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REGGIO EMILIA MUSEI CIVICI FRANCESCO GARBASI DEPOSITI VOTIVI EXTRAURBANI DELL'ETÀ DEL FERRO NELLA PIANURA EMILIANA. DATI INEDITI DAL TERRITORIO PIACENTINO 5-2007/2011

Depositi votivi extraurbani dell'Età del Ferro nella pianura emiliana. Dati inediti dal territorio piacentino

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REGGIO EMILIAMUSEI CIVICI

francesco garBasi

DePosiTi VoTiVi eXTraUrBani DeLL'eTà DeL ferroneLLa PianUra eMiLiana.

DaTi ineDiTi DaL TerriTorio PiacenTino

5-2007/2011

Comune di Reggio emiliaMusei Civici

PAGINE DI ARCHEOLOGIA - STUDI E MATERIALI

Collana a cura di:Roberto MacellariJames Tirabassi

Musei Civici Via L. Spallanzani n. 142100 Reggio Emilia

Tel. 0522/456477 - Fax 0522/456476

Presentazione

Pagine di archeologia vuole essere, in ambito locale, un modo istantaneo per render conto delle ricerche e degli studi che interessano il territorio reggiano e i materiali (indi-pendentemente dalla provenienza) conservati nelle raccolte del Museo reggiano. L’iniziativa è volta anche a radunare, perché non si disperda in mille rivoli, la produzio-ne scientifica di interesse locale, senza rinchiudersi in un deteriore localismo, sollecitando contributi su tutti i temi connessi alle problematiche della nostra area. Agli studi archeologici dalla Preistoria all’Alto Medioevo, si affiancheranno ricerche facenti capo alle discipline naturalistiche, matematiche e fisiche, che prestano la loro determinante opera alla ricostruzione del passato. Il fine principale di queste pagine è la volontà di render disponibile alla comunità dei ricercatori uno strumento che, seppur in veste spartana, sia in grado di render pubblico in pochi giorni ogni contributo disponibi-le, rispondendo all’esigenza di tanti degli addetti ai lavori di vedere prontamente edito il frutto delle loro fatiche, insofferenti di attese indeterminabili, anche quando premiate da un’edizione di prestigio. I testi monografici, che usciranno senza alcuna cadenza, alla fine di ogni anno verranno fascicolati e distribuiti in un unico volume. Non proponiamo norme predeterminate, che inevitabilmente rallenterebbero i tempi edi-toriali; basta infatti che ogni contributo sia completo di bibliografia, didascalie, appendici funzionali alla sua corretta lettura. Testi e tavole dovranno essere consegnati in versione definitiva.

I curatori

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Depositi votivi extraurbani dell’Età del Ferro nella pianura emiliana.

Dati inediti dal territorio piacentino.

Francesco Garbasi Con un contributo di Paolo Severi*

Le profonde modificazioni del paesaggio rendono difficoltoso il lavoro di ricontestualizzazione antro-pico-ambientale dei luoghi associati ai depositi votivi di pianura. L’avulsione di alcuni fiumi e i depo-siti alluvionali hanno profondamente modificato soprattutto la bassa pianura rendendo necessari detta-gliati studi sull’evoluzione del paesaggio e sul riconoscimento degli alvei dei fiumi e torrenti attivi nell’Età del Ferro. Il caso delle stipi votive disseminate lungo il tracciato del fiume Panaro ci fa intuire come i luoghi posti nelle vicinanze dei corsi d’acqua potessero essere aree privilegiate per l’impianto di strutture adibite al culto o quantomeno per il seppellimento degli oggetti devozionali. Il riconosci-mento dei paleoalvei ha quindi grande importanza per la verifica della possibile relazione diretta tra stipi votive e acque. Se in area appenninica e pedecollinare le testimonianze di culto lasciano sovente intuire uno stretto rapporto tra il culto e le acque1, in pianura non abbiamo testimonianze equiparabili. Ogni singola porzione territoriale interessata da ritrovamenti di carattere cultuale richiederebbe un stu-dio approfondito oltre che di carattere archeologico anche geomorfologico e paleoambientale. Ma se le aste fluviali hanno cambiato più volte percorso, esiste un’altra emergenza acquifera caratte-rizzante la nostra pianura che ha mantenuto invariata nei secoli la sua collocazione, si tratta delle polle d’acqua di risorgiva della media pianura. La loro genesi è principalmente dovuta ai depositi dei fiumi appenninici2, che abbandonando nel loro percorso i detriti trasportati hanno permesso il formarsi di “fasce” a composizione granulometrica si-mile abbastanza omogenee3. Esse si dispongono con andamento parallelo al margine appenninico e sono distinguibili in alta, media e bassa pianura. La differenza geologica fa sì che l’alta pianura (com-posta in prevalenza da ghiaie) immagazzini acqua4, quest’ultima raggiunta la media pianura incontra sedimenti più fini, quali limi e argille che gradualmente ne impediscono lo scorrimento sotterraneo, portandola ad emergere e formare la cosiddetta “fascia delle risorgive”. Osservando la carta in figura 1 emerge con chiarezza come tre dei quattro depositi di lingotti di rame ferroso rinvenuti in Emilia (Quingento, Campegine e Castelfranco Emilia) coincidano proprio con aree fortemente interessate da fenomeni di risorgiva, questa coincidenza già notata da R. Macellari5 aveva indotto l’autore a proporne una destinazione cultuale.

                                                            * Al dott. Paolo Severi si deve il paragrafo denominato “analisi geomorfologica”, come specificato nel testo. 1 Si pensi alle monumentali strutture di captazione dell’acqua del santuario fontile di Marzabotto (Gualandi 1970; Govi

1995; Malgieri 2007) o ai bronzetti anatomici della stessa Marzabotto o a quelli di Servirola (Miari 2000, p. 89, fig. 2 ) e Doccia (Miari 2000, p. 133, fig. 15), queste due ultime località si trovano in corrispondenza dello sfociare in alta pianura di due fiumi importanti, rispettivamente Enza e Panaro. Per un approfondimento sui diversi culti legati alle acque si vedano: Prayon 1993, Imola 1997, Maggiani 1999 e Chianciano Terme 2003.

2 Ma anche, in un numero minore di casi, all’innalzamento di livelli impermeabili di origine marina, dovuto al passaggio di un’anticlinale, che venendo a costituire uno sbarramento per le acque sotterranee, le fa emergere sotto forma di risorgive.

3 Il regime torrentizio e stagionale dei corsi d’acqua appenninici non garantisce una regolare deposizione dei clasti con classazione decrescente lungo l’asta fluviale, ciò comporta un’irregolare distribuzione e portata delle risorgive. (Petrucci 1982).

4 L’alimentazione della gran parte delle risorgive sembra dovuta soprattutto agli acquiferi profondi e in misura minore alle falde freatiche, si veda Petrucci-Bigi-Pecorari-Vidoni Tani 1982. 

5 Pellegrini-Macellari 2002, pp. 37-40 (Quingento); pp. 54-59 (Campegine); pp. 64-71 (Castelfranco Emilia).

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La collocazione del deposito di San Polo d’Enza, rinvenuto dal Chierici sul fondo del “pozzo del mar-gine” dell’insediamento di Campo Servirola, ha ancor più evidenti rapporti con l’acqua sgorgante (fig. 1 riquadro in basso a sinistra). Le analisi microstrutturali e chimiche indicano la pressoché inutilizza-bilità dei lingotti emiliani in ulteriori processi di fusione, tale limite è dato dalle forti percentuali di ferro che volutamente non separato dal rame peggiorano notevolmente la qualità e l’eventuale lavora-bilità degli stessi. Queste considerazioni avvalorano l’ipotesi di una funzione prettamente simbolica dei lingotti6.

Al di fuori dell’area qui esaminata merita menzione il rinvenimento avvenuto a metà ’700 in comune di Castelfranco di Sotto (Pisa) di un eccezionale ripostiglio “di pani di metallo di circa 500 libbre di peso”7, l’ingente deposito fu scoperto presso l’emissario della grande area umida del padule di Fucec-chio. Purtroppo i ripostigli di lingotti di rame ferroso rinvenuti in Italia sono quasi tutti frutto di recuperi fortuiti avvenuti nell’800 e spesso si è persa la precisa indicazione del luogo di rinvenimento, gra-vando pesantemente sulle possibilità di una corretta interpretazione degli stessi8.

                                                            6 “Forse l’ipotesi più ragionevole è che il ferro sia stato impiegato come adulterante, per “bloccare” il rame e renderlo

inutilizzabile, in modo da destinare stabilmente i lingotti alla sola funzione simbolica e/o rituale.” Garagnani-Martini 2002, p. 154. 

7 Pellegrini-Macellari 2002, pp. 137-138; 500 libbre corrispondono a oltre 200 kg; si veda anche Pigorini 1914, pp. 79-80. 8 Per un quadro completo dei rinvenimenti di aes signatum e aes rude si veda Pellegrini-Macellari 2002.

Fig. 1 Le carte di base, utilizzate per l’individuazione delle risorgive emiliane, sono tratte da Albani 1965 e si riferiscono ad un censimento compiuto nel 1962, ma censimenti più recenti dimostrano la scomparsa di numerosi fontanili. Per l’area piacentina sono disponibili altri due censimenti 1988 e 2002-2003 consultabili in rete (vedi Bibliografia internet, Censimento fontanili Provincia di Piacenza), mentre per il parmense è stato realizzato un censimento (da parte di ARPA e Università degli Studi di Parma) nell’anno 2000. E’ ipotizzabile che il numero delle risorgive nell’Età del Ferro fosse numericamente maggiore e che le aree colorate in verde vadano quindi dilatate per avere un quadro paleoambientale più realistico.

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Se questi dati sembrano indicare una stretta relazione tra aree di risorgiva e depositi di lingotti, più dif-ficili da interpretare sembrano i dati offerti dai ritrovamenti di bronzetti a figura umana e animale. A differenza dell’area appenninica che offre le stipi extraurbane più ricche (Montese, monte Acuto Ragazza e Monte Bibele) l’area della pianura emiliana risulta estremamente povera di dati. Se esclu-diamo la breve teoria di depositi votivi lungo il Panaro (tenendo conto che non è affatto certo che i due bronzetti da Spilamberto9 provengano da un medesimo contesto10) e San Polo d’Enza per l’organizzazione urbana dell’insediamento, rimangono solamente i depositi di Monte Capra11 (BO) e Chiavenna Landi (PC). Tutti gli altri ritrovamenti risultano essere isolati e quando non lo sono (come nel caso di Rivalta12 –RE ) si tratta di piccoli bronzetti laminari denominati di tipologia umbro-ligure. Questi sembrano però adibiti anche al culto privato oltre che (come nella caso della Buca di Castelvenere13 –LU) ad un culto comunitario. Le due stipi maggiori qui considerate, situate nell’alta pianura/pedecolle (Doccia14 e M. Capra) sono state collegate a culti generalmente definiti “delle acque” ma con motivazioni differenti. La stipe di Doccia presenta oltre ad alcuni bronzetti antropomorfi, anche un pendaglio a forma di gamba umana che in Etruria Padana e settentrionale sembra strettamente collegato al culto delle acque salutari. Per quanto riguarda M. Capra sono presenti oltre agli antropomorfi solo due oggetti miniaturistici (di dif-ficile interpretazione) che non rimandano automaticamente a culti idrici. È comunque stato proposto di riallacciare il deposito all’ambito dei culti delle acque15 per la presenza di polle d’acqua sorgiva e per l’ubicazione delle statuette all’interno di uno strato nerastro acquitrinoso. Tra i rinvenimenti isolati è possibile evidenziare come anche quelli di Montale16 e Bazzano17 si trovino in aree in cui sono pre-senti risorgive. L’area più significativamente interessata sia da rinvenimenti compatibili con pratiche di culto che da acque di risorgiva è però quella di Castelfranco Emilia, infatti poco a nord della Via Emilia si rinvenne il deposito di lingotti di rame ferroso a cui prima si faceva riferimento, mentre a sud della stessa un te-soretto di monete greche e due statuette bronzee18. Un noto passo di Tacito19 ci informa che dopo la distruzione del tempio sul Campidoglio nel 69 d.C. gli aruspici raccomandarono di trasportarne le vestigia “in paludes”, ciò deve far riflettere sulla possi-bilità che stipi votive20 rinvenute all’interno di zone acquitrinose non rispecchino necessariamente un culto ad esse associato, ma che possano rappresentare l’ultimo atto (necessario) di dedicazione degli oggetti contenuti nei santuari.

                                                            9 Miari 2000, pp. 136-138, tav. VI b-c. 10 Per quanto riguarda i due bronzetti provenienti da Nonantola, essendo stati consegnati contemporaneamente al Museo

Civico di Mantova e da una sola persona, è più probabile che provengano da un unico deposito di cui però non si conosce la precisa ubicazione. La segnalazione del rinvenimento di due statuette in bronzo da Finale Emilia (Casa Rossa, Via Rovere) di presunta età preromana manca di ogni possibilità di verifica essendo dispersi entrambi gli oggetti. Per Nonantola si veda Miari 2000, p. 140-141; per Finale Emilia Calligola 2003, p. 95.

11 Miari 2000, pp. 174-177, fig. 23. 12 Miari 2000, pp. 106-109, fig. 10; Damiani-Maggiani-Pellegrini-Saltini-Serges 1992, pp. 205-206, tav. CIII. 13 Mencacci-Zecchini 1976. 14 Miari 2000, pp. 131-133, fig. 15; Capoferro Cencetti, Coralini, Di Pietro Xotta 1992, p. 187, tav. 2, figg. 3,4,6,7; p. 198,

tav. 4, fig. 18. 15 Miari 2000, p. 174. 16 Scarani 1963, p. 533 (80 a, Fe 2); Miari 2000, pp. 135-136, fig. 13 E; Tarpini 2009, p. 16. Si noti che a Sud-Est di

Montale in direzione di Castelnuovo Rangone sono presenti alcune risorgive, censite nel 1962 dalla Dott.ssa Anna Maria Rinaldi e pubblicate in Albani 1965, p. 155, Tav. I e oggi protette e inserite nel PTCP della Provincia di Modena sotto la dicitura “zone di tutela dei fontanili” (PTCP 2009, Tav. 3.2.1, scala 1:25000).

17 Scarani 1963, p. 539 (109, Fe 2); Scarani 1976-1977, pp. 72-73, 79, fig. 1, n. 10. Circa a 2 km a Nord-Ovest di Bazzano esiste un luogo chiamato Fondo Padulli vicino al quale nel PTCP della Provincia di Bologna (aggiornato ad aprile 2011- TAV. 2B. Scala 1:50000) è evidenziata un’area di rispetto a tutela delle sorgenti e pozzi. Sono da notare anche l’estrema vicinanza del t. Samoggia (forse più indicativa) e le particolari condizioni del rinvenimento : “Si precisa che la statuetta, insieme a frammenti fittili neri e rossicci, lavorati al tornio, a una fusaiola di “smalto”, ad ossa di quadrupedi – cervo compreso- e a carboni, era in una fossa con pareti e copertura in ciottoli a secco..” Scarani 1976-1977, p. 79. L’area di ritrovamento coincide con l’ex Foro Boario, oggi Piazzale della Pace.

18 Neri 1998; Neri 1999, pp. 28-31; Neri 2001; Generali 2001, pp. 57-64; Miari 2000, pp. 138-140. Per un inquadramento generale del possibile rapporto tra insediamenti antichi e fontanili nei pressi di Castelfranco Emilia si veda Neri 2000.

19 Tacito, Historiae, Libro IV, par. LIII. 20 Non caratterizzate da oggetti che rimandino direttamente ad un uso cultuale delle acque.

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Come abbiamo visto, la documentazione emiliana sembra indiziare uno stretto rapporto tra depositi di lingotti e acque di risorgiva (anche artificiale, come nel caso del pozzo di Sevirola), mentre i depositi di bronzetti votivi21 (quando non esplicitamente legati a culti salutari tramite bronzetti anatomici) potrebbero essere, in alcuni casi, caratterizzati da un rapporto con le acque solamente nella loro ulti-missima “fase di vita” ovvero nel momento del seppellimento rituale. Parallelamente si hanno attesta-zioni di altri tipi di doni, forse più genuinamente legati alle acque (correnti?) ossia degli elmi che ve-nivano sepolti nei letti dei fiumi. L’unica attestazione emiliana è rappresentata dall’elmo conico rinvenuto nel Po, probabilmente all’altezza di Villanova d’Arda (PC)22. Ma una testimonianza affine potrebbe essere rappresentata della nota statuetta bronzea conosciuta come il “guerriero di Reggio Emilia”, che una recente proposta di lettura induce a considerare come la raffigurazione dell’offerente nell’atto di donare l’elemento che più lo contraddistingue, ossia l’elmo23. La scarsità di documentazione non permette di comprendere quali divinità fossero venerate nei san-tuari extraurbani della pianura emiliana, mentre per quanto concerne le aree urbane o pseudo-urbane si possono citare solamente i due bronzetti da Villa Cassarini (BO) rappresentanti Ercole e Apollo con lira, un bronzetto con dedica in greco ad Asclepio24, che sarebbe stato rinvenuto nei pressi dell’odierno palazzo del Tribunale e due iscrizioni dedicatorie a Vei e Rat da Campo Servirola di San Polo d’Enza25. È stato più volte rimarcato come tutte queste divinità siano spesso associate all’elemento idrico26, senza tuttavia poterne provare (in questi casi) il legame diretto. Le fortunate scoperte avvenute nella seconda metà dell’800 in territorio reggiano, quali l’area “ur-bana” di Campo Servirola e il sepolcreto delle Fornaci presso S. Ilario d’Enza, hanno fatto sì che l’attenzione verso il popolamento etrusco in questa provincia sia sempre stata alta. Queste premesse, unitamente al meritevole sforzo dei Musei Civici di Reggio Emilia nel pubblicare i materiali conser-vati nella Collezione Civica e quelli frutto di ricerche recenti, hanno da sempre dato particolare risalto a questo periodo storico. Negli ultimi decenni, grazie all’impegno della Soprintendenza Archeologica, si sono potuti raccogliere numerosi dati riguardanti il popolamento del’Età del Ferro anche nel limi-trofo territorio parmense che precedentemente sembrava interessato marginalmente dal popolamento etrusco. Recentemente anche il territorio piacentino ha restituito alcuni insediamenti e necropoli risalenti al VI sec. a.C.. Questi dati permettono di avere un quadro più armonico del popolamento emiliano e di ol-trepassare il falso limite all’avanzamento etrusco verso occidente un tempo rappresentato dall’Enza. Ricerche condotte da chi scrive per la tesi di laurea27 hanno portato ad individuare un piccolo deposito votivo nella bassa pianura piacentina. La scoperta, di per sé di notevole interesse, acquisisce valore storico se si considera l’area geografica interessata e l’alta cronologia dell’unico bronzetto antropo-morfo che si è riusciti a rintracciare (seconda metà del VI sec. a.C.).  

 

 

 

                                                            21 Per lo più antropomorfi. 22 De Marinis 1998, pp. 76-79; Gambari 2000, p. 206, fig. 3; si veda anche Antike Helme 1988, pp. 498-500 . Si veda

anche Bianchin Citton – Malnati 2001, per quanto riguarda le problematiche legate all’interpretazione degli oggetti bronzei protostorici rinvenuti nei fiumi veneti. 

23 Macellari 2008, pp. 369-370. 24 Cristofani 1985b; si vedano i dubbi espressi da G. Sassatelli riguardanti il luogo del ritrovamento, Sassatelli 1994, p.

136. 25 Per Villa Cassarini si vedano Gualandi 1974; Cristofani 1985, pp. 118-121, 259-260. Per Campo Servirola si vedano

Macellari 2005; Damiani, Maggiani, Pellegrini, Saltini, Serges, 1992; Sassatelli 1994, pp. 139-140. 26 Si veda ad esempio Maggiani 1999, p. 193. 27 Tesi dal titolo “Testimonianze di culto nel territorio piacentino tra VI e V sec. a.C. alla luce delle dinamiche del

popolamento e delle scelte insediative” Università degli Studi di Parma, A.A. 2010-2011, relatore Alessia Morigi, correlatore Roberto Macellari.

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Fig. 2 Carta di base tratta da MUP, Storia di Parma II, Base Gis.

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Deposito votivo di Chiavenna Landi

Verso la fine dell’800 mentre si zappava un campo posto tra i torrenti Chiavenna e Riglio, in Comune di Cadeo, ma poco ad ovest di Chiavenna Landi, si rinvennero tra le zolle due statuette bronzee, che a detta di chi le vide erano uguali. Attualmente si conserva solo una statuetta, mentre l’altra risultava già dispersa almeno dagli anni ’60 del XX secolo28. Il bronzetto conservato può essere inquadrato in una produzione etrusco-padana della seconda metà del VI sec. a.C. (probabilmente l’ultimo quarto). La bassa pianura piacentina aveva già restituito materiali dell’Età del Ferro risalenti al VI sec. a.C. (si ricordino le aree sepolcrali di Pontenure - S. Giovanni29, Chiavenna30, Fiorenzuola - Loc. Azienda Paullo31 e quelle di abitato di Cortemaggiore - Loc. Casa Rossa32, Besenzone - Loc. S.Omobono33), ma non si era ancora rinvenuto alcun deposito votivo. Il piccolo deposito di Chiavenna è ad oggi il più oc-cidentale dell’Emilia e contribuisce a confermare l’importante presenza etrusca che in quest’area do-veva essere già consistente nella tarda Età Arcaica, come recenti scoperte vanno avvalorando. E’ evi-dente che nel panorama della cultura materiale gli oggetti inerenti alla sfera religiosa sono tra i più in-dicativi dell’etnicità dei loro possessori, per questo motivo la scoperta riveste particolare importanza nello studio dei fenomeni di “colonizzazione” etrusca dell’Emilia occidentale. Analisi del sito

L’individuazione dell’area di rinvenimento è stata possibile grazie alla sistematica raccolta delle testi-monianze orali che hanno permesso di concentrare l’attenzione in una ristretta porzione territoriale po-sta a nord della via Emilia e compresa tra i torrenti Chiavenna e Riglio. Preliminari ricerche di superfi-cie hanno confermato l’antichità degli starti di terreno in affioramento, entro i quali sono stati raccolti materiali di epoca romana, alcuni frammenti ceramici databili all’Età del Ferro (fig. 3a, 3b)34 e una punta a dorso su lama probabilmente riferibile al Neolitico. Anche la carta geologica35 conferma come il settore oggetto di verifica sia formato da alluvioni anti-che36, caratterizzate da fini depositi di argine distale. Le ricerche d’archivio hanno permesso di individuare una mappa datata 1569 (fig. 4) che ha restituito importanti informazioni sull’assetto idrografico dell’area posta a sud della via Emilia. Da quest’ultima scopriamo che a metà cinquecento i numerosi fontanili che sgorgavano nei pressi di Zena e Carpaneto Piacentino37 riversavano le loro acque in un canale importante, denominato Reio il cui nome deriva con ogni probabilità dal vicino torrente Riglio che sulla medesima mappa è denominato flumen Regÿ, nonostante la principale fonte di alimentazione del canale fosse il torrente Chero. I numerosissimi mu-lini attestati lungo il suo corso ne giustificano il nome attuale “Canale del Molino”. Come detto la co-

                                                            28 Il piccolo deposito di Chiavenna conferma ciò che alcuni autori hanno spesso sostenuto circa i presunti ritrovamenti di

bronzetti “isolati”, ossia che “quasi sempre si tratta, forse, in realtà di piccole stipi votive di cui si è perso ogni riferimento agli altri bronzetti” (Romualdi 1989-90, p. 622).

29 Cavazzuti 2008. 30 Saronio 2002; Carini 2008. 31 Miari 2008; Miari-Losi 2009. 32 Miari 2003. 33 Saronio 2002. 34 Si ringrazia la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, nella persona della dott.ssa Daniela

Patrizia Locatelli, per aver concesso la pubblicazione del materiale (autorizzazione prot. N. 7129 Class. 34.04.07/2 Pos. B/1 del 25 maggio 2012).

35 Carte Geologico-Geolitologica, Piano Strutturale Comunale Cadeo, TAV. Q.C. 23, scala 1:10.000. 36 Attribuite dai redattori della Carta Geologica consultata all’Olocene inferiore. 37 Nel censimento del 1962 (Albani 1965) non sono censiti fontanili a monte di Carpaneto Piacentino, ma sono altresì

evidenti nella mappa conservata presso l’Archivio di Stato di Parma, Raccolta Mappe e Disegni, vol. 25, n° 29 (della quale riporto solamente un dettaglio del settore più a valle, fig. 4) e facilmente localizzabili grazie alla puntuale corrispondenza del reticolo idrografico con il Catasto piacentino degli anni ’20 dell’ottocento (A.S. PC., Catasto della provincia di Piacenza, terreni, mappe, quadro d’unione Comune di Cadeo, 1821 e quadro d’unione Comune di Carpaneto, 1823). In Petrucci et al. 1982, I fontanili dell’area “Chero” ubicati più a monte rispetto all’andamento principale della cosiddetta “fascia delle risorgive” sono così descritti : “..le risorgive si rinvengono a ridosso del margine orientale dell’ampia e alta conoide del t. Nure, nella parte più depressa, dove i depositi sono costituiti da materiali piuttosto fini. Le acque sotterranee più superficiali, provenienti dai bacini limitrofi, sempre modesti, trovano un naturale sbarramento in tali sedimenti e risalgono a giorno”.

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stante alimentazione del rio generato dai fontanili era garantita dal torrente Chero38, tutt’ora sono due i principali punti di captazione delle acque di quest’ultimo (Tabiano e Badagnano), ma anche, in misura minore, da Rio delle Canne nei pressi di Tabiano. Il successivo scavo del canale sito a valle di Zena e denominato Rio della Fontana39 ha determinato un radicale cambiamento rispetto alla situazione cinquecentesca, convogliando la maggior parte delle acque nel t. Chiavenna ad ovest di Roveleto, di-minuendo notevolmente la portata del tratto di canale passante per Cadeo40. L’importanza delle risorgive, in questo settore territoriale, è garantita anche dalla toponomastica. La prima fonte scritta a nostra disposizione è l’Itinerarium Burdigalense (redatto nel 333 d.C.), il quale menziona la mutatio ad fonteclos, posta ad 8 miglia da Fidenza e 13 miglia da Piacenza, ma an-cora oggi nei pressi di Cadeo è presente il paese Fontana Fredda e diversi sono i corsi d’acqua deno-minati “Fontana” o “della Fontana”.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                            38 La mappa del 1569 mostra come in prossimità di Molino Conforti (sulla carta indicato con il nome “molino del

Asenello”) vi fosse una presa d’acqua del canale dal torrente Chero, ma visto il dislivello altimetrico dei terrazzi posti nella zona, questo tipo di alimentazione in questo punto appare poco probabile. L’acqua che giungeva al mulino Conforti e che tutt’ora scorre nelle sue vicinanze è sì captata dal t. Chero, ma nei pressi di Tabiano e Badagnano, circa 6 km più a monte. Ciò fa supporre che la rappresentazione nell’estrema porzione meridionale della mappa sia stata volutamente “compressa” per mostrare il punto di captazione delle acque del canale.

39 Nei territori parmense e piacentino le risorgive vengono chiamate “fontana” o “fontanone” e da queste prendono il nome i numerosi canali che vi scaturiscono. Dina Albani nel 1965 a proposito delle risorgive comprese nel settore territoriale tra l’Arda e il Nure scriveva : “Le sole che meritano di essere ricordate sono quelle di Zena, dette rispettivamente Fontana Bassa e Fontana Alta, che insieme alimentano il rio anch’esso chiamato della Fontana. Sono sfruttate, oltre che dal Molino di Zena, da 26 utenti riuniti in Consorzio. Come abbiamo già osservato per altre zone, anche qui la perforazione di pozzi artesiani, effettuata a Zena dal Consorzio irriguo della Val d’Arda, ha portato ad un sensibile abbassamento del livello delle acque” (Albani 1965, p. 162) . Nonostante ciò le misurazioni effettuate nel 1982 nell’area “Chero” mostrano come la sorgente perenne presso C. Fontana avesse una ragguardevole portata variabile tra i 60 e i 100 l/s (Petrucci-Bigi-Pecorari-Vidoni Tani 1982, p. 282).

40 Il canale, che nella cartografia attuale porta il nome di Rio della Fontana, è già presente nel catasto degli anni ’20 dell’ottocento con il nome Canale della Chiusa.

Fig. 3b Loc. Mezzanella di Sotto, ceramica d’impasto con vacuoli (Età del Ferro). Interno.

Fig. 3a Loc. Mezzanella di Sotto, ceramica d’impasto con vacuoli (Età del Ferro). Sezione ed esterno. (Disegno di Ivan Fioramonti)

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Fig. 4 La mappa, datata 1569, mostra Canale del Molino (denominazione attuale) prima della successiva deviazione cheporterà la maggior parte delle sue acque ad immettersi nel t. Chiavenna ad ovest di Roveleto. Inoltre si evidenziano inumerosi fontanili, nei pressi di Zena, che alimentavano il canale. (Il torrente nella parte bassa della mappa è il Chero,la strada sulla destra che lo oltrepassa con un ponte è la Via Emilia e le due rocche, da sinistra verso destra, sonorispettivamente R. di Zena e R. di Cadeo). (A.S. PR. Raccolta Mappe e Disegni, vol. 25, n° 29, autorizzazione Prot. N. 635/V.9.3 del 13.02.2012)

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Analisi geomorfologica

Al fine di inquadrare i reperti rinvenuti ed analizzati nella presente nota nel contesto geomorfologico locale, sono state ricostruite le isoipse della zona dell’alta pianura piacentina compresa tra il torrente Riglio ed il torrente Chiavenna. Queste isoipse sono state tracciate a mano con una equidistanza di un metro, a partire dai punti quotati presenti nella carta tecnica regionale in scala 1:5.000 della Regione Emilia-Romagna; il risultato è mostrato, in diverse scale, nelle figure 5, 5a e 5b, come si vede le quote vanno dalla 80 alla quota 50 sul livello del mare.

  Fig. 5 Andamento delle isoipse (equidistanza 1 metro) nella zona in analisi ed individuazione di un dosso nella zona tra il t. Riglio ed il t. Chiavenna. Le isoipse tracciate permettono di evidenziare alcuni elementi di carattere geomorfologico. Nell’estremità occidentale delle figure 5 si nota una struttura rilevata che rappresenta evidentemente il dosso del torrente Riglio. Nell’estremità orientale delle figure 5 si individua una zona depressa a sud (dall’isoipsa 80 sino all’isoipsa 62 circa) ed una rilevata a nord (dall’isoipsa 62 in avanti), che individuano la zona di com-petenza del torrente Chiavenna, prima inciso, e poi rilevato rispetto alla circostante pianura.

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Fig. 5a Porzione meridionale della figura 5

Fig. 5b Porzione settentrionale della figura 5

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La zona compresa tra le forme di pertinenza dei torrenti Riglio e Chiavenna è più articolata, ma pare distinguersi in modo abbastanza chiaro una struttura rilevata evidenziata nelle figure 5 con il tratteggio nero. In alcuni casi questa struttura positiva risulta più evidente a causa dell’erosione dovuta ai piccoli corsi d’acqua presenti ai lati della forma positiva stessa. Ciò è osservabile in figura 5b nella zona tra il tratteggio nero ed il torrente Chiavenna (dall’isoipsa 61 sino alla 57). Tuttavia l’analisi morfologica di tutta l’area esaminata permette di affermare in modo abbastanza certo che si tratti di una forma posi-tiva di carattere de posizionale, ovvero di un dosso rappresentante un paleo alveo. Considerando il contesto, questa forma positiva potrebbe rappresentare il paleo alveo costruito dal Reio41 (poi Canale del Molino, da cui ha origine Rio della Fontana) che si trova infatti immediata-mente a monte del dosso, e che proprio immediatamente a monte del dosso evidenzia un’incisione (dall’isoipsa 80 alla 76). In questa zona pertanto l’antico Reio potrebbe essere passato da un contesto erosivo ad uno de posizionale, formando quindi poco più a valle (dall’isoipsa 73 sino alla 50) il suo dosso. Si osservi che il Rio della Fontana ha un tracciato rettificato proprio a partire dalla zona in cui si evi-denzia il dosso. La rettificazione potrebbe proprio essere stata dovuta alle esondazioni che il Reio po-teva realizzare essendo rilevato sulla circostante pianura. Paolo Severi (Servizio Geologico, Sismico e dei Suoli – regione Emilia-Romagna). Conclusioni

L’analisi geomorfologica quindi permette di individuare un antico canale che originariamente doveva essere alimentato esclusivamente dai numerosi fontanili. Come evidenziato nelle figure precedenti il canale scendeva dal settore a sud della via Emilia sino a nord di essa, passando nelle immediate vici-nanze del deposito votivo e nell’area in cui sono stati ritrovati alcuni frammenti ceramici dell’Età del Ferro42. Questi dati permettono di ipotizzare che l’area in oggetto non sia più stata alluvionata almeno da quest’ultimo periodo, ma forse da età ancora anteriore. Il mancato apporto di materiali d’esondazione ha impedito la crescita dei depositi in quest’area che oggi risulta essere un naturale basso morfologico. L’area indagata si è rivelata essere una vera e propria “finestra geomorfologica” (non comune in aree di bassa pianura), ciò garantisce la compatibilità del luogo indicato come quello del fortunato rinveni-mento ottocentesco. Per quanto riguarda la toponomastica, l’elemento di maggior interesse riguarda l’idronimo “Chia-venna”. In un articolo del 1990 Giovan Battista Pellegrini43, riconducendo i toponimi con suffisso –enna o –ena ad ambito etrusco, cita anche “Chiavenna” tra gli esempi dell’Italia superiore. Successi-vamente G. Sassatelli44 afferma che per questo tipo di suffisso “non è difficile postulare legami con l’etrusco”. Recentemente G. Colonna45 ha però portato numerosi esempi di attestazioni toponomasti-che con lo stesso tipo di suffisso di ambito non etrusco. In questa sede si riportano solamente due esempi: l’oronimo d’ambito celtico Cevenna in Aquitania e il toponimo d’ambito retico Clavenna, a proposito del quale lo stesso Colonna rileva come sia attestato come idronimo anche nel piacentino. Il più antico riferimento all’idronimo piacentino, finora conosciuto, è la forma Clenna46 dell’Anonimo Ravennate (An. Rav., IV, 36). Se l’attestazione antica può essere considerata corretta, sembrerebbe op-portuno fare qualche raffronto con un altro idronimo di sicura pertinenza etrusca, il Chiana. Il rinve-nimento di un bronzetto con l’iscrizione mi klanin[sl] in prossimità della confluenza del Chiana

                                                            41 Si è scelto di utilizzare il nome più antico a noi noto del canale, tuttavia facendo riferimento ad un momento precedente

la sua completa regimentazione. 42 Se l’antichità del canale sembra garantita dai ritrovamenti effettuati nei pressi del suo dosso, è altresì da notare che senza

scavi stratigrafici non è possibile attribuire con certezza il paleo alveo all’Età del Ferro. La complessità dello sviluppo di questo settore di piana inondabile è testimoniata anche da almeno un’ulteriore traccia di paleo alveo, evidente da fotografia satellitare, passante in corrispondenza dello Zamberto (località che prende il nome dalla nota famiglia dei conti Zamberti) che potrebbe costituire un ulteriore sviluppo del paleo alveo evidenziato nelle figure 5, 5a, 5b.

43 Pellegrini 1990, p. 71. 44 Sassatelli-Macellari 2002, p. 410. 45 Colonna 2008, pp. 50-52. 46 Che Corrado Cervi propone di ricollegare all’etrusco (Corrado Cervi 1935) mentre Costanzo Garancini più

genericamente lo definisce prelatino (Costanzo Garancini 1975). 

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nell’Arno ha ragionevolmente fatto ipotizzare di trovarsi in presenza di una dedica al dio Klanins47 che rappresenterebbe il dio del *Klani (antico idronimo del Chiana). Pur con la consapevolezza delle insi-die che possono celarsi nella tradizione toponomastica, ci si chiede se non sia ipotizzabile per il nostro idronimo un’evoluzione del tipo *Kleni > Clenna > Chiavenna, similmente a *Klani > Clanis > Chiana . La scarsità di dati non permette alcuna ipotesi sulla pertinenza del culto, si può solamente rimarcare la presenza del rio alimentato da acque di risorgiva che potrebbe essere stato determinante nella scelta del luogo. In conclusione si rileva come gli elementi raccolti e l’affidabilità delle testimonianze orali inducano a considerare attendibile l’ubicazione del deposito votivo.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                            47 A questo proposito si vedano le osservazioni di A. Maggiani (Maggiani 2003, p. 39).

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Analisi del bronzetto di Chiavenna Landi e inquadramento del tipo di produzione

 

 

 

 

 

Figg. 6-7 Chiavenna Landi, Kouros (alt. cm 14,7), visione frontale e posteriore . Seconda metà del VI sec. a.C. . Collezione privata. Fotografie dell’autore.

 

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Chivenna Landi (PC). Kouros . Bronzo, fusione piena. Altezza: 14,7 cm. Larghezza all’altezza delle spalle: 4,4 cm. Peso: 250,45 gr. Integro. Patina verdastra abbastanza omogenea, con alcune lacune specialmente in corrispondenza dei punti di maggior sporgenza, quali: orecchie (soprattutto il destro che risulta leggermente limato), naso, capezzoli e pene. Nudo, stante. La testa risulta ben proporzionata, volto ovale e tratti anatomici espressi ma poco marcati. Capelli a calotta liscia. Torace appiattito con capezzoli in leggero rilievo e ventre leggermente concavo. Sesso evidenziato. Le braccia, scostate dal busto, aderiscono ai fianchi con mani aperte. Le spalle sono portate in avanti, e lo spazio ascellare (che distanzia le braccia dal corpo) innaturalmente ampio. Le esili braccia tubulari si flettono leggermente all’altezza dei gomiti. Le gambe sono sostanzialmente parallele, i piedi poggiano su una basetta parallelepipeda, la quale non mostra fori per il fissaggio ed occupa solamente la superficie compresa tra i piedi (lo spazio che li distanzia è compreso fra i 4 e i 5 mm). Il piede destro è circa 1mm più lungo del sinistro (forse anche a causa della corrosione delle dita dei piedi) e questo conferisce l’impressione di un leggerissimo avanzamento dello stesso, nonostante il sostanziale parallelismo delle gambe, almeno sino all’altezza della caviglia. Il leggerissimo spostamento del tallone destro in avanti non deve essere attribuito alla volontà di rendere l’avanzamento della figura. Il miglior confronto con il bronzetto in esame proviene da Marzabotto48. Quest’ultimo, purtroppo perduto, è noto attraverso un bel disegno di Giovanni Gozzadini (fig. 9a) (Gozzadini 1865, tav. 13,5) e una foto molto sfocata del 1933 (fig. 9b) (Archivio SAER neg. 1496). Misurava 11,6 cm ca. d’altezza e con il perno d’infissione (spezzato) raggiungeva i 13 cm, quindi qualche centimetro più basso rispetto all’esemplare di Chiavenna49. Un’altra differenza è la presenza del perno d’infissione, che testimonia per l’esemplare di Marzabotto, la collocazione su supporto forato (supporto forse differente rispetto a quello che sorreggeva i bronzetti sprovvisti di tale sostegno). Per il resto i due oggetti paiono molto simili, capelli a calotta liscia, volto ovale, lineamenti che sembrano differire dai modelli ionici50, spalle larghe rispetto al restringimento che subisce il corpo all’altezza del ventre (in questo caso pare che il

                                                            48 La Richardson pubblica questo bronzetto inserendolo in un raggruppamento troppo ampio (si vedano anche le

considerazioni in Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 119) che racchiude Kouroi medio arcaici classificati come Serie B, Gruppo 1, Traditional (Richardson 1983, p. 122, n. 17).

49 Quest’ultimo con i suoi 14,7 cm di altezza è il più alto della serie di seguito delineata e supera per altezza la maggior parte dei bronzetti delle ricche stipi di Marzabotto.

50 In questo caso la prudenza è d’obbligo a causa della corrosione dei lineamenti del volto dell’esemplare di Chiavenna e l’impossibilità di esaminare quello di Marzabotto.

Fig. 8 Chiavenna Landi, Kouros. Visione laterale. Foto dell’autore.

 

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restringimento innaturale del torso coinvolga anche il torace), mani aperte distese lungo i fianchi, gambe parallele e leggermente discostate l’una dall’altra. Questa tipologia di bronzetti che si diffondono e vengono prodotti con ogni probabilità in Etruria pa-dana51 sono il frutto di una evoluzione stilistica avvenuta a metà VI sec. a.C. sotto l’influenza culturale ionica. Il confronto qui proposto indurrebbe ad identificare come luogo di produzione la stessa Marzabotto o un’officina ad esso legata, ma la scarsa conoscenza delle produzioni bronzistiche più occidentali52 non può che invitare alla prudenza53. Il bronzetto qui presentato può essere datato alla seconda metà del VI sec. a.C. e verosimilmente all’ultimo quarto . L’introduzione del modello ionico avviene grazie all’apertura dei porti dell’Etruria meridionale ai

mercanti e agli artigiani della Ionia che produrranno un cambiamento di stile nelle arti figurative, evidente almeno dal 540 a.C. . Il deposito di bronzi rinvenuto in Val di Chiana a Brolio, al di là della controversa questione sulla sua connotazione votiva54, ci attesta l’evoluzione stilistica in senso ionico della toreutica. Sono attestate importazioni samie ed opere di produzione etrusca su modelli orientali in un periodo cruciale per il cambiamento stilistico, compreso tra l’orientalizzante recente e i primi anni della seconda metà del VI sec. a.C., che tramite ulteriori evoluzioni porteranno al tipo di produzione qui approfondita. È proprio la metà del VI sec. che coincide con il grande sviluppo dell’Etruria padana e con le prime testimonianze, in questo settore, di depositi votivi di una certa consistenza. L’alta qualità di alcuni bronzetti in stile ionico fa supporre che esistessero maestranze greche itineranti. Una precoce produzione locale ispirata a questi modelli si ebbe ad Arezzo, testimoniata dal cospicuo rinvenimento della stipe della Fonte Veneziana55. La stipe si forma nel periodo compreso tra il 530 e il 480 a.C., ovvero quando Arezzo si sviluppa in senso urbano e si candida a diventare uno dei centri propulsivi verso la Romagna. Alla fine del VI sec. sono riconducibili anche i più antichi bronzetti votivi rinvenuti nel Lago degli Idoli alle pendici meridionali del M. Falterona56 (posto al confine tra Romagna e Toscana in territorio Casentino). La varietà tipologica dei bronzetti, la quantità degli stessi, i numerosi oggetti in ferro e bronzo donati e il protrarsi delle offerte dalla fine del VI sec. a.C. all’ellenismo, ci testimoniano un importantissimo luogo di culto extraurbano posto presso un probabile percorso di valico Appenninico. Nell’Etruria padana il maggior numero di bronzetti votivi proviene dalle stipi votive di Marzabotto. Il recente lavoro di ricomposizione delle due stipi scoperte ai piedi dell’acropoli nel 1839 e nel 1841 (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001) ha permesso di comprendere meglio la fisionomia delle stesse, ma in tale occasione non è stato possibile attribuire ad esse con certezza il bronzetto riprodotto in fig. 9 , che

                                                            51 Tabone 1995-1996, pp. 186-187. 52 Ricordo le fonderie rinvenute a S. Polo- Servirola (RE) e a Siccomonte (PR). 53 Fonderie destinate, almeno in parte, alla produzione di ex voto dovevano esistere anche in Emilia occidentale, ma la

dispersione delle stipi e la scarsa conoscenza dei luoghi di produzione preclude un’analisi delle produzioni. Si pensi per esempio alla fonderia di Servirola e alla dispersione dei circa 600 kg di metalli rinvenuti (Chierici 1869) o al piccolo deposito di Chiavenna Landi presentato in questo contributo di cui resta solamente un bronzetto.

54 A. Romualdi 1981, in particolare pp. 35-38. 55 Cristofani 1985, pp. 88-97 fig. 3.1-3.25 e pp. 250-253; Cipriani 2003, pp. 32-45 e pp. 109-116 tav. 16.1.1-16.1.25. 56 Cristofani 1985, pp. 98-107 fig. 4.1-4.10 e pp. 253-257; Cipriani 2003, pp. 9-24 e pp. 97-105 tav. 1.1-1.32.  

Fig. 9a-b Marzabotto: disegno Gozzadini (a); foto Museo (b) Non conservato. (tratto da Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 119).

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come abbiamo visto costituisce il confronto più puntuale con quello di Chiavenna. Giovanni Gozza-dini infatti riferisce che i bronzetti che erano conservati presso Giuseppe Aria provenivano per lo più da Misanello (che coincide con la collina dell’acropoli) ma alcuni anche da Misano (l’area pianeg-giante in cui sorgeva l’abitato)57. L’area sacra dell’acropoli, il tempio rinvenuto in area urbana grazie agli scavi condotti nel 199958, il santuario per il “culto delle acque” al di fuori dell’area urbana all’estremità settentrionale del piano di Misano59 e l’area sacra monumentale posta a Nord-Est60, ci testimoniano l’importanza e la vitalità di Marzabotto tra VI e V sec. a.C. . La presenza di una “fonde-ria” all’interno dell’area urbana61, già presente nella fase preurbana (denominata Marzabotto I), testimonia la precoce attività di artigiani metallurghi a partire dalla prima fase di insediamento (se-conda metà VI sec. a.C.). La quantità di bronzetti votivi con caratteri autonomi rispetto alle produzioni dell’Etruria settentrionale, la precoce presenza della “fonderia” e il rinvenimento di numerosi fram-menti di matrici di fusione in argilla refrattaria hanno permesso di individuare in Marzabotto uno dei centri produttivi di immagini bronzee destinate ad uso cultuale62. Alcuni bronzetti arcaici sembrano più aderenti alla moda ionica (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, pp. 109-110, cat. 3), altri sembrano fil-trati da esperienze laziali (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 142, cat. 31), altri da influenza o produ-zione aretina (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 107, cat. 2, con confronti dalla stipe della Fonte Ve-neziana), alcuni nell’impostazione delle braccia con mani allungate si avvicinano invece a produzioni fiesolane (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 122, cat. 15), dimostrando che Marzabotto era “inserito nella circolazione di mode e modelli etrusco-settentrionali, che vengono recepiti non per il tramite di un solo sito, ma di più siti” (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001). Nel periodo tardo-arcaico (seconda metà VI sec. a.C.) la reinterpretazione del modello del kouros e della kore ionici ha dato vita nei vari centri a produzioni con caratteristiche proprie: nel Lazio si hanno per lo più figure longilinee con curvatura sinuosa della schiena (spesso il bacino è portato in avanti e le spalle in dietro) e nella maggior parte dei casi non è presente il traforo (le braccia sono unite al corpo e le gambe unite tra loro)63. La produzione aretina, a giudicare soprattutto dai bronzetti rinvenuti nella stipe della Fonte Veneziana, ricerca più la resa delle volumetrie muscolari, producendo statuette più massicce e anatomicamente più curate. Anche in questa produzione le braccia sono completamente coese al corpo e le gambe sono spesso unite sino all’altezza della caviglia, dove in alcuni casi vengono separate per l’avanzamento del piede sinistro. La stipe del Falterona pare invece avesse un’eterogeneità e una quantità di bronzetti votivi di gran lunga superiore a quella della Fonte Veneziana. I pochi bronzetti di VI sec. a.C. giunti sino a noi sem-brano confermare una varietà formale estranea all’area Casentina che dimostra la caratteristica del luogo quale punto di passaggio da diversi settori territoriali. Se il materiale rinvenuto nell’800 sarà rintracciato64 credo possa aiutare considerevolmente l’avanzamento dello studio della produzione di questa classe di materiali tra Toscana e Emilia-Romagna, costituendo seppur in ambito extra-urbano, il parallelo toscano delle stipi di Marzabotto, entrambi posti su percorrenze appenniniche importanti per lo sviluppo della Padania tra il tardo arcaico e la prima età classica. Alcuni bronzetti rinvenuti in Etruria padana o conservati in musei a nord della fascia appenninica e di probabile provenienza locale, rivelano alcune caratteristiche non comuni a quelli dell’Etruria pro-pria65.

                                                            57 Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 96. 58 Sassatelli-Govi 2005; Malgieri 2007, pp. 23-25. 59 Ibidem, pp. 26-27; Gualandi 1970, pp. 217-223. 60 Malnati-Desantis-Losi-Balista 2005; Angelalea Malgieri 2007, pp. 28-29.

61 Locatelli 1997; Locatelli 2005; Malnati-Locatelli 2007; Morpurgo 2007, pp. 42-44. 62 Per un generale inquadramento della produzione metallurgica dell’Etruria padana si veda Moretto 1995. 63 Si veda in particolare Mazzocchi 1997, pp. 129-185. 64 Pare che il grosso dei bronzetti rinvenuti sia custodito presso l’Hermitage di San Pietroburgo (Cipriani 2003, p. 10). 65 Vari autori a proposito di alcuni bronzetti rinvenuti in Emilia-Romagna hanno ipotizzato una produzione locale

proponendo confronti calzanti con altri rinvenuti nel medesimo ambito territoriale, ma va a Patrizia Tabone il merito di aver delineato la fisionomia delle varie categorie di bronzetti votivi a figura umana presumibilmente prodotti in ambito padano (Tabone 1995-1996). L’autrice delineando questo tipo di produzione etrusco-padana la suddivide in due sottocategorie proponendone la derivazione da modelli dell’Etruria propria (sono proposti due bronzetti da Cortona con caratteristiche simili a quelli rinvenuti in Etruria padana). Ma il basso numero di bronzetti con queste caratteristiche rinvenuti in Etruria propria mi induce a credere che non siano stati i modelli per quelli prodotti in Etruria padana, bensì

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La categoria di bronzetti tra i quali fa parte quello di Chiavenna può essere delineata secondo le se-guenti caratteristiche principali:

1) Nudo, stante, gambe leggermente distanziate e senza avanzamento del piede sinistro. 2) Braccia parallele al tronco con mani aperte appoggiate sui fianchi, vita stretta rispetto allo svi-

luppo delle spalle e spesso distanziamento innaturale del braccio all’altezza dell’ascella. 3) Capelli corti a calotta (rari i bronzetti con le caratteristiche sopra elencate che presentano i ca-

pelli lunghi sino alle spalle) con lineamenti del volto che differiscono dal modello ionico. 4) Frontalità.

Oltre agli esemplari di Chiavenna e Marzabotto (già descritti) è possibile individuare un altro bron-zetto con caratteristiche simili proveniente dal territorio modenese e in particolare dal lago Bracciano presso Montese (fig. 10).

In questo caso i particolari del volto sono resi più sommariamente e le orec-chie sono poste in evi-denza66, il volto ricorda un devoto rinvenuto a Marza-botto (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, pp. 122-123, cat. 15) considerato di produzione locale. Ma l’impostazione generale, capelli a calotta, le ampie spalle, e l’assottigliamento in vita fanno rientrare que-sto bronzetto all’interno della medesima cultura ar-tigianale67. Un altro esemplare prove-niente dal santuario di Villa Cassarini a Bolo-gna68, presenta pur nella realizzazione più rozza e massiccia, le medesime caratteristiche (fig. 11).

                                                                                                                                                                                          rielaborazioni autonome “geometrizzanti” del modello ionico. Per un inquadramento generale dei santuari d’Etruria padana si vedano: Gualandi 1974; Sassatelli 1989-1990; Miari 2000.

66 Macellari 1990, p. 12; Per la stipe di Montese si vedano anche Macellari 2000 e Gonzàlez Muro-Pancaldi 2001; Spaggiari 2006.

67 Lo stesso Macellari lo confronta con il bronzetto da Marzabotto in fig. 9 (Macellari 1990, p. 12). 68 Da più autori ricollegato tipologicamente al bronzetto di Marzabotto in fig. 9 e da Macellari a quello di Montese (fig.

10); per un inquadramento generale del santuario si veda: Cristofani 1985, pp. 259-260; Santuari d’Etruria 1985, pp. 92-93; Gualandi 1974; Miari 2000.  

Fig. 10 Montese, (alt. cm. 8,5) Fine VI sec. a.C. Non conservato (tratto da: Macellari 1990, p. 23, fig. 3).

Fig. 11 Bologna, Kouros dal santuario di Villa Cassarini (alt. cm 11,20) 500 a.C. ca. Bologna, Museo Civico Archeologico . (Tratto da : Cristofani 1985, p. 118, fig. 7.1).

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Anche il busto acefalo e privo delle gambe conservato a Trento (fig. 12) presenta ampie spalle, spazio innaturalmente ampio tra braccio e corpo all’altezza dell’ascella e mani aperte poggianti sui fianchi. Questi elementi, seppur con riserve data l’ampia lacunosità, lo possono forse far rientrare nella catego-ria che si sta delineando69. Altri due bronzetti, uno conservato al Museo Civico di Padova (fig. 14) e l’altro rinvenuto nel santua-rio fontile di Marzabotto (fig. 15) pur nella variante con capelli lunghi alla spalla, credo possano essere attribuiti alle botteghe padane produttrici degli altri bronzetti sopra descritti . Il confronto proposto da Girolamo Zampieri tra il bronzetto di Arezzo (fig. 13) e quello conservato a Padova (fig. 14) con le differenze da esso rilevate70, ritengo sia molto utile per la comprensione delle diversità stilistiche tra i bronzetti di ispirazione più schiettamente ionica (per lo più prodotti in Etruria propria) e le rielaborazioni di gusto padano (anche se per il bronzetto di Padova non è noto il luogo di ritrovamento, sembra poter essere inquadrato in questo settore territoriale grazie ai confronti padani qui riportati)71. Nell’esemplare di Arezzo sono presenti un’ampia “capigliatura spiovente a ventaglio”, “i tratti del volto chiaramente espressi” (Zampieri 1986, p. 42) con i caratteristici occhi a mandorla di gusto ionico, le volumetrie muscolari meglio studiate e la posizione delle braccia più naturalistica72.

                                                            69 L’esemplare di Villa Cassarini e quello conservato a Trento sono stati attribuiti anche da P. Tabone a produzione padana

(Tabone 1995-1996, p. 186 e tav. 44, nn. 10-12).

70 Zampieri 1986, p. 42. 71 Anche Patrizia Tabone riferendosi sempre a questo oggetto scrive che “il bronzetto a Padova potrebbe essere di

provenienza locale e, aggiungerei, di produzione etrusco-padana” e lo avvicina al bronzetto acefalo con le gambe spezzate conservato a Trento (fig. 12) e a quello di Villa Cassarini (fig. 11)(Tabone 1995-1996, p. 186, tav. 44). 

72 Seppure conservato ad Arezzo differisce nettamente dai bronzetti aretini della Fonte Veneziana che rappresentano una rielaborazione di questo modello (di fattura più marcatamente ionica).

Fig. 12 Kouros, prov. ignota (alt. conservata cm 7,4) 500 a.C. ca. Trento, Museo Provinciale d’Arte . (Tratto da: Walde Psenner 1985, p. 104, fig. 81).

Fig. 13 Kouros (alt. cm 11,2) seconda metà VI sec. a.C. .Arezzo, Museo Archeologico Mecenate. (Tratto da : Richardson 1983, p.119, n. 1, tav. 66, fig. 241) .

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Nell’esemplare di Padova il corpo è maggiormente stretto in vita, le spalle allargate e lo spazio all’altezza dell’ascella innaturalmente ampio, i capelli vengono semplificati con una calotta liscia che scende all’altezza delle spalle e i tratti del volto risultano meno marcati. La semplificazione ulteriore che troviamo nell’esemplare di Marzabotto (fig. 15) mette in risalto le caratteristiche base del gruppo, infatti è evidente l’ulteriore restringimento della vita e l’ancor più contrastante ampliamento delle spalle con uno “spazio ascellare” ancora più ampio73.

                                             

                                                            73 Già in Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 119, questo bronzetto viene paragonato all’altro bronzetto da Marzabotto

riprodotto in fig. 9 per la simile impostazione delle braccia “disposte in maniera simile ad anse di vaso”.

Fig. 14 Kouros, prov. ignota (alt. conservata cm 8) fine del VI sec. a.C. . Padova, Museo Civico .(Tratto da : Zampieri 1986, p. 41, fig.2).

Fig. 15 Marzabotto, Kouros schematizzato, santuario fontile (alt. cm 9) fine del VI sec. a.C. . (Tratto da : Gualandi 1970, tav. XIV).

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Altri due bronzetti, molto simili tra loro uno conservato a Modena74 (fig. 16) e uno a Firenze (fig. 17) possono essere inquadrati in questa particolare produzione.

                                                            74 Questa statuetta viene definita da M. Miari (Miari 2000) “tipologia etrusco-padana/Kouros tipo Modena”, rifacendosi allo

studio di P.Tabone (Tabone 1995-1996) che attribuisce a questa tipologia oltre all’esemplare qui illustrato altri due bronzetti conservati al Museo Archeologico ed Etnologico di Modena (Tabone 1995-1996, p. 186, tav. 43, fig. 3-4) . Questi due bronzetti, pubblicati anche da Miari (Miari 2000, p. 143, tav. VII, fig. d 7-5), mostrano però alcune caratteristiche che li distanziano dalla produzione sino ad ora delineata, in particolare quello riprodotto da Tabone in fig. 3 e Miari in fig. d 5, sembra accostarsi maggiormente alla produzione aretina rappresentata dai bronzetti rinvenuti nella stipe della Fonte Veneziana o ad una rielaborazione di tali modelli. Anche a Marzabotto è presente un esemplare simile (Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 107).

Fig. 16 Kouros, prov. ignota (alt. cm 8) fine del VI sec. a.C. . Modena, Museo Civico Archeologico ed Etnologico. (Tratto da : Miari 2000, p. 143, tav. VII, fig. a 6).

 

Fig. 17 Kouros, prov. ignota (alt. cm 10 ca.) fine del VI sec. a.C. . Firenze, Museo Archeologico . (Tratto da : Bruni 2008, p. 321, fig. 24).

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Il bronzetto in fig. 17 conservato da metà ottocento al museo di Firenze, faceva originariamente parte della Collezione Silvestri di Rovigo, ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi di una provenienza padana75. Un bronzetto da Adria, ora disperso, anche se d’impostazione simile ai precedenti non permette un sicuro inserimento nella serie76 (fig. 18), anche a causa dell’impossibilità di esaminarlo direttamente. Il Kouros presenta due particolarità principali, i capezzoli indicati con una sottile incisione circolare e la fronte leggermente rivolta verso l’alto. Quest’ultima particolarità è caratteristica anche di altri due bronzetti conservati a Ferrara77 (figg. 19-20) e Bologna78 (figg. 21-22), entrambi appartenenti ad una medesima cultura artigianale79.

                                                            75 Stefano Bruni invece accosta questo bronzetto a “stilemi fiesolani” (Bruni 2008, p. 321, fig. 24). 76 La datazione di questo bronzetto proposta da Fogolari-Scarfì 1970 è però di III sec. a.C. anche se l’impostazione

generale potrebbe forse permettere di attribuirlo ad un periodo precedente forse al tardo VI sec. a.C. . 77 Ammirati 1979-80, p. 16, n. 2. 78 Tovoli 1984, p. 205, n. 115; Tovoli 1976, p. 301, n. 269. 79 Somiglianza già notata in Ammirati 1979-80, p. 16, n. 2.

Figg. 19-20 Kouros, prov. ignota (alt. cm 9). Seconda metà VI sec. a.C. .Ferrara, Museo Schifanoia. (Tratto da: Ammirati 1979-80, p. 16, n. 2).

Fig. 18 Kouros, prov. ignota (alt. cm 10 ca.). Da Adria, non conservato (Tratto da : Fogolari-Scarfì 1970, p. 69, n. 34,4) .

 

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Il bronzetto di Ferrara è stato utilizzato come confronto per il Kouros di Marzabotto (fig. 9)80, ma la resa del volto con tratti chiaramente espressi, occhi a mandorla, naso schiacciato, labbra grosse e tu-mide, capelli a calotta che terminano a punta tra le scapole, marcata resa anatomica della schiena e piedi spessi e rozzi, rendono questa produzione estranea alla tipologia qui indagata81. Pur evidenziando come queste due statuette ricordino alcuni esemplari dell’Etruria propria (inseriti da E. Richardson nella sua categoria “Series B. Group 1 A. Schematic Traditional” – Richardson 1983, p. 12282) si ritiene possibile una loro produzione in ambito periferico e forse settentrionale-padano. Nell’Etruria propria raramente sono stati rinvenuti bronzetti con caratteristiche simili a quelle degli esemplari padani. Si porta come esempio un bronzetto conservato presso il Museo di Cortona (fig. 23) che seppur caratterizzato dall’ampiezza delle spalle (uno dei tratti distintivi della tipologia qui inda-gata) presenta i lineamenti del volto di più diretta ispirazione ionica e arti inferiori insolitamente corti.

                                                            80 Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001; A. Ammirati avvicina il bronzetto di Ferrara ad un esemplare conservato al Museo

Kestner di Hannover (Giglioli 1930, p. 360, n. 3, Tav. XXVIII, 1), il quale sembra però assimilabile ad esso solamente per l’impostazione generale.

Come giustamente osservato in Vitali-Brizzolara-Lippolis 2001, p. 119, la datazione alla prima metà del VI sec. a.C. del bronzetto di Ferrara (in Ammirati 1979-80,p. 16, n. 2), va considerata errata. Lo stesso ritengo si possa dire per il bronzetto di Bologna (figg. 21-22) e per quello del Museo Kestner di Hannover, datati alla prima metà del VI sec. a.C. rispettivamente in Tovoli 1976 – 1984 e Giglioli 1930 . La produzione di questi bronzetti dovrebbe collocarsi nella seconda metà del VI sec. a.C. .

81 Qualche somiglianza è da ravvisarsi con il bronzetto di Villa Cassarini (fig. 11), anche se la forte schematizzazione di quest’ultimo (soprattutto nella resa del volto) rende difficile l’attribuzione ad una specifica cultura artigianale.

82 In particolare si veda il bronzetto conservato al Museo Guarnacci di Volterra, numero di inv. 2068, descritto in E. Richardson, Etruscan Votive Bronzes (1983), p. 122, n. 3, ma con errato riferimento fotografico.

Fig. 23 Kouros, prov. ignota (alt. cm 7,3). Seconda metà VI sec. a.C. . Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca. (Tratto da: Cagianelli 1991/92, pp. 46-47, n. 13).

 

Figg. 21-22 Kouros, prov. ignota (alt. senza perno d’infissione cm 11,1). Seconda metà VI sec. a.C. . Bologna, Museo Civico Archeologico. Foto dell’autore. (Autorizzazione Prot. N. 228/2012/Rich. del 16.03.2012)

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Un’altra categoria affine per cronologia, modello iconografico e ampiamente attestata in Etruria pa-dana, si differenzia da quella sino ad ora descritta sostanzialmente per avere le braccia scostate dal corpo83. Patrizia Tabone a proposito scrive :

Una variante del Kouros stante è costituita dal dettaglio iconografico delle braccia sempre ab-bassate ma scostate dal corpo. In ambito etrusco-padano è una variante attestata da numerosi esemplari, espressi in larga maggioranza in base a moduli fortemente semplificati e tenden-zialmente schematici, accostabili ai prodotti umbro-settentrionali e umbro-padani del gruppi “Marzabotto” e Serravalle. Questi Kouroi presentano spalle ampie, gambe corte rispetto al tronco, tratti somatici ridotti all’essenziale e poco naturalistici. (Tabone 1995/1996, p. 187) .

La posizione differente delle braccia di questa serie parallela di bronzetti ci fa supporre che l’atteggiamento di preghiera o del modo di mostrarsi innanzi alla divinità potesse variare, forse in base alla divinità o gruppo di divinità a cui ci si rivolgeva84. Sembra potersi riconoscere nella produzione padana una tendenza geometrizzante85, che ricorda in ma-niera singolare l’impostazione dei cosiddetti bronzetti in stile “geometrico filiforme”. Questi ultimi, prodotti soprattutto in ambito aretino, spesso venivano fusi con le braccia perpendicolari al corpo e successivamente piegate e posizionate in diversi modi86, questa operazione portava natural-mente all’allargamento delle spalle e al formarsi dello spazio innaturalmente ampio all’altezza dell’ascella87. Tale impostazione viene mantenuta dai bronzetti, sempre d’ambito geometrico, fusi con braccia distese lungo il corpo88 e anche da quei bronzetti definiti da Cristofani di tradizione “rurale” a cavallo tra il VII e il VI sec. a.C.89. La forte influenza ionica che “subisce” l’Etruria propria fa sì che venga sviluppata un’attenzione più marcata per la rappresentazione naturalistica e idealizzata del corpo umano. La prepotente diffusione di questo modello a partire dalla seconda metà del VI sec. a.C. è largamente evidente in tutte le produzioni di piccoli bronzi del periodo. La coeva riorganizzazione territoriale dell’Etruria padana e la conseguente richiesta di artigiani per la produzione di ex voto, può aver spinto botteghe artigiane legate a produzioni tradizionali-“rurali”90 a spostarsi in questo settore che poteva offrire un nuovo mercato forse non ancora permeato dalla nuova moda ionica91. È infatti evidente, specialmente nella statuetta di Chiavenna, l’eleganza generale della figura (derivata dal recepimento della struttura del kouros stante di influenza greco-ionica) in contrasto con l’innaturale resa anatomica di alcune parti del corpo. Quest’ultima deve essere attribuita ad una precisa scelta stilistica e non all’imperizia dell’artigiano che l’ha realizzata.  

                                                            83 Si vedano come esempi Walde Psenner 1985, p. 189, fig. 183 o Miari 2000, p. 143, tav. VII, fig. C . Quest’ultimo

bronzetto viene definito in Miari 2000 “Tipologia etrusco-padana/kouros tipo Montese” sulla base degli studi di Patrizia Tabone che propone un bronzetto rinvenuto nella stipe di Montese (si veda Macellari 1990, p. 8, figg. 11-12) come modello di riferimento per l’intera categoria (Tabone 1995-1996, p. 187). 

84 Ad esempio M. Cristofani ritiene che la posizione delle braccia protese verso il basso di alcuni bronzetti di V sec. a.C. possa forse realizzare il gesto della preghiera verso divinità ctonie (Cristofani 1985, p. 23). 85Giorgio Gualandi, a proposito del bronzetto dal santuario fontile di Marzabotto (fig. 15), afferma che ”la parte superiore del corpo dalle braccia allungate e le mani aderenti ai fianchi si è trasformata in un traforo geometrizzante, sottolineato dall’orizzontalità delle ampie spalle e dal tronco cilindriforme” (Gualandi 1970, p. 222). Lo stesso autore, descrivendo il bronzetto di Villa Cassarini (fig. 11), nota: “L’incertezza e la trascuratezza nella resa dei particolari anatomici esprimono un esito delle tendenze geometrizzanti tipiche di certa produzione bronzea dei santuari dell’Etruria padana” (Gualandi 1974, p. 58).

86 Si veda per esempio: Il museo archeologico nazionale G. C. Mecenate in Arezzo, Firenze 1987, p. 186 . 87 La piegatura degli arti superiori in un momento successivo alla fusione è testimoniata anche da bronzetti più tardi, come

l’esemplare rinvenuto presso la porta est di Marzabotto (Miari 2000, fig. 38, n. 10). 88 Si veda Richardson 1983, tavola 2, fig. 8, oppure Il museo archeologico nazionale G. C. Mecenate in Arezzo, Firenze

1987, p. 186. 89 Si veda Cristofani 1985, p. 128, fig. 12 e p. 129, fig. 13.

90 Non più di moda in Etruria propria. 91 Si ricordi la particolare facies materiale che contraddistingue l’Etruria padana occidentale a metà VI sec. a.C.

(denominata S. Ilario-Remedello).  

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Ringraziamenti

Il presente lavoro, nato da ricerche per la realizzazione della tesi di laurea triennale, deve molto ai co-stanti consigli e al sostegno del dott. Roberto Macellari, che ne ha seguito gli sviluppi anche una volta concluso il dovere istituzionale che lo vedeva impegnato in qualità di correlatore. La dott.ssa Daniela Patrizia Locatelli per la disponibilità mostratami nel farmi accedere ai dati d’archivio conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma; il dott. Gianluca Bottazzi sempre disponibile nei miei confronti che ha fornito preziose indicazioni durante lo svolgimento delle ricerche; il dott. Angelo Ghiretti per i suggerimenti e l’aiuto nel recupero di testi utilizzati nel presente lavoro; la dott.ssa Anna Dore per avermi mostrato materiale archeologico conservato presso il Museo Civico Archeologico di Bologna; la dott.ssa Laura Minarini; il dott. Orazio Paoletti per la grande di-sponibilità mostratami nel farmi visionare materiale archeologico conservato presso il Museo Etrusco Guarnacci di Volterra da lui diretto; il Prof. Mauro Cremaschi a cui devo un ringraziamento partico-lare, oltreché per i preziosi consigli inerenti il presente studio, per il significativo contributo che ha sa-puto apportare alla mia formazione professionale; il prof. Claudio Tellini per i consigli forniti; il dott. Enrico Mozzanica (A.R.P.A. Sezione di Parma Sede Fidenza) che mi ha gentilmente fornito le neces-sarie indicazioni riguardanti il censimento dei fontanili della provincia di Parma; gli amici dott. Al-berto Piazza e dott. Marco Tarasconi. Inoltre si ringraziano il personale dell’Archivio di Stato di Parma e quello della Biblioteca delle Arti dei musei civici di Reggio Emilia, sempre gentili e disponibili. Ringrazio soprattutto i miei genitori Centurio e Raffaella senza il cui appoggio nulla sarebbe stato fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Stampato presso il Centro Stampa del Comune di Reggio Emilia nel mese di Settembre 2012