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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA
SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI
Corso di laurea in Discipline dello spettacolo dal vivo
Titolo della tesi
Il teatro nella rete come opportunità per una riorganizzazione culturale:analisi dell’offerta attuale e proposta della piattaforma Katathink.com
Tesi di laurea in Storia dell’attore
Presentata da Corrado Polini
Relatore Prof.ssa. Anna Laura Mariani
Correlatore Prof. Enrico Pitozzi
Sessione Terza
Anno accademico 2013-2014
p.
1
5
39
676977838995
101103105109113115
119
127147
161
175
Introduzione
1 - Internet come realtà tra tecnica e simbolo: una breve contestualizzazione storica
2 - Internet come realtà tra tecnica e simbolo: una breve contestualizzazione ecologica e antropica
3 - Il teatro nella rete. Analisi della proposta attuale
3.0 - Premessa al capitolo. 3.1 - I teatri nella rete. 3.2 - Il blog militante. 3.3 - Le riviste online e in formato e-book. 3.4 - Le riviste in formato cartaceo. 3.5 - L’archivio digitale, la ricerca e la “Rete critica”.
4 - Una proposta di piattaforma web in risposta alle nuove necessità: Katathink.com
4.1 - Da dove nasce? Una breve sotria. 4.2-Lesceltegraficheedinterattive. 4.3 - Un ecosistema di correlazioni. 4.4 - Ripensare la pubblicità. 4.5 - Dal blog alle considerazioni personali. 4.6 - Un campo di prova... La critica teatrale 2.0 - A.A. 2013/2014.
Conclusioni. Ovvero alcune prospettive future per Katathink.com
Appendici
1 - Intervista al consulente di front-end Stefano Peloso. 2-Apparatoiconografico.
Bibliografia
Sitografia
Indice
Introduzione.
Il medium internet è una realtà che in pochissimi anni è stato in grado di far nascere nella
mente umana un completo ripensamento delle prospettive presenti e future della sua presenza nel
mondo. Alcuni sono convinti che questo nuovo modo di pensare sia solo apparenza o sia solo una
maniera attraverso cui i mezzi di comunicazione tradizionali vogliono distrarre l’attenzione
pubblica da problemi più importanti e più contingenti. Altri invece, dopo un’analisi più attenta,
avanzano che la rete di internet, e lo sviluppo Tecnico, possano essere il volano attraverso cui
l’uomo può giungere sempre più a quella forma di individualità che lo può liberare da vincoli
sociali, tradizionali, economici e politici, e che quindi gli permette di vivere una vita all’insegna del
benessere collettivo legato sopratutto al “terzo settore”, quello culturale (Rifkin, 2011).
Il teatro, in quanto apparente al terzo settore, come si inserisce all’interno di questa nuova
prospettiva socio-comunicativa che è internet? Come si presenta al grande pubblico? Quali strategie
politiche attua per divulgare il suo messaggio artistico e politico? E ancora, essendo la disciplina
teatrale quella che, a nostro avviso, è quella che permette più di molte altre di avvicinarsi e di
toccare altre materie di studio, come promuove questa sua unica caratteristica che può fungere da
volano attraverso cui accedere al mondo delle informazioni culturali multidisciplinari?
Per sviluppare un tema così articolato si è deciso di cominciare contestualizzando il medium
internet all’interno della storia della Tecnica sia da un punto di vista storico che da uno socio-
antropologico. In questo modo è stato possibile osservare che la rete digitale è, di fatto, qualcosa di
assolutamente giovane ma con delle possibili ricadute di ordine millenario. Successivamente
abbiamo circoscritto l’area di interesse all’internet in Italia che tratta di teatro, la materia
multidisciplinare di nostro interesse. Abbiamo deciso di occuparci del teatro non solo in risposta
alla tipologia degli studi affrontati, ma perché dopo anni di confronto con le altre discipline siamo
giunti ad osservare che il teatro è, in effetti, una materia attraverso la quale è possibile, se non
indispensabile, avvicinarsi a molte altre tra cui antropologia, sociologia, architettura, storia,
�1
archeologia, filosofia, religione ecc. Se si immagina il teatro al centro di un cerchio, possiamo
osservare che tutte le altre aree di studio gravitano attorno ad esso, pur essendo assolutamente
autonome e indipendenti. Da questa considerazione deriva che dal teatro è possibile osservare
l’universo culturale e, attraverso il suo studio, organizzare le molteplici informazioni e contenuti in
un motore di ricerca unito, stabile, europeo, che ha delle forti ragioni etiche ed espressive di esistere
poiché esigenze di questo tipo diventano sempre pi delle necessità per l’utente della rete.
Nel presente studio si è cercato di proporre una visione della Tecnica ben distinta dalla
tecnica, dove la prima vive di un profondo legame di continuità simbolica con il mondo naturale ed
il secondo, al contrario, è espressione di un pensiero superficiale della vita umana con conseguenze
devastanti sia per l’essere umano che per il mondo naturale a lui circostante.
La Tecnica è una modalità di espressione che l’uomo utilizza per manifestare il suo legame
— a struttura circolare — con la realtà naturale. L’arte, e quindi anche il teatro, in questa visione, è
una forma di Tecnica molto sofisticata ed avanzata. Si è cercato di proporre una metodologia
attraverso cui riuscire a distinguere un prodotto simbolico da uno scisso; uno presentativo da uno
rappresentativo; uno essenziale da uno superficiale. Alcune delle considerazioni che sono state
proposte hanno un carattere multidisciplinare in virtù del fatto che il Sistema Tecnico è qualcosa che
non è imbrigliabile all’interno di paradigmi legati ad una disciplina unica (Ellul, 2009), ma è una
caratteristica effettiva di ogni forma di produttività umana, inoltre è considerata sovrumana nel
senso che sta sopra alla coscienza dell’uomo e, se non viene compresa a fondo, rischia di diventare
una gabbia anziché un mezzo di liberazione individuale.
I primi due capitoli fungono da contestualizzazione teorica del medium internet. Il primo si
occupa della collocazione storica della tecnica e del simbolo. Il secondo capitolo si apre con
l’analisi dell’ambiente partendo dal concetto tedesco di Stimmung. Si è deciso di utilizzare questo
termine perché si compone di sfumature di significazione che in altre lingue non possiede. È, infatti,
�2
una specie di sintesi dei significati che “ambiente” assume nelle altre lingue. Nel terzo, sono stati
analizzati e discussi alcuni website italiani che trattano la materia teatrale. In questo capitolo si ha
avuto come unico obiettivo quello di mostrare alcuni ambienti virtuali appartenenti a categorie di
siti web differenti, così da cercare di identificarne una, o più, che mostrino al loro interno una reale
preoccupazione estetica e funzionale per la promozione teatrale.
Il quarto ed ultimo capitolo è il risultato diretto dei primi tre poiché presenta, e propone, una
nuova piattaforma web chiamata Katathink.com. Questo nuovo progetto che riguarda internet vive
di molteplici caratteristiche; alcune sono state analizzate e riproposte, altre invece, per motivi di
proprietà aziendale, non è stato possibile presentarle in questa sede. Quelle di nostro interesse, però,
sono state organizzate in sottocapitoli che riguardano la sua storia, le scelte grafiche e comunicative,
cosa significa correlare e come si distingue dal comune link, il sistema pubblicitario che propone,
come pensa di rivalutare il blog e, soprattutto, il campo di prova in cui è stato inserito tra ottobre e
novembre del 2013, ovvero il Laboratorio di critica teatrale diretto dalla Professoressa Laura
Mariani.
In appendice sono state inserite alcune immagini rappresentati i siti web analizzati nel terzo
capitolo e un’intervista fatta al professionista del web Stefano Peloso, il quale ci ha concesso
cortesemente di essere inserito all’interno del nostro studio.
Questo lavoro è stato possibile in primo luogo grazie alla disponibilità e alla gentilezza delle
persone che hanno sostenuto il progetto Katathink fin dai suoi primi albori.
Ringrazio di cuore la Professoressa Mariani che ha accolto, appoggiato e migliorato il
progetto inserendolo all’interno di un Laboratorio da Lei diretto. La ringrazio inoltre per aver
creduto in un progetto tanto ambizioso e per avermi aiutato nella stesura del presente lavoro.
Ringrazio il Professor Pitozzi per la sua dedizione e precisione nei consigli riguardanti tanto
presente studio, quanto Katathink.
�3
Ringrazio il Professor Guccini per essersi messo a disposizione per discussioni, confronti e
critiche di Katathink oltre che per un suo sostegno per i risvolti futuri in ambito teatrale.
Per gli stessi motivi ringrazio la Professoressa Laura Corti e il Professor Roberto Mancini.
Ringrazio il Professor Longhi senza il quale non avrei scoperto il mio amore nei confronti
del teatro con suoi risvolti tanto emozionali quanto scientifici.
Un ringraziamento speciale va anche a tutti gli amici, parenti, professionisti (troppo
numerosi per essere elencati) che con amore e pazienza hanno dato il loro sostegno a me e ai miei
progetti, tra cui quello qui presentato.
�4
1 — Internet come realtà tra tecnica e simbolo: contestualizzazione storica.
Se provassimo ad immaginare cosa sia internet o, come viene oggi chiamata, la rete, ci si
renderebbe conto fin da subito che non si è di fronte ad una missione semplice. Anzi, è un compito
che diventa presto un’impresa. Le prime immagini che ci si presenterebbero nella mente
riguarderebbero probabilmente l’ultimo sito web visitato, oppure quello che si aveva intenzione di
interrogare prima di cimentarsi in un esperimento simile. Con un po’ di sforzo proveremmo ad
allargare la veduta per trasformarla il più possibile a «volo d’angelo» —dall’alto — e allora al
fianco dell’immagine statica e fissa che si aveva prima, improvvisamente ne comparirebbe un’altra,
e un’altra, e un’altra ancora, fino a vedere una serie di immagini sempre più sfuocate che, anziché
avvicinarci al raggiungimento del nostro obiettivo, sembrerebbe che ce ne allontanino sempre più,
confondendo i contorni, disgregando le parole e facendo diventare quelle che prima erano figure
determinate, semplici macchie di colori più o meno monocromatici che sembrerebbero non avere
una relazione l’uno con l’altro. È presto comprensibile che come metodo ha delle lacune. Quindi se
per riuscire ad avere una idea figurata nella nostra mente di ciò che può essere, oggi, internet,
cercassimo immaginarla come una città?
Immaginiamo di chiudere gli occhi e di trovarci su di una strada. Ai suoi lati piano piano
cominciano ad ergersi degli edifici; poi le loro finestre, le porte, le grondaie, le imposte, le tegole sui
tetti, e ad un certo punto anche la strada su cui ci troviamo cambia il suo aspetto e diventa
“migliore”, più raffinata secondo il nostro gusto personale. A questo punto ci rendiamo conto che
possiamo muoverci, possiamo girare la testa in ogni direzione, e assumiamo coscienza del nostro
corpo. Innanzitutto le mani e le braccia, poi le gambe e i piedi, e prima che ce ne rendiamo conto
siamo in grado di piegare le ginocchia e di camminare autonomamente.
Tuttavia questo spazio in cui ci troviamo è come se generasse in noi una certa forma di
terrore. Una paura nel fare virtù della meravigliosa capacità di movimento che abbiamo appena
�5
appreso. E quando questa paura è pienamente maturata, alla nostra destra compare un’insegna
colorata, sopra ad una porta, al cui fianco appare anche un’ampia vetrata che ci mostra il suo
interno. Ci piace. Allora la paura si trasforma in curiosità, e le gambe cominciano ad esplorare
quello spazio che fino a poco prima ci sembrava così pericoloso. Ci avviciniamo a quella vetrata
circondata di colori e scopriamo che al suo interno vi sono oggetti che ci attraggono. Vogliamo
entrare e andiamo in cerca della maniglia che, appena viene afferrata, perde di importanza, perché
notiamo un riflesso sul vetro. Un riflesso interessante, che mostra un altro colore, completamente
nuovo. Lasciamo andare la maniglia della prima porta per dirigerci verso la seconda. A metà strada
tra la prima e la seconda ne compare una terza. Non è molto lontana e decidiamo di raggiungerla.
Facciamo qualche passo e ne compare una quarta, poi una quinta, una sesta, una settima e così via.
Prima che abbiamo modo di rendercene conto, siamo circondati da edifici con mille colori, mille
vetrine e infiniti oggetti che attraggono la nostra attenzione ed il nostro piacere. E li vorremmo tutti
quanti. In men che non si dica siamo di nuovo fermi, immobili, non più terrorizzati, ma bloccati
poiché sappiamo che ogni passo verso una meravigliosa vetrina è anche un passo che ci allontana da
una migliore, se possibile.
Abbiamo deciso di usare questa forma di stimolazione all’immaginazione per far notare
quanto, in realtà, può rivelarsi complicato cercare di visualizzare un mezzo di informazione e
comunicazione, quale è internet, che ognuno di noi usa quotidianamente.
La forma della città, tuttavia, risolve qualche questione per aprirne delle nuove. È da
sottolineare che la città che internet ci fa visualizzare è una città dalle caratteristiche novecentesche,
sviluppata però negli anni Duemila. È una città ricca, ricchissima di vetrine, di negozi, di pubblicità.
Sotto, sopra, a destra, a sinistra, davanti e dietro. Tuttavia appare come luogo vuoto, senza alcuna
anima viva, se non la nostra. È un luogo in cui sembra possibile poter far tutto ciò che ci passa per
la mente ed esprimerci attraverso qualunque forma. Tutto appare come reale ma, reale, lo sappiamo,
non è. Come è possibile capire però che non è realtà quella che abbiamo davanti? La realtà è
�6
caotica, irrazionale. È priva di interminabili linee rette. Non ci presenta “semplicità e razionalità
tecniche” , è ricca di stradine strette e dissestate, di muri storti e di pietra, i luoghi appaiono come 1
sperduti e paurosi, non sono già compresi a colpo d’occhio e sono privi di misticismo e magia. Ciò
che reale o, per meglio dire, naturale, non è, si manifesta in tutte le possibilità tecniche che l’uomo
ha creato e messo a sua disposizione squisitamente per l’uso da parte sua, e sua soltanto. Verrebbe
da dire che l’immagine che rappresenta internet che si è creata nella mente di molti di noi, in
precedenza, sia irreale, mentre quella che era nebulosa, iniziale, priva di corpo, di ricerca e di
confini, sia sicuramente più vicina alla nostra idea di realtà. In altri termini il conflitto sembra
trovarsi tra pulsione naturale ctonia e desiderio razionale di perfetti tecnicismi. Probabilmente
entrambe le posizioni peccano di ambire ad essere vere e assolute, caratteristica sempre troppo
presente nel pensiero umano che non accetta il caos. Jacques Ellul, filosofo francese, nel suo libro
sul sistema tecnico, pietra miliare per chi intende affrontare studi sul meccanismo che lega l’uomo
alla téchne, ci suggerisce però che sembra esistere un luogo in cui le due realtà, e qui la nostra
metafora di internet come città prosegue, possano coesistere.
Gli Svedesi ce l’hanno fatta — grazie ad una pianificazione rigorosa e ad un efficace sistema
di trasporti urbani, con il rinnovo del centro di Stoccolma e la creazione di sana pianta di nuove
città in periferia -, sono giunti a una tecnicizzazione quasi perfetta del tessuto urbano realizzando un
ambiente gradevole.
Se prendessimo il caso di Stoccolma, e chi ha avuto il piacere di visitarla può confermare le
parole di Ellul, e lo applicassimo alla teoria di internet come città, che tipo di realtà ne nascerebbe?
Potremmo ipotizzare una realtà in cui la dimensione della concretezza oggettuale e quella
ideologica astratta in qualche maniera coesistano o, estremizzando un po’, coincidano. È un tipo di
realtà che in discipline architettoniche è già stato affrontato, ed è all’ordine del giorno nel dibattito
sul futuro: Stoccolma in Svezia, San Antonio negli Stati Uniti d’America, e molte altre nel mondo . 2
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 65.1
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Oscar Mondadori, 2012.2
�7
Ma per quanto riguarda la dimensione della connessione umana via etere, che tipo di realtà viene
costruita dagli operatori del settore? Ma soprattutto, come viene percepita dall’Homo Sapiens?
Prima di procedere all’interno dello studio, è necessario ricercare alcuni significati profondi
che guidano la nostra ricerca e che sono necessari per strutturare le fondamenta su cui costruirne di
nuovi.
Prima di affrontare ciò che viene inteso quando si parla di tecnica, si rivela necessario dare
un possibile significato di ciò che si cela dietro al simbolico. Per farlo ci avvarremo del pensiero di
Lewis Mumford contenuto nel suo testo Arte e tecnica, e sostenuto, in parte, da studi affrontati dalla
studiosa statunitense Camille Paglia.
Abbiamo parlato di tecnica. Ma cosa si intende con la parola tecnica? Che significato ha in
senso esteso e, prima di tutto, come si rapporta al simbolico, suo predecessore, e allo strumentale
suo successore ?3
Innanzitutto cosa è un simbolo? Cosa è simbolico? Chiaramente non abbiamo nessuna
pretesa di coprire interamente l’estensione della ricerca che si apre ponendo domande simili.
Vorremmo però iniziare un percorso di indagine che ci aiuti a comprendere un significato di tale
parola — a noi così remoto — per poter anche solo intuire parzialmente ciò che vi si cela oltre. Ci
sarà utile, oltre che per cominciare a porci delle domande in tal senso, anche per aprire una veduta
su come la dimensione teatrale si inserisce nel nostro discorso, il quale propone dialoghi tra
molteplici discipline tra le quali l’antropologia, la teatrologia, la storiografia e la sociologia.
Il dibattito sulle origini dei tempi e della cultura sono materia specialistica di studiosi e
ricercatori di tutto il mondo. Interrogando l’enciclopedia Treccani online, si parla di simbolo come
“qualsiasi cosa, […] la cui percezione susciti un’idea diversa dal suo immediato aspetto sensibile.
Collochiamo la tecnica tra il simbolo e lo strumento, così come li presenta Lewis Mumford nel suo testo Arte e tecnica (Milano, 3
ETAS, 1980). L’autore lega il simbolo ad una dimensione ctonia dell’esistenza, in cui non vi è scissione tra il mondo naturale e il mondo umano. Un primo distaccamento vi è quando l’uomo comincia a violare i tabù degli dei non procurandosi più il cibo con le mani, ma attraverso l’utilizzo di utensileria che, tuttavia, deriva dalla natura e torna alla natura. Con strumento si intende l’ultimo stadio del processo, ovvero quando l’uomo comincia a produrre supporti e protesi di sé senza la base e senza l’orizzonte del mondo naturale in sè.
�8
L’originaria funzione pratica, prevalente ma non esclusiva, è sostituita dalla funzione
rappresentativa […]” 4
In questa descrizione si può notare come sia evidente lo spostamento che il simbolo crea tra
il contenente e il contenuto. In termini semiotici tra il significato e il significante . Uno spostamento 5
che mette in evidenza lo slittamento che crea distanza tra il presentare qualcosa ed il rappresentare
qualcosa. Presentare significa essere, rappresentare significa imitare. Questa definizione tuttavia non
soddisfa pienamente le nostre esigenze. Ci appare già soggetta al pensiero tecnico il quale tende a
non accettare la possibilità di una unione naturale poiché tende alla separazione come vedremo più
avanti. Interrogando il dizionario etimologico possiamo andare a scovare dei significati più
reconditi della parola simbolo.
In antico […] si disse Simbolo la «tessera hospitalitatis», cioè l’anello o altro contrassegno,
che suoleva rompersi in due pezzi, i quali conservati da due famiglie servivano poi sempre
alle persone ad esse attinenti per comprovare l’ospitalità data e ricevuta […]6
Questa definizione ci appare indispensabile da affiancare a quella data da Treccani poiché
mette in gioco un significato prima non inteso, ovvero quello di unione. Qualcosa viene diviso per
legare due parti. Ma quel qualcosa prima della scissione era unito in una forma unica, indissolubile
che, tuttavia, con la sua secolarizzazione subisce un processo tecnico di separazione, la quale rompe
l’unicità simbolica per renderla umana, razionale. La presenza improvvisamente diventa rap-
presenza.
Il concetto di presenza, e di molte sue possibili sfumature e significati, è sul tavolo di
discussione di molti luoghi di studio e ricerca. Il fatto che fosse sulle labbra e sulle penne di molti
ha fatto nascere l’esigenza di un suo studio sistematico che potesse diventare asse attorno al quale
Enciclopedia Treccani online, www.treccani.it, alla voce “Simbolo”.4
Patrizia Magli, Semiotica. Teoria, metodo, analisi, Padova (PD), Edizioni Marsilio, 2004.5
Dizionario etimologico online, www.etimo.it, alla voce “Simbolo”.6
�9
iniziare a porre interrogativi a discipline differenti, da un lato, e che unisse in un unico volume
alcune opinioni fino a prima disseminate, dall’altro. Il volume in questione è il numero 21 della
rivista “Culture Teatrali”, intitolato per l’occasione “On presence” . Il concetto di presenza si 7
articola e sviluppa attraverso molteplici discipline, le quali tuttavia sembrano attingere come fonte
ideologica e referenziale primaria a quella delle arti performative; del loro studio e osservazione
nell’oggi come nel passato. Affrontando il testo in questione sembra presentarsi a noi un’immagine
di presenza come di essenza. Una essenza che crea un legame con le intenzioni e le proiezioni
mentali di chi va attuando una determinata idea. Lo studio delle intenzioni come fulcro della vita
dell’essere umano e la loro analisi in funzione dei luoghi e degli effetti che crea negli altri esseri
umani crediamo possa essere centro di una ricerca più estesa che, tuttavia, in questa sede non
affronteremo e che ci limitiamo a suggerire.
Essere presenti significa, prima di tutto, essere. Ma l’essere, è necessariamente legato alla
presenza o possiamo immaginarlo anche come assenza? Hans-Thies Lehmann sembra pensarla in
questa maniera quando dice che “l’intensità della presenza è esperita ancora di più come assenza,
frattura, privazione; come perdita, violazione, impressione, mancanza, terrore.”8
A ben guardare, sono parole che possono essere applicate anche alle “visioni percettive” che
guidavano gli antichi attraverso la scoperta del mondo e dei suoi segreti e che, in maniere
meravigliosamente poli-espressive, si manifestavano in culti e rappresentazioni di quelle presenze
che li legavano con il mondo naturale attraverso una connessione di tipo simbolico.
Queste forme di presenza hanno probabilmente a che fare con l’idea di aura. Quell’aura che
circonda certe manifestazioni dello spirito che vengono spesso etichettate come “arte” , oppure che 9
diventano legame tra un frutto del mondo naturale ed un altro. “Seguire, in un pomeriggio d’estate,
Enrico Pitozzi (a cura di), On presence, n.21, in Culture Teatrali, Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, 2011.7
Ibid. P. 18.8
Da questo momento utilizzeremo la parola arte nel suo contesto primariamente performativo e successivamente musicale e 9
figurativo. Considereremo comunque tutte le sue accezioni.�10
una catena di monti all’orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra sopra colui che si riposa —
ciò significa ispirare l’aura di quelle montagne, di quel ramo.”10
Walter Benjamin in questo passaggio tratto dal suo saggio capostipite sulla riproducibilità
tecnica e delle sue conseguenze sullo spirito umano, parla del legame in-pressionante che si crea tra
i tre elementi che lo compongono: dei monti, una persona sdraiata all’ombra di un ramo, ed il ramo
stesso. L’immagine che sente colui che è sdraiato è un’immagine priva di descrizioni. È una
immagine tutta sentita e non vista, non spiegata e quindi non rappresentata bensì esclusivamente
manifesta. Si potrebbe pensare che la sinergia creata da questi tre elementi non sia altro che la
prossimità tra oggetti scientificamente spiegabili e facilmente scindibili e analizzabili
separatamente. Tecnicamente parlando questo è vero, ma l’emozione sentita da colui che sente
come un unico insieme quegli elementi facenti parte di realtà apparentemente separate, è il collante
che rende impossibile l’analisi di quella visione. L’ombra del ramo proietta sull’uomo sdraiato se
stessa, la quale trasporta e lascia vedere il profilo di montagne disegnate da raggi luminosi che
legano tutto (ogni elemento della visione) trasmettendo nel corpo di colui che è oggetto e soggetto
della contemplazione, vibrazioni emozionali che non possono essere slegate dall’energia liberata dal
momento.
Il concetto di aura sembra, nel discorso di Benjamin, legato in via indissolubile alla
peculiarità della sua unicità, vale a dire la sua impossibilità ad essere riprodotta tecnicamente,
scissa, disgiunta e, quindi, in una parola, può essere definita simbolica.
Ad un certo punto, però, dopo aver vissuto questa esperienza come in un luogo mitico,
lontano nel tempo e nello spazio; spazio indissolubile e irraggiungibile, perfetto e idilliaco anche se
caratterizzato da aspetti positivi e negativi che, tuttavia, vivono di una loro morale profonda, la
quale determina il trascorrere del tempo in un equilibrio senza tempo, l’uomo inizia a manifestare
una tendenza ad utilizzare i prodotti di quel mondo naturale.
Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 2000, p. 25.10
�11
L’utilizzare necessita di una utilità, e quindi di un bisogno presente o futuro. Possiamo
immaginare che prima si sia sviluppato il bisogno di soddisfare necessità contingenti e solo
successivamente, una volta appreso che quei prodotti erano sempre disponibili, sia nato il pensiero
di conservare o portare con sé un determinato oggetto, per poterlo utilizzare in un secondo
momento. Nasce la percezione del tempo e con lei la possibilità che il tempo sia dopotutto
scindibile e, in qualche forma, prevedibile. Se ciò è vero allora è possibile agire sull’ora,
sull’adesso, affinché qualcosa accada nel poi, nel dopo. Una sorta di senso di inspiegabile coscienza
dell’esistenza inizia a farsi strada, e nonostante non riesca a spiegare molti fenomeni naturali, riesce
ad aiutare l’uomo ad aiutare l’uomo stesso. L’homo nel neolitico scopre che può costruire
i contenitori — tazze, cesti e anfore — per la conservazione delle granaglie. Con la
conservazione del surplus, l’uomo creò la possibilità, per la prima volta, di pianificare in
anticipo, proteggendosi dalla bizze della natura e ottenendo il controllo sull’ambiente.11
Questa nuova forma di coscienza cambia radicalmente l’approccio con cui gli uomini
vivono la loro esistenza al mondo. Da quell’istante tutto cambiò, e ciò che prima era dettato e
governato dagli equilibri casuali della natura, ora può essere in parte gestito direttamente
dall’attività umana, dal suo lavoro e dalla sua capacità di programmarlo e gestirlo. Questa nuova
tipologia di attività non ha solo gettato le basi per l’economia contemporanea, ma anche per delle
nuove forme di educazione, di credenza, di fede e di riproduzione. Questo nuovo modo
programmatico di vivere la propria esistenza — e quella degli altri — è il primo passo verso una
vita di ordine tecnico e, quindi, strumentale.
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Oscar Mondadori, 2012, p. 17811
�12
Abbiamo affermato che tra la vita di tipo simbolico e quella di tipo strumentale ve n’è
un’altra, che è fondamentale per rendere attuabile proprio quella strumentale, ed è quella di tipo
tecnico.
Per affrontare questa parte dell’evoluzione umana, che caratterizza tutt’oggi il pensiero del mondo
occidentale, è necessario fare una piccola premessa che può apparire come fuorviante, è tuttavia
indispensabile indispensabile per contestualizzare a livello storico l’evoluzione della comunicazione
attraverso lo sviluppo delle capacità tecniche e strumentali.
Nel quarto millennio a.C. si cominciarono a formare, nelle grandi valli fluviali del Medio
Oriente e dell’Asia occidentale, le prime società agricole urbane fondate sull’irrigazione. Perché
questo dato è importante per noi? Lo è nella misura in cui in questa fase della storia gli uomini
hanno esponenzializzato quel processo che li ha portati da piccole tribù sparse per le foreste (ancora
in parte simboliche), ad unirsi per costruire grandi edifici ed estese città, che poi hanno portato alla
nascita degli imperi (tecnocratici). Ma come si è reso possibile questo passaggio così radicale?
Come era possibile organizzare tutto quel complicato sistema di delicata organizzazione civile e
sociale manifestata in un intricato complesso di lavori e mansioni? Attraverso la scrittura.
Praticamente ovunque siano nate complesse civiltà agricolo-idrauliche su vasta scala — in
Medio Oriente come in India, in Cina come in Messico, ecc. — finalizzate allo sfruttamento
dell’energia solare attraverso i naturali processi di fotosintesi dei cereali, l’uomo ha
inventato, in modo indipendente, una qualche forma di scrittura per organizzare la
produzione, la conservazione e le attività logistiche .12
La scrittura è stata l’attività che ha, per prima, su larga scala, iniziato l’uomo alle attività
scientifiche —poiché deterministiche — e, di conseguenza, lo ha allontanato dalla caotica realtà
Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Oscar Mondadori, 2010, p. 180.12
�13
naturale (dionisiaca, femminea ) per avvicinarlo sempre più a sovrastrutture, in senso marxiano, 13
squisitamente apollinee, mascoline.
L’uomo, con le sue sovrastrutture ha portato alla nascita e allo sviluppo dell’individuo (che
affronteremo più avanti). In questo modo ha dato spazio ad ansie e nevrosi che si manifestarono in
lui. La scissione e l’allontanamento dall’universo naturale, che è stato in grado di mettere in atto, lo
ha portato a distaccarsi dalla dionisiaca realtà simbolica che fino a qualche tempo prima lo
abbracciava. Improvvisamente gli sembra che il mondo che gli è attorno non gli basta più. Non è
più in grado di accettare le grandi energie e forze della natura. Non è più capace di aspettare risposte
da dèi e spiriti. Ora ha bisogno di cercarle da sé le risposte e, in una certa misura, di crearsele.
Ormai quello che prima era un riparo in una caverna naturale diventa un palazzo fatto di pietre e
mattoni di malta; quello che prima era una pioggia ora è irrigazione; ciò che prima era sole ora è
energia per le coltivazioni; e ciò che prima erano rapporti distribuiti e laterali ora sono gerarchici e
politici.
Tuttavia la nascita della scienza, come sovrastruttura, si può dire che è una forma di
rappresentazione della vita, anziché una sua presentazione poiché descrive le azioni e i meccanismi
che la vita muove. “La scienza è un metodo di analisi logica dell’azione della natura. ” Da quando 14
l’uomo si è scisso dall’azione della natura, ha generato in sé ansie, che a sua volta l’uomo (come
lato mascolino dell’essere) è stato in grado di nascondere, più che placare, attraverso lo studio
scientifico che, e non è casuale, fa perno proprio sulla possibile scindibilità del mondo e del creato.
L’apollineo a questo livello è completamente realizzato.
Da questo punto di vista ogni costrutto dell’uomo, a cominciare dall’alfabeto, per arrivare
all’erezione di grattacieli, è all’interno di una dimensione di ordine apollineo, tecnico.
Camille Paglia, Sexual Personae, Torino, Einaudi, 1993.13
Ibid., p. 8.14
�14
[la scienza] ha attenuato l’ansia dell’uomo riguardo al cosmo dimostrando la materialità
delle forze naturali e la loro frequente predicibilità. Ma la scienza è pur sempre un gioco a
mosca cieca. La natura infrange le proprie regole quando più le piace. La scienza
occidentale è un prodotto della mentalità apollinea: la sua speranza è che per mezzo della
designazione e della classificazione, per virtù della fredda luce dell’intelletto, la notte
arcaica possa essere respinta e debellata. Nome e persona sono parte della ricerca della
forma da parte dell’Occidente .15
Economia. Politica. Filosofia. Arte. Tutte discipline che possono rispondere al rifiuto della
natura da parte dell’uomo e dell’uomo da parte della natura, in quando figlie della separazione
tecnica post-simbolica. Dioniso, lo ctonio, subterreno, ora diventa Apollo, la superficie, e
l’intelletto. A questo punto non c’è più spazio per il culto del femmineo. La cultura delle arti e
dell’economia si fanno spazio a gomiti larghi, liberando l’uomo dai capricci atmosferici e dagli
svantaggi della geografia. La natura ora è tenuta e debita distanza. In realtà ciò non è
completamente reale poiché ciò che noi abbiamo presentato come una contrapposizione tra bianco e
nero vive di molte tonalità di grigio. Una realtà, nei suoi effetti, non può esistere senza il suo
contrario. Con il nostro ragionamento desideriamo estremizzare al massimo i significati così da
renderli più chiari. In questo modo è possibile notare delle tendenze generalizzate più che delle
verità specifiche.
In realtà nel periodo compreso tra IV millennio a.C. e il V secolo a.C., (lasso di tempo che
antecede la nascita della filosofia occidentale) in quell’area geografica compresa tra il Medio
Oriente e la Grecia, non è ancora così. Non completamente almeno. La grande scissione di cui
abbiamo parlato, in termini così radicali, è in realtà un prodotto a noi più vicino nel tempo: è figlio
dell’illuminismo settecentesco. Si è rivelato comunque necessario estremizzare il discorso affinché
risultasse più chiaro e così facendo la sua espressone risultasse meglio comprensibile. La realtà
Ibid. P. 9.15
�15
legata alle città, al controllo dell’irrigazione e degli allevamenti di cui abbiamo parlato, possiamo
indicarla dunque più vicina alla logica strumentale rispetto a quella strettamente tecnica. Lo
strumento nasce dall’uomo, attraverso l’uomo, e per uso e consumo dell’uomo soltanto, non
comprendendo più nell’equazione l’incognita della natura.
Ma a questo punto la domanda iniziale non ha ancora avuto una risposta soddisfacente. Che
cosa è la tecnica?
Abbiamo usato a più riprese il termine tecnica rimandando sempre il momento di una sua
spiegazione. Dobbiamo cominciare col dire che affrontare questo tema con la pretesa di esaurirlo
sarebbe segno di un atteggiamento pretenzioso. Ci limiteremo dunque a cercare di tracciare delle
linee che possano aiutarci a iniziare un percorso di comprensione di tale concetto che meriterebbe di
essere disciplina a sé.
Esiste un rapporto stretto tra tecnica e macchina (o strumento)? Sembrerebbe di sì. Fin da
quando l’uomo è andato in cerca di oggetti naturali sagomati col fine di utilizzarli per bere, cacciare,
scavare, tessere i tendini di animale, ha gettato le basi per la creazione di un mondo tecnico e ricco
di macchine. Il processo mentale di ricerca ed esplorazione della realtà per la ricerca di tali utensili
ha presto portato il cervello umano a voler creare da sé tali oggetti, per sfuggire alla vulnerabilità
della geofisica e del clima, con il risultato ingegnoso di miscelazioni tra tali oggetti naturali. Il
primo fra tutti sembra essere l’ascia. Un ramo con annessa una pietra levigata e, poi, legata con
tendini animali . Questa forma di costrutto antico è in realtà un oggetto dalla complessità notevole, 16
in termini di progettazione. Un ramo si è trasformato in una leva, una pietra in un utensile tagliente
e la gamba di un animale in un filo. Le trasformazioni di questi elementi naturali in elementi
artificiali ha ben presto messo in moto una rapido susseguirsi di ricerche e di incontri tra uomini che
desideravano ottimizzare l’oggetto artificioso che avevano tra le mani. In questa maniera
Lewis Mumford, Tecnica e cultura, Milano, il Saggiatore, 1961, p. 81.16
�16
i processi inventivi sono accelerati, è sorta una moltitudine di nuovi bisogni, le esigenze di
una vita in ambiente ristretto e di una limitata disponibilità di cibo portano a nuovi
adattamenti ed allo sforzo dell’ingegno, e nel momento stesso in cui si allontanano dalle
primitive condizioni gli uomini sono obbligati a trovare dei sostituti agli artifizi più rozzi
che avevano una volta permesso la loro sopravvivenza.17
In altri termini il pensiero tecnico, una volta avviato, è in grado di autosostenersi e, non solo,
è anche in grado di autoalimentarsi. La mentalità che risponde ad esigenze di ordine tecnico tende
ad innescare nell’uomo che la vive e non l’ha ancora compresa, una forma di pulsione profonda,
quasi ansiosa, e sicuramente laboriosa, di dover fare o, per meglio dire, produrre.
Possiamo dunque affermare che la tecnica è in realtà un prodotto? La risposa è no. La
tecnica è quella forma di pensiero avanzato che ha portato al bisogno e, successivamente, alla
realizzazione del prodotto. Quando si parla di tecnica e di separazione dal «mondo naturale» si ha
come l’impressione che sia una cosa negativa. Sembra che la profonda pulsione umana di ritorno ad
uno stadio primordiale, perfetto, naturale, con lo sviluppo tecnico decada o che, ancor peggio, sia
una strada da cui è impossibile allontanarsi. Un senso di angoscia generato dall’impossibilità di
azione improvvisamente nasce nella nostra mente, e l’unico modo per placarla temporaneamente
sembra essere proprio il fare, il creare, il produrre. Questo finché l’insoddisfazione per un prodotto
imperfetto non innesca altre scintille ansiose. Assumendo una posizione critica, diventa davvero
possibile credere che il mondo tecnico sia così negativo come lo percepiamo? Max Weber, il
sociologo tedesco che visse a cavallo tra il XIX e il XX secolo, sosteneva che
La tecnica di un’attività è la somma dei mezzi necessari al suo esercizio in
contrapposizione al senso o allo scopo dell’attività […] La tecnica razionale è la messa in
Ibid. Pp. 79 e 8017
�17
opera di mezzi orientati intenzionalmente e metodicamente in funzione di esperienze, di
riflessioni e di considerazioni scientifiche18
Nelle sue parole si può rilevare come l’obiettivo, le intenzioni dell’uomo determinino quello
che fa. Un uomo è in grado di concepire un’idea e, in seconda battuta, di maturarla. Ma siamo
tuttavia sempre in una dimensione astratta, mentale. Presupponiamo che la convinzione di questa
persona nei confronti della sua idea raggiunga picchi così elevati da persuadersi che sia in una
qualche maniera utile, funzionale all’uomo, ma non sa come concretizzare il suo pensiero. Costui
avrà il preciso compito di inserirsi all’interno di una mentalità progettuale; ovvero farà di tutto
affinché la sua visione trovi la via — o le vie — che la rendono tangibile . Se ci poniamo 19
all’interno di un’ottica simile ci risulta impossibile non considerare il prodotto, l’oggetto, creato dal
un essere umano come un «bene culturale» . Tutto ciò che viene realizzato, di fatto, ha dovuto 20
superare delle prove che lo hanno messo in crisi sotto molteplici punti di vista, soprattutto se inseriti
all’interno di un mondo industrializzato dove il prodotto prima di rendersi disponibile necessita di
superare molti step sia progettuali che esecutivi. E poi questi frutti artificiali che fine fanno?
Diventano esperienza. Spunti di riflessione e di analisi scientifica, in alcuni casi. Beni culturali
dunque. Un esempio si è avuto quando il “motore a vapore [suggerì] a Carnot le sue ricerche sulla
termodinamica” . Le leggi della termodinamica o «leggi dell’energia», va ricordato, sono quelle 21
che Einstein definì come le uniche in grado di superare il tempo senza essere rigettate o
modificate .22
La tecnica è un processo attraverso cui l’uomo può liberare sé stesso e liberando la sua
creatività migliora il suo rapporto con gli altri esseri umani. E questo tipo di immersione all’interno
Max Weber, Economia e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1968.18
Lucio Argano, Manuale di progettazione della cultura, Milano, FrancoAngeli, 2012.19
Laura Corti, I beni culturali e la loro catalogazione, Milano, Bruno Mondadori, 2003.20
Lewis Mumford, Tecnica e cultura, Milano, il Saggiatore, 1961, p. 69.21
G.T. Miller jr, Energetics, Kinetics and Life: An Ecologica Approach, Belmont (CA), Wadsworth, 1971, p. 46.22
�18
dell’esistenza umana fa si che la ricerca scientifica e tecnica non si esauriscano mai e, anzi,
continuino esponenzialmente ad estendersi, almeno in un regime teorico. In quello pratico non
sempre così. La tecnica è infatti soggetta ad un unico vincolo nel mondo a noi contemporaneo:
l’economia. Senza i finanziamenti, lo sviluppo tecnico rallenta inesorabilmente la sua corsa. E se
ciò può avere dei risultati positivi, legati soprattutto allo sfruttamento di capitali, tra cui quello
umano, è vero anche il contrario, e infatti tutti sono concordi a dire che
un paese che abbandona la Ricerca […] è colpito da una malattia mortale […] Limitare la
ricerca significa manifestare che è il cervello stesso della società a essere malato […] è la
speranza di sopravvivere che è stata colpita […]23
In questo senso l’uomo è in grado di esprimere nel migliore dei modi la sua realizzazione
personale legata non solo a sé, ma anche agli altri esseri umani, quando pone la sua capacità
tecnico-progettuale al centro della sua capacità creatrice, ovvero creativa. In una ricerca di Kroeber
e Kluckhon del 1952, atta a identificare e istituzionalizzare i campi della cultura, i due studiosi
individuano undici categorie distinte di cultura e, alla posizione numero dieci, si parla di cultura
come un “insieme delle tecniche per adattarsi al proprio ambiente di riferimento.” Aggiungiamo 24
che queste tecniche non solo servono ad adattarsi ma anche ad estendere, attraverso il proprio sé,
quelle tecniche trovate già concepite e confezionate all’interno del proprio ambiente di riferimento.
Di nuovo le intenzioni del soggetto sono alla base del progresso tecnico, poiché ognuno sceglierà a
quali dedicarsi per arricchire l’ambiente degli umani con la propria unicità.
Ci troviamo ora ad un punto critico della nostra ricerca, poiché è giunto il momento di porre
la domanda cruciale. Il computer è tecnica? E ancora, internet lo è?
Marie-José Chombart de Lauwe.23
Alfred Louis Kroeber, Clyde Kluckhohn, Culture: a critical review of concepts and definitions, The Museum, 1952, pg.118.24
�19
Andiamo con ordine. Prima di tentare di dare delle risposte è necessario sottolineare che nei
paragrafi precedenti i riferimenti erano legati all’individuo e, per estensione, ma in seconda battuta,
all’ambiente sociale di riferimento — soprattutto nei casi delle prime grandi forme di civiltà
aggregata. Facendo un salto di duemila anni arriviamo ad osservare, per le nostre future
considerazioni, la società industriale moderna e post-moderna a cui noi apparteniamo .25
Se nella civiltà composta da individui «naturali» è plausibile considerare un tipo di realtà
simbolica, ovvero che unisce e non separa; e se è vero che possiamo asserire che in quella dei clan e
delle tribù si ha una realtà che dà luce alla ragione tecnica; in quella delle grandi civiltà cittadine e
imperiali non è scorretto affermare che siamo in una realtà di tipo strumentale; quella in cui tutt'ora
il mondo Occidentale è oggi immerso. È sufficiente affermare ciò per spiegare la realtà sociale
sviluppatasi con l’idealismo settecentesco? La risposta è chiara. Avanzare una spiegazione simile
sarebbe alquanto riduttivo e privo di proprietà critiche. Dobbiamo allora cercare di affiancare un
altro tipo di spiegazione a quella precedente. Quali sono le caratteristiche sociali che hanno reso
possibile una affermazione così estesa e smaniosa della tecnica? E come possiamo definire una
società tale? Un situazionista come Guy Debord l’ha definita «società dello spettacolo» . La parola 26
«spettacolo» deriva dal latino «spectaculum» e genericamente sta a significare “tutto ciò che attrae
lo sguardo, la vista, l’attenzione.” L’ultima sfumatura di significato è quella che ci interessa di più, 27
poiché è consequenziale alla prima e alla seconda, oltre che essere applicabile a più sensi e non solo
a quello della vista. La società dello spettacolo ha per effetto dell’ideologia borghese ottocentesca la
rottura di ogni forma di prassi attraverso la moltiplicazione delle comunicazione; ogni momento
della nostra vita è diventato spettacolo, in ogni istante qualcosa deve attrarre la nostra attenzione e
noi, in una forma più o meno conscia, attiriamo costantemente l’attenzione altrui: il concetto di
spettacolo, quando non viene preso con leggerezza, è uno stile di vita completo. Ne deriva che
Scott Lash, Modernismo e postmodernismo, Roma, Armando Editore, 2000.25
Guy Debord, La società dello spettacolo, Viterbo, Massari, 2002.26
Dizionario etimologico online, www.etimo.it, alla voce “Spettacolo”.27
�20
quando non è preso seriamente (e quindi non viene compreso da chi lo attua) può generare una
forma di mancanza in sua assenza, la quale può generare forme di ansietà e di frustrazione; un vuoto
che deve essere colmato. L’azione più comune attraverso la quale la società occidentale riempie il
vuoto emotivo che prova è legato alla pratica del consumo. “Il consumo è spettacolo, e [così]
l’attività politica, il divertimento, il lavoro, la vita famigliare, la rivoluzione.”28
In questo orizzonte si colloca tanto il corpo sociale quanto quanto lo studio dell’individuo
che, nell’analisi della spettacolarizzazione, viene considerato all’interno del corpus sociale. E quale
è il fattore scatenate lo spectaculum sociale? È il mezzo tecnico. Il quale vive di una caratteristica
separatista e mediatica: i nuovi media sono frutto dello sviluppo tecnico e scientifico, e di pari passo
al progresso di uno segue il super-progresso dell’altro. Tuttavia non sono stati i media a provocare
la tecnica, ma il contrario.
Spesso però la società tecnica viene confusa con quella industriale. Per distinguere le due
tipologie sociali il politologo Zbigniew Brzezinski coniò il termine di società Tecnotronica . Nella 29
società industriale la macchina gioca un ruolo essenziale; la disoccupazione dilaga e i problemi
sociali dominano; l’Università è una Torre d’avorio isolata dal reale; la lettura è ideologica e
favorisce gli ideologi; le masse sono organizzate in sindacati; il potere economico è personale e la
ricchezza è l’unico obiettivo dell’attività. In una società Tecnotronica si può dire in contrario di ogni
singola parola. Vi è una crescita dei servizi; l’automazione sostituisce l’industria; al centro vi sono
le qualifiche; l’insegnamento è universale grazie alle tecniche di comunicazione; la conoscenza è il
mezzo d’azione attraverso cui rimpiazzare la ricchezza e l’Università è il «serbatoio di pensiero» 30
immerso nella vita concreta. Ellul suggerisce che Brzezinski, effettivamente, ha identificato molte
caratteristiche tecniche della vita sociale che dagli anni ’50 si protrae fino ai giorni nostri, se pur con
numerose riserve e diversificazioni. Tuttavia l’autore francese mette in evidenza che chiamarla
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 25.28
Zbigniew Brzezinski, La révolution technétronique, Paris Cedex (FR), Calmann-Lévy, 1971.29
Ibid.30
�21
società Tecnotronica porta con sé delle difficoltà ideologiche, poiché il termine sembra
un’ibridazione tra Tecnica ed Elettronica . Ma l’Elettronica, non è forse una tecnica? Ciò che vi è 31
di nuovo è che la Tecnica che una volta era legata alla Macchina come oggetto composto da parti
mobili, con l’Elettronica è legata a parti che sono fisse, ma sono comunque parti realizzate da
processi tecnici che compongono un oggetto tecnico figlio di tecniche. Il computer non ha motivo
per non essere inserito nel sistema tecnico poiché ne è solo un prodotto.
Fino a questo momento abbiamo esposto dati riscontrabili nella soggettiva realtà di tutti i
giorni. Ci rendiamo conto che presi come materiale grezzo possono istintivamente portarci a
scolpirli come oggetti negativi, che non possono avere caratteristiche positive, poiché se lo
pensassimo dovremmo accettare un cambiamento profondo nel nostro animo e nel nostro rapporto
con la tecnica che, come abbiamo visto, ci allontana dalla natura. Ci riserviamo il diritto di prendere
distanza da un pensiero simile e di provare a mostrare come all’interno di questa apparente oscurità
opprimente ci possa essere anche della flebile e tremolante luce che, se coltivata e presa e con gli
strumenti adatti, può diventare una radiazione accecante e, in qualche forma, liberatrice.
Fin dalle prime battute di questa nostra trattazione abbiamo collocato la tecnica tra i due
estremi che sono l’universo simbolico e l’universo strumentale, mettendo il simbolo al principio, e
lo strumento, come prodotto del divenire storico, che passa attraverso un pensiero di tipo tecnico,
alla fine. E se anche solo per un istante prendessimo in considerazione la possibilità che il vettore
che lega le tre realtà non sia rivolto esclusivamente dal principio verso la fine ma che, data l’epoca
profondamente tecnica (ovvero a metà tra le altre due) che stiamo vivendo, possa essere rivolto in
senso opposto? Se credessimo possibile che ciò che ci ha portati ad essere un «villaggio globale» 32
composto da strumenti è anche ciò che ci può far riavvicinare come non mai alla realtà simbolica ri-
composta da natura?
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 26.31
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, il Saggiatore, 2008, p. 52.32
�22
Ci sono due tipologie di tecniche che storicamente hanno cambiato la storia dell’umanità.
Quelle di ordine energetico e quelle di ordine comunicativo. Nel XIX secolo le ricerche in ambito
scientifico e filosofico hanno iniziato a sviluppare un pensiero che, più o meno direttamente, sono
state capaci di considerare le due sponde separate, come un possibile tutt’uno che porta in sé un
unico fiume, un unico pensiero. Contemporaneamente alla considerazione dell’essere umano come
un surrogato della macchina industriale, nasce l’idea che l’uomo che lavora, è energia . Sappiamo 33
che ogni forma di vita comunica con i suoi simili (e spesso anche con razze diverse), tuttavia
sappiamo anche che l’unico animale che ha costruito un sofisticato sistema di codici mutevoli,
completamente artificiali, è l’uomo. L’uomo è l’unico animale che per ora ha sviluppato tecniche
sofisticate, nel senso che si distaccano da quelle naturalmente fornite, soprattutto in numero così
elevato.
Nel corso della storia umana ci sono state molte invenzioni e scoperte che hanno modificato
profondamente l’essere dell’uomo, ma che utilizzano l’energia per estendere la comunicazione, e
che sfruttano la comunicazione per estendere le capacità energetiche (anche indirettamente), non
sono così numerose. Possiamo identificare lo sviluppo della scrittura, l’invenzione della stampa a
caratteri mobili, la scoperta dell’energia elettrica, consequenzialmente l’invenzione del televisore,
del computer e di internet. Straniandoci da queste tecnologie e osservandole come una cartina
geografica, quali relazioni vediamo tra esse?
Possiamo notare che
Una tecnica, la stampa, ha dato vita a una civiltà, la televisione, come McLuhan ha
dimostrato, modifica il campo cerebrale; un’altra, in computer, ci fa passare dalla cultura
dell’esperienza a quella della conoscenza.34
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Mondadori, 2012, p.183.33
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 99.34
�23
Esiste una relazione tra le tecniche individuate, ed è la modificazione del sistema culturale di
riferimento. L’autore parla di “campo cerebrale” solamente in riferimento alla televisione, e questo
perché è l’oggetto tecnico che per primo ha sancito l’inizio di un’era in cui le persone hanno
generato un’affezione individuale nei confronti di un oggetto tecnico-industriale, cambiando
profondamente loro altre affezioni e i loro legami con le altre persone; in primis quelle che
compongono in nucleo famigliare. È tuttavia inopinabile che anche le altre scoperte e invenzioni
precedentemente esposte hanno rifondato i rapporti tra esseri umani, il loro modo di comunicare e
di conseguenza il loro orizzonte culturale.
La stampa ha permesso un enorme accumulo secolare di informazioni che, per lo più, non
sono gestibili né da un individuo né da una micro società e neanche da una società più estesa.
Questo perché potenzialmente ogni persona può accedere alla stampa e usufruirne per arricchire la
società in cui è inserito, mentre gli altri componenti sono impegnati a smaltire e far maturare le
informazioni precedentemente ricevute. In un sistema simile è facile andare in crisi da
sovrapproduzione di informazioni. Ma probabilmente questo è un problema che sta alla base di ogni
sviluppo tecnico e tecnologico.
Tuttavia ad un certo punto della storia la mente umana si è rivelata capace di inventare una
macchina, “la macchina di Turing”, quella che noi oggi chiamiamo personal computer. Il principio
che vi sta alla base è molto semplice: essere in grado di elaborare milioni di informazione al minuto,
molte più di quanto un qualunque cervello, nella sua parte cosciente, sia in grado di immaginare.
Questo tipo di invenzione, con questo obiettivo, è capitata esattamente quando l’uomo stava sempre
più avvicinandosi alla crisi nella gestione delle informazioni. Intorno alla metà del secolo scorso
l’uomo, liberando sempre più sé stesso dalle catene di imposizioni sociali ed estranee a lui come
individuo, ha generato sempre più sapere. Non solamente proprio, soggettivo e appartenente ad un
solo territorio, ma sempre più nazionale e internazionale. A questo punto della storia tutti avevano la
possibilità di leggere libri americani, francesi, inglesi, tedeschi, italiani e in altre decine e decine di
�24
lingue; la stampa aveva dato all’uomo una enorme memoria collettiva ingestibile dal singolo
individuo.
Il computer è diventato un collegamento tra la memoria collettiva e l’individuo.
Improvvisamente il singolo era in grado di scoprire l’esistenza di beni culturali fino a prima
sconosciuti. Il problema in questione però non è solo in termini di quantità di dati, ma anche della
loro qualità. Fin da subito ci si è resi conto che prima dell’avvento del computer l’uomo poneva i
problemi in ordine di grandezza, funzionali alle possibilità della loro risoluzione cerebrale presente,
e futura; il tutto però a misura di cervello umano. Il computer ha permesso di ragionare sui
problemi, poiché le domande a cui è possibile cercare risposta sono svincolate dalla limitatezza del
cervello umano cosciente e quindi possono iniziare a interrogarsi tangibilmente su questioni
imprevedibili e inaspettate, come durante una camminata in un bosco. Le domande a cui ora si cerca
risposta sono di tipo astronomico, atomico, chimico, biologico, medico e quindi filosofico. Ma
queste, dopotutto, non si collocano nello stesso orizzonte dentro cui si ponevano quelle alchemiche,
religiose, spirituali e “artistiche” secoli prima? Sotto questa luce sembra che l’uomo non sia del
tutto capace di distaccarsi definitivamente dal mondo naturale pur essendo che il suo pensiero sia, e
ora possiamo affermarlo, quasi completamente tecnico.
L’oggetto tecnico, pensato e costruito dall’uomo, non si limita solo a creare una mediazione
tra uomo e natura: è un misto stabile di umano e naturale, contiene dell’umano e del
naturale, conferisce al proprio contenuto umano una struttura simile a quella degli oggetti
naturali, permette l’inserimento nel mondo delle cause e degli effetti naturali della realtà
umana.35
Non va dimenticato però che il pensiero tecnico diventa una forma di realtà attraverso cui
osservare e percepire il mondo circostante. La storia mitica, simbolica, magica che erano un’unica
presenza esistenziale nell’uomo del passato, con il pensiero tecnico diventano singoli fili di un
Gilbert Simondon, Du monde d’existence des objects techniques, Paris, Éditions Aubier-Montaigne, 1958, in ibid. p. 56.35
�25
tessuto più esteso. La tecnica, quando si sviluppa completamente, diventa così l’unica lente
attraverso cui osservare il mondo, ne permette una visione tanto generica quanto puntuale e
dettagliata, quando allenata a dovere, proprio in virtù del suo legame indissolubile che ha con la
natura.
Il mondo non viene più lasciato al caso. Le relazioni umane non sono più solo casuali. Ogni
aspetto della vita, anche quella tradizionale e simbolica, necessita di chiarimento e spiegazione. Non
è più sufficiente vivere dei momenti senza porsi delle domande che ne spieghino i significati.
Tuttavia l’esistenza non si può limitare ad una analisi di questo tipo, sistemica e razionalizzata. In
un mondo tecnico è necessario imparare a dominare questo aspetto indissolubile della vita e
connetterlo, non appena lo si ritiene necessario, a quello naturale, caotico, artistico. È una forma di
convivenza degli opposti, nuova, e ancora in parte da scoprire e inventare. Diciamo “in parte”
perché alcune invenzioni (possiamo ancora chiamarle così a questo punto o sarebbe meglio
chiamarle scoperte?) si sono avvicinate alla sintesi tra i due lati della stessa medaglia. Internet è una
di queste.
Le parole di Simondon sopra citate, scritte in anni in cui la rete web ancora non esisteva in
nessuna sua forma, possono essere usate come filtro attraverso cui osservare internet? In altre
parole, internet è un oggetto tecnico?
Si, lo è. L’oggetto tecnico serve ed estendere alcune possibilità e caratteristiche riscontrabili
in natura e soprattutto nella natura umana, che ne è creatrice sia a livello concreto che astratto.
Sappiamo che non è possibile circoscrivere l’esistenza umana ad una sola caratteristica — e sarebbe
ingenuo cadere in un tranello simile — tuttavia possiamo interrogarci intorno alla domanda che un
individuo può porsi come fondamenta su cui basare ogni futura scelta: “Mi ritengo un individuo
distaccato dall’universo sociale e quindi ogni mia scelta la faccio esclusivamente in funzione del
mio benessere; oppure ritengo di dover estendere il mio essere per me stesso, e per gli altri,
socialmente?” Noi appoggiamo la seconda affermazione. Una risposta esclusivamente individualista
rischia, a nostro avviso, di sfociare in forme egoistiche che possono creare scontri, anche violenti,
�26
oltre che gerarchie, giudizi acritici, estremizzazioni ed una visione della realtà troppo razionale e, in
alcuni casi, nevrotica . Oltretutto è dimostrato che l’uomo non è mai stato — poiché la sua natura 36
non lo permette — un animale naturalmente schizofrenico, diviso (dagli altri). È dimostrato che la
razza umana è unita, simbolica nei confronti dei suoi simili, empatica; e l’empatia è il fondamento
su cui si costruiscono le società complesse . In una parola l’uomo, ancor prima di essere sapiens, 37
faber, e tecnico è homo empaticus .38
Il termine empatia è stato studiato scientificamente fin dai tempi di Darwin interessando 39
presto molti campi della conoscenza tra i quali, ovviamente, quello artistico che ha arricchito gli
studi internazionali sull’empatia attraverso Wilhelm Worringer agli inizi del secolo passato. 40
Tuttavia solo negli ultimi anni sta assumendo un valore di tipo esistenziale attraverso cui ripensare
l’intera storia umana e rifondare la vita soggettiva, prima, e sociale, poi. Gli studi in tal senso si
moltiplicano minuto dopo minuto. Ci limitiamo di ricordare le pubblicazioni di Giacomo
Rizzolatti in abito scientifico, di Gabriele Sofia in ambito teatrale, di Andrea Pinotti in quello 41 42 43
artistico e Jeremy Rifkin in quello filosofico-economico, il quale autore sembra esser colui che ha
coniato il termine homo empaticus .44
L’uomo dunque è un animale sociale e le ricerche che si concentrano su questo tema non
possono non essere interessate a trovare le caratteristiche essenziali, basiche, dell’essere umano
Erich Fromm, L’arte di amare, Milano, Oscar Mondadori, 1963, p.51.36
Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Oscar Mondadori, 2010, p. 41.37
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Oscar Mondadori, 2012, p. 269.38
Charles Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.39
Wilhelm Worringer, Astrazione e empatia. Un contributo alla psicologia dello stile, Torino, Einaudi, 1975.40
Giacomo Rizzolatti, Lisa Vozza, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Bologna, Zanichelli, 2008.41
Gabriele Sofia (a cura di), Dialoghi tra teatro e neuroscienze, Roma (RO), Edizioni Alegre, 2011.42
Andrea Pinotti, Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano, Roma-Bari, Editori, Laterza, 2011.43
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Oscar Mondadori, 2012, p. 269.44
�27
stesso. Gli studi umanistici sono quelli che, quasi per antonomasia, si occupano di queste ricerche.
Da qualche anno però gli studi sulla tecnica e sulla tecnologia (intesa come l’abbiamo mostrata in
precedenza) sta entrando energicamente nel settore legato all’uomo.
Studiando e interessandosi profondamente al funzionamento umano individuale e, quindi,
sociale, il pensiero tecnico è stato capace — per primo — di mettere insieme molte ricerche
appartenenti a differenti discipline e a farne virtù quasi immediatamente. Tuttavia all’interno di
questa enorme possibilità che l’uomo moderno ha avuto (e ha), si è fin da subito inserito il virus
capitalistico del guadagno senza ritegno alcuno. I risultati sono conosciuti: sfruttamento, consumo,
disumanità, persuasione, paura, controllo ; e queste sono solo alcune conseguenze che portano alla 45
disumanizzazione dell’uomo . Ma qual’è il filtro attraverso cui tutto ciò si rende possibile? Il filtro 46
tecnico legato ai media. La stampa, la radio, la televisione e, in parte, internet. Osservando da vicino
questi mezzi di comunicazione, la cui funzione primaria è quella di essere freddi , come 47
magicamente, e immancabilmente, si trasformano in «mezzi caldi». Quando un mezzo tecnologico
è freddo ha per riflesso il calore dell’uomo a cui si rivolge; al contrario quando un mezzo
tecnologico è caldo raffredda l’uomo che vi si pone davanti. Quando un soggetto si scalda, in realtà
quello che fa è rimanere vigile, attento, il suo interesse emotivo e razionale non solo è attivo, ma in
crescita e sviluppo. L’esatto opposto si verifica laddove il mezzo si dimostri caldo, come la
televisione ad esempio. Bisogna però sottolineare che nessun medium tecnologico è, di per sé, caldo
o freddo, lo diventa in base all’utilizzo che ne si fa o, per meglio dire, l’utilizzo che ne fa chi ne crea
i contenuti e chi questi contenuti li distribuisce. Ogni forma di comunicazione che riesce ad arrivare
al grande pubblico, quando non è cosciente e matura, per dirla in termini frommiani, cade nella
fascinazione della persuasione col fine economico-pubblicitario. Ciò che si verifica è una
spettacolarizzazione sempre più estrema che ha come unico obiettivo quello di attirare attenzione e
Vance Packard, I persuasori occulti, Torino, Einaudi, 2005.45
Erich Fromm, L’arte di amare, Milano, Oscar Mondadori, 1963, p. 87.46
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, il Saggiatore, 2008, p. 42.47
�28
sedimentarsi nelle menti degli astanti che ha un fine unico: quello di vendere il proprio contenuto
che a volte si palesa in un oggetto concreto, altre invece in ideologie, in musica, in immagini, le
quali vengono trattate — e percepite — come oggetti reali. “L’uomo moderno assiste a tutto come
spettatore. Tutto gli viene sottoposto come spettacolo, compreso ciò a cui pensa di partecipare in
modo più serio.”48
Tutto viene considerato sullo stesso livello. Si parla di politica nella stessa maniera in cui si
parla di cibo; si osserva un dialogo filosofico come un’informazione di cronaca rosa. Ogni
fenomeno diventa semplicemente oggetto, perché viene inserito in una scatola di spectaculum
continuo. Una realtà simile spersonalizza l’uomo — anche nel suo lavoro — alienandolo e
rendendolo straniato da sé stesso e quindi dalla vita . Un grande psichiatra (troppo spesso 49
dimenticato) quale è stato Erich Fromm, all’interno delle sue ricerche e studi — non dimentichiamo
che era uno degli scienziati della mente presenti ai Processi di Norimberga — ha sempre cercato di
dare spiegazione a molte delle nevrosi e psicosi che colpiscono una altissima percentuale
dell’umanità occidentale, e non solo, mettendone in evidenza le pulsioni biofile e quelle necrofile. In
suo studio attorno alla qualità e alla funzione dell’amore si chiede anche cosa accade all’uomo
«spettacolarizzato» che, molto spesso, diventa «capitalizzato» e schiavo di una routine che non gli
appartiene più. Riportiamo di seguito l’interezza del discorso frommiano così come lo ha concepito
l’autore.
[L’uomo] è stato trasformato in un oggetto, sente le sue forze vitali come un investimento
che gli deve dare il massimo profitto ottenibile alle condizioni di mercato del momento. Le
relazioni umane sono essenzialmente quelle degli automi, ognuno dei quali basa la propria
sicurezza tenendosi vicino al gregge e non divergendo nel pensiero, nei sentimenti o
nell’azione. Mentre ognuno prova a essere il più vicino possibile agli altri, ognuno rimane
disperatamente solo, pervaso da un profondo senso di insicurezza, ansia e colpa, che
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 25.48
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 2004, p. 66.49
�29
sempre si verificano quando la separazione umana non può essere vinta. La nostra civiltà
offre molti palliativi che aiutano la gente a essere «coscientemente inconscia» di questa
solitudine: primo fra tutti la stretta routine del lavoro meccanico, burocratico, che aiuta la
gente a restare inconscia dei più fondamentali desideri umani, del desiderio di trascendenza
e di unità. Finché la routine da sola non ci riesce, l’uomo supera la propria inconsapevole
disperazione mediante la routine dei divertimenti, della consumazione passiva dei suoni e
delle immagini offerti dall’industria del divertimento50
Abbiamo ritenuto necessario trasporre interamente le parole dell’autore per sottolinearne la
profondità e puntualità. Riassumendo possiamo affermare che l’uomo che non è un individuo
«maturo» non comprende la realtà meccanica e spettacolarizzata che lo circonda e quindi rischia di
precipitare in ansietà e nevrosi che lo portano ad allontanarsi dal «desiderio di unità» rinunciando
alla vita. Tuttavia l’uomo moderno non è disposto ad accettare questa sua condizione, e quindi
spesso si lascia abbagliare dalla luce delle parole di chi lo vuole tenere in ombra che possono
essere: «Mai rimandare il divertimento che potete avere oggi» oppure: «Tutti sono felici al giorno
d’oggi» (queste frasi sono tratte da un libro di Huxley pubblicato per la prima volta nel 1932).51
In questa condizione l’uomo vive sempre più una realtà falsata, spostata, e creata dalla
Tecnica (dello spettacolo) la quale portando alla nevrosi del consumo, rende ogni forma concreta di
realtà puro astrattismo che ben presto si trasforma in apparenza. Tutto il meccanismo (o struttura, o
contenuto) è celato. Nel processo di spettacolarizzazione ciò che conta per davvero è
l’impressionarsi, la mirabilia. Una tendenza che oggigiorno si fa sempre più comune è quella di
spettacolarizzare il più possibile anche la vita intima dell’individuo, quella che viene chiamata
relazione corta. Con il telefono e il telegrafo le relazioni lunghe — quelle che uniscono l’umanità
— si sono tecnicizzate e presto hanno assunto una forma di scontentezza che appare come
appagante nella mente umana. Chi di noi non si è emozionato nel sentire come vicina una persona
Erich Fromm, L’arte di amare, Milano, Oscar Mondadori, 1963, p.87.50
Aldous Huxley, Il mondo nuovo / Ritorno al mondo nuovo, Milano, Oscar Mondadori, 1961.51
�30
cara che è lontana? Ma questo appagamento non è altro che una forma fuggevole di felicità, la quale
crea forte dipendenza se non compresa e controllata. Fino a quando il mezzo tecnico era l’unico
filtro tra le persone (distanti) il problema era relativo poiché circoscritto, e quindi le forme più
essenziali e basilari dei rapporti umani (le relazioni corte), uscivano in qualche modo illese da
questo nuovo conflitto tra tecnica e uomo. Ma ad un certo punto l’interesse nei confronti
dell’individuo ha avuto la meglio e così è arrivata prima la televisione, poi il personal computer, il
telefono cellulare e lo smartphone. È palese che lo spostamento d’attenzione dalle relazioni lunghe
a quelle corte da parte delle aziende può avere interessi di tipo economici, ma non vorremmo in
questo modo banalizzare un discorso che ha implicazioni più profonde e articolate.
In precedenza abbiamo introdotto il tema dell’empatia. Ma non abbiamo presentato
attraverso quali meccanismi l’empatia può essere innescata in un essere umano. Vi sono più punti di
vista attraverso cui affrontare il problema. Il primo ci arriva dalle neuroscienze, attraverso lo studio
nei neuroni specchio direttamente dagli scopritori di questa particolare tipologia di neuroni: 52
Giacomo Rizzolatti e team; il secondo, invece, proviene dall’ambito economico-filosofico attraverso
Jeremy Rifkin.
I neuroni specchio, riassumendo, sono una particolare tipologia di neuroni che si trova nel
cervello di molte specie animale — tra cui l’uomo — e ha la caratteristica di «accendersi» nel
momento in cui un soggetto percepisce attraverso i sensi il manifestarsi dell’esistenza altrui. Non
solo, i neuroni specchio che si accendono sono gli stessi che si accenderebbero se fosse il soggetto
stesso a praticare l’azione in questione. In questo modo è stato dimostrato scientificamente che
l’uomo ha la capacità di «connettersi», o entrare in sintonia, con un altro uomo solamente
percependolo. In altri termini potremmo dire che entra in empatia con l’altro soggetto. Ma da quale
meccanismo della coscienza l’empatia ha modo di manifestarsi?
Giacomo Rizzolatti, Lisa Vozza, Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale, Bologna, Zanichelli, 2008.52
�31
Partendo dal grado zero dell’essere, possiamo affermare che ogni forma di vita è unica e, in
termini generici, irripetibile. È quindi un gran sforzo di energie cercare di dimostrare il contrario,
nonostante sia riconosciuto che esistono delle caratteristiche, non peculiari, che possiamo osservare
in individui differenti. Ma la maggior parte di queste caratteristiche fanno parte di una
sovrastruttura, non simbolica, dell’animo umano, quale è ad esempio un prodotto tecnico come lo
abbiamo percepito, storicamente, finora. Se accettiamo questo assunto possiamo accettare anche che
ogni persona si relaziona ad un’altra persona in maniera del tutto unica e soggettiva. Riprendendo la
metafora della città utilizzata in apertura possiamo dire che se un uomo sapesse esattamente come
relazionarsi con un altro uomo sarebbe come se ci si trovasse in una città della quale sappiamo
esattamente dove ogni strada porta. Ma non è così quando si parla di relazioni umane, e quindi la
persona in questione è come se fosse smarrita, perduta, e non sa bene da che parte cominciare a
muoversi per evitare di fare troppi danni. Ecco, la coscienza empatica si costruisce esattamente su
questo tipo di smarrimento.
Quando empatizziamo con un altro, ci facciamo testimoni della strana, incredibile forza
vitale che è in noi e che ci connette agli altri esseri viventi. L’empatia, dopotutto, non è che
il senso di profonda reverenza che proviamo per quello che definiamo con in nebuloso
termine di «esistenza». Anche se non siamo certi di cosa sia l’esistenza, e faremmo fatica a
spiegarlo, «la riconosciamo quando la sentiamo», e ci ispira un senso di smarrimento
perché è misteriosa e ci sopraffà.53
Questo senso di smarrimento, di fascinazione verso il misterioso e il terreno (lo ctonio), non
è forse quello che ha fatto nascere nell’uomo il senso della fede, dello spiritismo, della magia,
dell’immaginazione e dell’arte? Una situazione statica tende a rimanere statica finché un agente
esterno non la disturba; il mondo e la natura non sono né statici né privi di espressività, e l’uomo è
stato in grado di percepirne l’energia e di trasformarla in smarrimento poiché incompresa.
Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Oscar Mondadori, 2010, p. 158.53
�32
In questo processo l’uomo ha scoperto quella che prima abbiamo chiamato mirabilia,
ovvero la capacità di meravigliarsi e stupirsi. Tutto sta nel comprendere verso cosa l’uomo prova un
interesse tale da generare in lui emozioni così positive, e perché. Potremmo sintetizzare dicendo che
in tempi antichi il suo interesse era rivolto verso la natura e, col passare dei secoli, questo interesse
si è spostato verso la Tecnica. Ammettendo che sia vero, ci sentiamo di demonizzare l’uomo perché
ha spostato la sua capacità di meravigliarsi da un universo naturale ad uno artificiale a sfondo
naturale? Lo faremmo, ma solo a fronte di una dimostrazione che l’uomo in questo spostamento ha
perso la sua capacità di smarrimento empatico e quindi di meraviglia.
Sappiamo che l’empatia è impossibile senza immaginazione; e l’immaginazione è
impossibile senza meraviglia; e la meraviglia è impossibile senza lo smarrimento.
L’empatia rappresenta la manifestazione più profonda del senso di smarrimento di fronte
alla vita e, comprensibilmente, è considerata la più spirituale delle attività umane.54
L’uomo non può esistere senza empatia, quindi è superfluo avanzare una tesi che cerchi di
mostrare l’uomo come una macchina, perché non può diventarlo. L’essere umano simbolico è
quello che vive una vita a regime con la natura, quello moderno vive una realtà individuale che ne
complica l’esistenza . Ma senza questa presa di considerazione l’uomo moderno è passivo per 55
scelta, per non curanza del momento storico da lui vissuto, e quindi la sua vita sarà una vita divisa
tra un desiderio di fuga e l’impossibilità di questa fuga. L’uomo moderno non è semplicemente un
uomo che vive inconsciamente di tradizioni, con più potere d’acquisto e di consumo. Una
constatazione simile considera l’individuo passivo e privo di ogni possibilità di movimento e scelta
della propria vita; nulla di più lontano dalle possibilità della vita moderna. Il tentativo di sostenere
che si possa dire all’uomo di ridurre la propria produzione e di vivere dello stretto necessario per
Ibid.54
Alcune di queste considerazioni sono state affrontate da Claude Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 55
1998, p. 229, e dello stesso autore si veda anche Il pensiero selvaggio, Milano, Il Saggiatore, 2015. La differenza tra il pensiero antico e quello moderno è stato studiato anche da Roberto Tessari, Teatro e antropologia. Tra rito e spettacolo, Roma, Carocci, 2004, pp. 15-16.
�33
tutti è anacronistico, ma fondamentale come base su cui costruire l’enorme produzione tecnica e
alimentare affinché si possa avere un mondo più paritario e rispettoso nei confronti delle comunità
globali, sia quelle più industriali che quelle tradizionali.
L’imponente sviluppo tecnico genera una serie di trasformazioni nell’individuo — e quindi
nella società — che quando riescono ad essere comprese e governate dall’individuo stesso sono
tutt’altro che false o artificiali (ovvero generate dall’esterno). Sostenere il contrario significa
sostenere che il genere umano è fisso, bloccato e non mutevole, e significa non dare la giusta dignità
all’individuo. A volte i bisogni tecnici sono inventati, e quindi non meritevoli di considerazione,
altre invece sono scoperti, e allora sono meritevoli di entrare a far parte delle nostre vite e a questo
punto è in atto una rivoluzione. Tra questi vi sono sicuramente la stampa, le scoperte tecniche in
abito artistico, artigiano e al giorno d’oggi anche informatico; insomma tutte quelle forme tecniche
che permettono all’uomo di coltivare il «terzo settore» : tutte quelle attività non a scopo di lucro e 56
non governative tra cui, ovviamente, l’auto-cultura e l’arte e quindi il teatro.
Una idea simile è però figlia degli ultimi anni in cui le attività informatiche — come ad
esempio internet — stanno sfondando delle barriere che, fino a qualche decennio fa, non avrebbero
potuto per una serie di limiti ideologici frutto di un secolo guidato da guerre e meccanismi
energetici necrofili fondati su petrolio ed energia nucleare. In questo ambiante anche un pensatore
come Jacques Elull (Il sistema tecnico, 1977), da noi preso in causa a più riprese, è stato capace di
affermare che
I divertimenti, le distrazioni, la loro organizzazione, non sono un superfluo facilmente
eliminabile a vantaggio di qualcosa di più utile, non rappresentano un reale innalzamento
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Oscar Mondadori, 2012, p. 301.56
�34
del livello di vita: […] tutto ciò che lo sviluppo tecnico provoca può essere tollerato solo se
l’uomo trova compensazioni a un altro livello.57
E ancora:
I gadget sono indispensabili per tollerare una società sempre più impersonale, i rimedi sono
necessari agli adattamenti, ecc. L’orientamento del potere produttivo verso prodotti
considerati di lusso o superflui deriva più da necessità fortemente avvertite dall’uomo che
vive nell’ambiente tecnicizzato che da un desiderio capitalista di profitto o da un insieme di
bisogni anormali.58
Una considerazione simile appare ai nostri occhi come insostenibile. È una considerazione
“a volo d’uccello” sopra l’elemento che compone la società: l’individuo. Non vi è la minima fiducia
e considerazione attiva nei confronti di chi vive la propria vita. Siamo consci che la Tecnica può
portare anche a questo quando rimane esterna alla vita, nel senso che non ne viene compreso il
contenuto simbolico, quando vi è; sappiamo anche che l’uomo è però capace di una comprensione
tale. Ogni essere umano, fin da bambino, prova una profonda fascinazione nei riguardi della tecnica,
ed è in questa fase che il suo interesse va coltivato ed esteso facendone comprendere pericoli e
virtù; in questo modo il suo diventerà presto un pensiero critico, in grado di leggere i forti contrasti
del villaggio globale da noi vissuto senza rimanerne esterno e quindi allontanando il più possibile
da sé la possibilità di una vita espropriata. Ricordiamo che la Tecnica si fonda su meccanismi e
percezioni naturali, quindi l’universo naturale non si può escludere dall’equazione perché
il mondo del bambino è fresco e nuovo e bello, pieno di meraviglie e di eccitazione. Qual’è
il valore della conservazione e del rafforzamento di questo senso di stupore e meraviglia, di
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, pp. 87-88.57
Ibid. p. 88.58
�35
questo riconoscimento di qualcosa che travalica i confini dell’esistenza umana?
L’esplorazione del mondo naturale è solo un modo piacevole di trascorrere le ore dorate
dell’infanzia o c’è qualcosa di più profondo? Sono certa che ci sia qualcosa di più
profondo, qualcosa di duraturo e significativo. Chi contempla la bellezza della terra trova
riserve di forza che dureranno finché durerà la vita.59
Dal 1998 ad oggi sono passati quasi vent’anni, e in questi decenni abbiamo visto la nascita
di prodotti e ideologie legate alla Tecnica che hanno completamente rivoluzionato il nostro modo di
pensare e vivere. La sintesi tra la contemplazione del mondo naturale e lo studio di quello artificiale
è probabilmente la via che si sta aprendo davanti a noi; in termini sociali sarà una sintesi tra
l’approccio tradizionale e quello avanguardista dove quello tradizionale considera il sapere un
potere da utilizzare per il guadagno personale, mentre quello avanguardista, in continuo mutamento
ed evoluzione, valuta il potere legato al sapere come espressione della responsabilità condivisa, che
converge in una forma di empatico benessere dell’umanità e del pianeta nel loro complesso . Il 60
sapere come potere legato al guadagno, da personale diventa sociale.
La rivoluzione che è in atto è prima di tutto una rivoluzione culturale, con tutti i significati
nebulosi che questa parola porta con sé. Le trasformazioni sociali comportano inevitabilmente una
trasformazione culturale in termini. Quello che prima era nato per essere duraturo come manufatto e
che con sé portava una riflessione che si sarebbe moltiplicata negli anni, oggi nasce per soddisfare
bisogni immediati e mutevoli anch’essi. Non necessariamente però. Perché la differenza tra
consumo e libertà di acquisto sta nel comprendere — e nell’affrontare — le pulsioni che vi sono
alla base. Il cambiamento delle relazioni che da corte diventano per lo più lunghe è un cambiamento
culturale. L’interesse che ne deriva verso culture, spazi e lingue diverse è un cambiamento culturale.
L’iconografia di riferimento cambia. La letteratura cambia. I rapporti si estendono e l’interesse
verso la comprensione del mondo che vi era prima di noi per migliorare quello in cui vivremo è
Rachel Carson, Nick Kelsh, The sense of Wonder, New York, HerperCollins, 1998, p.54 e 100.59
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Oscar Mondadori, 2012, p. 270.60
�36
segno di un profondo cambiamento culturale. Siamo ancora di fronte a dei problemi che hanno
principalmente due strade per poter essere affrontati: quella dell’azione istintiva, irruenta e quindi
violenta, oppure quella della sospensione, della comprensione e del confronto. Oggi lo sviluppo
tecnico può, come non era mai accaduto in precedenza nella storia, avvicinare un numero di persone
sempre crescente verso la seconda strada. Se è vero che la cultura sta cambiando, è vero anche che
mai prima d’ora è cruciale lo studio e l’approfondimento di ciò che ci ha preceduto (ovvero gli
sviluppi umani e tecnici) per evitare di ricadere, fin dai più piccoli rapporti familiari e di amicizia,
negli errori che arrivavano da tempi lontani e che, per fiducia e amore verso persone vicine, sono
sempre stati accettati come fonte di verità meritevole di essere replicata a modello, o almeno a
ispirazione.
Al giorno d’oggi quei modelli sono costantemente messi in crisi. L’individuo è
costantemente messo in crisi, e quindi il bene culturale che produce è, giorno per giorno, visto con
un occhio tanto profondo quanto critico, sia dal creatore che dal fruitore dell’esperienza culturale.
Non c’è oggetto o pensiero che non necessiti di due momenti diversi di approccio: il primo
simbolico, emozionale, che ci unisca empaticamente all’oggetto — o alle persone — e un secondo
momento, tecnico, di messa in crisi dello stesso.
Internet non si può sottrarre a questi metodi di approccio e creazione poiché, al suo grado zero di
pura invenzione e scoperta, è simbolo, tecnica, rivoluzione e cultura.
�37
2 — Internet come realtà tra tecnica e simbolo: contestualizzazione ecologica e antropica.
Quando si parla di internet (o di siti web) è inevitabile associarlo a un’idea di spazio. Già la
parola sito lascia intendere che sia qualcosa che ha a che fare con il porre, locare, fermare (dal latino
situs) e originariamente significava “luogo dove alcuno ha gettato i fondamenti della sua casa o
fermato la sua dimora.” Lo spazio è il luogo da cui l’uomo comincia la sua esperienza di 61
conoscenza dell’esistenza del mondo.
Al concetto di spazio siamo soliti associare quello di ambiente, che in tedesco viene tradotto
in Stimmung. Si è deciso di utilizzare la formula tedesca poiché si tinge di sfumature lessicali che si
muovono dal musicale, al sentimentale, all’ambientale, tra gli altri. Il termine deriva da Stimme,
voce, e semanticamente è prossimo al mood inglese e ambiance francese. In italiano però non si può
tradurre semplicemente come ambiente, perché è prossimo anche a stato d’animo, umore,
fisionomia, disposizione emotiva e tonalità affettiva. Tutte queste parole possono essere tradotte con
Stimmung, e nessuna tuttavia ha la capacità di evocare la dimensione musicale che si percepisce in
lingua tedesca, infatti Stimmung è anche l’accordatura degli strumenti musicali, nonché
l’intonazione della voce e l’accordatura di stati d’animo.62
In L’armonia del mondo (1963) Leo Spitzer si diffonde su queste implicazioni musicologhe
e insieme cosmologiche, che fa risalire al pensiero pitagorico, mostrando come il vocabolo
Stimmung (e ancor prima i termini latini temperantum e consonantia, di cui esso sarebbe a
sua volta la traduzione tedesca) non si limiti a designare una condizione dell’animo
individuale, ma insieme evochi una corrispondenza, una sintonizzazione, fra quella
condizione individuale e una dimensione universale63
Dizionario etimologico online, www.etimo.it, alla voce “Sito”.61
Andrea Pinotti, Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011, p. 179.62
Ibid.63
�39
Il concetto di Stimmung sembra colorarsi di tonalità impreviste, una delle quali è l’empatia
che esiste proprio in virtù di quelle corrispondenze e sintonizzazioni di cui parla Spitzer. Si è detto
che l’empatia è quella forma di percezione, prima, e di comprensione, poi, di una particolare
condizione che viene condivisa con altri. Nel processo empatico le barriere ideologiche, politiche,
estetiche ed etiche, che possono circondare il soggetto, crollano. Ci si connette, per così dire, con
chi è al di fuori noi. Il nostro orizzonte di riferimento si estende e da uno, improvvisamente si
compone di almeno due. Due soggetti che sono connessi l’uno con l’altro sono capaci di coprire
uno spazio, a volte poco esteso e altre volte molto esteso, quello che è importante è che l’area di
nostro interesse da essere solo quella a noi circostante improvvisamente si allarga fino all’altro (o
agli altri) soggetti. Ciò che prima era costrittivo ora è esteso e ci permette di provare a chiamarlo col
termine paesaggio, perché è il tipo di esperienza che a noi è più vicino a ciò che si intende con
Stimmung: una piena esperienza di unità sentimentale.
Il paesaggio è una fusione tra i sentimenti umani e la concretezza dello spazio, che da
personale diventa impersonale; lo spazio non è più considerato come un oggetto da tenere in mano,
ma una dimensione in cui «siamo dentro». L’esperienza del paesaggio è Stimmung nella misura in
cui l’individuo non considera ciò che esperisce come una composizione di elementi a loro stanti, ma
come una giustapposizione tonale di percezioni che si fondono in emozioni. Il paesaggio, per 64
Simmel, è una vera e propria «forma spirituale». In questo senso la Stimmung diventa non
conseguenza della percezione del paesaggio, ma una sua componente essenziale ed oggettuale, così
come lo sono le referenze che ce lo fanno percepire.
Il paesaggio di per sé è un grande insieme di codici complessi, tra cui quello della
Stimmung, e se non vi è un individuo in grado di decifrare (a livello emozionale) tali codici, il
paesaggio rimane non comunicante se non con il paesaggio stesso il quale però vive ad un livello
simbolico. L’individuo in questo modo assume rilevanza poiché il paesaggio non è più solo una
Georg Simmel, Saggi sul paesaggio, Roma, Armando editore, 2006.64
�40
realtà completa e indissolubile (simbolica) ma una porzione di tale realtà, percepita con i sensi della
persona che li ospita. Il concetto di paesaggio quindi non è meramente oggettivo (referenziale) più
di quanto non sia al tempo stesso soggettivo (emozionale). In questa dimensione la porzione di
realtà — o ambiente — è accordata ed il suono che produce è una caotica stonatura controllata.
Già Hegel nelle sue Lezioni di estetica aveva affermato che il paesaggio non è una mera 65
riproduzione di ciò che viene esperito nel mondo, ma una forma armoniosa tra sensi ed emozioni; e
Schopenhauer nel suo Mondo propone una forma di «sintonizzazione» tra individuo e paesaggio 66
“come per eco simpatica di sentimento”.
Il paesaggio — o ambiente — è lo spazio dentro cui l’uomo ha modo di confrontare le sue
emozioni con quelle a lui circostanti e in questa maniera può riuscire a percepire che in realtà le
sensazioni che vive non sono solo ispirate dalla visione — dall’esterno — ma soprattutto da lui
stesso. La condizione emotiva in cui la persona si pone dinnanzi a un soggetto è la componente più
importante del risultato emozionale finale. La sfera psichica con cui ci rapportiamo ad un paesaggio
è capace di farci provare sensazioni positive oppure negative, legate anche alla contingenza del
paesaggio proposto. Se ad esempio un brano musicale è stato quello che ha funto da soundtrack
nella nascita di un amore, e poi questo amore si è concluso, anche solo il semplice ricordo di tale
brano può diventare per noi intollerabile o semplicemente legato non più a momenti di felicita bensì
di tristezza e malinconia. Tuttavia esiste un gioco in andirivieni, che lega il sentimento umano con il
tono espresso da una realizzazione sensibile . Se siamo tristi, e la tonalità che percepiamo è triste, 67
allora noi saremo portati a leggerla come tale e lei, in quanto priva di felicità, ci condizionerà nel
viverla come triste. È una forma di circolo virtuoso tra spiriti e aure , una sorta di comunicazione 68
che «tira fuori» tutto, anche noi stessi.
Georg W. F. Egel, Estetica, Torino, Einaudi, 1967.65
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà di rappresentazione, Roma-Bari, Editori Laterza, 2009.66
Moritz Geiger, Sul problema dell’empatia di stati d’animo (1911), in Il realismo fenomenologico, a cura di Stefano Besoli e Luca 67
Guidetti, (MC) Macerata, Quodlibet, 2000, pp.153-188.
Il concetto di aura a cui ci riferiamo è quello che Walter Benjamin espone nel suo saggio saggio sulla Riproducibilità tecnica.68
�41
E come si colloca l’empatia in tutto questo? Il processo empatizzante è uno, non l’unico,
forse, che è in grado di farci superare i limiti della nostra razionalità tecnica da un lato, e non farci
cadere nella profonda semplicità di una percezione sentimentalista che può diventare limitante,
dall’altro. In questo modo l’empatia è il mezzo attraverso cui noi possiamo vivere nell’oggetto e
l’oggetto può vivere dentro di noi. Si crea una reciproca disponibilità all’altrui con-vivenza. Il
processo può trovare tre vie possibili attraverso cui realizzarsi: una in cui l’oggetto va verso il
soggetto, una che dal soggetto si rivolge all’oggetto ed una in cui i due vettori contemporaneamente
tendono l’uno verso l’altro, senza che uno abbia cominciato prima dell’altro ad aprire sé stesso.
Questo processo si mette in moto quando l’uomo è in grado di superare la separazione tecnica che
funge da “mediazione tra l’uomo e l’ambiente naturale” ; sembrerebbe dunque dovere specifico di 69
ogni individuo cercare la propria mediazione tra i due approcci: quello tecnico e quello naturale.
Sappiamo oggi che il pensiero tecnico e simbolico sono stati percepiti e analizzati per molti
decenni (secoli, forse?) come in contrasto l’uno con l’altro. O almeno così l’essere umano
«tradizionale» sembrava percepirli. Quando diciamo uomo tradizionale intendiamo quella
particolare caratteristica che ogni essere umano sembra possedere; ovvero quella legata al «pensiero
selvaggio» , al pensiero naturale. Le ricerche odierne, alle quali noi proviamo ad affiancarci, 70
sembrano voler proporre una nuova sintesi tra i due universi apparentemente così distanti. Ma non
sempre è stato così, e le parole di Ellul ancora una volta ci vengono in aiuto:
[…] il pensiero tecnico si rivela profondamente diverso dal pensiero selvaggio. Il processo
del pensiero è sicuramente lo stesso, ma si applica ad un altro campo che condiziona in una
data maniera. Il modo del pensiero selvaggio procedeva in accordo con l’ambiente naturale.
Quando l’uomo si trova immerso in un ambiente esclusivamente tecnico, il modo del
pensiero selvaggio, che sopravvive come tale nell’uomo, diventa inutile.71
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 55.69
Claude Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, Milano, Il Saggiatore, 2015.70
Ibid. p. 62.71
�42
Le parole dell’autore hanno sicuramente un loro fondamento reale, soprattutto se inserite in
una determinata realtà culturale utopicamente negativista degli anni in cui Ellul ha vissuto. Oggi 72
una posizione simile non è contemplabile poiché sempre più città urbanizzate, fabbriche e abitazioni
stanno impegnandosi nell’inserire il più possibile la realtà naturale all’interno di quella tecnica;
inoltre non è sottoscrivibile perché proporne una mentalità univoca, senza contrasti e convivenze,
senza considerare la caotica natura umana che,per dirla in termini orientali, vive di uno Yin in
abbraccio con uno Yang. L’uno non può esistere senza l’altro così come una tipologia di realtà non
può più esistere senza il suo contrario.
L’uomo contemporaneo è sempre più in cerca di soluzioni che possano evitare di escludere
l’apparente dicotomia tra tecnica e natura. L’ambiente “esclusivamente tecnico” non è più
accettabile e l’impegno che ogni essere umano ha dinnanzi a questo nuovo assunto sta alla base
della rivoluzione culturale che è in atto. Sotto questa nuova luce, ogni tipo di realtà urbana, anche
quella più ombrosa, può risollevarsi prendendo coscienza delle proprie potenzialità .73
Abbiamo sostenuto che oggi non è più sostenibile una teoria che propone che il mondo
possa essere esclusivamente tecnico. Ma se è vero che ci può sembrare anacronistico l’avanzare che
il mondo possa diventare esclusivamente tale, non significa che in parte non lo sia. L’ambiente —
soprattutto quello urbano — che viviamo è oggigiorno governato da un pensiero tecnico. L’oggetto
“ambiente urbano” non cerca molta empatia in noi camminatori e percorritori urbani; e noi cittadini
non ci aspettiamo di trovare nulla di empatizzante o di naturale nello spazio che percorriamo
quotidianamente nell’intento di raggiungere dei luoghi precisi. Il doppio vettore emozionale è
troncato sul nascere in entrambe le direzioni. Può accadere poi che qualcuno, che magari abita in un
altra città e che quindi non vive la nostra in forma di routine, noti dettagli e luoghi che non abbiamo
Vittorio Ivo Comparato, Utopia, Bologna, Il Mulino, 2005.72
Renzo Piano, in «il Sole 24 Ore Domenica», 26 gennaio 2014.73
�43
notato in precedenza, o che semplicemente venivano dati per scontati e quindi ai nostri occhi
apparivano come lapidi senza spirito né aura. Una ventata d’aria fresca sposta il nostro sguardo, la
nostra percezione, e sembra che il grigiore precedente possa in realtà essere un ensemble di toni
colorati; ciò che prima era solo rumore e trambusto inizia ad assumere forma di partitura . Quando 74
questo fenomeno biofilo non trova modo e spazio per esprimersi il rischio è quello di corrompere il
nostro animo verso sentimenti necrofili e quindi di Fuga dalla libertà .75
Jean Leclercq in La Révolution de l’homme au XX siècle , osserva l’uomo ed il suo essere 76
che da statico è diventato dinamico.
La proprietà (il capitale) perde di importanza a favore del sapere, la materia prima assume
un’importanza secondaria rispetto al Prodotto. L’accento deve essere messo sull’azione e
non sulla passività, così come l’isolamento dell’uomo, causa di stagnazione, è rimpiazzato
dalla relazione globale, il sociale, il comunitario e i servizi pubblici.77
Quello che viene proposto è un ambiente che da naturale diventa tecnico, e in un ambiente
simile il singolo perde di importanza a favore di un generalismo che lo nasconde. Ma lo nasconde
solo nella misura in cui non lo considera un individuo e l’individuo stesso non si considera tale ma
solo una «pedina» nelle mani di qualche giocatore ignoto. Soltanto una persona con una forma
mentis unicamente tecnica è in grado di escludere sé stessa, con valore di individuo, dall’analisi dei
caratteri del mondo. Infatti una peculiarità del pensiero tecnico è che cerca di ridurre ogni forma di
espressione e di emozione a domanda tecnica che quindi presuppone risposte tecniche. Il rischio di
sentirsi perduti, quando non c’è nessuna tecnica a soccorrerci è molto elevato e quindi in una misura
Gli studi nella disciplina dei Sound Studies sono molteplici e floridi. Lo stato europeo che ospita una realtà molto viva è la 74
Germania con Sound Artist quali Carsten Nicolai, Christina Kubisch, il canadese Robin Minard e Roberta Busechian. In questo tipo di ricerca sonora, e ci limitiamo a proporlo come dato informativo, le influenze e le ricerche di John Cage, Iannis Xenakis e Karlheinz Stockhausen (tra gli altri) sono state pionieristiche.
Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Milano, Edizioni di comunità, 1963.75
Jean Leclercq, La Révolution de l’homme au XX siècle, Torino, Casterman, 1964.76
Ibib.77
�44
parimenti elevata si rischia di non entrare in empatia con nulla, di non unirsi a niente e nessuno e di
vivere una forma di scissione schizofrenica rispetto al mondo natural-simbolico.
Esistono delle teorie da cui si evince che un individuo può vivere l’ambiente tecnico in
maniera naturale. Ad esempio una persona che viaggia molto, che per molteplici motivi è obbligata
a spostarsi continuamente su mezzi privati o pubblici, quindi in velocità, percepisce l’ambiente che
lo circonda? Legge il paesaggio che i tratti del mezzo di trasporto delineano nel suo sguardo? La
percezione in movimento che abbiamo dal finestrino,
incorniciando in modo quasi-pittorico i propri oggetti, genera […] delle atmosfere. Di solito
occasionali, ma talvolta anche così ricorrenti […] che talvolta vi ci si affeziona come a una
sorta di punteggiatura quotidiana. […] Nel contrasto dinamico tra un quasi impercettibile
primo piano, un piano medio relativamente mutevole e uno sfondo quasi coincidente con la
linea dell’orizzonte, si coglierebbe poi atmosfericamente una profondità storica culturale .78
Esiste un orizzonte culturale anche nelle atmosfere che quotidianamente viviamo e che se
ben osservate mettono in luce il loro carattere sinergico che lega tecnica a simbolo. Le città storiche
che percorriamo o anche i paesaggi montani, marini o collinari. Una visione a basamento tecnico,
che quindi divide, essendo che in apparenza ci allontana dall’essenza dell’oggetto, per contro può
rivelarsi un mezzo di profonda vicinanza al significato che si cela dietro all’estetica. L’esempio più
palese lo si ha quando ci si rende conto di amare profondamente una persona quando questa è
lontana (sia per commiato che per distanza geofisica). La distanza genera un pensiero critico, per
dirla brechtianamente , il quale pensiero trasformandosi in lama è in grado di fendere la superficie 79
dell’apparenza e della rappresentazione, mostrando l’essenza del vissuto. Una sorta di velo di Maya
che viene lacerato e che a questo punto è in grado di far provare sineddocamente il sentimento della
complessità sensoriale dell’oggetto solo attraverso una sua caratteristica: il colore di un fiore porta
Tonino Griffero, Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Roma-Bari, Editori Laterza, 2010, pp. 24-25.78
Bertold Brecht, Scritti teatrali, Torino, Einaudi, 2001.79
�45
con sé il suo profumo e ricordi a lui legati; una fogli secca ai piedi di un albero fa esplodere in noi
l’autunno intero con tutte le sue complessità e meraviglie ambientali .80
Il soggetto, l’individuo, con la sua caratteristica emozionale è in grado di oltrepassare i limiti
fisici determinati dal suo corpo che da materia di studio per le discipline mediche a anatomiche
diventa corpo-proprio . Il corpo diventa qualcosa di nuovo che è capace di percepire il mondo in 81
maniera differente. L’estetica, dice Griffero , potrebbe trarre grande linfa dallo studio “sull’effetto 82
emozionale (atmosferico), volendo perfino persuasivo, esercitato sul corpo-proprio da ambienti e
opere, paesaggi e pubblicità, cose e semi-cose (naturali o artificiali)”. Durante l’esperienza copro-
proprio l’emozione della persona supera la considerazione concreta della propria fisicità
«dimenticando» che una mano è una mano, che un piede è un piede e che il nostro capo è il nostro
capo. Ogni tipo di attenzione si proietta nei confronti della novità che fin da subito si sedimenta
nell’animo dell’uomo che la vive, il quale viene immediatamente e irrimediabilmente mutato dal
paesaggio che diventa atmosfera. In precedenza abbiamo già accennato alla differenza tra paesaggio
e atmosfera, tuttavia riteniamo che prima di procedere sia necessario spendere ancora delle parole
affinché alcuni dubbi vengano meno.
Il paesaggio è la manifestazione referenziale con cui le persone si rapportano
quotidianamente, ma non come ci si rapporta con un tavolo o un lampione; il paesaggio vive di
caratteristiche materiali vissute in due dimensioni dal punto di vista soggettivo; l’atmosfera è la
conseguenza emotiva che deriva dalla percezione (empatica, proiettiva) di tale paesaggio. Sia il
paesaggio che l’atmosfera esistono come esistono le nuvole, le ombre, o “i confini (interiori)
indeterminati e incompleti come le montagne” . E noi esseri umani siamo naturalmente in grado di 83
Tonino Griffero, Atmosferologia…, pp.28-29.80
Maurice Merleau-Ponty in Il visibile e invisibile, Milano, Bompiani, 2007, studia la corporeità dell’uomo non solo come oggetto, 81
ma anche come veicolo esperienziale che ha portato il filosofo a studiare il termine husserliano “corpo proprio”.
Tonino Griffero, Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Roma-Bari, Editori Laterza, 2010.82
Ibid. p. 66.83
�46
collegarci spiritualmente ad ogni forma di paesaggio e atmosfera, sia di tipo tecnico che di tipo
naturale.
Esistono tesi che sostenevano (e sostengono) che la tecnica non sia in grado di portare con
sé una spiritualità emozionale ed emozionata legata alla naturalità della percezione umana. Un
pensiero squisitamente tecnico rischia di trasformare un ambiente tecnico in un sistema, sostiene
Jacques Ellul. Ma che si intende con sistema? È forse qualcosa che può avere a che fare con
l’atmosfera? Il sociologo Talcott Parsons definisce il sistema come meccanismo in cui due o più
unità sono collegate in modo che a un cambiamento di stato della prima segua un cambiamento di
stato di tutte le altre, che sarà seguito a propria volta da un nuovo cambiamento della prima e così
via . Ne deriva che il sistema è sempre integrato e integratore, esattamente come i processi 84
emozionali — ed emozionati — quali l’empatia ma soprattutto l’atmosfera e il paesaggio.
Sappiamo oggi che l’empatia è un processo fisiologico, motorio potremmo dire, e che quindi
non solo risponde positivamente all’attività spirituale, ma anche a quella fisica. Quando sentiamo il
mondo e le persone agiamo, non siamo passivi, privi di qualunque attività corporea e sentimentale.
Dal momento che siamo in vita, salvo patologie particolari, agiamo. Da bambini come prima azione
cerchiamo un legame sentimentale stabile con le persone che ci amano, che nella maggior parte dei
casi sono i genitori. Subito dopo cominciano le scoperte spaziali. Da questi due momenti siamo in
grado di vivere e agire la duplice esperienzalità del vivere: quello emotivo e quello corporeo.
Spinoza, nella sua Etica , “distingue tra attività e passività (tra agire e soffrire) intese come 85
i due aspetti fondamentali dell’attività mentale umana. Il principale criterio dell’agire è che
un’azione è conseguenza della natura umana.”86
Io dico che agiamo quando qualcosa viene fatta, dentro di noi o fuori di noi, e della quale
noi siamo causa efficiente, vale a dire allorché qualcosa consegue dalla nostra natura,
Talcott Parsons, Il sistema sociale, Milano, Edizioni di comunità, 1965.84
Baruch Spinoza, Etica, Milano, Bompiani, 2007.85
Erich Fromm, Avere o essere, Milano, Oscar Mondadori, 1986, p. 108.86
�47
dentro o fuori di noi, che possa essere chiaramente e distintamente compresa da quella sola
natura. D’altro canto, io dico che noi soffriamo [cioè nell’accezione spinoziana siamo
passivi] allorché qualcosa è fatta dentro di noi allorché checchessia deriva dalla nostra
natura, di cui noi siamo solo parzialmente la causa.87
Per Spinoza la «natura umana» non è meno coerente di quella per cui un cavallo è un
cavallo e una formica una formica, per questo non si dà preoccupazione nel parlarne così
liberamente. Ciò che c’è di profondamente rilevante, per ciò che concerne la nostra trattazione,
riguarda il fatto che per il filosofo olandese il fare è la prima attività dell’uomo e forse la più
importante, perché dalla realizzazione di quella deriva tutta la nostra esistenza. Se “le persone non
riescono a realizzare lo sviluppo ottimale delle loro nature specifiche” allora soffriranno. “Tanto più
ci accostiamo al modello ideale di natura umana, tanto maggiori sono la nostra libertà e il nostro
benessere.”88
Lo spazio è quella peculiare caratteristica del mondo che ci permette di essere in attività.
Noi uomini attraverso il progresso della Tecnica stiamo avvicinandoci alla possibilità di crearne uno
infinito dove creatività, informazioni, documenti, beni culturali, comunicazione e sentimenti siano
sempre più liberi e accessibili. Laddove l’uomo trova libertà di movimento, è in grado di esperire e
generare sempre forme nuove di Sapere e conoscenza per sé e per gli altri. Se all’uomo la possibilità
di vivere uno spazio infinito in cui liberare la grandezza della mente viene sottratto, nevrosi, ansie,
psicosi e un senso generale di schiacciamento, rischiano di nascere in lui. L’uomo vive attraverso lo
spazio e gli incontri che derivano dal suo continuo attraversamento, quindi più questo riesce ad
essere garantito e realizzato naturalmente e più le persone si sentiranno libere di vivere la loro vita.
Ogni forma di libertà va tuttavia studiata e compresa per essere realizzata, perché altrimenti rischia
di diventare lo spazio in cui gli esseri umani sotterrano la loro innata capacità empatica dando sfogo
Baruch Spinoza, Etica, Milano, Bompiani, 2007.87
Ibid., pg 109.88
�48
a narcisismi, violenze e fama . Il più alto risultato di una possibilità di realizzazione individuale e 89
globale può mutare nel suo contrario e mettere a repentaglio il sistema che lo ha generato rischiando
di far ritornare la Cultura dell’essere in cultura dell’avere.90
Come abbiamo visto il concetto di ambiente è composto da almeno due elementi: il mondo a
cui si riferisce e l’individuo che lo vive. Se l’ambiente è limitato rischia di comprimere l’uomo; se
invece è esteso può diventare veicolo di espressione della libertà individuale. Ma non è scontato.
Infatti uno spazio sterminato, se mal interpretato, può portare alla perdita di orientamento e alla
perdita di coscienza della posizione assunta all’interno del mondo e nei suoi confronti, con la
conseguenza che l’individuo non trovi più un obiettivo per la propria vita, sentendosi minacciato da
forze esterne sovrastrutturali. L’ambiente tecnico novecentesco è di questo tipo. L’uomo si sentiva
libero, poiché con la Seconda Rivoluzione Industriale è riuscito a lasciarsi alle spalle quei vincoli
che solevano dargli sicurezza e senso di apparenza attraverso l’accumulo di capitale. Quando quella
sicurezza ha cominciato a diminuire anche in chi è riuscito a specularvici sopra in tempi passati, i
rapporti sociali hanno cominciato molto lentamente a cambiare. Ma il mutamento completo è
possibile solo passando attraverso una rivoluzione dell’approccio nei confronti dei meccanismi che
ci hanno portati alla realtà negativista che stiamo vivendo. La Tecnica (la rete internet) può aiutarci
a patto che non diventi lei stessa un tramite per la perdita di sé stessi e tanto meno per una falsa
affermazione dell’Io in una realtà che è costruita in maniera per lo più corrotta, o meglio, che vuol
corrompere chi ne fa utilizzo assoggettandolo a mero potenziale acquirente.
La vita non è più vissuta in modo chiuso ruotante intorno all’uomo; il mondo è diventato
illimitato e al tempo stesso minaccioso. Perdendo il suo posto fisso in un mondo chiuso,
l’uomo perde anche la risposta sul significato della sua vita; la conseguenza è che comincia
Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Cremona, Edizioni di comunità, 1963, p. 46.89
Facciamo riferimento al testo di Erich Fromm Avere o essere.90
�49
a sorgergli il dubbio si se stesso e sullo scopo della vita. È minacciato da possenti forze
sovrapersonali91
In un ambiente di tipo individuaistico — non individuale — i rapporti con le altre persone
diventano di tipo concorrenziale. Il rapporto con l’altro è di tipo ostile ed estraneo (tecnico) e non
simbolico. L’uomo in questa situazione è libero ossia solo, isolato e si sente minacciato dovunque
egli rivolge i suoi sensi ed il suo pensiero. Anche i familiari diventano nemici e persone estranee. La
nuova idea di potere legato al denaro (che tuttavia viene costantemente a mancare) porta le persone
a scollegare loro stesse dal senso del mondo e dell’universo, dimenticandosi di essere anch’esse
semplici, fragili, emotivi esseri umani; ed il continuo fallimento nel raggiungere una vita ideale
(ovvero ideologica) fa precipitare l’uomo in un senso continuo di insoddisfazione, nullità e
impotenza.
Laddove il significato della vita viene meno e i rapporti con sé stessi e con gli altri non
offrono più sicurezza, ecco che si presenta la possibilità della ricerca di una vita ambiziosa che vive
di fama. La fama diventa un mezzo per far tacere tutti i propri dubbi sulla vita e sulla presenza nel
mondo. “Essa ha una funzione paragonabile a quella delle piramidi egiziane, o della fede cristiana
nell’immortalità: eleva la vita dell’individuo dai suoi limiti e dall’instabilità al piano
dell’indistruttibilità.” In una mente dubbiosa si presenta la possibilità di immanere nel mondo a 92
venire, anche se questo significa rinunciare alla propria vita presente. Se il proprio nome è noto ai
contemporanei (ma non necessariamente) la vita acquista significato e rilevanza nel suo riflettersi
nei giudizi degli altri. Estremizzando, forse, un po’ il discorso, potremmo affermare che un processo
simile è quello che ha portato all’affermazione — all’interno della rete — dei social network, primo
tra tutti il colosso americano Facebook®; in fotografia il selfie; nel mondo del lavoro (soprattutto
culturale) una sempre più generalizzata de-specializzazione. Crediamo non sia un caso che in in
Erich Fromm, Fuga dalla libertà, pp. 56-57.91
Ibid., p. 46.92
�50
gran parte degli ambienti che si potrebbero prendere in considerazione la Tecnica è una componente
considerevole che però è ancora tabù .93
Ogni uomo quando esperisce lo fa agendo nell’ambiente, e sull’ambiente in cui si trova.
Iniziamo ora a considerare il monitor come tramite per un ambiente altro da quello naturalmente
simbolico, internet, dove ogni persona ha un rapporto intimo, diretto, individuale con i suoi
contenuti e significati. Una porta di quarta parete teatrale. Quando agiamo estendiamo il nostro
sistema nervoso centrale come una protesi. Sappiamo che in un ambiente quando si agisce «si viene
agiti» dall’ambiente stesso che diventa specchio anche delle azioni altrui. In questo modo il nostro
sistema nervoso centrale diventa il sistema nervoso centrale di una intera collettività. Quando si
verifica questo tipo di esperienza si verifica quello che viene chiamato «cambiamento di Gestalt» . 94
Il nostro orientamento temporale e spaziale si «ricalibra» e quindi il nostro modo di vedere le cose
cambia anch’esso. In questo mutamento la nostra esperienza dell’ambiente a noi circostante si
evolve (non ci riferiamo ad una evoluzione in termini qualitativi) modificando irrimediabilmente
tutte le nostre percezioni future; reinterpretiamo l’ambiente sociale, personale, tecnico e naturale in
funzione della nuova sensibilità acquisita, che in questo modo condiziona il nostro rapporto con il
cosmo ed il mondo i quali assumono qualità in funzione di come noi ci relazioniamo ad essi. In altre
parole la metamorfosi che subiamo è tanto radicale da modificare ogni aspetto del nostro essere
legato all’esistenza sia personale che sociale.
Abbiamo mostrato come il singolo, se inserito in uno spazio illimitato di possibili relazioni
infinite, ed infiniti ambienti con cui relazionarsi (e quindi potenzialmente libero), possa perdere sé
stesso dando libero sfogo a pulsioni narcisistiche e poco produttive (in senso emotivo). Ma questo è
il lato negativo della medaglia. Esiste anche una faccia positiva che fa virtù delle debolezze.
Rimandiamo allo studio fatto da Sigmund Freud sul rapporto tra tribù ed il loro utilizzo di strumenti e tecniche che spesso vive un 93
rapporto tabù in, Totem e tabù, Torino, Bollati Boringhieri, 2009. A sua volta Freud ha tratto da Frazer, Il ramo d’oro.
Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Oscar Mondadori, 2010, pg 170.94
�51
Il Novecento è stato il secolo in cui sono stati proposti modelli mediatici di libertà per lo più
corrotti . “Il medium è il messaggio” di Mc Luhan ne è l’espressione più elevata. Al concetto di 95
libertà è stato spesso associato quello di audacia, di indipendenza e implicitamente di forza e potere.
La libertà viene vista come una proprietà inviolabile, ma come ogni idea di proprietà ha dei limiti
ben definiti che, se qualcuno prova ad invadere, siamo pronti a lottare con la forza pur di
mantenerla. Se a questo associamo che la libertà è stata proposta attraverso modelli di sovranità e
autoreferenzialità attraverso film e scritti (si pensi ai film western, di azione o ai fumetti americani),
ne deriva che chi del modello ne ha fatto uno stile di vita possa aver usato anche metodi che il
modello propone per vivere la propria esistenza. Tuttavia questa strada è lastricata di fallimenti e
ripensamenti poiché, prima o dopo, salvo casi specifici, la pulsione emotiva all’associazione umana
tende a far sentire la sua energia. La scuola di pensiero che vuole superare i limiti
dell’individualismo e dell’utilizzo della forza come azione sulla vita che porta alla libertà, propone
una modalità dell’esistenza che fa della vulnerabilità il suo veicolo per raggiungere la libertà stessa.
Se la libertà è la capacità di vivere appieno il potenziale delle proprie possibilità, e se la
misura della vita è data dall’intimità, dall’ampiezza e dalla varietà delle relazioni
intrattenute, allora più si è vulnerabili, più si è aperti a relazioni intime e significative con
gli altri.96
In questo senso essere vulnerabili non significa essere sottomessi, vittime o prede, ma al
contrario essere aperti e disponibili a dare vita al livello più profondo dello scambio umano: la
comunicazione. Il coraggio, per chi sostiene la via dell’approccio incarnato, empatico, sta nel
consentire a sé stessi di aprirsi, di essere esposti — anche nelle proprie debolezze — all’altro.
Essere vulnerabili significa fidarsi dell’altro poiché l’altro fa lo stesso con noi. È un tipo di relazione
questa che quando è rivolta al contatto con l’ambiente, anche se per brevissimi istanti, siamo
Vance Packard, I persuasori occulti, Torino, Einaudi, 2005.95
Ibid. p. 146.96
�52
disposti a fare; è come se sapessimo che il mondo naturale non ci può far del male perché è così
profondamente legato da sentimenti sinceri che non può ferirci. Al contrario quando si parla di altri
esseri umani, e di mondo non naturale, le paure si moltiplicano e l’insincerità ci pervade chiudendo
sia noi che i nostri interlocutori. La menzogna non è sempre spiegabile, tuttavia dilaga come un
virus e attacca tutti a volte per interesse e a volte per paura . Il timore che lo pervade è 97
fondamentalmente quello che gli fa temere l’ambiente infinito di cui non si sente parte, che lo
schiaccia. Quando una persona si sente così non può che sentirsi impotente davanti ai grandi
problemi della vita di tutti i giorni quali, ad esempio, la politica. L’attività politica in quanto tale è
quella che più di tutte le altre — anche del lavoro — è in grado di dare profonda felicità e
soddisfazione all’individuo poiché lo fa sentire legato al mondo delle persone; l’uomo che sente di
poter aiutare un altro uomo che vive delle difficoltà sente di esser vivo e reale come nessun’altra
esperienza è in grado di fare in maniera così continuativa e profonda. Tuttavia quando questo non si
verifica perché il soggetto si sente privato della capacità di azione ecco che
il cittadino, in quanto individuo, [si sente] meno in grado di formulare un’opinione sui
problemi reali ai quali uno Stato moderno deve far fronte. [Sente di aver] minori possibilità
di esprimere la propria opinione e agire veramente sulla politica. […] Il cittadino deve
essere inglobato in un corpo più ampio […] che agirà come gruppo di pressione: una
rappresentanza di interessi più che di opinione.98
Il senso di privazione della capacità di azione sulla realtà è una delle cause negative che ha
come conseguenza sull’essere umano la nascita — e l’estensione — della sua pulsione necrofila (in
quanto contraria a quella biofila) di fuga dalla libertà. E ciò è possibile perché quando l’uomo sente
di non essere più in contatto con gli altri suoi simili, la solitudine ed una forma di depressione lo
invadono generando in lui impulsi distruttivi ed autodistruttivi. Camille Paglia, in suo dei suoi testi
Paul Ekman, I volti della menzogna, Firenze, Giunti, 1989.97
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 81.98
�53
più discussi , lega il concetto di libertà a quello di gerarchizzazione sociale innata. Niente di più 99
lontano da ciò che viene avanzato oggi. L’autrice sostiene che ovunque vi sia una società
gerarchica, e questa venga debellata, subito dopo se ne presenterà un’altra che, se possibile, sarà
anche peggiore della precedente. La studiosa coglie l’idea che sta alla base della tesi di Freud,
secondo la quale ogni essere umano possiede due pulsioni: una di vita (Eros) ed una di morte
(Thanatos) . Il dualismo che a dire dello psichiatra vive in ognuno di noi sarebbe imbattibile, 100
insuperabile e tentare di combatterlo sarebbe contro natura e quindi destinato al fallimento.
L’individuo in quest’ottica non ha potere alcuno di vivere la propria libertà; è destinato a passare
un’esistenza passiva nei confronti della pulsione che è più presente in lui, che se è quella di vita non
può che fare del bene, ma se è quella di morte porta con sé dolori e malesseri. Paglia, sposando
questa tesi, propone che l’uomo deve essere costantemente oppresso e represso poiché se così non
fosse «la droga o la depressione» sarebbero le maniere con cui l’uomo, da solo, cercherebbe di 101
privarsi di questo nuovo senso ingestibile di libertà. Secondo l’autrice ad ogni forte pulsione di vita
ne corrisponde, sempre, una più forte di morte. Soltanto chi è in grado di accettare l’assunto
freudiano è anche in grado di accettare quello di Paglia. Concordiamo con i due autori che se
l’individuo si trova in una situazione di spaesamento e paura può ricercare soluzioni in pulsioni
necrofile. Ma concordiamo solo ed esclusivamente se nei suoi confronti l’individuo viene
considerato come attivo e non come passivo, morto, al contrario di ciò che lasciano intendere i due
studiosi. L’essere umano è individuo nel momento in cui realizza la condizione della sua esistenza
che è sia femminea che mascolina, sai biofila che necrofila. La sua è un’esistenza per contrasti che a
fasi alterne aprono il mondo a letture sempre nuove. Una volta accettate le possibilità di convivenza
di questi aspetti così estremi l’uno rispetto all’altro, la persona diventa tale poiché può dedicarsi alla
Camille Paglia, Sexual Personae, Torino, Einaudi, 1993, p.5.99
Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, Torino, Boringhieri, 1975.100
Camille Paglia, Sexual Personae, Torino, Einaudi, 1993, p.5.101
�54
coltivazione degli atteggiamenti che più lo realizzano e lo connettono al mondo della Natura, della
Tecnica, delle Persone, del Mondo e della Vita.
Il biofilismo è una profonda caratteristica dell’essere naturale, vivo, che quindi coinvolge
anche l’uomo in quanto tale. Nel profondo sente la necessità di ricercare il mondo simbolico per
dare energia al suo spirito e ai suoi bisogni sociali di legame interumano — che può esser rivolto
anche verso esseri non umani. Quando il senso di affiliazione con altri esseri viventi ai quali siamo
legati viene meno si rischia di cadere in una forma di alienazione data dalla lontananza dalla natura.
La perdita di specie locali mette in pericolo la nostra esperienza della natura […] Il contatto
personale diretto con gli esseri viventi influisce su di noi in modi vitali che esperienze
vicarie non potranno mai sostituire. Credo che una delle principali cause della crisi
ecologica sia lo stato di alienazione personale dalla natura nella quale vivono molte
persone. Manchiamo di un diffuso senso di intimità con il mondo vivente […] L’estinzione
dell’esperienza […] implica un ciclo di disaffezione […]102
Vi è quindi una necessità vitale che porta l’essere umano a contatto con il mondo della
natura e quando questo mondo non è presente, gli uomini si perdono in un limbo solitudinario.
Quello che accade è che l’individuo torna ad essere in uno stato di caos emotivo e psicologico tale
da non vedere più come è la realtà che gli si presenta. Paradossalmente la verità natural-simbolico-
caotica è quella che riesce in una certa misura, sotto forma di ambiente, a dare della stabilità
all’animo umano. Il puro artificio, che nella maggior parte dei casi non ha come ideale di essere
simbolo, immerge l’uomo in spazi non gradevoli, poco ospitali e privi di contatto energetico ed
empatico. I contrasti emotivi che convivono incarnati sotto la pelle umana sono nati per coesistere,
non perché l’uno vinca l’altro. Fino a qualche decennio fa l’uomo era spesso convinto di agire
ascoltando la voce della razionalità, ed invece il sibilo che gli sussurrava all’orecchio i modi
attraverso cui agire era il suono passionale delle emozioni istintive. Questa consapevolezza è giunta
Robert Michael Pyle, The Thunder Tree: Lessons from an Urban Wildland, Boston (MA), Houghton Mifflin, 1993.102
�55
proprio quando l’uomo è arrivato al massimo della sua produzione razionale di informazioni e si è
mostrata con l’invenzione (scoperta?) del computer o, per meglio dire, del personal computer. La
macchina calcolatrice è fin da subito stata in grado, in virtù della sua programmazione, di eseguire
processi molto complessi in tempi brevissimi, dando alla fine un risultato che finché riguarda la
matematica propone solo un alleggerimento del carico di lavoro da perte dell’uomo, ma con il
passare dei decenni questa macchina è stata raffinata sempre più (e lo è continuamente) fino a che
non si è trasformata in un mezzo da cui l’uomo — anche quello chiamato comune — ha imparato a
comprendere e comportarsi seguendo le logiche del processo. Come abbiamo detto, in un certo
momento della storia che possiamo collocare intorno alla metà degli anni ’80, negli Stati Uniti,
sempre più persone hanno potuto accedere a questo nuovo prodotto della Tecnica che ha fin da
subito creato un ambiente a sé che dava la possibilità all’uomo di cambiarlo e, per riflesso, di
cambiare lui stesso in un gioco di feedback continuo e irreversibile. Le scelte puramente passionali
non hanno trovato più spazio e l’individuo ha iniziato a privarsi della libertà che la macchina
avrebbe potuto dargli.
[…] il computer mette in risalto ciò che vi è di irrazionale nelle decisioni umane, dimostra
come una data scelta considerata ragionevole sia in realtà passionale. Il che non significa
che ciò si traduca in una razionalità assoluta, ma chiaramente tale conflitto introduce
l’uomo in un universo culturale diverso da quelli finora noti. Per l’uomo il problema
centrale […] non è più la propria esistenza e quella di Dio, in funzione di tale misterioso
sacro, ma il conflitto tra razionalità assoluta e ciò che fino a oggi ha costituito la sua
persona103
Ovviamente il computer non ha sostituito i medium che vi erano prima quali la televisione,
il giornale e la radio, ma ha dato all’uomo un modo per generare ambienti da sé, quelli che ognuno
desiderava di più, e di coltivarseli in intimità o in condivisione, se lo avesse desiderato; una
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 100. Il corsivo è nostro.103
�56
caratteristica questa che nessun altro mezzo di comunicazione era in grado anche solamente si far
sognare. Ciò che nei secoli prima sfruttava la tecnica per diventare strumento ed aiutare l’uomo ad
avvicinarsi a Dio e allo spirito sovrannaturale, ora serve per avvicinare l’uomo al suo Sé (e non al
suo Io) e quindi di riflesso anche agli altri esseri umani. Quello che agli inizi del Novecento venne
chiamato neoumanesimo, prevalentemente in ambiti filosofici e teorici, con gli anni Settanta e
Ottanta del XX secolo ha travato spazio evolutivo in ciò che da astrattismo è divenuto pragmatismo,
e da teoretico è divenuto pratico. Il problema che si pone con la nascita e lo sviluppo del computer
(e di internet, non dimentichiamolo) è di tipo filosofico, esistenziale, psicologico, tecnico,
naturalisitico ecc. Ogni disciplina — lo studio teatrale compreso — ha dovuto, e dovrà farlo ancora,
confrontarsi con tale realtà che ai giorni nostri non solo è all’ordine del giorno, ma è anche il
fondamento su cui si stanno già formando generazioni guidate da altre, generalmente più anziane,
che devono lottare per comprendere la sintesi tra simbolo e tecnica. Il confronto sarà tra quello che
in un passato/presente era/è dato per vero e quello che invece attraverso la Tecnica si scopre non
esser più completamente vero; ciò che ne deriva è un problema sì di ordine filosofico, ma perché
arrivi ad esser osservato da ogni tipo di disciplina deve esser visto con la lente che permette una
lettura emozionale, e quindi empatica.
A questo punto ci sembra lecito domandarci se il meccanismo empatico può essere
trasmesso e vissuto attraverso la Tecnica computer. Altrettanto lecitamente immaginiamo di si, ma è
necessario fare delle distinzioni di tipo generazionale. Chi è nato e cresciuto in un ambiente di tipo
mediatico, post guerre mondiali, nuclearizzato, bellico e tecnico — in senso artificiale e artificioso
— in cui ci inseriamo anche noi, necessita di studi e ricerche che gli permettano di spostare
leggermente il proprio punto vista; chi invece è nato e cresciuto intorno agli anni 2000 e ha avuto
affianco a sé guide che lo hanno aiutato a vivere l’esperienza Tecnica fin da piccolo senza però
tralasciare la componente Naturale, vivrà dei vantaggi notevoli nel futuro prossimo poiché per lui la
tecnica può esser considerata come già superata. Quando diciamo che la tecnica è superata,
�57
intendiamo dire che la percezione che il prodotto tecnico sia sempre un estraneo all’interno
nell’abbiente domestico e/o intimo, poiché rivoluziona ogni tipo di rapporto nei confronti del
vivere, non si pone. In una famiglia tradizionale il riunirsi intorno ad un tavolo per mangiare o
anche solo parlare è pratica quotidiana. Non è questa la sede in cui domandarci le modalità
attraverso cui si verificava, ci basta avanzare che era, in parte, è realtà. Con l’avvento del telefono
cellulare — prendiamo un esempio per tutti, ma potrebbero essere decine di altri — nella nostra vita
quotidiana i “disturbi” della lineare esistenza lavorativo-casalinga si sono dovuti ri-comporre e, è
giusto precisarlo, all’epoca erano solo gli adulti lavoratori a possederlo. Poi col passare degli anni
sempre più giovani (non lavoratori) hanno potuto avvicinarsi al nuovo medium e con loro i rapporti
famigliari e di amicizia hanno a loro volta subìto dei radicali cambiamenti che giorno per giorno
ognuno di noi vive. Prima si guardava (vedeva) la televisione oppure si ascoltava la radio tutti
insieme, ora le persone scelgono se vederla o se mentre che è davanti a noi, accesa, mandare un
segnale di comunicazione ad una persona pensata o desiderata. Quello che vogliamo dire è che le
generazioni post Duemila sono nate in un ambiente domestico già molto tecnico e, nella migliore
delle ipotesi, Tecnico . In questo modo loro non hanno bisogno di studiare per superare il tabù, ma 104
dovranno studiare per ricercarlo, il tabù, affinché non venga mai dato per scontato fino in fondo,
poiché non tutto è Tecnico; anzi lo è solo una minoranza dei prodotti sul mercato ed una minoranza
di oggetti del mondo. La maggior parte sono generati da etiche corrotte, che rispondo ad esigenze
lontane rispetto alla nostra visione, e che quindi non sono empatiche e non hanno alcun desiderio di
divenirlo mai. Per questo motivo è necessario — e lo sarà sempre più — avere persone formate
tanto da qualità tecniche quanto umane, emozionali ed emozionate, sinceramente; presentate e non
rappresentate, per tendere la nuova lente biofila con cui osservare il mondo e il tempo. L’uomo è
guidato da molte pulsioni opposte che possono portare prevalentemente a due vie: una che mette al
centro di tutte le attività umane l’esperienza incarnata
La lettera maiuscola sta ad indicare tra le due possibilità della tecnica quella che è anche Simbolica.104
�58
cioè, di partecipazione all’altro — e che [attua] la capacità di capire l’altro e rispondergli
«come se» fosse noi stessi [e questo] è la chiave delle modalità di coinvolgimento
dell’uomo nel mondo, della creazione dell’identità individuale, dello sviluppo del
linguaggio, dell’apprendimento del pensiero razionale, della socialità, dell’elaborazione di
narrazioni culturali e delle definizione della realtà e dell’esistenza.105
ed un’altra che, punto per punto, è capace di leggere il mondo contrariamente rispetto a quanto
affermano gli ultimi studi di psicologi e ricerche di operatori nelle scienze cognitive , portando 106
dunque a egocentrismi, depressioni, violenze, fughe da libertà possibili che riducono così
l’ambiente circostante a luogo d’oblio da combattere con fantasmi, i quali rispondo con la forza alla
coesistenza delle umane pulsioni opposte.
Erich Fromm nel suo libro Avere o essere? affronta la tematica del fanatismo 107
presentandola come una espressione che lega la forma dell’avere a quella dell’essere attraverso la
traduzione di uno dei due, nell’altro. L’autore spiega che buona parte dei problemi legati a morali o
politiche si impernia su una domanda sola: avere o non avere? Affrontandola in termini religiosi
Fromm parla di fanatismo nell’ascesi come forma di repressione di una profonda necessità di
consumo e proprietà. L’asceta è in grado di respingere la pulsione al consumare, ma ciò significa
che è ossessionato dall’attività stessa di consumare. In psicanalisi, spiega Fromm, i dati che
argomentano la tesi secondo cui l’oggetto del fanatismo è l’espressione di una pulsione contraria,
abbondano. Parla di vegetariani fanatici che con la loro dieta cercano di reprimere le pulsioni
distruttive, i fanatici nemici dell’aborto che nascondono desideri omicidi e i fanatici della «virtù»
che celano desideri peccaminosi.
Laila Craighero, Neuroni specchio, Bologna, Il Mulino, 2010.105
Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Oscar Mondadori, 2010, p. 133.106
Erich Fromm, Avere o essere, Milano, Oscar Mondadori, 1986, p. 99.107
�59
A contare, nel caso specifico, non è una certa convinzione in sé e per sé, bensì il fanatismo
che la sorregge. Al pari di tutti i fanatismi, questo legittima il sospetto che serva a coprire
altri impulsi, di solito di segno opposto.108
Questi sono tutti casi in cui le pulsioni non sono state comprese da sé, o con il sostegno
esterno di qualcuno, per una infinità di motivi che è impossibile elencare. Possiamo però affermare
che la fragilità nel rapporto interpersonale che si sviluppa in ambienti scolastici e famigliari è nella
maggior parte dei casi generata da persone poco amorevoli, sempre in senso frommiano, che non
desiderano accompagnare il giovane nel suo processo di crescita guidandolo nella comprensione del
mondo e del Sé.
La nostra epoca sta vivendo una profonda mutazione nel suo modo di avvicinarsi a sé stessa,
cercando di decifrarsi, generando una forma di fanatismo mediatico-informativo estremizzato da
forme di comunicazione sempre più rapide, prive di referenza e rappresentative, oltre che «guidate»,
e non sempre con fondamenta solide e certificate. È il caso di alcuni social network, primo tra tutti
Facebook®. Il tipo di informazione che propone il sito, che sta da anni sul podio dei website più
visitati quotidianamente, è di tipo fanatico. L’utente che si rapporta con l’ambiente Facebook® è
portato a vivere una forma perversa di ingordigia, data da informazioni che devono essere scorse
rapidamente e, ne deriva, che molte di queste informazioni, per rapidità divulgativa, non sono
verificate da parte dei professionisti di settore . Il cambiamento dell’universo culturale che si crea 109
inserendosi in ambienti simili, è palese. C’è chi in passato ha responsabilizzato la tecnica di tale
cambiamento presentando studi che mostrassero una panoramica del mutamento da cultura
tradizionale a sistema culturale tecnocratico. Jules Gritti ha analizzato la metamorfosi tentando di
proporre alcune «coppie dialettiche» contrastanti: cultura/specializzazione, gratuità/efficiacia,
Ibid.108
Anna Bandettini, all’interno del ciclo di incontri Parlamenti di aprile, Ravenna (RA), Teatro delle Albe, 2014.109
�60
sforzo/piacere, parola/immagine ecc. Prenderemo in considerazione solo la prima dicotomia 110
come esempio per le altre. L’autore mette in contrapposizione la cultura con la specializzazione,
intendendo con ciò che quello che prima era considerato cultura, unito, simbolico, con l’avvento
della tecnica globale ed il suo idolatramento viene separato, diviso. Ogni parola viene studiata
singolarmente e analizzata sia in referenza a sé stessa che, successivamente, alle altre. Ogni bene
culturale non viene più osservato solo per il suo valore in sé, ma anche come ensemble di infinite
altre possibili interpretazioni, analisi e rapporti che altrimenti rimarrebbero celati nei misteri della
storia. In breve la cultura viene specializzata. Anche Baudrillard cerca di dimostrare come la cultura
generata dalla tecnica sia lontana da quella considerata come:
“1 — Patrimonio ereditario di opere, pensieri tradizione.
2 — Dimensione continua di una riflessione teorica e critica.”111
Trascendenza critica e funzione simbolica sono entrambe negate dalla sottocultura, che nega
i due concetti presentati da Baudrillard. Tuttavia il problema non è legato ai contenuti culturali ma
piuttosto al pubblico a cui si riferisce che essendo inserito in ambienti non favorevoli allo sviluppo
critico ed emotivo rischiano di perdersi in uno spazio troppo esteso che può portare a chiusura
emotiva. A questo punto la cultura, propone il filosofo, non è più fatta per durare e la rapidità del
progresso tecnico condanna la cultura ad essere il contrario di ciò che è sempre stata: ora è consumo
immediato di un prodotto senza contenuto. Baudrillard nota anche come tra cultura di massa e
cultura d’avanguardia con la tecnica non vi è più differenza. È sempre difficile fare delle
affermazioni che durino a lungo come verità assolute quando si ha a che fare con la tecnica, poiché
la sua stessa rapidità di sviluppo ne impone una immediata rilettura, e infatti ciò che l’autore
propone è senza dubbio in parte vero, ma noi lo leggiamo al contrario di come è stato posto. La
tecnica ha sicuramente modificato il processo di creazione e di fruizione culturale, tuttavia non ne
ha radicalmente mutati i contenuti in sé, al massimo li ha rivisti, poiché è stata in grado di
Jules Gritti, Cultura e tecnica di massa, Roma, AVE, 1969.110
Baudrillard in Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 95.111
�61
parcellizzarli e leggerli da molteplici visioni anziché una solamente; ma non crediamo che sia
questo a creare una massificazione populista della cultura, poiché metà della responsabilità l’ha
l’uomo stesso che la accetta. Siamo tutti concordi nel dire che una cloaca non è un ambiente
gradevole in cui passare del proprio tempo libero, e quindi non lo facciamo. Tuttavia quando si ha a
che fare con la rappresentazione mediatica, la percezione dei contenuti viene completamente
ravvisata ed il loro aspetto superficiale di assoluta verità sembra vivere gloriosamente. La divisione
dell’apparato informativo è generato dunque da un approccio di tipo tecnico che però non vive della
mirabilia e conoscentia a cui può portare quando è composto anche da un aspetto simbolico,
specializzato.
Con questo temine si vuole intendere che la cultura viene parcellizzata, atomizzata, e come
conseguenza ne deriva una sempre maggiore consapevolezza di ignoranza per i non addetti ai lavori
(nel migliore dei casi), oppure ne può derivare un’inscatolamento isolato — di un aspetto della
cultura — dal resto delle altre discipline, dettato dal desiderio di possessione di quella che viene
considerata la verità. Il rischio è che l’ego di chi fa una scoperta nuova in un determinato settore
non desideri aprirla agli altri poiché ritenuti inferiori, troppo distanti, ignoranti ecc. La
specializzazione può per contro essere anche la via attraverso cui leggere, o anche solo intuire, una
parte della costellazione culturale di cui fa parte l’opera in questione. Se ipotizziamo che il mondo è
composto da una realtà simbolica, e inseriamo l’uomo tecnico all’interno di questa realtà è
altamente improbabile che sia capace di leggerlo e intuirlo. Ma essendo che questa situazione
ipotetica non è realizzabile, dobbiamo immaginare un uomo che si sente simbolico poiché naturale
e legato al suo lavoro che tanto sapientemente conosce, inserito in un mondo tecnico che gli sembra
estraneo. La differenza tra i due aspetti è che nella prima l’uomo tecnico si metterà presto al lavoro
per cercare di comprendere ciò che gli sta attorno, mentre nel secondo la chiusura sembra essere
l’unica via di scampo che se vuole essere fuggita deve basarsi anche su fondamenti altri rispetto a
quelli già conosciuti. Si può basare, ad esempio, sul fatto che siamo tutti uomini e che ogni prodotto
tecnico è frutto dell’uomo stesso e quindi può essere compreso ed evoluto anche da noi come
�62
individui. Un orientamento tale apre lo spirito umano soggettivo all’altrui diversità che viene
compresa come capace di produrre Tecnica, in alcuni casi. Sviluppando un approccio simile, di pari
passo, si svilupperanno nel soggetto sempre più capacità critiche che gli permetteranno di
interpretate e comprendere la differenza tra una manifestazione tecnica ed una Tecnica.
L’essere umano quando è abbracciato nel cullante sonno della rappresentazione mediatica, e
quindi molto esposto al rischio di una perdita di sé stesso, è comunque, per così dire, «in contatto»
con gli altri uomini. Baudrillard riferendosi ai giochi televisivi, ne parla in termini di 112
partecipazione (non interazione). L’autore sostiene che il concorrente al gioco è felice perché
ottiene ciò che desidera, ovvero la soddisfazione di essere apparsi in TV, e il pubblico si sente
appagato perché ha la sensazione di essere un insieme unico, in comunione, «in contatto». La
società dei consumi, secondo lo studioso, non è vero che è priva di riti, ma questi nuovi riti sono
Tecnici e non più simbolici, e la comunione, dice, non è più tramite il pane o il vino cristiano, ma i
mass-media. Ed essendo mediati questi riti diventano comunicazione. Dobbiamo tuttavia dissentire
dell’utilizzo del temine comunicazione, poiché presuppone un doppio feedback tra chi emette il
messaggio e chi lo riceve, ed i mass-media non ne possiedono l’abilità. Emettono un messaggio
sotto forma di segnale che viene ricevuto da uno spettatore che può sì provare emozioni (anche
forti) dopo aver tradotto il segnale, ma il suo feedback si infrange irrimediabilmente contro una
lastra di vetro che ricopre il monitor oppure contro una membrana vibrante che compone
l’altoparlante della radio, o anche contro le pagine bianche di un foglio di giornale. In tutti e tre i
casi la risposta del referente è troncata e, l’uomo che la prova, dobbiamo immaginare che la
rivolgerà verso altre persone, oggetti, problemi che non riguardano quello in questione, ecc. Ne
deriva una forma di caos tecnico. In questo orizzonte si collocano al giorno d’oggi anche alcuni tipi
di media che sfruttano medium diversi per potersi rivolge all’utente: internet può esserne uno, ed i
social network sono tutti in prima linea in tal senso. Quando l’uomo si interfaccia ad un sito web
Ibid. p. 57.112
�63
che si presuppone possieda delle caratteristiche per cui ad un input ne consegua uno — più —
output, ciò che si verifica è una fortissima fascinazione che il sito riesce ad innescare nell’utente.
Abbiamo già parlato dell’empatia e delle sue implicazioni neuro-fisiologiche. E abbiamo
anche presentato l’idea appartenente a qualche decennio fa, secondo cui il computer cambierebbe la
nostra conoscenza da una di tipo esperienziale ad una di tipo esclusivamente conoscitivo . Ora 113
sappiamo che questo non è possibile, poiché quando vi è interazione in uno scambio continuo di
feedback la mente ed il corpo sono sempre molto attivi, tesi ed in movimento. Potremmo
cominciare dai movimenti più semplici quali utilizzare una tastiera, un mouse, un trackpad per
arrivare fino a dimostrare come i neuroni, ed i neuroni specchio in particolar modo, abbiano la
capacità di immergerci in realtà ed ambienti lontani da noi ma che riescono ad entrare nelle nostre
carni, a volte più profondamente di quelle non filtrate da schermi e oggetti digitali. L’interazione ha
un’enorme valenza nell’individuo, nella misura in cui riesce a far entrare in contatto, non cutaneo,
ma emotivo, oggetti ed informazioni con le persone che li consultano; e le grandi aziende creatrici
di contenuti web lo sanno molto bene. Questa è una delle chiavi di lettura attraverso cui leggere il
motivo che spinge graphic designer e interactive designer di Facebook® e Twitter® a voler far
scorrere le pagine dei loro contenuti, e non presentarli in maniera più completa, esaustiva e
correlata.
Appartenente ad anni in cui il computer era solo agli albori delle sue potenzialità è anche
l’idea che l’uomo, quando agisce, non si relazione a contenuti, ma a tecniche . Anche questa 114
posizione è reale ancora oggi, in parte, poiché come abbiamo visto è il tipo di approccio nei
confronti del dispositivo tecnico e naturale che cambia la considerazione che abbiamo di esso. Per
la maggior parte degli uomini del Novecento — sia studiosi e creativi che operai — la macchina era
generalmente considerata come distruttrice, capace di sostituirsi al valore umano annichilendolo e
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 100.113
Ibid. p. 83.114
�64
portandolo alla scomparsa. Basti pensare ai romanzi di Philip K. Dick o 1984 di Geroge 115
Orwell . Negli scenari pensati dagli autori, la macchina — la tecnica — in un futuro apocalittico 116
ma plausibile, corrompe gli animi umani portandolo a creare invenzioni che ne determinano la
possibile estinzione, fisica, emotiva o entrambe. Siamo in grado oggi di osservare queste teorie
come ancora plausibili in una certa misura, ma essendo che l’individuo ha sempre maggiori
possibilità di assumere coscienza del suo Sé ha anche sempre maggiori possibilità di sviluppare il
suo senso critico del mondo e dei prodotti tecnici e tecnologici. In questo senso è vero, l’attenzione
che nei tempi passati veniva rivolta verso un oggetto si esauriva attraverso la concretezza e fisicità
dell’oggetto stesso. Con lo sviluppo Tecnico, invece, oltre alla fisicità vengono sempre più
considerate le componenti astratte, ideologiche ed emotive che l’oggetto porta con sé. Marx parla
del prodotto come di una nuova forma attraverso cui l’uomo, il suo creatore può, oltre che
identificarsi, anche leggere ed interpretare sé stesso ; ben inteso con le sue positività e negatività. 117
In una visione simile, l’uomo impara ad aprirsi al mondo in cui vive; il quale, a sua volta, gli si
apre, parlandogli ed estendendo la sua soggettiva individualità personale che così facendo evolve.
L’ambiente è determinante per un individuo che decide di non chiudere il suo spirito a ciò
che il mondo ha da proporgli. Internet è un ambiente molto esteso che vive di regole e paesaggi a
volte più naturali, a volte meno. Talvolta chi crea gli spazi digitali si domanda che tipo di esperienza
vuole proporre, altre volte questo viene meno. Altre invece i fini economici che utilizzano metodi
persuasivi rischiano di diventare il punto di inizio di un ciclo di feedback negativo che può far
incappare l’utente, l’uomo, in semplicismi e accettazioni passive dei contenuti che gli vengono
proposti in maniere a volte discutibili e controproducenti a livello emotivo e relazionale, ma molto
efficaci in termini economici.
Philip Kindred Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Roma, Fanucci, 2007.115
George Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 2002.116
Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 2004, p. 115.117
�65
Ciò che si è finora verificato è che la maggior parte delle aziende che hanno deciso di aprirsi
al web, dagli anni Novanta in poi, hanno considerato la rete come una protesi della loro attività
solida, non digitale (si veda l’intervista in appendice). Oggi la situazione sta lentamente mutando
verso una costruzione di internet più umano, meno consumistico e più interessato ai pensieri e alle
considerazione delle persone che ne fanno utilizzo. A volte questo interesse è puramente a sfondo
economico, altre meno. Sono caratteri del web, questi, che chi più chi meno investono la maggior
parte dei website. Social network, motori di ricerca, blog, siti privati e aziendali; che trattano di arte,
di società, di economia, di ecologia, di ambiente e di commercio. Tutti sono soggetti a tentativi di
persuasione e di caduta nel tranello di dare maggiore rilievo all’aspetto economico rispetto a quello
ambientale (Stimmung) e individuale (corpo-proprio). Il paesaggio della rete in base a come viene
dipinto cerca delle risposte di un certo tipo nell’utente che lo consulta. E queste riposte possono
anche sfociare nella ricerca di fama, anziché in ricerca critica di informazioni. Laddove vi è una
forte interazione, un ambiente per così dire gradevole e l’opinione sembra avere un valore,
l’individuo è stimolato ad apprendere rapidamente e profondamente ciò che gli viene proposto
come verità, poiché la fiducia nei confronti di chi sembra darti spazio creativo, che a sua volta
sembra esprimerti fiducia, è facilmente riponibile.
�66
3 — Il teatro nella rete. Analisi della proposta attuale.
3.0 — Premessa al capitolo.
In tutto il saggio precedente abbiamo voluto affrontare, senza però nessuna pretesa di
volerlo esaurire, parte del rapporto che l’uomo instaura con la Tecnica e con i suoi manufatti. Il
nostro fine è stato di cercare di intravedere anche solo una flebile luce nel lungo e complicato
percorso dell’inserimento del medium internet, in una visione storica e antropica il più possibile
estesa e «a volo d’uccello». Il risultato è una breve forma teorica che può fungere da fondamenta su
cui costruire delle prospettive di raggio più ampio cominciando dall'analisi di ciò che in questo
momento lo spazio web accoglie e, quindi, propone all’utente.
Il capitolo che andremo ad affrontare si concentrerà dunque sull’osservazione di alcuni siti
web (nazionali e, a volte, internazionali) che trattano della disciplina che ci riguarda: il teatro e le
sue molteplici forme.
Per comodità di analisi cercheremo di categorizzare i siti web anche se siamo coscienti della
loro esaustiva impossibilità. Cercheremo dunque di inserirli in uno dei cinque generi di approccio
web in base alla loro caratteristica principale che può essere in forma di vetrina teatrale; blog
militante; rivista online e in formato e-book (comprendendo anche testate giornalistiche); la riviste
in formato cartaceo; l’archivio online, la ricerca che ne consegue e, quindi, la rete critica. Quasi
nessuno dei siti web che prenderemo in considerazione gestisce solamente un aspetto dei sei
indicati, e questo in virtù del DNA di cui è costituito il teatro stesso: multidisciplinarietà ed energie
colte da altre materie oltre che essere esso stesso linfa vitale per discipline cugine, sorelle e amiche,
quali la storia, l’antropologia, la linguistica, l’architettura, la sociologia, l’arte, la poesia, la
letteratura ecc.
�67
Abbiamo deciso che, laddove la nostra attenzione si sarebbe rivolta verso luoghi stranieri,
sarebbe stata fatta ricadere in Germania e, precisamente, a Berlino poiché, durante tutto il XX
secolo, è stata una delle città europee più presenti in ambito internazionale per ciò che concerne il
settore culturale. Questo le ha permesso di essere la capitale della cultura nel 2012 promuovendo
Berlino come “Città della musica e del teatro”. Parlando di multidisciplinarietà Berlino è una città
che conta 180 musei, 440 gallerie, tre teatri d’opera, otto orchestre sinfoniche, 130 cinema e più di
150 palchi su cui esibirsi (senza contare l’incalcolabile offerta domestica e universitaria). In tutto
ogni giorno si offrono ai cittadini berlinesi e ai viaggiatori circa 1500 spettacoli . Questi sono solo 118
dei dati che presi singolarmente posso essere espressivi, come no. Ciò che per noi è importante
rilevare, e chi ha passato del tempo nella capitale tedesca lo avrà riscontrato, è che questi dati in
realtà parlano di concretezze artistiche tutte in relazione l’una con l’altra. È molto raro che una
forma artistica si chiuda in una torre d’avorio, e non appena ha le possibilità di realizzarsi fa di tutto
per aprirsi alle altre discipline, estendendole. La comunicazione che intercorre tra un settore della
cultura ed un altro, e di come viene gestito, sarà uno dei modi attraverso cui andremo ad osservare i
siti in questione.
È necessario fin da subito esplicitare che nella raccolta dei dati e nello stilare la lista dei siti
da consultare sono stati considerati decine di indirizzi web a tema teatrale e che, per motivi di
similarità tra l’uno e l’altro, onde evitare inutili ripetizioni, ne verranno presentati un numero
inferiore che, a nostro avviso, propone delle novità o anche solo delle caratteristiche interessanti per
la logica del teatro nel web, ovvero l’informazione e la messa in relazione in modo significativo di
tali informazioni pluridisciplinari.
Le informazioni e i dati sono tratti da www.visitberlin.de.118
�68
3.1- I TEATRI NELLA RETE — I siti dei teatri.
La parola teatro vive di molteplici significati. Teatro è quella relazione che vi è tra qualcuno
che agisce e qualcuno che osserva. Teatro è una forma di spettacolo. Ma il teatro è anche uno
spazio, un luogo che accoglie dentro sé delle attività organizzative e artistiche che portano alla
realizzazione di una performance davanti a degli spettatori. Questa ultima significazione è quella
che più ci interessa in questo momento, e lo è in virtù del fatto che internet, come abbiamo detto, è
anch’esso un ambiente: teatro come spazio e internet come spazio.
Il pensiero più immediato, più semplice, per così dire, che viene in mente quando
immaginiamo uno spazio — come potrebbe essere un’attività commerciale — e la sua proiezione
nel mondo virtuale, nella rete, è generalmente di tipo diretto, ovvero è una protesi dell’attività
stessa. Chi ha avuto — e ha — il dovere di gestire dei contenuti solidi, ovvero appartenenti alla vita
al di qua dal monitor, spesso ha realizzato degli spazi grafici virtuali che rispondo a questa visione
banale di tale ambiente. Il considerare internet come una semplice protesi — o proiezione —
paritaria del mondo delle relazioni fisiche è stato, fin dai primi albori della rete, una tendenza
generalizzata, soprattutto in virtù del fatto che gli organizzatori aziendali, e anche tetarali, non
sapevano molto bene cosa farsene di questa nuove Tecnica. Un po’ quello che succede oggi con il
famoso “internet delle cose” (si veda l’appendice 1). Si ha qualcosa tra le mani con un potere
immenso, viene percepito come tale, ma data la sua enorme energia l’uomo ha fatto difficoltà a
sviscerarne le potenzialità e, un po’ per paura, lo ha spesso rinnegato. Negli altri casi ha cercato di
domarlo, senza però lasciarsene troppo persuadere. Ci si affidava a operatori informatici che
costruissero la vetrina della propria offerta aziendale anziché cercare di astrarre il potere simbolico
della rete e, così facendo, esaltarne le potenzialità che, molto spesso, avrebbero poi rilevato lacune
organizzative e catalogatrici da parte dell’azienda stessa. Come abbiamo detto il timore è spesso
stato molto presente in chi si cimentava in una esperienza tale. Poi hanno iniziato ad entrare nelle
vite delle persone i social network e dispositivi tecnologici sempre più avanzati e sicuri che hanno
aiutato a proiettare della fiducia in quello spazio così immenso e così complicato da comprendere.
�69
In questa maniera presto molti artigiani, piccole aziende con bassi budget a disposizione o anche
solo individui privati hanno iniziato a pensare — e a far realizzare — il loro spazio all’interno di
internet. Tuttavia questa fiducia non sempre è stata ripagata a dovere, poiché giovani inesperti e
grandi truffatori hanno approfittato del nuovo pubblico per creare dei website poco attraenti e poco
sicuri, così che il cliente sviluppasse da sé sempre nuove esigenze e desideri nei riguardi di internet
e, così facendo, si fidelizzasse all’amico o al conoscente che gli eseguiva il lavoro. Il problema è
che questo si è verificato anche in realtà più ampie rispetto a quelle piccole da noi descritte ed il
risultato è un luogo infinito (la rete) in cui vi sono milioni di siti, molti dei quali sono molto simili
l’uno all’altro poiché la tecnica ne ha determinato le regole e non l’art-direction, come invece si è
portati a credere. Internet in questa maniera è divenuto un luogo in cui la creatività dei designer si è
fossilizzata su strutture per ascisse e coordinate e forme semplici prive di interazione l’una con
l’altra.
Questa breve divagazione è stata necessaria per identificare alcune cause, le più semplici,
che hanno portato alla creazione di quella forma di internet che abbiamo quotidianamente di fronte
e noi: disinformazione; sfruttamento delle risorse; adagiamento creativo e identificazione di internet
come vetrina della propria attività che, a volte, abbraccia anche il mondo del teatro.
Prenderemo ora in esempio tre siti web di tre teatri differenti sia per locazione geografica
che per tipologia di offerta, che appartengono ad alcune delle realtà teatrali più vive e fiorenti in
Italia. Il teatro San Carlo di Napoli, il Teatro Stabile Pubblico Regionale ERT della regione Emilia-
Romagna e il Piccolo Teatro di Milano.
Il primo, il sito del Teatro San Carlo di Napoli (appendice 2.1), è l’unico dei tre che si
presenta con una veste grafica in linea con gli ultimi standard internazionali HTML5 che aprono a
molte nuove possibilità estetiche e di interazione rispetto al vecchio standard HTML4 e Flash. Oltre
a questo, il codice HTML5 permette una stabilità del sito, e una sua sicurezza generale,
�70
notevolmente superiore al codice che lo precedeva. Tuttavia l’aspetto grafico non è l’essenza dello
spazio virtuale ma solo una sua presentazione. Iniziando ad esplorare il portala del teatro napoletano
vediamo subito che ci chiede di esser scorso verso il basso per esser navigato poiché la veste
minimale, e basata sulla forza delle grandi immagini, toglie spazio alle informazioni basilari che
vengono quindi spostate verso il basso. Un bel tocco, a nostro avviso, che distanzia il sito dalla
prassi di collocare la «barra di navigazione» in alto nella pagina, è di collocarla in basso. Quelle che
ci vengono proposte come azioni possibili sono “l’acquisto del biglietto”, la consultazione del
“cartellone”, una “storia del teatro”, una sezione “educational” e dei “contatti”. E fino a questo
punto nulla che si discosti dalle informazioni basilari che un’attività deve fornire ai suoi clienti
abituali ma, ancor più, a quelli potenziali. Ciò che vi è di nuovo e interessante dal nostro punto di
vista, che mette in gioco una tematica troppo spesso misconosciuta e anche un po’ celata, che è
quella “dell’archivio”. Il Teatro San Carlo è composto, oltre che dal teatro, da un museo e da un
archivio storico. Tuttavia, ora come ora, la pagina ad esso dedicata non è consultabile poiché è in
fase di elaborazione e speriamo che sia un giorno navigabile interamente online, e non solamente in
formato analogico. Quello del San Carlo è un sito semplice e intuitivo, con qualche bug grafico
durante lo scorrimento dell’unica pagina che viene navigata utilizzando il solo movimento verticale.
Non presenta particolarità se non rispetto all’idea di creare un archivio interrogabile virtualmente ed
una impostazione grafica tuttavia al passo coi tempi.
Il secondo sito che osserveremo sarà quello di ERT — Emilia-Romagna Teatro (appendice
2.2). Se il San Carlo si compone di un teatro, un museo ed un archivio, gli edifici che compongono
ERT ne complicano la struttura: in questo caso, infatti, siamo di fronte ad un ente che gestisce ben
tredici teatri sul territorio emilio-romagnolo. Aspettarsi, quindi, un sito web che possa essere
esauriente sotto il profilo delle informazioni per ogni realtà teatrale gestita da ERT, metterebbe a
rischio la nostra esperienza di navigazione, poiché l’improbabilità che ciò avvenga è molto alta.
Immaginiamo che ogni teatro possieda una sua struttura, una sua storia, un suo archivio, delle sue
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relazioni con altri enti culturali ecc.; possiamo fin da subito affermare che, nonostante i dati fornitici
dal sito di ERT non siano molti, sono esattamente quelli che interessano l’utente e sono presentati in
maniera sì discreta, ma abbastanza esauriente (considerato che riguardano ben 13 teatri!) se inseriti
all’interno della logica di internet, che è di fornire informazioni rapide ed utili. L’impostazione di
base, contrariamente al sito del Teatro San Carlo, è ancora in HTML4, quindi anziché apparire
come dinamico e fluido crea qualche frizione durante la navigazione. Il luogo dell’esperienza delle
informazioni non è in basso, ma in alto, come nella maggior parte dei siti web, e quindi non è
caratterizzante. Viene data molta importanza alla divulgazione social ed una discreta rilevanza
hanno le immagini che scorrono davanti ai nostri occhi mentre siamo in cerca dei nostri interessi. Il
sito non vive di una felicissima veste grafica poiché è tendenzialmente poco attuale, e lo si nota nel
momento in cui gli oggetti vettoriali si affiancano agli shooting che, per contro, sono realizzati
professionalmente e permettono di entrare in contatto con il loro contenuto. È evidenziabile, però,
una grande area dedicata ai cartelloni dei vari teatri. Là dove la navigazione finisce, ovvero in fondo
alla pagina, vi è un calendario che gestisce i giorni in maniera verticale, potendo ospitare così
l’elenco degli spettacoli teatro per teatro con i rispettivi orari. Ma una volta che si è cliccato per
avere maggiori dati specifici dello spettacolo che è di nostro interesse, ci imbattiamo in una serie di
bug quali testi mancanti, colori che affaticano la lettura e mancanza di un collegamento diretto con
l’acquisto del biglietto del suddetto spettacolo.
Un po’ nascosto, in fondo alla pagina web, digitato in piccolo, compare la scritta “Archivio
produzioni”. Aprendo il link si viene catapultati in una nuova finestra che permette di navigare tra
gli anni delle produzioni ERT, che sono trattati in maniera esaustiva con informazioni che vanno
dagli interpreti, ai tecnici e ai luoghi della tournée, il tutto composto anche da foto e video tratti da
Youtube®. Nonostante il contenuto sia notevole ed estremamente utile per gli addetti al settore, è
strutturato in maniera pre-duemiladieci (staticità globale e poca attenzione all’interazione) inoltre
presenta innumerevoli link privi di contenuto. Vi è, in ultima analisi, come informazioni che il sito
dona al visitatore, una sezione in cui sono raccolti numerosi link ai teatri stabili pubblici presenti sul
�72
territorio nazionale, alcune riviste online e link differenti inseriti in “Varie teatro e cultura”, i cui
collegamenti portano a compagnie teatrali, festival e progetti teatrali altri rispetto a quelli
organizzati da ERT. Con questa ultima sezione si inizia a intravedere quella che più avanti
chiameremo “Rete critica”, ed è una forma innovativa attraverso cui strutturare un sito web, poiché
vive di relazioni molteplici con differenti ambiti disciplinari di riferimento. In questo modo ciò che
si dovrebbe realizzare è una sorta di visualizzazione critica di contenuti culturali, ma lo
affronteremo nel sottoparagrafo “Rete critica”.
Il terzo ed ultimo sito web verso cui dirigiamo la nostra attenzione è quello del Piccolo
teatro di Milano (appendice 2.3), che di recente ha assunto notevoli cambiamenti per ciò che
riguarda la sua schermata “home” senza tuttavia stravolgere la sua essenza. Ogni nostra
considerazione riguarda quindi solo gli ultimi aggiornamenti. Aprendo il sito, notiamo che una
grande immagine affiancata da un calendario occupano la maggior parte dello spazio visivo. Sopra a
questi due elementi, come nel caso del sito di ERT, vi sono delle parole che, una volta cliccate,
aprono dei sottopannelli. Quello che è subito chiaro è che l’architettura del sito del Piccolo di
Milano è piuttosto articolata, ma chiara. Scorrendo la home verso il basso si notano delle colonne
dentro cui vi sono le presentazioni degli spettacoli prossimi che sono affiancate da un elenco delle
ultime “news”. In fondo alla pagina vi sono i contatti e le mappe dei tre palcoscenici di proprietà del
Piccolo: lo Strehler, lo Studio e il Grassi. Questo è un dettaglio rilevante poiché significa che senza
creare un sottomenu apposito denominato “contatti” o “dove siamo” l’informazione è più diretta. La
comunicazione non è filtrata poiché nella prima schermata con cui interagiamo possiamo navigare il
sito web del Piccolo milanese nella sua interezza. È di nostro particolare interesse evidenziare che
tra le etichette «in stile retrò» che vi sono in alto nella pagina, ve n’è una che risponde, in parte, alle
ultime esigenze informatico-culturali ed è nominata “Archivi”. Cliccando sul titolo del menu a
tendina si può scegliere tra “Archivi multimediali” e “Progetti speciali”. Il primo è quello verso cui
portiamo la nostra attenzione data la sua rilevanza verso ciò che abbiamo chiamato “Rete critica”.
Dopo aver aperto la pagina in cui si viene rimandati si nota subito un radicale cambio di �73
impostazione grafica. Laddove prima vi era innovazione e armonia, anche se in un linguaggio
macchine non aggiornato alle ultime versioni, ora vi è banalità e disordine amplificato da un
apparente ordine dettato da riquadri neri che occupano i testi. Vi è una breve descrizione di cosa
sono gli archivi del Piccolo e poi si può iniziare a navigare in quella che è un’esperienza per
selezione dell’ambito di interesse che può variare da “numero dei risultati” che sono a nostra scelta,
al titolo dell’opera, alla stagione, all’autore, alla regia, alla scenografia, ai costumi alla musica.
Dopo aver applicato i filtri, in maniera non dinamica ma di ricaricamento della pagina, appaiono i
risultati della ricerca che si dividono in “Immagini”, “Bozzetti”, “Manifesti” e “Rassegna stampa”.
Non vi è relazione tra i documenti e tanto meno viene manifestata una relazione tra i vari contenuti
che tuttavia sono ben archiviati e accettabilmente presentati. Si nota un forte contrasto da quella che
è la prima pagina che presenta il sito web e quello che è tra le altre, l’anima storica di un teatro
ovvero, il suo archivio.
Ci sembra necessario fare un brevissimo accenno ad un sito web straniero che possa valere
come exemplum per una tendenza che è più generalizzata in abito berlinese. Dando un primo
sguardo al sito del Maxim Gorki Theater (appendice 2.4) si viene accolti da dei “tasselli” quadrati 119
di un puzzle che sono costituiti di fotografia con al di sopra il titolo dell’opera che rappresentano. Il
font utilizzato è originale ed è in sinergia con lo stile sia fotografico che grafico. Tra il marchio del
teatro, che è collocato in alto a sinistra, ed i tasselli vi è una linea di testi che permette di navigare
nelle sottocategorie del sito che non è mai a tre livelli ma sempre a due, evitando così rischiose
strutture rizomatiche che rischiano di far perdere l’orientamento all’utente. In generale la 120
semplicità della comunicazione la fa da padrone. Ogni tipo di relazione con l’esterno del sito stesso
è lasciata in mano all’universo social, con i suoi pregi ed i suoi difetti. Il sito straniero qui
http://www.gorki.de119
Con rizoma intendiamo quel tipo di struttura che si compone di un nucleo unico centrale che si dirama, moltiplicandosi, verso 120
una sola direzione. L’albero è esempio di una struttura rizomatica. Il concetto viene descritto in maniera esaustiva da Gilles Deleuze e Félix Guattari in Rizoma, Roma, Castelvecchi Editore, 1997.
�74
considerato, ma lo stesso discorso vale per quello della Schaubühne, della Volksbühne e del
Berliner Ensemble, è privo di ogni riferimento culturale a realtà esterne che possano rientrare in
quella che abbiamo identificato come “Rete critica”. I riferimenti con l’esterno, quando contemplati,
riguardano soprattutto attività collaterali a spettacoli ed eventi che possono sfociare in altrettanti
eventi e spettacoli oppure in concerti o mostre artistiche.
�75
3.2- I TEATRI NELLA RETE — Il blog militante.
La rete di internet, fin dai suoi più remoti momenti di affermazione e creazione, è stata
percepita e quindi costruita il più possibile come uno spazio in cui le persone potessero vivere un
sentimento di libertà, anche intellettuale, dove poter dare estensione ai propri desideri, alle proprie
pulsioni e alle proprie opinioni. Ben presto sono stati costruiti dei siti web dove ogni persona
poteva, attraverso la creazione di un account personale, parlare liberamente di qualche sua passione
o interesse personale senza nessun limite. Come appare chiaro questo ha conseguenze tanto positive
quanto negative quando il fine di tale spazio viene mal interpretato. Lo spazio in questione risponde
al nome di “blog”. Spesso nel blog è possibile non solo condividere le proprie passioni, ma anche
chiedere un parere ad altri che, come noi, sono appassionati ad un certo ambito culturale.
Alcune forme di blog sono identificabili già per la struttura in cui si inseriscono (vedi
modello Wordpress , appendice 2.5), ma altre pur non rispondendo alle medesime strutture 121
grafiche e di linguaggio di programmazione, ne condividono le intenzioni e le modalità di
interazione con gli interessi e con utenti altri al di fuori del creatore. Di seguito quindi prenderemo
in considerazione anche siti web che apparentemente non sembrano blog ma che, di fatto, lo sono.
Il primo esempio che andremo ad affrontare è un blog costruito sulla piattaforma
Blogspot (appendice 2.6) e che da anni è attivo nella critica teatrale, inizialmente in abito 122
prevalentemente bolognese ma che poi ha esteso i suoi orizzonti a realtà teatrali extra Emilia-
Romagna: il blog in questione è “Voci dalla soffitta”.
Il sito si presenta con in alto una grande immagine che rappresenta il blog, e non uno
spettacolo in particolare. Al di sotto vi sono le voci che compongono i sottomenu che sono “Chi
siamo”, “Etichette”, “Video” e “Links”. La “Home page” oltre a contenere le suddette etichette
raccoglie anche tutti gli scritti in ordine cronologico, dove ogni articolo vive di una lunghezza di
www.wordpress.com121
www.blogspot.com122
�77
circa 4000 battute e una immagine rappresentativa dello spettacolo. Sulla parte destra del monitor
possiamo notare un elenco dei post più popolari e una sorta di archivio degli stessi suddivisi per
anno. I colori della schermata sono armoniosi: testo nero su base grigio tenue che lascia intravedere
uno sfondo azzurro che non disturba né la vista né la lettura. Premendo su “Chi siamo” leggiamo
una breve descrizione del progetto e i componenti del Blog che evidenzia una redazione completa
composta da caporedattore, correttori bozze, segreteria, web designer e autori. A sorpresa invece
consultando “Etichette” notiamo che in realtà è un lungo archivio di spettacoli suddivisi per titolo,
attori, ente che accoglie la rappresentazione e vari approfondimenti. Una suddivisione notevole
poiché si tratta di un blog composto da studenti universitari amanti del teatro. La categoria “Video”
raccoglie soprattutto interviste che il gruppo ha eseguito ad artisti teatrali e poi pubblicate su
Youtube®. Voci dalla soffitta si presenta come un blog attivo e sempre aggiornato sulle attività che
riesce a seguire, tuttavia nella categoria “Links” vengono presentati dei collegamenti con blog
esterni (appendice 2.7, 2.8, 2.9) che sono morti da anni ormai. Esistono nella rete ma alcuni non 123
sono aggiornati dal 2008 e altri dal 2010, tant’è che fungono più da archivio aggiuntivo più che da
spazio attraverso cui rimanere aggiornati.
Ciò che deriva dalla consultazione del blog di “Voci dalla soffitta” è uno spazio unito,
aggiornato, semplice ma non semplicistico che ha come fine ultimo il fare comunicazione e
informazione in maniera strutturata e ragionata.
Il secondo blog che affronteremo si chiama “Tuttoteatro” (appendice 2.10). Questo sito 124
web è in realtà una porzione di un altro sito, anche se ha l’url differente. Infatti lo spazio da cui si
distacca è un altro blog chiamato “Corriere del web” che ha come obiettivo quello di occuparsi di
moltissimi settori tra cui quello culturale e, quindi, teatrale. Come abbiamo detto Tuttoteatro ha un
indirizzo differente, ma nonostante ciò condivide con il Corriere del web determinate scelte grafico-
http://sosteatro.blogspot.it/; http://scenesoffitta.blogspot.it/ e http://openspaceteatro.blogspot.it/123
http://tuttoteatro.blogspot.it 124
�78
stilistiche che non esaltano le caratteristiche positive che possiede. In alto nella pagina vi è una
grande immagine composta dal titolo e dal link al sito principale che utilizza il font del “Corriere
della sera”. Subito sotto vi sono molte voci che possono essere scelte per aprire altre pagine web
che spaziano da “TuttoMostre” a “TuttoArredamento” a “TuttoDonna” a “TuttoTurismo”. Ciò che
ne si percepisce è una grande confusione in termini di contenuti da aspettarci e da ricercare, anche
perché nessuna delle pagine che parlano di tematiche esplicitate nel loro titolo sono collegate le une
con le altre. Ognuna è trattata come una pagina a sé stante, e da un sito web che si presenta come
archivio digitale multiculturale di informazioni e articoli non è affatto positivo, soprattutto da dieci
anni ad ora. Sotto le numerose voci il blog condivide una modalità, come abbiamo visto, molto
comune quando si tratta di siti ricchi di informazioni, ovvero una struttura da scorrere pressoché
all’infinito che impedisce di visualizzare più contenuti contemporaneamente. Tuttavia sul lato destro
della schermata notiamo che vi è un pulsante con su scritto “Donazione” e quindi chi lo desidera
può donare del denaro alla redazione del blog al fine di sostenerlo. Non avevamo ancora incontrato
nessun sito che lo rendesse possibile. Dopo una attenta lettura dei primi testi visibili un’altro
elemento — che è subito sottostante al pulsante che permette di donare — colpisce la nostra
attenzione, ed è un testo che dice che mandando un mail all’indirizzo indicato è possibile pubblicare
dei contenuti direttamente sul sito, basta che venga specificato il titolo del testo nell’oggetto del
mail e dopo esser vagliato verrà pubblicato. Viene permesso inoltre di allegare fotografie descrittive
del testo mandato alla redazione. In questa maniera ci sembra che vengano sorpassate molte
modalità che, oggi sono molto comuni quali, ad esempio, quella attraverso cui si richiede all’utente
un “commento” al sito, all’articolo, dal post ecc. Ma spesso questa modalità di richiesta di
partecipazione, soprattutto su piccoli siti web e su blog non ha molto successo. Mentre invece
crediamo che quella presentata da “Tuttoteatro” possa essere la base per una modalità più privata,
intima, sicura e che non porta a lunghe discussioni multimediali che spesso rischiano di diventare
più un luogo di sfogo che di ragionamento critico collettivo.
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Il terzo ed ultimo blog a cui accenneremo in questa parte di trattazione è il sito web
chiamato “Delteatro” (appendice 2.11). In realtà questo sito non è un vero e proprio blog, poiché 125
non ne condivide l’estensione nell’indirizzo web e perché è strutturato più come una rivista online
che come un vero e proprio blog così come li abbiamo visti fino ad ora. Tuttavia abbiamo deciso di
inserirlo come ultimo dei blog analizzati poiché, di fatto, non è una rivista online giacché non è più
registrata presso un tribunale (fino al 2010 è stato pubblicato dalla Baldini Castoldi Dalai SPA.), ed
inoltre al suo interno di nomina la parola “Recensioni” e si cita una rubrica chiamata “Palazzi
consiglia”; in questa maniera l’intero sito viene percepito come un luogo gestito prevalentemente da
una figura unica (come nel blog storico) che in questo sarebbe Renato Palazzi, e il fatto che non si
parli di articoli ma di recensioni, come accade spesso nei blog militanti teatrali, fa apparire il
website proprio come un blog; solo più curato e strutturato.
La schermata home del sito, pur esulando dalle classiche strutture dei blog che vivono di
template di default, non vive di un design grafico particolarmente ricercato o innovativo, per quanto
curato e chiaro nei suoi contenuti. In alto a sinistra vi è il marchio; subito sotto le etichette dei
sottomenu seguite da un rettangolo al cui interno scorrono le immagini delle ultime notizie. Alla
destra di questo riquadro vi è un video di Youtube® in cui Renato Palazzi (ancora una volta il nome
attorno cui ruotano i contenuti di tutto il sito) parla agli utenti. Appena più in basso ecco di nuovo
l’elenco dei post più popolari. Nella parte centrale della pagina, sotto al riquadro con le foto che
scorrono, ecco delle colonne con all’interno un’immagine di uno spettacolo e il testo che lo
recensisce. Le recensioni, a differenza del blog “Voci dalla soffitta”, superano nettamente il numero
di 4000-5000 battute, rischiando così di indirizzarsi solo agli attori del settore e non ad un pubblico
nuovo da attrarre che è interessato a notizie-lampo.
Infine, in fondo alla home page compare una voce chiamata “Archivio”. Premendo su di
essa si apre un menu a tendina da cui scegliere il mese e l’anno che, una volta selezionato, rimanda
ad una pagina nuova dentro cui sono raccolti tutti i risultati del mese indicato. Quindi per
http://www.delteatro.it125
�80
raggiungere il contenuto da noi ricercato è necessaria una ricerca in tre livelli: 1) scelta del mese e
dell’anno; 2) scelta tra l’elenco dei risultati; 3) consultazione del contenuto. In questo sito web vi
sono anche anticipazioni e news dal mondo del teatro e delle arti performative.
�81
3.3- I TEATRI NELLA RETE — Le riviste online e in formato e-book.
Il teatro all’interno della rete vive di una energia che gli permette di inserirsi in ogni forma
espressiva che la rete stessa permette. Una delle più recenti, e su cui si stanno dirigendo sempre più
attenzioni e investimenti, è la forma e-book. L’e-book è una pubblicazione in formato digitale che
utilizza internet come canale principale attraverso cui esser divulgato. Questo modo di pubblicare
scritti è utilizzato tanto dall’editoria dei libri quanto delle riviste da parte di ogni disciplina e,
quindi, anche quella teatrale. Esistono moltissimi siti web che solo per il fatto che pubblicano
articoli più o meno originali (in sento autoriale) si considerano riviste in tutto e per tutto. Ma come
abbiamo già anticipato nella sezione precedente quel tipo di website li consideriamo più come blog
che come rivista poiché non vivono di una struttura, a livello legale, che ci permette di identificarle
come riviste in tutto e per tutto. Di seguito proporremo dunque tre riviste online che consideriamo
tali poiché sono iscritte al tribunale della città in cui hanno sede.
Il “Corriere dello spettacolo” (appendice 2.12) è una testata con sede ad Arezzo che 126
pubblica articoli quotidianamente che riguardano le arti performative in toto. Il sito web si presenta
con una dominante rossa determinata da uno sfondo (primo livello) che riproduce il tradizionale
velluto del sipario. In secondo livello vi è un rettangolo nero diafano su cui vengono pubblicati, in
grigio, gli articoli. In alto vi è il titolo della testata con al di sotto, come abbiamo già visto per la
maggior parte dei siti precedenti, le etichette dei sottomenu. In questo spazio web non vi è dunque
una qualche forma estetica che lo caratterizzi graficamente e interattivamente che, tuttavia, viene
esaltata nella sezione “La nostra storia di blog e di testata”. A destra e sinistra dei contenuti vi è una
colonna con all’interno delle immagini poco curate che rimandano a rubriche specifiche come ad
esempio quella di cinema. L’aspetto social è presente ma non copre uno spazio di rilievo oltre che
essere curato con loghi di Facebook® e Twitter® che sono di qualche anno fa e, quindi, poco
attraenti, soprattutto perché a sfondo bianco ovvero senza scontornamento. Vi è poi, al di sotto di
http://www.corrieredellospettacolo.com126
�83
queste sovradimensionate immagini, una piccola voce chiamata “Archivio Giornale” che, se
premuta, apre un menu a tendina da cui si possono navigare i mesi di ogni anno passato e corrente.
In questo modo si ha sempre la possibilità di trovare le mutazioni, le evoluzioni e i cambiamenti
degli articoli pubblicati e, indirettamente, anche un archivio storico delle rappresentazioni che sono
andate in scena dal 2011 fino ad oggi. Con delle lacune però. Spesso all’interno delle recensioni
pubblicate non vi è uno spazio atto all’elenco dell’apparato artistico, tecnico e organizzativo, con la
conseguenza che non è quasi possibile avere informazioni rapide riguardo alla rappresentazione in
questione. L’archivio, in questa maniera, riguarda solo ed esclusivamente i titoli delle pubblicazioni
il cui uso è soprattutto interno alla redazione stessa poiché, senza un apparato di informazioni
strutturate e parole-chiave (tag) attraverso cui avviare una ricerca interna, sarà per noi molto
complicato arrivare all’informazione di nostro interesse. Un’ultima nota in parte positiva va spesa
per un dettaglio che a livello di principio è interessante. In fondo a qualunque pagina, che a volte è
lunga anche quaranta articoli, e quindi difficile da aggiungere, vi è un piccolo riquadro dentro cui è
possibile scegliere la lingua in cui leggere la pagina che si sta consultando. La traduzione avviene
attraverso il sistema Google® Traduttore e quindi, oltre che essere poco preciso, rischia di travisare
anche il significato dei contenuti degli articoli. Il poliglottismo è un grande valore aggiunto quando
ben curato da traduttori professionisti.
La seconda testata che osserviamo è “Krapp’s Last Post” (appendice 2.13) con sede a 127
Torino. Il sito web di questa testata digitale appare fin dalla prima occhiata come ben curato.
L’ambiente è sobrio, dominato da colori chiari su cui si stagliano i testi ben impaginati e le
immagini scelte con attenzione in base alla loro espressività e alla loro capacità di rappresentare lo
spettacolo da cui sono tratte. Nella parte più alta della home page non vi è, come spesso abbiamo
visto, il titolo della testata, ma la pubblicità di uno spettacolo. Appena più in basso vi è poi il solito
marchio che identifica la rivista e, sempre seguendo lo standard, subito sotto, posizionate l’una
http://www.klpteatro.it127
�84
affianco dell’altra, le etichette dei sottomenu. Per questo sito web si dovrebbero spendere pagine
intere per poterlo descrivere nella sua completezza, ma non essendo questo il luogo adatto
cercheremo di limitare le nostre considerazioni. La home, come abbiamo detto, ha la peculiarità di
essere ben impaginata e ben strutturata e presenta i titoli più importanti dei sottomenu per i quali
vengono utilizzate delle parole in più, affiancate da una immagine della news più recente. Queste
sezioni sono “Eventi”, “Recensioni”, “Approfondimenti”, “Opera”, “Editoria”, “Teatro ragazzi” e
“Comunicazione”, tra le altre. A destra di queste sezioni si presenta un video collegato a Youtube®
che però crea un fastidio alla navigazione perché parte in automatico, senza nessuna scelta da parte
dell’utente. E in internet l’utente vive della sua capacità (a volte illusoria) di scelta. Vi è una
porzione di home dedicata ai “Post più letti “ e ai “Commenti”. Come nel blog l’archivio si presenta
con una struttura comune poiché limitata all’ordinamento cronologico degli articoli pubblicati
all’interno della rivista. Vi sono poi due sezioni dedicate all’aspetto, per così dire, economico-
organizzativo. Tra le altre etichette dei sottomenu una cita “Partnership” e, quando il cursore del
computer vi passa sopra un menu a tendina si apre e mostra tutti i partner che la rivista ha. Più
squisitamente economica è invece la piccola porzione di spazio lasciata in fondo alla schermata
principale dove si trova un pulsante con scritto “Donate” e sotto ad esso vi sono vari marchi dei
principali circuiti bancari. Attraverso quel pulsante è possibile sostenere la redazione e gli scrittori
della rivista, come abbiamo già visto per “Tuttoteatro”. Il sito è molto vicino all’idea di Rete Critica
poiché presenta libri in uscita, ne recensisce altri, vi è un archivio video e uno audio oltre a quello
degli articoli, sono presenti approfondimenti e informazioni riguardo opportunità, al teatro ragazzi e
all’opera. La settorialità del sito tuttavia si presenta a noi nel momento in cui si desidera avere
anche solo informazioni fuggevoli intorno a dei temi di cui ce ne interessa la costellazione culturale,
e questo viene a mancare. “Krapp’s Last Post” fa dell’anima della rivista un trampolino per poter far
percepire come più vicini dei temi apparentemente lontani ma che, essendo visualizzati con le
strutture canoniche del web rimangono comunque ingabbiate in una sorta di autoreferenzialità.
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Il terzo ed ultimo è “Teatro e critica” (appendice 2.14). Questo sito web è uno spazio 128
virtuale che si presenta come generalmente curato e stabile. La schermata principale della rivista,
oltre a mostrare il suo marchio in alto a sinistra, non presenta ulteriori elementi strutturali comuni e
già osservati in altri website. Tuttavia, nonostante alcune piccole novità a livello grafico ciò che
colpisce l’attenzione è una etichetta collocata sotto il titolo della testata romana che cita
“Pubblicità”. Su questo sito è possibile avanzare una richiesta di divulgazione e promozione di
progetti, idee, festival, spettacoli e qualunque altro tipo di attività culturale, che sfrutta le iscrizioni
che “Teatro e critica” ha sui social media per poter vedere un servizio. In sostanza quello che accade
è che, stanziando del denaro, la redazione della rivista, in base alle richieste del cliente, crea dei
banner dinamici sulla schermata home del website, pubblica degli annunci su Facebook® e
Twitter® a cadenza regolare in cui presenta il contenuto del progetto sponsorizzato. Il servizio è
capace di apparire anche più completo e, in realtà, invasivo, perché il cliente ha la possibilità di
spedire tramite e-mail, sfruttando la tecnologia newsletter, ciò che desidera promuovere. Sui
maggiori social network è possibile anche richiedere di creare una apposita immagine di copertina
della durata di quindici o più giorni che pubblicizzi l’attività del cliente. Questa è la prima volta che
incontriamo un sito web teatrale che cerca di fare della pubblicità, metodologia di comunicazione
che sostiene gran parte del web, un mezzo così centrale per la sua sopravvivenza. La cosa
sorprendente non è solo il fattore pubblicitario comune che utilizza banner e spazi virtuali, ma il
fatto che la redazione ha studiato un modo per sfruttare in maniera completa la sua presenza
(gratuita) all’interno della rete per averne un ricavo in termini economici che, lo sappiamo, a volte
rischiano di far perdere di densità e presenza fisica il contenuto che rappresentano. Tuttavia non è
questo il caso poiché gli spazi che sono dedicati alla divulgazione di messaggi promozionali non
sono né invasivi né atti a corrompere l’utente che li vede.
Per il resto il sito di “Teatro e critica” vive di un archivio organizzato per mesi e anni in un
menù a tendina, come in molti altri casi; nella home ha un elenco di articoli ordinati sia
http://www.teatroecritica.net128
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cronologicamente che per visualizzazioni. In fondo alla pagina, poi, si presenta un altro modo
attraverso cui la redazione si sostiene: quello delle donazioni. Per quanto riguarda il sistema di
ricerca interno vi è un meccanismo che, come per quello pubblicitario, non si era mai incontrato
prima. L’algoritmo di ricerca non è stato sviluppato internamente sito, è stato bensì dedicato
completamente a Google®. La rivista ha deciso di lasciare ogni lessema pubblicato sul loro sito in
mano all’azienda californiana così che quando l’utente avvia una ricerca ciò che si verifica è un
reindirizzamento a Google® che analizza la richiesta, la elabora, e fornisce dei risultati che secondo
lui sono pertinenti e, come è intuibile, spesso lo sono.
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3.4- I TEATRI NELLA RETE — Le riviste in formato cartaceo.
In questa sezione andremo ad affrontare le riviste che vivono di una loro realtà concreta,
solida, ovvero che non vengono trattate esclusivamente online. Oltre a questo parleremo anche di un
esempio di editoria teatrale che nasce e si sviluppa solo all’interno della rete internet ma che, per
molti, dovrebbe essere ancora cartacea: Cue Press editore.
“Teatro e Storia” (appendice 2.15) è una rivista scientifica di teatro che da molti anni 129
viene stampata dalla casa editrice Bulzoni. Parlare di una rivista che non ha come primo obiettivo la
propria divulgazione attraverso la rete di internet pone diverse difficoltà, tra le quali vale la pena di
evidenziare il problema della cura della comunicazione e del graphic design. Essendo che la rivista
è pubblicata da una casa editrice si presuppone che la cura estetica — e quindi divulgativa — sia
gestita dall’editore stesso. Non è tuttavia così. La comunicazione e l’interaction design del sito della
rivista in questione è molto lontano da quello della casa editrice Bulzoni (appendice 2.16). La 130
home è semplice e chiara, e i contenuti sono fin da subito identificabili nonostante il loro sfondo sia
composto da copertine della rivista stessa contornate da un intenso blu elettrico che rende caotico
l’insieme. Il sourcecode utilizzato non è aggiornato allo standard HTML5 (neanche come standard
grafico) come, dopotutto, ci è capitato di osservate in tutti i casi precedenti escluso quello del Teatro
San Carlo. Le etichette dei sottomenu sono molteplici e sono collocate sia nella parte alta dello
schermo sia alla sinistra dei contenuti e, rispettivamente, riguardano informazioni generali
concernenti la redazione, la home, la casa editrice Bulzoni e la ricerca all’interno del sito; a sinistra
invece vi sono le informazione specifiche del volume corrente, dei volumi pubblicati in passato,
sulle modalità di abbonamento, su materiali scaricabili e su libri che la redazione segnala all’utente
del sito. Come abbiamo detto, ciò che vi è di davvero interessante in questo sito web non riguarda la
comunicazione bensì i contenuti che offre a chi lo consulta. Infatti sia nella sezione “Materiali” che
http://www.teatroestoria.it 129
http://bulzoni.it 130
�89
in quella “Numeri precedenti” è possibile trovare molti documenti scritti da professionisti e studiosi
del settore teatrale scaricabili in maniera gratuita. Addirittura a tutti i numeri passati (non quello 131
corrente) è concesso di essere scaricati liberamente senza dover pagare nessun ammontare. In
questa maniera la possibilità di estendere l’interesse da parte di appassionati, di aiutare nello studio
colleghi e studenti — o anche solo divulgare quella che è l’arte fisica per antonomasia — diviene
possibile. Fino ad ora abbiamo osservato molti website che descrivono l’attività teatrale, che ne
parlano e che nel parlarne aprono porte per il suo studio che è, infine, una maniera per entrarvi in
contatto diretto ma che, tuttavia, non permettono questo accesso essendone loro degli esterni
descrittori. Attraverso il sito di “Teatro e Storia” è invece possibile comprendere ed avvicinarsi a
quella che è una forma concreta dell’essenza teatrale: il suo legame con la storia e con le atre
discipline attraverso il suo studio. Questa rivista permettendo di accedere ai contenuti intellettuali
che i suoi scrittori hanno prodotto permette un avvicinamento alla disciplina del teatro, e alla sua
analisi, che altrimenti non sarebbe possibile per chi non lo agisce e chi non è iscritto ad un corso di
studi specifico. Inoltre approfondendo i temi affrontati dalla rivista è più facile notare che i legami
del teatro con le altre discipline sono più vivi che mai, e lo sono sempre stati. Quello che nella
“Rete critica” viene sintetizzato e visualizzato, in parte, attraverso dei collegamenti, in una rivista
specialistica a cui poter accedere gratuitamente accade in maniera approfondita e sistematica. Ciò
che però viene a mancare è la manifestazione di tali collegamenti — digitalmente — all’esterno del
file scaricabile, obbligando in questo modo l’utente di internet (che desidera avere informazioni
rapide) a leggere interamente il volume o il materiale messo a disposizione, e questo comporta una
spesa di tempo online che non tutti hanno o sono disposti ad investire. Il divulgare il materiale
messo a disposizione strutturando anche l’apparato grafico-comunicativo in maniera ugualmente
sistemica può essere una via attraverso cui rendere la realtà teatrale tangibile anche all’esterno della
rappresentazione dal vivo della stessa.
Riguardo al settore teatrale come culturale si veda Redazione «La Stampa», Scienze umane nell’era digitale, a Pisa si parla di 131
linguistica computazinale, in «La Stampa», risorsa elettronica, 5 dicembre 2014.�90
Il secondo esempio di rivista cartacea che fa utilizzo di un sito web è “Culture teatrali” 132
(appendice 2.17). Mentre scriviamo il sito di questa rivista è, in parte, in fase di rinnovamento. I
caratteri grafici e relazionali rispetto alle altre forme della cultura che intendiamo affrontare sono
tuttavia preservati. Il website di “Culture teatrali” è un sito che non si distacca da molte delle
considerazioni fatte in precedenza, se non per una cruciale caratteristica: la home si compone, in
maniera estesa, a scapito dell’aspetto grafico ed interattivo, dei contenuti delle voci che si trovano a
sinistra e che sono quelle che permettono una navigazione di secondo livello. Vi sono voci quali
“News”, “Convegni”, “Photo”, “Video”, “Redazione web” e “Opportunità”. Riteniamo sia utile
sottolineare che queste voci sono attive e navigabili, mentre “CIMES” e “La Soffitta” no. Se
cliccate rimandano a delle pagine bianche, ed è chiaro che questo non è un aspetto positivo per un
qualunque sito web. Questo spazio online vive di un’ambiente abbastanza accogliente anche se un
po’ retrò. Le immagini a cui viene data non molta importanza (il titolo della rivista — collocato in
alto — impaginato in maniera un po’ poco attuale ed il color carta da zucchero dello sfondo)
aiutano a perpetrare questo messaggio di relativa attualità. Ogni contenuto inserito nelle voci
sopraindicate è molto esaustivo e le referenze di chi le pubblica sono garantite poiché facilmente
rintracciabili su riviste e libri specialistiche del settore. Vi è poi, un po’ verso la metà della
schermata “home” la copertina del numero corrente di “Culture teatrali” sotto la quale vi sono delle
voci che riguardano esclusivamente la rivista stessa. Vi è, tra queste, la voce “Archivio” che
raccoglie tutti i numeri della pubblicazione di cui viene reso pubblico solo l’indice e non i contenuti
che, a differenza della rivista “Teatro e storia”, non sono né consultabili né, quindi, scaricabili. Non
vi è una significativa presenza dell’aspetto social e non è possibile acquistare la rivista tramite web.
Cliccando su “Site map” si apre una quasi infinita pagina che mostra, titolo per titolo, tutto ciò che il
sito web contiene. Consultarla interamente è pressoché impossibile; non sono presenti tag
identificativi e quindi la ricerca può essere effettuata o premendo su “Cerca” oppure, dalla tastiera,
cliccando CMD+F (per chi usasse un computer Apple) o CTRL+F (per chi usasse un computer con
http://www.cultureteatrali.org 132
�91
sistema operativo Windows) è possibile fare una ricerca testuale all’interno della lunghissima
pagina; un modo questo semplice ma generalmente poco efficace poiché ricerca solo ed
esclusivamente la corrispondenza esatta dei lessemi digitati, e non del senso. Il sito web della rivista
“Culture teatrali” è un sito che al suo interno possiede molte informazioni ma che risentono di una
organizzazione ancora da sviluppare, se messa in relazione con altre informazioni collocate
all’interno del sito stesso o, soprattutto, se relazionate a quelle pubblicate nell’oceano che è internet.
Il terzo ed ultimo spazio web che osserveremo, come abbiamo accennato, non appartiene ad
una vera e propria rivista, bensì ad una casa editrice solo digitale che tratta di temi teatrali. Questa
casa editrice si chiama “Cuepress” (appendice 2.18), ed è il ponte tra la realtà concreta del libro, 133
della rivista solida e una nuova possibilità di pubblicazione e divulgazione di contenuti teatrali. Il
sito web è graficamente ineccepibile, vive di un suo carattere identificativo unico e riconoscibile tra
decine di altri che propongono lo stesso prodotto. Ha un marchio ben visibile ma che non la fa da
padrone come se fosse il titolo di una testata cartacea. Al di sotto, sempre visibili ma modesti, ecco
comparire dei testi che portano l’utente direttamente la dove vuole: “I testi”, “I saggi”, “Le guide”,
“Cos’è Cue”, “Carrello” e “Il mio account”. La comunicazione è chiara e facilmente decifrabile che
non disorienta il navigatore del sito bensì lo aiuta nella sua esperienza interattiva. Una voce non
ancora incontrata fino ad ora, ed essendo che si tratta di scritti pubblicati vale la pena mettere in
luce, è “Carrello”. La presenza della parola “Carrello” ci lascia intendere che sia possibile
acquistare online i documenti digitali. E così è. Infatti è possibile acquistare a prezzi vantaggiosi dei
testi che in formato cartaceo costerebbero, ovviamente, di più, oltre che trovare testi che sono fuori
catalogo poiché una casa editrice esclusivamente cartacea non potrebbe più pubblicare visti gli
elevati costi ma che una digitale, invece, può poiché i suoi costi marginali sono quasi a zero . Gli 134
interessi di un sito web simile sono chiari e univoci, senza lasciarne intuire degli altri che però
http://www.cuepress.com 133
Jeremy Rifkin, La società a costo marginale zero, Milano, Mondadori, 2014.134
�92
rimangono celati e nascosti, e corrispondono a quelli della promozione del teatro attraverso il web,
ma che, almeno per ora, non si sviluppano intorno alle costellazione di informazioni e dati che
ruotano intono al dato libro o saggio o rivista. “Cuepress” si limita a vendere il proprio prodotto
senza intersecarlo con dati esterni o interni al sito web stesso. Ciò che anche in questo esempio
accade, dunque, è che il sito web non cerca di estendere i propri orizzonti oltre ai propri limiti
spaziali cercando di creare “rete” con altri website o anche, più limitatamente ma allo stesso modo
efficace, con sé stesso. I rischi nel creare una struttura dell’informazione di questo tipo ruotano
soprattutto intorno al pericolo della privazione del dialogo critico con le altre discipline di cui il
teatro vive, e di cui può essere promotore ad un livello culturalmente più esteso della teatralità
stessa.
�93
3.5- I TEATRI NELLA RETE — L’archivio digitale, la ricerca e la “Rete critica”.
In questa quinta ed ultima porzione di testo riguardante l’analisi dell’offerta corrente che
riguarda i siti web che trattano di teatro si è deciso di raccogliere opinioni riguardo l’archiviazione,
la ricerca e la “Rete critica” poiché ne leggiamo una stretta relazione. L’archiviazione permette di
ricercare i contenuti che contiene e la “Rete critica” aiuta a mettere in relazione i suddetti dati
raccolti ed archiviati. Cercheremo dunque di osservare alcuni siti web che insieme costruiscono la
“Rete critica” mettendone in luce gli aspetti archivistici e organizzatori oltre che grafici e
relazionali.
La prima analisi ricadrà in un sito che si presenta come una “webzine di cultura teatrale” che
si chiama “Ateatro” (appendice 2.19). Questo website si presenta come ben strutturato anche se 135
dominato da un intenso colore rosso che limita la facilità di lettura dei suoi contenuti. Leggere
lunghi testi diviene presto stancante per la vista, in virtù anche de font utilizzato che è un po’ troppo
ricercato. La home si mostra a noi con una canonica struttura a testata giornalistica con un grande
titolo in alto e le parole dei sottomenu appena più in basso. Si percepisce subito la grande
importanza data all’aspetto archivistico poiché tra le voci compare un “Db spettacoli” attraverso cui
è possibile ricercare spettacoli divisi per titolo, autore, regista o produttore, e questo database è
creato in associazione con il Premio Ubu (appendice 2.20) e promosso dall’Associazione Ubu per 136
Franco Quadri e si pone dunque in continuità con il Patalogo. L’impostazione grafica di questa 137
sezione pur essendo molto concreta e garantita nei contenuti presenta una veste grafica poco curata
in cui da una navigazione di secondo livello si è costretti a passare in una di terzo e addirittura
quarto. In una navigazione di questo tipo è molto facile perdere di vista il percorso intrapreso se
basato su una interazione unicamente online. L’interesse nei confronti dell’archivio e del suo
http://www.ateatro.it/ 135
http://www.ubuperfq.it/fq/ 136
Ibid.137
�95
retaggio storico futuro si nota anche nella schermata home in cui una buona parte dello spazio è
dedicata alla ricerca dei documenti attraverso una ricerca libera o attraverso l’applicazione di filtri
tra cui quello per autore, per tag o per numero della webzine e anche per periodo di pubblicazione. È
possibile iscriversi ad una newsletter e l’attività di “Ateatro" sui social è resa chiara da una sezione
apposita collocata a metà pagina affianco ad una chiamata “Le buone pratiche del teatro” che è una
rubrica che organizza sotto un unico titolo — #BP2014, #BP2015, ecc. — gli articoli che
riguardano i risultati teatrali considerati migliori durante l’intero anno. All’interno del sito sono
inoltre presenti altre rubriche aggiornate che hanno un tema che viene costantemente arricchito da
interventi nel decorrere del tempo. Un po’ a destra, nella schermata principale che accoglie il
visitatore, vi è poi una etichetta su cui è scritto “Rete critica”, e questa è la prima volta che ci capita
di vedere esplicitata questa dicitura all’interno della quale vi è uno spazio interamente a lei dedicata.
Bisogna però presto osservare che in realtà non rispecchia le aspettative di collegamento e raccolta
di informazioni pubblicate in altri siti web, ma ne è una vetrina. In questa sezione del website vi è
un lungo elenco di altri spazi web che trattano la disciplina teatrale in differenti maniere, ma non
compaiono i loro contenuti. Siamo dunque portati a pensare che quando si parla di “Rete critica” si
intenda un insieme di nomi di siti, di testate e di luoghi di interesse senza però prendere in
considerazione i loro contenuti; tuttavia noi crediamo che non sia così, ma che la “Rete
critica” (appendice 2.21) sia esattamente la costruzione di relazioni tra differenti contenuti e
informazioni . A questo proposito siamo consapevoli dell’esistenza di un website in formato 138
wordpress, e quindi blog, chiamato “Rete critica” che spiega cos’è, per l’appunto, la “Rete critica”:
“Rete Critica raccoglie in una struttura informale i siti e i blog di informazione e di critica teatrale.”
Non ci permettiamo di dissentire da questa definizione; ma di estendere i possibili significati di
un’attività simile, soprattutto legati alla rete web, sì.
https://retecritica.wordpress.com/info/ 138
�96
“Altrevelocità” (appendice 2.22) è un altro website che si occupa in prima battuta di 139
critica teatrale, e poi di rete critica intesa come relazione tra siti con in medesimo obiettivo. Rispetto
al website precedente vi sono però alcune differenze. La prima riguarda sia la comunicazione
grafica che è curata in ogni dettaglio, sia l’armonia generale sia, inoltre, la facilità di lettura. Le
illustrazioni che si incontrano durante la navigazione sono ben inserite nel design generale e lo
spazio social è ben individuabile. Solo una piccola nota negativa va avanzata e riguarda la
dimensione dei testi che sono, a volte, troppo piccoli, e ciò non sembra esser giustificato da motivi
di concentrazione di contenuti in cui potrebbe essere plausibile. Se il sito di “Ateatro” ha come
obiettivo principale quello di creare archivio per la ricerca, quello di “Altrevelocità” punta invece
alla freschezza dei contenuti (e degli articoli) e ad informare l’utente delle molteplici relazioni che
la redazione ha con festival, enti e altri attori dell’organizzazione e della gestione teatrale. Questo
accade non per farsi vanto, lungi dalle loro idee, ma per creare il più possibile quella rete che
assume la caratteristica di esser critica, o almeno ciò si verifica in termini. Vi è una sezione dove
sono elencate le “Collaborazioni” ed una intitolata “Link” dove si possono trovare tutte le figure ed
enti che hanno contatti diretti — o indiretti — con “Altrevelocità”.
Come abbiamo detto l’aspetto grafico non mostra particolari imperfezioni o difetti. Il
complesso è armonioso, espressivo e soprattutto è facilmente identificabile tra i molti altri siti web
che manipolano materie simili. Una nota positiva che vale la pena di esporre riguarda la dominante
cromatica che non si avvicina al tradizionale colore rosso del sipario, che invece viene troppo
spesso usata e abusata. Questo probabilmente in virtù del fatto che affianco al logo “Altrevelocità”
compare subito una scritta che cita “Redazione intermittente sulle arti sceniche contemporanee”.
Trattando della nostra contemporaneità, l’estetica generale non cerca di legarsi a tradizionalismi
che, comunque, andrebbero anche verificati e contestualizzati prima di esser utilizzati
spregiudicatamente. La comunicazione è sicuramente un aspetto molto delicato, e lo è anche — e
http://www.altrevelocita.it 139
�97
soprattutto, in questi anni — quando si parla di internet, e i creatori di “Altrevelocità” sembra che
sappiano gestire molto bene il confronto.
Come terzo ed ultimo spazio digitale osserveremo quello di “Doppiozero” (appendice 140
2.23) che è una associazione culturale che dal 2011 gestisce un website. È necessario esplicitare
questo aspetto perché a differenza dei siti visti fino ad ora “Doppiozero" non tratta unicamente di
teatro e arti performative, ma di cultura in senso generale. Non ci vuole molto tempo di navigazione
per capire però che al teatro questo sito web pone una considerevole attenzione. Già solo donando
lo stesso spazio a cinema, letteratura e teatro si verifica che quest’ultima non si presenta come
un’arte minore ma paritaria rispetto alle altre, un aspetto da non sottovalutare quando si parla di
promozione della disciplina teatrale. Il sito è ricco di rubriche e blog in cui autori specifici sollevano
delle questioni di ordine più generale. Tra le rubriche ve n’è una intitolata “Scene — Il teatro in
Italia” all’interno della quale vi sono recensioni ed articoli riguardanti gli spettacoli e attività
teatrali, nello stato italiano. Scoprendo il sito si nota che non è stata predisposta un’area apposita per
la navigazione dell’archivio, ma crediamo che questo sia dovuto non ad una mancanza ma al fatto
che il sito stesso è, di fatto, un archivio. Sembrerebbe che il discorso possa valere anche per gli altri
siti web che ne sono privi, ma non è così poiché sotto la dicitura “Indice del sito” notiamo che in
realtà c’è un’archiviazione dei testi in relazione agli autori che li hanno scritti e questi testi sono
archiviati, in aggiunta, in base alla data della loro creazione. Vi è, in ultima battuta, in alto a destra
nella schermata principale, un pulsante con al suo fianco scritto “Sostieni Doppiozero”, se però
proviamo a premerlo notiamo che non accade nulla se non che la pagina iniziale del sito viene
ricaricata con la conseguenza che quel pulsante non amplifica la nostra esperienza di navigazione
utente. Abbiamo avuto già modo di affermarlo ma crediamo sia utile ribadire che in un sito web gli
errori di costruzione in cui si può inciampare sono molteplici, ma il più comune è che quello che
uno spazio viene presentato come un collegamento con un pagina altra rispetto a quella in cui ci si
http://www.doppiozero.com/ 140
�98
trova, ma dopo averlo premuto la nostra aspettativa non viene soddisfatta. In questo modo l’utente è
portato a dare un valore minore alla sua esperienza di navigazione e quindi anche al sito web e tutto,
o quasi, ciò che lo riguarda. La Tecnica ha la necessità di essere simbolica, perché quando si svela
come tecnica si pone come soggetto attaccabile e vulnerabile; cosa che può, con impegno e
dedizione, anche non essere.
�99
4 — Una proposta di piattaforma web in risposta alle nuove necessità: Katathink.com.
4.1 — Da dove nasce? Una breve storia.
Katathink è un progetto iniziato nel 2010, a Venezia, sotto la direzione di Corrado Polini
che, dopo essersi trovato a dover creare un account Facebook® per poter comunicare con i suoi
colleghi universitari (per motivi di lavoro) poiché, questi ultimi, non utilizzavano molto il loro
indirizzo mail — o altri servizi chat —; dopo aver osservato che, nell’attesa di una risposta da parte
degli altri componenti del gruppo, ogni persona spendeva il proprio tempo per interessarsi ad
informazioni che non rientravano nel campo del teatro o, peggio, in nessun settore della cultura, ha
sentito la necessità di cominciare a pensare ad un servizio di comunicazione tra persone a sfondo
strettamente culturale. La necessità tuttavia non era sufficiente, poiché all’epoca mancava ancora
una spinta che si collocasse tra la causa e l’obiettivo del progetto. Durante la lettura di “Surplus
cognitivo” di Clay Shirky si iniziava a comprendere che in quel volume potessero esservi 141
risposte, e così fu poiché, nelle pagine conclusive, l’autore dedica l’ultimo sottocapitolo alla
“ricerca del mouse”. Quando parla di una ricerca del mouse si riferisce ad eventi che lo hanno
coinvolto direttamente. Shirky spiega che durante un incontro tra colleghi uno di essi raccontò 142
che sua figlia un giorno si mise a frugare tra i cavi dietro il televisore e, alla richiesta di cosa stesse
facendo, rispose che stava cercando il mouse. Questo aneddoto fa riflettere l’autore su come le
generazioni odierne e future interagiranno con i media, ed una cosa appare chiara: non accettano più
(e accetteranno più) di essere passive di fronte ai medium di massa, non desiderano più essere
fredde, per dirla mcluhanianamente. Shirky conclude la sua riflessione dicendo che il mouse va
cercato ovunque, in qualunque persona che ci sembri tagliata fuori da questo processo interattivo tra
medium e individuo, e attraverso quello che lui chiama “Surplus cognitivo” si può aiutare lo
Clay Shirky, Surplus cognitivo, Torino, Codice edizioni, 2010.141
Ibid. pp. 176-177142
�101
sviluppo umano verso un futuro migliore e più sensibilmente emotivo. In sostanza non sappiamo
bene ancora dove ci possa portare questo surplus, ma se non saremo noi forse qualcun altro potrà
veder nel nostro prodotto Tecnico una energia simbolica che può essere coltivata e migliorata.
Bisogna fare, dunque, prima di tutto. Ecco trovata la forza che mancava al progetto. “Fare” come
primo obiettivo, perché poi gli altri possono mostrarsi a noi in corso d’opera o possono mostrarsi a
qualcuno che non siamo noi, e comunque a questo punto avremo fatto un passo avanti in questo
processo evolutivo verso il futuro.
Nei due anni successivi il progetto è stato portato avanti con colleghi universitari, con il
sostegno di numerosi docenti dell’Università IUAV di Venezia e di programmatori che
volontariamente hanno desiderato sostenere un’idea in cui hanno visto un potenziale.
Successivamente Katathink è stato proposto ad altri studenti universitari iscritti presso l’Alma
Mater Studiorum di Bologna al corso magistrale di Discipline dello spettacolo dal vivo, ma a questo
punto il progetto aveva già assunto una dimensione progettuale concreta nella misura in cui per
arrivare a trattare la cultura nella sua intera complessità ha deciso di passare prima per quella
teatrale. Questo in virtù delle caratteristiche multidisciplinari del teatro stesso che spaziano tra
storia, architettura, antropologia, economia, sociologia ecc. Fin da subito il progetto ha trovato
ampio consenso aprendo intorno a sé molte aree di discussione e di confronto con Professori, oltre
che studenti iscritti ad altri Dipartimenti quali quello di cinema e lettere. Le esigenze che sono alla
base di Katathink gli hanno permesso poi, tra novembre e dicembre 2013 di essere inserito
all’interno del Laboratorio di critica teatrale diretto dalla Professoressa Mariani; ma di questo
parleremo più avanti. Dopo quell’esperienza, in cui ci si è concentrati sull’essenza del progetto
cercando di estenderla il più possibile, riuscendoci, Katathink ha dovuto entrare in una fase di
incubazione dove alcuni suoi aspetti trovassero le modalità per esser riorganizzati. Ad oggi il
progetto procede nella sua continua ricerca ed estensione ed è in cerca di sostegno dal lato
programmazione.
�102
4.2 — Le scelte grafiche ed interattive.
L’ideatore di Katathink ha una formazione studentesca superiore, prima, e lavorativa, poi,
legata al mondo della comunicazione visiva. Tra gli obiettivi del progetto vi era quello di ripensare
ogni forma espressiva e relazionale che fino ad allora si era comunemente incontrata nella rete di
internet. Per fare ciò era necessario però cercare di discostarsi da ogni forma visiva che
generalmente veniva utilizzata per costruire siti web, ovvero il rettangolo e il quadrato come
essenza del website. La ricerca si è dunque diretta verso l’esatto opposto di quelle forme ovvero il
cerchio e l’ellisse. Tuttavia si era consapevoli che una scelta grafica priva di significati simbolici
profondi, coscienti, equivaleva a non aver preso nessuna scelta. Per cercare di colmare la lacuna si
iniziarono a consultare testi di professionisti della comunicazione visiva e artistica quali Ernst H.
Gombrich , Bruno Munari e, principalmente, anche se inconsueto, David Pierre Giottino 143 144
Humbert de Superville . Quest’ultimo autore è stato particolarmente importante per quanto 145
riguarda la costruzione grafica della home degli account personali poiché, come è visibile nelle
appendici 2.25 e 2.26, la prima è composta da un cerchio mentre gli account presentano una forma
quadrata. Superville nel suo saggio tratta “i segni inconsci nell’arte” partendo da un presupposto
fisiologico, che l’uomo è “retto e con la testa rivolta verso il cielo”. Da questa considerazione
derivano tutte le altre, tra cui che il cerchio è la forma che parla dello spirito, allo spirito, con
risvolti, spesso, anche religiosi . Un altro riferimento fondamentale per la costruzione della 146
schermata “home”, affinché risultasse il più possibile lontana dai canoni già presenti in rete, è stato
Giordano Bruno e il suo schema della memoria espresso nel De umbris idearum (appendice 147
2.27). Bruno ha sviluppato un sistema di cerchi concentrici a sfondo mistico-alchemico che,
Ernst Hans Josef Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rapprentazione pittorica, Milano, Phaidon, 2008.143
Bruno Munari, Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale, Roma-Bari, Editori Laterza, 2010 e Design e 144
comunicazione visiva: contributo a una metodologia didattica, Roma-Bari, Editori Laterza, 1993.
David Pierre Giottino Humbert de Superville, Essai sue les signes inconditionnels dans l’art, Leyde, 1827.145
Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Milano, Bur, 1994.146
Giordano Bruno, De umbris idearum, Firenze, Olschki, 1991.147
�103
attraverso la loro rotazione, avrebbero potuto far si che chi in sé aveva la conoscenza dei segni sui
cerchi riportati, potesse arrivare ad un livello di conoscenza ulteriore. Il sistema a cerchi concentrici
bruniano-supervilliani è ciò che ha permesso la costruzione della home di Katathink. A questo punto
però rimaneva il problema degli account che avrebbero dovuto rappresentare la razionalità e la
mente umana che, simbolicamente, sono rappresentati dal quadrato . Di una cosa si è stati certi fin 148
dalle prime bozze grafiche, che tutto ciò che era generico e uguale per tutti, come date e luoghi,
sarebbe stato inserito nel cerchio così da permettere una navigazione continua senza scorrimenti e
senza perdere di vista il punto di partenza; e tutto ciò che invece era più specifico come gli account
personali e le informazioni dettagliate delle ricerche, sarebbero state inserite in una forma quadrata
che non sarebbe dovuta comparire all’utente improvvisamente sorprendendolo, ma morbidamente,
in transizione, accogliendolo nell’ecosistema della piattaforma. Questo è molto importante perché
avere un approccio di tipo spirituale nei confronti dell’esperienza della navigazione è ciò che
differenzia un sistema tecnico da uno Tecnico. La non irruenza violenta dello spirito, nel nostro
progetto, sarebbe dovuta essere una componente essenziale affinché l’esperienza generale non
risultasse mai tagliente e frettolosa.
Sia il cerchio che il quadrato sono figure storicamente e spiritualmente molto coinvolte e che
hanno al loro interno, anche in virtù della loro perfezione matematica ed estetica, un potere che ha
che fare con la realtà simbolica dell’esperienza. Ogni altra scelta grafica e comunicativa durante lo
sviluppo e durante la ricerca per il sito web hanno avuto come orizzonte dentro a cui muoversi e
orientarsi quello della presenza di spigoli — il quadrato — e quello della completa assenza di
spigoli — il cerchio. Ogni minima parola o componente che è stata scelta, e che verrà scelta in
futuro, dovrà essere compresa nei suoi significati più profondi affinché possa essere utilizzata come
cerchio o come quadrato o, in casi molto specifici, cercare di fare categoria a sé aprendo nuove
possibilità estetico-espressive.
Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Milano, Bur, 1994.148
�104
4.3 — Un ecosistema di “correlazioni”.
In precedenza abbiamo proposto il temine ecosistema, e crediamo valga la pena spendere
due parole in suo favore. Un ecosistema è, sinteticamente, un insieme di parti singole, che
costituiscono delle comunità, le quali sono collegate tutte le une alle altre e sono inserite in uno
stesso ambiente. Tra di loro scambiano energia e, quindi, informazioni, per prossimità. Quello che si
è cercato di fare è stato di creare un ecosistema all’interno di un altro, che è internet. La rete è un
ecosistema che funziona attraverso i link, i collegamenti ipertestuali che creano dei metadata.
All’interno di questa struttura però è necessario abbandonare uno spazio di partenza per
raggiungerne un altro, non è possibile visualizzare il contenuto precedente e quello attuale nello
stesso momento, e la pagina ha bisogno di essere ricaricata. Noi abbiamo voluto evitare questo, che
riteniamo essere un problema, poiché allontana l’utente dall’esperienza simbolica, cercando di
legare i molteplici contenuti e le numerose informazioni culturali inserite in Katathink attraverso un
sistema completamente nuovo, se analizzato nella sua essenza, ovvero quello delle correlazioni.
Questo termine si allontana da quello di link, collegamento, perché tende a voler considerare in
maniera molto più fisica e solida il rapporto di reciprocità che vi è tra due o più corpi che, nel nostro
caso, sono corpi di informazioni contenute in un quadrato. Con co-relazione, si intende qualcosa
che tenga conto delle relazioni poiché
in un sistema globale non è possibile limitarsi alla fissazione «puntiforme» di un gran
numero di fatti:bisogna cercare di spiegarne l’esistenza e disegnarne le relazioni. […] Ciò
presuppone che si affrontino i fatti sociali come fatti di relazione e che si cerchi di
considerare il maggior numero di relazioni possibili […]149
Nel nostro caso queste relazioni sociali sono relazioni tra informazioni e contenuti, prima, e
solo in un secondo momento, quello che riguarda la costruzione degli account, vengono applicate
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, p. 77.149
�105
anche alle relazioni tra le persone che vivono l’ecosistema. Per noi presentare la costellazione di
informazioni che circondano un contenuto cercando di rispettarne la settorialità specifica, pur
mantenendone la relazione con ciò che è al centro della nostra ricerca, è fondamentale. Lo è poiché
per sviluppare un pensiero critico è necessario vivere in un ambiente critico, che si mostri come tale
e che attraverso il suo mostrarsi ci aiuta nel comprendere che quello è un eco-sistema favorevole
allo sviluppo della nostra conoscenza; un sistema puntiforme, per dirla alla Ellul, non aiuta l’utente
nel complicato processo di comprensione critica. Nel tentativo di sviluppare ciò all’interno del
quadrato dell’informazione da noi ricercata, abbiamo inserto un elenco di pulsanti che, attraverso
dei termini specifici di reciprocità, ci mostrano i contenuti che sono ad essa correlati. Alcuni di
questi termini sono prodotto da / ha prodotto, scritto da / è stato scritto da, ispirato da / è stato
ispirato da, ecc. In questa maniera è possibile vedere l’immagine del contenuto correlato
comprendendone immediatamente la qualifica che lo lega, fisicamente, ad un altro e, quindi a mille
altri. Creando ciò abbiamo compreso che quello che stavamo sviluppando non era solo un sistema
di presentazione critica dei contenuti, ma anche un sistema grafico attraverso cui rendere paritaria e
paratattica la struttura che lega tutti i componenti dell’ecosistema. Non vi è una gerarchia in base al
feedback o al rating, ma solamente in base alla cronologia. Non essendoci una gerarchia non vi è
nemmeno la trasmissione di un messaggio politico del sistema gerarchico. Non essendoci questo
messaggio quello che accade è che ogni contenuto è sullo stesso livello degli altri, compresi quelli
teatrali che invece, come abbiamo visto in precedenza, spesso sono presentati come se
appartenessero ad un sapere celato in una torre d’avorio intoccabile e rivolta solo agli addetti ai
lavori. Noi crediamo che mostrare che le più grandi star del cinema mondiale hanno rapporti molto
intimi con il teatro, e farlo senza l’utilizzo di lunghe frasi o di lunghi discorsi, possa aiutare il teatro
a mostrarsi per quello che è: una disciplina artistica non meno importante di quella cinematografica
o delle arti visive. Non solo, in questa maniera si mostrano a colpo d’occhio, senza dover cambiare
pagina, o addirittura scheda del browser, peculiarità artistiche e non, curiosità e prodotti che si
correlano ad un contenuto, a cui non avremmo pensato prima. Internet vive soprattutto di una
�106
funzione: quella di trasmettere informazioni per liberare rendendolo sempre più individuo. Questo è
ciò che internet può essere ed è ciò che graficamente e intellettivamente si cerca di fare quando si
pensa a come realizzare un dato elemento in Katathink.
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4.4 — Ripensare la pubblicità.
Oggi un sito web per poter sopravvivere esclusivamente online ha bisogno o di donazioni o
di accogliere al suo interno pubblicità. Sistema di persuasione all’acquisto, questo, che nonostante il
medium sia cambiato rispecchia in tutto e per tutto quello che accade con la pubblicità in
televisione: cercare di corrompere una persona, proiettando davanti ai suoi occhi inerti,
ripetutamente, immagini che rappresentano un prodotto da acquistare. E, tendenzialmente, più una
azienda ha possibilità economiche e più investe in questo sistema persuasivo. Lo stesso vale per
internet. Vi è solo una differenza sostanziale a livello di pubblico. Quello televisivo e quello
radiofonico non possono interagire con il medium, mentre quello di internet può. Lui il mouse lo ha
e lo usa per cercare i contenuti da lui desiderato, ricordando Shirky. Questa che, in apparenza, può
sembrare una piccola differenza, in realtà muta completamente la tipologia di persona che si pone
davanti al messaggio pubblicitario: da uomo o donna passivi diventano individui attivi, e più
saranno attivi e più il loro cervello si adatterà all’ambiente in cui si trova.
Per quanto riguarda internet è sempre più un ambiente corrotto da pubblicità invasive che,
oltre ormai a non essere più viste da chi è abituato a navigare, risultano anche fastidiose
allontanando l’utente dal sito stesso sfiduciandolo; in questa maniera la sua voglia di ritornare a
navigare su quel sito web è in continua diminuzione. Al giorno d’oggi la sensibilità verso un mondo
più sostenibile, più eco-compatibile e verso relazioni sociali più paritarie e con meno
discriminazioni è sempre più maturata dalle persone che navigano in internet . Se questo è vero 150
non ci sembra azzardato avanzare che un utente diventa più sensibile nei confronti delle aziende che
rispettano questi princìpi umani e morali. Forse non subito, ma attraverso la sua maturazione critica
evolverà il senso empatico nei confronti di questi temi. In Katathink si è cercato di pensare una
forma di comunicazione visiva che ripensasse la pubblicità proprio in funzione di questa sensibilità.
In prima battuta non sarebbe gestita da aziende altre il cui unico fine, anche se con mezzi poco etici,
A questo riguardo si consiglia la lettura delle ricerche che ha fatto Jeremy Rifkin dal 2000 ad oggi, alcune elle quali sono 150
pubblicate in italiano da Mondadori Editore.�109
è quello che far fare dei click su messaggi pubblicitari nascosti, ma direttamente dal team di
Katathink che si preoccuperà di accettare sovvenzionanti solo da chi è interessato a sostenere i
princìpi umani e bio-etici fondamentali. Valga per tutti l’esempio di Lifegate (appendice 2.24). 151
Questo però non è sufficiente. In precedenza abbiamo detto che in Katathink si è pensato di
cambiare ogni forma che già esiste, comunemente, in rete, e l’invalidità dei messaggi promozionali
non ne sono esenti. Quella che prima era pubblicità ingannevole ora è un marchio che si presenta
come eticamente corretto e che, facendo perno sulla sua eticità, tenta di avvicinare a sé persone che
sono, di fatto, possibili investitori, e non più solo uomini consumisti. In Katathink i contenuti che
avranno maggiori visualizzazioni saranno quelle che verranno sostenute da maggiori investimenti
ma che saranno trattati in maniera non differente dalle altre. I messaggi aziendali saranno
visualizzabili solo premendo su un pulsante apposito collocato al fianco nel numero delle
visualizzazioni. Le aziende, inoltre, non saranno mostrate in base all’ammontare del loro
investimento, ma sempre in maniera cronologica. Onde evitare che i grandi marchi abbiano
comunque il sopravvento totale su quelli più modesti, verranno entrambi mostrati nella stessa area
di visualizzazione: l’investitore maggiore nella metà superiore e quello minore in quella inferiore.
La pubblicità può essere un sistema di comunicazione aziendale che diventa, per così dire, perverso.
Lo può essere poiché se applica delle politiche negative che fanno male a chi le vede possono avere
il fine ultimo la privazione della capacità critica di chi le guarda; e qualunque atteggiamento che
tende a far del male, anche non volutamente, non può fare altro che riuscire in questa missione . 152
Crediamo sia necessario tentare vie altre che sicuramente non sono ancora completamente
sviluppate ma che, comunque, hanno l’obiettivo ultimo il bene sia della persona a cui sono rivolte
che quello dell’azienda che le crea.
http://www.lifegate.it/151
Erich Fromm, L’arte di amare, Milano (MI), Mondadori, 1963.152
�110
La pubblicità è uno dei mezzi di sostentamento della rete che se realizzata con etica e rispetto nei
confronti della persona a cui è rivolta può anche fare del bene in quanto promotrice di arte e etiche
bio-diverse.
�111
4.5 — Dal blog alle considerazioni personali.
Una delle forme di comunicazione tramite web, fin dai suoi albori più primordiali, è stata
quella del blog. Nel progetto di ripensamento di ogni aspetto della rete, quindi, sono stati
considerate anche quelle forme di espressione di opinioni personali con al centro un tema che per il
suo creatore è importante. In Katathink si è pensato, soprattutto durante il Laboratorio di critica
teatrale diretto dalla Professoressa Mariani nell’anno Accademico 2013/2014, che questa forma di
espressione delle idee personali potrebbe essere affiancata direttamente ai contenuti esistenti
all’interno dell’ecosistema informativo stesso. Quando viene ricercato un risultato in Katathink
viene rappresentato all’interno di una forma quadrata che, come si è detto, è composta anche di
pulsanti che mostrano dei menu laterali con le informazioni dei contenuti ad esso correlati. Oltre a
questi vi sarà anche un pulsante che farà apparire le opinioni delle persone che sono iscritte al
motore di ricerca, e sarà chiamato “Punti di vista” (P.D.V.) oppure “Opinioni personali”. Alcune
saranno appartenenti esclusivamente alle persone private registrate, altre invece saranno
appartenenti alla redazione di Katathink e altre, nella misura in cui ciò sarà possibile, arriveranno
direttamente dalla rete e da alcuni spazi in essa inseriti. Riteniamo che l’aspetto del blog abbia in sé
una caratteristica unica e importante per l’essenza della rete stessa, ed è quella particolare forma di
anarchismo (inteso come autoregolazione di comunità prive di leggi imposte dall’alto) che
caratterizza l’espressione soggetti di opinioni riguardanti passioni, interessi, proposte. Ma un sito
che presenti solo questa componente non rispecchia completamente il dovere di fornire
informazioni critiche, ecco perché abbiamo pensato che sarebbe stato necessario affiancare i “Punti
di vista” con le opinioni ufficiali di una redazione che, in questo modo, oltre che informare l’utente
lo stimola anche alla ricerca e alla comprensione dei significati del contenuto senza però sbilanciarsi
in rapide e del tutto acritiche opinioni che rischiano, come sempre più accade, di saturare la rete di
informazioni fasulle, inventate e che hanno il solo scopo — pubblicitario — di attrarre un pubblico
che è in parte debole e in parte smanioso di rinuncia a realtà, in ogni sua forma scientifica e
ufficiale. Noi pensiamo che la ragione, come spesso accade, sia collocabile nel mezzo, ecco perché
�113
abbiamo deciso di dar uguale spazio agli scritti più “anarchici” e quelli appartenenti ai canali
ufficiali di divulgazione e promozione culturale.
�114
4.6 — Un campo di prova... La critica teatrale 2.0 — A.A. 2013/2014.
Nell’anno Accademico 2013/2014, tra novembre e dicembre 2013, Katathink è stato
inserito, ma soprattutto discusso, all’interno del Laboratorio di critica teatrale, diretto dalla
Professoressa Anna Laura Mariani, intitolato “Modelli di scrittura critica per la rete”.
L’obiettivo generale era di cercare di comprendere come il progetto Katathink potesse essere
d’aiuto alla critica teatrale. Oltre a questo, da parte del team del sito c’era il desiderio di non dare
nessuna scelta espressiva del motore di ricerca come definitiva e decisa già a priori; in questo modo
tutte le componenti del sito sarebbero dovute esser discusse, criticate e migliorate insieme ai nove
del team del Laboratorio. Dopo una prima panoramica essenziale del sito ne sono state osservate le
caratteristiche riguardanti la critica che, all’epoca, erano ancora da definire e strutturare. Si è giunti,
dopo numerosi dibattiti, scritti e confronti, a redarre delle caratteristiche che la critica teatrale
online, in Katathink, avrebbe dovuto avere. Prima di presentare i risultati è necessario dire che non
sarebbe stato possibile fare considerazioni a tavolino, teoriche, senza confrontarsi con delle realtà
molto circostanziate che potessero diventare strumento su cui pensare un modello da creare. Le
caratteristiche principali di Katathink sono la multidisciplinarietà e la presentazione delle
costellazioni di informazioni che girano attorno ad un fuoco centrale. A noi, per procedere, sarebbe
servito un fuoco abbastanza vivo da poter muovere molteplici informazioni a lui circostanti. Nel
mese di novembre 2013 è andato in scena, presso il Teatro al Parco di Parma, il testo drammatico di
Jon fosse intitolato “Io sono il vento” interpretato da Vanda Monaco Westertall, Fiorenzo 153
Madonna e Marco Sgrosso e prodotto dall’Università di Parma. In occasione dello spettacolo sono
stati organizzati degli incontri informativi con a tema Jon Fosse così da permettere di conoscere
meglio questo autore contemporaneo. La Professoressa, direttrice del Laboratorio, ha sottoposto
all’attenzione del team questi fatti che, fin da subito, ha notato che davano la possibilità di
confrontarsi con ogni peculiarità informativa che ruota attorno ad uno spettacolo e quindi di provare
a sottoporle a Katathink per osservarne i punti di forza e, soprattutto, i punti di debolezza. Si notò
Jon Fosse, Tre drammi: Variazioni di morte, Sonno, Io sono il vento, Pisa (PI) Titivillus, 2012.153
�115
che vi erano informazioni che riguardavano molte delle sezioni correlative di Katathink quali
“Persone”, “Teatri & sedi”, “Spettacoli / Festival”, “Gruppi & compagnie”, “Libri & riviste”,
“Oggetti”, “Filmati”, “Articoli / P.D.V.” e “Documentazione sonore”. Ciò che si è verificato in
seguito è stato una suddivisione dei vari compiti dove ogni persona si sarebbe occupata di una
determinata area correlativa in base ai propri interessi e qualità ricercando informazioni attorno allo
spettacolo “Io sono il vento”. Dopo aver raccolto tutti i dati è arrivato il momento di collocarli
all’interno di una mappa mentale al cui centro vi era lo spettacolo del 12 novembre 2013. Una
mappa mentale come quella utilizzata dal team è una particolare mappa che tratta le informazioni in
maniera circolare. Al centro il titolo e, come accade in un orologio, partendo da dove si colloca il
numero uno, si scrivono in maniera oraria i sottotitoli che nel nostro caso erano le categorie
correlative (appendice 2.28). Una linea collega i sottotitoli al centro e un’altra le parole che
descrivono, in maniera molto sintetica, il contenuto. Così facendo si viene a creare una mappa
mnemonica che mostra immediatamente tutti i suoi contenuti senza dover sfogliare nulla o senza
alcun rimando. Esattamente come accade in Katathink. Il lavoro di organizzazione dei contenuti, e
del loro collocamento, è quello che ha, com’è facile prevedere, utilizzato la maggior parte delle
energie del team poiché oltre alla ricerca delle informazioni si è dovuto verificarne la veridicità e,
nel caso in cui risultassero corrotte, fasulle o, semplicemente, non disponibili, scriverle ex novo
firmandole “Redazione di Katathink”. Così, ad esempio, è accaduto per la trama dello spettacolo.
Non essendovi già una descrizione che soddisfacesse i prerequisiti del web quali rapidità, semplicità
ed espressività, si è rivelato necessario scriverla all’interno della redazione. Nel caso contrario dove
si sarebbe trovata già completa e corretta online, o su qualche libro, si sarebbe contattato il
proprietario e, con la sua licenza, si sarebbe pubblicato presentando in maniera chiara la fonte.
In conclusione di questo lavoro durato alcune settimane nel quale i dialoghi e i confronti non
sono mancati, si è giunti alla redazione di alcune caratteristiche che, all’interno di Katathink,
guideranno coloro i quali decideranno di dare il loro punto di vista critico nei riguardi di uno
spettacolo, una conferenza, un festival, o qual si voglia altra forma di espressione culturale e
�116
informativa già presente sul sito web. Queste cinque note, e tutto il lavoro precedentemente esposto,
ed altro che non è funzionale presentare in questa sede, sono state redatte sotto la costante
supervisione della Professoressa Anna Laura Mariani. Prima di procedere ci teniamo a sottolineare
che all’interno del Laboratorio si sono avuti gli interventi dei Professori Enrico Pitozzi ed Antonino
Taormina che, rispettivamente hanno esposto le loro posizioni riguardo alle metodologie attraverso
cui è meglio scrivere, e veder scritto, su un mezzo di comunicazione virtuale quale è internet e sulle
strutture organizzative e gerarchiche del teatro. I punti nodali per poter dare un proprio punto di
vista online in maniera strutturata e coerente sono dunque cinque:
- non si possono fare riferimenti interni al testo, ovvero non è possibile dire locuzioni quali “come
sopra”, “come detto in precedenza”, “come anticipato” ecc.;
- la scrittura deve essere visuale e orizzontale, e quindi è importante dare un aspetto compatto al
testo scritto rinunciando alle rientranze di inizio capoverso e giustificando il testo a sinistra senza
lasciare troppi margini sul lato destro della pagina;
- non è ammesso l’utilizzo delle virgolette perché la categoria astratta è scontata, poiché si è
all’interno di un mondo virtuale, per quanto concreto, e non va visualizzata;
- le note a piè di pagina non sono realizzabili, ma devono essere inserite tra parentesi, sia per un
motivo di formattazione del testo in rete che ne impedisce l’esistenza, sia perché la fluidità della
lettura generale assume un livello maggiore;
- il testo non deve essere inferiore ai 120 caratteri e non superiore ai 2000, compresi gli spazi.
È possibile allegare documentazioni fotografiche, audio e video che, a seconda dei casi,
possono essere interne a Katathink oppure rimandare a siti web esterni quali Youtube®, Vimeo®,
Dailymotion® o altri.
Alla fine del Laboratorio è stato costruito un PDF interattivo all’interno del quale è possibile
navigare Katathink nelle sue componenti che riguardano il lavoro svolto durante lo svolgimento del
Laboratorio stesso e che quindi può fungere da modello per riprese future sia in ambito teatrale che
non. Il sito infatti ha un bisogno costante di esser messo sul campo di prova nelle differenti
�117
discipline con fine di divenire una piattaforma il più estesa e semplice possibile con l’obiettivo di
rendere visibile e concreto ciò che nella vita reale accade costantemente, ovvero che ogni bene
(culturale), solido e non, si rapporta con altri beni in maniera reciproca, come in un rapporto umano
dove una persona non può essere vicina ad un’altra senza che questa non sia vicina alla prima. Lo
stesso principio vive in Katathink ed è quello che ha permesso la realizzazione del sistema
correlativo rivolto alle persone che intendono sviluppare il pensiero critico e di ricerca, poiché
lo scopo dello studioso è una lettura unitaria del fatto in questione condotta sulla base della
correlazione fra i diversi elementi costitutivi.154
Marco De Marinis, Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Roma, Bulzoni, 2008, p. 111.154
�118
Conclusioni.Ovvero alcune prospettive future per Katathink.com.
La rete di internet è una realtà che si realizza sempre più nella vita degli individui che
vivono la Terra. È nata per scambiare semplici informazioni testuali tra reti intranet, si è sviluppata
arrivando piano piano in qualche ufficio, poi qualche scuola, palazzi pubblici, case dei cittadini
privati ed ora è al punto di esser inserita nella tasca dei pantaloni di ognuno di noi e, sopratutto dal
2015, indossata. Le strade per osservare un fenomeno simile sono principalmente due. Una, che
deriva da decenni passati in cui il televisore si presentava come oggetto tecnologico capace di
incantare e ammaliare — oltre che persuadere — l’individuo per spingerlo ad avere opinioni, idee,
sensazioni, sentimenti e atteggiamenti che, in qualche modo, erano controllati dalle emittenti
televisive. In questo modo la scrittura romanzesca e fantascientifica, soprattutto, hanno prodotto
pubblicazioni dove mostravano questo nuovo mezzo di comunicazione monodirezionale come
l’inizio di un mondo controllato dalle macchine e controllato da pochi uomini che avevano il
controllo (o anche solo un dialogo) con queste macchine invincibili. Presto anche il cinema, le arti e
la filosofia si sono immerse in questo mare apocalittico dove l’uomo avrebbe perso ogni suo potere
in quanto essere vivente a favore di quello che venne chiamato “il regno delle macchine” (Matrix,
1999). Al giorno d’oggi viviamo un’epoca in cui la rete di internet sta dimostrando giorno dopo
giorno come può essere abile nel donare alle persone la possibilità di emanciparsi da un mondo
sempre più complicato dove le informazioni sono sempre più lontane, fisicamente parlando, da dove
l’individuo si trova. Non che internet le avvicini geograficamente, ma presentandosi come realtà
virtuale, non solida (anche se nei suoi effettivi risvolti fisici lo è), la rete porta l’utente che la naviga
a percepire l’informazione come se geograficamente di trovasse accanto a lui. In questo sistema ciò
che accade è che l’astrazione del pensiero umano viene espansa come mai prima d’ora, e la realtà
solida non ha più differenze da quella virtuale. La seconda viene trattata in maniera analoga alla
prima e, a volte, in maniera anche più attiva a presente. Internet sembra vivere di un ecosistema, di
�119
un ambiente, molto favorevole alla proliferazione delle comunicazioni interpersonali che possono
realizzarsi attorno a delle informazioni, a dei contenuti che parlano del mondo naturale. Pensare
oggi che il mondo Tecnico — e tecnologico — sia esclusivamente un mondo artificiale sarebbe
errato, poiché i meccanismi rituali, mentali e sociali che può attuare non sono distanti da quelli che
tempo fa appartenevano esclusivamente alla realtà solida del mondo comunitario. La differenza più
evidente riguarda la dimensione di questo mondo comunitario che, da pochi individui sta
diventando, in parte, globale. Oggi non è raro trovare più corrispondenza emotiva, di interessi e
passioni in qualcuno che vive lontano da noi rispetto al nostro vicino di casa. Ma vale la pena
demonizzare questi nuovi fenomeni solo perché rompono, con irruenza, è vero, ciò che prima era
canonico, impensabile e fisso? L’individuo trova sempre più corrispondenza nel mondo digitale di
ciò che percepisce in quello naturale, a patto che il primo sia sviluppato con una sensibilità tale da
inserirsi nell’espressività motiva del secondo. E ciò è possibile poiché, seguendo le orme dei
riformatori dell’educazione dei sistemi scolastici, il mondo naturale è è in assoluto l’ambiente più
ricco di informazioni che esista . Il mondo digitale può essere dunque considerato come una 155
nuova componente estensiva e, in qualche modo, artificiale, della realtà naturale quale luogo dove
incontrare individuo, scambiare informazioni e con essi arrivare a generare sempre nuove idee e
sempre nuovi orizzonti di interesse, oltre che metafore della vita. Per l’autore Jeremy Rifkin
l’analisi delle metafore e delle espressioni linguistiche utilizzate dalle persone è il mezzo più
concreto per comprendere la società e l’ambiente in cui siamo inserti. Lo storico Thomas Berry
sembra essere della stessa idea quando ci invita a riflette sul modo in cui la razza umana avrebbe
potuto elaborare metafore così fondamentali per la creazione della narrazione della coscienza se la
nostra specie fosse stata domiciliata, fin dalle sue prime origini, sulla luna; luogo in cui non ci sono
altre forme viventi. In una circostanza tale non sarebbe stato possibile immaginare la vita dell’altro
come se fosse in qualche modo applicabile alla nostra propria esperienza, che è la base stessa del
Edward Osborne Wilson, Biophilia and the Conservation Ethic, in S.R. Kellert e E.O. Wilson (a cura di), The biophilia 155
Hypothesis, Washington, DC, Island Press, 1993, in Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Mondadori, 2012, p. 285.
�120
pensiero metaforico e del pensiero cognitivo fondato sull’esperienza condivisa attraverso il
processo empatico .156
Il pensiero naturale ed empatico, come abbiamo cercato di mostrare a più riprese, è una
modalità di ragionamento che può portare con sé lo sviluppo della componente critica
dell’individuo. Il sociologo Stephen Kellert si spinge oltre affermando che un forte rapporto con la
natura è essenziale al pensiero critico, soprattutto quando si è in una fase di crescita e sviluppo dove
la mente umana cerca di creare spiegazione alle relazioni ci causa-effetto che osserva attorno a sé.
Scrive Kellert:
pochi ambiti della vita offrono ai giovani tante opportunità per sviluppare il pensiero
critico, l’indagine creativa, la capacità di soluzione dei problemi e lo sviluppo intellettuale
quanto la natura157
In questo pensiero si può trovare una sfumatura di significato, un po’ celata, ma presente, da
cui si può evincere che il pensiero critico nato dall’esperienza della natura è anche un mezzo
attraverso cui far sviluppare nell’individuo quelle emozioni che derivano dall’ambiente naturale che
lo portano ad aprire la mente all’immaginazione e alla creatività, senza le quali la coscienza umana
si atrofizzerebbe . 158
Le emozioni date dalla vita naturale sono anche quelle che, per alcuni studiosi , possono 159
aiutarci a ricordare che siamo esseri umani in un’era tecnocratica. Va però considerato che all’epoca
in cui questo studiosi promuovevano una posizione simile internet, soprattutto come lo conosciamo
oggi, non era ancora stato sviluppato. La rete web può essere, oggi, un veicolo attraverso cui le
Ibid.156
Stephen Robert Kellert, Experiencing Nature: Affective, Cognitive, and Evaluative Development in Children, in P.H. Kahn e S.R. 157
Kellert (a cura di), Children and Nature: Psychological, Sociocultural, and Evolutionary Investigations, Cambridge (MA), MIT Press, 2002, pp. 125-125, in in Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Mondadori, 2012, p. 286.
Ibid.158
Si veda Rachel Carson, Nick Kelsh, The sense of Wonder, New York, HerperCollins, 1998.159
�121
persone possono sensibilizzarsi verso la natura e verso sé stessi. Valga per tutti l’esempio degli
ultimi due anni dove moltissime persone, informandosi sulla rete prima, e presso un medico fisico
poi, hanno iniziato a curare di più il loro corpo e la loro dieta. Internet, con molte delle sue
estensioni, può essere dunque un mezzo di interazione tra il mondo concreto e quello astratto, se
ben utilizzato e pensato, ad esempio, per costruire costellazioni di dati e informazioni virtuali
esperendole e ricercandole prima nel mondo solido.
La ricerca nel mondo reale è fondamentale per molteplici motivi. Uno di questi è che
permette di conoscere la logica delle costellazioni che ruotano attorno ad un dato centrale che può
essere sia naturale in quanto appartenente al mondo della flora e della fauna, quanto naturale in
quanto appartenenti al regno della storia e facendo comprendere alla persona che muove questa
ricerca di essere, di fatto, ancora appartenete al mondo naturale. Il legami primari (di sangue) che
l’uomo ha con il mondo possono però diventare dei fattoli limitanti del suo completo sviluppo
umano impedendo lo sviluppo completo della sua ragione e delle sue facoltà critiche. Il rischio dei
legami di sangue che creano comunità è che consentono all’uomo di riconoscere sé e gli altri
soltanto attraverso l’appartenenza ad un clan, e non in quanto esseri umani. In altre parole possono
bloccare il suo sviluppo in quanto individuo libero, autonomo, produttivo . Inoltre questo forte 160
riconoscimento con il clan, la comunità o la religione dona alla persona una forma di sicurezza
carceraria. Egli sente di appartenere, ha le radici già ben strutturate in una socialità dove occupa un
posto ben preciso. Le sue uniche sofferenze in una realtà simile sono solo di tipo fisico, ma non
emotivo legate alla solitudine e al dubbio, sensazioni queste che aiutano lo sviluppo critico. Ecco
che una controparte Tecnica legata a quella naturale si mostra molto importante poiché apre
possibilità di confronto che senza rischiano di minare la libertà umana.
In determinati progetti interni di Katathink, si potrà prendere spunto da grandi aziende che
hanno avuto rapporti con scuole, e generazioni nate con internet, per cercare di comprendere la
Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Cremona, Edizioni di comunità, 1963, p. 35.160
�122
sintesi tra pensiero naturale e pensiero tecnico/tecnologico che questi nuovi giovani hanno la
possibilità di vivere.
Lisa Magnuson, direttore marketing della Silver Spring Newtwok, una società che produce
hardware e software intelligenti per la rete elettrica, afferma che l’America ha bisogno di
attingere alla creatività della nuova generazione cresciuta con internet. In un programma
pilota introdotto nei sitemi scolastici della California e dell’Ohio, agli studenti crede chiesto
di scrivere brevi sgasi argomenti come «In che modo l’elettricità intelligente cambierà la
tua vita e la tua carriera futura?» 161
Promuovendo un’attività di questo tipo, ovvero avviando attività in cui le prossime
generazioni inizino fin da subito a preoccuparsi del mondo che abitano, che si preoccupino di
sostenerlo creando reti intelligenti e utilizzando internet per bene che può fare in quanto Tecnica, e
quindi capendo la differenza tra Tecnica e tecnica, è una prospettiva che è al centro dell’etica di
Katathink. Ancor prima di lavorare sull’operatività futura dei giovani, è importante stimolare gli
animi ad avere una coscienza differente a quella economico-capitalistica sviluppatasi durante il XX
secolo, e quindi inserendosi come produttori sociali di beni e servizi al fine di un miglioramento del
benessere comune attraverso il miglioramento del modo di vivere al mondo, il mondo.
Siamo coscienti che esagerare con uno sviluppo mentale del multitasking tecnologico può
avere conseguenze anche moto gravi quando mal gestite. Sono molto diffusi, ad esempio, ragazzi
afflitti da disturbi dell’attenzione chiamati ADHD. Questi disturbi si manifestano soprattutto quando
i giovani non hanno mai avuto, oppure non hanno avuto abbastanza, contatto con il mondo naturale
della flora e della fauna. Non ne hanno assorbito i tempi, le relazioni, le paure e le fragilità, e in
questo modo vivono in un mondo sistemico dove la tecnica è priva di significati e simboli che
sottraggono la mente umana da piaceri e libertà. Il filo su cui si corre vivendo una crescita di
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Mondadori, 2012, p. 266.161
�123
fanatismi, sia essi naturali o tecnocratici, è troppo fine per sostenere una persona, e quindi
inevitabilmente si cade nella perdita di libertà individuale che invece può caratterizzare ogni essere
umano. Quando parliamo di comunicazioni legate alla natura ci riferiamo anche, ovviamente, ai
legami empatici, ad una loro comprensione, ad un loro studio e ad una loro proliferazione. È
necessario, a questo riguardo, guardarci bene dal rischio di far diventare il temine empatia una
semplice etichetta mediatica che rischia di essere di breve durata e di intensità ancora minore. Il
momento storico che stiamo vivendo è favorevole agli studi dei meccanismi empatici e della loro
diffusione, bisogna cercare di essere attenti a non sprecare questa occasione che potrebbe essere di
grande aiuto all’uomo per comprendere la sua libertà e la sua umanità . E come poter attuare delle 162
prospettive simili? Promuovendo la cultura in ogni sua sfaccettatura e componente mostrandone le
sfumature e le costellazioni. Facendo ciò è possibile che l’uomo si avvicini a quella forma di verità
storica che dimostra che, in moltissimi casi, durante lo sviluppo umano prima si sono creati modelli
culturali e poi società politiche ed economiche. Questo perché la cultura è il contesto in cui si crea
la narrazione sociale che ci lega gli uni agli altri, permettendoci di empatizzare reciprocamente
come una famiglia estesa . Condividendo una eredità comune si può giungere al pensiero di noi 163
come una comunità e così facendo accumuliamo una fiducia senza la quale governi ed economie
non potrebbero esistere. Quello che viene chiamato capitale sociale non è altro che una forma di
fiducia sociale che viene poi investita in governi e sistemi economici . Questa è possibile anche in 164
virtù di un principio fisiologico di separazione, di scissione, che vede l’uomo, ad un certo punto
della sua vita (quando giunge al mondo), tagliato fuori dalla realtà simbolica della natura. possibilità
di vivere.
Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Mondadori, 2010, p.164.162
Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Milano, Mondadori, 2012, p. 302.163
Ibid.164
�124
I legami primari, una volta che siano stati recisi, non possono più venir ristabiliti; quando il
paradiso è perduto, l’uomo non può tornarvi. C’è una sola possibile soluzione produttiva
per il rapporto dell’uomo individualizzato con il mondo: la sa solidarietà con tutti gli
uomini e la sua spontanea attività, l’amore e il lavoro che lo riuniscono di nuovo al mondo,
non mediante legami primari, come come individuo indipendente. 165
Questo non solo può portare a dei forti legami umani che si possono sviluppare attraverso
l’aggregazione sociale e del lavoro che si muove attraverso la rete, ma è in grado anche di
migliorare la condizione sociale di molti poiché può trasformare il sistema delle società gerarchiche
in un sistema delle società egalitarie. La Tecnica, e la struttura sociale che ne deriva, non è in grado
di tollerare le disuguaglianze ad esempio razziali , non può contemplare al suo interno componenti 166
che non vivano una vita neoumanistica che, nel villaggio globale che viviamo, comprende centinaia
di milioni di persone. Queste milioni di persone sono destinate a divenire miliardi attraverso il
sempre più esteso sistema internet e Tecnico.
Katahink vive di strutture e di etiche che sono nate proprio da alcuni dei presupposti
presentati durante tutta la trattazione, molti sono ancora da sviluppare e da discutere
collettivamente, per cercare di creare un mondo che non può più solo dire “io ci ho provato”, ma ci
deve riuscire.
Erich Fromm, Fuga dalla libertà, Cremona, Edizioni di comunità, 1963, p. 36.165
Jacques Ellul, Il sistema tecnico, Milano, Jaca Book, 2009, pp. 96-97.166
�125
Appendici.
1 — Intervista al consulente di front-end Stefano Peloso.
Quella che segue è una intervista fatta al consulente front-end Stefano Peloso. A livello
metodologico si è deciso di non applicare delle modifiche alle parole utilizzate dal professionista del
web così da poter restituire ogni sfumatura lessicale che il consulente ha nella sua persona e nella
sua professione. Si è deciso, inoltre, di presentarla nella sua interezza poiché nel dialogo instaurato
molteplici discorsi si sono intersecati e sovrapposti. Parlando di internet e della rete e dei suoi
risvolti presenti e futuri è divenuto inevitabile, per l’intervistato, non estendere al massimo i
contenuti trattati.
C. Stefano Peloso, un nome noto ai professionisti della rete e della comunicazione che ha
sviluppato siti web per aziende di rilevanza nazionale e internazionale, ora si occupa principalmente
di front-end. Le va di presentarsi e di esporre il suo lavoro?
S. Ho avuto una formazione molto eterogenea attraverso diversi canali come in reato la maggior
parte delle persone che fanno questo lavoro perché non c’è di fatto una scuola che porti al tipo di
lavoro che faccio anche perché è molto recente e in continuo divenire e quindi non ha più di tanto
senso l’idea di inserirlo in una formazione canonica universitaria; e quindi, oltre formazione, a
livello di studi ho avuto una formazione sul campo lavorando in diversi ambiti perciò per un certo
periodo sono stato, ad esempio, copywrighter in una agenzia pubblicitaria; ha avuto, come molti dei
miei colleghi, un breve passato come grafico passando poi a concentrarmi e focalizzare su aspetti
che in realtà sono molto collegati nell’ambito della comunicazione, soprattutto visiva, ma che
utilizzano strumenti, diciamo tecnologici, e quindi un approccio diverso rispetto ad un semplice
visual. Quello di cui mi occupo adesso è una versione di front-end molto moderna. Il concetto di
�127
base potremmo dire che bisogna essere in grado di rendere in maniera efficace, dove efficace vuol
dire tutta una serie di punti che vanno dall’esperienza utente alla performance percepita si tempi di
accessibilità, quello che un designer ha progettato e pensato. Quindi facendo una sorta di paragone,
potrei essere una sorta di ingegnere che rende possibile costruire quello che un architetto ha
disegnato rendendolo prima di tutto il più fedele possibile al disegno originale, alla visione che ha
l’architetto e, come obiettivo secondario, ma non in ordine di importanza, funzionale e funzionante.
Chiaramente l’ambito principale è il web, nel senso che front-end è in pratica quell’insieme di
tecnologie — HTML e CSS in primis — che servono a sviluppare la parte che viene visualizzata di
un sito web. Il fatto però che io lavori su web è incidentale per il semplice fatto che al momento è il
mezzo che permette maggiormente di esprimere questo tipo di lavoro che mi interessa, ma il mio
fine non è il web ma creare degli oggetti con cui le persone interagiscono. Non escludo che io e miei
soci,in un futuro, non troppo prossimo, potremmo spostarci a lavorare su oggetti connessi poiché io,
ad esempio, in passato ho lavorato con molto piacere su installazioni interattive, giochi (non inteso
come videogiochi), ma cose simili a “caccia al tesoro” ovvero la creazione di storie nel mentre che
l’utente interagisce con l’oggetto.
C. Quando parla di interazione, possiamo intenderla come performatività?
S. Si. Interazione in tutti i sensi. Nel campo del front-end, adesso come adesso, interazione è
essenzialmente legato a input testuale con tastiera, input di puntamento con mouse e touch, ma in
realtà esistono altri tipi di input che sono ad esempio la creazione di un dispositivo e quindi tutto
quello che è collegato alle capacità sensoriali dell’utilizzatore. Ci sono ad esempio cose che sono
sperimentali, poiché non hanno ancora standardizzazioni internazionali, ma che utilizzano
creativamente sensori di luminosità dei dispositivi, i loro accelerometri, le bussole magnetiche, le
fotocamere e microfoni; sono tutte cose a cui si può accedere per avere altri tipi di interazione che
vanno al di la di quello canonico.
�128
C. Si possono considerare come tali anche sistemi Kinect e Motion Capture?
S. Si, ma sono più elitari poiché oggi vi è una diffusione abbastanza capillare di smartphone e
devices connessi che hanno, più o meno tutti sensori di questo genere. Una cosa come Kinect
piuttosto che un Deep Motion sono già un po’ più particolari, dei giocattoli divertenti da
sperimentare, ma non sono così diffusi da poterci fare qualcosa con un accesso di massa.
C. Potremmo dire questi giocattoli divertenti sono percepiti come tali mentre i devices connessi
vengono percepiti più come delle protesi da parte dell’utilizzatore?
S. Il telefono, e adesso anche abbastanza il tablet, anche perché oggi come oggi la linea di confine
sta diventando sempre più labile, sono degli oggetti molto molto personali addirittura di più di
quanto non lo fosse un tempo il Personal Computer. Oggetti come un Kinect, oltre ad essere ancora
troppo dei giocattoli, sono dei giocattoli per persone specifiche, un po’ geek o persone amanti dei
gadget tecnologici. Quindi se uno smartphone è un oggetto che si può trovare in tasca una casalinga
un Kinect no. Perciò la fascia demografica a cui si riferiscono è molto ristretta.
C. Lei a che fare quotidianamente con prodotti concreti e astratti (quale può essere, per certi versi,
internet) che hanno a che fare con la Tecnica e la Tecnologia. Come colloca il Suo lavoro all’interno
di una realtà che sembra voler rompere sempre più “la quarta parete” costituita da schermi e
monitor?
S. Come dicevo al momento sono confinato molto su uno schermo ma perché in questo momento è
il posto in cui è possibile veramente creare, anche con un rapporto costo-efficacia veramente
favorevole, delle esperienze funzionali e main-stream cioè accessibili a praticamente chiunque che
vengono utilizzate praticamente da chiunque. Mentre non escludo affatto, anzi è molto probabile,
che in un futuro prossimo mi sposterò su altri mezzi. La ragione per cui non sto lavorando
quotidianamente con hardware e tecnologie che vanno al di la dello schermo è semplicemente
perché sono ancora tutte cose no in produzione o non diffuse. Nel momento in cui cominceranno ad
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esserlo inizierò sicuramente a lavorarci sempre di più. La questo è, al momento la tecnologia di
massa è ancora indietro, e tutte le cose dall’Oculus piuttosto che l’Ologramma e via dicendo sono
delle piccole anteprime di una direzione che sta prendendo il futuro dell’interazione, ma non sono
ancora di massa. Io faccio un lavoro che comunque, nonostante tutto è molto concreto e si rivolge
ad un pubblico di massa; gli altri oggetti e al momento non li utilizzo ma credo in un loro avvento
che diventerà futuro per me. Bisogna solo dare loro il tempo di maturare e dare il tempo alle
persone di portarle. Ma vista la rapidità in cui siamo passati nell’usare un mouse con un pallina ad
aspettarci che un dispositivo ci risponda utilizzando il multi-touch, penso che saranno tempi
relativamente brevi.
C. Possiamo quindi inserire questo nuovo orizzonte dentro cui ci stiamo inserendo, degli ologrammi
ad esempio, come diretta conseguenza di internet e di internet delle cose?
S. Diretta conseguenza, direi di no. Nel senso che non ci vedo un rapporto di causa-effetto, ma
sicuramente sono tutte cose nella stessa direzione. Cioè non è internet che l’ha causato ma sono
frutto di una visione comune verso cui ci stiamo muovendo ci sono diversi fattori contingenti che
portano a queste cose che sono sia da una parte una visione umana e umanistica legata, fino ad un
certo punto, alla tecnologia, che è proprio l’idea pionieristica e inventoria di immaginare il futuro e
immaginare cosa si potrà fare con una potenza di calcolo che da sola non serve se inserita in scatole
grigie. Mentre ora c’è una volontà di usarla per creare e al contempo chiaramente è importante il
fatto che c’è un’accelerazione tecnologica che consente miniaturizzazioni con potenze di calcolo
sempre maggiori, comodità maggiori e rapidità superiori.
C. Si capisce quindi che l’importanza all’estetica e al design è centrale in un mondo che crea
sempre più esperienze ed interazioni. Nella progettazione di un sito web, tornando al suo lavoro
attuale, quanta importanza viene data all’interfaccia grafica? Perché?
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S. Adesso tantissima. Allora, facciamo una storia brevissima di AIX (Unix) che sarebbe Design
dell’interfaccia utente, Design dell’esperienza utente. Fondamentalmente, nasce il web, non si sa
bene cosa farci, sembra una cosa carina, proviamo ad investirci dei soldi, è economico, è uno spazio
aperto. E questi sono gli anni Novanta. Questa cosa del web si diffonde, per altre ragioni, non per
quelle che interessano alle aziende, però cresce. A quel punto inizia ad esserci competizione perché
il web inizia ad acquisire un pubblico considerevole quindi un’azienda ha la necessità di avere una
presenza su internet quanto, forse anche più, di essere, in precedenza, sulla Pagine Bianche,
piuttosto che, per azienda molto grandi, avere una presenza pubblicitaria su giornali e manifesti.
Però il web è ancora visto come un ambiente strettamente tecnologico e ingegneristico e, in ogni
caso, salvo le rarissime eccezioni che esistono sempre, per tutto inizio degli anni Duemila il web
viene costruito come se fosse una macchina cioè senza un aspetto più umano. Molto di recente,
parliamo degli ultimissimi anni, gran parte dei siti, anche grazie al fatto che il web diventa più
intimo proprio per l’elevazione dei dispositivi con cui vi si accede, inizia ad essere la percepita la
necessità, semplicemente, di farlo più bello. Iniziano a venir fuori i primi esempi di web “bello”,
dove bello non significa solo esteticamente bello, ma vuol dire anche fatto con un certa cura e
quindi non freddo fermo e statico ma qualcosa che inizia a coinvolgere. E, come è facile capire poi
a posteriori, la risposta è immediata. Quelle strutture che cominciano ad adottare un approccio di
questo tipo ottengono dei risultati concreti. Quindi ottengono più conversioni, più clienti, più
guadagno. Da lì la tendenza diventa universalmente riconosciuta, e si inizia ad investire molto e
nascono i concetti di Design dell’interfaccia utente, prima e Design dell’esperienza utente poi.
Quindi il disegno grafico non si limita più solo a sé stesso ma si relaziona al disegno dell’esperienza
che vuole generare qualcosa a livello emotivo. Qui però subentra il problema per cui, in realtà, dal
punto di vista di design, si fanno molti più progressi e l’applicazione pratica resta indietro perché
rimane dominio di un gruppo estremamente esteso, però molto, molto più ingegneristico di persone.
Quindi abbiamo un designer che prepara e immagina qualcosa di estremamente coinvolgente per
l’utente, e poi uno più ingegneristico che lo mette in pratica, ma viene sempre fuori qualcosa con
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qualche pezzo in meno, con qualcosa che stride e qualcosa di mancante. E qui arriviamo a tre/
quattro anni fa, quando ci si rende conto di questa ulteriore esigenza e c’è una svolta ani questo
campo perché da una parte molti designer molti designer, per riuscire ad avere un risultato efficace
rispetto a quello che disegnano, iniziano a convertirsi e a superare un po’ la barriera iniziando ad
interessarsi al codice cercando di capire come rendere fedelmente quello che disegnano da una
parte, e dall’altra, cosa molto utile per lo sviluppo effettivo, conoscendo tecnicamente quello che si
può fare, si influenzano e iniziano a creare delle cose a cui prima non avrebbero pensato perché non
conoscevano le possibilità tecniche. Si creano molte community di grande spessore al riguardo.
Iniziano ad esserci molte pubblicazioni sia di articoli che di libri sugli argomenti collegati e, un po’
alla volta, da questo gruppo di designer-capaci-di-scrivere-codice si distacca un altro gruppo, che è
quello da cui poi derivo io, composto da persone che sono tornate indietro verso il codice più puro,
ma mantenendo il contatto con il designer, ed è quello che oggi viene sempre più richiesto perché
l’importanza di rendere un’esperienza utente viva e coinvolgente è sentita moltissimo e quindi c’è
necessità di avere persone con la capacità di realizzarle. Quindi da una parte l’esigenza c’è,
dall’altra è possibile rispondere a questa esigenza ma non sono moltissime le persone in grado di
rispondere a questa esigenza perché è stat percepita in tempi molto recenti e quindi non c’è
moltissima cultura professionale che si occupano di questo lavoro.
C. Un website è uno spazio di forte interazione in cui, a differenza dell’esperienza televisiva,
l’utente, generalmente, non è completamente passivo rispetto ai contenuti. Questo spazio
solitamente presenta una qualche forma di gerarchizzazione dei contenuti o tende a voler essere il
più trasversale possibile?
S. Questo è un discorso in realtà molto molto legato all’esperienza utente e credo che sia da
separare tra l’efficacia della presentazione delle informazioni e, invece, l’efficacia di altri obiettivi.
Semplificando molto tenderei a dire che se vengono presentare le informazioni in maniera
eccessivamente efficace (ovvero attraverso una struttura parallela e non gerarchica) si forniscono
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informazioni molto valide invece di fornire una specie di flusso caotico, ameno come percezione, in
cui le informazioni valide vengono confuse nel “rumore” generale, si ottiene, ovviamente, l’effetto
di fornire l’informazioni in maniera pratica, efficiente, utile ma non si ottiene un effetto utile per
una azienda come Facebook® o Twitter®. Perché se Facebook® fornisse informazioni utili e
concise il tempo di rimanenza su di esso si ridurrebbe, perdendo così anche guadagni; quindi la mia
sensazione è che i metodi in cui fornisce le informazioni, in design dell’informazione, una struttura
come Facebook® non è un metodo pensato per essere utile per l’utente ma per intrappolarlo il più
possibile. Mentre se parliamo di un servizio che abbia lo scopo di fornire un’informazione, quel tipo
di design, di Facebook®, non ha alcun senso. Quindi Facebook® funziona malissimo per fornire
informazioni, ma funziona benissimo per ciò per cui è disegnato.
C.Ultimamente si sente sempre più parlare di “Internet delle cose”. Che cosa si intende con questa
nuovo termine che si presenta come il futuro presente e prossimo?
S. L’internet delle cose in realtà è un termine che contiene un concetto relativamente vecchio che si
riferisce all’idea di avere degli oggetti collegati, essenzialmente via internet, in grado di ricevere
degli input e poi fare qualcosa. Si interseca molto con le idee di domotica infatti un oggetto
connesso può essere semplicemente l’antifurto di casa controllato con lo smartphone; ma possono
essere oggetti anche più di intrattenimento, possono essere degli assistenti di vario genere e possono
essere oggetti che forniscono anche solo informazioni e notifiche, o che prelevano informazioni con
dei sensori, ad esempio un termometro, e le forniscono ad internet attraverso un altro canale. È un
concetto ancora un po’ in fase i esplorazione su cui c’è interesse, ad esempio INTEL sta facendo
grossi investimenti al riguardo, ma non c’è ancora un’idea chiarissima di dove si stia andando a
parare in realtà. Diciamo che, per internet delle cose, si intende un qualsiasi oggettino piccolino che
si collega ad internet e fa qualcosa in maniera indipendente da un computer.
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C. Credi che questa nuova visione dell’oggetto, e di internet, è destinato a rompere la barriera che
oggi in parte c’è tra il mondo della rete ed il mondo, per così dire, reale?
S. Si, però in realtà sono oggetti moto dispersivi. Il web nonostante i metodi di consultazione più
disparati è accentrante: il web è il web, che tu lo guardi da un telefono o da un computer resta
quello. L’intenerì delle cose ha questo tipo di frammentazione più tipico delle App, in cui vi è una
specializzazione di un oggetto che è fatto esattamente per quello scopo, per quella funzione,
totalmente impermeabile a tutto il mondo che lo circonda. E questo è un po’ un limite che forse si
sta cercando di affrontare cercando di capire come possa essere gestito.Gli oggetti connessi sono
delle piccole propaggini ma hanno questo blocco dell’essere eccessivamente specializzati e poter
fare una piccola cosa, molto bene perché sono stati disegnati apposta per farla, ma non rompono del
tutto quella barriera: aprono un piccolo foro da cui si vede uno spiraglio. Quindi allo stato attuale
non c’è una visione che possa effettivamente davvero unificare i mondo solido con quello del web,
però non è da escludere che sia una cosa fattibile nei prossimi tempi.
C. Quindi internet, come lo conosciamo noi oggi, ha ancora di essere sviluppato.
S. Assolutamente si, quello resterà sicuramente per diversi anni ancora. Anche perché per quanto
possa essere veloce l’adozione delle novità, anche se uscisse oggi qualcosa di rivoluzionario in
grado di sostituire internet, ci vorrebbero comunque diversi anni prima che avesse una diffusione
tale da far considerare internet in fase di abbandono. Come dicevo allo stato attuale c’è il desiderio
di una cosa del genere, ma non un visione per raggiungerlo.
C. Siri, Cortana, Echo, e molti altri assistenti vocali hanno visto la luce negli ultimi anni. Ci
spiegherebbe come mai della nascita di questo fenomeno?
S. Ad esempio Apple e Microsoft hanno lavorato molto in passato su questo tipo di concetti. Era
qualcosa che desideravano creare ma tecnologicamente non era fattibile. Quindi non è una cosa che
è uscita dall’oggi al domani perché a qualcuno è venuto in mente di farla, ma era anni che si voleva
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fare; semplicemente prima non vi erano le predisposizioni tecnologiche e tecniche per poterla fare.
Quindi una componente fortissima di questo, e di una serie di altri assistenti personali, è lo sviluppo
tecnologico. Andando a vedere progetti del MIT di trovano molti progetti di questo genere ma
appunto realizzate dentro dei laboratori universitari, non cose riproducibili su scala industriale per
essere venduti a prezzi sensati per il mercato. Tra l’altro ho visto in periodo recente numerosi casi in
cui ricercatori del MIT — o di altre strutture analoghe — hanno cominciato progetti di assistenti
vocali di vario genere che sono fondamentalmente più simili a Echo ma più evolute. Quindi il
sogno, anche come cultura popolare, del robot come maggiordomo, c’è da tantissimo, in termini
informatici da ere geologiche, semplicemente prima non c’era la tecnologia per farlo. Secondo me il
grosso boom che stanno avendo i tre main stream che hai citato che alche altri progetti, è
essenzialmente legato al fatto che prima non si poteva fare e adesso si può.
C. Crede che il concetto di “assistente vocale” si estenderà anche all’interno dei siti web nei
prossimi anni? Un sito Siri ad esempio?
S. Progetti così sono già stati realizzati. Non è un assistente vocale ma un motore, tramite input
testuale, in grado di comprendere domande anche piuttosto complesse raccogliendo informazioni da
diversi luoghi e di dare una risposta. È immaginabile ciò che dici, tecnologicamente è abbastanza
fattibile, ma di fatto non c’è più di tanto un’esigenza di questo tipo. A dirla tutta per quanto ci sia
interesso su questo tipo di tecnologie, sono tutte ancora incredibilmente limitate. Quello che è in
grado di fare un Siri o un Cortana è davvero, davvero poco. E quindi la domanda è: perché dovrei
andare su un sito web per ottenere delle risposte che posso, molto più velocemente, ottenere
cercandole su Google®. Quindi da un punto di vista tecnologico una cosa analoga a quelle che sono
presenti adesso, agli assistenti di quel tipo, sarebbe fattibile; da un punto di vista pratico no credo
che ce ne sarebbe una necessità ma credo sarebbe utilizzato. Perciò ci vorrebbe una evoluzione che
porti prima il concetto di assistente vocale a qualcosa di oltre e che sia un po’ più utile. Io ho viste
molte presentazione di progetti di robot domestici, quelle cose che dicevo che sono molto simili a
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Echo, e ho visto che di fatto si riducono tutte ad avere caratteristiche molto simili che ti fanno
capire quanto sono limitati perché mettono enfasi su certi tipi di cose che sono in grado di fare, da
cui deduci tutto quello che non sono in grado di fare. E tutti sono in grado di scattarti una foto, se
glielo chiedi. Fornirti una ricetta se glielo chiedi. Creare un promemoria se glielo chiedi. Riprodurre
della musica se glielo chiedi. E più o meno sono le quattro cose che sono in grado di fare. Perciò
sono dei giocattoli che sul momento possono sembrare fantascientifici ma poi andando a ben vedere
sono talmente limitati che son cose che verrebbero lasciate da parte inutilizzate.
C. Oggi, la maggior parte dei siti web presenta un sistema aperto, come può apparire un motore di
ricerca, oppure chiuso come appare la maggior parte dei social network? E in quel maniere si può
parlare di internet aperto e internet chiuso?
S. Allora, possiamo distinguere tra una parte di internet completamente accessibile e una parte di
internet che richiede, per generalizzare, per permessi per accedere. Intersecare in questa distinzione
un internet statico, che cioè fornisce sempre lo stesso contenuto quando gli viene fatta una richiesta,
e un internet personalizzato che fornisce un contenuto sempre diverso a seconda di una serie di
parametri ambientali della richiesta. Quindi un internet statico fornisce contenuti sempre uguali che
li guardi io dal mio computer o tu dal tuo, un internet più personalizzato fornisce differenti risultati
nella pagina perché sa che io ho consultato una serie di cose, sa che geograficamente mi sto
connettendo d un certo posto, e sa che utilizzo che un certo sistema operativo, e quindi è di fatto una
forma di chiusura perché mostra a me un’informazione diversa da quella che mostra a te e mi
preclude l’accesso all’informazione che mostra a te.
C. Infatti spesso questo viene percepito come un limite, soprattutto a livello di ricerca e studio.
S. Si, sono cose generalmente concepite con buone intenzioni, cioè chi fornisce dei risultati di
questo tipo lo fa perché con degli studi più o meno validi ha deciso che al tipo di utente che
corrisponde al tuo profilo interessano di più certi contenuti e quindi al fine di esperienza di
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navigazione il risultato può essere migliore; chiaramente in tantissimi casi ciò è arbitrario, però h
buon intenzioni. Non lo fa per peggiorare la tua esperienza anzi, il contrario.
C. Quindi Google®, per dirne uno, è chiuso?
S. Da questo punto di vista si, ed è chiuso su diversi livelli. Considerando Google® solo come
motore di ricerca, al di la di altri discorsi legati in primis ad Analitics e Advertising di Google®,
fornisce quello che vien chiamato una serp — fondamentalmente un risultato di ricerca gerarchico
ottenuto da scansioni algoritmiche che utilizza — dove se io cerco una parola che po' essere “cane”,
ottengo un elenco di risultati con una serie di posizioni. Ora, una piccola parentesi, è stato
dimostrato a più riprese che i risultati che vanno oltre la quarta posizione su Google® sono utilizzati
da una percentuale irrisoria di utenti quindi è come se non fossero forniti. E di fatto quelli
veramente utilizzati sono i primi due. La seconda pagina è utilizzata un maniera ridotta, le altre non
esistono. Quindi, Google® mi fornisce dei risultati e, potrà anche fornirmi lo stesso migliore dei
risultati che mi fornirebbe anche in qualsiasi altro caso, ma quelli che contano sono i primi quattro
risultati. Quindi la chiusura sta nell’ordinamento dei risultati. E qua ci sono diversi fattori. Prima di
tutto la lingua del browser: quando viene fatta una richiesta ad una pagina web il browser fornisce
una seri di dati in cui dice quali sono i tipi di lingue che accetta e quali sono le sue preferenze.
Questo è concepito perché se un sito è i grado di fornire risultati in più lingue verrà privilegiata
quella del browser; quindi se io dico che vorrei la pagina in italiano, ma se proprio proprio non c’è
allora la preferirei in francese, e se proprio non c’è va bene anche in inglese, un sito dovrebbe
fornire questo tipo di iter e fornire un risultato relativo. Google® essendo localizzato non solo come
lingua, ma proprio come gerarchia serp in fondamentalmente qualsiasi lingua, a seconda di quale è
la lingua principale, nel mio caso italiano, mi fornisce certi tipi di risultati. Dei mie colleghi
utilizzano un sistema operativo configurato in inglese e se cercano la stessa parola in Google®
ottengono risultati diversi dai miei, e le differenze sono macroscopiche: non semplicemente dalla
prima alla seconda posizione, ma dalla prima posizione alla decima pagina. E in più, oltre a questo,
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ci sono leggere differenze date da ricerche precedenti e a eventualmente essere collegati attraverso
Google® Plus o altri servizi di Google®. Anche qua l’obiettivo è fornire il miglio risultato
possibile, e c’è da dire che Google® ha un tasso di affidabilità estremamente elevato, però sono
delle scelte che sono arbitrarie perché generate da algoritmi automatici e le intenzioni sono le
migliori, i risultati, potremmo dire addirittura eccellenti, però ciò non toglie che c’è una grossa
selettività su un sistema come Google® e quindi, in definitiva, lo potremmo definire chiuso sotto
questo punto di vista.
C. Da questo punto di vista quali tipologie di architetture è meglio programmare oggi in visione del
futuro? Aperte o chiuse?
S. Dipende da cosa deve fornire il sito. Chiaramente il fatto che esistono strutture differente deriva
dal fatto che esistono esigenze differenti. Quello che sicuramente posso individuare è che, in questo
momento, gli utenti del web sono molto più educati ad avere strutture di tipo chiuso e dinamico e lo
considerano tendenzialmente un vantaggio, quindi per quanto possa essere limitante in moti casi
l’utente medio preferisce che qualcun’altra faccia il lavoro per lui.
C. E se le esigenze fossero di tipo culturale, come vede inserito il “terzo settore” all’interno della
rete?
S. C’è da distinguere l’intersezione culturale/commerciale e invece il culturale puro, pubblico.
Quindi da un parte abbiamo un tentativo di monetizzazione di vario genere su vendita, noleggio,
streaming, quant’altro, da grossi colossi che cercano di monetizzare l’industria culturale; se invece
parliamo di cultura non industriale il discorso diventa molto ampio perché a quel punto si ha la
stessa frammentazione che si h nel mondo reale dove posino vedere un aspetto di istituzioni
pubbliche che può avere presenze più o meno forti, rispetto anche al livello di avanzamento
dell’amministrazione pubblica del paese relativo, ci sono presenza di fondazioni, che sono in parte
commerciali quali pubblicità verso oggetti culturale che non vengono venduti tramite internet, ma
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solo promossi tramite internet, c’è il mondo degli appassionati, ci sono spazi dedicati a recensioni,
critica e pubblicazioni; quindi è un settore estremamente variegato quindi non saprei tanto
rispondere in maniera concisa. Se devo immaginare potrebbe essere quella che mette in luce una
contrapposizione, che è poi anche l’evoluzione della tecnologia e di internet, la visione un po’ più
anarchica dell’internet fatto dalle persone che vogliono rendere la cultura e l’informazione libera, e
dall’altra la presenza di strutture regimentate che possono essere su internet per guadagnare dei
soldi e strutture governative che sono su internet per cercare di mantenere un controllo. Un possibile
sito sarebbe quindi uno che mostri entrambi gli aspetti della rete.
C. Senza parlare dell’Europa che sarebbe troppo articolato, in Italia come viene vista la promozione
culturale?
S. Dunque, hai visto la campagna “Verybello”? Hai presenta italia.it? Più meno sullo stesso filone è
venuto fuori Verybello che è un’iniziativa sempre dai costi non indifferenti, ma non al livello di
italia.it, per la promozione turistica che consiste principalmente in un sito web che raccoglie gli
aventi culturali italiani. Una specie di vetrina per i turisti realizzata in maniera molto discutibile
anche solo partendo dal branding che è quello che è. Guardando questi due siti si nota che c’è un
desiderio da parte della pubblica amministrazione di mettersi al passo coi tempi, però non capiscono
bene cosa sia questo internet. Non sanno bene cosa farci provano a costruire commissioni, chiedere
a gente, ma non hanno ancora azzeccato la strada. Però si rendono conto che serve, per quanto non
abbiano ancora fatto qualcosa di valido, sono stati investiti tantissimi soldi. Quindi diciamo che
sono indietro come risultati, ma ci sono molti interessi per il futuro.
C. E, a questo punto, crede che potrebbe essere necessario costruire un sito web ad-hoc che possa
dare un’organizzazione al settore culturale, inteso in senso generale, col fine di far ri-percepire
all’utente il bene culturale come “appartenente alla vita reale” e come parte integrante di ogni
istante della sua vita?
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S. Si. La vedo come un’idea positiva. Sono un po’ scettico riguarda all’effettiva fattibilità visti i
precedenti. Non dico che sia impossibile, ma visti i precedenti con buone intenzioni analoghe a
quelle che hai esposto, e i risultati sono stati totalmente deludenti, sono scettico. Sarebbe bello. Ma
se qualcuno dovesse arrivare da me e dirmi “facciamo questa cosa”, gli direi, “OK, tanti auguri,
fatela, quando l’avete fatta ci vediamo”.
C. E per un progetto simile quale architettura proporresti. Gerarchica o laterale? Aperta? Chiusa?
S. Parlando di chiuso come personalizzato ne proporrei sicuramente una componente perché come
dicevamo lo spettatore contemporaneo è abituato e un po’ si aspetta, e lo considera un valore
aggiunto. Quindi se l’obiettivo è fare diffusione andrei su una componente di questo tipo che ha un
suo valore Pop. Però mantenendolo molto aperto dando in qualche modo al fruitore di accedere
comunque a tutto. Suggerire un certo tipo di percorso d interazione strutturato su di lui secondo
certi parametri studiati, ma dando comunque la possibilità di muoversi liberamente. Immagina un
museo fisico che abbia un percorso guidato che attraversa solo alcune sale considerate più rilevanti
ma che ti lascia la possibilità di vedere anche le altre ad esempio. Sul discorso di presentazione
dell’informazione, chiaramente, quindi, sarebbe in parte collegato a questo concetto di presentazioni
nu po’ ambivalente con la possibilità di intraprendere diversi percorsi e di sicuro non gerarchizzato
in maniera verticale ma potrebbe essere gerarchizzato in maniera più dinamica quindi più simile al
concetto più originale alla base di internet, quindi ipertesto, multimedialink, cioè da un contenuto
posso accedere ad un altro contenuto e quindi c’è una struttura ma una struttura libera da esplorare
ma non verticale di un contenuto dopo l’altro.
C. Crede che all’interno di un website simile sarebbe necessario sviluppare un assistente vocale?
Perché?
S. Un assistente vocale, con le limitazioni che dicevamo in precedenza, può essere utile fino ad un
certo punto, ma più di tanto non può fornire. Un assistente vocale più simile a quelli ipotizzati in
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certi libri di fantascienza, tipo “Snow crash” di Neil Stevenson in cui esiste questa sorta di internet
un po’ “Second Life” che ha un motore di ricerca rappresentato come bibliotecario a cui un
personaggio chiede delle informazioni. Il bibliotecario fa la ricerca e fornisce fascicoli con i risultati
offrendo anche presentazioni. Un assistente, al di la del vocale o meno, a cui chiedere,
genericamente, ad esempio, “Ci sono tracce dell’influenza sud americana nell’architettura
contemporanea di New York?”. L’assistente elabora la domanda e fornisce dei risultati in forma di
presentazione; quello sarebbe sicuramente molto bello che per ora è legata al mondo della
fantascienza laddove credo sarebbe fattibilissimo arrivare ad ottenere qualcosa di molto simile da
qui a pochi anni. Quindi, tornando al punto di partenza, un assistente per accedere a dei contenuti
sarebbe bellissimo e sarebbe la realizzazione di quel sogno in cui un po’ tutti crediamo, ma ad ora
non è possibile; per quanto riguarda l’assistente vocale è un metodo di input ma non deve essere
strettamente collegato al concetto di assistente. Perciò ora un assistente vocale può esser utile per
chiedere un’informazione specifica però credo che la sua utilità si fermerebbe li. Invece un
assistente più esteso che potremmo vedere in un futuro sarebbe bello se ben integrato a dei
contenuti di valore culturale.
C. L’istruzione è un settore che non intendiamo affrontare in questo momento viste le molteplici
implicazioni che ne deriverebbero. Tuttavia Le vorremmo chiedere quale è la Sua posizione rispetto
all’educazione (intesa come guida) che può — o non può — passare attraverso l’utilizzo della rete,
sia al giorno d’oggi sia in termini astratti e futuri.
S. Torniamo forse un po’ al concetto che abbiamo accennato prima di questi due movimenti
contrapposti che spingono da una parte verso un’idea più anarchica di rete e dall’altra più
strutturata. Per una educazione di base, cioè formazione più infantile sarebbe rischioso e incosciente
affidarsi ad una struttura anarchica, per quanto socialmente interessante come esperimento.
Parlando di individui più formati e dotati di capacità critica potrebbe ricevere grande valore da una
struttura più anarchica.
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C. Qual’è la Sua visione della pubblicità in rete come si presenta oggi? Crede che andrebbe
ripensata?
S. La pubblicità oggi è da dividere in due macro filoni. Uno tinto di grigi che è etico e accettabile e
uno più nero che non è seducente, e sfrutta una serie di concetti (o di design o tecnologici) cercando
di ingannare volutamente l’utente. Ed è molto facile vedere la differenza tra i due filoni. La parte
nera della pubblicità è un qualcosa difficilmente debellabile proprio perché non segue nessuna
regola né morale né legale contro cui c’è comunque molta attività di contenimento, anche da parte
di Google®, poiché degrada internet. La pubblicità più educata e pulita è da una parte un mezzo di
sostentamento che permette l’erogazione di servizi e contenuti, dall’altra sta diventando sempre più
inefficace perché siamo sempre più abituati a vederla e siamo sempre più vaccinati al riguardo, così
come siamo abituati a cancellare nella nostra mente la pubblicità da cartelloni, giornali e
televisione, il nostro cervello sta imparando a cancellare quelle su internet. C’è quindi un crollo
dell’efficacia e di conseguenza dell’economia a lei legata che comporta, purtroppo, che anche la
pubblicità un po’ più pulita sta diventando un po' più sporca. Cioè stanno emergendo pratiche non
proprio belle come il tracciamento e profilazione di utenti che sono lesive della privacy del singolo
e via dicendo. Quindi la pubblicità pura delle origini che, in una bassa percentuale esiste ancora, la
trovo personalmente una cosa che non mi crea problema in quanto mezzo di sostentamento per la
fornitura di informazioni/servizi/contenuti, non è invasiva, però è sempre meno efficace e quindi ha
sempre meno senso. Tutto quello che va oltre è qualcosa di brutto e invadente che però è sempre più
difficile tenere sotto controllo.
C. La pubblicità grigia, dunque, è una risorsa molto importante per la rete, con tutti i suoi difetti che
nascono anche dal fatto che non si è ancora distaccata dalle logiche televisive della sua
trasmissione. Secondo Lei ve ne sono delle altre percorribili, che magari si sleghino maggiormente
dalla via indicata dal televisore?
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S. Si, ma infatti l’area grigia è qualcosa a rischio ma comunque accettabile. Quello che intendo
come inaccettabile intendo pratiche che sono intenzionalmente disegnate per sfruttare, ad esempio,
le debolezze del software utilizzato per la consultazione.
C. Esattamene. Quindi crede sia necessario un suo ripensamento?
S. Facendolo decadrebbe il principio della pubblicità vera, quindi si, viene già sviluppato attraverso
quella figura che si chiama social media manager che cono persone che nello specifico si occupano
di intrattenere un dialogo, o comunicazione, tramite social media con utenti dell’azienda. Questo è
un modo di procedere verso un discorso del tipo da te indicato.
C. Secondo Lei le aziende, soprattutto piccole, che considerano la rete come una vetrina, come
considerano l’individuo, la persona, che vi si interfaccierà?
S. Il discorso sito-vetrina è un prodotto di scarso valore che nascono dalla necessità di essere su
internet perché tutti sono su internet anche se non ho tempo da dedicarci e non ho molti soldi da
investire. In questi casi non vi è una interazione con l’utente. La maggior parte di questi siti sono
fatti e non ricevono interazione per il semplice fatto che nessuno li visita. Prescindendo che loro
stessi non hanno le strutture per accogliere una interazione, sono siti che è come se non esistessero
perché non sono solo come una vetrina nella via principale ma sono una vetrina in un violetto
nascosto da un cantiere. Non sono un mezzo di produzione che raggiunge un qualche tipo di utente
finale.
C. Per la Sua esperienza, sono la maggioranza o la minoranza delle aziende che fino ad ora hanno
compreso profondamente il potere potenziale della rete come mezzo attraverso cui ripensare il
mondo e l’individuo non più solo come possibile consumatore?
S. La maggior parte delle aziende considera l’utente come un consumatore, chiaramente sbagliando,
la dove invece la ricerca delle aziende più grosse porta a riflettere su concetti che permettono di
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offrire esperienze che portano loro dei frutti. Nel design delle interfacce utente si utilizza la struttura
delle persona ovvero viene individuato il pubblico a cui ci si rivolge creando dei personaggi che lo
rappresentano, dei profili completi. Quindi ho Mario, elettricista, di 35 anni, che ha quasi finito di
pagare il mutuo, gli piace pescare nel week-end e bere una birra con gli amici il sabato sera, mangia
cibi precotti per via del lavoro ed è interessato dal mio tipo di prodotto, che è “porte blindate”,
perché ha una situazione di ceto medio e vorrebbe iniziare a sentire una maggiore sicurezza
domestica. Quindi vengono creati dei veri e propri profili e si immagina come questa interagisce
con il prodotto finale.
C. Qual’è la Sua visione della rete web del futuro a medio e lungo termine?
S. A lungo termine non ne ho idea perché è un qualcosa che sta talmente accelerando in maniera,
non immediatamente visibile al grande pubblico, ma sicuramente visibile a chi lavora nel settore,
trasformandosi in qualcosa che non è individuabile da nessuno, a lungo termine. Ci sono tantissime
persone che stanno lavorando su quello che sarà il futuro di internet, su tantissime cose diverse, che
tutte insieme creano un crogiolo di idee e innovazioni ma non vi è una strada unica a lungo termine.
A breve/medio termine invece c’è sempre una maggiore diffusione di dispositivi mobili che vanno
ad intersecarsi con gadgettistica (questo è l’anno degli smartwatch)che dovranno accedere ad un
internet di un qualche tipo che però non si sa ancora quale sia perché per questione di design
avranno schermi ancora più piccoli rispetto a quelli a cui ci siamo abituati, avranno dei metodi di
interazione diversi perché è impensabile che un orologio abbia una tastiera, anche solo virtuale, e lo
spazio di interazione è ridotto, quindi ci sarà da immaginare dei nuovi metodi per visualizzare le
informazioni, per fornirle, e per ricevere input e quindi creare interazione. Ci sarà da immaginare
nuovi modi di interazione perché date le piccole dimensioni, per questioni di batteria, già adesso è
necessario fare una serie di operazioni che alleggeriscano il lavoro rispetto, ad esempio, al computer
dekstop. Comunque, dicevo, siamo ancora in una fase di transizione, anche se molto avanzata, da un
concetto di “internet è quella cosa che sta sul computer ed è legato ad internet explorer” oppure
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“internet in tasca”; ora siamo arrivati, se parliamo i percentuali, anche in Italia, ad avere più del
cinquanta percento di internet utilizzato tramite telefoni e tablet, e quindi la fase di transizione è
molto avanzata e questo non significa che i computer stanno scomparendo, ma semplicemente che
ci sono sempre più dispositivi; quindi questo permette di avere accesso a porzioni demografica che
prima non avevano internet. Non è una cosa così infrequente la nonna che usa l’iPad per cercare
informazioni su internet e sono sempre di più i dispositivi con buone capacità tecnologiche
disponibili a basso costo, sia dal punto di vista della diffusione in Italia sia come diffusione di
internet nel terzo mondo. C’è un grosso lavoro per riuscire a portare la banda sempre più larga in
posti remoti o svantaggiati geograficamente come, ad esempio, nel 2015, l’authority per le
connessioni statunitensi ha stabilito che per essere definita “una connessione di banda larga” deve
avere una velocità superiore al 20Mb/s quando fino a poco tempo fa si parlava di velocità molto più
basse. Questo significa anche stiamo continuando ad avanzare questa evoluzione tecnologica per cui
abbiamo sempre più luoghi fisici da cui accedere a internet, sempre più potenza di calcolo, sempre
più velocità, quindi la possibilità di accedere a contenuti più complessi, però sempre più
frammentazione e creazione di dispositivi. Quindi il futuro a breve/medio termine è una evoluzione
di internet intesa come un internet più complesso più ricco e più interattivo, reso possibile da
maggiore potenza e maggiore velocità sia dal lato software che da quello hardware. Un forte di
lavoro di ricerca su un discorso di portare internet ovunque, quindi con studi di design più
accessibili anche da persone che prima non erano demograficamente considerate come parte
integrante di internet, perché non lo erano, e perché non avevano dispositivi per accedere a internet,
significa anche studio di design per funzionare su dispositivi che prima non esistevano; dal
temporaneamente morto Google® Glass, all’Apple Watch,e via dicendo, si verifica un
trasformazione che però mantiene le compatibilità con l’internet desktop, che continua a restare, ed
è il fulcro di tutto. Quindi nonostante tu designer stia disegnando per uno smartphone, non è
surclassabile il fatto che l’utenza del desktop sia ancora enorme e dal fatto che è da li che arrivi e
quindi non te lo dimentichi, ci rimani in qualche modo dentro.
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su jon....
jon olav fosse
29 settembre 1959nato il
Haugesunda
stoccolmaVive a
opzioni
“Jon Fosse has written novels, short stories, poetry, children’s books, essays and plays. His works have been translated into more than forty languages.Fosse was made a chevalier of the Ordre national du Mérite of France in 2007.[1] Fosse also has been ranked number 83 on the list of the Top 100 living geniuses by The Daily Telegraph.[2]Since 2011, Fosse has been granted the Grotten, an honorary residence owned by the Norwegian state and located on the premises of the Royal Palace in the city centre of Oslo. Use of the Grotten as a permanent residence is an honour specially bestowed by the King of Norway for contributions to Norwegian arts and
culture.Fosse was among the literaty consultants to Bibel 2011, a Norwegian translation of the Bible published in 2011”wikipedia.com
persone
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Titolo
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Contenuto 3
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