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Vincenzo Borghini, monaco benedettino e priore dell’Ospedale degli Innocenti, fu un uomo indaffarato nella Firenze degli anni cinquanta e sessanta del Cin- quecento, dove ricoprì una varietà di ruoli: ispiratore dell’Accademia Fiorentina, ideatore del programma ico- nografico realizzato in Palazzo Vecchio, fiduciario del duca Cosimo I de’ Medici in materia culturale e lingui- stica. Quest’ultimo era un ambito particolarmente fe- condo, a motivo dei vivaci dibattiti sulla questione del- la lingua, e rivestiva una rilevanza cruciale agli occhi di Cosimo, consapevole di non poter contare sulla politica di potenza al fine di costruire per la Toscana un ruolo da protagonista sulla scena europea. Borghini si impegnò nelle questioni linguistiche a partire dagli anni cinquanta del Cinquecento: l’uomo di chiesa, di scrittoio e di biblio- teca fu chiamato a divenire anche uomo di stamperia, con l’incarico di approntare nuove pubblicazioni. Firenze era allora uno dei maggiori centri tipografici d’Italia, ancorché fosse lontano dal rivaleggiare con Ve- nezia. Non sorprende, quindi, che Cosimo scegliesse un suo «stampatore ducale» nella persona di Lorenzo Tor- rentino, di origine fiamminga, seppure questa esperien- za si esaurisse dopo una quindicina di anni, giacché sem- bra che Torrentino sia stato attivo soltanto fra il 1547 e il 1563. Ciononostante, il catalogo torrentiniano forni- sce indicazioni significative sulle scelte intellettuali e cul- turali del duca e dello stato toscano allora in formazio- ne. Orbene, tra le opere di non poco peso – e di non po- ca spesa – che Torrentino pubblicò, primeggia, nel 1561, l’editio princeps dei primi sedici libri della Storia d’Italia di Francesco Guicciardini. Si trattò di un’impresa par- ticolarmente importante, non foss’altro perché delle 253 edizioni stampate da Torrentino, solamente 18 erano i testi di autori classici, mentre nessun titolo era di argo- mento politico o storico. Oltreché per la mole del libro e per il suo carattere eccezionale nel catalogo di Torrentino, l’edizione guic- ciardiniana del 1561 si segnalava in quanto opera prima di un autore che non era noto – ai fiorentini e ai fore- stieri – in qualità di scrittore, bensì per essere stato uno degli attori della politica di Firenze della prima parte del Cinquecento: un uomo dello stato, se non proprio un uomo di stato. A distanza di vent’anni dalla scomparsa di Guicciardini nel 1540, nessuna delle migliaia di pa- gine da lui vergate era mai stata pubblicata: destino ben diverso da quello dell’amico Machiavelli, le cui opere maggiori, dal Principe ai Discorsi fino alle Istorie fioren- tine, furono edite pochi anni dopo la morte dell’autore. Guicciardini, invece, era ricordato dai suoi concittadi- ni come uno dei fautori della politica estera di Clemen- te VII, o come un fierissimo avversario dell’ultima re- pubblica, soprannominato ser Cerettieri dal nome di uno degli aguzzini del trecentesco tiranno di Firenze, il du- ca d’Atene. Oppure ancora come colui che nel 1537, do- po l’assassinio del duca Alessandro da parte di Lorenzi- no, assieme a Francesco Vettori era andato a cercare nel suo ritiro di campagna il giovane Cosimo de’ Medici, per proporre al figlio del famoso condottiero Giovanni dalle Bande Nere un ruolo di «principe civile»: salvo ca- pire ben presto che il giovane duca intendeva lasciare al- le grandi famiglie cittadine niente più che uno spazio as- sai circoscritto. L’edizione della Storia d’Italia fu un’operazione ibri- da. Risultò dalla collaborazione fra un’iniziativa fami- gliare (l’opera del nipote dell’autore, Agnolo Guicciar- dini: uno dei non molti patrizi rimasti vicini al duca) e una committenza pubblica e prettamente fiorentina, o addirittura protostatale, che contemplò l’allestimento di una pubblicazione semiufficiale. Informazioni su que- sto passaggio intermedio che precedette l’andata in ti- pografia provengono dall’edizione che apparve nel 1775- 1776 per cura del canonico Bonso Pio Bonsi, sotto la fal- sa indicazione di Friburgo (in realtà Firenze), e che fu la prima a includere anche i passi soppressi dalla censu- ra operata nell’editio princeps. Bonsi parlò di una com- missione preposta all’edizione del 1561, che sarebbe sta- ta costituita dal nipote dell’autore (che aveva ricevuto in eredità il manoscritto), da Vincenzo Borghini, da Bar- tolomeo Concini (uno dei principali segretari del duca, personaggio dall’indiscusso potere, ancorché non appa- riscente) e da alcuni religiosi dei quali venivano taciuti i nomi. Firenze, settembre 1561 Guicciardini rassettato escono alle stampe i primi sedici libri della storia d’italia di fran- cesco guicciardini. censura preventiva e politica medicea: il ruolo di vincenzo borghini. la gloria dei medici e l’asse con il papato. l’italia, l’europa e le «horrende guerre»: il capolavoro guicciardiniano come interpretazione complessiva di una stagione travagliata

Francesco Guicciardini e l'éditio princeps della Storia d'Italia

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Vincenzo Borghini, monaco benedettino e prioredell’Ospedale degli Innocenti, fu un uomo indaffaratonella Firenze degli anni cinquanta e sessanta del Cin-quecento, dove ricoprì una varietà di ruoli: ispiratoredell’Accademia Fiorentina, ideatore del programma ico-nografico realizzato in Palazzo Vecchio, fiduciario delduca Cosimo I de’ Medici in materia culturale e lingui-stica. Quest’ultimo era un ambito particolarmente fe-condo, a motivo dei vivaci dibattiti sulla questione del-la lingua, e rivestiva una rilevanza cruciale agli occhi diCosimo, consapevole di non poter contare sulla politicadi potenza al fine di costruire per la Toscana un ruolo daprotagonista sulla scena europea. Borghini si impegnònelle questioni linguistiche a partire dagli anni cinquantadel Cinquecento: l’uomo di chiesa, di scrittoio e di biblio-teca fu chiamato a divenire anche uomo di stamperia,con l’incarico di approntare nuove pubblicazioni.

Firenze era allora uno dei maggiori centri tipograficid’Italia, ancorché fosse lontano dal rivaleggiare con Ve-nezia. Non sorprende, quindi, che Cosimo scegliesse unsuo «stampatore ducale» nella persona di Lorenzo Tor-rentino, di origine fiamminga, seppure questa esperien-za si esaurisse dopo una quindicina di anni, giacché sem-bra che Torrentino sia stato attivo soltanto fra il 1547e il 1563. Ciononostante, il catalogo torrentiniano forni-sce indicazioni significative sulle scelte intellettuali e cul-turali del duca e dello stato toscano allora in formazio-ne. Orbene, tra le opere di non poco peso – e di non po-ca spesa – che Torrentino pubblicò, primeggia, nel 1561,l’editio princeps dei primi sedici libri della Storia d’Italiadi Francesco Guicciardini. Si trattò di un’impresa par-ticolarmente importante, non foss’altro perché delle 253edizioni stampate da Torrentino, solamente 18 erano itesti di autori classici, mentre nessun titolo era di argo-mento politico o storico.

Oltreché per la mole del libro e per il suo carattereeccezionale nel catalogo di Torrentino, l’edizione guic-ciardiniana del 1561 si segnalava in quanto opera primadi un autore che non era noto – ai fiorentini e ai fore-stieri – in qualità di scrittore, bensì per essere stato unodegli attori della politica di Firenze della prima parte del

Cinquecento: un uomo dello stato, se non proprio unuomo di stato. A distanza di vent’anni dalla scomparsadi Guicciardini nel 1540, nessuna delle migliaia di pa-gine da lui vergate era mai stata pubblicata: destino bendiverso da quello dell’amico Machiavelli, le cui operemaggiori, dal Principe ai Discorsi fino alle Istorie fioren-tine, furono edite pochi anni dopo la morte dell’autore.Guicciardini, invece, era ricordato dai suoi concittadi-ni come uno dei fautori della politica estera di Clemen-te VII, o come un fierissimo avversario dell’ultima re-pubblica, soprannominato ser Cerettieri dal nome di unodegli aguzzini del trecentesco tiranno di Firenze, il du-ca d’Atene. Oppure ancora come colui che nel 1537, do-po l’assassinio del duca Alessandro da parte di Lorenzi-no, assieme a Francesco Vettori era andato a cercare nelsuo ritiro di campagna il giovane Cosimo de’ Medici,per proporre al figlio del famoso condottiero Giovannidalle Bande Nere un ruolo di «principe civile»: salvo ca-pire ben presto che il giovane duca intendeva lasciare al-le grandi famiglie cittadine niente più che uno spazio as-sai circoscritto.

L’edizione della Storia d’Italia fu un’operazione ibri-da. Risultò dalla collaborazione fra un’iniziativa fami-gliare (l’opera del nipote dell’autore, Agnolo Guicciar-dini: uno dei non molti patrizi rimasti vicini al duca) euna committenza pubblica e prettamente fiorentina, oaddirittura protostatale, che contemplò l’allestimento diuna pubblicazione semiufficiale. Informazioni su que-sto passaggio intermedio che precedette l’andata in ti-pografia provengono dall’edizione che apparve nel 1775-1776 per cura del canonico Bonso Pio Bonsi, sotto la fal-sa indicazione di Friburgo (in realtà Firenze), e che fula prima a includere anche i passi soppressi dalla censu-ra operata nell’editio princeps. Bonsi parlò di una com-missione preposta all’edizione del 1561, che sarebbe sta-ta costituita dal nipote dell’autore (che aveva ricevutoin eredità il manoscritto), da Vincenzo Borghini, da Bar-tolomeo Concini (uno dei principali segretari del duca,personaggio dall’indiscusso potere, ancorché non appa-riscente) e da alcuni religiosi dei quali venivano taciutii nomi.

Firenze, settembre 1561Guicciardini rassettato

escono alle stampe i primi sedici libri della storia d’italia di fran-cesco guicciardini. censura preventiva e politica medicea: il ruolo divincenzo borghini. la gloria dei medici e l’asse con il papato. l’italia,l’europa e le «horrende guerre»: il capolavoro guicciardiniano comeinterpretazione complessiva di una stagione travagliata

A oggi, non sono stati rintracciati documenti relati-vi all’esistenza e alle riunioni di tale commissione, né nelmanoscritto che servì da base all’edizione, né nella let-tera dedicatoria della stampa torrentiniana che fu com-posta da Agnolo Guicciardini. Tuttavia, se non vera, latestimonianza di Bonsi è verosimile: la presunta com-missione rappresenta un particolare congruo e plausibi-le, conoscendo sia gli interventi di Borghini su altri te-sti e in altre iniziative culturali approntate sotto l’egidamedicea, sia le relazioni esistenti fra i personaggi men-zionati da Bonsi. I tre infatti si frequentavano regolar-mente: all’Accademia Fiorentina (Borghini e Agnolo Guic-ciardini), nel corso di missioni diplomatiche (Guicciar-dini e Concini), durante l’elaborazione del programmaiconografico per Palazzo Vecchio adibito a nuova resi-denza del duca (Borghini e Concini). In seguito, Conci-ni svolse un ruolo capitale nella politica estera toscana,e fu nobilitato con il titolo di «comte de Penna»: se-condo le parole di un ambasciatore veneziano, egli eraun «uomo di grandissima autorità e di valore e di fede[…] per la vivacità del suo ingegno e per la lunga prati-ca delle cose di Stato nelle quali si può dire ormai con-sumato». Il fatto che uomini come Borghini e Concinisi fossero prestati (il primo sicuramente, il secondo pro-babilmente) a un lavoro il quale – data la mole del testodella Storia d’Italia – poteva sembrare infinito, la dice lun-ga sull’attenzione prestata all’operazione dal governoducale: analogamente, del resto, ad altre iniziative edi-toriali realizzate sotto il patronato mediceo, come la pre-parazione di una ristampa del Decameron e di varie ope-re di Machiavelli.

Se uomini di tal fatta stettero al gioco fu perché rite-nevano ne valesse la pena, oppure perché avevano rice-vuto un espresso ordine ducale: in entrambi i casi, lapubblicazione della Storia d’Italia assumeva significatiche trascendevano il mero ambito editoriale o famiglia-re. In questo senso, la scelta di pubblicare Guicciardini vavalutata anche alla luce della mancata pubblicazione dialtre opere di storia che ci si poteva aspettare venisseroincluse nel catalogo dello stampatore ducale: dalle Sto-rie fiorentine dello storico ufficiale Benedetto Varchi aiCommentari di Filippo dei Nerli, un mediceo di primorango, fino alle Storie fiorentine del cugino stesso di Fran-cesco Guicciardini, Bernardo Segni, famoso per le suetraduzioni aristoteliche. L’altro elemento che colpisce,nella vicenda dell’edizione guicciardiniana del 1561, èil mancato coinvolgimento di esperti di storia. Sembraquasi che il testo non venisse considerato alla stregua diun libro di storia, per quanto ciò possa apparire sor-prendente; oppure che, proprio per i contenuti dell’o-pera, non si sentisse la necessità di ricorrere agli storicinella fase di correzione redazionale: come se la storiafosse ritenuta cosa troppo seria per essere lasciata aglistorici…

Il deus ex machina della pubblicazione della Storia d’I-talia fu in primo luogo Agnolo Guicciardini, come pre-cisa la lettera dedicatoria a Cosimo anteposta all’editioprinceps dei primi sedici libri dell’opera. In quella lette-ra, datata «giorno III di settembre 1561» (la stessa for-ma di datazione dell’altra lettera dedicatoria, che Agno-lo avrebbe posto come testo liminare all’edizione di Ga-briele Giolito degli ultimi quattro libri del testo, appar-sa nel 1564), il nipote di Guicciardini alluse a propri in-terventi effettuati sul testo dello zio, ma dichiarandolilimitati alla sola veste formale e linguistica. Nell’edi-zione del ’64, Agnolo aggiunse che il suo obiettivo prin-cipale era stato, nel secondo caso, «il non variare in par-te alcuna i sensi, ma solo l’ordinare et comporre le pa-role che egli lasciò scritte più chiare et più pure che ab-biamo saputo senza aggiungere o levare cosa alcuna».

Questa è un’ulteriore prova del fatto che la presun-ta censura esercitata durante la preparazione dell’editioprinceps della Storia d’Italia sfugge agli stereotipi tradi-zionali riguardanti la censura nell’Italia della Contro-riforma o nella Firenze cosimiana. Fra l’altro, l’inter-vento sul testo fu relativamente precoce: la Storia d’Ita-lia di Guicciardini non venne d’altronde inserita nel-l’indice dei libri proibiti prima dell’edizione Stoer di Gi-nevra del 1627 (la quale ricuperava i passi soppressi deilibri III et IV). Alcune edizioni che contenevano – o siriteneva contenessero – i passi più problematici furonoinserite nell’appendice dell’edizione veneziana dell’in-dice del 1596: tuttavia, tale appendice non venne ripresanell’edizione romana pubblicata lo stesso anno, a indi-zio di un’incertezza, di un’esitazione o di un’efficienzaimperfetta dei censori. L’edizione latina di Basilea, pre-parata da Celio Curione e Pietro Perna, venne bensì man-data all’indice, ma essa non contemplava i famosi passiche criticavano il potere temporale dei pontefici: pro-babilmente, la repressione censoria romana fu attrattadai nomi del traduttore e dello stampatore di quell’edi-zione, che erano noti esponenti della Riforma espatria-ti da Lucca. Significativamente, furono invece rispar-miate le meno celebri edizioni francesi, tedesche e olan-dese pubblicate tra il 1568 e il 1618, molte delle qualicontenevano i passi censurati dei libri III e IV. Ancorapiù curiosa è la sorte della versione poliglotta – in fran-cese, latino, italiano, ossia le tre lingue nelle quali il te-sto era allora disponibile sul mercato editoriale – conte-nente i soli passi censurati, pubblicata a Basilea nel 1569,sempre presso Pietro Perna, e in due successive edizioni(Londra 1595, versione quadrilingue, e in Svizzera nel1602). Il volumetto venne inserito nell’indice dei libriproibiti soltanto nell’agosto del 1603, a trent’anni di di-stanza dalla princeps.

La prima censura della Storia d’Italia fu, quindi, in-nanzitutto fiorentina. Ma per un testo di tale lunghez-za (o forse a causa della sua lunghezza, se si giudica dal-

2 Firenze, settembre 1561

l’ineguale distribuzione e dalla scarsa coerenza dei pas-si manomessi), gli interventi riuscirono, tutto sommato,poco numerosi: all’infuori delle varianti stilistiche o lin-guistiche o di alcuni probabili refusi di stampa, le sop-pressioni riguardarono meno di venti passi, come calco-lerà Paolo Guicciardini analizzando la censura che ave-va riguardato il testo del suo avo. Tranne i quattro luo-ghi ben noti (III, 6: sui vizi di papa Alessandro VI e isuoi amori incestuosi; IV, 12: sull’origine del potere tem-porale dei papi; VI, 9: sul confronto tra la Sacra Scrit-tura e le navigazioni verso nuove terre; X, 4: sul discorsoanticlericale di Pompeo Colonna), l’espunzione riguardòfrasi che potevano dispiacere al duca per motivi stret-tamente locali e congiunturali. Numerosi passi critici neiriguardi della curia romana o dei papi sfuggirono al la-voro censorio: come la magnifica pagina dedicata daGuicciardini alla scomparsa di Alessandro VI (compo-sta sul modello delle descrizioni classiche relative allamorte dei tiranni), o il giudizio finale su Giulio II.

I correttori si comportarono in maniera rispettosaanche nelle occasioni in cui il testo faceva riferimentoalla famiglia de’ Medici: non fu alterato il brano riguar-dante la repubblica del 1494, né il duro giudizio for-mulato da Guicciardini sui due papi medicei, Leone Xe Clemente VII. Spesso mancò la più elementare coe-renza. Fu censurato il capitolo 12 del libro XVI, in cuil’autore aveva scritto che

il medesimo [Leone X] fu deditissimo alla musica alle fa-cezie e a’ buffoni; ne’ quali sollazzi teneva il più del tem-po immerso l’animo, che altrimenti sarebbe stato volto afini e faccende grandi, delle quali aveva lo intelletto ca-pacissimo. Credettesi per molti, nel primo tempo del pon-tificato, che e’ fusse castissimo; ma si scoperse poi deditoeccessivamente, e ogni dì più senza vergogna, in queglipiaceri che con onestà non si possono nominare.

Viceversa, non si censurò un passo del tutto simile,che compariva nel libro XIV all’interno del racconto del-la morte del papa, sinteticamente definito:

Principe nel quale erano degne di laude e di vituperiomolte cose e che ingannò assai la espettazione che quan-do fu assunto al pontificato si aveva di lui, conciossiachée’ riuscisse di maggiore prudenza ma di molto minorebontà di quello che era giudicato da tutti.

La censura fiorentina di Guicciardini risulta quindiambivalente, e non sistematica: indirizzata verso bersa-gli precisi sui quali, tuttavia, si intervenne in manieralacunosa. Fu una censura ducale, ma non sempre medi-cea (il ramo maggiore della famiglia estintosi con Ales-sandro poteva essere criticato tranquillamente, per esem-pio alla fine del libro XX). E fu una censura ducale, mamai antirepubblicana: è noto come Cosimo adottasse unatteggiamento flessibile nei confronti dell’eredità poli-

tico-culturale della Repubblica, in nome del recupero delpatrimonio culturale toscano qualunque ne fosse la ma-trice. Fu una censura laica, ma attenta a non vessare laCuria: in effetti, Cosimo negoziò spesso con Roma, so-prattutto dopo l’ascesa al pontificato nel dicembre 1559di Pio IV de’ Medici, che apparteneva al ramo milane-se della famiglia. La preparazione dell’editio princeps del-la Storia d’Italia dice, insomma, molte più cose sulle mo-tivazioni che condussero alla pubblicazione dell’operache non sui criteri di ripulitura del testo.

Da un lato, Cosimo promosse una preparazione se-miufficiale del capolavoro di Guicciardini; dall’altro la-to, il duca non fece alcuno sforzo per pubblicare gli al-tri storici fiorentini che avevano illustrato quegli stessifatti storici ponendo in buona luce la stirpe medicea.Nei riguardi dell’opera guicciardiniana, più che ampu-tare i passi problematici, si trattò di mettere le maniavanti al fine di evitare un intervento più pesante a ope-ra di coloro a cui – per legge e per tradizione – tale in-tervento sarebbe spettato: a Firenze, fino al 1591, erainfatti la Chiesa a essere incaricata della censura, e nonl’amministrazione ducale. L’obiettivo ricercato era coe-rente con la politica ducale: recuperare e promuovere lamaggior parte del patrimonio letterario toscano, per af-fermare l’egemonia culturale di un piccolo stato regio-nale che non disponeva più dei mezzi militari o finan-ziari per pesare in altro modo sulla geopolitica italiana.

In tale prospettiva, fu sufficiente emendare il testodi Guicciardini sopprimendo alcuni passi giudicati falsio discutibili (donde il rifiuto dell’adesione guicciardi-niana alla confutazione della donazione di Costantinofatta da Lorenzo Valla), che per di più potevano cagio-nare qualche scandalo. Nelle sue note manoscritte, Bor-ghini spiegò:

questi due pezzi [III, 6 e IV, 12] si cavarono dell’Istoriadel Guicciardini primo come odioso e stomacoso agli orec-chi di Christiani ragionandosi di così brutto e osceno amo-re, et secondo come sia doloso in questi tempi, et non ve-ro generalmente, né nella summa netta del fatto, et conmal consiglio, son poi, come intendo stati dati fuori.

Allo stesso modo, circa la corruzione dei costumi deipontefici – questione centrale per Guicciardini, in-fluenzato dal savonarolismo dell’amato padre Piero –Borghini segnalò:

Non vorrei havesse detto così perché [di papi] ve nepotete essere de buoni e de cattivi come di tutti i princi-pi avviene, né un cattivo debbe torre il nome e la reputa-tione a’ religiosi et buoni.

Contrariamente a quanto è stato sostenuto, la dife-sa del papato nelle parole di Borghini non fu così chia-ra: nella sua argomentazione, egli considerò i papi allastregua degli altri sovrani temporali, e citò in giudizio

Guicciardini rassettato 3

gli uni e gli altri avvalendosi dei medesimi criteri, se-condo un’impostazione storicista che era stata dello stes-so Guicciardini.

Circa l’interpretazione formulata da Guicciardinisull’origine del potere temporale dei papi, Borghini di-fese l’autenticità della donazione di Costantino; ma lo fe-ce in maniera fiacca, appoggiandosi a generici riferi-menti ad «autori latini e greci di quei tempi» e a «scrit-ture di molti». Una sorprendente debolezza argomen-tativa, se si pensa che in quei medesimi anni lo stessoBorghini scrisse un breve manuale di filologia e di ec-dotica, il primo in volgare italiano: il che induce a do-mandarsi cosa pensasse davvero quel preteso censorequando si trovò alle prese con la vexata quaestio della do-nazione costantiniana. Se Borghini – contrariamente al-le sue abitudini – non intese fondare scientificamente ilproprio parere, forse il suo vero bersaglio non era la va-lidità storica del testo di Guicciardini, bensì gli effettipotenzialmente pericolosi che la lettura dei passi incri-minati poteva provocare presso altri e più occhiuti cen-sori, meno propensi di lui a difendere la possibilità diun’edizione del grande storico fiorentino. In tale pro-spettiva, l’ambigua strategia censoria esercitata sulla Sto-ria d’Italia potrebbe essere utilmente paragonata conquella adottata dal medesimo Borghini in occasione del-la ristampa fiorentina del Decameron, avvenuta nel 1573(e immediatamente messa all’indice). Il carteggio con ilMaestro del Sacro Palazzo vaticano, Tommaso Manri-quez, mostra quanto nell’occasione il letterato si adope-rò per salvare il capolavoro di Boccaccio dalle forche cau-dine della Controriforma.

La censura preventiva di Borghini contribuì a pro-teggere per quarant’anni la Storia d’Italia da una censu-ra potenzialmente ben più pesante, favorendo quindil’ampia diffusione del testo guicciardiniano tra il 1561e il 1630. Nondimeno, le forme concretamente assuntedalla prima censura fiorentina risultano assai ambigue:quand’anche si ammetta l’esistenza di una apposita com-missione editoriale preposta alla correzione del testo diGuicciardini, formata da personalità importanti dellapolitica culturale locale, rimane il fatto che BartolomeoConcini vi si trovò a svolgere la parte non del censoreufficiale, bensì del segretario del duca, operando così inmaniera semiprivata. E la situazione si complica ancorapiù ove si tenga presente il contesto degli anni 1559-61,immediatamente precedenti l’ultima sessione del conci-lio di Trento: una stagione segnata da strettissime rela-zioni tra Firenze e Roma, durante la quale Cosimo I di-venne – proprio grazie a intermediari come Concini –un consigliere molto ascoltato dal pontefice. Il duca ade-rì allora pienamente alla politica conciliare italiana delpapa, che intendeva unire in un unico fronte i prelatidell’intera penisola per lottare contro l’influenza delledue grandi monarchie cattoliche, la Francia e la Spagna.

Due sono dunque le possibili spiegazioni del dispo-sitivo messo in atto dalla commissione che preparò lapubblicazione dell’opus magnum di Guicciardini. Da uncanto, la censura sarebbe stata limitata perché si lavoròin tempi stretti, insufficienti a uno sforzo esegetico trop-po minuzioso su un testo tanto lungo. Dall’altro, la di-stratta attenzione censoria dei commissari si sarebbeconcentrata sulla lettura guicciardiniana del ruolo delpapato in Italia, e avrebbe riguardato essenzialmente leforme dell’alleanza conciliare tra Roma e gli staterellidella penisola. In ogni modo, la questione perse di rilie-vo in concomitanza con la fortunata circolazione del te-sto al di fuori di Firenze. Quando l’opera sfuggì alla cittànatia dell’autore – un esito preparato, nei fatti, dallostesso Guicciardini, che aveva scelto di sfiorentinizzarela propria scrittura – fu raggiunto un indubbio risultatoletterario, ma anche un risultato culturale in senso piùampio, relativo alle modalità di ricezione del testo: mol-to rapidamente la Storia d’Italia trovò i suoi lettori benoltre l’ambito fiorentino, ottenendo un successo di di-mensioni europee, con traduzioni sorprendentementerapide e numerose considerata l’ingente mole dell’opera.

Così, la storia editoriale del capolavoro di Guicciar-dini si presenta in sintonia perfetta con quella della ste-sura dell’opera, ma anche e soprattutto con le sue ca-ratteristiche ermeneutiche e la sua profonda originalità.Si sa che il primo nucleo del testo era stato concepitocome il racconto delle res gestae di messer Francesco inquanto «luogotenente generale» di papa Clemente VIIdurante la Lega di Cognac, cioè l’alleanza fra gli state-relli italiani e la Francia contro Carlo V, ideata da Guic-ciardini stesso e miseramente fallita con il sacco di Ro-ma nel 1527. Inizialmente, la Storia d’Italia doveva nar-rare quanto era accaduto fra la sconfitta francese a Pa-via del 1525 e la fine dell’ultimo tentativo di salvare «lalibertà d’Italia», tre anni dopo. Però Guicciardini, uscen-do dalla prospettiva cesarea e autobiografica che gli ave-va fatto ideare dei «commentari della luogotenenza»,capì presto come – per rendere ragione del fallimentodel più importante disegno politico della sua vita – il rac-conto dovesse ritornare alle origini della nuova fase sto-rica europea: agli esordi cioè delle «horrende guerre d’I-talia», nel lontano autunno del 1494.

Il titolo dell’opera, apocrifo, non deve trarre in ingan-no: la Storia d’Italia non è una storia dell’Italia del Ri-nascimento, bensì una storia di quanto accadde in Ita-lia in un periodo ben determinato, e definito in funzio-ne di un evento preciso. La storia d’Italia diventa in talmodo una storia d’Europa, che fa centro sulla penisolaperché questa fu il campo di battaglia su cui si affron-tarono per mezzo secolo le grandi monarchie nazionali,sullo sfondo della lotta per l’egemonia politica sull’inte-ro continente. Non a caso, Guicciardini affermò chiara-mente che per raccontare questa «storia d’Italia» era im-

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portante dare conto anche delle navigazioni verso l’A-merica, come pure delle guerre in Navarra, in Borgognao in Piccardia. Lo spazio di riferimento della storia fuampliato in considerazione della geopolitica bellica, seb-bene la scrittura guicciardiniana evitasse di scivolare ver-so la storia universale.

Con la Storia d’Italia, dunque, Guicciardini non in-tese comporre una storia del mondo intero, bensì scri-vere la storia di quanto nel mondo era importante persciogliere un nodo interpretativo singolare. Fu la neces-sità di spiegare quei «tempi strani» della guerra – se-condo un’espressione che si ritrova nel Dialogo del reg-gimento di Firenze e nelle orationes fictae del 1527 – acondurre l’autore a non contentarsi del racconto delleproprie res gestae, o di una mera impostazione cronachi-stica. Affinché la scrittura della storia tornasse a essereuna delle forme d’intervento nel campo della politica, enon uno dei frutti dell’otium (fosse pure cum dignitate),bisognava sfuggire a Firenze, e bisognava sfuggire a sestessi. Il lavoro dello storico non si presentava più comequello del cronista, né del letterato, né dell’umanista,né del cancelliere cittadino, né del memorialista, ma di-veniva intervento di un auctor deciso a consegnare ai let-tori una lettura sovrana degli eventi: una lettura dellastoria del tempo presente che fosse, nel contempo, lo-cale e globale. Si trattava insomma di restituire una for-ma di razionalità a una guerra inizialmente rappresenta-ta – in quel lontano 1494 a cui Guicciardini decise di tor-nare – come «insolita» dal frate domenicano GirolamoSavonarola, il primo attore della politica fiorentina cheavesse proposto ai suoi concittadini un’interpretazionecomplessiva degli eventi in corso. In ultima analisi sitrattava, per Guicciardini, di proporsi come un Tucidi-de moderno, reinventando la storiografia politica.

La rilevanza di questa impostazione eccezionale e so-vrana fu presto colta dai lettori del tempo: non a casoLorenzo Torrentino provvide sollecitamente a ristam-pare i primi sedici libri della Storia d’Italia. Appena po-chi mesi dopo la prima edizione in folio, troppo lussuo-sa e poco maneggevole, lo stampatore adottò un forma-to in 8º in un unico volume, e poi in due volumi l’annodopo: a partire dal 1562 e per una ventina d’anni, que-sta versione della Storia divenne un best-seller dell’edi-toria veneziana, che ne propose varie altre edizioni, cono senza commento. Dopo l’edizione degli ultimi quattrolibri uscita per i torchi di Gabriele Giolito nel 1564, laprima edizione completa – sempre di Giolito – nel 1567,ma anche e soprattutto le ristampe con commento e levarie traduzioni in francese, latino, inglese, tedesco, spa-gnolo, trasformarono Guicciardini in un autore di rilie-vo continentale, e ne fecero un pensatore di riferimen-to per tutto l’Ancien régime europeo.

jean-louis fournel

Sulla Storia d’Italia prima della stampa cfr. r. ridolfi, Fortu-ne della storia d’Italia prima delle stampe, Olschki, Firenze1978: è stato Roberto Ridolfi a mettere in rilievo la genesi del-la Storia d’Italia grazie alla scoperta nell’archivio di famigliadel manoscritto di ciò che egli chiamò «i commentari della luo-gotenenza» (si veda id., Primo abbozzo di un principio dellaStoria dalla battaglia di Pavia, in «La Bibliofilia», XL (1938),pp. 384-540, e poi id., Genesi della Storia d’Italia guicciardinia-na, Olschki, Firenze 1939, ristampato in id., Studi Guicciardi-niani, Olschki, Firenze 1978). Manca ancora, invece, uno stu-dio complessivo sulla Storia d’Italia di Guicciardini nonchéun’edizione critica del testo.Su Torrentino sono tutt’ora fondamentali il volume del ca-nonico d. moreni, Annali della tipografia fiorentina di LorenzoTorrentino, Carli, Firenze 1811 (2ª ed. per Francesco Daddi,Firenze 1819 – edizione consultata) nonché lo studio più re-cente di c. di filippo bareggi, Giunta, Doni, Torrentino: tre ti-pografie fiorentine fra repubblica e principato, in «Nuova Rivi-sta Storica», LVIII (1974), pp. 318-48. Sulla stampa si veda-no i saggi fondamentali di Armando Petrucci e, per la stampain Toscana, l. perini, La stampa in Italia nel ’500: Firenze e laToscana, in «Esperienze letterarie», XV (1990), pp. 17-46.Sulle letture di Guicciardini cfr. v. luciani, Francesco Guic-ciardini e la fortuna dell’opera sua, Olschki, Firenze 1949 (1ªed. inglese pubblicata nel 1936). Non condivido l’analisi diLuciani, il quale considera che la difesa del papato nelle pa-role del Borghini è pacifica e priva di ambiguità. Sulla censu-ra della Storia d’Italia si veda anche p. guicciardini, La censu-ra nella storia guicciardiniana. Loci duo e paralipomena, Olschki,Firenze 1950, nonché id., La Storia guicciardiniana. Edizioni eristampe, Olschki, Firenze 1948, e id., La Storia guicciardinia-na nelle traduzioni francesi, Olschki, Firenze 1950. Gli inter-venti di Borghini sul testo si trovano in Osservazioni sul Guic-ciardini, contenute in manoscritto magliabechiano (cl. XXV,n. 473, c. 3) citato da v. luciani, Francesco Guicciardini cit.,pp. 186-87, e da p. guicciardini, La censura nella storia guic-ciardiniana cit., pp. 24-25.Fondamentale lo studio di Vanni Bramanti sulle stampe ita-liane della Storia d’Italia fra gli anni sessanta e ottanta del Cin-quecento (Gli “ornamenti esteriori”: in margine alla “Storia d’Ita-lia” di Francesco Guicciardini nelle stampe del xvi secolo, in«Schede umanistiche», n. 2 (2006), pp. 59-91), il quale met-te in rilievo l’assenza di tracce documentarie a propositodell’esistenza della presunta «commissione». È stato sempreBramanti a mostrare come, dopo il 1562, fu «l’editoria vene-ziana a impadronirsi dell’opera del Guicciardini con numero-se edizioni che si succedettero nell’arco di vent’anni».Su Agnolo Guicciardini, si veda l’articolo di V. Bramanti nelDizionario Biografico degli Italiani, vol. LXI, Istituto della En-ciclopedia Italiana, Roma 2003, pp. 84-88. Su BartolomeoConcini cfr. P. Malanima, ibid. (vol. XXVII, 1982, pp. 722-725). Scipione Ammirato, nel suo Delle famiglie nobili fioren-tine (Giunti, Firenze 1615) considera Concini «per isperien-za delle cose del mondo uno dei più singolari e valenti mini-stri che già qualche secolo inanzi havesse havuto l’Italia» (p.147). Sul ruolo di Borghini nella vita culturale toscana si ve-da G. Folena nel Dizionario Biografico degli Italiani cit., vol.

Guicciardini rassettato 5

XII (1970), pp. 680-89, nonché lo studio di m. pozzi, Il pen-siero linguistico di Vincenzio Borghini, in id., Lingua e culturadel Cinquecento, Liviana, Padova 1975, pp. 91-255, cui si ag-giungeranno le annotazioni dello stesso Pozzi ai testi di Bor-ghini pubblicati in Discussioni linguistiche del Cinquecento(Utet, Torino 1988). Edito solo nel 1844 con il titolo Letteraintorno a’ manoscritti antichi, quello di Borghini è considera-to da alcuni come il più antico trattato di filologia in italiano;se ne veda l’edizione moderna curata da G. Belloni (Salerno,Roma 2006). Borghini lavorò anche alla edizione di vari testitoscani antichi (oltre al Decameron, si pensi alle edizioni giun-tine della Cronaca di Villani nel 1562 o del Novellino nel 1572).Su questo punto cfr. gli atti curati di recente da G. Belloni eR. Drusi, Fra lo «Spedale» e il Principe. Vincenzio Borghini. Fi-lologia e invenzione nella Firenze di Cosimo 1º (Olschki, Firen-ze 2003).Su Guicciardini nella storiografia fiorentina del Cinquecentocfr. j.-j. marchand e j.-c. zancarini (a cura di), Storiografiarepubblicana fiorentina, Cesati, Firenze 2003; nonché j.-l.fournel e j.-c. zancarini, La politique de l’expérience. Savona-role, Guicciardini et le républicanisme florentin, Edizioni del-l’Orso, Alessandria 2002, pp. 345-66. Si veda anche e. baldi-ni e m. guglieminetti (a cura di), La riscoperta del Guicciardi-ni, Name, Genova 2006. Sulla fortuna francese di Guicciar-dini cfr. j.-l. fournel, Lectures françaises de Guichardin: véri-tés de l’Histoire et ébauches d’une raison d’État à la française, inaa.vv., La circulation des hommes et des œuvres entre la Franceet l’Italie à l’époque de Renaissance, Université de la SorbonneNouvelle, Paris 1992, pp. 165-87 (riedito in f. guicciardini,Histoire d’Italie, a cura di J.-L. Fournel e J.-C. Zancarini, Laf-font, Paris 1996, vol. II, pp. 710-29), nonché p. carta, Fran-cesco Guicciardini tra diritto e politica, Cedam, Padova 2007;cfr anche, su “Guicciardini europeo”, j.-l. fournel e j.-c. zan-carini, La grammaire de la république. Langages de la politiquechez Francesco Guicciardini, Droz, Genève 2009. Su BenedettoVarchi si segnala lo studio recente di s. lo re, La crisi della li-bertà fiorentina, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006,nonché il volume collettivo a cura di V. Bramanti, BenedettoVarchi, 1503-1565, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma2007.Sulla storia della censura si veda lo stato della questione e unabuona bibliografia in m. infelise, I libri proibiti. Da Guten-berg all’Enciclopédie, Laterza, Roma-Bari 1999. Sulla censu-ra ecclesiastica, sono importanti per sfumare la visione di unacensura romana unitaria, sistematica ed efficacissima i due vo-lumi collettivi: c. stango (a cura di), Censura ecclesiastica e cul-tura politica in Italia tra Cinquecento e Seicento, Olschki, Fi-renze 2000, e g. fragnito (a cura di), Church, Censorship andCulture in Early Modern Italy, Cambridge University Press,Cambridge 2001; nonché v. frajese, Nascita dell’Indice. Lacensura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, Mor-celliana, Brescia 2006. La censura fu poi ripensata come fon-damentale istituzione politica nel Cinquecento: a questo pro-posito ci si riferirà al libro di l. bianchin, Dove non arriva lalegge. Dottrine della censura nella prima età moderna, il Mulino,Bologna 2005.

6 Firenze, settembre 1561