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NUOVI STUDI RIVISTA DI ARTE ANTICA E MODERNA 2011 anno XVI 17

Giuseppe Puglia: una pala a Sassari, in “Nuovi Studi. Rivista di Arte antica e moderna”, 17, 2012, pp. 23-27

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NUOVI STUDIRIVISTA DI ARTE ANTICA E MODERNA

2011 anno XVI

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REDAZIONE

AndreA BAcchi dAniele BenAti AndreA de MArchi FrAncesco FrAngi

giAncArlo gentilini AlessAndro MorAndotti

Si ringrazia Milvia Bollati per l’aiuto nella redazione di questo volume

COMITATO CONSULTIVO INTERNAZIONALE

Keith christiAnsen everett FAhy Michel lAclotte JenniFer MontAgu

MAuro nAtAle serenA roMAno erich schleier Anne MArcKhAM schulz

tABulA grAtulAtoriA

Adolfo Ambrosetti Silvana Bareggi Antonio Barletta Ezio BenappiEdoardo Bosoni Luigi Buttazzoni e Roeland Kollewijn Maurizio Canesso

Carlo Cavalleri Giancarlo e Andrea Ciaroni Ferdinando ColomboGiovanni Cova Minotti Fabio De Michele Gerolamo Etro Gianni e Cristina Fava

Richard Feigen Paola Ferrari Enrico Frascione con Federico e Sasha Gandolfi Vannini Marco Galliani, Profilati spa Luigi Gambaro Matteo Lampertico Silvano Lodi jr.

Mario, Ruggero e Marco Longari Jacopo Lorenzelli Silvio Maraz Sascha Mehringer Alfredo e Fabrizio Moretti Gianna Nunziati Carlo Orsi Walter Padovani

Andreas Pittas Huberto Poletti Luca e Patrizia Pozzi Davide Sada Alvaro Saieh Simonpietro Salini Giovanni Sarti Tiziana Sassoli

Pier Francesco Savelli Mario Scaglia, Sit spa Bruno Scardeoni Rob e Paul Smeets Edoardo Testori Marco Voena

Si ringrazia per il sostegnoIntesa San Paolo

© 2012 tipogrAFiA editrice teMi s.A.s. - Tutti i diritti riservati

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Pubblicazione annuale. Euro 60,00

Progetto grafico: Paolo Fiumi e Gabriele Weber. Realizzazione a cura della redazioneSelezioni colore e bicromia: Tipolitografia TEMI - Trento

Redazione: 20121 Milano - Via Fatebenefratelli, 5 - Tel. e Fax 02/6599508Distribuzione e abbonamenti: Libro Co. Italia, 50026 San Casciano V.P. (Firenze)

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INDICE

5MAtteo ceriAnA - Anne MArKhAM schulz

New Works by Cristoforo Solari and His Shop

19giuseppe sAvA

Giovanni Antonio Falconetto pittore di “belli animali, e frutti”:

una pergamena miniata a Rovereto

29AndreA de MArchi

“Per che, cresciutogli l’animo…” Il Cristo e l’adultera da Tiziano e il tirocinio di Giulio Clovio verso la maniera moderna

37MArco cAMpigli

Girolamo da Treviso, Perin del Vaga, Pordenone e Beccafumi.

Quattro artisti per un ciclo di affreschi genovese

51rAFFAele niccoli vAllesi

Virgilio illustrato.Domenico Beccafumi, l’editoria veneziana

e una serie misconosciuta di xilografie

79lucA sirAcusAno

“Cose tutte piene d’invenzioni, capricci e varietà”.

Proposte per Tiziano Minio a Padova e altrove

99susAnnA zAnuso

Il Bacco-Sileno “fatto di sua fantasia” da Giovanni Andrea Pellizzone

per il giardino di Antonio Londonio

119dAniele BenAti

Guercino a Sassari

123MAssiMo FrAncucci

Giuseppe Puglia: una pala a Sassari

129AlessAndro rossi - isABellA FogliAni

Per il ciclo di Santa Caterina al Collegio dei nobili di Parma.

Documenti e note su Francesco Stringa

141deBorA tosAto

La decorazione barocca della sala del capitolo nella Scuola grande di Santa Maria della Carità

a Venezia

155AlessAndro Agresti

La chiesa del SS. Nome di Maria alla Colonna Traiana:

un crocevia dei linguaggi della scultura romanaintorno al 1740

MAssiMo FrAncucci

GIUSEPPE PUGLIA: UNA PALA A SASSARI

L’opportunità di tornare su Giuseppe Puglia, a breve distanza dalla pubblicazione dell’ar-ticolo apparso sull’ultimo numero di questa rivista 1, mi è offerta dal reperimento di un’impo-nente pala che, già su un altare della chiesa di Santa Maria di Betlem a Sassari e attualmente conservata insieme ad altri dipinti in sagrestia, costituisce un esempio eclatante di opera ‘fuori contesto’. In quanto tale essa ha attraversato fin qui le vicissitudini interpretative proprie di questo tipo di problemi, in cui la difficoltà della definizione attributiva del dipinto, eviden-temente estraneo all’ambiente che lo conserva, è acuita in presenza di un livello qualitativo insolitamente alto.

Fondata nel 1106 dai benedettini, ma fin dal 1220 affidata all’ordine francescano che ancor oggi la officia, Santa Maria di Betlem è la chiesa più antica della città, giunta fino a noi attra-verso un’eccezionale stratificazione di stili e di epoche, che ha i suoi elementi più appariscenti nel più antico, la facciata duecentesca, e nel più recente, ossia la grandiosa cupola, legata ai rifacimenti di primo Ottocento. Tale stratificazione e accumulazione di materiali e di memorie ha riguardato anche numerose opere pittoriche, che, perduto il loro posto nella chiesa, hanno evitato l’alienazione e sono state ricoverate nella sagrestia, che costituisce di fatto una vera e propria pinacoteca.

Tra questi dipinti spicca la pala in esame, che proprio per la sua qualità, amplificata da una certa aura di enigmaticità, ha attirato nel tempo l’attenzione di numerosi studiosi locali. Si tratta di un dipinto di grandi dimensioni (cm 286 x 200), organizzato su due registri, secondo l’espe-diente di lontana origine raffaellesca che in epoca di Controriforma aveva incontrato grande successo. In alto la Vergine, col Bambino in braccio, siede su un trono di nubi, affiancata a destra da San Giuseppe, con in mano la consueta verga fiorita e amorevolmente rivolto al Bam-bino, e a sinistra da San Giovanni battista, e attorniata da cherubini festanti e da angeli intenti a suonare, chi il violino chi l’arpa. Lo sguardo della Madonna è rivolto in basso, dove figurano in adorazione quattro santi, di cui il solo Giacomo, in posizione preponderante rispetto agli altri e chiaramente connotato dal bastone da pellegrino, è identificabile con sicurezza. Al suo fianco, in atto di portare la mano al petto in segno di adorazione, è presumibilmente Filippo Neri, data la somiglianza con il prototipo stabilito da Guido nel quadro eseguito nel 1615 per la chiesa madre degli Oratoriani a Roma 2. Nel santo vescovo, che indossa il piviale sul saio francescano e ai cui piedi è posata una corona, si può riconoscere Ludovico di Tolosa 3, che rifiutò la corona angioina per vestire l’abito conventuale e fu poi ordinato vescovo della città francese. Quanto al santo alle spalle di Giacomo, indossante anch’esso il saio francescano, si è pensato in passato di riconoscervi lo stesso Francesco o Antonio abate 4; ma dovrebbe trattarsi piuttosto di Francesco da Paola, santo francescano, seppure non presenti il simbolo Charitas che avrebbe sciolto ogni dubbio 5. Detto per inciso, nessuno di questi due ultimi santi ostacola l’ipotesi di una presenza ab antiquo della pala a Sassari, ma altresì la alimenta giacché, nonostante gli Angioini fossero stati all’epoca nemici degli Aragonesi, Ludovico di Tolosa era stato trattato come un principe durante la prigionia catalana, nel corso della quale aveva maturato la convinzione di rinunciare al regno in favore del fratello Roberto e di seguire la regola del santo di Assisi, e Francesco da

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Paola, originario della Calabria aragonese, era stato legato a Ferdinando I di Aragona che ne aveva riconosciuto la santità dopo un’iniziale diffidenza.

In assenza di fonti più antiche, il primo a menzionare il dipinto è Antoine Claude Pasquin detto Valéry, che pure, nel corso di un viaggio compiuto in Sardegna nel 1834, non aveva potu-to vederlo a causa dei lavori di restauro cui era sottoposta la chiesa e basava il suo giudizio su quello espresso dal capocantiere fra Antonio Cano, secondo il quale si sarebbe trattato di uno dei quadri più belli di tutta la Sardegna: “L’église du couvent offre un tableau de la Vierge et de plusieurs Saints, d’auteur inconnu, alors assez peu visible à cause des travaux, et qui me fut donné par le bon frère Antoine, peut-etre partial pour le tableau de son couvent, comme un des meilleurs de la Sardaigne” 6. Per un’indicazione più circostanziata circa la sua paternità, è ne-cessario però attendere l’inizio del secolo scorso, quando Enrico Costa lo descrive attentamente e riporta il giudizio di Enrico Brunelli, che aveva pensato la tela di mano di Guido Reni o di un artista della sua scuola: un parere davvero illuminante, in anni in cui il classicismo bolognese attendeva ancora la giusta rivalutazione e una tradizione priva di ogni fondamento, ma circolan-te all’epoca nel convento, ne indicava l’autore addirittura in Bernardino Luini. L’intervento di Costa è tuttavia più utile su un altro piano, giacché a lui si deve il collegamento del dipinto a un passo delle memorie redatte ancora nel XVIII secolo da padre Antonio Sisco, della cui importanza ai fini della datazione e della provenienza si dirà più oltre. L’estrazione bo-lognese ha in seguito prevalso e in relazione al dipinto sono stati fatti i nomi di Giacomo Cavedoni 7, sulla base di elementi neoveneti in realtà non presenti, e ancora di Simone Can-tarini e del Guercino 8, mentre il giusto peso della componente romana è stato riconosciuto da Maria Grazia Scano che, nel proporre col beneficio del dubbio il nome di Giacinto Brandi, ha sottolineato anche l’evidente sostrato lanfranchiano 9.

Il riconoscimento, che qui per la prima volta si propone, della paternità di Giuseppe Puglia (1600 circa - 1636) dà ragione delle oscillazioni in cui la critica ha fin qui indugiato, poiché il “Bastaro”, romano di nascita e anzi genero di Antiveduto Gramatica, dimostrò nella sua breve carriera una singolare vicinanza ai modi del classicismo bolognese, nella versione formulata in particolare da Guido Reni, del quale dovette attentamente studiare non solo le opere lasciate a Roma, ma anche quelle eseguite per le Marche e, da ultimo, per la stessa Bologna 10. A togliere ogni dubbio circa l’autografia del dipinto è il confronto con la pala che Puglia realizzò per l’arciconfraternita dei Bergamaschi a Roma poco dopo il 3 luglio 1633, quando venne deli-berato di far eseguire un dipinto dedicato ai Santi Bartolomeo e Alessandro per l’ospedale di San Macuto 11. Oltre al ricorso al medesimo schema compositivo, vi si nota lo stesso modo di condurre il panneggio, con pieghe larghe e sovrabbondanti, secondo un gusto chiaramente idealizzante di derivazione reniana. Alla resa virtuosistica delle stoffe, contraffatte nella loro raffinata qualità materica, si aggiunge a Sassari la ricerca del dettaglio giocoso quale il puttino angelico che appare sotto le pieghe del manto azzurro della Vergine. Tale espediente, che rie-cheggia modi propri dei grandi maestri del Cinquecento, si ritrova identico nella pala Patrizi in Santa Maria Maggiore a Roma, uno degli incarichi più prestigiosi ottenuti dal pittore nella sua città natale 12. Il San Ludovico ricorda da vicino il Sant’Alessandro della pala bergamasca e presenta gli stessi caratteri somatici del Sant’Ippolito convertito da San Lorenzo in una tela dell’eremo camaldolese di Frascati, del Sant’Antonio da Padova della pala Gallo in San France-

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sco di Amandola e del Santo Stefano del Musée Fesch di Ajaccio 13. Allo stesso modo il gruppo della Vergine con il Bambino può essere confrontato agevolmente con quello della pala dei Bergamaschi e del Riposo nella fuga in Egitto di Oxford 14, dove la fisionomia di San Giuseppe è del tutto simile.

I dipinti portati a confronto appartengono alla tarda attività del Bastaro e l’ipotesi che anche il dipinto sassarese sia espressione di tale fase ottiene una conferma documentaria in un brano delle memorie di padre Sisco, citato da Costa 15. Il 20 marzo 1634 si concedeva la possibilità di erigere a sue spese la cappella di San Giacomo e il diritto di sepoltura ad Antonio Bareta (o Baretta), nel sito precedentemente occupato dal coro 16. Sempre a Costa si deve l’ipotesi che la pala oggi in sagrestia sia stata realizzata per quella cappella. Purtroppo non si conosce al momento nient’altro di certo in merito al Bareta citato nel documento, per il quale possiamo quantomeno ipotizzare l’origine catalana, visto che un omonimo viene registrato alla fine del quattrocento come legato al re Ferdinando d’Aragona 17, e la parentela con l’ottuagenaria Gra-zia Baretta 18 che il 9 gennaio 1634 venne sepolta nella stessa chiesa di Santa Maria di Betlem. È altresì evidente che egli dovette avere un preciso rapporto con Roma, città nella quale la pala venne evidentemente eseguita.

A complicare tuttavia la questione è la presenza di uno stemma nobiliare posto ai piedi di San Giacomo e di San Filippo Neri, in posizione leggermente spostata rispetto al centro della tela, forse aggiunto in un tempo successivo. Simile all’arma dei Brunengo, nobile famiglia di origine cagliaritana, ma con un ramo minore a Sassari, gli storici locali lo hanno identificato con quello della famiglia Calipari Cardona 19, cui apparteneva donna Angela (morta nel 1765), par-ticolarmente legata a Santa Maria cui lasciò molti beni col testamento del 17 maggio 1764. La medesima nobildonna si era presa carico in precedenza della cappella dei Martiri Turritani, ora dedicata a San Giovanni della Neula, che insieme a un’altra era rimasta spoglia in seguito all’in-cendio che aveva colpito la sagrestia nel marzo 1707, secondo quanto si evince da una lettera inviata dai frati a Roma per convalidare tale concessione 20. La decorazione prescelta, sfarzosa e di grande effetto, fu eseguita sul modello della cappella opposta, e affidata nel 1743 allo stesso intagliatore, Antonio Juan Contena 21. La pala dedicata ai Martiri Turritani, che prima dell’in-cendio ornava la cappella, è oggi esposta, con l’attribuzione al pittore sassarese Diego Pinna, di fianco alla tela di San Giacomo: è possibile dunque che entrambe siano state sottratte insieme alla loro collocazione originaria per essere salvate dalle fiamme. D’altronde la cappella di San Giacomo, eretta a quanto affermano le fonti in luogo dell’antico coro, cioè nei pressi del tran-setto destro della chiesa, doveva trovarsi molto vicina a quella dei Martiri, forse dove è oggi il bel pulpito sempre di mano di Contena. Da ciò consegue l’ipotesi che alla nobildonna sia stato concesso di disporre dei beni appartenenti alle cappelle dismesse in seguito all’incendio, tornati alla chiesa dopo l’apertura del testamento, e che in quell’occasione alla pala di San Giacomo sia stato apposto lo stemma di famiglia.

Se numerose problematiche relative al dipinto sembrano destinate a rimanere aperte, è in-vece un dato di fatto la sua chiara pertinenza col catalogo di Giuseppe Puglia 22, la cui esatta fisionomia può essere ora delineata con maggiore precisione, tanto da permettere, come au-spicabile, ulteriori restituzioni, anche in luoghi diversi da quelli in cui sarebbe più prevedibile attenderle.

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1 M. FrAncucci, Nuove riflessioni su Giuseppe Puglia “il Bastaro”, e alcune novità, in ‘Nuovi studi’, 16, 2010 [ma 2011], pp. 67-81. Contestualmente al mio è stato pubblicato un intervento sul pittore di M. C. cerretAni (Giuseppe Puglia, detto il Bastaro. Un inedito al Gesù di Roma e note aggiuntive, in ‘Studi di storia dell’arte’, 21, 2010 [ma 2011], pp. 137-148), che perviene indipendentemente all’attribuzione al Bastaro dei due Dolenti della sagrestia del Gesù, anche se con una proposta di datazione al 1625 circa, a mio avviso troppo precoce. Quanto alle nuove proposte attributive, il Martirio di San Lorenzo di Sant’Egidio in Trastevere, pur essendo frutto della cultura romana di inizio Seicento, non mi sembra prospettare la mano di Puglia, né per qualità né per modi; e così non risulta condivisibile il riferimento all’artista dell’Annunciazione di Santa Maria Scala Coeli e della copia conservata nella chiesa della Vallicella dalla perduta pala dipinta da Guido Reni per Faenza.

2 La possibile identificazione di San Filippo Neri è già indicata da E. costA, Sassari, II, Sassari 1937, p. 275; C. de-villA, Santa Maria di Sassari, Sassari 1961, p. 146; M. porcu gAiAs, Santa Maria di Betlem a Sassari. La chiesa e la città dal XIII secolo ai nostri giorni, Sassari 1993, p. 89.

3 Mentre Costa aveva erroneamente pensato a Sant’Agostino, l’identificazione con Ludovico d’Angiò è indicata da Devilla e Porcu Gaias.

4 Costa e Devilla si pronunciano in favore di Francesco, del quale non si ricordano altre raffigurazioni senza tonsura ma con una calvizie incipiente; la Porcu Gaias ha invece proposto Antonio abate, solitamente riconoscibile da numerosi elementi come il bastone, la campanella e il porcellino, tutti mancanti e al quale non compete il saio francescano.

5 Ringrazio don Giovanni Spinelli per avere discusso con me tale ipotesi. Altri santi francescani come Pasquale Baylon, Pietro d’Alcantara e Felice da Cantalice, che pure vantavano una forte devozione e una tradizione iconografica già nel Seicento, vanno esclusi in quando non ancora canonizzati al momento dell’esecuzione del dipinto, in cui il personaggio è effigiato con un nimbo evidente.

6 A. C. vAlery, Voyages en Corse, à l’Ile d’Elbe, et en Sardaigne, II, Paris 1837, p. 74. 7 F. luMBAu, Un quadro del Cavedone in Santa Maria di Betlem, in ‘Corriere dell’isola’, 4 novembre 1947; R. delogu,

Guida d’Italia. Sardegna, Milano 1952, pp. 63, 288.8 Per il riferimento della pala all’ambito del Guercino o di Cantarini: C. MAltese - R. serrA, Episodi di una civiltà

anticlassica, in Arte in Sardegna, Milano 1969, ed. 1986, pp. 328, 335. 9 La studiosa tirava peraltro in ballo anche il nome dello stesso Lanfranco: M. G. scAno, Storia dell’arte in Sarde-

gna. Pittura e scultura del ‘600 e del ‘700, Nuoro 1991, pp. 130-131. A un riepilogo delle proposte attributive formulate in precedenza si limitava A. sAri, Chiese e arte sacra in Sardegna. Arcidiocesi di Sassari, VI, Cagliari 2003, pp. 117-119; mentre un generico riferimento alla scuola bolognese accompagnava la riproduzione del dipinto in Santa Maria di Betlem nel 4° centenario dell’incoronazione 1586-1986, Sassari 1988, p. 42, fig. 16.

10 Ci si riferisce alla Consegna delle chiavi di Fano, oggi al Louvre, e alla Pala della peste della Pinacoteca nazionale di Bologna, di cui il Bastaro aveva proposto una personale rielaborazione nella pala commissionatagli per la chiesa dei cap-puccini di Amandola, nel Piceno, dalla famiglia Manardi, il cui stemma campeggia nella parte bassa del dipinto. Secondo quanto riporta P. FerrAnti (Memorie storiche della città di Amandola, 1891; ed. Amandola 1982, I, p. 598) ancora nell’Ot-tocento la tela si trovava sull’altare della prima cappella a destra, detta appunto “de’ Manardi”. Si tratta di un interessante episodio di committenza legata al classicismo bolognese, non limitato peraltro a questo esempio, dovendosi alla stessa famiglia la richiesta a Giovanni Giacomo Sementi di una Sacra famiglia resa nota da D. FerriAni (Una aggiunta a Giovanni Giacomo Sementi, in ‘Notizie da Palazzo Albani’, 1992, 2, p. 23). La studiosa, che pure ha meritoriamente reso nota anche la pala dei cappuccini (Un dipinto di Giuseppe Puglia in Amandola, in ‘Accademia Clementina. Atti e memorie’, 35/36, 1995/1996, pp. 93-97), ha però tralasciato di riferirne la comune committenza da parte dei Manardi. Questi ultimi erano già nel Seicento molto legati all’altra importante famiglia amandolese dei Gallo, con i quali erano confinanti nelle proprietà e legati da matrimoni. Se è certo il contatto del Bastaro con Adriano Gallo, che a Roma svolse un’importante carriera di notaio, è possibile che il gusto pittorico filo bolognese e romano dei Manardi sia da imputare a Cesare, a Roma per studi giuridici e attività forense dal 1625 al 1637 e in seguito ad Amandola con numerosi incarichi pubblici. Ancora P. FerrAnti (Le Famiglie di Amandola, XIX sec., ms. inedito) lo ricorda per aver allestito nel 1672 una cappella nella collegiata, decorata da una tela di Giuseppe Ghezzi e una di Guido Reni, ma più probabilmente di un pittore classicista a lui affine. Ringrazio la famiglia Manardi per queste preziose informazioni.

11 FrAncucci, Nuove riflessioni... cit. (nota 1), p. 7412 Ibidem, p. 77, nota 5.13 Per la pala di Frascati: H. röttgen, Giuseppe Puglia, del Bastaro nominato, pittore, in ‘Bruckmanns Pantheon’,

42, 1984, p. 330; A. negro, in L’arte per i papi e per i principi nella campagna roma na. Grande pittura del ’600 e del ’700,

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catalogo della mostra, I, Roma 1990, pp. 55-56. Per la Madonna col Bambino e i Santi Bernardino, Antonio da Padova e Caterina d’Alessandria in San Francesco, ancora in Amandola, e la Pietà nella Collegiata di Visso: M. cellini, In punta di matita: avvio per Giuseppe Puglia disegnatore, in L’intelligenza della passione. Scritti in onore di Andrea Emiliani, a cura di M. scolAro, Bologna 2001, pp. 107-125; per il Santo Stefano di Ajaccio: FrAncucci, Nuove riflessioni... cit. (nota 1), p. 75.

14 röttgen, Giuseppe Puglia... cit. (nota 13), p. 32915 costA, Sassari... cit. (nota 2), II, p. 271. 16 Devilla (Santa Maria... cit. [nota 2], p. 130) ipotizza che possa trattarsi di una ricostruzione, in quanto una cappel-

la dedicata a San Giacomo era già menzionata in un documento del 21 gennaio 1508.17 S. de’ ruggieri, Istoria dell’ immagine di S. Maria di Pozzano e fondazione dell’antica e nuova chiesa e convento

de’ frati Minimi nella città di Castellammare di Stabia, Napoli 1743, p. 21. Si tratta di un indizio interessante, tutto da con-fermare, così come è importante il fatto che la citazione provenga da un elenco di nobili legati al convento di Santa Maria di Pozzano a Castellammare di Stabia, la cui nascita si lega a Francesco di Paola, ai suoi frati minimi e al re Ferdinando I d’Aragona, che, dopo averlo inizialmente considerato un sovversivo, era stato tra i principali sostenitori del santo.

18 P. M. Ardu, Vita e morte a Sassari. Defunti sepolti nella chiesa di Santa Maria di Betlem. Atti dei Libri Defunctorum della parrocchia di San Donato (1627-1860), II, Sassari 2007, n. 50. Desidero ringraziare padre Ardu per la segnalazione e l’ospitalità presso il centro studi “Santa Maria di Betlem”.

19 E. costA, Archivio pittorico della città di Sassari diplomatico, araldico, epigrafico, monumentale, artistico, storico, Sassari 1976, p. 242; devillA, Santa Maria... cit. (nota 2), p. 149, nota 13.

20 Sassari, Biblioteca Universitaria, ms. 388; porcu gAiAs, Santa Maria... cit. (nota 2), p. 50, nota 22.21 L’opera risulta non ancora terminata nel 1746 (porcu gAiAs, Santa Maria... cit. [nota 2], p. 101 note 38-39). Su

Contena: scAno, Storia dell’arte... cit. (nota 9), pp. 209-211.22 Oltre a Daniele Benati, che mi ha seguito in questa ricerca, la proposta attributiva è stata accolta da Adriana Ca-

priotti, Francesco Petrucci, Massimo Pulini e Erich Schleier, che ringrazio per la disponibilità al confronto.

i. giovAnni Antonio FAlconetto: Pergamena miniata. rovereto, Archivio storico civico.

ii. giulio clovio: Cristo e l’adultera. Collezione privata.

III. giulio clovio: Cristo e l’adultera, particolare. Collezione privata.

IV. giulio clovio: La punizione di Elima. pArigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques, inv. RF 3977.

v. giulio clovio: Le Virtù teologali. pArigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques, inv. RF 3978.

VI. guercino: Astronomo. sAssAri, Pinacoteca Mus’a al Canopoleno.

VII. giuseppe pugliA detto il BAstAro: Madonna col Bambino in gloria fra San Giovanni battista e San Giuseppe, San Francesco da Paola (?), San Giacomo maggiore, San Filippo Neri e San Ludovico da Tolosa. sAssAri, Santa Maria di Betlem, sagrestia.

viii. FrAncesco stringA: Santa Caterina d’Alessandria interviene al sacrificio di Massenzio. reggio eMiliA, collezione del Credito Emiliano.

iX. FrAncesco stringA: Il miracolo della ruota. reggio eMiliA, collezione del Credito Emiliano.

X. FrAncesco stringA: La disputa con i filosofi, particolare. veneziA, collezione privata.

Xi. FrAncesco stringA: Decollazione di Santa Caterina d’Alessandria. reggio eMiliA, collezione privata.

XII. Antonio BAlestrA: Adorazione dei pastori, particolare. veneziA, Scuola di San Teodoro.

164. giuseppe pugliA detto il BAstAro: Madonna adorata dai Santi Bartolomeo e Alessandro. roMA, San Bartolomeo dei Bergamaschi, oratorio.

165. giuseppe pugliA detto il BAstAro: Madonna col Bambino in gloria fra San Giovanni battista e San Giuseppe, San Francesco da Paola (?), San Giacomo maggiore, San Filippo Neri e San Ludovico da Tolosa. sAssAri, Santa Maria di Betlem, sagrestia.