Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali

dell’Università degli Studi Federico II, Napoli

Capitolo 1

Città multietniche per la città interetnicaMassimo Clemente (1.1, 1.2, 1.4) Gabriella Esposito De Vita (1.1, 1.3, 1.4)

1.1 La metodologia di studio: ricerca, formazione, sperimentazione 23

1.1.1 Gli obiettivi della ricerca: pianificare e progettare multiculturale 23

1.1.2 La base di conoscenza sulla città multietnica 25

1.1.3 Il percorso di studio per la città interetnica 30

1.1.4 L’approccio multidisciplinare per una semantica multiculturale 31

1.2 Culture globali e identità locali 32

1.2.1 Per quale città e quali architetture 32

1.2.2 Ricerca e formazione per la sperimentazione 35

1.2.3 Un futuro arcobaleno per la città e l’architettura 38

1.2.4 Dalla teoria alla prassi, dall’analisi al progetto 40

1.3 La etnodiversità: problema o risorsa? 44

1.3.1 Il DNA della città contemporanea 44

1.3.2 Dal concetto di integrazione a quello di interazione 47

1.3.3 I luoghi fisici e culturali per l’interazione: i nuovi valori semantici 50

1.4 Riferimenti 54

1.4.1 Bibliografia 54

1.4.2 Internet 55

Capitolo 2

La ricerca sulla città multietnica: lo stato dell’arteMassimo Clemente

2.1 L’indagine sui centri di ricerca 57

2.1.1 Le finalità e i contenuti del censimento 57

2.1.2 I criteri di classificazione e gerarchizzazione 58

2.2 Lo stato dell’arte della ricerca 62

2.2.1 La ricerca in urbanistica per la città interetnica 62

2.2.2 La ricerca per l’urbanistica e la città interetnica 74

2.3 Migrazioni, ricerca e documentazione 83

2.3.1 La ricerca sulla multietnia e sulla multiculturalità 83

2.3.2 Documentazione e statistiche sulla multietnia 85

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2.4 Valutazioni e prospettive di studio 86

2.4.1 La suddivisione geografica della ricerca 86

2.4.2 La gerarchia delle tematiche della ricerca 88

2.5 Riferimenti 91

2.5.1 Bibliografia 91

2.5.2 Internet 92

Capitolo 3

I luoghi della socializzazione per una cultura condivisaGabriella Esposito De Vita

3.1 Le premesse di una ricerca: dalla paura alla socializzazione interculturale 97

3.2 L’insicurezza urbana e l’immigrazione: il ruolo degli spazi e dei luoghi 99

3.2.1 Il senso di insicurezza (i luoghi della paura) nella città contemporanea 99

3.2.2 Le matrici del conflitto nella città multietnica 103

3.2.3 Lineamenti di progettazione orientata alla sicurezza urbana 106

3.2.4 Immigrazione e sicurezza urbana: elementi per l’interpretazione dei nodi progettuali 110

3.3 L’esperienza italiana e il fenomeno migratorio: conflitto vs socializzazione 113

3.3.1 Temi-problema e potenzialità: immigrazione e immaginario collettivo 114

3.3.2 Scenario normativo e prospettive future 122

3.3.3 Le scelte localizzative delle comunità immigrate 124

3.3.4 Le espressioni della conflittualità etnica e dell’insicurezza 127

3.3.5 Un possibile percorso interpretativo 132

3.4 La rete degli spazi d’aggregazione: socializzazione vs conflitto 133

3.4.1 Linee guida per una città multiculturale sicura 133

3.4.2 La procedura 138

3.4.3 Criteri progettuali per l’aggregazione interetnica: dall’alloggio al sistema integrato

per la residenza 140

3.4.4 L’attuazione selettiva del piano: il modello partecipativo 143

3.5 Riferimenti 146

3.5.1 Bibliografia 146

3.5.2 Carte 148

Capitolo 4

Lo sport per la città multiculturaleMassimo Clemente

4.1 Il ruolo dello sport nella società multiculturale 149

4.1.1 Sport, inclusione sociale, integrazione etno-culturale 149

4.1.2 Dalle origini alla modernità dello sport 150

4.1.3 Lo sport oggi per la crescita sociale 151

4.2 Per il superamento delle diversità 152

4.2.1 Le buone pratiche: ricerche, conferenze, documenti, associazioni 152

4.2.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio 157

4.3 Gli spazi dell’incontro e del dialogo 162

4.3.1 I luoghi dello sport: sperimentazioni metodologiche e progettuali 162

4.3.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio 166

4.4 Riferimenti 168

4.4.1 Bibliografia 168

4.4.2 Internet 168

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Capitolo 5

Il progetto urbanistico: spazi e funzioni multiculturaliBianca Petrella (5.1, 5.4), Claudia de Biase (5.2, 5.4), Ciro Tufano (5.3, 5.4)

5.1 (Ri)progettare spazi e funzioni urbane per la multiculturalità 169

5.1.1 Periferie urbane e periferie umane 169

5.1.2 Una chiave d’interpretazione per la città interetnica 171

5.2 (Ri)progettare le funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione 176

5.2.1 Strumenti urbanistici e normative per la riorganizzazione delle attività 176

5.2.2 La problematica dei servizi 178

5.2.3 La riqualificazione dei quartieri residenziali 179

5.3 (Ri)progettare gli spazi urbani dell’aggregazione e dell’integrazione 183

5.3.1 Design urbano e città interetnica 183

5.3.2 Lo spazio semiotico urbano 184

5.3.3 Il design urbano interetnico 185

5.4 Riferimenti 189

5.4.1 Bibliografia 189

5.4.2 Legislazione 191

Capitolo 6

L’architettura possibile per la città multiculturaleFrancesco Bruno (6.1, 6.4), Eleonora Giovene di Girasole (6.2, 6.4), Marco Cante (6.3, 6.4)

6.1 La città multiculturale e multietnica ed i pregressi multi-errori

6.1.1 Progettare per la città interetnica: aperta, libera e multiculturale 193

6.1.2 I casi studio a Milano e a Napoli 195

6.2 (Re)interpretazione delle città: il ruolo del progetto nella società multiculturale 196

6.2.1 Città multiculturale: nuove identità ed evoluzione dei bisogni 196

6.2.2 Le aree periferiche come luoghi di nuove identità urbane 198

6.2.3 Verso una città multiculturale: l’esperienza del Terzo Settore nel PRU Stadera

di Milano 200

6.2.4 Il ruolo del progetto: la riqualificazione urbana e edilizia come (ri)modellazione 206

6.3 La rigenerazione del luogo fra ricerca e progetto: tracce di un futuro possibile

per Scampia 209

6.3.1 Prefigurare nuove immagini urbane: Scampia come laboratorio di sperimentazione

progettuale e multiculturale 209

6.3.2 Integrare parti di città: il progetto per la Piazza della Socialità a Scampia 210

6.3.3 Il riassetto dei quartieri di edilizia residenziale e l’interetnia: una proposta

per il recupero del “Lotto M” e delle “Vele” di Scampia 212

6.4 Riferimenti 217

6.4.1 Bibliografia 217

6.4.2 Internet 217

Capitolo 7

L’interpretazione visuale della città dell’accoglienzaGabriella Esposito De Vita (7.1, 7.3, 7.4), Maurizio Cimino (7.2, 7.4)

Fotografie di Maurizio Cimino

7.1 Valori semantici multiculturali per la città dell’accoglienza 219

7.2 L’interpretazione visuale della nuova semantica urbana 221

7.3 Le parole chiave e l’interpretazione visuale 223

7.4 Riferimenti bibliografici 243

Note sugli autori 245

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IND

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Note introduttive

CORRADO BEGUINOTPresidente della Fondazione “Aldo Della Rocca”, Ente Morale di Studi di Urbanistica, Roma

Il volume di Massimo Clemente e Gabriella Esposito è un ulteriore tassello del mosaico

sulla “città europea interetnica cablata” che la Fondazione “Aldo Della Rocca” ha realizzato nei suoi

più recenti anni di attività per contribuire alla soluzione dei numerosi problemi urbanistici posti

dalla convivenza multietnica nella città contemporanea. In sintesi, si tratta della ricerca delle ri-

sposte alla modificazione profonda della società urbana, sempre più multiculturale e multiraz-

ziale, per il disegno di una città interetnica cablata, semanticamente e funzionalmente rispon-

dente ad una nuova realtà qual è l’Europa dei meticci.

La Fondazione Della Rocca è stata istituita nel 1954 per onorare l’urbanista Aldo Della

Rocca, tragicamente e immaturamente scomparso, di cui Ludovico Quaroni così delineò la figura:

“Anziché dai libri o dalle utopie, scritte o disegnate, com’è stato spesso per gli altri urbanisti, no-

strani o forestieri, egli si è avvicinato allo studio dei problemi di relazione fra tecnica ed econo-

mia, fra arte e politica, dalla quotidiana constatazione, sui lavori, delle interferenze e delle con-

vergenze dell’interesse pubblico e privato, dell’importanza dei regolamenti e della legislazione e,

più ancora, della loro efficacia e precarietà, del valore che il costume, la morale, o la convinzione

razionale possono avere, caso per caso, nella realizzazione dei problemi della vita urbana ed, in

particolare, della sua città” 1.

Attorno alla Fondazione si sono aggregati, per oltre cinquant’anni, studiosi della città ed

esperti della pianificazione territoriale, per confrontarsi su temi e argomenti di grande attualità,

attraverso i ventisette concorsi banditi, le numerose pubblicazioni, i convegni, le tante iniziative

culturali, scientifiche e formative.

La riflessione sull’innovazione tecnologica, le infrastrutture telematiche e i conseguenti im-

patti in termini di trasformazioni territoriali ha caratterizzato il decennio compreso tra il 1985 e il

1995, e la Fondazione ha contributo all’approfondimento del modello urbanistico della “città ca-

blata”. Negli anni novanta, poi, è emerso, con forza, il tema della città multietnica, nella consape-

volezza dei fenomeni in atto a livello continentale e mondiale.

Negli ultimi anni, si è compiuta una sintesi nella concettualizzazione della “città interetnica

cablata” intesa come modello di sviluppo urbano nel quale l’innovazione tecnologica concorre

alla valorizzazione delle diversità culturali derivanti dalle migrazioni transnazionali.

La complessificazione etnica della città contemporanea è stata scandagliata nella sua po-

tenzialità di risorsa su cui fondare il nuovo modello di sviluppo per realizzare gli auspici della

Carta di Megaride. L’obiettivo fondante della nuova Carta dell’urbanistica, sottoscritta nel 1994

da oltre seicento studiosi provenienti da tutto il mondo, è la creazione della città della pace e

della scienza del XXI secolo, un’utopia urbana che, oggi, rinnova il proprio portato culturale e

operativo nel riferimento metodologico della città interetnica cablata. Dai principi della Carta, in

primis “città e popoli” e “città e cittadini”, ma anche, in una logica sistemica ed integrata,“città e si-

curezza” e “città e tecnologia” si è sviluppato un percorso di studio, riflessione e proposizione sulla

città europea interetnica cablata. Con apporti culturali e sperimentali in ambito internazionale, si

sono sviluppate numerose iniziative scientifiche e formative e si sono approfondite le tendenze

evolutive della città contemporanea e, in particolare, delle città europee, sull’onda della ricompo-

sizione etnica delle comunità urbane.

Un percorso, dunque, di ricerca e di sperimentazione didattica, lungo, denso e complesso,

sviluppatosi, negli ultimi tre decenni, intorno ai due grandi temi-problema che la città europea

1 Nella rivista Urbanistica n. 13 del 1953 citata in Beguinot C. (a cura di) (2006) La Fondazione Aldo Della Rocca nelsuo primo cinquantennio per una città europea interetnica cablata, Collana Atti convegni e ricorrenze, Giannini Editore,Napoli.

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ha di fronte: gli effetti della rivoluzione tecnologica e la ricerca delle condizioni, possibili e

irrinunciabili, per una convivenza interetnica, fondata sul rispetto delle differenze, di una moltitu-

dine di persone che affluiscono, sempre più, da altri continenti verso la vecchia Europa, territorio

dell’accoglienza.

Massimo Clemente e Gabriella Esposito hanno partecipato agli incontri, ai seminari, ai con-

vegni, alle ricerche e alle iniziative di formazione, sulla città multietnica, realizzati dalla

Fondazione Della Rocca ed hanno collaborato anche alla diffusione dei risultati illustrati nei vo-

lumi a stampa della Collana di Studi Urbanistici (volumi XXV, XXVI, XXVII, XXVIII e XXIX), della

Collana Atti Convegni e Ricorrenze (volumi X, XI), della Collana Ricerche e Documentazione (vo-

lumi V, VI) e nei numerosi video presentati in convegni nazionali e internazionali.

Il pluriennale lavoro della comunità scientifica coagulata dalla Fondazione ha favorito l’e-

voluzione dell’originale concetto di “città multietnica” verso la più complessa idea di “città inte-

retnica cablata”, luogo della convivenza delle diversità, favorita anche dall’utilizzo delle opportu-

nità offerte dall’innovazione tecnologica.

La Fondazione, inoltre, ha colto la domanda di formazione di nuove professionalità per la

gestione delle città multietniche, ha promosso iniziative didattiche post laurea ed ha sollecitato

l’inserimento delle tematiche nei corsi di laurea di sociologia, architettura, ingegneria, pianifica-

zione territoriale. Congiuntamente alla Link Campus University of Malta (Roma), si è promossa

l’attivazione del primo corso di Laurea Specialistica in Pianificazione Territoriale Urbanistica

Ambientale – Governo delle Trasformazioni Urbane per la Città Europea Interetnica Cablata, al

quale hanno assicurato la partecipazione Colleghi illustri provenienti da aree culturali diverse, dai

paesi in cui nasce la migrazione e da quelli europei in cui nasce l’esigenza del ridisegno delle

nostre città.

Proiettandosi dalla teoria alla prassi, al futuro operare dei giovani professionisti, il tema

della città interetnica ha animato, altresì, le ultime sessioni degli esami di abilitazione all’esercizio

della professione di architetto tenutesi recentemente a Napoli. I risultati dell’impegno degli esa-

minati sono confluiti in una mostra-convegno presso il Complesso di S. Maria la Nova in Napoli il

cui successo conferma l’efficacia del filone aperto dalla Fondazione Della Rocca e suggerisce di

proseguire l’iniziativa a Napoli e altrove.

Ricerca, formazione e sperimentazione sulla città interetnica, quanto si illustra in questo

volume, è nato da questa filiera ma il progetto ha saputo individuare ambiti originali che sono

stati approfonditi dagli Autori con rigore metodologico.

Si tratta di un esempio originale, nel panorama della produzione scientifica di taglio urba-

nistico, di un percorso nel quale la compresenza di varie tematiche e approcci disciplinari è orien-

tata a dare risposta alla domanda generata dalla convivenza di diversi nella città contemporanea

con proiezione territoriale, proponendo indirizzi metodologici per la pianificazione e la progetta-

zione. Si sottolinea la base di conoscenza ampia e articolata su cui si fonda la ricerca, avvalendosi

del patrimonio offerto dalla comunità scientifica della Fondazione, dalla letteratura scientifica più

recente sul tema della città multietnica, dai testi classici di urbanistica e sociologia urbana che

sono stati riletti dal nuovo punto di vista “multiculturale”, riscoprendone l’attualità.

A partire dal primo capitolo, dove si affronta il delicato rapporto tra culture globali e iden-

tità locali, è stata sviluppata la consapevolezza che l’etnodiversità possa costituire une risorsa

piuttosto che un problema. Il nodo gordiano della globalizzazione intesa quale fattore di appiat-

timento culturale contrapposto ai valori dell’identità locale viene affrontato in chiave semantica.

Si cerca, cioè, di identificare quegli elementi che, scaturiti dall’osmosi culturale e dalla stratifica-

zione fisica di simboli polisemici “pietrificati” nella città storica, consentono di identificarsi con il

proprio spazio urbano e di interagire sviluppando un “comune sentire” tra etnie diverse.

Il secondo capitolo offre una panoramica delle attività dei centri di ricerca sulla città mul-

tietnica, attinti da internet e opportunamente sottoposti a verifiche e riscontri, illustrando espe-

rienze, verifiche sul campo, statistiche e progetti che si rendono disponibili per gli studiosi.

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A partire dal terzo capitolo si sviluppa il percorso metodologico che, con apporti interdi-

sciplinari, mette in relazione la nuova struttura sociale multietnica con gli spazi ed i luoghi urbani

per l’interazione e la socializzazione. Nella cultura anglosassone del town planning, l’innovazione

nel campo dell’istruzione ha costituito il traino per una profonda innovazione del fare architet-

tura ed urbanistica, avviando la stagione dell’unità di vicinato quale punto luce di uno sviluppo

sociale ed urbano. Analogamente, i temi affrontati nel volume possono dare vita ad altrettanti

nuovi approcci progettuali: gli approcci e le soluzioni proposte costituiscono “innovazioni tecno-

logiche” che confluiscono in una architettura del dialogo orientata a soddisfare il principio della

coesistenza civile e del rispetto delle differenze.

Il filo conduttore del percorso metodologico seguito è la ricerca degli elementi progettuali

che possano costituire quei “punti luce” che, favorendo l’interazione tra diversi (coinvolgendo le

diverse forme di marginalità sociale) possano contribuire al superamento dell’insicurezza, reale o

percepita. Ripensare la rete degli spazi dell’aggregazione, sviluppare idee e progetti per dare ri-

sposta alla modificazione della società urbana globalizzata con un disegno della nuova città in-

teretnica e cablata, sono questi i concetti chiave del terzo capitolo, in sintonia con il solco trac-

ciato dalla Fondazione.

L’indispensabile base di conoscenza derivata da studi sociologici, antropologici, giuridici

deve trovare concretezza nel fare urbanistica per la costruzione di una città interetnica e ciò si-

gnifica sviluppare un disegno territoriale che sappia mettere a sistema i baricentri dell’incontro

multiculturale: una nuova architettura che esprima e realizzi i luoghi del dialogo e che contribui-

sca a trasformare i conflitti in interazione.

Nel capitolo quattro i luoghi dello sport vengono proposti, in questa medesima logica,

come possibili “punti luce” del ridisegno urbano consapevole e avente per obiettivo la convi-

venza delle diversità, l’inclusione sociale e l’integrazione etnoculturale ma anche il rispetto delle

identità e l’attenzione al senso d’appartenenza, dei cittadini diversi, ad una stessa comunità ur-

bana.

La semantica urbana si collega, nelle pagine del libro, ai temi della multietnia, della multi-

culturalità e dell’interetnia. Il tessuto urbano oppone una maggiore inerzia al cambiamento di

quanto non faccia il tessuto sociale esprimendo, così, l’identità e la cultura locali che stanno

diventando quantitativamente minoritarie, con presenze sempre più massicce di popolazione

eteroctona.

La riflessione sui modi nei quali, non solo il costruito ma anche lo spazio pubblico, si sono

modificati, esprimendo una società in mutamento, è alla base delle definizione della nuova ar-

chitettura del dialogo e delle sue “tecnologie” quali le nuove configurazioni degli spazi d’aggre-

gazione e dei luoghi dello sport che possono trasformare i conflitti latenti o manifesti in energie

e sinergie positive.

L’urbanistica e l’architettura non devono limitarsi a rispondere al fabbisogno di alloggi e

servizi ma ad una più ampia domanda di vita associata, di vita urbana. Piano e progetto devono

pensare e disegnare spazi per le funzioni, per l’istruzione, la salute, la formazione, la gestione, il

tempo libero, lo sport, l’incontro, il confronto e il dialogo. L’Urbanistica e l’Architettura devono “la-

vorare insieme” per la soluzione dei problemi della convivenza multietnica nella città europea.

La riflessione sulle periferie urbane e le periferie umane è oggetto del quinto capitolo per

orientare il recupero del costruito al riuso interetnico, valorizzando quanto si è andato realiz-

zando nelle periferie negli ultimi decenni. Il sesto capitolo apre una finestra progettuale su casi

studio stimolanti ed è foriero di ulteriori sviluppi di ricerca compositiva che sia sensibile alla

multiculturalità.

Infine, nel capitolo sette, le immagini rappresentano la problematicità e la drammaticità

della città contemporanea, trasmettendo con immediatezza i nodi irrisolti per poi inquadrarli in

una griglia interpretativa che finalizza il contributo fotografico nella logica complessiva della ri-

cerca. L’indagine visuale costituisce un passaggio obbligato per raccogliere un’istanza di qualità

urbana che esula dai tradizionali canali dell’analisi urbanistica.

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Lo sforzo scientifico degli Autori appare congruente e complementare al lavoro della

Fondazione Della Rocca per la promozione e diffusione della cultura urbanistica. Alle tre Collane

storiche Studi Urbanistici, Ricerca e Documentazione, Atti Convegni e Ricorrenze, recentemente,

si è aggiunta la nuova IV Collana Editoriale delle Ristampe Anastatiche della “memoria perduta”

che conta già due volumi, raccoglie curiosità storiche - inedite o non più disponibili nelle librerie

- redatte da studiosi “amici della Fondazione” che documentano particolari esperienze di ricerca

e progettuali o che hanno offerto un contributo all’evoluzione della disciplina urbanistica.

La lettura trasversale dell’impegno scientifico della Fondazione negli ultimi tre decenni, in

particolare, sui tre temi della Città Cablata, della Carta di Megaride ’94 e della Città Interetnica,

nonché sul programma delle attività in corso, formano oggetto del XXIX Volume della Collana

“Studi Urbanistici” dal titolo “Genetica e destino di un percorso” che, partendo dall’excursus su i

tre temi suddetti, formula iniziative e risposte urbanistiche, scientifiche e formative sulla città del

XXI secolo sempre più multiculturale e multirazziale e quindi, a breve, sulla “città dei meticci”.

Questo Volume XXIX, pubblicato in contemporanea con il volume di Clemente e Esposito, pur se

redatto da persone diverse e con taglio diverso, può considerarsi parte integrante di un pensiero

comune costruito in lunghi anni di un percorso condiviso.

Ed ancora, in seno alla Link Campus University of Malta ed in collaborazione con istituzioni

universitarie e centri di ricerca italiani e stranieri, la Fondazione porterà avanti altre iniziative cul-

turali, scientifiche e formative. Oltre all’istituzione del Corso di Laurea in Governo delle

Trasformazioni per la Città Interetnica e Cablata si segnalano i tre Master di 2° livello su Sicurezza

Urbana, Facility Management e Sistemi Informativi Territoriali, richiesti da aziende private e da

istituzioni pubbliche.

Sulla stessa linea di sviluppo, si collocano la partecipazione a iniziative di rilevanza inter-

nazionale quali il Congresso di Istanbul sulla Città Interetnica, la XX Conferenza “Urban diversities,

biosphere and well-being: designing and managing our common environment” (luglio 2008), a

cura dell’International Association for People-environment Studies (IAPS), dell’Università di Roma

Sapienza e dell’Università LUMSA, il Congresso Internazionale di Cuba sui temi che affliggono le

popolazioni dell’intero pianeta, l’uso delle risorse, le migrazioni, la globalizzazione.

Saranno accompagnati, nella fase di start up, i Centri Regionali istituiti dalla Fondazione in

Partnership con Istituzioni nazionali e locali, in Lombardia, Calabria e Sicilia, con i quali si sta co-

stituendo una rete facente capo al Centro Studi U.r.b.i.s. et O.r.b.i.s. (Roma).

Last but not least, il progetto più ambizioso nella vita recente della Fondazione: l’istitu-

zione di un archivio, il primo del settore in Italia, di studi, progetti e documenti dei grandi attori

dell’urbanistica moderna e contemporanea. L’Archivio degli Urbanisti del XX Secolo per gli stu-

diosi della città e del territorio del XXI Secolo potrebbe diventare il cuore dell’attività della

Fondazione, sul quale innestare le altre esperienze di ricerca, formazione e promozione della co-

noscenza in campo urbanistico.

Questo è l’ambito culturale e scientifico nel quale la Fondazione Della Rocca ha promosso

e sostiene il progetto di ricerca del CNR realizzato da Massimo Clemente e Gabriella Esposito

De Vita, presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali. La prima

fase della ricerca ha dato vita a questa pubblicazione e si è certi delle potenzialità che le cono-

scenze e le competenze maturate potranno esprimere nei prossimi anni, realizzando una rete per

l’avanzamento del sapere e del fare. Per questo, si auspica il prosieguo dell’attività di ricerca sulla

città interetnica svolta dal gruppo di lavoro del CNR presso l’Università Federico II di Napoli.

L’esperienza di ricerca ha prodotto un importante contributo per gli studiosi della città e

delle tematiche urbanistiche della società multiculturale. Si aprono, quindi, scenari di ricerca e di

formazione da mettere a punto e da sviluppare negli anni a venire, per contribuire, con tenacia,

alla costruzione della città europea interetnica cablata, città della pace e della scienza del XXI se-

colo, dando così risposta alle modificazioni prodotte dalla società urbana europea multiculturale.

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WALTER ESPOSTIDirettore del Dipartimento “Sistemi di produzione” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma

La società italiana attraversa in questi anni una nuova fase evolutiva introdotta dall’immi-

grazione. È una fase evolutiva che procede in modo irregolare, ma con grande velocità e ci pro-

pone alcune parole chiave sulle quali occorre riflettere con la medesima celerità, se non si vo-

gliono vedere introdotti squilibri, difficili poi da riassorbire da parte di un contesto come il no-

stro, che si connota già per numerose problematiche generate dal riassetto economico legato

alla globalizzazione. Queste parole sono: aggregazione, integrazione, multicultura.

Si tratta di obiettivi che necessitano di azioni complesse, le quali richiedono specifiche

caratteristiche dell’intorno spaziale ove prendere forma e svilupparsi: la città.

Su questo si è focalizzata la ricerca di Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita, i cui

risultati, illustrati in questo volume, sono la testimonianza concreta e tangibile dell’efficacia del-

l’interazione scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche con le altre istituzioni che, nel no-

stro Paese, operano nel campo della cultura, della ricerca e dell’alta formazione.

In particolare, il progetto di ricerca è stato promosso dalla Fondazione Aldo Della Rocca ed

è frutto della collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e il Dipartimento di

Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università “Federico II” di Napoli, sulla

base di una convenzione di durata biennale.

L’oggetto di studio è stato fissato negli “Spazi e funzioni urbane dell’aggregazione e del-

l’integrazione per la città interetnica europea”. Dopo il primo biennio, la ricerca è proseguita sul

tema “Spazi e funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione per la città interetnica euro-

pea e mediterranea: dall’interpretazione degli scenari al progetto dei nuovi luoghi e paesaggi ur-

bani” che è tuttora in corso di svolgimento.

La Fondazione Aldo Della Rocca, ente morale di studi di urbanistica con sede in Roma pre-

sieduto dal Prof. Corrado Beguinot, dagli anni novanta ha avuto quale oggetto delle numerose

iniziative culturali e scientifiche il tema-problema delle trasformazioni della città e del territorio

europeo indotte dai flussi migratori che stanno modificando la composizione e l’articolazione

delle società urbane.

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche vanta una tradizione pluridecennale nel campo della

ricerca urbanistica che si è consolidata, soprattutto, nei quindici anni di attività dell’Istituto di

Pianificazione e Gestione del Territorio, sotto la guida del Prof. Beguinot nel suo ruolo di

Presidente del Consiglio Scientifico e di membro del Comitato nazionale d’ingegneria e architet-

tura del CNR.

Il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali, caratterizzato dalla

varietà disciplinare degli studiosi che vi afferiscono, con la sua disponibilità, ha offerto l’opportu-

nità d’interagire proficuamente sul piano culturale e scientifico, accogliendo i ricercatori del CNR

in un humus favorevole alla ricerca ed alla formazione sul tema della città multietnica.

Il volume si articola in sette capitoli che ripercorrono le tappe della ricerca sviluppata dai

ricercatori del CNR, negli ultimi anni, presso il Dipartimento dell’Università “Federico II” di Napoli

nell’ambito della rete culturale e scientifica promossa dalla Fondazione Della Rocca.

Il primo capitolo, fissa la metodologia dello studio nei tre momenti complementari della ri-

cerca, della formazione, della sperimentazione e, partendo dai principali riferimenti di base, indica

il percorso di studio seguito e da proseguire.

Il secondo capitolo sviluppa una panoramica dello stato dell’arte della ricerca e della do-

cumentazione, nel mondo, sul fenomeno migratorio ed i conseguenti impatti urbani e territoriali.

La disamina sfrutta le potenzialità del web, attraverso l’utilizzo dei motori di ricerca con parole

chiave che hanno consentito, in tempo reale, di individuare i centri di ricerca, le attività pregresse

e in corso, la produzione scientifica, i progetti futuri.

I luoghi della socializzazione della città multiculturale sono approfonditi, nel terzo capitolo,

con particolare attenzione al problema della sicurezza urbana, affrontando temi chiave come

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l’approccio partecipativo al piano urbanistico, l’alloggio, gli spazi d’incontro, le funzioni e i servizi

per le comunità urbane multietniche.

Un contributo al dialogo interetnico ed all’aggregazione tra popoli diversi può venire dallo

sport e, nel capitolo 4, si argomenta il ruolo dei luoghi per lo sport nella città contemporanea per

favorire l’inclusione sociale e l’integrazione culturale e si illustrano alcuni casi studio significativi

delle tendenze in atto nelle città dell’Unione Europea.

Nei capitoli 5 e 6, si trova il contributo dei gruppi di ricerca coordinati, rispettivamente, da

Bianca Petrella della Seconda Università di Napoli e da Francesco Bruno dell’Università Federico

II di Napoli. In particolare, il quinto capitolo approfondisce l’aspetto progettuale urbanistico degli

spazi e delle funzioni nella città multiculturale, con particolare riferimento al tema delle periferie

urbane e umane ed alla necessaria riqualificazione e risemantizzazione. Le stesse periferie sono

oggetto di un approfondimento architettonico, sempre in chiave progettuale, con proposte me-

todologiche e d’intervento nelle periferie di Napoli e Milano.

Infine, il capitolo 7 propone un’interpretazione visuale di come la multiculturalità stia tra-

sformando le città europee creando, contemporaneamente, problemi di conflitto e opportunità

di arricchimento culturale.

Una ricerca su processi complessi, quali sono quelli affrontati, è sempre un fatto impor-

tante, perché i suoi risultati costituiscono una base conoscitiva, in cui si assommano le esperienze

pregresse e le considerazioni e le proposte degli studiosi e degli esperti che li hanno analizzati.

Ancora più importante è che di essi prendano coscienza tutti coloro che sono coinvolti in

questi processi per contribuirvi o per prendere decisioni, affinché si metta in moto il circolo vir-

tuoso che, procedendo attraverso la sperimentazione e la conseguente analisi del feedback,

renda massimo il contributo che questa ricerca può offrire.

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FRANCESCO FORTEDirettore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali

dell’Università degli Studi Federico II, Napoli

Interpretando i sentimenti dei colleghi del Dipartimento nel cui ambito operano gli autori,

desidero ringraziare per il denso e significativo impegno che ha condotto al contributo scienti-

fico che si esplicita nel volume, assunto quale “tappa significativa di verifica del percorso di ri-

cerca intrapreso”.

Le strutture universitarie dipartimentali, elementi del complesso sistema organizzativo del

sapere, configurano comunità scientifica, che si qualifica attraverso la capacità di promuovere ri-

cerca esplorando, con creatività e rigore, orizzonti e frontiere che si prospettano all’agire umano,

socializzandone le risultanze attraverso concretezza di esiti comunicabili. La convergenza pluridi-

sciplinare che si riscontra nel volume interpreta il fondamentale connotato del Dipartimento, che

si caratterizza per il pluralismo dei settori scientifici in esso compresenti, e la conseguente espe-

rienza dell’interdisciplinarietà. Un percorso esplorativo che perviene a primi concreti esiti sulla

base di convergenza pluridisciplinare dà motivazione alla struttura, ne afferma la vitalità, indica

processi virtuosi alle nuove generazioni, suscita quindi compiacimento.

La società multietnica si va plasmando quotidianamente in Europa ed in Italia attraverso

l’immigrazione dagli altri continenti ed attraverso la mobilità nell’Unione. Il processo, affermatosi

nel “secolo breve” in talune nazioni dell’Unione, si va consolidando nella nostra Repubblica per

effetto di processi incontrovertibili nei modi di produzione. Come già avvenuto, trattasi di pro-

cesso permeato da sofferenza, che potrebbe attenuarsi attraverso il senso e gli strumenti per

l’ ”accoglienza”, nel cui ambito un positivo ruolo può riconoscersi alle nostre discipline.

L’approfondimento dei connotati si fonda su sensibilità soggettiva, su adesione al travaglio che si

manifesta. Questa attitudine si esplicita nell’elaborazione proposta dagli autori, da interpretare

quale atto di “amore” alla vita, ed all’armonia possibile, che vanno ringraziati anche per questo ri-

enfatizzare il fondamento sociale del sapere scientifico nell’architettura-urbanistica. Il determini-

smo ecologico naturalista, motivato dalla crisi ambientale, va necessariamente correlato alle aspi-

razioni dell’uomo e delle comunità organizzate, attraverso l’acquisizione di consapevolezza, esito

di educazione e formazione.

La metafora del percorso esplorativo ben si addice al tema di riflessione. Si sono assunte

categorie esplorative consuete alla riflessione degli studi sulla città, quali l’individuo, la comunità,

e quindi la civitas; il governo attraverso le politiche; e l’artificio antropologico, l’urbs, l’insedia-

mento, il suo essere ed il suo divenire, e nel divenire la sua possible conformazione e configura-

zione predefinita attraverso il programma, il piano, ed il progetto. Ma queste consuete categorie

assumono innovazioni di significato nella ricerca intrapresa. Si esplora infatti la loro riproposi-

zione, resa necessaria dal pluralismo interetnico già connotato della contemporaneità urbana, la

cui intensificazione di certo conformerà i caratteri della città europea del ventunesimo secolo,

esito originale di quell’incontro tra l’identità locale e l’impronta che la globalizzazione già con-

sente di intravedere.

La civiltà multietnica, la sua possible conformazione comunitaria, e la possibile “città del-

l’incontro di valori” si annuncia nella ricerca come opportunità prioritaria di una possibile “utopia

del reale”, assunta quale fondamento etico di politiche urbane, e della correlata progettazione,

coerente con diritti di cittadinanza riconosciuti all’innovativa multiculturale composizione demo-

grafica del popolo dell’urbano. Anche questa ispirazione è parte della riflessione del Dipar-

timento, esplicitata nelle riflessioni trasmesseci da Roberto Di Stefano, già direttore della strut-

tura, sul “recupero dei valori”; ed altresì motivo di impegno nell’innovazione formativa intrapresa

attraverso il corso di laurea specialistica “Architettura-Città: valutazioni e progetto”, attivo nella

Facoltà di Architettura del nostro Ateneo dal corrente anno.

La società multietnica trasmette alla società urbana ed alle nostre istituzioni nuove sfide,

che, qualora comprese e fronteggiate, indirizzeranno la qualità del governo del mutamento.

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Partecipa delle responsabilità del mutamento anche il sapere progettuale operante nelle dimen-

sioni dell’architettura, dell’urbanistica e del governo del territorio. Sicché le nuove sfide conse-

guenti dalla società multietnica investono e coinvolgono la nostra struttura dipartimentale, inci-

dendo nella formulazione delle consuete domande sul “perché”, “per e con chi “, e sul “come”, e

quindi sulla decodificazione di bisogni-obiettivo e sulle modalità dell’azione.

Il percorso di ricerca presta specifica attenzione al ruolo dell’architettura-urbanistica, con

un orizzonte di osservazione aperto a quanto si va elaborando nelle strutture del sapere dei cin-

que continenti, ricorrendo ad originale metodologia ricognitiva. Si è offerto in tal maniera alla co-

munità scientifica un efficace e inconsueto supporto conoscitivo, di per sè idoneo a evidenziare

la rilevanza delle categorie di riflessione, la loro sedimentazione nel globo, le implicazioni nei pro-

cessi decisionali.

La rilevanza attribuita alla forma della struttura urbana ed alla struttura di forma ha con-

sentito di correlare fenomenologie temporalizzate a regole spazializzate, con riferimento sia a

rapporti funzionali tra luoghi centrali e periferie, che alla semantica della forma sensibile.

L’attenzione alle derivate urbanistiche della città multietnica ha condotto gli autori ad at-

tribuire significato alle modalità di soddisfacimento dei bisogni primari della vita nell’urbano,

quali l’alloggio, il sistema integrato della residenza, il lavoro, l’accesso, i servizi alla persona ed alla

famiglia. La teorica del vicinato e del quartiere ha consentito nella progettazione urbanistica di

interpretare l’identità comunitaria, conducendo ad enunciare la correlazione tra bisogni primari e

forma della struttura insediativa. E questo paradigma scientifico pervade le proposizioni esplo-

rate nella ricerca, concernenti politiche pubbliche consone al consolidarsi della “comunità aperta”

territorializzata, fondata sull’incontro tra diversi, connotati da culture specifiche, sollecitato dalla

riconosciuta dignità della persona.

Si conferma pertanto, nella ricerca, il ruolo che lo spazio pubblico acquisisce nella struttura

e nella forma dell’insediamento, nelle sue molteplici articolazioni funzionali e nell’organizzazione

dei servizi interpreti di diritti di cittadinanza riconosciuti nella civiltà europea. Ma dalla ricerca si

evincono qualifiche da ritrovare nella rete degli spazi e attrezzature collettive volte a sollecitare

la condizione di “apertura”, fondamento della comunità “aperta” organizzata per l’accoglienza, ri-

conosciute nella continuità e connettività degli invasi, nella permeabilità tra le unità costitutive

della forma della struttura, nella porosità di sensi e significati, oltre pertanto la diffusa pratica dei

recinti, delle configurazioni a cellule chiuse, che connota la struttura e la forma dell’insediamento

contemporaneo metropolitano.

La vera sfida al progetto contemporaneo, si afferma nel volume, è il progetto del “vuoto”,

dello spazio interposto tra le unità constitutive, il progetto della membrana che connette le

cellule dell’organismo, il progetto quindi degli orli e dei confini reso urgente dalle pratiche

isolazioniste e parcellizzanti. Non sfugge, agli autori, l’origine di queste pratiche, che esplicitano la

modalità prevalente di governo della complessità connaturata all’urbano fondata sulla settoria-

lità delle responsabilità e della correlata azione edilizia. Pratica ottusa, che ha condotto a esiti

nefasti, nell’uso del suolo come nella finanza pubblica, e specificamente nei territori del

Mezzogiorno italiano di cui si ha dimestichezza. Si afferma, di conseguenza, un ulteriore alimento

dell’”utopia del reale” che ispira le proposizioni e che sollecita la trasversalità delle responsabilità

nell’azione, che promuova l’integrazione plurifunzionale, espressione di una preventiva cultura

del processo e prodotto e, quindi, del piano e del progetto urbanistico. Ed in tale senso l’ispira-

zione alla città multietnica si propone quale messaggio più generale alla cultura del fare proget-

tuale contemporaneo, che sempre dovrebbe volgersi all’esplorazione delle qualità relazionali dei

singoli prodotti, delle parti o dei sottosistemi, perseguendo unità attraverso l’attenzione riposta

alla semantica ed alla metrica sia del micro che del macro.

La città possibile, che l’ispirazione consente di traguardare, per proporsi quale soggetto

storicizzato, necessita la cognizione del “reale”, il confronto con lo stato dell’arte, della forma di

struttura e delle politiche pubbliche. Il richiamo alla “Carta dei valori, della cittadinanza e dell’in-

tegrazione: valori e principi validi per tutti coloro che desiderano vivere stabilmente in Italia” re-

centemente assunta nelle politiche di immigrazione intraprese dal governo della Repubblica,

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esplicita questa attenzione al “reale”, e consente altresì di evidenziarne il limite, riscontrato nella

constatata “carenza di programmi dedicati alla multiculturalità urbana in ambito istituzionale”.

Valori e principi, per risultare efficaci, devono ritrovarsi in pratiche, ed anche in pratiche ur-

banistiche. Un secolo è trascorso dalla realizzazione di Margarethenhohe ad Essen, in Renania

Westfalia, da parte della Fondazione Krupp, vicinato modello tuttora vissuto da lavoratori immi-

grati, riferimento di una pratica dell’agire urbanistico tesa a connettere il sociale, e la forma.

Si delinea dagli enunciati cui ha condotto il percorso esplorativo un vasto campo di impe-

gno dell’azione da svolgere a tutti i livelli di articolazione delle strutture di governo, cittadine,

metropolitane, regionali, statuali, ed altresì dell’azione dell’impegno sociale del non profit privato,

dell’associazionismo civico e religioso. Ma questo impegno va coordinato, onde potersi traguar-

dare la sostenibilità dello sviluppo urbano e territoriale perseguendosi mete programmate pre-

ventivamente, attraverso convergenza dei tanti percorsi di azione che connotano la società, la

produzione, la finanza.

I saperi che si manifestano attraverso l’architettura e l’urbanistica, eticamente motivati sto-

ricamente dall’ancoraggio a valori comunitari profondi, possono contribuire all’ideazione e defi-

nizione dell’innovazione di processo, conseguente alla trasversalità delle correlazioni, funzionali,

semantiche, territoriali, traendo da questa innovativa condizione motivazione e indirizzi all’azione

volti a arginare il ruolo che l’effimero, l’omologazione ed il conformismo sollecitati dalla società

del consumo hanno acquisito anche nei saperi propri all’architettura ed urbanistica.

Sovviene, in tale prospettiva, la differenziazione degli impegni conseguenti all’articola-

zione spaziale ed alla localizzazione della domanda di accoglienza. Si motiva, acquisendo ulte-

riore significato, la classificazione delle parti di città, ovvero l’insediamento storico, quello recente

di periferia, quello della precarietà assoluta quali il campo rom, o l’adattamento sofferto di unità

edilizie dismesse. Le parti dovrebbero promuovere modalità differenziate di attenzione, avendo

quali soggetti promotori di accoglienza le istituzioni territorializzate conformanti rete di servizi, e

rete non istituzionale che assicuri presenza-prevenzione-assistenza. E nell’attenzione, alle parti

assolve ruolo anche l’innovazione insediativa, quali la città nuova ancorata alla portualità, o la

centralità urbana da promuovere nel riequilibrio territoriale regionale.

Nella differenziazione di ruoli assume significato anche la perequazione urbanistica, cui si

è volta la nostra attenzione, quale innovazione condivisa tra pubblico e privato di configurazione

urbana fondata su eplicita correlazione della forma e della norma. Come sperimentato attraverso

l’istituto, si rende praticabile la correlazione spazializzata della produzione abitativa, di mercato e

sociale, promuovendo quell’integrazione civica sollecitata dal pluralismo del contemporaneo.

Il connettere idealità e visione alla difficoltà del reale è il messaggio trasmessoci dalle ge-

nerazioni che hanno segnato il secolo breve, volgendo la cultura dell’operare sempre a mete si-

gnificanti. Principi, criteri, programma, piano, progetto sono divenuti per il loro apporto categorie

scientifiche, e metodologia dello scegliere e decidere. Nel contemporaneo presenzialismo e pro-

tagonismo ne attenuano il significato, sollecitando l’illusione attraverso l’efficacia antropologica

della mediatica virtuale. Quel che ci propone l’elaborazione sulla città interetnica europea svolta

dagli autori coltiva idealità e visione nell’indirizzare all’incontro consapevole le tensioni conse-

guenti al processo della multietnicità urbana, ricorrendo ad appropriate politiche di governo del

territorio e conseguente concretezza dell’azione. Il messaggio sollecita speranza, attendibile

qualora congiunta al consolidarsi di responsabilità comunitaria, politica e professionale. Nuovi

sentieri di ricerca troveranno sollecitazione dalle tappe raggiunte comunicateci, alimentando

l’ispirazione e la strumentazione cui si volge il corso di laurea “Architettura-città: valutazioni e

progetto”.

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LUIGI FUSCO GIRARDPast Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e

Ambientali dell’Università degli Studi Federico II, Napoli

Il volume di Massimo Clemente e Gabriella Esposito è il risultato di un percorso di ricerca

maturato in seno al Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali me-

diante una collaborazione, tradotta in Convenzione, con la Fondazione di studi urbanistici Aldo

Della Rocca ed il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il fertile humus costituito dalle sinergie in-

terdisciplinari e dall’interazione ricerca-formazione ha alimentato un’esperienza che trova in que-

sto prodotto editoriale un primo momento di verifica e diffusione e, nel contempo, traccia gli in-

dirizzi per i successivi approfondimenti.

L’obiettivo di affrontare il disegno della città interetnica, in una dimensione territoriale già

multietnica, rende evidente la necessità di porre in stretta relazione le interpretazioni proposte

dalle discipline della conoscenza, quali la filosofia, la sociologia e l’antropologia, e le idee proget-

tuali e gestionali proposte dalle discipline della prassi, quali l’urbanistica, l’architettura e l’econo-

mia. È evidente l’opportunità di integrare un approccio top down, per inquadrare il tema nel-

l’ambito di un più esteso e radicale mutamento culturale, sociale, politico ed economico che va

sotto il nome di globalizzazione, con un altro che procedesse dal basso, raccogliendo l’istanza di

una popolazione in mutamento.

Questo approccio interdisciplinare e multilaterale è lo stesso che anima la nuova espe-

rienza di formazione messa in campo dalla Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di

Napoli, con l’attivazione del Corso di Laurea Specialistica in “Architettura e Città, Valutazione e

Progetto”, promosso da questo Dipartimento, e che vede impegnati la maggioranza dei docenti

che vi afferiscono. Anche l’esperienza della Scuola di Dottorato in Architettura, che mi pregio di

presiedere, è fortemente orientata alla valorizzazione delle sinergie disciplinari e all’ottimizza-

zione delle risorse culturali, umane e gestionali.

La ricchezza delle fonti consultate dai ricercatori CNR nel corso della ricerca e lo sforzo di

formulare proposte per favorire la coesistenza civile tra diversi ed il rispetto per le differenze

rendono il volume un utile strumento di riflessione per gli studiosi della città in una società

globalizzata.

L’attualità del tema è testimoniata non solo dalla sequela di fatti di cronaca che accen-

dono gli animi ma anche, e soprattutto, dal mutamento informale, spesso silenzioso, che sta sub-

endo il tessuto fisico e sociale della città europea. Su questa linea appare proficuo il lavoro di

speculazione teorica e metodologica che permea il volume di Clemente ed Esposito. Un flusso

strutturale, inevitabile ed irrefrenabile, di immigrati1 si sta dipanando dal Sud al Nord, ma anche

dall’Est all’Ovest del pianeta, e subirà incrementi sempre maggiori nei prossimi anni, anche ali-

mentato dal cambiamento climatico. Lo scenario che si viene a configurare è quello di un Nord,

nel quale la popolazione in età lavorativa si contrae, contrapposto al Sud, nel quale la popola-

zione e, in particolare, la forza lavoro aumentano esponenzialmente. Le differenze di reddito tra

Nord e Sud e le sperequazioni tra domanda ed offerta di lavoro alimentano la speranza di con-

seguire un maggiore benessere, attraversando le acque del Mediterraneo; il Mare Nostrum di-

venta il confine tra le aree del benessere e quelle del malessere. Per intervenire consapevolmente

ed efficacemente su queste dinamiche, prima che si configurino situazioni di emergenza umani-

taria e si estremizzino le conflittualità, è necessario promuovere azioni integrate nei paesi d’ori-

gine e di destinazione dei flussi migratori.

Oggi la città ed il territorio europei sono sempre più coinvolti in tali dinamiche sociali: la

consistenza, la composizione ed il dinamismo dei flussi migratori è in relazione non determini-

1 Le rilevazioni “diffuse” dall’ONU tracciano uno scenario di 191 milioni di persone emigrate nel 2007; in realtà sitratta di stime sottodimensionate a causa della non omogeneità/comparabilità delle rilevazioni statistiche. In Italia, aglioltre 3 milioni di immigrati ufficiali rilevati al dicembre 2006 vanno aggiunte le oltre 800.000 presenze clandestine sti-mate dal Ministero degli Interni (vedi Capitolo 3).

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stica con gli altri fenomeni che stanno mutando il rapporto tra città e territorio di riferimento, tra

città e cittadini e tra città ed attività umane.

Per innescare un processo di formazione della città interetnica europea è opportuno, se

non necessario, partire dal riconoscimento di una visione di futuro condivisa anche con coloro

che “vengono da lontano”. Stimolando la costituzione di “reti civili”, intese quali tessuto socio-eco-

nomico comune, si può instaurare un sistema di relazioni tra i paesi d’origine e destinazione dei

flussi migratori che garantisca una base comune di dialogo. Il pluralismo dei punti di vista è un

elemento che arricchisce la costruzione della nozione di bene comune, a condizione che vi sia ef-

fettivo dialogo/confronto sugli elementi fondanti di un “comune interesse”, pur nel rispetto delle

differenze di un contesto multiculturale, plurivaloriale, plurireligioso. Da questa “visione comune”,

che può costituire il motore dell’incontro e dell’interazione, discende la capacità di co-ordinare

interventi e con-dividere scelte, pur in un contesto complesso e spesso fortemente conflittuale.

Tali conflitti (di matrice culturale, di genere, religiosa, patrimoniale, e così via), che sono dovuti al

moltiplicarsi dei soggetti coinvolti, con diversi valori/interessi/obiettivi, vanno tempestivamente

ridotti o gestiti se si vuol evitare una loro prossima esplosione, a partire dalle periferie urbane del

degrado.

Se si affrontano e sciolgono i principali nodi della nuova società multietnica, si può proce-

dere verso la costruzione di una città interetnica; in tale direzione è fondamentale il contributo di

un disegno territoriale che sappia mettere a sistema i baricentri dell’incontro multiculturale

espressione di una nuova architettura che disegni i luoghi del dialogo e che contribuisca a tra-

sformare i conflitti in interazione.

Il tema, ampiamente indagato dal punto di vista dello scenario geopolitico e dei muta-

menti sociali, soprattutto nelle realtà da tempo investite da massicci fenomeni migratori, non è

stato ancora sufficientemente affrontato dal punto di vista spaziale (con riferimento alla pianifi-

cazione ed alla gestione).

Con questo spirito il testo illustra nel primo e nel secondo capitolo lo stato dell’arte della

ricerca sulla città multietnica, estrapolandone le tematiche più vicine alle specificità disciplinari

degli autori. Il confronto con quanto si sta studiando e realizzando nel mondo nel settore ha con-

sentito di approfondire non solo il modo nel quale le diverse culture ed etnie si incontrano ma le

trasformazioni fisiche e funzionali che tali incontri determinano.

Il filo conduttore della ricerca, che accompagna il lettore verso l’acquisizione di nuove con-

sapevolezze e di nuovi strumenti, è la configurazione degli spazi e dei luoghi e delle funzioni

urbane che possono favorire l’interazione culturale, svolgendo un ruolo inclusivo (riferito alle

diverse categorie di marginalità sociale) e riducendo le tensioni e la carica conflittuale.

Il punto di partenza è un tema caro alla tradizione del Dipartimento di Conservazione e

cioè il valore semantico della città consolidata ed i valori identitari che ne scaturiscono. Il tessuto

urbano e le quinte architettoniche, anche laddove non vi siano emergenze monumentali, espri-

mono una stratificazione culturale e, spesso, un’interazione etnica che rappresentano un insosti-

tuibile valore (non brutalmente monetizzabile) per la società contemporanea disorientata dal

mercato globale. La coesistenza tra etnie ha sovente generato, nel passato, stratificazioni e com-

mistioni (spontanee o pianificate) che hanno dato vita a specifiche espressioni insediative.

La città fisica, naturalmente, oppone una maggiore inerzia al cambiamento di quanto non

faccia il tessuto sociale esprimendo, così, l’identità e la cultura locale che sta diventando quanti-

tativamente minoritaria con presenze sempre più massicce di popolazione eteroctona.

Perseguendo il rispetto per la memoria storica espressa dai luoghi e dalle tradizioni locali

si sviluppa una sicurezza dei propri valori fondanti che consente l’apertura al dialogo. Dialogo

che deve essere bilaterale e, nel rispetto delle differenze, deve consentire di costruire un “futuro

arcobaleno”.

Il tema dell’identità multiculturale è la grande incognita della città futura; come già emerse

nel 2000 in occasione del convegno mondiale “The human being and the city”, organizzato a

Napoli dal Dipartimento, è necessario studiare in parallelo i paesi dell’esodo e quelli dell’acco-

glienza. La percezione degli spazi collettivi, l’idea di alloggio, l’esercizio del culto, e così via, mu-

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tano nelle diverse culture, invitando ad analizzare le modalità attraverso le quali vengono rico-

nosciuti e vissuti gli spazi e i luoghi della multietnicità. Ne discende “l’interesse verso i valori se-

mantici, la memoria collettiva e gli elementi primari dell’architettura della città (Rossi, 1966), il ge-

nius loci (Norberg-Schulz, 1980) da opporre ai “non luoghi” di Augé (1992) per favorire l’integra-

zione delle culture e la convivenza dei popoli (Kylmicka, 1999)”.

Il dibattito istituzionale e culturale è incentrato sulla dialettica tra globalizzazione dei fe-

nomeni (intesa quale uniformità culturale) e difesa dell’identità che rischia di alimentare le con-

trapposizioni piuttosto che generare una pianificazione e programmazione attenta all’idea di

persona, in contrapposizione a quella di individuo. Il problema non si manifesta solo laddove la

complessità sociale della città postmoderna è arricchita dalla multietnicità e dalla multiculturalità

ma accomuna tutte le diverse forme di marginalità di una città sempre più frammentata social-

mente, economicamente ed etnicamente.

La pressione esercitata dai flussi migratori su un territorio europeo che sta vivendo una

fase di stagnazione o recessione economica aumenta la diffidenza dei ceti meno abbienti della

popolazione autoctona che si vedono contendere le scarse risorse disponibili. “Il problema è più

percepito che reale, perché sovente l’offerta di lavoro intercettata dagli immigrati non interessa

la popolazione locale; è necessario considerare che il fenomeno migratorio ha assunto in poco

tempo una consistenza tale da indurre a spostare l’attenzione dalla sola gestione dei flussi al pro-

blema dell’integrazione delle minoranze etniche che si sono stabilite nelle città europee”.

In questa ottica l’approccio metodologico adottato dagli autori è orientato alla defini-

zione, con particolare attenzione alla città europea, dei nuovi valori semantici dei luoghi fisici e

culturali per l’interazione sociale tra soggetti diversi e sovente in conflitto. In tale panorama si ri-

scontrano scelte localizzative e forme insediative ricorrenti che possono essere interpretate come

tasselli della nuova urbanizzazione multietnica.

Pur nella pluralità degli approcci adottati nei diversi paesi europei, il testo propone una

classificazione in base ai tempi ed alle caratteristiche dei flussi, alle tradizioni istituzionali di

ciascuno Stato ed alla provenienza e destinazione, alla cultura di riferimento, alle politiche del-

l’accoglienza ed al modello d’integrazione perseguito (assimilativo, multiculturale, temporaneo,

implicito).

La multietnicità urbana è espressa da un complesso e dinamico sistema di relazioni tra

flussi, luoghi, spazi e funzioni urbane ed è condizionata dalla capacità degli spazi e dei luoghi ur-

bani di favorire le relazioni primarie, ma anche quelle di carattere transitorio ed instabile.

A questo scopo nel capitolo tre la disamina dell’esperienza italiana nei confronti dell’im-

migrazione offre lo spunto per mettere il relazione l’insicurezza urbana (alimentata dalle diffi-

coltà di dialogo e dall’inadeguatezza degli spazi d’aggregazione) con le conflittualità etniche. Pur

nella consapevolezza dell’impossibilità di mettere in relazione deterministica spazi e funzioni ur-

bane e comportamenti deviati, l’autrice mette a punto una procedura per individuare i criteri

progettuali per l’aggregazione interetnica. Proponendo un “sistema integrato per la residenza”,

realizzato mediante un modello partecipativo, si rivisita in chiave di sicurezza urbana il tema delle

unità di vicinato della tradizione anglosassone.

La realizzazione di “poli per la socializzazione” per il superamento delle diversità è anche al

centro delle riflessioni sul ruolo dello sport presentate nel quarto capitolo ed è oggetto, con par-

ticolare attenzione alle periferie della città contemporanea, degli approfondimenti tematici pre-

sentati dai gruppi di ricerca coordinati da Bianca Petrella e Francesco Bruno nelle Facoltà di

Architettura, rispettivamente, della Seconda Università di Napoli e dell’Università Federico II. La ri-

qualificazione può partire dalla riorganizzazione delle attività, degli alloggi e dei servizi, per of-

frire risposte concrete alla nuova domanda urbanistica e di qualità architettonica posta dalle co-

munità multietniche.

La riflessione sui modi nei quali non solo il costruito ma anche lo spazio pubblico si sono

modificati esprimendo una società in mutamento è alla base delle definizione della nuova archi-

tettura del dialogo e delle sue espressioni quali le nuove configurazioni degli spazi d’aggrega-

zione e dei luoghi dello sport che possono trasformare i conflitti latenti o manifesti in energie e

sinergie positive.

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In questa ottica sistemica, un attento processo valutativo dei progetti/programmi alterna-

tivi è assolutamente necessario. Esso implica, a sua volta, la formazione di un’idonea base di co-

noscenza dei diversi impatti, la produzione di una casistica delle buone pratiche, l’individuazione

di adeguati indirizzi d’intervento plurisettoriali ed integrati, per evitare errori o sottovalutazioni.

In conclusione, il percorso illustrato nel testo vuole offrire un contributo mirato al dibattito

interdisciplinare intorno alla “convivenza tra diversi”, predisponendo i criteri metodologici per

estendere le riflessioni alla società contemporanea nel suo complesso. L’auspicio è che i molti e

densi temi portati alla ribalta possano essere ulteriormente sviluppati nel prosieguo della ricerca

mediante la collaborazione tra l’unità di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche ed il

Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali dell’Università Federico II

di Napoli.

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Capitolo 1

Città multietniche per la città interetnica

“A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si co-noscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontriche potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze,i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per unsecondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano”.

Italo Calvino, Le città invisibili

L’impostazione metodologica della ricerca è fissata da Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vitanei tre momenti della ricerca, della formazione e della sperimentazione. Le premesse teorico culturalie i riferimenti scientifici sono la base di conoscenza e sostanziano il racconto del percorso di studiomultidisciplinare finalizzato alla definizione/riscoperta di una semantica multiculturale della città edell’architettura. La dialettica tra culture globali e identità locali, con particolare attenzione allacittà europea, proietta dalla teoria alla prassi progettuale, urbanistica e architettonica. Impostando lelinee guida di una architettura del dialogo si contribuisce a trasformare la etnodiversità da pro-blema in risorsa. Il percorso seguito rivisitando i capisaldi disciplinari, ed in particolare il concetto an-glosassone dell’unità di vicinato, ha condotto all’approfondimento dei luoghi dell’interazione, in-tesi quali punti luce di una nuova organizzazione urbana interculturale, per rinnovare i significati at-traverso i significanti.

1.1 LA METODOLOGIA DI STUDIO: RICERCA, FORMAZIONE, SPERIMENTAZIONE

1.1.1 Gli obiettivi della ricerca: pianificare e progettare multiculturale

Il progetto di ricerca “Spazi e funzioni dell’aggregazione e dell’integrazione per la città in-

teretnica europea”1 del Consiglio Nazionale delle Ricerche è stato promosso per contribuire alla

soluzione del problema della convivenza multietnica nella città contemporanea, con particolare

riferimento agli scenari urbani europei.

Le ricerche sono state sviluppate, a partire dal 2004, perseguendo due ordini di obiettivi ri-

conducibili al dualismo della città multietnica: da un lato, i risvolti architettonici e urbanistici della

multietnia in termini funzionali, dall’altro lato, le potenzialità espressive della multiculturalità ne-

gli spazi urbani e nelle architetture.

Il tema, ampio e trasversale a diversi ambiti disciplinari, ha reso opportuno integrare un ap-

proccio top down con un altro che, invece, procedesse dal basso. Il primo è indispensabile per in-

quadrare il tema della città multietnica nell’ambito di un più esteso e radicale mutamento cultu-

rale, sociale, politico ed economico che va sotto il nome di globalizzazione. Le dinamiche dei flussi

migratori, infatti, sono condizionate dallo scenario geopolitico globale, più che dal contesto terri-

toriale d’accoglienza (Ambrosini, 2005). Quest’ultimo, però, è l’ambito nel quale opera la disciplina

urbanistica ed è anche la palestra nella quale esercitare, mediante un approccio bottom up, la ca-

pacità di favorire l’integrazione e l’interazione tra culture diverse.

I fenomeni migratori hanno caratterizzato la storia europea influenzando, nei secoli, le tra-

sformazioni urbane e regionali (Sassen, 1991 e 1996a) come testimoniano, ancora oggi, le perma-

nenze insediative e culturali. Gli scenari migratori determinati dalle dinamiche geopolitiche che

hanno alterato i pur precari equilibri preesistenti hanno configurato una nuova dialettica tra ter-

ritori dell’esodo e dell’accoglienza. Come è noto, la spinta migratoria, quando interessa ampie por-

1 Al termine del primo progetto di ricerca biennale, le attività sono proseguite in continuità scientifica, con un ul-teriore progetto biennale (2006-2008) dal titolo “Spazi e funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione per la cittàinteretnica europea e mediterranea: dall’interpretazione degli scenari al progetto dei nuovi luoghi e paesaggi urbani”.

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zioni di una popolazione, è cagionata principalmente dalla fuga da eventi disastrosi, da condizioni

di povertà estreme e da situazioni belliche o parabelliche. Si configurano, poi, altre cause d’esodo,

numericamente meno rilevanti ed etnicamente meno specializzate, che scaturiscono dalle dina-

miche della globalizzazione (Sassen, 1996b).

Dopo un excursus sulle esperienze internazionali significative si è concentrata l’attenzione

sulla città europea. Pur consapevoli di dover uscire da una logica esclusivamente eurocentrica,

che costituisce un filtro incompleto per la comprensione delle attuali dinamiche, si è scelto di par-

tire dallo spazio europeo per mettere a punto un protocollo da testare, poi, su altre realtà ed

estenderne l’applicabilità (Faludi, Waterhout, 2002).

Tra le ragioni della scelta “europea” si annoverano la disponibilità di una letteratura ampia,

di casistiche esaustive e di dati e statistiche sul tema, uniti al contributo di Carte (Beguinot, 2006),

di programmi comunitari e dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo2 (SSSD, 1999). Lo stu-

dio, inoltre, si sviluppa in continuità con il filone sulla città europea che il gruppo di ricerca sta svi-

luppando da tempo (Clemente, 2002). A ciò si aggiunge la forte connotazione degli spazi e dei

luoghi europei, la cui identità diventa il fattore con il quale confrontarsi (Castells, 2004).

Fino al XVIII secolo, i flussi erano sostanzialmente interni al continente europeo ed erano

pochi coloro che si trasferivano nelle colonie d’oltremare di Spagna, Portogallo, Inghilterra,

Francia, ecc. o viceversa. Nel XIX secolo, si sviluppò l’emigrazione di grandi masse di diseredati

dalle regioni europee più povere verso le Americhe e, in misura ridotta, verso gli altri continenti,

nelle colonie più ricche delle nazioni più potenti.

Nel XX secolo, progressivamente, l’immigrazione in Europa degli abitanti delle colonie

crebbe e, nel secondo dopoguerra, alcune aree urbane di Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda as-

sunsero connotati multietnici, con gruppi pienamente integrati nel sistema sociale, economico e

culturale europeo, giunti oggi alla terza generazione. Dagli anni settanta, con la globalizzazione e

l’interdipendenza mondiale dei fenomeni, il bacino di provenienza si è allargato a tutte le aree più

povere del pianeta e un’ulteriore ondata è giunta, negli anni novanta, dai paesi dell’ex blocco so-

cialista a seguito della caduta dell’egemonia sovietica.

Nella corso della storia, dunque, si sono succedute migrazioni di differente entità e tipolo-

gia, ma ciò che rende eccezionale quanto sta avvenendo nella città contemporanea è l’insieme

dei fenomeni riconducibili alla globalizzazione che hanno determinato ed accompagnano le

attuali dinamiche demografiche.

Le trasformazioni che da sempre hanno interessato il tessuto fisico e sociale delle città sono

oggi soggette ad enormi accelerazioni, che le rendono sovente incompatibili con la capacità di

carico dei sistemi urbani. Se ci si riferisce in particolar modo alle migrazioni, si rileva che i territori

dell’accoglienza (ma in forma diversa anche quelli dell’esodo) non hanno più il tempo di meta-

bolizzare i mutamenti delle componenti etniche che pure in passato si sono succeduti.

Questo tema di natura globale assume molteplici sfumature nelle diverse realtà geopoliti-

che: variano i paesi di origine e destinazione, le realtà consolidate e le nuove mete, le culture e i

modelli di accoglienza ed integrazione, la consistenza, la composizione dei flussi, le scelte localiz-

zative, e così via. L’approfondimento degli scenari urbani europei ha consentito di individuare i

problemi, di gerarchizzarli e di porli in relazione allo specifico disciplinare dell’urbanistica e del-

l’architettura. I problemi-obiettivo emersi nel Vecchio Continente sono molti e i principali sono il

lavoro, l’alloggio, i servizi, il razzismo, l’esclusione sociale e la segregazione spaziale.

2 Lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (European Spatial Development Perspective) è stato approvato aPotsdam nel maggio del 1999 ad opera del Consiglio dei Ministri responsabili dell’assetto del territorio dei paesi mem-bri. Il lungo iter di discussione, in dodici tappe con cadenza annuale (nell’ordine a Nantes, Torino, Den Haag, Lisbona,Liegi, Corfù, Strasburgo, Madrid e Venezia, Noordwijk, Glasgow e Potsdam), ha condotto alla stesura della prima bozza,presentata a Noordwijk nel giugno del 1997 (The First Official Draft presented at the informal meeting of Ministers re-sponsible for spatial planning) e fortemente criticata dalla comunità internazionale per il suo approccio top down che siè cercato di ribaltare nel documento definitivo. Nonostante le critiche di genericità e di scarsa audacia da parte degliestensori, il documento comunitario rappresenta un importante tentativo di tracciare una strategia comune allo svi-luppo urbanistico del territorio europeo.

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Alla luce di questi fenomeni, il primo obiettivo perseguito è stato comprendere come la

città europea si sia trasformata, in questi ultimi decenni, per l’impatto dei flussi migratori aumen-

tati nella quantità e sempre più variegati per la qualità. Prescindendo dalle molteplici concause

che determinano le dinamiche migratorie, la cui interpretazione e governo esulano dalle compe-

tenze disciplinari di chi scrive, si vuole concentrare l’attenzione sui territori dell’accoglienza e, in-

direttamente, su quelli dell’esodo.

Il secondo passo è stato mettere a punto strategie e strumenti che potessero contribuire

alla soluzione dei problemi individuati, sempre attraverso lo specifico disciplinare di architetti, pia-

nificatori e progettisti, costruttori di spazi e funzioni. Si sono, poi, verificate le potenzialità seman-

tiche insite nella composizione e ri-composizione etnica delle società urbane dell’Europa con-

temporanea, per valorizzare la potenza evocativa della multiculturalità urbana nella città e nelle

sue architetture, attraverso approcci progettuali consapevoli e innovativi.

Il percorso si è, inoltre, arricchito di interessanti risultati intermedi sia di conoscenza sia me-

todologici, a partire dall’acquisizione dello stato dell’arte della ricerca sulla città multietnica nel

mondo. Il confronto con quanto si sta studiando e realizzando nel mondo nel settore ha consen-

tito di approfondire non solo il modo nel quale le diverse culture ed etnie si incontrano, ma le

trasformazioni fisiche e funzionali che tali incontri determinano.

Nel passato lontano e recente sono state molteplici le occasioni nelle quali la coesistenza

tra etnie ha generato specifiche espressioni insediative; talvolta, esse risultano frutto di scelte

spontanee di aggregazione, altre volte sono scaturite da politiche di differente segno, messe a

punto ad hoc. Oggi la città ed il territorio sono sempre più coinvolti in tali dinamiche sociali: la

consistenza, la composizione ed il dinamismo dei flussi migratori è in relazione non determini-

stica con gli altri fenomeni che stanno mutando il rapporto tra città e territorio di riferimento, tra

città e cittadini e tra città ed attività umane.

Riflettendo sulla percezione del fenomeno dell’immigrazione e sulle diverse forme di con-

flittualità o di socializzazione che la convivenza multietnica determina, ci si è posti l’obiettivo di

identificare il ruolo degli spazi e dei luoghi urbani nel favorire o ostacolare l’incontro e l’intera-

zione tra le diverse componenti del sempre più complesso quadro sociale della città multietnica.

A tale scopo è stata focalizzata l’attenzione sulla configurazione degli spazi di aggregazione: la

dimensione multietnica delle attuali dinamiche sociali costituisce lo spunto per riflettere sulla

capacità degli strumenti urbanistici dei quali disponiamo per interpretare la domanda di una

società complessa senza arrendersi a filosofie d’intervento sempre più parziali ed asistemiche

(Beguinot, 1992).

Il risultato di tale percorso vuole essere un contributo mirato al dibattito disciplinare e, nel

contempo, vuole tracciare le linee guida progettuali al tema della “convivenza tra diversi”. Questo

approccio, tagliato sul tema della multietnicità, ha consentito di predisporre i criteri metodologici

per estendere le riflessioni alla società contemporanea nel suo complesso e costituisce il punto di

partenza del prosieguo della ricerca.

1.1.2 La base di conoscenza sulla città multietnica

La verifica della letteratura scientifica sulla città multietnica ha evidenziato la prevalenza in

tale ambito di studi di carattere sociologico; tematiche relative ai caratteri spazio-funzionali della

multiculturalità urbana emergono soprattutto dall’ambito della sociologia urbana, a partire dagli

scenari sociali caratterizzati da stadi di multietnicità avanzata come il Canada, l’Australia, ecc. che

possono essere interpretati secondo la chiave di lettura offerta dalla città (Germain, 2000, 2002;

Ray, 2003; Hutchison, Krase, 2007).

Nell’ultimo decennio, gli studiosi che, nel mondo, si sono confrontati con il tema della città

multietnica sono numerosi e, tra i tanti, sono state proficue le escursioni nei lavori di Marco

Martiniello che, con Sophie Body-Gendrot, ha aperto il campo alle riflessioni sulle forme di esclu-

sione/inclusione sociale dei migranti a livello di unità di vicinato; nel volume curato dai due ricer-

catori si dà ampio spazio anche ai temi della sicurezza urbana legata alle migrazioni che qui si af-

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frontano nel terzo capitolo (Body-Gendrot, Martiniello, 2000). Anche il tema dell’identità e della

sua confluenza in una nuova dimensione della cittadinanza è ampiamente scandagliato (Allam,

Martiniello, Tosolini, 2004; Castles, 2000) e, nell’ambito dell’European Network of Excellence on

Immigration, Integration and Social Cohesion (IMISCOE), si sviluppano i temi legati all’esperienza

europea (Martiniello, Piquard, 2002; Penninx, Kraal, Martiniello, Vertovec, 2004).

Il tema della città multietnica è trasversale ed emerge negli studi sulla globalizzazione

(Geertz, 1999) sul divario tra il nord e il sud del mondo (UN-Habitat, Earthscan, 2006; Castles, 2000),

sulla progressiva urbanizzazione del pianeta (Amendola, 2001), sulla povertà urbana e sulle ondate

migratorie che ne derivano (Amselle, 1999). Inoltre, i nuovi scenari urbani multietnici spingono a ri-

vedere sotto un diversa prospettiva classici della sociologia urbana e dell’urbanistica come Park,

Burgess, McKenkie (1925), ma anche Gottmann (1960), Jacobs (1961) e McLuhan (1968).

Le città di pietra, delle relazioni e del vissuto (Beguinot, 1992) devono essere rilette attra-

verso il filtro della nuova urbanizzazione: dallo spazio dei luoghi allo spazio dei flussi (Castells, 1996

e 2004). Il primo passo in tale direzione è l’individuazione degli indirizzi di trasformazione dei valori

semantici degli spazi e dei luoghi della città coinvolta nei processi di globalizzazione (Hall, 1988).

Qualsiasi riflessione sulla città contemporanea – che voglia condurre all’elaborazione di

proposte metodologiche e/o progettuali – richiede un approccio complesso e dinamico3; il terri-

torio è un sistema aperto, denso di componenti multidimensionali, interconnesse mediante rela-

zioni dinamiche che non possono essere deterministicamente concatenate (Boulding, 1985;

Lyotard, 2001). È, oggi, più urgente che in passato definire teoriche e metodiche che consentano

di determinare, nel modo più oggettivo possibile, la quantità e la qualità della domanda urbana e

le capacità del territorio d’accoglienza (Forte, 1982). I fenomeni comunemente raccolti nella defi-

nizione di globalizzazione hanno mutato profondamente gli equilibri transnazionali e stanno mu-

tando l’aspetto ed il funzionamento delle città di tutto il mondo. (Mazza, 1988; Sandercock, 1998)

“Mai come in questo momento, la riflessione sul significato di globalizzazione, sulle forme che

essa deve o può assumere e sui mondi possibili che potrà determinare, deve essere operata da

tutti coloro che assumono responsabilità scientifiche o che esercitano ruoli decisionali per i de-

stini politici ed economici” (Petrella, 2002). Nello stesso tempo ci si rende conto che mai come in

questo momento la dimensione locale dell’esperienza è stata così forte: si parla di quartieri, di de-

mocrazia partecipativa, si parla di identità (Sandercock, 2003).

Affermando che “la globalizzazione tende ad essere meta spaziale e sradica dai luoghi”, l’i-

nerzia fisica dello spazio conta sempre meno (Amendola, 2001); nello stesso tempo ci si rende

conto che le identità fondate sui luoghi sono sempre più importanti: ci si ancora al luogo e il

luogo diventa un momento costitutivo dell’identità sia individuale che collettiva (Augè, 1986).

Se il concetto di identità si sviluppa per contrasto (solo in presenza di una pluralità si può

distinguere una o più identità) appare utile analizzare le modalità attraverso le quali vengono ri-

conosciuti e vissuti gli spazi e i luoghi della multietnicità. Il tema dell’identità multiculturale delle

città europee rinnova l’interesse verso i valori semantici, la memoria collettiva e gli elementi pri-

mari dell’architettura della città (Rossi, 1966), il genius loci (Norberg-Schulz, 1980) da opporre ai

“non luoghi” di Augé (1992) per favorire l’integrazione delle culture e la convivenza dei popoli

(Kylmicka, 1999).

La dialettica tra globalizzazione dei fenomeni e difesa dell’identità è alla base dei movi-

menti sociali che fremono in tutto il pianeta e si riverbera anche in una concezione di pianifica-

zione urbanistica attenta all’idea di persona, in contrapposizione a quella di individuo. La tensione

tra la tendenza consolidata verso una uniformità culturale e la tendenza alla differenziazione delle

identità anima le dinamiche urbane contemporanee, in particolare nel vecchio continente. La

maggioranza delle medie e grandi città europee, infatti, è oggi frammentata socialmente, econo-

micamente ed etnicamente. “Allo stesso tempo, le città europee restano luoghi dove si possono

sviluppare incontri tra i gruppi e dove si attua la produzione culturale. Le città sono le crossroads

tra locale e globale” (Martiniello, Piquard, 2002).

3 Sono già da tempo in itinere esperienze di ricerca orientate a comprendere tali fenomeni: Ayse Pamuk (2006),Mapping Global Cities: GIS Methods in Urban Analysis. Redlands, Calif.: Environmental Systems Research Institute (ESRI)Press.

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Ciò consente di accantonare una prassi fondata sull’asettica concatenazione deterministica

di dati e statistiche (solo apparentemente esatta e oggettiva) per tentare e testare nuovi approcci

all’attuale modello urbano. Uno dei primi passi da effettuare è quello di affrontare la città quale

luogo dell’interazione sociale tra soggetti diversi, con punti di partenza ed obiettivi divergenti e

sovente in conflitto; tali caratteri sono estremizzati laddove la complessità sociale della città post-

moderna e “postglobale” è arricchita dalla multietnicità e dalla multiculturalità (Amendola, 2001).

L’incontro-confronto di identità ha generato infinite combinazioni spontanee o progettate.

Le città europee, la cui identità forte è determinata da storiche contaminazioni culturali, rappre-

sentano oggi un campo di riflessione di grande interesse: da un lato, una forte connotazione de-

gli spazi e dei luoghi storici (che manca in altre realtà occidentali quali il Nord America), dall’altro

lato, un differenziato campionario di politiche nazionali per l’immigrazione e l’integrazione. In tale

panorama si riscontrano scelte localizzative e forme insediative ricorrenti che possono essere in-

terpretate come tasselli della nuova urbanizzazione multietnica.

Questi caratteri costituiscono una base sulla quale costruire l’incontro e l’interazione cultu-

rale, così come già è accaduto in passato; se identificati e raccordati mediante lo Schema di

Sviluppo dello Spazio Europeo, possono costituire un importante tassello nella costruzione di

un’identità includente; tra le finalità del documento europeo, infatti, emergono la coesione eco-

nomica e sociale, la salvaguardia delle risorse naturali e del patrimonio culturale, la competitività

più equilibrata dello spazio europeo. Prendendo atto delle diversità che caratterizzano il conti-

nente, il documento dichiara l’intento di bilanciare la valorizzazione dei caratteri comuni e il ri-

spetto delle identità locali. Come sovente accade per i documenti ufficiali scaturiti da assise inter-

nazionali, le ambiguità e le incompletezze dello SSSE denunciano l’impegno profuso dai diversi

soggetti in gioco a svuotarlo di ogni significato “scomodo”. Ciò non di meno, lo Schema vuole of-

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Fig. 1 - I luoghi per il tempo libero, laddove sono accessibili a tutte le componenti della società urbana, offrono il terrenoideale per l’incontro ed il confronto tra culture e identità diverse. Ciò può essere favorito dalle nuove generazioni che,ancora prive di sovrastrutture culturali, sono aperte al dialogo (Foto di G. Esposito).

frire una “visione del futuro spazio europeo”, costituire un “quadro di riferimento comune” e pro-

muovere “un’ampia partecipazione del pubblico”, il tutto all’insegna dei principi consolidati dello

sviluppo sostenibile. Il documento di Potsdam tende, quindi, a sistematizzare e raccordare politi-

che e strategie che, pur con contenuti e finalità differenti, abbiano un impatto sugli equilibri spa-

ziali.

Nel contesto europeo, il caso italiano presenta alcune peculiarità che richiedono l’appro-

fondimento delle caratteristiche, delle potenzialità e delle patologie del fenomeno migratorio

(Dematteis, 1992).

In Italia, il punto di partenza è stato offerto dalla comunità scientifica della Fondazione

Aldo Della Rocca che ha richiamato l’attenzione di molti studiosi, compresi chi scrive, sul tema

della città multietnica. A partire dal 2002, la Fondazione Della Rocca ha promosso numerosi con-

vegni, ricerche, pubblicazioni e rapporti video finalizzati ad approfondire le tendenze evolutive

della città contemporanea e, in particolare, delle città europee, a seguito dei fenomeni migratori

in crescita a livello continentale e mondiale. Nei volumi editi dalla Fondazione (Beguinot 2003,

2004, 2005, 2006, 2008) la varietà dei contributi spazia dalla filosofia all’urbanistica, dalla proget-

tazione architettonica al diritto, dalla sociologia alla teologia. Non è casuale che il primo principio

della “Carta per la Città Interetnica e Cablata”, documento promosso dalla Fondazione, sia la “Città

delle Identità”. Esso recita, infatti, che “la città interetnica e cablata rispetta le diversità. Tutti gli in-

dividui e i gruppi sociali hanno il diritto di conservare la propria identità e il senso di apparte-

nenza al gruppo etnico e culturale di provenienza e di rappresentarli nella città che li accoglie”

(Beguinot, 2006).

Nel percorso di ricerca si affrontano, quindi, le modalità dispiegate in ambito europeo per

accogliere gli immigrati, ponendo particolare attenzione alle politiche che investono in qualche

modo la città ed il territorio. È significativo che, dopo una fase di liberismo migratorio che agli inizi

del novecento ha consentito una notevole mobilità interna al vecchio continente, le politiche eu-

ropee si siano orientate al protezionismo, a partire dagli anni settanta, in seguito all’incremento

dei flussi provenienti dal Sud del mondo.

La pressione esercitata dalle masse che, sovente in modo illecito, approdano sulle rive eu-

ropee coincide con uno scenario economico che oscilla tra stagnazione e recessione, con rari e ti-

midi segnali di ripresa. Ciò rende meno appetibile per il mercato del lavoro la manodopera stra-

niera ma, soprattutto, aumenta la diffidenza della popolazione autoctona, che teme di vedere re-

gredire ulteriormente la propria condizione sociale. Il problema è più percepito che reale, perché

sovente l’offerta di lavoro intercettata dagli immigrati non interessa la popolazione locale; è ne-

cessario considerare che il fenomeno migratorio ha assunto in poco tempo una consistenza tale

da indurre a spostare l’attenzione dalla sola gestione dei flussi al problema dell’integrazione delle

minoranze etniche che si sono stabilite nelle città europee4.

Ciascun paese europeo, a livello centrale ed a livello locale, ha affrontato in modo diverso i

fenomeni legati all’immigrazione. Ciò non di meno, è stato possibile ravvisare e schematizzare al-

cuni approcci privilegiati, influenzati in larga misura dai tempi e dalle caratteristiche dei flussi e

dalle tradizioni istituzionali di ciascuno stato; i molteplici scenari che si riscontrano sono classifi-

cabili in base all’epoca, alla provenienza e destinazione, alla cultura di riferimento, alle politiche

dell’accoglienza ed al modello d’integrazione perseguito. I modelli principali riconoscibili nelle

politiche per l’immigrazione dei paesi europei sono:

– il modello assimilativo che nell’esperienza francese ha estremizzato il concetto di inclu-

sione culturale fino alla perdita delle singole identità;

– il modello multiculturale che in Gran Bretagna ed Olanda ha consentito la coesistenza

senza osmosi tra gruppi etnici diversi;

– il modello temporaneo che ha reso precario il progetto di vita degli stranieri in Germania;

– il modello implicito che caratterizza i paesi di recente immigrazione quali la Spagna e

l’Italia.

4 Con la firma dell’Atto Unico Europeo si sancisce l’interesse per il tema: allegata all’Atto si trova la “Dichiarazionepolitica dei governi degli Stati membri relativa alla libera circolazione delle persone” (Lussemburgo, 1985).

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A queste filosofie dell’accoglienza dovrebbero corrispondere politiche top down ed espe-

rienze bottom up che ne traducano i principi in trasformazioni fisiche del territorio. Sovente le po-

litiche espressamente dedicate alla gestione dei fenomeni connessi all’immigrazione non inve-

stono direttamente questioni urbane o territoriali. D’altro canto, norme, politiche, strumenti, pro-

getti che interessano le aree di crisi della città contemporanea si riverberano, frequentemente,

sulle condizioni di vita delle comunità immigrate.

La multietnicità urbana appare dilatata nella percezione degli abitanti ed incomincia anche

ad avere un qualche impatto sulla città fisica. La presenza di immigrati ha cambiato il volto di

estese porzioni di città e, anche se in modo diverso nelle diverse realtà, ha assunto un ruolo rile-

vante nel funzionamento del sistema urbano, del quale non è più una componente marginale.Tali

espressioni del fenomeno migratorio sono di difficile generalizzazione, in quanto è complesso e

dinamico il sistema delle relazioni tra flussi, luoghi, spazi e funzioni urbane. La possibilità di orien-

tare lo sviluppo urbano verso una dimensione interetnica è fortemente condizionata dalla capa-

cità degli spazi e dei luoghi urbani di favorire le relazioni primarie, ma anche quelle di carattere

transitorio ed instabile.

La limitatezza della letteratura scientifica e il dinamismo dei fenomeni studiati ha suggerito

di avvalersi delle potenzialità della rete, attingendo dal world wide web informazioni in tempo

reale sulle attività in itinere dei principali centri di ricerca attraverso le home pages ufficiali. La ri-

cerca è stata effettuata attraverso parole chiave e i risultati sono stati verificati attraverso riscontri

incrociati dei contenuti dei diversi siti, dei testi ISBN a stampa che è stato possibile scaricare da in-

ternet o reperire, attraverso verifiche sul campo, tramite contatti diretti.

In questo modo, la base di conoscenza si è notevolmente ampliata, aprendo il sipario sulle

attività di ricerca, i progetti in corso, le pubblicazioni sui temi delle migrazioni, della multicultura-

lità, delle discriminazioni razziali, della città multietnica.

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Fig. 2 - La sovrapposizione di segni senza valore semantico, nei centri commerciali, genera “non luoghi” che appaionorassicuranti per un’esperienza superficiale degli spazi finalizzata alla vendita ma che non favoriscono l’aggregazione el’interazione (Foto di M. Clemente).

Le sei classi d’analisi, definite in base al feedback di una indagine che ha toccato oltre

seicento siti internet nel mondo, sono relative a: centri che hanno ricerche specifiche sulla città

multietnica, centri che affrontano il tema ma non hanno progetti dedicati, centri che l’affrontano

in modo trasversale, centri di ricerca che affrontano in generale migrazioni e multietnia, centri

di statistica e documentazione, siti che analizzano il fenomeno in Italia.

1.1.3 Il percorso di studio per la città interetnica

Il passaggio concettuale dalla “città multietnica” alla “città interetnica” è emblematico del

percorso scientifico compiuto, da chi scrive, nell’approfondimento delle potenzialità dell’urbani-

stica e dell’architettura per trasformare le città da luogo di conflitto in luogo di convivenza multi-

culturale.

La Fondazione Della Rocca ha promosso incontri, studi e pubblicazioni sul tema della “città

multietnica” che è il luogo della coesistenza delle diversità e, progressivamente, è emerso il

concetto di “città interetnica” intesa come luogo della convivenza civile e colta di genti e popoli

diversi.

Nell’ambito di questa comunità scientifica, è stata promossa l’unità di ricercatori CNR in dis-

tacco presso l’Università Federico II di Napoli, per lo svolgimento del progetto dedicato al tema

“Spazi e funzioni dell’aggregazione e dell’integrazione per la città interetnica europea”5.

Gli spazi urbani e architettonici possono essere luoghi di aggregazione e di integrazione,

ma non sempre ciò accade e i fattori che determinano il successo, l’efficacia del progetto, sono

molti ed interrelati. La conoscenza degli scenari globali e locali fa maturare la consapevolezza

della dimensione multietnica delle società urbane contemporanee, nell’occidente ricco e post-in-

dustriale, nelle economie che crescono a ritmi vorticosi, nei paesi poveri e poverissimi.

L’acquisizione dello stato dell’arte ha costituito la base degli approfondimenti sviluppati

nella seconda fase della ricerca. Analogamente, le attività di formazione sono state portate avanti

sulla base dell’esperienza maturata e l’ambito universitario di riferimento per la diffusione dei

risultati si è spostato dalla dimensione regionale a quella nazionale.

Sia nella ricerca che nella formazione e nella diffusione dei risultati si è rafforzata e fina-

lizzata la collaborazione con la Fondazione Aldo Della Rocca attraverso la quale si è altresì svi-

luppata la rete delle relazioni scientifiche.

L’avanzamento delle conoscenze e delle competenze è stato incentrato, dal punto di vista

scientifico, sulla specificità degli spazi e delle funzioni urbane come luogo critico dei problemi

indotti dalla convivenza e, allo stesso tempo, come luogo, ideale per vocazione, della soluzione dei

problemi medesimi.

L’interpretazione dei caratteri comuni ai diversi insediamenti umani ha aiutato ad estrapo-

larne gli elementi identitari che consentono la riconoscibilità e l’appartenenza ai luoghi. Sono

stati individuati ed approfonditi casi studio significativi di luoghi urbani per l’aggregazione, il

tempo libero e lo sport ai fini dell’integrazione urbana interetnica.

In questo modo, è stato approfondito il ruolo dell’architetto urbanista negli attuali scenari

di trasformazione multiculturale ed interculturale, partendo dall’analisi dei nuovi scenari e dei

paesaggi urbani, nella prospettiva della multiculturalità e della interculturalità.

L’approccio metodologico ha integrato l’attività scientifica con la formazione specialistica,

attraverso la didattica universitaria e con la sperimentazione attraverso l’approfondimento di casi

studio reali.

Si sono sviluppate interazioni tra e con i diversi ambiti disciplinari dell’urbanistica, della

progettazione architettonica, della sociologia urbana, dell’estimo e della valutazione.

L’approfondimento di alcuni casi studio ha consentito di verificare le ipotesi teoriche e

metodologiche e di inquadrare il possibile ruolo dell’architetto urbanista nel governo delle

trasformazioni multietniche della città e del territorio.

5 Il distacco è tuttora in corso presso presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici eAmbientali, prima con la direzione del Prof. Luigi Fusco Girard e, successivamente, del Prof. Francesco Forte (www.con-servazione.unina.it).

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Lo studio degli scenari e dei paesaggi urbani multiculturali ed interculturali è stato avviato

con specifico riferimento all’area europea e mediterranea, dove tuttora prosegue l’approfondi-

mento di casi studio significativi, con il medesimo approccio su descritto.

1.1.4 L’approccio multidisciplinare per una semantica multiculturale

Per interpretare il complesso e dinamico “spirito del tempo” e sviluppare un percorso verso

la costruzione di una città culturalmente plurale e socialmente integrata, ci si è avvalsi di contri-

buti disciplinari diversi ma interrelati. L’indagine sullo stato dell’arte della ricerca sulla città multi-

culturale, prima fase nello sviluppo del progetto di ricerca, ha consentito di individuare le parole

chiave che sono rappresentative dei fenomeni in atto e che costituiscono il filo conduttore del

lavoro svolto, raccordando i vari approfondimenti tematici.

Per poter affrontare i nodi progettuali emersi nello svolgimento della ricerca, ci si è impe-

gnati a comprendere le caratteristiche della città dell’accoglienza rispetto al rapporto tra globa-

lizzazione e identità locale, per definire i valori semantici della città che possono costituire il ter-

reno di coltura dell’incontro e dell’interazione.

La complessità urbana, negli ultimi decenni, è stata intensificata a dismisura a causa della

quantità e qualità degli afflussi di popoli e culture nelle città.

La multiculturalità urbana è la grande risorsa che si rende disponibile all’urbanistica per su-

perare e risolvere la crisi identitaria delle città storiche, ma anche per recuperare e vincere la bat-

taglia contro l’alienazione nelle periferie.

Un’umanità sempre più variegata e cosmopolita trasforma la città storica attraverso la sola

presenza e il vivere urbano nella quotidianità. Le architetture e gli spazi urbani consolidati assu-

mono nuove valenze funzionali e semantiche, si trasforma la memoria depositata e stratificata

nelle pietre. Nelle periferie, le nuove povertà degli immigrati adattano e trasfigurano, nell’uso, al-

loggi e servizi già degradati e degradanti.

Il destino della città futura è nella diversità culturale che deve essere rispettata e valorizzata

e l’urbanistica ha un ruolo importante ma, mai come in questo caso, è fondamentale la collabora-

zione interdisciplinare. La sfida è nella messa a punto di strategie di programmazione e di stru-

menti di pianificazione e progettazione che siano capaci di far evolvere la multietnia e la multi-

culturalità da problema in risorsa.

È scontato il contributo della sociologia che, per prima, ha affrontato questi problemi, pas-

sando attraverso la sociologia urbana e giungendo all’urbanistica. Certamente, l’urbanistica deve

essere capace di dialogare con la progettazione architettonica, in un rimando costante tra la scala

urbana e quella architettonica. Bisogna, però, andare oltre e guardare alla città multietnica con

uno sguardo diverso che ne mostri i lati nascosti e i risvolti meno evidenti, senza rimanere imbri-

gliati nelle discipline tradizionali.

La pochezza semantica della città moderna può essere compensata dalla multiculturalità

che si pone come riferimento e fondamento per la riqualificazione urbana. La mancata rappre-

sentazione della memoria collettiva può essere risolta dall’apporto delle culture dei popoli immi-

grati alle città ed alle regioni d’Europa.

Queste riflessioni hanno suggerito di allargare gli orizzonti e di ampliare il lavoro svolto

dalla nostra unità di ricerca, attraverso il dialogo con i gruppi di ricerca coordinati da Bianca

Petrella e Francesco Bruno nelle Facoltà di Architettura, rispettivamente, della Seconda Università

di Napoli e dell’Università Federico II.

La ricerca del gruppo coordinato da Bianca Petrella6, che fa parte della rete della Fon-

dazione Della Rocca, muove dal difficile rapporto tra progetto politico e progetto urbanistico che,

nel realizzare la città interetnica, è pregiudiziale alla definizione di nuove strategie e strumenti, ma

anche all’utilizzo ottimale dei percorsi possibili all’interno degli attuali quadri normativi.

Di particolare interesse è il parallelismo proposto tra le periferie urbane e le periferie

umane: da un lato, la segregazione spaziale delle nuove parti urbane ovvero i quartieri residenziali

6 Vedi capitolo 5.

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del dopoguerra e, dall’altro lato, l’esclusione economica e culturale delle nuove parti sociali costi-

tuite dagli immigrati che sono emarginati ed esclusi dalla comunità urbana.

Lo scenario della città multietnica vede rafforzarsi la frattura tra la città storica e le periferie

urbane residenziali, a cui si sono aggiunte nuove periferie fatte di centri commerciali, parcheggi,

autostrade e spazi di risulta dove vanno a collocarsi gli immigrati, anello più debole della catena

sociale che forma la nuova comunità urbana.

La riqualificazione può partire dalla riorganizzazione delle attività, degli alloggi e dei ser-

vizi, per offrire risposte concrete alla nuova domanda urbanistica posta dalle comunità multietni-

che rimanendo, peraltro, nell’alveo delle opportunità offerte dall’attuale quadro normativo

dell’urbanistica, sia a livello nazionale sia a livello regionale, e dalle metodologie, sperimentate e

consolidate, di programmazione complessa e concertazione (Claudia de Biase). Il design urbano

può riconfigurare la forma della città e ridefinirne l’immagine attraverso segni e linguaggi inno-

vativi che siano espressione delle diverse istanze multiculturali e valenze semantiche (Ciro

Tufano).

Diversa l’esperienza del gruppo di ricerca coordinato da Francesco Bruno7 che è stato sol-

lecitato a rivisitare e re-interpretare i suoi recenti percorsi di studio, dal punto di vista dell’interet-

nia e delle trasformazioni in atto nelle periferie italiane sotto l’impulso dei flussi migratori.

La proposta metodologica del gruppo di progettazione architettonica parte dalla convin-

zione che la buona architettura e la qualità degli spazi urbani siano importanti per favorire l’inte-

grazione culturale ed etnica ma, prima ancora, l’inclusione e la coesione sociale.

Piuttosto che proporre improbabili multisale per diversi culti religiosi da professarsi con-

temporaneamente, con una condivisibile intelligenza laica, il gruppo di Bruno propone la rivisita-

zione di alcune proposte progettuali per la riqualificazione delle periferie urbane di Milano

(Eleonora Giovene di Girasole) e di Napoli (Marco Cante) per trarne elementi metodologici d’in-

tervento nelle periferie multietniche delle città europee. La densificazione spaziale e funzionale è

lo strumento per ricucire tessuti urbani sfrangiati e per riqualificare le periferie degradate, espri-

mendo e rappresentando la ricchezza semantica della convivenza di culture urbane e architetto-

niche diverse.

Il quadro è stato completato dall’interpretazione fotografica che Maurizio Cimino8 ha rea-

lizzato in alcune città europee che cambiano sotto l’impeto dello tsunami multietnico e multicul-

turale. L’esperienza di indagine visuale che si presenta è stata sviluppata senza imporre all’inda-

gine fotografica un percorso monotematico pre-definito e pre-concetto; si è scelto di lasciar dipa-

nare il flusso creativo e cognitivo in un percorso autonomo, ma integrato allo sviluppo della

ricerca. Si raccontano, in questo modo, attraverso le immagini di un fotografo proveniente da una

formazione umanistica e sociologica, i caratteri di una società multiculturale che i tradizionali pro-

tocolli della ricerca scientifica non consentono di cogliere.

1.2 CULTURE GLOBALI E IDENTITÀ LOCALI

1.2.1 Per quale città e quali architetture

La città, dalle sue origini più antiche, è lo scenario dell’unione, ma anche della divisione

delle diversità degli uomini e delle donne, dei gruppi sociali ed economici, dei popoli, nella loro

competizione per realizzare le proprie ambizioni e migliorare il proprio status.

La concentrazione insediativa, in uno spazio più o meno circoscritto, è determinata dalle re-

lazioni che i gruppi sociali instaurano per soddisfare, innanzitutto, i propri bisogni fondamentali.

Successivamente, la città rafforza la sua ragion d’essere, offrendo a chi vi abita l’opportunità di

soddisfare bisogni sempre più complessi ed articolati che, tra l’altro, sono spesso indotti proprio

dall’appartenenza alla comunità urbana e alle sue dinamiche relazionali, sociali ed economiche.

7 Vedi capitolo 6.8 Vedi capitolo 7.

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La competizione favorisce le unioni che, però, si traducono in contrapposizioni di gruppi

che affermano la propria specificità e diversità attraverso l’espressione e la rappresentazione del

sistema culturale di riferimento: lingua, tradizione, religione, ecc. La consapevolezza del carattere

intrinsecamente plurale delle città suggerisce, in via preliminare, la riflessione sul significato e sul

valore scientifico della ricerca sulla città multietnica.

Le città sono, da sempre e per definizione, il luogo della convivenza multiculturale, anche se

non sempre pacifica. Nelle metropoli dell’antichità convivevano popoli diversi che hanno lasciato

testimonianza della loro multiculturalità negli insediamenti urbani e nelle architetture, nella stra-

tificazione delle pietre.

Inoltre, la storia delle città e le trasformazioni del territorio sono permeate dalle migrazioni

dei clan o di intere popolazioni. Viaggi e migrazioni sono centrali nella mitologia greca e romana:

Enea, con il figlioletto e il vecchio padre, fuggì da Troia in fiamme e raggiunse l’Italia dove, da

migrante e profugo, originò la stirpe che fonderà Roma. Ulisse, poi, può essere considerato un

antesignano della migrazione di ritorno.

La caduta dell’impero romano fu innescata dalle invasioni barbariche che, in sostanza, si

possono considerare migrazioni temporanee di massa, con conseguenti contaminazioni culturali.

Ne derivarono, nell’alto Medioevo il riassetto del territorio e la nascita dell’archetipo della città

europea con i suoi simboli: la cattedrale, il castello, le mura, la piazza9.

Dopo l’anno Mille, lo sviluppo dei traffici commerciali favorì gli spostamenti e la formazione

di colonie di stranieri nelle maggiori città mitteleuropee che conservano questa storia nella topo-

nomastica delle strade, delle piazze e dei quartieri. Anche le città di mare, sul Mediterraneo, espri-

mono le millenarie contaminazioni culturali con il mondo arabo, negli impianti urbani e nelle

forme architettoniche.

L’affermazione delle monarchie e degli stati nazionali attutì, ma non interruppe, questi fe-

nomeni che si rafforzarono quando i principali stati europei conquistarono le colonie d’oltremare

con conseguenti flussi migratori bidirezionali. Oltremare si formarono nuove comunità sociali e

urbane, multirazziali ma razziste, nelle Americhe, in Africa, in Asia e in Australia.

Nelle colonie d’oltremare, prima che in Europa, si è sperimentata la faticosa costruzione

delle moderne società multiculturali e multietniche, dapprima rurali e poi urbane, combattendo il

razzismo e la xenofobia. Gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia nacquero come risultante

dei flussi migratori provenienti dai vari paesi europei, anche se a discapito delle comunità autoc-

tone. Nell’America del Sud, i migranti generarono le nazioni brasiliana, cilena, uruguaiana, vene-

zuelana e argentina, con il contributo determinante dell’Italia.

In Asia ed Africa, invece, le migrazioni dall’Europa rimasero nell’alveo del colonialismo e

non riuscirono a dar vita a nuove nazioni a causa della maggiore consistenza e resistenza delle ci-

viltà preesistenti e delle popolazioni autoctone.

La cultura urbana europea si è nutrita costantemente delle istanze multietniche apportate

dalle ondate migratorie attraverso vicende travagliate e a volte cruente. L’urbanistica moderna,

dalle sue origini, studia città multiculturali, ne analizza i problemi, propone strategie e strumenti

d’intervento. Quale è, allora, la novità che spinge ad ipotizzare un’urbanistica multietnica per la

città europea contemporanea?

Il grande cambiamento quantitativo e qualitativo della multiculturalità urbana si ebbe

nella seconda metà del XX secolo e fu favorito dall’internazionalizzazione dei mercati e dalla sem-

plificazione degli spostamenti tra i continenti. L’Europa che, fino ad allora, era stata il punto di par-

tenza delle migrazioni verso gli altri quattro continenti, divenne il polo di attrazione dei flussi mi-

gratori provenienti dalle diverse aree del pianeta (Sassen, 1996).

Un mondo fatto di megalopoli (Gottmann, 1960) diventò il villaggio globale delle teleco-

municazioni (Mcluhan, 1968) che la rete di internet ha provveduto a sincronizzare. Tutti cono-

scono tutto o meglio hanno la sensazione di conoscere tutto e, aspirando ad una vita migliore, si

spostano sul globo. Gli hubs (virtuali e materiali) di questi flussi migratori sono le città globali

9 L’archetipo della città europea affonda le radici nella polis greca e nella civitas romana ma è nel Medioevo chesi definisce con i suoi simboli e le caratteristiche ricorrenti (Clemente, 2002).

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(Sassen, 1991) nelle quali si concentrano ricchezza, potere e monopolio delle informazioni la cui

diffusione induce gli spostamenti sul globo.

La crescita e la concentrazione demografica hanno prodotto la metropolizzazione, prima

delle società ricche occidentali e, poi, delle società povere che vengono definite perennemente in

via di sviluppo. Nelle metropoli contemporanee, in tutto il mondo, la frammentazione economica

e sociale produce “città nelle città” che, molto spesso, hanno connotazione etnica e culturale ma

esprimono esclusione e segregazione (Somma, 1991).

Il fenomeno migratorio esplose con la fine della contrapposizione tra il blocco occidentale

filo americano e il blocco comunista filo sovietico, allorché si aprirono al transito molti crocevia

degli spostamenti transcontinentali fino ad allora interdetti.

La globalizzazione ha incentivato le migrazioni tra i continenti che, a loro volta, hanno in-

ciso sugli aspetti culturali, sociali ed economici della stessa globalizzazione. In effetti, le culture

vengono omogeneizzate nei paesi d’origine e questo, in teoria, dovrebbe facilitare l’integrazione

etnica e culturale. Senonché il modello occidentale tende a prevaricare le altre culture, ponendo

il problema del conflitto culturale già prima della partenza del migrante verso l’Europa.

A sua volta, l’Europa non ha un atteggiamento unitario verso il fenomeno migratorio, no-

nostante una disponibilità dichiarata negli atti ufficiali, a partire dai Trattati dell’Unione Europea,

ma una diffidenza più o meno dichiarata che è stata ben raffigurata dall’espressione “fortezza

Europa” (Sassen, 1996).

Attualmente, il paese europeo con il maggior numero d’immigrati è la Germania (8 milioni),

seguita dal Regno Unito (4 milioni) e dalla Spagna (3 milioni). In Italia gli immigrati sono oltre 3

milioni e 500.000 a cui si aggiungerebbero un milione circa di irregolari, la cui stima non è sem-

plice (Caritas/Migrantes, 2007; Eurispes, 2007).

La Germania propugna un modello separatista secondo il quale l’immigrato, nel bene e nel

male, rimane straniero, ospite gradito, nel migliore dei casi, o tollerato, fino ai gravi episodi di raz-

zismo e di violenza xenofoba. La Gran Bretagna sostiene il modello multiculturalista e favorisce la

conservazione della cultura d’origine degli immigrati, nell’aspirazione alla convivenza delle di-

verse storie e identità, soprattutto se appartenenti al medesimo ex impero coloniale britannico,

oggi Commonwealth. Il modello assimilazionista è seguito dalla Francia che tende a trasformare

quanto prima possibile, l’immigrato in un cittadino francese a tutti gli effetti, e orgoglioso di

esserlo.

In questo quadro il modello italiano, se di modello si può parlare, è anomalo e offre una

singolare contraddittoria accoglienza che è frutto di un misto di solidarismo e superficialità, di

approssimazione nell’elaborazione delle leggi, nonché nella loro applicazione.

La maggior parte degli immigrati, in Europa, si concentra nelle città ed è qui che sono

emersi i problemi di convivenza ed i conflitti che sono stati alimentati da ed hanno alimentato i

terrorismi internazionali.

Dopo il nazi-fascismo, dopo i comunismi, la necessità d’individuare un nuovo nemico da

combattere che unificasse la frammentata società occidentale è stata soddisfatta dall’integrali-

smo musulmano, in Asia e in Africa e di lì in Occidente, offrendo il nuovo nemico su un piatto d’ar-

gento: attentati alle Twin Towers di New York nel 2001, a Madrid nel 2004 e Londra nel 2005.

Nelle città europee, i conflitti etnici sono generati dalla segregazione, dal razzismo e dall’e-

sclusione sociale, soprattutto nei quartieri periferici ma anche nei centri storici degradati. La se-

gregazione etnica si soffre nei contesti di disagio economico e sociale, dove l’immigrato subentra

al cittadino europeo agli ultimi posti della catena lavorativa e sociale, certamente non a Porto

Cervo o a Montecarlo dove la ricchezza unisce petrolieri arabi, finanzieri europei e faccendieri di

tutto il mondo.

Nell’Europa d’inizio millennio si può a ben ragione parlare di questione urbana collegata

alla crescita del fenomeno migratorio e, più in generale, alla crisi della città nel mondo contem-

poraneo.

In primo luogo, perché il polo d’attrazione dei flussi migratori transcontinentali è la città, sia

essa una metropoli o un piccolo centro, in una sorta di “urbanesimo globalizzato”.

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In secondo luogo, perché nelle città si manifestano tutti i problemi conseguenti alle migra-

zioni e cioè emarginazione, esclusione sociale, conflitto, ecc., ma con una caratterizzazione speci-

ficamente urbana.

Infine, perché dalla città possono e devono venire le soluzioni per la convivenza dei diversi,

in risposta ai problemi dell’inclusione sociale, dell’alloggio, del lavoro, ecc.

Nel mondo globalizzato, le città offrono maggiori opportunità di vita migliore o, comun-

que, di sopravvivenza rispetto alle aree rurali attraendo, così, i flussi migratori.

Il 2007 può considerarsi l’anno del passaggio nel quale la popolazione urbana del mondo

ha raggiunto e superato la popolazione rurale con un trend stimato in crescita. Il continente

meno urbanizzato è l’Africa ma anche lì, per il 2030, la maggior parte della popolazione vivrà in

aree urbane. In pochi decenni, la popolazione del mondo si è quadruplicata e oltre il 90 per cento

della crescita è avvenuta nelle città, in particolare, nelle città con meno di 500mila abitanti dove,

attualmente, vive oltre il 53 per cento della popolazione urbana globale (UN-Habitat, 2006, p. 4).

Nei prossimi anni la crescita della popolazione urbana avverrà nei paesi in via di sviluppo

dove l’emergenza è costituita dagli slums che, già oggi, ospitano oltre un terzo della popolazione

urbana globale (UN-Habitat, 2006, p. 11). In Europa, oltre due terzi della popolazione vive in am-

biente urbano, di cui circa un terzo in aree metropolitane e un altro terzo in città piccole e medie,

il resto in territori che possono definirsi di campagna urbanizzata (SSSE, 1999, p. 71).

L’Europa, a partire dalle grandi esplorazioni, è stata terra d’emigrazione e, nella volontà di

“europeizzare” il mondo, ha allargato progressivamente i suoi confini nelle colonie. Oggi, il flusso

si è invertito e la maggior parte dei migranti verso l’Europa è attratta dalle città piccole e medie

cioè, rispettivamente, quelle con meno di 500 mila e fino a 5 milioni di abitanti.

La convergenza e concentrazione degli immigrati nelle città si innesta su fenomeni conso-

lidati di povertà urbana, esclusione sociale e segregazione spaziale, causandone la crescita in

senso etnico e razziale. Cosicché la competizione sociale diventa una guerra tra poveri di razze e

culture diverse.

Conseguenza dello scenario delineato sono stati i conflitti etnici urbani che si sono ve-

rificati, a partire dalla Gran Bretagna, sul finire degli anni cinquanta, nei sobborghi di Londra e,

all’inizio degli anni ottanta, a Manchester e Liverpool.

Nelle città della Francia, i primi disordini di matrice etnica si ebbero nella banlieu di Lione

già nel 1979 e, successivamente, si ripeterono a Parigi, Strasburgo e Bordeaux fino ai gravi inci-

denti del 2005 nella periferia parigina che hanno avuto un eccezionale risalto mediatico.

In Germania, a partire dagli anni novanta, si sono avuti gravissimi episodi di violenza ur-

bana contro gli immigrati e i conflitti sono aumentati, dopo la caduta del muro di Berlino, con la

riunificazione post comunista e i problemi economici e sociali conseguenti.

In Italia, il fenomeno è iniziato più tardi ma ha già raggiunto livelli inquietanti, per esempio,

con i disordini del 2007 nella Chinatown milanese di via Sarpi e via Canonica.

L’approfondimento dei conflitti indotti dalla convivenza multietnica nelle città testimonia

che l’urbanistica e l’architettura possono svolgere un ruolo importante. Le risposte devono venire

dalla città, dai suoi quartieri, dalle sue architetture, dalla capacità di formare e conformare comu-

nità integrate ed inclusive nei confronti dello straniero.

Città dove il grado di multiculturalità è elevato, sono città dove la qualità della vita è elevata

e gli esempi migliori vengono dal Canada: Montreal con le sue buone politiche di gestione mul-

tietnica, Toronto con i suoi 80 gruppi etnici, Vancouver con le sue radici plurali e la cultura plurali-

sta. Non è un caso che il Canada, come si illustrerà nelle pagine che seguono, sia una punta avan-

zata della ricerca sulla multiculturalità sociale e urbana.

1.2.2 Ricerca e formazione per la sperimentazione

Progettare è un atto di sintesi della ricerca e della crescita delle competenze che si esprime

nella sperimentazione di nuove forme architettoniche e urbane. Il progetto parte da un’intui-

zione, un’idea, ma si definisce attraverso un processo articolato che è ricerca di valenze spaziali,

funzionali e semantiche.

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Il progetto pone degli obiettivi e ipotizza un percorso di sistematizzazione e sviluppo del-

l’intuizione e dell’idea iniziali, applicando metodologie che, in corso d’opera, possono essere ade-

guate e messe a punto. Quindi, il progetto è un’esperienza di ricerca ma, contemporaneamente, è

anche un’esperienza di formazione.

Al termine di ciascun processo ideativo, di elaborazione e di rappresentazione – ancor più

se completato dalla realizzazione – il progettista ha compiuto un percorso (auto) formativo.

Quando il lavoro è svolto da un gruppo, la formazione avviene in forma incrociata, usualmente dal

maestro di bottega verso il più giovane ma anche viceversa.

La multiculturalità è un valore che si oppone alla globalizzazione: l’interazione delle culture

contro l’omologazione e l’appiattimento. Il progetto contemporaneo deve essere capace di espri-

mere, nelle architetture e nelle città, la ricchezza culturale della nostra epoca. Questo ambizioso

obiettivo si può raggiungere solo attraverso un rigoroso e costante lavoro di assimilazione, riela-

borazione e rappresentazione delle istanze culturali che, giorno dopo giorno, arricchiscono il no-

stro vivere urbano.

La complessità dell’obiettivo richiede un adeguato approccio scientifico che parta dalla

consapevolezza dello scenario e della conoscenza del percorso già compiuto dalla comunità del

pensiero urbano e architettonico, dall’introiezione delle esperienze già vissute e storicizzate.

Il tema non è nuovo perché l’architettura e l’urbanistica si sono sempre confrontate con la

ricchezza semantica generata dalla compresenza delle diversità e con la necessità di favorire la

convivenza delle diversità attraverso forme e funzioni adeguate.

I centri storici degradati, le periferie segreganti, le favelas, le gated communities, la gentrifi-

cation delle città storiche sfuggite al degrado, l’omologazione e l’appiattimento della cultura

urbana, sono questi i grandi temi della città contemporanea, ma sono anche i temi della “città dei

diversi”.

Nel mondo, la sfida è raccolta quotidianamente da molti uomini di buona volontà, architetti

e urbanisti che si confrontano con i problemi della contemporaneità urbana. La tensione è raffor-

zata dall’attenzione degli studiosi nei numerosi centri di ricerca e formazione sulla città multiet-

nica in Canada, Francia, Stati Uniti e Olanda, ma anche nel Regno Unito, in Svezia, Australia e

Finlandia, come si specifica nel prosieguo del volume.

In Italia, il tema di ricerca dell’impatto delle migrazioni sulla struttura sociale ed economica

si è sviluppato, negli anni ottanta e novanta, di pari passo alla crescita dei flussi di stranieri verso

il nostro paese, quando il fenomeno ha assunto dimensioni paragonabili a quelle di altre nazioni

europee segnate dalla loro storia colonialista e che avevano vissuto e affrontato la problematica

sin dal secondo dopoguerra.

Sul finire degli anni novanta, la quantità e la concentrazione degli immigrati nelle metro-

poli italiane e in alcune particolari aree urbane e quartieri etnici hanno favorito il la riflessione e il

dibattito sulla “città multietnica” seppur in maniera frammentata e disorganica. La Fondazione

Aldo Della Rocca, ente morale per gli studi di urbanistica attivo da oltre cinquant’anni, ha avuto il

merito di richiamare l’attenzione di molti soggetti (attori e utenti) della città sulle trasformazioni

indotte, a livello urbano e territoriale, dall’intensificarsi dei flussi migratori verso il nostro Paese.

A partire dal 1996, la Fondazione Della Rocca ha promosso numerose iniziative scientifiche

finalizzate ad approfondire le tendenze evolutive della città contemporanea e, in particolare, delle

città europee, a seguito dei fenomeni in atto a livello continentale e mondiale. Il Consiglio

Nazionale delle Ricerche, attraverso i suoi ricercatori, ha sempre partecipato attivamente agli in-

contri, agli studi ed alle pubblicazioni che sono stati realizzati dalla Fondazione Aldo Della Rocca,

sulla città multietnica (www.fondazionedellarocca.it). Nell’ambito di queste collaborazioni, è stata

promossa l’unità di ricercatori in distacco presso l’Università Federico II di Napoli, per lo svolgi-

mento del progetto dedicato al tema “Spazi e funzioni dell’aggregazione e dell’integrazione per

la città interetnica europea”.

Il percorso di ricerca della rete promossa dalla Fondazione Della Rocca è iniziato con i con-

vegni di Roma (2002) e di San Leucio (2003) che hanno mobilitato molti studiosi di diverse disci-

pline, le cui riflessioni sono state diffuse attraverso la pubblicazione di cinque volumi e di nume-

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rose video-interviste dedicati al tema (vedi Riferimenti bibliografici). L’originale concetto di “città

multietnica” si è evoluto verso il più complesso concetto di “città interetnica cablata”, luogo della

convivenza delle diversità, favorita anche dall’utilizzo delle opportunità offerte dall’innovazione

tecnologica. La Fondazione, inoltre, ha colto la domanda di formazione di nuove professionalità

per la gestione delle città multietniche, ha promosso iniziative didattiche post laurea ed ha solle-

citato l’inserimento delle tematiche nei corsi di laurea di sociologia, architettura, ingegneria, pia-

nificazione territoriale10.

In questo scenario si colloca il progetto del Consiglio Nazionale delle Ricerche che, par-

tendo da una disamina dello stato dell’arte della ricerca sulla città multietnica, ha approfondito i

temi degli spazi e delle funzioni urbane, dell’integrazione e dell’aggregazione, della convivenza

dei diversi nelle città europee multiculturali contemporanee.

Il ritardo del fenomeno, in Italia, può aiutare a prevenire le degenerazioni urbane del feno-

meno migratorio se saremo capaci di cogliere la lezione di quei paesi che hanno affrontato, prima

di noi, i problemi della convivenza di popoli e culture diversi. Per questo, la ricerca deve partire

dalla conoscenza delle teorie e metodologie, elaborate e messe a punto in società urbane pluri-

culturali, dove il contributo degli studiosi è stato recepito dalle politiche sociali ed urbanistiche.

Inoltre, i percorsi formativi di coloro che, negli anni a venire, avranno la responsabilità di concor-

rere alla trasformazione del territorio, delle città, delle architetture, devono recepire le nuove

istanze della multiculturalità.

Il contributo che la ricerca può offrire è relativo all’inquadramento e messa a fuoco dei pro-

blemi urbanistici indotti dall’afflusso degli immigrati nelle nostre città. I fenomeni sociali e urba-

nistici collegati all’immigrazione possono essere selezionati e analizzati, generalizzati e parame-

trizzati. Il passaggio successivo è nell’individuazione delle strategie da adottare e richiede il dia-

logo interdisciplinare con il progetto urbanistico e architettonico.

Il punto di arrivo del percorso di ricerca è la messa a punto di metodologie di progetta-

zione urbanistica e architettonica che siano capaci di recepire le nuove istanze portate dalle co-

munità multiculturali. La formazione universitaria e post universitaria dovrà recepire queste

nuove metodologie e trasmetterle ai formandi architetti e urbanisti, così come sta già avvenendo

in molte università italiane, all’interno dei corsi di urbanistica, di progettazione, di valutazione, ecc.

La sperimentazione didattica di chi scrive è stata realizzata, nei corsi di urbanistica, nella

Facoltà di Architettura della Seconda Università di Napoli e nella Facoltà d’Ingegneria

dell’Università Tor Vergata di Roma, ed ha consentito di verificare l’importanza dell’azione alla

scala di quartiere, partendo dalle nuove comunità multiculturali.

L’incrocio tra la ricerca e la formazione ha evidenziato che è necessario completare gli at-

tuali percorsi formativi e di avvio alla professione di architetto e urbanista, per offrire conoscenze

e competenze adeguate ad affrontare le problematiche indotte dagli scenari urbani multietnici. È

fondamentale che s’impari a ragionare, sul tema della multiculturalità, in termini positivi, creativi

e di opportunità offerte dalla ricchezza di valori semantici e storici che s’intrecciano nelle nuove

comunità urbane.

Il progetto urbano e architettonico è efficace se riesce a rappresentare ed esprimere, nella

materia del costruito e nella stratificazione degli edifici, i valori della memoria collettiva della co-

munità urbana (Rossi, 1966). Le comunità multiculturali, nella città contemporanea, posseggono

memorie e valori che s’intrecciano e si moltiplicano: all’architetto e urbanista è demandato il com-

pito di comprendere, esprimere, rappresentare e trasmettere, attraverso la materia del costruito e

gli spazi che essa determina.

10 Primo “Corso sperimentale di Alta Formazione sul Governo delle Trasformazioni Urbane per la definizione diuna nuova figura professionale: il manager della città interetnica” (aprile-luglio 2004). Secondo “Corso di Alta Formazionesul Governo delle Trasformazioni Urbane per la definizione di una nuova figura professionale: il manager della città inte-retnica” (aprile-luglio 2005). Primo Corso di laurea magistrale in “Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale, go-verno delle trasformazioni urbane per la città europea interetnica cablata” in collaborazione con la Link CampusUniversity of Malta (2007-2008).

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1.2.3 Un futuro arcobaleno per la città e l’architettura

La sfida che si pone al fare architettonico e urbanistico è complessa: recepire la multicultu-ralità dell’età contemporanea e tradurla in forma e funzione, in spazio e materia, in costruito edesperienza vissuta. La multiculturalità e l’interculturalità possono costituire una risposta colta al-l’omologazione ed all’appiattimento semantico delle archistars e dei loro epigoni.

Stazioni della metropolitana, multisale cinematografiche, centri commerciali, aeroporti, mu-sei, case, luoghi di culto, scuole, cimiteri, ecc. sono drammaticamente uguali, in ogni parte delmondo. La memoria collettiva, la stratificazione delle vite vissute, la tettonica dei materiali delluogo, lo stesso genius loci – contraddizione in termini – tutto finisce per essere triturato e omo-geneizzato nel melting pot architettonico e urbano, quindi, banalizzato.

Brani di città raccontano l’omologazione e l’anonimato, rendendo destabilizzante l’espe-rienza urbana e architettonica: sono a Hong Kong oppure a Berlino, a Londra oppure a Dubai, aNapoli o a Shangai?

La città e l’architettura comprendono ed esprimono il caleidoscopio delle vite umane e delleculture urbane, così come l’arcobaleno rivela tutti i colori della luce. Ma il fenomeno dell’arcoba-leno non è ricorrente perché dipende da particolari condizioni di luce e di umidità dell’atmosfera.

Nella città storica il caleidoscopio urbano si realizza nella stratificazione delle architettureche esprimono vite vissute ma, nella città nuova, il caleidoscopio si realizza solo se il progetto ècapace di raccogliere la molteplicità delle istanze culturali e di coniugarle negli spazi e nelle fun-zioni interculturali.

La costruzione di un metodo per il progetto della città interculturale si basa sull’aperturamentale e sulla predisposizione a ricevere l’arricchimento che viene dalla diversità. La cultura ur-bana deve essere vissuta nella sua natura mutevole, in continua trasformazione ed evoluzione,sotto la spinta delle suggestioni multiculturali.

Appare impossibile la cristallizzazione del metodo, perché l’oggetto dell’intervento è lacittà che vive, le donne e gli uomini che esperiscono gli spazi definiti dalle architetture, essendoquesta umanità in tumultuoso cambiamento e complessificazione.

È possibile, però, individuare delle linee guida per creare ambienti urbani inclusivi (Ray,2003) attraverso opportuni accorgimenti ed è possibile fissare principi di carattere generale a cuiispirarsi e da rispettare.

In questa direzione, hanno operato sia la Fondazione Giovanni Michelucci con la “Cartadella progettazione interculturale” sia la Fondazione Aldo Della Rocca con la “Carta dei Principiper la Città Interetnica Cablata” alla cui stesura ha partecipato chi scrive.

Il contributo di Brian Ray, ricercatore del Migration Policy Institute, individua dieci punti cheritiene determinanti nella gestione dell’ambiente urbano affinché l’inclusione sociale e l’integra-zione multiculturale vengano favorite: il disegno delle strade, l’accessibilità fisica ed economicadei mezzi di trasporto, la localizzazione e l’accessibilità del lavoro, la gestione delle scuole, la ge-stione dei servizi di polizia, lo sviluppo economico a favore di ampie fasce di gruppi sociali, il raf-forzamento delle regole del lavoro, del commercio e in generale del sistema legislativo, la rimo-zione dei rifiuti, le licenze ai venditori ambulanti e gli spazi pubblici per il mercato, i prezzi e i ser-vizi delle aree industriali.38

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Inclusive Urban Environments Rely on:

– Street design– Pricing and availability of public transportation– Location and accessibility of employment– Management of schools– Management of police services– Economic development that benefits a range of social groups– Enforcement of employment codes, commercial regulations, and by-laws– Garbage removal– Licensing street vendors and public market spaces– Pricing and servicing industrial land

(Ray, 2003)

La “Carta della progettazione interculturale” è stata prodotta al termine e quale risultato del

corso campus “Le culture dell’abitare” tenutosi, nel 2000, nell’ambito del progetto “Porto franco.

Toscana dei Popoli e delle Culture” promosso dal Dipartimento Istruzione e Cultura della Regione

Toscana.

La “Carta della progettazione interculturale” si articola in un preambolo che definisce

l’obiettivo della città plurale e in cinque tematiche dedicate all’accoglienza, all’abitare, alla parte-

cipazione e comunicazione, alla autonomia e responsabilità, alle politiche integrate di sviluppo

solidale.

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Carta della progettazione interculturale

Per una città plurale e ospitale – L’accoglienza – L’abitare – Partecipazione e comunicazione –

Autonomia e responsabilità – Politiche integrate di sviluppo solidale

Per una città plurale e ospitale

1. Gli immigrati non sono il problema della città, ma sono parte importante nella soluzione dei suoi

problemi, nel rinnovo della sua identità. Gli ospiti, gli immigrati, le nuove genti coproducono la città

plurale.

2. Di fronte allo squilibrio di risorse tra il mondo ricco e il mondo povero, la città plurale accoglie chi

fugge la fame e la guerra e lo sostiene nel suo progetto di vita.

3. A nessuna persona e a nessun gruppo può essere destinata una condizione di abitare inferiore o di

relegazione urbana sulla base della sua provenienza, della sua cultura, della sua religione, della sua

lingua, della sua condizione sociale.

4. Ogni immigrato ha diritto a partecipare alla vita urbana e sociale come individuo, come comunità,

come minoranza. Individuo, comunità e minoranze hanno diritto alla visibilità e alla dignità urbana

degli spazi destinati alla libera espressione della loro cultura, alla vita associata e all’esercizio del

culto.

5. Gli interventi per promuovere l’inserimento abitativo e urbano degli immigrati devono tener conto

della complessità della società urbana e fondarsi su questi 4 principi:

– l’approccio globale (guardare alla città nel suo complesso, migliorare l’habitat generale);

– l’approccio trasversale e integrato (integrare attori specializzati, superare la compartimentazione

dei settori di competenza, rinnovare sistemi e stili di lavoro. Il progetto deve essere frutto di ne-

goziazione creativa tra i partner e di una capacità di governare contraddizioni e conflitti);

– l’approccio territoriale (collegare le politiche generali a specifici ambiti territoriali, mobilitarne le

energie, le risorse sociali e istituzionali locali, valorizzarne la specificità);

– l’approccio progettuale (partecipazione e partenariati non si costruiscono in astratto: solo l’ela-

borazione di progetti e obbiettivi specifici consente una mobilitazione costruttiva degli attori

istituzionali e sociali).

www.michelucci.it

La “Carta dei Principi per la Città Interetnica Cablata” si articola in due parti e mette in rela-

zione logica le parole chiave che, pur con pesi e priorità variegate, intervengono sempre nei dis-

corsi sulla multiculturalità: identità, integrazione, interazione, partecipazione, mediazione, alloggio,

lavoro, servizi, accessibilità, città.

Le prime cinque parole chiave esprimono altrettanti concetti-obiettivi relativi alla sfera del

sociale e le seconde cinque parole chiave esprimono concetti-obiettivi più specificamente relativi

alla sfera urbanistica.

1.2.4 Dalla teoria alla prassi, dall’analisi al progetto11

La Carta per la città interetnica cablata offre una traccia, con i suoi dieci principi, per com-

piere il passaggio dalla riflessione teorica alla proposizione metodologica e operativa sui temi

della trasformazione urbana nella città multietnica.

Il primo tema fondamentale, da cui partire, è l’identità che ciascun individuo e gruppo so-

ciale riconosce in sé e che ha bisogno venga espressa negli spazi architettonici ed urbani che

abita ed in cui svolge le proprie attività.

11 Rielaborazione del testo “Qualità e sicurezza urbana nella città multietnica europea” già pubblicato da chiscrive all’interno del volume Patalano V. (a cura di) (2006), Microcriminalità e politica degli enti locali, G. Giappichelli Editore,Torino.

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I dieci principi per la Città Interetnica e Cablata

01. La Città delle IdentitàLa città interetnica cablata rispetta le diversità. Tutti gli individui e i gruppi sociali hanno il dirittodi conservare la propria identità e il senso di appartenenza al gruppo etnico e culturale di prove-nienza e di rappresentarli nella città che li accoglie.

02. La Città dell’IntegrazioneLa città interetnica cablata persegue l’integrazione. Le diversità, per convivere, devono avere uncomune sistema di valori che realizza l’integrazione, attraverso la mediazione culturale nel rispettodell’alterità.

03. La Città dell’InterazioneLa città interetnica cablata favorisce l’interazione. La tutela delle identità e l’integrazione delle di-versità si realizza attraverso l’interazione e cioè attraverso il rapporto tra i tutti i cittadini, in mododiretto o mediato dalle nuove tecnologie di comunicazione.

04. La Città della PartecipazioneLa città interetnica cablata si fonda sulla partecipazione. Solo la partecipazione libera e democra-tica di tutti i cittadini può assicurare che la città sia rappresentazione delle diverse identità e, con-temporaneamente, dei valori comuni di riferimento.

05. La Città della MediazioneLa città interetnica cablata suggerisce la mediazione. Per realizzare l’integrazione, attraverso l’inte-razione e la partecipazione, si rende necessaria la mediazione delle specificità per valorizzare le di-verse identità etniche e culturali.

06. La Città dell’AbitareLa città interetnica cablata deve garantire un alloggio adeguato. Le diverse identità si esprimononello spazio privato dell’abitazione che deve rispondere ad esigenze funzionali diversificate e ga-rantire le identità culturali presenti nelle comunità urbane.

07. La Città del LavoroLa città interetnica cablata deve offrire lavoro dignitoso. I migranti sono una risorsa necessaria nelmercato globalizzato del lavoro, si rendono disponibili per la domanda di lavoro disattesa degliautoctoni e, per questo, devono essere tutelati dallo sfruttamento.

08. La Città dei ServiziLa città interetnica cablata deve garantire servizi adeguati a tutti i cittadini. L’istruzione, la sanità, lapubblica amministrazione, il credito, le telecomunicazioni e tutte le altre funzioni urbane devonoessere disponibili alla fruizione degli autoctoni e dei migranti.

09. La Città dell’AccessibilitàLa città interetnica cablata deve essere accessibile a tutti. L’accessibilità, fisica o telematica, aglispazi ed alle funzioni urbane garantisce la fruizione dei servizi, favorisce le relazioni sociali, svi-luppa le attività economico-produttive.

10. La Città delle CittàLa città interetnica cablata deve esprimere e rappresentare tutte le identità delle nuove comunitàumane multiculturali. La ri-semantizzazione interculturale dei luoghi e la ri-funzionalizzazionedelle funzioni urbane costituiscono la risposta alla rinnovata domanda di città, per la convivenzacivile e colta di genti diverse.

(Beguinot, 2006)

La consapevolezza di essere, di esprimere una storia personale e collettiva, fatta di vicende,

usi, costumi e tradizioni, di esprimere una cultura, è necessaria ad ogni individuo e gruppo sociale.

Evidentemente, l’identità culturale non può e non deve coincidere né essere confusa con l’iden-

tità religiosa. Così come l’adesione alle tradizioni deve sempre essere frutto di una libera scelta

confortata dalla consapevolezza delle possibili alternative (Sen, 2006).

Identità e libertà sono due facce della stessa medaglia, sia l’una che l’altra devono essere

coniugate nella forma e nelle forme della città.

La città, con le sue architetture ed i suoi spazi, deve indurre il senso di appartenenza iden-

titaria, esprimendo le diverse culture, per contrastare i fenomeni di estraniazione individuale e

collettiva che favoriscono comportamenti deviati e criminali. Ma la città può esprimere le diverse

identità solo se ciascuna identità, se ciascuna cultura, accetta e rispetta tutte le altre nel rispetto

condiviso dei valori comuni fondamentali relativi alla dignità umana, alla condizione della donna,

alla condanna della violenza.

Compito degli urban thinkers, poi, è quello di pensare città dove ciascuno veda espressa

una parte, pur minima, della propria cultura urbana.

L’integrazione è vista, da molti, come chiave di volta per la soluzione dei conflitti sociali e le

devianze criminali collegate all’immigrazione dai paesi poveri verso i paesi ricchi e, in particolare,

nelle città e metropoli d’Europa. Certamente, l’integrazione è importante perché sentire di far

parte di un’unica comunità contrasta gli impulsi conflittuali, sempre che l’integrazione non dege-

neri in assimilazione generalizzata, con perdita del proprio senso identitario e conseguente pro-

fondo disagio e sentimento di avversione verso tutti gli altri, percepiti come diversi e pericolosi.

L’integrazione deve fondarsi su un sistema di valori condivisi che non può che trarre ori-

gine dal paese dell’accoglienza. L’interculturalità accetterà e farà propri i nuovi apporti ma riget-

tando con fermezza ogni nuova istanza lesiva di valori acquisiti, soprattutto se inerenti alla dignità

e alla libertà degli individui.

Le città europee, le città storiche e stratificate che si rinnovano nel rinnovarsi della compo-

sizione etnica, sociale e culturale dei propri abitanti, possono favorire l’integrazione se i “luoghi”

prevarranno sui “non luoghi” (Augé, 1992). Il pericolo della dis-integrazione è ancor più forte nelle

periferie che sono deboli sul piano semantico e vedono la netta prevalenza dei “non luoghi” e po-

trà essere superato solo se gli architetti e gli urbanisti riusciranno a pensare e realizzare spazi real-

mente multiculturali e, per questo, non estranianti né alienanti.

Il rischio dell’assimilazione omogeneizzante e destabilizzante può essere superato attra-

verso l’interazione tra i diversi, gli immigrati e gli autoctoni. Interagire, relazionarsi per “fare in-

sieme”, è lo strumento per tutelare le identità pur promovendo l’integrazione.

L’interazione si fonda sul rispetto reciproco e sul riconoscimento condiviso del limite tra li-

bertà individuali e diritti di tutti gli altri. Per “fare insieme” bisogna prima condividere alcuni valori

fondamentali nonché le regole sociali essenziali di convivenza pacifica.

Le culture si aprono e si sovrappongono, generando degli ambiti comuni da cui parte l’e-

sperienza del “fare insieme”, con la realizzazione di un grande valore aggiunto. L’intersezione cul-

turale genera nuovi interessanti campi di sperimentazione artistica, nuove forme di espressione e

di comunicazione.

La città e le sue architetture devono offrirsi alla condivisione fisica e materica, da un lato,

alla condivisione culturale e semantica, dall’altro lato. Gli spazi e le funzioni urbane devono essere

ri-adeguati affinché l’interazione si realizzi, nelle strade, nelle piazze, nelle architetture. Obiettivo

della (ri)progettazione architettonica e urbanistica è la realizzazione di luoghi che favoriscano l’in-

contro e lo scambio tra culture, dove i diversi possano “fare insieme”.

Un utile contributo può venire anche dalle tecnologie di comunicazione che possono sem-

plificare e sviluppare l’interazione attraverso le reti cablate o wireless, facilitando ma assoluta-

mente non sostituendo i rapporti umani diretti.

L’integrazione e l’interazione rendono possibile la partecipazione, equa e democratica, di

tutti i cittadini alla vita della città. La partecipazione trasforma un insieme di individui e gruppi di

individui diversi in un’unica comunità urbana interculturale che nella città trova la sua espres-

sione semanticamente più forte.

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La potenza evocativa della città e delle sue architetture deriva proprio dalla partecipazione

di tutti i cittadini al processo di formazione e rappresentazione della cultura e della memoria col-

lettiva (Rossi, 1966). Non a caso, la città contemporanea è generalmente più debole, sul piano se-

mantico, della città storica. Ad esempio della città medievale, in quanto quest’ultima, pur con i

suoi limiti funzionali se vista con gli occhi del modernismo, è espressione di un processo storico

partecipato e condiviso, cosa che non è per le periferie urbane dell’Europa contemporanea.

La partecipazione è la migliore forma di espressione della libertà e si fonda sulla consape-

volezza e sulla sicurezza. Il contributo dei tecnici sarà fondamentale per garantire l’una e l’altra. Si

tratta, da un lato, di fornire gli strumenti, semplici ed efficaci, per comprendere e valutare i feno-

meni urbani, a livello spaziale, funzionale e semantico. Dall’altro lato, gli spazi e le funzioni della

città dovranno essere (ri)pensati per raggiungere quelle condizioni di sicurezza necessarie a ga-

rantire l’inserimento di tutti, nella vita urbana, con pari opportunità.

Per rendere possibile e fluido questo processo di riconoscimento identitario, d’integrazione

delle diversità, d’interconnessione delle attività ed azioni, di partecipazione democratica e propo-

sitiva, la città deve realizzare la mediazione tra interessi e posizioni che, a volte, sono molto di-

stanti tra loro.

Ciascuna cultura concorrente, in questo processo di mediazione, perde qualcosa di sé ma

contribuisce a realizzare un unicum sempre più ricco e stratificato, sempre più interculturale.

Se i “non luoghi” producono l’esclusione e la divisione, i “luoghi urbani” derivano da e favo-

riscono la mediazione tra le diversità. I “non luoghi” favoriscono il conflitto che da culturale di-

venta fisico e può degenerare in guerriglia urbana. I “luoghi urbani” promuovono la mediazione

per l’integrazione e la partecipazione.

La mediazione riduce i contrasti avvicinando gli estremi, siano essi di tipo sociale, econo-

mico, culturale o religioso e, in questo modo, si attenua il rischio di conflitti e migliorano le condi-

zioni di sicurezza urbana.

Architetti ed urbanisti plasmano le forme di questa mediazione, di quest’incontro sociale e

culturale. La città che ne scaturisce, generata dall’interculturalità, è una città plurima che si presta

ad essere vissuta in tanti modi diversi, da parte delle diverse sensibilità ed identità.

L’abitare è la prima affermazione del diritto di cittadinanza nella città plurima e l’unità di

base di questa città plurima è l’alloggio che, riprendendo le parole dell’Habitat Agenda e della

Dichiarazione di Istanbul (1996), dovrà essere adeguato per tutti12.

Peraltro, il grado di adeguatezza della condizione abitativa è funzione delle diverse culture

e tradizioni e, ad esempio, è legato alle diverse consuetudini di formazione dei nuclei familiari, con

riferimento sia alla quantità che alla qualità dei componenti.

Ciascuna famiglia, più o meno tradizionale secondo i canoni della società di accoglienza,

avrebbe diritto ad un luogo privato che risponda alle esigenze pratico-funzionali ma anche cultu-

ral-semantiche. Ma sono compatibili la poligamia e la condizione di pari opportunità della donna?

Le famiglie allargate plurigenerazionali sono assimilabili alle famiglie allargate derivanti da divorzi

e nuovi matrimoni? E le unioni omosessuali sono compatibili con l’intolleranza di alcuni integrali-

smi religiosi?

La progettazione dell’alloggio, dunque, si arricchisce di istanze nuove e impone la defini-

zione preliminare dei valori comuni dell’abitare e, ancor prima, dell’essere e del relazionarsi.

Si sottolinea la complessità metodologica del tema progettuale: una casa che sia poten-

zialmente interpretazione delle diverse culture dell’abitare richiede flessibilità distributiva e se-

mantica senza, però, essere a-morfa né inespressiva.

La cultura dell’abitare si collega direttamente alla cultura del fare che, nella maggior parte

dei casi, spinge milioni di persone a spostarsi in paesi lontani alla ricerca di un lavoro per soste-

nere se stessi e la propria famiglia. Le città interculturali devono offrire lavori dignitosi, che soddi-

sfino le esigenze economiche attraverso retribuzioni adeguate e gratifichino l’homo faber nelle

12 Il tema della Conferenza delle Nazioni Unite nel 1996 ad Istanbul fu “Lo sviluppo sostenibile degli insediamentiumani e l’alloggio adeguato per tutti”.

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sue diverse abilità e capacità espressive. La mortificazione economica unitamente all’alienazione

lavorativa alimenta un terreno di coltura formidabile per la conflittualità sociale ed etnica.

Il lavoro è stato, nella storia, il motore delle migrazioni di massa e deve essere, oggi, lo stru-

mento privilegiato per costruire una società multietnica equa e democratica. I diversi possono

“fare insieme” per fare meglio, sempre che l’accesso al lavoro rispetti regole condivise sulla dignità

umana, sulla parità tra i generi e sulla pari opportunità tra i diversi.

Casa e lavoro sono bisogni primari dell’uomo urbano e sono necessari per realizzare l’ar-

monia culturale, l’inclusione sociale e la sicurezza delle città. Superando la dicotomia funzionalista

residenza-produzione, il progetto urbano penserà i luoghi dove le comunità multiculturali pos-

sano convivere e svolgere le loro attività insieme. I nuovi luoghi urbani dovranno essere poli-va-

lenti sul piano funzionale e su quello semantico, ancor più che in passato.

Il cittadino interculturale ha diritto a servizi efficaci che siano disponibili, indipendente-

mente dalle radici etniche e dalla collocazione sociale, in modo equo. Si pone il tema antropolo-

gico e sociologico della definizione e condivisione di una gerarchia di bisogni, da parte di comu-

nità urbane culturalmente complesse, a cui la città debba dare soddisfazione. L’individuazione dei

bisogni tocca la sfera dell’identità culturale, ma anche dell’integrazione, dell’interazione, della

partecipazione e della mediazione.

Dovremo pensare anche la città dei servizi come una città plurima, che sia capace di sod-

disfare i bisogni dei diversi rispettando l’identità culturale, gli usi, i costumi e le tradizioni di tutti.

L’offerta dei servizi in risposta alla domanda di una popolazione multiculturale richiede la messa

a fuoco dei bisogni, accertati e condivisi su parametri oggettivi di rispetto della dignità umana,

con particolare attenzione alle categorie più deboli ed esposte.

Si sottolinea che il tema dei servizi tocca direttamente la sicurezza urbana in quanto il sod-

disfacimento dei bisogni dei cittadini determina scenari d’inclusione sociale che favoriscono la

convivenza multietnica. Sul piano urbanistico, le possibili azioni riguardano principalmente la

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Fig. 3 - La diffidenza verso il diverso ha carattere di reciprocità e si manifesta negli spazi, architettonici e urbani, dellaconvivenza (Disegno di M. Cicalese).

sfera funzionale e, quindi, la ri-distribuzione e la ri-organizzazione delle funzioni urbane, anche

con il contributo delle nuove tecnologie di comunicazione.

Affinché l’abitare ed il lavorare siano urbanisticamente armonici con i servizi urbani, è ne-

cessario che la città garantisca l’accessibilità equa e diffusa con la possibilità, per tutti, di accedere

a tutti gli spazi e alle funzioni della città.

L’accessibilità è necessaria, sul piano delle relazioni sociali e culturali, per tutelare le identità

e realizzare l’integrazione attraverso l’interazione e la partecipazione, promuovendo la media-

zione. Il che non sarebbe possibile in assenza d’incontro e di dialogo, tra i diversi, nei luoghi, negli

spazi e nelle funzioni della città. Sul piano fisico, l’accessibilità garantisce la complementarità tra i

luoghi dell’abitare, quelli delle attività lavorative e i luoghi per l’erogazione dei servizi, contra-

stando la ghettizzazione funzionale delle diverse parti urbane.

L’accessibilità è un elemento della qualità urbana che garantisce sicurezza e, al contempo,

è uno dei prodotti delle politiche efficaci per la sicurezza urbana. Inoltre, deriva dal corretto dise-

gno urbano spaziale e funzionale, ma anche dal sistema delle relazioni sociali e culturali tra gli

abitanti: se la comunità urbana è una comunità aperta al mondo esterno ed alla pluralità, la città

che la ospita, la rappresenta e ne trasmette la memoria collettiva, e sarà una città accessibile.

L’urbanistica, per incidere sull’accessibilità deve agire sul sistema dei trasporti, sulla localiz-

zazione delle funzioni urbane e sulla permeabilità tra i gruppi sociali ed etnici.

L’applicazione dei principi esposti può consentire la realizzazione di una città delle città

nella quale la diversità sia ricchezza e non generatrice di conflitto, dove i popoli e le culture s’in-

contrino e non confliggano. Questa città plurima sarà frutto della ri-semantizzazione intercultu-

rale e della ri-funzionalizzazione delle funzioni urbane. Il progetto degli spazi e delle funzioni, pur

non potendosi sostituire alle politiche per l’inclusione sociale e la crescita civile, ne costituisce un

complemento e può offrire un importante contributo attraverso la costruzione di scenari favo-

revoli.

L’architettura e l’urbanistica dovranno incidere sugli assetti urbani, sulle forme e sui valori

semantici della città, aspirando a quella tensione metafisica che i filosofi e i teorici dell’urbanistica

e dell’architettura hanno fissato nelle città ideali attraverso modelli irrealizzabili proprio perché

utopici ma che tanto hanno influenzato l’evoluzione della città e, in particolare la città europea

(Clemente, 2002). La realizzazione di questa città delle città o città plurima, attraverso piani e pro-

getti, aspira all’armonia ed all’annullamento di ogni possibile fattore di contrasto sociale, cultu-

rale, economico.

Compito degli urban thinkers sarà progettare per rappresentare le diverse identità culturali

e, contemporaneamente, esprimere i valori comuni su cui si fondano l’integrazione, l’interazione,

la partecipazione e la mediazione tra i diversi, costruendo città per abitare, lavorare, soddisfare la

domanda di servizi, garantire l’accessibilità.

1.3 LA ETNODIVERSITÀ: PROBLEMA O RISORSA?

Volevamo delle braccia, sono arrivate delle persone.

(Max Frisch)

1.3.1 Il DNA della città contemporanea

Il concetto stesso di globalizzazione dei fenomeni socio-economici, ancorché estrema-

mente evanescente, costituisce la chiave di lettura della società contemporanea ed è un parame-

tro con il quale ci si deve misurare per comprendere il tema multietnico. I mutamenti del sistema

produttivo (la dismissione industriale, la terziarizzazione, …), del sistema insediativo (la città dif-

fusa, la gentrification, gli slums, …) e del sistema sociale (le nuove dinamiche, la complessità delle

relazioni, la multietnicità, …), che caratterizzano lo scenario della globalizzazione, sono in un rap-

porto biunivoco con l’incremento delle migrazioni.

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Tra i principali motori dei flussi si possono identificare, infatti, la presenza capillare di net-

work d’impresa e multinazionali, la maggiore informazione circa le opportunità che si possono

cogliere emigrando, la diffusione di un modello di consumo cui tendere lasciando il proprio

paese, la facilità degli spostamenti (purché non clandestini e gestiti da criminali) e la possibilità di

trasferire denaro presso i propri congiunti rimasti nel paese d’origine. Parimenti, la dinamicità de-

gli spostamenti incrementa gli effetti della globalizzazione, concorrendo all’omologazione dei

modelli di vita tra paese d’origine e di destinazione13, alla diffusione di beni e servizi ascrivibili a

culture diverse, all’indifferenza allocativa della produzione e a tutti quei fattori collegabili alla

formazione di una società multietnica.

Ciò contribuisce a costruire una città diversa, nella quale la etnodiversità può rappresentare

una risorsa per l’arricchimento culturale e per il rilancio di una economia stagnante ma, nel con-

tempo, costituisce un fattore di ulteriore complessificazione del territorio.

Gli studi sulle città creative, quelle città fiorenti e innovative che sono in grado di rinnovare

il proprio successo nel tempo, evidenziano, quale carattere comune, il ruolo di avanguardia nei

settori economici e dell’innovazione tecnologica; esse attraggono, quindi, flussi di persone con di-

verse abilità dagli angoli più remoti (Florida, 2005). Non è casuale che degli outsiders giochino

ruoli fondamentali nei momenti d’oro di queste città di successo: i metoikos dell’Atene di Pericle,

gli Ebrei nella Vienna dei primi del novecento, artisti come Picasso nella Parigi degli anni succes-

sivi, sono alcuni degli esempi. Gli immigrati, che si considerano in parte al di fuori della società che

li ospita, possono metterne in luce le tensioni sotterranee e massimizzarne le potenzialità innova-

tive (Hall, 2006). Applicando la riflessione all’Europa multietnica, si può ipotizzare che una nuova

linfa per lo sviluppo provenga proprio dall’interazione tra identità locali e culture esogene figlie

della globalizzazione.

La dialettica tra la dimensione a-spaziale della globalizzazione e l’importanza attribuita alle

identità fondate sui luoghi – ben sintetizzata dal neologismo “glocale” – è il binomio che ricon-

duce ad una dimensione progettuale legata alle tradizioni locali, alla scala di quartiere o di vici-

nato, alla democrazia partecipativa e così via (Sandercock, 1998b e 2003). Ma come favorire l’inte-

razione e l’osmosi culturale? La risposta deve essere necessariamente sviluppata lungo diverse di-

rettrici tra le quali, però, il contributo urbanistico non gioca un ruolo marginale14. In particolare,

una pianificazione sensibile alle istanze multietniche può contribuire significativamente alla co-

struzione di una città equa e sicura, in grado di competere nello scenario internazionale con una

propria identità plurale. Per fare in modo che tali intenti non restino uno sfoggio di retorica e di

demagogia è necessario individuare gli elementi della città contemporanea su cui intervenire

prioritariamente e le linee guida progettuali.

Tra i contributi che la disciplina urbanistica può offrire per affrontare in termini propositivi

il tema dell’integrazione etnica, in uno scenario globale di recessione/espansione economica, ap-

pare centrale la capacità di interpretare e offrire risposta quantitativa e qualitativa alla domanda

espressa da una popolazione urbana figlia della globalizzazione. Infatti, è profondamente mutato

il rapporto domanda/offerta di città e l’incremento e l’accelerazione della mobilità di cose e per-

sone sta mutando anche il sistema di valori delle città. Queste trasformazioni sono percepibili nei

suoni, negli odori, nei colori di quella massa fluida che si estrinseca nella città del vissuto, ma che

si riverbera anche nella configurazione degli spazi e nel mutamento del valore semantico dei luo-

ghi fisici e culturali dei sistemi urbani.

Parafrasando il celebre studio freudiano, l’urbanistica contemporanea si pone il difficile (se

non impossibile) obiettivo di elaborare un’interpretazione multiculturale e di dare risposte urba-

nistiche ai sogni e ai fabbisogni di una società complessa e multietnica. “ … di una città tu non

ammiri le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà alla tua domanda …” (Italo

Calvino, Le città invisibili).

13 Sia intesa in senso consumistico che, negli auspici, in senso di osmosi culturale proficua.14 Lo stato dell’arte di ricerca e prassi a livello internazionale non ha evidenziato, fino ad ora, contributi significa-

tivi il tale direzione. Anche in Italia – se si esclude l’impegno delle fondazioni Della Rocca (Roma, Napoli) e Michelucci(Firenze) e di alcuni gruppi universitari a Roma, Palermo, Milano e Reggio Calabria – si è ancora agli inizi.

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Una chiave di lettura di questa complessa network society può essere individuata, con

Castells, nel tema dell’identità; per non disperdersi tra le diverse dinamiche sociali legate all’iden-

tità bisogna affrontarle nella prospettiva degli attori sociali (Castells, 2002). In una recente intervi-

sta, lo studioso spagnolo sottolinea che “sono gli attori sociali che definiscono l’identità come un

processo sociale di costruzione di significati e di attributi culturali ai propri comportamenti cui è

assegnata una priorità maggiore rispetto ad altre fonti di significato”15.

Associando questa riflessione alla configurazione dello spazio e al valore simbolico che vi si

attribuisce, si evidenzia l’importanza della componente identitaria, nel senso di riconoscibilità e di

appartenenza ai luoghi. L’identità culturale e la sua trasposizione “fisica” nella città di pietra rap-

presenta il terreno sul quale si gioca il fragile equilibrio tra conflitto e socializzazione. Ciò non ri-

guarda solo le diversità etniche ma anche le componenti di un sistema sociale “viscoso”16 e com-

plesso; la multietnicità costituisce però un ambito nel quale si estremizzano conflittualità e ten-

sioni, ma si creano anche sinergie e reciproco arricchimento culturale.

L’oggetto della riflessione è la città europea, pur con escursioni in altre realtà geopolitiche

indispensabili alla comprensione dei fenomeni di globalizzazione in atto. Il taglio che si privilegia è

quello illustrato da Pierre Lavedan nella sua Histoire de l’Urbanisme che, anche se per alcuni aspetti

viene considerata datata, risulta illuminante per la comprensione dei caratteri costitutivi dell’iden-

tità urbana europea. Come per l’audace schematizzazione delle tipologie insediative delle città me-

dievali di Piccinato che ha sovvertito le precedenti teorie circa la spontaneità d’impianto.

La forte connotazione urbana, che ha caratterizzato l’organizzazione del territorio nel vec-

chio continente dagli albori della civiltà, rende ogni singola città un piccolo o grande capolavoro

di senso; è possibile, in ogni modo, individuare alcuni caratteri che accomunano le città europee

e che determinano universalmente la riconoscibilità della città storica del vecchio continente, in-

dipendentemente dall’epoca d’impianto e dalle contaminazioni stratificatesi nel tempo.

La secolare o millenaria stratificazione culturale che caratterizza ciascuna delle città europee

rappresenta un valore aggiunto nella definizione dei valori identitari dei quali esse sono portatrici.

Ci si trova di fronte a caratteri forti che determinano universalmente la riconoscibilità della città

storica del vecchio continente, indipendentemente dall’epoca d’impianto e dalle contaminazioni

dipanatesi nel tempo. Tali caratteri, potenziamente, costituiscono l’elemento di raccordo tra le ve-

stigia del passato e gli effetti di appiattimento culturale determinati dalla globalizzazione socioe-

conomica.

Alcuni documenti istituzionali e politiche di matrice comunitaria, anche se non specifica-

mente orientati al tema della multietnicità, contengono suggestioni proficue per la messa punto

di uno schema di proposte. Documenti quali la Carta Urbana Europea (1992), la Carta di Megaride

(1994), la Nuova Carta di Atene (2003) e la Carta per la Città Europea Interetnica e Cablata (2006),

che sono espressioni del dibattito culturale, scientifico ed istituzionale che anima il vecchio conti-

nente. Pur con orientamenti ed obiettivi diversi, tali documenti sono accomunati dalla volontà di

individuare gli strumenti tecnici e culturali per intervenire su una città europea sempre più glo-

balizzata.

Accanto a questi, si possono annoverare le politiche comunitarie che veicolano risorse da

un lato verso l’obiettivo della coesione sociale e dall’altro verso il territorio nelle sue diverse

espressioni. Accanto ai programmi istituzionali, è importante il ruolo del già citato Schema di

Sviluppo dello Spazio Europeo17 che, non essendo direttamente collegato allo stanziamento di ri-

sorse, ha la libertà di perseguire l’intento di bilanciare la valorizzazione dei caratteri comuni e il ri-

spetto delle identità locali.

Le politiche UE indicate quali potenzialmente incidenti sulla struttura fisica del territorio of-

frono una visione: lo sviluppo urbano policentrico, infrastrutturalmente supportato, che consenta

15 Da una intervista di Benedetto Vecchi a Manuel Castells; “Il Manifesto”, 9 gennaio 2003.16 Parafrasando una definizione, quanto mai attuale, di Sàndor Màrai nelle sue “Confessioni di un borghese”, la

fluidità del sistema sociale è in realtà viscosa e, in alcuni momenti storici, si trasforma in un pantano.17 Lo Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) è stato elaborato, a partire dal 1993, dal Comitato per lo

sviluppo spaziale (CSS), composto dai Ministri responsabili dell’assetto territoriale nei diversi paesi europei. Il documentodefinitivo è stato approvato a Potsdam nel maggio del 1999.

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di rinnovare la relazione città-campagna e di valorizzare il patrimonio naturale e culturale che

punteggia il territorio. In tale visione si gioca il rapporto non conflittuale tra la specificità delle

identità locali e gli obiettivi di sempre maggiore coesione. Questo intento appare particolarmente

importante in quanto mette in luce gli elementi che fanno della città europea il luogo elettivo di

nuove e proficue convivenze multietniche. Tali caratteri sono le pietre angolari sulle quali poggia

l’organizzazione urbana attuale e hanno condizionato e condizionano il modo nel quale si vive

l’incontro tra le diverse culture.

Questo approccio positivista non vuole essere, però, deterministico; sarebbe una insosteni-

bile semplificazione uniformare il pluralismo delle città europee ed associare, in un rapporto di

causa ed effetto, caratteristiche urbane e successo delle politiche per l’immigrazione. Si ritiene,

piuttosto, che l’interpretazione delle identità locali possa consentire di individuare le risorse en-

dogene sulle quali fondare un processo equilibrato di sviluppo compatibile con le dinamiche mi-

gratorie, come indicato dal primo principio “Città delle Identità”18 della Carta per la Città

Interetnica e Cablata promossa dalla Fondazione Aldo Della Rocca (Beguinot, 2006).

1.3.2 Dal concetto di integrazione a quello di interazione

Il primo nodo da sciogliere è il concetto stesso di integrazione; esso è ampiamente svilup-

pato in diversi contesti e affonda le proprie radici nella teoria novecentesca nordamericana di

Talcott Parsons, il quale – rivisitando in modo personale le teorie weberiane e durkheimiane –

propone una articolata lettura del sistema sociale19.Della sua lezione si vuole ricordare che, trasferendo agli studi sociali l’approccio sistemico20,

ha consentito di affinare strumenti d’indagine e di focalizzare l’attenzione sui ruoli rivestiti da cia-

scuna persona e sulle relazioni che esplicano. La scuola statunitense – ispirandosi a tali premesse

– ha messo a punto una definizione del concetto di integrazione che si estrinseca nell’adegua-

mento delle persone ai codici comportamentali dominanti nel costruendo sistema sociale nord-

americano.

L’approccio che discende dalle teorie dello studioso statunitense è definito da molti “etno-

centrico” per aver assunto una società, in particolare quella genericamente occidentale, quale mo-

dello cui tutte le altre società devono tendere e conformarsi. Infatti, il concetto di integrazione so-

ciale così definito presuppone l’esistenza di un sistema relativamente fisso, di valori, comporta-

menti, culture, principi, norme, al quale le persone devono adeguarsi, interiorizzandolo.

La metafora più accreditata a rappresentare il processo di integrazione è quella del meltingpot, il crogiuolo nel quale si mescolano ingredienti differenti fino a produrre un unicum che non

reca più alcuna traccia delle caratteristiche originarie dei suoi componenti. Tanto si è scritto su

tale metafora che rappresenta efficacemente lo sviluppo di una società omogenea, nella quale gli

ingredienti sono rappresentati da persone di differente cultura e religione. La cultura statunitense

individua le origini di tale metafora nella descrizione che Hector St. Jean de Crevecoeur fa del

contadino americano, emancipandosi dall’idea che gli Americani fossero coloni di differente pro-

venienza ed etnia21.

18 “La città interetnica e cablata rispetta le diversità. Tutti gli individui e i gruppi sociali hanno il diritto di conser-vare la propria identità e il senso di appartenenza al gruppo etnico e culturale di provenienza e di rappresentarli nellacittà che li accoglie”.

19 Si fa riferimento alle sue riflessioni contenute in quelle che sono definite le sue opere principali – La strutturadell’azione sociale (1937), Il sistema sociale (1951) e la Teoria sociologica e società moderna (1967) – che hanno esercitatouna profonda influenza concettuale e metodologica sulla scuola nordamericana e non solo.

20 Si ricorda brevemente che Parsons afferma che il funzionamento del sistema sociale avviene attraverso alcunefunzioni sociali codificate: Adattamento all’ambiente; il sottosistema che svolge questa funzione è il sottosistema econo-mico. Definizione dei propri obiettivi; il sottosistema che svolge questa funzione è il sottosistema politico. Conservazionedella propria organizzazione; i sottosistemi che svolgono questa funzione sono il sottosistema della famiglia e il sottosi-stema della scuola. Integrazione delle parti componenti; il sottosistema che svolge questa funzione è il sottosistema giuri-dico con il sottosistema religioso.

21 Hector St. Jean de Crevecoeur, Letters from an American Farmer, 1782 (citato in Cox John D. (2005), TravelingSouth: Travel Narratives and the Construction of American Identity. Athens, University of Georgia). In particolare si fa riferi-

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“…whence came all these people? They are a mixture of English, Scotch, Irish, French, Dutch,Germans, and Swedes… What, then, is the American, this new man? He is neither an Europeannor the descendant of an European; hence that strange mixture of blood, which you will find inno other country. I could point out to you a family whose grandfather was an Englishman,whose wife was Dutch, whose son married a French woman, and whose present four sons havenow four wives of different nations. He is an American, who, leaving behind him all his ancientprejudices and manners, receives new ones from the new mode of life he has embraced, the newgovernment he obeys, and the new rank he holds. He becomes an American by being receivedin the broad lap of our great Alma Mater. Here individuals of all nations are melted into a newrace of men, whose labors and posterity will one day cause great changes in the world… TheAmericans were once scattered all over Europe; here they are incorporated into one of the finestsystems of populations which has ever appeared”.

Interpretando appieno il carattere epico e trionfalistico della formazione dell’identità del

“Nuovo Mondo”, espressa in nuce nel testo settecentesco citato, il processo di assimilazione è stato

sistematicamente perseguito mediante un insieme di norme ed attività, e la stessa organizzazione

urbana ha concorso alla formazione di una società di “americani con il trattino”.

I quartieri etnicamente connotati fornivano una rappresentazione dei caratteri identitari,

sovente di natura oleografica, dei paesi d’origine delle diverse comunità22. Gli italo-americani, gli

ispano-americani, i sino-americani e così via, erano accomunati, però, dal suffisso “-americans” e

dall’obiettivo comune di realizzare “the american dream”. Il primo passo verso l’integrazione erano

la lingua e le abitudini imparate nei playgrounds, affiancati da centri sociali di quartiere (con corsi

di lingua e di cucina, con tornei di giochi da tavolo, e così via), luoghi per lo sport ed il tempo li-

bero che favorivano l’incontro e rappresentavano lo stile di vita cui uniformarsi.

Negli Stati Uniti il termine melting pot è ancora comunemente usato, anche se le moderne

scuole di sociologia tendono a definirlo obsoleto; si ritiene che l’idea di assimilazione sia stata so-

stituita da quella di pluralismo, alla quale si addicono di più metafore quali la salad bowl o la sin-

fonia o il mosaico culturale.

A partire dagli anni novanta è subentrato un approccio multiculturale, all’insegna del quale

un atteggiamento di political correctness ha condotto negli U.S.A. all’affermazione della preroga-

tiva, da parte di ciascun gruppo etnico, di tutelare la propria identità dall’assimilazione nella cul-

tura dominante di matrice anglosassone. Questo stesso approccio è alla base dell’organizzazione

di stati bi-multilingue o federali23 che tutelano, così, le diverse matrici che li compongono, e di

stati che hanno modellato il proprio atteggiamento istituzionale su una posizione intermedia: la

tolleranza e il rispetto delle minoranze24. Il concetto di integrazione viene progressivamente so-

stituito dal concetto di controllo delle diversità, che è un concetto sistemico.

Nell’ultima Risoluzione del Parlamento europeo sulla “politica comune dell’Unione europea

in materia d’immigrazione”25 si ricorda all’articolo 9 che “una politica europea coerente in materia

d’immigrazione deve essere accompagnata da una politica d’integrazione che preveda, fra l’altro,

un’integrazione regolare nel mercato del lavoro, il diritto all’istruzione e alla formazione, l’accesso ai

servizi sociali e sanitari nonché la partecipazione degli immigrati alla vita sociale, culturale e poli-

tica”. Nello stesso documento, però, si ammette che poco è stato fatto fino ad ora e, quel poco che

è stato fatto scaturisce principalmente dall’impegno “dal basso” di ONG e amministrazioni locali26.

mento alla Lettera III:“What is an American?” attempts to answer the query of its title by taking a sweeping survey of theimpact of America on the European immigrant, a survey which sketches the diversity of American life but which con-centrates on the rural culture of the middle colonies.

22 Si pensi alle molte ChinaTown o Little Italy presenti nelle città americane più cosmopolite.23 Le ricerche e le sperimentazioni in tale direzione sono particolarmente fertili in paesi di consolidata tradizione

multietnica quali l’Australia e il Canada ed in paesi federali quali Belgio e Svizzera.24 Esempio emblematico è rappresentato dalle politiche promosse in Gran Bretagna; per un approfondimento

cfr. le attività dei centri di ricerca censiti nel capitolo 2 da Massimo Clemente.25 Edizione provvisoria del Testo approvato dal Parlamento europeo, 28 settembre 2006 - Strasburgo.26 Si fa riferimento, tra l’altro, a iniziative quali le consulte di immigrati che partecipano ai Consigli comunali di al-

cuni Comuni italiani quali, p.e., Roma e Bologna o i gruppi d’ascolto presenti in quartieri sottoposti a programmi di ri-qualificazione urbana e così via.

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Lo scenario ideale di tale meccanismo integratore è la città che da sempre ha costituito la

propria essenza ed identità mediante un patto tra diversi; essa, con i suoi spazi e luoghi dalla forte

connotazione, rappresenta l’emblema dell’identità accogliente e dominante che assimila le diver-

sità metabolizzandole. Speculare al concetto di integrazione è quello di marginalità; la città, in-

fatti, esercita la propria attitudine ad emarginare solo su coloro che ne fanno parte, che vi sono

stati integrati, pur con un ruolo marginale (Touraine, 2002).

L’obiettivo urbanistico di perseguire una “democrazia topologica”, equità d’accesso a op-

portunità e servizi, indipendentemente dal luogo di residenza e, oggi, dalla propria origine e cul-

tura, appare fortemente condizionato dal potere di pressione dei gruppi sociali. (Amendola, 2001)

Esperienze come il Piano regolatore sociale di scala comunale27 attribuiscono agli enti locali il

ruolo di registi del sistema di solidarietà pubbliche e private, traducendo in impegno sociale lo

“sviluppo umano”28. Tali strumenti si avvalgono, quali documenti preparatori, di una “mappa dei

bisogni” che pone attenzione alle caratteristiche del bisogno determinate da una società sempre

più complessa29.I fenomeni di complessificazione, e in alcuni casi di disumanizzazione, della città contem-

poranea globalizzata hanno reso sempre più difficile affrontare diversità e disuguaglianze che

nella città storica rientravano in uno schema predefinito nel quale anche gli esclusi erano inclusi

(si pensi, fra tutti, ai metoikos nella Atene del V secolo, tra i quali spicca Aristotele). Nel contesto at-

tuale si aprono molteplici questioni: da un lato si rilevano atteggiamenti che esprimono la paura

e il rifiuto nei confronti dell’immigrato, che animano politiche protezionistiche di chiusura dei

confini nazionali e di indifferenza per le condizioni di vita delle comunità alloctone, dall’altro si ri-

scontrano politiche per l’immigrazione che rivelano una serie di vizi e contraddizioni di fondo.

In particolare, alcuni studi etnografici sul tema individuano quattro visioni dell’immigra-

zione che ostacolano la naturale evoluzione verso una nuova e interetnica definizione del “noi”. Le

prime due, che ricalcano la dualità tra melting pot e salad bowl, sono la tendenza assimilazionista

(lo straniero deve rinunciare alla propria cultura e aderire a quella ospitante) e il differenzialismo

(la identità culturale dell’immigrato deve essere distinta rigidamente dalla identità locale)

(Ambrosini, 2005). Questi approcci hanno animato le politiche istituzionali per l’integrazione nei

paesi europei ed extraeuropei che devono gestire il tema multietnico. Altrettanto pericolose sono

due tendenze apparentemente meno drastiche ma, nel lungo periodo, più pervasive perché

danno la sensazione di accogliere e rispettare l’immigrato che però resta sempre altro da “noi”: il

miserabilismo (la compassione che fa soccorrere materialmente l’immigrato, mantenendo le di-

stanze) e l’estetismo (la diversità esotica dell’immigrato ci arricchisce e stimola culturalmente in

una sorta di oleografia del buon selvaggio) (Ambrosini, 2005). I “campioni” di tali atteggiamenti

sono da un lato le associazioni caritatevoli di matrice religiosa e i militanti del volontariato e dal-

l’altro l’intellighentia progressista compiaciuta della propria apertura culturale.

In questa sede si fa riferimento ad un taglio specifico del concetto di integrazione che esula

parzialmente dalle tradizionali definizioni di taglio sociologico ed etnoantropologico. Il concetto

è chiaramente sintetizzato nel secondo principio della già citata Carta per la Città Interetnica e

Cablata: la Città dell’Integrazione. Infatti,“la città interetnica cablata persegue l’integrazione. Le di-

versità, per convivere, devono avere un comune sistema di valori che realizza l’integrazione, attra-

verso la mediazione culturale nel rispetto dell’alterità” (Beguinot, 2006).

Il percorso per attuare questi obiettivi parte dalla realizzazione di spazi e funzioni urbane

che riportino al centro dell’attenzione l’uomo, essendo configurati in modo tale da favorire “la co-

noscenza reciproca, le collaborazioni lavorative, l’amalgama tra genti e culture diverse, nel lavoro

e nel tempo libero” (Beguinot, 2006).

27 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” 8 novembre 2000, n. 328,pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186.

28 Al premio Nobel per l’economia del 1998, Amartya Kumar Sen, si deve l’acquisizione del concetto fondamen-tale che lo sviluppo economico non coincide più con un aumento del reddito ma con un aumento della qualità dellavita; approfondimenti successivi sono stati orientati al rapporto tra identità e violenza.

29 Lorenzo Caselli sul Piano regolatore sociale di Genova (2005).

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1.3.3 I luoghi fisici e culturali per l’interazione: i nuovi valori semantici

La città di destinazione, temporanea o permanente, di flussi migratori si modifica, sponta-

neamente o in base a progetti, per adeguarsi al mutamento della sua compagine demografica. In

particolare, si configurano alcuni mutamenti che tentano e/o riescono a coniugare l’identità dei

luoghi e degli spazi dell’accoglienza con i caratteri salienti dei luoghi di provenienza dei migranti.

Definizioni correnti della città attuale sono la città bricolage, il patchwork urbano, la città

frammentata, la città diffusa, …; questi contesti fungono da moltiplicatori delle diversità oppure

tentano di annullarle, attraverso le forme architettoniche, la scuola, le abitudini alimentari, i tempi

di lavoro, il moltiplicarsi di luoghi dei diversi culti. Se ogni gruppo (etnico o sociale) porta con sé i

propri modelli e comportamenti, si può generare una osmosi a diversi livelli; la lingua è nel con-

tempo il primo ostacolo all’interazione ma anche il modello più permeabile alle contaminazioni

(Sandercock, 1998a).

La città di pietra, ed in particolare l’oikos, oppongono una maggiore inerzia al cambia-

mento, non solo per la loro consistenza materica ma per il carico simbolico che manifestano e che

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O 1 Fig. 4 - Esempio di stratificazioni degli insediamenti stranieri nella città bassa di Napoli. Tra il XIII e XV secolo.

Elaborazione della Tavola II.a “Ipotesi di distribuzione dei luoghi dell’insediamento delle comunità/colonie mercantilistranieri e forestiere (…)”, del volume di Teresa Colletta, professore di Storia dell’Urbanistica dell’Università Federico II diNapoli - Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali. Cfr. Coletta T. (2006), Napoli città por-tuale e mercantile, Edizioni Kappa, Napoli, p. 208 (Elaborazione di G. Esposito).

rallenta l’ibridazione culturale. Questo processo osmotico lungo e difficile determina una sorta di

darwiniana lotta per la sopravvivenza dei caratteri urbani che vede vincitrici le identità forti30.

Un sofferto, lungo ed eroico processo di ibridazione culturale tra oriente ed occidente ha

condotto alla creazione di modelli urbani unici e fortemente connotati (Zanfrini, 2004); se ne ri-

trovano le tracce nelle città europee che la Storia ha collocato in posizioni privilegiate. Accanto a

città nelle quali le diversità si sono affiancate senza mescolarsi, come nella città bassa della Napoli

antica31 ce ne sono altre che hanno tesaurizzato e tradotto in architetture la propria pluralità,

come la Venezia dei Dogi.

Il primo caso costituisce un esempio dei tanti nei quali si è assistito all’insediamento di nu-

clei di differenti provenienze affiancati in prossimità di aree portuali.

La città lagunare è riuscita ad attrarre attraverso i secoli risorse umane, culturali, economi-

che la cui combinazione ha dato vita ad una composizione architettonica polifonica, nella quale

ogni singola nota concorre a determinare una armonia unica e riconoscibile. Si tratta di un feno-

meno nato dall’interazione e dalla contaminazione tra culture che ha generato una nuova iden-

tità che ha, a sua volta, influenzato le altre sponde con le quali era in contatto.

Nelle fasi evolutive della città europea storica, infatti, si riscontra sovente una sorta di iso-

morfismo della forma urbana con quella sociale; la connotazione spaziale della città condiziona i

caratteri del sistema sociale e viceversa (Amendola, 2001). Questo fenomeno è causa ed effetto

della forte carica simbolica che la città riveste e che ne determina la sopravvivenza e la prosperità.

Una lettura diacronica delle trasformazioni urbane occorse nella storia rivela una forte

osmosi tra i caratteri del sistema fisico della città e i momenti più significativi del mutamento

sociale.

Riannodando i fili della riflessione con alcuni approcci che costituiscono snodi interpreta-

tivi significativi, si ricordano brevemente alcune teorie che evidenziano le peculiarità del rapporto

tra sistema sociale e forma urbis. Lewis Mumford, per esempio, nell’ampio excursus effettuato ha

associato le trasformazioni urbane alla struttura sociale nelle principali fasi evolutive della città

nella storia. La sua periodizzazione, in alcuni casi provocatoriamente, pone in risalto il valore sim-

bolico che i diversi poteri che si sono avvicendati hanno attribuito alla città, mediante la forma ur-

30 La città occidentale è una città che integra le diversità. La città asiatica, secondo Max Weber, pone le diversitàuna accanto all’altra, cioè la società di casta rimane tale anche nella città, invece nella città occidentale tende a scomparire.

31 Si fa riferimento ai risultati della ricerca coordinata da Teresa Colletta e pubblicata in Colletta T. (2006), Napolicittà portuale e mercantile, Edizioni Kappa, Napoli.

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Fig. 5 - Vista rielaborata di un tratto del Canal Grande a Venezia. Il waterfront del Canal Grande rappresentato daDionisio Moretti nel 1828 è stato elaborato per sottolineare alcuni caratteri peculiari dell’architettura veneziana scatu-riti da contaminazioni culturali. Si pongono in evidenza anche i Fondaci (dei Turchi e dei Tedeschi) che uniscono unafunzione ed una forma alloctone, ma concorrenti a definire l’identità locale (Elaborazione di G. Esposito).

bana ed architettonica. In alcune fasi, al potere forte unilaterale si è aggiunto (o sostituito) il po-

tere più limitato e diffuso delle diverse categorie sociali dominanti.Tali espressioni hanno reso più

o meno complessa l’organizzazione e la forma della città e del territorio sui quali si sono riverbe-

rate. Già Pierre Lavedan – nell’elaborazione di quella poderosa riflessione che costituisce un con-

tributo insostituibile nella comprensione delle origini della città – ravvisava un rapporto lineare

tra scelte insediative, mutamento delle attività produttive, accessibilità/difendibilità dei luoghi e,

in misura non minore, valore simbolico/sacralità del luogo della fondazione. Con una serie di au-

daci provocazioni, Jean Gottmann ricorda che il passaggio dalla città storica alla città moderna,

coincidente con la cosiddetta rivoluzione industriale ed il conseguente massiccio inurbamento,

ha sovvertito i processi di formazione del sistema sociale e, quindi, del sistema urbano. A ciò si as-

socia un aumento notevole della superficie urbana occupata da luoghi sovraffollati, degradati o di

scarsa qualità edilizia, si pensi alle condizioni di vita del proletariato nell’Inghilterra di Dickens o

nella Francia di Zolà. Paesi nei quali, ci ricorda Leonardo Benevolo, si è diffusa l’esigenza di imma-

ginare e promuovere nuove utopie urbane a sfondo sociale: nel primo, il sogno egualitario di

Robert Owen e la visione urbana di Ebenezer Howard, nel secondo, i falan-familsteri di Charles

Fourier e Jean Baptiste Godin e la citè industrielle di Tony Garnier.

Ancora, nella città contemporanea la forma urbana può essere intesa quale espressione di

un sistema sociale e di poteri che presenta dinamiche convulse; si è innescato un processo di

complessificazione fisico-funzionale della città, generatore di diseconomie, disuguaglianze, disagi

che le dinamiche sociali accelerate non consentono di metabolizzare come nella città storica delle

diverse civiltà.

Anche circoscrivendo l’attenzione alla città occidentale, che ha visto la crescita ed il declino

della città industriale, e che sta vivendo la disgregazione sociale e lo sprawl urbano della postmo-

dernità, è possibile raccogliere molteplici sfumature del rapporto tra modus vivendi e conforma-

zione fisico-funzionale della città. La città multietnica è alla ricerca di senso e di una propria etica

ed estetica che sappiano interpretare una cultura plurale e dialogante; ciò in accordo con il prin-

cipio “La città interetnica e cablata favorisce l’interazione. La tutela delle identità e l’integrazione

delle diversità si realizza attraverso l’interazione e cioè attraverso il rapporto tra tutti i cittadini, in

modo diretto o mediato dalle nuove tecnologie di comunicazione” (Beguinot, 2006).

L’osmosi che nella storia è avvenuta spontaneamente, diluita in tempi lunghi di matura-

zione, richiede oggi uno sforzo propositivo ed interpretativo; è, infatti, necessario identificare i

contenuti e la sintassi di un dialogo interetnico che possa dar vita ad una città portatrice di valori

semantici interculturali. Solo sviluppando una tale sensibilità è possibile tracciare gli indirizzi pro-

gettuali che favoriscano l’incontro mediante spazi riconoscibili ed accoglienti per tutti.

La multietnicità urbana appare dilatata nella percezione degli abitanti ed incomincia anche

ad avere un qualche impatto sulla città fisica. La presenza di immigrati ha cambiato il volto di

estese porzioni di città e, anche se in modo diverso nelle diverse realtà, ha assunto un ruolo rile-

vante nel funzionamento del sistema urbano, del quale non è più una componente marginale.Tali

espressioni del fenomeno migratorio sono di difficile generalizzazione, in quanto è complesso e

dinamico il sistema delle relazioni tra flussi, luoghi, spazi e funzioni urbane.

Sono molteplici i casi di politiche che affrontano tale tema esclusivamente in termini quan-

titativi, mediante l’incremento e la concentrazione dell’offerta alloggiativa, generando nuove

forme di segregazione. I fenomeni in atto hanno rilanciato la mobilità ed accelerato la deurbaniz-

zazione e la deindustrializzazione, cui si associano politiche di riuso delle aree dismesse che

stanno modificando la condizione produttiva e quella abitativa in tutte le città.

Già negli anni venti la Scuola di Chicago32 aveva evidenziato, con il modello darwinista-bio-

logico, le dinamiche di competizione tra parti di città che determinano il ricambio della popola-

32 Alla scuola di Chicago, dalla città nella quale operarono i suoi fondatori negli anni venti, si deve la nascita del-l’ecologia sociale urbana; tra i suoi maggiori esponenti si annoverano Robert Park, Ernest W. Burgess e RoderickD. McKenzie. La scuola, influenzata dagli studi di Georg Simmel, affrontò per la prima volta uno studio sistematico dellacittà, anche se di taglio empirico, e dimostrò che i rapporti sociali sono condizionati dall’ambiente di appartenenza. Lagrande importanza che ha rivestito è avvalorata dai molteplici tentativi di superamento che negli anni successivi i diversiesponenti della disciplina sociologica hanno intrapreso.

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zione, la valorizzazione fisica e la rivalutazione economica degli immobili (Park R. E. et al., 1925).

Durante il processo di gentrification saltano gli equilibri consolidati e si generano tensioni e resi-

stenze al mutamento; ma inesorabilmente le fantomatiche leggi del mercato estremizzano le tra-

sformazioni, che assumono una connotazione forte nel cambiamento dei servizi erogati. Come

aveva preconizzato Gottmann si sta determinando una sempre maggiore specializzazione e dif-

fusione dei luoghi dedicati al tempo libero, le nuove cattedrali del culto delle leisure, che sostitui-

scono i luoghi della produzione dei beni materiali (Gottmann, 1960).

Mentre le grandi trasformazioni determinate dall’inurbamento prodotto dalla prima rivolu-

zione industriale si sono sviluppate, come in una esplosione, per successive addizioni alla forma

urbana preesistente, lambendo solo la città storica, sede del potere e del benessere economico, i

grandi mutamenti della società globalizzata si manifestano nel cuore della città postindustriale

che sembra implodere su se stessa.

La città figlia delle rivoluzioni indotte dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e

della comunicazione vive la contraddizione di opposte tensioni: accanto al fenomeno di uno

sprawl urbano costituito da una marmellata edilizia sfrangiata si registra un recupero a nuova vita

di vaste porzioni del centro urbano (Tosolini, 2006). A ciò si aggiunge la improvvisa disponibilità

di aree dismesse, anche in posizioni strategiche, che costituiscono delle ferite nel tessuto urbano

e, nel contempo, delle potenziali risorse per lo sviluppo.

In questo contesto si inserisce il fenomeno dell’immigrazione che, come vedremo, innesca

un duplice fenomeno: da un lato, innestandosi in contesti sociali il cui equilibrio è precario, acui-

sce le tensioni e incide sui valori fondiari, producendo la mobilità degli abitanti preesistenti.

Dall’altro, si assiste a casi nei quali la presenza di comunità immigrate ha innescato fenomeni di

autoriqualificazione in contesti di elevato degrado fisico e sociale. Anche nella metropoli, nella

quale la mobilità degli individui, la permeabilità delle informazioni, le dinamiche del lavoro e gli

altri parametri della complessità urbana mutano e rendono sempre più indirette e mediate le re-

lazioni, sopravvivono contesti di vicinato nei quali si sviluppano relazioni primarie. In tali ambiti si

sono verificati processi di riqualificazione di slums basati sulla autorganizzazione (Jacobs, 1961).

Il riferimento culturale di tale processo è la “Città della Mediazione”, il principio della già ci-

tata Carta della città interetnica che recita:“la Città interetnica e cablata suggerisce la mediazione.

Per realizzare l’integrazione, attraverso l’interazione e la partecipazione, si rende necessaria la me-

diazione delle specificità per valorizzare le diverse identità etniche e culturali”.

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1.4 RIFERIMENTI

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Capitolo 2

La ricerca sulla città multietnica: lo stato dell’arte

“A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitantitendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neria seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresen-tanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può passare in mezzo, gli abitantivanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili”.

Italo Calvino, Le città invisibili

L’avanzamento delle conoscenze, per l’architetto urbanista, è finalizzato al miglioramento dellecompetenze, per fare di più e meglio nel (ri)disegno degli spazi e delle funzioni multiculturali dellacittà contemporanea. La conoscenza dello stato dell’arte della ricerca sulla città multietnica, nellapanoramica svolta da Massimo Clemente, stabilisce il punto di partenza certo e consapevole del per-corso di studio. Impostato il criterio metodologico ed individuate le parole chiave che fungono dafiltro e criterio aggregativo, si è scelta la rete quale campo d’indagine. Il web è la fonte privilegiata,perché simultanea e dinamica, per individuare, classificare e gerarchizzare i centri di ricerca,formazione e sperimentazione. Il riscontro delle fonti consente di inquadrare i progetti, le attività, iprodotti e di metterli in relazione logica, finalizzata e costruttiva, deducendone gli elementi utili perla messa a punto di nuove strategie e metodologie d'intervento.

2.1 L’INDAGINE SUI CENTRI DI RICERCA

2.1.1 Le finalità e i contenuti del censimento

La città è l’habitat elettivo dell’uomo contemporaneo, nelle aree urbane vive la maggiorparte della popolazione mondiale e l’uomo può, oggi, definirsi un “essere urbano”.

Il tema della convivenza urbana non è nuovo perché la città e, da sempre, luogo di coesi-stenza delle diversità sociali, economiche e culturali. La globalizzazione ha intensificato i feno-meni migratori e, in ambito urbano, ha amplificato i contrasti tra le diversità portando all’atten-zione della comunità scientifica i fenomeni conseguenti, dalla discriminazione ai conflitti etnici.Queste problematiche sono state studiate soprattutto dalle scienze sociali ed economiche, solonell’ultimo decennio anche l’urbanistica ha iniziato ad approfondire le trasformazioni urbane eterritoriali indotte dalle migrazioni.

La conoscenza dello stato dell’arte della ricerca sulla città multietnica è il punto di partenzaobbligato per individuare percorsi di studio nuovi, che contribuiscano teoricamente ed operati-vamente alla costruzione di città per la convivenza civile e colta delle diversità.

Il dinamismo del fenomeno ha suggerito di verificare lo stato dell’arte tramite internet,consultando i siti dei centri di ricerca e documentazione che, nel mondo, affrontano i temi dellemigrazioni, della multiculturalità, delle discriminazioni razziali, della città multietnica.

Visitando oltre seicento siti, se ne sono selezionati duecentouno e sono state formate seiclassi: centri che hanno ricerche specifiche sulla città multietnica (17); centri che affrontano iltema ma non hanno progetti dedicati (16); centri che l’affrontano in modo trasversale (33); altricentri di ricerca su migrazioni e multietnia (61); centri di statistica e documentazione (50); altri sitisul fenomeno in Italia (24).

L’approfondimento dello scenario italiano ha rivelato una vivacità culturale e scientifica dicarattere generale sulla multietnia e la presenza di centri di ricerca qualificati ma con un approc-cio prevalentemente sociologico. Nello specifico disciplinare dell’urbanistica, di particolare rilievosono le iniziative di ricerca e formazione della Fondazione Aldo Della Rocca.

Passando ad una visione mondiale, la ricerca è più presente nei paesi con una storia multi-razziale e/o colonialistica ma anche nei paesi con una maggiore sensibilità al rispetto delle diver-sità: Regno Unito, USA, Canada, Svezia, Australia, Finlandia, Olanda, Francia.

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I gruppi di ricerca sono quasi sempre multidisciplinari, ma l’approccio urbanistico è limitato

e si riscontra soprattutto in Canada, Francia, USA e Olanda.

Le prospettive di ricerca per l’urbanistica sono ampie e possono contribuire alla messa a

punto di strategie e strumenti d’intervento per migliorare le città contemporanee e renderle il

luogo della convivenza pacifica dei diversi.

2.1.2 I criteri di classificazione e gerarchizzazione

La composizione e ri-composizione multietnica delle grandi città del mondo è un feno-meno che affonda le radici nel passato perché la città, per sua natura, amalgama le diversità ed èluogo di multiculturalità. Nell’età contemporanea questo carattere urbano si è rafforzato, dopo laseconda guerra mondiale, ed ha raggiunto dimensioni notevolissime, negli ultimi venti anni.

Anche la convivenza multietnica non è un problema nuovo ma la società occidentale ne hapreso coscienza abbastanza recentemente, quando i conflitti etnici si sono spostati dai paesi po-veri verso le metropoli dei paesi industrializzati. La guerriglia urbana del 2005 nelle banlieues pa-rigine ha avuto di gran lunga maggiore visibilità mediatica rispetto alla lotte etniche in Africa cen-trale che, pure, hanno causato decine di migliaia di morti.

Alcune nazioni moderne, come gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia, sono natemultietniche, accogliendo popoli che venivano da paesi del vecchio continente e che compete-vano per affermare ciascuno la propria cultura, distruggendo o quasi le culture indigene preesi-stenti. Nel XX secolo, in Europa, le nazioni colonialiste ricevettero ondate crescenti d’immigrati cheraggiungevano il Regno Unito, la Francia, l’Olanda ed il Belgio, dalle rispettive colonie.

All’attualità, la globalizzazione economica, il crescente divario tra i ricchi ed i poveri delmondo, la contrazione spazio-temporale delle distanze tra i continenti e le nazioni, sono tutti fe-nomeni che favoriscono le migrazioni di popoli alla ricerca di migliori condizioni di vita. L’estremapovertà spinge uomini e donne alla ricerca di una dignità d’esistenza, spezzando famiglie e tron-cando affetti. Negli scenari più drammatici, conflitti e carestie costringono milioni di esseri umania spostarsi per sfuggire alla guerra ed alla fame e poter, così, sopravvivere.

La mobilità umana produce nuovi compositi gruppi di uomini e donne molto diversi traloro che abitano città sempre più divise, escludenti a livello sociale e segreganti a livello spaziale.

L’interesse dei ricercatori, come spesso accade o dovrebbe accadere, ha preceduto l’atten-zione del grande pubblico, degli amministratori locali e dei governanti e si è manifestato già da-gli anni Cinquanta dello scorso secolo. Il fenomeno è stato indagato ampiamente sul piano socio-logico ed antropologico, sociale ed economico, producendo un ampia letteratura scientifica gra-zie al lavoro di numerosi studiosi e gruppi di ricerca, nei diversi paesi del mondo. Meno attenta èstata la ricerca urbanistica ed architettonica che, solo da alcuni anni, ha preso coscienza del pro-blema dallo specifico punto di vista disciplinare, per analizzare il fenomeno sotto una diversa lucee studiare soluzioni spaziali e funzionali per città sempre più multietniche.

La conoscenza di quanto si è fatto in ambito accademico e scientifico, come sempre, è ilpunto di partenza anche di questo percorso di conoscenza sugli spazi e sulle funzioni dell’aggre-gazione e dell’integrazione per la costruzione, nella città multietnica, di convivenze civili e colte.

L’indagine ha avuto, quale obiettivo, l’individuazione e la schedatura dei principali centripubblici e privati che, nel mondo, svolgono attività di ricerca e documentazione sulla città multiet-nica. In particolare, si volevano conoscere quelle organizzazioni che studiano i fenomeni migratori,la multiculturalità e la multietnicità con specifico riferimento agli impatti sulla città e sul territorio.

La scelta di delineare lo stato dell’arte attraverso l’individuazione dei centri di ricerca e la

disamina delle loro attività scientifiche, formative e di divulgazione è stata suggerita dal dina-

mismo del fenomeno migratorio.

La globalizzazione e l’interdipendenza mondiale dei fenomeni favoriscono ed accelerano glispostamenti di uomini e donne, di gruppi etno-culturali, dei popoli. Le città vedono trasformarsi,

giorno dopo giorno, le comunità che le abitano e che diventano sempre più articolate e complesse.

Non può esistere una letteratura scientifica consolidata che descriva queste trasformazioni freneti-che ma è possibile conoscere, quasi in tempo reale, tendenze, ricerche, convegni ed iniziative sul

nascere, all’origine, nelle istituzioni che generano la conoscenza sulla città multietnica.

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Tramite internet, sono state individuate le web pages dei centri di ricerca, utilizzando i prin-

cipali i motori di ricerca internazionali con una serie di parole chiave in italiano, inglese e francese

relative al tema oggetto d’interesse: multietnia, multiculturalismo, migrazioni, ecc. Ciascuna pa-

gina individuata, a sua volta, ha reso disponibili ulteriori links consentendo di aprire un’ampissima

panoramica.

Sono state aperte e consultate oltre seicento home page attraverso le quali si sono selezio-

nati duecentouno centri di ricerca, documentazione, formazione ed informazione, distribuiti nei

cinque continenti.

La classificazione è stata articolata in sei gruppi, in funzione degli obiettivi specifici della

nostra ricerca ma anche pensando ad una base di conoscenza da rendere disponibile alla comu-

nità scientifica ed agli stakeholders. Si sottolinea che le classi sono determinate dalla pertinenza al

tema della città multietnica dal punto di vista urbanistico assolutamente non dalla valutazione

delle attività scientifiche.

La prima classe comprende quei centri di ricerca che hanno progetti dedicati al tema della

città multietnica ed un’impostazione anche multidisciplinare ma con una decisa connotazione ur-

banistica. Nella seconda classe si sono selezionati quei centri di ricerca che affrontano il tema

della città multietnica anche se non hanno progetti mirati e di urbanistica.

La terza classe, raccoglie i centri di ricerca che affrontano le problematiche della città mul-

tietnica in modo trasversale, nell’ambito di studi e progetti a carattere multidisciplinare o con pre-

valenza delle scienze sociali. Nella quarta classe si collocano i centri di ricerca che, nel mondo, svi-

luppano studi e progetti sulle migrazioni e la multietnia, utili per delineare il quadro sociale, eco-

nomico e culturale in cui prende forma la città multietnica.

La quinta classe comprende i principali istituti di statistica e centri di documentazione che,

a livello nazionale ed internazionale, rendono disponibili dati sulle migrazioni e sugli impatti che

ne risultano. Infine, una particolare attenzione è stata dedicata all’Italia individuando, nella sesta

classe, i principali siti non censiti nei precedenti gruppi e dedicati al fenomeno migratorio nel no-

stro paese, alle dimensioni demografica, economica, culturale, religiosa, politica, ecc.

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Fig. 1 - La metodologia di selezione, classificazione e schedatura dei centri di ricerca e documentazione sulla città mul-tietnica nel mondo.

La suddivisione in classi dei centri di ricerca

Classe 1 - Centri di ricerca che hanno progetti dedicati al tema della città multietnica

Classe 2 - Centri di ricerca che trattano di città multietnica ma non hanno progetti dedicati al tema

Classe 3 - Centri di ricerca che affrontano il tema città multietnica in modo trasversale

Classe 4 - Altri centri di ricerca e documentazione su migrazioni e multietnia

Classe 5 - Istituti e centri di documentazione e di statistica internazionali e nazionali

Classe 6 - Altri siti dedicati alle problematiche migratorie e multiculturali in Italia

Il passaggio selettivo di censimento e classificazione delle istituzioni che svolgono attività

di ricerca scientifica sulla città multietnica con l’approccio urbanistico, diretto o indiretto, ha de-

terminato il gruppo di sessantasei centri di classe 1,2,3, di seguito riportati in ordine alfabetico.

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I sessantasei centri di ricerca e formazione sulla città multietnica individuati,classificati e schedati01) Academy for Migration Studies in Denmark - AMID, Aalborg University, Aalborg, Denmark02) Agence pour le Développement des Relations Interculturelles - ADRI, Paris, France03) Atlantic Metropolis Centre - AMC, Halifax, Canada04) Center for Ethnic and Migration Studies - CEDEM, Institute for Human and Social Sciences,

University of Liège, Liège, Belgium05) Center for Immigration Research - CIR, University of Houston, Houston, Texas06) Center for Law on Immigration and Asylum - CLIA, University of Konstanz, Konstanz, Germany07) Center for Migration Law - CML, University of Nijmegen, Nijmegen, The Netherland08) Center for Migration Studies - CMS, New York, USA09) Center for Refugees Studies - CRS, York University, Toronto, Canada10) Center for Research in International Migration and Ethnicity - CEIFO, Stockholm University,

Stockholm, Sweden11) Center on Migration, Policy and Society - COMPAS, University of Oxford, England UK12) Centre d’Etudes Ethniques des Universités Montréalaises - CEETUM, Montreal, Canada13) Centre for Immigration & Multicultural Studies - CIMS, Australian National University, Canberra,

Australia14) Centre for Intercultural Studies - CIS, University of Vienna and Klagenfurt University, Wien, Austria15) Centre for Migration Research - CSERPE, Basel, Switzerland16) Centre for Migration Studies - CIEMI, Paris, France.17) Centre for Multiethnic Research - CMR, Uppsala University, Uppsala, Sverige18) Centre for Research in Ethnic Relations - CRER, University of Warwick, Coventry, England UK19) Centre for Research on Ethnic Relations and Nationalism - CEREN, University of Helsinki, Helsinky,

Finland20) Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione - CRSI, Prato, Italia21) Centro Studi Emigrazione Roma - CSER, Roma, Italia22) Centro Studi Immigrazione - CESTIM, Verona, Italia23) Centro Studi Investimenti Sociali - CENSIS, Roma, Italia24) Commission for Racial Equality - CRE, London, England UK25) Dipartimento di Studi Geoeconomici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale - DSGSSAR, Università

La Sapienza, Roma, Italia26) Dossier Statistico Immigrazione Caritas Migrantes - IDOS, Caritas Migrantes, Roma, Italia27) Electronic Immigration Network - EIN, Manchester, England UK28) European Centre for Minority Issues - ECMI, Flensburg, Germany29) European Centre for Social Welfare Policy and Research - ECSWPR, Wien, Austria30) European Forum for Migration Studies - EFMS, Otto Friedrich University, Bamberg, Germany31) European Migration Centre - EMC, Berlin, Germany32) European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia - EUMC, Wien, Austria33) European Research Centre on Migration & Ethnic Relations - ERCOMER, Utrecht University, Utrecht,

The Netherlands34) Federation of Ethnic Communities’ Councils of Australia - FECCA, Canberra, Australia35) Fondazione Aldo Della Rocca - FADR, Roma, Italia36) Fondazione Giovanni Michelucci - FGM, Firenze, Italia37) Fondazione per le Iniziative e lo Studio sulla Multietnicità - ISMU, Milano, Italia38) Forum Internationale ed Europeo di Richerche sull’Immigrazione - FIERI, Torino, Italia39) Immigrant-Institutet - IMMI, Borås, Sweden40) Immigration and Metropolis - IM, Inter-University Research Centre of Montreal on Immigration,

Integration and Urban Dynamics, Montreal, Canada41) Initiative on Conflict Resolution and Ethnicity - INCORE, United Nations University, University of

Ulster, Londonderry, Northern Ireland UK42) Institut National d’Etudes Démographiques - INED, Paris, France43) Institute for Migration and Ethnic Studies - IMES, Universiteit van Amsterdam, Amsterdam, The

Netherlands44) Institute for Multicultural Development - FORUM, Utrecht, The Netherlands45) Institute for Research on Race and Public Policy - IRRPP, University of Illinois, Chicago, USA

La caratterizzazione dei sessantasei centri di ricerca di classe 1, 2, 3 è stata analizzata e rap-

presentata con l’assegnazione di cinque parole chiave scelte fra quaranta. Di ciascun centro si è

memorizzato l’indirizzo web per i successivi accessi e l’e-mail per gli eventuali contatti privile-

giando, nell’ordine, la versione italiana e quella inglese, in assenza si è scelta la lingua del paese

d’appartenenza.

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segue I sessantasei centri di ricerca e formazione sulla città multietnica individuati,classificati e schedati

46) Institute of Geographical Research - IGR, Hungarian Academy of Sciences, Budapest, Hungary47) International Centre for Migration Policy Development - ICMPD, Wien, Austria48) International Migration and Ethnic Relations - IMER, University of Bergen, Bergen, Norway49) Joint Centre of Excellence for Research on Immigration and Settlement - CERIS, Toronto, Canada50) La Città Multietnica - CM, Comune di Bologna, Italia51) Metropolis Institute - MI, Ottawa, Canada52) Migration Policy Institute - MPI, Washington DC, USA53) Migration, Cities and Minorities - MCM, Centro de Estudos Geográficos CEG, University of Lisbon,

Lisbon Portugal54) Migrations Internationales, Espaces et Sociétés - MIGRINTER, CNRS, Universités de Poitiers et de

Bordeaux 3, Poitiers, France55) National MultiCultural Institute - NMCI, Washington DC, USA56) Office of Population Research - OPR, Princeton University, Princeton, USA57) Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stra-

nieri a livello locale - ONC, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Roma, Italia58) Prairie Centre of Excellence for Research on Immigration and Integration - PCERII, University of

Alberta, Edmonton, Canada59) Research on Immigration and Integration in the Metropolis - RIIM, Vancouver, Canada60) Scalabrini International Migration Institute - SIMI, Roma, Italia61) Society for the Study of Ethnic Relations and International Migration - ETMU, University of Helsinki,

Helsinki, Finland62) SociNova/Migration - SNM, University of Lisbon, Lisbon, Portugal.63) Sussex Centre for Migration Research - SCMR, University of Sussex, Brighton, England UK64) Swiss Forum for Migration and Population Studies - SFM, University of Neuchâtel, Neuchâtel,

Switzerland65) Unité de Recherche Migrations et Société - URMIS, Paris, France66) Urbanisation, Culture et Société - UCS, Institute National de la Recherche Scientifique, Université

du Quebéc, Montreal-Quebéc, Canada

Parole chiave utilizzate per la schedatura dei centri di ricerca di classe 1, 2, 3

01. alloggio;02. aree metropolitane;03. asilo e rifugiati;04. attività produttive;05. attrezzature collettive;06. centri storici;07. città diffusa;08. cittadinanza;09. clandestini;10. diritto;11. documentazione;12. educazione e istruzione;13. esclusione/inclusione sociale;14. formazione;15. genere;16. governance;17. identità culturali;18. identità urbane;19. integralismi e conflittualità;20. lavoro;

21. lingue;22. nuove tecnologie tlc;23. partecipazione;24. periferie;25. pianificazione territoriale e urbanistica;26. piccoli centri;27. politiche per l’immigrazione;28. politiche urbane;29. povertà urbana;30. progettazione architettonica;31. progettazione urbana;32. razzismo e discriminazione;33. religioni;34. segregazione/integrazione spaziale;35. servizi urbani;36. sostenibilità;37. sport;38. strumenti d’intervento;39. strumenti per la conoscenza;40. unità di vicinato;

Il successivo approfondimento è stato realizzato solo per i centri di ricerca classificati nel

primo gruppo, perché potevano vantare progetti di ricerca urbanistica specifici sul tema della

città interetnica. La schedatura dei centri di classe 1, nel dettaglio, ha rilevato: l’identità (denomi-

nazione ufficiale del centro di ricerca), la specificità (attraverso le cinque parole chiave), la tipolo-

gia (centro di ricerca, organizzazione di studi no profit, istituto di ricerca, ecc.), l’attività (descri-

zione delle attività tratta dai documenti ufficiali reperiti sulla rete), il focus (rilevanza per il tema

specifico della “città interetnica”), le attività di ricerca sulla città multietnica (progetti di ricerca

conclusi e in corso di svolgimento), le attività di formazione sulla città multietnica (corsi di laurea

e formazione post laurea), le pubblicazioni specifiche (che illustrano i risultati delle ricerche e

delle attività formative sul tema), le pagine internet di riferimento, i contatti.

2.2 LO STATO DELL’ARTE DELLA RICERCA

2.2.1 La ricerca in urbanistica per la città interetnica

La ricerca urbanistica sulla città multietnica è portata avanti, nei diciassette centri di classe

1 individuati, attraverso studi specialistici e progetti dedicati. Questi principali centri, le attività, le

produzioni scientifiche sono descritti nel dettaglio, di seguito, secondo lo schema messo a punto

nella metodologia di cui al precedente paragrafo.

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Identità: Centre d’Etudes Ethniques des Universités Montréalaises - CEETUM, Montreal,Canada

Classe: 1

Parole chiave: Cittadinanza, esclusione/inclusione sociale, educazione e istruzione, alloggio, unità di vi-cinato.

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.

Attività: Centro che svolge attività di ricerca e formazione interdisciplinare e che riunisce ricer-catori di diverse strutture (Université de Montréal, INRS-Urbanisation, Culture etSociété, Université du Québec à Montréal, McGill University, Concordia, Université deSherbrooke). Offre assistenza ai visiting professor e ai giovani ricercatori che voglianosvolgere approfondimenti sulla multietnia in Canada. Organizza convegni, seminari, at-tività formative e la diffusione dei risultati avviene attraverso pubblicazioni, in francesee in inglese, e via internet. È articolato in unità di ricerca: Ethnic Relations Chair, HeritageLanguage Centre, Research Group on Ethnicity and Society, Research Group onEthnicity and Adaptation to Pluralism in Education, Research Program on Racism andDiscrimination, City/Neighbourhood Research Team.

Focus: Il City/Neighbourhood Research Team studia l’integrazione degli immigrati e le trasfor-mazioni dello spazio urbano nella regione metropolitana di Montreal.

Ricerca: Si segnalano tre progetti di ricerca che riguardano la città multietnica: residenza e unitàdi vicinato per gli immigrati, dinamiche associative nelle migrazioni internazionali,gestione delle diversità a livello locale.

Formazione: Corsi di laurea e formazione post laurea con specifico riferimento alla città ed alleproblematiche multietniche.

Pubblicazioni: Germain A. (2002),“La culture urbaine au pluriel? Métropole et ethnicité” in Lemieux D.(dir.) (2002), Traité de la culture. Le Québec. Son patrimoine, ses modes de vie et ses pro-ductions culturelles, Presses de l’Université Laval, Laval.

Internet: http://www.ceetum.umontreal.ca/english/home.htm

Contatti: Annick Germain, Director of The City/Neighbourhood Research Team [email protected]

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Identità: Centre for Intercultural Studies - CIS, University of Vienna and KlagenfurtUniversity, Wien, Austria

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, aree metropolitane, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, politi-che urbane.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Attività: Il centro, che collabora con il Consiglio d’Europa, ha operato come rete dal 1989 al 1999,quando si è costituito come struttura dell’Università di Klagenfurt.I ricercatori del CIS privilegiano la dimensione culturale della multietnicità approfon-dendo il ruolo dei media, i diritti umani, la pace, l’integrazione.La promozione di iniziative multiculturali è completata dal monitoraggio e dalla valuta-zione dei risultati attraverso l’organizzazione di progetti di ricerca, conferenze e semi-nari internazionali. Approfondimenti e sperimentazioni sul campo sono sviluppati, inparticolare, nei paesi dell’Europa sudorientale e orientale.

Focus: Gli aspetti culturali delle multietnia sono approfonditi quali elementi caratterizzanti lemetropoli europee.

Ricerca: Ha partecipato come partner al progetto “Changing City Spaces. New challenges to cul-tural policy in Europe”, sviluppato nell’ambito del Quinto Programma Quadro RSTdell’Unione Europea.

Formazione: Nessuna specifica.

Pubblicazioni: Nessuna specifica.

Internet: http://cis.uni-klu.ac.at

Contatti: Brigitta Busch, Head of the [email protected]

Identità: Fondazione Aldo Della Rocca - FADR, Roma, Italia

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, segregazione/integrazione spaziale, strumenti per la conoscenza,formazione, pianificazione territoriale e urbanistica.

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.

Attività: La Fondazione è un ente morale di studi di urbanistica che promuove, dal 1954, la ri-cerca e la riflessione culturale attraverso convegni, pubblicazioni e concorsi per soste-nere l’attività di studiosi meritevoli.Ventitré concorsi, nell’arco di oltre cinquant’anni, hanno consentito di sostenere ricer-che monografiche su temi di grande rilevanza, pubblicati nella collana di “Studi urbani-stici”, a cui si affiancano le collane “Atti convegni e ricorrenze”, “Ricerca e documenta-zione” e “Ristampe anastatiche”.Negli ultimi anni, le attività si sono intensificate e l’attenzione si è concentrata sul temadella città multietnica-interetnica, coinvolgendo centinaia di rappresentanti della co-munità scientifica, delle istituzioni, della società civile, delle religioni, le cui riflessionisono state raccolte nei volumi e in alcune ore di video interviste.La Fondazione ha realizzato importanti ed innovative attività di ricerca e formazioneuniversitaria e post-universitaria sul tema della città interetnica cablata. È stata pro-mossa una rete di Centri regionali di ricerca facenti capo al Centro Studi U.r.b.i.s. etO.r.b.i.s.

Focus: La Fondazione ha stimolato, in Italia, l’attenzione degli studiosi di urbanistica sul temadella città interetnica attraverso convegni e pubblicazioni, collaborando con università,istituti culturali e enti di ricerca e promovendo un corso di laurea dedicato.

Ricerca: L’attività di promozione e collegamento scientifico si è concretizzata attraverso nume-rose giornate di studio che, a partire dal 2002, hanno stimolato un’ampia rete di stu-diosi all’approfondimento. I risultati progressivamente maturati sono stati diffusi dallaFondazione attraverso nuovi incontri, pubblicazioni, video, internet. In tale ambito èstata attivata l’Unità di ricerca CNR presso l’Università “Federico II” di Napoli.

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Formazione: Primo corso sperimentale di alta formazione “Pianificazione e governo delle trasforma-zioni nella città interetnica europea” (2004), secondo corso di alta formazione per“Manager della città cablata e interetnica” (2005), primo corso di laurea magistrale in“Pianificazione territoriale ambientale - Governo delle trasformazioni urbane per la cittàeuropea interetnica cablata” (in corso di attivazione)

Pubblicazioni: Beguinot C. (a cura di) (2003), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla città interet-nica (Europea), Giannini Editore, Napoli. Beguinot C. (a cura di) (2004), Città di genti e cul-ture, da “Megaride ’94” alla città interetnica (Europea), Giannini Editore, Napoli. BeguinotC. (a cura di) (2005), La formazione dei Manager per la città dei diversi. Città di genti e cul-ture: Da “Megaride 94” alla città europea cablata e interetnica, Giannini Editore, Napoli.Beguinot C. (a cura di) (2006), La formazione dei manager governo delle trasformazioni ur-bane Città interetnica cablata, Giannini Editore, Napoli. Beguinot C. (a cura di) (2008),Genetica e destino di un percorso. Città cablata Carta di Megaridi, ’94 Città EuropeaInteretnica, Giannini Editore, Napoli.I volumi sono completati da DVD che raccolgono alcune ore di interviste sulla città mul-tietnica a numerosi personaggi della cultura italiana ed europea.

Internet: http://www.fondazionedellarocca.it

Contatti: Corrado Beguinot, Presidente della [email protected]

Identità: Fondazione Giovanni Michelucci - FGM, Firenze, Italia

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, segregazione/integrazione spaziale, progettazione urbana, pianifica-zione territoriale e urbanistica, alloggio.

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.

Attività: Istituzione fondata nel 1982 e preceduta dal Centro Studi La Nuova Città a Fiesole e dalCentro di documentazione Giovanni Michelucci a Pistoia. Ha raccolto l’eredità culturaledell’architetto e urbanista toscano, divenendo un centro di documentazione e di ricercasu architettura e urbanistica, con una forte attenzione agli aspetti sociali.L’attività di documentazione è centrata sull’opera di Michelucci, mentre l’attività edi-toriale testimonia la significativa attività di ricerca che è completata da iniziative for-mative.I temi privilegiati dalla Fondazione sono: architettura e urbanistica, abitare urbano, con-vivenza urbana, città e carcere. Lo spazio è la chiave interpretativa e valutativa delle tra-sformazioni sociali, l’attenzione è concentrata sull’habitat sociale e sul rapporto fra spa-zio e società.Il tema della città multietnica è affrontato in termini di convivenza urbana ed è svilup-pato attraverso l’approfondimento delle diverse culture abitative, dell’emarginazionedegli immigrati e del loro isolamento spaziale.

Focus: Il contributo originale al tema è ben espresso dalla “Carta della progettazione intercul-turale” che contiene i principi per una città plurale e ospitale, le politiche e le azioni.

Ricerca: Il filone di ricerca “Convivenza urbana” si articola in: Le culture dell’abitare, Carta dellaprogettazione interculturale, Gli immigrati e l’abitare, Immigrazione e convivenza, Icampi nomadi: l’urbanistica del disprezzo.

Formazione: Il Campus di studio e formazione “Le culture dell’abitare” (2000), in collaborazione con ilDipartimento Istruzione e Cultura della Regione Toscana, ha prodotto la “Carta dellaprogettazione interculturale”.

Pubblicazioni: Marcetti C. et al. (1995), Il colore dello spazio. Habitat sociale e immigrazione in Toscana,Angelo Pontecorboli Editore, Firenze. Marcetti C., Solimano N. (2001), Immigrazione, con-vivenza urbana, conflitti locali, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze.

Internet: http://www.michelucci.it

Contatti: [email protected]

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Identità: Immigration and Metropolis - IM, Inter-University Research Centre of Montreal onImmigration, Integration and Urban Dynamics, Montreal, Canada

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, unità di vicinato, servizi urbani, cittadi-nanza.

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.

Attività: Il Centro di ricerca fa parte dei cinque centri d’eccellenza istituiti dal progettoMetropolis, a partire dal 1995, in Canada, terra storicamente multietnica. È costituito da:Université de Montréal (UdeM), Institut national de recherche scientifique-Urbanisation, Culture et Société (INRS-UCS), McGill University (McGill).Al centro afferiscono oltre settanta ricercatori di diverse istituzioni del Québec che svol-gono la loro attività interagendo con gli altri centri canadesi e degli altri quindici paesiin cui si sviluppa la rete di ricerca Metropolis International.Le metropoli contemporanee, in particolare canadesi, sono studiate per la caratterizza-zione multietnica, ad un tempo, problema e risorsa.I filoni di ricerca comprendono gli aspetti demografici, economici e linguistici dell’im-migrazione; la vita di quartiere, la mobilità residenziale, le reti sociali a la gestione dellerisorse della comunità; l’educazione e la formazione; la salute e i servizi sociali, la sicu-rezza pubblica, la giustizia; la cittadinanza, la cultura e gli scenari sociali; l’osservatoriostatistico sull’immigrazione.Il centro collabora con le istituzioni locali e governative del Québec e del Canada, conproficui risultati.

Focus: L’unità di vicinato è studiata come livello ideale, nell’ambito delle metropoli multietni-che, per analizzare i problemi dell’immigrazione e dell’integrazione culturale e per indi-viduare le possibili soluzioni.

Ricerca: Il filone di ricerca sulla vita di quartiere, la mobilità residenziale, le reti sociali e la ge-stione delle risorse della comunità, ha i seguenti temi specifici: “Cohabitation of ethnicgroups, their interaction in public space and their participation in local and communityinstitutions”, “Residential trajectories and residential mobility”, “Social networks and so-cial integration, from casual neighbourliness to formal associative ties”,“Management ofcommunity resources”.

Formazione: Nessuna specifica.

Pubblicazioni: Apparicio P., Leloup X., Rivet P. (2006), La répartition spatiale des immigrants à Montréal:apport des indices de ségrégation résidentielle, Centre de recherche interuniversitaire deMontréal sur l’immigration, l’intégration et la dynamique urbaine, Montreal.Germain A. (2000) Des parcs au pluriel: penser la diversité dans l’aménagement des espa-ces publics. Allocution faite dans le cadre du Colloque “La diversité culturelle à travers la na-ture”, Centre de recherche interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’intégrationet la dynamique urbaine, Montreal.Germain A., Gagnon J.E. (2000), Civic Life, Neighbourhood Life: The Same Story?, Centre derecherche interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’intégration et la dynami-que urbaine, Montreal.Germain A. (2000) Immigrants and Cities: Does Neighborhood Matters?, Centre de recher-che interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’intégration et la dynamique ur-baine, Montreal.

Internet: http://im.metropolis.net

Contatti: [email protected]

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Fig. 2 - Home page della Fondazione Aldo Della Rocca e copertine dei “Passaporti” e immagini dei corsi di alta forma-zione per i futuri manager della città interetnica cablata. Fonte: http://www.fondazionedellarocca.it.

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Identità: Institute for Migration and Ethnic Studies - IMES, Universiteit van Amsterdam,Amsterdam, The Netherlands

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione spaziale, po-litiche per l’immigrazione, politiche urbane.

Tipologia: Istituto universitario di ricerca.

Attività: Istituto di ricerca interdisciplinare attivo sul tema dell’integrazione, dal 1994, con la co-operazione dei dipartimenti di antropologia, sociologia, scienze della comunicazione,scienze politiche, geografia economica, economia, diritto amministrativo, storia socialeed economica. I progetti analizzano casi studio olandesi con particolare riferimento allacittà di Amsterdam, studiata da una prospettiva internazionale.Si segnala la partecipazione programma UNESCO sulla comparazione delle città europeeed alla rete di ricerca Metropolis che ha come obiettivo l’approfondimento degli impattidei fenomeni migratori sulle grandi città. Coordina l’European Network of Excellence“International Migration, Integration and Social Cohesion in Europe” (IMISCOE).

Focus: La città è centrale nelle ricerche (anche se non sono sviluppate da urbanisti) in quantoè considerata il luogo dei conflitti ma anche il luogo dove è possibile realizzare l’inte-grazione multiculturale.

Ricerca: “Multicultural policies and modes of citizenship in European cities” (1998-2003).“A long-term analysis of the development of migrant organisations and the ’political opportu-nity structure’ in two European cities” (2000-2004).“Immigration in the Netherlands andthe role of the urban opportunity structure 1860-1960” (1998-2003, L. Lucassen).“Immigration, entrepreneurship and urban cultural diversity. A comparative study of’ethnic’ restaurants in Amsterdam, Sydney and Vancouver” (2001-2005).“Immigrant self-employment, mixed embeddedness, and the multicultural city” (1999-2002).“The strug-gle for public space in multicultural cities” (PhD project) (2003-2007).“Youngsters in themulti ethnic city, contacts, lifestyle and identity” (PhD project) (2004-2008).

Formazione: Master’s Degree Programme Migration and Ethnic Studies Summer Institute onInternational Migration, Ethnic Diversity and Cities.Masters Social Science with track Migration and Ethnic StudiesMasters Social Policy and Social Work in Urban Areas

Pubblicazioni: Alidair Rogers A., Tillie J. (2001), Multicultural Policies and Modes of Citizenship inEuropean Cities, Ashgate, Aldershot.Kloosterman R. et al. (1999), “Mixed embeddedness. (In)formal economic activities andimmigrant businesses in the Netherlands” in International Journal of Urban and RegionalResearch 23 (2) 253-267.Tillie J., Fennema M. (2000),“Municipal policies and structure of the Turkish communityin Amsterdam. A network approach” in Proceedings of the International ConferenceVienna, Austria, 1998 Migration and Sustainable Urban Development, 79-87, ViennaMunicipal Department 18 - Urban Development and Planning.

Internet: http://www2.fmg.uva.nl/imes

Contatti: [email protected]

Fig. 4 - La Home page del Institute for Research on Raceand Public Policy - IRRPP, University of Illinois, Chicago,USA. Fonte: http://www.uic.edu/cuppa/irrpp.

Fig. 3 - Home page del Institute for Migration and EthnicStudies - IMES, Universiteit van Amsterdam, Amsterdam,The Netherlands. Fonte: http://www2.fmg.uva.nl/imes.A

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Identità: Institute for Multicultural Development - FORUM, Utrecht, The Netherlands

Classe: 1

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, unità di vicinato, alloggio,

educazione e istruzione.

Tipologia: Centro governativo di competenza.

Attività: FORUM è un centro di competenza attivo nel campo dello sviluppo multicuturale ed è

sostenuto finanziariamente dal governo olandese, Dipartimento immigrazione e inte-

grazione del Ministero di giustizia.

L’istituto elabora ed attua, in collaborazione con gli enti locali, strategie per la soluzione

di problemi sociali delle comunità multirazziali affinché a tutti sia garantita una piena

cittadinanza.

I settori d’interesse, legati ai fenomeni migratori, sono la coesione sociale, l’alloggio, la

sicurezza, le politiche giovanili, l’istruzione, l’educazione, l’integrazione, la religione,

l’emancipazione, l’identità, il diritto di cittadinanza.

Presso FORUM è operativo il Centro di servizio per le politiche d’integrazione locale che

collabora con le autorità locali per promuovere l’integrazione multietnica.

Focus: Il quartiere è considerato il livello ideale per mettere a punto e sviluppare strategie di

coesione sociale ed integrazione culturale delle comunità d’immigrati.

Ricerca: “Workshops on Multicultural Neighbourhood Development”, esperienza di progetta-

zione urbanistica e architettonica partecipata alla scala di quartiere.

Formazione: Nessuna specifica.

Pubblicazioni: Nessuna specifica.

Internet: http://www.forum.nl

Contatti: [email protected]

Identità: Institute for Research on Race and Public Policy - IRRPP, University of Illinois,

Chicago, USA

Classe: 1

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, politiche urbane, pianificazione territoriale e urbanistica,

servizi urbani, formazione.

Tipologia: Istituto universitario di ricerca.

Attività: L’IRRPP promuove e svolge attività di ricerca, insegnamento e di servizio su razza,

etnicità e politiche pubbliche.

Si colloca nel College of Urban Planning and Public Affairs e affronta i problemi urbani

legati al lavoro, ai servizi sanitari, all’istruzione, alla crescita civile, al crimine, alla giustizia

razziale.

La comprensione delle diversità è vista come fondamento per definire strategie che

favoriscano processi democratici multirazziali e multietnici.

Le ricerche hanno privilegiato dapprima le comunità afroamericane di Chicago per poi

allargare gli interessi alle altre minoranze, anche in altre, città americane e non.

Il problema delle politiche d’integrazione è affrontato anche con riferimento alla pia-

nificazione urbana.

Focus: La ricerca e la formazione sono sviluppate anche con riferimento diretto alle politiche

urbane ed ai temi della pianificazione urbanistica.

Ricerca: Tra i dieci progetti di ricerca attivi si segnala “Race, Empowerment and Urban Policy”.

Formazione: Nessun corso dedicato, ma i temi della città multietnica sono presenti nelle attività

formative.

Pubblicazioni: Nessuna specifica.

Internet: http://www.uic.edu/cuppa/irrpp

Contatti: [email protected]

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Identità: International Migration and Ethnic Relations - IMER, University of Bergen, Bergen,Norway

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, segregazione/integrazione spaziale, politiche urbane, alloggio, cittadi-nanza.

Tipologia: Associazione tra università ed ente pubblico di ricerca.

Attività: L’IMER nasce dalla collaborazione tra l’Università di Bergen e il Norwegian ResearchCouncil con l’obiettivo di migliorare la conoscenza scientifica sulle migrazioni interna-zionali, in Europa e nel mondo, e sulle conseguenze delle emigrazioni e delle immigra-zioni, nei paesi di provenienza e d’accoglienza.I settori d’interesse sono le identità culturali, gli studi urbani, le diversità sociali, i fattorirelativi al genere, il diritto di cittadinanza, la mobilità migratoria, i rifugiati.La ricerca è multidisciplinare con prevalenza sociologica ma con specifica attenzionealla città europea, alla cittadinanza, agli spazi urbani. Gli spazi pubblici delle città euro-pee vengono approfonditi in quanto luoghi dove la cittadinanza di tutti i diversi si rea-lizza e si concretizza.

Focus: Il centro è attivo negli studi urbani sulla città plurale, le minoranze urbane, la vita degliimmigrati, la segregazione residenziale, il rapporto tra globale e locale, la governance dicittà plurirazziali, la vita multiculturale della gioventù.

Ricerca: “Diversity and the European Public Sphere: Towards a Citizens’ Europe - EUROSPHERE”(2006). “Diversity, Togetherness, and a Society in Change” (2002-05). “Migrants,Minorities, Belonging and Citizenship: Glocalization and Participation Dilemmas in theEuropean Union and Small States”.

Formazione: Attività seminariali.

Pubblicazioni: Andersson M., Lithman Y., Sernhede O. (eds.) (2005), Youth, Otherness, and the Plural City:Modes of Belonging and Social Life, Daidalos, Gothenburg.Andersson M. (2005), Urban Multi-Culture in Norway: Identity Formation amongImmigrant Youth, Edwin Mellen Press, New York.

Internet: http://www.svf.uib.no/sfu/imer

Contatti: [email protected]

Identità: Joint Centre of Excellence for Research on Immigration and Settlement - CERIS,Toronto, Canada

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, alloggio, unità di vicinato, documen-tazione.

Tipologia: Associazione tra università ed enti locali.

Attività: Consorzio di ricerca, costituito da università dell’area di Toronto, da partners degli entilocali e da enti governativi canadesi, che svolge attività di ricerca sui temi dell’immigra-zione e della trasformazione degli insediamenti con specifico riferimento a Toronto edal Canada. Il CERIS è uno dei cinque centri d’eccellenza canadesi della rete Metropolis.Promuove ricerche sull’impatto dell’immigrazione sull’area metropolitana di Toronto esull’integrazione degli immigrati nella società canadese, offre opportunità di forma-zione e aggiornamento, diffonde risultati delle ricerche inerenti alle politiche ed ai pro-grammi per gli immigrati.I filoni di ricerca del centro sono relativi a: cittadinanza, religione e cultura; comunità,quartiere e alloggio; dinamiche socio-economiche; educazione; sanità; giustizia easpetti legali.

Focus: La ricerca su comunità, quartiere e alloggio affronta i problemi degli immigrati negliinsediamenti urbani e delinea concrete strategie e soluzioni.

Ricerca: “Community, Neighbourhoods and Housing”.

Formazione: Attività seminariali.

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Pubblicazioni: Qadeer Mohammad A. (2003), Ethnic Segregation in a Multicultural City: The case of

Toronto, Canada, CERIS Working Paper Series No. 28 October 2003.

Murdie R.A., Teixeira C. (2000), Toward a Comfortable Neighbourhood and Appropriate

Housing: Immigrant Experience in Toronto, CERIS Working Paper Series No. 10 March

2000.

Murdie R.A. (2005), Housing Affordability: Immigrant and Refugee Experiences, CERIS

Policy Matters No. 17 April 2005.

Omidvar R., Richmond T. (2005), Immigrant Settlement and Social Inclusion in Canada,

CERIS Policy Matters No. 16 March 2005.

Milroy B.M., Wallace M. (2004), Ethnoracial Diversity and Planning Practices in the Greater

Toronto Area: Final Report, CERIS Policy Matters No. 12 November 2004.

Doucet M. (2004), The Anatomy of an Urban Legend: Toronto’s Multicultural Reputation,

CERIS Policy Matters No. 11 October 2004.

Internet: http://ceris.metropolis.net

Contatti: [email protected]

Identità: Migration Policy Institute - MPI, Washington DC, USA

Classe: 1

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, asilo e rifugiati, documentazione, politiche urbane, pianifi-

cazione territoriale e urbanistica.

Tipologia: Istituto di ricerca no profit.

Attività: MPI è un’organizzazione indipendente non profit che si occupa dello studio dei feno-

meni migratori nel mondo. I progetti di ricerca riguardano la gestione dei fenomeni mi-

gratori, la protezione dei rifugiati e gli aspetti umanitari, la situazione specifica nord-

americana, gli insediamenti degli immigrati e l’integrazione (in collaborazione con

l’Urban Institute).

Si segnala la partecipazione alla rete di ricerca Metropolis che ha come obiettivo l’ap-

profondimento degli impatti dei fenomeni migratori sulle grandi città. Notevole l’atti-

vità di documentazione attraverso il progetto “Migration Information Source” che rende

disponibili on line informazioni e dati su quantità e qualità delle migrazioni organizzati

per nazioni (http://www.migrationinformation.org).

Focus: La dimensione urbanistica interviene attraverso la collaborazione con l’Urban Institute.

Ricerca: Si segnalano i progetti di ricerca “Building the New American Community” (in colla-

borazione con l’Urban Institute) e “Immigrant Settlement, Integration, and Social

Cohesion”.

Formazione: Nessuna attività di formazione specifica.

Pubblicazioni: Ray B. (2003), The Role of Cities in Immigrant Integration, Migration Policy Institute,

Washington D.C. (USA). Ray B. et al. (2004), Immigrants and Homeownership in Urban

America: An Examination of Nativity, Socio-economic Status and Place, Migration Policy

Institute, Washington.

Internet: http://www.migrationpolicy.org

Contatti: Kathleen Newland, Director and Board Member

[email protected]

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Identità: Migration, Cities and Minorities - MCM, Centro de Estudos Geográficos CEG,

University of Lisbon, Lisbon Portugal.

Classe: 1

Parole chiave: Identità urbane, aree metropolitane, esclusione/inclusione sociale, politiche urbane,

governance.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Attività: Il centro si occupa di migrazioni, trasformazioni urbane e governance in Europa, con

particolare attenzione al Portogallo. L’attività di ricerca analizza l’impatto delle migra-

zioni sullo sviluppo, le diaspore e le comunità transnazionali.

Le ricerche hanno carattere sia teorico sia applicato alla gestione territoriale, soprat-

tutto nelle aree urbane.

Il centro collabora con le istituzioni locali e nazionali, offrendo quadri di riferimento per

politiche orientate allo sviluppo sostenibile, soprattutto dal punto di vista dell’am-

biente sociale.

I filoni di ricerca sono: processi di migrazione internazionale, interventi e conseguenze;

migrazioni e sviluppo regionale; stati e città, politici e politiche, migrazione ed integra-

zione in una prospettiva comparata; immigrazione e trasformazioni urbane (spaziali de-

mografiche, economiche, sociali, culturali).

Focus: Il centro ha una linea di ricerca dedicata alle trasformazioni urbane indotte dai feno-

meni migratori e, anche nelle altre ricerche, i temi urbanistici sono molto presenti.

Ricerca: “European Migration Dialogue”.

“Reinventing Portuguese Metropolises: Immigrants and Urban Governance”.

“The Spatial Effects of Demographic Trends and Migration”.

Formazione: Nessuna specifica.

Pubblicazioni: Fonseca M.L., Malheiros J. (Coord.) (2005), Social Integration & Mobility: Education,

Housing & Health, Imiscoe Cluster B5 State of the Art Report, Estudos para o

Planeamento Regional e Urbano n. 67-2005, Centro de Estudos Geográficos,

Universidade de Lisboa, Lisboa.

Fonseca M.L. (2005), Migrações e Território, Colection: Estudos para o Planeamento

Regional e Urbano n. 64-2005, Centro de Estudos Geográficos, Universidade de Lisboa,

Lisboa.

Fonseca M.L., Malheiros J., Ribas-Mateos N., White P., Esteves A. (2002), Immigration and

Place in Mediterranean Metropolises, Luso-American Foundation (FLAD), Lisbon.

Malheiros J.M. (2002), “Ethni-Cities: Residential Patterns in Northern European and

Mediterranean Metropolises - Implications in Policy Design” International Journal of

Population Geography, vol. 8.

Internet: http://www.ceg.ul.pt/mcm

Contatti: [email protected] 3

Identità: Migrations Internationales, Espaces et Sociétés - MIGRINTER, CNRS, Universités de

Poitiers et de Bordeaux 3, Poitiers, France

Classe: 1

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione

spaziale, formazione, documentazione.

Tipologia: Associazione tra università ed ente pubblico di ricerca.

Attività: La collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche della Francia e le Università di

Poitiers e Bordeaux ha generato quest’iniziativa di ricerca multidisciplinare sulle pro-

blematiche migratorie con particolare attenzione al rapporto tra spazio e società mul-

tietnica.

Le linee di ricerca sono quattro: configurazioni migratorie: circolazione, transnazionalità,

economie etniche; migrazioni, dinamiche e mobilità urbane; migrazioni forzate, diritto

d’asilo, clandestini, irregolari, politiche migratorie; migrazioni e sviluppo, mondializza-

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zione. Ad esse si aggiungono le due linee trasversali: diaspora e frontiere. Le aree geo-

grafiche di studio sono in Europa, Africa e Sud America.

L’attività di ricerca è completata da attività editoriali, seminariali e di formazione post

uiniversitarie. Si segnala la banca dati e bibliografica on line Migrinternet.

Focus: I ricercatori di MIGRINTER hanno una particolare attenzione verso lo spazio come luogo

delle differenziazioni e delle segregazioni urbane.

Ricerca: “Migrations, dynamiques et mobilités urbaines”.

Formazione: Master recherche “Migrations Internationales et Relations Interethniques” presso

l’Università di Poitiers in collaborazione con l’Università Paris VII Denis Diderot.

Pubblicazioni: Simon G. (2006), “Migrations, la spatialisation du regard” in 62ème de la Revue

Européenne des Migrations Internationales 2 octobre 2006

Simon G. (2006), “Migrations, la spatialisation du regard” in Revue Européenne des

Migrations Internationales, Volume 22, Numéro 2, p. 9-21.

Accessible en ligne à l’URL: (http://remi.revues.org/document2815.html)

Hily M.A., Lefebvre M.L. (1999) (dir.), Identité collective et altérité: diversité des espaces,

spécificité des pratiques, L’Harmattan, Paris.

Internet: http://www.mshs.univ-poitiers.fr/migrinter/

Contatti: [email protected]

Identità: Office of Population Research - OPR, Princeton University, Princeton, USA

Classe: 1

Parole chiave: Strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazionespaziale, nuove tecnologie tlc, documentazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Attività: Centro di ricerca e di formazione attivo presso la Princeton University avente come set-tore d’interesse centrale le scienze demografiche. Le attività sono sviluppate ampliandogli obiettivi di studio nei seguenti ambiti: infanzia e famiglia; dati statistici e metodolo-gie di analisi; sanità e prevenzione; migrazioni e urbanizzazione; ingiustizia sociale.Le aree geografiche d’interesse sono nelle Americhe (Nord, Sud, Centro) ma anchel’Europa è oggetto di studio.Gli approfondimenti sulla città esaminano le trasformazioni partendo dalle dinamichedemografiche, dai fenomeni migratori, dalla differente fertilità dei diversi gruppi etnici.Alcune ricerche sono centrate su tematiche urbane multietniche che sono presenti manon centrali anche nei corsi di studio della Princeton University.

Focus: L’ingiustizia sociale verso gli immigrati è analizzata come causa scatenante di problemiche si manifestano alla scala di quartiere e che, alla stessa scala, devono essere fronteg-giati.

Ricerca: “Moving To Opportunity”. “Latin American Migration Project”. “Mexican MigrationProject”.“The Transformation of Social Capital in an Urban Barrio”.

Formazione: Nessuna specifica.

Pubblicazioni: Nessuna specifica.

Internet: http://www.opr.princeton.edu/

Contatti: [email protected]

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Identità: Research on Immigration and Integration in the Metropolis - RIIM, Vancouver,Canada

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, alloggio, unità di vicinato, cittadinanza.

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.

Attività: Questo centro di ricerca multidisciplinare è stato realizzato da un gruppo di Universitàcanadesi nell’ambito del Metropolis Project ed è sostenuto dal governo del Canada.Obiettivo delle attività è produrre e rendere disponibile materiale di ricerca sui temiemergenti dell’immigrazione e delle politiche d’integrazione, per contribuire all’avanza-mento delle conoscenze e delle competenze.Raccolte sistematizzate di dati e analisi mirate vengono sviluppate nella regione diVancouver e nel Canada. Attraverso la rete internazionale di Metropolis, le metodologiecosì messe a punto vengono trasferite nelle altre realtà del mondo dove le dinamichemigratorie configurano scenari simili.Il centro interagisce con i soggetti interessati degli enti locali e governativi (stakehol-ders) che influenzano gli indirizzi delle ricerche e utilizzano e diffondono i risultati.

Focus: L’esperienza canadese in tema di multiculturalità è coniugata con i temi delle residenzee dei servizi nelle unità di vicinato con un originale attenzione al tema delle residenzecondivise dagli immigrati.

Ricerca: “Housing and Neighbourhoods”.

Formazione: Nessuna specifica.

Pubblicazioni: Fiedler R., Hyndman J., Schuurman N. (2006), Locating Spatially Concentrated Risk ofHomelessness amongst Recent Immigrants in Greater Vancouver: A GIS-based approach,RIIM Working Papers N. 06-10. (http://riim.metropolis.net/frameset_e.html)Walton-Roberts M. (2004), Regional Immigration and Dispersal: Lessons from Small- andMedium-sized Urban Centres in British Columbia, RIIM Working Papers N. 04-03.(http://riim.metropolis.net/Virtual%20Library/2004/wp04-03.pdf)

Internet: http://www.riim.metropolis.net/frameset_e.html

Contatti: [email protected]

Identità: Unité de Recherche Migrations et Société - URMIS, Paris, France

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione spaziale,identità urbane, lavoro.

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.

Attività: L’Unità di ricerca nasce dall’associazione tra il Consiglio Nazionale delle RicercheFrancese e le Università di Paris 7, Paris 8 e Nice Sophia Antipolis. L’approccio è multidi-sciplinare e le ricerche si concentrano sullo studio delle migrazioni e delle relazioni in-teretniche.Le linee di ricerca sono: migrazioni e migranti nell’epoca contemporanea, pratiche dimobilità e ruolo dei migranti nell’economia mondiale; la costruzione dell’immigrazionecome problema sociale e obiettivo politico, processi di costruzione e rappresentazionedelle identità collettive.Studi teorici e metodologici affrontano il tema dell’inserimento degli immigrati, il ruolodella politica e delle istituzioni, la costituzione di spazi migratori transnazionali le dina-miche culturali nelle società plurietniche.

Focus: Il tema delle identità culturali è approfondito in relazione al tema delle identità urbane.

Ricerca: “Identités des villes, identités dans les villes”.

Formazione: Master sciences de l’homme et de la société, mention SociologieSpécialité recherche “Migrations, villes, dynamiques sociales”.

Pubblicazioni: Christian R. (2000), L’ethnicité dans la cité: Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique,L’Harmattan, Logiques sociales, Paris. (http://www.unice.fr/urmis-soliis/EthniciteCite.html).Simon P. (1999) “Les politiques de l’habitat et les immigrés” in Les Cahiers de l’URMIS,Numéro 5 (http://www.unice.fr/urmis-soliis/Cahiers5.html).

Internet: http://www.unice.fr/urmis-soliis

Contatti: [email protected]

2.2.2 La ricerca per l’urbanistica e la città interetnica

I centri di ricerca che affrontano i temi e i problemi della città multietnica, anche se non

hanno progetti dedicati, costituiscono un importante riferimento per l’urbanistica e per gli studi

specialistici di pianificazione.

I centri di classe 2, così come definiti nella metodologia, sono di seguito schedati in forma

semplificata.

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Identità: Urbanisation, Culture et Société - UCS, Institute National de la RechercheScientifique, Université du Quebéc, Montreal-Quebéc, Canada

Classe: 1

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, politiche urbane, governance, pianifica-zione territoriale e urbanistica.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Attività: Il centro di ricerca fa parte dell’Institut National de la Recherche Scientifique e raccoglieprofessori e ricercatori di diversa provenienza disciplinare che svolgono attività di ri-cerca e di formazione nell’ambito dell’Università del Québec e in collaborazione con al-tre istituzioni universitarie.Le linee di ricerca sono tre: città e regioni; popolazione; cultura, scienza e tecnologia.Nell’ambito della prima linea si collocano le ricerche sulle dinamiche degli spazi urbanie, in particolare: ricomposizione degli ambienti di vita, coesione e polarizzazione so-ciale, gestione della diversità culturale e religiosa legata all’immigrazione, sfide della cit-tadinanza.Il centro partecipa alle attività formative a livello di master e dottorati in studi urbanidell’Università del Québec offrendo l’esperienza dei propri studiosi.

Focus: L’urbanistica è studiata nella sua interazione con società e cultura e l’approfondimentonella realtà multirazziale del Québec fa emergere il tema della città interetnica.

Ricerca: “Restructuring of social space: social cohesion and polarization, new life styles, mana-ging of cultural and religious diversity due to immigration, citizenship issues”.

Formazione: Maîtrise en études urbaines. Doctorat en études urbaines.

Pubblicazioni: Bernèche F. (2005), L’accueil et l’accompagnement des immigrants récemment installés enHLM dans des quartiers montréalais: l’expérience du projet Habiter la mixité, INRS-Urbanisation, Culture et Société, Montréal, Québec. Germain A. et al. (2003), Les pratiquesmunicipales de gestion de la diversité à Montréal, INRS-Urbanisation, Culture et Société,Montréal, Québec (http://im.metropolis.net/GESTION_DIVERSIT__MONTR_AL_FINAL-030616.pdf).Germain A. (1996), Les quartiers multiethniques montréalais: une lecture urbaine, INRS-Urbanisation, Culture et Société, Montréal, Québec.Germain A. (1996), Forme urbaine et cohabitation interethnique: lieux publics et vie dequartier a Montréal, INRS-Urbanisation, Culture et Société, Montréal, Québec.

Internet: http://www.inrs-ucs.uquebec.ca

Contatti: [email protected]

Identità: Agence pour le Développement des Relations Interculturelles - ADRI, Paris, France

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, educazione e istruzione,genere.

Tipologia: Centro di ricerca.

Internet: http://www.adri.fr

Contatti: [email protected]

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Identità: Atlantic Metropolis Centre - AMC, Halifax, Canada

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, educazione e istruzione,genere.

Tipologia: Centro di ricerca.

Internet: http://atlantic.metropolis.net

Contatti: [email protected]

Identità: Centre for Multiethnic Research - CMR, Uppsala University, Uppsala, Sverige

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, lingue, esclusione/inclusione sociale, razzismo e discriminazione, for-mazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.multietn.uu.se/index_eng.htm

Contatti: [email protected]

Identità: Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione - CRSI, Prato, Italia

Classe: 2

Parole chiave: Documentazione, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, lavoro,educazione e istruzione.

Tipologia: Centro comunale di ricerca.

Internet: http://www.comune.prato.it/immigra/centro

Contatti: [email protected]

Identità: Centro Studi Immigrazione - CESTIM, Verona, Italia

Classe: 2

Parole chiave: Documentazione, alloggio, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione,razzismo e discriminazione.

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.

Internet: http://www.cestim.org/

Contatti: [email protected]

Identità: Centro Studi Investimenti Sociali - CENSIS, Roma, Italia

Classe: 2

Parole chiave: Documentazione, strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, politicheper l’immigrazione, politiche urbane.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.censis.it

Contatti: [email protected]

Identità: Dossier Statistico Immigrazione - IDOS, Caritas Migrantes, Roma, Italia

Classe: 2

Parole chiave: Documentazione, strumenti per la conoscenza, politiche per l’immigrazione, razzismo ediscriminazione, esclusione/inclusione sociale.

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.

Internet: http://www.dossierimmigrazione.it

Contatti: [email protected]

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Identità: European Research Centre on Migration & Ethnic Relations - ERCOMER, UtrechtUniversity, Utrecht, The Netherlands

Classe: 2

Parole chiave: Strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazionespaziale, alloggio, servizi urbani.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.uu.nl/uupublish/onderzoek/onderzoekcentra/ercomer/24638main.html

Contatti: [email protected]

Identità: Fondazione per le Iniziative e lo Studio sulla Multietnicità - ISMU, Milano, Italia

Classe: 2

Parole chiave: Documentazione, educazione e istruzione, formazione, esclusione/inclusione sociale,strumenti per la conoscenza.

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.

Internet: http://www.ismu.org

Contatti: [email protected]

Identità: Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione - FIERI, Torino,Italia

Classe: 2

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, cittadinanza, esclusione/inclusione sociale, lavoro, docu-mentazione.

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.

Internet: http://www.fieri.it/index.cfm

Contatti: [email protected]

Identità: Institute of Geographical Research - IGR, Hungarian Academy of Sciences,Budapest, Hungary

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, strumenti per la conoscenza, unità di vi-cinato, servizi urbani.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.mtafki.hu/index1-2en.htm

Contatti: [email protected]

Identità: Institut National d’Etudes Démographiques - INED, Paris, France

Classe: 2

Parole chiave: Segregazione/integrazione spaziale, politiche urbane, politiche per l’immigrazione,esclusione/inclusione sociale, documentazione.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.ined.fr

Contatti: [email protected]

Identità: La Città Multietnica - CM, Comune di Bologna, Italia

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, documentazione, alloggio, servizi urbani.

Tipologia: Centro comunale di ricerca.

Internet: http://www3.iperbole.bologna.it/immigra

Contatti: [email protected]

Un ulteriore importante contributo alla ricerca urbanistica sulla città multietnica è offerto

dai centri classificati nel terzo raggruppamento. Questi centri, che affrontano il tema in modo non

diretto ma significativo, sono di seguito schedati in forma semplificata.

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Identità: Metropolis Institute - MI, Ottawa, Canada

Classe: 2

Parole chiave: Formazione, identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, governance.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://institute.metropolis.net/index_e.htm

Contatti: [email protected]

Identità: Prairie Centre of Excellence for Research on Immigration and Integration - PCERII,University of Alberta, Edmonton, Canada

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, cittadinanza, educazione e istruzione, la-voro.

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.

Internet: http://pcerii.metropolis.net/frameset_e.html

Contatti: [email protected]

Identità: SociNova/Migration - SNM, University of Lisbon, Lisbon, Portugal

Classe: 2

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, unità di vi-cinato, lavoro.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.socinovamigration.org

Contatti: [email protected]

Identità: Center for Ethnic and Migration Studies - CEDEM, Institute for Human and SocialSciences, University of Liège, Liège, Belgium

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, politiche per l’immigra-zione, formazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.ulg.ac.be/cedem

Contatti: [email protected]

Identità: Academy for Migration Studies in Denmark - AMID, Aalborg University, Aalborg,Denmark

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, cittadi-nanza, lavoro.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.amid.dk

Contatti: [email protected]

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Identità: Center for Immigration Research - CIR, University of Houston, Houston, Texas

Classe: 3

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, religioni, diritto, citta-dinanza.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.uh.edu/cir/index.htm

Contatti: [email protected]

Identità: Center for Law on Immigration and Asylum - CLIA, University of Konstanz,Germany

Classe: 3

Parole chiave: Cittadinanza, diritto, politiche per l’immigrazione, religioni, asilo e rifugiati.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://migration.uni-konstanz.de/index.php?lang=en

Contatti: [email protected]

Identità: Center for Migration Law - CML, University of Nijmegen, Nijmegen, TheNetherland

Classe: 3

Parole chiave: Cittadinanza, diritto, esclusione/inclusione sociale, lavoro, asilo e rifugiati.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.ru.nl/law/cmr

Contatti: [email protected]

Identità: Center for Migration Studies - CMS, New York, USA

Classe: 3

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, alloggio, lavoro, documenta-zione.

Tipologia: Organizzazione no profit.

Internet: http://www.cmsny.org

Contatti: [email protected]

Identità: Center for Refugees Studies - CRS, York University, Toronto, Canada

Classe: 3

Parole chiave: Asilo e rifugiati, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, cittadinanza,formazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.yorku.ca/crs

Contatti: [email protected]

Identità: Center for Research in International Migration and Ethnicity - CEIFO, StockholmUniversity, Sweden

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, razzismo e discriminazione, esclusione/inclusione sociale, politicheper l’immigrazione, integralismi e conflittualità.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.ceifo.su.se

Contatti: [email protected]

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Identità: Center on Migration, Policy and Society - COMPAS, University of Oxford,England UK

Classe: 3

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, lavoro, identità culturali,formazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.compas.ox.ac.uk

Contatti: [email protected]

Identità: Centre for Immigration & Multicultural Studies - CIMS, Australian NationalUniversity, Canberra, Australia

Classe: 3

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, identità culturali, attività produttive, lavoro, asilo e rifugiati.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://cims.anu.edu.au

Contatti: [email protected]

Identità: Centre for Migration Research - CSERPE, Basel, Switzerland

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, religioni, documentazione, esclusione/inclusione sociale, clandestini.

Tipologia: Centro studi.

Internet: http://www.cserpe.org

Contatti: [email protected]

Identità: Centre for Migration studies - CIEMI, Paris, France.

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, religioni, documentazione, esclusione/inclusione sociale, politiche perl’immigrazione.

Tipologia: Centro di ricerca.

Internet: http://www.ciemi.org

Contatti: [email protected]

Identità: Centre for Research in Ethnic Relations - CRER, University of Warwick, Coventry,England UK

Classe: 3

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, cittadinanza, partecipazione, identità culturali, formazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.warwick.ac.uk/CRER

Contatti: [email protected]

Identità: Centre for Research on Ethnic Relations and Nationalism - CEREN, University ofHelsinki, Helsinky, Finland

Classe: 3

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, esclusione/inclusione sociale, lavoro, partecipazione, citta-dinanza.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://sockom.helsinki.fi/ceren

Contatti: [email protected]

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Identità: Centro Studi Emigrazione Roma - CSER, Roma, Italia

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, religioni, documentazione, esclusione/inclusione sociale, clandestini.

Tipologia: Centro di ricerca.

Internet: http://www.cser.it

Contatti: [email protected]

Identità: Commission for Racial Equality - CRE, London, England UK

Classe: 3

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, politiche per l’immigrazione, alloggio, servizi urbani, sport.

Tipologia: Centro governativo di ricerca.

Internet: http://www.cre.gov.uk

Contatti: [email protected]

Identità: Dipartimento di Studi Geoeconomici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale -DSGSSAR, Università La Sapienza, Roma, Italia

Classe: 3

Parole chiave: Strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, attività produttive, politicheper l’immigrazione, formazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://geostasto.eco.uniroma1.ithttp://3w.eco.uniroma1.it

Contatti: [email protected]

Identità: Electronic Immigration Network - EIN, Manchester, England UK

Classe: 3

Parole chiave: Documentazione, asilo e rifugiati, politiche per l’immigrazione, diritto, cittadinanza.

Tipologia: Centro di documentazione.

Internet: http://www.ein.org.uk

Contatti: [email protected]

Identità: European Centre for Minority Issues - ECMI, Flensburg, Germany

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, integralismi e conflittualità, cittadinanza, governance, docu-mentazione.

Tipologia: Centro di ricerca.

Internet: http://www.ecmi.de

Contatti: [email protected]

Identità: European Centre for Social Welfare Policy and Research - ECSWPR, Wien, Austria

Classe: 3

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, documentazione, politicheurbane, servizi urbani.

Tipologia: Centro intergovernativo di ricerca.

Internet: http://www.euro.centre.org

Contatti: [email protected]

Identità: European Forum for Migration Studies - EFMS, Otto Friedrich University, Bamberg,Germany

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, integralismi e conflittualità, esclusione/inclusione sociale, politicheper l’immigrazione, cittadinanza.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.uni-bamberg.de/~ba6ef3/home.html

Contatti: [email protected]

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Identità: European Migration Centre - EMC, Berlin, Germany

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, integrali-smi e conflittualità, documentazione.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.emz-berlin.de

Contatti: [email protected]

Identità: European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia - EUMC, Wien, Austria

Classe: 3

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione,documentazione, strumenti per la conoscenza.

Tipologia: Centro UE di documentazione.

Internet: http://eumc.europa.eu/eumc/index.php

Contatti: [email protected]

Identità: Federation of Ethnic Communities’ Councils of Australia - FECCA, Canberra,Australia

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, razzismo e discriminazione, cittadi-nanza, governance.

Tipologia: Centro governativo di studi.

Internet: http://www.fecca.org.au

Contatti: [email protected]

Identità: Immigrant-institutet - IMMI, Borås, Sweden

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, razzismo e discriminazione, asilo e rifu-giati, documentazione.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.immi.se/

Contatti: [email protected]

Identità: Initiative on Conflict Resolution and Ethnicity - INCORE, United Nations University,University of Ulster, Londonderry, Northern Ireland UK

Classe: 3

Parole chiave: Integralismi e conflittualità, governance, identità culturali, cittadinanza, formazione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.incore.ulst.ac.uk

Contatti: [email protected]

Identità: International Centre for Migration Policy Development - ICMPD, Wien, Austria

Classe: 3

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, politiche per l’immigrazione, asilo e rifugiati, esclusione/in-clusione sociale, documentazione.

Tipologia: Istituto intergovernativo di ricerca.

Internet: http://www.icmpd.org

Contatti: [email protected]

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Identità: National MultiCultural Institute - NMCI, Washington DC, USA

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, integralismi e conflittualità, asilo e rifugiati, esclusione/inclusione so-ciale, politiche per l’immigrazione.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.nmci.org

Contatti: [email protected]

Identità: Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione socialedei cittadini stranieri a livello locale - ONC, Consiglio Nazionale dell’Economia edel Lavoro, Roma, Italia

Classe: 3

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, lavoro, alloggio, documenta-zione.

Tipologia: Centro di ricerca.

Internet: http://www.cnel.it/immigrazione

Contatti: [email protected]

Identità: Scalabrini International Migration Institute - SIMI, Roma, Italia

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, religioni, strumenti d’intervento, forma-zione.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.simi2000.org/

Contatti: [email protected]

Identità: Society for the Study of Ethnic Relations and International Migration - ETMU,University of Helsinki, Helsinki, Finland

Classe: 3

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, lavoro, educazione e istruzione, razzismo ediscriminazione.

Tipologia: Associazione di ricercatori.

Internet: http://www.etmu.fi

Contatti: [email protected]

Identità: Sussex Centre for Migration Research - SCMR, University of Sussex, Brighton,England UK

Classe: 3

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, povertà urbana,cittadinanza, forma-zione.

Tipologia: Centro universitario di ricerca.

Internet: http://www.sussex.ac.uk/migration

Contatti: [email protected]

Identità: Swiss Forum for Migration and Population Studies - SFM, University of Neuchâtel,Neuchâtel, Switzerland

Classe: 3

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, asilo e rifugiati, razzismo ediscriminazione, identità culturali.

Tipologia: Istituto di ricerca.

Internet: http://www.migration-population.ch

Contatti: [email protected]

2.3 MIGRAZIONI, RICERCA E DOCUMENTAZIONE

2.3.1 La ricerca sulla multietnia e sulla multiculturalità

I centri di ricerca sulle migrazioni e sulla multietnicità di classe 4, nel mondo, sono numerosi

ma la maggior parte dei settantadue censiti sono concentrati geograficamente in Europa e

America del Nord.

L’urbanistica deve dare risposte a problemi nuovi che sono posti da comunità multietniche

complesse ed articolate. Il contributo “generalista” di tutti questi centri di ricerca si offre sul piano

metodologico ed informativo, con prevalenza dello specifico disciplinare sociologico e dell’ap-

proccio solidaristico.

La suddivisione che segue è stata effettuata per nazioni indicando, per ciascun centro di

classe 4, l’indirizzo internet della home page.

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Identità Nazione Web page

Human Rights and Equal Opportunity Commission Australia http://www.hreoc.gov.au/

Monash University - Centre for Intercultural Studies Australia http://www.arts.monash.edu.au/cais

Racial Respect Australia http://www.racialrespect.org.au/links/links.php

Refugee Council of Australia Australia http://www.refugeecouncil.org.au/

Victorian Multicultural Commission Australia http://www.multicultural.vic.gov.au/

Centro de Estudos Migratórios, São Paulo, Brasil Brasile http://www.cemsp.com.br/

Integration-Net Canada http://integration-net.ca/english/index.cfm

L’Office Québec-Amériques pour la Jeunesse Canada http://www.oqaj.gouv.qc.ca/

Danish Institute for International Studies Danimarca http://diis.dk

Danish Institute of Border Region Studies, Aabenraa Danimarca http://www.ifg.dk/

Institut for grænsregionsforskning Danimarca http://www.ifg.dk

Migrants Rights International - MIGRANTWATCH Egitto http://www.migrantwatch.org/

Institute for Human Rights - OIHR, Åbo Akademi, Turku Åbo Finlandia http://www.abo.fi/instut/imr/

Institute of migration, Turku Finlandia http://www.migrationinstitute.fi/

Joensuu Centre for Ethnic Studies Finlandia http://www.joensuu.fi/etnica/

Centre d’études et de recherches internationales CERI, Paris Francia http://www.ceri-sciencespo.com/

Hamburger Institut für Sozialforschung, Hamburg Germania http://www.his-online.de/cms.asp?Sprache=en

IMIS - Institut für Migrationsforschung und InterkulturelleStudien, Osnabrück

Germania http://www.imis.uni-osnabrueck.de/

Mediterranean Migration Observatory, Panteion University Grecia http://www.mmo.gr

MIGRANTE - Mission for Filipino Migrant Workers in HongKong (MFMW)

Hong Kong http://www.migrants.net/

International Association for the Study of Forced Migration Internazionale http://www.iasfm.org/

International Organization for Migration Internazionale http://www.iom.int/jahia/jsp/index.jsp

Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Torino Italia http://www.asgi.it

Centro di Ricerca sull’Integrazione Europea, Università diSiena

Italia http://www.gips.unisi.it/crie/news.php

Cespi Italia http://www.cespi.it

Europe Land of Asylum, European Refugee Fund, Roma Italia http://www.europelandofasylum.net

Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali,CNR

Italia http://www.irpps.cnr.it/sito/siamo.htm

Migration in the Balkan Area Italia http://www.migrbalkan.uniroma1.it/

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Identità Nazione Web page

Osservatori Associati sulle Immigrazioni Italia http://www.immigra.net

Institute of Migration and Ethnic Studies, University ofAmsterdam

Olanda http://www.pscv.uva.nl

Leiden University: History of International Migration Olanda http://www.let.leidenuniv.nl/history/migration

WWW Virtual Library of Migration and Ethnic Relations Olanda http://www.ercomer.org/wwwvl

Association for the Study of Ethnicity and Nationalism -London School of Economics and Political Science, London

Regno Unito http://www.lse.ac.uk/Depts/European/Asen/

Centre for European Migration and Ethnic Studies - CEMES,University of Sussex

Regno Unito http://www.cemes.org/

Centre for New Ethnicities Research, London Regno Unito http://www.uel.ac.uk/cner/

Institute of Race Relations Regno Unito http://www.irr.org.uk/

MERC - Migration and Ethnicity Research Centre,Sheffield

Regno Unito http://www.shef.ac.ukhttp://www.shef.ac.uk/uni/academic/I-M/merc

Migration Research Unit, University College London Regno Unito http://www.geog.ucl.ac.uk/mru/

The Research Centre for Transcultural Studies in HealthMiddlesex University, London

Regno Unito http://www.mdx.ac.uk/www/hebes/centres/rctsh.htmhttp://www.mdx.ac.uk

Refugee Studies Centre Queen Elizabeth House, Universityof Oxford

Regno Unito http://www.qeh.ox.ac.uk

Social Science Information Gateway Regno Unito http://www.intute.ac.uk/socialscien-ces/politics/

The EraM, Ethnicity, Racism and the Media Programme,University of Bradford

Regno Unito http://www.brad.ac.uk/bradinfo/ re-search/eram/eram.html

Transnational Communities. An ESRC Research Programme,University of Oxford

Regno Unito http://www.transcomm.ox.ac.uk/

Institute for Ethnic Studies, Ljubljana Slovenia http://www.inv.si/s1_vhod_a.HTM

Instituto Universitario de Estudios sobre Migraciones,Universidad Pontificia Madrid

Spagna http://www.upcomillas.es/pagnew/iem/index.asp

Centre for Research on Bilingualism, Stockholm Svezia http://www.biling.su.se/

Centrum KIM, Göteborg Svezia http://www.kim.gu.se

IMISCOE Network of Excellence Internazionale http://www.imiscoe.org/

Living History Project, Stockholm Svezia http://www.levandehistoria.org/

Mångkulturellt centrum, Botkyrka Svezia http.//www.mkc.botkyrka.se

Nordiska Afrikainstitutet Svezia http://www.nai.uu.se/

International Center for Immigration and Health, Universitéde Genève

Svizzera http://www.icmh.ch/

Center for Immigration Studies USA http://www.cis.org/

Center for Multlingual Multicultural Research, University ofSouthern California

USA http://www-bcf.usc.edu/~cmmr/

Center for the Study of Race and Ethnicity, BrownUniversity

USA http://www.brown.edu/Departments/Race_Ethnicity/

Centre for Basque Studies University of Nevada, Reno USA http://basque.unr.edu/

Ethnologue, Dallas USA http://www.ethnologue.com

Immigration History Research Center, University ofMinnesota

USA http://www.ihrc.umn.edu

Migration News, University of Califonia USA http://migration.ucdavis.edu

Minorities at Risk Group, University of Maryland USA http://www.cidcm.umd.edu/inscr/mar/

Swenson Swedish ImmigrationResearch Center, Illinois USA http://www.augustana.edu/swenson/

2.3.2 Documentazione e statistiche sulla multietnia

La documentazione sui fenomeni migratori che incidono sulle trasformazioni urbane e ter-

ritoriali, in chiave multietnica, è completata dalle informazioni che si possono attingere on line dai

cinquanta siti internet individuati, dei principali istituti nazionali ed internazionali di statistica.

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Identità Nazione Web page

Australian Bureau of Statistics Australia http://www.abs.gov.auBundesanstalt Statistik Österreich, Vienna, Austria http://www.statistik.atStatistics Belgium Belgio http://www.statbel.fgov.beNational Statistical Institue of the Republic of Bulgaria Bulgaria http://www.nsi.bgStatistics Canada Canada http://www.statcan.caCzech Statistical Office Ceca http://www.czso.czStatistical Service of the Republic of Cyprus Cipro http://www.mof.gov.cyNational statistical office of Korea Corea http://www.nso.go.krCentral Bureau of Statistics Croazia http://www.dzs.hrStatistics Denmark Danimarca http://www.dst.dkStatistical Office of Estonia Estonia http://www.stat.eeStatistics Finland Finlandia http://www.stat.fiInstitut National de la Statistique et des Études Économiques Francia http://www.insee.fr

Statistics for Wales Galles http://new.wales.gov.uk/topics/statistics/?lang=en

Federal Statistical Office Germany Germania http://www.destatis.deStatistics Bureau and Statistics Center Giappone http://www.statgo.jpThe National Statistical Service of Greece Grecia http://www.statistics.grCentral Statistics Office Irlanda http://www.cso.ieStatistical Bureau of Iceland Islanda http://www.statice.isIstituto Nazionale di Statistica Italia http://www.istat.itCentral Statistical Bureau of Latvia Latria http://www.csb.lvStatistics Lithuania Lituania http://www.std.ltService Central de la Statistique et des Études Économiques Lussemburgo http://www.statetec.gouvernement.luNational Statistics Office Malta Malta http://www.nso.gov.mtNational Statistics Messico http://www.inegi.gob.mxCentral Bureau of Statistics, Norvegia http://www.ssb.noStatistics New Zealand Nuova Zelanda http://www.stats.govt.nzStatistics Netherlands Olanda http://www.cbs.nlPolish Official Statistics Polonia http://www.stat.gov.plInstituto Nacional de Estatística Portogallo http://www.ine.pt/Office of National Statistics Regno Unito http://www.statistics.gov.uk/State Committee of the Russian Federation on Statistics Russia http://www.gks.ruStatistical Office of the Slovak Republic Slovacchia http://www.statistics.skStatistical Office of the Republic of Slovenia Slovenia http://www.stat.si/eng/index.aspInstituto Nacional de Estadística Spagna http://www.ine.es/Statistics Sweden Svezia http://www.scb.se/Swiss Federal Statistical Office Svizzera http://www.statistik.admin.chState Institute of Statistics Turchia http://www.die.gov.trHungarian Central Statistical Office Ungheria http://www.ksh.huEUROSTAT Unione Europea http://www.europa.eu.int/comm/eurostatTES-Institute Unione Europea http://www.restena.bu/tes.institute/The Labour Economics Gateway Unione Europea http://labour.ceps.luU.S. Census Bureau USA http://www.census.govGlobal Statistics Home Internazionale http://www.xist.org/default1.aspxOECD Statistics Internazionale www.oecd.org/stdThe World Bank Group Internazionale http://www.worldbank.org/Internationaler Monetary found, Washington Internazionale http://dsbb.imf.org/Applications/web/dsbbhome/United Nations Internazionale http://www.un.org/

UNECE - United Nations Economic Commission for Europe/Statistical Division

Internazionale http://www.unece.org/stats/

WHO - World Health Organization Internazionale http://www.who.int/en/

Infine, per l’Italia, la documentazioni è completata dai riferimenti di altri venticinque centri,

istituzioni ed associazioni che si occupano di immigrazione, discriminazione, multiculturalità ed

integrazione. Evidentemente, non si tratta di un censimento ma di uno spaccato aperto sul

mondo dell’associazionismo che si sta sviluppando attorno al fenomeno delle migrazioni e della

società multiculturale italiana.

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Identità Nazione Web page

Africa e Mediterraneo Italia http://www.africaemediterraneo.it

Associazione Lavoratori Emigrati del Friuli Venezia Giulia Italia http://www.alef-fvg.it/

Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere Italia http://www.anolf.it/

Associazione per i Popoli Minacciati Italia http://www.gfbv.it/index.html

Archivio Immigrazione Italia http://www.archivioimmigrazione.org/

Associazione Rieti Immigrant - Provincia Italia http://www.ariweb.it/

Armadilla Italia http://www.armadilla.org/

Assadakah Italia http://www.assadakah.it/index.php

Associazione Erranza Italia http://www.erranza.com/

Baobab Comunità immigrate a Roma a cura dei Missionari Scalabriniani

Italia http://www.baobabroma.org

Caritas Diocesana Italia http://www.caritasitaliana.it

Fondazione Migrantes Italia http://www.migrantes.it

Centro Documentazione / Laboratorio per un’educazione inter-culturale

Italia http://urp.comune.bologna.it/WebCity/WebCity.nsf/

CEM Mondialità Italia http://www.saveriani.bs.it/cem/

Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo Italia http://www.cies.it

Consiglio Italiano per i Rifugiati Italia http://www.cir-onlus.org/

Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli Italia http://www.cisp-ngo.org/

Clandestinos.it Italia http://www.clandestinos.it/home.asp

La città dei diritti umani Italia http://www.sgi-italia.org/mdirumani/index.asp

Laboratorio di biblioteca interculturale Italia http://www.bibliotecainterculturale.it/

Progetto Atlante Immigrazione Italia http://www.provincia.torino.it/xatlante/index.htm

Progetto MELTING POT Europa Italia http://www.meltingpot.org/

Immagine Immigrati Italia Italia http://www.immagineimmigratitalia.it/

Archivio delle Comunità Straniere Italia http://www.archiviocomunita.org

2.4 VALUTAZIONI E PROSPETTIVE DI STUDIO

2.4.1 La suddivisione geografica della ricerca

La classificazione e schedatura dei centri di ricerca e delle altre istituzioni e, soprattutto, la di-

samina delle relative attività delineano un stato dell’arte, offrendo argomenti di riflessione ed indi-

cazioni per finalizzare le ricerche a farsi. Anche se non si tratta di un’indagine esaustiva, il grado di

approssimazione è adeguato per stabilire una buona base di partenza in relazione agli obiettivi

che il progetto di ricerca si era posto in termini di avanzamento delle conoscenze e di indirizzo de-

gli sforzi da compiere per realizzare il contributo dell’urbanistica alla convivenza civile e colta dei

diversi: cosa si è fatto, cosa si fa, cosa si può fare di più e meglio, per costruire la città interetnica.

Il fenomeno migratorio e la nuova caratterizzazione multietnica delle città e metropoli con-

temporanee sono temi abbastanza sentiti a livello internazionale e questo è confermato dall’am-

pia presenza nel web. La comunità scientifica che si interessa alla città multietnica è abbastanza

diffusa geograficamente ed articolata sul piano disciplinare ma la ricerca più propriamente urba-

nistica è alquanto limitata.

La consultazione di oltre seicento siti ha consentito di selezionare duecentouno(201) istitu-

zioni che sono state classificate nei sei gruppi così come definiti nella metodologia.

La città multietnica è oggetto di interesse, più o meno diretto, di ben centoventisette(127)

centri di ricerca attivi in ventitrè nazioni (classi 1, 2, 3, 4) mentre il carattere prevalentemente in-

ternazionale distingue tre centri di ricerca.

In Italia, l’analisi più approfondita ha evidenziato la presenza di ben venti(20) istituzioni di

ricerca interessate al tema anche se, naturalmente, con diverse sfumature, angolature disciplinari

e rilevanza scientifica.

Per tutti gli altri Paesi, il grado di approfondimento è stato il medesimo e consente di effet-

tuare la comparazione che mostra in prima posizione il Regno Unito (17) a cui seguono gli USA

(15) e il Canada (11).

Il secondo raggruppamento comprende la Svezia (8), l’Australia e Olanda (7), la Francia e la

Germania (6), la Finlandia (5), l’Austria e la Danimarca (4), la Svizzera (3) e il Portogallo (2).

L’ultimo gruppo comprende il Belgio, il Brasile, l’Egitto, la Grecia, Hong Kong, la Norvegia, la

Slovenia, la Spagna e l’Ungheria (1).

I centri di ricerca sulla città multietnica e, più in generale, su migrazioni e multiculturalità,

sono presenti quasi esclusivamente nei paesi economicamente e tecnologicamente avanzati.

Sono più sensibili ai problemi della convivenza quelle società dove la coesistenza plurise-

colare deriva dall’origine stessa della nazione, come il Canada, l’Australia e gli USA, e quelle

nazioni che, avendo sviluppato politiche colonialiste, hanno ricevuto forti ondate migratorie,

come il Regno Unito, l’Olanda, la Francia. Una significativa attività si riscontra anche in paesi con

una tradizione di tolleranza e di civiltà evoluta come la Svezia e la Finlandia.

Infine, risaltano la Germania che negli ultimi venti anni ha ricevuto fortissimi flussi migra-

tori dal Medio Oriente e l’Austria dove la presenza di istituzioni internazionali ha creato un humus

favorevole alla ricerca sulla multietnicità.

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Tabella riepilogativa dei centri di ricerca sulla città multietnica suddivisi per classi e nazioni

Nazione/Classe Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 TOTALE

Australia 0 0 2 5 7

Austria 1 0 3 0 4

Belgio 0 0 1 0 1

Brasile 0 0 0 1 1

Canada 5 3 1 2 11

Danimarca 0 0 1 3 4

Egitto 0 0 0 1 1

Finlandia 0 0 2 3 5

Francia 2 2 1 1 6

Germania 0 0 4 2 6

Grecia 0 0 0 1 1

Hong Kong 0 0 0 1 1

Internazionali 0 0 0 3 3

Italia 2 7 4 7 20

Norvegia 1 0 0 0 1

Olanda 2 1 1 3 7

Slovenia 0 0 0 1 1

Spagna 0 0 0 1 1

Portogallo 1 1 0 0 2

Svezia 0 1 2 5 8

Svizzera 0 0 2 1 3

Regno Unito 0 0 6 11 17

Ungheria 0 1 0 0 1

USA 3 0 3 9 15

TOTALE 17 16 33 61 127

2.4.2 La gerarchia delle tematiche della ricerca

La ricorrenza delle parole chiave costituisce una significativa chiave di lettura delle attività

dei centri di classe 1, 2, 3 che, più o meno direttamente, affrontano temi e problemi della città

multietnica.

Le parole chiave più frequenti, nell’ordine, sono: esclusione/inclusione sociale (50), identità

culturali (37), politiche per l’immigrazione (36), cittadinanza (25). Gli aspetti sociali e culturali,

quindi, sono in prima linea tra gli interessi della comunità scientifica dedita agli studi urbani che

analizza le risposte della politica ai problemi dei nuovi cittadini.

La frequenza della parola chiave documentazione (24), testimonia e pesa l’offerta di dati ed

informazioni ponderati da parte di un significativo numero di centri di ricerca. C’è, poi, un se-

condo gruppo di parole chiave abbastanza ricorrenti: formazione (14), razzismo e discriminazione

(14), lavoro (13), alloggio (12), politiche urbane (10), asilo e rifugiati (10).

Si entra nel vivo dei due principali problemi che gli immigrati affrontano nel paese stra-

niero: l’occupazione lavorativa e la casa. Inoltre, alla riflessione sulle varie forme di discriminazione

razziale si accompagna la sensibilizzazione verso i profughi e gli esuli.

L’ulteriore gruppo di parole chiave ci sposta verso lo specifico disciplinare dell’urbanistica:

segregazione/integrazione spaziale (9), strumenti per la conoscenza (9), educazione e istruzione

(8), unità di vicinato (7), servizi urbani (7), governance (6), integralismi e conflittualità (6), religioni

(6), pianificazione territoriale e urbanistica (5).

Centri di ricerca con interessi specializzati affrontano altre tematiche che emergono attra-

verso le parole chiave meno frequenti: diritto (4), aree metropolitane (2), identità urbane (2), atti-

vità produttive (2), clandestini (2), genere (2), partecipazione (2), nuove tecnologie tlc (1), proget-

tazione urbana (1), strumenti d’intervento (1), lingue (1), povertà urbana (1), sport (1).

Si sottolinea che per un solo centro di ricerca (Commission for Racial Equality, Londra) si è

rilevata l’attenzione allo sport che, invece, può essere un importante strumento per l’inclusione

sociale e l’integrazione culturale degli immigrati, come si illustra nel capitolo quarto.

Infine, è significativo che importanti oggetti del dibattito urbanistico rimangono fuori dalle

attività di ricerca sulla città multietnica: attrezzature collettive, centri storici, città diffusa, proget-

tazione architettonica, sostenibilità.

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Ricorrenza delle parole chiave utilizzate per la schedatura dei centri di ricerca di classe 1, 2, 3 e per i solicentri di classe 1

Parola chiave Classe

1, 2, 3 1

Esclusione/inclusione sociale 50 12

Identità culturali 37 10

Politiche per l’immigrazione 36 4

Cittadinanza 25 5

Documentazione 24 4

Formazione 14 3

Razzismo e discriminazione 14 1

Lavoro 13 1

Alloggio 12 6

Politiche urbane 10 7

Asilo e rifugiati 10 1

Segregazione/integrazione spaziale 9 7

Strumenti per la conoscenza 9 2

Educazione e istruzione 8 2

Unità di vicinato 7 5

Servizi urbani 7 2

Governance 6 2

Integralismi e conflittualità 6 0

Religioni 6 0

Pianificazione territoriale e urbanistica 5 5

Parola chiave Classe

1, 2, 3 1

Diritto 4 0

Aree metropolitane 2 2

Identità urbane 2 2

Attività produttive 2 0

Clandestini 2 0

Genere 2 0

Partecipazione 2 0

Nuove tecnologie tlc 1 1

Progettazione urbana 1 1

Strumenti d’intervento 1 0

Lingue 1 0

Povertà urbana 1 0

Sport 1 0

Attrezzature collettive 0 0

Centri storici 0 0

Città diffusa 0 0

Periferie 0 0

Piccoli centri 0 0

Progettazione architettonica 0 0

Sostenibilità 0 0

I centri che affrontano attraverso progetti mirati i temi e problemi della città multietnica

sono risultati diciassette, hanno un approccio multidisciplinare ma l’urbanistica ha una posizione

preminente o, comunque, importante.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, il maggior numero di presenze si riscontra

in Canada (5) e negli USA (3). Due presenze si rilevano in Francia, Italia e Olanda, una sola presenza

in Austria, Norvegia e Portogallo.

Per quanto riguarda la tipologia, prevalgono i centri universitari, anche in associazione con

enti di ricerca come il CNR il Italia, il CNRS in Francia, il Norwegian Research Center in Norvegia.

La verifica della ricorrenza delle parole chiave limitatamente ai diciassette centri che hanno

progetti di ricerca dedicati alla città multietnica (classe 1) conferma l’approccio sociologico ed an-

tropologico: esclusione/inclusione sociale (12), identità culturali (10).

La specificità dell’urbanistica emerge da parte delle più mirate ricerche sui temi delle poli-

tiche urbane (7), della segregazione/integrazione spaziale (7), dell’alloggio (6), a cui seguono cit-

tadinanza (5), pianificazione territoriale e urbanistica (5), unità di vicinato (5) e politiche per l’im-

migrazione (4).

I centri di ricerca che rendono disponibile documentazione di ambito urbanistico (4), sono

ubicati in Francia, Canada e due negli USA.

Minore ricorrenza, per i centri di ricerca urbanistica schedati, hanno le parole chiave, aree

metropolitane (2), educazione e istruzione (2), formazione (3), governance (2), identità urbane (2),

servizi urbani (2), strumenti per la conoscenza (2). Infine, isolato è l’interesse per asilo e rifugiati, la-

voro, nuove tecnologie tlc, progettazione urbana, razzismo e discriminazione (tutti 1). Non com-

paiono le altre diciotto parole chiave (vedi tabella).

Notevole è la bibliografia a cui la schedatura ha dato accesso consentendo d’individuare

molti testi disponibili on line che illustrano i risultati delle ricerche concluse ed corso nei centri.

L’attività di formazione, istituzionalizzata e specifica, sul tema della città multietnica è stata

riscontrata, in Italia, ad opera della Fondazione Aldo Della Rocca (Roma). La Fondazione ha realiz-

zato due corsi specifici di alta formazione post-universitaria (2004 e 2005) ed ha recentemente pro-

mosso il corso di laurea magistrale in “Pianificazione territoriale urbanistica - Governo delle trasfor-

mazioni urbane per la città europea interetnica cablata” in collaborazione con la Facoltà di

Architettura dell’Università degli Studi di Palermo e la Link Campus University of Malta.

Sempre in Italia, la Fondazione Giovanni Michelucci (Firenze) ha realizzato, nel 2000, il cam-

pus “Le culture dell’abitare” che ha prodotto la “Carta della progettazione interculturale”.

In Francia, si segnala l’attività formativa del Migrations internationales, espaces et sociétés

ed in Olanda quella dell’Institute for Migration and Ethnic Studies (Olanda). Meno mirate sono le

attività di formazione svolte dal Centre d’Etudes Ethniques des Universités Montréalaises

(Canada), Joint Centre of Excellence for Research on Immigration and Settlement (Canada),

International Migration and Ethnic Relations (Norvegia), Institute for Research on Race and Public

Policy (USA), Unité de Recherche Migrations et Société (Francia).

In conclusione, la ricerca sulla città multietnica è abbastanza circoscritta ma esistono centri

di eccellenza che, in alcuni casi, collaborano tra loro, come i centri di ricerca del Progetto

Metropolis, in Canada, che hanno attivato anche una rete internazionale. 89

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Fig. 5 - Home page del Immigration andMetropolis - IM, Inter-University Research Centreof Montreal on Immigration, Integration andUrban Dynamics, Montreal, Canada.

Un’altra importante rete è costituita dal International Migration, Integration and Social

Cohesion in Europe - Network of Excellence che è coordinato dall’Institute for Migration and

Ethnic Studies.

In Italia, è significativa l’attività di ricerca e formazione della Fondazione Aldo Della Rocca

che ha creato collegamenti ed interazioni tra numerosi centri di ricerca, università, enti locali ed

altri stakeholders.

Come si è illustrato, è ampia l’attività di ricerca e documentazione che si è definita “genera-

lista” sulle migrazioni, le trasformazioni sociali ed economiche, le varie forme di discriminazioni

razziale e le strategie per l’integrazione.

La letteratura scientifica “generalista” è vastissima e, in molti casi, è disponibile on line. Più li-

mitata è la quantità di pubblicazioni che affrontano specificamente il tema della città multietnica,

i problemi, le strategie e gli strumenti d’intervento.

Esiste, dunque, un patrimonio importante su cui fondare i nuovi percorsi di ricerca che do-

vranno promuovere la reciproca conoscenza e la collaborazione tra tutti i ricercatori che, nel

mondo, lavorano per costruire la convivenza civile e colta dei diversi nella città multietnica per

realizzare la città interetnica.

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2.5 RIFERIMENTI

2.5.1 Bibliografia

Alidair Rogers A., Tillie J. (2001), Multicultural Policies and Modes of Citizenship in European Cities, Ashgate,Aldershot.

Andersson M. (2005), Urban Multi-Culture in Norway: Identity Formation among Immigrant Youth, EdwinMellen Press, New York.

Andersson M., Lithman Y., Sernhede O. (eds.) (2005), Youth, Otherness, and the Plural City: Modes of Belongingand Social Life, Daidalos, Gothenburg.

Apparicio P., Leloup X., Rivet P. (2006) La répartition spatiale des immigrants à Montréal: apport des indices deségrégation résidentielle, Centre de recherche interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’inté-gration et la dynamique urbaine, Montreal.

Beguinot C. (a cura di) (2003), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla città interetnica (Europea), GianniniEditore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2004), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla città interetnica (Europea), GianniniEditore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2005), La formazione dei Manager per la città dei diversi. Città di genti e culture: Da“Megaride 94” alla città europea cablata e interetnica, Giannini Editore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2006), La formazione dei manager governo delle trasformazioni urbane Città interetnicacablata, Giannini Editore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2008), Genetica e destino di un percorso. Città cablata Carta di Megaridi ’94 CittàEuropea Interetnica, Giannini Editore, Napoli.

Bernèche F. (2005), L’accueil et l’accompagnement des immigrants récemment installés en HLM dans des quar-tiers montréalais: l’expérience du projet Habiter la mixité, INRS-Urbanisation, Culture et Société,Montréal, Québec.

Christian R. (2000), L’ethnicité dans la cité: Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique, L’Harmattan, Logiquessociales, Paris (http://www.unice.fr/urmis-soliis/EthniciteCite.html).

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Capitolo 3

I luoghi della socializzazione per una cultura condivisa

“Preferiamo essere sognatori tra i più umili,

con visioni da realizzare piuttosto che principi

di un popolo senza né sogni né desideri”.

Kahlil Gibran, Spiritual Sayings (1962)

La dialettica irrisolta tra culture globali ed identità locali può condurre alla conflittualità piuttosto

che alla condivisione di valori ed intenti. I conflitti tra i nuovi fondamentalismi e la marginalità sociale

diffusa nelle città contemporanee incrementano l’incomunicabilità ed il senso di insicurezza (reale

o percepita), ostacolando l’interazione tra diversi. L’approfondimento effettuato da Gabriella Esposito

De Vita mette in relazione i comportamenti deviati e le conflittualità scaturite dalla diffusione della

etnodiversità con l’incapacità degli spazi e luoghi urbani di favorire la socializzazione. Da un con-

fronto incrociato tra stato dell’arte della ricerca, principi enunciati in sedi istituzionali e scientifiche

ed esperienze progettuali emerge la necessità di intervenire sul tessuto urbano creando/valoriz-

zando e mettendo in relazione i luoghi dell’interazione. I punti luce di questa architettura del dia-

logo sono costituiti dai sistemi integrati per la residenza, nei quali giocano un ruolo fondamentale le

attrezzature collettive e gli spazi pubblici.

3.1 LE PREMESSE DI UNA RICERCA: DALLA PAURA ALLA SOCIALIZZAZIONE INTERCULTURALE

“Io faccio fatica a pensare di essere solo di Trinidad, là dove sono nato, perché le identità che

si sono intrecciate nella mia vita sono multiple. Tutte le identità sono posticce … e ricercarne

una sola a tutti i costi può portare seri guai”.

Vidiadhar S. Naipaul (2007)

In una società globalizzata – che da un lato moltiplica gli scambi e dall’altro incrementa

forme di segregazione sociale, culturale, etnica sempre più spinte – non si può affrontare lo stu-

dio della città senza considerarne la complessità sociale e la composizione etnica (Melotti, 2004).

La città contemporanea ha, infatti, assunto in forma più o meno matura la dimensione multietnica

e, in assenza di strategie e politiche appropriate, non ne sta liberando le potenzialità ma, sovente,

solo le tensioni e le conflittualità (Signorelli, 2000). Recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce

i problemi connessi alla mancata integrazione etnica in città nelle quali le relazioni sono sempre

più mediate e manipolate e gli spazi e le funzioni urbane sempre più inadeguati a raccogliere una

domanda complessa.

La ricerca svolta ha cercato di identificare il sintomo – evidenziato da tensioni, violenze, in-

comunicabilità che rendono la città insicura – per poter sviluppare una diagnosi del problema –

in chiave urbanistica – e proporre, senza pretese di oggettività deterministica, una possibile cura

– mediante la realizzazione di sistemi di spazi e luoghi per l’interazione e l’aggregazione, al di

fuori delle dilaganti logiche consumistiche.

I temi dell’insicurezza urbana e del rischio sociale costituiscono un’emergenza nella realtà

urbana e nella percezione corrente, soprattutto quando associati al tema dell’immigrazione. La

consapevolezza che, celata dal processo d’interconnessione digitale globale e dall’accelerazione

dei flussi migratori, si sia sviluppata una nuova forma di criminalità organizzata internazionale,

che alcune comunità di immigrati in Europa abbiano riempito le sacche più marginali dell’econo-

mia illegale, che l’immigrazione clandestina arricchisca le schiere dei disperati tra le quali si ap-

provvigionano le mafie locali e il terrorismo internazionale, in generale, lo sviluppo del nuovo uni-

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verso criminale multietnico1 concorre ad alimentare chiusure e diffidenze interetniche (Dal Lago,

1999).

Anche escludendo gli estremi della criminalità organizzata, del fondamentalismo religioso

e della xenofobia, la presenza di gruppi alloctoni sempre più nutriti, che sovente si concentrano in

aree già in crisi, incrementa un sentimento diffuso di inquietudine che inibisce lo sviluppo di re-

lazioni ed interazioni tra culture ed etnie diverse (Huysmans, 2000). Campagne demagogiche da

un lato e interventi repressivi dall’altro completano uno scenario complesso. Per affrontare in

chiave interpretativa ed operativa il tema, si è scelto di concentrare l’attenzione sui luoghi fisici e

culturali per l’aggregazione nella città multietnica mediante un duplice approccio:

– attingendo da studi interdisciplinari per inquadrare il tema della città multietnica nel-

l’ambito del radicale mutamento culturale, sociale, politico ed economico che va sotto il

nome di globalizzazione,

– approfondendo in chiave urbanistica la configurazione degli spazi idonei a favorire l’in-

terazione tra culture diverse.

L’obiettivo di favorire la socializzazione, quale contrappunto alla tendenza alla segrega-

zione e alla conflittualità, mediante la creazione di luoghi e spazi idonei, viene perseguito con una

riflessione sul modo nel quale le diverse culture ed etnie si incontrano, ma anche sulle trasforma-

zioni fisiche e funzionali che tali incontri determinano.

Come si è già illustrato nei precedenti capitoli, lo studio ad ampio raggio sullo stato del-

l’arte della ricerca ha evidenziato che l’impegno maggiore si riscontra in ambito europeo o in

paesi nei quali storicamente la matrice europea si è innestata, in modo talvolta violento, sulla

composizione etnica della popolazione preesistente.

Nei paesi con una storia colonialista ed un presente multirazziale, forse anche con un in-

tento risarcitorio, si moltiplicano studi, sperimentazioni e politiche orientate a favorire la convi-

venza multietnica2. Pur partendo, quindi, da esperienze diverse, l’ampiezza del tema ha condotto

a concentrare l’attenzione sulla città europea, per mettere a punto un protocollo da testare, poi,

su altre realtà. Questo taglio specifico consente, da un lato, di non rischiare un’approssimazione

generalista e, dall’altro, di utilizzare quale guida “progettuale” la forte connotazione identitaria de-

gli spazi e dei luoghi europei.

Nel panorama multietnico si riscontrano scelte localizzative e forme insediative ricorrenti

che possono essere interpretate come tasselli della nuova urbanizzazione; in particolare, si pro-

pone una possibile interrelazione tra gli spazi e i luoghi urbani e le diverse forme di conflittualità

o di socializzazione che la convivenza multietnica determina (Amselle, 1999).

Tra le diverse componenti insediative, e le relative politiche e i progetti attuati e/o in itinere,

si focalizza l’attenzione sul tema della configurazione degli spazi di aggregazione in generale e,

nel capitolo successivo, dei luoghi per lo sport (Martiniello, Piquard, 2002).

La dimensione multietnica rende particolarmente arduo il tema delle difficoltà relazionali,

delle tensioni e dei conflitti che già albergano nella città contemporanea, e offre lo spunto per ri-

flettere sulla capacità degli strumenti urbanistici dei quali disponiamo di interpretare la domanda

di una società complessa e globalizzata senza arrendersi a filosofie d’intervento sempre più par-

ziali ed asistemiche.

La disciplina urbanistica può contribuire ad interpretare e offrire risposta quantitativa e

qualitativa alla domanda espressa da una popolazione urbana figlia della globalizzazione. Il pas-

saggio da una geografia dei luoghi ad una geografia dei flussi ha, infatti, modificato profonda-

mente l’approccio allo studio ed alla pianificazione del territorio (Castells, Hall, 1994).

1 “I flussi d’immigrazione e la diffusione delle TLC non sono solo Variabili Sociologiche significative ma rappre-sentano uno stravolgimento del tradizionale concetto di stato nazionale, dissociando l’identità dall’appartenenza geo-grafica; ciò ha influito sul sistema macro e microcriminale e sulla percezione del crimine da parte degli abitanti delle cittàoccidentali. Il timore xenofobo nei confronti dell’immigrato – in particolare per quanto concerne i reati appropriativi –distoglie l’attenzione dagli obiettivi di integrazione”. Cfr. Il capitolo su “Giustizia e Sicurezza” del 19° Rapporto Italiadell’Eurispes (2007).

2 Come si è evidenziato nel secondo capitolo si rileva una maggiore sensibilità al tema in Australia, USA, e Canadaed in Europa: Finlandia, Francia, Olanda, Regno Unito e Svezia.

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Non è realistico pensare che buone pratiche dell’urbanistica e dell’architettura possano

contrastare (eliminare) la ferocia degli opposti fondamentalismi o i comportamenti frutto di in-

cultura. Però, è possibile pensare che la creazione di spazi adeguati per la vita associata possa fa-

vorire un incontro nel quale la reciproca influenza faccia progredire tutti i soggetti coinvolti, ridu-

cendo il senso d’insicurezza e la conflittualità3.

3.2 L’NSICUREZZA URBANA E IMMIGRAZIONE: IL RUOLO DEGLI SPAZI E DEI LUOGHI

I cinesi lavorano come bestie, strisciano come biscie, sono più silenziosi dei sordomuti, non pos-

sono avere forme di resistenza e di volontà. L’assioma nella mente di tutti, o quasi di tutti, è que-

sto. Zhang invece aveva resistito, aveva tentato di scappare quando il meccanico l’aveva avvici-

nata, ma non poteva denunciarlo. Era cinese, ogni gesto di visibilità è negato.

Roverto Saviano, Gomorra (2006)

3.2.1 Il senso d’insicurezza (i luoghi della paura) nella città contemporanea

Uno dei temi centrali per coloro che studiano la città contemporanea è il crescente senso

d’insicurezza che si riscontra negli ambiti urbani; il rischio reale o percepito e la conflittualità – ali-

mentati dalla spersonalizzazione delle relazioni tipica della città contemporanea globalizzata –

stanno condizionando stili di vita e ambiente urbano.

Nella città postmoderna, teatro di scambi immateriali, di accentuato individualismo e di

consumi esasperati, le disparità sociali e la pressione dei flussi migratori generano tensioni e con-

flittualità. Ciascun abitante sviluppa molteplici contatti che raramente diventano relazioni e con-

ducono alla reciproca conoscenza; più spesso esse generano diffidenza e timore, che conducono

a trincerarsi piuttosto che ad interagire.

In tale contesto aumenta il valore dello status, delle convenzioni, dei simboli che consen-

tono la riconoscibilità e l’appartenenza sociale. Si sviluppa, quindi, una riduzione dell’individuo,

con il suo patrimonio culturale e umano, ad una pedina nella scacchiera, il cui valore è monetiz-

zabile (Simmel, 1908). La spersonalizzazione delle relazioni interpersonali è, insieme, causa ed ef-

fetto della complessità dello scenario sociale della città contemporanea. La sostituzione delle in-

terazioni reali con stereotipi convenzionali incoraggia ad incasellare le persone in schemi preor-

dinati ed a instaurare contatti in base alla riconoscibilità dell’appartenenza. Ciò alimenta il senso

d’insicurezza generato dall’incontro con individui e situazioni non immediatamente riconducibili

ad uno schema preordinato: la diffidenza per le diversità (Bonacchi, Groppi 1993).

La società nordamericana è giunta a riflettere su tali temi già negli anni venti, a causa di al-

cune peculiarità fondanti quali la genesi legata a massicce immigrazioni, la specificità del rap-

porto stato-cittadino, il diffuso sentimento antiurbano, l’assenza di una politica pubblica degli al-

loggi, per citare solo le più significative (Petrillo, 2000). Come hanno evidenziato le ricerche della

Scuola ecologica di Chicago4, in questa fase si estremizza l’indebolimento delle relazioni primarie

a favore di una comunità fondata sulle relazioni secondarie, nella quale la mediazione ed il con-

trollo sono affidati all’opinione pubblica. Queste varie forme di interazione che si creano tra gli in-

dividui nella città sono state ampiamente scandagliate (Park et al., 1925) a partire dalla forma di

organizzazione sociale elementare costituita dal vicinato, un luogo che conserva parte delle pro-

prie tradizioni, della propria storia e delle proprie caratteristiche tipiche delle comunità rurali.

3 È ormai opinione condivisa in molteplici filoni di ricerca che la qualità della vita associata dipenda da un si-stema integrato di fattori tra i quali spicca quello educativo (prevenzione precoce), quello sociale (condizionamenti delcontesto) e quello situazionale (Davis, 1998).

4 La Scuola ecologica di sociologia di Chicago è stata animata, a partire dal 1916 e per tutti gli anni quaranta, dadiverse generazioni di ricercatori; tra di essi spiccano i cosiddetti “urbanologi” come R. Park, L. Wirth (Urbanism as a way oflife) E. Burgess, R. McKenzie, E. Zorbaugh e altri studiosi come E. Bogardus, H. Lasswell, G.H. Mead, F. Merrill, W. Ogburn, R.Redfield, S. Stouffer. La piattaforma comune di studio è l’interpretazione degli effetti sociali dell’urbanizzazione.

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Secondo tale scuola di pensiero, si manifesta un legame stretto tra la disgregazione sociale

tipica delle grandi città e metropoli contemporanee ed i comportamenti deviati.“(…) lo sviluppo

delle città è stato accompagnato dalla sostituzione di relazioni indirette e secondarie alle relazioni

dirette, immediate e primarie nelle associazioni degli individui nella comunità (…). Sotto le in-

fluenze disgregatrici della vita cittadina, la maggior parte delle nostre istituzioni tradizionali – la

chiesa, la scuola e la famiglia – si sono notevolmente modificate” (Park et al., 1925, p. 24).

Dell’esperienza di Chicago appare utile sottolineare il ruolo attribuito al comportamento

individuale ed all’interazione fra gli individui piuttosto che al solo condizionamento delle strut-

ture sociali e culturali. Ne consegue che se “l’aria della città rende liberi” dal fardello dell’intreccio

di relazioni e condizionamenti che caratterizza la società rurale, nel contempo, innesca un mecca-

nismo di solitudine ed anonimato che costituisce un fertile humus per la devianza, da un lato, e il

senso d’insicurezza, dall’altro (Martiniello, Piquard, 2002).

Le sperimentazioni sul campo effettuate dalla Scuola Ecologica nella Chicago degli anni

trenta portano all’attenzione della comunità scientifica e delle istituzioni le relazioni tra la confor-

mazione e l’uso degli spazi e i comportamenti deviati. Un interessante sviluppo di tali determina-

zioni è offerto dagli studi di Jane Jacobs che offrono un contributo fondamentale alla costruzione

delle basi scientifiche dell’approccio ambientale alla sicurezza, riportando al centro dell’atten-

zione i codici non scritti dell’autorganizzazione e del senso di comunità ascrivibili alla dimensione

dell’unità di vicinato della tradizione anglosassone (Jacobs, 1961). I punti di contatto tra spazi e

funzioni urbane ed attività criminose formano oggetto di studi empirici condotti principalmente

negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale; questi approcci, così come gli studi sui luoghi propizi al-

l’esercizio di attività criminose5, sono estremamente utili a tracciare un profilo delle conflittualità.

5 La scuola ecologica continua ad affrontare, con sempre maggiore specializzazione, il tema della localizzazionedel crimine, ovvero del rapporto tra i luoghi e gli ambienti propizi al crimine.

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Fig. 1 - Immagini di vita metropolitana: il degrado degli spazi pubblici

L’unico fattore che accomuna la Napoli del centro storico con l’espansione residenziale delle “mani sullacittà” è il degrado degli spazi pubblici e di quelli di mediazione pubblico privato. Qui si manifesta in modopiù marcato e peculiare quanto avviene nelle grandi città occidentali (foto dell’autore).

Anche se la società attuale è molto meno pericolosa di quanto non fosse in un passato re-

lativamente recente, è aumentata la percezione del pericolo e, quindi, la paura (Amendola, 2003).

Per questo scenario di assuefazione all’insicurezza è stato coniato il termine di “criminologie della

vita quotidiana” che rappresentano i fenomeni criminali come fisiologici al modello di consumo

che anima lo stile di vita occidentale e “risultanti da una combinazione di contingenze, di oppor-

tunità e di rischi inseriti nell’ordinario svolgersi della vita di tutti noi” (Selmini, 2004, p. 38).

Il “rischio sociale”, che esprime il senso di insicurezza percepito dalla comunità urbana nei

confronti di fenomeni quali la macro e microcriminalità, gli atti predatori e gli atti vandalici nei

confronti degli spazi collettivi, è speculare al degrado ambientale e alla marginalità ed al disagio

sociale (Body-Gendrot S., 2000).“Le ricadute sociali di un simile sentimento di insicurezza possono

essere molteplici: possono inibire processi di integrazione sociale e disincentivare la partecipa-

zione ad attività prosociali; possono comportare il ritiro dagli spazi pubblici (che in tal modo di-

ventano ancora più preda della criminalità), l’aumento dei costi (individuali e collettivi) delle

spese per la sicurezza, fenomeni di fuga e di migrazione” (Patalano, 2006, p. 12).

6 Queste città scandite da recinti che racchiudono situazioni omogenee per censo, etnia, classe sociale, …, sonoda tempo diffuse nelle Americhe e cominciano a comparire anche nelle città europee, nonostante la resistenza oppostada una tradizione interclassista delle città storiche.

7 A partire dagli anni novanta, in Italia, si registrano esperienze di recupero di aree degradate, raccolte sotto ilnome di programmi complessi, che integrano la dimensione fisica e funzionale con quella dell’equità sociale (Gerundo,2000 e Esposito, 2002).

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Fig. 2 - Città recinto di recinti: dalla sorveglianza elettronica alla vita “dietro le sbarre” (foto dell’autore).

La paura governa le scelte in molteplici settori e sta condizionando in modo sempre più si-

gnificativo i comportamenti umani e l’organizzazione urbana. La cinta muraria, che nel passato di-

fendeva dai pericoli esterni, è stata introiettata e trasformata in una sequela di barriere urbanisti-

che che frammentano il tessuto fisico e relazionale della città. Quando questo processo si associa

a scelte di autosegregazione spaziale, in aree specializzate in base alla classe sociale, il divario e

l’incomunicabilità aumentano. Si sviluppano mondi contigui ma separati in modo più o meno ri-

gido, fino agli estremi delle gated communities6, che separano mediante recinti fisici il benessere

dalla povertà.“E la città viene a configurarsi come un recinto di recinti, un compenetrarsi razionale

ed irrazionale di barriere che ostacolano, frenano e interdicono i rapporti sociali, sia fisici che vir-

tuali, ed il progetto urbanistico assume le sembianze di una partita “giocata in difesa”, senza grinta,

senza stile, senza mordente, che anche in caso di vittoria lascia tutti insoddisfatti perché … brutta

da vedersi” (Coletta, 2003, p. 11).

Mentre proliferano le politiche orientate ad incrementare la protezione delle potenziali vit-

time e la repressione (pubblica sicurezza), la prevenzione dei potenziali atti criminosi (precoce, so-

ciale e situazionale), è ancora in via di definizione il contributo della pianificazione urbanistica alla

sicurezza7.“Emerge con forza l’esigenza di ricucire i frammenti fisici di città attraverso la progetta-

zione di nuovi spazi aperti e l’integrazione dei diversi gruppi della società civile. La frammenta-

zione sociale e il degrado fisico della spazio urbano costituiscono problemi affrontabili in sede lo-

cale pur se le cause possono riferirsi a processi globali” (Acierno, 2003, p. 27).

Non è casuale che la “Nuova Carta di Atene”, adottata a Lisbona il 20 novembre 2003 dal

Consiglio europeo degli urbanisti, assume la visione della “connected city” quale guida dei pro-

cessi di costruzione di una città europea espressione di una società multiculturale ed intercon-

nessa:“The future welfare of humanity requires people to be considered both as individuals, with

specific freedoms of choice to be maintained, but also as communities connected to society as a

whole. This is an important goal for the connected city, which is responsive to the interests of so-

ciety as a whole, whilst having regard to the needs, rights and duties of various cultural groups

and of individual citizens”. Nel documento degli urbanisti si evidenzia che, accanto a politiche che

facilitino lo scambio ed il confronto culturale, è necessario affrontare con gli strumenti dell’urba-

nistica le declinazioni negative delle principali tematiche sociali.“Thus the city which is connected

socially will be able to provide a high degree of security and sense of ease”8.

8 “Facilitating multi-cultural expression and exchanges among different social groups is necessary but not suffi-cient. There are large economic disparities to be tackled within the European Union, which are seemingly generated bythe present system of free markets, competition, and globalisation. If these trends continue, they will lead to the ruptureof the social and economic fabric. To avert this, a new approach to governance must emerge, involving all stakeholders,and tackling social problems, such as unemployment, poverty, exclusion, criminality and violence”.

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Fig. 3 - Lo schema del percorso di ricerca

STATO

DELL’ARTE

DELLA RICERCA

PROGETTAZIONE

SICUREZZA

URBANA

CARTE PER LA

CITTÀ

INTERETNICA

ABACO DI CONFRONTO/LISTA DI CONTROLLO

GUIDELINES PER LA CITTÀ INTERETNICA

SICURA

POPOLAZIONE

AUTOCTONA

IMMIGRATI DI

PRIMA

GENERAZIONE

IMMIGRATI DI

SUCCESSIVE

GENERAZIONE

MODELLO

PARTECIPATIVO

Nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla dimensione urbana (Bruxelles, 13/10/2005),

in vista dell’allargamento dell’Unione, dell’impennata del fenomeno migratorio e della crescente

complessità degli insediamenti urbani del continente (dove converge il 78% della popolazione

europea), si definisce la città quale luogo “ove si concentrano le difficoltà più complesse e più cor-

renti (esclusione sociale, segregazione spaziale ed etnica, carenza di alloggi, insicurezza, droga, in-

quinamento, aree industriali dismesse contaminate, traffico, disoccupazione, mancanza di compe-

titività, povertà, modifiche demografiche, ecc…)”, ma anche il luogo ove si costruisce l’avvenire. In

ambito europeo, quindi, si esorta a sviluppare una pianificazione urbana che tenga conto della

specificità degli aspetti demografici e della qualità di vita delle città europee con particolare at-

tenzione, tra l’altro, alle politiche per l’immigrazione, l’integrazione sociale e la sicurezza

(Colombo, 2002).

Laddove il saldo migratorio della popolazione è dinamico e prevalentemente di segno po-

sitivo, infatti, le relazioni diventano sempre più complesse, indebolendo la capacità di controllo

dell’equilibrio sociale del gruppo primario; in questo scenario, il migrante si trova nella posizione

più difficile di foreigner and stranger, schiacciato da una doppia dose di estraneità; ciò assume un

carattere estremo in quelle realtà nelle quali si registra una notevole accelerazione dei fenomeni

in atto, di disagio sociale e di tensioni etniche, e nelle quali tutto sembra concorrere ad accentuare

il confronto-scontro tra civiltà (Martiniello, 2000).

Il senso d’insicurezza costituisce un ostacolo di difficile rimozione ai processi di socializza-

zione, innescando un circuito vizioso nel quale la paura, accentuando l’isolamento, si autoali-

menta ed inibisce le relazioni con tutto ciò che non è omogeneo al sistema di riferimento. In que-

sto contesto la presenza di immigrati portatori di valori e culture diversi accentua i timori, sovente

immotivati, e quindi la chiusura (Alessandria, 2006).

Coniugando la sicurezza urbana, affrontata in chiave urbanistica e non di repressione, con

il tema degli spazi per la socializzazione anche multietnica, si parte dall’emergenza per proporre

indirizzi d’intervento di tipo ordinario.

Le enunciazioni di documenti9 quali la Carta Urbana Europea (1992), la Carta di Megaride

(1994), l’Habitat Agenda (1996), la Nuova Carta di Atene (2003) e la Carta per la Città Europea

Interetnica e Cablata (2006) individuano gli elementi sui quali concentrare gli sforzi progettuali: la

necessità di evitare forme di ghettizzazione – volontaria o imposta – sulla base di appartenenza

sociale, culturale, etnica, religiosa, e così via, che concorrono, accentuando separazione ed inco-

municabilità, a creare spazi della paura e luoghi dell’insicurezza.

Il degrado nel quale versano gli spazi pubblici tradizionalmente dedicati alla socializza-

zione è, insieme, un simbolo del degradarsi delle relazioni umane e il punto da cui partire per co-

struire una città sicura e interetnica.

3.2.2 Le matrici del conflitto nella città multietnica

Per le ragioni già introdotte, per questioni di carattere antropologico e per inconsapevoli

retaggi culturali, nell’immaginario collettivo la presenza di stranieri accentua il senso d’insicu-

rezza. Nelle realtà nelle quali è in itinere il processo di formazione di una società multietnica si ri-

scontrano paure e diffidenze basate su un senso di indeterminatezza e scarsa conoscenza del fe-

nomeno; nelle società multietniche consolidate il senso di insicurezza è legato a intrecci com-

plessi che vanno dalla ghettizzazione alla marginalizzazione ed al disagio sociale e, più

recentemente, al fondamentalismo religioso (Sassen, 1999).

9 Il primo di questa serie di documenti internazionali – sia istituzionali che scientifici – è stato varato dalConsiglio d’Europa e si apre proprio con il tema della sicurezza; la Carta di Megaride, sottoscritta da oltre seicento stu-diosi della città esprime in dieci principi gli indirizzi di sviluppo per il XXI secolo ed, in particolare, nel II e III principio, ri-spettivamente “città e popoli” e “città e cittadini” e nell’VIII “città e sicurezza” emergono i temi del dibattito successivo.L’equità nel diritto d’accesso all’alloggio e nell’organizzazione degli insediamenti umani costituisce la base di discus-sione dell’Habitat Agenda promossa dall’United Nations Conference on Human Settlements e varata ad Istanbul nel1996. In occasione della redazione della nuova Carta d’Atene (con un iter che si sviluppa tra il 1998 e il 2003) si propu-gna la zonizzazione sociale quale strumento per garantire quella mixitè che costituisce la base per una convivenza paci-fica e colta; tale obiettivo è perseguito anche dalla Carta per la Città Europea Interetnica e Cablata che è fortementeorientata a favorire un’integrazione che consenta di preservare le specificità culturali nel reciproco rispetto.

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Il tema della sicurezza relazionato a quello della costruenda città multietnica si può decli-

nare in tre macrotematiche:

– il regime di paura stimolato dalle azioni terroristiche internazionali perpetrate sotto l’e-

gida di distorti principi religiosi da persone con precise connotazioni etniche e fedi reli-

giose;

– il rapporto tra alcuni gruppi etnici e il sistema della criminalità organizzata che può sfo-

ciare in una lotta tra mafie;

– l’esplosione di conflitti urbani che veicolano le frustrazioni di giovani apparentemente

integrati verso la violenza, in un tentativo di rivalsa nei confronti di una società che non

offre prospettive.

Per quanto concerne il primo aspetto, teatro delle tensioni sono la città consolidata ed i

luoghi simbolici sui quali è difficile intervenire in termini di riorganizzazione fisico-funzionale. Le

istituzioni dei paesi che subiscono la minaccia del terrorismo agiscono a più livelli che esulano

dalle competenze urbanistiche e interessano sostanzialmente l’acquisizione preventiva di infor-

mazioni su potenziali obiettivi (la c.d. intelligence), il potenziamento delle forze impegnate nel

mantenimento dell’ordine pubblico in occasione di eventi o luoghi vulnerabili, la gestione dell’e-

mergenza e la repressione (Sen, 2006).

La ricaduta più significativa e preoccupante dell’attuale scenario sul tema della città inte-

retnica è il clima di paura che si percepisce nei paesi coinvolti – che è, poi, il primo risultato che le

azioni terroristiche si sono prefisse di creare – e che incrementa diffidenze e tensioni. In realtà, la

maggioranza dei conflitti tra individui e comunità che interessano le città europee non sono ascri-

vibili tout court alla provenienza etnica ed alla confessione religiosa dei contendenti (Huysmans,

2000).

Il secondo aspetto rilevante è la percezione di un fenomeno in atto, fotografato da diversi

studi di settore, di interazione tra alcuni gruppi di immigrati e le mafie locali che sta generando un

nuovo quadro della criminalità organizzata. I sodalizi criminali consolidati – che in Italia assumono

i nomi di cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita – hanno assunto una connota-

zione sistemica ed una pervasività internazionale. Le mafie globalizzate stanno sviluppando “col-

laborazioni tra le organizzazioni criminali endogene e quelle di matrice straniera (c.d. intermafio-

sità), in particolare dell’est europeo, dell’area balcanica, del continente asiatico, del nord-Africa e

del sud-America, particolarmente attive e specializzate nei settori del traffico di stupefacenti, del-

l’immigrazione clandestina, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostitu-

zione” (Barbagli, 2007).

Sia il terrorismo che la criminalità organizzata hanno ragioni d’esistere intrinseche che non

possono essere affrontate con gli strumenti della pianificazione spaziale e funzionale della città.

Non di meno è possibile contribuire ad intervenire sulle condizioni che conducono al recluta-

mento di manovalanza in entrambi i settori (offendo alternative credibili e riducendo le cause del

disagio), e a diffondere una maggiore consapevolezza delle potenzialità di una società multiet-

nica (riconducendo alla realtà la percezione deformata delle insicurezze).

Nel progredire verso la città interetnica, il nodo gordiano da sciogliere è il rapporto tra i mi-

granti, con le loro identità e valori simbolici, e la comunità locale portatrice di una identità domi-

nante. In questo caso, il conflitto può costituire il passaggio catartico verso i nuovi assetti sociali

(Body-Gendrot S., 2000).

Dagli esiti dell’incorporazione delle popolazioni immigrate nella società ricevente dipende

l’equilibrio della costruenda società multietnica. Il grado di socializzazione dei migranti e dei loro

figli condiziona lo sviluppo delle interazioni e, talvolta, dei conflitti tra popolazioni immigrate e so-

cietà ospitante:“rappresentano un punto di svolta dei rapporti interetnici, obbligando a prendere

coscienza di una trasformazione irreversibile nella geografia umana e sociale dei paesi in cui av-

vengono” (Ambrosini, 2005a).

Se si intende la vita sociale quale interazione, quale tessuto relazionale in cui elementi ap-

parentemente contradditori si intersecano per fondersi in una dialettica tra conflitto e coopera-

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zione (Simmel, 1908), è su questo piano che si gioca l’integrazione etnico-culturale10. Ed è, quindi,necessario identificare gli elementi che concorrono, da un lato, ad inibire il confronto e l’intera-zione a vantaggio di un senso di insicurezza e diffidenza, e dall’altro ad innescare platealmente ilconflitto. Questi fattori rappresentano i nodi progettuali sui quali intervenire con gli strumentidella prevenzione (in termini culturali, sociali ed economici ma anche legati allo spazio fisico) enon solo della repressione, quando la violenza esplode11.

È opportuno dedicare alcune riflessioni ai fermenti che hanno scosso, in tempi più o menorecenti, alcune città nelle quali la composizione multietnica è consolidata, e che sono sfociati indiverse forme di conflittualità tra popolazione locale ed immigrati; il fenomeno è difficilmente ge-neralizzabile in quanto tali conflitti sono il frutto di una complessa rete di fattori e relazioni.

Le vere e proprie rivolte che hanno coinvolto, in tempi recenti, le terze generazioni di im-migrati in diversi paesi europei, all’apparenza perfettamente inseriti nel sistema sociale locale,hanno rimesso in discussione teorie consolidate sui principali modelli d’integrazione applicati nelcontinente. Tali eventi devono costituire un monito per quei paesi, tra i quali si annovera l’Italia,nei quali si sta profilando una complessa composizione multietnica, con l’aggravante degli squili-bri internazionali post 9/11.

I primi mesi del 2007 hanno visto lo scatenarsi di violenze anche nella Penisola che, mo-strandosi al livello istituzionale “inconsapevole” e “accomodante” nei confronti del fenomeno mi-gratorio, sperava in un adattamento spontaneo dei diversi soggetti coinvolti e in una mediazionedel conflitto. Le spedizioni punitive nei confronti di insediamenti nomadi da un lato e gli scontricon le forze dell’ordine della comunità cinese di Canonica-Sarpi a Milano hanno reso evidenteuna necessità che la comunità scientifica aveva già individuato.

Molteplici ed articolate riflessioni sono state fatte sui disordini che hanno travolto le ban-lieues francesi dove, pure, l’assimilazione delle comunità immigrate sembrava compiuta con reci-proca soddisfazione. L’intifada delle banlieues, così è stata chiamata la rivolta che ha infiammato leperiferie parigine nel novembre 2005, ad opera delle seconde e terze generazioni di immigrati diorigine maghrebina, ha portato alla luce i problemi d’integrazione etnica che il modello assimila-zionista praticato per lungo tempo non ha saputo o voluto affrontare12. Molto inchiostro è statoversato per analizzare questo fenomeno, durato oltre un mese, definito ora frutto della propa-ganda del fondamentalismo islamico ora conseguenza delle discriminazioni di razza, religione ecultura, della società dei consumi, della questione urbana, della mancata integrazione, dello spae-samento tipico dei non-luoghi periferici, e così via.

Ma, al di la delle declinazioni pluridisciplinari delle analisi, tali eventi non sono ascrivibiliesclusivamente al modello d’integrazione perseguito in Francia. Anche nel Regno Unito, dove si èperseguita una differente politica per l’immigrazione, non sono mancate esplosioni di violenza dinatura multietnica; i riots delle minoranze etniche sono esplosi sin dagli anni cinquanta nei sob-borghi londinesi e successivamente, quasi ad ondate, in altre città, accomunate dalla crisi dellaproduzione industriale tradizionale13. Per esempio, la guerriglia urbana che ha infuocato le

10 Il rapporto dialettico tra l’individuo e le istituzioni sociali genera quella forma di conflittualità che si pone allabase del processo stesso di socializzazione. Simmel, esaminando le peculiarità psicologiche del carattere degli individuiche abitano in un’area urbana e le conseguenti interazioni sociali, codifica i tipi di relazioni abitualmente espresse in am-bito urbano o rurale, che saranno sviluppati empiricamente dalla scuola di Chicago. L’uomo metropolitano sottoposto aduna sovrastimolazione sensoriale ha sviluppato una intellettualità sofisticata che filtra i rapporti con gli altri individui (re-lazioni secondarie), mentre nei piccoli centri le relazioni sono sempre dirette (primarie) tra tutti gli abitanti. A rafforzarele differenze si aggiunge il fattore economico che conduce il cittadino metropolitano a intendere le relazioni con gli al-tri quale simulacro di contrattazioni. La vita cittadina ha trasformato la lotta con la natura per il sostentamento in unalotta tra uomini per il guadagno, guadagno che non è offerto dalla natura, ma da altri uomini (Fornero, 1993).

11 Come si vedrà in seguito, da oltre trenta anni negli USA si sviluppano interventi di progettazione architetto-nica ed urbanistica orientati alla prevenzione di comportamenti deviati nei diversi settori; più recentemente, si è apertoil campo a tali sperimentazioni anche in Europa.

12 In precedenza, il fenomeno aveva interessato negli anni ottanta e novanta le banlieues di altre città francesi:Lione (1979, 1981, 1990), Sartrouville, Parigi, Mantes-la-jolie (1991) e successivamente Strasburgo, Bordeaux ed altre.

13 Nella riflessione su “immigrazione in Italia e in Europa tra solidarietà e conflitti” sviluppata nel già citatoRapporto Italia dell’Eurispes si elencano i principali eventi: Manchester (1981, 1982), Liverpool (1981, 1985, 2001),Birmingham (2005), Bristol (1980), Brixton (1981, 1985, 1991), Bradford (1995, 2001, 2002), Oldham (2001), Leeds (2001),Burnley (2001).

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Milltowns inglesi, in particolare Bradford, Burnley e Oldham, nella primavera-estate del 2001 è l’e-spressione di un conflitto etnico scaturito dal disagio socio-economico prodotto dalla dismis-sione industriale ed alimentato da estremisti politici (Beguinot, Clemente, Esposito, 2005).

In Germania il diffuso sentimento xenofobo e un rifiuto generale di ammettere il proprio

ruolo di paese d’immigrazione, riscontrabile anche nelle politiche e nelle normative, ha dato vita

a gravi conflitti la cui dinamica si può ricostruire in veri attacchi da parte degli autoctoni nei con-

fronti degli immigrati. Non sono mancate violenze e recrudescenze fondamentaliste anche nei

Paesi Bassi, modello di integrazione e qualità della vita14.

Con questi episodi l’Europa scopre una nuova forma di conflittualità urbana che ha tra i

propri episodi emblematici quanto accaduto al di la dell’oceano, negli scontri e nella devastazioni

che hanno attraversato Los Angeles nel 1992.Tale conflittualità si configura quale elemento emer-

gente e non occasionale di una crisi urbana globale che, pur con alcune specificità locali, vede l’in-

treccio tra multietnicità, a-topia della città contemporanea, alienazione ed individualismo, modelli

di consumo insostenibili e sperequazioni economiche e sociali (Sassen, 1996).

Dagli eventi estremi che costituiscono il sintomo del disagio che investe le comunità di

immigrati ed i loro discendenti, sovente costretti in condizioni di marginalità e disagio econo-

mico, è necessario partire per sviluppare i nodi progettuali.

3.2.3 Lineamenti di progettazione orientata alla sicurezza urbana

Come si è visto, il tema della sicurezza è uno dei nodi significativi da sciogliere nella co-

struzione di una società includente e multiculturale. Nelle pagine seguenti si sviluppa un ragio-

namento che mette in relazione gli spazi della città ed i comportamenti umani, con particolare at-

tenzione ad alcune categorie di atti criminosi; è evidente il limite del tentativo di razionalizzare un

rapporto complesso e governato da logiche non sempre lineari.

14 Si pensi all’assassinio del regista Theo van Gogh da parte di un giovane musulmano; il regista era entrato nelmirino dei seguaci di Maometto a causa di un documentario sulla condizione della donna musulmana, girato con la col-laborazione della deputata di origine somala Ayaan Hirsi Ali, costretta a riparare negli USA a seguito di analoghe mi-nacce. Anche la Danimarca, dopo anni di apparente pace sociale è salita agli onori della cronaca con episodi di intolle-ranza e violenza nei confronti di soggetti marginali; in questa categoria si accomunano immigrati, gruppi di giovani chesi oppongono al modello di consumo corrente, ecc. Quindi, anche in contesti culturalmente evoluti, con una consolidatatradizione democratica e un elevato livello di qualità della vita diffuso tra la popolazione si assiste ad eventi di intolle-ranza che non possono essere definiti episodici ne circoscritti a frange limitate della popolazione.

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Fig. 4 - Ideogramma: i recinti della paura e gli spazi pubblici insicuri

Reinterpretazione del diagramma di Ernest W.Burgess, realizzato trasponendo le teorie diDarwin nel campo delle scienze sociali, ef-fettuata da Mike Davis nel suo libro Ecology ofFear.Il territorio di riferimento è una Los Angelesche vanta oltre 500 quartieri controllati e encla-ves residenziali, 2.000 gang, 20.000 sweatshope 100.000 senza tetto.Ai classici fattori determinanti la sopravvivenzadel più forte all'interno della città (reddito,classe, razza, ecc.) Davis aggiunge la paura.

(Davis, 1999)

Non si può che accogliere pienamente l’invettiva del Circolo Ermeneutico che stigmatizzala tendenza ad applicare un tecnicismo deterministico ai processi sociali che per loro natura visfuggono. Non di meno, la natura stessa della disciplina urbanistica richiede di affrontare con unapproccio scientifico e con strumenti tecnici la pianificazione e la gestione del sistema territoriale.La complessità dell’oggetto di studio rende velleitario il tentativo di affrontare le dinamiche delsistema con un approccio razional-comprensivo. Questo vizio di fondo rinvia agli albori delladisciplina con lo sviluppo, in parallelo, di un approccio culturale improntato all’illuminismo edi una complessificazione sociale determinata dal consolidarsi della rivoluzione industriale.All’incremento dell’indeterminatezza del contesto sociale la cultura sette-ottocentesca ha cercatodi opporre una costruzione razionale delle possibili risposte15.

Questa contraddizione in nuce si estremizza con l’urbanistica difensiva che, dopo secoli dicostruzione di modelli per la protezione nei confronti di un nemico esterno alla cinta urbana, si èdovuta orientare alla gestione di un fattore destabilizzante: l’insicurezza al suo interno. Se si riper-corre la storia dell’urbanistica difensiva dal movimento tellurico della prima rivoluzione indu-striale a quello altrettanto pervasivo dell’ultima rivoluzione industriale (quella dell’informazione edella comunicazione) si riscontra un costante tentativo di controllare le dinamiche sociali accele-rate e di ricondurre il caos urbano a modelli razionali (Ilardi, 1999).

Cercando di non cedere alle lusinghe dell’eccesso di semplificazione e di conservare un ap-proccio complesso al sistema urbano, si focalizza, quindi, l’attenzione sulle teorie e le prassi con-solidate nel settore della sicurezza che, in estrema sintesi sono riconducibili a due approcci pri-mari. Il primo mette in relazione le condizioni ambientali e sociali con lo sviluppo di attività crimi-nose, privilegiando azioni di prevenzione; il secondo, privilegiando una interpretazione delladeterminazione criminosa di tipo volontaristico, ha dato vita principalmente a politiche repressive(Sutherland e Cressey, 1996). Nella prima macrocategoria si riconoscono molteplici linee di ricercainterdisciplinari orientate all’interpretazione dei fenomeni di devianza ed alla messa a punto dipolitiche di lotta alla criminalità legate al tema della prevenzione (Stella, 2001).

Intendendo la prevenzione nella sua accezione più ampia (Luhmann, 1990) si possono de-lineare i principali contributi della disciplina urbanistica, in particolare, negli ambiti della preven-zione precoce e di quella situazionale. Si pensi, p.e., alla società nordamericana, nella quale un co-acervo di cause ha determinato lo sviluppo precoce di queste tematiche (Petrillo, 2000) e, già ne-gli anni venti, le ricerche sviluppate nell’ambito della c.d. Scuola ecologica di Chicagoevidenziavano un legame stretto tra la disgregazione sociale tipica delle grandi città e metropolicontemporanee ed i comportamenti deviati (Park et al., 1925, p. 24).

La prevenzione precoce, che vanta forti contenuti di carattere sociale (vi si riferiscono co-munemente le attività di formazione di una coscienza civica e di educazione alla legalità sui gio-vani e, attraverso di loro, sui contesti famigliari), può ricevere un utile contributo da un approccioprogettuale attento alla qualità degli spazi urbani. Le attività di recupero e di manutenzioneurbana offrono un segnale di impegno da parte delle istituzioni a creare le condizioni per unaconvivenza civile. Combattere quel degrado urbano che può favorire comportamenti deviati, ap-plicando la teoria criminologica delle broken windows16 in una declinazione “pedagogica”, può rap-presentare il primo passo verso una maggiore vivibilità dei quartieri più a rischio delle grandicittà. Sovente, però, tale teoria ha dato vita a politiche repressive rigide piuttosto che ad azioni mi-rate a migliorare la qualità degli spazi urbani.

La prevenzione situazionale è, invece, legata alla contingenza dell’uso degli spazi urbani edabbina al controllo perpetrato con metodi tradizionali quello che si avvale di tecnologie innova-tive. L’organizzazione urbana da sfondo dell’azione repressiva diviene attrice della prevenzione.

15 Si pensi alle utopie urbane di diversa matrice che arricchiscono gli albori della storia dell’urbanistica.16 La teoria criminologica delle broken windows, presentata in un articolo pubblicato sull’Atlantic Monthly nel

marzo del 1982 da parte di James Q. Wilson e George L. Kelling, collega l’incremento dei comportamenti deviati, in par-ticolare la microcriminalità predatoria ed il danneggiamento, con l’abbinamento di fenomeni di degrado (per esempioatti vandalici) e dell’incuria delle istituzioni e dei cittadini nei confronti degli stessi. L’approccio, che ha dato vita alle po-litiche “tolleranza 0” della New York di Rudolph Giuliani, enuncia che: if the first broken window in a building is not repaired,then people who like breaking windows will assume that no one cares about the building and more windows will be broken.Soon the building will have no windows…

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Le implicazioni tra conformazione degli spazi e sicurezza reale o percepita sono state og-

getto di riflessioni disciplinari dagli albori dell’urbanistica razionalista, che ha offerto soluzioni im-

prontate al positivismo funzionalista. La revisione di tali approcci, già a partire dagli anni sessanta,

ha dato vita a nuovi sentimenti della città che offrono diverse risposte alle nuove insicurezze me-

diante diverse forme urbane.

La cosiddetta “retribalizzazione” punta alla riscoperta ed esaltazione dell’identità autoctona

avversa ai diversi caratteri della globalizzazione e si concretizza nella realizzazione di quartieri en-

clave socialmente omogenei.

Uno spirito nostalgico anima il recupero della vita comunitaria tipica di una cultura rurale,

perpetrato mediante interventi di recupero urbano finalizzati a ricreare un’atmosfera preindu-

striale.

Di natura simile ma con un’accentuata tendenza alla fuga dalla realtà sono insediamenti

“murati” (città satelliti, quartieri, centri commerciali, parchi a tema) che, rigidamente separati dal

mondo reale, ripropongono un modello socioeconomico omogeneo ed un ambiente fittizio co-

stituito da stereotipi rassicuranti.

L’approccio mistico e quello tecnologico (città cablata) costituiscono ulteriori tendenze a

fuggire dall’insicurezza (Ellin, Blakely, 1997). Si pensi al modello di controllo infotelematico totale

dello spazio urbano messo in atto già da anni nella downtown di Los Angeles e che Mike Davis de-

finisce “scanorama” (Davis, 1998); esso rinvia concettualmente alla trasposizione urbana, effettuata

da Foucault, dell’idea settecentesca di panopticon progettata da Jeremy Bentham (Foucault, 1975).

Ed è significativo che in questi giorni si discutano (tra USA, Canada e Messico) sistemi di-

fensivi orientati al controllo capillare dei comportamenti sul territorio piuttosto che alla gestione

di eventi bellici. Una sorta di Grande Fratello orwelliano17 potrebbe utilizzare le più sofisticate tec-

nologie infotelematiche per prevenire atti criminosi, terroristici ma anche per reprimere compor-

tamenti dissidenti.

Al di là della complessità di tali modelli, degli obiettivi cui vengono applicati e delle lesioni

dei diritti civili perpetrate è evidente la tendenza ad investire per conoscere e razionalizzare i fe-

nomeni che sfuggono al controllo e generano o incrementano il senso di insicurezza (Body-

Gendrot, 2000).

Questi modelli sviluppatisi negli USA hanno dato vita a progetti per la sicurezza urbana che

hanno sortito l’effetto opposto di incremento dell’insicurezza.“La guerra all’insicurezza, ai rischi e

ai pericoli, è in corso dentro la città… Le trincee fortificate e i bunker destinati a separare e tener

lontani gli estranei, sbarrando loro l’accesso, stanno diventando rapidamente uno dei tratti più vi-

sibili delle città contemporanee” (Bauman, 2005). La paura diventa materia di pianificazione e

guida le scelte di conformazione dello spazio; come già si è realizzato in forma radicale in

Sudafrica (Somma, 1991) e in alcuni Paesi del Sud America (Caldeira, 2001) le gated communities e

le walled communities (Blakely, Snyder, 1997) esasperano le divisioni e, con esse, le tensioni.

L’inadeguatezza dei modelli adottati ha condotto alla consapevolezza che “lo spazio e il so-

ciale siano sempre interconnessi… non basta trasformare lo spazio per modificare le relazioni so-

ciali” (Augè, 2005)18. Sembra aprirsi la strada ad un nuovo approccio che metta in relazione cau-

sale ambiente fisico e senso d’insicurezza, senza gli intenti trionfalistici e onnicomprensivi della

tradizione urbanistica. Una sorta di accettazione del caos quale componente della pianificazione

urbanistica e sociale (Sennet, 1970).

I modelli citati trovano occasione di concretizzarsi in insediamenti o singole opere di archi-

tettura anche in Europa e arricchiscono l’acceso dibattito in atto sulla sicurezza sociale e sul ruolo

dell’immigrazione nell’incremento dell’insicurezza reale o percepita.

Nel Vecchio Continente la genesi di questi approcci affonda le radici nella grave crisi eco-

nomica e sociale che, associata agli effetti della globalizzazione e della nascita di una società mul-

tietnica, ha determinato tensioni, violenze ed un crescente senso di insicurezza nella Gran

17 La definizione è di Naomi Klein in un recente editoriale pubblicato in Italia da l’Espresso.18 Da un’intervista di Fabio Gambaro a Marc Augè “I luoghi degli esclusi e la modernità fallita”, in Repubblica,

11/11/2005, p. 56.

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Bretagna degli anni ottanta. La dilatazione della percezione del rischio ha generato risposte di na-

tura diversa che mettono in relazione ambiente fisico e comportamenti sociali deviati19. Questo

approccio ha dato vita ad esperienze progettuali che hanno condotto alla sperimentazione di al-

cune procedure20 che sono confluite nella norma UNI ENV 14383 del 2003, ratificata nel 2005 e

che, in ambito europeo, istituzionalizza la Crime Prevention Trough Environmental Design.

Si deve rilevare che la CPTED, così come i programmi che la hanno preceduta, costituiscono

utili riferimenti metodologici ma non possono essere trasferiti tout court alla realtà dell’Europa

continentale e ancor più dell’Italia. Nel nostro paese, infatti, il tema dell’insicurezza non interessa

solo le periferie d’espansione e lo sprawl edilizio ma anche la città compatta che deve essere af-

frontata con altre logiche. La riorganizzazione delle relazioni tra la città della pietra (la dimensione

fisica), la città delle relazioni (la dimensione funzionale) e la città del vissuto (Beguinot, 1992) deve

essere alla base di interventi che coinvolgano le pieghe più degradate delle città contemporanee:

le periferie storicizzate (nelle quali la scarsa qualità edilizia si abbina ad una carenza strutturale di

servizi e luoghi d’aggregazione), le aree interstiziali tra le grandi infrastrutture per la mobilità e le

aree industriali dismesse (scelte quale luogo di insediamento informale da nomadi, immigrati e

tutti coloro che la società dei consumi spinge a margine), e parti dei centri storici che non sono

state recuperate a nuovi usi che ne abbiano innalzato l’appetibilità commerciale e, quindi, il valore

immobiliare21. (Flusty, 1997; Body-Gendrot, Martiniello, 2000; Ilardi, 2005) In tali ambiti si svilup-

pano le relazioni tra popolazione autoctona e immigrati di differente provenienza, le cui scelte lo-

calizzative sono condizionate dai noti problemi di inserimento socio-economico.

19 Si vedano i documenti ufficiali prodotti in occasione dei diversi appuntamenti del Forum Europeo per laSicurezza Urbana, cui partecipano rappresentanti di istituzioni nazionali e locali, del mondo delle professioni e della ri-cerca (www.fesu.org).

20 1989 Design Against Crime; 1994 Secured by Design, New Homes Security Scheme; 2000 EnvironmentalManagement Pubblications.

21 Il tema della gentrification in termini di rinnovamento urbano e sostituzione sociale è scandagliato da StevenFlusty “Building Paranoia” in Ellin N. (1997), op. cit. e da Sophie Body-Gendrot e Marco Martiniello in “The Dynamics ofSocial Integration and Social Exclusion at the Neighbourhood Level” in Body-Gendrot S., Martiniello M. (2001), op. cit.; perquanto concerne la barriera sociale costituita dal valore immobiliare si veda Ilardi M. (2005), Nei territori del consumo to-tale. Il disobbediente e l’architetto, DeriveApprodi.

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Fig. 5 - CPTED

Seminario Gruppo DAB Traicon - FondazioneAstengo “La Governance della Sicurezza nelleCittà e nel Territorio”; Roma, 4 luglio 2007.

3.2.4 Immigrazione e sicurezza urbana: elementi per l’interpretazione dei nodi progettuali

Al di là degli intenti, le attuali politiche per l’immigrazione, sia in ambito europeo che ita-

liano, non offrono molto spazio ad interventi per la gestione dell’inserimento degli immigrati nel

tessuto sociale delle città, mentre concentrano gli sforzi nel contenimento degli ingressi.

Speculare a tale tendenza è la percezione della presenza di stranieri che, da parte di ampie

fasce della popolazione locale, è superiore al fenomeno reale ed è sovente accompagnata da una

notevole diffidenza; tra le molteplici sfumature della stessa si ravvisano le ataviche paure nei con-

fronti di ciò che è diverso e che non si conosce, le declinazioni multietniche del rischio sociale, ma

anche problemi concreti di convivenza in contesti degradati, contendendosi le scarse risorse a

disposizione. Non meno significativa è l’insicurezza generata dalla contiguità tra irregolarità (della

presenza) ed illegalità (del comportamento) che caratterizza parte dell’immigrazione clandestina.

Per individuare gli elementi sui quali basarsi per l’intervento, si può partire dai fattori di crisi

che costituiscono il “picco di carico” del sistema. Da questi eventi eccezionali che si sono sviluppati

in contesti diversi si può trarre insegnamento nella messa a punto di politiche integrate per l’im-

migrazione e la sicurezza urbana. Infatti, pur non potendo assimilare tra loro episodi di matrice

differente, è possibile identificare alcuni elementi comuni a focolai del conflitto interetnico:

– le esplosioni di violenza non restano circoscritte nel tempo e nello spazio ma si riverbe-

rano sul contesto andando ad accentuare il senso generale di diffidenza e di insicurezza

che sovente sfocia in xenofobia …

– nei paesi dove l’immigrazione è consolidata i soggetti coinvolti appartengono soprat-

tutto alle seconde e terze generazioni …

– quando le comunità immigrate si concentrano in aree degradate si sviluppa una lotta tra

poveri per la conquista delle scarse risorse, dei servizi, di lavoro (spesso informale) …

– gli episodi di violenza sono concentrati principalmente in aree che presentano quali ca-

ratteristiche comuni la posizione marginale rispetto alle centralità urbane (periferie del-

l’espansione urbana, sprawl, centri storici degradati e soggetti alla gentrification, inse-

diamenti informali nelle aree interstiziali, …), il degrado sociale e fisico, la mancanza o

l’impraticabilità di spazi per l’incontro e la socializzazione, …

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O 3 Fig. 6 - La città e gli immigrati: segregazione, espulsione

Gli insediamenti informali che punteggiano le periferie e la città diffusa ospitano in condizione fisicamentemarginale le componenti marginali dell’attuale sistema sociale: gli immigrati, i nomadi e, in misura minore,gli autoctoni che sono stati espulsi (o si sono allontanati) dal modello di consumo corrente. In alcuni casi leimmagini rinviano alle suggestioni del cinema neorealista dell’Italia del dopoguerra (foto dell’autore).

Per quanto concerne i primi due aspetti, di natura prettamente socio-economica, la lettera-

tura scientifica e la cronaca si intrecciano nell’interpretare le matrici del conflitto e nel raccontare

le suggestioni e la percezione del fenomeno da parte di chi vi è coinvolto.

Anche in Italia, paese ancora ai margini dei processi migratori, si ravvisano i primi segni di

una difficile convivenza: da un lato, diffidenze, preconcetti, scarsa conoscenza, alterano la perce-

zione delle popolazioni autoctone, dall’altro, il rifiuto di adeguarsi alle norme locali da parte di al-

cuni gruppi d’immigrati esaspera le tensioni. Talvolta, anche laddove l’immigrazione non è “strac-

ciona” ma imprenditoriale, come nel caso della comunità cinese, si configura una condizione per

la quale ciascun gruppo etnico sembra obbedire a norme e codici comportamentali diversi (più li-

mitanti per la popolazione locale); ciò altera i rapporti interetnici e può sfociare in episodi d’intol-

leranza reciproca.

Il secondo comune denominatore è legato alle caratteristiche dei soggetti che scatenano i

conflitti o vi partecipano; le circostanze nelle quali si sono scatenate le violenze hanno visto coin-

volte diverse generazioni di immigrati, cui corrispondono diversi focolai di disagio e diverse po-

tenziali cause di conflitto. Una schematizzazione consolidata rappresenta l’innesto della popola-

zione immigrata nel paese di destinazione secondo uno sviluppo in due fasi.

La prima fase interessa coloro che non sono nati nel paese d’accoglienza (definiti di prima

generazione); in questo caso si registra una tendenza a sviluppare un modello d’inserimento che

varia in base al paese di provenienza ed all’eventuale presenza di una rete logistica costituita da

conterranei, già presenti in loco (Decimo, Sciortino, 2006). Tratto comune a coloro che apparten-

gono alla prima generazione d’immigrati è la ricerca di soddisfare alcuni bisogni insediativi pri-

mari (alloggio, lavoro, servizi di trasporto collettivo).

Se e quando la permanenza temporanea si trasforma in un progetto di vita (con i ricon-

giungimenti familiari e/o la costituzione di nuove famiglie monoetniche o miste) si intraprende la

fase di stabilizzazione; ciò comporta la nascita della seconda e terza generazione ed oltre, nel

paese d’accoglienza. Coloro che appartengono a tali generazioni non rientrano più nella catego-

ria di immigrato ma sono a tutti gli effetti membri della comunità locale, e cittadini di fatto (anche

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Fig. 7 - La città e gli immigrati: differenze culturali

Le immagini della diversità che affascinano durante i viaggi nelle località “esotiche” spaventano quando si ri-trovano, stranianti, nella quotidianità della città europea (foto dell’autore).

se non sempre possono essere riconosciuti tali giuridicamente)22. Consapevoli del proprio ruolo

sociale, questi cittadini vivono le contraddizioni di una duplice appartenenza (le proprie radici et-

niche e il clima culturale nel quale sono nati e cresciuti) e sono in grado di esprimere con forza bi-

sogni articolati, simili a quelli dei coetanei di analoga posizione economica, ma più complessi.

In tale contesto si rileva che “nell’infanzia è più facile la condivisione di momenti, spazi e oc-

casioni di socialità interetnica, grazie alla scuola, alle attività extrascolastiche, agli ambiti sportivi e

religiosi, nel vicinato, negli spazi pubblici (parchi, giardini, spiagge, campi da gioco, …)”

(Ambrosini, 2005b). Al crescere delle seconde generazioni, invece, le reti di socialità tendono a dif-

ferenziarsi ed a specializzarsi socialmente (omogeneità di censo, cultura e classe sociale) ed etni-

camente (omogeneità di provenienza geografica).

Il rapporto tra integrazione economica, assimilazione culturale e tendenze conflittuali nelle

seconde generazioni di immigrati è stata schematizzata secondo una matrice a doppia entrata.

Combinando la dimensione economica con quella culturale si possono riassumere i comporta-

menti dei giovani immigrati in quattro categorie (Ambrosini, 2007):

– la downward assimilation (livello basso di integrazione economica e culturale),

– l’assimilazione lineare classica (entrambi i livelli alti),

– l’assimilazione selettiva (la prima è alta e la seconda è bassa),

– l’assimilazione anomica o illusoria (la prima è bassa e la seconda è alta).

La prima tipologia classificata è quella che alimenta intorno a se un senso di insicurezza e

discriminazione; anche se non annovera il maggior numero di individui, essa costituisce un feno-

meno rilevante nella percezione collettiva e costituisce il brodo di coltura dei comportamenti de-

vianti, che vedono i giovani immigrati associati nei comportamenti ai giovani emarginati locali.

All’opposto si trovano le esperienze di integrazione definite di successo perché l’abban-

dono dell’identità ancestrale ha condotto all’assimilazione dell’immigrato allo stile di vita del

paese dell’accoglienza, del quale ha colto le opportunità di avanzamento socio-economico.

Quando, nonostante l’abbandono dell’identità originaria, tale avanzamento non avviene, la

mancanza dei mezzi necessari per accedere a beni e servizi tipici dello stile di vita del paese

ospite, cui ci si ispira, genera un corto circuito tra aspirazioni e prospettive concrete. Anche in que-

sto caso le frustrazioni possono generare atteggiamenti aggressivi e vandalici che, in una logica di

“branco” possono sfociare in tensioni e conflitti. Di contro, si può verificare che il successo indivi-

duale nell’ambito economico e dell’istruzione dipenda dalla volontà di non omologarsi al mo-

dello locale, conservando i caratteri distintivi della propria identità culturale ed il sistema di rela-

zioni che ne discende.

Per quanto concerne gli ultimi due elementi comuni individuati, ma in parte anche per gli

altri, la componente urbanistica assume una rilevanza significativa: gli strumenti disciplinari pos-

sono essere orientati all’interpretazione dei criteri localizzativi e della domanda multietnica e ad

intervenire progettualmente per innescare una mixitè funzionale, sociale, culturale sulla scorta

della quale favorire la socializzazione (Piccinato, 2005).

L’interpretazione della domanda è uno dei nodi di grande rilevanza nella disciplina urbani-

stica che, orientata a proporre soluzioni progettuali ai problemi urbani, non può operare sulla

base dell’idea di persona ma in termini di categorie d’individui. In una logica non deterministica

ma complessa, per interpretare la domanda espressa dalle persone che compongono una società

multietnica significa predisporre strumenti e metodologie per decodificare non solo la domanda

manifesta (assimilabile ai bisogni primari) ma anche la domanda inespressa (sogni e fabbisogni).

Nell’affrontare tale tema si riscontra una tendenza ad attribuire bisogni codificati agli indi-

vidui inquadrati in schemi predefiniti23; in questo modo le comunità straniere verrebbero risuc-

22 In Europa il diritto di cittadinanza non è disciplinato in modo omogeneo tra i diversi paesi; in Germania, peresempio, una recente legge offre il diritto di cittadinanza agli immigrati di prima generazione purché rinuncino alla na-zionalità d’origine (con evidente intento di assimilazione) mentre in Svizzera anche le terze generazioni sono escluse datale opportunità.

23 La pianificazione del territorio è storicamente legata in un rapporto causale alla domanda espressa dalla po-polazione che vi è insediata e vi svolge le proprie attività; il complessificarsi di funzioni e relazioni urbane e l’evolversi del

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chiate in un meccanismo consumistico, perdendo le proprie specificità culturali, diluite in stereo-

tipi convenzionali.

I rischi sono notevoli; da un lato, si profila una deriva demagogica che, nel presunto rispetto

delle diversità, si proietti verso la semplice addizione di servizi ad hoc per le comunità straniere.

Ciò comporterebbe, qualora si riuscisse ad attuarla con la scarsità di risorse delle quali si dispone,

il rischio di incentivare la segregazione fisica ed ostacolare l’osmosi culturale tra gruppi etnici.

Inoltre, si potrebbe generare nei gruppi sociali svantaggiati della popolazione autoctona, già for-

temente penalizzati nell’accesso a beni e servizi, una competizione con gli immigrati dei quali

condividono i diversi gradi di marginalità sociale.

Più frequentemente, l’interesse delle istituzioni si concentrerà sulla realizzazione di un edi-

ficio simbolico – solitamente un luogo di culto – ritenendo così esaurita la questione multietnica.

La sola enunciazione di tale intento, pur minimale, in molti casi basta per scatenare una ridda di

polemiche spesso poco costruttive.

Il baco del sistema è insito nel concetto stesso di intervento straordinario; sia la storia della

città che quella dell’urbanistica sono costellate di esempi nei quali una situazione d’emergenza

più o meno acuta ha generato una domanda straordinaria, cui si è risposto con un intervento

straordinario. La risposta delle istituzioni in questi casi avviene in contesti di forte pressione so-

ciale, giustificati dall’ampiezza del fenomeno24; si convogliano, quindi, notevoli energie e risorse

verso interventi puntuali che esulano da un approccio sistemico – sovente in contrasto con le

norme e gli indirizzi della pianificazione vigente – e che non favoriscono (e talvolta inficiano) le li-

nee di sviluppo tracciate.

3.3 L’ESPERIENZA ITALIANA E IL FENOMENO MIGRATORIO: CONFLITTO VS SOCIALIZZAZIONE

“La posizione geografica dell’Italia, la tradizione ebraico-cristiana, le istituzioni libere e demo-cratiche che la governano, sono alla base del suo atteggiamento di accoglienza verso le altrepopolazioni. Immersa nel Mediterraneo, l’Italia è stata sempre crocevia di popoli e culturediverse, e la sua popolazione presenta ancora oggi i segni di questa diversità”.

La Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione (Ministero dell’Interno, 2007)

La Regione euro-mediterranea è teatro di mutamenti endogeni – che vanno dalla dismis-

sione produttiva alla terziarizzazione, dalla diffusione insediativa al degrado delle periferie, dal-

l’insicurezza alla ghettizzazione, e così via – e di mutamenti esogeni dovuti alle dinamiche “vi-

scose” dei flussi migratori. Le caratteristiche geopolitiche dell’area, inoltre, tendono ad estremiz-

zare ed esaltare le sinergie e le conflittualità culturali, religiose ed economiche, delineando una

compagine demografica estremamente mutevole. Il Mare Nostrum potrebbe essere rappresen-

tato con i confini talvolta dilatati, per le chiusure dovute all’incomunicabilità, altre volte contratti,

in base alle relazioni che vi si intrecciano (Beguinot, 2004, 2005, 2006).

In questo contesto l’Italia gioca un ruolo ora baricentrico ora marginale nelle dinamiche

che investono il continente europeo; pur essendo da tempo la porta d’accesso dei flussi migratori

diretti verso l’Europa, solo in tempi recenti ha assunto il ruolo di paese dell’accoglienza, dopo una

lunga stagione di massicce emigrazioni. Per fotografare un fenomeno così dinamico, allo scopo di

trarne elementi per innescare delle buone pratiche d’integrazione, è necessario partire, pur con la

consapevolezza dell’inadeguatezza delle statistiche ufficiali, da alcuni dati quantitativi aggregati

relativi alla tipologia ed alla consistenza dei flussi (presenze, paese di provenienza, sesso, età, …),

ed alla distribuzione dei flussi per aree geografiche (tra le varie regioni italiane). Questi vengono

sistema sociale rende sempre più difficile interpretare la domanda con gli strumenti tradizionali e, nel contempo, il dila-gare di un modello consumistico ha introdotto nuovi bisogni sovvertendo il rapporto tra domanda e offerta.

24 Si può trattare dell’emergenza incalzante di un cataclisma naturale o di un evento disastroso di matrice an-tropica; sovente, però, l’emergenza non si configura ex abrupto ma matura lentamente per l’intreccio di fattori socio-eco-nomici e naturali. In questi casi sarebbe possibile predisporre azioni integrate orientate a costruire nel lungo periodo unsistema efficiente.

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integrati con il richiamo allo scenario normativo italiano ed alle tendenze in atto e, mediante il ri-

corso a case studies locali e internazionali, con l’individuazione dei criteri sottesi alle scelte ed alle

modalità localizzative (centri storici, periferie, città diffusa, …). Si mette, poi, in relazione la nuova

composizione multietnica in fieri della società italiana con lo scenario di disagio, marginalità ed

insicurezza che caratterizza le città sempre più immerse in un processo di complessificazione e

globalizzazione. Si propone, infine, una traduzione dei temi-problema individuati in spunti pro-

gettuali da declinare, approfondendoli, nelle diverse realtà locali.

3.3.1 Temi-problema e potenzialità: immigrazione e immaginario collettivo

Dopo oltre un secolo di emigrazioni, l’Italia ha assunto il nuovo ruolo di paese d’immigra-

zione in modo quasi inconsapevole, fungendo, nelle prime fasi, quale meta di seconda scelta da

parte degli immigrati25. Con lo sviluppo degli anni ottanta lo stivale è diventato più attraente e i

flussi in ingresso si sono incrementati e differenziati, passando dai circa 300mila del 1980 agli ol-

tre 800mila del 199026. Allo stato attuale, l’Italia è diventata uno dei principali paesi d’immigra-

zione d’Europa (dopo Germania, Francia e Gran Bretagna) con circa tre milioni di immigrati, cui si

deve aggiungere la stima di circa 800mila presenze irregolari27.

25 Due ondate di Cinesi sono giunte nel periodo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra; negli anni sessantasi è registrato l’arrivo degli Africani dal Maghreb e dal Corno d’Africa (dalle ex colonie). Tali ingressi sono imputabilisoprattutto alla chiusura delle frontiere da parte dei paesi scelti quale destinazione primaria.

26 Fonte Ministero dell’Interno.27 Elaborazione dei dati Istat a cura dell’Eurispes.28 La popolazione straniera residente in Europa risulta pari a 27.838.754 unità su una popolazione di circa

457.000.000 di abitanti. Fonte Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2007. Elaborazioni su dati Eurostat,OECD, Council of Europe, Istat.

29 Al 1° gennaio 2006 gli stranieri residenti in Italia sono 2.670.514, di cui 1.350.588 maschi e 1.319.926 femmine,con un incremento degli iscritti all’anagrafe di 268.357 unità rispetto all’anno precedente. Fonte: ISTAT, Statistiche inBreve, La popolazione straniera residente in Italia (periodo di riferimento: 1 gennaio 2006, diffuso il 17 ottobre 2006). IlDossier Caritas/Migrantes 2007 stima, invece una presenza regolare pari a 3.035.144 alla fine dello stesso anno (inclu-dendo i minori).

30 La percentuale di popolazione straniera rispetto al totale della popolazione residente in Italia è, infatti, pari al6,2%, mentre in Germania arriva all’8,8%, in Spagna (2004) è al 6,6%, in Gran Bretagna (2004) al 4,7% e in Francia avevagià raggiunto il 5,9% nel 1999. Fonte: Dossier Caritas/Migrantes 2007.

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Tab. 1 - Bilancio demografico 2002-2005 della popolazione straniera residente in Italia

* Al 1° gennaio 2006 l’ISTAT stima la presenza straniera regolare pari a 2.767.964 unità; circa 100mila in più rispettoalla popolazione residente (rilevata presso le anagrafi comunali). Tale stima è stata effettuata aggiungendo al nu-mero degli adulti con permesso di soggiorno (2.286.024 unità) i minorenni stranieri residenti, che non dispon-gono di un documento d’immigrazione individuale.** Presenza regolare complessiva al 31/12/2006 stimata dal Dossier Immigrazione Caritas/Migrantes 2007 (vediTab. 2).

Fonte: elaborazione da dati ISTAT relativi alla popolazione straniera residente in Italia e rilevati al 31/12 di ciascun annoconsiderato (periodo di riferimento 1/1/06, diffuso 17/10/06).

Anni 2002 2003 2004 2005 2006

Pop. straniera residente 1.549.373 1.990.159 2.402.157 2.670.514* 3.690.053**

Saldo naturale 31.456 31.132 45.994 48.838* _–**

Saldo migratorio con l’estero 151.932 411.970 380.737 266.829* –**

Acquisizioni cittadinanza 12.267 17.205 19.140 28.659* –**

Pop. straniera minorenne residente (provvisorio) 353.139 412.432 501.792 585.496* –**

Se si escludono coloro che hanno già ricevuto la cittadinanza, i cittadini stranieri negli Stati

dell’U.E. risultano circa il 5% della popolazione residente (al 2004)28; l’Italia, con un incremento, nel

2005, pari a circa l’11% della popolazione straniera residente29, si sta adeguando alla tendenza

dell’Unione30.Tale dato appare significativo in quanto rappresenta la dinamica fisiologica, senza le

alterazioni che nei due anni precedenti erano state determinate dai provvedimenti di regolarizza-

zione31 che hanno consentito a numerosi immigrati già presenti irregolarmente nel Paese di sa-

nare la propria posizione.

Nell’arco di un decennio, dal 1996 al 2006, la popolazione straniera è aumentata di circa

due milioni di persone con una media di circa 150mila unità/anno nel primo quinquennio e di ol-

tre 230mila nel secondo quinquennio. Nello stesso decennio si riscontra un incremento significa-

tivo della presenza di giovani di cittadinanza estera; i minorenni che costituivano il 13,1% della

compagine straniera nel 1996 raggiungono il 21,2% al gennaio 200632.

Il fenomeno dell’acquisizione della cittadinanza è in crescita33 anche se ancora relativa-

mente limitato, considerando che si raggiunge l’ammontare di circa 180mila cittadini stranieri che

complessivamente hanno ottenuto la cittadinanza italiana34. Ancora oggi la maggior parte delle

acquisizioni di cittadinanza italiana avviene per matrimonio, mentre le concessioni di cittadinanza

per naturalizzazione – per le quali l’attuale legislazione (in corso di revisione) pone come requisito

almeno dieci anni di residenza continuativa – sono circa il 15% del totale.

31 Legge 189 del 30/07/2002, art. 33, e legge 222 del 09/10/2002. Fonte: ISTAT, Statistiche in Breve, La popolazionestraniera residente in Italia (periodo di riferimento: 1 gennaio 2006, diffuso il 17 ottobre 2006).

32 Cfr. Nota informativa Istituto nazionale di statistica (11 aprile 2007), “Popolazione straniera regolarmente pre-sente in Italia”, dati rilevati al 1/1/06.

33 28.659 nuovi cittadini italiani nel 2005, circa il 50% in più rispetto al 2004.34 Secondo i dati prodotti dal Ministero dell’Interno fino al 1995 sono state rilasciate circa 33.600 concessioni di

cittadinanza; dal 1996 (anno in cui è iniziata la rilevazione delle acquisizioni di cittadinanza nell’ambito dell’indagine ana-grafica sulla popolazione straniera dell’Istat) esse sono complessivamente 146.500.

35 Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2007. Stima basata sui dati del Ministero dell’Interno,del Ministero degli Affari Esteri e dell’Istat.

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Tab. 2 - Soggiornanti stranieri regolari per aree geografiche dell’accoglienza

Fonte: Elaborazione da Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2007.

Area geografica d’accoglienzaStima soggiornanti

2006

Popolazione

complessiva

% soggiorn.

su pop. compl.

Nord ovest 1.244.530 15.551.047 6,6

Nord Est 954.008 11.119.276 7,0

Nord 2.198.538 26.670.323 6,8

Centro 983.422 11.321.337 7,2

Sud 376.293 14.087.162 2,1

Isole 131.799 6.672.889 1,7

Italia 3.690.053 58.751.711 6,2

Punto di partenza per effettuare una analisi quantitativa del fenomeno sulla base della

quale riflettere su proposte e progetti è la stima effettuata nel Dossier Caritas/Migrantes che, in-

crociando dati di fonti diverse, incrementa la stima effettuata dall’Istat e porta il numero di sog-

giornanti stranieri regolari nel 2006 a 3.690.052, distribuiti principalmente nel Nord Italia (6,8%

della popolazione complessiva)35.

Nel Mezzogiorno la percentuale di soggiornanti stranieri regolari scende al 2,1%; questo

dato, però, non fotografa la realtà. In tale ambito, infatti, si riscontra una forte incidenza di pre-

senze irregolari che è difficile quantificare in quanto sfugge, tra le pieghe della città informale, ad

un qualsiasi riscontro. Questa caratteristica strutturale, rilevata sul campo da rappresentati del

terzo settore e del volontariato che operano a stretto contatto con le comunità straniere, è raffor-

zato dai dati della distribuzione territoriale della presenza straniera regolare. La regolarizzazione

del 2004 costituisce uno spartiacque tra una prima fase di ingresso irregolare (che privilegia col-

locazioni nel mezzogiorno) e, una volta emersi dall’illegalità, la stabilizzazione lavorativa nelle re-

gioni del nord-est del paese. La diminuzione (-23%) dei permessi di soggiorno per lavoro nel

Mezzogiorno, in particolare in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, si concentra nelle aree dove si è

registrato il maggior numero di regolarizzazioni rispetto al numero dei presenti registrati.

Questa speciale condizione, come si vedrà, è uno dei nodi interpretativi di più difficile solu-

zione; risulta, infatti, difficile chiarire le discrepanze tra la statistica ufficiale, la realtà percepita dal

cittadino e i dati raccolti dalle organizzazioni umanitarie.

Tra le quindici principali compagini straniere al 1° gennaio 2006 si distinguono per numero

di presenze i rumeni (271.491), incalzati dagli albanesi (256.916) e dai marocchini (239.728). La

posizione tra comunità rumena e marocchina si inverte se si considerano le sole donne che ca-

ratterizzano, inoltre, la quasi totalità della compagine ucraina. Il maggiore equilibrio tra presenze

maschili e femminili nella comunità cinese indica una caratterizzazione famigliare del flusso mi-

gratorio.

I permessi di soggiorno rilasciati in Italia nel 2006 sono per oltre il 60% motivati dal lavoro

e per circa il 30% da ricongiungimenti famigliari. Motivi di studio, asilo politico, religione e così via,

costituiscono una quota limitata rispetto al totale.

È, altresì, utile sottolineare che, mentre i permessi dovuti a diverse tipologie di ricongiungi-

mento famigliare sono aumentati di oltre il 25% tra il 2004 e il 2006, non altrettanto si può dire dei

permessi di lavoro che sono in netto calo soprattutto nel Sud del paese (-23%).

Dai permessi di soggiorno si evince per grandi linee il motivo per il quale lo straniero è pre-

sente in Italia. Tali documenti, legati direttamente alla stipula di contratti di lavoro, sono una car-

tina di tornasole delle condizioni e delle aspettative dei soggiornanti stranieri, anche se costitui-

scono la punta dell’iceberg di un fenomeno migratorio ancora tutto da esplorare.

La permanenza prolungata è legata sostanzialmente alle due categorie del lavoro e della ri-

costituzione di nuclei familiari mediante l’ingresso dei congiunti di coloro che sono regolarmente

presenti nel paese. Nonostante l’incremento di quest’ultima categoria (anche se solo al Nord ed al

Centro) è ancora il lavoro il principale motore dei flussi in ingresso; ne deriva una peculiare com-

posizione della compagine straniera che tende ad essere congruente all’offerta lavorativa (princi-

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Tab. 3 - Permessi di soggiorno al 1° gennaio 2006

* La variazione percentuale è relativa al totale dei permessi di soggiorno rilasciati nell’intervallo di tempo consi-derato (1995-2005).

Fonte: elaborazione da dati ISTAT e Ministero dell’Interno, relativi alla “popolazione straniera regolarmente presente inItalia”, rilevati al 1/1/06 (Nota informativa Istituto nazionale di statistica, 11 aprile 2007).

Paese di provenienza Permessi di soggiorno da oltre 5 anni da oltre 10 anni % coniugati

Val. ass. %* Val. ass. %*

Romania 271491 64681 23,8 16311 6 56,3

Albania 256916 134809 52,5 49693 19,3 61,4

Marocco 239728 146787 61,2 87094 36,3 54,8

Ucraina 115087 14503 12,6 834 0,7 53,9

Rep. Pop. Cinese 114165 56383 49,4 26880 23,5 55,4

Filippine 74987 55474 74 41735 55,7 58,2

Polonia 73191 23105 31,6 12189 16,7 44,5

Tunisia 61540 39569 64,3 28443 46,2 55,9

Serbia Montenegro 52272 33180 63,5 18704 35,8 59,7

India 51832 24788 47,8 12174 23,5 53,3

Perù 48717 26397 54,2 16573 34 40,4

Senegal 47085 33328 70,8 23365 49,6 62

Egitto 46834 26234 56 15677 33,5 50

Ecuador 45156 12580 27,9 2928 6,5 38,4

Moldova 45006 5227 11,6 90 0,2 55,1

Totale 15 paesi 1544007 697045 45,1 352690 22,8 55,1

Totale P. di Soggiorno 2286024 1076478 47,1 576076 25,2 53,6

palmente nei settori non qualificati). Infatti, le statistiche ufficiali relative all’occupazione regi-

strano un minore tasso di disoccupazione tra la popolazione immigrata che tra la popolazione au-

toctona (inferiore di circa otto punti percentuale); a fine 2005 gli occupati stranieri risultano il

5,4% dell’occupazione complessiva e sono distribuiti principalmente nel Nord (circa i due terzi

dell’occupazione straniera totale).

Questo dato “tende a riflettere la struttura per età della popolazione straniera rispetto a

quella italiana” ed anche la maggiore attitudine all’adattamento generata dalle condizioni che

hanno indotto lo straniero ad emigrare. Questo aspetto rimanda con evidenza allo scenario mi-

gratorio che ha visto, tra gli altri, masse di italiani cercare la sopravvivenza oltreoceano.

Per quanto concerne la struttura dell’occupazione si registra una netta preponderanza del-

l’impiego in attività del settore terziario; l’altra metà degli occupati si ripartisce tra secondario e

primario con percentuali diverse tra nord e sud36. In soli tre comparti (commercio, alberghiero e ri-

36 Il 47% degli immigrati regolari è impegnato in servizi alla famiglia, alberghiero e ristorazione, commercio ed al-tri servizi minori; il 26% è inserito nel secondario (edilizia, cave, piccola e media industria) e il 12% nel primario (agricol-tura e pesca). Fonte Eurispes, 2007.

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Tab. 4 - Permessi di soggiorno per motivo della presenza e per distribuzione sul territorio

Fonte: elaborazione Istat su dati del Ministero dell’Interno

Regioni

1/1/2004 1/1/2006 Var. %

Tot.permessi

di cuiLavoro

di cuiFamiglia

Tot.permessi

di cuiLavoro

di cuiFamiglia

Tot.Perm.

di cuiLav.

di cuiFam.

Piemonte 171.497 116.856 44.120 175.863 107.361 58.651 2,5 –8,1 32,9

V. d’Aosta 3.681 2.244 1.150 3.891 2.594 1.113 5,7 15,6 –3,2

Lombardia 512.632 355.959 124.596 555.226 359.614 165.248 8,3 1,0 32,6

Trentino A.A. 44.006 27.851 12.204 52.634 33.124 15.661 19,6 18,9 28,3

Veneto 225.994 153.983 60.169 270.157 169.656 88.143 19,5 10,2 46,5

Friuli V. Giulia 61,522 34,232 20.623 66.601 39.278 22.108 8,3 14,7 7,2

Liguria 58.336 37.073 14.311 52.665 30.347 16.895 –9,7 –18,1 18,1

Emilia Romagna 218.573 149.419 57.283 251.050 161.116 76.691 14,9 7,8 33,9

Toscana 174.997 113.761 43.154 171.146 101.979 50.362 –2,2 –10,4 16,7

Umbria 44.696 28.528 11.554 46.523 26.785 14.671 4,1 –6,1 27,0

Marche 65.419 39.663 20.354 75.316 43.931 25.989 15,1 10,8 27,7

Lazio 333.533 213.733 57.142 296.943 184.685 65.496 –11,0 –13,6 14,6

Abruzzo 33.037 19.461 11.140 34.564 18.971 13.250 4,6 –2,5 18,9

Molise 3.500 1.811 1.127 3.813 2.100 1.343 8,9 16,0 19,2

Campania 114.360 85.315 23.885 92.276 63.635 22.710 –19,3 –25,4 –4,9

Puglia 42.608 25.685 11.429 36.854 18.766 12.607 –13,5 –26,9 10,3

Basilicata 5.649 3.691 1.440 5.280 3.158 1.611 –6,5 –14,4 11,9

Calabria 33.051 21.431 6.178 25.411 14.584 7.275 –23,1 –31,9 17,8

Sicilia 65.331 41.120 18.660 54.463 30.861 17.490 –16,6 –24,9 –6,3

Sardegna 15.145 7.565 4.781 15.348 6.740 5.051 1,3 –10,9 5,6

Nord-ovest 746.146 512.132 184.177 787.645 499.916 241.907 5,6 –2,4 31,3

Nord-est 550.095 365.485 150.279 640.442 403.174 202.603 16,4 10,3 34,8

Centro 618.645 395.685 132.204 589.928 357.380 156.518 –4,6 –9,7 18,4

Sud e Isole 312.681 206.079 78.640 268.009 158.815 81.307 –14,6 –23,0 6,5

–13,3 –22,8 –3,8

Italia 2.227.567 1.479.381 545.300 2.286.024 1.419.285 682.365 2,6 –4,1 25,1

storazione, servizi alla famiglia) si concentra il 38% dell’occupazione straniera del terziario e circa

un quarto degli occupati stranieri in tale settore svolge le proprie attività in servizi domestici

presso le famiglie. Gli occupati stranieri nel settore secondario sono pari a circa il 40% del totale e,

in tendenza inversa rispetto all’occupazione degli italiani, sono concentrati in larga misura nel set-

tore delle costruzioni ed affini.

Come si è accennato, nonostante un elevato grado d’istruzione della compagine straniera

– oltre la metà degli occupati stranieri è in possesso di laurea (9,9%) o diploma (39,4%) – il loro

impiego si svolge principalmente in professioni non qualificate ed a bassa retribuzione37. In tale

ambito gli occupati italiani costituiscono solo il 10%38. Anche il livello di disoccupazione non è tra-

scurabile.

37 Che rappresentano il gruppo VIII della “classificazione delle professioni, 2001”.38 Circa un terzo degli occupati stranieri svolge le proprie attività in uno dei seguenti impieghi: muratore, ad-

detto alle pulizie, collaboratore domestico e assistente familiare, bracciante, manovale.

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Tab. 5 a - Occupati stranieri per ripartizione geografica (IV trimestre 2005)

Fonte: Istat. La partecipazione al mercato del lavoro della popolazione straniera (I-IV trimestre 2005)

Italia Nord Centro Sud

maschi femmine M F M F M F

Val. ass. (migliaia) 752 472 486 284 176 136 90 52

Incidenza % 61,4 38,6 39,7 23,2 14,4 11,1 7,4 4,2

Tab. 5 b - Caratteristiche dell’occupazione degli stranieri (IV trimestre 2005)

TotaleTempo

pieno

Tempo

parzialeDipendenti Indipend.

Settore

1ario

Settore

2ario

Settore

3ario

Val. ass. (migliaia) 1.224 989 235 1.035 189 59 490 675

Incidenza % 100 80,8 19,2 84,6 15,4 4,8 40,1 55,1

Tab. 6 - Popolazione straniera residente per area geografica di provenienza: 2003-2006

Fonte: elaborazione da dati ISTAT relativi alla popolazione straniera residente in Italia e rilevati al 31/12 di ciascun annoconsiderato (periodo di riferimento 1/1/06, diffuso 17/10/06)

Anni

1/1/2003 1/1/2006

Var. %M F Tot M F Tot

EUROPA 310.709 349.012 659.721 575.135 686.829 1.261.964 91,3

Europa 25 58.064 109.060 167.124 76.910 146.627 223.537 33,8

Europa centro-orientale 247.242 233.256 480.498 492.579 533.295 1.025.874 113,5

Altri paesi europei 5.403 6.696 12.099 5.646 6.907 12.553 3,8

AFRICA 283.989 180.594 464.583 432.575 262.413 694.988 49,6

Africa settentrionale 203.191 119.963 323.154 309.459 175.441 484.900 50,1

Altri paesi africani 80.798 60.631 141.429 123.116 86.972 210.088 48,5

ASIA 145.115 133.634 278.749 249.943 204.850 454.793 63,2

Asia orientale 65.303 82.442 147.745 110.802 124.189 234.991 59,1

Altri paesi asiatici 79.812 51.192 131.004 139.141 80.661 219.802 67,8

AMERICA 47.312 96.279 143.591 91.599 164.062 255.661 78,0

America settentrionale 6.973 8.572 15.545 7.606 9.173 16.779 7,9

America centro-meridionale 40.339 87.707 128.046 83.993 154.889 238.882 86,6

OCEANIA 910 1.385 2.295 1.003 1.483 2.486 8,3

Apolidi 239 195 434 333 289 622 43,3

TOTALE 788.274 761.099 1.549.373 1.350.588 1.319.926 2.670.514 72,4

Si riscontra anche una segmentazione etnica del mercato del lavoro con alcune nazionalità

concentrate in alcuni settori produttivi. Anche la differenza di genere varia in funzione dell’etnia e

del settore lavorativo nel quale ci si impegna; se, infatti, all’inizio del 2006, il rapporto tra i sessi ap-

pare equilibrato (102 maschi per 100 femmine) permangono significative differenze tra le comu-

nità: i cittadini provenienti dall’Ucraina, dall’Ecuador e dal Perù mostrano un rapporto decisa-

mente favorevole per le donne (22 maschi per 100 femmine ucraine e 62 maschi per 100 femmine

per le altre due comunità), mentre tra residenti africani e asiatici il rapporto volge a favore degli

uomini (rispettivamente 165 e 122 maschi per 100 femmine)39.

Le comunità cresciute maggiormente sono quelle provenienti dall’Europa centrorientale,

che, escludendo i paesi neocomunitari, sono più che raddoppiate (+113,5%) rispetto al 1° gennaio

200340; aumenti consistenti si registrano anche per i cittadini dell’Asia orientale, in particolare per

i cinesi, cresciuti da 70mila a 128mila unità e, anche grazie all’ultima regolarizzazione, per gli stra-

nieri d’origine africana (con un incremento che supera il 50% complessivo). Per quanto concerne

i cittadini provenienti dall’America centro-meridionale (incremento 87%), si distingue la comunità

ecuadoregna composta da 62mila persone41. Per quanto riguarda i cittadini provenienti

dall’Unione europea si osserva un incremento significativo (91,1%) solo dei residenti originari dei

paesi neocomunitari42, mentre i cittadini dei paesi dell’Unione a quindici aumentano solamente

del 14,4%.

L’incremento dei flussi di popolazione dall’estero contribuisce significativamente (oltre il

92%) all’incremento complessivo della popolazione in Italia anche se gli stranieri costituiscono

una compagine limitata rispetto alle realtà di altri paesi europei. Allo stato attuale, accanto al

saldo migratorio attivo, si registra anche un aumento dei nati di cittadinanza straniera (figli di ge-

nitori entrambi stranieri residenti in Italia) che si contrappone al saldo naturale negativo della po-

polazione residente di cittadinanza italiana43. Se si aggiungono a tali dati quelli relativi ai ricon-

giungimenti familiari si fotografa un fenomeno estremamente significativo sia per la consistenza

numerica, sia per le implicazioni che determina.

Gli stranieri nati in Italia non possono essere definiti immigrati: si tratta di nati in Italia da

genitori stranieri residenti e ammontano a 51.971 nel 2005, pari al 9,4% del totale dei nati in

Italia44. I nati in Italia da genitori stranieri costituiscono una componente rilevante dell’aumento

dei minori di cittadinanza straniera, che rappresentano il 21,9% (585.496 unità) del totale della po-

polazione straniera residente al 1° gennaio 200645. L’aumento dei minori va di pari passo con l’au-

mento della popolazione straniera, e in particolare della componente più stabile rappresentata da

coloro (la grande maggioranza) che oltre a essere regolarmente presenti, e quindi in possesso di

un permesso di soggiorno valido, sono anche iscritti in anagrafe.

Con l’arrivo di minori nati altrove e con la nascita e la socializzazione di figli nati nel paese

di insediamento “vengono alla ribalta alcuni nodi fondamentali per l’integrazione sociale, che ve-

nivano occultati o posposti finché si trattava di immigrati di prima generazione, di cui si immagi-

nava un rientro in patria in un futuro non lontano” (Ambrosini, 2007).

39 Cfr. Nota informativa Istituto nazionale di statistica40 In particolare gli ucraini sono passati da meno di 13mila unità a 107mila, i rumeni da 95mila a 298mila e gli al-

banesi da 217mila a 349mila.41 Oltre che a causa dei flussi in ingresso, parte consistente di tali incrementi è dovuta all’ultima regolarizzazione

e alle operazioni di aggiustamento effettuate dai comuni dopo il censimento del 2001.42 La sola Europa centro orientale rappresenta il 39% della popolazione straniera residente in Italia, con oltre 1

milione di presenze.43 Nel 2005 il saldo naturale della popolazione straniera residente (differenza tra nascite e decessi) è in attivo di

48.838 unità, mentre quello della popolazione italiana residente è in negativo per 62.120 unità. Fonte: Istat, Statistiche inBreve, La popolazione straniera residente in Italia (periodo di riferimento: 1 gennaio 2006, diffuso il 17 ottobre 2006).

44 Da fonte Istat risulta +6,2% rispetto all’anno precedente, in cui erano 48.925. Anche nel 2005 il saldo naturaledella popolazione straniera è positivo e in aumento rispetto agli anni precedenti. Infatti, la componente dei decessi, sep-pure in leggero aumento, è ancora numericamente molto contenuta (solamente 3.133 morti nel 2005) grazie, evidente-mente, alla struttura per età ancora giovane della popolazione straniera.

45 Essi sono circa 84 mila in più rispetto al 1° gennaio 2005: oltre il 60% di tale aumento è dovuto proprio ai nuovinati, mentre la parte rimanente è costituita dai minori giunti in Italia per ricongiungimento familiare.

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Nel Nord del paese – dove è può alta la concentrazione di immigrati regolari e, quindi, più

stabili – il contributo degli stranieri alla dinamica naturale è significativo46. Anche il numero dei

minorenni conferma una tipologia di immigrazione particolarmente stabile e presumibilmente

ben radicata nel territorio: l’incidenza dei minori, in rapporto alla popolazione straniera residente,

è mediamente più alta nelle regioni settentrionali dove raggiunge il 23%, a fronte del 21,9% rile-

vabile a livello nazionale; il Veneto è la regione dove è più elevata la quota di minori stranieri

(24,1%), e sono numerose le province dove supera il 25%.

La quota di minorenni nelle regioni del Centro appare superiore alla media nazionale nelle

Marche e nell’Umbria (rispettivamente 23,8% e 22,6%), anche se la percentuale più elevata si ri-

scontra nella provincia di Prato (25,3%), mentre nel Lazio il peso dei minorenni sulla popolazione

è più contenuto (19,1%). Infine, nel Mezzogiorno, dove la percentuale di minori – in particolare al

Sud – è inferiore alla media, tre regioni evidenziano una percentuale di popolazione giovane su-

periore al 20% e vicina alla media nazionale: Sicilia (21,3%), Puglia (21,2%) e Abruzzo (20,8%). Ciò

indica che “al Sud vi è una presenza familiare piuttosto forte, ma che, escluse quelle province già

segnalate dove si evidenzia una significativa presenza di nati, il modello d’insediamento migrato-

rio non vede la formazione di nuovi nuclei familiari, ma piuttosto famiglie che giungono già con i

figli o che comunque si ricongiungono successivamente”.

L’incremento delle nascite da famiglie straniere e la tendenza a farsi raggiungere dalla fa-

miglia inizialmente rimasta nel paese d’origine sono dati significativi anche in qualità di indicatori

di una tendenza alla stabilità, alla costruzione di un progetto di vita futura in terra italiana, da

parte di alcune comunità etniche presenti nel Paese. Ricongiungimenti familiari, nascita dei figli,

scolarizzazione, infatti, incrementano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società rice-

vente, producendo un processo di progressiva “cittadinizzazione” dell’immigrato, ossia un “pro-

cesso che lo porta a essere membro e soggetto della città intesa nella più larga accezione del ter-

mine” (Bastenier, Dassetto, 1990).

46 L’incidenza dei nati stranieri sul totale dei nati nelle regioni settentrionali è pari al 14,5%, sensibilmente supe-riore a quella del Centro (11,2%). Le province dove i nati stranieri superano il 20% sono soprattutto situate al Nord(Brescia, Mantova, Treviso, Piacenza, Modena), ma è Prato la provincia che in termini relativi ha il maggior numero di natistranieri (quasi un quarto, 24,6%, dei nati in totale). Del resto non mancano segnali di una forte dinamica demografica an-che in altre province del Centro, come ad esempio Macerata, Perugia e Firenze, dove i nati stranieri superano il 15%. NelMezzogiorno l’incidenza dei nati stranieri è bassa, mediamente pari al 2,1%; delle specificità si osservano nelle provincedi Teramo, dove i nati stranieri superano il 10%, dell’Aquila e di Ragusa, con quote intorno al 7%.

47 Con questo termine si raggruppa in una sola categoria: i minori nati in Italia da coppie di stranieri, i minori natiin Italia da coppie miste, i minori ricongiunti, i minori giunti soli (per adozioni, per programmi educativi, i rifugiati per mo-tivi bellici).

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Tab. 7 - Alunni stranieri per continente di provenienza e livello scolastico

* inclusi gli apolidi

Continente

Infanzia Elementare Sec. I° Sec. II° Totale

VA % VA % VA % VA % VA %

UE 3.407 20,06 6.756 39,78 3.487 20,53 3.333 19,63 16.983 100

Non UE 26.389 16,95 64.748 41,58 38.012 24,41 26.568 17,06 155.717 100

Africa 25.340 27,56 37.072 40,32 18.191 19,79 11.333 12,33 91.936 100

America 6.599 15,35 15.268 35,52 10.679 24,84 10.439 24,29 42.985 100

Asia 11.279 21,09 20.499 38,33 13.936 26,06 7.765 14,52 53.479 100

Oceania* 92 19,33 182 38,24 70 14,71 132 27,73 476 100

Totale 73.106 20,22 144.525 39,97 84.375 23,34 59.570 16,48 367.576 100

Il grado di inserimento delle seconde generazioni47 nel sistema sociale del paese dell’acco-

glienza determina la consapevolezza nelle comunità immigrate di aver acquisito una condizione

di minoranza nel proprio nuovo contesto di vita e di aver intrapreso un progetto di vita in un ter-

ritorio diverso da quello del paese d’origine. Ciò comporta l’esigenza di conoscere il fenomeno,

anche se non è ancora dilagante, e di pianificare una risposta alla nuova domanda urbana prima

che si configuri l’emergenza.

Il livello di scolarizzazione degli alunni stranieri è un importante indicatore della qualità

delle politiche d’integrazione attivate in un paese48.

Tra l’anno scolastico 1994-95 e quello 2005-06 l’incidenza degli alunni stranieri sulla popo-

lazione scolastica è passata dallo 0,47% – con 42.816 presenze – al 4,80% – con 424.683 iscritti di

cittadinanza non italiana, ripartiti in modo equo tra cittadini europei ed extraeuropei (Eurispes,

2007, p. 833).

Le cittadinanze più rappresentate nella scuola sono quella albanese che conta oggi 69.374

unità, quella marocchina (59.489) e quella rumena di 52.821 unità (con l’incremento maggiore ne-

gli ultimi tre anni).

48 L’attenzione al multiculturalismo nell’educazione si manifesta a partire dalla Circolare ministeriale 205/1990orientata a incrementare l’interazione tra studenti stranieri e italiani allo scopo della reciproca crescita. Tale valore for-mativo è sottolineato nella legge sull’immigrazione (40/1998) che individua quali strumenti per realizzarlo “progetti in-terculturali” finalizzati alla” valorizzazione delle differenze linguistico culturali e alla promozione di iniziative di acco-glienza e di scambio” (art. 36). Inoltre, a partire dal DPR 394/1999, l’obbligo scolastico è esteso ai minori stranieri ancheindipendentemente dalla regolarità della loro presenza sul territorio italiano.

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La popolazione scolastica straniera è concentrata principalmente il Lombardia (nell’anno

scolastico 2005/2006 raggiungeva il 24,6% del totale), seguita dal Veneto (12,7%), dall’Emilia

Romagna (12%), Piemonte (10%), Lazio (9,7%) e Toscana (8%), confermando la distribuzione re-

gionale delle compagini straniere sul suolo italiano.

La concentrazione non avviene solo nella aree metropolitane ma anche in molti medi e pic-

coli centri urbani e con una varietà molto ampia di cittadinanze rappresentate nelle scuole. In al-

cune realtà urbane si supera di gran lunga le cento diverse nazionalità; questo dato avvalora la

constatazione della notevole differenziazione etnica che distingue l’immigrazione in Italia. Questo

costituisce un elemento importante sul quale modellare le proposte d’integrazione: se, da un lato,

la differenziazione rende più complessa l’interpretazione della domanda e più ardua la cono-

scenza approfondita del fenomeno, dall’altro, riduce il margine di arroccamento di ciascun

gruppo in una propria comunità avulsa dal contesto. Se ben gestita, tale attitudine può favorire

processi di dialogo, interazione ed integrazione.

Questo quadro sinteticamente tracciato consente di effettuare una prima lettura quantita-

tiva del mutamento in atto, anche se non esaustiva; le statistiche ufficiali, infatti, oltre ad essere

Tab. 8 - Province italiane per varietà delle cittadinanze degli alunni

Fonte: Sistema Informativo Miur (Eurispes, 2007)

Province% alunni stranieri

su pop. scolastica

Cittadinanze

rappresentate

Cittadinanza

più rappresentata

Cittadinanza su pop.

scolastica straniera

Roma 5,2 164 Romania 29,9

Milano 7,3 157 Ecuador 11,1

Torino 6,2 132 Romania 35,3

Bologna 8,3 120 Marocco 26,2

Firenze 7,8 124 Albania 24,5

Verona 7,9 116 Marocco 20,1

Bergamo 6,6 124 Marocco 24,4

Vicenza 8,3 119 Jugo. (Ser. Mon.) 19,0

Genova 7,0 122 Ecuador 46,5

Varese 5,1 116 Albania 21,6

strutturalmente inadeguate a dare un’interpretazione qualitativa del fenomeno che rappresen-

tano, non possono fotografare la dimensione sommersa delle dinamiche migratorie. Nonostante

le sanatorie che si sono succedute a partire dal 1987, l’Italia è ancora il paese europeo con il più

alto tasso di immigrazione clandestina. Questo dato, del quale è necessario tener conto nella re-

dazione delle linee guida progettuali, ha un forte riverbero sui meccanismi di formazione della

domanda urbana e, nel contempo, rende più complessi le relazioni e gli scambi interetnici.

Questo fattore, infatti, unito all’elevata percentuale di disoccupati, sottoccupati o lavoratori

informali che si registra anche tra gli immigrati regolari, determina una situazione di potenziale ri-

schio sociale. Si pongono, infatti, problemi per l’integrazione sociale degli immigrati non inseriti

con successo nel mercato del lavoro e per la pubblica sicurezza, con l’ingresso di molti di loro tra

le file della criminalità diffusa o di quella organizzata.

3.3.2 Scenario normativo e prospettive future

Per cogliere le tendenze in atto e la percezione del fenomeno migratorio da parte dei cit-

tadini, così come sono state raccolte dalle rappresentanze istituzionali, si fa riferimento ai princi-

pali caratteri dell’evoluzione dello scenario normativo. La legge vigente, la c.d. Bossi-Fini, ha rac-

colto una forte domanda protezionistica espressa da ampie parti del territorio nazionale; vi si con-

trappone un disegno di legge attualmente allo studio da parte del Governo che vorrebbe

invertire le tendenze.

Le politiche per l’immigrazione in Italia si sono aperte con la legge 943/1986 che, insieme

alla c.d. legge Martelli (39/1990), ha dovuto affrontare la situazione delle presenze irregolari nel

Paese (mediante sanatoria) e ha introdotto diritti degli immigrati (eguaglianza giuridica con i la-

voratori italiani, ricongiungimento familiare, accesso a servizi socio-sanitari e scolastici, all’allog-

gio) e indirizzi d’integrazione (fondi per l’alloggio e l’istruzione, assistenza sanitaria gratuita, pos-

sibilità di associazionismo e consulte presso gli enti locali). I principi che informavano tali leggi

erano orientati all’equiparazione dei diritti degli immigrati a quelli dei cittadini italiani, indipen-

dentemente dall’acquisizione della cittadinanza. Un quadro, in generale, garantista e rispettoso

delle identità culturali e religiose (a meno della mancanza del diritto di voto) anche se nei fatti i

diritti attribuiti non sono garantiti. In realtà l’esperienza delle leggi sull’immigrazione riflette le

stesse difficoltà che riguardano il sistema normativo nel suo insieme: l’estrema burocratizzazione

delle procedure si associa con l’inefficienza del sistema amministrativo per vanificare tutti gli

sforzi di “normalizzazione” del paese.

La farraginosità del sistema, da molti operatori definito penalizzante per le persone oneste

e garante di impunità per chi delinque, ha condotto al varo del DL 489/1995 che doveva facilitare

le espulsioni e la punibilità dei reati; decaduto tale provvedimento è stata approvata la c.d legge

Turco-Napolitano (40/1998) che introduce alcune novità. La Carta di soggiorno permanente viene

rilasciata a coloro che vantano una presenza regolare di almeno cinque anni; a ciò si aggiungono

i permessi semestrali per il lavoro stagionale, le agevolazioni per introdurre al lavoro autonomo, lo

snellimento delle procedure per i ricongiungimenti familiari, e iniziative sociali e culturali per gli

immigrati.

Tale legge appare restrittiva contro la clandestinità solo sulla carta, così come la successiva

legge Bossi-Fini (2002). Quest’ultima, nota soprattutto per il dibattito scatenato dall’obbligo di re-

gistrare le proprie impronte digitali (norma, peraltro, vigente in ambito europeo) reintroduce il

collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro che si era perso nei precedenti

provvedimenti e riduce i margini della regolamentazione dei ricongiungimenti familiari. Anche in

questo caso le misure, indipendentemente dalla loro severità, risultano poco applicate.

In tal modo appare difficile perseguire un disegno d’integrazione che favorisca il passaggio

da immigrazione temporanea a durevole, con la trasformazione della connotazione dell’immigra-

zione da quella per lavoro a quella di popolamento. L’attuale assetto determina le necessità di in-

tervenire con la redazione di norme e protocolli d’azione che possano realisticamente essere ap-

plicate.

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Le dichiarazioni e le proposte di legge in itinere sembrano avere un approccio più vicino al-

l’apertura e all’accoglienza rispetto alla precedente; ciò accade in controtendenza rispetto a

quanto si sta delineando negli altri paesi europei.

Prima di tutto, una proposta del Ministero dell’Interno, modificando il tradizionale criterio

dello ius sanguiniis, prevede l’estensione della cittadinanza anche agli immigrati, indipendente-

mente dalla provenienza.

È stato stilato, e successivamente bloccato per gli sviluppi politici e per la caduta del

Governo, a cura dei Ministeri dell’Interno e della Solidarietà Sociale, un disegno di legge delega49

per la “modifica della disciplina dell’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero”

che abbozza le linee di una riforma orientata a “promuovere l’immigrazione regolare, favorendo

l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”50.

Al di là delle dichiarazioni d’intento, fortemente orientate a favorire l’integrazione, non è

possibile individuare le reali potenzialità del progetto di riforma; tra gli obiettivi esso annovera

quello di sfoltire la burocrazia che pesa sull’immigrazione e promuovere la concessione di per-

messi per motivi umanitari a chi “dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile”.

L’inserimento dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti è favorito anche con la possibilità per

chi è in Italia da cinque anni di lavorare nella Pubblica Amministrazione come se fosse un citta-

dino comunitario o l’accesso all’assistenza sociale per chi è qui da due anni e per i minori iscritti

sul suo permesso, o al riforma della disciplina per il riconoscimento dei titoli di studio51.

La proposta definisce anche la figura e le funzioni dei mediatori culturali, competenza che

si è rivelata indispensabile alla prova dei fatti,“con particolare riguardo ai problemi delle seconde

generazioni e delle donne”. Si vuole poi favorire l’inserimento dei minori stranieri e riconoscere ai

soggiornanti di lungo periodo anche la partecipazione all’elettorato attivo e passivo alle elezioni

amministrative52.

Il ruolo dei Consigli Territoriali per l’Immigrazione già costituiti viene valorizzato mediante

uno stanziamento consistente di fondi (c.a. 7 mld euro) orientati ad attività che combattano il di-

sagio sociale delle comunità immigrate e favoriscano l’incontro etnico su basi di maggiore civiltà.

Si attribuisce un ruolo centrale al diritto alla casa, peraltro disatteso anche per la popolazione lo-

cale, mediante l’istituzione di “fondi di protezione” che si costituiscano quale garanzia per rendere

accessibili le locazioni (o i mutui) agli immigrati. Questo dispositivo, innovativo per quanto ri-

guarda la compagine immigrata, è già consolidato in altri ambiti e costituisce un interessante am-

mortizzatore sociale laddove l’innalzamento dei valori immobiliari può generare l’espulsione

delle popolazioni meno abbienti (Giovene di Girasole, 2005).

Questi intenti costituiscono dei passi avanti per il processo di costruzione di una società

multietnica, non consentono, però, di evidenziare la posizione delle istituzioni nei confronti delle

politiche per l’integrazione; non si registrano, infatti, ancora politiche specifiche che evidenzino il

modello d’integrazione delle comunità immigrate cui si tende. È importante in tal senso la “Carta

dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione” presentata dal Ministero dell’Interno il

49 Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, un de-creto legislativo per la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e normesulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni secondo iprincipi e criteri direttivi definiti nel testo della legge delega approvata dal Consiglio dei Ministri il 24 aprile 2007.

50 Tra le proposte per favorire gli ingressi di categorie professionali funzionali al mercato del lavoro: la program-mazione dei flussi triennale (con “adeguamento annuale delle quote alle esigenze del mercato del lavoro”), gli ingressifuori-quota (ritoccando “le procedure, le categorie e le tipologie” previste dall’articolo 27 del T.U.), la gestione delle iscri-zioni alle liste di collocamento da parte di rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, enti e organismi internazionalicon sedi nei paesi d’origine degli immigrati, autorità locali (i lavoratori stranieri potranno accedervi in base al “grado diconoscenza della lingua italiana, dei titoli e della qualifica professionale posseduta), l’istituzione di una banca dati inter-ministeriale, la sponsorizzazione per l’ingresso in Italia di chi è iscritto alle liste o alla banca dati (enti locali, associazioni,sindacati e patronati, privati cittadini o anche il diretto interessato).

51 Si trasformano i Cpt in strutture aperte, con un “congruo orario di uscita” per chi collabora all’identificazione estrutture chiuse per chi non si fa identificare, ma all’interno delle quali si potrà comunque rimanere per un periodoinferiore ai 60 giorni previsti oggi. Fonte: Focus Immigrazione, 13 marzo 2007.

52 Così come previsto dalla convenzione di Strasburgo sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica alivello locale.

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23/04/2007 che detta, anche se non in modo vincolante, i principi per l’accoglienza, in una logica

di reciprocità dei diritti fondamentali e dei doveri di una convivenza civile “senza distinzione di

sesso, etnia, religione, condizioni sociali”. Il rapporto tra l’esigenza di garantire agli immigrati una

equa accessibilità a servizi ed opportunità e di non consentire deroghe al rispetto dei doveri di

convivenza e delle norme vigenti è, infatti, un nodo concettuale e pratico rilevante.

Le esperienze dei paesi con una storia multietnica evidenziano che, indipendentemente

dal susseguirsi di leggi che favoriscono o ostacolano l’ingresso di immigrati, il nodo giuridico sul

quale si gioca il successo dei processi d’integrazione è il rispetto delle leggi del paese d’acco-

glienza. Solo la certezza del rigore e dell’equità dei diritti, dei doveri e delle sanzioni tra popola-

zione autoctona ed alloctona può favorire l’inserimento e ridurre tensioni e conflitti. Nei paesi

dove il processo interetnico è più avanzato si riscontra, infatti, un equilibrio tra apertura al dialogo

interculturale associata ad una necessaria intransigenza riguardo il rispetto delle conquiste del di-

ritto che costituiscono la piattaforma unificante della società contemporanea53. È evidente che

pratiche che contravvengono alle norme in materia di diritto della famiglia (si pensi alla poligamia

o alle violenze familiari, ma anche alle limitazioni dei diritti civili delle donne), di tutela della salute

(si pensi a tutte le attività che possono danneggiare l’ambiente oppure a pratiche mutilanti quali

l’infibulazione), di lavoro (sfruttamento del lavoro minorile e delle donne, accattonaggio di minori

o portatori di handicap, lavoro informale, …) e così via, devono essere stigmatizzate e punite

senza esitazioni demagogiche per il rispetto delle diversità. Solo la certezza del diritto e la con-

ferma dei diritti acquisiti in un sistema democratico può riequilibrare un rapporto fatto di diffi-

denze reciproche, di desideri di rivalsa che sfociano nella violenza e di riscatto vanificati dal

contesto.

Questo tema di estrema attualità presenta profili complessi che variano nei confronti delle

diverse comunità; da un lato, per esempio, si registrano episodi di conflitto tra la comunità cinese

e le forze dell’ordine, in virtù di interessi legati ad attività produttive e commerciali54. Anche la

presenza cospicua di cittadini rumeni, che godono, quindi, i vantaggi dei cittadini comunitari, de-

sta un allarme sociale acuito da gravissimi episodi delittuosi ma anche dall’enorme quantità di

episodi di più basso profilo. La condivisione di un sistema normativo ben definito, comprensibile

ed equo costituisce la base per un confronto proficuo e per la costruzione di un processo di inte-

grazione-interazione.

3.3.3 Le scelte localizzative delle comunità immigrate

Le motivazioni della maggior parte dei gruppi etnici che hanno scelto di spostarsi dal pro-

prio Paese d’origine per approdare in Europa sono principalmente legate all’obiettivo di miglio-

rare le proprie condizioni di vita, anche se sovente sono rafforzate dallo scatenarsi di un conflitto,

dal mancato rispetto dei diritti civili e da altre situazioni di rischio.

In generale, le comunità immigrate sono vincolate, nelle proprie scelte localizzative, da mol-

teplici fattori, tra i quali domina quello economico; ma il tema non è esclusivamente riconducibile

a tali fattori. La scelta, pur considerando un elevato coefficiente di casualità, si può sviluppare su

tre piani:

1. La scelta dell’area geografica; in Italia le statistiche ufficiali sottolineano una preferenza

insediativa nel Nord ed in particolare nel NordEst, dove la domanda di manodopera è

più ampia ed articolata.

2. La scelta tra città e aree extraurbane della produzione; la destinazione dei c.d. distretti in-

dustriali è privilegiata da chi intende impegnarsi in attività produttive, mentre la città è

la meta ideale per chi progetta un impiego nei servizi alla famiglia e nel settore com-

53 Sulla stampa italiana è ormai di grande attualità la tematica multietnica che offre lo spunto ad intellettuali chesi riconoscono in diverse posizioni culturali e ideologiche per dibattere sull’approccio da adottare nei confronti del temadell’integrazione.

54 Si fa riferimento, per esempio, alle recenti tensioni esplose nel quartiere etnicamente connotato di CanonicaSarpi nella periferia consolidata milanese, dove dai primi accertamenti, emergono reazioni di intolleranza nei confronti disanzioni comminate ad alcuni membri della comunità che avevano contravvenuto ai regolamenti vigenti.

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merciale.

3. La scelta dell’ambito urbano dove risiedere; l’accessibilità all’alloggio, a reti di mutuo

soccorso e ai mezzi di trasporto collettivo condizionano la scelta così come la prossimità

al luogo di lavoro.

In Italia si sta riducendo la concentrazione degli stranieri, con una ampia diffusione sul ter-

ritorio, dopo una prima fase nella quale si sono concentrati in prossimità delle frontiere, dei grandi

nodi infrastrutturali, dei principali centri urbani e della aree agricole (Eurispes, 2007, p. 790).

La maggioranza degli immigrati ricerca la disponibilità di un lavoro a bassa specializza-

zione e di un alloggio, ancorché precario, ed il supporto di enti assistenziali di diversa natura. Con

una necessaria semplificazione, quindi, si possono ravvisare le principali cause delle scelte in esi-

genze relative alla funzione residenziale ed a quella lavorativa; in particolare i fattori di condizio-

namento sono:

– La prossimità dell’offerta di lavoro accessibile a manodopera immigrata.

– La presenza di una comunità di immigrati provenienti dallo stesso paese d’origine e già

insediati stabilmente.

– La possibilità di accedere ad una rete di supporto all’immigrato costituita da associazioni

che operano nel sociale o da struttura religiose.

– La disponibilità di alloggi, anche impropri, a basso costo.

– L’accesso alle altre funzioni residenziali, in particolare ai servizi di quartiere, per coloro

che si sono stabilizzati, anche con i ricongiungimenti familiari.

Sovente le scelte scaturiscono dalla compresenza dei diversi fattori anche se variano le

priorità al variare delle condizioni specifiche. Il primo grande spartiacque è rappresentato dalla

condizione di legalità della propria presenza nel paese; agli immigrati clandestini è, infatti, pre-

clusa la possibilità di sviluppare un progetto stabile di vita nel nostro paese55. In Italia il settore “in-

formale” del lavoro è particolarmente ampio e fortemente rimpinguato dai lavoratori immigrati

che, quindi, si vedono preclusa la strada della regolarizzazione.

Non è questa la sede per l’approfondimento di un tema così delicato e difficile da quantifi-

care, che presenta implicazioni nel settore della pubblica sicurezza, alimenta polemiche di diverso

segno e, soprattutto, estremizza il concetto di provvisorietà e precarietà e non costituisce una

base stabile per il calcolo della domanda multietnica. Basti sottolineare quanto denunciato dagli

organismi del terzo settore che operano in questo campo e che evidenziano la tendenza a svi-

luppare un percorso che parte dall’ingresso in clandestinità nel Sud del paese, con l’impegno in

un lavoro informale stagionale nel settore agricolo e nell’ambulantato e l’alloggio precario nelle

aree interstiziali della città diffusa. In una fase successiva si configura un definitivo ingresso nell’il-

legalità, con la cooptazione in attività criminose, o il passaggio dalla clandestinità alla legalità, cui

sovente fa seguito un trasferimento verso le aree industriali del Nord Italia.

Un secondo distinguo va effettuato in funzione della provenienza geografica dell’immi-

grato; le diverse comunità hanno, infatti, specifici obiettivi lavorativi o progetti insediativi cui cor-

rispondono diversi modelli localizzativi. Si registra, per esempio, nel settore dei servizi alla famiglia

e dei lavori domestici una netta predominanza di lavoratori provenienti da Filippine, Sri Lanka,

Eritrea, Repubblica Dominicana, Ecuador, Salvador, Mauritius, Capo Verde, Ucraina, mentre l’ambu-

lantato e i lavori edili sono appannaggio principalmente di Marocchini e Senegalesi e la ristora-

zione di Egiziani e Cinesi.

Alcuni gruppi etnici appaiono integrati con maggiore successo e minore conflittualità – per

esempio Filippini e Cingalesi – anche se la facilità d’accesso ad una precisa tipologia lavorativa ini-

bisce o preclude la possibilità di crescita. Questo schema consolidato sta generando disagio e fru-

strazioni che conducono, da un lato, a perseguire un disegno di rientro nel paese d’origine con

una disponibilità economica tale da attivare una nuova attività, dall’altro a vivere con rassegna-

55 Il disegno di legge sull’immigrazione attualmente in itinere, nella sua prima stesura, modifica in parte tali limi-tazioni.

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zione e velleitarismo (con cadute nella dipendenza da alcolici) il proprio mancato inserimento so-

ciale nel paese d’adozione.

Un elemento comune ai diversi scenari tracciati è la difficoltà di innescare la fase dell’inte-

grazione, partendo da condizioni di sudditanza materiale o psicologica; inoltre, allo stato attuale,

l’attività lavorativa è intesa sovente quale fonte di guadagno da investire nei paesi d’origine me-

diante le rimesse56 e raramente quale opportunità per costruire una propria attività autonoma nel

paese d’accoglienza57.

Il percorso d’integrazione individuato dalle ricerche di settore e sottolineato dalle istitu-

zioni (vedi nuovo disegno di legge) ruota quindi attorno ad alcuni passaggi chiave: il motore è il

lavoro – il piano sul quale si sviluppano le prime interazioni con il paese dell’accoglienza – quindi

la ricerca dell’alloggio – le cui caratteristiche variano al variare delle fasi del processo d’integra-

zione – e l’accesso ai servizi base quali trasporti e servizi sanitari. Quando dalla fase della prima

accoglienza si progredisce verso un progetto di soggiorno prolungato si evolve da bisogni pri-

mari della sussistenza (lavoro, tetto, assistenza medica) a dei bisogni più articolati che avviano il

processo di integrazione. La precarietà iniziale tende a trasformarsi in stabilità, si formano e si ri-

uniscono le famiglie e all’iniziale meccanismo di domanda e offerta si sostituisce un più com-

plesso e delicato sistema di domande.

In realtà, nella prima fase dell’integrazione (le prime generazioni) si riscontra una tendenza

difensiva da parte degli immigrati che tendono ad autosegregarsi, cercando protezione in en-

clave monoetniche già insediate58; superata la fase iniziale si sviluppa, però, una insofferenza nei

confronti di una città organizzata per recinti. Le terze generazioni, provenienti da famiglie sovente

assimilate alla cultura ospite dominante, vivono l’insofferenza di essere collocate all’interno di re-

cinti virtuali che, spesso, si materializzano in quartieri ed isolati dell’esclusione sociale.

Le nuove città murate nelle quali si suddivide la città metropolitana sono l’emblema del-

l’insicurezza sociale e il teatro del conflitto, non solo quello etnicamente connotato. Nel tessuto

delle città nord e sudamericane che, prive di una forte identità storica, appaiono fisicamente e so-

cialmente disgregate si legge una compartimentazione nelle gated communities che separano le

etnie, le culture e, soprattutto, i privilegiati dagli emarginati. Questa condizione esaspera le con-

flittualità latenti; l’intento di garantire la sicurezza separando le diverse categorie sociali ed etni-

che sortisce sovente l’effetto opposto. Le esperienze, pur diverse tra loro e non generalizzabili di

Stati Uniti e Sud Africa evidenziano che l’intervento di piano ha generato nel passato recente

quasi esclusivamente fenomeni segregativi (Somma, 1991). La zonizzazione di piano può essere

uno strumento estremamente duttile; analizzando a ritroso i casi nei quali si è verificata una se-

gregazione di fatto si individuano alcuni schemi ricorrenti:

– la zonizzazione razziale: la separazione tra parti di città è sviluppata in base all’etnia;

– la zonizzazione d’espulsione: modifica delle destinazioni d’uso delle aree allo scopo di

espellere un gruppo sociale o etnico;

– la zonizzazione per barriere: infrastrutture per la mobilità intese non quali collegamento

ma per isolare parti di città e condizionarne le linee di sviluppo;

– il mercato dell’alloggio: politiche abitative pubbliche che agevolano l’accesso all’abita-

zione da parte degli immigrati, orientandone la localizzazione o mercato privato che

tende a raggruppare per capacità di spesa (Somma, 1991).

56 Le rimesse inviate dall’Italia ai propri paesi d’origine nel 2004 corrispondono a 2.093.697 euro (47.186 euro procapite), a fronte di 228.444 euro ricevuti.

57 Se si escludono i casi delle compagini egiziana e cinese che hanno sviluppato le proprie attività autonome,principalmente nei campi del commercio e della ristorazione la prima e della produzione tessile la seconda.

58 In Italia si vive in molte città questa fase che vede alcune comunità etniche “barricarsi” all’interno di aree in-dustriali dismesse ed edifici ed infrastrutture abbandonate, vere e proprie cittadelle murate nel cuore delle città. A Romauna ricerca promossa dalla Terza Università ne ha censite molteplici in occasione di una ricerca coordinata da GiorgioPiccinato; a Napoli, il Collettivo Studentesco della Facoltà di Architettura della Università Federico II ha realizzato un fil-mato nel cosiddetto Hotel Moldova. Questo fenomeno interessa anche edifici abbandonati di centri storici che ancoranon sono stati coinvolti in processi di riqualificazione e rivalutazione fondiaria: è il caso, tra gli altri, di Palermo, Brescia,Genova, Bari e Napoli.

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Ma anche laddove non si persegua l’intento della separazione, quando l’intervento di piano

innesca un processo di riqualificazione e sviluppo di un’area, l’incremento del valore fondiario

produce l’espulsione delle fasce di popolazione deboli dall’area. In tali categorie rientrano sempre

le comunità immigrate.

La cultura urbana da tempo esorta a superare le suddivisioni funzionali e sociali per

proporre modelli insediativi basati sulla mescolanza, sull’integrazione, anche con il contributo

dell’innovazione tecnologica che ha abbattuto i vincoli localizzativi delle varie attività umane. Nella

prassi corrente, però, non si riscontrano best practices che assolvano in pieno tali intenti59.

3.3.4 Le espressioni della conflittualità etnica e dell’insicurezza

Gli indicatori a disposizione della comunità scientifica per comprendere il rapporto tra im-

migrazione e sicurezza urbana non sono in grado di rappresentare la complessità del fenomeno.

Si fa, infatti, riferimento sostanzialmente a dati rilevati in ambito giudiziario – denunce, procedi-

menti giudiziari, presenze nei penitenziari e così via – che fotografano solo uno degli aspetti del

problema, anche se significativo. Si può ricorrere a statistiche che mettano in relazione la pre-

senza di popolazione immigrata con indicatori di natura giudiziaria o criminologica (Caritas/Mi-

grantes, 2007). È, però, necessario ricordare che il dato grezzo può essere fuorviante e non costi-

tuire un indicatore significativo; il tasso d’incidenza di denunce, popolazione carceraria, illegalità

in genere tra gli immigrati e la popolazione autoctona è significativamente sbilanciato a favore

dei primi60.

Inoltre, anche se le recenti statistiche evidenziano una relativa riduzione delle attività cri-

minose, si riscontra un generalizzato incremento del senso di insicurezza nelle città italiane

(Eurispes, 2007), cui si associa l’incremento della domanda di forme di sicurezza privata, di stru-

menti di prevenzione e difesa personali61.

La riflessione deve necessariamente essere sviluppata su più livelli; se da un lato il feno-

meno “reale” delle relazioni tra compagini straniere e criminalità ha una notevole rilevanza so-

prattutto per le politiche di ordine pubblico (vedi statistiche su criminalità organizzata multiet-

nica e microcriminalità), è importante anche intercettare le dinamiche della percezione dell’insi-

curezza che, sovente, è superiore a dati e statistiche.

Per quanto riguarda il primo aspetto, in ambito criminale si registra, infatti, una perfetta in-

tegrazione etnica basata sulla contrattazione affaristica degli ambiti di competenza tipica delle

mafie di tutto il mondo. Si stanno profilando due tipi di rapporto tra globalizzazione e criminalità:

da un lato l’immigrazione clandestina rappresenta un bacino di reclutamento per la malavita au-

toctona e non, dall’altro si costituiscono e si rafforzano mafie etnicamente connotate con ramifi-

cazioni planetarie (delle vere e proprie multinazionali del crimine).“Ad esempio i grandi flussi mi-

gratori provenienti dall’ex Unione Sovietica, dal Nord-Africa e dal Sud-est asiatico hanno condotto

nell’ultimo decennio in Europa, e quindi in Italia, numerosi personaggi appartenenti al mondo

della criminalità organizzata, celati tra le migliaia di immigrati in cerca di fortuna. I criminali stra-

nieri professionisti giunti nel nostro Paese hanno indotto una progressiva modifica degli equilibri

nelle organizzazioni criminali “storiche” che, in alcuni casi, sono riuscite ad integrarli, trovando

nuove strade per il traffici di droga, di armi e di esseri umani” (Eurispes, 2007).

59 Le stesse Best Practices promosse annualmente dalle Nazioni Unite (UNCHS Habitat) sono sovente di scalaestremamente ridotta (e quindi incapaci di rappresentare un approccio sistemico) e affrontano solo parzialmente i temiche investono gli insediamenti umani.

60 La banca dati elaborata dal Cnel in collaborazione con il dossier Caritas/Migrantes articola i dati in funzione ditre categorie – presenze, inserimento, lavoro – rapportate ai macroindicatori (popolazione, Pil, indice di sviluppo umano)descrittivi del paese d’accoglienza e dei paesi d’origine dei flussi. È significativo sottolineare che su sedici indici utilizzatiper descrivere il grado di inserimento dei migranti, ben sette sono relativi ad aspetti giudiziari ed in particolare ai rap-porti con le istituzioni delle diverse etnie.

61 Confrontando i reati commessi nel 3° trimestre del 2005 e del 2006 si registra una flessione del 2,71%, e nellequattro province più a rischio (Milano, Roma, Napoli e Palermo) le Procure della Repubblica calcolano una riduzione deireati in genere e degli omicidi in particolare (tranne che a Napoli) nello stesso lasso di tempo. Fonte ElaborazioneEurispes su dati delle Procure della Repubblica, 2006.

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Raffrontando la percentuale di stranieri denunciati o arrestati con la stessa percentuale ri-

ferita ai cittadini italiani si registra una notevole differenza, che si incrementa con l’aumento di

presenze nel Paese; si tratta di un indice significativo anche se, come si è detto in precedenza, i

valori sono sbilanciati dall’inafferrabile dato dell’irregolarità. Nel 1988 si registrava una presenza di

stranieri dello 0,8% (nel 1998 cresce a 1,7% e nel 2006 supera il 5%), mentre il tasso di stranieri de-

nunciati per omicidio era del 6% (nel 1998 cresce al 18% e nel 2006 supera il 33%). La maggior

parte dei reati consumati da stranieri sono imputabili ad immigrati irregolari mentre tra gli stra-

nieri presenti regolarmente la percentuale e congruente con quella degli italiani62 (Barbagli,

2007).

62 Gli immigrati irregolari sono i principali artefici di reati quali il furto con destrezza, il furto di automobile, ilfurto in appartamento mentre i reati di omicidio (tentato o consumato), il contrabbando, le estorsioni, le lesioni dolose,la violenza sessuale e lo sfruttamento della prostituzione sono appannaggio anche di stranieri regolarmente presenti(Barbagli, 2007).

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Fonte: Barbagli M. (a cura di) (2007), Rapporto sulla criminalità in Italia. Analisi, prevenzione, contrasto, Ministerodell’Interno, Roma

Tab. 9 - Percentuale di stranieri sul totale dei denunciati/arrestati

Reati 2004 2005 2006

Lesioni dolose 26 26 27

Violenze sessuali 35 38 39

Furto con strappo 23 26 29

Furto con destrezza 63 64 68

Furti in abitazione 52 52 51

Furti in autovetture 34 37 38

Rapine in abitazione 49 55 51

Rapine in banca 5 6 3

Rapine in uffici postali 2 6 6

Rapine in esercizi commerciali 29 32 33

Rapine in pubblica via 44 44 45

Estorsioni 23 21 19

Truffe e frodi informatiche 22 17 29

Omicidi 28 28 32

Tab. 10 - Stranieri denunciati per i quali è iniziata l’azione penale

Fonte: elaborazione da dati Istat - Statistiche giudiziarie penali anno 2004

Continenti di provenienza

Denunce per reati:

Contropersona

Controfamiglia e moralitàpubblica

Contro patrimon.

Controeconomiae fedepubblica

ControStato e ordinepubblico

Altri delitti

Totale

Europa 7.460 965 25.768 8.372 3.868 7.579 54.012

Africa 5.337 656 14.203 14.335 4.197 8.075 46.803

Asia 1.177 119 1.769 2.006 518 1.699 7.288

Nord America 213 29 194 101 122 70 729

Centro-Sud America 1.545 301 3.034 1.527 984 685 8.076

Oceania 68 8 44 40 32 18 210

Totale 15.800 2.078 45.012 26.381 9.721 18.126 117.118

La compagine straniera maggiormente coinvolta in procedimenti penali in corso proviene

da paesi europei extra comunitari (principalmente Albania) e neo comunitari (Romania) ed ha un

elevato coinvolgimento anche di minorenni; la categoria di reato per la quale sono state effet-

tuate più denunce è quella relativa ai delitti contro il patrimonio (in particolare il furto). Le regioni

italiane più colpite da reati per i quali è stata avviata l’azione penale sono la Lombardia (21.327

persone straniere denunciate) il Lazio (17.911) e, distanziate, altre quattro regioni centro setten-

trionali: Emilia Romagna (11.285), Veneto (10.029), Toscana (10.013) e Piemonte (9.677). I dati sono

coerenti con l’incidenza e la distribuzione delle presenze delle diverse comunità d’immigrati nel

territorio italiano. Non di meno, l’attendibilità del dato relativo ad alcune regioni meridionali ri-

sulta falsata dalle già accennate condizioni di illegalità e marginalità diffuse che incrementano la

viscosità e l’impenetrabilità del sistema sociale.

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Gli istituti di prevenzione e di pena, nel 2004, accolgono 17.819 detenuti nati all’estero, di

cui 1.143 donne, in minima parte coinvolti in corsi di alfabetizzazione e corsi scolastici.

Dati sui reati e dati penitenziari devono formare oggetto di riflessione specifica per quanto

concerne i minori; come si è sottolineato più volte, è sulle opportunità che si offrono alle seconde

generazioni e sulla capacità di creare una città includente nei confronti dei giovani in genere che

si gioca la possibilità dell’integrazione. Le statistiche non sono molto confortanti; si registra in

tutto il Paese un incremento di attività microcriminali predatorie perpetrate da parte di giovani di

estrazione e cittadinanza differenti; in questo contesto tipico delle società sviluppate il ruolo dei

minori immigrati o figli di immigrati assume molteplici significati ed implicazioni.

Tab. 11 - Stranieri presenti negli istituti di prevenzione e di pena (31/12/04)

Tab. 12 - Minori nei Centri di Prima Accoglienza e Istituti Penali per Minori

Fonte: elaborazione da dati Istat - Statistiche giudiziarie penali 2004

Fonte: elaborazione Eurispes da Servizio Statistico Dipartimento Giustizia Minorile - 2005

Presenze negli istituti di prevenzione e di pena

Contro

persona

Contro

famiglia

e moralità

pubblica

Contro

patrimonio

Contro

economia e

fede pubblica

Contro Stato

e ordine

pubblico

Altri delitti Totale

2.444 178 4.278 9.496 429 994 17.819

Anni

C.P.A. I.P.M.

italiani stranieri italiani stranieri

V.A. % V.A. % V.A. % V.A. %

1995 1936 46 2239 54 405 74 145 26

1996 1952 52 1838 48 373 71 153 29

1997 2007 48 2189 52 331 66 168 34

1998 1917 45 2305 55 267 61 171 39

1999 1973 46 2275 54 246 58 180 42

2000 1744 44 2250 56 251 53 223 47

2001 1711 46 1974 54 256 53 231 47

2002 1561 44 1952 56 238 51 232 49

2003 1532 43 1990 57 241 51 234 49

2004 1587 41 2279 59 226 45 272 55

2005 1540 42 2115 58 218 46 259 54

In particolare si registra un aumento di minori stranieri detenuti nei Centri di Prima

Accoglienza e, ancor più negli Istituti di Pena per Minori, a fronte di un decremento delle presenze

italiane; nei confronti degli stranieri viene maggiormente applicata la custodia cautelare (44%),

mentre per gli Italiani – che possono usufruire di un sistema di garanzie maggiore di natura fami-

liare e istituzionale – sono più diffuse misure non detentive (per esempio gli arresti domiciliari). Il

Servizio sociale per i minorenni (USSM), che ha una valenza più rieducativa che punitiva, è preva-

lentemente utilizzato da italiani.

A questi indicatori che rappresentano lo scenario di coloro che, in modo più o meno spon-

taneo, intraprendono la strada del delinquere si devono aggiungere quelli che rappresentano i

minori sfruttati per lavoro, per accattonaggio63 e/o sfruttamento sessuale64. Tale fenomeno è rap-

presentato solo in minima parte dalle statistiche ufficiali che non riescono a cogliere appieno di-

namiche complesse e in continuo mutamento (Unicef-Caritas, 2006). I molti progetti che enti lo-

cali e soggetti del terzo settore hanno promosso per il recupero di minori migranti hanno otte-

nuto buoni risultati, inducendo le istituzioni centrali ad avviare un processo di adeguamento alla

Convenzione europea sui diritti umani.

63 La quasi totalità dei circa 15.000 minorenni Rom presenti in Italia è passata per l’esperienza dell’accattonaggiomentre nelle altre etnie coinvolte si riscontrano percentuali minori (Albania, Marocco, ex Jugoslavia) (Caritas italiana,2003).

64 Il traffico dei minori migranti a scopo di sfruttamento della prostituzione coinvolge, in Italia, dapprima giovanidonne albanesi e nigeriane, poi russe, ucraine, rumene e moldave. La prostituzione minorile maschile riguarda soprat-tutto rumeni di origine Rom e, in misura minore, Maghrebini, Albanesi ed ex Jugoslavi (Unicef-Caritas, 2006).

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Tab. 13 a - Segnalazioni e prese in carico di minori negli USSM

AnniSoggetti segnalati Soggetti presi in carico

italiani stranieri nomadi tot. italiani stranieri nomadi tot.

2000 15873 2773 2695 21341 10059 1157 1278 12494

2001 16514 3521 2235 22270 11050 1606 1297 13953

2002 15489 4036 2326 21851 10811 2011 1222 14044

2003 15274 4282 2435 21991 10820 2131 1145 14096

2004 15314 4514 3145 23000 10501 2216 1175 13892

2005 14461 4208 2973 21642 10429 2412 1060 13901

Tab. 13 b - Collocamenti in comunità di minori

AnniCollocamenti in comunità

italiani stranieri nomadi tot.

2005 968 807 151 1926

Tab. 14 - Minori stranieri non accompagnati

Fonte: Eurispes, 2007

Anni 2001 2003 2004 2005

V.A. 7.823 7.040 7.440 6.500

Un elemento significativo della riflessione è la notevole presenza di immigrati clandestini.

Come spesso si riscontra negli studi sulla sicurezza ed in quelli sulla multietnia la percezione del

fenomeno si discosta notevolmente dalla realtà esperita; l’immagine ricorrente delle “carrette del

mare” con il loro carico di umanità dolente incide non oltre il 15% sul totale delle presenze stra-

niere irregolari. Nel 2006 accanto ad un 13% di clandestini sbarcati sulle coste e ad un 23% che ha

varcato fraudolentemente le frontiere terrestri, si registra il 64% del totale degli irregolari definiti

overstayer: coloro che sono entrati regolarmente e si sono trattenuti oltre la data di scadenza del

proprio visto. La composizione dell’immigrazione irregolare in Italia è costante e vede protagoni-

ste principalmente tre nazionalità: Albania, Marocco, Romania.

“Dall’analisi dei dati emerge anche che la promulgazione di una sanatoria ha l’effetto di pro-

durre un calo nei rintracciamenti nel periodo immediatamente successivo. Ma questo effetto è solo

di breve periodo. Già due anni dopo una sanatoria, le dimensioni della presenza irregolare tornano

ai livelli precedenti, anzi in genere a livelli superiori” (Barbagli, 2007). I meccanismi normativi ed ese-

cutivi di lotta alla clandestinità hanno avuto alterne vicende e, secondo le valutazioni dello stesso

Ministero dell’Interno, nel complesso si sono rivelati inadeguati a risolvere il problema.

Per quanto riguarda le procedure concluse, si registra tra i provvedimenti d’espulsione

emanati una netta predominanza di cittadini rumeni e in misura minore albanesi mentre i ma-

rocchini guidano la nutrita compagine dei maghrebini e di coloro che provengono dal Centro

Africa. Come si è accennato il fenomeno della clandestinità comporta una serie di problemi;

accanto all’emergenza umanitaria delle “carrette del mare” e dello sfruttamento ignominioso dei

sans papier nel lavoro sommerso e/o nelle attività criminali si determina una contiguità con il

mondo della malavita e dell’illegalità in genere che incrementa l’insicurezza reale e percepita da

parte delle popolazioni autoctone.

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Tab. 15 a - Stranieri sbarcati lungo le coste italiane

* inclusi gli apolidi

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 20062007

1° trim.

38.134 49.999 26.817 20.143 23.719 14.331 13.635 22.939 22.016 1.652

Fonte: elaborazione su dati del Ministero dell’Interno, 2007

Tab. 15 b - Stranieri rintracciati, respinti ed espulsi

Anno

Rintracciati al netto

dei respinti alle frontiere

e dal Questore

Respinti alle frontiere

e dal QuestoreEspulsi esclusi i respinti

2000 88.570 42.221 27.042

2001 92.561 41.058 36.641

2002 105.988 43.795 44.706

2003 77.583 27.397 37.756

2004 77.517 27.091 32.874

2005 96.045 23.878 30.428

2006 101.704 22.679 22.770

Uno dei nodi che ci porta alla seconda faccia del problema – la percezione dell’insicurezza

collegata all’immigrazione – è il rapporto tra la struttura garantista della legislazione in materia

d’immigrazione e l’eccessiva burocratizzazione e inefficienza del rapporto tra istituzioni e territo-

rio che determina una sorta di impunità diffusa di immigrati che, pur macchiatisi di reati più o

meno gravi, riescono ad occultarsi in un limbo borderline ed a continuare a delinquere.

Come si è visto le leggi varate in materia hanno cambiato poco tali dinamiche, confer-

mando le contraddizioni e le sottovalutazioni perpetrate dalle istituzioni centrali, che sembrano

contare su di un naturale assestamento delle dinamiche conflittuali (Sciortino, Colombo, 2003).

Recenti esplosioni di intolleranza e violenza sembrano indicare un cambiamento di tendenza ri-

spetto ad una relativa pace sociale che fino ad ora è stata favorita da:

– una alta percentuale di donne nella compagine degli immigrati;

– la scarsa quantità dei flussi e l’ampia dispersione sul territorio nazionale, che non ha

determinato la costituzione di una massa critica d’immigrati;

– la varietà delle etnie presenti nel paese;

– una cultura locale tendente all’accoglienza e meno emarginante rispetto agli altri paesi

europei.

Di contro, si sta delineando uno scenario meno rassicurante favorito da:

– una cultura xenofoba di alcune forze politiche e il clima di paura favorito dal terrorismo

internazionale;

– la stagnazione-recessione economica e incremento della disoccupazione e della preca-

rietà;

– l’indeterminatezza delle regole e della loro applicazione con una diffusa pratica dell’ille-

galità e ampie sacche di immigrazione clandestina;

– il proliferare delle organizzazioni criminali etnicamente connotate e scarso controllo del

territorio da parte delle Forze dell’Ordine;

– il deficit residenziale e di servizi per la popolazione autoctona, incrementato dalla re-

pentina crescita dell’immigrazione.

In questo contesto l’incontro tra popolazione autoctona e comunità di immigrati si traduce

più frequentemente in scontro che in confronto; si registra già la costituzione di comitati di citta-

dini di aree degradate socialmente e fisicamente che attribuiscono agli immigrati l’insicurezza e il

deterioramento del quartiere65. Dello stesso segno i moti di ribellione e le polemiche tra cittadini

e istituzioni in occasione della realizzazione o del potenziamento di luoghi di culto e di cultura

islamici66.

Dal punto di vista degli immigrati, invece, si registrano reazioni violente in occasioni di

sgomberi coattivi di stabili indebitamente occupati e scontri tra organizzazioni criminali autoc-

tone e straniere e tra bande giovanili di immigrati di prima o seconda generazione.

Per cogliere gli umori legati ai profondi mutamenti descritti si riscontrano studi specifici,

sviluppati da enti quali il Censis e l’Eurispes e, con specifico riferimento al tema dell’immigrazione,

dalla Fondazione Ismu e dalla Caritas-Migrantes che, mediante interviste a campioni significativi

della popolazione, cercano di rilevare la percezione del fenomeno in relazione a specifiche

tematiche.

Alle domande: “gli immigrati sono un pericolo per la nostra cultura, la nostra identità e la

nostra religione?”, “costituiscono una minaccia per l’occupazione?” e “sono una minaccia per l’or-

dine pubblico e la sicurezza delle persone?” hanno risposto affermativamente quasi quattro ita-

liani su dieci (Eurispes, 2007)- Al primo posto tra i timori quello della sicurezza nel Nord Italia e

quello dell’occupazione nel Sud mentre, in linea con altre realtà europee, considerazioni di tipo

culturale e religioso incidono poco (Fondazione Nord-Est, 2005 e 2007). Nel 2003 risulta che il

9,1% degli italiani67 dichiara di aver paura degli immigrati extracomunitari (Censis, 2003).

3.3.5 Un possibile percorso interpretativo

Il sintetico excursus effettuato ha reso evidente la complessità di un fenomeno che si sta

evolvendo a notevole velocità e rischia di cogliere impreparati tecnici ed istituzioni. Quando il

tema dell’immigrazione intercetta quello della sicurezza emergono incertezze, luoghi comuni,

prevenzioni che, unite al disagio sociale, ai limiti culturali, al degrado fisico e funzionale e al gene-

rale quadro di crisi in cui versano la maggioranza delle città italiane, genera forti tensioni

(Kylmicka, 1999).

Le azioni del terzo settore e di alcuni enti locali nella sfera del sociale e i Patti per la sicu-

rezza che si stanno stipulando nelle principali aree metropolitane del Paese sono i primi passi per

inquadrare ed affrontare questo tema. Per uscire dalla contingenza e intraprendere un percorso

65 A Roma nell’area dell’Esquilino (P.za Vittorio), a Torino a Porta Palazzo e San Salvario (dove sono in atto pro-grammi di riqualificazione), a Genova nel centro antico adiacente al porto, a Milano, tra l’altro, a Canonica-Sarpi e a CorsoBuenos Aires.

66 Tra gli altri si possono enumerare la realizzazione di grandi moschee a Genova e Roma ed il solo progetto diuna moschea a Ponticelli (quartiere a Nord di Napoli), e le attività della scuola coranica di Viale Ienner a Milano.

67 Al primo posto (60,1%) risulta la paura della guerra, poi la criminalità organizzata (60%), gli attacchi terroristici(58,2%), la microcriminalità (51,2%), eventi incontrollabili (41,9%), gli alimenti manipolati o contaminati (37,2%), la Sars(36,1%), la disoccupazione (23,5%), l’impoverimento (17,7%).

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che, nel lungo periodo, possa condurre ad una città multiculturale e sicura è, però, necessario

agire a livello strutturale sulla città esistente.

Le cifre ufficiali (di gran lunga inferiori a quelle reali) indicano che oltre il 40% degli stranieri

risiedono nei comuni capoluogo, dove si concentrano opportunità ma anche emergenze e con-

flittualità, sovente connesse alla contesa delle scarse risorse a disposizione della popolazione nel

suo complesso (Penninx, Kraal, Martiniello, Vertovec, 2004).

Il deficit di spazi e servizi per la collettività, una considerevole sperequazione nell’accesso

agli stessi e la scarsa sicurezza che si lamenta in molte grandi città italiane, in particolare nel

Mezzogiorno, sicuramente non aiuta l’interazione tra i soggetti, locali e stranieri, che subiscono di

più tali carenze. Questa potrebbe essere una delle cause dell’allarme sociale che si sta diffon-

dendo anche in Italia in relazione al fenomeno migratorio che, pur essendo consistente, non rap-

presenta un fenomeno dilagante.

Un altro fattore di specificità differenzia l’Italia da altri paesi europei, caratterizzati da un

passato coloniale che ha condizionato le ondate di flussi in ingresso: non si registra una singola

etnia numericamente predominante ma una presenza suddivisa tra molteplici provenienze

(Chakrabarty, 2000). Ciò rende meno probabile la manifestazione di fenomeni quali le violenze

delle comunità bangladesce nei sobborghi industriali inglesi o dei giovani d’origine magrebina

nelle banlieu parigine ma, nel contempo, rende più complessa l’interpretazione della domanda

espressa da una molteplicità di soggetti diversi.

Come si è visto, i criteri localizzativi delle comunità immigrate determinano, sovente, che

l’incontro tra etnie avvenga in un tessuto sociale in profonda crisi d’identità, esasperandone i pro-

blemi e le emergenze, quali marginalità e disgregazione sociale, macro e microcriminalità, disoc-

cupazione, sottoccupazione e lavoro “informale”, degrado ambientale e insediativo, evasione sco-

lastica e povertà diffusa. La diversità culturale non è, quindi, la causa primaria delle difficoltà di in-

terazione e delle tensioni latenti o manifeste che sono, invece, provocate dalla sommatoria di

fattori di disagio sociale e di carenza di risorse a disposizione della popolazione sia autoctona che

immigrata.

Pur nella consapevolezza che un approccio fortemente orientato al determinismo ambien-

tale non è adeguato ad interpretare e la complessa domanda espressa da una società globalizzata

e multiculturale, è possibile intraprendere un percorso che conduca, anche in Italia, ad una pro-

gettazione più attenta al tema della sicurezza (Castel, 2004). L’atteggiamento difensivo, lo strania-

mento, l’isolamento, la paura contribuiscono alla diffusione di un sentimento di diffidenza nei

confronti dell’estraneo ed in particolare del diverso che allontanano sempre più la società da

quella struttura comunitaria dinamica, anche conflittuale ma vitale, che ha consentito alla città di

sopravvivere ed evolvere.

Politiche che perseguano l’integrazione e l’interazione culturale devono, quindi, misurarsi

con quanto di sta sperimentando nel campo della sicurezza a livello spaziale e funzionale

(Beguinot, 2006).

3.4 LA RETE DEGLI SPAZI D’AGGREGAZIONE: SOCIALIZZAZIONE VS CONFLITTO

“… le reti sociali dei migranti costituiscono, oltre che canali di mobilità, vettori di insediamento

e radicamento territoriale capaci di modificare dall’interno contesti e appartenenze, fino a ri-

creare veri e propri ambienti di vita locali. Si tratta di processi dal basso, quasi sempre poco visi-

bili e in molti casi indipendenti dai modelli d’integrazione predicati, anche se raramente perse-

guiti, dalle politiche nazionali”.

Stranieri in Italia (Decimo e Sciortino, 2006)

3.4.1 Linee guida per una città multiculturale sicura

Le riflessioni che sono state sviluppate nelle pagine precedenti hanno posto in relazione

due temi di estrema attualità, il cui teatro comune è la città: il tema dell’integrazione multicultu-

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rale e quello della sicurezza. La formazione di una società multietnica e multiculturale e l’incre-

mento dell’insicurezza urbana costituiscono oggetto di molteplici studi ma anche di progetti e

programmi interdisciplinari. I due temi, però, si intersecano quasi esclusivamente mediante le sta-

tistiche criminali e i provvedimenti giudiziari legati all’immigrazione e, in un semplicistico rap-

porto di causa ed effetto, all’insicurezza acuita dalla presenza della diversità fisica e culturale.

Nonostante entrambi abbiano una notevole rilevanza nelle dinamiche urbane e condizio-

nino in modo diretto o indiretto le politiche urbanistiche, l’immigrazione e l’insicurezza sono stati

prevalentemente affrontati, assecondando prevenzioni ataviche e paure recenti, in termini di po-

litiche di pubblica sicurezza. In realtà, è possibile ravvisare una più proficua piattaforma di con-

tatto proprio nella sfera di competenza dell’urbanistica, definendo criteri spaziali che favoriscano

la prevenzione da un lato e contribuiscano alla riduzione del margine di diffidenza che conduce

ad una aprioristica chiusura nei confronti della complessità e, quindi, di fatto nei confronti della

natura stessa della città.

L’impoverimento culturale e materiale della città contemporanea è accelerato (se non ge-

nerato) dall’imperversare di recinti fisici e mentali che ostacolano la libera fruizione degli spazi –

che così diventano terre di nessuno – e la libera circolazione delle idee che hanno fatto grande la

città nella storia. Subendo, piuttosto che governando e tesaurizzando, gli effetti della globalizza-

zione si genera una non-città, frutto della sommatoria di non-luoghi (Augè, 1992) e di luoghi

densi di valori simbolici il cui isolamento accentua il senso di straniamento e di atopicità.

Senza la pretesa di affrontare in modo esaustivo un tema di tale portata si vuole offrire un

piccolo contributo all’abbattimento di barriere materiali ed immateriali che ostacolano l’intera-

zione culturale e sociale, contribuendo a svuotare di significato i luoghi simbolici della vita asso-

ciata, i topoi dell’identità urbana: gli spazi pubblici. Proporre criteri di pianificazione e gestione de-

gli spazi pubblici o di mediazione pubblico/privato, che favoriscano l’incontro e l’aggregazione

multiculturale, è un percorso che consente di mettere un primo tassello al puzzle che rappresenta

le relazioni tra la prevenzione di alcune tipologie di atti criminosi, l’insicurezza reale o percepita e

la diffidenza nei confronti del diverso.

Pur non potendo ravvisare una concatenazione deterministica tra la pianificazione degli

spazi d’aggregazione e di mediazione pubblico-privato, le difficoltà d’interazione ed integrazione

culturale e i comportamenti deviati, si possono tracciare indirizzi progettuali da sottoporre al va-

glio della verifica sperimentale.

Le attività di prevenzione devono essere integrate e finalizzate a realizzare una città senza

soluzioni di continuità e barriere, nella quale gli spazi pubblici ritrovino la propria funzione

aggregativi, e di dissuasione nei confronti di comportamenti antisociali o criminali.

Uno degli ostacoli al successo di tale integrazione è la necessità di agire, non solo nel breve,

ma, soprattutto, nel medio e nel lungo periodo. Si cominciano, però, a delineare alcuni gruppi di

azioni di matrice urbanistico-architettonica che si possono sintetizzare attraverso tre tappe:

1. interventi a scala architettonica e di arredo urbano che favoriscano il controllo sociale

degli spazi residenziali (abitazioni e spazi comuni);

2. interventi di riorganizzazione funzionale e di completamento nelle enclave dei quartieri

dell’espansione edilizia post bellica che favoriscano la continuità fisica e la mixitè fun-

zionale;

3. interventi di recupero e/o di manutenzione edilizia ed urbanistica orientati alla riqualifi-

cazione di parti della città consolidata degradate socialmente e fisicamente (aree dis-

messe, centri storici svuotati dalla gentrification, quartieri monofunzionali, …).

Per tradurre un approccio principalmente difensivo e punitivo in uno pro-attivo orientato

alla prevenzione è necessario integrare le tre dimensioni progettuali suelencate, in modo da af-

frontare contestualmente cause ed effetti dell’insicurezza.

La strada perseguita è quella che, sulla scorta dei risultati delle esperienze di progettazione

orientata alla sicurezza urbana68 e delle riflessioni sulla città interetnica, propone una sorta di pro-

68 Vedi par. 3.2.3.

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tocollo d’azioni che assumerà differenti declinazioni nei diversi contesti urbani. È, infatti, indi-

spensabile ricordare che l’individuazione di criteri generali costituisce il primo passo del percorso

che conduce dalla fase cognitiva a quella operativa; il confronto con le specificità dei contesti ur-

bani è un indispensabile momento di validazione delle tesi proposte (Forte, 2007).

Per poter mettere in relazione fenomeni disomogenei si è proceduto riconducendo le te-

matiche emerse dall’indagine sulla città multiculturale a tre “contenitori”: le parole chiave ricor-

renti nelle ricerche di settore in corso69, i principi della Carta sulla Città Interetnica70 e il risultato

della lettura incrociata delle principali linee progettuali riconducibili alla pianificazione ambien-

tale per la sicurezza urbana.

Il trait d’union tra i diversi approcci è costituito dal ruolo centrale attribuito al tema del rap-

porto tra residenza e spazi pubblici; parallelamente si riconosce unanimemente la necessità di fa-

vorire la partecipazione al processo di trasformazione urbana.

Si procede, quindi, secondo un duplice approccio, incrociando un flusso top down ed uno

bottom up; da un lato si definiscono alcuni criteri base e le loro principali declinazioni alle diverse

scale urbane (top down) e dall’altro si predispone un modello partecipativo rivolto alle tre ma-

crocategorie della popolazione autoctona, degli immigrati recenti e degli immigrati storicizzati

(bottom up) che contribuisca alla redazione, garantisca la condivisione delle scelte progettuali e

ne favorisca l’attuazione.

69 Individuate e gerarchizzate nel corso della ricerca e riportate nel cap. 2 (M. Clemente).70 Ci si riferisce alla più volte citata Carta della Città Interetnica e Cablata promossa dalla Fondazione di Studi

Urbanistici Aldo Della Rocca, i cui principi sono riportati nel cap. 1 (Beguinot, 2006).

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Fig. 8 - Schematizzazione del percorso

Si individua l’area di sovrapposizione tra le tre tematiche affrontate mediante il confronto tra i principi guidadelle principali Carte che, in ambito italiano ed europeo, hanno affrontato il tema della multiculturalità ur-bana, le parole chiave individuate mediante lo screening delle attività di ricerca svolte da centri di tutto ilmondo e le linee progettuali legate al tema della sicurezza urbana.

CARTEINTERETNIA

STATO DELL’ARTE RICERCA

SICUREZZA URBANA

Principi Guida

Parole Chiave

Linee Progettuali

Si illustra di seguito il percorso seguito articolato in tre blocchi di parole/concetti chiave ri-

conducibili rispettivamente alle principali linee di ricerca internazionali sul tema della multicultu-

ralità (lo screening dello stato dell’arte della ricerca), della progettazione urbanistica ed urbana

orientata alla sicurezza (la sicurezza urbana nella società multietnica) e dei principi e delle espe-

rienze progettuali per l’integrazione culturale nella nuova società globalizzata (le Carte e i docu-

menti istituzionali). In particolare, partendo dalle quaranta tematiche espresse sinteticamente con

le parole chiave del percorso d’indagine illustrato nel precedente capitolo, si effettua un con-

fronto incrociato con i principi che guidano la costruzione di una città interetnica e con i princi-

pali enunciati delle teorie della sicurezza urbana che si sono succedute dagli anni settanta ad

oggi.

Lo screening dello stato dell’arte della ricerca71

Per il primo blocco si prendono in considerazione le priorità emerse dagli studi e dai pro-

getti in corso sulla città multietnica.

La complessità e la vastità del tema della multiculturalità in una società figlia della globa-

lizzazione ha suggerito di intraprendere uno screening completo in ambito internazionale dello

stato dell’arte della ricerca nel settore, affiancando ai tradizionali strumenti d’indagine quello

della diffusione nel world wide web. Questa procedura ha consentito di fotografare le tendenze in

atto e di ridurre i tempi d’obsolescenza delle fonti, in un campo estremamente dinamico, e di

identificare gli ambiti d’interesse privilegiati nelle diverse aree geografiche. Le quaranta parole

chiave che sono state identificate hanno consentito di effettuare una classificazione dei centri di

ricerca in base all’orientamento disciplinare ed ai contenuti; si sono, quindi, rappresentate le te-

matiche maggiormente significative e si sono sistematizzati i risultati dell’impegno nella ricerca e

nella sperimentazione sulla città interetnica nel mondo.

71 Nel capitolo 2, in particolare nel paragrafo 2.1.2 si individuano le parole chiave utilizzate per la schedatura deicentri di ricerca impegnati, in ambito internazionale, in ricerche e sperimentazioni sulla città multiculturale, con partico-lare attenzione alla dimensione urbanistica.

72 Confronta par. 3.2.3.

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La sicurezza urbana nella città multietnica72

Il tema della sicurezza urbana è estremamente sentito da cittadini ed istituzioni e, in misura

sempre maggiore, sta investendo la sfera urbanistica ed architettonica. In particolare, nell’attività

di prevenzione del crimine si stanno individuando dei percorsi che contemperino le diverse esi-

genze di tutela di beni e spazi privati e di luoghi pubblici, la cui attuale conformazione fisica e fun-

zionale non solo non ostacola il perpetrarsi di attività criminose ma crea le condizioni per l’incre-

mento dei comportamenti deviati.

Le condizioni ambientali che, da un lato, contribuiscono all’esclusione etnica, alla margina-

lità sociale, al proliferare di comportamenti deviati e, dall’altro, alterano la percezione dell’insicu-

rezza, devono essere affrontate con una logica sistemica e non in modo settoriale o contingente.

L’uomo urbano, al di fuori del proprio recinto protetto, ha sviluppato criteri inconsci di va-

lutazione del rischio (danno per probabilità) nei confronti di persone, luoghi e situazioni contin-

genti: le condizioni d’allarme sono determinate dall’estraneità nelle sue diverse declinazioni. Nella

prima categoria il fattore d’inquietudine è la diversità fisica, etnica o sociale delle persone con le

quali si entra in contatto, nella seconda è la non riconoscibilità e la non appartenenza ad un luogo

Le parole chiave sono:

alloggio; aree metropolitane; asilo e rifugiati; attività produttive; attrezzature collettive; centri storici; cittàdiffusa; cittadinanza; clandestini; diritto; documentazione; educazione e istruzione; esclusione/inclusionesociale; formazione; genere; governance; identità culturali; identità urbane; integralismi e conflittualità; lavoro;lingue; nuove tecnologie tlc; partecipazione; periferie; pianificazione territoriale e urbanistica; piccoli centri;politiche per l’immigrazione; politiche urbane; povertà urbana; progettazione architettonica; progettazioneurbana; razzismo e discriminazione; religioni; segregazione/integrazione spaziale; servizi urbani; sostenibilità;sport; strumenti d’intervento; strumenti per la conoscenza; unità di vicinato.

(con il conseguente senso d’abbandono e/o degrado che lo caratterizza) che lo rende inquie-

tante. Ma anche un luogo familiare può diventare estraneo ed essere generatore di paure in al-

cune situazioni e/o fasce orarie: l’assenza di illuminazione e la scarsa frequentazione nelle ore not-

turne, la presenza di persone “estranee”, il perpetrarsi di attività o eventi straordinari, e così via

(Holdaway, 2000).

Indipendentemente da quanto sia reale il rischio e motivata la paura restano i meccanismi

di difesa automatici che condizionano la fruizione degli spazi urbani e la costruzione di quelle re-

lazioni sulle quali si basa la convivenza civile e colta di una società. È, quindi, necessario indivi-

duare ed isolare i motivi dell’insicurezza espressi dalle diverse componenti della società urbana

per poi ricomporle in un sistema integrato di interventi a scala urbana, di quartiere e di unità di

vicinato.

73 Per un approfondimento cfr. cap. 1.74 Il 13 ottobre 2006 con Decreto del Ministero dell’Interno è stato nominato il Comitato scientifico incaricato di

elaborare la Carta dei valori: Roberta Aluffi Beck Peccoz (Università di Torino), Carlo Cardia (Università Roma Tre), KalhedFouad Allam (Università di Trieste), Adnane Mokrani (Università Gregoriana di Roma), Francesco Zannini (PontificioIstituto di studi arabi ed islamistica di Roma). Hanno partecipato ai lavori il Prefetto Franco Testa e il Vice Prefetto MariaPatrizia Paba e si sono sviluppati incontri e collaborazioni con soggetti sociali, religiosi, sindacali e del volontariato.

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Le parole chiave sono:

alloggio; aree metropolitane; attrezzature collettive; centri storici; clandestini; esclusione/inclusione sociale;integralismi e conflittualità; partecipazione; periferie; pianificazione urbanistica e architettonica; segre-gazione/integrazione spaziale; unità di vicinato; permeabilità; intravisione; vitalità; controllo informale(sorveglianza naturale); recupero aree degradate; riqualificazione e manutenzione; mixitè funzionale; territo-rialità; discontinuità fisica; devianza; broken windows; slums

Carte per una città multiculturale

Il documento dal quale si parte per sviluppare la riflessione sui principi guida per la multi-

culturalità in chiave urbana ha una matrice improntata alla cultura urbana: la Carta della Città

Europea Cablata e Interetnica (2006), promossa da un gruppo di ricerca internazionale che fa

capo alla Fondazione per gli studi urbanistici Aldo Della Rocca di Roma. I promotori della Carta

vantano un percorso tra le cui tappe fondamentali si annoverano l’Enciclopedia della città cablata

(1989 e 1992), la Carta di Megaride (1994 e 1995), la partecipazione alla Conferenza UNCHS

Habitat II di Istanbul (1996) e, al volgere del millennio, gli studi e l’alta formazione sulla multietnia

che hanno condotto alla redazione della Carta (Beguinot, 2003, 2004, 2005, 2006, 2008).

L’importanza di questo documento di principi è la dimensione urbanistica che assume,

mettendo in relazione la multiculturalità della nuova struttura sociale con i luoghi e le funzioni ur-

bane. I primi tentativi in tale direzione erano stati fatti già in occasione del varo, ad opera della

Regione Toscana, della Carta della progettazione interculturale (2000) e dell’Inclusive Urban

Environments Rely (2003a)73.

Sul fronte istituzionale si stanno delineando le nuove politiche italiane sulla scorta della

Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione (Ministero dell’Interno, 2007) con l’obiettivo

di “enucleare i valori e i principi validi per tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente in

Italia, di qualsiasi gruppo o comunità facciano parte, di natura culturale, etnica o religiosa”74.

A questi documenti direttamente legati al tema della multietnia si è voluto aggiungere la

Nuova Carta di Atene (2003b) che, promossa dall’European Council of Town Planners (ECTP), rap-

presenta una visione urbanistica complessiva della città del XXI secolo. Il documento assume

quale oggetto e, nel contempo, obiettivo la connected city, articolata nelle tre dimensioni della

sostenibilità sociale, economica ed ambientale. L’integrazione sociale si persegue, a sua volta, me-

diante una sempre maggiore equità nell’accesso a beni, servizi e informazioni tra i diversi gruppi

sociali, lo sviluppo di nuovi sistemi di rappresentatività e partecipazione e le interazioni tra culture

e generazioni diverse. Tali interazioni concorrono a delineare nuove e più forti identità urbane

scaturenti dal “dialogo reciproco fra le diverse culture presenti” e dalla loro “fusione graduale”.

L’integrazione si completa mediante l’accesso ad un adeguato sistema della mobilità ed a servizi

ed alloggi che rappresentino una nuova dimensione residenziale adeguata alla domanda.

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3.4.2 La procedura

È necessario premettere che il percorso scelto corre consapevolmente verso una deriva de-

terministica e machiniste; ciò nonostante non si tende a semplificare la complessità ma ad indivi-

duare e a sistematizzare un percorso interpretativo ricco di contenuti diversi e divergenti e di ap-

porti interdisciplinari.

Il percorso di ricerca, che trova in questo volume occasione per una tappa di verifica, diffu-

sione e modulazione degli sviluppi futuri, parte da un fenomeno la cui ampiezza di implicazioni

richiede una notevole ed interdisciplinare base di conoscenza. Se si pensa al solo “crogiuolo o in-

salatiera” delle etnie (Allam, Martiniello, Tosolini, 2004), alle tematiche identitarie localistiche o glo-

balizzate (Amendola, 1997), al mertoniano modello di consumo/sviluppo e alle diverse devianze

(Sidoti, 1989) si annovera un coacervo di tematiche tutte infinitamente articolabili. Per concludere

una prima tappa del percorso interpretativo e affacciarsi ad una fase propositiva si è scelto di rag-

gruppare, secondo criteri omogenei le tematiche fin qui affrontate e coglierne i punti di contatto

piuttosto che le divergenze e le sfumature in contrasto. Pur consapevoli di non poter raggiungere

un adeguato livello di oggettività e terzietà – la scelta delle fonti, dei criteri di selezione, delle prio-

rità è guidata dal personale taglio dato alla ricerca – si ritiene proficuo sviluppate le interazioni tra

le tematiche della multiculturalità e della sicurezza.

Le parole chiave sono:

accoglienza; abitare; partecipazione; comunicazione; autonomia e responsabilità; sviluppo solidale; (2000)street design; pricing and availability of public transportation; location and accessibility of employment;management of schools; management of police services; economic development that benefits a range of socialgroups; enforcement of employment codes, commercial regulations, and by-laws; garbage removal; licensingstreet vendors and public market spaces; pricing and servicing industrial land; (2003a)la città integrata; l’integrazione sociale (l’equilibrio sociale, la partecipazione, la ricchezza multiculturale,l’integrazione tra le generazioni, l’identità sociale, gli spostamenti e la mobilità, le attrezzature, l’alloggio e iservizi); l’integrazione economica (la globalizzazione e la regionalizzazione, i vantaggi competitivi, la città inrete, la diversità economica); l’integrazione ambientale (la sostenibilità ambientale, le città sane, la natura, ilpaesaggio e gli spazi aperti, l’energia); (2003b)identità; integrazione; interazione; partecipazione; mediazione; abitare; lavoro; servizi; accessibilità; città;formazione; (2006)dignità della persona, diritti e doveri; diritti sociali-lavoro e salute; diritti sociali-scuola, istruzione, informazione;famiglia, nuove generazioni; laicità e libertà religiosa; impegno internazionale; (2007)

Fig. 9 - Un “imbuto” della conoscenzaper la ricerca interdisciplinareFonte: rielaborazione da un contributodi Salvatore F. e Sacchetti L. in “ClinicaChimica Acta” (1996).

Interdisciplinarietà

Guardando in filigrana i tre blocchi delle tematiche scelte si è voluto identificare e sostan-

ziare quegli elementi che costituiscono il trait d’union tra le stesse e che possono costituire le

priorità progettuali.

Per quanto concerne l’individuazione dei criteri (priorità) progettuali, si sono messi in rela-

zione (mediante un abaco) i concetti chiave su elencati e si è costruita una lista di controllo da

sottoporre al vaglio del modello partecipativo, opportunamente predisposto in funzione delle

specificità dell’ambito di sperimentazione e che costituirà la base per il prosieguo della ricerca.

La lista di controllo è stata costruita sulla base di tre condizioni:

– la priorità attribuita al concetto/parola chiave nell’ambito del settore di riferimento

(stato dell’arte, sicurezza o carte);

– l’effettività del singolo concetto/parola chiave rispetto ai temi della disciplina urbani-

stica;

– la presenza di un tema riconducibile al concetto/parola chiave in almeno due delle tre

tematiche di riferimento.

Si è, quindi, proceduto al riordino delle tematiche in base alla priorità intrinseca, alla possi-

bilità che venissero affrontate mediante gli strumenti della disciplina urbanistica, ed all’incidenza

mediante un confronto trasversale.

La lettura in filigrana delle tre fonti porta ad individuare quattro raggruppamenti tematici

cui si possono ricondurre i concetti-chiave: il primo raggruppa gli approcci disciplinari e gli stru-

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Fig. 10 - La costruzione dell’abaco dei concetti chiave

Nel primo blocco sono stati raggruppati, e articolati in quattro gruppi (strumenti e modelli interpretativi,elementi della progettazione, ambiti territoriali, aspetti specificamente sociali), i concetti chiave emersi dallostato dell’arte della ricerca nel settore della città multietnica. Il secondo blocco, articolato in modo analogo,raccoglie e gerarchizza le tematiche della sicurezza urbana, mentre il terzo blocco (delle carte) è più sbilan-ciato verso le questioni sociali e non specifica gli ambiti territoriali di riferimento.

sostenibilità; pianificazione territoriale e urbanistica; progettazione urbana; progettazione architettonica; politiche urbane; governance; strumenti d’intervento; strumenti per la conoscenza; documentazione;nuove tecnologie tlc;

partecipazione; alloggio; unità di vicinato; segregazione/integrazione spaziale; attrezzature collettive; servizi urbani; sport; attività produttive; lavoro; identità culturali; formazione; educazione e istruzione; lingue;

aree metropolitane; centri storici; città diffusa; periferie; piccoli centri; identità urbane;

politiche per l’immigrazione; diritto; asilo e rifugiati; cittadinanza; clandestini; genere; esclusione/inclusione sociale; integralismi e conflittualità; razzismo e discriminazione; religioni; povertà urbana;

street design; sviluppo sostenibile; impegno internazionale;

partecipazione; alloggio; accoglienza; abitare; città integrata; attrezzature; servizi; management of schools; management of police services; location and accessibility of employment; pricing and servicing industrial land; enforcement of employment codes; pricing and availability of public transportation;

identità sociale; ricchezza multiculturale; integrazione sociale; integrazione tra generazioni; sviluppo solidale;comunicazione; responsabilità; integrazione economica; interazione; mediazione; formazione; informazione; dignità della persona, diritti e doveri; famiglia; laicità e libertà religiosa; nuove generazioni; economic development that benefits a range of social groups; commercial regulations, and by-laws; garbage removal; licensing street vendors and public market spaces;

pianificazione urbanistica e architettonica; recupero aree degradate; riqualificazione e manutenzione,

partecipazione; alloggio; unità di vicinato; segregazione/integrazionespaziale; attrezzature collettive; spazi pubblici; mixitè funzionale, broken windows; spazi di mediazione; territorialità; discontinuità fisica; vitalità; permeabilità; intravisione; controllo informale (sorveglianza naturale);

aree metropolitane; slums; centri storici; periferie; gated cummunities;

esclusione/inclusione sociale; clandestini; integralismi e conflittualità; devianza; seconde generazioni;

menti metodologici o operativi che possono essere messi in gioco; il secondo annovera gli ele-

menti progettuali strettamente legati allo specifico disciplinare dell’urbanistica e del governo del

territorio; nel terzo gruppo si prendono in considerazione gli ambiti fisici dell’intervento e la scala

di riferimento; nell’ultimo blocco trovano spazio le tematiche sociali che, anche se non possono

essere affrontate esclusivamente con strumenti urbanistici, sono strettamente intrecciate alle vi-

cende urbane.

Nel solo caso delle Carte della multiculturalità, documenti di più ampio respiro e meno

“tecnici”, non si identificano concetti-chiave legati all’ambito territoriale d’interesse.

Il confronto trasversale pone in evidenza le tematiche cui è stato dato maggiore risalto e

quelle più ricorrenti nelle fonti di riferimento. Le categorie dello sviluppo sostenibile, anche se ge-

nericamente richiamate, costituiscono il paradigma di riferimento insieme alle (relativamente)

nuove tecnologie nei settori dell’informazione e della comunicazione che, da strumento, assu-

mono il ruolo di filosofia interpretativa. La pianificazione e la progettazione di spazi e luoghi, alle

diverse scale, è l’approccio che scaturisce dal taglio dato alla ricerca e si declina principalmente in

una accezione di recupero e riqualificazione piuttosto che di addizione di nuove parti di città.

Dalle Carte prese in esame emerge un interesse per la città, mentre non viene specificata la scala

d’intervento o gli ambiti specifici dell’azione. Come si è visto, l’attenzione alla scala di area metro-

politana e al binomio centro storico-periferie è, invece, sottolineato nei documenti delle prime

due categorie.

Enfasi maggiore è attribuita a quelli che potrebbero essere definiti i nodi progettuali: un

approccio partecipativo, che garantisca la fattibilità del piano e la condivisione delle scelte pro-

gettuali (con una serie significativa di ricadute sociali); la questione dell’alloggio ed, in generale,

dell’abitare, è intesa quale piattaforma sulla quale costruire un incremento della qualità della vita

delle comunità urbane, in particolare dei soggetti marginali. La necessità di costruire un sistema

integrato per la residenza che coniughi spazi privati, spazi di mediazione e spazi pubblici trova

nell’unità di vicinato della cultura anglosassone un terreno di sperimentazione e confronto. In

questa dimensione confluiscono alcuni fondamenti della progettazione ambientale orientata alla

sicurezza (e non solo) quali la mixitè funzionale, la territorialità, la vitalità, il controllo informale e

la sorveglianza naturale, la permeabilità e la continuità fisica.

Alla luce degli obiettivi dello studio, quindi, queste tematiche possono essere ricondotte

alle due macro-categorie della residenza e degli spazi pubblici. Se si intende, infatti, il tema del-

l’alloggio nella sua accezione più ampia della costruzione di un sistema integrato per la residenza,

allora, oggetto della riflessione non è solo la tipologia, la pezzatura o le caratteristiche dell’edificio

residenziale ma di tutto ciò che concorre a consentire la fruizione dello spazio a coloro che lo

abitano.

In parallelo, quando si parla di spazi pubblici e di mediazione pubblico/privato non si in-

tende solo il disegno di suolo degli stessi ma si affronta la loro capacità di favorire l’incontro, l’ag-

gregazione, l’interazione sociale etnica e culturale (Germain, 2000).

Entrambe queste dimensioni tematiche, pur non essendo esaustive, concorrono a delineare

un approccio più pieno e consapevole alla domanda di qualità urbana che una società figlia della

globalizzazione pone alla ribalta. La difficoltà di quantificare un approccio qualitativo è accen-

tuata dalla nuova composizione sociale della città multiculturale; nel contempo, queste caratteri-

stiche possono arricchire il percorso progettuale.

3.4.3 Criteri progettuali per l’aggregazione interetnica: dall’alloggio al sistema integrato

per la residenza

I temi trattati si possono ricondurre ai due macro-gruppi dello spazio della residenza e di

quello dell’aggregazione. L’abitare e l’incontrarsi, da sempre fondamentali nell’organizzazione ur-

bana, sono diventati nodi centrali nella città odierna e postmoderna. Il massiccio inurbamento,

che con tempi differenti ha interessato ed interessa tutto il pianeta, l’indifferenza allocativa delle

attività lavorative, che dalla prima rivoluzione industriale è cresciuta innescando i fenomeni della

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globalizzazione, e la moltiplicazione, fino all’annullamento, dei luoghi simbolici della città prein-

dustriale ha accentuato l’enfasi su questi due nodi progettuali.

Come si è detto, l’individualismo e la paura concorrono a modificare gli spazi dell’abitare e

la mercificazione e l’alienazione sono tra i fattori che hanno modificato e reso sovente artificiose

le modalità ed i luoghi dell’incontro. Questa condizione, che si estremizza in alcune realtà occi-

dentali, si lega alle caratteristiche della società postmoderna e diventa un problema di classe ol-

tre che etnico (Campani, 2000). Da un lato, le politiche per la casa si rivelano inadeguate a soddi-

sfare la domanda di alloggi, anche quella pregressa, e, dall’altro, si diffonde la tendenza a scegliere

i luoghi per l’incontro in funzione del proprio potere d’acquisto. Il concorso di queste due condi-

zioni contribuisce ad aumentare l’isolamento dei soggetti a diverso titolo definibili diversi.

Si individua, quindi, quale tema trasversale da affrontare in una logica interculturale quello

del sistema integrato per la residenza: il tema dell’alloggio si articola in un sistema complesso che

non separa ma integra mediante la declinazione di spazi di mediazione e spazi pubblici (CNEL,

2004).

Le strategie progettuali che mirano alla messa in sicurezza degli ambienti urbani75 pon-

gono in evidenza la necessità di promuovere azioni di recupero e riqualificazione a tutto tondo e

di creare condizioni di vita favorevoli all’incontro; questi fattori sono, infatti, in grado di innescare

meccanismi psicologici di emulazione virtuosa e di appartenenza ai luoghi. Queste strategie,

messe in relazione con le politiche per l’integrazione rivolte alle comunità d’immigrati e con i

principi orientati a favorire la nascita di una città interculturale, indicano la via per una nuova sta-

gione di politiche per l’alloggio.

Così come è avvenuto nelle precedenti stagioni di grandi inurbamenti, la casa è al centro

delle (pur scarse) politiche e progetti posti in essere per l’immigrazione. Come si evince anche dal-

l’excursus effettuato nel precedente capitolo, il tema è ampiamente dibattuto e, in alcuni paesi,

concretamente affrontato in diverse categorie di intervento76.

Senza entrare nel merito del dibattito, è necessario ricordare che la forte carica ideale delle

politiche per l’edilizia residenziale pubblica è stata sovente tradita da risultati che sono uno dei

principali nodi-problema della città contemporanea. I principi razionalistici che hanno informato

questi insediamenti sono gli imputati di un processo che, a partire dagli anni settanta, è stato

avviato nei paesi anglosassoni e che oggi riguarda i fondamenti disciplinari dell’urbanistica.

Per quanto concerne l’Italia, la stagione “epica” del Piano Fanfani ha innescato un processo

a valanga che, tra picchi d’eccellenza e baratri di squallore, ha determinato gli attuali assetti ur-

bani (Istituto Sturzo, 2002). Il passaggio da un criterio quantitativo ad uno qualitativo nell’inten-

dere la domanda d’alloggio77, unito al cambiamento del tessuto produttivo e del tessuto sociale

di fine secolo, ha condotto alla stagione della riqualificazione. I cosiddetti programmi complessi

hanno sancito la volontà, negli anni novanta, di riconnettere parti di città disgregate e di recupe-

rare funzionalmente e fisicamente le aree residenziali dell’espansione urbana.

Anche in Italia si comincia a mettere in relazione il degrado urbano con il degrado sociale

e il dilagare di comportamenti deviati. Come si vedrà negli approfondimenti presentati nei capi-

toli cinque e sei, le periferie progettate dell’espansione urbana post bellica, con obiettivi di equità

d’accesso all’alloggio, sono oggi al centro di un vivo dibattito che ne sancisce il fallimento dal

punto di vista sociale78. Le risposte al problema delle condizioni in cui versano tali contesti urbani

sono molteplici e vanno dalla demagogica richiesta di demolizione al più complesso recupero

fisico-funzionale e, in casi più rari, al recupero sociale.

Uno dei principali nodi emersi dalla ricerca è la concezione di alloggio inteso quale luogo

dell’isolamento e dell’arroccamento difensivo (favoriti da un’urbanistica che si sviluppa per en-

75 Si fa riferimento a quelle scuole di pianificazione ambientale della sicurezza che non sposano una logica diespulsione del diverso e di chiusura difensiva degli spazi della residenza, che peraltro si è sovente rivelata fallimentare.

76 Confronta il paragrafo 2.4 e la relativa bibliografia.77 Si pensi tra l’altro al tema centrale dell’Agenda Habitat dell’UNCHS (Istanbul, 1996) che lega lo sviluppo soste-

nibile degli insediamenti umani alla necessità di offrire un alloggio adeguato per tutti.78 Cfr. il capitolo 5 a cura di Bianca Petrella (Seconda Università di Napoli) ed il capitolo 6 redatto dal gruppo di

Francesco Bruno (Università di Napoli Federico II).

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clave prive di un tessuto connettivo) che si oppone a quello di residenza, intesa quale sistema in-

tegrato e aperto di servizi che diventano luoghi d’incontro e di socializzazione, oltre ad incre-

mentare la qualità della vita collettiva. È ormai chiaro, più nella teoria che nella prassi, che una ac-

corta mixitè funzionale consente di preservare il senso di città nella sua accezione più alta, garan-

tendo una migliore qualità della vita diffusa.

Non è casuale che l’aspetto della domanda urbana che ha avuto maggiore attenzione in

seguito all’incremento delle presenze di popolazione immigrata sia quello dell’alloggio. La Carta

per la Città Interetnica e Cablata dedica uno dei propri principi alla Città dell’Abitare: “la città inte-

retnica cablata deve garantire un alloggio adeguato. Le diverse identità si esprimono nello spazio

privato dell’abitazione che deve rispondere ad esigenze funzionali diversificate e garantire le

identità culturali presenti nelle comunità urbane”.

Nei paesi europei caratterizzati da una storica vocazione coloniale, nei quali il fenomeno

migratorio appare più consolidato, si rileva una discreta casistica di interventi, sovente promossi a

scala locale, mirati a rispondere quantitativamente alla domanda di nuovi alloggi. Anche se in al-

cuni casi si è tentato di integrare la realizzazione di nuove cubature residenziali con una azione di

recupero fisico e sociale dell’area interessata79, in generale si riscontra la tendenza ad incoraggiare

(se non imporre) varie forme di segregazione etnica (Sandercock, 1998 e 2003).

La maggior parte di tali politiche hanno sortito l’effetto di giustapposizione che ha favorito

la ghettizzazione (Somma, 1991). Tra le principali ragioni di questi risultati negativi si possono in-

dividuare le politiche dedicate agli immigrati che, come già le politiche per l’alloggio che hanno

creato in passato quartieri socialmente omogenei, non favoriscono la mescolanza sociale ed et-

nica. Parimenti, anche nei casi migliori, non si trovano esperienze orientate alla creazione di un si-

stema integrato di residenze, servizi ed altre funzioni “vitali” che costituiscono l’anima di un inse-

diamento ben riuscito.

In questo ambito si profila la condizione sofferta di esclusione sociale dei soggetti margi-

nali per classe sociale ed etnia. La possibilità di orientare lo sviluppo urbano verso una dimen-

sione interetnica è fortemente condizionata dalla capacità degli spazi e dei luoghi urbani di ga-

rantire un equo accesso e favorire le relazioni primarie, ma anche quelle di carattere transitorio ed

instabile (Castles, 2000). Questo impegno appare improbo come lo sforzo di Sisifo ma, come si è

visto nel precedente paragrafo documenti istituzionali e studi interdisciplinari indicano alcuni ele-

menti ricorrenti che possono costituire la chiave per gli interventi da mettere a punto.

Per favorire le relazioni tra reti migranti e popolazione autoctona il ruolo della mediazione

sociale può coincidere con quello della mediazione spaziale, con la messa a sistema di spazi e luo-

ghi per la socializzazione, rispettosi delle diversità culturali. Ancora la Carta per la Città Interetnica

e Cablata, nel principio la Città dei Servizi, evidenzia che “La città interetnica cablata deve garan-

tire servizi adeguati a tutti i cittadini. L’istruzione, la sanità, la pubblica amministrazione, il credito,

le telecomunicazioni e tutte le altre funzioni urbane devono essere disponibili alla fruizione degli

autoctoni e dei migranti”. Occorrono, quindi, politiche per l’accessibilità ai servizi in quanto “l’ac-

cessibilità, fisica o telematica, agli spazi ed alle funzioni urbane garantisce la fruizione dei servizi,

favorisce le relazioni sociali, sviluppa le attività economico-produttive”.

Nei progetti e nelle politiche in itinere ancora poca attenzione è stata invece tributata agli

spazi collettivi che concorrono ad innalzare la qualità urbana in generale e contribuiscono all’in-

contro tra culture diverse, favorendo le interazioni. Così come la teoria classica della sociologia

delle migrazioni evidenzia tre possibili risposte dell’individuo rispetto al nuovo habitat verso il

quale migra (chiusura verso lo stile di vita ospite, rifiuto della propria cultura originaria oppure fu-

sione tra i due atteggiamenti con la costruzione di una nuova identità)80 lo stesso si può riverbe-

rare negli spazi e nei luoghi della città, in particolare negli spazi pubblici (Castells, 2002).

79 È il caso degli slums nordamericani illustrati da Leonie Sandercock in “Verso Cormopolis: città multiculturali epianificazione urbana”, Dedalo, 2004 (ed. orig. 1998).

80 Si ricorda Thomas W.I., Znaniecki F. W. The Polish Peasant in Europe and America; e Robert E. Park (1928), HumanMigrations and the Marginal Man.

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L’incontro, lo scontro o l’osmosi tra culture diverse ha determinato nella storia contamina-

zioni che si sono pietrificate, dando vita al carattere di ciascuna città; pur con le inerzie intrinseche

nella materia costruita si possono individuare città che hanno privilegiato la conservazione e la

reiterazione dei propri caratteri identitari e città che hanno fatto proprie le culture ospiti. Più fre-

quentemente, con alcuni casi eccelsi, la città presenta una identità composita, frutto del confronto

delle diversità.

3.4.4 L’attuazione selettiva del piano: il modello partecipativo

“La città interetnica cablata si fonda sulla partecipazione. Solo la partecipazione libera e de-mocratica di tutti i cittadini può assicurare che la città sia rappresentazione delle diverse iden-tità e, contemporaneamente, dei valori comuni di riferimento”.

La Carta per la Città Interetnica e Cablata (Fondazione Aldo Della Rocca)

L’interesse pubblico non esiste in natura ma va costruito in modo partecipato e dinamico

con la costruzione sociale del piano81.

Queste riflessioni possono condurre a rivedere l’approccio: non occorrono politiche speci-

fiche per gli immigrati, piuttosto garantire la partecipazione attiva alla formazione della decisione

da parte di tutti i soggetti sociali, anche i più deboli e marginali (Nussbaum, 1999). Facilitare e ga-

rantire l’accesso al dibattito sulla propria città (d’adozione da parte degli immigrati) consente di

superare la precarietà con la quale sono vissuti gli spazi urbani da una cospicua parte della po-

polazione urbana contemporanea.

Se già negli anni ’60 il filosofo e sociologo francese Lefebvre parlava di “diritto alla città”,

quale campo della visibilità della società, tale concetto veniva circoscritto nell’empireo degli

slanci etici, senza alcun aggancio con la realtà concreta (Fornero, 1993).

Questo approccio non sorprenda in quanto ancora oggi le istituzioni nazionali e transna-

zionali dibattono sui contenuti del più ampio concetto del diritto alla cittadinanza, del quale il

primo è una specificazione. Si ragiona, infatti, di “domanda di città”, che probabilmente si ritiene

possa non essere evasa, piuttosto che di diritto alla città, articolato e composito, cui corrisponde

una promessa di città, politicamente articolata e legittimata (Lyotard, 2001).

Quando si parla di diritto alla città bella, alla città varia, alla città vivibile, alla città amiche-

vole e accessibile, si ritrova una dimensione etica e politica della città, divenuta un diritto positi-

vamente normato (Amendola, 1997).

La creazione di servizi alla funzione residenziale, accessibili anche agli immigrati, può ripro-

porre lo spirito, aggiornandolo, che ha condotto negli anni sessanta a elaborare l’idea di standard

quale indispensabile integrazione alle politiche per l’alloggio. In quel caso si interpretava l’emer-

genza, oggi si deve anticipare l’emergenza, adeguando le politiche prima che i numeri diventino

insostenibili.

La “pianificazione dei servizi per il welfare urbano”, multiculturale ed interetnico è un tema

di profonda attualità, oggetto di studio, tra l’altro, da parte della Fondazione Giovanni Astengo,

struttura promossa dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (Forte, 2004). Non si può, infatti, commet-

tere l’ingenuità di ritenere esaurito il tema dell’interetnia con la realizzazione di luoghi di culto

pluriconfessionali o di alloggi dedicati agli immigrati (anche se va comunque segnalato positiva-

mente lo sforzo di affrontare il problema da molti ancora negato). I paesi europei che presentano

esperienze datate in tale direzione hanno evidenziato l’inadeguatezza di tale approccio

(Beguinot, Clemente, Esposito, 2006).

Il paradigma della complessità, in particolare per quanto concerne la teoria del caos, con-

sente di individuare una terza via per l’interazione tra melting pot e salad bowl; in che modo un

urbanista può favorire tale fenomeno? Una delle possibili risposte può essere la costituzione di

81 Da un contributo di Daniela Lepore al Convegno “L’altra metà dell’architettura a Napoli tra didattica, ricerca esperimentazione progettuale”, Università degli Studi di Napoli Federico II, 21 settembre 2007.

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una rete di punti di aggregazione che riorganizzano il tessuto urbano rendendolo meno stra-

niante; un sistema nel quale i poli interconnessi attraverso relazioni forti e deboli costituiscono

punti di irradiazione delle forme di integrazione.

Un riferimento colto è costituito dalle unità di vicinato i cui baricentri funzionali costitui-

scono luoghi di formazione e tempo libero per i giovani. La chiave per l’attuazione di tale pro-

cesso è il recupero dell’esistente, l’innovazione tecnologica e la partecipazione. Riproporre il mito

del “buon selvaggio” cui creare una “nicchia” di sopravvivenza ed appagare i bisogni materiali po-

trebbe, infatti, accentuare le tensioni e le spaccature tra stranieri ed autoctoni.

Come si è visto in progetti come Urban e Contratti di quartiere in tessuti sociali complessi

sortiscono effetti migliori i piccoli interventi costruiti sulla partecipazione e che associano trasfor-

mazione fisica e sociale.

Alla luce delle riflessioni fatte sulla città sicura, per render fattibile un intervento integrato

si può ribaltare l’approccio e partire da quelli elementi di conflitto e tensione per proporre i criteri

per progredire verso la socializzazione. A ciò si associa la consapevolezza di quanto emerso già

dal Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2006: le attuali leggi in materia favori-

scono il passaggio della popolazione immigrata da una condizione di regolarità a quella di irre-

golarità piuttosto che il percorso inverso. Questa “immersione” in un limbo giuridico di parte della

popolazione urbana, concentrata in aree che richiedono con urgenza interventi di recupero e ri-

qualificazione, rende estremamente difficile l’interpretazione della domanda urbana cui dare una

risposta.

Questa questione assume una rilevanza notevole in Italia dove i tempi di attuazione di po-

litiche, programmi e piani superano di gran lunga i tempi di maturazione delle trasformazioni so-

ciali; è consolidata la tendenza a ricorrere a politiche d’emergenza piuttosto che ad intervenire

strutturalmente quando si individuano le tendenze in atto.

Per quanto riguarda lo scenario italiano, il primo passo è costituito dal superamento del de-

terminismo rigido che ha caratterizzato la stagione “epica” dell’urbanistica, nella quale si disegna-

vano piani omnicomprensivi, che pretendevano di regolare rigidamente le attività umane me-

diante una zonizzazione ed una normativa estremamente dettagliate. Ormai da tempo si è aperto

un dibattito sul fallimento di tale approccio che, imbrigliando il territorio in una scacchiera preco-

stituita, incoraggia trasformazioni informali e comportamenti illeciti82. Al “pennarello magico”

della seconda metà del secolo scorso non si è, però, ancora sostituito un modello alternativo uni-

voco. Si è proceduto svuotando gradualmente il piano dei propri contenuti e sostituendolo di

fatto – anche se non ancora nella sua forma istituzionale mediante una nuova legge urbanistica

generale – con programmi complessi di snella attuazione in grado di convogliare risorse verso

specifiche trasformazioni urbane83.

Non è questa la sede per approfondire un tema sottoposto ad acceso dibattito, basti ricor-

dare che la stagione dei programmi complessi, pur con i limiti della settorialità e della deregola-

mentazione …, ha avuto il merito di rompere i rigidi schemi nei quali si muoveva la disciplina.

Sono state promosse trasformazioni orientate al recupero ed alla rifunzionalizzazione di parti di

città, che hanno innescato processi virtuosi di sviluppo locale (Programmi di Recupero Urbano e

Programmi di Riqualificazione Urbanistica), si sono coniugate attività di riqualificazione fisica e di

recupero sociale di quartieri degradati (Contratti di Quartiere), si sono perseguiti obiettivi di svi-

luppo compatibile con gli equilibri ambientali e sociali (Programmi di Riqualificazione Urbana e

Sviluppo Sostenibile del Territorio) e così via. A queste esperienze si sono affiancate iniziative svi-

luppate sotto l’egida dell’U.E. quali i programmi Urban ed Interreg che, a scale diverse, si propon-

gono di promuovere la coesione sociale e di valorizzare le risorse locali.

82 L’alternativa a tale rigidità è l’assenza totale di pianificazione che si è verificata, principalmente, nelMezzogiorno d’Italia. Il censimento dei piani di livello comunale in Campania, per esempio, ha evidenziato che alle sogliedel XXI secolo circa l’80% dei comuni non era dotato di un PRG aggiornato.

83 Gerundo R. (2000), I programmi urbani complessi, edizioni Graffiti, Napoli; Esposito G. (a cura di) (2002), I pro-grammi complessi: strumenti urbanistici, giuridici e ed economico-finanziari per la riqualificazione urbana, Di.Pi.S.T. -Università Federico II, Giannini, Napoli.

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È, infatti, necessario sottolineare che non sono stati ancora messi a punto programmi dedi-

cati al tema della multietnicità in ambito istituzionale; gli interventi realizzati o in atto, sia in am-

bito europeo che italiano, prendono spunto e attingono risorse da programmi di altra natura, nei

quali si ritagliano specifiche competenze. Si può, quindi, sinteticamente affermare che, con il sup-

porto di strumenti tecnici opportunamente tarati per l’interpretazione, la programmazione, la pia-

nificazione e la gestione, si potrebbe affrontare la mescolanza etnica, quale evoluzione interattiva

del sistema sociale.

La sfida della costruzione di una città interetnica e sicura parte da una aggregazione sui va-

lori della cultura, dell’identità condivisa (Touraine, 2002), mentre la chiave per l’attuazione di tale

processo è la costruzione di un approccio che produca sinergie tra il recupero dell’esistente, l’in-

novazione tecnologica e un approccio complesso. In questa direzione, offrono un importante

contributo le metodologie finalizzate a favorire esperienze di partecipazione dei diversi soggetti

sociali alle scelte progettuali.

Al contrario di quanto comunemente si crede, la domanda di partecipazione da parte delle

compagini di immigrati che stanno sviluppando un progetto di vita nel nostro paese è elevata

(Glissant, 1998). Consentire l’accesso alle informazioni e supportare la partecipazione ad attività

comunitarie contribuisce a circoscrivere il senso di precarietà nel quale molti stranieri vivono, ol-

tre ad agevolare la raccolta delle istanze (non solo materiali) che quest’ultimi avanzano (Kylmicka,

1999). È significativo, in tal senso, il successo in termini di partecipazione degli stranieri residenti

nella provincia di Bologna (ha votato oltre il 21% degli elettori) alla elezioni del Consiglio dei cit-

tadini stranieri e apolidi, che si è tenuta lo scorso 2 dicembre. Tale organo ha un importante ruolo

consultivo e consente la visibilità alle comunità straniere presenti nel territorio, delle quali può

raccogliere le istanze. Di particolare interesse i nomi scelti per la formazione delle liste, tra i quali:

siamo tutti cittadini, per l’interazione civile, per la convivenza, insieme costruiamo un mondo dei

diritti, insieme per il futuro84.

La raccolta delle differenti istanze espresse dalla popolazione durante la costruzione dei

processi di piano è il primo passo per ridurre la conflittualità e favorire la realizzabilità degli inter-

venti finalizzati ad incrementare la qualità della vita, la sicurezza e la percezione della sicurezza in

aree urbane a rischio.

Si vuole chiudere aprendo la riflessione con l’ultimo principio della Carta per la Città

Interetnica e Cablata, la Città delle Città, che recita: “La città interetnica cablata deve esprimere e

rappresentare tutte le identità delle nuove comunità umane multiculturali. La ri-semantizzazione

interculturale dei luoghi e la ri-funzionalizzazione delle funzioni urbane costituiscono la risposta

alla rinnovata domanda di città, per la convivenza civile e colta di genti diverse”.

84 I dati messi on line dall’Osservatorio per l’Immigrazione della Provincia di Bologna sono significativi: 30 eletti(di cui 4 donne: 2 filippine, 1 marocchina e 1 croata), in maggioranza giovani residenti a Bologna. Oltre un terzo deglieletti è marocchino, la seconda nazionalità è quella pachistana (6 eletti), mentre si registra un solo cinese.

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3.5 RIFERIMENTI

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Capitolo 4

Lo sport per la città multiculturale

“Sport has the power to unite people in a way little else can. Sport cancreate hope where there was once only despair. It breaks down racialbarriers. It laughs in the face of discrimination. Sport speaks to peoplein a language they can understand”.

Nelson Mandela

La città interetnica ha bisogno di luoghi che favoriscano l'incontro e il confronto tra donne ed uo-mini di culture diverse. Massimo Clemente argomenta come i punti luce del dialogo, nella città dei di-versi, possano venire dallo sport che può contribuire in modo innovativo e determinante, perché ca-pace di trasformare la conflittualità in interazione, attraverso la competizione. L’excursus attra-verso le esperienze progettuali poste in essere nelle realtà ove la società multietnica è una realtàconsolidata ha consentito di sviluppare la tesi che lo sport può valorizzare la etnodiversità, contri-buendo all’osmosi interculturale. La nuova architettura del dialogo si materializza nelle attrezza-ture e negli spazi dedicati alle attività sportive, trasformandoli in luoghi urbani.

4.1 IL RUOLO DELLO SPORT NELLA SOCIETÀ MULTICULTURALE

4.1.1 Sport, inclusione sociale, integrazione etno-culturale

Fin dall’antichità, le pratiche sportive hanno favorito il dissiparsi delle pulsioni aggressive

dell’uomo, proponendosi quale sublimazione della guerra e portando le conflittualità nell’ambito

della non violenza. Nella civiltà ellenica le Olimpiadi imponevano l’interruzione dei conflitti in

corso e questa capacità di pacificare è stata ripresa dalle Olimpiadi moderne e dalle tante com-

petizioni a carattere internazionale dello sport moderno. Nei Paesi occidentali, lo sport si è note-

volmente diffuso dopo la Seconda Guerra Mondiale e si è affermato come strumento educativo

per gli adolescenti e di crescita civile per la società.

Più recentemente, il possibile ruolo dello sport è stato riconosciuto, con modalità specifi-

che, anche in situazioni più svantaggiate nei paesi poveri del pianeta. In particolare, l’attenzione è

rivolta alle strategie d’inclusione etnica ed ai luoghi urbani dove spazio e funzione favoriscono, at-

traverso lo sport, l’incontro fra diversi.

La consapevolezza del ruolo sociale dello sport, negli ultimi anni, è progressivamente cre-

sciuta e si è concretizzata, attraverso centinaia di progetti sviluppati dagli organismi internazio-

nali, dai governi nazionali e dagli enti locali, in tutte le regioni del mondo.

L’Unione Europea, nel 2004, ha celebrato l’Anno europeo per l’educazione attraverso lo

sport (EYES 2004) nel cui ambito sono stati realizzati significativi progetti ed esperienze. Le

Nazioni Unite, nel 2005, hanno celebrato l’Anno internazionale dello sport e dell’educazione fisica

(SPORT 2005) richiamando l’attenzione mondiale sulle potenzialità dello sport come strumento

d’inclusione e sviluppo sociale.

L’esperienza sul campo ha dimostrato che la pratica sportiva favorisce l’incontro e il dia-

logo tra i giovani che appartengono a gruppi sociali e culturali differenti e, per indotto, estende la

sua azione unificatrice alle famiglie ed al mondo degli adulti. Lo sport elimina barriere e disparità

perché pone tutti i competitori sullo stesso blocco di partenza e, in questo modo, favorisce l’in-

clusione sociale.

Contemporaneamente, lo sport moderno è un universo complesso che ha molte galassie e

stelle luminose ma anche dei buchi neri: le degenerazioni indotte dagli interessi economici che,

negli ultimi decenni, sono cresciuti a dismisura ed hanno richiamato l’attenzione delle grandi

aziende multinazionali.

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In ordine di tempo, l’ultimo duro colpo è venuto dallo sfruttamento televisivo che ha ingi-

gantito la dimensione economica dello sport come spettacolo di massa e che è collegabile, in

modo diretto o indiretto, al razzismo ed alla violenza fuori e dentro gli stadi.

L’incontro delle diversità può avvenire nei luoghi urbani dello sport perché la città con-

temporanea contempla, al suo interno, spazi aperti ed edifici deputati alla pratica delle varie di-

scipline sportive dove, potenzialmente, si può realizzare l’incontro, il dialogo, l’integrazione e l’in-

clusione. La riflessione sulla caratterizzazione di questi spazi e sulle dinamiche che li definiscono

può contribuire a mettere a punto ed esprimere le potenzialità dello sport, in ambito urbano, con-

tro la segregazione sociale, per la costruzione di società urbane multiculturali che vivano in ar-

monia le loro diversità.

4.1.2 Dalle origini alla modernità dello sport

Il termine sport è inglese1 e significa svolgimento di un’attività fisica (e mentale) di svago,

non lavorativa, in forma competitiva e sulla base di regole condivise fissate da enti preposti.

Elemento caratterizzante è che non si tratta di un’attività tesa a soddisfare un bisogno primario,

antropologicamente inteso, ma è sostanzialmente finalizzata a dimostrare il proprio valore pre-

valendo sugli altri, a migliorare sempre più le proprie prestazioni e le proprie condizioni psico-fi-

siche.

Lo sport moderno è nato in Inghilterra nel XVIII e nel XIX secolo si è affermato come espres-

sione di una società economicamente e politicamente matura, allorquando le classi agiate capi-

rono che l’onore poteva essere ben difeso in una competizione sportiva di pugilato, canottaggio

o vela senza mettere a rischio la propria vita.

L’affermazione e dimostrazione della forza fisica e della bravura, superando gli avversari,

proponevano lo sport, già da allora, come sublimazione del conflitto sostituendo il rischio di

morte con il rischio di una sconfitta onorevole ed accettabile, se subita da un avversario leale e nel

rispetto delle regole condivise.

La ricostruzione della storia dello sport vede una fase preistorica in cui gli uomini primitivi

si esercitavano per migliorare l’abilità nella caccia e le capacità di difesa, in sostanza per aumen-

tare le possibilità di sopravvivenza.

La fase ellenica è ritenuta la più significativa e, non a caso, ad essa si riferì Pierre de

Coubertin nel fondare l’Olimpiade moderna. I Greci si cimentavano nella corsa, nella lotta, nel lan-

cio del giavellotto e del disco, nel pugilato e nella lotta. Si allenavano nei ginnasi e nelle palestre

per poi sfidarsi in incontri che vedevano i rappresentanti delle diverse polis opporsi negli stadi.

Le Olimpiadi, dal 776 a.C. con cadenza quadriennale, erano la manifestazione più impor-

tante e si tenevano nella città sacra di Olimpia per onorare il re degli dei, Zeus, fissando l’archetipo

dell’ideale sportivo, pervenuto fino ai nostri tempi: vittoria del migliore, lealtà, rispetto delle re-

gole, accettazione della sconfitta. Si ricorda che per celebrare le Olimpiadi tutte le guerre in corso

venivano sospese, a conferma del valore sacrale dei giochi panellenici, ma anche della capacità

dello sport di sostituirsi al conflitto rappresentandone una forma non violenta né pericolosa per

le vite umane2.

Presso i Romani lo spirito sportivo ellenistico si perse e l’esercizio fisico fu relegato nelle pa-

lestre, la ginnastica nelle terme, ritenendo disdicevoli le nudità degli atleti ed inutili le competi-

zioni nelle discipline di Olimpia. L’esercizio fisico e l’allenamento furono finalizzati a migliorare le

proprie capacità di difendersi e, soprattutto di offendere in guerra e nei giochi gladiatori. Si diffu-

sero gli spettacoli pubblici nel circo, con scontri tra gladiatori e con belve feroci, caratterizzati da

violenze e brutalità che spesso si concludevano con mutilazioni e morti cruente.

1 Sport deriva dal francese antico desport che significa svago, diporto inteso come trasporto di se stessi a fini lu-dici. Molti sono i testi dedicati al significato, alla storia ed alla valenza dello sport nella società contemporanea. Per unavisione sintetica si consiglia di consultare la voce Sport dell’Enciclopedia Rizzoli Larousse.

2 I giochi olimpici dell’antichità furono soppressi nel 393 d.C. dall’imperatore Teodosio perché erano degeneraticon brogli e corruzione. Come spesso accade, corsi e ricorsi storici aiutano a comprendere la contemporaneità.

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Nel Medioevo, l’aspirazione al misticismo e la mortificazione della dimensione corporale

dell’uomo indussero a trascurare ogni forma di culto del corpo mentre, nel Rinascimento, si ripro-

pose l’educazione fisica e morale, nel rinnovato umanesimo, attraverso la pratica della lotta, della

scherma e dell’equitazione, ancora una volta come alternativa al conflitto.

Nel XVIII e XIX secolo si delineò lo sport così come oggi lo intendiamo: competizione in

un’attività prevalentemente fisica (ma anche mentale) disciplinata da regole condivise. Nacquero

e si diffusero gli sport individuali (atletica, nuoto, tennis, …), di squadra (calcio, pallavolo, basket,

baseball, …) di combattimento (boxe, lotta, …), nautici (canottaggio, vela, …), invernali (sci alpino,

sci di fondo, …).

Nella prima metà del XX secolo lo sport fu prevalentemente appannaggio delle classi

agiate che lo praticavano per diletto in cerchie ristrette: gli aristocratici e i ricchi borghesi affer-

mavano il loro primato sociale anche attraverso lo sport. I giovani di buona famiglia, tramite la

pratica sportiva, erano educati allo spirito di sacrificio, al senso di responsabilità, al rispetto della

disciplina ed all’autodisciplina.

Al Barone Pierre de Coubertin si deve la riscoperta e l’impostazione delle Olimpiadi mo-

derne la cui prima edizione si tenne ad Atene nel 1896, proprio in omaggio alle Olimpiadi

dell’Antica Grecia3. Ispirandosi alla tradizione educativa anglosassone, De Coubertin individuò il

ruolo dello sport come strumento di crescita fisica e morale. Dedicò la vita e buona parte del suo

patrimonio per realizzare e promuovere il suo progetto che riuscì felicemente, soprattutto nelle

prime edizioni, perché fu capace di affermare e diffondere lo spirito sportivo decoubertiniano: l’im-

portante è partecipare e la lealtà sportiva viene prima della vittoria.

3 In precedenza, si erano susseguiti diversi tentativi nel 1859, nel 1870 e nel 1875, tutti falliti per carenze orga-nizzative, inadeguatezza degli impianti, partecipazione limitata, dimensione localistica.

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Nel 1924, a Chamonix, si disputarono le prime Olimpiadi invernali che, con cadenza qua-

driennale, si alternano alle Olimpiadi a distanza di due anni. In quegli stessi anni, però, all’atleti-

smo propugnato da de Coubertin si contrappose la ginnastica militarista delle dittature che edu-

cava i giovani alla guerra ed all’odio razziale. Le Olimpiadi subirono un duro colpo nel 1936 a

Berlino quando Hitler ed il regime nazista vollero sfruttarle per affermare la presunta superiorità

della razza ariana, anche se furono sconfessati dall’affermazione di campioni come il nero ameri-

cano Jesse Owens che vinse quattro medaglie d’oro in un’unica giornata di gare di atletica.

4.1.3 Lo sport oggi per la crescita sociale

Lo scenario attuale si è iniziato a delineare nella seconda metà del ‘900, dopo la Seconda

Guerra Mondiale, quando si è avuta la progressiva diffusione degli sport più popolari, come ad

esempio il calcio in Europa ed America Latina, il rugby ed il cricket nei Paesi del Commonwealth,

il baseball ed il football americano negli USA. La diffusione è avvenuta sia come crescente atten-

zione del grande pubblico agli eventi sportivi sia come pratica delle discipline sportive da parte

dei giovani. Si moltiplicano le discipline ed alle Olimpiadi si aggiungono i Campionati del mondo,

continentali e nazionali. Nelle scuole i giovani praticano lo sport insieme alle altre discipline curri-

colari e l’associazionismo diffonde la pratica sportiva nel tempo libero.

La nascita dello sport moderno: le principali tappe

1743 - Prima regolamentazione del pugilato in Inghilterra

1780 - Prima gara ippica a Epson per volere del conte di Derby

1814 - Istituzione dell’Istituto di ginnastica di Stoccolma

1827 - Organizzazione delle prime competizioni nel Collegio di Rugby

1829 - Prima gara di canottaggio tra le Università di Oxford e di Cambridge

1893 - Nasce il Comitato Olimpico Internazionale a Parigi

1896 - Il Barone Pierre de Coubertin promuove l’organizzazione della prima Olimpiade moderna

Negli anni della guerra fredda lo sport offre l’occasione di fronteggiarsi per affermare la

propria superiorità alle due superpotenze americana e russa, spingendo gli atleti ad andare oltre

la lealtà sportiva pur di vincere. Nasce il fenomeno del doping e cioè l’uso di sostanze che miglio-

rino le prestazioni degli atleti, anche se dannose per la salute.

La crescita dimensionale di praticanti e spettatori ha fatto lievitare gli interessi e economici

che sono esplosi quando gli eventi sportivi sono stati proposti come spettacoli di massa e me-

diatici. Questo ha fornito anche l’occasione di un uso distorto per chi ha voluto sfruttare i grandi

eventi di sport come ribalta per attentati terroristici (Olimpiade di Monaco, 1972) o clamorosi boi-

cottaggi politici (Olimpiadi di Mosca, 1980 e di Los Angeles, 1984)4.

Negli ultimi vent’anni, lo sport è diventato un grande business su scala mondiale e la glo-

balizzazione dei mercati ha avuto il suo corso anche nello sport. Le grandi aziende multinazionali

hanno compreso che gli eroi dello sport moderno avevano un grandissimo potere d’influenza sui

giovani, ma anche sugli adulti, di tutto il mondo e lo sport è diventato uno straordinario stru-

mento di controllo ed indirizzo del mercato. Il prevalere degli interessi economici sullo spirito

sportivo ha provocato in molti “sportivi” la voglia di vincere ad ogni costo, tanto da indurli a com-

mettere atti illeciti e ad assumere sostanze eccitanti vietate (doping).

Questo breve excursus evidenzia le virtù e le potenzialità dello sport moderno, ma anche

l’uso distorto che se ne può fare, da parte di chi si allontani dallo spirito decoubertiniano. Lo sport

può costituire un surrogato della guerra, risolvendo il conflitto in forma non violenta e non peri-

colosa, acquisendo un ruolo importante nella costruzione dell’armonia in un gruppo sociale, an-

che variamente composito. Se, per interessi politici od economici, si abbandonano i principi di

lealtà e rispetto per l’avversario, il confronto sportivo può degenerare in scontro e proiettare i gio-

vani verso il militarismo e il conflitto5.

Il ruolo dello sport, nell’attuale fase storica, è stato approfondito attraverso la disamina di

programmi, progetti, documenti internazionali e altre iniziative finalizzate al superamento delle

diversità ed all’inclusione sociale e culturale di categorie svantaggiate. Nella città contemporanea,

si è cercato di cogliere le potenzialità spaziali e funzionali dei luoghi urbani dove lo sport può di-

ventare fattore unificante, di crescita civile e di comunione culturale.

4.2 PER IL SUPERAMENTO DELLE DIVERSITÀ

4.2.1 Le buone pratiche: ricerche, conferenze, documenti, associazioni

L’obiettivo della convivenza civile e colta (Beguinot, 2003-2004-2005-2006-2008) nelle me-

tropoli contemporanee non è raggiungibile in modo semplice ed immediato perché richiede il

superamento di conflittualità indotte da fenomeni endemici. Nelle più grandi città del mondo, il

conflitto è direttamente collegato alle ingiustizie sociali e si alimenta degli squilibri economici e

del gap di sviluppo che separa i paesi ricchi ed industrializzati da quelli del Sud del mondo.

I poveri del mondo migrano nelle metropoli dell’Occidente ma non riescono ad integrarsi

nel sistema sociale, economico e culturale, a volte, nemmeno alla terza o quarta generazione dal-

l’abbandono del paese d’origine.

La società contemporanea è strutturata su un sistema economico che è costruito sulla dis-

uguaglianza: il ricco esiste perché si contrappone al povero. Le democrazie occidentali hanno mi-

tigato ma non risolto i nodi del capitalismo, il socialismo reale ha fallito la sua missione e le eco-

nomie emergenti calpestano la dignità umana. La globalizzazione ha esasperato la situazione

sommando le contraddizioni locali di ciascun popolo con le contraddizioni planetarie tra i popoli.

4 A Monaco di Baviera, nel 1972, i terroristi palestinesi compirono una drammatica azione contro i componentidella squadra olimpica israeliana. Nel 1980, le Olimpiadi di Mosca furono boicottate dagli USA e dalle nazioni del Pattoatlantico, per protesta contro l’invasione dell’Afghanistan. Per conseguenza, quattro anni dopo, il boicottaggio alleOlimpiadi americane avvenne da parte dei paesi del blocco sovietico.

5 Come oggi succede tra le tifoserie di squadre di calcio: durante la settimana si sottopongono a vere e propri al-lenamenti per poi scontrarsi in violenti combattimenti dentro e fuori gli stadi.

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Il problema delle diversità, che possono sfociare in conflittualità, richiede nuove soluzioni

che devono essere progettate, sperimentate e messe a punto. Abbiamo bisogno di strategie in-

novative, articolate e modulate sulle diverse realtà che possono scaturire solo da una collabora-

zione tra le diverse conoscenze e competenze.

In questo senso, l’urbanistica può concorrere solo se dialoga con le altre discipline, pur ri-

vendicando il suo specifico ruolo ai fini della conoscenza dei fenomeni e per la proposta di mo-

delli di trasformazione urbana che rispondano all’evoluzione sociale in senso multietnico.

Un importante contributo può venire dall’approfondimento e dall’interpretazione, in

chiave urbanistica, di esperienze positive, quali best practices dell’integrazione etnica in ambito ur-

bano e metropolitano, con specifico riferimento allo sport come strumento di socializzazione e

fattore unificante.

Lo sport può superare le differenze sociali, culturali ed etniche e trasformare l’aggressività

in sano spirito di competizione che, nel rispetto di regole condivise, esalti le capacità di ciascuno

e migliori le prestazioni di tutti. L’omogeneità del punto di partenza, in particolare negli sport po-

polari che non richiedono costose attrezzature e strumenti, contribuisce a ridurre le diffidenze re-

ciproche e favorisce, nei più deboli, la fiducia e l’autostima. I giuochi di squadra, inoltre, favori-

scono la collaborazione e il rispetto reciproco, alimentando fiducia nelle opportunità offerte dal-

l’unione e dalla collaborazione tra diversi.

Lo sport è una competizione sana che aiuta a migliorare chi lo pratica, sia sul piano fisico

sia, soprattutto, sia sul piano psicologico e della crescita personale, che aiuta la maturazione dei

ragazzi nella delicata fase adolescenziale, offrendo valori e punti di riferimento.

Lo sport contrasta l’emarginazione e la devianza, contribuisce all’inclusione sociale, favori-

sce l’apertura tra le culture e le tradizioni diverse ponendosi quale fattore unificante.

Naturalmente, lo sport di cui si parla non è quello professionistico, sponsorizzato dalle

grandi multinazionali, che pure offre esempi positivi di affermazione di immigrati, di prima gene-

razione o successive, provenienti da fasce deboli e da contesti di forte disagio sociale. Non di-

mentichiamo che queste multinazionali fondano gran parte del loro guadagno sullo sfrutta-

mento dei Paesi poveri dove sono localizzati i centri di produzione e che lucrano sui salari bassi,

sui bassi livelli di tutela ambientale, sulle scarse misure di controllo, ecc.

Non è nemmeno lo sport vissuto passivamente, attraverso strumenti di surrogazione come

il media televisivo che spesso rappresentano modelli comportamentali tutt’altro che positivi, non

escluso il razzismo. Lo sport di cui si parla è quello praticato dalle ragazze e dai ragazzi, in prima

persona ed insieme agli altri.

Lo sport a cui pensiamo è quello che si pratica nel quartiere e che offre ai bambini ed agli

adolescenti l’opportunità di socializzare e di crescere insieme favorendo, al contempo, l’incontro

ed il dialogo fra i genitori. Quello sport che completa l’educazione famigliare e l’istruzione scola-

stica, insegnando a lavorare per raggiungere un obiettivo ed a rispettare l’avversario che, in ma-

niera diversa, s’impegna per raggiungere il medesimo obiettivo.

Le strategie per l’inclusione sociale adottano, in modo diffuso, lo sport come strumento di

avvicinamento tra gruppi contrapposti da motivi economici e culturali. Meno diffuso è l’utilizzo

dello sport come strumento specifico di incontro e dialogo tra gruppi etnici e, in particolare, per

l’integrazione delle comunità degli immigrati nelle società di accoglienza.

Se, da un lato, è riconosciuto il ruolo dello sport nelle strategie per l’inclusione sociale, dal-

l’altro lato, sussistono anche barriere alla partecipazione e il primo fattore di esclusione sociale è

la povertà a cui si affiancano il genere, l’età, le disabilità, l’appartenenza etnica e culturale, la dis-

ponibilità di impianti sportivi e la relativa accessibilità (Collins, Kay, 2003).

Anche per gli immigrati, lo sport può favorire l’inclusione ma solo se si affrontano e si risol-

vono i fattori di esclusione etnica. I limiti sono, in primo luogo, economici e penalizzano le fami-

glie degli immigrati che ancora non sono inseriti nel mercato del lavoro e della produzione della

ricchezza e che, poi, sono le famiglie più emarginate ed esposte alla segregazione razziale. Le reli-

gioni tradizionaliste ed integraliste, inoltre, condizionano la partecipazione dei ragazzi alla pratica

sportiva, colpendo soprattutto le ragazze che costituiscono la categoria più debole e problema-

tica per l’inserimento sociale e culturale degli immigrati.

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L’esempio costruttivo e con forte valore simbolico viene dagli immigrati che sono diventati

atleti di successo nel paese d’accoglienza, offrendo la loro esperienza personale di realizzazione e

di affermazione attraverso l’impegno, il sacrificio e il lavoro di squadra con l’allenatore ed i com-

pagni, indipendentemente dal colore della pelle.

I ragazzi appartenenti alle minoranze etniche provano lo stesso interesse per lo sport che

provano tutti loro coetanei (Verma, Darby, 1994) e le ragazze, in entrambi i casi incontrano mag-

giori difficoltà d’accesso alla pratica ed alle strutture sportive. Il problema è complesso e non bi-

sogna farsi sedurre dal “falso universalismo” (Fleming, 1994), ma riconoscere la diversità di lingue,

tradizioni e religioni che creano ostacoli, a volte molto difficili da superare, alla pratica dello sport

tutti insieme.

L’esame di alcune esperienze positive sul tema dello sport e della multietnia può contri-

buire ad individuare elementi generalizzabili e utili alla costruzione di strategie sociali urbane e

metodologie innovative per la progettazione urbanistica. La metodologia adottata per questa

parte dello studio si è fondata sull’approfondimento dello stato dell’arte della ricerca sulla città

multietnica sviluppata nel capitolo 2 del volume.

L’individuazione dei casi significativi di utilizzo dello sport come strumento d’integrazione

è stata sviluppata sul piano concettuale e metodologico. Partendo dai centri di ricerca classificati

ed illustrati nella prima parte del volume, si sono verificate, tra le attività di ciascun centro, le ini-

ziative inerenti al tema. Internet, attraverso i link nelle web pages ufficiali, ha consentito di allargare

la ricerca anche a progetti non sviluppati dagli stessi centri ma da enti di governo del territorio di

livello transnazionale, nazionale e locale. Analogamente, sono stati individuati i più significativi

documenti d’indirizzo e d’impegno sottoscritti a livello internazionale.

Si sono individuati progetti, diversi per tipologia ed ambito di riferimento ma accomunati

dal riconoscimento dello sport come mezzo privilegiato di dialogo tra diversi, documenti interna-

zionali e altre iniziative, selezionando dieci casi studio che sono stati approfonditi attraverso al-

trettante schede (nel paragrafo successivo).

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Lo sport è sempre stato tra le aree d’interesse dell’Unione Europea anche se solo nel 1999

il termine è stato inserito ufficialmente nella denominazione ufficiale della Commissione. In pre-

cedenza, il Trattato di Amsterdam (1997) comprendeva una Dichiarazione sullo sport e nel

Trattato di Nizza (2003) l’Allegato IV era dedicato allo sport.

Un importante impulso al riconoscimento del ruolo sociale dello sport, nell’ambito

dell’Unione Europea, è venuto dall’Anno Europeo per l’Educazione attraverso lo Sport (Decisione

N. 291/2003/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 febbraio 2003), promosso dall’UE

con il Programma EYES 2004. In particolare, sono stati finanziati 161 progetti, in tre tornate attra-

verso altrettante call for proposal, consentendo significative azioni a livello locale, nazionale e

Fig. 1 - Le metodologia di approfondimento dello sport come strumento nelle politiche urbane e la definizione dei“luoghi dello sport” per l’incontro dei diversi nella città interetnica

transnazionale in molti paesi dell’Unione Europea6. Inoltre, si sono tenute 8 importanti conferenze

internazionali in Finlandia, Germania (3), Grecia, Inghilterra, Francia e Olanda (chiusura).

Tra i progetti realizzati, se ne segnalano due che hanno prestato particolare attenzione al

tema delle migrazioni e della cittadinanza multietnica che caratterizza l’Unione Europea. Nella se-

conda CFP (call for proposal), si segnala “The use of sport and education for the social inclusion ofasylum seekers and refugees: An evaluation of policy and practice in the UK” (scheda n. 1) mentre,

nella terza CFP, si segnala il progetto regionale “Children fit for life” (scheda n. 2). Tra le conferenze

si segnala quella su “Sport and Multicultural Dialogue” che si tenuta il 26-27 aprile 2004 presso

l’Institut National du Sport et de l’Education Physique di Parigi (scheda n. 3).

Sempre nell’ambito di EYES, il 19 maggio 2004, i partecipanti al convegno del Comitato

delle regioni sulla prevenzione del razzismo e della xenofobia attraverso lo sport sottoscrissero la

“Dichiarazione di Braga” (scheda n. 4). Lo sport può essere strumento per celebrare la diversità et-

nica e culturale e, per questo, è necessario combattere ogni forma di razzismo e di discrimina-

zione proprio partendo dallo sport.

Le Nazioni Unite, a partire dal 2003, hanno riconosciuto e sostenuto il ruolo dello sport nel

raggiungimento degli obiettivi condivisi, a livello internazionale, di sviluppo sostenibile, riduzione

della povertà, educazione, pari opportunità, lotta all’AIDS, attraverso la Inter-Agency Task Force onSport for Development and Peace.

Nel 2005 è stato celebrato l’International Year of Sport and Physical Education, anche sulla

base dell’esperienza europea dell’anno precedente, producendo interessanti risultati che sono

ben esposti nel relativo Final Report (United Nations, 2005a). In settanta Paesi, sono stati attivati

altrettanti focal points che hanno sollecitato e coordinato centinaia di progetti e conferenze di li-

vello continentale, nazionale e locale, coinvolgendo gli organismi internazionali, i governi centrali

e locali, le organizzazioni non governative, il settore privato.

Il ruolo potenziale dello sport è stato affermato con chiarezza:“On a communication level,sport can be used as an effective delivery mechanism for education about peace, tolerance and respectfor opponents, regardless of ethnic, cultural, religious or other differences. Its inclusive nature makessport a good tool to increase knowledge, understanding and awareness about peaceful co-existence”(United Nations, 2005b).

La Dichiarazione “Sport and the Millenium Development Goals” (scheda n. 5) ha messo in re-

lazione le iniziative promosse nei cinque continenti con il raggiungimento degli Obiettivi del

Millennio così come sottoscritti da 189 leaders durante il Millenium Summit delle Nazioni Unite nel

settembre 2000.

In tale ambito, l’UNICEF (United Nations Children’s Fund) in collaborazione con la FIFA

(Federation International of Football Association) ha realizzato una campagna globale di comuni-

cazione contro il razzismo, per promuovere valori di pace e tolleranza nei più giovani, usando il

linguaggio universale del calcio:“With Children We Win”.

L’UNDPI (United Nations Department of Public Information) ha promosso il “calcio di

strada” (street football) come veicolo di ampia diffusione dei valori dello sport: rispetto per gli al-

tri, amicizia, tolleranza7.

Spostandoci in Europa, Sporting Equals è un’iniziativa nazionale inglese per la lotta al razzi-

smo ed ad ogni forma di discriminazione nello sport e per l’equa opportunità di accesso alla pra-

tica sportiva per tutti i cittadini, con particolare riferimento alle categorie deboli tra cui gli immi-

grati e le minoranze etniche (vedi scheda n. 6). Non è un caso che Sporting Equals sia nata, già nel

1998, nel Regno Unito dove il problema dell’integrazione razziale è consolidato e, negli ultimi

venti anni, sono state messe a punto interessanti strategie per la convivenza delle diverse identità

e culture.

Tra le numerose iniziative di Sporting Equals, nell’economia di questo studio, si è scelto il

rapporto “Promoting Racial Equality through Sport” e, al suo interno, “The Racial Equality Charter forSport” (entrambi scheda n. 7).

6 Ammontare finanziario complessivo circa 6,5 milioni di Euro e 28 paesi partecipanti.7 Vedi www.streetfootballworld.org.

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Il documento “Promoting Racial Equality through Sport” è un’agenda programmatica che of-

fre uno standard per le autorità locali nella gestione dello sport e dei servizi per il tempo libero. In

particolare, delinea le strategie più opportune per conseguire l’eguaglianza razziale e valorizzare

la diversità culturale nello sport, come strumento per favorire l’integrazione etnica, l’inclusione e

la coesione sociale tra le diverse comunità. Il punto di partenza è la consapevolezza che le mino-

ranze etniche, nelle società occidentali, hanno difficoltà di accesso allo sport sia come praticanti

sia come spettatori.

Il rapporto si conclude con “The Racial Equality Charter for Sport” che sintetizza gli obiettivi-

traguardi da sottoscrivere e raggiungere da parte degli enti locali. I sei punti affermano la lotta

alla discriminazione razziale nello sport, l’importanza del coinvolgimento delle diverse comunità

alle attività sportive, nei diversi ruoli, incoraggiando i talenti indipendentemente dall’apparte-

nenza etnica, la necessità di sviluppare e aggiornare le politiche e le pratiche per l’eguaglianza

razziale e, infine, raccomanda di celebrare la diversità culturale nello sport.

In Europa, è attiva la rete del “FARE Football Against Racism in Europe” (vedi scheda 8) che

opera sia al livello del calcio professionistico sia di quello amatoriale. FARE fu promossa dall’orga-

nizzazione non governativa austriaca FairPlay durante la Conferenza “Networking Against Racism

in European Football - NAREF” nel 1999. La rete si collegava all’Anno Europeo contro il Razzismo

dell’Unione Europea (1997) e si pose l’obiettivo di mettere in relazione tutte le associazioni e ini-

ziative europee contro il razzismo nel mondo del calcio.

Il calcio è lo sport più diffuso in Europa ed è anche lo spettacolo che muove le più grandi

masse di persone. Il razzismo e la violenza nel calcio, quindi, hanno conseguenze molto gravi e dif-

fuse su larga scala, hanno un forte impatto mediatico e rappresentano esempi negativi che, pur-

troppo, influenzano tantissimi giovani.

La rete del FARE, attraverso le associazioni e le organizzazioni che vi aderiscono secondo

una modalità informale, efficace e interessante (Conti, Verde, 2004), combatte il razzismo e la vio-

lenza sia dentro sia fuori agli stadi di calcio. Inoltre, cerca di tutelare il diritto di tutti e, in partico-

lare, delle minoranze etniche di giocare al calcio liberamente senza discriminazioni, a tutti i livelli,

di accedere con pari opportunità ai ruoli tecnici e dirigenziali delle istituzioni calcistiche, di assi-

stere alle manifestazioni sportive senza pericolo o timore per la propria incolumità.

L’associazione britannica “Kick it Out” (vedi scheda 9) fa parte della rete “FARE” con ruolo di

guida e coordinamento. Nata nel 1993 come campagna contro il razzismo “Let’s Kick Racism Out of

Football” si è progressivamente stabilizzata e strutturata. Attualmente costituisce un buon esem-

pio di strategia contro le discriminazioni razziali ed a favore dell’integrazione delle minoranze et-

niche conseguita attraverso lo sport.

Un ulteriore esempio di buona pratica, non a caso, viene dall’Australia dove il problema

della convivenza etnica è molto sentito e dove l’indagine sui centri di ricerca (vedi capitolo 2) ha

messo in risalto l’eccellenza culturale e scientifica sul tema della convivenza delle diversità.

Sul piano sociale, l’Australia è stata capace di definire politiche antirazziste e multiculturali-

ste adeguate, a livello centrale e locale, unitamente a strategie efficaci perché promosse e realiz-

zate da associazioni fortemente radicate sul territorio (community based).

Il “CMYI Center for Multicultural Youth Issues” è un caso esemplare d’attenzione ai problemi

dei giovani provenienti da famiglie di immigrati, rifugiati e minoranze etniche e di strategie per

l’inclusione che si fondano sull’ampia attiva partecipazione delle comunità di base.

Il CMYI ha attivato, nel 1989, il “Multicultural Sport and Recreation Project” che ha individuato

nello sport, da un lato, la presenza di molteplici forme di razzismo e di discriminazione da com-

battere e, dall’altro lato, l’opportunità di mettere a punto strategie inclusive e multiculturaliste

proprio attraverso lo sport stesso.

L’esperienza è particolarmente interessante perché si fonda su un approccio scientifico,

partendo dall’analisi dei fenomeni ben sviluppata nei rapporti di ricerca prodotti. Su queste solide

basi sono stati lanciati progetti, iniziative e azioni mirate che hanno prodotto notevoli risultati e

appaiono riproducibili, con gli opportuni adattamenti, in altri contesti anche europei.

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4.2.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio

Sono state individuate dieci buone pratiche che offrono principi a cui ispirarsi e modelli ri-

producibili. La scheda illustra il titolo ufficiale, la tipologia (progetto, documento, conferenza, ecc.),

il livello (internazionale, nazionale, ecc.), la datazione, il soggetto promotore e gli eventuali part-

ners, la descrizione sintetica e la pagina web utilizzata come fonte e dove è possibile l’ulteriore

approfondimento.

Buone pratiche per il superamento delle diversità attraverso lo sport

01) The Use of Sport and Education for the Social Inclusion of Asylum Seekers and Refugees

02) Children Fit for Life

03) Sport and Multicultural Dialogue

04) Braga Declaration

05) Sport and the Millennium Development Goals

06) Sporting Equals

07) Promoting Racial Equality Through Sport (The Racial Equality Charter for Sport)

08) FARE - Football Against Racisme in Europe

09) Kick it Out (Let’s Kick Racism Out of Football)

10) CMYI Multicultural Sport and Recreation Project

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SCHEDA N. 1

Titolo: THE USE OF SPORT AND EDUCATION FOR THE SOCIAL INCLUSION OF ASYLUM SEEKERS ANDREFUGEES: AN EVALUATION OF POLICY AND PRACTICE IN THE UK

Tipo: Progetto di ricerca Livello: Nazionale Anno: 2004

Soggetto promotore: Loughborough University (Regno Unito) nell’ambito dell’EYES 2004

Descrizione: Il progetto cerca di individuare e valutare i modi in cui lo sport è stato usato, attraversocanali di educazione formali o informali, per promuovere l’inclusione sociale di gruppi svantaggiati,specificamente richiedenti asilo e rifugiati.La proposta delinea un piano di lavoro per identificare e valutare le buone (e le cattive) pratiche in trelocalità del Regno Unito: East Midlands/Leicester (Inghilterra), Glasgow (Scozia) e Cardiff (Galles).

Fonte: http://www.eyes-2004.info

Fig. 2 - Home page dell’Anno Europeo dell’Educazione attraverso lo Sport dell’Unione Europea. Fonte: http://www.eyes-2004.info

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SCHEDA N. 2

Titolo: BEWEGTE KINDHEIT - CHILDREN FIT FOR LIFE

Tipo: Progetto di ricerca Livello: Regionale Anno: 2004

Soggetto promotore: SpielLandschaftStadt e.V. (Germania)

Partners: Bremer Sportjugend (Germania), Verkehrsclub Deutschland e.V. (Germania)

Descrizione: Il principale obiettivo di questo progetto è l’individuazione di strategie per favorire il movi-mento e l’attività fisica dei bambini, di età compresa tra tre e dieci anni, negli asili, nei cortili dellescuole, negli spazi per il gioco così come nello spostamento casa-scuola. Concreti esempi sono statisviluppati in workshops e simposi e, successivamente, implementati in quattro quartieri di Brema ca-ratterizzati dalla spiccata multiculturalità della popolazione.

Fonte: http://www.eyes-2004.info

SCHEDA N. 3

Titolo: SPORT AND MULTICULTURAL DIALOGUE

Tipo: Conferenza Livello: Internazionale Anno: 2004

Soggetto promotore: Institut National du Sport et de l’Éducation Physique (INSEP)

Descrizione: La conferenza (26-27 Aprile 2004, Parigi) si è sviluppata con una sessione introduttiva sullefunzioni sociali ed educative dello sport a cui sono seguiti quattro workshops in cui si è dibattuto sullosport e sul dialogo multiculturale esaminati da differenti prospettive.Workshop 1: In che cosa lo sport può essere utilizzato per promuovere il multiculturalismo e il dialogo in-terculturale? Che cos’è il multiculturalismo e come lo sport può contribuire agli obiettivi multiculturalisti?L’integrazione delle giovani donne musulmane nello sport norvegese.Workshop 2: Quali sono i benefici dell’utilizzo dello sport per l’inclusione sociale? Quali sono gli argo-menti a sostegno degli effetti positivi dello sport per l’inclusione sociale? Possono lo sport e le stelledello sport essere usati efficacemente, con ruoli promozionali o in campagne pubblicitarie, per com-battere fattori associati all’esclusione sociale?Workshop 3: Quali sono i bisogni dei rifugiati e dei richiedenti asilo per i quali lo sport può essered’aiuto? Perché le organizzazioni di volontariato sono interessate a promuovere le opportunità dellosport per i gruppi di rifugiati e richiedenti asilo? Quali ruoli può svolgere lo sport per soddisfare i biso-gni dei rifugiati e dei richiedenti asilo?Workshop 4: In che modi lo sport può essere usato nell’educazione formale e informale per promuo-vere l’integrazione? Quali sono i ruoli potenziali dello sport per promuovere i collegamenti e l’integra-zione tra le comunità presenti a Cipro? Sport, educazione e sviluppo dell’identità basca.

Fonte: http://www.eyes-2004.info

SCHEDA N. 4

Titolo: BRAGA DECLARATION

Tipo: Documento Livello: Internazionale Anno: 2004

Soggetto promotore: Nazioni Unite

Descrizione: testo originaleThe CoR conference on fighting racism and xenophobia through sport, Braga, 19 May 2004, calls onlocal and regional authorities to:– Celebrate cultural and ethnic diversity in and through sport– Challenge and remove racial discrimination in sport and to use sport to promote tolerance and

understanding within the context of wider social inclusion– Encourage people from all communities to become involved in sport– Welcome participants and spectators from all communities, and to protect them from racial abuse

and harassment.– Encourage individuals from all communities to become involved at all level of sports administration,

management and coaching– Learn from the experiences of other authorities across Europe and to promote good practice locally– Work with civil society, partner associations and sporting organisations to achieve mutual objectives

in this area– Welcome the organisation of the European Year of Education through Sport 2004 and the many

projects financed through it; and to participate in its promotion and celebration.– Welcome proposals for a new EU competence in sport in the draft constitutional Treaty and to

undertake to work with the Commission to exploit the opportunities that this presents.

Fonte: http://www.eyes-2004.info

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SCHEDA N. 5

Titolo: SPORT AND THE MILLENNIUM DEVELOPMENT GOALS

Tipo: Documento Livello: Internazionale Anno: 2005

Soggetto promotore: Nazioni Unite

Descrizione: testo originaleGoal 1: Eradicate extreme poverty and hungerProviding development opportunities will help fight poverty. The sports industry, as well as the orga-nisation of large sports events, create opportunities for employment. Sport provides life skills essentialfor a productive life in society.Goal 2: Achieve universal primary educationSport and physical education are an essential element of quality education. They promote positive va-lues and skills which have a quick but lasting impact on young people. Sports activities and physicaleducation generally make school more attractive and improve attendance.Goal 3: Promote gender equality and empower womenIncreasing access for women and girls to physical education and sport helps them build confidenceand a stronger social integration. Involving girls into sport activities alongside with boys can help over-come prejudice that often contribute to social vulnerability of women and girls in a given society.Goals 4 & 5: Reduce child mortality and improve maternal healthSport can be an effective means to provide women with a healthy lifestyle as well as to convey impor-tant messages as these goals are often related to empowerment of women and access to education.Goal 6: Combat HIV/Aids, malaria and other diseasesSport can help reach out to otherwise difficult to reach populations and provide positive role-modelsdelivering prevention messages. Sport, through its inclusiveness and mostly informal structure, can ef-fectively assist in overcoming prejudice, stigma and discrimination by favouring improved social inte-gration.Goal 7: Ensure environmental sustainabilitySport is ideal to raise awareness about the need to preserve the environment. The interdependencybetween the regular practice of outdoor sports and the protection of the environment are obvious forall to realise.Goal 8: Develop a global partnership for developmentSport offers endless opportunities for innovative partnerships for development and can be used as atool to build and foster partnerships between developed and developing nations to work towardsachieving the millennium development goals. Goal 8 acknowledges that in order for poor countries toachieve the first 7 goals, it is absolutely critical that rich countries deliver on their end of the bargainwith more and more effective aid, sustainable debt relief and fairer trade rules for poor countries – wellin advance of 2015.

Fonte: http://www.un.org/sport2005

SCHEDA N. 6

Titolo: SPORTING EQUALS

Tipo: Associazione Livello: Nazionale Anno: 1998

Soggetto promotore: Sport England, Commission for Racial Equalities (Regno Unito)

Descrizione: Organizzazione non governativa che promuove la partecipazione attiva allo sport di tutti idiversi gruppi etnici, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, come praticanti, allenatori, ufficiali di gara e dirigenti.Sporting Equals opera nel Regno Unito per diffondere la consapevolezza e comprensione dell’impattodello sport sul grande tema dell’eguaglianza razziale.In particolare, lavora affinché il mondo dello sport riconosca l’importanza che la società multiculturalesia integrata e inclusiva e, negli ambienti sportivi, la diversità culturale sia riconosciuta e celebrata.La mission di Sporting Equals è ben espressa dal rapporto “Promoting Racial Equality Through Sport”e dalla “Racial Equality Charter for Sport” che si trova all’interno del rapporto (vedi scheda n. 7).

Fonte: http://www.cre.gov.uk/sportingequals/index.html

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SCHEDA N. 7

Titolo: PROMOTING RACIAL EQUALITY THROUGH SPORT

Tipo: Documento Livello: Nazionale Anno: 2004

Soggetti promotori: Sporting Equals, Local Government Association, Commission for Racial Equality,Sport England (Regno Unito)

Descrizione: Il corposo documento si configura come un’agenda per gli enti locali che intendono com-battere i pregiudizi e le discriminazioni razziali attraverso lo sport. Si apre con la messa in evidenza deipossibili benefici dello”standard”, l’articolazione del processo d’implementazione in tre livelli, le moda-lità del suo utilizzo e dell’autovalutazione dell’efficacia, si chiude con l’illustrazione di alcune buonepratiche di autorità locali inglesi: Leicester, Kirklees, Nottingham, Bristol, Slough.Nella parte conclusiva del volume si trova la dichiarazione d’intenti che possono sottoscrivere le auto-rità locali “The Racial Equality Charter for Sport” e di cui si riporta il testo originale:The charter is a public pledge, signed by the leaders of sport, committing them to use their influenceto create a world of sport in which all people can take part without facing racial discrimination of anykind. Signatories pledge to:– challenge and remove racial discrimination in sport;– encourage people from all communities to become involved in sport;– welcome employees and spectators from all communities, and protect all employees and spectatorsfrom racial abuse and harassment;– encourage skilled and talented individuals from all communities to become involved in all levels ofsports administration, management and coaching;– develop the best possible racial equality policies and practices that are subject to regular review andupdate;– celebrate cultural diversity in sport.Any sports organisation or organisation working in this area can sign the charter.

Fonte: http://www.cre.gov.uk/sportingequals/index.html

Fig. 3 - La Home page dell’Anno Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica.Fonte: http://www.un.org/sport2005

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SCHEDA N. 8

Titolo: FARE - FOOTBALL AGAINST RACISME IN EUROPE

Tipo: Rete di associazioni Livello: Internazionale Anno: 1999

Soggetti promotori: FairPlay (Austria)

Descrizione: Il “FARE Football Against Racism in Europe” è una rete contro il razzismo nel mondo del calcio,dal livello amatoriale a quello professionistico, che coinvolge le associazioni sportive, i tifosi e i gruppietnici, in tutta Europa.Gli obiettivi della rete sono la tutela del diritto di giocare, di essere spettatore o di discutere del giocosenza timore, il miglioramento dei comportamenti fuori e dentro i campi di gioco, la condivisione deivalori del comportamento corretto, la costituzione di un fronte unito contro il razzismo nel mondo nelcalcio.L’azione coordinata delle associazioni aderenti alla rete promuove la creazione e organizzazione dinuovi gruppi e sostiene le minoranze etniche, proteggendole dalle discriminazioni e aiutandole a par-tecipare alle attività sportive.Nel 2006, nell’ambito della Settimana Europea d’azione contro il razzismo e la discriminazione nel cal-cio (17-30 ottobre), il “FARE” ha promosso il maggiore coinvolgimento delle minoranze etniche e deimigranti, l’inclusione di donne e ragazzi, l’impegno contro l’omofobia nel gioco.La strategia del “FARE” vede nelle minoranze etniche e negli immigrati un alleato importante nellalotta al razzismo, sia a livello di comunità sia di singoli atleti che ce l’hanno fatta e, con la loro afferma-zione, costituiscono un buon esempio.

Fonte: http://www.farenet.org/

SCHEDA N. 9

Titolo: KICK IT OUT (LET’S KICK RACISM OUT OF FOOTBALL)

Tipo: Associazione Livello: Nazionale Anno: 1993

Soggetti promotori: Professional Footballers Association, FA Premier League, Football Foundation,Football Association (Regno Unito)

Descrizione: “Kick it Out” nacque nel 1993 come campagna antirazzismo: “Let’s Kick Racism Out ofFootball”. L’associazione ha un ruolo di guida nella rete di “FARE Football Against Racism in Europe” (vedischeda n. 8) e lavora con i calciatori, professionisti e amatoriali, su tutte le tematiche connesse al razzi-smo ed alla discriminazione nel calcio.La diffusione del calcio è utilizzata per sensibilizzare i giovani contro il razzismo ed educarli alla convi-venza nelle scuole, nei college e nelle associazioni giovanili.“Kick it Out” promuove la pratica del calcio da parte delle minoranze etniche e, in particolare, degli im-migrati dal Sud dell’Asia.

Fonte: http://www.kickitout.org

SCHEDA N. 10

Titolo: CMYI MULTICULTURAL SPORT AND RECREATION PROJECT

Tipo: Organizzazione community based Livello: Nazionale Anno: 1989

Soggetti promotori: Centre for Multicultural Youth Issues (Australia)

Descrizione: Il “Center for Multicultural Youth Issues” (CMYI) è un’organizzazione che sostiene i bisogni diragazze e ragazzi provenienti da famiglie di migranti e rifugiati. Nel 1989 il CMYI ha attivato il“Multicultural Sport and Recreation Program” per sostenere i giovani nello sport riconosciuto come stru-mento d’unione multiculturale.In primo luogo, furono approfonditi attraverso ricerche mirate: la mancanza d’attenzione da parte deigenitori, la difficoltà d’accesso ai trasporti, l’alto costo delle associazioni sportive (iscrizione, quote difrequentazione, uniformi, ecc.), la percezione della paura di razzismo e di discriminazione, la mancanzadi conoscenza delle strutture per lo sport in Australia. Su questa base conoscitiva, furono messi apunto gli obiettivi da perseguire e le strategie.Il Programma è attivo nello sviluppo e sostegno delle politiche per l’integrazione dei giovani attra-verso lo sport, agendo presso e in collaborazione con le associazioni sportive e le istituzioni dellosport. Promuove strategie multiculturali con le autorità locali e capacity building di gruppi cultural-mente e linguisticamente differenti. Realizza iniziative per favorire la multiculturalità nei centri per iltempo libero.

Fonte: http://www.cmyi.net.au

4.3 GLI SPAZI DELL’INCONTRO E DEL DIALOGO

4.3.1 I luoghi dello sport: sperimentazioni metodologiche e progettuali

L’incontro dei diversi che praticano lo sport insieme, per essere efficace in termini d’inte-

grazione, deve avvenire in spazi adatti sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista della

valenza semantica che possono essere definiti “luoghi urbani dello sport”.

L’urbanistica di matrice razionalista e funzionalista riserva alcune aree urbane alla colloca-

zione di impianti dove gli abitanti possano praticare lo sport e che hanno dimensione proporzio-

nale al bacino d’utenza. Le aree per lo sport sono porzioni di territorio disponibile che vengono

utilizzate per collocarvi impianti sportivi di vari tipologie e dimensioni.

La tecnica urbanistica tradizionale colloca le aree per gli impianti sportivi tra gli standard

che vengono dimensionati in riferimento a parametri quali il numero di abitanti, l’edificato e così

via. Anche le normative si esprimono, prevalentemente, in termini di aree destinate all’uso spor-

tivo misurandone la quantità piuttosto che la qualità.

Nella maggior parte dei casi, in queste aree, si realizzano campetti di calcio, basket, tennis,

ecc. con servizi essenziali come gli spogliatoi, i bagni con le docce, un punto di ristoro e qualche

panchina per assistere alle attività. In alcuni casi, si realizzano impianti polisportivi ben attrezzati,

con aree coperte e scoperte, palestre, piscine e servizi adeguati ma quello che sembra sempre

mancare è la relazione forte con la città.

Questa metodologia progettuale ha cosparso le nostre aree urbane di campetti polivalenti

che, spesso, sorgono in aree residuali risultando completamente avulse dal contesto che li cir-

conda, nell’assenza di relazioni spaziali, architettoniche, urbane. La tesi che si sostiene è che vi sia

una grandissima differenza tra le aree per lo sport e i luoghi dello sport.

I luoghi dello sport, infatti, sono gli spazi per lo sport che diventano luoghi di socializzazione,

aggregazione ed integrazione, dove uomini e donne, adulti, giovani e anziani, popoli diversi, figli e

genitori, si relazionano ed imparano a conoscersi ed a rispettarsi. Le relazioni tra uomini e donne

che si dedicano alle pratiche sportive trasformano uno spazio in un luogo urbano, conferiscono un

forte valore semantico a delle attrezzature sportive trasformandole in “luogo dello sport”.

Un impianto sportivo tecnicamente ed architettonicamente perfetto potrebbe non diven-

tar mai un luogo dello sport e, allo stesso tempo, uno spazio urbano non ufficialmente dedicato

alla pratica sportiva potrebbe diventare un luogo dello sport carico di valenza semantica e di po-

tenzialità unificante delle diversità. L’uso degli impianti sportivi è alquanto programmato mentre

i luoghi dello sport si offrono anche ad un uso casuale: un campetto di periferia utilizzato da ra-

gazzi di strada, magari abusivamente, per giocare a calcio è un luogo dello sport più di quanto

non lo sia un campo ufficiale, magari in un quartiere residenziale di lusso, perfettamente in ordine

e pronto all’uso ma del tutto inutilizzato.

In sostanza, sono luoghi dello sport tutti quegli spazi che spontaneamente vengono utiliz-

zati da donne ed uomini per praticare attività sportive sempre che tra loro si attivino significative

relazioni interpersonali.

La città multietnica, per diventare interetnica (Beguinot, 2003), ha bisogno di luoghi dello

sport nei quali la pratica sportiva sia uno strumento per instaurare delle relazioni umane ed amicali

tra ragazze e ragazzi, tra donne ed uomini di popoli diversi, contribuendo ad amalgamare i diversi

gruppi sociali e culturali. Le autorità locali devono offrire opportunità e luoghi per lo sport che at-

traggano praticanti e spettatori appartenenti alle minoranze etniche e che favoriscano la parteci-

pazione e il senso di appartenenza di tutti alla comunità dello sport (Coalter, Allison, Taylor, 2000).

L’associazionismo sportivo può svolgere un ruolo molto importante nella gestione degli

impianti sportivi, combattendo le discriminazioni, superando le diffidenze e favorendo l’integra-

zione delle diversità. Il primo problema da affrontare è quello dell’autoghettizzazione nello sport,

per cui allenatori, atleti e dirigenti appartenenti al medesimo gruppo etnico tendono ad unirsi tra

loro e ad isolarsi (Verma, Darby p154).

Una possibile strategia è quella di prevedere sessioni sportive dedicate, inizialmente, riser-

vando l’uso della struttura sportiva ad un gruppo omogeneo per tradizioni culturale e religiosa e,

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in un secondo momento, favorire l’integrazione con tutti gli altri atleti, organizzando sessioni mi-

ste. Quest’approccio si è rivelato indispensabile, a Montréal, nel caso del nuoto per le donne ap-

partenenti a religioni che prescrivono la copertura quasi integrale del corpo femminile nei luoghi

pubblici (Billette, 2005). Inoltre, la diffidenza di alcuni gruppi etnici verso la pratica sportiva può

essere superata collegando le attività fisiche alle attività tradizionali come la musica e la danza e

l’esempio positivo, in questo caso, viene dalla Gran Bretagna (Coalter, Allison, Taylor, 2000).

Molte esperienze positive affermano l’efficacia unificante dell’organizzazione di eventi

sportivi multietnici, soprattutto se è prevista la partecipazione di atleti di successo appartenenti

alle minoranze. Nel mondo, lo sport che più si presta a questo discorso è il calcio, come testimo-

niato i tanti campionati multietnici nei più remoti angoli del pianeta.

La multietnica squadra nazionale francese di calcio esprime, da molti anni e ad elevati livelli

sportivi, la politica assimilazionista della Francia nei confronti degli immigrati e delle generazioni

successive. La conferma dell’efficacia del calcio come strumento d’integrazione e buon esempio

per i giovani, in questo esempio, è paradossalmente confermata dagli attacchi della destra ultra-

nazionalista, razzista e xenofoba di Jean-Marie Le Pen che accusa la nazionale multietnica di non

essere rappresentativa della “vera” Francia.

8 “Krilo” è un termine serbo-croato che significa “ala”, vedi www.fpcj.jp.9 Vedi http://www.amaniforafrica.org/progetti/progetti_kivuli.htm#.10 Vedi http://mondiaperti.anellimancanti.it/.11 Tra i più famosi l’Azteca di Città del Messico il e Maracanà di Rio de Janeiro, anche se la capienza di quest’ul-

timo è stata progressivamente ridotta per l’adeguamento agli standard di sicurezza.

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Fig. 4 - L’integrazione crea problemi anche di natura pratica come, ad esempio, l’abbigliamento sportivo che sia com-patibile con la propria cultura e senso del pudore.Fonte: Access All Cultures (AAC) Cultural Awareness Training for Leisure and Recreation Centres, Produced by Centre forMulticultural Youth Issues, Funded by VicHealth.http://www.cmyi.net.au/uploads/downloads/cmyi/pdfs/Sports_Website/Leisurecentretrainingoutline07.pdf

Nella Sarajevo distrutta dalla guerra, il Giapponese Taro Morita promosse la squadra di cal-

cio multietnica “F.K. Krilo” per ricongiungere i ragazzi, divisi dalla guerra civile e dal genocidio et-

nico, attraverso lo sport lanciando il “Sarajevo Football Project”8. A Nairobi, il missionario Kizito

Sesana, lavorando con i ragazzi di strada delle bidonville, ha costruito la squadra di calcio “AmaniYasset Sport” che, attualmente, milita nella serie B del campionato ufficiale del Kenya9. In Italia, si

segnala il campionato multietnico “Mondi Aperti: il Calcio per la Solidarietà” che si svolge da al-

cuni anni su una serie di campi in provincia di Firenze10.

Il calcio professionistico è, contemporaneamente, uno sport ed uno spettacolo di massa

che si svolge in stadi che possono ospitare alcune decine di migliaia di spettatori, in alcuni casi ol-

tre centomila11, con enormi ricavi economici. Lo stadio è un moderno monumento delle città cre-

sciute a dismisura durante la seconda metà del Novecento, periodicamente raccoglie migliaia di

appassionati e tifosi che assistono alle partite della squadra del cuore, ma lo stadio di calcio non

è un luogo dello sport secondo la definizione che ne abbiamo dato.

Negli ultimi anni, lo spettacolo del calcio è stato visto e venduto soprattutto per via televi-

siva12 e questo, insieme alla violenza, ha allontanato molte persone dagli stadi, in primo luogo le

famiglie. La progettazione dei nuovi stadi ha rimodulato i propri obiettivi, mirando ad impianti

polifunzionali che ospitano meno spettatori, mediamente 40.000, ma che offrono altri servizi al-

l’interno della medesima struttura: negozi, ristoranti, shopping center, alberghi, ecc. La tendenza

dei nuovi stadi è di assumere un nuovo ruolo nel paesaggio urbano, con una forte caratterizza-

zione formale, e nel sistema insediativo, in termini di razionale collocazione rispetto al bacino d’u-

tenza e di collegamento rispetto alle reti di trasporto e, soprattutto, d’integrazione spaziale e fun-

zionale alla città esistente.

Il nuovo stadio di Ginevra “La Praille” è stato ultimato nell’aprile 2003 in previsione dei

Campionati europei di calcio del 2008 che si terranno in Svizzera e Austria. L’impianto multifun-

zionale ha accesso diretto dalla rete metropolitana, è vicino all’autostrada ed all’aereoporto, è do-

tato di un ampio parcheggio. Ha una capienza di 30.000 posti a sedere e contiene un centro com-

merciale, ristoranti, studi televisivi, centro fitness, bowling e un centro culturale.

La “Allianz Arena” di Monaco di Baviera, progettato dagli svizzeri Herzog & de Meuron per i

Campionati del mondo di calcio 2007 in Germania, segna profondamente il paesaggio urbano,

con le sua forma architettonica morbida e avvolgente, con l’illuminazione notturna multicolore e

cangiante. Si estende su una superficie di 6.500 mq, può ospitare 66.000 spettatori e contiene 3

asili, negozi e ristoranti. Esterno al centro abitato, è ben collegato alla rete su gomma e su ferro ed

ha il parcheggio sotterraneo più grande d’Europa, con capienza di 10.500 posti auto.

Anche gli stadi esistenti sono stati ristrutturati per adeguarli alle nuove esigenze e ten-

denze come, ad esempio, lo “Stamford Bridge”, lo stadio storico del Chelsea Football Club ubicato

nel centro urbano di Londra. Lo stadio originale risaliva addirittura al 1877 anche se aveva subito

molte modifiche ed ampliamenti parcheggio. Nel 2001, è stato totalmente ristrutturato riducendo

la capienza a 42.055 posti per gli spettatori ma realizzando 2 hotel, 5 ristoranti, un lussuoso cen-

tro di salute e benessere, il museo e il megastore del Chelsea F.C.

Gli impianti sinteticamente descritti, però, hanno una caratterizzazione prevalentemente

commerciale di “non luoghi” (Augé, 1992) dove poter “spendere” il proprio tempo, in senso figu-

rato ma anche monetizzabile. Per realizzare negli stadi i “luoghi” urbani di cui la città multietnica

ha bisogno, si dovrebbero realizzare, all’interno degli impianti, anche delle strutture dedicate alla

pratica sportiva ed al tempo libero che siano accessibili a tutti.

Inaugurato nel 2001, sempre in previsione degli Europei 2008, il “St. Jacob-Park” di Basilea è

una struttura molto moderna e funzionale che ospita 42.500 posti per gli spettatori delle partite

12 Le partite di calcio erano trasmesse raramente dalle televisioni di Stato. La diffusione è avvenuta con l’allarga-mento alle televisioni commerciali, le reti satellitari, il digitale terrestre.

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Fig. 5 - Stamford Bridge, lo stadio del ChelseaFootbal Club di Londra ristrutturato nel 2001contiene 42.055 posti per gli spettatori, 2 ho-tel, 5 ristoranti, il centro di salute e benessere,il museo e il megastore del Chelsea F.C.Fonte: http://www.fullflow.com/images/case-studies/Stamford%20Bridge%20Stadium.jpg

di calcio, centro commerciale, uffici, ristoranti, caffè, fitness center e, interessante novità, una casa

per anziani con 107 appartamenti. Analogamente, lo stadio di Berna “Suisse Wankdorf”, inaugu-

rato nel 2005, oltre ai 32.000 posti, contiene uno shopping center, ristoranti e uffici, ma anche ap-

partamenti e una scuola pubblica13.

Si potrebbe sviluppare questa tendenza evolutiva degli impianti sportivi non solo come

strutture multifunzionali ma anche per favorire l’inclusione sociale e l’integrazione etnica, valoriz-

zandoli come luoghi urbani dello sport, dello spettacolo e del tempo libero. Ma è necessaria una

cultura politica e progettuale che, perlomeno in Italia, è di là da venire.

“Sport Urban Sport and Leisure in the City” è un progetto dell’Unione Europea sviluppato

nell’ambito del Programma Interreg III C14 da ventiquattro partners. Obiettivo del progetto è ca-

pire come gli impianti ed i servizi per lo sport possano contribuire allo sviluppo economico, alla ri-

generazione urbana, all’inclusione sociale ed all’integrazione degli immigrati nelle città.

L’iniziativa ha evidenziato che la pratica dello sport in ambito urbano tende ad assumere

nuove forme che si allontano dalla tradizione e dalle istituzioni ufficiali. Gli spazi pubblici urbani

sono utilizzati per praticare nuovi sport, aprendo nuove prospettive di riconfigurazione urbana e

di riqualificazione degli assetti e dei paesaggi urbani tradizionali. Le autorità locali hanno un ruolo

chiave nella creazione dei nuovi luoghi dello sport e del tempo libero, nell’organizzazione dei

conseguenti flussi di mobilità, nella creazione di nuovi mezzi e reti di trasporto che consentano

l’accessibilità, di strutture e servizi che realizzino la funzione sociale della pratica sportiva.

Lo sport può realizzare interessanti contaminazioni e ibridazioni del paesaggio urbano,

come dimostra il progetto “Sportcity” di IaN+ nell’ambito del concorso internazionale Hiper-Catalunya.

Nel 2003, la Generalitat de Catalunya ha promosso un progetto di ricerca sul territorio della

regione catalana, per approfondirne le caratteristiche e valorizzarne le potenzialità, attraverso un

concorso internazionale diretto da Metàpolis e gestito dall’Institut d’Arquitectura Avançada deCatalunya. Sono stati invitati 25 gruppi di architettura di diversi paesi per “interrogare” la regione

catalana, esplorando nuove forme di analisi dei problemi e dei punti di forza del territorio, dei

possibili obiettivi e delle strategie da adottare (Gausa, Guallart, 2004)15.

La metodologia adottata da IaN+ analizza le componenti del territorio per delineare sce-

nari che affrontano il turismo degli anziani, la città dello sport, i campus universitari, i parchi indu-

striali, gli aeroporti e le periferie. La strategia dello studio romano propone lo sport come “feno-

meno relazionale” capace di creare correlazioni tra le diverse parti del territorio catalano, attra-

verso 5 progetti preliminari di nuovi modelli insediativi per lo sport. Sportcity, infatti, non è una

banale cittadella dello sport, ma è la “terra delle relazioni” risultante dall’interazione tra i luoghi

dello sport progettati e il paesaggio urbano che si rinnova16.

Pianificare e progettare luoghi dello sport significa innescare nuove relazioni sul territorio e

tra le sue diverse componenti, in primis, tra le comunità di uomini e donne che della città sono la

ragion d’essere. Le nuove comunità multiculturali favoriscono le contaminazioni e le ibridazioni del

linguaggio architettonico, anche nei luoghi dello sport, contribuendo alla trasformazione del pae-

saggio urbano: la città diventa espressione e rappresentazione della complessità pluriculturale.

La sfida è nel rapporto dialettico tra le identità, che vanno rispettate e tutelate perché por-

tatrici di valori specifici irrinunciabili, e la pluriculturalità, che rappresenta il nuovo grande valore

positivo, tra i tanti negativi, espresso dalla globalizzazione.

L’architettura e l’urbanistica dovranno conservare il genius loci arricchendolo di nuove va-

lenze semantiche che si esprimono attraverso segni e forme del disegno urbano e architettonico

13 Il St. Jacob-Park di Basilea e il Suisse Wankdorf di Berna si distinguono anche per il notevole utilizzo di pannellisolari energetici.

14 Interreg è un’iniziativa comunitaria finalizzata a stimolare la cooperazione interregionale e transnazionale confinanziamenti provenienti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.

15 Tra le archistar invitate a partecipare si segnalano: Eduardo Arroyo, Cloud 9, Roldán+Berengué, FedericoSoriano, Duncan Lewis, Vicente Guallart and Willy Muller, FOA, MVRDV, Roche & DSV, Actar Arquitectura, IaN+ e West8. Gliesiti del concorso hanno dato vita ad una mostra Museo de Arte Contemporanea di Barcellona e ad un Manifesto curatodei tre direttori di Metapolis: Manuel Gausa, Vicente Guallart, Willy Müller.

16 Vedi la scheda curata dagli stessi autori del progetto nel sito www.ianplus.it.

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ma anche,“semplicemente”, attraverso l’uso dello spazio che diventa “plurimo” perché filtrato dalle

diverse sensibilità e culture.

4.3.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio

Luoghi dello sport per nuovi paesaggi urbani

1) Sport Urban Sport and Leisure in the City

2) Sportcity

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SCHEDA N. 1

Titolo: SPORT URBAN SPORT AND LEISURE IN THE CITY

Tipo: Progetto di ricerca Livello: Internazionale, Unione Europea Anno: 2004

Soggetto promotore: Unione Europea, Programma Interreg IIIC (Europa)

Descrizione: Nell’ambito del programma Interreg III dell’Unione Europea, ventiquattro partners hannodato vita al progetto “Sport Urban Sport and Leisure in the City” il cui obiettivo è verificare le poten-zialità dello sport e del tempo libero per favorire lo sviluppo economico, la rigenerazione urbana, l’in-clusione sociale e l’integrazione etnica e culturale.Il progetto è interessante sia sul piano metodologico sia per i risultati conseguiti. La dimensione inter-nazionale si è tradotta nel confronto e nella collaborazione tra soggetti di diversi paesi europei, cia-scuno con le proprie esperienze e specificità.Le iniziative sviluppate hanno posto in evidenza come lo sport stia assumendo nuovi ruoli in ambitourbano e come le città europee vedano sempre più spazi pubblici utilizzati per la pratica sportiva. Losport, in questo modo, favorisce i processi di riconfigurazione delle città, di riqualificazione degli assettispaziali, di trasformazione dei paesaggi urbani.La realizzazione di nuovi impianti sportivi e la rinnovata fruizione degli spazi pubblici esistenti per lapratica degli sport mettono in moto processi di trasformazione del territorio che devono essere gestitidalle autorità locali. I nuovi luoghi per lo sport e il tempo libero devono garantire strutture, servizi edaccessibilità che ne garantiscano la funzione sociale.I flussi di mobilità devono essere assorbiti da nuove reti e mezzi di trasporto.

Fonte: http://www.sporturban.org

SCHEDA N. 2

Titolo: SPORTCITY HIPER CATALUNYA

Tipo : Sperimentazione progettuale Livello: Locale, Catalogna Anno: 2003

Soggetto promotore: Generalitat de Catalunya, Metàpolis Institut d’Arquitectura Avançada de Catalunya(Spagna)

Descrizione: Concorso internazionale ad inviti per esplorare nuove forme d’approccio all’analisi territo-riale, a scala regionale, sperimentato sulla regione di Barcellona e della Catalogna per individuarne evalorizzarne le potenzialità. I 25 gruppi hanno lavorato su problemi e punti di forza, hanno individuatoobiettivi ed hanno elaborato strategie.Lo studio IaN+ propone un Piano di sviluppo della Regione Catalogna che utilizza lo sport come stra-tegia d’azione sul territorio.“Sportcity” consiste di 5 progetti preliminari di nuovi modelli insediativi perlo sport.“L’esposizione Hiper-Catalunya vuole riflettere sulla potenzialità del territorio della Catalogna.HiperCatalunya analizza ogni componente del territorio, usando quest’ area come “case study” ma, leconclusioni possono essere estese, bene o male, al mondo intero. Una metrica di differenti variabili siintreccia formando vari scenari possibili. Gli scenari proposti affrontano temi come il turismo degli an-ziani, la città dello sport, i campus universitari, i parchi industriali, gli aeroporti e le periferie.Nel paesaggio catalano, lo sport può essere considerato una strategia per uno sviluppo non tradizio-nale. Dal punto di vista locale e più in generale dal punto di vista globale, lo sport è considerato un fe-nomeno relazionale strettamente legato con il contesto e capace di correlare vari contesti. Attraversoqueste strategie è possibile agire sul territorio e definire la Sportcity. Sportcity non è semplicemente la“città dello sport”, una città monotematica che non può esistere nel mondo reale. Sportcity sarà “la terradelle relazioni”, che viene fuori dall’interazione tra sport e paesaggio.

Fonte: http://www.ianplus.it

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Fig. 6 - Il progetto “Sporturban” ha mostrato le potenzialità degli impianti e delle strutture sportive per favorire lo sviluppo economico, la rigenerazione urbana, l’inclusione sociale e migliorare l’immagine della città.Fonte: http://www.sporturban.org.

Fig. 7 - Schema cartografico dell’intervento territoriale proposto da Ian+ per la regione Catalogna: lo sport comestrategia d’azione sul territorio. Fonte: http://www.ianplus.it.

Fig. 8 - Schema concettuale dell’interventoprogettuale proposto da Ian+ per la regioneCatalogna: i concepts architettonici ridefini-scono gli elementi del territorio attraverso losport. Fonte: http://www.ianplus.it.

4.4 RIFERIMENTI

4.4.1 Bibliografia

Augé M. (1992), Non-lieux, Editions Seuil, Paris. Augé M. (2005), Nonluoghi. Introduzione a un’antropologiadella surmodernità, Elèuthera, Milano.

Beguinot C. (a cura di) (2003), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla città interetnica (Europea), Tomo II,Giannini Editore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2004), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla città interetnica (Europea), GianniniEditore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2005), La formazione dei Manager per la città dei diversi. Città di genti e culture: Da“Megaride 94” alla città europea cablata e interetnica, Giannini Editore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2006), La formazione dei manager governo delle trasformazioni urbane Città interetnicacablata, Giannini Editore, Napoli.

Beguinot C. (a cura di) (2008), Genetica e destino di un percorso. Città cablata Carta di Megaridi ’94 CittàEuropea Interetnica, Giannini Editore, Napoli.

Billette A. (2005), Pratiques municipales de gestion de la diversité ethnoreligieuse à Montréal: le cas des piscinespubliques, Rapport de recherché, Étude exploratoire Réalisée par Amélie Billette Étudiante à la maî-trise en études urbaines Sous la direction d’Annick Germain Institut national de la recherche scienti-fique Urbanisation, Culture et Société, Montréal.

Coalter F., Allison M., Taylor J. (2000), The Role of Sport in Regenerating Deprived Areas, The Scottish ExecutiveCentral Research Unit, Edinburgh. (Chapter eight “Sport and Minority Ethnic Group”)

Collins M.F., Kay T. (2003), Sport and Social Exclusion, Routledge, London.Fleming S. (1994) “Sport and South Asian Youth: the Perils of False Universalism” in Leisure Studies, 13 (3)

pp. 159-178.Gausa G., Guallart V. (2004), Hiper Catalunya. Research Territories, Actar Editorial.Hall S. (1991), “The Local and the Global: Globalization and Ethnicity” in King D. (ed) (1991), Culture,

Globalization and the World-System, Dept. of Art and Art History, State University of New York, NewYork, Binghamton.

Sassen S. (1996), Migranten, Siedler, Flüchtlinge. Von der Massenauswanderung zur Festung Europa, FischerTaschenbuch Verlag, Frankfurt am Main, trad. it. Sassen S. (1999), Migranti, coloni rifugiati.Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano.

United Nations (2005a), International Year of Sport and Physical Education Final Report, Special Adviser to theUN Secretary-General on Sport for Development and Peace, United Nations, Geneva.

United Nations (2005b), Concept Brochure International Year of Sport and Physical Education, Special Adviserto the UN Secretary-General on Sport for Development and Peace, United Nations, Geneva.

Verma G.K., Darby D.S. (1994), Winners and Losers: Ethnic Minorities in Sport and Recreaction, The Falmer Press,London.

4.4.2 Internet

The Use of Sport and Education for the Social Inclusion of Asylum Seekers and Refugees, http://www.eyes-2004.info

Access All Cultures (AAC) Cultural Awareness Training for Leisure and Recreation Centres, Produced byCentre for Multicultural Youth Issues, Funded by VicHealth, http://www.cmyi.net.au/uploads/down-loads/cmyi/pdfs/Sports_Website/Leisurecentretrainingoutline07.pdf

Amani Yasset Sport, http://www.amaniforafrica.org/progetti/progetti_kivuli.htm# Braga Declaration, http://www.eyes-2004.infoChildren fit for Life, http://www.eyes-2004.infoCMYI Multicultural Sport and Recreation Project, http://www.cmyi.net.auFARE - Football against Racisme in Europe, http://www.farenet.org/Kick it Out (Let's Kick Racism Out of Football), http://www.kickitout.orgMondi Aperti: il Calcio per la Solidarietà, http://mondiaperti.anellimancanti.it/ Promoting Racial Equality Through Sport (The Racial Equality Charter for Sport), http://www.cre.gov.uk/

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Capitolo 5

Il progetto urbanistico: spazi e funzioni multiculturali

Il filo conduttore della nuova architettura del dialogo si declina, nel contributo coordinato daBianca Petrella, nella (ri)progettazione degli spazi e delle funzioni urbane per la multiculturalità,con particolare attenzione alle periferie urbane che, sovente, si tramutano in periferie umane. Leconflittualità, latenti o manifeste, non sono solo di matrice etno-culturale ma possono essereascritte anche alla incapacità del sistema urbano di rispondere ad una domanda sempre più com-plessa. In questa ottica, Claudia de Biase ripercorre la strumentazione urbanistica e normativa dispo-nibile in Italia per affrontare l’erogazione dei servizi, ed i relativi spazi e luoghi urbani, con partico-lare attenzione alla dimensione del quartiere. Parallelamente, Ciro Tufano affronta la semiotica inter-culturale degli spazi urbani dell’aggregazione e dell’integrazione, secondo l’approccio deldesign urbano, per scandagliare nuovi percorsi metodologici di progettazione.

5.1 (RI)PROGETTARE SPAZI E FUNZIONI URBANE PER LA MULTICULTURALITÀ

5.1.1 Periferie urbane e periferie umane

In Italia la società multietnica è oramai un dato di fatto, in quanto la presenza di abitanti

provenienti da altri paesi con tradizioni e culture diverse dalla nostra ha raggiunto quantità signi-

ficative che aumentano di anno in anno.

L’assenza di un progetto istituzionale, atto a predisporre le condizioni per una “nuova co-

munità”, ha fatto sì che l’inserimento nel corpo sociale locale avvenisse “spontaneamente”, fondan-

dolo sul grado di resilienza1 di ogni immigrato, sulla capacità di adattamento attivo e con un’au-

torganizzazione tutta interna alle singole provenienze e alle specifiche comunità d’accoglienza.

Questo stato di cose ha determinato una società, appunto, multi-etnica, ancora molto lontana dal-

l’affermazione di postulati inter-etnici.

Se incerto è il progetto sociale, ancora più evanescente è un’ipotesi convincente di “città”

multi/inter o intra-etnica e, pertanto, il paesaggio della spazialità sociale e della spazialità formale

rimane ancora tutto da definire.

La trasformazione dello spazio della natura in spazio organizzato comincia quando gli es-

seri umani iniziano a disciplinare i rapporti tra individui, ossia quando iniziano a formare società,

dandosi norme di convivenza e predisponendo la costruzione di spazi adeguati a quei determi-

nati modi di vita. Allora, come ora, la regolazione della spazialità sociale e della spazialità letterale

scaturiva dalla necessità di prevenire e risolvere quelle situazioni di conflitto che si generano

quando più individui interagiscono in uno stesso luogo, limitato e comunitario. Soddisfatti i biso-

gni primari, mano a mano che le civiltà evolvono, si rende necessario assolvere a ulteriori bisogni,

cosiddetti secondari, che indotti dai diversi sistemi sociali, richiedono una sempre maggiore va-

rietà e articolazione degli spazi nei quali devono essere esperiti.

È evidente che, in ogni momento della storia, lo spazio della collettività è conseguenza

della spazialità sociale che lo genera e dei poteri che la governano; da ciò discende che il progetto

urbanistico segue al progetto politico che lo determina e del quale andrà a costituire uno dei

principali e necessari supporti. Anche nella contemporaneità, un piano urbanistico per una città

interetnica non può che essere a servizio del modello sociale che si intende perseguire e quindi è

doveroso chiedersi quale sia il modello sociale della convivenza multietnica che il nostro Paese in-

tende promuovere. Diversamente da altre nazioni che da tempo hanno attivato politiche precise,

1 “La resilienza, applicata ai comportamenti umani, indica la capacità di un individuo o di un sistema sociale di vi-vere bene e di svilupparsi positivamente a prescindere dalle condizioni difficili in cui vive e, soprattutto, di uscire dalleesperienze dure rinforzato e maturato” (H. Combariza,“Qué es la Resilencia?” citata in P. Mayorga, 2007).

2 Anche se largamente utilizzate, le denominazioni dei modelli politici di integrazione etnica non sono codificatee, pertanto, spesso ad esse si associano significati differenti.

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in Italia non è ancora chiaro lo scenario entro il quale muoversi per implementare il processo di

integrazione multiculturale; non è chiaro se la società italiana si dirige verso modelli di assimila-

zione, di inclusione, di cittadinanza, di separatismo o altro ancora2 (Zanfrini, 1997).

Va ricordato in proposito che la riforma costituzionale del 20013 affida allo Stato la compe-

tenza legislativa per “l’immigrazione” e alle Regioni quella per il “governo del territorio”4, quindi

l’organo centrale decide le politiche di accoglienza e di ospitalità dei migranti mentre gli organi

periferici stabiliscono come organizzare il territorio per assolvere a queste e ad altre esigenze. Tra

gli altri settori rilevanti per la convivenza sociale (quindi anche per quella tra autoctoni e immi-

grati) è assegnato allo Stato il compito di normare “rapporti tra la Repubblica e le confessioni re-

ligiose”, “cittadinanza, stato civile e anagrafi” unitamente alla “determinazione dei livelli essenziali

delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali …” e “previdenza sociale”; invece, le Regioni (in

concorrenza con lo Stato) legiferano in merito a “tutela e sicurezza del lavoro”,“tutela della salute”

e “previdenza complementare e integrativa”. È dall’insieme delle leggi che regolano queste mate-

rie che dovrebbe ricavarsi il progetto sociale della convivenza multietnica, in assenza o in confu-

sione del quale non vi può essere un’efficiente e coerente azione amministrativa, nella quale va

compreso il piano urbanistico.

Le leggi che si sono occupate di immigrazione5 (inclusa la recente proposta di riforma della

normativa preannunciata dal Ministro dell’interno G. Amato)6 si sono sempre più orientate verso

la prevenzione e il contrasto alla presenza di clandestini, trascurando, di converso, le politiche per

l’integrazione sociale che, di fatto, sono state delegate alle autonomie locali.

Passando dalle normative sugli immigrati a quelle sul governo del territorio, va rilevato che

nessuna delle Regioni italiane ha emanato leggi urbanistiche che indicassero come organizzare

gli spazi urbani tenendo in conto anche le esigenze introdotte dal multiculturalismo. È altrettanto

vero che (sia nella legge nazionale che in quelle regionali) non è neanche contemplato il com-

portamento che il redattore del piano deve avere nei confronti di tutte quelle altre diversità che

strutturano la popolazione: sesso, età, capacità di spesa e tutte quelle altre caratteristiche con cui

sociologi e antropologi classificano e interpretano la variegata comunità umana e urbana. Fatti

salvi i piani di edilizia economica e popolare e l’obbligo di prevedere aree per l’istruzione e per il

verde attrezzato in relazione alle fasce di età, i nostri legislatori non hanno stabilito che gli spazi

urbani dovessero essere pianificati in modo congruente alla molteplicità dei bisogni. Non va igno-

rato che, nella storia italiana, più di una volta, è accaduto che un piano urbanistico “innovasse” i

contenuti e che gli stessi dessero origine a leggi che, facendoli propri, li trasformavano in norme

istituzionali; ciò sta a significare che, nell’attesa di un chiaro progetto politico sulla convivenza

multietnica (ma comunque con il placet dell’amministrazione comunale) il progettista può predi-

sporre gli spazi territoriali in chiave adeguata ai bisogni delle differenti culture e di ogni altra di-

versità.

Mumford, fin dagli anni trenta, osservando come le città fossero organizzate “ … intorno

alla vita degli adulti e per di più intorno a certi aspetti soltanto della vita degli adulti, quali gli af-

fari, l’industria, l’amministrazione, il traffico, i trasporti. …” (Mumford, 1945 pp. 7-11), teorizzava

un’urbanistica per le diverse fasi della vita, una pianificazione che tenesse in conto le varie esi-

genze che ogni età esprime in funzione delle attività che la caratterizzano.Tale concezione non ha

avuto grande seguito e, proprio per questo, oggi richiederebbe di essere ripresa e di essere am-

3 Nelle parti tra virgolette sono riportati i settori di competenza così come denominati nell’art. 117 dellaCostituzione.

4 “Il governo del territorio consiste nell’insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di loca-lizzazione e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizza-zione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio com-prende altresì l’urbanistica, la localizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche, l’edilizia, la difesa del suolo, non-ché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie …” (art. 1, c.2, T. unificato indiscussione in Parlamento).

5 La prima legge italiana che utilizza il termine immigrato in vece di straniero è la n. 943 del 1986, ma la primalegge organica in materia è la cosiddetta legge Martelli (L. 39/1990) cui seguono la Turco-Napolitano (L. 40/1998), il TU(D.Lgs. 286/1998) e la Bossi/Fini (L. n. 189/2002).

6 Si fa riferimento alle notizie riportate dai maggiori quotidiani italiani tra maggio e giugno 2007.

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pliata a ulteriori diversità: ai bisogni “… della prima infanzia, dell’età scolare, …, della fase dome-

stica, …, della senilità” (Mumford, 1945) vanno affiancati quelli dipendenti da usi, consuetudini, co-

stumi e fedi religiose. Una tale maculata società richiede l’organizzazione di “spazi adattati” altret-

tanto variegati, la cui giustapposizione, integrazione e intersezione dà vita alla città interetnica e

interclassista.

La condizione urbana dipende sia dalla capacità del piano di regolare la quantità e la qua-

lità degli elementi e della loro struttura relazionale, sia dalla capacità delle Amministrazioni di rea-

lizzare quanto previsto e di garantirne l’efficienza nel tempo: “mentre nel villaggio si accentuano

le somiglianze e le affinità, la città deve accentuare e riconciliare le varietà, le differenze e anche

gli antagonismi. Una buona pianificazione moltiplicherà le occasioni dirette ad amalgamare e fon-

dere le diverse tendenze. …” (Mumford, 1945).

L’avanzamento, o forse sarebbe più esatto dire, le trasformazioni che nei millenni hanno ca-

ratterizzato le diverse società umane, sono sempre state determinate dall’incontro/scontro tra di-

versità. Dallo scontro, se ci si riferisce alle guerre di invasione, di colonizzazione o di religione, tutte

aventi lo scopo del dominio economico, politico e culturale sui territori conquistati; dall’incontro,

quando, nei brevi periodi di pace, esploratori, artisti, intellettuali, si spostavano nei territori con

l’intento di conoscere l’ignoto e di scambiare la propria esperienza e le proprie abilità con quelle

degli altri.

Il progredire (soprattutto negli ultimi due secoli) della velocità, della capacità, dell’affidabi-

lità, del costo e del comfort dei mezzi di trasporto e di quelli di telecomunicazione, ha consentito

che si incrementassero sia il numero degli spostamenti sia le distanze percorse; ciò ha permesso

che una quantità sempre maggiore di persone potesse accedere all’esperienza altrui, o spostan-

dosi personalmente o scambiando informazioni a distanza (Beguinot, Cardarelli, 1992). Infine, con

l’avvento di internet, si è giunti a un’intensità senza precedenti di convivenza virtuale e reale, tra

le molteplici diversità: il villaggio globale, ipotizzato da Mc Luhan (Fiore, Mc Luhan, 1968; Mc

Luhan, 1964), si è realizzato, così come sembra avere preso corpo anche il grande fratello preco-

nizzato da Orwell (Orwell, 1949).

A meno dei rifugiati politici e di trascurabili élite sociali, il fenomeno migratorio dei grandi

numeri è generato dalla differenza che intercorre tra l’economia del paese di partenza e quella

del paese di arrivo. Quando si emigra con un progetto finalizzato a migliorare la propria condi-

zione, contemporaneamente, si ipotizza il tempo nel quale realizzarlo: le modalità con cui si entra

in relazione con la società di accoglienza, così come la scelta del luogo urbano in cui stabilirsi, va-

riano al variare del presupposto tempo di permanenza. Se si pensa di soggiornare per un breve

periodo si tenderà a una condizione di maggiore isolamento e a non mutare le proprie abitudini,

viceversa, se si ipotizza una permanenza lunga, l’atteggiamento sarà più aperto e si sarà mag-

giormente disponibili a recepire le sollecitazioni esterne. Osservando l’insieme di queste dinami-

che è possibile notare più di un’affinità tra la fenomenologia dell’espansione urbana del dopo-

guerra italiano e quella del più recente processo multietnico delle nostre città.

5.1.2 Una chiave d’interpretazione per la città interetnica

Gli storici della città europea hanno ben spiegato le ragioni e il tempo in cui si determina

la frattura tra la città preesistente e la città contemporanea, dando vita alla periferia urbana,

un’entità fino ad allora sconosciuta ed estranea alla tradizionale cultura urbana; (Mumford, 1961;

Benevolo, 1963; Aymonino, 1971) gli studiosi della città hanno ben spiegato le ragioni e il tempo

in cui la città, da organismo maturo, sviluppatosi con una crescita fisiologica durata secoli, inizierà

a dilatarsi velocemente, producendo anomale escrescenze abitative: i “quartieri residenziali” si for-

mano in un breve lasso di tempo mentre il centro storico inizia una sorta di atrofia alla quale solo

recentemente si cercherà di porre rimedio.

L’aggiunta di edifici di abitazione, e di quasi nient’altro, è il comune denominatore della an-

cora limitata crescita urbana delle città italiane della prima metà del secolo scorso. L’arretratezza

di sviluppo era principalmente stata determinata dall’autarchico isolamento fascista che non per-

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metteva la circolazione delle idee urbanistiche, le quali, intanto, maturavano negli altri paesi euro-

pei. Fin dagli anni trenta, in Olanda, Germania e Inghilterra si era iniziata a sperimentare l’idea di

aree per l’abitazione collettiva, mentre la modesta produzione edilizia italiana si limitava a piccoli

gruppi di edifici, generalmente circoscritti in un recinto che li separava simbolicamente e fisica-

mente dalla città.

La proliferazione di quartieri residenziali prenderà il via solamente dopo la seconda guerra,

iniziando con l’Ina-casa, poi Gescal, proseguendo con il CEP e infine con la L.167; all’iniziativa pub-

blica, rivolta ai ceti popolari, si affianca ovviamente la produzione privata che, pur rivolta ai ceti

abbienti, segue le medesime direttrici di espansione, lucrando sulle rendite fondiarie (Petrella,

1989). Prescindendo dal periodo e dalle diverse ideologie e teorie che guidano l’impostazione dei

quartieri residenziali nel dopoguerra (organici, razionalisti, autosufficienti, ecc.), l’insieme delle

realizzazioni crea, anche nelle città italiane, quella entità urbana che assumerà la denominazione

di periferia, cioè di luogo marginale sia nel rapporto geografico con la centralità ma anche per la

subordinazione gerarchica, ovvero per la dipendenza strutturale dal centro cittadino (Christaller,

1933).

Nella prima fase dell’espansione urbana, lo schema territoriale si presenta con un nucleo

compatto, intorno al quale sono collocate isole edificate di piccole dimensioni; esse sono infram-

mezzate da aree agricole che le separano una dall’altra e le distanziano dal centro urbano, al

quale sono collegate da un asse stradale e da insufficienti servizi di trasporto.

Negli anni successivi, vengono costruiti nuovi quartieri, di dimensioni maggiori, che si in-

terpongono ai precedenti; l’arcipelago adesso è composto da un numero maggiore di isole che,

in qualche caso, lambiscono la città storica, dalla quale, anche quando spazialmente prossimi, con-

tinuano a essere funzionalmente disgiunti.

Con l’ultima fase di massiccia produzione residenziale, pubblica e privata, si riempiono le

aree libere residue e quello che prima era un arcipelago, le cui isole erano i quartieri d’abitazione,

si trasforma in un edificato senza soluzione di continuità. Nonostante la oramai sopraggiunta con-

tiguità spaziale di città vecchia e edilizia nuova (Pane, 1959), le distanze strutturali restano consi-

derevoli e l’insieme degli elementi fisici non riesce a divenire sistema, in quanto le relazioni tra

centro e periferia rimangono di modesta entità mentre aumenta la distanza tra le opportunità of-

ferte da quelle che oramai sono diventate due entità urbane distinte e separate. Nonostante la

presunzione di alcuni di riuscire a progettare e realizzare quella completezza che solo il trascor-

rere del tempo può conquistare, la periferia continua a rimanere tale: una “città” incompiuta, ano-

nima e omologata, antagonista alla vera città, luogo urbano organico, concluso e identificabile.

Prima di illustrare quali analogie è possibile cogliere tra il modo in cui è avvenuta l’inclu-

sione spaziale delle nuove “parti urbane” – i quartieri – e il modo in cui sta avvenendo l’inseri-

mento delle nuove “parti sociali” – gli immigrati – è necessario accennare all’ulteriore e recente

fase di sviluppo della territorialità urbana.

Negli anni più vicini a noi si assiste a due pratiche urbanistiche, concomitanti e in qualche

modo antitetiche. Una prima azione è diretta alla riqualificazione e al recupero di luoghi della

città desueti e degradati; gli interventi di recupero urbano, pur se maggiormente concentrati nelle

aree storiche, raggiungono anche i più recenti quartieri periferici.

Un secondo processo, di tutt’altra natura e guidato da interessi esclusivamente mercantili,

produce un’ulteriore e diversa frattura nella già confusa impalcatura territoriale. Le grandi multi-

nazionali realizzano in proprio una “nuova periferia” che si colloca nella fascia territoriale esterna

alle sfumate e confuse propaggini urbane. Questa seconda periferia si configura, ancora una volta,

con lottizzazioni frammentate che, però, non sono più residenziali ma ospitano concentrazioni di

ipermercati, di multisale cinematografiche o di megadiscoteche, la cui accessibilità è efficace-

mente garantita dalla grande viabilità e da parcheggi di adeguata dimensione.

L’antinomia tra le due pratiche urbanistiche è rilevabile nel fatto che l’offerta extraurbana

per il commercio e il tempo libero mette in crisi proprio quelle minute attività economiche le

quali, invece, sono indispensabili alla vitalità urbana a cui gli interventi di riqualificazione vogliono

tendere. L’extraperiferia produce una nuova cesura territoriale e nel contempo impedisce il risa-

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narsi della precedente, in quanto, annullando i piccoli esercizi economici, indebolisce anche i rap-

porti di interconnessione strutturale tra città vecchia e nuova che l’azione di rivitalizzazione tenta

faticosamente di innescare.

La struttura insediativa attuale è quindi schematizzabile mediante tre corone, ognuna delle

quali diversamente caratterizzata per tipologia, per densità, per significato e per significante.

Nel nucleo centrale si pone la città storica, comunque ancora fortemente connotata e per-

tanto capace di generare identificazione e orientamento. Nel secondo anello è collocata la mor-

fologia abitativo-residenziale, contraddistinta da scarsa vitalità e conseguente senso di insicu-

rezza; pur nella continuità dell’edificato determinatasi nel tempo, molte delle sue “parti” conti-

nuano a essere tali in quanto strutturalmente disgiunte e discernibili dalle altre. L’ultima fascia

peri-territoriale è quella costellata di enormi standardizzati volumi e di altrettanti smisurati par-

cheggi a servizio del mercato di merci e di tempo libero specializzato; essendo di formazione re-

cente, la frammentazione spaziale permane visibilmente, nell’alternarsi di lottizzazioni commer-

ciali, autostrade, residualità industriali, inserti agricoli e aree in abbandono.

Le tre corone sono spazialmente distinte e funzionalmente separate e, fatta eccezione per i

centri storici, lo sono anche al loro interno in quanto, come si è già detto, nella prima periferia ri-

mane ancora palesemente visibile la concezione additiva (Beguinot, 1989), mentre nell’extraperi-

feria emergono cubi edilizi, sulle cui pareti lisce spicca, a caratteri cubitali, il marchio dell’azienda

madre. Spazialità fisicamente e funzionalmente separate, diversità ghettizzate derivate da un or-

ganismo urbano storico che, interrotta la sua naturale evoluzione fisiologica, ha emanato patolo-

giche ipertrofie di entità isolate.

Così come l’urbanesimo della prima industrializzazione, anche l’ultima delle fasi di trasfor-

mazione territoriale è stata indotta da interessi economici e resa possibile dall’avanzamento tec-

nico e tecnologico, in particolare, di trasporti e telecomunicazioni. Gli stessi fattori – mercato, tec-

nica e tecnologia – che hanno determinato e reso possibile la struttura della spazialità materiale

del territorio – nel suo senso letterale – hanno anche determinato e reso possibile – ma in senso

metafisico – la struttura della spazialità sociale delle popolazioni mondiali. Senza il grande balzo

tecnologico, la globalizzazione dei mercati e il derivato processo di omologazione di usi e costumi

non avrebbero potuto assumere il significato e gli effetti di interdipendenza che invece hanno

raggiunto7.

Come la macchina a vapore ha interrotto la capacità di sviluppo organico della città storica,

così internet ha definitivamente interrotto la possibilità di sviluppo organico della comunità lo-

cale. La frattura tra organismo urbano storico e periferia anonima è la stessa che si determina tra

cultura locale e standardizzazione dei comportamenti, imposti da un mercato mondializzato, sup-

portato e alimentato dalla rete delle reti: l’omologazione delle periferie urbane diviene in questo

modo l’anticipatoria metafora dell’omologazione delle “periferie umane” del mondo.

Pur simili nella dinamica del percorso strutturale delle trasformazioni, periferia urbana e pe-

riferia sociale si differenziano nella configurazione spaziale: mentre il nucleo storico urbano è fisi-

camente accosto alla sua periferia, la comunità locale originaria è spazialmente lontana dalla sua

periferia sociale, che è divenuta tale proprio perché, emigrando, si è deterritorializzata.

Lo schema della localizzazione etnica attuale si compone di insiemi separati, che potranno

congiungersi solamente quando sarà dissolto il legame con la comunità di origine e si sarà confi-

gurato quello con la comunità attuale che, in virtù di ciò, sarà definitivamente divenuta una co-

munità interetnica. Attualmente, un primo cerchio rappresenta il nucleo storico della comunità: il

distacco di molti dei suoi membri ha deviato la fisiologica evoluzione naturale, rallentandone lo

sviluppo nello spazio e nel tempo. I gruppi che emigrano sono la versione metafisica del quartiere

7 Diversi studiosi fanno risalire il concetto di globalizzazione a periodi storici anche molto lontani (dall’impero ro-mano alla scoperta dell’America) e qualcuno si spinge ad affermare che gli scambi internazionali fossero maggiori primadella prima guerra mondiale di quanto lo siano attualmente. A prescindere dal significato che si voglia dare ai concettidi globalizzazione, mondializzazione, internazionalizzazione o colonizzazione, rimane il dato di fatto che la percezione at-tuale del fenomeno è sicuramente più intensa e diffusa (Wallerstein, 1982; Hirst, Thompson, 1997; A. Sen 2002).

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residenziale del dopoguerra: essi si localizzano in posizione distaccata dalla città-madre (in altri

paesi) e formano entità separate e manifestamente distinte dal contesto in cui si collocano. Così

come era avvenuto con la formazione dei quartieri, che mano a mano andavano a occupare le

ampie aree libere che li separavano gli uni dagli altri e dalla città, anche l’immigrazione procede

con successive addizioni di parti, formanti un insieme che, nel tempo, conquista la contiguità spa-

ziale ma rimane disarticolato nella frammentarietà sociale. Analogamente alla fascia urbana peri-

ferica formata da un quartiere organico, accostato a un quartiere razionalista, accostato a un quar-

tiere autosufficiente e così via, anche la corona sociale periferica si compone di un gruppo sene-

galese, a cui si affianca un gruppo cinese, a cui se ne affianca uno autoctono, seguito da uno

proveniente dai balcani e così via. Così come con gli insiemi residenziali non si è riusciti a struttu-

rare un sistema urbano organico, anche per i gruppi di immigrati non si riesce a operare la fusione

in una comunità armonica: una frattura li ha definitivamente separati dal nucleo originario e

un’ulteriore cesura inibisce le relazioni con il contesto sociale d’arrivo.

Come già accennato, il modello di sviluppo economico e finanziario perseguito dagli inte-

ressi delle grandi lobbies del pianeta non avrebbe potuto procedere così efficacemente senza un

adeguato supporto tecnico e tecnologico. La containerizzazione, le applicazioni telematiche e le

comunicazioni satellitari sono sicuramente tra i principali elementi che hanno consentito alle

multinazionali di attuare i principali obiettivi: localizzare la produzione nei paesi dove il costo del

lavoro è minimo e il sindacato è debole, distribuire i prodotti nei paesi dove i prezzi al consumo

sono alti, fissare la residenza fiscale dove il regime di tassazione è conveniente, ridurre il rischio di

impresa compensando le perdite in un paese con i guadagni in un altro (Perna, 1998; Klein, 2001;

Wallach, Sforza, 2001).

Insieme all’offrire posti di lavoro e al diffondere “modernizzazione”, i grandi marchi influen-

zano le economie dei paesi poveri in cui è localizzata la produzione e condizionano anche i com-

portamenti dei consumatori mondiali. Nei paesi poveri la standardizzazione inizia nella fabbrica o

nella piantagione per poi diffondersi all’esterno, mentre nei paesi ricchi la pubblicità martellante

incentiva e induce all’acquisto dei prodotti che sono commercializzati in quasi tutti i paesi del

globo.

L’omologazione di usi e costumi non è certamente l’obiettivo principale ne’ quello dichia-

rato dalle multinazionali ma quando il fine è la massimizzazione dei profitti a scala mondiale una

“mentalità uniformata” è sicuramente d’aiuto (Maurel, 2001). La globalizzazione e, in modo più

pervicace, la localizzazione (Robertson, 1992; Robertson, White, 2002; Bauman, 2005) conducono

inevitabilmente alla massificazione culturale, all’annullamento di quelle diversità locali che po-

trebbero ostacolare l’interesse del mercato, che oramai detiene la centralità di ogni questione e

condiziona ogni scelta.

La globalizzazione economica e la standardizzazione dei comportamenti aveva finora pro-

dotto solo effetti collaterali sull’organizzazione urbana, anche se l’invadenza di edifici e vetrine dei

grandi marchi (in prima persona o in franchising) è riuscita comunque a uniformare il paesaggio

urbano di molte città nel mondo. Da qualche tempo le medesime multinazionali hanno deciso di

agire in proprio e, quindi, di produrre e mettere sul mercato “città alternative” che offrono a clienti

disponibili, sia finanziariamente sia intellettualmente.

Il paradosso di questi comportamenti è nel fatto che gli stessi soggetti che (mondializ-

zando il mercato e diffondendo il pensiero unico) hanno indebolito le identità locali, hanno con-

tribuito alla crisi dei centri storici e all’uniformità urbana, hanno costruito le extraperiferie, adesso

si propongono come i paladini di “città umane”. Con la griffe dell’azienda e con la firma di noti ar-

chitetti si costruiscono “città storiche” della vecchia Europa, rispondendo, ipocritamente e malde-

stramente, a quel senso di comunità e identità che quello stesso marchio ha contribuito a di-

struggere; soprattutto in USA, ma anche in Cina, quelle stesse multinazionali investono nella rea-

lizzazione di “nuove città” ispirate ad uno zotico new urbanism, male interpretato (Katz, 1994;

Spagnoli, 2000).

Il pot-pourri edilizio di Las Vegas, la sua eccentricità e insensatezza di luogo urbano, la

hanno resa un fenomeno unico e, fortunatamente, non replicabile. La mistificazione della varie

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Seaside (Florida), Parkside (Texas), Pujiang new town (Cina), Val d’Europe (Francia), Poundburry

(GB), ecc., proprio perché meno plateale, diventa ancor più dannosa per la cultura, per l’identità e

per la storia delle città. Queste nuove realtà urbane, ma anche quelle di sostituzione di vecchi

quartieri8, sono destinate ad aggravare ulteriormente la condizione urbana degli immigrati (e

delle altre classi povere e deboli) che, non essendo in grado di accedere all’acquisto di questi ul-

teriori beni immessi sul mercato, saranno sempre più relegati nella marginalità urbana, metaforica

e reale. Slums, bidonville, favelas e baraccopoli non scompariranno ma, più probabilmente, si re-

plicheranno all’interno di quelle parti di città abbandonate dagli attuali abitanti che, intanto, si sa-

ranno trasferiti nelle nuove “vecchie città tradizionali”.

Anche quando non viene invocato il new urbanism e quando l’operazione non è finanziata

da una multinazionale, la riqualificazione dei centri storici è operata con un preoccupante confor-

mismo; già oggi accade di confondersi e di non capire se si sta seduti ad un caffè dell’ex angi-

porto di Salonicco, di Cape Town o di Genova, in quanto medesime sono le architetture, gli arredi

e le bevande servite.

La bellezza delle città storiche, quali oggi ci appaiono, non è una condizione realizzata in

un’unica soluzione, essa è stata raggiunta con il trascorrere del tempo e a noi è giunta la risultante

delle diverse culture urbane, ognuna delle quali ha dialogato e interferito con quella che l’aveva

preceduta: la bellezza dei nostri centri storici è la sintesi del tempo urbano traslato nel sincretismo

dello spazio di cui si compongono. Tali abilità si sono smarrite quando, come già accennato, i bi-

sogni dell’economia industriale non hanno più concesso il tempo necessario alla crescita orga-

nica e l’imperiosa richiesta di velocizzare l’espansione ha imposto di agire in autonomia dalla città

precedente e in esplicita contrapposizione a essa.

Il migliore urbanista e il più qualificato degli architetti non possono che essere sterili com-

parse di uno spettacolo la cui regia è imposta da modelli economici preponderanti e perentori. Se

per i nostri centri storici siamo in grado di garantire la conservazione delle pietre, assicurando in

questo modo un simulacro di forma e, forse, di senso (a futura emblematica memoria) non sarà

possibile fare lo stesso con culture, usi, costumi, bruscamente interrotti nella propria naturale evo-

luzione fisiologica.

Il destino e la qualità della vita urbana offerta all’immigrato non possono che corrispon-

dere al destino e alla qualità del ruolo sociale per esso predisposto.

Fino a quando le leggi che regolano “ingressi” e “permanenze” dei poveri del pianeta sa-

ranno basate su esclusivi interessi mercenari, fino a quando lo straniero non sarà considerato al-

tro che una macchina da lavoro da utilizzare e poi rispedire al mittente, fino a quando l’immigrato

non sarà una persona con diritti e doveri pari a quelli tutte le altre, …, non ci sarà integrazione et-

nica, non ci sarà società multiculturale e, pertanto, si allontanerà sempre più ogni possibile ipotesi

di città interetnica, di una città equa per ogni bisogno sia esso dovuto all’età, alla condizione fisica

e sociale, alla razza, agli usi, costumi e religioni.

Concludendo un discorso solo accennato ma che richiederebbe una ben più ampia e arti-

colata riflessione, ci si limita a indicare che la strada da seguire non può essere quella di riproporre

la forma dell’urbano del tempo che fu (il Rinascimento si riferì alla cultura classica riscoperta, ma

la reinterpretò adeguandola alle mutate istanze sociali del proprio tempo).

Se è vero che gran parte della migrazione di popoli è mossa da ragioni di bisogno econo-

mico, la ricerca di soluzioni non può essere confinata nelle logiche del mercato ma richiede l’in-

tervento di tutto ciò che concerne la formazione del cittadino.

Ricordando che l’architetto è diverso dall’ape e che, contrariamente dall’insetto, è sempre

stato capace di innovare la costruzione del proprio habitat, la strada da percorrere è quella già in-

dicata da Mumford: luoghi urbani adeguati a ognuna delle differenze ma progettati con la consa-

pevolezza della nuova identità, di quella nuova cultura locale che si formerà proprio dall’incontro

delle attuali diversità (Cini, 1976).

8 Gli esempi in tal senso molto diffusi in USA (tra i primi, Lafayette Courts a Baltimora e Britton Street a SanFrancisco) iniziano anche in Europa (p.e. Quartier am Tacheles a Berlino o nel comune di Plessis-Robinson in Francia).

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5.2 (RI)PROGETTARE LE FUNZIONI URBANE DELL’AGGREGAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE

“All’urbanista spetta di ricomporre i momenti della vita economica e sociale in un disegno

unitario, ricercando una connessione organica tra privato e pubblico, tra residenza e luogo di

lavoro, tra centri di produzione e centri di consumo, tra le sedi di istruzione e di formazione

professionale e gli spazi demandati alla fruizione del tempo libero (…)”.

(Berta, 1980, p. 144)

5.2.1 Strumenti urbanistici e normative per la riorganizzazione delle attività

Compito dell’urbanistica è organizzare lo spazio e le regole d’intervento in funzione della

domanda espressa dalla collettività, una collettività in cui tutti gli individui devono esprimere le

proprie esigenze e i propri bisogni e devono avere eque possibilità. Dovere della pianificazione è

tradurre in termini di organizzazione territoriale un progetto di tipo politico, una volontà espressa

dalla società. Se alla società compete definire lo scenario generale dell’integrazione e/o scontro

tra individui di etnie diverse, agli urbanisti spetta il compito di prevedere sul territorio le forme e

gli strumenti per conseguire gli obiettivi che la politica propone.

La cultura occidentale si basa sulla libertà e sulla tolleranza, valori che, per chi fa urbani-

stica, si traducono nell’adattare lo spazio in funzione delle necessità (tutte) espresse e nel garan-

tire il soddisfacimento di alcuni dei bisogni fondamentali degli uomini (ad esempio di uno spazio

abitabile), in modo da consentire un’equa accessibilità spaziale ai beni (servizi essenziali): beni e

spazi che sono vissuti e, dunque,“entrano” nella città solo se sono realmente condivisi.

Comprendere i diversi interessi, per chi fa urbanistica, significa conoscere la domanda e

realizzare un’offerta idonea. Ciò vale sia per la città tradizionale, dell’insediamento monoetnico,

sia, ancor più, per la nuova città, sede e luogo di incontro di etnie diverse.“[…] Se è vero che la de-

cisione politica determina le regole della convivenza multietnica, è pur vero che gli spazi e gli edi-

fici in cui la convivenza si realizza sono responsabilità di tecnici in grado di tradurre la domanda

in forma e intensità d’uso dei luoghi: tecnici […] in grado di capire la domanda delle utenze mul-

tietniche e di tradurla in spazi, edifici, piazze, servizi […]” (Petrella, 2003).

La sfida, dunque, è cercare una risposta equa e solidale, in termini di benefici “pubblici”, per

le diverse domande espresse dalle differenti comunità che vivono fianco a fianco nel territorio: “i

pianificatori servono l’interesse pubblico negoziando una sorta di pluralismo multiculturale”

(Carta, 2001).

E, allora, la domanda è come e con quali strumenti creare spazi plurali e unificanti? Perché

la città, come scrive La Cecla, è un dispositivo spazio-relazionale che può contribuire ad includere

come ad escludere gli abitanti (La Cecla, 2000).

Partendo dal presupposto che l’obiettivo è l’integrazione delle differenze nella città, luogo

di maggiore concentrazione, e nel territorio e che questa deve essere l’idea guida di ogni piano o

progetto, è possibile prevedere diverse possibilità di riutilizzazione dello spazio, attraverso diversi

strumenti urbanistici e non, tutte in grado di perseguire questo scopo. Certo, l’urbanistica non

può garantire la convivenza pacifica all’interno della società, questo compito compete alla poli-

tica, ma può “certamente” facilitare una più democratica accessibilità spaziale alle diverse oppor-

tunità urbane, procurando, nel concreto degli interventi, le stesse opportunità a ognuno dei

gruppi che si compongono nella città.

Il primo strumento che, senza alcun dubbio, può contribuire al miglioramento della qualità

della vita e a rendere la città accessibile è il PRG inteso come “…il prodotto di un’azione sociale in

cui si confrontano interessi e ragioni” (Mazza, 1997, p. 20). Se lo scopo di un piano per la città mul-

tietnica è mettere in atto azioni che contrastino la precarietà e l’emarginazione, bisogna preve-

dere interventi che facilitino l’entrata dei nuovi arrivati nei circuiti di vita sociale e collettiva di una

comunità, che creino insomma luoghi di connessione. A tale scopo bisogna realizzare, contestual-

mente e contemporaneamente, case e servizi nella struttura urbana. Per l’alloggio si devono ga-

rantire standard minimi di qualità e una localizzazione diffusa che dissuada la formazione di

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ghetti9. Per i servizi bisogna prevedere strutture che consentano di vivere degnamente e che, allo

stesso tempo, favoriscano la socializzazione: strutture, cioè, che devono essere aperte ad un uso

congiunto, con una piena fruibilità anche da parte dei residenti autoctoni, in modo da favorire il

processo di integrazione. Visto che sia gli alloggi che i servizi sono dimensionati e proporzionati

dal PRG, è chiaro che le scelte compiute con questo strumento valgono da sole a creare segrega-

zione sociale o inclusione dei nuovi cittadini.

Una premessa è necessaria: ogni Regione Italiana, in virtù della competenza legislativa in

materia di urbanistica prima (1972) e di governo del territorio poi (2001) può o meno affrontare

la problematica nei propri strumenti urbanistici o, addirittura, creare strumenti appositamente ri-

volti alla risoluzione della questione multietnica nelle città.

Ancora di più oggi, con il passaggio dall’“urbanistica”10, al nuovo concetto di “governo del

territorio”11. Il nuovo concetto è esplicitato da un disegno di legge in discussione in Parlamento12

che definisce il governo del territorio come l’insieme “…delle attività conoscitive, valutative, rego-

lative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e

di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e

delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il

governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infra-

strutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura de-

gli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie”13.

L’organizzazione delle spazio e, soprattutto, l’integrazione tra tutti gli aspetti che incidono

sull’organizzazione del territorio, compresi, naturalmente, quelli legati alle esigenze della nuova

popolazione, devono assumere un ruolo centrale nel governo della città.

Ciascun Ente comunale, inoltre, in base al recente TU degli enti locali ha competenza per

“…tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, preci-

puamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione

del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri

soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”14.

Lo strumento che il Comune ha per organizzare il proprio territorio è, ancora oggi, almeno

in base ai principi della Legge urbanistica tuttora vigente, la Legge 1150/42, il PRG. Con il PRG-PUC

un’Amministrazione può assegnare un peso più o meno differente alla problematica migratoria,

scegliendo di intervenire sia per quanto riguarda l’inserimento residenziale dei nuovi cittadini, sia

per quanto riguarda la realizzazione di servizi ad essi deputati. Una premessa è, però, doverosa:

nessuna legge urbanistica o di governo del territorio tratta globalmente la problematica né, tanto

meno, cerca di inserire l’aspetto della nuova domanda nella gestione urbanistica.

Fatta questa puntualizzazione, è in ogni caso il PRG “lo strumento con il quale si realizza il

confronto e la sintesi tra esigenze ed obiettivi, politiche e programmi, progetto ed attuazione, nel

processo di governo del territorio” (Sartorio, 2004, p. 9). Al piano regolatore spetta il compito di ri-

solvere, almeno in linea generale e sulla scorta delle scelte politiche dell’amministrazione locale,

le problematiche legate alla qualità della vita della popolazione tutta, senza distinzione di specie

e di razza.

Dall’analisi della situazione delle diverse regioni, emerge, tuttavia, che in ciascuna Regione

i due settori, pianificazione e immigrazione, risultano ancora fortemente separati. In riferimento

9 Si può pensare agli alloggi sociali, come previsto dall’articolo 40 del TU, se, però, per alloggi sociali intendiamostrutture collettive che permettono la convivenza di famiglie differenti, ciascuno con il proprio spazio di vita, e con glispazi di relazione in comune. In tal caso la struttura potrebbe diventare anche una struttura che facilita l’integrazione.

10 La delega alle Regioni della materia è stata attuata con il DPR n. 8 del 15 gennaio 1972, mentre il trasferimentodelle funzioni dallo Stato, cominciato nel 1970, con la L. 281, si è definito nel 1977 con il DPR n. 616.

11 Vedi Titolo V, art. 117 della Costituzione, come modificato nel 2001 e confermato nel 2005.12 Vedi Disegno di legge n. 3519 “Principi in materia di governo del territorio” VIII Commissione Ambiente e

Lavori pubblici, approvato dalla Camera dei Deputati il 28-06-2005.13 Vedi art. 1, c.2, Testo unificato varato dalla VIII Commissione Territorio, Ambiente, Beni Ambientali del Senato,

Disegno di Legge n. 3519.14 Vedi art. 13, c. 1, Dlgs. 267/2000.

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poi alla problematica dei servizi, da un’attenta lettura dei contenuti dei diversi strumenti comu-

nali, come definiti nelle specifiche leggi regionali, inoltre, risulta che la gran parte degli interventi

messi in campo dall’urbanistica è orientata a dare una risposta quasi esclusivamente quantitativa

alla problematica.

5.2.2 La problematica dei servizi

Per definire un’offerta di servizi e di spazi che sia in grado di soddisfare le necessità, sia

della popolazione indigena che di quella straniera, non ci si potrà più limitare all’approccio quan-

titativo previsto dalla normativa nazionale (D.M. 1444/’68), ma sarà necessario comprendere la

nuova domanda nella sua molteplicità e tradurla nella dimensione fisico-sociale degli spazi di re-

lazione, includendo tra questi anche quelli della prima accoglienza15.

Solo poche Regioni hanno cercato di risolvere la problematica anche dal punto di vista

della qualità dei servizi offerti.

La Regione che, per prima, si è posta il problema di garantire non solo la quantità, ma an-

che la qualità dei servizi offerti è la Lombardia che, prima con la LR 1/2001 e poi con la legge

12/2005, affida al piano dei servizi il compito di valutare, in via prioritaria, le attrezzature del terri-

torio “… anche con riferimento a fattori di qualità, fruibilità e accessibilità e, in caso di accertata in-

sufficienza o inadeguatezza delle attrezzature stesse – quantificare – i costi per il loro adegua-

mento e individua le modalità di intervento”16. Il piano dei servizi segna il passaggio dallo stan-

dard quantitativo a quello prestazionali; la legge regionale ripensa, quindi, la nozione di standard

urbanistico “per fornire una soluzione complessiva alle esigenze di qualità dei servizi ed ai fabbi-

sogni infrastrutturali, e per dare risposte articolate a bisogni differenziati”17.

Due regioni, invece, inseriscono esplicitamente il problema degli standard anche dal punto

di vista prestazionale nel piano urbanistico: si tratta dell’Emilia Romagna e dell’Umbria. L’EmiliaRomagna stabilisce che il proprio PS debba definire “le caratteristiche urbanistiche e funzionali

degli ambiti del territorio comunale, stabilendone gli obiettivi sociali, funzionali e… i relativi re-

quisiti prestazionali”18, l’Umbria inserisce nel contenuto della parte strutturale del PRG anche “la

configurazione del sistema delle principali attività e funzioni urbane e territoriali, definendo i pos-

sibili scenari di sviluppo quali-quantitativi19. L’Emilia Romagna (almeno dal punto di vista norma-

tivo) ha fatto un ulteriore passo in avanti anche in merito al problema delle residenze, attraverso

il progetto di legge “Governo e riqualificazione solidale del territorio”, oggi ancora all’esame della

Giunta regionale. In questo disegno si afferma con chiarezza la necessità, resa più forte “… a se-

guito dei significativi processi migratori”, di attuare politiche abitative pubbliche per realizzare

abitazioni dirette a soddisfare il fabbisogno abitativo dei nuclei familiari meno abbienti, tra cui si

inseriscono, appunto, anche gli stranieri20.

Un passo in avanti, nel senso dell’attenzione posta alla componente sociale è evidente an-

che in Piemonte. Innanzitutto il PRG, in base alla legge del ‘77 e le modifiche successive,“delimita i

centri storici garantendo … la loro utilizzazione sociale” (art. 12) e, poi, pone alla base di ogni pre-

visione dei servizi e delle residenze la condizione lavorativa. Si tratta, dunque, di una visione del

15 L’individuazione dei bisogni espressi dalla popolazione straniera è la nuova operazione centrale di un pianoper la città interetnica. Una simile filosofia è quella che sta alla base dei nuovi Piani sociali di zona, previsti dalla legge328/2000 e dei Piani dei servizi, introdotti dalla legge regionale della Lombardia n. 1/2001.

16 Vedi art. 9, c. 3, LR 12/2005.17 Comune di Milano. Assessorato allo Sviluppo del Territorio, Direzione Progetto Pianificazione Strategica (2003),

Obiettivi e strumenti per le politiche urbanistiche milanesi, Milano, pag. 30 e seg.18 Vedi art. 28, c. 2, LR 20/2000.19 Anche in Liguria la struttura del piano, disciplina gli interventi negli ambiti, in base a criteri non più quantita-

tivi, bensì soprattutto prestazionali-qualitativi. Un caso diverso è quello della Toscana che, pur richiamando integral-mente il DM 1444/68, rinvia al Regolamento urbanistico la possibilità di intervenire sulle quantità e sulla qualità deglistandard. Vedi artt. 4 e 5, c. 4, DPGR 3/R del 9/2/2007.

20 Il 9 ottobre è stato avviato dalla Giunta regionale l´esame del progetto di legge “Governo e riqualificazione so-lidale del territorio”.

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tutto innovativa21 che, anche se non riferita specificamente alla problematica multietnica, comun-

que affronta uno dei principali temi sociali che condiziona la vita della popolazione e immigrata,

la condizione lavorativa.

A parte questi flebili elementi innovativi, la gran parte degli strumenti comunali previsti si

limita a disciplinare, così come previsto dalle leggi, le aree destinate alla realizzazione di servizi

pubblici e le attrezzature di interesse collettivo e sociale. Il risultato è che le minoranze conti-

nuano ad avere un’accessibilità differenziata alle varie attività esistenti sul territorio, per effetto sia

della “scarsa e disomogenea pianificazione” esistente, sia della mancata integrazione con le politi-

che di altra natura operanti nello stesso territorio.

Un altro annoso problema riguarda le politiche della casa. Il problema abitativo è un pro-

blema strutturale nell’organizzazione della città e nella pianificazione del territorio. “Il territorio

del progetto urbanistico nei prossimi anni sarà quello già urbanizzato. Sarà necessario conoscerlo,

modificarlo, ricostruirlo. Dovremmo ripensarlo a partire, come avviene in altri paesi europei, dai

grandi quartieri di edilizia pubblica” (Caudo, 2005).

È proprio nei grandi quartieri di edilizia pubblica che il PRG, insieme ad altri piani e pro-

grammi specifici dovrebbe intervenire tramite il recupero e riuso del patrimonio, a partire da

quello realizzato della legge ex 167. In questi quartieri bisognerebbe avviare interventi di ristrut-

turazione urbanistica che realizzino servizi e attrezzature, spazi pubblici e luoghi di integrazione,

oltre a prevedere un miglioramento globale delle condizioni di vita degli abitanti e un reale col-

legamento con il resto del sistema urbano.

5.2.3 La riqualificazione dei quartieri residenziali

Il tema della convivenza pacifica tra etnie diverse è soprattutto legata alle condizioni di vita

e di accessibilità ai servizi nella città e, per questo motivo, il tema della riqualificazione urbana può

essere un punto di partenza per la “riqualificazione sociale”, essendo in stretta correlazione con i

due elementi – residenza e servizi – che costituiscono punti fondamentali per la rinascita sociale

e culturale di un territorio.

Il problema residenziale è uno dei principali problemi cui l’urbanistica deve dare risposta.

La casa rimane “la principale condizione urbana dell’insediamento degli immigrati e allo

stesso tempo la più problematica. È il primo elemento di una ritrovata sicurezza e protezione ri-

spetto a un ambiente non sempre favorevole e accogliente, al contempo la possibilità di disporre

di una propria abitazione è il principale requisito per un percorso di insediamento stabile”

(Granata, Lanzani, Novak, 2003, p. 162). La casa è vista come spazio del radicamento, nella sua va-

lenza fisica, come luogo di protezione, nella sua valenza simbolica, e come luogo degli affetti.,

nella sua valenza sentimentale.

La casa, quindi, è uno dei parametri principali della qualità della vita delle famiglie immi-

grate in Italia ed è, inoltre, uno degli elementi che determina la maggiore o minore integrazione

nel contesto urbano. Certo la realizzazione di nuovi quartieri di ERP specificamente destinati, così

come succede nel nostro Paese, può concorrere a creare nuove sacche di emarginazione, in cui, a

differenza che nel passato, convivono non solo tutti i soggetti bisognosi, ma anche gli immigrati.

È, perciò, indispensabile, anziché puntare alla realizzazione di nuovi alloggi, recuperare l’esistente

Proprio nell’ambito delle politiche per la casa, in particolare all’interno delle linee di pro-

grammazione nazionale e regionale del CER, in Italia sono nati i cosiddetti programmi complessi.

Essi sono strumenti tutti accomunati da alcune caratteristiche:

– integrazione di risorse pubbliche e private;

– pluralità di funzioni e di soggetti;

– forme concertative o di partenariato;

– snellezza o agevolazioni amministrative per la definizione dell’iter procedurale;

– accesso a fondi pubblici non automatico, ma a seguito di procedure concorsuali e di se-

lezione sulla base di avvisi pubblici.

21 Vedi art. 12, LR 56 del 5-12-1977.

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Si tratta di programmi che, assumendo come obiettivo la riqualificazione del tessuto urba-

nistico, edilizio ed ambientale, mirano ad incidere sulla riorganizzazione urbana, elevando la do-

tazione di servizi, la qualità insediativa e la funzionalità urbana.

I primi, in ordine temporale, sono i Programmi di recupero urbano22 costituiti da un insieme

sistematico di opere finalizzate alla manutenzione, all’ammodernamento delle urbanizzazioni pri-

marie, con particolare attenzione ai problemi di accessibilità degli impianti e dei servizi a rete e

delle urbanizzazioni secondarie, all’edificazione di completamento e di integrazione dei com-

plessi urbanistici esistenti, alla manutenzione ordinaria e straordinaria, al restauro, al risanamento

conservativo e alla ristrutturazione edilizia degli edifici.

I PRU sono finalizzati anche all’edificazione di completamento e di integrazione dei com-

plessi edilizi esistenti, prevalentemente del patrimonio di edilizia residenziale pubblica; essi com-

prendono, però, anche aree esterne per la realizzazione di interventi organici. Con questo stru-

mento la partecipazione dei capitali privati diventa un fattore essenziale: il programma di recu-

pero urbano deve essere realizzato in accordo tra la componente pubblica e privata (art. 11)23.

Secondo programma “complesso” è il Programma di riqualificazione urbana24, che si ripro-

pone di ottenere la riqualificazione urbanistica di zone degradate, cioè la salvaguardia e l’incre-

mento della dotazione di verde, di attrezzature e di spazi urbani rispetto alle preesistenze e il mi-

glioramento della qualità degli insediamenti residenziali. L’ambito di intervento del programma

ricade all’interno di zone in tutto o in parte già edificate; infatti, il Comune ne delimita l’ambito

territoriale in base:

– all’ampiezza del degrado edilizio, urbanistico, ambientale, economico e sociale;

– al raggio di influenza delle urbanizzazioni primarie e secondarie;

– al ruolo strategico del programma rispetto al contesto urbano e metropolitano.

I finanziamenti possono essere richiesti da Comuni, con caratteristiche specifiche, e dai sog-

getti privati attuatori degli interventi25.

Nel 1997 vengono banditi i Contratti di quartiere26, che hanno l’obiettivo di promuovere la

riqualificazione edilizia e sociale di “quartieri segnati da diffuso degrado delle costruzioni e del-

l’ambiente urbano e da carenze di servizi in un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato

disagio abitativo”. I Contratti di quartiere devono essere compresi nei piani per l’edilizia eco-

nomica e popolare27, aventi o meno valore di piano di recupero28, nelle zone di recupero29, in

comparti di edifici particolarmente degradati30, nelle aree assoggettate a recupero urbanistico31,

o in aree aventi analoghe caratteristiche eventualmente individuate nella legislazione

regionale. Questi nuovi programmi sono finalizzati, per quanto riguarda la componente urbani-

stico-edilizia, a:

– rinnovare i caratteri edilizi e incrementare la funzionalità del contesto urbano assicu-

rando, nel contempo, il risparmio nell’uso delle risorse naturali con particolare riferi-

mento alle risorse energetiche;

– accrescere la dotazione di servizi di quartiere, del verde pubblico e delle opere infra-

strutturali;

– migliorare la qualità abitativa e insediativa attraverso il perseguimento di più elevati

standard anche di tipo ambientale.

22 Vedi art. 11 della legge n. 493 del 1993.23 I soggetti legittimati a presentare proposte sono gli Istituiti Autonomi Case Popolari (IACP), i Comuni, imprese

di costruzione e cooperative di altri soggetti pubblici e privati in forma consortile o associata.24 Vedi D.M. LL. PP. 21 dicembre 1994, integrato dal D.M. 29 novembre 1995.25 I comuni legittimati a richiedere i finanziamenti sono i comuni con popolazione superiore ai 30000 abitanti e

i comuni con essi confinanti, i capoluoghi di provincia, i comuni ricadenti in ambiti urbani sovracomunali interessati darilevanti fenomeni di trasformazione economica.

26 Istituiti con D.M. LL. PP ottobre 1997.27 Vedi legge n. 167/62.28 Ai sensi dell’art. 34 della legge n. 457/78.29 Vedi art. 27 della legge n. 457/78.30 Vedi art. 18 della legge n. 392/78.31 Vedi art. 29 della legge n. 47/85.

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Nel 2003 è stato finanziato un nuovo programma che prevede l’intervento in situazioni ca-

ratterizzate da diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano, da carenza di servizi e da

un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato disagio abitativo. In aggiunta agli obiettivi

della prima serie dei programmi, il Contratto di quartiere II promuove misure ed interventi per fa-

vorire l’occupazione e l’integrazione sociale, con l’obiettivo di dare risposta alla sempre più diffusa

richiesta di qualità abitativa ed urbana e di ricercare al contempo obiettivi di sviluppo economico

e sociale. I temi di sperimentazione da sviluppare riguardano obiettivi generali di qualità e riflet-

tono scelte strategiche finalizzate all’innalzamento degli standard qualitativi sia a livello di allog-

gio che di contesto urbano.

A differenza della prima generazione dei Contratti di Quartiere, questo secondo finanzia-

mento viene gestito dalle singole regioni, che attraverso propri bandi invitano le amministrazioni

comunali a proporre progetti e a competere per la destinazione dei fondi.

I programmi italiani hanno, quindi, lo specifico obiettivo della riqualificazione del tessuto

urbanistico, edilizio ed ambientale; essi non tengono conto esplicitamente della componente et-

nica, ma prevedono genericamente il miglioramento della qualità della vita di tutti cittadini: da

ciò consegue che, se gli immigrati sono considerati cittadini a tutti gli effetti, tali programmi pos-

sono anche indirettamente rispondere alla domanda sociale posta da questi nuovi soggetti.

Va detto, però, che nel panorama dei programmi complessi, il Contratto di quartiere è un

programma all’avanguardia, fortemente influenzato dalle nuove politiche comunitarie e dalla

nuova logica dell’integrazione delle azioni e delle misure; esso prevede la possibilità anche di in-

tervenire sull’immateriale, al fine del raggiungimento di uno sviluppo globale. La sinergia tra le di-

verse componenti dell’assetto urbano, inoltre, è già alla base della politica dei fondi strutturali

dell’UE32, tra cui appunto le componenti fisiche e quelle socio-economiche.

A parte il Contratto di quartiere manca nella programmazione italiana qualsiasi riferimento

alla componente sociale e questo è un limite, sia rispetto alla nostra prospettiva, sia soprattutto ri-

spetto alle innovazioni introdotte, già a partire dal 1994, dalla politica dei fondi strutturali

dell’UE33.

Anche in questo campo, a prescindere dalla partecipazione ai bandi ministeriali, ciascuna

Regione ha apportato innovazioni importanti, introducendo nuovi programmi che hanno preso

l’avvio dal Pin nazionale.

L’antesignana è stata anche questa volta la Lombardia che aveva introdotto i PIN già nel

1986 (LR 22) e li ha confermati nel 1999 (LR 9). Nella versione del 1999, in particolare, la norma si

sposta, oltre che sulla componente fisica del degrado, anche e soprattutto sulle problematiche so-

ciali:“nel caso in cui il programma integrato di intervento sia relativo ad aree interessate da feno-

meni di degrado sociale specificatamente individuate dal consiglio comunale, il programma as-

sume carattere prevalente e le opere in esso previsto devo essere finanziate prioritariamente dalla

giunta regionale” (art. 3, c. 4, LR 9/99). L’innovazione è importante: l’aspetto del “degrado sociale”,

assente nella strumentazione urbanistica, diventa centrale e concorrente nella risoluzione dei pro-

blemi urbani.

La Regione che, però, esplicitamente si pone il problema dell’immigrazione è solo una,

l’Abruzzo. Con la legge 64/99 la Regione ha previsto il Contributo per la realizzazione di Pro-

grammi di riqualificazione urbana. In questo caso gli interventi devono incentivare, oltre alle

azioni di recupero edilizio, soprattutto la messa a disposizione di alloggi a canoni sociali e la crea-

zione di strutture ricettive a basso costo, di alloggi in affitto a canone agevolato per lavoratori mo-

bili sul territorio e di alloggi destinati all’immigrazione di ritorno (art. 1, LR 64/99). La casa è, per-

ciò, letta e affrontata come uno degli elementi che determina la maggiore o minore integrazione

nel contesto urbano. Gli stranieri, infatti, almeno nel periodo iniziale, incontrano grandi difficoltà

nel reperire un alloggio. In linea generale, l’offerta loro destinata è quella residuale e nella mag-

32 Come ci ricorda anche la Costituzione del 2005 che sottolinea che “La potestà legislativa è esercitata – sempre– nel rispetto … dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.

33 Vedi Programma Urban I per il periodo di programmazione 1994-99 e il Programma Urban II per il periodo2000-2006.

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gior parte dei casi gli immigrati occupano le aree e gli alloggi per cui è venuta meno la domanda

da parte degli autoctoni (Sciortino, Colombo, 2003, p. 104). D’altra parte, a livello legislativo, la re-

golamentazione della questione abitativa è avvenuta “spesso rispondendo in maniera estempo-

ranea alle diverse manifestazioni di disagio sociale che di volta in volta emergevano” (Sciortino,

Colombo, 2003, p. 86)34. Inserire, direttamente, l’offerta per la popolazione straniera in un pro-

gramma di tipo urbanistico, quindi, è un gran passo in avanti, a dimostrazione della necessità di

affrontare globalmente politiche sociali e urbanistiche.

Sull’idea globale del miglioramento delle condizioni sociali delle città si pongono due

Regioni: Calabria ed Emilia Romagna. La Calabria ha introdotto i Programma d’area, finalizzati “…

alla valorizzazione di aree territoriali caratterizzate da peculiari situazioni economiche, sociali, cul-

turali ed ambientali, nonché di aree urbane per le quali appaiono necessari rilevanti interventi di

riqualificazione o di recupero, per la cui realizzazione sia necessaria l’azione coordinata ed inte-

grata di più soggetti pubblici o privati” (art. 40, LR 19/2002). L’Emilia Romagna, con la legge 19/98,

introduce il Programma di riqualificazione urbana che deve provvedere anche a: “l’arricchimento

della dotazione dei servizi, del verde pubblico e delle opere infrastrutturali occorrenti; la riduzione

della congestione urbana, garantendo l’accessibilità nelle sue varie forme; …la realizzazione di of-

ferta abitativa, con particolare riferimento a quella in locazione; la qualità sociale e nuova occu-

pazione qualificata” (art. 4, c. 3, LR 19/98).

Un caso a sé è la Campania che, nonostante sia la Regione che, per prima nel Sud Italia, ha

emanato leggi specifiche in materia di immigrazione (legge n. 10 del 1984) e sia l’unica che oggi,

con grande forza, continua a porre il problema dell’inserimento degli stranieri, nulla ha previsto

da questo punto di vista né nella Legge sul governo del territorio (LR 16/2004), né nelle sue

norme specifiche sui Programmi integrati (LR 3/96, LR 26/2002).

Le altre Regioni, invece, trattano la problematica del degrado, quasi esclusivamente come

degrado edilizio e solo in pochi casi si spostano sulla problematica del degrado funzionale. È il

caso della Regione Umbria che ha introdotto il programma urbanistico, uno strumento che può

assumere il valore di uni dei cosiddetti programmi complessi ed è finalizzato alla riqualificazione

urbanistica, da effettuare attraverso “interventi integrati in parti del territorio ove sono presenti

fenomeni di degrado edilizio, di abbandono, di dismissione, ovvero carenza di servizi e infra-

strutture”35.

Senza dubbio l’attivazione di programmi integrati, finalizzati alla rigenerazione dei quar-

tieri, che comportino l’intervento sui quartieri di edilizia pubblica, integrando differenti modelli di

intervento, è un risultato di per sé già importante. È chiaro però, che, nonostante questi casi ecce-

zionali, siamo ancora molto lontano dalla previsione di norme urbanistiche e di programmazione

che tentino di risolvere complessivamente la problematica della convivenza.

L’urbanistica, perciò, deve fare un passo in avanti. I tecnici della città, sulla scia delle indica-

zioni che arrivano anche dall’UE, devono “[…] realizzare un nuovo modello di città interetnica,

[…], una città in cui sviluppare relazioni sociali improntate alla comprensione ed al rispetto, […]

una città in cui, accanto al rispetto dei diritti delle minoranze, deve essere affermato il rispetto dei

doveri collettivi” (Beguinot, 2004, p. 6).

Il sistema di interventi che si deve realizzare è, naturalmente, quello classico della compe-

tenza urbanistica: si interviene sulla “città della pietra” e sulla “città delle relazioni”, con la consape-

volezza dell’impatto che ciascun intervento produce sulla “città del vissuto” (Beguinot, 1992).

Porre l’attenzione sulla componente fisica e strutturale non significa, tuttavia, trascurare la

necessaria azione sociale, in quanto si è consapevoli che l’ “oggetto urbano”, da solo, non è in

grado di produrre significativi mutamenti del sistema complessivo. In questo senso, il progetto

presuppone a monte un sistema politico di interventi, teso ad attivare e supportare le nuove “re-

lazioni sociali” per un’equa e pacifica convivenza interetnica.

Perché se è vero che alla pratica urbanistica si può attribuire la responsabilità di aver spesso

agito sulla “città della pietra”, trascurando l’azione sulla “città delle relazioni”, è anche vero che la re-

34 Ivi, pag. 86 e sgg.35 Vedi art. 28, c. 1, LR 11/2005.

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sponsabilità più grande dei ritardi che si registrano nel nostro ambito è da imputare alla gestione

della città, intendendo per gestione l’atto politico delle scelte ex ante e l’atto politico dell’ammi-

nistrazione ex post.

5.3 (RI)PROGETTARE GLI SPAZI URBANI DELL’AGGREGAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE

5.3.1 Design urbano e città interetnica

Considerando la città interetnica un luogo concreto, un ambiente fisico e una forma sim-

bolica del vivere associato, si prefigurano nuovi modelli di spazio urbano, riconcettualizzando, ri-

semantizzando quelli tradizionali e ri-progettando gli spazi pubblici della città contemporanea.

Gli individui, nello spazio urbano contemporaneo, non hanno più un vocabolario ricco di

immagini di segni e di elementi che permetta un dialogo espressivo, da qui la necessità di dar vita

a nuovi spazi pubblici “polisegnici” che solo la città “interetnica” può esprimere.

Il de-sign, come disciplina che dice ed opera con i segni, può tentare di “sincronizzare” i fe-

nomeni urbani attuali in rapporto allo sviluppo “diacronico” dal passato al futuro di una determi-

nata situazione, interpretando le scelte arbitrarie e forse involontarie, che ciascun individuo com-

pie nel suo essere nella città.

Il design urbano interetnico può essere una possibile fonte di significato spazio-culturale in

una realtà urbana “multiculturale”, in particolare, il design urbano può riconciliare tecnologia e cul-

tura, creando significati condivisi e riformulando lo spazio pubblico della città interetnica.

Lo spazio della città contemporanea è una realtà frenetica: “la nostra società in pochi anni

è passata da un modello caratterizzato dalla dinamica dei bisogni, ad un altro plasmato a quello

dell’estetica evolutiva di nuovi significati esistenziali” (Fagioli, 1994). Questa modernità è domi-

nata dalla velocità e dall’accelerazione, che inducono a processi di produzione e consumo sempre

più veloci. “Spazio tempo e velocità sono componenti fondamentali dell’essere umano…e della

città” intesa come “massima concentrazione dell’esperienza umana” (Beguinot, Cardarelli, 1992).

Pertanto, il progetto della città futura dovrà sempre più tener conto di questi elementi prioritari

nella vita di relazioni dell’uomo e nella vita urbana. La disattenzione, negli ultimi anni, a queste

componenti ha determinato una crisi culturale (di superficialità e banalità) della società; in tale

contesto il rapporto tra individuo e oggetto urbano è divenuto un problema di comunicazione, in

cui l’arte costituisce un mezzo fondamentale per la comunicazione interpersonale e sociale. Gli

elementi che compongono la città vengono esperiti e fruiti in modo distratto, sollecitando il desi-

derio verso nuove componenti espressive; in altri termini, gli individui a contatto con l’ambiente

urbano “non hanno più un vocabolario ricco di immagini e di elementi che permetta un dialogo

espressivo, ma hanno a disposizione solamente scarsi riferimenti in grado di arricchire questo

stesso linguaggio” (Beguinot, Cardarelli, 1992), da qui la necessità di dar vita a nuovi spazi pubblici

“polisegnici” che solo la città “interetnica”36 può esprimere.

Ci troviamo di fronte a un vero consumo delle immagini che ci sfiorano appena senza la-

sciare traccia significativa, è aumentata nell’uomo la capacità percettiva verso le figure che si sus-

seguono e si sovrappongono, ma è diminuita la capacità di osservare e memorizzare. Le immagini

sono diventate materiale privilegiato su cui lavorare perché in esse “c’è una forma di fatalità che

colpisce, determinando in ognuno di noi la comprensione istintiva del tutto” (Cremonini, 2000). Le

strade, le piazze, gli spazi pubblici collettivi rappresentano dimensioni reali dell’immagine vitale di

una città, anche se oggi essi non rappresentano più i luoghi dell’incontro, dove l’individuo può ri-

conoscere la propria condizione esistenziale quale parte integrante di una società; risulta sempre

più difficile trovare ambiti dove lo scambio di esperienze possa costituire un elemento base per la

creazione di un luogo.

36 La città interetnica è un luogo concreto, un ambiente fisico e una forma simbolica del vivere associato, rego-lata da un sistema di norme ampiamente condivise…la città interetnica è una forma di comunità, un desiderio, uno stiledi vita collettivo; (Tufano, 2006).

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La ricerca progettuale ed intellettuale deve formulare nuovi modelli di spazio urbano,

riconcettualizzando quelli tradizionali e ri-progettando gli spazi pubblici della città contem-

poranea.

Alla stratificazione della città nel tempo, ai diversi apporti che la storia deposita nel suo pa-

linsesto, è divenuto necessario affiancare una sorta di stratificazione della città in senso spaziale,

ossia i diversi apporti depositati dalla geografia ed in particolare dalla geografia delle migrazioni.

La città cristallizza le antiche configurazioni territoriali e, al tempo stesso, perpetua le prati-

che sociali delle generazioni precedenti; essa non dissocia, ma anzi fa convergere in uno stesso

luogo i frammenti di spazio e le abitudini derivanti da diverse epoche passate. Lo spazio urbano

mette in rapporto costante i continui, e apparentemente più insignificanti, adattamenti dei com-

portamenti cittadini con i ritmi più discontinui dell’evoluzione delle forme urbane (Olmo, Lepetit,

1995, p. 32).

Si ritiene che l’irrompere delle migrazioni nelle grandi città europee legittimi (nell’ambito

del progetto urbano) la convergenza di altri “frammenti di spazi”, di consuetudini insediative e

spaziali derivanti da altri luoghi, oltre che da epoche passate, come già accade nelle città storiche

di lunga tradizione. L’idea di métissage è in qualche modo costitutiva del paesaggio di pietra, ol-

tre che una direzione preferenziale nel movimento della cultura e della società.

Ad una nozione di contesto definita in senso diacronico (relativa alla storia della città),

andrebbe affiancata anche una parallela nozione di contesto definita dal punto di vista geogra-

fico (relativa quindi alla trama dei rapporti e degli scambi, delle influenze e delle contaminazioni,

dei transfert di modelli ed esperienze e del loro continuo riadattamento creativo alle condizioni

locali); ogni società capace di adattarsi e assimilare elementi nuovi è estremamente vitale.

F. Dei ritiene che non sia più possibile descrivere oggi i rapporti tra culture in termini di

autonomia, pluralità e relatività, ma piuttosto attraverso termini della giustapposizione e del

sincretismo.

Risulta difficile pensare ancora all’umanità come suddivisa in molteplici isole culturali,

distinte come le specie naturali, tendenzialmente autosufficienti, ci troviamo, al contrario, in una

situazione di comunicazione generalizzata: il mondo contemporaneo vede un enorme aumento

della mobilità, un rimescolamento demografico, una circolazione dei prodotti e delle conoscenze

senza precedenti. La globalità dei processi economici e politici crea reti di interconnessioni

che penetrano fin dentro i contesti locali più periferici. Tutto questo contribuisce a rendere i

confini culturali sempre più confusi e mutevoli; “la sistematica ibridazione, l’aggregazione di

tratti eterogenei in nuove e instabili configurazioni, è adesso la regola, non più soltanto la pa-

tologica distorsione di una presunta originaria purezza delle matrici culturali” (Dei, 1993, p. 68).

5.3.2 Lo spazio semiotico urbano

Il linguaggio è uno dei temi centrali che definiscono gli ambiti culturali di un luogo e di un

tempo, attraverso il processo semiotico l’uomo acquisisce conoscenze determinate, le mette alla

prova nell’azione, le rielabora, le modifica, insieme comunicando, perché il pensiero opera attra-

verso i segni.

Le città sono costituite da segni, oggetti materiali dotati di funzioni e significati; esse sono

insiemi complessi di entità materiali, il cui valore e significato muta in relazione con i cambiamenti

dell’ordine sociale.

“Gli oggetti artificiali fanno parte della totalità denominata cultura nella loro concretezza e

non soltanto, come siamo indotti a pensare, nella forma ideale. Ogni oggetto concreto è ricono-

scibile e significativo, perché consente di risalire alla pratica sociale, dal cui punto di vista è stato

prodotto. A partire da ciascun oggetto, dunque, per il tramite della funzione segnica ad esso as-

sociata, è possibile risalire alla prassi umana nella sua totalità e complessità” (Guarrasi, de Spuches,

Picone, 2002, p. 10).

Per potersi orientare nel mondo e agire in esso, gli esseri umani devono attuare un’opera-

zione di rappresentazione del mondo in cui vivono, anche attraverso segni.

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La tendenza della società contemporanea verso l’organizzazione dello spazio geografico a

scala planetaria rende sempre più esplicita una delle più peculiari funzioni urbane e sempre più

urgente il compito di esplorare l’universo dei segni che rendono possibile l’interazione tra uomini

di culture diverse e l’elaborazione di una mappa cognitiva che orienti l’azione degli esseri umani

in un mondo dotato di un grado così elevato di complessità.“L’esperienza urbana può essere vis-

suta dagli esseri umani, può essere espressa attraverso il linguaggio, può essere interpretata sulla

base di opere d’arte o di scienza, ma rimane comunque irriducibile a tutto questo. Sulla superficie

terrestre vi sono, dunque, luoghi che non si possono pienamente dire, perché non sappiamo com-

piutamente pensarli, sono luoghi che i nostri corpi possono soltanto abitare, essi sono le città”

(Guarrasi, de Spuches, Picone, 2002). Questi luoghi con la loro crescente complessità sollecitano

gli esseri umani e, in qualche modo, li abilitano a prendere coscienza, a elaborare linguaggi, a

creare nuove teorie e opere.

Giulio Carlo Argan (Zevi, 1994) ritiene che, sono gli uomini ad attribuire valore alle pietre e

valore ai dati visivi della città, “la funzione non dà significato, ma semplicemente la ragion d’es-

sere”. L’autore continua affermando che se, per ipotesi, si potessero rilevare e tradurre grafica-

mente il “senso” della città derivante dall’esperienza inconscia di ogni abitante, per poi sovrapporli

in trasparenza, si otterrebbe un’immagine molto simile ad un quadro di Jackson Pollock:“una spe-

cie di immensa mappa di linee e punti colorati, un groviglio indistricabile di segni”.

Argan individua una similitudine tra la linguistica (strutturalista) e l’urbanistica, ponendo il

fenomeno della formazione, aggregazione e strutturazione dello spazio urbano in analogia con

quello della formazione, aggregazione e strutturazione del linguaggio o, più precisamente, delle

diverse lingue. La configurazione urbana non sarebbe che l’equivalente visivo della lingua:“come

nella lingua anche, la dinamica del sistema urbano si fonda sulla relazione di segno significante e

di cosa significata, ma con una possibilità di movimento che può condurre ad un mutamento pro-

fondo sia dell’uno che dell’altra”. L’autore paragona la funzione urbana al discorso ritenendo la

funzione, la direzione di sviluppo, l’espressione dell’intenzionalità, l’accento assiologico che deve

accompagnare la progettazione dello spazio urbano. La funzione non è né arbitraria né è assunta

con finalità esclusiva di altre attività.

“Questo accento assiologico si orienta entro un orizzonte…, un campo molto vasto,… con

i suoi punti di riferimento affettivi o soltanto abituali, il suo insieme di segni e di segnali, i suoi

miti, i suoi riti, …con le sue immagini mnemoniche, percettive, eidetiche, con il suo confuso, pitto-

resco contesto. Nel quale sarà sempre possibile ritrovare il ritmo o la struttura dominante, quella

su cui è stata raggiunta una concorde attribuzione di valore”.

“Nessuno sa quel che sarà la città di domani. Forse perderà una parte della ricchezza se-

mantica che ebbe nel passato. Anche se la città futura funzionerà perfettamente, adattandosi alle

nuove condizioni di vita come le città medioevali rispetto all’esigenze dell’epoca, il suo valore se-

miologico non potrà essere conservato che con la convivenza degli abitanti…” (Zevi, 1996).

5.3.3 Il design urbano interetnico

Il design37 urbano può essere una possibile fonte di significato spazio-culturale in una

realtà urbana multiculturale38, che necessita sempre più di protocolli comunicativi e dispositivi di

condivisioni. L’obiettivo principale del design urbano è la qualità, in senso lato, della forma urbana

e del vivere collettivo; il suo ambito operativo è costituito da diverse parti della città: piazze,

strade, metropolitane, spazi pubblicitari, spazi ristretti o interstiziali, spazi vitali modificatisi casual-

mente che la collettività utilizza o aspira ad utilizzare, spazi relazionali e di comunicazione. Infine,

il design urbano, svincolato da dimensioni limitative, può risolvere problemi di configurazione e

37 Per design si intende quel valore formale che eleva la funzionalità ad esperienza estetica.38 Il multiculturalismo può essere inteso come una strategia di approccio sociale all’alterità che comporta il ri-

spetto delle differenze culturali. Il multicultiuralismo, così come definito da Ulrich Bech in un articolo di Repubblica del19/07/05,“celebra ed enfatizza entusiasticamente l’approccio sociale alla pluralità…, esso implica un’identità e una riva-lità essenzialistiche delle culture”.

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interrelazione spaziale, attraverso la gestione di rapporti percettivi tra elementi strutturali. La città,

come ambito operativo complessivo, diventa un insieme di ambienti regolati da un sistema rela-

zionale.

Ogni oggetto prodotto dall’uomo, nasce dall’incontro di un’idea con la possibilità della sua

realizzazione concreta, dipende contemporaneamente dallo sviluppo del pensiero (modelli men-

tali, strutture culturali, forme della conoscenza) e della tecnica (disponibilità dei materiali, processi

di trasformazione, sistemi di previsione e controllo). L’evoluzione tecnico-scientifica mette a dis-

posizione enormi possibilità con una velocità superiore alla crescita delle strutture multiculturali

in espansione, imponendo al designer la sperimentazione nel campo del possibile. I cambiamenti

sono repentini e le maggiori resistenze, difficoltà, derivano dalle nostre abitudini consolidate;

occorre lasciare che le flessibilità sociali modifichino le rigidità formali.

Il design urbano interetnico39 configura l’immagine coordinata della città regolando il si-

stema relazionale dei prodotti e servizi per la città multietnica.

La componente multietnica aumenta il grado di complessità del sistema città la cui trasfor-

mazione richiede una metodologia operativa più attenta alle differenze culturali; la domanda di

nuovi bisogni funzionali, psicopercettivi, affettivi, richiede un’attenta analisi e ricognizione di ele-

menti in fase di ideazione progettuale, attraverso:

a) l’elaborazione di “sensi” derivanti dall’adattamento culturale delle molteplici forme

spaziali;

b) la ricombinazione, il sincretismo delle differenze “etniche”, assumendole come ricchezza

semantica per la progettazione del “nuovo”;

c) la riconciliazione di tecnologia e cultura, producendo significati condivisi;

d) la riformulazione, la riconcettualizzazione dello spazio pubblico della città interetnica;

tutto questo mentre si tiene conto dei seguenti aspetti:

1) il dato tecnico;

2) l’elemento estetico;

3) componenti economiche-socio-culturali;

4) sistema relazionale degli elementi strutturanti lo spazio pubblico (edifici, alberi, strade,

piazze, illuminazione pubblica, giardini pubblici, sistemi informativi e pubblicitari):

– la loro distribuzione spaziale,

– i modi con cui essi agevolano le reciproche interrelazioni.

Il design urbano può consentire all’uomo di esperire, vivere lo spazio urbano, rappresen-

tandolo, attraverso segni linguistici differenti (d’arte o di scienza), che diventano riferimenti,“indi-

catori” fondamentali per la conoscenza e l’orientamento nella città.

Al fine di riconcettualizzare gli spazi pubblici tradizionali e ri-progettare gli spazi urbani

dell’aggregazione interetnica, il design urbano può agire sulle singole componenti e sullo stato

delle relazioni che insieme realizzano subsistemi urbani, lavorando su luoghi-simbolo aperti40, per

evitare formalizzazioni fisico/spaziali etnocentriche.

Nella prassi progettuale, di spazi pubblici interetnici, vi è il rischio di incorrere in stereotipi,

in “prototipi prefabbricati”41; pertanto, quelli che si prefigurano, sono luoghi collettivi (piazze,

strade, metropolitane, mercati, ecc.), dove saranno leggibili i contributi dei cittadini “vecchi” e

“nuovi”. In questi luoghi, mediante il design urbano si favorisce il processo di identificazione, ap-

propriazione e appaesamento, dando vita a sincretismi urbani42, a contaminazioni culturali e a

metissage di culture urbane terze, a spazi attrezzati “elastici”, spazi per la sedentarietà, ma anche

luoghi in cui agevolmente avviene il passaggio e la circolazione di mezzi e persone.

Per la progettazione e realizzazione degli spazi pubblici interetnici, si rende necessario pre-

vedere e configurare processi di autogestione dello spazio (interno ed esterno) che gli utenti (e gli

immigrati) possono operare per differenziarlo. Tale attenzione eviterà l’acculturazione forzata da

39 Inteso come l’iter progettuale che precede e prevede la realizzazione di un nuovo “prodotto” urbano per edella città interetnica.

40 Con tale termine si indica la propensione, la disponibilità al cambiamento e alla trasformazione.41 Rappresentazioni collettive, di segni, immagini e figure, riduttive, pronte all’uso.

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parte dei progettisti e delle istituzioni, assecondando, in tal modo, sia i bisogni cognitivi di orien-

tamento, sia i bisogni affettivi di identificazione spaziale, degli utenti. I processi di modellamento

dello spazio della vita sono per la specie umana fondamentali, radicali, proprio nel senso costitu-

tivo di radici (Signorelli, 1997).

Il design urbano, quindi, inteso come strategia progettuale deve interpretare lo spazio sen-

sibile, deve costituire una mediazione fra committente (pubblico, privato), prodotti e utenti, pro-

muovendo una qualità diffusa attraverso un’azione sistemica.

Uno degli obiettivi progettuali è la realizzazione di una qualità estetica comprensibile, per

le persone che aspirano a vivere in spazi confortevoli, funzionali e belli, attraverso la polivalenza,

la polifunzionalità e la polisemia dell’agire umano, superando la tendenza a far coincidere in

modo puntuale e univoco uno spazio e un’azione.

Gli elementi/oggetti di design urbano dovranno, perciò, essere “polisemici” e “polifunzio-

nali”, capaci di rispondere a esigenze e bisogni delle diverse comunità. La variabilità degli oggetti

di design urbano, l’identità metamorfica ottenuta attraverso configurazioni ibride (smontabile,

semi-chiuso, semi-aperto, mobile, ripetibile, autocostruito, effimero, ecc.), il tentativo del recupero

sensoriale dello spazio, (attraverso l’incremento degli spazi verdi), stimolano, raccontano, suggeri-

scono usi e soluzioni, senza mai imporre modalità o comportamenti ed evocano una quotidianità

giocosa, mediatrice tra uno spazio colto e uno popolare.

Come la land art tentò di interpretare “il nuovo paesaggio” così il design urbano interetnico

prova a dare figuratività allo “spazio nuovo”, attraverso oggetti “magici”, transcalari che aiutano a

comporre la conoscenza della città e del paesaggio interculturale. Gli oggetti, così progettati, co-

stituiscono elementi d’affezione in grado di dare identità e sicurezza alle persone che quotidia-

namente attraversano i luoghi, diventando importanti anche per il loro significato simbolico, oltre

che per la loro destinazione funzionale.

Facendo riferimento alla particolare lettura del paesaggio urbano di Kevin Lynch (Lynch,

1981; Lynch, 1977), si riportano di seguito alcuni temi progettuali (spazi/funzione) di design ur-

bano interetnico, esplicati attraverso “sei atteggiamenti progettuali”; su tali temi si potranno ap-

prontare i progetti di trasformazione urbana in chiave policulturale e sostenibile (Tufano, 2006).

– Il margine, inteso come catalizzatore di eventi dove le diverse culture proiettano bisogni

identitari;

– il confine, considerato un limite ridefinibile che determina sempre nuovi spazi, in opposi-

zione al concetto di barriera;

– la porta, il varco, con il quale s’intende superare il limite concettuale tra interno ed

esterno e, al contempo, segnalare e sottolineare la condizione psicologica ed emozionale

del transitare tra due spazi diversi43. A questi temi si associa la recinzione, altro oggetto

urbano da risemantizzare conferendogli sempre un ruolo interattivo tra chi sta “dentro”

e chi è “fuori”.

– il percorso, come metafora della conoscenza, della complessità e delle opportunità di

scelta, reinterpretando lo spazio statico/professionale in spazio dinamico della narra-

zione, in cui il vuoto diventa preminente rispetto al pieno.

La metodologia d’intervento individua sei “atteggiamenti” progettuali:

1) multifunzionalità, 2) permeabilità, 3) polisemia, 4) partecipazione, 5) estetica “prestazionale”,6) progetto del verde, per la trasformazione e la riqualificazione urbana, in chiave interetnica.

Il fine di questi “atteggiamenti” è quello di superare le barriere concettuali, fisiche e simbo-

liche mediante la ricomposizione e la ricombinazione sincretica degli elementi in gioco.

La somma casuale di oggetti, anche se singolarmente ben progettati, non configura auto-

maticamente un ambiente positivo, in quanto affollamento, sovrapposizioni e povertà di relazioni

possono negare ciò che ogni singolo oggetto afferma. Pertanto, ciascun atteggiamento, singolar-

mente e interrelazionato, caratterizza gli interventi di design urbano sincretico, nella loro articola-

zione spaziale.

42 Un processo che ricombina le differenze e le assume come ricchezza nel loro inusuale assemblaggio.43 I passaggi vanno reinterpretati, essi oggi si identificano quasi esclusivamente con la “soglia planetaria” del me-

tal detector.

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D’altra parte la città è qualcosa di più della somma dei suoi abitanti, essa si presenta come

sede di molteplici attività economico/politico e culturali che determinano interazioni e confronti

continui tra culture e subculture, con conseguenti elaborazioni di simboli e manifestazioni della

vita socio/culturale. Ciascun “atteggiamento” ha una valenza propria e una relativa alla sua ampli-

ficazione sistemica, quando, cioè, si attivano contemporaneamente più atteggiamenti.

Questa metodologia così strutturata costituisce un brief di design urbano sincretico ed in-

teretnico, per la definizione di concepts di spazi pubblici collettivi sostenibili e interrelazionali.

La tensione intellettuale e la ricerca progettuale non forniscono risposte univoche, solu-

zioni giuste, ma tengono viva la capacità di interrogarsi, di domandare, adeguando i quesiti a una

realtà urbana e sociale che per sua natura è votata al mutamento.

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cercare la multifunzionalitàdel singolo oggetto

La multifunzionalità aumenta sia le interazioni psico/percettive traoggetto e persona, che il numero di utenti, facilitando l’incontro; lerisposte degli oggetti non devono essere mai univoche o prescrit-tive ma, garantire un uso molteplice e sincretico.

La multifunzionalità, secondo una logica interetnica, risponde a dif-ferenti modalità d’uso degli oggetti legati a tradizioni e ritualità dif-ferenti.

cercare la permeabilità delle barriere

La permeabilità consente la percezione di uno spazio aperto e total-mente accessibile.

La permeabilità, secondo una logica interetnica, consente l’adatta-mento e l’autoappropriazione nello/dello spazio da parte di tutti.

cercare la polisemiadegli oggetti scultorei urbani

La polisemia favorisce l’arricchimento linguistico/formale dello spa-zio, anteponendo l’intensità alla densità (la qualità alla quantità), lacontinuità alla permanenza, favorendo, in questo modo, la realizza-zione di oggetti urbani, capaci di disegnare un’idea di interno purrestando all’esterno, attraverso soglie metaforiche il cui valore stanelle relazioni con l’ambiente circostante.

La polisemia, secondo una logica interetnica, relativizza le “certezze”delle singole culture che, giustapposte innescano un processo di au-tocritica e autoironia, favorendo il sincretismo urbano/spaziale.

cercare la partecipazione creativaper la progettazione dello spazio

pubblico

La partecipazione offre possibilità di autoprodurre oggetti per ri-qualificazione urbana.

La partecipazione, secondo una logica interetnica, consente unamolteplice autorappresentazione dello spazio, l’integrazione, non-ché lo scambio interculturale.

cercare il risultato esteticodelle caratteristiche tecniche e prestazionali degli oggetti

Il risultato estetico consente di realizzare forme essenziali e innova-tive, sfruttando le reali possibilità di interferenza e coesione tra set-tori disciplinari contigui (design, architettura, urbanistica, ingegne-ria) attraverso un approccio sistemico e transcalare.

Il risultato estetico, secondo una logica interetnica, permette la rea-lizzazione di forme “nuove per tutti”, in quanto prive di strutture lin-guistiche preconcette.

cercare di incrementare il “verde”con elementi singoli, molteplici

o allusivo/simbolici

Il “verde” risponde a un bisogno psico/fisico individuale e collettivo,aumentando la qualità degli spazi urbani.

Il verde, secondo una logica interetnica favorisce l’appaesamentodei nuovi cittadini.

5.4 RIFERIMENTI

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5.4.2 Legislazione

Legge 18 aprile 1962, n. 167, Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economicae popolare.

Legge 27 luglio 1978, n. 392, Equo Canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani.Legge 5 agosto 1978, n. 457, Norme per l’edilizia residenziale.Legge 4 dicembre 1993, n. 493, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398,

recante disposizioni per l’accelerazione degli investimenti a sostegno dell’occupazione e per la semplifi-cazione dei procedimenti in materia edilizia. Ecologia.

D.M. LL. PP. 21 dicembre 1994, Programmi di riqualificazione urbana a valere sui finanziamenti di cui all’art. 2,comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, e successive modificazioni ed integrazioni, integrato dalD.M. 29 novembre 1995.

D.M. LL. PP 22 ottobre 1997, Approvazione del bando di gara relativo al finanziamento di interventi sperimen-tali nel settore dell’edilizia residenziale sovvenzionata da realizzare nell’ambito di programmi di recuperourbano denominati “Contratti di quartiere”.

Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali.Disegno di legge n. 3519 “Principi in materia di governo del territorio” VIII Commissione Ambiente e Lavori

pubblici, approvato dalla Camera dei Deputati il 28-06-2005.LR Abruzzo 09 agosto 1999, n. 64, Contributo per la realizzazione di programmi di riqualificazione urbana.LR Calabria 16 aprile 2002, n. 19, Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - Legge Urbanistica della

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in attuazione della legge 17 febbraio 1992, n. 179.LR Campania 18 ottobre 2002, n. 26, Norme ed incentivi per la valorizzazione dei centri storici della Campania e

per la catalogazione dei Beni Ambientali di qualità paesistica. Modifiche alla Legge Regionale 19 febbraio1996, n. 3.

LR Campania 22 dicembre 2004, n. 16, Norme sul governo del territorio.LR Emilia Romagna 3 luglio 1998, n. 19, Norme in materia di riqualificazione urbana.LR Emilia Romagna 24 marzo 2000, n. 20, Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio.LR Lombardia 4 luglio 1986 n. 22, Promozione dei programmi integrati di recupero del patrimonio edilizio

esistente.LR Lombardia 12 aprile 1999, n. 9, Disciplina dei programmi integrati di intervento.LR Lombardia 15 gennaio 2001, n. 1, Disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso di immobili e norme per la

dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico.LR Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, Legge per il governo del territorio.DPGR Toscana 9 febbraio 2007, n. 3/R, Regolamento di attuazione delle disposizioni del Titolo V della legge

regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio).LR Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, Tutela ed uso del suolo.LR Umbria 22 febbraio 2005, n. 11, Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica co-

munale.

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Capitolo 6

L’architettura possibile per la città multiculturale

Partendo dall’enunciazione dei pregressi “multi-errori” istituzionali e tecnici nella creazione di una

città interetnica: aperta, libera e multiculturale, Francesco Bruno manifesta la necessità di agire

alla scala architettonica senza fuorvianti demagogie ma affrontando la progettazione con una rin-

novata multiculturalità, intesa come predisposizione alla ricchezza semantica. Nelle periferie, dove

l’identità urbana appare più debole e le marginalità sociali più marcate, si individua nel recupero de-

gli spazi pubblici la chiave per la realizzazione di una rete dei luoghi per l’interazione culturale. I

casi studio a Milano, di Eleonora Giovene di Girasole, e a Napoli, di Marco Cante, mettono in evidenza

come si possano costruire nuove identità urbane che favoriscano la socializzazione mediante un’ar-

chitettura del dialogo che privilegi il recupero, la ri-modellazione e la ri-semantizzazione piuttosto

che l’addizione.

6.1 LA CITTÀ MULTICULTURALE E MULTIETNICA ED I PREGRESSI MULTI-ERRORI

6.1.1 Progettare per la città interetnica: aperta, libera e multiculturale

La città multiculturale è una realtà. La composizione multietnica della popolazione, già da

tempo carattere peculiare di città come Londra, Parigi, Amsterdam, Lisbona, per limitarsi

all’Europa, si riscontra da qualche anno anche nelle città italiane. Nelle prime come risultato di un

lento, anche se difficile, processo di integrazione con immigrati dalle colonie asiatiche o africane

nelle nostre città per effetto dei grandi processi migratori da paesi poveri o sottosviluppati di

quegli stessi continenti. La differenza non è secondaria per quanto concerne l’accoglienza, la ri-

cettività, l’integrazione e la stessa politica sociale dell’abitare. Aspetti che, ancorché difficili nel

primo caso, hanno portato a situazioni drammatiche e conflittuali nel secondo.

In città come Londra, Parigi, Amsterdam l’integrazione è avvenuta nel tempo, con la forma-

zione di nuclei operosi e stanziali di diverse etnie che, pur tra mille difficoltà, hanno costituito co-

munità con proprie identità culturali e religiose pur integrandosi nelle scuole di formazione e nel

lavoro. Col tempo queste città, connotate da robusta tradizione formativa, industriale ed econo-

mica, sono state prescelte come sede di studio e di lavoro da cittadini abbienti – studiosi, profes-

sionisti, artisti, investitori finanziari – di quelle stesse etnie. Nelle migrazioni verso il nostro paese

non si è ancora verificato, se si eccettuano casi sporadici, tale essenziale mescolanza di livelli so-

ciali che, ed è questo un aspetto ancor più inquietante, resta assente anche per le migrazioni da-

gli stati della stessa comunità europea allargata o dai paesi balcanici: gli immigrati per la massima

parte sono ascrivibili solo alla categoria dei diseredati, di culture diverse e di altre etnie. Questo

aspetto complica e rende più difficili i processi di integrazione che vengono ostacolati da fatti di

cronaca negativi esaltati dai media.

La globalizzazione, se inquadrata come fenomeno relazionato ai cambiamenti sociali, alle

inclusioni e mescolanze di popoli diversi per culture e religioni, include la moderna città multicul-

turale e multietnica e, in tal senso, trova origini lontanissime nella storia del pianeta.

Agli effetti ritenuti negativi della globalizzazione, e mi riferisco soprattutto alla perdita pro-

gressiva d’identità, di tradizioni, di tecniche nell’architettura, si contrappone in positivo il fascino,

la meraviglia, l’edificante arricchimento indotto dal vivere la mescolanza culturale ed etnica, in

una società aperta e sprovincializzata. Il fenomeno non è nuovo e, in forme diverse, aveva interes-

sato anche il mondo antico e città come Tebe, Alessandria, Atene, Roma.

In epoca moderna in città come Londra o Parigi un ricordo pregnante di molti anni fa resta

la “scoperta” di indiani, cinesi, africani da Harrods piuttosto che nella Gallerie Lafayette, nel Metro

o nell’UnderGround, nei loro costumi esotici e per noi originali, che riportavano a favole e letture,

a sogni e fantasie di infanzia innocente, in una babele di lingue e di idiomi.

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Nelle nostre città medie e grandi, di contro, il contatto con altre culture e con uomini e

donne dalla pelle di diverso colore lungi dal rinviare alla meraviglia dei racconti di Salgari e Verne

o alle favole di Mille e una notte ha prodotto, per i motivi appena accennati, solo un disagio reci-

proco e, in alcuni casi, l’accentuarsi del degrado ambientale delle periferie ha alimentato l’intolle-

ranza e ha reso ancor più difficile una integrazione sostenibile.

Per la verità viene da chiedersi: che senso ha il gran parlare d’integrazione multiculturale e

multietnica in una città come Napoli, e non solo, dove la “politica sociale” ha operato, e continua

in tal senso, un’autentica ghettizzazione dei ceti meno abbienti, concentrati nelle periferie di

Secondigliano, Scampia, Ponticelli, in mega quartieri privi di servizi e di luoghi di aggregazione?

Come spesso accade, l’attenzione accentuata verso problemi di respiro internazionale o

mondiale, come quelli prodotti dalle grandi migrazioni nei paesi più industrializzati, attenzione

esaltata in maniera paradossale dai mass media, esorcizza quelli gravi e irrisolti da tempo, come il

degrado delle nostre periferie o lo storico abbandono dei campi rom: nel primo, come conse-

guenza di “progetti” e non di crescita casuale, si è negata qualsiasi integrazione tra ceti sociali di-

versi, nel secondo si è ritenuto per secoli che i nomadi non avessero il diritto ad ospitalità ed a ser-

vizi per i loro campi, lasciandoli emarginati, con i bambini che continuano a bruciare nelle barac-

che. Errori di portata enorme e colpevolmente attribuibili ad amministrazioni incapaci e ad errate

scelte di politica urbanistica. Basta ricordare che Napoli, nei secoli in cui meno attenta era l’atten-

zione ai problemi di integrazione e di assistenza ed inesistente era la “corretta politica sociale”,

aveva trovato un equilibrio straordinario con la mescolanza dei ceti sociali diversi in quartieri per

niente conflittuali, seppur con netta differenza tra abitazioni povere e grandi appartamenti nobi-

liari, con mescolanza di nuove costruzioni medio borghesi a preesistenti vecchi edifici occupati

nel tempo dal proletariato operaio.

Ecco quindi che il progetto per la città interetnica può forse aiutare a risolvere nel contempo

consolidate e pregresse condizioni di isolamento e segregazione di molti quartieri periferici e di

tanti campi nomadi organizzati nel fango, sotto i cavalcavia dei raccordi autostradali, tra i cumuli

di spazzatura, privi di qualsiasi infrastruttura più elementare.

Si pongono allora alcune domande, a mente aperta. Che ruolo può assumere l’architettura

come disciplina in questi problemi? Come affrontare il progetto urbanistico per una città da ar-

ricchire per il confluire in essa di culture, religioni etnie diverse? Come intervenire sugli spazi ur-

bani senza tradirne la storia, le stratificazioni peculiari delle architetture? Come correggere gli er-

rori perpetrati dall’urbanistica con la realizzazione di quartieri dormitorio nelle periferie, esatto

contrario dei caratteri urbani, prima ancora che aspettativa per convivenza interetnica o multicul-

turale? Che idea di città ci può avvicinare alle innocenti favole sulle diverse popolazioni della no-

stra infanzia? Possiamo immaginare una città o un quartiere ideale, Ecumene dell’abitare e del vi-

vere? Ed infine: hanno senso queste domande se riferite al progetto di architettura?

Forse queste domande non hanno molto senso o, forse, per esse vale una semplice rispo-

sta. Una buona architettura e spazi urbani di buona qualità sono le uniche premesse per consen-

tire l’integrazione funzionale e l’integrazione sociale, anche tra culture diverse, tra più etnie.

Non ha invece senso, ma è solo una mia opinione, progettare una “multi-sala” per diversi

culti religiosi, per consentire a cristiani, ebrei, mussulmani di incontrarsi in un luogo della città:

pura demagogia… politica e architettonica che nulla ha a che vedere con i veri problemi per una

città aperta, libera, multiculturale. Ha invece senso il progetto di spazi urbani, con funzioni com-

plesse e integrate, che, per qualità e caratteri agevolino l’aggregazione e gli incontri tra donne e

uomini indipendentemente dal culto professato, dal colore della pelle, dai tratti somatici, che, in

definitiva, consenta il manifestarsi dell’appartenenza senza conflitti.

I contatti via internet sono quelli preferiti dalle nuove generazioni. Che lo condividiamo o

no, per queste nuove forme di socializzazione è necessario progettare nuovi “luoghi” urbani: la ge-

nerazione dei nostri padri aveva le “sale corsa” o le “sale biliardo”, progettiamo sale multimediali

per aiutare la crescita della città multiculturale. Ed è questo solo un esempio.

Pensiamo a Scampia: un quartiere nato senza piazze e centri di aggregazione, con strade

che lambiscono recinzioni di lotti invece di cortine di edifici, privo di attività commerciali, di uffici,

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di luoghi per l’aggregazione ed il tempo libero, in continua crescita per “lotti” di nuove abitazioni,

destinate ad una sola classe sociale: è facile definire un simile luogo una non-città. Le “Vele” dopo

quaranta anni di assoluto abbandono, in un quartiere sbagliato per dimensione e per imposta-

zione progettuale, vengono identificate con il disagio sociale e diventano, per i mass media e,

quindi, per la pubblica opinione, la causa del degrado: i “mostri”, sbattuti in prima pagina, vengono

quindi condannati a morte!

Per fortuna la catarsi per le colpe pregresse, pur nella convinzione del capo dell’Am-

ministrazione Comunale a continuare l’opera demolitrice, vede significativi programmi e inter-

venti in atto, con il Piano di Recupero della Periferia Nord, redatto dal Servizio Valorizzazione delle

Periferie Urbane del Comune di Napoli.

Questa area di una città “difficile”, esempio campione del disagio nel quale vive l’ampia pe-

riferia, sia quella progettata che quella abusiva, è stata assunta come tema di studio per due ri-

cerche parallele che vedono l’architettura come protagonista e l’integrazione – per funzioni e frui-

zione – rappresentare l’obiettivo da perseguire.

6.1.2 I casi studio a Milano e a Napoli

I casi studio che si espongono in questo capitolo riflettono sul tema del disagio abitativo e

del degrado urbano nelle periferie multietniche, con particolare riferimento all’esperienza mila-

nese, proponendo il quartiere Stadera come caso studio. Inoltre, si espongono, in forma sintetica,

due proposte progettuali per la periferia nord di Napoli, caratterizzata dal disagio sociale e dal de-

grado urbano preesistenti, su cui si sono innestate le dinamiche multietniche. I due progetti d’in-

tervento sulla periferia napoletana vengono rivisitati attraverso la chiave di lettura della città in-

teretnica offrendo spunti di riflessione e traendone indicazioni metodologiche per la città multi-

culturale.

Il progetto di riqualificazione del “Lotto M”1 (quello delle Vele appunto), elaborato con

Marco Cante ed Eleonora Giovene di Girasole sviluppa una proposta alternativa all’abbattimento

delle Vele: sostenendo la non “mostruosità” delle Vele come architettura. Si propone il recupero

per fini che escludono, come per altro deliberato dell’Amministrazione comunale, la destinazione

ad edilizia pubblica. In tale prospettiva, con attenta verifica, i grandi edifici vengono assunti quali

poli che, ad alta concentrazione semantica, valgano a riorganizzare il sistema insediativo generale

secondo gli obiettivi sopra enunciati.

Il progetto di una piazza, risultato di una Gara bandita dall’Amm.ne Comunale2, si sviluppa

al confine dello stesso Lotto M e delle Vele ancora supersiti, alla confluenza di via Gobetti con il

Viale della Resistenza che costeggia il Parco di Scampia. Intervento misto, pubblico-privato, che

prevede la realizzazione oltre che della Piazza, di una Galleria Commerciale (includente un super-

mercato, uffici professionali e della pubblica amministrazione, negozi). Prospiciente la piazza un

edificio a due livelli prevede un centro sociale destinato a Laboratorio anziani-giovani, luogo d’in-

contro, di assistenza e promozione, aperto a mostre e conferenze e, al piano terra, un grande spa-

zio per attività commerciali di tipo mediatico. La piazza inoltre si proietta sul parco con un Teatro

all’aperto, integrato alla stessa piazza ed alla Galleria Commerciale. Infine il progetto prevede l’in-

tegrazione di tali funzioni con circa 140 alloggi di tipo pubblico e privato.

1 Il contributo espone i risultati di una ricerca condotta nel 2004/2005 da Francesco Bruno, Marco Cante eEleonora Giovene di Girasole, nell’ambito della Convenzione tra il Dipartimento di Progettazione Urbana e il Comune diNapoli per la “Consulenza Tecnico-Scientifica alla redazione del Piano Urbanistico Esecutivo per la trasformazione delLotto M in Scampia”. Per il Dipartimento di Progettazione Urbana dell’Università degli Studi Federico II di Napoli, il pro-fessore Antonio Lavaggi ha impostato la propria attività di coordinamento per la consulenza, valutando aspetti di meritonel fornire un quadro complessivo rispetto alle alternative recupero-demolizione, a cui hanno lavorato due sottogruppielaborando rispettive proposte progettuali in termini di abbattimento/ricostruzione o di recupero delle “Vele”, come nelcaso del nostro lavoro.

2 Il gruppo di progettazione è costituito da Francesco Bruno (coordinatore), Giampaolo Lavaggi, FrancescaLavaggi, Marco Cante. Per l’ingegnerizzazione il gruppo si è avvalso della Società Servizi Integrati s.r.l. (coordinatore in-gegnere Nicola Salzano de Luna), un’Associazione Temporanea d’Imprese, capitanata dalla Brancaccio Costruzioni S.p.a.,è aggiudicataria per la realizzazione e la gestione.

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6.2 (RE)INTERPRETAZIONE DELLE CITTÀ: IL RUOLO DEL PROGETTO NELLA SOCIETÀ MULTICULTURALE

Nelle città italiane, ed in particolare negli ambiti periferici, sono in atto fenomeni di trasfor-

mazione dovute all’insediamento di nuove etnie con differenti culture e modi di vivere che impli-

cano un ripensamento della fisionomia delle città in chiave multiculturale, indagando i bisogni ed

i desideri dei nuovi arrivati. Contemporaneamente proprio nelle periferie assistiamo a fenomeni

di degrado e disagio abitativo causato dalla pianificazione urbanistica che, negli ultimi cinquanta

anni, è stata lo strumento con il quale spesso si è attuata la segregazione e l’emarginazione so-

ciale delle fasce più deboli e con cui si è realizzato il tipo di sviluppo urbano che ha prodotto città

e quartieri sempre più estranei agli abitanti.

Ci si ritrova, quindi, con ampie zone delle nostre città che necessitano di importanti inter-

venti di riqualificazione, ma che, proprio per la loro caratteristica di essere particolarmente flessi-

bili, ben si prestano all’accoglienza di persone con culture ed esigenze diverse. In questa ottica si

avverte la necessità di procedere ad una revisione qualitativa di questi luoghi iniziando a conce-

pire lo spazio urbano, abitativo e relazionale, in modo differente, pensando ad una cultura dell’in-

novazione che veda la presenza di culture diverse non come deficit, ma come un’opportunità di

riprogettazione sociale e spaziale, trasformando questi ambiti in luoghi con nuove e più com-

plesse identità, attuando una contaminazione culturale e spaziale. Questo a fronte di anni di poli-

tiche settoriali, che hanno visto la questione dell’immigrazione solo come un fenomeno da ge-

stire secondo le logiche del contenimento e della riduzione dei possibili conflitti.

In Italia, se ancora non si è sviluppata una adeguata “cultura multiculturale”, di interesse è

l’esperienza del Programma di Riqualificazione Urbana del quartiere Stadera a Milano, in cui si è

realizzata una nuova gestione del patrimonio pubblico da parte del Comune con la collabora-

zione del Terzo Settore, in un progetto sperimentale di recupero e ristrutturazione di abitazioni

pubbliche e di successiva assegnazione a famiglie immigrate o italiane con difficoltà di accesso

alle case in fitto del libero mercato.

Il tentativo è di ragionare sulla re-interpretazione delle periferie in chiave multiculturale. In

questa congiuntura, il ruolo dell’architetto e del progetto di architettura diventano fondamentali

per la riqualificazione urbana ed edilizia di questi luoghi, interpretando le nuove richieste della

multiculturale società contemporanea, realizzando interventi caratterizzati da una maggiore com-

plessità spaziale espressione proprio della nuova comunità ed in cui questa si può riconoscere3.

6.2.1 Città multiculturale: nuove identità ed evoluzione dei bisogni

I territori sono sempre stati l’esito di un processo, un sistema relazionale fra ambiente fisico,

costruito e antropico, che ha prodotto un insieme di luoghi dotati di “profondità temporale, di

identità, di caratteri tipologici, di individualità [ovvero] sistemi viventi ad alta complessità”

(Magnaghi, 1998, p. 4). Cioè la città nel corso dei secoli si è evoluta secondo la logica della “conti-

nuità” e della “sovrapposizione”, in cui la morfologia urbana e la gerarchia dei luoghi si definivano

in base al mutare dei fenomeni sociali ed economici, secondo relazionalità indipendenti con il

luogo e con le sue qualità ambientali, culturali, identitarie.

Proprio nelle nostre città sono in atto, negli ultimi decenni, fenomeni di trasformazione do-

vuti sia ai cambiamenti che si sono avuti nella società italiana e nelle sue esigenze, sia all’insedia-

mento di nuovi gruppi etnici con differenti culture e modi di vivere4, che lasciano un segno, inci-

dendo in modo continuo, dinamico e profondo sulla struttura e sulla forma delle nostre città.

3 Il contributo è un approfondimento degli studi e delle ricerche che ho condotto con il prof. Corrado Beguinotnell’ambito del Corso Sperimentale di Alta Formazione in “Pianificazione e governo delle trasformazioni della città inte-retnica europea”, organizzato nel 2004 dalla Fondazione Aldo della Rocca, e delle sperimentazioni e delle ricerche sulla ri-qualificazione delle periferie che ho svolto con il prof. Francesco Bruno nel Dipartimento di Conservazione dei BeniArchitettonici ed Ambientali dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

4 I processi migratori contemporanei, nonostante la presenza di elementi di continuità con il passato, sono ca-ratterizzati da significativi elementi di novità rispetto a quelli dell’800 e della prima metà del ‘900. Molto più ampie sonole dimensioni delle migrazioni ed è diverso il contesto in cui avvengono i processi migratori (non più quello dell’indu-

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Questa problematica si sovrappone, spesso, a realtà locali già complesse dal punto di vista

sia sociale che economico e fisico, rendendo ancora più difficile la gestione dei conflitti. La collet-

tività tende a ricollegare a questa condizione un’immagine negativa dell’immigrato, consideran-

dolo come un peso o, addirittura, come una minaccia a livello sociale, poiché la sua presenza in-

troduce degli elementi di squilibrio all’interno degli equilibri più o meno consolidati in ambito lo-

cale. Bisogna, invece, iniziare a considerare l’immigrazione come un fattore di arricchimento per

tutta la società sul piano economico, sociale e culturale; se questo non accade gli immigrati con-

tinueranno ad essere collocati ai margini della società civile, inserendosi proprio in quelle realtà

negative che generano i rilevati atteggiamenti di diffidenza e ostilità e continueranno, altresì, a

concentrarsi proprio nelle periferie urbane e nei quartieri più poveri delle città: segno di un’emar-

ginazione anche fisica, oltre che sociale (Mistretta, 2003).

La stabilizzazione dell’alloggio, insieme all’occupazione, costituisce uno dei fattori di inte-

grazione sociale per gli immigrati, che si ritrovano nelle società di arrivo con il difficile ma normale

e quotidiano sforzo di integrare se stessi nel mondo del lavoro, nella scuola, nella politica, nella so-

cietà. La domanda abitativa, tipica di questa fase dell’immigrazione, è caratterizzata, nella mag-

gioranza dei casi, dalla richiesta di affitti di tipo economico o molto economico che si scontra, in

molte aree urbane, con la ristrettezza dell’offerta e del relativo mercato degli affitti5. Con-

temporaneamente il disagio abitativo non emerge (solo) come carenza quantitativa assoluta di

alloggi, ma come inadeguatezza prestazionale del patrimonio abitativo esistente, considerato in

rapporto alla rinnovata struttura multiculturale della popolazione e delle sue esigenze, che si ma-

nifestano con nuovi usi del territorio, nuove reti relazionali e un diverso senso collettivo dell’abi-

tare. Queste trasformazioni impongono un ripensamento della fisionomia delle città, in funzione

di nuove necessità che sono, principalmente, quelle di maggiore qualità dell’ambiente costruito,

di integrazione sociale e di civile coesistenza.

L’arrivo di popolazione straniera ha, quindi, determinato un forte impatto demografico e, di

conseguenza, ulteriori domande, che non sono state finora sufficientemente considerate all’in-

terno delle politiche sociali; questo ha fatto prevalere le logiche dell’assistenza e dell’emergenza.

Ma la realizzazione di una città multicultare non è un processo tecnico-amministrativo che ri-

sponde alle urgenze in modo settoriale (prima accoglienza, integrazione nel mondo del lavoro,

abitazione, ecc.) secondo le logiche della segmentazione e della separazione, ma un processo che

tiene conto della complessità del termine “abitare”, di uomini e donne con culture diverse, parte-

cipi però del medesimo futuro. Abitare6 ha, infatti, un significato molto più profondo del verbo ri-

siedere; significa “mettere radici”, accumulare legami mentali e affettivi, che nel tempo portano

l’individuo ad identificarsi e a sviluppare un senso di appartenenza sia al luogo che alla comunità

che si è creata (Gravagnuolo, 2005). L’appartenenza ad un ambiente sociale ha la sua corrispon-

denza nel ritrovarsi in insediamenti densi di significato, espressione della cultura di tutta la comu-

nità, che oggi è una multiculturalità, in cui legittimare le differenze e rimuovere i pregiudizi reci-

proci. Questo significa identificare nell’altro diverso da se (in un reciproco riconoscimento) una

persona o un gruppo portatore di dignità, di senso, di cultura e, quindi, non solo un nemico da co-

lonizzare o da segregare nei luoghi del “diminuito diritto di cittadinanza”.

Quello che manca è un pensiero sulla città multiculturale senza il quale non si può realiz-

zare un progetto per la città multiculturale. Le città hanno, infatti, una materialità, data dal loro tes-

suto, da ciò che è tangibile sia fisicamente che visivamente, ma anche una immaterialità data dal-

strializzazione, bensì quello della globalizzazione e della terziarizzazione), più complesse e diversificate sono le motiva-zioni che li attivano e, soprattutto, appaiono nuovi i caratteri sociali e culturali dell’immigrato contemporaneo: alto livellodi qualificazione media, appartenenza alla cultura urbana, capacità di gestione di materiali culturali e di linguaggi dif-formi tra loro, ecc. (d’Andrea et al., 2002).

5 Gli immigrati spesso si trovano costretti a vivere, a parità di reddito, in abitazioni di livello qualitativo inferioreagli utenti italiani o più costose. Secondo il rapporto condotto dall’ARES (2000) il canone medio per gli immigrati è, a se-conda delle città, del 60-70% in più rispetto al canone medio concordato, e del 25% in più rispetto al canone medio li-bero; inoltre nell’80% dei casi i contratti sono in nero.

6 La distinzione tra (wohnungsfrage e wohnungswesen) la domanda d’alloggio e l’essenza dell’abitare, propostada Rudolf Eberstadt.

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l’energia delle persone che la vivono e dalla loro sinergia; questo comporta necessariamente os-

servare e analizzare la città con la sue dinamiche entro una dimensione più ampia lavorando sulle

proprietà dello spazio e su quello che questo rappresenta o dovrebbe rappresentare per la sua

comunità. L’intento è quello di costruire luoghi che hanno una propria identità, cultura, che favo-

riscono l’equità e l’integrazione, che tramite un equilibrio dinamico sono capaci di riprodursi in un

processo che si perpetua nel tempo producendo capitale sociale.

Per costruire la città multiculturale bisogna, quindi, lavorare sulla civile coabitazione tra cul-

ture e saperi diversi e sulla ri-definizione della sua parte materica, tramite interventi di riqualifica-

zione sia a livello urbano che edilizio, in risposta alle mutate e plurali esigenze della popolazione

contemporanea, costruendo tramite la partecipazione di tutta la popolazione – che esprime la

sua cultura, i suoi valori, i suoi simboli, i suoi stili di vita – un senso collettivo condiviso e luoghi in

cui si possano identificare. Rimettere, quindi, in discussione l’impianto degli insediamenti interve-

nendo sull’esistente e dando forza ai segni delle comunità, ridando qualità agli spazi insediati,

così da realizzare un senso di riconoscimento comune ai luoghi dell’abitare.

Elemento fondamentale è, quindi, la partecipazione attiva degli abitanti alla definizione de-

gli obiettivi e dei programmi, offrendo loro ascolto e ruolo di protagonisti, in modo che diventino

il vero motore della rigenerazione urbana, recuperando, quindi, le capacità di iniziativa dei resi-

denti, sostenendo l’integrazione di nuovi gruppi sociali portatori di molteplici valori, aiutandoli,

tramite il confronto e la conoscenza, a trasformarsi in comunità.

Il processo partecipativo porta anche alla crescita delle capacità e degli stimoli progettuali,

in quanto la multiculturalità diventa una risorsa capace di arricchire gli insediamenti dei segni

delle nuove identità e dei modi di concepire l’abitare, tramite usi inediti dello spazio e innovazioni

delle forme esistenti, contrapponendosi all’omologazione degli insediamenti esistenti. Con-

temporaneamente, diventa un percorso privilegiato per consolidare l’accettabilità sociale dei pro-

cessi di trasformazione innescati dalla riqualificazione.

In questo senso, possiamo considerare il quartiere come lo spazio vitale strategico per la

definizione di politiche di sviluppo urbano sostenibile, in quanto espressione di una comunità e

manifestazione dell’identificazione della popolazione con il proprio spazio. Il quartiere può essere

ritenuto come un sistema sociale in grado, con la sua capacità auto-referenziale, di descrivere e di

riflettere su se stesso a partire da valori condivisi. Infatti,“i valori di una società non si limitano ad

essere un’aggregazione dei valori di ciascun gruppo di stakeholder, ma sono quelli che emergono

dal dialogo costruttivo ed auto-riflessivo che si svolge all’interno della società stessa: si tratta di

valori che consentono l’integrazione dal punto di vista sociale e riflettono l’identità di ciascun

gruppo” (Cerreta et al., 2003, p. 36).

Queste premesse modificano la natura degli interventi che non si configurano più come

mera produzione di quantità residenziali ma diventano progetto di coesione e di solidarietà so-

ciale. Una comunità, quindi, che nella ricerca di valori condivisi, realizza il suo ambiente in armo-

nia con se stessa.

6.2.2 Le aree periferiche come luoghi di nuove identità urbane

I quartieri periferici delle città contemporanee, se in passato sono stati interpretati solo

come luoghi ad “una dimensione”, oggi appaiono contraddistinti da una nuova immagine, come

aree non sempre marginali, aree di nuove centralità (embrionali o evidenti), aree di nuova identità

(Bellicini, 2003) e relazioni, con comunità locali radicate, con proprie specifiche regole insediative

che presentano segni di un processo di stratificazione storico-sociale arricchito dall’arrivo di

nuove etnie con culture diverse, che sono stati in grado di portare senso a molti luoghi della pe-

riferia.

In particolare gli ambiti periferici, caratterizzati da un ampio grado di flessibilità, sia dal

punto di vista morfologico che funzionale, possono, in una realtà attualmente caratterizzata dalla

presenza di culture diverse – e quindi con esigenze diverse – essere individuati come luoghi pri-

vilegiati per l’accoglienza della popolazione immigrata.

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Non si tratta di realizzare quartieri monoetnici ma incentivare il processo abitativo ed inse-

diativo, già innescato dalla popolazione immigrata7, avviando una coabitazione tra popolazioni

diverse, dando vita ad una contaminazione culturale e spaziale che porti a disegnare una nuova

geografia di spazi pubblici e di relazioni.

Queste contaminazioni sono capaci di assolvere una tripla funzione complessa, in quanto

configurano ambienti di vita particolari, colorati, dove è più semplice inserirsi, ed è possibile “af-

fermare la propria identità nazionale e/o culturale e/o religiosa, o meglio riscoprirla e ridefinirla,

“inventando” una propria tradizione” (Lanzani, 2003, p. 334), nonché “nodi specializzati etnici” in un

contesto multicentrico e reticolare, dove sono presenti servizi e beni, e, infine, si possono conside-

rare luoghi di comunicazione e contaminazione tra diverse culture e popolazioni.

Questo significa considerare la presenza di culture diverse come un fattore di arricchi-

mento (per tutta la società sul piano economico, sociale e culturale) nei necessari processi di ri-

definizione delle periferie. La popolazione immigrata può favorire il processo di “antropizzazione”

di questi luoghi, concorrendo a superare il loro senso di alienazione e quel “peccato di astrazione

e indifferenza”, verso il contesto ambientale e sociale, realizzato nel costruire proprio la maggior

parte delle periferie.

Dal punto di vista fisico le periferie necessitano di una serie di interventi di ristrutturazione

per adeguare gli standard alle modificate e nuove esigenze abitative sia della popolazione ita-

liana, che immigrata. Si avverte un forte disagio ed una “insoddisfazione” a causa della difficoltà –

con la loro compattezza e uniformità dei blocchi, la mancanza di misura umana e l’estrema uni-

formità – di creare appartenenza e riconoscimento. Questo, inevitabilmente, implica la ridefini-

zione e la restituzione di identità e qualità a queste parti di città.

L’esigenza, quindi, di maggiore qualità dell’ambiente urbano e naturale, e una migliore cor-

rispondenza ai bisogni della società contemporanea, mettono in moto un processo che vede l’ar-

chitettura ai primi posti richiamata a rispondere, tardivamente, a quelle richieste di qualità degli

ambienti di vita che in passato erano state messe in secondo piano rispetto ad esigenze di tipo

quantitativo. Ri-pensare i quartieri periferici come luoghi in cui è possibile ri-costruire qualità,

comporta un capovolgimento del modo di concettualizzare il problema della riqualificazione alla

luce delle esigenze della nuova società multiculturale. “Ai progettisti della città del futuro è affi-

dato il compito di realizzare un nuovo modello di città europea interetnica in cui possa attuarsi

una convivenza pacifica, civile e colta di razze diverse” (Beguinot, 2007, p. 44).

La prima questione è quella dell’integrazione sociale e del superamento dell’immagine

della periferia come “luogo del diminuito diritto di cittadinanza” (Ingersoll, 2001, p. 46) e di luogo

specifico dove contenere bisogni di folle immigrate (“vecchie” e “nuove”), trasformandole al con-

trario in parti essenziali della città. Le nostre periferie, infatti, anche se versano in uno stato di pro-

fondo degrado, spesso sono tenute in vita da una debole forza, che è propria delle persone che ci

vivono. Queste possono rappresentare (come i beni culturali nel centro storico degradato), il va-

lore intorno a cui concentrare i processi di riqualificazione, in un processo che si autoalimenta,

creando ulteriore capitale sociale, aiutando cioè gli abitanti ed i “nuovi arrivati” prima di tutto a di-

venire comunità e a credere in loro stessi come motore primario della riqualificazione, capaci cioè

di creare “capitale comunitario”, base per qualunque processo.

La seconda questione è quella della qualità urbana ed architettonica degli interventi, che

non possono essere demandati alle sole concezioni del progettista o a presunti modelli di riferi-

mento (così come fatto in passato), ma devono necessariamente configurarsi come un costrutto,

che nasce dalla condivisione di premesse e obiettivi, che rispecchiano la nuova e più complessa

società contemporanea.

7 Questi processi di trasformazioni del territorio si connotano come “annidamenti” o “metamorfosi”, e spesso conil successivo passaggio dal primo al secondo (Lanzani, 2003, p. 334-335). Ovvero nel primo caso la tendenza di alcune po-polazioni, nuove attività, funzioni, usi, ecc., ad annidarsi in alcuni spazi, inserendosi e abitando alcune porzioni di città,non generando però nessun nuovo tessuto o trasformazione. Nel secondo caso assistiamo ad un’estesa modificazionedei tessuti dove gli immigrati si insediano, con un ambiente di vita che cambia radicalmente a seguito di successive mi-crotrasformazioni sia “materiali” che “immateriali”, di uso e di senso.

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Se vogliamo che questi luoghi chiamati periferie non restino “luoghi dell’indistinto”, dob-

biamo, realizzare spazi ricchi e pieni di bellezza. Un’idea di progetto di luoghi e funzioni, non più

come riduzione della complessità secondo i modelli dell’ingegneria dei sistemi e dell’elettronica,

ma piuttosto come intreccio delle vicende, delle storie e delle geografie (Giammarco, Isola, 1993).

Trattare questi ambiti non come territori di risulta, passibili di interventi settoriali e di conteni-

mento del danno, ma come ecosistemi, in cui i diversi elementi (il territorio, gli edifici, gli abitanti,

ecc.) e, soprattutto, le loro relazioni (sociali, economiche, culturali, ecc.), diventano l’oggetto del

processo di riqualificazione. I quartieri periferici possono, cioè, diventare luoghi di nuove integra-

zioni e nuove relazioni in cui favorire lo sviluppo di comunità solidali capaci di ricercare nuovi e

più complessi equilibri al proprio interno.

6.2.3 Verso una città multiculturale: l’esperienza del Terzo Settore nel PRU Stadera di

Milano

Per uno sviluppo sostenibile e multiculturale delle città, come detto precedentemente, il

quartiere rappresenta il primo nucleo di integrazione di una comunità che individuando valori

condivisi, realizza il suo ambiente in armonia con se stessa. Questo significa orientare i progetti di

recupero verso soluzioni volte ad un miglioramento della qualità di vita urbana da attuarsi tra-

mite una serie di interventi non solo materiali (ambientali ed economici) ma anche immateriali

(sociali), considerando la diversità culturale una risorsa per lo sviluppo del paesaggio periferico,

inteso come forma e luogo di vita della nuova comunità.

Generalmente in Italia i programmi di riqualificazione (Programmi di recupero urbano,

Programmi di riqualificazione urbana, Contratti di Quartiere, ecc.) si concentrano su un migliora-

mento della qualità della vita in generale intervenendo dal punto di vista ambientale, urbanistico,

edilizio, energetico e, in alcuni casi, con la partecipazione attiva della popolazione, non conside-

rano la questione della presenza di etnie con culture ed esigenze diverse, né tanto meno repu-

tano la loro integrazione un fattore di arricchimento per l’intera comunità. Questo implica che

forse ancora siamo lontani dalla realizzazione di una città multiculturale e, quindi, veramente so-

stenibile.

In questa congiuntura, importante e, per certi aspetti, all’avanguardia è l’esperienza del

Programma di Riqualificazione Urbana del quartiere Stadera. Il progetto rappresenta un’interes-

sante esperienza di nuova gestione del patrimonio pubblico da parte del Comune di Milano con

la collaborazione del Terzo Settore, in un progetto sperimentale di recupero e ristrutturazione di

abitazioni e di successiva assegnazione a famiglie immigrate o italiane con difficoltà di accesso

alle case in fitto del libero mercato.

L’intervento a Stadera rappresenta il primo intervento di questo tipo su ampia scala a

Milano. In un’epoca in cui la gestione degli immobili pubblici coincide sempre più con l’aliena-

zione (vendita diretta, cartolarizzazione, e così via), le Quattro Corti con la loro prospettiva multi-

culturale vestono i panni di una sperimentazione orientata al futuro. L’intervento rappresenta il

primo così ampio e complesso a Milano; infatti, l’Ente Pubblico, precedentemente, si era rivolto al

privato sociale solo per la gestione di singoli appartamenti, ma mai per un intero edificio, e senza

che fosse prevista in modo organico anche un’attività di accompagnamento sociale (Giovene di

Girasole, 2005). Si è cercato cioè di tradurre iniziative “random”, in comportamenti ordinari, efficaci

per la riqualificazione del patrimonio e dell’ambiente urbano, risolvendo problemi di disagio abi-

tativo in una visione interetnica.

Scopo del programma è di intervenire in modo complessivo sul quartiere, riqualificando sia

il patrimonio di edilizia residenziale (aumentando la disponibilità di alloggi e la dotazione di ser-

vizi) sia realizzando un circolo virtuoso volto a sostenerne lo sviluppo. Il fine del PRU era anche di

ridurre il livello di tensione sociale, cercando di inserire nel quartiere nuovi abitanti (giovani cop-

pie, studenti, immigrati) capaci di modificare la concentrazione di problematiche sociali e svol-

gere un ruolo positivo e di rinnovamento rispetto alla situazione nel quartiere. Per questo motivo

alcuni alloggi sono stati affidati fuori bando ad operatori del privato sociale, le cooperative “Dar-

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Casa” e “La Famiglia”, che operavano nel campo del disagio abitativo, come partners nella gestione

e realizzazione del processo di riqualificazione. Contemporaneamente questo tipo di intervento

permetteva di ridurre i tempi e i costi della ristrutturazione, rimettendo in tempi brevi sul mercato

un buon numero di alloggi popolari (Censis, 2005). Alle famiglie residenti nel quartiere, quindi, si

sono aggiunte quelle degli assegnatari della “Residenza Quattro Corti” e quelli delle Residenze per

Studenti e Anziani8.

Il quartiere Stadera è un quartiere di edilizia popolare nel senso stretto del termine dato

che il 90% delle case appartiene all’Aler, situato alla periferia sud di Milano, in cui vivono più di

4000 persone. Il quartiere, realizzato alla fine degli anni Venti, in stile ’900 (Fig. 1), su progetto del-

l’ufficio tecnico dell’Istituto Case Popolari di Milano, con 31 edifici di 4/5 piani per un totale di

1866 alloggi e circa 1150 famiglie residenti, si è caratterizzato nel corso degli anni per fenomeni

di degrado ambientale e sociale. Degli alloggi presenti nel quartiere, inoltre, 532 erano monolocali

al di sotto degli attuali standard abitativi.

Dagli anni Cinquanta in poi, il quartiere ha ospitato moltissimi immigrati in cerca di lavoro:

inizialmente meridionali poi, dalla fine degli anni Settanta, nordafricani, seguiti da albanesi, lati-

noamericani e più tardi cinesi. Stadera, per anni controllato dal racket della droga e delle occupa-

zioni abusive, ha vissuto una fase di forte degrado (Fig. 2), pagando il prezzo dei processi di emar-

ginazione e abbandono, legati alla crescita delle periferie metropolitane. Contemporaneamente il

quartiere presentava risorse importanti legate al suo carattere popolare, con la presenza di di-

verse associazioni (comitato di inquilini, comitato di lotta per la casa, giornale del quartiere) im-

pegnate nella tutela degli abitanti e del territorio di fronte alle istituzioni (Censis, 2005).

Nel dicembre del 1998 l’Aler approva con Delibera le linee di indirizzo e gli obiettivi del

nuovo Programma di Recupero Urbano del Quartiere Stadera (Fig. 3), nel 1999, per far fronte alla

situazione di degrado, parte il programma per il completamento del recupero ambientale e so-

ciale del quartiere, con quindici iniziative che investono gli immobili di proprietà dell’Aler, del

Comune e dei privati, con un ulteriore investimento di 37.100.000 €.

8 Il PRU prevede la realizzazione di una “Residenza Urbana Integrata per Studenti e Anziani”, con il contributo afondo perduto della Regione Lombardia e di capitali privati.

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Fig. 1 - Via Barrilinel 1930.Fonte: Aler Milano

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Fig. 2 - Via Barrili alla fine degli anni Novanta. Fonte: Aler Milano

Fig. 3 - Il PRU: qua-dro complessivo de-gli interventi. Fonte:Aler Milano

Il progetto di riqualificazione complessiva del quartiere Stadera si articola, nell’ambito del

programma di edilizia residenziale pubblica, in numerose iniziative sia pubbliche che private ri-

guardanti principalmente le aree e gli immobili interni al quartiere di proprietà dell’Aler di Milano

e le aree contigue in parte di proprietà del Comune di Milano e in parte di proprietà privata.

Le iniziative sono: riqualificazione ambientale (risanamento degli immobili, diversificazione

delle classi sociali e dei tipi di utenza, diversificazione delle destinazioni d’uso), completamento

del disegno urbano (mercato coperto, arsenale d’arte), realizzazione di un’isola residenziale (zona

centrale pedonale, arredo urbano e verde) e un tavolo di concertazione (soggetti pubblici e pri-

vati, sinergie operative). Scopo del programma è, quindi, di intervenire in modo complessivo sul

quartiere, riqualificando il patrimonio di edilizia residenziale (aumentando la disponibilità di al-

loggi e la dotazione di servizi) e realizzando un circolo virtuoso volto a sostenerne lo sviluppo.

Gli interventi urbani sono stati: la realizzazione di un centro polifunzionale, il recupero di un

ex Mulino, il riordino della viabilità del quartiere, la riqualificazione del patrimonio edilizio

dell’Aler di Milano e azioni di progettazione partecipata, al fine di sostenere il processo di recu-

pero edilizio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica attraverso un percorso condiviso

(Regione Lombardia, 2006). La riqualificazione dell’area di proprietà comunale sita tra Via

Montegani e Via Neera ha previsto l’abbattimento dell’esistente Mercato Comunale e la realizza-

zione di una nuova struttura polifunzionale con un’area mercato su due livelli, nuove residenze

(per una quantità non superiore a 2640 mq s.l.p.), parcheggi nel sottosuolo e formazione di spazi

verdi ad uso pubblico.

Per quanto riguarda l’area degli ex Mulini Certosa, l’obiettivo era la riqualificazione, me-

diante l’allontanamento dell’attività produttiva in corso ed il recupero dell’ex Mulino da destinare

a funzioni di tipo culturale-espositivo-aggregativa.

Il riordino della viabilità del quartiere è stato ottenuto con la formazione di un’isola residen-

ziale, intervenendo nelle strade del quartiere con nuovi elementi di arredo urbano, lastricatura,

piantumazioni e pedonalizzazione della via Barilli, la realizzazione di una nuova piazza (Fig. 4).

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Fig. 4 -Riqualificazionedella piazza.Fonte:Aler Milano

Complessivamente, saranno re-

cuperati 1423 alloggi, di cui 180 sono

stati esclusi dal patrimonio ERP e, tra-

mite bando, assegnati alle due Co-

operative, che le hanno affittate a ca-

none concordato, e 1241 da assegnare

a canone sociale.

La riqualificazione del patrimo-

nio edilizio dell’Aler di Milano ha previ-

sto il risanamento di 146 alloggi sfitti da

utilizzare per la mobilità del quartiere;

gli appartamenti, una volta recuperati,

sono proposti alle famiglie in modo

permanente e l’Aler si è assunta le

spese per il trasferimento. Il programma

ha previsto anche il recupero edilizio di

alloggi di edilizia residenziale pubblica

di proprietà, ancora, dell’Aler, con il risa-

namento edilizio di 8 alloggi degradati,

con adeguamenti prestazionali con-

formi ai nuovi standard abitativi e rea-

lizzazione di nuovi alloggi nei sottotetti

(Regione Lombardia, 2005).

Il progetto di housing sociale

“Quattro Corti” ha affidato, due dei

quattro edifici, in comodato d’uso per

25 anni alle due Cooperative d’abita-

zione “Dar-Casa” e “La famiglia”, che

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Fig. 5 - Le Quattro Corti prima degli interventi. Fonte: Aler Milano

Fig. 6 - Gli edifici delle Quattro Corti riqualificati. Fonte: Dar Casa

hanno finanziato la ristruttura-

zione e gestiscono gli affitti (il 5%

viene girato alla proprietà). La con-

venzione voleva aiutare persone in

difficoltà economiche nell’accesso

ad alloggi privati ma con una con-

dizione di reddito tale da potersi

permettere il pagamento di un ca-

none superiore a quello previsto

per gli alloggi di edilizia residen-

ziale pubblica, a cui non avevano i

requisiti economici per accedere.

L’assegnazione finale degli alloggi

vede i 2/3 assegnati a famiglie stra-

niere e quelli rimanenti a famiglie

italiane. Sono così inseriti 31 nuclei

di famiglie straniere, per un totale di circa 90 persone provenienti da 19 Paesi diversi di Asia, Africa

e America Latina9.

Il complesso delle “Quattro Corti” comprendeva 4 blocchi abitativi con appartamenti, sotto

gli standard di legge (Fig. 5). Il progetto ha realizzato per gli esterni un recupero conservativo, es-

sendo gli edifici sottoposti a vincolo dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici (Fig. 6), mentre

per gli interni è stata effettuato l’accorpamento degli alloggi più piccoli per ottenere bilocali e tri-

locali idonei ad ospitare anche nuclei familiari10 (Fig. 7).

Particolare attenzione è stata data al processo di accompagnamento e alla partecipazione

della popolazione. Infatti nel PRU è stato sviluppato il progetto “Di Corte in Corte, percorso di pro-

gettazione partecipata per il rinnovamento del quartiere Stadera”, per sostenere il processo di re-

cupero fisico attraverso un percorso condiviso (Regione Lombardia, 2005). Il progetto aveva come

obiettivi “la messa in rete e lo sviluppo delle risorse locali, la promozione di un clima di fiducia tra

gli abitanti del quartiere e di accoglienza nei confronti dei nuovi, la promozione di un atteggia-

mento di appartenenza caratterizzato da una maggiore autonomia e responsabilità degli inquilini

nella gestione dell’immobile e nella relazione con la proprietà Aler e i servizi all’intorno” (Regione

Lombardia, 2005, p. 30). Il progetto, è stato cofinanziato dall’Aler, coprendo i costi delle risorse

umane e dei servizi indispensabili per attuare il piano di mobilità (monitoraggio sociale, traslochi,

sgomberi, ecc.). L’articolazione del progetto “ha contribuito a rafforzare negli abitanti la perce-

zione del proprio quartiere e della sua identità, valorizzando e intrecciando risorse ed energie lo-

cali con uno sguardo positivo verso il futuro. I nuovi inquilini, anche stranieri, da “potenziali ne-

mici”, sono diventati una “risorsa facilitante” per l’avvio di un processo di convivenza basato sul

confronto e l’autodeterminazione” (Solci, 2005, p. 7).

Successivamente all’assegnazione degli alloggi, Dar Casa ha realizzato un programma di

accompagnamento per le famiglie inserite, sia per garantire assistenza in caso di problemi con la

manutenzione dell’alloggio e per il pagamento puntuale del canone, sia per il rispetto dei rap-

porti di buon vicinato.

Precedentemente alla ristrutturazione degli immobili, tra il 2003 ed il 2005, è stato attuato

il progetto “Abitare c/o”, che ha accompagnato l’intero processo di rinnovamento delle “Quattro

Corti”, finanziato dal Comune di Milano e gestito in base al criterio della progettazione partecipata

dalla cooperativa sociale “ABCittà”. L’obiettivo era di facilitare l’inserimento dei nuovi inquilini nella

9 Ognuna delle due cooperative ha individuato i criteri per le assegnazioni: per “Dar-Casa” la scelta (18 famiglieitaliane e 30 straniere) è avvenuta tra i suoi soci in base all’anzianità d’iscrizione; i 46 alloggi gestiti dalla cooperativa “LaFamiglia” sono stati assegnati a nuclei (32 italiani e 14 stranieri) in gran parte già residenti nel quartiere (Marzi, 2006).

10 La superficie degli alloggi varia tra 44 e 72 mq per i bilocali e tra 77 e 96 mq per i trilocali. Gli appartamentisono stati dotati di ascensori, impianto centralizzato di riscaldamento e fornitura acqua calda, videocitofoni, antenne sa-tellitari; inoltre sono dotati di doppi vetri, porta blindata e cucina attrezzata (Basso, 2005).

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Fig. 7 - Progetto di un appartamento riqualificato. Fonte: Aler Milano

realtà di quartiere, con un’attenzione particolare agli stranieri. Il progetto, partito per la sola com-

ponente immigrata, ha avuto una ricaduta più ampia preparando il quartiere all’accoglienza dei

nuovi inquilini delle Quattro Corti, circa 200 famiglie, con i cambiamenti e le trasformazioni che

questo avrebbe comportato (Dar-Casa, 2006). Il progetto si è articolato in tre fasi successive: co-

noscenza, progettazione e accompagnamento, tramite due tavoli di lavoro (Tavolo territoriale e

Tavolo di progetto), colloqui individuali, questionari, workshop, consultazioni, momenti di diffu-

sione e “celebrazione” dei risultati. Il percorso di accompagnamento si è concluso nella costru-

zione del “Patto di Convivenza, deciso e approvato dagli abitanti stessi: non un semplice regola-

mento di condominio, ma l’insieme delle regole, dei desideri e delle aspettative di una piccola co-

munità” (Patto di convivenza Stadera, 2004).

La metodologia partecipata utilizzata, che ben si presta alle sperimentazioni nell’ambito del-

l’housing sociale, ha permesso di valorizzare le risorse presenti sul territorio, negoziare i diversi

punti di vista per arrivare a un obiettivo comune, superare la conflittualità fra i diversi attori in

campo, favorire l’assunzione di responsabilità da parte di ogni soggetto coinvolto, suscitare l’inte-

resse e rafforzare le motivazioni per l’impegno verso il raggiungimento di obiettivi condivisi. Il per-

corso di accompagnamento, inoltre, ha agevolato l’integrazione dei futuri inquilini nel territorio e

ha promosso atteggiamenti autonomi e responsabili nella gestione dell’alloggio (Solci, 2005).

L’inserimento di famiglie immigrate è stato, quindi, considerato come elemento positivo di

riqualificazione del quartiere (anche grazie alla presenza e alla mediazione delle cooperative)

(Censis, 2005), ma il progetto di riqualificazione degli spazi pubblici e privati non ha, invece, con-

siderato, come sarebbe stato auspicabile, l’arrivo di famiglie con culture diverse, come un ulteriore

arricchimento del progetto. Ovvero l’innovazione multiculturale del PRU, data dall’integrazione di

famiglie immigrate in un quartiere oggetto di un processo di riqualificazione, non è arrivata a rea-

lizzare uno spazio architettonico ed urbano più complesso che sia espressione diretta delle tra-

sformazioni della nuova comunità. La forma urbana, invece, è data proprio dal giusto e sinergico

rapporto tra costruito e non costruito che deve essere recuperato lavorando alla riqualificazione

degli spazi, la loro trasformazione in luoghi accoglienti e la cui caratterizzazione deve rispecchiare

le diverse culture presenti nel quartiere, così da divenire luogo di aggregazione per l’intera co-

munità.

La qualità di un tessuto urbano, infatti, si costruisce con un processo continuo di confronto

con tutti gli attori interessati in modo da legare il risultato finale (il quartiere, gli spazi pubblici,

l’edificio) ad una memoria (storica o urbana), ad un valore (sociale o naturalistico), ad una co-

scienza (ambientale o urbana).

Il ruolo dell’architetto e del progetto di architettura dovrebbe essere proprio quello di rea-

lizzare questi spazi, identificando percorsi di riqualificazione che reinterpretino le periferie, arric-

chendole spazialmente ed architettonicamente con i segni ed i sogni delle nuove etnie.

6.2.4 Il ruolo del progetto: la riqualificazione urbana e edilizia come (ri)modellazione

La questione della realizzazione di una città multiculturale è, quindi, un processo stretta-

mente legato ai necessari interventi di riqualificazione che investiranno le nostre città ed in parti-

colar modo gli ambiti periferici. L’obiettivo dovrebbe essere quello di attivare un processo di ri-

qualificazione che massimizzi contemporaneamente i tre obiettivi propri dello sviluppo sosteni-

bile (sociale, economico ed ambientale), tenendo conto dei mutamenti in atto nella nostra

società. Questo come risposta ai processi degli ultimi cinquanta anni, che hanno prodotto città e

quartieri sempre più estranei agli abitanti, spezzando la corrispondenza tra la comunità ed il suo

insediamento.

Ridare ruolo all’architetto, quindi, per rispondere alle richieste della complessa società con-

temporanea, in modo da rendere la pianificazione delle città e del territorio e la progettazione de-

gli spazi di vita, non solo e non esclusivamente una funzione tecnica e politica – che ha spesso

contribuito a realizzare politiche di segregazione (sociale, culturale, economica, ecc.) – ma un pro-

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cesso culturale, con l’obiettivo di ricucire il rapporto sociale ed affettivo tra gli abitanti e i loro am-

bienti di vita.

Per una maggiore qualità architettonica e urbana di questi ambiti, lo scenario attuale della

progettazione delle trasformazioni è, anche se con qualche accenno di cambiamento, ancora ca-

ratterizzato dalla mancanza di strumenti e politiche adeguate, che vengono di volta in volta su-

perate tramite l’adozione di strumenti e azioni estemporanei, senza una reale e chiara visione di

insieme che, partendo dai principi propri della sostenibilità, sviluppi una adeguata “cultura della

riqualificazione”. Ovvero, un approccio sostenibile alla riqualificazione che, nel recepire gli apporti

dagli altri settori (ecologia, sociologia, ecc.), possa realizzare luoghi con nuove e più complesse

identità, ripristinando i legami vitali con il contesto, ripartendo dall’esistente, anche deteriore, per

assicurare la continuità col passato.

La strada da percorrere per la riqualificazione dovrebbe essere quella della démolition-re-

molition, ovvero un’attività di demolizione mirata e limitata che ne permette il rimodellamento

(Kroll, 2001), tramite una molteplicità di interventi di media e piccola dimensione che privilegino

le reti tecnologiche, gli spazi pubblici, i servizi, i tessuti edilizi e urbani (Pavia, 2003).

Un recupero dell’esistente, in cui si considereranno i temi nella doppia scala della rimodel-

lazione urbana e edilizia, promuovendo il rimodellamento fisico ed energetico (ridefinendone,

quindi, i caratteri tipologici, morfologici, tecnico-costruttivi ed energetici), così da ridefinire la

struttura e l’immagine di questi luoghi, rendendoli adeguati alle esigenze della comunità multi-

culturale.

Il processo di rimodellazione può permettere di scegliere, secondo i casi e le realtà, come

intervenire; il fine è quello di rompere la monotonia e la rigidità di quartieri e edifici, che li hanno

resi fisicamente inospitali e hanno contribuito alla loro stigmatizzazione, tramite la progettazione

di paesaggi complessi. Attivare un processo di demolizione-diradamento-densificazione-sovrap-

posizione e di riconnessione (fisica, funzionale, sociale) con l’ambiente circostante può aiutare a

scardinare il senso di non appartenenza e l’inadeguatezza di questi ambiti, permettendo la realiz-

zazioni di luoghi di qualità.

Soluzioni innovative, quindi, sia a livello edilizio che insediativo con il “superamento della

separazione e specializzazione funzionale tra attività abitative e urbane, graduando e qualifi-

cando gli spazi di transizione tra gli ambiti a destinazione sociale, ad uso esclusivo, interni ed

esterni, pubblici e privati, qualificando gli spazi urbani e i modi di fruizione e d’uso secondo forme

appropriate dell’abitare e della socialità” (Dierna, Orlandi, 2005, p. 15).

Nei quartieri di edilizia residenziale non sono stati prodotti spazi pubblici, bensì una serie

di pieni che poggiano su un “non spazio”. Il vero tema nella progettazione della città contempora-

nea è proprio il vuoto, gli spazi che separano gli edifici. Lo spazio inteso nella sua qualità e con-

formazione, nei modi di abitarlo e di usarlo, è un elemento fondamentale della identificazione cul-

turale di una etnia. Reinventare gli spazi intermedi o “spazi tra”, sia concettualmente, tramite l’indi-

viduazione di nuove funzioni e/o la conferma di quelle usuali, che rispecchiano quelle delle

diverse comunità presenti nel quartiere, che formalmente, con movimenti di suolo, accorpamenti

di cortili, reti verdi interne, percorsi pedonali, liberazione del suolo, ecc. Il fine dovrebbe essere

quello di definire nuovi rapporti equilibrati tra costruito e ambiente, capaci di realizzare cambia-

menti profondi nei luoghi da attraversare, tramite nuovi elementi di identità e centralità in cui

stare. Il progetto di suolo inteso come “opera infra-strutturale”, che si pone come “struttura riorga-

nizzativa dello spazio aperto, con un ruolo complementare all’insediamento, che anima il sotto-

suolo, restituisce qualità alla superficie, inventa il soprasuolo” (Coccia, 2003, p. 26).

Un’attenta lettura del territorio e della sua storia, diventa un momento fondamentale per ca-

pirne i problemi e proporre soluzioni condivise. “Riprendere in considerazione, per ogni contesto,

l’impianto spaziale tracciato dall’insediamento sul terreno, per ridisegnare l’architettura, interpre-

tando i possibili segni dell’identità del luogo che rappresentano le peculiarità dei suoi tessuti nella

trama delle geografie e delle geometrie fondamentali della città. In particolare, si porterà l’atten-

zione sullo spazio in negativo della città recente, per articolare il vuoto incerto e indifferente tra gli

edifici nell’intreccio di segni e di eventi che possono comporre l’architettura dei percorsi collettivi e

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lo specifico paesaggio urbano del luogo […], tentare di ripensare i significati dei differenti ambienti

dell’abitare quotidiano e le specifiche eloquenze dei segni con i quali le architetture degli edifici

entrano nella costruzione dell’immagine del luogo urbano” (Giammarco, Isola, 1993, p. 15).

La periferia può accogliere nelle sue aree inedificate e nei suoi tessuti edilizi innesti di atti-

vità produttive legate non solo al consumo e al terziario, ma all’artigianato e alla cultura delle di-

verse etnie presenti, all’industria minore, alla ricerca, ecc.

Una ricerca sul comportamento delle comunità locali porterebbe, molto probabilmente, a

scoprire una geografia di centralità nascoste, di luoghi determinati dagli usi collettivi e occasionali

degli abitanti da consolidare e potenziare. Accanto a questi bisogna identificare quegli spazi in

cui le trasformazioni dovute ai processi spontanei e informali innescati dalle comunità immigrate

(mercatini, aree di ritrovo, ecc.) oggi creano situazioni conflittuali, trasformandoli da “aree esclu-

sive” in luoghi di integrazione, favorendo questi usi diversi dello spazio.

La diversità culturale, quindi, come risorsa vitale per lo sviluppo del paesaggio periferico.

L’integrazione di luoghi, di culture, di usi, rappresenta proprio il cuore della complessità urbana e

può diventare anche un richiamo per persone esterne al quartiere (anche turistico) trasforman-

dosi in “distretti etnici”11, ovvero un veicolo sia per lo sviluppo socio-economico (shopping, ga-

stronomia, artigianato, ecc.) e culturale (mostre, associazioni, festival ethno-culturali, ecc.) del

quartiere, sia una possibilità di trasformarlo dal punto di vista urbanistico-archiettonico, a vantag-

gio, quindi, sia degli immigranti che di tutti gli abitanti del quartiere. In questo modo lo spazio

pubblico cambia continuamente al variare della diverse etnie e culture presenti nel quartiere che

sono influenzate dall’immigrazione e dallo stanziamento sempre diverso.

Accanto alla valorizzazione dei suoi luoghi centrali latenti, occorrerà promuovere una strate-

gia specifica in grado di immettere nei tessuti nuove strutture di centralizzazione: dai nodi di scam-

bio, ai centri commerciali, alle (grandi) attrezzature sportive o sanitarie. Realizzare, quindi, spazi

pubblici significativi per la complessa comunità contemporanea, che è una “comunità di comunità”.

La ridefinizione dell’immagine del quartiere si realizza anche intervenendo sulla sua edili-

zia, per trasformarla in architettura, attuandone una “tridimensonalizzazione”. In questa logica gli

interventi sugli organismi edilizi nel ricercare nuove tipologie abitative (ampliando, o riducendo,

le superfici degli alloggi), attraverso suddivisioni e accorpamenti (non solo in orizzontale ma an-

che in verticale con la realizzazione di duplex), possono arrivare a vere e proprie addizioni in fac-

ciata in modo da rimodellare gli edifici sia nella parti collettive (nuovi ingressi, locali di servizio e

ascensori, ridisegno delle coperture) che in quelle private (aggiunta di balconi e logge), ridefini-

nendo l’immagine stessa degli edifici, come risposta alle nuove domande poste dalla rinnovata

comunità e come espressione delle diversità che coesistono al suo interno.

La definizione degli ambienti interni ed il loro rapporto, seguendo nuove logiche, dovrebbe

realizzare spazi flessibili, capaci di adattarsi nel tempo e soprattutto personalizzabili dalla molte-plicità di utenti che vi andranno a vivere, secondo la loro cultura, valori e priorità. La realizzazione

di loft o alloggi semi-finiti, può aiutare in questo senso anche da un punto di vista economico. Il

fine dovrebbe essere quello non di portare negli interventi di riqualificazione “una nuova catalo-

gazione di ben definiti rapporti spaziali tra funzioni e ambienti della casa, ma alla definizione di

criteri di progettazione tesi a rendere quanto più possibile trasformabile l’abitazione in rapporto

ad esigenze e bisogni futuri che oggi non possiamo prevedere” (Malighetti, 2004, p. 254). Il pro-

getto dovrebbe lasciare agli abitanti il “diritto” di modificare il luogo dove vivono (secondo le pro-

prie esigenze e/o la propria cultura), in modo da poter incidere con le loro azioni sul territorio, co-

struendo la propria storia12.

11 Non si vogliono intendere come uno strumento di segregazione etnica o sociale, o un dettato coattivo di or-ganizzazione dello spazio, o come zone di confinamento etnico, o di controllo dell’uso dello spazio (Somma, 1991). Alcontrario come processo di desegregazione, che vede coinvolte (e non escluse) in prima linea le nuove etnie nei processidi riqualificazione.

12 “È possibile allora che la società, attraverso l’individuo come sua entità più elementare, e attraverso l’abita-zione come unità più elementare della città possa proiettare se stessa direttamente nella forma della città. La dinamicadel rapporto fra la popolazione e la città è pertanto simile al movimento di una mano che modella la creta […] Una cittàè un fenomeno unico che cresce e si rinnova in un ciclo continuo; in cui la materia assume qualcosa della mobilità dellavita e la vita riceve qualcosa della qualità eterna della materia” (Habraken, 1974, p. 92).

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Infatti, il problema dei complessi di edilizia popolare, non è “costituito dalla loro [sola] brut-

tezza, ma dal fatto che sono anestetizzati, sterilizzati, senza vita, senza azioni […] Qui l’abitante si

ferma bruscamente all’involucro del suo appartamento, niente fuoriesce dalla facciata. È la nega-

zione della voglia comunitaria dell’abitante” (Kroll, 2001, p. 41). Anche quando gli abitanti inter-

vengono sugli edifici autonomamente, generalmente in modo abusivo e con strutture precarie, il

risultato è un ulteriore degrado dei luoghi. La soluzione potrebbe essere lasciare la possibilità di

poter realizzare superfetazioni o cambiamenti “controllati”; ovvero lasciare agli edifici un certo

grado di labilità che permetta agli abitanti di poter effettuare le trasformazioni utili ad un miglio-

ramento e, quindi, una personalizzazione della propria abitazione (o collettivamente dei propri

spazi), inserita in una griglia a trama larga preordinata.

La partecipazione degli abitanti al processo progettuale, sia in fase di definizione degli

obiettivi che in ogni momento del loro abitare in quel luogo, permetterà di ampliare in essi la sicu-

rezza, sia della riuscita del progetto e del ruolo che il loro quartiere assumerà all’interno della città,

sia dell’importanza che le loro azioni avranno nella ridefinizione degli ambienti in cui vivranno.

Il risultato del progettare dovrebbe essere un’architettura “complessa e contraddittoria, ba-

sata sulla ricchezza e sull’ambiguità del movimento moderno […] in quanto è dal paesaggio quo-

tidiano, volgare e disprezzato che possiamo derivare l’ordine complesso e contraddittorio che è

valido e vitale per un’architettura intesa come totalità urbanistica” (Venturi, 1966, p. 22).

Vi è, quindi, l’obbligo morale di realizzare processi di riqualificazione in modo da far sì che

gli abitanti possano riconoscersi in essi, realizzando sistemi insediativi che soddisfino le esigenze

della popolazione contemporanea, e contemporaneamente li riconoscano come espressione

della collettività, ricucendo lo strappo tra gli abitanti e il luogo dove vivono, ridando dignità a

questa “società senza centro”.

Un’area riprogettata ex-novo riuscirà infine ad essere un “luogo urbano”, quando gli ele-

menti che la costituiscono (piazze, strade, aree verdi, case, ecc.) non risultano una semplice som-

matoria, ma sono interconnessi tra loro, tramite un sistema di causa-effetto indotto dalla vita so-

ciale dei cittadini.

6.3 LA RIGENERAZIONE DEL LUOGO FRA RICERCA E PROGETTO: TRACCE DI UN FUTURO POSSIBILE PER

SCAMPIA

6.3.1 Prefigurare nuove immagini urbane: Scampia come laboratorio di sperimentazione

progettuale e multiculturale

Le periferie italiane, un tempo abitate dagli strati più deboli e sovente dagli operai che dal

sud raggiungevano il nord produttivo, assistono da alcuni anni all’avvento di componenti extra-

comunitarie, laddove nelle città europee esperienze multietniche sono già consolidate e ampia-

mente oggetto di sperimentazione e di riqualificazione. La componente gitana e latino-americana

nelle grandi città spagnole, quella nordafricana nelle città francesi, quella anglo-indiana nelle bri-

tanniche e quella brasiliana nella capitale portoghese, fanno rilevare, ad un primo sguardo, l’inte-

retnia come derivante soprattutto dal passato coloniale di tali nazioni. Attualmente, a livello pla-

netario, la questione è l’equilibrio fra paesi detentori di conoscenze e di tecnologie e paesi deten-

tori di materie prime e manovalanza a basso costo; da questo squilibrio discende la formazione e

proliferazione di culture e nazioni periferiche.

Questa consapevolezza ci ha spinto a rileggere ed approfondire il caso studio nel quartiere

Scampia come proposta di riqualificazione del “Lotto M” e delle “Vele” e, in contiguità, per la

“Piazza della Socialità”. Il progetto per il Lotto M, strutturato come un concept, vuole, suggerire un

possibile indirizzo di ricerca e di attuazione nella definizione del futuro Piano Urbanistico Esecutivoper questa parte di città; la Piazza della Socialità, introducendo valenze insediative mutuate dalla

città ottocentesca, vuole costituire un modello di riqualificazione già ampiamente confermato e

condiviso.

Rileggendo in chiave interetnica l’esperienza maturata per questi due progetti in altri am-

biti operativi, si rileva che nell’affrontare il tema della rigenerazione dei luoghi marginali e delle

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periferie metropolitane (Giammarco, Isola, 1993), è necessario ora confrontarsi con una domanda

di multiculturalità e di integrazione, non solo fra i differenti strati sociali che diversificano gli sta-

tus degli abitanti, ma anche rispetto ai nuovi impulsi derivanti dall’innesto e sovrapposizione di

culture altre, apportatrici di nuove questioni più o meno problematiche, che spingono ad una ri-

flessione sulle modalità d’uso degli spazi urbani, sulle dinamiche di esclusione dai luoghi privile-

giati, sulla necessità di diffondere modelli abitativi quanto più possibile equilibrati. La risposta a

tale istanza è da ricercare nella giusta definizione di prossimità, equilibrio e correttezza di rapporti

fra gli spazi pubblici e aperti, fra le residenze e le funzioni di alto rango, fra la distribuzione delle

opportunità e il godimento dei diritti di chi vive la città (Bauman, 2001).

Lo sviluppo di una proposta per il Lotto M ed il recupero di due delle Vele insistenti sullo

stesso vuole sperimentare, inserendo ed integrando al recupero anche una funzione suggerita

ma non specificata dalla municipalità (un Centro Agro-ambientale, misto fra struttura fieristica e

centro di ricerca), modalità di pianificazione aperte che ammettono la flessibilità d’uso e l’inter-

pretazione retroattiva (Boeri, 2002) senza sacrificare per questo una precisa resa formale e strut-

turale del progetto (Boeri, Branzi, 2000).

La vaghezza della destinazione funzionale ci ha spinto a riflettere sul modo di fruire la città

che, com’è noto, non sempre è normato o determinato dagli usi previsti o indotti, ma da esigenze

di vita inedite, stimolate da cambiamenti sociali complessi, da flussi migratori, dall’innesto di

nuove culture, dagli implacabili effetti dell’economia planetaria (Bauman, 1998). Un capannone

abbandonato punteggiato di lanterne e festoni di carta diventa il locale mercato cinese ad uso

esclusivo della comunità interna (succede a Via Argine); luoghi come sottoscala, garage o qualsiasi

altro spazio marginale scartato dalla collettività, divengono sovente scuole o moschee islamiche;

altri fenomeni che vanno dall’apparizione di mercati improvvisati alla trasformazione di manifat-

ture che diventano abitazioni – o di abitazioni che ospitano commercio e produzione – sono ora-

mai dilaganti. Non si tratta di fenomeni nuovi: il meccanismo di uso delle città ci ha storicamente

abituati alla trasformazione di mercati in luoghi di culto, di cittadelle monastiche in luoghi della

manifattura, dell’educazione o della pena, e gli esempi potrebbero essere diversi.

Colpisce di questi fenomeni, recenti e non, soprattutto l’assenza di una volontà pianificato-

ria che li regoli, mentre le trasformazioni spontanee si dimostrano molto più rapide, efficaci e im-

placabili di qualsiasi decisione istituzionale. Processi pianificatori a maglie larghe, che ammettono

flessibilità interne e retroazioni, prendendo a prestito da alcuni meccanismi strutturali derivati

dalla “teoria dei giochi”, nella visione soprattutto dei geografi urbani più che degli urbanisti, sono

sempre più oggetto di interesse e sperimentazione. Un possibile approccio architettonico, paral-

lelo a queste ricerche, insiste più sugli aspetti topologici che non tipologici dell’architettura.

Valenze di prossimità, osmosi interno-esterno, protezione e delimitazione, integrazione, apparte-

nenza, identità, tutti quegli aspetti fenomenologici della cultura dell’abitare centrali nella ricerca

di Norberg-Schulz – che da anni rappresentano un sistema di contenuti e di valori perseguiti dal

gruppo di ricerca – sono considerati determinanti nella previsione di un riassetto del Lotto M di

Scampia (Norberg-Schulz, 1975, 1996).

6.3.2 Integrare parti di città: il progetto per la Piazza della Socialità a Scampia

Il progetto per la Piazza della Socialità a Scampia, primo classificato di un appalto-concorso,

sviluppato per fasi a partire dal 2003, si affianca ad altri interventi in atto realizzati, o in fase di pro-

getto, dal Comune di Napoli (edilizia sostitutiva delle Vele lungo gli assi Via Gobetti - Via Labriola;

nuova sede della Facoltà di Medicina; fasce di rispetto lungo i bordi stradali dei lotti) ed assume le

indicazioni planivolumetriche, stabilite dal Servizio Valorizzazione delle Periferie Urbane. Da tali in-

dicazioni, si sono sviluppati ulteriormente gli spunti nel riconoscere il ruolo nodale che la Piazza e

il Teatro all’aperto dovranno assumere nel costituire testata dell’asse di Via Gobetti, collegamento

alla stazione della metropolitana collinare.

La Piazza, preceduta da due corpi di residenze di differente lunghezza su Via Gobetti, è de-

limitata da due blocchi di residenze porticate, miste a studi professionali, attività pubbliche e

commerciali, e da un corpo connettivo a protezione dello spazio della piazza che si conquista tra-

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mite un varco operato nello stesso (Fig. 8). Tale corpo, ospitante un laboratorio anziani-giovani

(Fig. 9) costituisce una delle funzioni catalizzatrici che vuole favorire l’incontro, lo scambio di espe-

rienze e valori fra generazioni e culture diverse, che lo spirito generale di costituzione della piazza,

come luogo urbano dell’inclusione e dell’integrazione sociale e multiculturale, sottende.

La scelta di riconoscibilità e centralità del gruppo piazza-teatro, è resa più complessa dal

team di progetto che ha definito un profilo articolato in sezione, lungo l’asse di impostazione pla-

nimetrico, che si adatta alle scelte dell’ente di costituire una relazione urbana gerarchicamente

collaudata e condivisa: formare cortina, fornire uno zoccolo commerciale, favorire una mixitè di usi

e funzioni, dare riconoscibilità alle parti in gioco (Fig. 10).

La convergenza di differenti culture e modalità dell’abitare, dagli aspetti sociali estrema-

mente complessi e non affrontabili solo in termini urbanistici, nelle realtà periferiche europee

dove è più presente la componente multietnica, costituisce un notevole campo di sperimenta-

zione sociale e architettonico sulle modificazioni dell’abitare ed offre spunti di riflessione, piste di

ricerca, risposte progettuali per il recupero e il rilancio delle aree urbane marginali (Franz, Leder,

2003). Su questo terreno la criticità delle periferie va considerata sotto l’aspetto di risorsa ed oc-

casione di rivalutazione delle conflittualità esistenti, come tensione propositiva al cambiamento

di scenari urbani e sociali.

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Fig. 8 - Il progetto per laPiazza della Socialità,planimetria

6.3.3 Il riassetto dei quartieri di edilizia residenziale e l’iteretnia: una proposta per il recu-

pero del “Lotto M” e delle “Vele” di Scampia

Il quartiere di Scampia fu realizzato nell’area nord occidentale della periferia di Napoli, in

attuazione della legge 167/62 con cui venne previsto il locale Piano di Zona del 1964. Tali stru-

menti nacquero con l’intento di razionalizzare gli insediamenti dell’edilizia economica e popolare

e far sì che l’edilizia pubblica non si conformasse in maniera episodica e frammentaria ma inte-

grata ad un piano di assetto dell’intero organismo urbano (Rebecchini, 1978). Ben presto l’intero

quartiere “167” e le “Vele” di Scampia vengono conosciuti come uno dei maggiori problemi di na-

tura sociale (disagio esteso, uniformità di classe, alto tasso di disoccupazione), economica (assenza

di attività commerciali, terziarie e produttive) e funzionale (scarsità di attrezzature). Soprattutto le

Vele vengono identificate tout-court con la situazione di degrado che connota l’intero quartiere.

All’interno del quartiere di Scampia le Vele, progettate con acume e visionarietà dall’architetto

Franz di Salvo – in una fase in cui le megastrutture erano al centro della sua ricerca progettuale –

rappresentano uno dei tanti esempi di creature generate da architetti di straordinario talento ed

impeto progettuale, ma che avendo avuto un lungo iter di realizzazione, si sono rivelate opere che

hanno profondamente tradito il progetto originario (Fusco, 2003; AA. VV., 1994). A questo è se-

guita, ancor prima del termine dei lavori, l’occupazione delle case da parte degli abitanti e la man-

canza, nel corso degli anni, di opere di manutenzione. Le Vele furono, inoltre, realizzate con gravi

difformità, sia figurative sia esecutive, rispetto al progetto originario: la strada interna fu decurtata

di un paio di metri nella sua larghezza; il profilo venne realizzato a riseghe anziché ondulato se-

condo la prevista, e più slanciata, curva ascendente; la realizzazione dei tagli verticali in facciata,

che avrebbero dovuto dare più luce nel vuoto centrale interno, venne disattesa; l’utilizzo della tec-

nologia rigida dei getti a tunnel fu adottata in luogo di una totale industrializzazione per compo-

nenti più minuti dell’opera, tutti aspetti che permettono di verificare una marcata incoerenza fra

la concezione e la realizzazione.

Senza addentrarci troppo nella lunga storia delle Vele (Alberti, 1969; Pagano, 2001) si può

affermare che vengono presto definite invivibili e inadatte a svolgere la funzione abitativa, e che

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Fig. 9 - Il progetto per la Piazza della Socialità, prospetto del Laboratorio Anziani-Giovani e sezione dei nuovi edifici

Fig. 10 - Il progetto per la Piazza della Socialità, sezione-prospetto lungo l’asse di via P. Gobetti

le ipotesi delineatesi nel corso degli anni sono da un lato quella dell’abbattimento, che porterà

l’Amministrazione Comunale a spostare in altri edifici gli abitanti delle Vele avendo demolito

quelle insistenti sul Lotto L, e dall’altro quella, almeno per alcune di esse, del recupero anche se,

con una delibera, il Consiglio comunale ne esclude la destinazione residenziale.

I principi del progetto

La ricerca di principi fu impostata sull’analisi13 di realizzazioni analoghe in Italia –

Gallaratese, Rozzol Melara, ZEN, Forte Quezzi, Corviale – ed operò una prima suddivisione degli in-

sediamenti costruiti, con cui comparare quello di Scampia, secondo raggruppamenti tipologici

(insediamenti a forte impatto territoriale; insediamenti a tessuto compatto; unità di abitazione

orizzontale; insediamenti megastrutturali) ed inquadrò gli esempi a partire dalle loro connota-

zioni e ragioni storiche (Giura Longo, 1973a, 1973b, 1975), riportandone una descrizione del loro

stato e delle ipotesi di riqualificazione allora in atto. Contemporaneamente un’altra parte della ri-

cerca14 esaminò alcuni coevi interventi di riqualificazione, attuati o in corso di realizzazione in

Italia – il Contratto di Quartiere Sant’Eusebio a Cinisello Balsamo e il Contratto di Quartiere II

Corviale a Roma – ed – in Spagna – la riqualificazione dei complessi residenziali de La Mina Nova

a Barcellona. Questi esempi furono ritenuti interessanti, presentando infatti soluzioni integrate ed

innovative in quartieri particolarmente critici, caratterizzati da pronunciato degrado fisico, econo-

mico e sociale.

Le analisi condotte evidenziarono la necessità di definire un percorso metodologico che

permettesse di orientare i progetti di recupero verso soluzioni volte ad un miglioramento della

qualità di vita urbana, da attuarsi tramite una riqualificazione immateriale ed una riqualificazionemateriale, ovvero tramite un approccio integrato capace di ridare identità, realizzando interventi

misurati, condivisi, di spiccata qualità progettuale, dove gli aspetti costruttivi, infrastrutturali, ur-

banistici, finanziari, gestionali si relazionino alle azioni e agli incentivi per lo sviluppo sociale ed

economico (Giovene di Girasole, 2005).

Il progetto di riqualificazione

La proposta di recupero – anche se a patto di un certo stravolgimento del manufatto –

cerca di recuperare, in termini spiccatamente concettuali, alcuni degli obiettivi proposti dal pro-

getto originario: serialità ed industrializzazione degli elementi di complemento; figurazione ac-

cattivante anche con l’utilizzo di scale cromatiche; proposizione dello svuotamento di alcuni

campi di tamponamento per dare luce all’interno; forte legame con il suolo su cui insistono le co-

struzioni cercando di fornire un sedime specificamente adatto ad accogliere le Vele.

Nell’ambito dei principi di intervento descritti precedentemente, la ricerca, considerando le

esplicite richieste della Convenzione, si è soffermata sulla riqualificazione materiale elaborando

una ipotesi di progetto che, redatto come un concept, è un test per verificare le potenzialità del ri-

disegno del Lotto M e l’attitudine all’adattamento ed alla trasformazione di questi grandi edifici.

Nell’ambito della ricerca è emersa la difficoltà, rispetto alle direttive del Comune, di conser-

vare tutte le Vele ancora presenti nel Lotto M. Di queste due sono a torre e due a tenda, con va-

lenze tipologiche e potenzialità di riutilizzo differenti. Per questi motivi è stata considerata l’alter-

nativa di conservare e riqualificare la tipologia a tenda e di demolire quelle a torre. Infatti, nella

smagliatura dei lotti determinati dalle strade a scorrimento veloce, le due Vele a tenda, rispetto a

quelle a torre, sono ritenute essenziali nella definizione di un’immagine urbana vivida e, soprat-

tutto, in accordo con la scala degli spazi aperti determinati da quella concezione insediativa – di

certo discutibile – legata ai Piani di Zona. Il progetto ha previsto anche la demolizione del merca-

tino rionale sostituito da una struttura fieristica.

L’ipotesi del recupero marcato, con procedimenti di alleggerimento, scomposizione e di-

versificazione anche materica della compagine figurativa, diventa occasione per la ridefinizione

dell’involucro quale luogo privilegiato di scambio energetico e spazio di transizione fra ambiti e

13 Curata dall’autore.14 Curata da Eleonora Giovene di Girasole.

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scale diverse, oltre che occasione di indagine espressiva. La forte caratterizzazione figurativa delle

Vele, nonché le dimensioni “scoraggianti” hanno reso estremamente complessa ma stimolante

questa ipotesi di lavoro.

Assieme alla prevista Piazza della Socialità ed alla nuova sede della Facoltà di Medicina, ri-

adattamento del progetto redatto sei anni or sono dallo Studio Gregotti Associati per la sede

della Protezione Civile, si assumono così le Vele recuperate quali poli ad alta concentrazione se-

mantica, capaci di riorganizzare il sistema insediativo generale.

In base all’ipotesi avanzata nel corso della ricerca, di destinare l’area del Lotto M a “Centro

Agroambientale”, è stato progettato per questa funzione un tessuto connettivo tra le Vele B e D e

negli spazi liberati dalla Vela A e dal mercatino rionale. Per le Vele B e D è stato previsto un loro re-

cupero funzionale e distributivo, riconformando la sezione e le piante, con l’obiettivo di renderle

utilizzabili sia come spazi per il terziario e la ricerca, sia come abitazioni, e lavorando sugli esterni

per esaltarne la valenza simbolica all’interno del quartiere.

Il Lotto M viene modellato (Fig. 11) conformando corti aperte (come piazze interne di per-

tinenza al Centro Agro-ambientale, presidiate e gestite in relazione agli usi possibili) e padiglioni

funzionalmente non definiti anche di grande dimensione (spazi a campata libera e servizi localiz-

zati in punti nodali). Il sistema insediativo si propone di connettere, con un tessuto in parte co-

struito e in parte a verde, le due Vele così recuperate con funzione direzionale e residenziale. Le

variazioni di giacitura proposte cercano di assimilare, in una geometria polare più complessa, il ri-

gido orientamento eliotermico delle megastrutture all’interno del lotto, assorbendole nel gene-

rale riassetto delle geometrie variate e integrandosi alle proposte in attuazione previste dal

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Fig. 11 - Suolo attrezzato come ridisegno del “Lotto M” e intervento campione per la definizione delle fasce di rispetto

Programma di riqualificazione urbana di Scampia15, che, tra l’altro, prevede l’edificazione delle aree

di margine (fasce di rispetto) dei singoli lotti, una delle quali, a sud del Lotto M, viene suggerita

come proposta campione.

Per il Lotto M si prevedono quindi nuove reti di attraversamento e nuovi percorsi per un

progetto degli spazi aperti inteso come suolo attrezzato (Fig. 12) atto ad ospitare la nuova desti-

nazione funzionale. La cubatura complessiva fuori terra di tale nuova edificazione risulterà pari

alla sommatoria delle cubature di demolizione delle Vele A e C e del mercatino rionale.

Il recupero delle Vele (Fig. 13) prevede l’assunzione dello schema strutturale come architet-

tura di supporto (Habraken, 1973, 1974) per nuove funzioni. I campi modulari previsti da Franz di

Salvo, realizzati tramite tecnologia dei getti con cassaforma a tunnel, sono assimilati come spazi

neutri e versatili forniti di blocchi di servizio concepiti come architetture autonome inserite entro

questi vuoti e rivolte verso la strada interna. La teoria di balconi esterni viene confermata e sotto-

lineata da uno studio cromatico. Si prevede di liberare tre livelli orizzontali di campi modulari per

dare aria e luce alla zona centrale del manufatto; questo svuotamento permette di realizzare lo

spazio per gli impianti e per i loggiati di pertinenza alle residenze e agli uffici.

La liberazione dalle passerelle centrali e dalle rampe di accesso agli alloggi è la prima

azione di revisione del sistema distributivo generale che prevede l’aggiunta di corpi scala nelle

parti basse e l’alternanza di nuovi ballatoi, alternativamente esterni ed interni allo spessore dei

corpi stessi. La parte centrale delle Vele viene così liberata con vantaggi per l’illuminazione e la

qualità ambientale. I collegamenti orizzontali tra le casse scale/ascensori e gli accessi alle funzioni

previste (uffici, alloggi, laboratori) sono risolti con percorsi a ballatoio interni, operando varchi

nelle pareti trasversali dei tunnel del sistema costruttivo. Tali percorsi, coperti, resteranno aperti

sulla strada interna già occupata dalle passerelle demolite, assumendo il ruolo di ballatoi di ac-

cesso alle unità rifunzionalizzate. Il posizionamento attuale delle casse scale/ascensori viene con-

fermato e incrementato con ulteriori quattro collegamenti verticali dislocati alle estremità bassa

dei corpi, prevalentemente destinati ad uffici o laboratori di ricerca. La distribuzione orizzontale

viene risolta, per questa parte delle Vele, con ballatoi esterni con struttura autonoma in acciaio.

15 28 luglio 1995, con Delibera Consiliare n. 240, è stato approvato il Programma di Riqualificazione Urbanistica“Vele” - Scampia, finalizzato alla definizione delle soluzioni urbanistiche più idonee per avviare un processo di risana-mento integrato del quartiere di Scampia. Gli obiettivi principali del programma sono di attivare un processo integratodi riqualificazione urbanistica e di rivitalizzazione socio-economica finalizzata alla rifunzionalizzazione del quartiere econtemporaneamente risolvere in modo definitivo la sistemazione abitativa degli abitanti delle “Vele” mediante un pro-gramma di edilizia residenziale pubblica sostitutiva in grado di assicurare idonee condizioni di vivibilità. Inoltre è stataprevista la redazione del Piano Urbanistico Esecutivo per la trasformazione del Lotto M e delle fasce di rispetto del Pianodi zona 167 di Secondigliano il cui progetto di investimento è stato approvato nel 13/11/02 (del. G. C. n. 4204). Il PianoUrbanistico è stato finanziato assumendo con la Cassa DD.PP. un mutuo con importo pari a € 355.330,00 che ha per-messo l’inizio delle attività.

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Fig. 12 - Profili territoriali con ipotesi di suolo attrezzato

La parte centrale, per ambedue i versanti, delle Vele viene “svuotata” dalle funzioni e libe-

rata dei tamponamenti esterni per tre livelli (da q. 12,50 a q. 18,50 comprese) e per uno sviluppo

di circa 18/19 campi modulari (metri 3.60 per ciascun campo). Viene così incrementata la pene-

trazione della luce e dell’aria nella parte interna, con soluzioni figurative di “trasparenza” attribui-

bili alla volumetria complessiva. Detti livelli, ove possibile, resi comunicanti verticalmente (con

parziale demolizione di alcuni campi di solai) saranno interessati dal sistema degli impianti tec-

nologici e da attrezzature comuni.

La rifunzionalizzazione completa delle Vele prevede: laboratori speciali, ad integrazione di

quelli progettati per la nuova edificazione, localizzati nelle ali estreme; uffici e studi professionali

nella zona centrale, per i primi 4/5 livelli, sempre per ambedue i versanti; residenza nelle parti alte.

Le residenze sono state proposte nella tipologia simplex ed in quella duplex; questa ultima risolta

nelle riseghe derivanti dall’andamento terrazzato del profilo a vela. La tipologia della residenza

viene comunque studiata come open space: sono unificati, mediante l’apertura di portali nei setti

trasversali, dai 2 ai 4 campi modulari, ottenendo pezzature di alloggi da 50, 75 e 100 mq. Tali tipi

abitativi, concepiti come loft, prevedono che lo spazio interno (sommatoria di più campi) venga

definito dal fruitore, con eventuale attrezzature di arredo, in aggiunta al blocco servizi (bagno e

cucina) organizzato e fornito di impianti, localizzato sul versante dei ballatoi interni.

Particolare cura, nel recupero e rifunzionalizzazione delle Vele B e D, viene affidata alla so-

luzione figurativa dei fronti esterni; nell’interpretazione del progetto originario di Franz Di Salvo,

sono esaltate le linee orizzontali dei fronti esterni, con interventi cromatici, e la composizione

seriale, altro aspetto determinante del progetto originario, è giocata soprattutto sul piano del-

l’impaginazione dei fronti interni e all’inserimento dei blocchi funzionali nei vuoti del tunnel

strutturale.

Il caso-studio si propone di verificare ulteriori spunti e linee operative, alla luce delle nuove

esigenze multiculturali e interetniche che qualsiasi sistema urbano evoluto deve soddisfare,

convergendo su questa ipotesi di ridisegno del Lotto M, proposta programmaticamente adattabile

ma strutturalmente e architettonicamente fondata sul piano del suo generale principio insediativo.

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Fig. 13 - Ricomposizione dei fronti delle “Vele” e studio dei valori cromatici

6.4 RIFERIMENTI

6.4.1 Bibliografia

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6.4.2 Internet

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Capitolo 7

L’interpretazione visuale della città dell’accoglienza

“Ma non voglio parlare di me. Desidero parlare soltanto di fotografia e

di ciò che possiamo realizzare con l’obiettivo. Desidero fotografare ciò

che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa

essere questo il mio contributo ad un mondo migliore”.

Tina Modotti

Niente può ricominciare là dove la bellezza ha fallito …

Viaggio in Italia (Guido Ceronetti, 1983)

La complessità e la dinamicità dei fenomeni che devono confluire nella nuova architettura del dia-

logo hanno reso opportuno sviluppare un’ulteriore esperienza cognitiva basata sull’approccio vi-

suale messo a punto da Maurizio Cimino, fotografo proveniente da una formazione umanistica e so-

ciologica. Le sue immagini sono la base del racconto, sviluppato da Gabriella Esposito De Vita, che si

dipana attraverso le tematiche emerse nel corso della ricerca e raggruppate mediante le parole

chiave introdotte nel capitolo 2, offendo un ulteriore contributo interpretativo alla nuova semantica

multiculturale. Le suggestioni visive indagano efficacemente i chiaroscuri ed i conflitti di una com-

plessa interazione etnica e culturale e mettono in evidenza la necessità di intervenire sugli spazi

della residenza e su quelli della socializzazione per intercettare una domanda urbana sempre più

articolata e polisemica.

7.1 VALORI SEMANTICI MULTICULTURALI PER LA CITTÀ DELL’ACCOGLIENZA

La complessità dell’oggetto dello studio e la velocità delle trasformazioni in atto hanno

reso opportuno sviluppare un’ulteriore esperienza cognitiva basata sull’approccio visuale.

Il percorso intrapreso verso la costruzione di una città culturalmente plurale si è avvalso di

contributi disciplinari diversi, che consentissero di cogliere lo “spirito del tempo” in una società in

profondo mutamento. Per poter sostanziare e rendere efficaci i nodi progettuali emersi nello svi-

luppo della ricerca ci si è impegnati a comprendere le caratteristiche della città dell’accoglienza ri-

spetto al rapporto tra globalizzazione e identità locale, per definire i valori semantici della città

che possono costituire il terreno di coltura dell’incontro e dell’interazione.

L’indagine sullo stato dell’arte della ricerca sulla città multiculturale, illustrata nelle prime

pagine del volume, ha consentito di individuare le parole chiave che hanno accompagnato gli ap-

profondimenti tematici sviluppati con taglio urbanistico e progettuale.

Un approccio integrato ha condotto ad affrontare gli spazi per l’aggregazione intercultu-

rale secondo diverse declinazioni e compenze. Tra queste è risultata di grande interesse l’espe-

rienza di indagine visuale che si presenta nelle prossime pagine; gli scatti, effettuati da un foto-

grafo proveniente da una formazione umanistica e sociologica, con un approccio innovativo ri-

spetto alle tematiche affrontate, offrono spunti significativi per il prosieguo della ricerca.

L’impostazione del lavoro non è quella tipica di un reportage monotematico, che avrebbe

potuto imbrigliare il flusso creativo in un percorso pre-definito e pre-concetto, e di semplice com-

mento visivo a quanto elaborato con le tradizionali metodologie della ricerca scientifica. Si è scelto,

invece, di raccontare per immagini le emergenze (nelle diverse accezioni del termine) di una società

multiculturale, che non si rilevano pienamente con efficacia nelle indagini urbanistiche ed archi-

tettoniche, necessariamente più asettiche ed oggettive, che sono state condotte nelle pagine pre-

cedenti (Piccinato, 2005).

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L’autore degli scatti, facendo proprio un approccio situazionale all’indagine fotografica, ha

raccontato problematiche e potenzialità della multiculturalità, che offrono suggestioni non

emerse nel corso della ricerca o che non sono state indagate in questi termini. Si sono scelte im-

magini che illustrassero i temi affrontati in un’ottica nuova, e che esprimessero suggestioni ed ele-

menti utili a reindirizzare il percorso di ricerca e la fase di sperimentazione. Le immagini raccolte,

interpretate quali tessere di un puzzle unitario, sono state prese singolarmente o raggruppate in

base al soggetto rappresentato, al tempo dell’azione o alla tecnica fotografica adottata. La se-

quenza proposta vuole esprimere la complessità del fenomeno affrontato senza offrirne una rico-

struzione aprioristica.

I temi dell’identità culturale e dell’identità urbana si intrecciano e trovano un’ulteriore oc-

casione di sviluppo mediante le immagini di una quotidianità multiculturale che consentono di ri-

flettere sulla capacità della città contemporanea di assumere una dimensione inclusiva e di espri-

merla attraverso una nuova semantica delle forme. Questa è una vocazione intrinseca nella natura

urbana; la città, nella storia, è sempre stata plasmata dall’interazione di culture diverse che hanno

lasciato i segni e ne hanno determinato la peculiarità. Nella città contemporanea questo processo

osmotico è ostacolato dall’accelerazione dei mutamenti sociali, che avvengono per effetto dei

molteplici fattori raccolti sotto il nome di globalizzazione. Le molteplici interazioni tra individui e

spazi urbani, colte mediante l’indagine di tipo visuale, contribuiscono ad identificare, per imma-

gini, i nuovi valori semantici che una società complessa, dinamica e multicolore può esprimere.

Le immagini di vita vissuta illustrano con immediatezza ed efficacia il coacervo di simboli,

idee e culture che concorrono alla formazione di una memoria collettiva multidimensionale. La

città rappresenta la trasposizione “fisica” di questo nuovo concetto di identità culturale e costitui-

sce quel fenomeno sociale ineguagliabile, che è il grande protagonista del percorso d’indagine vi-

suale: quale sfondo, quale avversario, quale complice, …

Ma il concetto di identità urbana, ricorrente nel dibattito scientifico e istituzionale, così

come nelle riflessioni della società civile sui temi dell’immigrazione, è estremamente evanescente

e tutt’altro che univoco. La città contemporanea è, infatti, sottoposta a due forze contrastanti: da

un lato, l’omologazione dei modelli di sviluppo e delle identità culturali per effetto della globaliz-

zazione e, dall’altro, l’affermazione di tradizioni culturali, vere o presunte, che appartengono alla

storia locale. Si genera una dialettica tra un’idea di sviluppo che annulla le diversità e le distanze

e l’importanza attribuita alle identità fondate sui luoghi – ben sintetizzata dal diffuso neologismo

“glocale”.

Le riflessioni su questo tema sviluppate nei precedenti capitoli trovano un riscontro signifi-

cativo attraverso l’indagine per immagini; l’istante cristallizzato nelle fotografie di Maurizio

Cimino consente di cogliere alcuni elementi forti del rapporto tra l’individuo con la propria iden-

tità culturale più o meno marcata e l’identità urbana nella sua espressione spaziale.

È possibile cogliere, nel modo nel quale ci si appropria dello spazio reinventandolo ed adat-

tandolo alle proprie esigenze (trasformando in risorsa l’assenza di risorse), una nuova declina-

zione identitaria. La volontà di esserci, con i propri Lari e Penati, anche se con mezzi di fortuna,

esprime una vitalità che potrebbe essere convogliata in interessanti percorsi progettuali.

È di grande interesse, per esempio, il progetto di ricerca EU-ROMA (European ROma

Mapping) in itinere a Roma sulle condizioni abitative delle comunità Rom nella capitale, svilup-

pato con il supporto del Culture Programme dell’E.U. Il progetto si propone di promuovere il con-

fronto interdisciplinare sulla questione dell’abitare Rom e sullo spazio pubblico, avvalendosi dei

contributi disciplinari dell’arte urbana, dell’architettura, degli studi antropologici e sociologici e

delle politiche dei diritti umani1.

Ancora, la presenza umana, con il proprio bagaglio culturale ed emotivo, sembra subire uno

spazio urbano impermeabile all’interazione; ciò accade laddove gli effetti della globalizzazione ri-

velano lo strapotere del modello di consumo dominante, insieme allo straniamento che le grandi

1 Cultura 2007, Strand 1.2.1 Cooperation measures European Roma Mapping, grant agreement nh.2007-1060; 20-months project. Consortium Partners: LAN Laboratorio di architettura nomade (Naples); ATU Asociatia Pentru TranzitieUrbana Bucharest; UAL University of Arts London Higher Education Corporation; Locus Athens.

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città sovente generano in chi le vive. Esse sono punteggiate da spazi e luoghi impersonali, senza

un carattere proprio ma “confezionati” ad hoc per il “consumo” (come i non-luoghi della grande

distribuzione), oppure per rispondere ad una recente domanda residenziale (in termini più quan-

titativi che qualitativi), o ancora sorti per consentire la mobilità (resa necessaria dall’esasperazione

della divisione funzionale e sociale della città). Tali non-luoghi, ancorché neutri, non appaiono ac-

coglienti né includenti nei confronti dei marginali e dei diversi.

Paradossalmente, gli spazi che presentano caratteri identitari sfumati o inesistenti risultano

meno favorevoli all’interazione di quanto non accada laddove la stratificazione culturale ha de-

terminato una marcata connotazione dei valori identitari. Quest’ultimi costituiscono l’emblema

dell’identità accogliente che metabolizza le diversità producendo un meccanismo integratore: la

città, da sempre, ha costituito la propria essenza ed identità mediante un patto tra diversi. Si gioca

sulla dualità tra integrazione e marginalità l’attitudine della città ad emarginare solo coloro che

ne fanno parte, che vi sono stati integrati, pur con un ruolo marginale.

Come si evince dalle immagini che raccontano la realtà parigina, vissuta dal fotografo pro-

prio nelle giornate nelle quali le banlieue erano in fiamme, gli spazi ed i luoghi nei quali si è sca-

tenata la rivolta costituiscono insieme la causa, l’espressione e lo sfondo delle manifestazioni di

disagio espresse da tutti coloro che sono posti al margine fisico e sociale della vita urbana. Lo sta-

tus di cittadini – non dal punto di vista giuridico ma come condizione di fatto – esalta il senso di

appartenenza ma, nel contempo, non garantisce un equo accesso a luoghi e servizi della città.

Fattori quali l’appartenenza sociale, il potere d’acquisto, il genere, la competenza linguistica con-

dizionano il diritto alla città. Il primo discrimine è proprio legato all’accessibilità fisica (ed emo-

tiva), da parte di coloro che sono spazialmente ai margini della città e che ne fruiscono solo in pic-

cola parte.

“La città interetnica e cablata favorisce l’interazione. La tutela delle identità e l’integrazione

delle diversità si realizza attraverso l’interazione e cioè attraverso il rapporto tra i tutti i cittadini, in

modo diretto o mediato dalle nuove tecnologie di comunicazione” (Beguinot, 2006)2. Il percorso

per attuare questi obiettivi parte dalla realizzazione di spazi e funzioni urbane che riportino al

centro dell’attenzione l’uomo, essendo configurati in modo tale da favorire “la conoscenza reci-

proca, le collaborazioni lavorative, l’amalgama tra genti e culture diverse, nel lavoro e nel tempo li-

bero”. (Beguinot, 2006) Come si vedrà, le suggestioni visive, per la loro immediatezza ed empatia,

aprono a nuovi orizzonti interpretativi e, nel contempo, consentono di estrapolare elementi utili

all’elaborazione progettuale di spazi e luoghi per l’interazione multiculturale.

7.2 L’INTERPRETAZIONE VISUALE DELLA NUOVA SEMANTICA URBANA

La comunicazione visuale, oggi modalità principale di relazione tra gli attori sociali nel

mondo globalizzato, è qui utilizzata come linguaggio del vissuto soggettivo che scaturisce da un

approccio fenomenologico unito ad una metodologia di lavoro sul campo col mezzo fotografico:

l’etnografia, da studio delle culture minori, diviene racconto dell’impossibilità odierna di separare

il locale dal globale.

Si parla di un approccio d’analisi di tipo qualitativo denominato “sociologia visuale” che

attraverso l’utilizzo del media fotografico o del video individua la percezione visiva (Grady, 2001)

quale fattore chiave per conoscere e svilupparsi; in tale metodologia la fotografia diviene un vero

e proprio strumento d’indagine empirica, sguardo che penetra nella realtà urbana e sociale evi-

denziandone spesso le contraddizioni in modo più diretto e coinvolgente di quanto riesca a fare

un testo (Faccioli, 2001).

L’organizzazione sociale e le sue reti di relazione dipendono, esse stesse, dalla comunica-

zione visuale, sia quando quest’ultima è di tipo istituzionale (pubblicità, cinema, televisione), sia

quando è di tipo popolare (album di famiglia): ecco che, come ci ricorda Henri Cartier Bresson, la

fotografia diviene “un modo per comprendere” (Cartier-Bresson, 2004). I frames fotografici, soprat-

2 La “Città dell’Interazione” è uno dei principi della Carta per la Città Interetnica e Cablata promossa nel 2006dalla Fondazione Aldo Della Rocca.

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tutto se consideriamo la natura olistica della globalizzazione ed il peso del vissuto soggettivo,

sono in grado di ’restituire’ la realtà sociale, come testimonianze figurative di fenomeni complessi

che un testo spiegherebbe in modo assai meno incisivo (Mattioli, 2007).

Fare sociologia con le immagini, usando le fotografie quali mezzo per raccogliere i dati du-

rante la ricerca sul campo, attiene a quel filone di studi conosciuto come visual sociology nel cui

ambito coesistono almeno due diverse tecniche d’approccio:

– un approccio sociologico classico e rigoroso che si fonda sulla conoscenza del fenomeno

che si va ad esplorare; tale approccio è all’origine del lavoro di Bateson e Mead a Bali

(Mead, Bateson, 1942) salvo poi scoprire, durante il lunghissimo periodo di studio sui ri-

tuali di tale popolo, che “Abbiamo provato ad utilizzare le macchine da presa e le mac-

chine fotografiche per registrare il comportamento balinese: questo è molto diverso dal

preparare un documentario filmato o delle fotografie. Ci siamo sforzati di cogliere tutto

ciò che si svolgeva normalmente o spontaneamente piuttosto che prendere decisioni

sulla base di qualche norma stabilita e poi fare in modo che i Balinesi corrispondessero

a questi comportamenti in un contesto ad hoc”3.

– un approccio “radical” dove elementi come il vissuto soggettivo, l’empatia e la sospen-

sione del giudizio portano avanti il ricercatore nel suo studio: egli formula in base ai dati

ottenuti le sue teorie e si pone nuovi quesiti. In termini sociologici si fa riferimento a quel

filone sviluppatosi nel 1967 negli USA noto come “Grounded Theory” nel quale le ipotesi

di chi ricerca vengono ridefinite di volta in volta in base all’osservazione delle fotografie

scattate sul campo (Faccioli, 2001).

A tal proposito, va ricordato che, già negli anni venti, la Scuola di Chicago (Robert Park ed

Ernest W. Burgess) improntò sulla ricerca empirica della società e sulla categoria dell’area d’ap-

partenenza il suo studio dei rapporti sociali e della città. Questa metodologia è stata presa a pre-

stito dal fotogiornalismo sociale e documentario dell’epoca ed, infatti, negli Stati Uniti fin dall’ini-

zio del ’900 sono stati largamente utilizzati (e quasi sempre commissionati) i lavori di fotografi

come Walker Evans, Lewis Hine, Robert Frank e Dorothea Lange per grandi ricerche sociologiche

sui mutamenti della società americana (Dyer, 2007).

È evidente che i metodi d’approccio degli operatori visuali, fotografi e videomakers, mu-

tano in base al tipo di coinvolgimento che essi hanno nell’attività di ricerca, ed alla propria sensi-

bilità ed al proprio background culturale.

Lewis Hine e Walker Evans, per esempio, convocati da istituzioni nazionali come la Farmer

Security Administration, utilizzarono un rigore ed una logica assoluti che si sostanziavano in in-

finite liste tematiche delle fotografie, argomenti e sottoargomenti, didascalie puntuali. Anche lo

stile scarno, distaccato ed essenziale restituiva una grande dignità ai tantissimi nuovi poveri

– circa 14 milioni di americani – causati dalle spese per la guerra e le nuove tecnologie agricole.

Tutto questo ordine era preceduto dalle minuziose sceneggiature che gli fornivano i committenti

come la FSA attraverso il signor Stryker il quale giungeva a suddividere le stagioni, i luoghi e per-

sino le ambientazioni per spiegare in ogni dettaglio quanto si voleva fotografare di quella società.

Al contrario, il fotografo svizzero Robert Frank era un vero situazionista e scriveva così al

Museo Guggenheim: “il progetto che ho in mente è di quelli che prendono forma nel procedere

ed è essenzialmente elastico” (Dyer, 2007). Allo stesso modo Dorothea Lange riteneva che “sapere

in anticipo che cosa stai cercando significa che stai solo fotografando i tuoi preconcetti”. Nata

nel 1900 nel New Jersey da immigrati tedeschi, ella soffrì la fame e le malattie fin da piccola,

quando suo padre abbandonò la famiglia: forse é anche per questo che le sue immagini sono

dense di pathos e ritraggono senza alcun filtro la povertà estrema della Grande Depressione ame-

ricana che colpì anche la sua famiglia. Pensando proprio alla Lange, e alla sua furia emotiva nel

raccontare senza accusare nessuno ma con elevato grado di partecipazione, si può forse definire

la fotografia sociale come un’inclinazione ed uno stato d’animo dell’autore di fronte alla realtà

della propria epoca. Forse non è un caso che, nel 1940, la Lange lasciò la FSA dopo vari contrasti

3 Margaret Mead, Lettere dal campo 1925-1975, Milano 1979, pp. 170-171.

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avuti con Stryker: voleva lavorare senza condizionamenti mostrando la storia “scippata” alla realtà

così com’era.

Le immagini che si raccolgono nelle pagine seguenti scaturiscono dal secondo degli ap-

procci visuali su elencati e sono il frutto di un’esperienza di ricerca che fonde la formazione uma-

nistica e filosofica con l’attività di fotoreporter di matrice situazionista (Bertelli, 2004) e, dunque,

eretica di chi scrive. L’approccio adottato è in linea con il percorso d’impegno civile tracciato dai

fotografi documentaristi americani che agivano senza confini né steccati ideologici, ma crede-

vano in una sola cosa: l’uomo4.

Per rimarcare ulteriormente il nesso tra fotografia e sociologia si ricordi che negli anni in cui

operarono Riis e Hine, tra il 1896 ed il 1916, sulla rivista “American Journal of Sociology” furono

pubblicati numerosi articoli corredati da fotografie su tematiche sociali poco note al grande pub-

blico. Molto spesso oggi, ad un secolo di distanza da queste ricerche, gli studiosi si avvalgono

delle immagini solo quali illustrazioni inserite senza alcun commento oppure usano questo me-

dium per rimarcare delle conclusioni cui si giunge con altri strumenti, e non per porre nuove ipo-

tesi o dare risposte.

Ma com’è possibile analizzare una società, studiare le interazioni dei soggetti che in essa

agiscono, senza considerare tutte le forme di comunicazione, e quindi anche quella visuale, che in

essa si sono sviluppate? La risposta è la sociologia visuale, un approccio metodologico aperto a

più paradigmi, contraddistinto dall’empatia, nella consapevolezza che l’identità dell’altro va ri-

spettata, che l’analisi del mondo deve abbandonare i pregiudizi per tracciare un percorso davvero

libero di studio e di conoscenza.

7.3 LE PAROLE CHIAVE E L’INTERPRETAZIONE VISUALE

Come si vedrà, le immagini parlano da sole trasmettendo empaticamente emozioni, sensa-

zioni, percezioni tipiche della vita quotidiana nelle grandi città multiculturali d’oggi. L’autore ri-

tiene “la fotografia di strada un atto d’amore volto ad ordinare uno spazio dove l’oggetto di stu-

dio diviene surrealtà disvelata rientrando così in un’iconografia difficile da classificare” (Cimino,

2006).

Accanto al messaggio emotivo trasmesso dalle immagini che vengono proposte, però, si

srotola il filo rosso di un percorso interpretativo rigoroso, riconducibile ad alcune parole chiave in-

dividuate e sviluppate nel corso della ricerca. In particolare, si fa riferimento al gruppo di temati-

che espresse mediante le quaranta parole chiave utilizzate quale guida per lo screening dello

stato dell’arte della ricerca, illustrato in apertura del testo5.

Ciascuna fotografia rappresenta un frammento del puzzle multicolore che costituisce, in-

sieme, una risorsa vitale ed un problema complesso nella società contemporanea. Tutte le forme

di diversità (etnica, culturale, di genere, d’età, di condizione sociale, …) costituiscono la ricchezza

di una città creativa e dinamica e la causa di conflitti nelle realtà stagnanti e legate allo status quo

(Florida, 2005). Se non si affronta il mutamento in atto con decisione e capacità progettuale, esso

sarà guidato dagli umori del momento, e non darà vita allo slancio vitale di cui la città europea ha

bisogno. Questa tensione tra forze aggreganti e disgreganti è la chiave di lettura della galleria

d’immagini, ciascuna delle quali evoca significati diversi al variare dell’approccio dell’osservatore

e può essere associata a più parole chiave che ne guidino l’interpretazione. Si è scelto, quindi, di

4 Le immagini di Hine sui bambini-operai negli USA fecero abolire il lavoro minorile all’inizio del ’900; il suo lavoroe quello di Jacob Riis sulla povertà a New York hanno insegnato molto alle successive generazioni di fotografi ed ancoraoggi restano un fondamento per qualsiasi indagine fotografica sulla società e le sue contraddizioni.

5 Le quaranta parole chiave introdotte nel secondo capitolo da Massimo Clemente sono: alloggio; aree metropo-litane; asilo e rifugiati; attività produttive; attrezzature collettive; centri storici; cittadinanza; clandestini; diritto; documen-tazione; educazione e istruzione; esclusione/inclusione sociale; formazione; genere; governance; identità culturali; iden-tità urbane; integralismi e conflittualità; lavoro; lingue; nuove tecnologie tlc; partecipazione; periferie; pianificazione terri-toriale e urbanistica; piccoli centri; politiche per l’immigrazione; politiche urbane; povertà urbana; progettazionearchitettonica; progettazione urbana; razzismo e discriminazione; religioni; segregazione/integrazione spaziale; servizi ur-bani; sostenibilità; sport; strumenti d’intervento; strumenti per la conoscenza; unità di vicinato.

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raggruppare le scene ritratte in base al concetto chiave che le illustri nel modo più pregnante e di

evidenziare le sfaccettature interpretative ed i collegamenti mediante le altre parole chiave signi-

ficative.

Il primo gruppo d’immagini illustra scene di vita vissuta in un contesto marginale ricondu-

cibile al concetto di periferia, nel senso etimologico del termine, ma con le caratteristiche di un

insediamento informale sorto in un interstizio della città diffusa (figura 1); l’accampamento no-

made realizzato nell’area di via del Riposo a Poggioreale, nella periferia est di Napoli rinvia al di-

battito sugli slums che alcune comunità, escluse per molteplici ragioni dall’accesso all’alloggio,

sono costrette ad eleggere quale proprio domicilio (figura 2). L’obiettivo prefissato dall’Habitat

Agenda di Istanbul (1996) di offrire un alloggio adeguato per tutti ha aperto un dibattito intenso,

che ha dato vita a specifiche politiche in molti paesi. In particolare, si sono moltiplicati i gruppi di

studio e d’intervento sugli slums che, con diverse caratteristiche, punteggiano le grandi aree me-

tropolitane, principalmente nei paesi terzi (Garau et al., 2006).

In Italia gli insediamenti spontanei di comunità nomadi o di immigrati (non sempre clan-

destini) rappresentano una vexata questio che, in ambito istituzionale, soffre di luoghi comuni e

atteggiamenti demagogici (figure 3 e 4).

Il nuovo assetto comunitario, con la libera circolazione che facilita gli ingressi dai paesi

dell’Est europeo, ed alcuni episodi delittuosi che hanno colpito l’immaginario collettivo hanno ac-

centuato le tensioni e provocato alcune esplosioni di violenza che, certo, non facilitano il dialogo

e, quindi, la conoscenza.

Le immagini che si propongono, più di molte parole, possono rappresentare una realtà

complessa6 ed evidenziare alcune peculiarità delle scelte insediative. Anche se è forte il condizio-

namento determinato dal soddisfacimento dei bisogni primari, è possibile ravvisare nelle moda-

lità di appropriazione dello spazio una personale declinazione di Lari e Penati; dopo una prima

reazione emotiva (di partecipazione o di ripulsa), è possibile identificare alcune peculiarità del-

l’aggregazione di materiali di recupero che concorrono alla costruzione di una modalità insedia-

tiva che esprime una nuova forma di identità urbana (figure 5, 6).

Oggi il concetto di periferia esula dalla mera componente spaziale per assumere valenze

ed evocare immagini diverse; esiste anche una sorta di periferia umana7 che rappresenta le mar-

ginalità in qualsiasi contesto si manifestino. Anche nel centro storico, in contesti meno stranianti

rispetto a quelli dello sprawl metropolitano, si staglia con nitidezza la solitudine della marginalità

su uno sfondo urbano che diviene esso stesso attore. Per questa condizione dello spirito, la se-

quenza di via Vergini, nel centro storico di Napoli (figura 7), è estremamente evocativa per ciò che

non dice; nell’immediato, infatti, rimanda alla percezione della povertà urbana cui l’abitante della

città contemporanea si è assuefatto, considerando le presenze di bisognosi quale sfondo naturale

dei propri percorsi quotidiani.

In questa impermeabilità emotiva sono incluse tutte le diversità e le marginalità, inconscia-

mente registrate dall’occhio come rumori di fondo o, in alcuni contesti, come presenze allarmanti.

In una realtà urbana diversa – il IV Arrondissement di Parigi – la questua in prossimità di un luogo

di culto, da parte di un’anziana donna velata, si accomuna alla scena napoletana per la solitudine

e il senso di esclusione manifestati (figura 8).

Entrambe le immagini esprimono un senso di povertà materiale e il concetto forte cui affi-

darne l’interpretazione è il binomio esclusione/inclusione sociale. A questo stesso concetto

chiave si possono associare immagini di segno diverso ed in contesti diversi; in Francia, dove la

multiculturalità è una realtà consolidata e le tensioni non sono più latenti ma dichiarate, si assiste

ad episodi di inclusione riuscita (figura 9).

L’approccio assimilazionista perseguito Oltralpe ha generato nel tempo diverse forme di in-

terazione; come si è visto8, sia l’inclusione che l’esclusione si giocano sul duplice binario dell’an-

nullamento della propria cultura originaria, da un lato, e dell’esaltazione delle peculiarità etniche,

dall’altro.

6 Sul tema delle comunità nomadi Cfr. anche Cimino M. (2005), Il mondo di Vesna, La Città del Sole, Napoli.7 Cfr. cap. 5, par. 5.1.8 Vedi capitolo 1.

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Fig. 2 - Alloggio: nella precarietà, il degrado e l’abbandono

Fig. 1 - Città diffusa:accampamento nomade informaledi via del Riposo(Napoli)

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Fig. 4 - Alloggio: periferie umane nella periferia urbana

Fig. 3 - Periferia:la dispersionedell’identità nellaglobalizzazione

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Fig. 6 - Identità urbana: una “risposta” alla mancanza di spazi d’aggregazione

Fig. 5 - Identitàculturale e alloggio: Larie Penati in una“casa” Rom

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Fig. 7 - Povertà urbana: divisione sociale ed incomunicabilità (Napoli)

Fig. 8 - Povertà urbana: questua(Parigi)

Fig. 9 - Esclusione/inclusione sociale:operaio al lavoro(Parigi)

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Fig. 10 - Esclusione/inclusione sociale:manifestazionestudentesca (Parigi)

Fig. 11 - Esclusione/inclusione sociale: manifestazione della comunità cingalese

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Fig. 12 - Esclusione/inclusione sociale:comunità chiuse(Parigi)

Fig. 13 - Esclusione/inclusione sociale: manifestazione di sans papiers (Parigi)

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Figg. 14, 15 e 16 - Identità culturali: spettacoli worldmusic (Napoli)

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Figg. 17, 18 e 19 - Attrezzature collettive:tempo libero nella provincia francese

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Fig. 20 - Sport: Integrazione allo stadio (Napoli)

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Fig. 21 - Sport: un recinto per lo sport (Napoli)

Fig. 22 - Sport: attività sportive in spazi impropri(insediamento Rom)

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Figg. 23 e 24 - Esclusione/inclusione sociale: la repressione delle diversità

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Figg. 25 e 26 - Cittadinanza: scene di vita quotidiana (Parigi)

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Fig. 27 - Servizi urbani: nella metropolitana (Parigi)

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Fig. 28 - Aree metropolitane: l’impatto urbano della pubblicità (Parigi)

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Fig. 29 - Aree metropolitane: lo straniamento del fast food (Parigi)

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Figg. 30, 31 e 32 -Progettazionearchitettonica e urbana:spazi, forme e funzioni in sovrapposizione(Parigi)

Su entrambi i fronti si registrano episodi di conflittualità interni o esterni ai canali istituzio-

nali della lotta politica. È interessante mettere a confronto immagini colte nelle giornate calde di

Parigi, nelle quali si sono sovrapposte diverse manifestazioni di dissenso, ma anche di “inclusione

combattiva”, cioè di lotta per l’affermazione di una propria identità che non è più, però, quella

d’origini ormai remote (figura 10) ma una scaturigine del mescolarsi di simboli ed idee diverse (fi-

gura 12).

Alcune comunità, invece, coltivano l’esclusione volontaria, ripiegandosi su se stesse e rifiu-

tando a priori l’identità culturale del paese che le ha accolte (figure 12 e 13).

La parola chiave che esprime le identità culturali è centrale e potrebbe essere associata alla

gran parte della raccolta fotografica presentata in queste pagine. In particolare, la vitalità del con-

fronto culturale emerge con forza nelle immagini che raccontano l’esperienza degli spettacoli di

matrice multiculturale raggruppati nei due cicli “Ethnos” e “Lo Sguardo di Ulisse” promossi a

Napoli da una sinergia tra enti locali e terzo settore (figure 14,15 e 16).

In un simile contesto le differenze tra le performances di Boban Marcovic o di Chico Cesar,

piuttosto che il Baobab Circus, diventano una risorsa creativa e costituiscono un ponte comuni-

cativo con la cultura locale.

La forza espressiva che scaturisce dalle contaminazioni culturali ha uno slancio propulsivo

in grado di innescare meccanismi di contatto e di interazione che divengano terreno di confronto

e crescita comune.

Accanto alle occasioni artistiche, anche le altre attività del tempo libero, che hanno assunto

un ruolo rilevante nell’organizzazione della società contemporanea, offrono terreno fertile per

l’interazione. Lo sport e le iniziative di leisure favoriscono il contatto e creano le condizioni per

l’interazione laddove dispongono di spazi adeguati, gestiti con appropriate politiche.

Le attrezzature collettive, quindi, costituiscono l’ambito elettivo dell’incontro tra culture;

esse possono garantire l’equo accesso a servizi ed attività che, altrimenti, sarebbero appannaggio

di pochi. In una società che esclude in base alla possibilità di aderire o meno al modello di con-

sumo dominante e preferisce chiudersi in recinti che tutelino l’appartenenza di classe, gli spazi

pubblici devono essere recuperati all’uso di una nuova comunità aperta. Creando le condizioni di

una diffusa qualità ambientale e costruendo un habitat favorevole al contatto umano – senza le

sovrastrutture e le chiusure generate dalla lotta per la sopravvivenza in molte grandi città – si as-

siste ad una nuova concezione di comunità (figure da 17 a 19).

Le immagini che illustrano momenti legati allo sport rappresentano efficacemente il con-

tributo che l’attività sportiva offre quale occasione di incontro e socializzazione. Non si può di-

menticare il ruolo giocato dai playground disseminati nei quartieri delle città nordamericane

nella costruzione del melting pot statunitense; come si è evidenziato nel capitolo quattro, il gioco

di squadra è il primo passo per l’interazione a livello paritario. Gli eventi sportivi di massa, inoltre,

consentono di sviluppare un senso di partecipazione e condivisione (figura 20) che favorisce il

dialogo, in particolare negli sport di massa (quando non degenera). Mentre in alcuni contesti ter-

ritoriali si è acquisita la consapevolezza dell’importanza di creare, intorno al fulcro di un centro

sportivo, le condizioni per la socializzazione, in Italia ancora mancano esperienze in tal senso.

Le attrezzatura collettive in generale e quelle sportive in particolare, se multifunzionali, in-

tegrate ed aperte al dialogo con la città, offrono occasioni proficue di crescita del senso di comu-

nità9. Sovente la mancanza di attrezzature, la scarsa accessibilità di quelle esistenti e il disinteresse

delle istituzioni nel creare occasioni di riqualificazione mediante l’integrazione di servizi urbani di-

versi (istruzione, cura dell’infanzia e delle terza età, sanità, sport, tempo libero, …) genera un

vuoto. Laddove rimane inevasa la domanda di socialità e di sana competizione che gli sport di

squadra veicolano e che accompagna lo sviluppo della personalità nelle giovani leve, si svilup-

pano risposte spontanee. Si elegge a luogo per lo sport uno spazio inidoneo oppure ci si trincera

in recinti che vanificano la carica dell’attività sportiva nel favorire l’interazione e la cooperazione

(figure 21 e 22).

9 Vedi esempi illustrati nel capitolo 4.

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Gli episodi di repressione (figure 23 e 24), oltre a colpire l’immaginario per la loro crudezza,

evidenziano le difficoltà di gestire il tema complesso delle diversità in assenza, o quasi, di politi-

che per l’inclusione sociale dell’emarginazione costruttive.

I recenti fatti di cronaca – che spaziano dai disagi quotidiani di microcriminalità, accatto-

naggio e vandalismo a vere e proprie tragedie immotivate – accentuano la diffidenza nei con-

fronti del diverso e rischiano di generare un processo che conduce a reazioni violente. Ma, se è

necessario conservare equilibrio nel valutare i fatti, è altresì indispensabile non cedere a derive

demagogiche e garantire, a tutti i componenti della società multietnica, equità di giudizio e

certezza della pena10.

Al di là del problema culturale, che comunque richiede impegno, è necessario mettere in

gioco il riconoscimento dei diritti civili. Per quanto concerne l’immigrazione il nodo centrale da

sciogliere è quello della cittadinanza che, pur nelle diverse declinazioni, sancisce le modalità

nelle quali si consolida la mescolanza etnico-culturale. Le immagini raccolte all’insegna di questa

tematica rappresentano la testimonianza di uno stato di fatto: la mescolanza è avvenuta in modo

spontaneo ed individuale (figure 25 e 26) ed ha dato vita a nuove realtà includenti o allo spaesa-

mento e alla solitudine del diverso.

Nelle grandi aree metropolitane, in particolare, dove già sussistono le condizioni dell’alie-

nazione, della spersonalizzazione, della marginalità di ampie fasce di popolazione si moltiplicano

i luoghi della solitudine (figura 27).

Nella grande città l’anonimato permea la maggior parte dei contatti e, sovente, ad una con-

taminazione culturale foriera di reciproco arricchimento si sostituisce uno stile di vita asettico fi-

glio della globalizzazione; si perdono le connotazioni identitarie per soggiacere ai modelli più

esteriori della cultura ospitante globalizzata (figure 28 e 29).

Il percorso per immagini si conclude con la sequenza delle “sovrapposizioni” che aprono la

riflessione al ruolo della progettazione architettonica e urbana, quale risulta dalla percezione di

chi vive la città e non dall’idea originaria del progettista. Il gioco dei riflessi ben rappresenta la

complessità di una città contemporanea che si rifiuta di fare da sfondo agli eventi umani ma sale

alla ribalta come attrice e si impone all’attenzione di chi la vive con sempre maggiore disagio

(figure 30, 31 e 32).

10 Cfr. Cap 3, par. 3.2.

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7.4 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Note sugli autori

Gli architetti urbanisti autori della ricerca e curatori del volume

Massimo Clemente è nato nel 1962 a Napoli dove

vive con la moglie Antonella e i tre figli Fabrizia,

Guido e Flaminia. È architetto dal 1987, specializzato

in restauro dei monumenti dal 1990, nel Consiglio

Nazionale delle Ricerche dal 1989, dirigente di ricerca

dal 2001, afferisce, dal 2004, al Dipartimento di Con-

servazione di Beni Architettonici e Ambientali del-

l’Università Federico II di Napoli. Ha insegnato nella

Facoltà di Architettura della Seconda Università di

Napoli (1998-2005) e, dal 2005, è docente di Tecnica

urbanistica nella Facoltà di Ingegneria dell’Università

Tor Vergata di Roma. Gli interessi di studio partono

dall’architettura intesa come scienza che realizza il

migliore habitat possibile per l’uomo, spaziando dal

progetto architettonico al piano urbanistico. Parti-

colare attenzione è rivolta alla memoria come ele-

mento fondativo del fare architettura e urbanistica, all’utopia come tensione metafisica del progetto,

alle opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, alla dimensione internazionale della ricerca,

della formazione, della sperimentazione progettuale. Ha ricevuto riconoscimenti scientifici dalla

Fondazione Pasquale Corsicato e dalla Fondazione Aldo Della Rocca. È autore di numerosi saggi scien-

tifici tra cui “Spazio, tempo e velocità nel costruito: verso una nuova architettura?” (1998), “La città eu-

ropea urbanistica e cooperazione” (2002), “Il progetto della città dei migranti: ricerca, formazione, spe-

rimentazione” (2005), “Qualità e sicurezza urbana nella città multietnica europea” (2006). Nel 2008 ha

promosso “Città e Architettura”, rete di ricerca e collana dell’Editoriale Scientifica, per diffondere i risul-

tati delle attività di studio e formative.

Gabriella Esposito, laureata in architettura nel 1994 e ricercatore CNR dal 2001, dal 2004 svolge la

propria attività presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali

dell’Università Federico II, attraverso esperienze di ricerca (nel CNR e nell’Università), di formazione (in

diversi atenei italiani) e di sperimentazione (con il coordinamento o la partecipazione a ricerche ap-

plicate). La specializzazione in Progettazione urbanistica (Università La Sapienza, Roma) e il dottorato

in Pianificazione e scienza del territorio (Università Federico II, Napoli), uniti ad altre borse di studio, le

hanno consentito di affrontare con continuità il proprio percorso di studio, sviluppando tematiche le-

gate al concetto di sostenibilità, con particolare attenzione al recupero ed alla riqualificazione urbana

orientati all’inclusione sociale. Riceve riconoscimenti per la tesi di

laurea (premio IRI-Consorzio Napoli Ricerche) e per l’attività di ri-

cerca, dalla Fondazione Aldo Della Rocca (nel 1996 e nel 2002) e in

occasione del Premio Roberto Marrama Sezione Ricerca (2001). Tra

le numerose pubblicazioni si segnalano i contributi alle collane

della Fondazione Aldo Della Rocca e del CNR, ai Quaderni del

Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio e, in tempi

recenti, del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici

ed Ambientali dell’Università Federico II. Nel 2002 è la curatrice

del testo “Recuperare Innovando” che raccoglie i risultati di una ri-

cerca interdisciplinare da lei diretta. La diffusione prosegue con la

collaborazione alla cura del volume “La formazione dei Manager

della città interetnica. Le ricerche dei corsisti” (2005) e con saggi

sui temi del rapporto tra società multietnica e sicurezza urbana. La

sostengono nei suoi studi e nelle sue attività il marito Alberto e le

figlie Gaia e Diana.

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Gli autori dei contributi per la progettazione urbanistica

Bianca Petrella, nata nel 1954, è professore ordinario di Tecnica ePianificazione Urbanistica alla SUN, precedentemente è stata professoreassociato all’Università di Pavia e ricercatore del CNR. Per molti anni halavorato con il gruppo di ricerca “Innovazione tecnologica e trasforma-zioni territoriali”, coordinato dal prof. Corrado Beguinot, sviluppando ri-cerche sulla “città cablata”, quindi studiando come l’allora innovativa in-troduzione di prodotti, strumenti e sistemi tecnologici, modificando icomportamenti delle persone andava a modificare i comportamenti deisistemi urbani e territoriali. Ha anche collaborato alla stesura e alla dif-fusione della “Carta di Megaride 94” e, recentemente, partecipa alle atti-vità di ricerca promosse dalla Fondazione Della Rocca, esplorando i pro-cessi per il governo della città multietnica e della conflittualità generatadalla molteplicità di soggetti e strumenti che operano sulle trasforma-zioni territoriali. È autrice di oltre sessanta pubblicazioni scientifiche.

Claudia de Biase, architetto, si è laureata presso la Seconda Universitàdegli Studi di Napoli il 4 novembre 2000, riportando la votazione di110/110 con lode, con una tesi di laurea in “Progettazione urbana e piani-ficazione territoriale”. Nel 2005 ha conseguito il titolo di dottore di ricercain Pianificazione e Scienza del Territorio presso l’Università degli Studi diNapoli. A partire dalla tesi di laurea (2000), si è occupata delle tematichedella programmazione complessa ed europea e delle problematiche rela-tive alla pianificazione della città contemporanea, con particolare atten-zione a quelle inerenti alla convivenza di culture diverse in uno stessocontesto urbano. Ha pubblicato saggi sugli argomenti descritti e una mo-nografia dal titolo “Un toolkit per le piccole e grandi trasformazioni ur-bane” che individua e sistematizza tutte quelle azioni che devono esseremesse in campo per “governare” il territorio comunale, presentando unquadro completo delle possibilità offerte ai diversi attori interessati. È at-tualmente professore a contratto di Strumenti di Pianificazione urbani-stica presso la Facoltà di Architettura della SUN.

Ciro Tufano si è laureato in architettura presso l’Università di Napoli“Federico II” e si è perfezionato presso la stessa Università in Architetturadel Verde e Assetto del Paesaggio. Attento alla riflessione sulla prefigura-zione spaziale della città interetnica attraverso il design urbano, ha fre-quentato il master in Progetto e Gestione della città cablata e interetnica,presso la fondazione Aldo Della Rocca di Roma e discusso la tesi di dotto-rato in Design Industriale Ambientale Urbano, dal titolo Design urbano ecittà interetnica, presso la facoltà di Architettura della Seconda Universitàdi Napoli. Attualmente è docente a contratto in Design dei Servizi presso lafacoltà di Architettura della SUN e svolge attività didattica, come cultoredella materia, nel Laboratorio di progettazione architettonica della Facoltàdi Architettura dell’Università Federico II di Napoli. Tra i suoi lavori figurano:“Design urbano e nuove tecnologie: una piazza telematica ad Ottaviano”(2007), “Spazio pubblico e interazione sociale …” (2006), “Wooden stool forchildren, age 3-5, Support for lamp in pressare-fusion aluminium” (1997).

Gli autori dei contributi per la progettazione architettonica

Francesco Bruno è nato a Napoli nel 1940, dove, nel 1967, si è laureato in architettura con CarloCocchia ed ha collaborato ai corsi universitari di Nicola Pagliara. Dal 1980 è professore di progetta-zione architettonica nella Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” di Napoli e svolge ricercanel Dipartimento di Conservazione dei beni architettonici ed ambientali. È stato docente della OikosUniversity, è componente del collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in “Metodi di valutazioneper la Conservazione integrata del patrimonio architettonico, urbano e ambientale”, è docente di nu-

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merosi Corsi di Perfezionamento. In qualità diresponsabile dell’area progettuale, ha parte-cipato a numerose ricerche dipartimentali, in-ter-dipartimentali e con Enti locali sui problemilegati all’attività estrattiva, all’abitare ed alleperiferie. Come progettista, ha partecipato amolti concorsi ed ha realizzato, tra l’altro, ilDipartimento di Petrolchimica di Riyadh e l’im-pianto Polisportivo di base a Barra. È in realiz-zazione la “Piazza della Socialità” a Scampia,progetto integrato a molteplici funzioni, delquale è stato coordinatore della progettazione.Tra i suoi recenti scritti: “Il malessere urbano.Strategie progettuali, rinnovamenti e mutazioni” per la giornata di studi “Il malessere urbano e la ri-cerca dipartimentale. Le responsabilità dell’architettura e dell’urbanistica”.

Marco Cante è nato a Napoli nel 1969 dove vive con la moglie Patrizia e il figlio Bruno. Laureato nel1997 in architettura è dottore di ricerca e docente a contratto in “Caratteri tipologici e morfologici del-l’architettura”, presso la Facoltà di Architettura di Napoli “Federico II” e, dal 2005, è docente in“Composizione Interior Design” all’ISD (Istituto Superiore di Design) di Napoli. Ha partecipato a pro-getti di ricerca indagando i temi del montaggio e dell’assemblaggio, come categoria della composi-zione e come pratiche esecutive, e degli esiti linguistici connessi. È autore di diversi saggi e di un re-cente volume:“Architettura: composizione come montaggio” (Giannini). Ha curato la voce “montaggio”per l’Enciclopedia dell’architettura (a cura di A. De Poli, Motta Editore). Integra alla ricerca universitariala pratica nel campo della progettazione, partecipando alla elaborazione di numerosi progetti, tra cuiil recente “Progetto per la Piazza della Socialità a Scampia” e il Concorso per il “Tribunale di GrandeIstanza” di Parigi.

Eleonora Giovene di Girasole, è nata nel 1976 a Napoli dove vive e lavora. Laureata nel 2002 inarchitettura, è dottore di ricerca e docente a contratto per attività didattiche integrative in “Teorie etecniche della progettazione architettonica” presso la Facoltà di Architettura di Napoli “Federico II”.Ha partecipato a progetti di ricerca ed è autore di diversi saggi sulla riqualificazione sostenibile deiquartieri periferici, l’interetnia, la riqualificazione ambientale e il turismo sostenibile, ed è coautore diun recente volume Mutamenti del Paesaggio, Idee, proposte e progetti per la Penisola Sorrentina(Graffiti). Ha ricevuto riconoscimenti scientifici dall’A.I.S.Re. e dall’Accademia Nazionale dei Lincei.Integra alla ricerca universitaria la pratica nel campo della progettazione. Nel 2006 è cofondatricedello studio di architettura e urbanistica “ALCUBO”, con cui ha vinto il Primo premio del Concorso diProgettazione “Premio di Architettura Portus”, bandito dalla Biennale di architettura di Venezia, e ilPrimo premio del “Concorso di idee per la riqualificazione di un rione IACP a Castellammare di Stabiasecondo i criteri dell’architettura sostenibile”.

Il fotografo sociologo autore dell’indagine visuale

Maurizio Cimino, nato nel 1969 a Washington d.c. Ho vissuto in Italia e mi sono laureato pressol’Università Federico II di Napoli in scienze politiche. Sono fotografo e assistente di ricerca del Centrodi Ricerca Audiovisuale (Facoltà di Sociologia). Ho iniziato a fotografare 12 anni fa collaborando condiverse testate editoriali, dal 1998 sono membro della Cooperativa Reporter con la quale insegno fo-togiornalismo nelle scuole medie e superiori. Ciò che tento di produrre con le immagini è una dram-maturgia in cui elementi della vita e dello spazio quotidiano riescono ad invadere e ingombraregrandi episodi, dilatando l’obiettivo alla realtà sociale, alla miseria umana prima ancora che materiale,non facendone racconto e cronaca, bensì espressione visiva in cui tutto è coinvolto: dal fotografo allospettatore, una simultaneità di piani che scaturiscono da un ap-proccio fenomenologico basato sull’empatia. I miei principali sog-getti di ricerca e produzione fotografica sono l’identità dei Rom,urban life e street photography, corpo e movimento nelle perfor-mances teatrali e musicali. Ultime esposizioni e pubblicazioni: Tuttoun altro ritmo (Paris 3°), Il mondo di Vesna (Museo di Santa Chiara,Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Paris debout (UniversitàFederico II, Institut Culturel Francais Grenoble), Scatti di rabbia(GIU* Box Gallery), Via del riposo slideshow per N. Est (MuseoMadre).

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