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Fondazione Ambrosiana Paolo VI STORIA RELIGIOSA EURO-MEDITERRANEA 5 Africa / Ifrı ¯qiya Il Maghreb nella storia religiosa di Cristianesimo e Islam

Ideologia e religione nella formazione degli Stati postcoloniali

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Fondazione Ambrosiana Paolo VI€ 35,00

SREM5

LIBRERIAEDITRICE VATICANA

FondazioneAmbrosiana

Paolo VI9 788820 995928

ISBN 978-88-209-9592-8

Con il presente volume trova conclusione il progetto di Storia reli-giosa dello spazio euro-mediterraneo, promosso dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e realizzato d’intesa con la Libreria Editrice Vaticana.

Anche in questo caso, la prospettiva che caratterizza la pubblicazione è quella della «lunga durata». Essa è la sola che può offrire gli stru-menti per comprendere in profondità le ragioni della tragica dram-maticità del presente e rendere lucidamente consapevoli di come, alla luce delle concrete esperienze realizzatesi nel corso della storia, la conflittualità esasperata non sia affatto ineluttabile. Del resto, tale prospettiva di contrapposizione dialettica porta in sé, con ogni evi-denza, il riflesso di recenti stagioni della storia culturale europea (e non soltanto europea), segnate da un’ampia e sistematica seminagione ideologica (tanto secolare, quanto religiosa), che ha fatto smarrire la consapevolezza dei profondi legami e interscambi da cui, a livello antropologico e culturale, è stata (ed è) intessuta la vicenda degli uomini e delle civiltà.

In questo volume esplicito è l’apporto alla costruzione di un discorso comune venuto dall’attività di ricerca e dalla testimonianza intellet-tuale offerta dalle attuali Università dei Paesi del Maghreb. Proprio questo contributo costituisce la splendida dimostrazione di quanto l’interscambio reciproco, che lungo i secoli ha segnato profondamente il mondo mediterraneo e ne ha plasmato le culture, costituisca ancor oggi la risorsa prima, su cui costruire il futuro dei popoli che nel Mediterraneo si specchiano, e che in esso possono riscoprirsi depo-sitari di patrimoni ideali, chiamati a fruttuosamente interagire nella loro diversità. A

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Storia religioSa euro-Mediterranea

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Africa / Ifrı̄qiyaIl Maghreb nella storia religiosa

di Cristianesimo e Islam

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Collana promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI

Storia religioSa euro-Mediterranea

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Africa / IfrīqiyaIl Maghreb nella storia religiosa

di Cristianesimo e Islam

Sotto la direzione diCesare Alzati

A cura di Luciano Vaccaro

Fondazione Ambrosiana Paolo VI

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Si ringraziano la Regione Lombardia,il Ministero per i Beni e le Attività Culturali,

la Fondazione Comunitaria del Varesotto Onlusper il sostegno dato alla realizzazione della

XXXVI Settimana europea / SREM 5di cui questo volume è frutto.

Il contributo di Christian Hannick è stato tradotto da Marcello Garzaniti.

I contributi di Yordan Peev, Boutheina Ben Hassine, Pascal Buresi, José Alberto Rodrigues da Silva Tavim, Oissila Saaïdiae Pierre Vermeren sono stati tradotti da Sandro Chierici.

Il contributo di Fatma Ben Slimane è stato tradotto da Souad Mokni.

Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy

Finito di stampare nel mese di giugno 2016da Arti Grafiche Tibiletti s.n.c. - Azzate (Varese)

Copyright © 2016 - Libreria Editrice Vaticana00120 Città del Vaticanowww.libreriaeditricevaticana.com - [email protected]

Copyright © 2016 - Fondazione Ambrosiana Paolo VIVilla Cagnola - 21045 Gazzada (Varese) - ItalyTel. 0039.0332.46.21.04 - Fax 0039.0332.46.34.63 [email protected]

Foto di copertina: Mosaico di Tabarka (sec. V): Basilica africana(Foto del Museo Nazionale del Bardo, Tunisi).

La Fondazione Ambrosiana Paolo VI resta a disposizione di tutti gli eventuali detentori di diritti d’immagine non individuati o che non sia stato possibileraggiungere per l’assolvimento degli obblighi di legge.

ISBN 978-88-209-9592-8

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I N D I C E

Presentazione, Mons. Eros Monti ................................................ 9

Messaggio dell’Arcivescovo di Milano Card. Angelo Scola(28 agosto 2014 - Memoria di S. Agostino vescovo e dottore della Chiesa) ... 11

Cesare Alzati, Africa/Ifrīqiya, ecumene e respublica litterarum . 13

Enrico Acquaro, La Cartagine punica e i suoi culti: dall’Oriente semitico al Mediterraneo occidentale ..................... 21

Serenella Ensoli, Alessandria e Cartagine: interazioni artistichee culturali tra Egitto ellenistico e Maghreb latinizzato ................ 45

Giuseppe Zecchini, L’Africa romana: linee di storia istituzionale 77

Michel-Yves Perrin, Non solo Agostino. I «Padri africani» nella vicenda dottrinale e nella elaborazione canonistica della «Chiesa latina» ............... 95

Norberto Valli, Le forme cultuali delle Chiese africane: stato della documentazione e problemi aperti .............................. 125

Rita Lizzi Testa, Il seme della divisione nella Chiesa d’Africa: il movimento donatista .................................................................. 153

Chiara O. Tommasi Moreschini, L’ultima età romana dell’Africa: tra fedeltà politica e dissensi dottrinali ....................................... 179

Claudio Moreschini, Teologia greca nell’Africa romana del VII secolo: la presenza e l’attività di Massimo il Confessorea Cartagine .................................................................................. 203

Christian Hannick, La fortuna dei canoni africani nell’Oriente greco ........................................................................ 227

Yordan Peev, La conquista araba dell’Africa settentrionale ........ 239

Giorgio Fedalto, Le sedi episcopali africane e il problema della loro continuità in età islamica ............................................ 261

Boutheina Ben Hassine, La crisi del Califfato in Ifrîqiya (fra l’VIII e il X secolo): il kharigismo berbero di Tahert - il malikismo aghlabide di Kairouan - l’ismailismo Fatimide ...... 279

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Pascal Buresi, Il Maghreb almoravide e almohade e i rapporti con l’Europa cristiana (secc. XI-XIII) ......................................... 299

Giovanna Petti Balbi, L’Emirato hafside di Tunisi: contatti e scambi con il mondo cristiano (secc. XIII-XVI) .......... 323

Giulio Cipollone, Gli «ordini redentori» cristiani e l’Islam magrebino ..................................................................... 351

José Alberto Rodrigues da Silva Tavim, L’espansione portoghese nell’Atlantico, la Reconquista e le presenze iberiche in Marocco: una nuova visione del mondo cristiano nel Maghreb .................. 373

Bruno Di Porto, Brevi note su Ebrei ed Ebraismo nel Maghreb. Da prima dell’Islam al contesto islamico fino al complessivo esodo nella seconda metà del ’900 .............................................. 395

Adriana Piga, Misticismo islamico e traiettorie fondamentaliste nell’Africa contemporanea a sud del Sahara ............................... 411

Fatma Ben Slimane, Una dimensione non musulmana della storia della Tunisia moderna. La presenza cristiana nell’Ifrîqiya ottomana ................................ 437

Oissila Saaïdia, Il Cattolicesimo nell’altra Francia: l’Algeria coloniale nel XIX secolo (1830-1914) ............................ 459

Silvano Zoccarato, Il Cattolicesimo francese tra Otto e Novecento e la scoperta del deserto quale spazio religioso e luogo di comunione ............................... 477

Daniela Melfa, Ideologia e religione nella formazione degli Stati postcoloniali ................................................................ 491

Pierre Vermeren, Intellettuali cattolici e musulmani nel Maghreb dagli anni Trenta alla fine del XX secolo. Dalla colonizzazione alla ricerca del dialogo ............................. 509

Samir Khalil Samir, SJ, Tra secolarizzazione e movimenti religiosi nell’Ifrīqiya islamica contemporanea ............................ 525

Hanno collaborato al presente volume:

Mons. Eros MontiFondazione Ambrosiana Paolo VI, Gazzada

S.Em. Card. Angelo ScolaArcivescovo di Milano

Cesare AlzatiAccademia Romena, Bucarest

Enrico AcquaroAlma Mater Studiorum, Università di Bologna

Serenella Ensoli Seconda Università degli Studi di Napoli

Giuseppe ZecchiniUniversità Cattolica del Sacro Cuore, Milano

Michel-Yves PerrinÉcole Pratique des Hautes Études, Section des Sciences Religieuses, Paris

Norberto ValliFacoltà Teologica dell’Italia Settentrionale - Sez. Parallela del Seminario di Milano

Rita Lizzi TestaUniversità degli Studi di Perugia

Chiara O. Tommasi MoreschiniUniversità di Pisa

Claudio MoreschiniIstituto Patristico Augustinianum, Roma

Christian HannickJulius-Maximilians-Universität Würzburg

Yordan PeevSofia University «St. Kliment Ohridski»

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Giorgio FedaltoUniversità degli Studi di Padova

Boutheina Ben HassineFaculté des Lettres et des Sciences Humaines, Sousse

Pascal BuresiDirecteur de Recherche, Centre National de la Recherche Scientifique; École des Hautes Études en Sciences Sociales, Paris

Giovanna Petti BalbiUniversità degli Studi di Genova

Giulio CipollonePontificia Università Gregoriana, Roma

José Alberto Rodrigues da Silva TavimIICT - Universidade de Lisboa; CIDEHUS - Universidade de Évora

Bruno Di PortoUniversità di Pisa

Adriana PigaSapienza - Università di Roma

Fatma Ben SlimaneFaculté des Sciences Humaines et Sociales, Tunis

Oissila SaaïdiaUniversité Lumière Lyon 2

Silvano ZoccaratoPontificio Istituto Missioni Estere, Touggourt

Daniela MelfaUniversità degli Studi di Catania

Pierre VermerenUniversité Paris 1 Panthéon-Sorbonne

Samir Khalil Samir, SJPontificio Istituto Orientale, Roma

Luciano VaccaroFondazione Ambrosiana Paolo VI, Gazzada

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Daniela Melfa

IDEOLOGIA E RELIGIONE NELLA FORMAZIONE DEGLI STATI POSTCOLONIALI

«Nella città, la folla invade le strade per manifestare la sua gioia. Equipaggiati con mitragliette di legno e calotte militari, i bambini algerini celebrano la festa imitando quelli che essi ammirano: i moudjahiddin, i combattenti partigiani. Algeri non è altro che una gigantesca kermesse. La città, addobbata con migliaia di bandiere verdi e bianche, risuona del rumore dei clamori e dei fischi scanditi su cinque note: Ya-ya, Dje-za-ir (“Viva l’Algeria”). I veicoli sono deco-rati come in una sfilata di carri infiorati. Senza sosta, auto e scooter percorrono la città, sfoggiando bandiere algerine»1. Le parole di Benjamin Stora colgono appieno l’atmosfera effervescente di Algeri dopo la proclamazione ufficiale dell’indipendenza il 3 luglio 1962

1 «Dans la ville, la foule envahit les rues pour manifester sa joie. Équipés avec des mitraillettes en bois et des calots militaires, les enfants algériens célèbrent la fête en imitant ceux qu’ils admirent: les moudjahiddin, les combattants des maquis. Alger n’est plus qu’une gigantesque kermesse. La ville, pavoisée de milliers de drapeaux vert et blanc, retentit du bruit des clameurs et de sifflets qui scandent sur cinq notes: Ya-ya, Dje-za-ir (“Vive l’Algérie”). Les véhicules sont décorés comme les chars d’un corso fleuri. Sans arrêt, autos et scooters, arborant des drapeaux algériens, sillonnent la ville». B. Stora, Histoire de l’Algérie depuis l’indépendance, La Découverte, Paris 1994, p. 9. Le tradu-zioni dei passi citati sono a cura dell’autore.

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seguita alla sanguinosa guerra di liberazione (1954-1962). La fine del colonialismo rappresenta una conquista che è consacrata, anche in quei Paesi maghrebini dove è prevalsa la via delle negoziazioni, dalla ricorrenza della festa nazionale: in Algeria la data è slittata al 5 luglio in ricordo dell’invasione francese del 18302; in Tunisia il 20 marzo si celebra la firma a Parigi nel 1956 dell’accordo di indipendenza; in Marocco il 18 novembre si commemora il discorso, pronunciato nel 1955 dal futuro re Mohammad V, che annunciava l’indipendenza concessa il 2 marzo 1956.

Le manifestazioni gioiose erano tuttavia destinate a cedere il passo al duro lavoro di edificazione dello Stato-nazione in un sistema con-dizionato dal neo-colonialismo e da conflitti interni. Le ideologie che orientarono il processo di State-building si rivelano contrasse-gnate dall’esperienza coloniale, dai problemi ereditati e dalla voglia di riscatto. La valorizzazione della cultura arabo-islamica ne è un tratto saliente.

1. L’Islam perno e monopolio dei regimi maghrebini

«La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano, l’Islam è la sua religione, l’arabo la sua lingua, la Repubblica il suo regime», sanciva l’articolo 1 della Costituzione tunisina varata nel 1959 tre anni dopo l’indipendenza. La formulazione, che non menziona la shar‘īa, è ripresa alla lettera nel testo costituzionale approvato il 26 gennaio 2014.

In Marocco l’Islam rappresenta un’importante fonte di legittimazione politica. Il sovrano, appartenente alla dinastia alawide al potere dal XVII secolo, detiene il titolo di sharīf, ovvero «discendente dal Pro-feta Muhammad»; sin dalla Costituzione del 1962 (art. 19) al monarca è attribuito il titolo di amīr al-mu’minīn, ovvero «principe dei credenti», adottato dal califfo ‘Umar (634-644) e ripreso nella formula amīr al-muslimīn dai sovrani almoravidi (XI-XII secolo)3; la tradizione della

2 G. Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente. Dalla guerra di liberazione al fondamentalismo islamico, Bompiani, Milano 1998, p. 311.

3 P. Buresi, L’Empire almohade. Le Maghreb et al-Andalus (1130-1269), in Les

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ba‘ya, cioè il giuramento di fedeltà al sovrano da parte dei dignitari dello Stato, è ancora praticata nel Regno marocchino4.

«L’Islam è la religione dello Stato» recitava l’articolo 4 della Costi-tuzione della Repubblica democratica e popolare d’Algeria del 1963, mentre l’articolo 39 statuiva che il presidente della Repubblica doveva essere musulmano5. L’appartenenza all’Islam era requisito fondamen-tale anche per il riconoscimento della nazionalità algerina, secondo il Codice della nazionalità del 19636.

Leggendo il preambolo della Costituzione algerina del 1963 è pos-sibile individuare le ragioni di questa enfasi, all’indomani dell’indi-pendenza, sull’Islam e la lingua araba nei Paesi del Maghreb, popolati all’epoca anche da cristiani ed ebrei, europei e berberi. Nel testo si puntualizza che l’Islam, insieme alla lingua araba, è stata una forza di resistenza efficace contro il tentativo di «spersonalizzazione culturale» (dépersonnalisation des Algériens) perseguito dal regime coloniale francese. Nella situazione coloniale la presunzione europea di appar-tenere a una civiltà superiore implicava la subordinazione dei nativi. Il colonialismo, come scrisse Frantz Fanon7, era violenza allo stato puro che si manifestava finanche a livello psico-esistenziale nella rimozione dell’identità del colonizzato.

Il richiamo all’autenticità arabo-islamica rappresentava dunque anzitutto una risposta, una rivincita rispetto ai tentativi di assimila-zione e allo stato di subordinazione coloniale. Se la sfera esteriore era stata subordinata al potere coloniale, scrive Partha Chatterjee, il foro interiore della cultura era stato preservato dalla sua ingerenza8. Le

Empires. Antiquités et Moyen Âge. Analyse comparée, sous la dir. de F. Hurlet, PUR, Rennes 2008, pp. 221-237: 226.

4 D. Maghraoui, S. Zerhouni, Morocco, in The Middle East, edited by E. Lust, CQ Press, Washington (DC) 2011, pp. 576-602: 576-577.

5 Entrambi i princìpi sono ribaditi nei successivi testi costituzionali. Cfr. F. Cresti, Tra Oriente e Occidente: su alcune costituzioni dei paesi del mondo musulmano contempo-raneo e sui loro legami con la tradizione islamica, in L’individuo nella crisi dei diritti, a cura di F. Sciacca, Il Melangolo, Genova 2009, pp. 149-173: 172-173.

6 Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente, p. 165.7 Frantz Fanon, Les damnés de la terre, Maspero, Paris 1961.8 P. Chatterjee, The Nation and Its Fragments: Colonial and Postcolonial Histories,

Princeton University Press, Princeton 1993, p. 237.

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Costituzioni consacravano allora l’Islam che aveva funto da rifugio e appiglio, nonché barriera invalicabile e arma di mobilitazione durante la dominazione coloniale.

La sensibilità religiosa dei musulmani era emersa anzitutto nella resistenza alla conquista coloniale. In Algeria ‘Abd al-Qādir, membro eminente della Qādiriyya, combatté, per oltre un decennio dal 1830, un jihād contro l’invasore francese, incitando i musulmani a riconquistare la terra dell’infedele: «Io sono el Hajj Abd el-Kader. Noi riattraverse-remo il mare con le barche. Noi invaderemo il paese degli empi e lo copriremo di moschee. Noi canteremo i sogni infranti di Al Andalous… la croce rientrerà nel fodero»9. In Libia, Paese del Maghreb se inteso in senso lato10, in difesa della dār al-islām (terra dell’Islam) intervennero nel 1911 le truppe ottomane e, nella regione orientale della Cirenaica, la confraternita Sanūsiyya guidò fino al 1931 la resistenza all’occupa-zione italiana. La retorica del jihād fu in seguito recuperata dal movi-mento nazionalista algerino durante la guerra, tant’è vero che il termine al-mujāhid («colui che combatte il jihād») fu prescelto per designare il giornale del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN).

L’intera storia coloniale è costellata di episodi che attestano la valenza simbolica e politica dell’Islam. A Tunisi il 7 novembre del 1911, in concomitanza con l’invasione italiana della Libia, l’iniziativa della municipalità di delimitare i confini del cimitero del Jallāz ai fini dell’immatricolazione fu percepita come un’usurpazione e le autorità non riuscirono a contenere la rabbia popolare. Irritazione suscitò poi nel maggio 1930 il Congresso eucaristico di Cartagine che i musulmani, alla vista delle processioni di giovani cattolici vestiti da crociati, denun-ciarono come un’aggressione all’Islam. L’acquisizione della nazionalità francese, che comportando la rinuncia alla Legge religiosa era assimi-lata all’apostasia, fu un ulteriore motivo di fermento: a inizio degli anni Trenta, sempre in Tunisia, i nazionalisti del Neo-Dustūr si opposero

9 «Je suis el Hajj Abd el-Kader. Nous repasserons la mer avec des bateaux. Nous enva-hirons le pays de l’impie et nous le couvrirons de mosquées. Nous chanterons les rêves brisés d’Al Andalous… la croix rentrera dans le fourreau». Cit. in D. Rivet, Le Maghreb à l’épreuve de la colonisation, Hachette littératures, Paris 2002, p. 118.

10 Il Maghreb nell’accezione più ampia comprende Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia.

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con virulenza alla sepoltura nei cimiteri musulmani dei naturalizzati11. Il loro numero peraltro rimase irrisorio12.

Al di là della retorica sull’Islam sarebbe opportuno chiedersi quale idea di Islam i legislatori avessero in mente e se questa implicasse un primato della religione sulla politica. Anzitutto è da rilevare che predominante è nel Maghreb l’Islam sunnita di rito malikita, ma sono presenti anche la scuola hanafita, eredità dell’epoca ottomana, e sacche di fedeli ibaditi nell’oasi del M’zab in Algeria, nel Jabal Nafusa in Libia e sull’isola di Jerba in Tunisia.

Nel Programma di Tripoli, stilato dall’FNL algerino nel 1961, è l’Islam dal volto progressista che viene invocato, l’Islam «spogliato da tutte le escrescenze e le superstizioni che lo hanno soffocato o alterato»13. Espressione di un Islam reazionario appaiono al regime le confraternite religiose, che vengono smantellate, e gli ‘ulamā’, anch’essi margina-lizzati nonostante l’adesione dell’Associazione degli ‘ulamā’ algerini, creata nel 1931, al FLN14. Nei regimi socialisti di Ahmed Ben Bella (1963-1965), instaurato dopo scontri fratricidi con i civili del Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (GPRA), e Houari Boumédiène (1965-1978), subentrato con un colpo di Stato il 19 giugno 1965, «l’Islam non può che essere socialista e rivoluzionario»15. In un discorso tenuto il 2 giugno 1976 (poco prima che la Carta nazionale venisse sottopo-sta a referendum), Boumédiène dichiarò: «Il popolo algerino [aspira] a un Islam che è giustizia, eguaglianza, eliminazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo»16.

Nato a Marnia nella regione di Orano nel 1916 Ben Bella proveniva da una famiglia contadina, così come Boumédiène, originario dell’Est

11 J.-F. Martin, Histoire de la Tunisie contemporaine. De Ferry à Bourguiba 1881-1956, L’Harmattan, Paris 1993, pp. 91-96. Sulla questione della naturalizzazione cfr. anche L. Hajji, Bourguiba et l’Islam. Le politique et le religieux, Sud Éditions, Tunis 2011, pp. 146-150.

12 In Algeria, proclamata parte integrante della Francia dalla Costituzione del 1848, gli indigeni naturalizzati erano appena 200 nel 1870 (J. Ganiage, Histoire contemporaine du Maghreb: de 1830 à nos jours, Fayard, Paris 1994).

13 Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente, p. 180.14 Gilles Kepel, Jihad. Expansion et déclin de l’islamisme, Gallimard, Paris 2003,

pp. 87 e 97.15 Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente, p. 218.16 Ibidem, ivi.

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algerino (Héliopolis) dove era nato nel 1932. Entrambi respirarono dunque l’Islam sin dall’infanzia, e Boumédiène ricevette una forma-zione religiosa tradizionale nella madrasa Kitanyyia di Costantina, alla Zaytūna di Tunisi e ad al-Azhar al Cairo17.

Il regime di Boumédiène, in particolare, si assunse l’onere di un processo di islamizzazione dall’alto stabilendo, nella seconda metà degli anni Settanta, lo spostamento al venerdì, anziché la domenica, del giorno di riposo settimanale, il divieto di scommesse e vendita di alcolici ai musulmani, l’interdizione di allevare maiali. In seguito il decreto del 6 agosto 1983 centralizzò la formazione dei funzionari del culto e creò l’Università di Scienze islamiche di Costantina. In linea con i tassi di crescita demografica, e sempre sotto la supervisione dello Stato, le moschee aumentarono da 2.200 nel 1966 a 5.829 nel 1980. Infine il 29 maggio 1984 fu approvato un codice di famiglia di impronta conservatrice18.

Favorevole a un Islam riformista è stato anche Habib Bourguiba (1957-1987), il quale ha persino assunto la carica di mujtahīd, ovvero interprete della Legge religiosa, e attraverso l’uso sistematico della ragione ha giustificato in termini religiosi il proprio progetto moder-nista. Habib Bourguiba, annoverato tra i passeurs de rives da Claude Liauzu19 avendo studiato Legge e Scienze politiche a Parigi, dopo una formazione al Collegio Sadiqī e al Lycée Carnot di Tunisi, e avendo sposato nel 1926 Mathilde Lorrain, si poneva in linea di continuità con i sovrani riformatori husseiniti del primo Ottocento, promotori di una riorganizzazione dello Stato simboleggiata dalla Costituzione del 1861. Seppure sospesa nel 1864, la Costituzione limitava i poteri del bey attraverso l’operato di un Gran Consiglio di notabili e istituiva tribu-nali civili e penali di prima istanza che giudicavano in base a codici di ispirazione europea: «Era un’innovazione inaudita», commenta Daniel Rivet, «affermare così bruscamente la superiorità di un’istanza profana sul governo da parte di Dio della città degli uomini»20.

17 Stora, Histoire de l’Algérie, p. 29.18 Ibidem, pp. 55 e 76-77.19 C. Liauzu, Passeurs des rives. Changements d’identité dans le Maghreb colonial,

L’Harmattan, Paris 2000, pp. 26-27.20 «C’était une innovation inouïe que d’affirmer aussi abruptement la supériorité d’une

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Nel quadro dunque di una tradizione secolare, con l’indipendenza la religione divenne uno strumento nelle mani e al servizio dello Stato21. I beni hubus (beni inalienabili destinati a opere pie)22, che rappresentavano una fonte di introiti per le istituzioni religiose, furono nazionalizzati nel 1956-1957; l’Università della Zaytūna, fondata nel 734, fu privata di auto-nomia, come successe ad al-Azhar nel 1961, e trasformata in Facoltà di teologia; l’insegnamento religioso fu controllato tramite l’inserimento nei programmi scolastici; la costruzione e manutenzione delle moschee fu affidata allo Stato e le autorità religiose poste alle dipendenze del governo23.

In Libia la Società delle Nazioni aveva affidato nel 1951 la lea-dership della neonata monarchia a Idris es-Senussi, autorità spirituale della Sanūsiyya. Sebbene imbevuto di nazionalismo arabo, anche Gheddafi mostrò speciale riguardo per la religione. Tuttavia, l’autori-tarismo eccentrico del leader si manifestò, dopo la pubblicazione del Libro Verde, nella professione di un Islam non ortodosso. Egli modificò persino il calendario musulmano ponendo come data iniziale la morte di Muhammad nel 632, e non l’hijra, ovvero la migrazione del Profeta dalla Mecca a Medina nel 62224. Ai leaders religiosi carismatici toccò in sorte la repressione come nel caso di al-Bishti, predicatore moderni-sta tripolino, che scomparve improvvisamente nel 198025.

A dispetto del rilievo dato all’Islam, le Costituzioni maghrebine riconoscono quale fonte del potere non la volontà divina, ma il popolo. Jamāhīriyya, neologismo coniato da Gheddafi per designare la forma di Stato introdotta nel 1977, significa proprio «Stato delle masse» ( jamāhīr). La componente maggioritaria del popolo a cui fa esplicito riferimento la Costituzione algerina del 1963 sono i contadini, i fallāhun (pl. di fallāh), che costituiscono la classe sociale prevalente di Paesi non industrializzati.

instance profane sur le gouvernement par Dieu de la cité des hommes». Rivet, Le Maghreb à l’épreuve de la colonisation, p. 146.

21 S. Ghorbal, Orphelins de Bourguiba & héritiers du Prophète, Cérès éditions, Tunis 2012, p. 130.

22 Letteralmente «inamovibili», dall’arabo habasa «bloccare».23 Ghorbal, Orphelins de Bourguiba, pp. 128-129.24 L. Anderson, Religion and State in Libya: The Politics of Identity, in «Annals of

the American Academy of Political and Social Sciences», 483, Jan. 1986, pp. 61-72: 70-71.25 G. Joffe, Islamic Opposition in Libya, in «Third World Quarterly», 10, 1988, 2

(Apr.), pp. 615-631: 625-626.

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2. L’imperativo dell’unità nazionale e l’assenza di pluralismo

La riforma costituzionale varata in Marocco nel luglio del 2011 rico-nosce, quali componenti dell’identità nazionale marocchina, non sol-tanto l’elemento arabo-islamico, ma anche i berberi, o meglio Imazighen (pl. di Amazigh), e la popolazione hassānī del Sahara. La lingua berbera o tamazight, parlata da circa il 40% della popolazione, è promossa al rango di lingua ufficiale dello Stato insieme all’arabo (art. 5). Una simile apertura al pluralismo, che ammette persino le influenze africane, anda-luse, ebraiche e mediterranee, sarebbe stata impensabile all’indomani dell’indipendenza quando l’unità di tratti e di intenti del popolo era ritenuta un «bene sommo»26.

In Algeria, dove i berberofoni costituiscono il 20% circa della popo-lazione, il tamazight è stato riconosciuto lingua nazionale nel 201127. La Carta nazionale del 1976 respingeva l’esistenza di etnie in Algeria e non menzionava la lingua e la cultura berbere28. Analogamente in Libia i gruppi berberi rivendicano un riconoscimento nella Carta costi-tuzionale (ancora in gestazione), mentre nel 2007 Mu‘ammar Gheddafi (1969-2011) era giunto ad affermare: «Noi in Nord Africa siamo arabi, e il Nord Africa è arabo al 100%»29.

Lo strappo esperito dagli ebrei francofoni dopo l’indipendenza è descritto in pagine commoventi da Colette Fellous in Avenue de France. Il fratello ventunenne, studente di medicina a Parigi, fu condotto in com-missariato a Tunisi per avere avvicinato due giovani donne. La polizia si rivolgeva a lui in arabo e, di fronte alla sua incapacità di comprendere, osservava che non era normale non capire questa lingua quando si era nativi del Paese e si aveva un passaporto tunisino: «gli rimproverano […]

26 Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente, p. 153.27 G. Grandguillaume, L’arabisation au Maghreb, in «Revue d’Aménagement lingui-

stique», 107, 2004, pp. 15-40: 37.28 Stora, Histoire de l’Algérie, p. 32.29 «We in North Africa are Arabs, and North Africa is 100% Arab». A. al-Rumi,

Libyan Berbers Struggle to Assert Their Identity Online, in «Arab Media & Society», Spring 2009, p. 3. La Costituzione del Regno di Libia del 1951, sebbene consacrasse l’arabo quale lingua ufficiale dello Stato (art. 186), riconosceva la libertà di ricorrere ad altre lingue nelle transazioni private, in materia religiosa e culturale, nella stampa e in altre pubblicazioni, negli incontri pubblici (art. 24).

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di avere scelto la Francia, di avere disprezzato il paese, di avere seguito l’invasore, parlano sempre in arabo e lui […] non trova modo per dire semplicemente che è questo il paese che ama»30.

Trascurate nel dettato costituzionale e nella realtà, le storiche comunità di berberi ed ebrei hanno pagato lo scotto dell’indipen-denza ritrovata. Da una parte il mito dei berberi, ritenuti superficial-mente assimilati all’Islam, e dunque suscettibili di essere convertiti, e dall’altra l’assimilazione alla cultura francese degli ebrei (stabilita automaticamente per decreto in Algeria nel 1870) hanno indotto i nativi arabo-musulmani a considerare queste categorie privilegiate e conniventi con la gerarchia coloniale.

Gli ebrei hanno gradatamente abbandonato i Paesi maghrebini anche per le ripercussioni del conflitto arabo-israeliano ed episodi di antise-mitismo. I berberi hanno coltivato il loro particolarismo, manifestatosi soprattutto in Kabilia con la Primavera berbera del 1980. Portavoce della causa berbera in Algeria sono stati il Front des Forces Socialistes (FFS), creato da Hocine Aït Ahmed nel 1963, e il Rassemblement pour la Cul-ture et la Démocratie (RCD), fondato da Saïd Sadi nel 1989.

L’insistenza sull’unità e sull’uniformità culturale, religiosa, etno-linguistica è andata di pari passo con il mito dell’unanimità del popolo. Sistemi a partito unico o senza partiti (come la Jamāhīriyya Araba Libica), controllati dai protagonisti delle lotte anticoloniali, padri e padroni della nazione, hanno dominato la scena fino alle timide aperture degli anni Ottanta. A differenza del Marocco dove l’Istiqlāl si è indebolito di fronte al pilastro monarchico e alla concorrenza partitica, gli apparati del Neo-Dustūr in Tunisia (divenuto Partito Socialista Costituzionale e poi Rag-gruppamento Costituzionale Democratico) e del Fronte di Liberazione Nazionale in Algeria si sono sviluppati in maniera tentacolare.

In realtà in Algeria è l’esercito a imporsi come cardine nella gestione del potere, mentre la funzione del partito unico è quella di legittimare un esercito onnipresente31. Il potere delle forze armate è emerso con

30 «[…] ils lui reprochent […] d’avoir choisi la France, d’avoir méprisé le pays, d’avoir suivi l’envahisseur, ils parlent toujours en arabe et lui […] il ne peut pas trouver de place pour dire simplement que c’est ce pays qu’il aime». C. Fellous, Avenue de France, Galli-mard, Paris 2001, pp. 239-246.

31 Stora, Histoire de l’Algérie, pp. 19 e 16.

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evidenza all’inizio degli anni Novanta quando, di fronte ai successi elettorali del Fronte Islamico di Salvezza (FIS), sono intervenute per sospendere il secondo turno delle elezioni parlamentari e indurre alle dimissioni il presidente Chadli Benjedid (1978-1992). L’esercito è presu-mibilmente responsabile anche dell’assassinio del successore Mohamed Boudiaf nel giugno 199232.

L’unità del popolo era incarnata dal capo dello Stato la cui effigie campeggiava per le strade, sui media e persino nelle banconote. In nome dell’unanimismo ai dissidenti era riservato l’ostracismo o addi-rittura l’eliminazione fisica. Qualsiasi opposizione era assimilata alla sovversione e al complotto, e dunque illegittima33. In Le nouvel État aux prises avec le complot youssefiste 1956-58. La sédition youssefiste ou le complot permanent34 lo storico del regime tunisino Mohamed Sayah considera la corrente youssefista un movimento sedizioso che si è nutrito di tendenze ataviche.

Salah Ben Youssef, ex-segretario del Neo-Dustūr e oppositore negli anni Cinquanta della linea di mediazione con la Francia sostenuta da Bourguiba, fu assassinato a Francoforte nel 1961. Analoga sorte subi-rono in Algeria numerosi avversari politici, come Mohammed Khider e Krim Belkacem, leaders storici del FLN35, e in Marocco l’elimina-zione di Mehdi Ben Barka nel 1965 è un episodio emblematico degli anni di piombo.

3. Oltre l’«indipendenza delle bandiere»

Il rifiuto dell’alterità proprio del nazionalismo ha avuto come prin-cipale bersaglio i colonizzatori europei. I leaders politici maghrebini vantavano tutti una legittimità storica derivante dal coinvolgimento nella lotta anticoloniale. Habib Bourguiba, leader del Neo-Dustūr, fon-dato nel 1934, aveva l’appellativo di Combattente supremo; il sultano

32 L. Addi, Algeria, in The Middle East, pp. 371-386: 375-376.33 Ghorbal, Orphelins de Bourguiba, pp. 54-55.34 M. Sayah, Le nouvel État aux prises avec le complot youssefiste 1956-58, 3: La

sédition youssefiste ou le complot permanent, Dar El Amal, Tunis 1983.35 Stora, Histoire de l’Algérie, p. 29.

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marocchino Muhammad V aveva subito l’esilio dal 1953 al 1955 per l’opposizione ai francesi; Ahmed Ben Bella, uno dei nove capi storici del Fronte di Liberazione Nazionale, e Houari Boumédiène, nome di battaglia di Mohammed Brahim Boukharouba, capo della V wilaya (ad ovest) nel 1958 e responsabile dello Stato Maggiore dell’Armata di Liberazione Nazionale, rappresentavano l’ala militare e rivoluzionaria del movimento di liberazione. L’obiettivo dei leaders nazionalisti era portare a compimento il processo di liberazione.

La sovranità ritrovata si manifestò anzitutto nella riappropriazione dello spazio urbano. A Tunisi l’arteria principale, l’Avenue Jules Ferry, così chiamata in onore del primo ministro francese artefice dell’occu-pazione militare nel 1881, fu ribattezzata Avenue Bourguiba. La statua del cardinale Charles Lavigerie, l’arcivescovo di Cartagine e primate d’Africa che operava a suo dire al servizio della religione e della Francia, fu rimossa dalla piazza antistante l’ingresso della Medina dove troneg-giava nell’atto di brandire una croce e la Bibbia. Anche la statua a Sfax di Philippe Thomas, scopritore dei ricchi giacimenti di fosfati nella zona di Gafsa, subì un destino analogo ai simboli del potere politico e religioso.

Eliminare il residuo controllo neocoloniale era l’obiettivo dichiarato delle élites al potere. Se in Algeria «la fine degli esperimenti nucleari […] nel 1967 e il ritiro spontaneo della Marina francese dalla base di Mers el-Kébir nel 1968 eliminarono due fra i più vistosi limiti della sovranità [nazionale]»36, in Tunisia le truppe francesi evacuarono la base militare di Biserta nel 1964 dopo uno scontro armato che causò circa un migliaio di morti tra i tunisini. In Libia lo sgombero delle basi anglo-americane di El Adem e Wheelus Field rappresentò una priorità per Gheddafi all’indomani del colpo di Stato dell’1 settembre 196937: «la rivoluzione», aveva dichiarato il colonnello, «non accettava né basi, né stranieri, né imperialisti, né intrusi di ogni genere»38.

Nella categoria degli «intrusi» rientravano i circa 13.000 italiani allora

36 Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente, p. 199.37 Nel dicembre 1969 si erano già conclusi i negoziati con la delegazione britannica e

americana e l’evacuazione delle basi era stata fissata rispettivamente per il 31 marzo e il 30 giugno 1970. Cfr. F. Cresti, M. Cricco, Storia della Libia contemporanea. Dal dominio ottomano alla morte di Gheddafi, Carocci, Roma 2012, pp. 209-213.

38 Ibidem, p. 209.

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residenti a Tripoli. Il 21 luglio 1970 Gheddafi ne decretò l’espulsione e la confisca dei beni. Gli italiani subirono anche altrove i contraccolpi della logica esclusivista e, come «inermi sassolini», per riprendere la metafora di Marinette Pendola (italiana di Tunisia), furono fatalmente travolti dalla corrente inarrestabile della storia39.

In Algeria, nonostante le garanzie offerte dagli accordi di Evian (marzo 1962), circa 800 mila pieds-noirs partirono in massa spon-taneamente40. L’esodo fu accompagnato da risentimento e contesta-zione che si espressero nella cosiddetta politica della terra bruciata promossa dall’Organisation de l’Armée Secrète (OAS). Nel romanzo autobiografico Il primo uomo Albert Camus racconta di un vecchio colono all’antica, «di quelli che a Parigi vengono insultati […], un duro». Questi, «quando è arrivato l’ordine di evacuare, non ha detto niente. La vendemmia era fatta, e il vino era nelle tinozze. Ha aperto le tinozze, poi si è avvicinato a una fonte d’acqua salmastra che a suo tempo aveva personalmente deviato e l’ha rimessa sulla retta via nelle sue terre, e ha attrezzato un trattore come aratro da scasso. E per tre giorni, al volante, con la testa nuda, senza dir niente, ha estirpato i vigneti di tutta la sua proprietà. […] E quando è arrivato un giovane capitano, informato non si sa da chi e gli ha chiesto spiegazioni, ha risposto: “Giovanotto, se quello che abbiamo fatto qui è un delitto, bisogna cancellarlo”»41.

Seguendo l’esempio dirompente di Gamal Abd al-Nasser (1954-1970) che nel 1956 aveva nazionalizzato il Canale di Suez scatenando le rea-zioni di Francia e Gran Bretagna (e la seconda guerra arabo-israeliana), la riappropriazione delle infrastrutture e delle risorse naturali divenne una priorità. Nel quadro di politiche ispirate al socialismo si procedette anzitutto alla nazionalizzazione delle terre straniere.

In Algeria l’esodo di circa l’80% della popolazione europea aveva reso vacante la quasi totalità delle proprietà in mano europea. Cionondimeno la confisca delle restanti terre si impose anche per ragioni psicologiche, cosicché «il 10 ottobre 1963 il presidente Ben Bella poté annunciare

39 M. Pendola, La riva lontana, Sellerio, Palermo 2000, pp. 81-82.40 P.C. Naylor, North Africa. A History from Antiquity to the Present, University of

Texas Press, Austin 2009, p. 190.41 A. Camus, Il primo uomo, Bompiani, Milano 1994, pp. 185-186.

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alla nazione che “neppure un ettaro di terra algerina è in possesso di un proprietario straniero”»42.

In Tunisia, nell’anniversario della firma del Trattato del Bardo (12 maggio 1881), fu decretata nel 1964 la nazionalizzazione delle terre dei coloni europei. La loro occupazione da parte straniera era percepita come un pesante fardello sulle spalle del popolo tunisino. Riappro-priarsi della terra diventava dunque essenziale al fine di rafforzare la sovranità nazionale e abolire le conseguenze della dominazione coloniale.

In Algeria, a dispetto degli accordi di Evian che tutelavano gli interessi francesi in un quadro di cooperazione, le nazionalizzazioni colpirono anche il settore-chiave degli idrocarburi: «La tappa cruciale fu percorsa il 24 febbraio 1971 con l’acquisizione del 51% del settore petrolifero di proprietà di compagnie francesi e del 100% del gas e del trasporto via terra degli idrocarburi»43. In Libia Gheddafi impose inizialmente l’aumento del prezzo del petrolio e delle royalties, e dal 1971 al 1974 procedette alla nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi44.

Recuperata la sovranità politica, la cosiddetta «indipendenza delle bandiere», l’imperativo era la gestione autonoma delle risorse economi-che e la promozione dello sviluppo della nazione. A dispetto delle buone intenzioni dell’uomo bianco, chiamato, come scrisse Rudyard Kipling, a caricarsi di un fardello «Per servire ai bisogni dei sottoposti / […] Per cercare il vantaggio altrui, / E produrre l’altrui guadagno», la popola-zione permaneva in uno stato di grave disagio.

Per citare alcuni dati, nel 1961 in Algeria appena il 15% dei nativi era scolarizzato contro il 100% dei giovani francesi45, mentre in Libia nel 1951 ad avere ricevuto un’istruzione superiore erano tra 7 e 14 per-sone46. In Tunisia l’Istituto Nazionale di Statistica rilevava, a inizio anni Ottanta, ancora 120 mila gourbis, pari al 10% delle abitazioni, e numerosi alloggi senza acqua corrente né energia elettrica47. La povertà

42 Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente, p. 160.43 Ibidem, p. 202.44 Cresti, Cricco, Storia della Libia contemporanea, pp. 220-226.45 Stora, Histoire de l’Algérie, p. 47.46 Anderson, Religion and State in Libya, p. 67.47 Les en dessous de zéro, in «Le Maghreb», 43, 13/02/1982, pp. 19-32: 26.

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e l’analfabetismo erano problemi da affrontare ristabilendo l’equilibrio tra Paesi del Nord e del Sud del mondo.

Nel periodo socialista l’intervento dello Stato fu essenziale con piani economici e investimenti industriali, mentre nuovi modelli di stampo liberista subentrarono a partire dagli anni Ottanta in Algeria, Marocco e Tunisia, e negli anni Duemila in Libia con la perestroika di Gheddafi48.

4. Terzomondismo, panarabismo e unità maghrebina

La costruzione dello Stato fu «un momento di grande apertura alla solidarietà internazionalistica»49. Ispirati dalla teoria dei tre cerchi di Nasser che assegnava un ruolo di leadership all’Egitto nel mondo arabo-islamico e africano anche per la posizione geografica di cerniera, i Paesi maghrebini si adoperarono per il riscatto economico e la liberazione politica dei popoli africani e asiatici. È la scelta del terzo-mondismo e del non-allineamento, volta al superamento della logica dei blocchi (capita-lista e comunista), lanciata alla Conferenza di Bandung nell’aprile 1955. L’Algeria, che in quell’arena internazionale era riuscita a ottenere una risoluzione a sostegno dell’autodeterminazione, sancì nella Costituzione del 1963 come princìpi cardine il «neutralismo positivo» e il «non alline-amento» (art. 2) e ospitò nel settembre 1973 il quarto vertice dei Paesi non allineati50. Per la liberazione dei popoli oppressi si schierò anche Gheddafi, che non lesinò, fino alla distensione avvenuta alla fine degli anni Novanta, supporto militare ed economico anche ai movimenti estremisti51.

Emulo di Nasser, Gheddafi rilanciò alla fine degli anni Novanta, come ambito di azione, il cerchio africano promuovendo la creazione nel 2001 dell’Unione Africana. In questo quadro, più modesto fu il ruolo di Bourguiba che aveva provato a estendere la politica «dei piccoli passi», di moderazione e compromesso, all’intero continente, mentre isolato

48 D. Vandewalle, Qadhafi’s «Perestroika»: Economic and Political Liberalization in Libya, in «Middle East Journal», 45, 1991, 2 (Spring), pp. 216-231.

49 G. Calchi Novati, Decolonizzazione e Terzo Mondo, Laterza, Roma-Bari 1979, p. 125.50 Stora, Histoire de l’Algérie, pp. 21 e 43. Nel maggio del 2014 si è tenuto, sempre ad

Algeri, il XVII vertice dei Paesi non allineati.51 Cresti, Cricco, Storia della Libia contemporanea, pp. 241-245.

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appariva il Marocco che nel 1984 aveva abbandonato l’Organizzazione dell’Unità Africana dopo il riconoscimento della Repubblica Araba Sahrawi Democratica.

Accanto all’Islam, l’altro immancabile referente identitario della nazione è l’arabicità. «L’Islam è la mia religione, l’arabo la mia lingua, l’Algeria la mia patria» aveva detto Abdelhamid Ben Badis (1889-1940), leader dell’Associazione degli ‘Ulamā’ Algerini fondata nel 1931. E Hou-ari Boumédiène non si espresse mai in francese nei mass media né visitò ufficialmente la Francia52. In nome dell’autenticità, politiche di arabizza-zione sono state intraprese in tutti i Paesi maghrebini. Paradossalmente, in un paesaggio linguistico segnato dalla diglossia, non è stato l’arabo parlato dal popolo (darja) a essere promosso lingua dell’insegnamento e dell’am-ministrazione, ma l’arabo scritto, aulico, nelle varianti classica e moderna.

L’arabo, lingua della rivelazione coranica, dunque sacra, è subentrato progressivamente (ancorché non senza battute d’arresto) al francese, lin-gua dell’ex-dominatore destinata ai settori della modernità. In Algeria, dove l’assimilation si è protratta per oltre un secolo (1830-1962), l’astio contro i colonizzatori ha indotto molti a rifiutare la lingua francese persino come butin de guerre, secondo l’espressione del poeta e dram-maturgo Kateb Yacine53.

Il panarabismo ha ispirato le politiche degli Stati maghrebini, anche se con qualche riserva da parte del presidente tunisino Bourguiba, noto-riamente filoccidentale e moderato. Banco di prova della solidarietà panaraba è stata la questione palestinese, tutt’oggi un potente cataliz-zatore. Soldati volontari e regolari sono partiti per i fronti di guerra nel 1948 e nel 196754. Il quartier generale dell’Organizzazione per la

52 Addi, Algeria, p. 373.53 Cfr. G. Grandguillaume, Arabisation et politique linguistique au Maghreb, Mai-

sonneuve et Larose, Paris 1983, e, per una panoramica sintetica, Grandguillaume, L’ara-bisation au Maghreb.

54 Per quanto riguarda la Tunisia cfr. la testimonianza di H. Marzouk, Les dessous des batailles de Palestine et de Bizerte et du Coup d’État de 1962, Entretien et présentation de Noureddine Bettaïeb, Sotepa Graphique, Tunisie s.d. Sul coinvolgimento della Tunisia nella guerra del 1967 mi permetto di rinviare a D. Melfa, «Les problèmes de “là-bas” qui se sont répercutés chez nous». Burghiba e la frattura del 1967 in Tunisia, in Realtà e memoria di una disfatta. Il Medio Oriente dopo la Guerra dei Sei Giorni, a cura di A. Tonini, M. Simoni, Firenze University Press, Firenze 2010, pp. 15-33.

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Liberazione della Palestina (OLP) è stato trasferito in Tunisia nel 1982 dove è rimasto fino al 1994.

Le strategie sostenute dai capi di Stato arabi non sempre collimavano, anzi accrescevano la rivalità per la leadership. Nel discorso di Gerico del 1965 il presidente Bourguiba invitava a seguire la linea del nego-ziato in Medio Oriente riconoscendo l’esistenza dello Stato di Israele nei confini fissati dalla Risoluzione ONU 181 del 1947. L’intransigenza animava invece Nasser, promotore della nascita dell’OLP nel 1964, il quale non esitava a difendere anche con le armi l’integrità del territorio palestinese che riteneva essenziale per l’unità araba.

Tappa intermedia sulla via del panarabismo è il nazionalismo maghrebino che rilancia l’idea di coesione e cooperazione, laddove un’unità politica si ebbe solo in epoca almohade (XII-XIII secolo). Il nazionalismo regionale si manifestò negli anni Venti in Francia in organizzazioni come l’Association des Étudiants Musulmans Nord-Africains e l’Étoile Nord-Africaine di Messali Hadj che rivendicava l’indipendenza dell’Algeria. Afrique du Nord in queste denominazioni si riferiva all’Africa del Nord francese.

Le dichiarazioni di intenti rispetto all’unione maghrebina, espresse sin dalla Conferenza di Tangeri del 27-30 aprile 1958, si sono arenate nelle dispute di confine da una parte tra Marocco e Algeria (la cosid-detta Guerra delle sabbie del 1963) e dall’altra tra Tunisia e Algeria. L’indipendentismo sahrawi, sostenuto dall’Algeria, è stato un ulteriore motivo di tensione con il Marocco che rivendica dal 1975 l’ex-pos-sedimento spagnolo del Sahara occidentale. All’Unione del Maghreb Arabo si è giunti dunque soltanto nel 1989. Il tentativo di unificazione tra Libia e Tunisia, avviato nella prima metà degli anni Settanta, non ebbe alcun esito.

5. Conclusioni

Rudyard Kipling aveva pronosticato che «Le accuse di chi fate pro-gredire, / L’odio di chi tutelate» sarebbero state la ricompensa per i bianchi impegnati nella missione civilizzatrice. La formazione degli Stati postcoloniali avvenne, come si è visto, all’insegna della rottura

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rispetto al colonialismo, e le politiche postcoloniali, imperniate su Islam, arabicità e socialismo, ebbero il piglio della dignità e dell’or-goglio ritrovati.

Cionondimeno elementi di continuità persistettero. Se da una parte i governi tentavano di affrancarsi dall’Occidente, dall’altra rimanevano i lasciti dell’esperienza coloniale. Il divario territoriale tra Maghreb «utile», cioè produttivo, e Maghreb «inutile» si è mantenuto con le aree costiere, attrezzate con porti moderni in epoca coloniale, a drenare risorse e le aree interne marginalizzate. L’urbanizzazione con la nascita di bidonvilles è proseguita a ritmi accelerati. Lo sviluppo promosso dai governi si è coniugato con la meccanizzazione e l’innovazione tecnolo-gica introdotte in epoca coloniale.

La modernità si è manifestata nei suoi risvolti socio-economici ma anche istituzionali. Dopo l’indipendenza le élites nazionaliste si impe-gnarono, come ricorda Mohamed Charfi55, ai vertici della Lega tuni-sina dei diritti dell’uomo negli anni Ottanta e ministro dell’Educazione, dell’Insegnamento superiore e della Ricerca scientifica (1989-1994), nella costruzione di uno Stato moderno, progressista e democratico. L’appropriazione dei valori della Rivoluzione francese, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è spesso evocata nelle biografie di uomini politici formatisi nelle scuole francesi. Sebbene diverse dinastie e le reggenze ottomane avessero forgiato delle entità territoriali, l’e-sperienza coloniale contribuì a cementare l’identità nazionale. Il leader degli évolués algerini, Ferhat Abbas, fautore di una piena assimilazione, scriveva, ancora negli anni Trenta, di non avere trovato traccia dell’Al-geria come entità a sé stante né nei libri di storia né nei cimiteri.

Vittime di un regime paternalista e autoritario, i leaders naziona-listi hanno riprodotto altresì i metodi repressivi e persino la tortura perpetrata dal colonizzatore. «I martiri del 26 gennaio 1978», scrive l’intellettuale di sinistra tunisino Noureddine Bouarrouj riferendosi ai militanti morti durante lo sciopero generale indetto dal sindacato, «si aggiungono alla lunga lista di vittime innocenti cadute nel corso della Storia del nostro paese […]. Essi raggiungono […] le vittime delle gior-nate del Jellaz nel 1911, del 9 aprile nel 1938, del 6 agosto 1947 a Sfax e

55 M. Charfi, Mon combat pour les Lumières, Zellige, Léchelle 2009, p. 46.

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del 1948 a Enfidha»56. Nell’elenco sono significativamente associati le vittime del regime coloniale e i caduti per mano delle forze dell’ordine di Bourguiba. I diritti e la democrazia rivendicati in epoca coloniale – Algeria was France, but France without democracy57, sostenevano i nazionalisti algerini – sono insomma rimasti un miraggio.

Le continuità non sono sfuggite all’occhio combattivo delle forze islamiste emerse alla fine degli anni Settanta, che hanno denunciato proprio le politiche di occidentalizzazione. La logica oppositiva è stata dunque riportata alla ribalta dal discorso contro-egemonico islami-sta58. Sulla scia dei Fratelli Musulmani in Egitto, si sono sviluppati il Movimento della Tendenza Islamica, divenuto poi an-Nahda in Tuni-sia, il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) in Algeria, il Partito Giustizia e Sviluppo in Marocco.

L’alternativa islamista è stata immediatamente repressa, e in Alge-ria lo scontro sanguinoso scatenatosi nel 1991 ha causato tra 150.000 e 200.000 morti59. Se il termine shar‘īa significa letteralmente «via da seguire» o «cammino verso la fonte», l’Islam rappresenta indubbia-mente una sorgente per tutti i credenti, perennemente convogliata anche nell’arena politica.

56 «Les martyres du 26 janvier 1978 s’ajoutent à la longue liste des victimes innocentes tombées au cours de l’Histoire de notre pays […]. Ils rejoignent […] les victimes des journées du Jellaz en 1911, du 9 avril en 1938, du 6 août 1947 à Sfax et de 1948 à Enfidha». S.a. [N. Bouarrouj], Intervention du PCT «7° Congrès» le 29 janvier 1982, à l’occasion de la commémoration du 26 janvier 1978, in «Le communiste tunisien. Organe du Parti Communiste Tunisien - 7° Congrès», janvier 1983, pp. 31-41: 32.

57 Naylor, North Africa.58 M. Campanini, K. Mezran, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, UTET,

Torino 2010.59 Naylor, North Africa, p. 224.

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«Europa ricErchE» (prima serie)La Casa di Matriona R.C. Edizioni(I volumi sono disponibili solo presso la Fondazione Ambrosiana Paolo VI)

Storia religiosa dei popoli balcanici, a cura di L. Vaccaro, Milano 1983, pp. 288 (esaurito).autori: L. Vaccaro, C. Colombo, W. Rubin, R. Manselli, V. Peri, M. Clinet, D. Kokša, A. Rádovic, F.V. Mareš, T. Špidlík, G. Vodopivec, A. Alpago Novello, M. Jezernik, G. Eldarov, J. Tomko.

Storia religiosa della Russia, a cura di L. Vaccaro, Milano 1984, 19882, pp. 296.autori: L. Vaccaro, M. Marusyn, J. Kraicar, A. Piovano, S. Senyk, E. Galbiati, P. Galignani, N. Bux, A. Asnaghi, A. Dell’Asta, L. Dal Santo, A.D. Siclari, T. Goričeva, R. Scalfi.

Storia religiosa della Polonia, a cura di L. Vaccaro, Milano 1985, pp. 288.autori: L. Vaccaro, L. Caprioli, W. Rubin, J. Kłoczowski, Z. Sułowski, U. Borkowska OSU, L. Grygiel, J. Tazbir, W. Müller, J.J. Kopeć, A. Witkowska OSU, S.Z. Jabłoński, R. Przybylski, J. Ziółkowski, L. Müllerowa, B. Sonik, M. Radwan, J. Woźniakowski, S. Grygiel, F. Ricci.

Storia religiosa dei cechi e degli slovacchi, a cura di L. Vaccaro, Milano 1987, pp. 416.autori: L. Vaccaro, L. Caprioli, J. Tomko, F.G. Litva, J. Motal, J. Polc, D. Eisner, T. Špidlík, K. Skalický, K. Vrána, V. Bělohradský, M. Ďurica, J.M. Rydlo, Š. Vragaš, I. Kružliak, A. Hlinka.

Storia religiosa dei popoli baltici, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro, Milano 1987, pp. 328.autori: C.M. Martini, A. Bačkis, P. Rabikauskas, V. Salo, S. Kučinskis, V. Pupinis, G. Gobber, K.J. Čeginskas, S. Lozoraitis, V. Kazlauskas, O. Cavalleri, L. Tulaba.

Storia religiosa dell’Inghilterra, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro, Milano 1991, pp. 384.autori: A. Caprioli, L. Vaccaro, A. Borromeo, Ch. Burns, D. Fenlon, D. Pezzini, G. Garavaglia, A.D. Wright, D. Kerr, G. Cristaldi, T. Scalzotto, W. Purdy.

Storia religiosa dell’Ungheria, a cura di A. Caprioli e L. Vaccaro, Milano 1992, pp. 324.autori: A. Caprioli, L. Vaccaro, L. Kada, Á. Somorjai, C. Alzati, G. Érszegi, E. Pasztor, J. Török, E. Fügedi, B. Holl, Zs. Erdélyi, L. Pasztor, K. Péter, F. Szabó SJ, P. Sárközy, L. Katus, P. Ruzicska, G. Hajnóczi, L. Dankó, G. Békés OSB, L. Lukács, A. Moretti.

L’unità multiforme. Oriente e Occidente nella riflessione di Giovanni Paolo II, a cura di C. Alzati e P. Locati, Milano 1991, pp. 294.

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«Europa ricErchE» (nuova serie)Centro Ambrosiano - ITL

1. L’Europa e l’evangelizzazione del Nuovo Mondo, a cura di L. Vaccaro, Milano 1995, pp. 376.

autori: F. Citterio, F. Cantù, F. Morales Padrón, J. López Gay SJ, A. de la Hera, P. Castañeda Delgado, J.A. Barreda, F. Pease G.Y., J.A. de Freitas Carvalho, L. Guarnieri Calò Carducci, L. Mattos Cárdenas, M.-C. Bénassy, W. Henkel OMI, C.M. Martini, J.M. Mejía.

2. Storia religiosa dei popoli nordici, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro, Milano 1995, pp. 328.

autori: M. Giordano Lokrantz, W. Kenney, M. Klinge, C.F. Hallencreutz, J. Kristjánsson, T. Nyberg, J. Nybo Rasmussen, Chr. Krötzl, M. Schwarz Lausten, O. Garstein, P. Annala, K. de Fine Licht, A. Alpago Novello, L. Bini, T. Tscherning.

3. Storia religiosa della Svizzera, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro, Milano 1996, pp. 512.

autori: G. Bedouelle, V. Reinhardt, H. Maurer, F. Morenzoni, G. Chiesi, N. Morard, M.R. Silini, A. Moretti, R. Bodenmann, C. di Filippo Bareggi, C. Santschi, U. Fink, M. Turchetti, F. Panzera, F. Python, V. Conzemius, Ph. Chenaux, C. Cattaneo, R. Astorri, F. Beretta, P. Burri, W. Vogler, P. Braun, G. Rumi.

4. Storia religiosa dell’Austria, a cura di F. Citterio e L. Vaccaro, Milano 1997, pp. 524.

autori: C. Mozzarelli, R. Härtel, W. Maleczek, J. Rainer, D. Caccamo, G. Klingenstein, C. Donati, P. Hersche, E. Brambilla, M. Verga, P. Vismara Chiappa, E. Garms Cornides, H. Karner, S. Malfèr, O. Weiss, A. Zanotti, G. Rumi.

5. Storia religiosa della Spagna, a cura di A. Borromeo, Milano 1998, pp. 520.autori: F. Citterio, L. Vaccaro, A. Borromeo, L. Navarra, J. Fernández Conde, A. Mur Raurell, F. Cantù, M. Marcocchi, A. Caprioli, J.I. Tellechea Idígoras, A.D. Wright, Q. Aldea, H. Kamen, J.L. González Novalín, F. Vian, V. Gérard Powell, M. Barrio Gozalo, J. Martín Tejedor, J. Andrés Gallego.

6. Storia religiosa di Belgio, Olanda e Lussemburgo, a cura di L. Vaccaro, Milano 2000, 2 voll., pp. 648.

autori: P. Macchi, J.A. de Kok, R. Aubert, D. Misonne, J. Pycke, J. Kuys, G. de Baere, B. Ridderbos, M.-É. Henneau, J.-P. Massaut, W. Bergsma, E. Schulte, M. Lamberigts, Th. Clemens, J. Roegiers, F.R.J. Knetsch, S. de Blaauw, P. van Kessel, A. Tihon, G. Hellinghausen, H. de Valk, D. Vanysacker, J. Grootaers.

7. Storia religiosa dell’Irlanda, a cura di L. Vaccaro e C.M. Pellizzi, Milano 2001, pp. 592.

autori: P. Macchi, D.A. Kerr SM, A. Morganti, A.P. Smyth, M.T. Flanagan, J.A. Watt, M. Sughi, B. Bradshaw SM, D.C. Downey, C. Lennon, R. Gillespie, H. Fenning OP, D. Keogh, E. Larkin, G. Moran, M.N. Harris, D.N. Doyle, K. Milne, T. Bartlett, M. Hurley SJ, J.S. Donnelly Junior, C.M. Pellizzi, F.J. MacKiernan, S.B. Brady.

8. Storia religiosa della Grecia, a cura di L. Vaccaro, Milano 2002, pp. 528.autori: G. Fedalto, M. Simonetti, A. Carile, E. Follieri, G. Podskalsky SI, Chr. A. Maltezou, Z.N. Tsirpanlis, G. Stathis, A. Argyriou, G. Ploumidis, I.K. Hassiotis, C. Capizzi SI, G. Galavaris, E. Morini, R. D’Antiga, Y. Spiteris OFM Cap., D. Argyros, D. Salachas, C.D. Fonseca, G. Zervòs.

9. L’Europa dei pellegrini, a cura di L. Vaccaro, Milano 2004, pp. 496.autori: G. Colombo, N. Bux, F. Cardini, C. Alzati, M. Loconsole, K. Elm, A. Benvenuti, Th. Szabó, G. Otranto, G. Signori, A. Fucelli, F. Grimaldi, L. Zanzi, G. Palumbo, E. Fattorini, L. Scaraffia, S.K. Samir SJ, M. Garzaniti.

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10. L’Europa e l’evangelizzazione delle Indie Orientali, a cura di L. Vaccaro, Milano 2005, pp. 552.

autori: L. Vaccaro, J.P. Oliveira e Costa, A. Tamburello, E. Stols, H. Didier, J. López-Gay SJ, A. Zambarbieri, P. Corradini, A. Bianchi, J.A. de Freitas Carvalho, N. Tornese SI (†), J. Ruiz-de-Medina SJ (†), I. Rodríguez Rodríguez OSA, P. Carioti, P. Licini, I. Moriones OCD, B. Vadakkekara OFM Cap., M. Marcocchi, P. Tan Chee Ing SJ.

11. Storia religiosa dell’Ucraina, a cura di L. Vaccaro, Milano 2007, pp. 552.autori: G. Colombo, S. Graciotti, I. Ševčenko, Ch. Hannick, V. Peri, G. Podskalsky SJ, G. Pasini, E. Morini, E. Ch. Suttner, A. Joukovsky, H. Łaszkiewicz, G. Brogi Bercoff, I. Skochylyas, M. Martini, A. Krawchuk, B.A. Gudziak, O. Pachlovska, E. Rybałt, L. Quercioli Mincer.

12. Storia religiosa di Croazia e Slovenia, a cura di L. Vaccaro, Milano 2008, pp. 504.autori: G. Colombo, S. Graciotti, G. Cuscito, J. Neralić, M. Špelič OFM, S. Kovačić, J. Bratulić, J. Faganel, M. Benedik OFM Cap., F. Šanjek OP, B. Kolar, V. Kapitanović OFM, M. Ambrožič, F.E. Hoško OFM, S. Slišković OP, T. Vukšić, R. Morozzo della Rocca, T.Z. Tenšek OFM Cap.

13. Storia religiosa di Serbia e Bulgaria, a cura di L. Vaccaro, Milano 2008, pp. 456.autori: L. Mistò, S. Graciotti, C. Alzati, C. Diddi, A. Džurova, G. Podskalsky SJ, V. Gjuzelev, T. Subotin-Golubović, Ch. Hannick, G. Fedalto, K. Pavlikianov, W.R. Veder, A. Naumow, J. Jerkov, R. Tolomeo, A. Pitassio, E. Sgambati, R. Morozzo della Rocca.

14. Storia religiosa dell’Islam nei Balcani, a cura di L. Vaccaro, Milano 2008, pp. 552.autori: L. Mistò, S. Graciotti, A. Carile, P.L. Branca, I. Ortayli, N. Clayer, J. Peev, N. Moačanin, G. Fedalto, A. Pitassio, F. Giomi, M. Dogo, S. Bono, A. Džurova, M. Polimirova, A. Popovic, D. Tanasković, L. Omari, X. Bougarel, G. Dammacco, R. Morozzo della Rocca.

15. Storia religiosa dell’Armenia, a cura di L. Vaccaro e B.L. Zekiyan, Milano 2010, pp. 496.

autori: P. Macchi (†), Garegin II, Aram I, Nerses Bedros XIX, B.L. Zekiyan, G. Dédéyan, G. Uluhogian, Y. Petrosyan, A. Manoukian, A. Granian, R. Siranian, H. Tchilingirian, M.K. Krikorian, V. Calzolai, A. Ferrari, C. Gugerotti, M.D. Findikyan, K. Barsamian, A. Manoukian (†), G. Casnati, A. Alpago Novello (†), A. Pensa, A. Kerovpyan.

16. L’Europa e la sua espansione religiosa nel continente nordamericano, a cura di L. Vaccaro, Milano 2012, pp. 704.

autori: L. Mistò, C. Alzati, L. Codignola, B. Plongeron, O. Servais, P. Doll, P. Naso, P. Ricca, M. Rubboli, F. Morales OFM, D. Piñera Ramírez, E.Ch. Suttner, F. Laugrand, J.B. Ballong Wen Mewuda, D.N. Doyle, M. Tirabassi, G. Campese, E. Morini, G. Rigotti, B. Di Porto.

17. Storia religiosa della Francia, sotto la direzione di C. Vincent e A. Tallon, a cura di L. Vaccaro, Milano 2013, pp. 662.

autori: A. Vauchez, F. Prévot, B. Dumézil, M. Sot, Ch. Mériaux, D. Riche, J.-H. Foulon, J.-L. Biget, F. Delivré, C. Vincent, M. Venard, B. Dompnier, D. Boisson, J.-L. Quantin, Y. Krumenacker, D. Julia, O. Poncet, A. Tallon, J.-O. Boudon, S. Milbach, G. Cuchet, Cl. Prudhomme, J.-M. Mayeur, F. Michel, D. Pelletier.

18. Storia religiosa degli Ebrei di Europa, a cura di L. Vaccaro, Milano 2013, pp. 560.autori: L. Mistò, Card. D. Tettamanzi, S. Graciotti, A. Foa, A. Spagnoletto, M.-R. Hayoun, G. Lacerenza, M. Silvera, D. Tanasković, G. Veltri, R. Della Rocca, D. Mantovan, C. Horel, B. Di Porto, L. Novati, M. Grusovin, G. Laras, A. Pitassio, H. Baharier, S. Facioni, L. Quercioli Mincer, M. Giuliani, P.F. Fumagalli.

19. Storia religiosa della Germania, a cura di L. Vaccaro, Milano 2016, pp. 790.autori: L. Vaccaro, H. Grieser, S. Patzold, L. Körntgen, H.J. Mierau, J. Helmrath, V. Leppin, I. Siede, S. Cavallotto, F.X. Bischof, K. Unterburger, M. Cassese, A. Holzem, K.-H. Braun, O. Weiss, G. Reguzzoni, W. Becker, D. Burkard, Th. Brechenmacher, J. Pilvousek, K.-J. Hummel, F. Bock.

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«Storia rEligioSa Euro-MEditErranEa»Libreria Editrice VaticanaFondazione Ambrosiana Paolo VI

1. Da Costantinopoli al Caucaso. Imperi e popoli tra Cristianesimo e Islam, sotto la direzione di C. Alzati, a cura di L. Vaccaro, Città del Vaticano - Gazzada (Varese) 2014, pp. 480.

autori: Mons. L. Mistò, S.Em. Card. D. Tettamanzi, C. Alzati, A. Carile, E. Morini, A.M. Orselli, S. Parenti, G. Fedalto, E.Ch. Suttner, K.G. Pitsakis (†), A.F. Ambrosio, OP, B. Heyberger, S. Khalil Samir, SJ, V. Ruggieri, R.H. Kévorkian, P.M. Kitromilides, Ch. Hannick, G. Shurgaia, M. Nanobashvili, S. Serrano, O. Oehring, S.E. Mons. G. Pasotto.

2. Dal Mediterraneo al Mar della Cina. L’irradiazione della tradizione cristiana di Antiochia nel continente asiatico e nel suo universo religioso, sotto la dire-zione di C. Alzati, a cura di L. Vaccaro, Città del Vaticano - Gazzada (Varese) 2015, pp. 592.

autori: Mons. L. Mistò, C. Alzati, Ch. Hannick, A.M. Orselli, P. Bettiolo, G. Gnoli (†), E.Ch. Suttner, V. Poggi, SJ, M.G. Stasolla, A. Ambrosio, OP, M. Guidetti, A. Carile, M. De Ghantuz Cubbe, P.G. Borbone, J. Kochuparampil, V. Piacentini Fiorani, S.B. L. Sako, E. Morini, H. Murre-van den Berg, Fr. Thonippara, CMI, G. Fedalto, A. Mengozzi, M. Patulli Trythall, S. Khalil Samir, C. Eid, B. Cervellera, P. Siniscalco.

3. Una Città tra Terra e Cielo: Gerusalemme, le Religioni, le Chiese, sotto la direzione di C. Alzati, a cura di L. Vaccaro, Città del Vaticano - Gazzada (Varese) 2014, pp. 576.

autori: Mons. E. Monti, S.Em. Card. A. Scola, C. Alzati, D. Bahat, P.F. Fumagalli,J. Patrich, G. Visonà, R. Salvarani, J. Day, P. Maraval, Ch. Hannick, M.G. Stasolla,Y. Pallavicini, D. Galadza, S. Parenti, G. Fedalto, N.S. Klimas, OFM, S. Merlo, S.E. Mons. G.-B. Marcuzzo, B. Di Porto, P. Pieraccini, G. Parravicini, L. Zanzi, S.B. Fouad Twal.

4. Popoli, Religioni e Chiese lungo il corso del Nilo. Dal Faraone cristiano al Leone di Giuda, sotto la direzione di C. Alzati, a cura di L. Vaccaro, Città del Vaticano - Gazzada (Varese) 2015, pp. 576.

autori: Mons. E. Monti, S.Em. Card. A. Scola, C. Alzati, S. Ensoli, R. Radice, Ph. Luisier, SJ, E.Ch. Suttner, A. Milano, M.-Y. Perrin, U. Zanetti, G. Fedalto, A. Carile, H. Brakmann, Y. Peev, A. Candiard, OP, E. Platti, OP, E. Morini, Ch. Hannick, S. Khalil Samir, SJ, P. Branca, A. Manzo, E. Fritsch, A. Brita, E. Trevisan Semi.

5. Africa / Ifrīqiya. Il Maghreb nella storia religiosa di Cristianesimo e Islam, sotto la direzione di C. Alzati, a cura di L. Vaccaro, Città del Vaticano - Gazzada (Varese) 2016, pp. 560.

autori: Mons. E. Monti, S.Em. Card. A. Scola, C. Alzati, E. Acquaro, S. Ensoli, G. Zecchini, M.-Y. Perrin, N. Valli, R. Lizzi Testa, C.O. Tommasi Moreschini, C. Moreschini, Ch. Hannick, Y. Peev, G. Fedalto, B. Ben Hassine, P. Buresi, G. Petti Balbi, G. Cipollone, J.A. Rodrigues da Silva Tavim, B. Di Porto, A. Piga, F. Ben Slimane, O. Saaïdia, S. Zoccarato, D. Melfa, P. Vermeren, S. Khalil Samir, SJ.

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€ 35,00 9 788820 995928

ISBN 978-88-209-9592-8

Con il presente volume trova conclusione il progetto di Storia reli-giosa dello spazio euro-mediterraneo, promosso dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e realizzato d’intesa con la Libreria Editrice Vaticana.

Anche in questo caso, la prospettiva che caratterizza la pubblicazione è quella della «lunga durata». Essa è la sola che può offrire gli stru-menti per comprendere in profondità le ragioni della tragica dram-maticità del presente e rendere lucidamente consapevoli di come, alla luce delle concrete esperienze realizzatesi nel corso della storia, la conflittualità esasperata non sia affatto ineluttabile. Del resto, tale prospettiva di contrapposizione dialettica porta in sé, con ogni evi-denza, il riflesso di recenti stagioni della storia culturale europea (e non soltanto europea), segnate da un’ampia e sistematica seminagione ideologica (tanto secolare, quanto religiosa), che ha fatto smarrire la consapevolezza dei profondi legami e interscambi da cui, a livello antropologico e culturale, è stata (ed è) intessuta la vicenda degli uomini e delle civiltà.

In questo volume esplicito è l’apporto alla costruzione di un discorso comune venuto dall’attività di ricerca e dalla testimonianza intellet-tuale offerta dalle attuali Università dei Paesi del Maghreb. Proprio questo contributo costituisce la splendida dimostrazione di quanto l’interscambio reciproco, che lungo i secoli ha segnato profondamente il mondo mediterraneo e ne ha plasmato le culture, costituisca ancor oggi la risorsa prima, su cui costruire il futuro dei popoli che nel Mediterraneo si specchiano, e che in esso possono riscoprirsi depo-sitari di patrimoni ideali, chiamati a fruttuosamente interagire nella loro diversità.