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SCRIPTA AN INTERNATIONAL JOURNAL OF CODICOLOGY AND PALAEOGRAPHY

Echi romaneschi, "Scripta", 6 (2013), pp. 95-113 (con Luisa Miglio)

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S C R I P TAAN INTERNATIONAL JOURNAL

OF CODICOLOGY

AND PALAEOGRAPHY

6 · 2013

PISA · ROMA

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M M X I I I

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SOMMARIO

Serena Ammirati, The use of wooden tablets in the ancient Graeco-Roman world and the birth of the book incodex form: some remarks 9

Daniele Bianconi, Pasquale Orsini, Libri e membra disiecta dal Prodromo di Petra. Giorgio Baioforoe il Vat. Pal. gr. 136 17

Mario Capasso, Libri greci e libri latini nella Villa Ercolanese dei Papiri: un rapporto problematico? 35

Marco D’Agostino, Furono prodotti manoscritti greci a Roma tra i secoli viii e ix? Una verifica codicologicae paleografica 41

Flavia De Rubeis, Modelli impaginativi delle iscrizioni funerarie elitarie tra longobardi e carolingi 57

Arianna D’Ottone, A far eastern type of print technique for islamic amulets from the Mediterranean: an un-published example 67

Donatella Frioli, Un nuovo testimone altomedievale delle recognitiones pseudo-clementine: i frammentireperiti a Trento 75

Bruno Lo Turco, Propagation of written culture in Brahmanical India 85

Luisa Miglio, Carlo Tedeschi, Echi romaneschi 95

Natascia Pellé, Libri scritture e scribi per i tre storici greci maggiori 115

David Speranzi, Di Nicola, copista bessarioneo 121

Indici «Scripta» · 6 · 2013 139

Abstract

Two manuscripts, briefly described at the beginning of the20th century, and which then disappeared, have recentlybeen rediscovered in the wardrobe of liturgical vestments inthe Cathedral of Chieti. The palaeographical analysis conducted in this paper indicates that the first one, contain-ing the Dialogues of Gregory the Great, dates back to mid-11th century, while the second one, a Lectionary, belongs tothe second half of the 12th century. The writing is a Carolineminuscule, in both cases influenced by the “Romanesca”type. As both manuscripts can be attributed to Chieti Cathe-dral, this is important evidence to establish that a scriptori-um and a writing school did exist and were active there,probably since the 9th century (when the famous CollectioCanonum, ms. Vat. Reg. 1997, was written at the Cathedralof Chieti) and through most of the 12th century.

Keywords: Latin Palaeography, Caroline minuscule, “Ro-manesca” type.

Parole chiave: Paleografia latina, minuscola carolina,minuscola romanesca.

n contributo che, come questo, presenta un tito-lo diverso da quello originario (e il nostro è stato

modificato addirittura due volte) deve aprirsi con unasorta di excusatio o, almeno, con qualche ragionevolespiegazione dovuta agli organizzatori e agli ascoltato-ri; non ci sottrarremo, perciò, a quest’obbligo chie-dendo per prima cosa la comprensione di chi avrebbevoluto sentirci parlare di epigrafia romana medievale,come originariamente previsto, un tema che molto ciaffascina, solo rimandato, e spiegando il cambio di ar-gomento con una fortuita, e fortunata, circostanza oc-corsa qualche tempo fa. Era maggio, avevamo già co-minciato a lavorare su marmi e iscrizioni, quando,mercoledì 23, proprio mentre iniziava la presentazionedel volume che raccoglie gli Scritti “romani” di PaolaSupino Martini,1 ci raggiunse la notizia, comunicatacidall’amica Francesca Manzari, del ritrovamento pres-so l’Archivio arcivescovile di Chieti di due codici in ro-

manesca conservati in un vecchio armadio e lì dimen-ticati per decenni.2 Subito fu forte il desiderio di far conoscere a tutti le nuove acquisizioni, tanto più vistol’approssimarsi di un convegno – questo convegno –incentrato su Roma e il suo territorio, su Roma e la suaarea grafica, verrebbe da dire in un’angolazione esclu-sivamente paleografica ricordando Paola,3 e tanto piùche una prima, velocissima, visione dei manoscrittiaveva rivelato trattarsi di pezzi non certo insignifican-ti. Fin qui la spiegazione del cambio d’argomento e lagiustificazione del titolo stampato in programma; meno traumatico il secondo cambio – da Nuove acqui-sizioni in romanesca a Echi romaneschi – generato da unostudio più approfondito e diretto delle caratteristichegrafiche dei due codici in cui la fisionomia romanescaè, più che identità, meravigliosa vicinanza quasi, perdirla con Petrarca, “qualis filii ad patrem”.4

Esaurito il rito d’esordio e anticipate sinteticamen-te le conclusioni, torniamo indietro e procediamocon ordine.

L’avvio non potrà che essere, naturalmente, proprioda Paola Supino Martini e dal suo fondamentale Romae l’area grafica romanesca vero e proprio «monumentoinvestigativo della relazione scrittura-territorio», co-me è stato definito,5 ma anche, aggiungerei, fonte generosa di nuovi spunti di riflessione, di curiosità, disuggestioni di ricerca. È stato detto recentemente chePaola Supino, «come tutti i grandi maestri ha posto deipunti fermi negli studi sulla cultura scritta» illuminan-do con la «sua continua, costante, caparbia ricerca ditestimonianze, intere aree grafiche»,6 ma credo che diuguale importanza siano le sue intuizioni, le sue ipotesi di lavoro, anche i suoi dubbi. Già nel 1979, peresempio, in uno dei primi contributi “romani”,7 la studiosa individuava nella Marsica una terra di confinein cui, a cavallo tra i due secoli, culture ed esperienzegrafiche concorrenti, quali la beneventana e la caroli-na-romanesca, convissero più o meno in contrapposi-zione8 e nel 1987, tornando sui rapporti tra romanesca

* Pubblichiamo il testo nella versione letta al Convegno Roma e ilsuo territorio nel medioevo. Le fonti scritte fra tradizione e innovazione, Roma, Museo di Roma in Trastevere, 25-29 Settembre 2012. Si ringra-ziano sentitamente Mons. Giuseppe Liberatoscioli, responsabile culturale della Curia arcivescovile di Chieti e la Dott.ssa Lucia Palaz-zi, archivista presso l’Archivio della stessa Curia, per la disponibilità offerta durante la preparazione di questo contributo.

** Università La Sapienza, Roma; [email protected].*** Università “G. D’Annunzio”, Chieti -Pescara; carlo.tedeschi@

unich.it.

1 P. Supino Martini, Scritti “romani”. Scrittura, libri e cultura a Roma in età medievale, Roma 2012.

2 Come riferisce il signor Marco Svizzero, che personalmente li ritrovò, i manoscritti furono rinvenuti in un recesso dell’armadio contenente i paramenti liturgici della cattedrale, in occasione della

campagna fotografica finalizzata alla documentazione ed inventaria-zione degli stessi.

3 Il rimando, ovvio, è a P. Supino Martini, Roma e l’area grafica romanesca (secoli x-xii), Alessandria 1987.

4 In Famil. xxiii, 19, la celeberrima seconda lettera a Boccaccio incui il poeta affronta il tema dell’imitazione che deve essere – dice – somiglianza e non identità, come quella del figlio al padre.

5 M. Bassetti, “Cautus minima non relinquat”. 2 ‘Tracce’ di volgare inuna Bibbia atlantica, «Bollettino della Deputazione di Storia patria perl’Umbria» 107 (2010), pp. 257-275: 261, n. 9.

6 Sono parole di Maria Galante pronunciate in occasione della presentazione del volume Scritti “romani”, cit. alla n. 1.

7 Manoscritti sublacensi e tiburtini dei secoli xi-xii, «Atti e memoriedella società tiburtina di storia e d’arte» 52 (1979), pp. 199-216, ora inScritti “romani”, pp. 83-97, da cui si cita. 8 Ibid. pp. 86-87.

ECHI ROMANESCHI*

Luisa Miglio** · Carlo Tedeschi***

U

e beneventana confermava, su base paleografica, la collocazione del ms. Città del Vaticano, BibliotecaApostolica Vaticana, Vat. lat. 4770, un messale di sicu-ra origine benedettina misto di mani beneventane e diminuscole che risentono della romanesca, «nel poveroe poco studiato lascito librario dell’Abruzzo medieva-le» e, di sfuggita, ricordava l’assenza per Chieti – «aquanto pare» specificava con la solita caratteristicacautela – di testimonianze librarie successive alla Collezione canonica Città del Vaticano, Biblioteca Apo-stolica Vaticana, Reg. lat. 1997, in minuscola altome-dievale della metà del ix secolo.1 Su quel codice cele-berrimo, punta emersa di un’Atlantide che parrebbescomparsa, Paola Supino era intervenuta, è noto a tutti, dieci anni prima in un con tributo esemplare2 incui non solo riportava la datazione, con argomenta-zioni che mi paiono risolutive, alla metà del ix secolo,3ma anche ne localizzava la copia non «genericamente,nella città di Chieti…ma proprio nella cattedrale tea-tina» dove, precisava sulla base di puntuali riferimentistorici inspiegabilmente sottovalutati dalla preceden-te letteratura, esisteva «un’attività scrittoria organiz-zata … non è impossibile – ipotizzava – guidata da unmaestro».4 E il riferimento era a Giselpertus, decanus etportarius dei canonici della cattedrale, nominato, nellaInstitutio de clericis ad normam vitae canonicae redigendisemanata dal vescovo Theodericus il 12 maggio 840, scholae cantorum et scribarum magister.5

Le nuove felici scoperte, o riscoperte, aggiungonoqualcosa al quadro finora delineato con le parole dellaSupino? Inverano o no quel prudente «a quanto pare»,confermano o smentiscono l’ipotesi di una scuolascrittoria all’interno della cattedrale dei santi Giusti-

no e Tommaso? Per scoprirlo non resta che conosce-re meglio i manoscritti cominciando, naturalmente,dal più antico contenente i Dialoghi di Gregorio Magno,6 attribuito, da Enrico Carusi che ne segnalòl’esistenza nel 1913 tra i cinque codici che costituiva-no, all’epoca, il residuo patrimonio librario della cattedrale,7 alla fine dell’xi secolo. Successivamentescomparso dal panorama degli studi, tranne una fu-gace citazione in un contributo del 1990 sul profilo ar-tistico del Medioevo chietino,8 pochi anni dopo il co-dice è dichiarato perduto, per furto.9 Della casualericomparsa di questi giorni, insieme al Lezionario dicui si parlerà in seguito, si è appena detto.

Membranaceo, di formato tendente al piccolo (mm230 × 130), esemplato su pergamena di non ottimaqualità che presenta frequenti fori, occhi, lisières e untrattamento imperfetto che lascia spesso affiorare leradici dei peli,10 composto di 23 regolari fascicoli di 8carte, molti dei quali conservano ancora nel margineinferiore del verso dell’ultima carta la segnatura perlettera (da A a Y),11 rigato a secco,12 il manoscritto sol-lecita la nostra curiosità già dalle primissime carte omeglio dalla carta di guardia premessa al corpo delcodice13 (Tav. 1) in cui una piccolissima, sottile e ro-tonda beneventana trascrive tropi per le feste di s.Giovanni evangelista e dei ss. Innocenti.14

Ritrovare in Abruzzo, regione al confine nord-orientale dell’area grafica beneventana,15 frammentiliturgici in questa specifica tipologia scrittoria non de-sta certo particolare meraviglia, tanto più dopo chesempre Paola Supino Martini ci ha dimostrato la pre-senza della beneventana nell’Abruzzo teatino già neiprimi decenni del ix secolo16 e recenti ritrovamenti in

1 Supino Martini, Roma e l’area grafica cit., pp. 156-158.2 P. Supino Martini, Per lo studio delle scritture altomedievali italia-

ne: la Collezione canonica chietina (Vat. Reg. lat. 1997), «Scrittura e civiltà»1 (1977), pp. 133-154.

3 «Con notevole fondatezza», dichiara la studiosa, dove la «fonda-tezza» si radica nella dedicazione della cattedrale teatina a s. Tomma-so e a s. Giustino (ibid. p. 142); stupisce che, recentemente, il codice siastato, di nuovo, retrodatato al sec. viii; cf. M. Bassetti, La tradizionegrafica nei ducati di Spoleto e Benevento, in I Longobardi nei Ducati di Spoleto e Benevento, Atti del xvi Congresso internazionale di studi sull’altomedioevo, Spoleto -Benevento, 26-27 ottobre 2002, Spoleto 2003, pp. 383-480:429-430, 436-438, 473-474.

4 Supino Martini, Per lo studio delle scritture altomedievali cit., p. 142.5 Secondo Francesco Mottola, che cita Donald Bullough, si tratte-

rebbe di «uno dei rarissimi casi documentati in un testo di area italianadel sec. ix» di ricordo di un magister scholae; in F. Mottola, La produ-zione codicografica a Chieti nel Medioevo, in 400 anni di stampa a Chieti. Attidel Convegno di studi, Chieti 15-16 aprile 1997, L’Aquila - Roma 1998, pp. 63-139: 63. L’importanza di questa «scuola in una città che da poco e fati-cosamente aveva riorganizzato le strutture primarie della sopravvi-venza e della convivenza sociale» è stata sottolineata da L. Pellegrini,La città e il territorio nell’alto medioevo, in U. De Luca (ed.), Chieti e la suaprovincia. Storia, arte, cultura, i-ii, Chieti 1990, i, pp. 227-278: 269.

6 S. Gregorii I papae Dialogorum, libri i-iv. È solo curiosità segnalarea c. 117r la nota: Stella 27,7, 1901 che non è azzardato supporre vergatada Vincenzo Stella, autore di un saggio sul latino dei Dialoghi pubbli-cato nel 1910. Nel volumetto Stella ricorda di aver utilizzato il codiceteatino che, inspiegabilmente, data al «3 o 400». Cf. V. Stella, I “Dia-loghi” di san Gregorio Magno nella storia del latino. Saggio filologico, Cavadei Tirreni 1910; la cit. a p. 22, n. 1.

7 E. Carusi, Notizie su codici della Biblioteca capitolare di Chieti e sul-la collezione canonica teatina del cod. Vat. Reg. 1997, «Bullettino della R.Deputazione Abruzzese di Storia Patria» s. 3a, 4 (1913), pp. 7-75; solo unrinvio alla descrizione del Carusi in A. Balducci, Regesto delle perga-

mene e codici del Capitolo metropolitano di Chieti, Casalbordino 1929, pp.59 e 60.

8 M.L. Fobelli, Chieti. Segni e tracce del Medioevo artistico, in U. DeLuca (ed.), Chieti e la sua provincia, i cit., pp. 319-342: 320.

9 In Mottola, La produzione cit., p. 63.10 Tra i difetti più evidenti si segnalano grossi fori (cc.17,147, 150. 153,

159, 161, 170) e numerose lacerazioni e lisiéres evidenti (cc. 34, 36, 45, 47,54, 82, 143, 154, 159, 172, 173, 175, 179) dove la lunghezza delle righe di scrit-tura si adatta al bordo irregolare della membrana. Oltre ai guasti origi-nari sono visibili alcune rosicature di topi, più estese alle cc. 21-23. Si av-verte che qui e sempre nel corso del contributo i riferimenti alle cartedei manoscritti sono scelte esemplari e non la totalità delle occorrenze.

11 i (cc. 1-8, A); ii (cc. 9-16, B); iii (cc. 17-24, C); iv (cc. 25-32, D); v(cc. 33-40, E); vi (cc. 41-48, F); vii (cc. 49-56); viii (cc. 57-64); ix (cc. 65-72); x (cc. 73-80, K); xi (cc. 81-88, L); xii (cc. 89-96, M); xiii (cc. 97-104,N); xiv (cc. 105-112); xv (cc. 113-119 ma in realtà 120, P); xvi (cc. 120-127);xvii (cc.128-135); xviii (cc.136-143, S); xix (cc. 144-151, T); xx (cc.152-158ma in realtà 159); xxi (cc. 159 [160] – 166[167], x); xxii (cc.167[168] –174[175], Y); xxiii (cc. 175[176] – 181[182], mutilo).

12 Nei primi dieci fascicoli il numero delle righe (22) è costante; neisuccessivi oscilla tra 22 e 25. Saltuariamente visibile la foratura.

13 Oggi montata capovolta rispetto al corpo del codice.14 Il frammento è schedato in E. A. Lowe, The Beneventan Script. A

History of the South Italian Minuscule. Second Edition Prepared and Enlar-ged by V. Brown, ii, Hand-list of Beneventan mss., Roma 1980, p. 34.

15 Possedimenti dell’abbazia di Monte Cassino nel chietino sono ri-cordati già nell’868; cf. E. Carusi, Il Memoratorium dell’abate Bertariosui possessi cassinesi nell’Abruzzo teatino e uno sconosciuto vescovo di Chie-ti nel 938, «Casinensia» 1 (1929), pp. 97-114: 112-113.

16 La studiosa riconduce, infatti, il manoscritto Augiensis 229 dellaBadische Landesbibliothek di Karlsruhe in beneventana incipiente, da-tabile, per ragioni interne, agli anni 806-822, ad un monastero bene-dettino dell’Abruzzo chietino; Supino Martini, Per lo studio dellescritture altomedievali cit., pp. 148-152.

96 luisa miglio · carlo tedeschi

Tav. 1.

echi romaneschi 97

altre provincie ne hanno confermato l’uso nella re-gione anche nei secoli successivi;1 incuriosisce, però,oltre alla minutezza del modulo che suscita irrisolvi-bili interrogativi sull’effettiva leggibilità, la circostan-za, piuttosto rara a verificarsi altrove, che alla scrittu-ra beneventana non si accompagna l’omonimanotazione musicale ma, come suggerisce ThomasForrest Kelly cui siamo debitori dell’informazione,notazione italiana settentrionale.2 Sperando chel’amico Kelly possa al più presto trasformare la curio-sità in ipotesi, possiamo, per ora, solo avanzare, at-traverso l’analisi grafica, una proposta di datazione,diversa da quella fornita da Enrico Carusi e accettatadal musicologo americano; la minuscola beneventa-na, rotonda nel disegno delle lettere, uniforme neltratteggio, tipica nella a in forma di o+c, nella c sem-pre crestata, nella i iniziale alta, nella ri in legatura coni appesa, nella legatura fi con ampia ansa di f e picco-la i bloccata sul rigo ci sembra, infatti, perfettamenteadeguata ad una datazione alla fine del x secolo piut-tosto che all’xi. Parrebbe confermarlo il mancato ri-spetto della doppia forma del legamento ti – lo scribaconosce sia la forma a beta inverso per il suono assi-bilato, che usa almeno una volta (sevitia), sia quellacon la t occhiellata per il suono duro che finisce perusare in modo quasi assoluto –;3 parrebbe confer-marlo l’uso della forma più antica dell’abbreviazioneper omnis con omissione della sola n4 e, ancora, par-rebbe confermarlo il confronto con manoscritti data-ti o databili di diversa origine quali, per ricordarne so-lo alcuni tra i più noti, l’Exultet Roma, BibliotecaCasanatense, 724 (B i 13) «scritto forse prima del 969 ecomunque non oltre il 982»,5 o, per ragioni non solopaleografiche, il ms. Città del Vaticano, BibliotecaApostolica Vaticana, Palat. lat. 909, che unisce la Hi-

storia Miscella di Landolfo Sagace alla Epitome rei mili-taris di Vegezio, copiato presumibilmente a Napoli tra976 e 1025,6 il ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apo-stolica Vaticana, Vat. lat. 1468, un glossario adespotoe lacunoso, probabilmente scritto nel Lazio o in Cam-pania tra fine x e inizio xi secolo,7 il ms. Città del Va-ticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 5845,una Collectio canonum del primo periodo capuano,8che presentano tutti iniziali calligrafiche caratterizza-te da rigonfiamenti e riccioli molto simili, seppure dimigliore esecuzione, a quelle visibili nel frammentoteatino. Né può tacersi la vicinanza, evidente nelle let-terine miniate e nelle righe rubricate, con il gradualeCittà del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,Vat. lat. 10673 datato da Hesbert all’inizio dell’xi se-colo «tant il est proche, par sa notation, du Misselvi.33 du Chapitre de Bénévent»9 del x/xi secolo.

Oltrepassata la carta di guardia, una grande Q mi-niata dà inizio al testo dei Dialogi (Tav. 2) che si di-stenderà per 181 carte – numerate a matita da manomoderna che ne salta due10 – per fermarsi, inspiega-bilmente, a metà circa della carta finale quasi al ter-mine del quarto e ultimo libro.11 Spiegarsi il perchédi tale improvvisa interruzione della copia in un co-dice che presenta vocaboli rubricati, maiuscole altratto riempite di colore, iniziali miniate, operazionisolitamente successive alla copia, non è, forse, possi-bile né, in questa sede, è esigenza prioritaria, così co-me riesce difficile giustificare tre estesi e apparente-mente inspiegabili salti di testo;12 quello che piùpreme, invece, è soffermarsi sulla scrittura, sulla suadefinizione, sul numero degli scriventi per cui ci sem-bra decisamente eccessiva la cautela di Enrico Caru-si quando afferma: «Il codice … sembra scritto da duemani, o, per lo meno, a due riprese, a giudicare dalla

1 Cf. P. Orsini, Un frammento disperso in scrittura beneventana di pro-venienza sulmonese, in Bibliografia dei manoscritti in scrittura beneventa-na - BMB online (Università di Cassino, Facoltà di Lettere e Filosofia,Scuola di Specializzazione per Conservatori di Beni Archivistici e Li-brari della Civiltà Medievale), [http://edu.let.unicas.it/bmb/news/sulmt_01.htm]; Id., Nuovi frammenti in scrittura beneventana nel-la Biblioteca Provinciale “Salvatore Tommasi” dell’Aquila, Bibliografia deimanoscritti in scrittura beneventana-BMB online (Università di Cassino,Facoltà di Lettere e Filosofia, [http://edu.let.unicas.it/bmb/news/fraqu_01.htm]; Id., I frammenti in scrittura beneventana rinvenuti nell’Archivio Capitolare di S. Panfilo a Sulmona, «Aevum» 77 (2003), pp.363-377. Per una testimonianza epigrafica (a. 1002), cf. C. Tedeschi,Dedicatio sancti Sisti. Due iscrizioni dipinte e la data di dedicazione della chiesa di S. Sisto a L’Aquila, «Medioevo e rinascimento» 23 (2009),pp. 1-17.

2 Secondo Thomas Kelly il frammento chietino è, insieme ad alcunifrustuli conservati ad Altamura, uno dei rari esempi di questa combi-nazione; cf. T. F. Kelly, Beneventan fragments at Altamura, «MediaevalStudies» 49 (1987), pp. 465-479: 472. La particolarità era stata già segnalata da R. J. Hesbert, La tradition bénéventaine dans la traditionmanuscrite, in Le codex 10673 de la Bibliothèque Vaticane. Fonds latin. Gra-duel bénéventain (xi siècle), Tournai-Paris 1936 (Paléographie musicale,14), pp. 60-465: 251, n.1 e pl. xliv-xlv.

3 Su tempi e modi della canonizzazione del legamento ti vedi S. Bis-son, M. Cameli, A. De Berardinis, M. Duri, S. Mazzini, A.Mazzon, M. Palma, L’evoluzione del legamento ti nella scrittura proto-beneventana (secoli viii-ix), in P. Lardet (ed.), La tradition vive. Mélangesd’histoire des textes en l’honneur de Louis Holtz, Turnhout 2003, pp. 35-42.

4 Lowe, The Beneventan Script cit., i, Roma 1980, pp. 210-213.5 G. Cavallo, Struttura e articolazione della minuscola beneventana

libraria tra i secoli x-xii, «Studi Medievali» ser. 3a, 11 (1970), pp. 343-368:346. Immagini e scheda approfondita a cura di Beat Brenk, nel catalo-

go della mostra Exultet, rotoli liturgici del medioevo meridionale, Roma1994, pp. 75-77.

6 Cf. V. Pace, La decorazione dei manoscritti pre-desideriani nei fondidella Biblioteca Vaticana, in G. Vitolo, F. Mottola (edd.), Scrittura eproduzione documentaria nel Mezzogiorno longobardo. Atti del Convegno in-ternazionale di studio (Badia di Cava, 3-5 ottobre 1990), Cava dei Tirreni1991, pp. 404-456: 420-421, figg. 34-40.

7 Cf. B. M. Tarquini, I codici grammaticali in scrittura beneventana,Montecassino 2002, pp. 92-94, tav. xiv.

8 Cf. Pace, La decorazione cit., pp. 412-413, figg. 9-12.9 Hesbert, La tradition bénéventaine cit., p. 19910 Il primo salto dopo c.118, il secondo dopo c.154.11 Mancano la parte finale del cap. lvii e i capp. lviii, lix, lx. Si se-

gnala che nel verso dell’ultima carta sono visibili evanescenti tracce diparole (un colofone? una nota di possesso?) che, nonostante il tentati-vo di realizzare fotografie ad altissima definizione e ai raggi ultravio-letti, non è possibile leggere compiutamente; si azzarda una letturamolto ipotetica: Ego [- - -]us p(res)b(ite)r f [- - -] hunc lib[rum] // be[ate] […]genitrice [sanc]te matri [d](omi)ni // [qui]dem - - -] ante [- - -] Quide[m] //[…]mo ac[- - -]nas [- - -].

12 La prima lacuna a c. 55r dove il copista, giunto a riga 10, dopo laprima parola (prostratum) non prosegue la trascrizione del cap. 15 delsecondo libro ma trascrive, senza soluzione di continuità, la parte finale del cap. 17; la storia si ripete a c. 63v dove, dopo aver trascrittopoche righe del cap. 30 (fino alla parola dicens, r.-4), salta tutto il cap. 31e l’inizio del 32. Diversa la fenomenologia della lacuna a c. 155r che il copista lascia in gran parte bianca, laddove avrebbe dovuto prosegui-re il cap. 27 del iv libro, cominciando a scrivere – alla settima riga dalbasso – la parte finale del cap. 29. Delle mancanze di testo si era già accorto lo sconosciuto studioso che, prima del Carusi, le segnalò, amatita, nel margine delle carte; lo stesso appuntò in margine, semprea matita, i numeri dei capitoli dei vari libri.

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Tav. 2.

echi romaneschi 99

differenza dell’inchiostro che si manifesta più chiara-mente nel f. 88v».1 Non è, infatti, solo la differenzad’inchiostro a indirizzare con sufficiente sicurezzaverso la duplicità di mano,2 palese già nella diversitàd’aspetto – più ordinata e tendenzialmente dirittaseppur con qualche inclinazione a sinistra la scritturadella prima mano che completa spesso i tratti alti conevidenti ritocchi a triangolo e, anche nella costantemutevolezza, è capace di pagine chiare e pulite; piùdisordinata, irrequieta, inclinata a destra, pesante neltratto grosso e a volte graffiato la seconda – sono an-che altri e numerosi indizi sia grafici che perigrafici.(Fig. 1 a, b)

Tra i più significativi segnalerò, per gli indizi pro-priamente grafici, l’uso quasi esclusivo della d dirittada parte della seconda mano, laddove la prima utiliz-za frequentemente anche la d tonda; il diverso dise-gno della g (a 8 nella prima mano, a 9 nella seconda)e della x (nella prima mano nella forma apparente didoppia c – l’una, rovesciata, accostata all’altra – nella

seconda con il segmento da sinistra a destra in un so-lo tratto obliquo, quello da destra a sinistra spezzatoin due di cui il superiore sempre ricurvo, l’inferiorericurvo o lineare); la r nella prima mano con il trattoverticale appena discendente sotto il rigo, a volte mu-nito di un piedino d’appoggio, nella seconda con latraversa ondulata e sospinta in alto; la s più corta nel-la prima che nella seconda mano; la z in ambedue lemani nella forma di c con cediglia ma di misura di-versa, piccola e quasi arrampicata sul rigo o grossa eallungata. Da notare ancora nelle prime ottantottocarte la presenza abbondante di et in nesso anche incorpo di parola, l’uso frequente della cediglia, nellaforma di un piccolo occhiello oblungo e schiacciatocon sottile filetto appeso, quasi inesistente nella ma-no successiva che preferisce il dittongo in nesso, lapresenza di un’elegante legatura sp ad asso di picchesconosciuta alla seconda mano, la forma della legatu-ra a ponte ct con ansa larga e bassa mentre nell’altramano la legatura è, oltre che assai rara, alta, stretta e

1 Carusi, Notizie su codici cit., p. 14.2 Il cambio avviene effettivamente, come rilevato da Carusi, a c.

88v. Va detto, però, che ambedue gli scriventi sono accomunati da una

scarsa formalità, da un’accentuata mutabilità di modulo (soprattuttoil primo), dalla sostanziale incapacità a realizzare pagine regolari e uni-formi, tutti motivi che non facilitano il giudizio.

Fig. 1 a (c. 88r). Fig. 1 b (c. 88v).

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chiusa dalla traversa della t. Diverse anche le maiu-scole, in particolare A che ricorda spesso l’onciale ro-mana nella prima mano, di preferenza capitale nellaseconda; E nella prima mano, quando capitale, con iltratto di base piegato verso il basso e il mediano cheattraversa l’asta, nell’altra mano di preferenza ton-da;1 T con traversa leggermente ondulata nel primoblocco di carte, diritta nel secondo. Identica, invece, eparticolare nella direzione dei tratti, la Q simile ad un9 inverso con il tratto discendente semilunato a sini-stra e non a destra dell’occhiello e caratteristica e co-mune anche la S, esile, sghemba e scivolata. Perquanto riguarda il sistema abbreviativo ambedue lemani utilizzano la q seguita da punto e virgola per que(la seconda mano anche in corpo di parola); la t conpiccolo segno a 2 in alto a destra per tur (nella secon-da mano lo stesso segno sopra r sta per runt, come in manoscritti beneventani di xi-xiii secolo),2 la t contrattino soprascritto per ter, la forma più antica dell’abbreviazione per omnis e derivati; merita unasegnalazione particolare in ambedue le mani l’abbre-viazione au o aut, con trattino soprascritto, per autempreferita a aute con titulus su e; nella seconda mano lasegnalazione è riservata alla contrazione ff per fratrese ffb con l’asta di b tagliata per fratribus usata in con-correnza con frib sovratitolata e la presenza di spora-diche abbreviazioni per orum con la r di modulogrande e coda pronunciata intersecata dal trattino.Per finire questa lunga descrizione, poco avvincentema necessaria a verificare la duplicità di mano, note-

rò l’uso, soprattutto nella prima sezione (quella finoa c. 88), di accenti tonici che si rarefanno man manofin quasi a scomparire nella seconda dove, invece, ab-bondano le u acute in interlinea dopo q assenti nelprimo scrivente. Concludono e completano la verifi-ca solo due minime ma decisive osservazioni: la pre-senza nella prima mano di piccole ed eleganti inizialiraddoppiate, spesso riempite di colore (Fig. 2 a, b, c,d), a evidenziare l’inizio dei capitoli (ma non solo)laddove il secondo scrivente utilizza iniziali semplicipiuttosto malamente ripassate in rosso o toccate,senza cura e precisione, con lo stesso colore3 (Fig. 2e, f, g, h) e il modo diverso di indicare al rubricatorel’iniziale del nome dei due interlocutori dei Dialogi –Pietro e Gregorio – da scrivere in rosso negli spazi ri-servati.

Mentre, infatti, la prima mano suggerisce il nomevergando in margine piccole p e g minuscole, la se-conda preferisce costantemente le maiuscole, con laG nella forma a ricciolo4 (Fig. 2 i, j). Sarà questa ma-no poi a vergare i nomi in ambedue le sezioni e anchele righe d’apertura di c. 1r, accanto all’iniziale ornata,evidentemente lasciate vuote di scrittura dal primoscriba, forse per non predeterminare l’opera di mi-niatura e rubricatura5 (Tav. 2).

Due mani, dunque, distinte quanto contigue, tan-to da provocare il dubbio di Enrico Carusi e partecipidi una medesima cultura grafica che non è inverosi-mile, perciò, pensare educate in uno stesso ambientedove s’insegnava a realizzare una strana Q maiuscola

1 Da notare che anche questo scrivente conosce e usa, seppure spo-radicamente, la E capitale che, pure lui, ha imparato a vergare con iltratto mediano che attraversa l’asta ma con il segmento di base diritto.

2 Lowe, The Beneventan Script cit., p. 165.3 Anche in questo caso lo scrivente non ignora la tipologia e il di-

segno di iniziale prediletta da chi l’aveva preceduto nella copia ma lausa in modo assolutamente minoritario (cc. 119r, 123v, 129r).

4 Nonostante le precauzioni e i suggerimenti adottati, non semprel’opera del rubricatore fu ineccepibile; per esempio a c. 155r [ma 156]scrive Petrus al posto di Gregorius e viceversa nel verso.

5 Difficile dire se è della stessa mano anche la prima riga di c.1r ru-bricata in maiuscole rinforzate con piccoli bottoni, che richiama l’in-vocatio del documento del 1095 per cui vedi infra p. 112 n. 1.

Fig. 2 a. Fig. 2 b. Fig. 2 c. Fig. 2 d.

Fig. 2 e. Fig. 2 f. Fig. 2 g. Fig. 2 h.

echi romaneschi 101

dal singolare disegno1 (Fig. 3 a), un’altrettanto origi-nale S con le estremità rinforzate a forcella quando infunzione segnaletica (Fig. 3 b), una E capitale con iltratto mediano attraversato dal verticale (Fig. 3 c),dove era diffusa l’abitudine, quasi un vezzo graficocomune ai due scribi, di vergare nella forma acuta lau che segue C, Q o, più raramente, T, F, H (Fig. 3 d-f )o di sovrascriverla (Fig. 3 g), dove si utilizzava la for-ma arcaica della y2 (Fig. 3 h, i) e i legamenti di origi-ne corsiva (Fig. 4 a, b) erano, ancora nell’xi secolo,frequenti e abbondanti, dove l’antica contrazione perfratres – ff – residuo di tempi lontani, non era del tut-to scomparsa (Fig. 4 c, d), dove l’abbreviazione auper autem che il Lindsay dice inesistente già dal x se-colo tranne che in area beneventana3 era ancora inuso (Fig. 4 e, f ). Tutte buone ragioni per credere cheil manoscritto teatino nacque là dove ancora si con-serva e che rappresenti perciò il successore più diret-to della Collezione canonica;4 certo, anche in un’areagrafica periferica come l’Abruzzo teatino, dove pote-vano persistere abbreviazioni e modelli di lettere al-trove in disuso, il tempo non si era fermato e sarebbevano, oltre che errato, cercare nei due codici coinci-

denze puntuali,5 ma la flagranza che si respira sem-bra la stessa. Naturalmente la minuscola altomedie-vale del Reginense è diventata altro, eppure anche lascrittura dei Dialogi ripropone le difficoltà di defini-zione avvertite dai paleografi davanti alla Collectio,difficoltà forse dovute proprio al fatto che in aree dimultigrafismo, come l’Abruzzo in bilico tra Longo-bardi, Carolingi e poi Normanni, i possibili travasi daun sistema all’altro, o gli echi dell’uno sull’altro ren-dono meno nette le fisionomie. «Minuscola italianadi transizione» la definì Carusi; che sia minuscola èindubitabile, che sia italiana può dirsi certo. Qualchedubbio nasce sul «di transizione»; transizione da cosaa cosa? Scolasticamente verrebbe da pensare dalla ca-rolina alla gotica, o se si preferisce dalla littera antiquaalla nova, ma i due scribi chietini non mostrano alcunannuncio di textualis e, per di più, lo stesso canonicodata il manoscritto alla fine dell’xi secolo, neanchel’alba della gotica nei libri in Italia, tanto più in terreappartate e confinarie e tanto più se, come credo, ladatazione può essere ragionevolmente spostata diqualche decennio indietro.6 A ben vedere, però, ele-menti che, in quest’area e a quest’altezza cronologi-

1 La Q mantiene lo stesso disegno anche quando, come nella cartad’apertura, è miniata: quasi un marchio di scuola.

2 La y piccola e alta sul rigo con il tratto da sinistra a destra più lun-go e il secondo breve, sempre fornita di puntino, è assolutamentemaggioritaria in ambedue le mani; episodica, invece, la y a tratteggioinvertito che conserva il puntino.

3 «In South Italy … Beneventan script clung tenaciously to au, buteverywhere else this symbol has by the Tenth century practically be-come non-existent»: W. M. Lindsay, Notae latinae. An Account of Ab-breviation in Latin Manuscripts of the Early Minuscule Period (c. 700-850),Cambridge 1915, p. 24; Lowe, The Beneventan Script cit., p. 198 defini-sce la forma au «pratically the only form employed» nei manoscritti inbeneventana dal x secolo in avanti.

4 Una produzione scrittoria successiva alla Collezione canonica èricordata da F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularumadjacentium, vi, Venetiis 1720, coll. 691, 700 (ristampa Bologna 1973);

Enrico Carusi, sulla base delle notizie dell’abate cistercense, ha ri-composto l’elenco di quei codici, oggi perduti. Cf. Carusi, Notizie sucodici, cit, pp. 55-64; aggiunge informazioni ed ipotesi Mottola, Laproduzione codicografica cit., passim.

5 Pure esistenti come, appunto, l’uso dell’abbreviazione au per au-tem, l’abbondanza di et in nesso in qualunque posizione, la S con leestremità a forcella, le u acute in interlinea.

6 Non è forse solo coincidenza se, come alla metà del ix secolomentre la città si riorganizzava intorno ad un vescovo consapevoledell’importanza della scuola, in cattedrale veniva confezionata la Col-lezione canonica, così, due secoli dopo, quando nella sede episcopale,appena uscita da vicende turbolente, si insediava un altro vescovo do-tato, parrebbe, di buona cultura e con simpatie e, forse, educazionebenedettine, si metteva mano ai Dialogi di Gregorio Magno. È utile ri-cordare, infatti, che dal 18 aprile 1057 governava la diocesi Attone, del-la nobile e potente famiglia dei conti dei Marsi, fratello di Oderisio

Fig. 2 i.

Fig. 2 j.

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ca, indirizzano verso una più adeguata definizioneesistono; sappiamo tutti che nella romanesca i lega-menti di origine corsiva, che in carolina pura tendo-no a scomparire già dagli ultimi decenni del x secolo,persistono fino al xii e soprattutto il primo scriba delnostro manoscritto abbonda di legamenti ri con i ap-pesa (Fig. 4 a, b) e di sp (Fig. 4 g, h) elegantementeallacciate che non possono non ricordare prodottibeneventani;1 sappiamo che la «s maiuscola in fine ri-ga, il cui uso nella carolina italiana è di solito riferitoallo scorcio del secolo xi» nella romanesca anticipa lasua presenza alla fine del sec. x2 e il nostro mano-

scritto presenta isolate occorrenze di s tonda in posizione finale;3 ci è ben noto che l’interpunzionebeneventana influenzò la produzione in romanesca,soprattutto in manoscritti sublacensi,4 e il codicechietino adotta, appunto, la pratica beneventana del-l’interrogazione con segno interrogativo soprascritto(Fig. 4 i), se a volte aggiunto poco importa; cono-sciamo l’influenza che la decorazione benedettino-cassinese ebbe sulla romanesca e le iniziali ornatedelle pagine d’incipit dei Dialogi sembrano essere at-tardata espressione proprio di quel lessico figurativo5(Fig. 5 a-d).

abate di Montecassino e di Trasmondo, abate di Casauria e vescovo diValva. Che non si trattasse solo di governo di anime lo dimostrano icastella, capellas, curtes elencati insieme a sedici pievi nel documentodi conferma dei beni e dei confini della diocesi emanato il 2 maggio1059 da Niccolò II su esplicita richiesta del vescovo; la bolla originale,ancora conservata nell’Archivio Arcivescovile [d’ora in avanti AAC],Teate 7, fu edita, già nel Seicento, da G. Nicolino, Historia della cittàdi Chieti, Napoli 1672, pp. 122-123. Vedi anche Ughelli, Italia sacra cit.,vi, coll. 676-677 (ma 686-688); PL, 143, coll. 1312-1313; Ph. Jaffé (ed.),Regesta Pontificum Romanorum, i, Lipsiae 1885, p. 559, nr. 4403; P. F.Kehr, Italia Pontificia sive Repertorium privilegiorum et litterarum ponti-ficibus ante a. mclxxxxviii Italiae ecclesiis monasteriis civitatibus singuli-sque personis concessorum, iv, Umbria, Picenum, Marsia, Berolini 1912, p.268, nr. 2) e, da ultimo, A. Balducci, Regesto delle pergamene della Curia Arcivescovile di Chieti, i, 1006-1400, Casalbordino 1926, pp. 2-3 eedizione alle pp. 87-89. Per la ricostruzione del territorio diocesano,che sarà incrementato da ulteriori donazioni conosciute attraversol’erudizione seicentesca, cf. Pellegrini, La città e il territorio cit., se-condo cui i decenni centrali del sec. xi rappresentano «il passaggiodefinitivo della città di Chieti sotto il controllo, anzi il dominio, di diritto e di fatto, del vescovo» (p. 277). Per l’episcopato di Attone aChieti vedi Nicolino, Historia cit., pp. 121-127; Ughelli, Italia sacracit., vi, coll. 676 (ma 686)-696.

1 Per l’area romanesca si segnala, a mo’ di esempio, la presenza del-la stessa forma di sp nel ms. Montecassino, Archivio della badia Bene-

dettina, 420, un breviario databile allo scorcio del secolo xi, per cui vedi Supino Martini, Roma e l’area grafica cit., pp. 179-180 e tav. xlii;per l’ambito beneventano basti, esemplarmente, per abbondanza dipresenze, il ricordo del ms. Montecassino, Archivio della badia Bene-dettina, 401, un glossario adespoto e anepigrafo (cf. Tarquini, I codi-ci grammaticali cit., pp. 42-44 e tav. v) in cui lunghe liste di vocaboli presentano, con costanza e regolarità, tale forma di legatura rilevabi-le anche nel già ricordato Vat. lat. 10673. L’accoppiamento s + p non èconsiderato tra quelli realizzati ad “asso di picche” in M. D’Agosti-no, L’“asso di picche” nella scrittura latina, «Studi medievali» sez. 3a, 44(2003), pp. 929-983.

2 Supino Martini, Roma e l’area grafica cit., pp. 36-37 che ricorda,tra i primi testimoni, il ms. Città del Vaticano, Biblioteca ApostolicaVaticana, Arch. S. Pietro C 105 riferibile agli anni 965-999.

3 Per es. alle cc. 2r, 23v, 43r, 44v, 110r, 118r.4 È Supino Martini, Roma e l’area grafica cit., p. 171 a rilevare che

«il segno interrogativo soprascritto, del tutto eccezionale nei mano-scritti farfensi e eutiziani, è normalmente usato nella romanesca deicodici sublacensi» e non c’è bisogno di sottolineare che l’area subla-cense era, tra quelle di diffusione della romanesca, la più vicina al con-fine abruzzese.

5 «Le poche iniziali leggermente colorate attestano influssi cassi-nesi modificati con una certa grossolanità»: Fobelli, Chieti. Segni etracce cit., p. 322. Di «povere lettere appena acquerellate [che] non sipossono certo considerare opera di miniatore» parla impietosamenteG. Salvoni Savorini, Monumenti della miniatura negli Abruzzi, in Con-

Fig. 3 i.

Fig. 3 a. Fig. 3 b. Fig. 3 c. Fig. 3 d.

Fig. 3 e. Fig. 3 f. Fig. 3 g. Fig. 3 h.

echi romaneschi 103

Credo, insomma, che ci siano sufficienti ragioni persostenere che la minuscola del codice chietino, purnon essendo una vera romanesca – non presenta, peresempio, il caratteristico appiattimento delle lettere ola d tonda con l’asta reclinata – risente dell’influenzadella tipizzazione come, del resto, accadeva contem-poraneamente nell’Abruzzo teramano alle varie ma-ni attive nel già ricordato Vat. lat. 4770. Che questiechi romaneschi risuonassero all’interno della vec-chia scuola della cattedrale ipotizzata dalla Supino, insintonia con quella preminenza vescovile in concor-renza con il monopolio monastico della produzionelibraria meridionale ormai più volte sottolineata da-

gli storici,1 e con la presenza sulla cattedra episcopaledi un vescovo come Attone i cui rapporti non solo fa-migliari con Montecassino sono noti e che proprio inquegli anni consacrava la nuova cattedrale sorta sullerovine dell’antica fabbrica del predecessore Teoderi-co, è ipotesi che l’aria di famiglia tra Collectio e Dialo-gi – la quaedam umbra della metafora petrarchesca ricordata all’inizio2 – e la stessa, complessa manifat-tura del manoscritto – vergato da più mani grafica-mente vicine, rubricato, arricchito da scrittura distin-tiva mista di capitali e onciali a volte toccate di colore,miniato – che reclama un centro ben organizzato ematuro, rende non solo suggestiva.3

vegno storico Abruzzese-Molisano, 25-29 marzo 1931. Atti e Memorie, i-iii,Casalbordino 1933-1940, ii, pp. 495-519: 497. Effettivamente si tratta pergli incipit del i, ii e iv libro, rispettivamente alle cc. 1r (Q), 37r (F), 131r(P), di iniziali piuttosto modeste, assolutamente prive di figure umaneo animali, disegnate ad inchiostro marrone o rosso, gli stessi colori cheravvivano il corpo della lettera sagomato da nastri intrecciati e com-pletato da terminali a fiammella o suddiviso in scomparti. Ancora piùmodesta, anche nelle dimensioni, l’iniziale del iii libro a c.70r, unasemplice D disegnata in colore scuro e raddoppiata in rosso.

1 Ancora utile rileggere G. Vitolo, Gli studi di Paleografia e Diplo-matica nel contesto della storiografia sul Mezzogiorno longobardo, in Vito-lo, Mottola (edd.), Scrittura e produzione documentaria cit., pp. 9-27che si sofferma sul carattere del monachesimo meridionale altome-dievale come fenomeno spiccatamente urbano in stretto collegamen-to con i vescovi e sulla produzione libraria ad esso collegata. È lo stes-so studioso a rilevare, per l’Abruzzo, «il ruolo svolto dai vescovi nelgoverno complessivo del territorio che comporta l’esercizio di veri e

propri poteri di natura comitale ancora operanti al momento dellaconquista normanna»; in G. Vitolo, L’organizzazione della cura d’ani-me nell’Italia meridionale longobarda, in G. Andenna, G. Picasso(edd.) Longobardia e longobardi nell’Italia meridionale. Le istituzioni eccle-siastiche, Milano 1996, pp. 101-148: 129-130.

2 Che così prosegue: «in quibus [padre e figlio] cum magna sepe di-versitas sit membrorum, umbra quaedam et quem pictores nostri ae-rem vocant … que statim viso filio, patris in memoriam nos reducat».

3 Potrebbe essere non senza significato la circostanza che, se è giu-sta la datazione proposta, la confezione del manoscritto che contene-va l’opera del papa che aveva pianto la distruzione del monastero be-nedettino ad opera dei Longobardi e esaltato la vita e l’opera delfondatore, avvenisse nello stesso periodo in cui il vescovo Attone, i cuirapporti famigliari con Montecassino sono noti, consacrava, standoalla letteratura settecentesca, la nuova cattedrale sorta sulle rovinedell’antica fabbrica del predecessore Teoderico (Cf. G. M. Allegran-za, Lettera intorno a certe antichità della città di Chieti, in Novelle lettera-rie pubblicate in Firenze l’anno mdccliv, xv, Firenze 1754, coll. 419-422).

Fig. 4 i.

Fig. 4 h.

Fig. 4 a. Fig. 4 b. Fig. 4 c. Fig. 4 d.

Fig. 4 e. Fig. 4 f. Fig. 4 g.

104 luisa miglio · carlo tedeschi

L’ipotesi suggerita dall’analisi, appena condotta,1del manoscritto dei Dialogi, acquista ancora maggio-re spessore e sostanza se passiamo ad osservare il piùrecente dei due codici appena rinvenuti, un Leziona-rio più parte di un Messale (Tav. 3) contenente – co-me vedremo meglio più avanti – precise informazio-ni relative alla sua localizzazione. Il codice, giàdescritto, limitatamente al suo contenuto, da EnricoCarusi e nel 1929 da Antonio Balducci,2 è, come il pri-mo, sostanzialmente caduto nell’oblio, seppure maitrafugato, fino ai nostri giorni, nonostante gli inter-venti, fra gli anni ’80 e ’90 del Novecento, di MariaLuigia Fobelli e di Francesco Mottola, che, nell’ambi-to di lavori di sintesi rispettivamente sull’arte e sullascrittura a Chieti nel Medioevo, tornarono a parlarne,senza tuttavia soffermarsi sugli aspetti codicologici epaleografici.3

Databile, vedremo, alla seconda metà del xii seco-lo (si chiariranno meglio in seguito le ragioni di que-sta datazione) in pergamena, di fattura buona manon priva di guasti originali (fori, lisières), oltre aquelli intervenuti a causa delle condizioni di conser-vazione (in particolare le cc. 116bis e 117 presentanolarghe macchie di umidità, nella metà inferiore), dimedio formato, (270 × 177 mm), il manoscritto ècomposto da 15 fascicoli, tutti quaternioni, due deiquali (il 4º e il 12º), mutili di una carta, mentre lamancata identità tra le parole del richiamo appostonel margine inferiore della c. 55v e quelle d’incipitdella successiva e l’assenza di una consistente sezio-ne del testo (l’officiatura di parte del sabato santo edell’intera Pasqua, fino alla prima domenica post octavam Paschae) indicano la presumibile caduta di unintero fascicolo tra le attuali cc. 55 e 56. La rigatura è

E il nodo tra Chieti, la cattedrale, il monastero diventa più stretto nel-l’amicizia tra Attone e Alfano di Salerno che ne scriverà l’epitaffio me-trico per la tomba nel monastero cassinese. Non va tralasciato, inol-tre, il ricordo di un altro antichissimo codice della cattedrale, oggiperduto, contenente la vita di Gregorio Magno, in calce al quale, se-condo Ferdinando Ughelli, sarebbe stata trascritta un’operetta attri-buita ad Attone su un miracolo avvenuto in Aterno nel 1062, il Tracta-tus de passione Domini; la notizia dell’erudito seicentesco va glossatacon la presenza di una sequenza allusiva al miracolo nell’altro codicerecentemente riscoperto e di cui si parlerà di seguito e con il rifiuto,deciso quanto non documentato, dell’attribuzione nella scheda reda-zionale del D.B.I, 4 (1962), sub voce Attone. Diversa l’opinione di L.Feller, Les Abruzzes médiévales. Territoire, économie et société en Italiecentrale du ixe au xiie siècle, Rome 1998, secondo cui «Il n’y a rien … quipuisse nous mettre sur la piste d’une falsification» (p. 711). Poco ag-

giunge il capitolo La persecuzione degli ebrei di Aterno nell’xi secolo (1062-1065) nel recente volumetto di S. Longo, Silva Sambuceti (1095-1099). Laconquista normanna della bassa valle del Pescara, Chieti 2008, pp. 37-46. IlTractatus è edito in Ughelli, Italia sacra cit., vi, coll. 691-696; vedi an-che Nicolino, Historia cit., pp. 99-103; Carusi, Notizie su codici cit., p.58; Mottola, La produzione codicografica cit., p. 67.

1 L’intervento è stato elaborato in continuo e coinvolgente dialogo.Attribuire, perciò, la sezione relativa ai Dialogi a Luisa Miglio e quelladel Lezionario a Carlo Tedeschi è niente più che una formalità che nonrispecchia convenientemente modi e realtà del lavoro comune.

2 Carusi, Notizie su codici cit., pp. 10-13; Balducci, Regesto…Capi-tolo cit., pp. 60-66 e tavv. 1, 2.

3 E, soprattutto, senza chiarire se la loro breve analisi fosse stata omeno condotta sull’originale.

Fig. 5 a. Fig. 5 b.

Fig. 5 c. Fig. 5 d.

echi romaneschi 105

Tav. 3.

106 luisa miglio · carlo tedeschi

a secco e l’impaginazione prevede la presenza di 24rr. a piena pagina.

La segnatura delle carte, apposta a matita nell’an-golo destro del margine inferiore del recto, è moder-na e presumibilmente attribuibile al xix secolo,1 emoderna è anche la legatura realizzata intorno alla fi-ne dell’Ottocento-inizi del Novecento (in ogni caso,sicuramente anteriore al 1913) insieme a numerosi,pesanti e invasivi interventi di restauro.

Il codice presenta molte carte arricchite di scritturadistintiva; quella della carta d’incipit, che si distendesu otto righe in cui inchiostro bruno e inchiostro ros-so si mescolano senza ordine, è una maiuscola di tipoepigrafico, quella del resto del manoscritto un mistodi rustica e onciale. Moltissime, di varie dimensioni e,verosimilmente, di varie mani le iniziali ornate, di ti-po in prevalenza fitomorfo.

La scrittura del testo è, secondo Enrico Carusi, una«minuscola italiana di transizione»; ed effettivamente,tale definizione appare, in questo caso, ancora oggiaccettabile, poiché, su una base carolina, si innestanoalcuni degli elementi propri della fase di transizione,quali la presenza di sottilissimi trattini di stacco sul ri-go (Fig. 6 a), quella appena percepibile, di un’inci-piente tendenza allo spezzamento dei tratti curvi;l’uso abbastanza esteso dell’et tachigrafico (Fig. 6 b),dei segni diacritici sulla i geminata (Fig. 6 c), del le-gamento st stretto e alto (Fig. 6 d), della cediglia pre-valente rispetto a quello del nesso; o ancora l’usopiuttosto consistente di abbreviazioni per letterina soprascritta (Fig. 6 e, f, g).

Tuttavia, seppure corretta, tale definizione appareai nostri occhi incompleta poiché, nell’inevitabile ge-nericità di una descrizione catalografica, quale inten-deva essere quella del Carusi, datata, non dimenti-chiamolo, agli inizi del Novecento, non rende contodi diverse altre caratteristiche, che è invece fonda-mentale rilevare per mettere a punto una più esau-riente contestualizzazione del manufatto. Basta, in-fatti, uno sguardo ad una qualunque delle 119 carteper rendersi conto che nella scrittura ricorrono diver-si elementi non riferibili genericamente alla carolinama più specificatamente alla sua tipizzazione roma-nesca. Osserviamoli insieme: il generale appiattimen-

to del corpo delle lettere evidente, per es., nel trattosuperiore dell’occhiello della d minuscola, completa-mente diritto, eseguito staccando lo strumento scrit-torio (Fig. 7 a, b); le frequenti d tonde, con tratto su-periore reclinato, fino ad assumere una posizione deltutto orizzontale (Fig. 7 c); il legamento ri presente intutto il codice (seppure con frequenza variabile da se-zione a sezione) ed altri legamenti propri della tradi-zione corsiva altomedievale (es. legamento rr, Fig. 7d, e); la forma cuspidata della r (Fig. 7 f ); il disegnodella g, con occhiello inferiore di forma triangolare(Fig. 7 g); la presenza di nessi, quali NT e TR, soprat-tutto in fine di parola, ma non solo (Fig. 7 h, i); la Rmaiuscola o in forma di 2 impiegate in fine di parolanon solo dopo O, ma anche dopo altre vocali (a, i, u)e persino consonanti (d, r) e pure in corpo di parola(Fig. 7 j, k, l); la presenza della tipica abbreviatura be-neventana per m finale, a forma di 3, in posizione altasul rigo (Fig. 7 m); l’uso di segni derivati dal sistemainterpuntivo beneventano, in particolare quelli per lafrase interrogativa (Fig. 7 n).

Ma la nostra analisi grafica non può esaurirsi qui; sesfogliamo il codice, carta dopo carta rileveremo altrielementi che ci portano ad individuare ulteriori datisignificativi.

Uno di questi riguarda il numero delle mani. Men-tre, ad un primo approccio, la sostanziale uniformitàdi colore dell’inchiostro e, soprattutto, della tipologiagrafica indurrebbero a riconoscere il lavoro di una so-la mano, un esame più approfondito, volto alla com-parazione dei particolari, fa rilevare la presenza di duecesure – la prima alla c. 25r e la seconda alla c. 95r –corrispondenti ad altrettanti scribi, che si alternanonel lavoro di copia (Fig. 8 a, b).

Dal punto di vista generale, la seconda scrittura sicaratterizza per una visibile pesantezza dei tratti e perun più pronunciato schiacciamento delle forme grafi-che, a fronte di una maggiore rotondità e fluidità del-la prima.

Tra gli elementi indicativi di un cambio grafico sisegnalano soprattutto la g, il cui occhiello inferiore,tondeggiante nella prima mano, si fa quasi triango-lare nella seconda (Fig. 9 a, b); la d tonda, la cui astanella seconda mano assume con regolarità una posi-

1 Già notata in Balducci, Regesto…Capitolo cit., p. 59.

Fig. 6 b.Fig. 6 a.

Fig. 6 d. Fig. 6 e. Fig. 6 f. Fig. 6 g.

Fig. 6 c.

echi romaneschi 107

Fig. 8 a (c. 25r). Fig. 8 b (c. 25v).

Fig. 7 a. Fig. 7 b. Fig. 7 c. Fig. 7 d.

Fig. 7 e. Fig. 7 f. Fig. 7 g. Fig. 7 h.

Fig. 7 i. Fig. 7 j. Fig. 7 k. Fig. 7 l.

Fig. 7 m. Fig. 7 n.

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zione orizzontale, mentre nella prima mantiene unaposizione tendenzialmente inclinata (Fig. 9 c, d); illegamento rr, largamente presente tra le cc. 25r e95r, assente nelle sezioni iniziale e finale, attribuibilialla prima mano; la nota tachigrafica per et, fre-quentemente attestata nella scrittura della primamano, assente dalla seconda; il nesso et, il cui trattomediano è diritto e spezzato nella prima mano, si-nuoso nella seconda (Fig. 9 e, f ); il disegno della ce-diglia, a foglietta, con sottile, lungo filetto al centrodella “goccia” nella prima mano (Fig. 9 g) mentrenella seconda il filetto ha origine a destra della goc-cia (Fig. 9 h).

Elencare ulteriori differenze fra le due scritture, co-me i diversi usi abbreviativi1 o l’uso della punteggia-tura di tradizione beneventana nell’una, carolina nel-l’altra, oltre a richiedere troppo tempo e soverchiapazienza nell’ascoltatore, non aggiungerebbe infor-mazioni significative a quelle già ottenute. È il mo-mento, invece, di cominciare a tirare una prima con-clusione dai dati che siamo andati a mano a manoraccogliendo: un codice vergato da due copisti, in unascrittura che si avvicina molto alla minuscola roma-nesca dell’ultima fase; due mani tanto vicine fra loroda condividere abitudini grafiche persino nei dettagli(ad esempio nell’uso comune di una d tonda caratte-rizzata da una lieve depressione al centro del tratto su-periore che non sarà un caso ritrovare in molti pro-dotti beneventani); due scritture tanto somiglianti daapparire a tratti sovrapponibili. Al pari di quanto det-to a proposito del manoscritto dei Dialoghi, anche in

questo caso la conclusione non può che rimandare aduno scrittorio organizzato, in cui possiamo immagi-nare che la scrittura fosse insegnata, sotto la guida diun maestro.

Ma quale scriptorium? Finora non abbiamo incon-trato elementi davvero utili alla localizzazione, se noni tratti beneventani, che rimandano genericamente al-l’area italo-meridionale e non confliggono con l’ori-gine abruzzese verso cui indirizza la conservazione. Ilcodice, tuttavia, contiene, da questo punto di vista,numerosi dati interni che meritano di essere attenta-mente analizzati.

Anzitutto, un consistente corpus di documenti (testamenti, donazioni, la formula di oblazione di unfrate), in parte transunti, in parte riportati integral-mente, aggiunti nelle carte originariamente rimastebianche al termine della prima sezione del codicecontenente il Lezionario e nelle carte 118r (Tav. 4) e119 r, v.

I documenti, facenti riferimento ad un arco crono-logico compreso fra il 1190, anno cui deve, con ogniverosimiglianza, ricondursi il documento di c. 118r da-tato con la sola indicazione del giorno, mese ed indi-zione (Die Iovis, sexto septembris, indictione octava) e il1204, riguardano univocamente una chiesa di Pescara,Santa Gerusalemme, attualmente non più esistente(perché abbattuta e sostituita in età fascista e per sol-lecitazione di Gabriele D’Annunzio con la neo-roma-nica cattedrale di San Cetteo) ma nel medioevo poloreligioso di primaria importanza, all’interno delladiocesi di Chieti e non solo.2

1 Si segnala, tra gli altri, il differente modo di abbreviare la parolapopulus, nella prima mano con due p sormontate dalla letterina corri-spondente alla finale della desinenza o dal segno tachigrafico per -us,nel caso del nominativo; nella seconda con la più comune abbreviatu-ra popls, con titulus intersecante l’asta della l.

2 Indagini archeologiche recentemente effettuate nell’area anti-stante la cattedrale hanno portato alla luce una struttura muraria per-tinente alla chiesa distrutta i cui resti sono ancora visibili in fotografiedella fine dell’Ottocento. Si trattava, secondo gli archeologi, di unastruttura «di notevolissima dignità» con pianta circolare ad otto nic-chie che utilizzava, con ogni verosimiglianza, precedenti contesti mo-numentali con il medesimo schema icnografico riferibili alla tarda an-tichità; cf. A. R. Staffa, Scavi nel centro storico di Pescara, 1: primielementi per una ricostruzione dell’assetto antico ed altomedievale dell’abi-tato di “Ostia Aterni-Aternum”, «Archeologia medievale» 18 (1991), pp.

201-367: 262-268. Decisamente da rifiutare la notizia data dal Carusi(Notizie su codici cit., p. 12, n. 1) – sulla scia di monsignor Giovanni Ce-lidonio (G. Celidonio, La diocesi di Valva e Sulmona, Casalbordino1910, ii, p. 114) che interpreta male un documento quattrocentesco edi-to in E. Gattula, Historia Abbatiae Cassinensis, i, Venetiis 1733, pp. 237-238 – secondo cui Santa Gerusalemme sarebbe stata una grancia delmonastero benedettino di San Pietro in Lago, ricordato, nella cele-berrima porta bronzea di Montecassino, tra i possessi territoriali delcenobio cassinese, «cum quindecim cellis» (cf. Mons. G. Celidonio,Monistero di S. Pietro in Lago, fondato da S. Domenico Abate, Casalbordi-no 1910, opuscolo tratto dall’opera sopra citata, ora ristampato a curadi Roberto Grossi, Villalago 1994); rileva l’errore e sottrae la chiesa al-le pertinenze del monastero abruzzese H. Bloch, Monte Cassino in theMiddle Ages, i, Roma 1986, pp. 340-341.

Fig. 9 a. Fig. 9 b. Fig. 9 c. Fig. 9 d.

Fig. 9 e. Fig. 9 f. Fig. 9 g. Fig. 9 h.

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Tav. 4.

110 luisa miglio · carlo tedeschi

Oltre ai documenti, altro testo da considerare è lasequenza Salve sanguis Christi, che occupa le cc. 93r-ve le prime righe della c. 94r. (Fig. 10 a, b), aggiunta dauna mano prossima alla minuscola gotica collocabile,al pari di quella dei documenti, tra la fine del xii e ilprincipio del secolo successivo. L’argomento stessodell’inno che allude al miracolo del sangue sgorgatoda un’effigie cerea di Cristo, trafitta con una lama daalcuni ebrei di Pescara1 fa più volte esplicito riferi-mento all’Aternensis populus ed alla devota plebs Pisca-rie, palesando ancor più chiaramente il richiamo allachiesa di Santa Gerusalemme, nata, parrebbe, pro-prio dalla trasformazione della precedente sinagoga.2

Sebbene i documenti e la sequentia siano noti, essendo stati gli uni e l’altra editi da Enrico Carusi,3mai finora si è rilevato che tali testimonianze rendo-no conto di un fatto quasi banale nella sua evidenza,

eppure fondamentale: il lezionario dovette essere inuso, almeno dal 1190 (anno al quale risale, si è visto, ilpiù antico dei documenti trascritti, verosimilmente conservato nella stessa sede), presso la chiesa di San-ta Gerusalemme, la cui importanza fino alla fine del Cinquecento non sembra declinare.4 Partendo daquesto dato sicuro e – credo – incontestabile, è forsepossibile aggiungere qualche altra osservazione:considerando che le caratteristiche paleografiche in-dicano una datazione alla seconda metà del xii seco-lo – quindi pochi anni (possiamo azzardare: venti-trenta anni) prima della più antica attestazionedocumentaria del 1190 – è possibile e, anzi, verosimi-le ritenere che il manoscritto fosse stato realizzatoproprio per la chiesa di Santa Gerusalemme.5 Dove?Poco sopra il confronto paleografico fra le due manici ha fatto intravedere un centro di scrittura organiz-

1 La vicenda, svoltasi tra il 1062 e il 1065, fu riferita nel Tractatus depassione Domini facta in civitate Aternensi, attribuito al vescovo Attone,per cui v. sopra, pp. 104-105, n. 3; v. anche G. Mincione, Tractatus depassione Domini facta in Civitate Aternensi, di Attone vescovo di Chieti,«Abruzzo» 5, 1 (1967), pp. 99-122 e M. Della Sciucca, Musica e spetta-colarità nel Medioevo abruzzese tra liturgia e laicità, in G. Oliva, V. Mo-retti (edd.), La letteratura drammatica in Abruzzo. Dal Medioevo sacroall’eredità dannunziana, Atti del Convegno di studi Chieti 13-15 dicembre1994, Roma 1995, pp. 164-165.

2 «…ipsorum Judaeorum sinagoga mutata est, celebri et solemniritu, in ecclesiam…»: Tractatus de Passione Domini, in Ughelli, Italiasacra cit., vi, col. 695.

3 Carusi, Notizie su codici cit., pp. 65-69.4 La pianta di Pescara del marchese di Celenza Val Fortore, del 1598,

in cui il complesso è individuabile testimonia come, fino a quel perio-do, Santa Gerusalemme «fosse almeno sopravvissuta, unica fra le chie-se di Aternum menzionate dalle fonti medievali, alla crisi dell’abitatopropagatasi devastante dopo il xiii secolo»: Staffa, Scavi cit., pp. 265e 311. E non sembra una forzatura interpretare questa più tenace sopravvivenza come conseguenza della sua importanza e del suo ruo-lo accresciutosi nel tempo anche della cura d’anime.

5 Vale ricordare, per dare consistenza al peso della chiesa pescaresein quegli anni, che nel registro dei censi dovuti alla Chiesa compilatonel 1192 dal cardinale Cencio Savelli e poi accresciuto fino al tempo diBonifacio VIII, Santa Gerusalemme pagava alla Sede Apostolica un tarenum regale di censo; cf. P. Fabre, L. Duchesne (edd.), Le Liber Censuum de l’église romaine, i, Paris 1910, p. 47; Kehr, Italia Pontificiacit., iv, p. 275; Staffa, Scavi cit., p. 265.

Fig. 10 a (c. 93r). Fig. 10 b (c. 93 v).

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zato e sede di una scuola grafica. Ora lo scriptoriumlogisticamente più vicino a Pescara e il più prestigio-so dell’Abruzzo adriatico doveva indubbiamente es-sere quello legato alla sede metropolitica chietina edè lì che, secondo noi, fu realizzato il lezionario tantopiù se, come si deve, a questa osservazione generalesi aggiunge un ulteriore dato storicamente ancor piùsignificativo, perché relativo proprio alla situazionegiuridica di Santa Gerusalemme: sappiamo, infatti,che nel 10951 la chiesa aternense, con le sue vaste per-tinenze,2 fu concessa, insieme ad altri beni, da Ro-berto, conte di Loritello, nipote del Guiscardo, al ve-scovo di Chieti Rainulfo, con ogni probabilitàanch’egli un normanno.3 E sappiamo pure che la do-nazione fu più volte confermata nei secoli successivi.Va da sé che un successore di Rainulfo potesse averetutto l’interesse a dotare un’importante dipendenza,quale sicuramente era S. Gerusalemme, di libri litur-gici adeguati al suo ruolo di polo religioso ed econo-mico dell’intera area.4

È tempo ormai di avviarci alle conclusioni che, natu-ralmente, dati i limiti imposti a questo contributo dalmomento del fortunato ritrovamento, non potrannoche essere provvisorie. Due manoscritti per decennidimenticati in uno scaffale della canonica della catte-drale chietina ci permettono, dunque, a distanza dipiù di vent’anni dall’ancora fondamentale saggio diPaola Supino Martini, di recuperare e ricomporrequalche tassello di un mosaico che si era ritenuto or-mai quasi irrimediabilmente perduto. È poca cosa, ri-spetto alle tante testimonianze abruzzesi andate in-contro, anche in tempi recenti, ad una drammaticadispersione; tuttavia, se la nostra ipotesi è valida, essigettano luce su una fase finora del tutto inesplorata diuno scriptorium vescovile che avrebbe avuto vita plu-risecolare, determinando, grazie alla presenza di unascuola scrittoria organizzata, gli svolgimenti dellascrittura in una vasta area dell’Abruzzo adriatico. Ta-

le fase ci appare, inaspettatamente, influenzata, più diquanto avremmo pensato, dalla minuscola romane-sca, una tipizzazione la cui presenza in Abruzzo erastata finora registrata, come detto, soltanto sporadi-camente e limitatamente all’area teramana.

La datazione del primo codice alla metà dell’xi se-colo evidenzia, infatti, che a Chieti vi fu una ricezio-ne e diffusione relativamente precoce della tipizza-zione romanesca, la quale si innestò direttamente sultronco della tradizione altomedievale, amalgaman-dosi alle forme proprie di quest’ultima, così come so-no testimoniate dal manoscritto della Collezione Ca-nonica e dal codice Augiense. Il secondo codice, poi,rappresenta l’esito finale di questo processo, vergato,come è, in una scrittura allo stesso tempo di transi-zione verso la nuova libraria e residuale nella tenacesopravvivenza di echi della romanesca.

Dal punto di vista storico, l’acquisizione di Chietiall’area di influenza della romanesca non suscita par-ticolare stupore, se si riflette sui continui e privilegia-ti rapporti, fra xi e xii secolo, dell’episcopato teatinocon il papato (e quindi con Roma) e con Montecassi-no e, forse, è proprio in direzione della grande abba-zia benedettina, piuttosto che di Roma, che si deveguardare per comprendere il fenomeno della pene-trazione della romanesca a Chieti. Un fenomeno chenon a caso, come è stato ormai ampiamente dimo-strato, spesso si accompagna proprio con situazioni diibridismo grafico beneventano-carolino.

Emerge, dal quadro sin qui tracciato e ancora piùdistintamente rispetto a quanto sinora rilevato, l’im-magine di una città e di un’area che, seppure consi-derate dalla storiografia “periferiche”, se non addirit-tura “depresse”,5 si trova, per la sua stessa posizionegeografica, in una condizione – “una vocazione” ver-rebbe da dire – di particolare apertura verso espe-rienze maturate presso i maggiori poli culturali delsud e del nord della penisola.6 Una condizione che persecoli favorì una speciale capacità di assorbimento,

1 AAC, doc. Teate 11. La donazione di Roberto I, conte di Lori-tello, «pro salute animae suae et remedio peccatorum, parentum etpropinquorum», comprendeva, tra molti altri beni, le chiese di SantaGerusalemme e di San Salvatore «quas ipse comes tenet in proprie-tatem cum omnibus possessionibus earum» (Edita in G. Ravizza,Collezione di diplomi e di altri documenti … da servire alla storia della cit-tà di Chieti, i, Napoli 1832 [rist. anast. Bologna 1978], p. 5; Balducci,Regesto … Curia cit., p. 4 e edizione in Appendice iii, pp. 91-96: 92-93,in cui si rileva che «non è l’originale della donazione, ma forse untransunto monco, certamente coevo» e si segnala la presenza in Ar-chivio di tre copie di cui una, settecentesca, tratta dall’originale; daultimo Longo, Silva cit., pp. 98-101, con traduzione a fronte). Nellostesso anno anche il fratello di Roberto, Drogone «qui alio nominevocatur Tasso» o Tascione dopo essersi confessato davanti al vescovonella chiesa dei santi Legonziano e Domiziano, donò al presule chie-tino case, vigne e terreni e «omnes homines qui sui iuris suaeque do-minationis erant in civitate Teatina», irrobustendo l’immagine delvescovo come autorità non solo spirituale; Nicolino, Historia cit.,pp. 130-131; Ravizza, Collezione cit., p. 3. Il documento originale è oggi perduto.

2 Da documenti successivi sappiamo che le pertinenze della chiesadi S. Gerusalemme erano costituite da terreni agricoli, case e quotedelle saline pescaresi.

3 Sul vescovo Rainulfo vedi da ultimo, L. Feller, Le développementdes institutions féodales dans les Abruzzes adriatiques et l’épiscopat de Ray-nulf de Chieti (1087-1105), in E. Cuozzo, J. M. Marti (edd.), Cavalieri al-

la conquista del Sud. Studi sull’Italia normanna in memoria di Léon-RobertMénager, Ariano Irpino 1998, pp. 194-215.

4 Nel secolo seguente la donazione del conte Roberto verrà più vol-te confermata da papi e conti; il 18 luglio 1115 da Pasquale II al vesco-vo Guglielmo I, (Nicolino, Historia cit., pp. 131-133; Ravizza, Colle-zione cit., pp. 83-85; Jaffé, Regesta Pontificum, i, p. 758, nr. 6461; Kehr,Italia pontificia cit., iv, p. 268, nr. 5; Balducci, Regesto … Curia cit., p. 4,edizione pp. 97-99); nel 1137 dal conte Guglielmo di Loritello al vesco-vo Rusticus su richiesta dello stesso (Nicolino, Historia cit., p. 135; Ra-vizza, Collezione cit., p. 7; Balducci, Regesto … Curia cit., p. x dove ildocumento è detto perduto); nel 1173 da papa Alessandro III al vesco-vo Andrea II (Nicolino, Historia cit., p. 137; Jaffé, Regesta Pontificumcit., ii, p. 267, nr. 12238; Kehr, Italia pontificia cit., iv, p. 268 nr. 8; Bal-ducci, Regesto … Capitolo cit., p. 12, edizione pp. 71-74 in cui si specificache il documento «è una copia coeva»). Memoria ed edizione dei do-cumenti anche in Ughelli, Italia sacra cit., vi, coll. 701-708.

5 La definizione di «area depressa», per ragioni riconducibili in par-te all’isolamento ambientale, in parte all’atipicità del panorama grafi-co, caratterizzato dalla «contemporanea presenza di forme assoluta-mente diverse» si trova in V. De Donato, Contributi del paleografo e deldiplomatista allo studio delle fonti dell’Abruzzo medievale, «Abruzzo» 6, 1(1968), pp. 103-115: 103.

6 Della contea di Chieti come, soprattutto dall’xi secolo in poi, «ve-ra e propria cerniera fra il Mezzogiorno ed il Nord … nodo strategicosia per gli imperatori germanici, sia per i papi e i normanni» parla L.Gatto, Momenti di storia del Medioevo abruzzese, L’Aquila 1986, p. 279.

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rielaborazione e riproposizione di modelli grafici al-logeni, così da farla apparire come una realtà sfug-gente, uno specchio sfaccettato di linguaggi grafici di-versi e multiformi. Insomma, ancora una volta,l’implicito suggerimento di Paola Supino a non con-siderare l’Abruzzo ambiente grafico periferico bensì

capace di annoverare esperienze diverse e in qualchemodo intercambiabili1 si è rivelata felicissima intui-zione, come l’ipotesi di uno scriptorium vescovile or-mai, crediamo, libera dal dubbio; il ruolo, in questoambiente, della “sua” romanesca speriamo di avercontribuito a delineare.

1 Supino Martini, Roma e l’area grafica cit., p. 161.

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