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Indice
Introduzione Tracce del cambiamento nelle pratiche espositive: la Biennale di Venezia e la storia delle Esposizioni
Sezione I
Contesto e metodologia
1. Il mondo è connesso 1
2. Il fenomeno della biennalizzazione 9 3. La voga del ‘contemporary’ 17
Sezione I I
La Biennale di Venezia: 1993-2003
4. 1993. La 45esima Biennale di Venezia: I Punti Cardinali dell’Arte. 29
4.1. Venti dell’Arte 47 4.2. 1993. Scheda generale 55
4.3. 1993. Display 69 4.4. 1993. Analisi dell’esposizione 91
4.5. Ricezione critica di Punti Cardinali dell’Arte 101 4.6. Achille Bonito Oliva: la curatela come ideologia del traditore 111
5. 1995. La 46esima Biennale di Venezia: Identità e Alterità. 131
5.1. 1995. Scheda generale 155
5.2. 1995. Display 169 5.3. 1995. Analisi dell’esposizione 183
5.4. Ricezione critica di Identità e Alterità 187 5.5. Jean Clair: come e perché criticare la modernità 199
6. 1997. La 47esima Biennale di Venezia: Futuro, Presente, Passato. 215
6.1. 1997. Scheda generale 229
6.2. 1997. Display 239 6.3. 1997. Analisi dell’esposizione 259
6.4. Ricezione critica della Biennale di Germano Celant 267 6.5. Germano Celant: verso un “Pensiero Povero” 285
7. 1999. La 48esima Biennale di Venezia: dAPERTutto. 295
7.1. 1999. Scheda generale 305
7.2. 1999. Display 315 7.3. 1999. Analisi dell’esposizione 335
7.4. Ricezione critica di dAPERTutto 343
8. 2001. La 49esima Biennale di Venezia: La Platea dell’Umanità 361
8.1. 2001. Scheda Generale 369 8.2. 2001. Display 379
8.3. 2001. Analisi dell’esposizione 403 8.4. Ricezione critica di Platea dell’Umanità 411
8.5. Harald Szeemann: Dall’arte come mitologia individuale all’arte come pensiero totale 417
9. 2003. La 50esima Biennale di Venezia: Sogni e Conflitti. La dittatura dello Spettatore 431
9.1. 2003. Scheda generale 441 9.2. 2003. Display 457
9.3. 2003. Analisi dell’esposizione 477 9.4. Ricezione critica di Sogni e Conflitti. La dittatura dello Spettatore 485
9.5. Francesco Bonami: il curatore non-più-guru 491
SSezione I I I Esposizione come piattaforma
10. Ritardi e continuità nelle pratiche espositive della Biennale 503
11. Esposizione come piattaforma come dispositivo 523
Bibl iografia
Fonti Primarie 533
Fonti Secondarie: La Biennale di Venezia 537
Fonti Secondarie: Testi di riferimento 567
Photo Credits 579
INTRODUZIONE
I
TTracce del cambiamento nelle pratiche esposit ive:
la Biennale di Venezia e la storia del le esposizioni
In Norvegia esattamente a Bergen a pochi mesi di distanza dall’inizio della presente
ricerca, si svolse una grande conferenza della durata di tre giorni nella quale numerosi
curatori e storici dell’arte furono invitati a riflettere sul senso di fare o meno una nuova
biennale in un mondo segnato da una grande proliferazione di questo genere di format.
Contestualmente all’uscita degli atti relativi all’incontro, insieme ad un’ampia selezione di
altri saggi che vengono per l’occasione ripubblicati o inediti studi proposti per la prima
volta, il testo delle curatrici che accompagna la pubblicazione riporta un titolo –
Biennalogy – che testimonia l’assunzione del biennali a categoria di studio. Tale scritto si
apre con un’osservazione che va nella stessa direzione del presente studio e che si pone a
conferma di un’intuizione che si andava verificando negli Archivi della Biennale:
“For some sceptics the word biennials has become to signify nothing more tha an
overblown symptom of spectacular event culture […]. For others, the biennial is a critical site of experimentation in exhibition-making, offering artists, curators, and spectators a
vital alternative to museum, and other similar institutions […]. Some even see the biennial form as being full of redemptive and even utopian possibility, or as a testament to a
paradigm shift: a platform – like perhaps no other art institution before it – for grappling with such issues as politics, race ethics, identity, globalization and post colonialism in art-
making and –showing today. And while being emphatically also an exhibition the biennial’s supporters often understand it as being “neither exclusively nor even primarily a
space of spectacular display” […] bur rather as a “discursive environment: a theatre that allow for staging of arguments, speculations, and investigation concerning the nature of
our shared, diversely veined, and demanding contemporary condition”1
1 Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø, “Biennalogy” in Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø (a cura di), The Biennial Reader. An Anthology on Large-Scale Perennial Exhibitions of Contemporary Art, Hatje Cantz & Bergen Kunsthall, Ostfildern, 2010, p. 13.
INTRODUZIONE
II
Il volume inoltre si apre con una citazione: “Exhibitions have become the medium through
which most art becomes known”2 è l’affermazione più citata dell’introduzione dei curatori
di Thinking About Exhibitions pubblicato nel 1996. Il volume che segna il fiorire, in
particolare in ambito anglo-americano, di studi sulle esposizioni è divenuto con il tempo
una pietra miliare di quella che oggi è possibile chiamare, afferma Emma Barker, una
“cultura espositiva” che ha informato e condizionato la stessa costruzione della categoria
‘arte’ nel mondo occidentale.3
L'asserzione scaturisce dalla convinzione che le mostre d’arte, ed in particolare le mostra di
arte contemporanea, pur non essendo mai un campo neutrale ove le opere sono
temporaneamente ospitate, hanno progressivamente acquisito il ruolo di medium
privilegiato non sono della rappresentazione pubblica dell’opera ma anche di condizione
della sua stessa produzione. Non a caso le mostre diventano sempre più un’occasione di
produzione artistica, in particolare nel caso delle grandi installazioni.4
Il legame fra arte e produzione artistica con le esposizioni, quasi committenti, è tanto più
stringente quando si cerca di comprendere i termini del discorso che delineano il concetto
di arte contemporanea al punto che è possibile chiedersi se l’arte contemporanea e la sua
evoluzione abbia disposto anche un cambiamento di rotta nelle pratiche espositive o se
sia, al contrario, la pratica espositiva con i propri mutamenti ad aver imposto un ruolo
diverso all’arte contemporanea e all’artista.
Martha Ward suggerisce che sia proprio lo studio delle esposizioni a permettere
un’indagine in questo senso5 anche se al momento dell’uscita del suo testo la studiosa
lamentava ancora la mancanza di testi metodologicamente strutturati intorno alla storia
delle esposizioni.6
2 Reesa Greenberg, Bruce W. Ferguson e Sandy Nairne, “Mapping the International Exhibitions” in Reesa Greenberg, Bruce W. Ferguson e Sandy Nairne (a cura di), Thinking about Exhibitions, Routledge, Londra- New York, 1996, p. 2. 3 Emma Barker (a cura di), Contemporary Cultures of Display, Yale/Open University Press, New Haven-Londra, 1999, p. 13. 4 “La produzione di un nuovo lavoro spesso di un lavoro di grande scala– è in questi ultimi decenni sempre più legato all’occasione espositiva. La storia espositiva vive anche al di fuori del contesto, ma le condizioni di produzione dell’opera si legano sempre più ad esso. Fino a che punto dunque, il format o la forma dell’esposizione influenza l’artista nei meccanismi e nelle scelte di realizzazione dell’opera d’arte?” Paola Nicolin, “Qui Mostra a voi Spazio. L’impatto delle esposizione nella definizione dell’idea di ambiente nell’arte italiana degli anni Sessanta”, in Manuela de Cecco (a cura di), arte-mondo. storia dell’arte, storie dell’arte, postmedia books, Milano, 2010, p. 95. 5 Martha Ward, “What’s important about the history of modern art exhibitions”, in Reesa Greenberg et alii (a cura di), op. cit., 1996, p. 451-464, qui 451. 6 “We don’t have anything like a comprehensive empirical history of this form, which has dominated the public presentation of art in the modern (post-1750) age. […] Despite the progress of the past decade, I think a broad understanding of the history of display and its effects still eludes us. We mostly have a patchwork of studies that feature one or another of the purposes served by various exhibitions.” Martha Ward, Idem, in Reesa Greenberg et alii (a cura di), op. cit., 1996, pp. 451-452.
INTRODUZIONE
III
Negli ultimi dieci anni su riviste, saggi e studi è piuttosto facile rintracciare uno sforzo nel
cercare di definire e comprendere la moltiplicazione planetaria delle esposizioni di arte
contemporanea e di come sia cambiato il modo di pensarle e organizzarle. 7 Di
conseguenza sono fiorite espressioni eterogenee per descrivere le tendenze e le tipologie
espositive che hanno caratterizzato l’esplosione intorno all’arte contemporanea, la sua
pratica e la sua esposizione come mostre discorsive,8 think tank,9 mostre come arena10 e via
dicendo.11
Nonostante il nuovo interesse in questa direzione però l’argomento è ancora sfuggente,
dal momento che le esposizioni costituiscono un punto di intersezione fra diversi attori,
oggetti e istituzioni che costituiscono il sistema dell’arte di produzione e distribuzione.
Così artisti, collezionisti, dealer, critici, curatori, politici, burocrati e pubblico nelle
esposizioni s’incontrano e si sovrappongono costituendo un “sistema complesso”, come
descrivono e teorizzano autori quali Tony Bennett – a cui si deve l’espressione – e Carol
Duncan e Alan Wallach. 12 Pertanto lo studio delle esposizioni, sia storiche che
contemporanee,13 sostiene Bruce Altshuler, è caratterizzato dallo studio di nodi di un
sistema, di un network di transazioni e valori, in cui ciascun attore pratica il proprio ruolo
ma allo stesso tempo è connesso ad un più largo sistema dell’arte fatto di relazione
7 Parallelamente sono fiorite anche numerose esperienze editoriali imperniate sulla comprensione e disamina delle esposizioni fra cui ad esempio la rivista The Exhibitionist diretta da Jens Hoffman e la collana di Afterhall “Exhibition Histories” dedicata all’approfondimento di singole mostre che hanno segnato la storia delle esposizioni. 8 Bruce W. Ferguson. e Milena Hoesberg, “Talking and thinking about the Biennials: the Potential of Discoursivity” in Elena Filipovic, Marieke van Hal and Øvstebø, Solveig (a cura di.), The Biennial Reader. An Anthology on Large-Scale Perennial Exhibitions of Contemporary Art, Hatje Cantz & Bergen Kunsthall, Ostfildern, 2010, pp. 260-377. 9 Andrea Pagnes, Reconfiguring Think Tanks as a discursive and social model in contemporary art: Suggestions for a theoretical analysis, artadneducation.net/paper, scaricato il 28 maggio 2012. 10 Christian Kravagna (a cura di), Das Museum als Arena; The museum as Arena. Artists on Institutional Critique, Kunsthaus Bregenz, Verlag der Buchhandlung Walther König, Colonia, 2001. 11 Intorno alla necessaria ridefinizione del fare espositivo e delle diverse definizioni usate per descrivere il cambiamento vedi scheda realizzata per la mostra “Global Vocabulary” e “Museum as…” in Andrea Buddensieg e Peter Weibel (a cura di), The Global Contemporary and the Rise of New Art Worlds, MIT Press, Cambridge, 2012, p. 54 e pp. 55-57. 12 Il tema dell’incrocio fra ruoli diversi all’interno delle esposizioni è trattato da diversi autori, si ricordano in particolare alcuni testi: Tony Bennett, The Birth of the Museum: History, Theory, Politics, Routledge, Londra, 1995 e dello stesso autore “The exhibitionary complex” in Reesa Greenberg et alii (a cura di), op. cit., 1996, pp. 81-112; Carol Duncan e Alan Wallach, The Universal Survey Museum, in “Art History 3, no. 4, 1980, pp. 448-469 e degli stessi autori Civilizing Rituals: Inside Public Art Museum, Routledge, Londra, 1995. Cfr. anche J. Pedro Lorente, Cathedral of Urban Modernity. The First Museums of Contemporary art 1800-1930, Ashgate, Aldershot, 1998; Emma Baker, op. cit., 1999. 13 Si veda in questo senso l’affermazione che egli fa nel suo studio sulle esposizioni dell’avanguardia storica: “here exhibitions are considered ‘one’ of the paths of an historical narrative of the Avant-Garde. Exhibitions taken into consideration because considered the central node of confrontation where artists, critics, dealers, collectors, and the general public met and responded in their various ways to the artists had done”. Bruce Altshuler, The Avant-Garde in Exhibition: new art in the twentieth century, Harry N. Abrams, New York, 1994, p. 8.
INTRODUZIONE
IV
commerciali, sviluppo economico locale e nazionale e interessi politici,14 al punto che non
sembra possibile, propone Annie E. Coombes, affrontare la questione espositiva come un
fatto isolato,15 ma piuttosto come un esempio di ‘contact zone’ (James Clifford)16 o di
‘sociality’ (Michael Baxandall).17
Come affrontare quindi lo scenario complesso delle esposizioni? Intorno a questo interesse
per le esposizioni si è sviluppato un nuovo settore della storia dell’arte che interessa negli
anni ’80 in particolare i musei (museum studies), mentre negli anni ’90, sulla scia della
proliferazioni delle biennali in tutto il mondo e alla definitiva affermazione nel sistema
dell’arte del ruolo del curatore, sono le pratiche curatoriali a stimolare quello che oggi
comunemente vengono chiamati gli studi curatoriali (curatorial studies).
Questa linea evolutiva è però descrivibile soprattutto negli studi relativi all’area anglo-
americana perché in Europa, ed in particolare in Francia e Italia, vi è una più lunga storia
museografica e museologica legata ad una tradizione che ha origini antiche. Una
convergenza fra le due tradizioni è più facilmente riscontrabile nell’ambito degli studi
curatoriali su cui la tradizione storiografica europea si è allineata negli ultimi 10 anni,
complice anche una globalizzazione culturale della storia dell’arte.
Che vi sia stata una svolta, un cambiamento nelle pratiche espositive degli ultimi 30 anni –
dal ‘tempio’ al ‘laboratorio’ 18 - sembra un dato conclamato anche se la difficoltà di
comprenderne motivazioni e sviluppi, data anche l’eterogeneità delle esposizioni ha
affermato una storia delle esposizione per exempla. Mostre come When Attitudes become
form, Magiciens de la terre, Chambres des amis, documenta x e documenta11, Utopia
14 Exhibitions are critical points of intersection of the many actors, objects and institutions that make up the system of artistic production and distribution. Here artists, dealers, collectors, critics, curators, politicians, bureaucrats, and of course members of the public, all come together within their overlapping spheres of activity and influence. The study of exhibitions thus involves the study of nodes in systems, or in networks of transaction and value, with exhibitions functioning in various ways within larger systems of artistic practice, markets and commercial relations, local and national economic development, and political activity of various kinds. And exhibitions in themselves are best viewed in this light, as events within which various individuals play roles related to their places within broader systems.” Bruce Altshuler, “Exhibition history and the Biennale”, in Clarissa Ricci (a cura di), Starting from Venice. Studies on the Biennale. et.al. Edizioni, Milano, 2010, p. 18. 15 “As she (Anni E. Coombes) suggests, art historical and museological issue cannot effectively be addressed in isolation from the histories of consumerism, tourism, and the modern heritage industries” Donald Preziosi “The Other: Art History and /as Museology” in Donald Preziosi (a cura di) The Art History: A critical Anthology, Oxford University Press, New York, 1998, pp. 451-455, qui p. 454; Cfr. Anni E. Coombes Inventing the Postcolonial: Hybridity and Constituency in Contemporary Curating, in “Hybridity”, n. 18, inverno 1992, pp. 39-52. 16 James Clifford, Museums as contact zones, in “Routes: Travel & Translation in the Late 20th Century”, 1997. Cfr. anche Randolph Starn, A Historian's Brief Guide to New Museum Studies in “The American Historical Review”, Vol. 110, No. 1, febbraio, 2005, pp. 68-98 17 “Exhibition is a social occasion, is a social moment where there are al least 3 active terms, this is what the discursive exhibition totally stages. The sociality, the relation between these terms, encouraging the viewer to participate into the exhibition maker, in order to totally understand and make yours the object of the exhibition”. Michael Baxandall, “Exhibiting Intention: Some Preconditions of the Visual Display of Culturally Purposeful Objects,” in Ivan Karp e Steven Lavine, Exhibiting Cultures, Rockefeller Foundation, New York, 1991, p. 41. 18 Iwona Blazwick, “Temple/White Cube/Laboratory” in Paula Marincola What makes a great Exhibition?, Reakticon books, Philadelphia, 2006, pp. 118-133.
INTRODUZIONE
V
Station vengono comunemente considerate come paradigmatiche. Gli esempi di una
storia delle esposizioni svolta in questi termini sono molteplici e il trend è sicuramente
interpretato dai due imponenti volumi pubblicati da Phaidon che recano non a caso il
sottotitolo Exhibitions that made Art history.19
E’ all’interno di questa consapevolezza dell’importanza delle esposizioni per la scrittura di
una storia dell’arte contemporanea che nasce il presente studio che ha per oggetto
l’esame delle esposizioni Arti Visive de la Biennale di Venezia tra il 1993 e il 2003.
La decade presa in considerazione è attraversata oltre che da fenomeno della
proliferazione del format biennale in tutto il globo anche dalla sfida che questa situazione
ha comportato per la Biennale portandola nell’arco di questo decennio a rinnovarsi sia
nella struttura – nel 1998 l’Ente Autonomo si converte per dl in Società di Cultura e poi nel
2003 in Fondazione – che nello Statuto e negli obiettivi culturali, mettendo in pratica idee
e proposte maturate durante un lungo corso.
L’esposizione da cui parte la trattazione, che incarna l’idea di un cambiamento nelle
pratiche espositive, che abbandona l’idea di un tema per l’esposizione, anche se non è la
prima a farlo20, preferendo una pratica che indagasse la realtà contemporanea quasi fosse
uno strumento di ricerca 21 , è la 45esima Esposizione Internazionale di arti Visive
organizzata da Achille Bonito Oliva recante il titolo di Punti Cardinali dell’Arte.
L’ultima Biennale con cui la ricerca in questa tesi si chiude è l’edizione del 2003 Sogni e
Conflitti. La dittatura dello spettatore, a cura di Francesco Bonami. Questa edizione, che
per molti aspetti sembra ricalcare le istanze di quella Oliviana del ’93 in cui Bonami tra
l’altro ebbe un piccolo incarico in Aperto’93, chiude un decennio di sperimentazione
perché in realtà ne segna il punto più sviluppato22 e compiuto23. Dopo questa Biennale e
19 Bruce Altshuler, Salon to Biennial. Exhibitions that made Art History, vol. 1 (2008) e dello stesso autore Biennials and beyond, Exhibitions that made Art History, vol. 2 (2013), Phaidon Press. 20 Storicamente le prime Esposizioni di Arti Visive in un si riscontra l’abbandono di un tema che ispiri la mostra e la scelta delle opere, sono le due edizioni di Giovanni Carandente in cui con i titoli Il posto dell’Artista (1988) ma soprattutto con Dimensione Futuro (1990) mostra in cui viene preferito un discorso intorno all’arte ad un taglio interpretativo. Cfr. Laura Poletto, L’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia 1968 – 1997. Organizzazione, metodo, ricezione critica, tesi dottorato, Cà Foscari, 2012, p. 542 e pp. 708-736. 21 “The multiplicity of the contemporary cultural scene was not resolved here via a multiplication of views, but via a change of paradigm. The concept underlying the exhibition was not a mere theme, but a research tool that helped to build a plural discourse.” Federica Martini e Vittoria Martini, “Multiple views and authorship”, in Elena Filipovic et alii (a cura di), op. cit., 2010, p. 269. 22 “In hindsight, it appears that Okwui Enwezor’s Documenta 11 in 2002 and Francesco Bonami’s Dreams and Conflicts. The Dictatorship of the Viewer in Venice the following year may have marked the outer limits of what is possible in these sprawling endeavours. Enwezor’s and Bonami’s shows seemed to confirm that the biennial, with its global reach and its comparative freedom from institutional red tape and historical baggage, provided a unique opportunity to experiment freely with curatorial arrangements […] and exhibition structure […] and to seek out practices that museums were too provincial or cautious to embrace […] The idea that these biennials were constituting an alternative public sphere, on in which visual culture offered compelling propositions for a world in disarray, imbued the exhibitions with and energizing sense that the stakes were high” Claire Bishop, Safety Numbers, in “Artforum 50”, n. 1, settembre 2011, pp. 276-77.
INTRODUZIONE
VI
dopo la documenta 11, con cui condivide moltissimi aspetti, è possibile quasi parlare di
una ‘istituzionalizzazione’ di un certo tipo di esposizione che in ultimo, l’autore definirà ‘a
piattaforma’.
La storia di questo decennio di Biennale permette quindi di descrivere una parabola nel
cambiamento del fare espositivo che pur essendo dettato da ragioni interne di
riformulazione culturale trovano una sintonia con un fare espositivo che prende piede e si
diffonde nell’ambito del sistema artistico contemporaneo. Soprattutto la ricostruzione di
questa avventura espositiva lunga 10 anni permette di riposizionare il ruolo della Biennale
all’interno del più vasto panorama di mostre e biennali nel mondo.
La Biennale di Venezia è un’istituzione che ha svolto un importante ruolo culturale in Italia
e nel mondo per oltre cento anni e pur essendo stato questo ruolo diverso e variabile
durante il suo secolo di storia essa rimane, anche in un’epoca di proliferazioni di biennali,
un termine di paragone essenziale per comprendere in ambito espositivo sviluppi,
cambiamenti e ritardi. Se però sono diversi gli studi riguardanti la Biennale nella prima
parte della sua vita, minori sono i contributi intorno alla sua storia recente o sul suo ruolo
all’interno di quel fenomeno, che viene descritto nella prima sezione di questa tesi, come
biennalizzazione.
Negli anni ’90, infatti, ha prevalso un diffuso sentimento di obsolescenza nei confronti
dell’istituzione rispetto ai cambiamenti in atto nel sistema espositivo internazionale,
costringendo alla trasformazione dell’Ente Autonomo in Società di Cultura prima e in
Fondazione, poi, mettendo mano anche ad un progetto culturale che ha dato vita a un
nuovo Statuto e ad un nuovo assetto programmatico.
Se quindi per certi versi la riforma della Biennale prende vita in termini di aggiornamento,
resisi particolarmente necessari ad esempio nell’edizione del Centenario nel 1995, il
presente studio intende mostrare come negli anni presi in esame si sia definito un
particolare modo di fare espositivo che ha delle radici proprie, nel senso che si delinea un
modo di far mostre che è stato proprio della Biennale e che è dipeso certamente dal suo
sforzo di aggiornamento ma soprattutto dalle proprie istanze progettuali e culturali, come
la multidisciplinareità, la valorizzazione del proprio Archivio Storico, l’interazione con i
Padiglioni Nazionali e la produzione culturale.
23 “It would seem that the biennale has reached its unavoidable end. But reaching this end. […] perhaps another version of an end was marked by Francesco Bonami’s 50th instalment of the Biennale di Venezia in 2003 – at least that is how Obrist and I thought about it when preparing our sections. […] It was a heterogeneous event, and in a way the biennale to put and end to the biennale as an experimental form”. Daniel Birbaum, “The Archeology of Things to Come”, in Hans Ulrich Obrist (a cura di) A brief History of curating, Ringier, Zurigo, 2008, p. 237.
INTRODUZIONE
VII
Lo studio condotto su la Biennale di Venezia ha pertanto un taglio tutto centrato sul fare
espositivo, perché è proprio in termini di modello espositivo, che l’autore sostiene, si sia
imposta la Biennale.
I recenti studi sul proliferare delle biennali, si attestano più a definire la Biennale di Venezia
come la mamma delle biennali quindi a porre una fondamentale distanza tra la sua
importanza all’origine e quella sull’attualità contemporanea. Un excursus sulla sua storia è
d’obbligo in ogni libro che tratti l’argomento ma è considerata ‘vero’ modello soltanto per
le più antiche Biennali come ad esempio la biennale di San Paolo che all’inizio ricalcava
quella di Venezia anche nella struttura per padiglioni nazionali.
Certamente il primato della Biennale di Venezia non basta a mantenerne la preminenza.
Negli anni ’90 però le proposte espositive hanno segnato un cambio di rotta rilanciando la
Biennale a livello internazionale sia come ente sia come promotore artistico e culturale.
D’altronde, nota Christian Rattermeyer non è necessario che una esposizione sia un
successo di pubblico e di stampa perché diventi ground-breaking, il successo di
un’esposizione è qualcosa difficilmente definibile.24 Una grande idea curatoriale può
trovare per ragioni diverse un’opposizione da parte dell’istituzione, oppure artisti possono
decidere se parteciparvi o meno, o i costi possono essere troppo alti e sponsor possono
ritirarsi o ancora possono esserci pochi visitatori e poi, però, suscitare interesse in un
secondo momento.25 Un esempio in questo senso è proprio l’edizione della Biennale da cui
parte la presente trattazione: la 45esima Esposizione Internazionale d’Arte organizzata da
Achille Bonito Oliva dal titolo I Punti Cardinali dell’Arte, pur non accolta positivamente,
segna un importante punto di svolta nel fare espositivo e all’interno della storia della
Biennale offrendo una traccia di lavoro che informa le edizioni successive.
Ma come affrontare lo studio della Biennale di Venezia? La Storia della Biennale può essere
considerata come una storia di cautionary tales. 26 E’ la più antica fra le biennali eppure è
una delle più complesse con cui avere a che fare e che manca ancora di una pubblicazione
24 “Questions of Practice places its emphasis on and asserts the value of how concepts surrounding curating are filtered through the lessons derived from repeated performance, from thinking and doing, or perhaps more accurately, thinking based on doing. It is in practice that a priori assumption and closely argued theories meet with resistance of the empirical and the contingent”. Paula Marincola, What makes a great Exhibition? Reakticon books, Philadelphia, 2006, p. 10. 25 Christian Rattemeyer in XV. Curating the Most Beautiful Kunsthalle in the World, conferenza tenutasi il 29 novembre 2011 presso Fondazione Ratti, Como. Rattermeyer specifica meglio questa situazione mettendo a confronto due esposizioni come Op Losse Schroeven e When Attitude Become Form. Le due, infatti, mostrano moltissime cose in comune, dagli artisti all’impostazione teorica, ma quello che permise ad una o all’altra di avere più successo fu il differente contesto entro cui si posero. Video disponibile su http://www.fondazioneratti.org/mostre/198/xv_curating_the_most_beautiful_kunsthalle_in_the_world. 26 “Cautionary Tales” è il titolo di un noto libro che raccoglie 1o interventi di curatori che si interrogano intorno al cambiamento del ruolo del curatore sempre più volto al suggerimento di prospettive che all’indicazione di risposte. In questo senso “cautionary tales” letteralmente storie caute. Steve Rand e Heather Kouris (a cura di) Cautionary Tales: Critical Curating, apexart, New York, 2007.
INTRODUZIONE
VIII
metodologicamente di riferimento anche a causa della difficile consultabilità per lungo
tempo del suo Archivio storico.27 Numerosi sono gli studi fatti in ambito italiano28 ma
mancano di una fruibilità agli studiosi internazionali,29 che citano per lo più Lawrence
Alloway. A conferma di un mancato riconoscimento dell’apporto della Biennale è da
sottolineare l’assenza di saggi o approfondimenti nei maggiori testi sulla storia delle
mostre come i già citati volumi curati di Bruce Altshuler, e Thinking About Exhibition, o
anche Contemporary Cultures of Display. Un piccolo spazio invece gli è dedicato da Terry
Smith. In ambito accademico, ed in particolare presso gli atenei veneziani, in compenso,
fioriscono diverse tesi dottorali, studi, ricerche e simposi che stanno colmando alcune
lacune30 e di cui sono raccolte alcune indicazioni nella bibliografia della presente tesi.
La complessità del suo studio risiede da un lato nella propria multidisciplinareità e quindi
in un organismo composito fatto di tante storie particolari. In questo senso infatti la
Biennale di Venezia ha anche un altro primato quello di aver istituito ad esempio il primo
Festival Cinematografico nel 1932, preceduto dal festival di Musica (1930) poi dal arricchito
anche dalla presenza di altri importanti settori come il teatro (1934), l’architettura (1980), e
per ultimo la danza (1999). Inoltre nel 1997 ha istituito come settore a se stante anche il
proprio Archivio Storico.
Dall’altro lato quando ci si voglia concentrare su di un settore specifico, come questa
ricerca fa, s’impone anche a presenza di molti paesi che fanno di ciascuna Biennale un
complesso di mostre che è difficile considerare nell’insieme, considerando che ogni Paese
ha le proprie politiche culturali e ciascun commissario di padiglione ha il proprio portato
personale.
27 “It should be said that the Exhibition itself has never been properly discussed in a methodological publication, which is something its Historical archives should have got to grips with. This is a body with great research potential, never fulfilled partly because of the myriad things that happened to it, from its move from Cà Corner della Regina to the Venice Gateway for Science and Technology (VEGA) and the Giardini. Material is now becoming reasonably accessible and adequately catalogued. However, leaving aside extremely dated studies and studies commissioned to mark the centenary, as well as the volume containing all the 2005 conference paper and various publications dealing with selected aspects of the exhibition, there is no single instrument that provides the bare facts relating to its salient moments. Yet there is a need for this history: not surprisingly many degree and PhD these have begun to touch on the subject”. Angela Vettese, Preface, in Clarissa Ricci (a cura di), Starting From Venice: studies on the Biennale, et.al edizioni, Milano, 2010, p. 12. 28 Fra gli studiosi italiani che hanno contribuito a scrivere importanti parti della Biennale di Venezia si ricordano Massimo De Sabbata, Nico Stringa, Giuliana Tomasella, Sileno Salvagnini e molti altri. Si rimanda alla bibliografia ragionata relativa alla storia della Biennale di Venezia che include inoltre le tesi dedicata alla biennale. 29 Eccezione fa lo studio di Maria Stone e alcuni saggi di Caroline Jones. 30 Fra le iniziative più recenti si ricorda la giornata di studi Starting from Venice. organizzata dall’unità di ricerca “Fare Mostre per fare storia_Venice Biennale Study group” (IUAV) tenutasi il 5 ottobre 2009, e le giornate di studio Ricerche sulla Biennale, promosse tra il 2011 e 2012 da Francesca Castellani a cui sono intervenuti giovani studiosi, oltre al progetto sulla multidisciplinareità alla Biennale di Venezia ConfrontARSi, svoltosi il 29 maggio 2013.
INTRODUZIONE
IX
Inoltre uno studio che voglia considerare anche con un solo aspetto della biennale deve
necessariamente avere a che fare con la propria struttura governativa che permette di
focalizzare la situazione operativa entro cui contestualizzare le strategie culturali sottese a
ciascuna edizione. Quindi se affrontare lo studio delle esposizioni, come già sottolineato,
implica lo studio di nodi di relazioni e di aspetti intersecantesi, questo è tanto più vero per
la storia della Biennale.
Il presente studio, pertanto, è stato metodologicamente portato avanti seguendo due
binari paralleli: l’analisi della mostra centrale a partire dal suo impianto allestitivo e la
ricostruzione della storia dell’ente.
La principale, che poi permetterà di concludere individuando l’affermazione di una
specifica pratica espositiva, è stata lo studio dell’esposizione centrale proposta dal
direttore di Arti Visive a partire dal suo display. Come nota, infatti, Mary Anne Staniszewski
nell’introduzione dello studio sugli allestimenti storici del MoMA, il display espositivo
mostra tanto la presenza quanto l’assenzae deve essere considerato di per sè come un
medium, che ci permette di comprendere meglio l’esposizione nel suo complesso.31
La ricostruzione del display è stata condotta interrelando documenti di diversa natura:
fotografie, video e piante espositive. Laddove non è stata reperita una mappa del progetto
si è cercato di comprendere il dispiegamento delle opere nello spazio ricostruendone la
collocazione.
La narrazione dell’allestimento parte, per ciascuna edizione, dalla pianta degli edifici
utilizzati, per lo più padiglione Italia e Arsenale – tranne per il 1995 in cui la mostra centrale
era distribuita tra Palazzo Grassi, Museo Correr e Padiglione Italia. Prosegue poi con un
percorso ideale fra le sale seguendo un ideale passeggiata del visitatore per lo spazio, sala
dopo sala.
A partire quindi da questa struttura oggettiva si è poi proceduto ad esaminarne le
caratteristiche e la proposta espositiva. In questo senso si è inteso seguire una
metodologia che è stata compiutamente proposta nei recenti studi sulle esposizioni fra
cui, per esempio, ‘Op Losse Schroeven’ e ‘When Attitudes Become Form’ 1969. 32
31 “What historians omit from the past reveals as much about a culture as what is recorded as history and circulates as collective memory. […] I deal with an aspect of modern art history that has been, generally speaking, officially and collectively forgotten – installation design as an aesthetic medium and historical category. […] Seeing the importance of exhibition design provides an approach to art history that acknowledges the vitality, historicity, and the time-and-site-bound character of all aspects of cultures.” Mary Anne Staniszewski, The Power of Display. A History of Exhibition Installations at the Museum of Modern Art, MIT Press, Cambridge (MA)-London, 1998, p. xxi. 32 Christian Rattemeyer, Exhibiting the New Art 'Op Losse Schroeven' and 'When Attitudes Become Form' 1969, Afterall Publishing, Londra, 2010.
INTRODUZIONE
X
Dal momento però che ciascuna esposizione partecipa di un contesto fatto di situazioni,
luoghi e persone ogni edizione è anticipata da una ricostruzione storica del contesto
dell’ente Biennale realizzata tramite documenti reperti nell’Archivio storico e informazioni
acquisite dai quotidiani, entro cui il curatore ha potuto e dovuto operare e relazionarsi, e
quindi ad esempio il budget a cui si è dovuto attenere, un programma culturale più vasto a
cui viene chiesto di adeguare le scelte curatoriali e che ne hanno determinato in qualche
misura l’approvazione da parte del consiglio.
La scrittura del contesto di ciascuna delle sei edizioni ha dunque permesso di scrivere una
parte della storia della Biennale lungo dieci anni e che vede importanti trasformazioni
attuarsi in termini sia di struttura operativa che di forma societaria. Nel 1998, infatti, la
Biennale viene riformata determinando un cambiamento anche in termini di programma
culturale. Quindi si tratta di un decennio che di per sé ha un posto particolare nella storia
della Biennale e costituisce il ganglio fondamentale per la comprensione della Biennale
come la conosciamo oggi.
Insieme all’esame puntuale di ciascuna edizione si accompagnata anche dall’esame del
pensiero curatoriale di tutti i direttori di settore. Se, infatti, la Biennale, con i suoi
programmi culturali e la sua struttura organizzativa fornisce la cornice entro cui
l’esposizione si muove, è il portato curatoriale a ispirare l’idea che costruisce la mostra.
L’importanza di essere il direttore della Biennale nella carriera di un curatore fa sì inoltre
che le esposizioni siano una proposta di rilievo all’interno del proprio operato ed è quindi
indispensabile per comprenderne la portata un’analisi dell’impianto culturale e personale
che informa l’esposizione.
Nondimeno la ricezione critica, sulla breve e lunga durata, mostra l’influenza di ciascuna
edizione sia all’interno della storia della Biennali che nel più vasto panorama della storia
delle esposizioni.
La presente tesi consta di tre sezioni. La prima puntualizza il contesto culturale e
internazionale entro cui s’inscrive il decennio 1993-2003. Vi sono molti aspetti che si
potevano approfondire e la scelta è ricaduta su alcuni argomenti che precisano meglio la
situazione espositiva internazionale fra cui la biennalizzazione e il concetto di
‘contemporary’ che si va definendo proprio durante gli anni ’90. Se in tempi molto recenti
si stanno affacciando trattazioni che ne affrontano più approfonditamente le
caratteristiche è importante poter mettere in relazione questi aspetti alla Biennale di
Venezia per capire le scelte programmatiche che vengono fatte dal consiglio della riforma
e le scelte curatoriali, con il dibattito che ne è seguito. Il frame temporale di riferimento si
INTRODUZIONE
XI
allaccia alla caduta del muro di Berlino, che si staglia sullo sfondo della tesi come momento
di rottura sia storico che culturale, soprattutto in Europa.
La seconda sezione è invece dedicata all’esame delle sei edizioni della Biennale che si sono
avvicendate tra il 1993 e il 2003. Ciascuna edizione viene esaminata dal punto di vista del
contesto, display, ricezione critica e pensiero curatoriale.
La ricerca in archivio per reperire i documenti relativi al contesto della Biennale e
l’allestimento sono stati condotti per lo più nell’Archivio storico dell’ ASAC presso il VEGA.
I documenti relativi alle Biennali analizzate sono conservati nel fondo denominato
“deposito” che ancora non è stato archiviato. Le buste consultate, anche se divise per
anno, mostrano documenti eterogenei non classificati. A questo scopo il primo lavoro che
si è reso necessario è stata la costituzione di un archivio personale dei documenti presenti
nelle buste. Per i documenti del consiglio di amministrazione per gli anni 1998-2003 che
fanno parte del cosiddetto “archivio corrente”, non è stato possibile accedervi perché
contenenti dati sensibili.
La consultazione dell’Archivio storico è stata diretta a individuare quindi tutti gli elementi
necessari per la ricostruzione dell’organizzazione, dell’allestimento, del metodo curatoriale
per ciascuna edizione. Nell’archivio, anche se in maniera diseguale tra le prime edizioni
indagate e le ultime, complice anche l’avvento di internet che ha fatto si che venisse
dispersa molta corrispondenza, è stato possibile consultare oltre che i verbali del consiglio,
prima direttivo e poi di amministrazione, la corrispondenza interna ed esterna, progetti
rifiutati o mai portati a termine oltre che la rassegna stampa.
Quest’ultima, di grande rilevanza in particolare per la parte relativa alla ricezione critica, è
stata utilizzata anche incrociandola con i dati dei verbali. In questo modo è stato possibile
contestualizzare scelte, tensioni e pressioni tanto per il consiglio che per il curatore. Inoltre
è stato possibile, paragonando le dichiarazioni a verbale e quelle ai quotidiani, verificare la
strategia di comunicazione attuata oltre che chiarire situazioni a cui si fa riferimento nel
consiglio ma che la distanza temporale non permette immediatamente di capire.
Il materiale della rassegna stampa in base agli anni è stato integrato con lo spoglio di
alcune riviste che non sempre è stato fatto in maniera sistematica dell’Archivio. Questo
vale ad esclusione della rassegna stampa del 2003 che invece appare organizzata e molto
completa. Fra le riviste che si è reso necessario consultare per integrare alle volte la
rassegna stampa si ricordano ad esempio: “Art International”, “Art Journal”, “October”,
“KunstForum”, “KunstBulletin”, “Tema Celeste”.
Le mappe, tranne per alcune del 1999, 2001 e parte del 2003, sono state quasi interamente
ricostruite. Per gli altri anni, infatti, laddove è stato trovata una pianta allestitiva si trattava
INTRODUZIONE
XII
di situazioni intermedie, come ad esempio le piante del 1993 e 1995. Per le esposizioni più
recenti si è presa la consuetudine di fornire insieme al catalogo generale anche una breve
guida che aiutasse il visitatore a fruire la mostra. Solo nel caso della Biennale del 2001, però
si tratta di una guida puntuale.
Laddove vi era materiale insufficiente per la ricostruzione esatta delle piante ho consultato
alcuni archivi video: Archivio Giaccari, DoCVA Archivio Via Farini, Archivio Rai e ho
integrato tramite le immagini presenti sulle rassegne fatte dai giornali.
I cataloghi delle esposizioni sono stati tutti consultati e il modo cui sono stati concepiti ha
portato a non considerarli unicamente come uno strumento di documentazione, di cui
peraltro sono un vago ricordo. I cataloghi, infatti, diventano sempre più un ausilio
curatoriale ed espressione della mostra piuttosto che documentazione. I tempi entro cui
vengono realizzati non permettono di includere fotografie allestitive e spesso, in
particolare quando le opere vengono preparate per l’esposizione stessa, in catalogo non vi
sono neanche le opere che poi sono esposte alla mostra. Talvolta, inoltre, un artista
invitato all’ultimo minuto è difficilmente integrabile nei tempi di stampa e redazione
grafica di volumi consistenti. Nelle edizioni prese in esame i cataloghi sono dei veri e
propri strumenti di approfondimento e indagine. Nel 1993, ad esempio, Bonito Oliva affida
saggi a intellettuali, teorici, critici del calibro di Ernst Junger, Arthur Danto, Paul Virilio,
Gilles Deleuze e altri, facendo dei due volumi una ricca antologia di testi sul
contemporaneo. Anche Jean Clair, anche se in forma più tradizionale, svolgerà un
approfondimento teorico nel catalogo, mentre Germano Celant idea il catalogo
contestualmente alla mostra quasi facesse parte dello stesso o ancora il modo in cui gli
artisti vengono immessi nei cataloghi di Szeemann dice della sua idea di mostra e di
artista, oppure il volume curato graficamente di Maria Luisa Frisa per la Biennale di
Francesco Bonami che cerca di travalicare le consuete formule di catalogo riducendolo ad
un solo tomo per poter mostrare più direttamente la coesistenza delle mostre che insieme
ai padiglioni nazionali e alle mostre a latere, formano la Biennale.
La terza sezione, infine, mette a confronto le sei edizioni esaminate in modo da poter
evidenziare continuità e sincronie, pur all’interno di un complesso di edizioni eterogeneo
per impianto e scelta degli artisti, che delineano l’affermarsi di una determinata prassi
espositiva. Di questa prassi, per cui si opta la definizione di ‘piattaforma’ vengono spiegate
le caratteristiche e peculiarità tenendo presente un orizzonte culturale più vasto.
Seppure l’ipotesi della ricerca che informa questa tesi ha inteso verificare all’interno dello
specifico storico e culturale della Biennale l’affermazione dell’ esposizione come
INTRODUZIONE
XIII
piattaforma, l’indagine parte da più lontano ed è stato il tempo della ricerca ad aver
imposto un restringimento di campo dal panorama delle esposizioni internazionali dal
punto di vista teorico - a cui sono stati dedicati sei mesi di permanenza presso la Columbia
University di New York - a quello particolare della Biennale di Venezia. La focalizzazione
sull’istituzione veneziana ha motivazioni soprattutto di natura dimostrativa dal momento
che l’istituzione in questo particolare decennio mostra una particolare continuità
programmatica e permette una narrazione dell’affermarsi della mostra come piattaforma.
Se la storia della Biennale è stata per lo più raccontata tramite le personalità che l’hanno
diretta e guidata e che ne hanno pertanto determinato gli orientamenti culturali e diretto
le scelte espositive, come ad esempio per le biennali di Maraini, il periodo di Ripa di Meana
e via dicendo, il decennio di cui tratta questa tesi vede un avvicendarsi di molte personalità
ma trova il suo punto di raccordo proprio nelle proposte espositive, dimostrando al
contempo l’affermazione della figura del curatore.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
1
1 . I l mondo è connesso
In a closer and more critical historical framework one could declare that the world is a
different place since the uprising and geopolitical restructuring that began in 1989. The revolutions in eastern Europe and the Soviet Union in 1989, the democratic revolution in
Tiananmen Square in Beijing, also in 1989, the Gulf War in 1991, and the end of apartheid in South Africa in 1994 have opened a new era for the twenty-first century – one in which the
world economy and new information technologies have “not only reconfigured centrality
and its spatial correlates, [but] have also created new spaces of centrality.” 1
Il termine post quem cui la stesura di questa ricerca si riferisce, è certamente quello del
1989. Da un lato perché riferendosi alla data della caduta del muro di Berlino e alla fine
della guerra fredda indica un evento da cui si propagano, come in un effetto domino,
cambiamenti e rivolgimenti storico-politici epocali accompagnati poi dall’emergere della
new economy e la diffusione di un mercato globalizzato;2 dall’altro lato indica in termini di
pratica espositiva, una piccola grande rivoluzione che si concretizzò con l’esposizione
Magiciens de la Terre. 3 Questa esposizione introduce la questione della produzione
artistica di paesi non europei o anglofoni, cioè non appartamenti ad una storia dell’arte e
idea dell’arte affermata. La presenza di artisti africani e asiatici e la messa in mostra
accanto a opere d’arte riconosciute come tali, anche di manufatti e oggetti rituali
destarono molto clamore e, di fatto, complici certamente i grandi rivolgimenti planetari,
segnò uno spostamento dalla rappresentazione nelle esposizioni « from Art World to Art
Worlds ».4 Sono queste le parole, non a caso, che Hans Belting e Andrea Buddensieg usano
per titolare il loro saggio introduttivo al volume The Global Contemporary and the Rise of
1 Philippe Vergne, “Globalization from the rear. Would you care to dance, Mr. Malevich?” in Philippe Vergne, Douglas Figle, Olukemi Ilesanmi (a cura di), How Latitutes Become Forms, Walker Art Center, Minneapolis, 2003, p. 18. 2 “La caduta del muro di Berlino, coincisa con la fine della Guerra Fredda, ha generato la positiva impressione che si fosse finalmente arrivati a una vera e propria riunificazione del mondo, prima diviso tra sfera di influenza americana e sovietica, ma anche la sgradevole sensazione che si fosse all’interno di un processo di omologazione culturale (oltre che economica) prodotta dall’univocità del sistema di riferimento.” Roberto Pinto, Le nuove geografie artistiche. Le mostre al tempo della globalizzazione, Postmediabooks Milano, 2012, p. 14. 3 Magiciens de la terre, mostra a cura di Jean-Hubert Martin, presso Centre Georges Pompidou e la Grande Halle al Parc de la Villette, 18/05 – 14/08 1989. 4 Hans Belting e Andrea Buddensieg “From Art World to Art Worlds” in Hans Belting, Andrea Buddensieg e Peter Weibel, The Global Contemporary and the Rise of New Art Worlds, MIT Press, Cambridge, 2012, pp. 28-31.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
2
New Art Worlds, catalogo che a distanza di un anno corona il lavoro apertosi con
l’esposizione The Global Contemporary. Art Worlds after 19895 presso ZKM (Center for Art
and Media Karlsruhe). Il progetto della mostra si basa sulla consapevolezza che il nuovo
sistema globale ha cambiato il sistema dell’arte e non solo. La globalizzazione ha innescato
- questo il nodo centrale dell’esposizione e del libro - un processo di ri-scrittura, di
traduzione di tutte le caratteristiche storiche, etiche e culturali e investendo così anche
l’arte. Non si assiste più all’egemonia di una cultura sulle altre ma alla rivalutazione di
quella locale e regionale, sperimentando una cartografia nel suo farsi.6
Sulla scia dell’esempio dettato dalla mostra di Jean-Hubert Martin di una esposizione che
discutesse la “global production of contemporary art” agevolando l’entrata « dell’altro
nella cittadella del modernismo »7, segue la proliferazione di esposizioni “globali” e
biennali d’arte contemporanea da ogni parte del mondo operando di conseguenza un
cambiamento nella geografia artistica in modo radicale.8
La globalizzazione del sistema espositivo “biennale” si lega anche alle facilitazioni
connesse all’uso di internet, che ha determinato lo sviluppo di due atteggiamenti in
particolare: da una parte quello di sentirsi sempre connessi e dall’altra di aver
incrementato la sensazione di autonomia e di creatività del singolo. Nello specifico
l’avvento di internet ha rappresentato la possibilità di un “luogo” che fosse totalmente
pubblico e democratico, in cui ciascuno potesse lasciare il proprio segno; più precisamente
tuttavia è una “pratica di rete” ad essere stata immediatamente recepita e a sfondare un
sistema culturale, rinnovandolo a partire dalle pratiche (artistiche).
In discussione, infatti, non c’è soltanto la globalizzazione dal punto di vista di estensione
geografica dell’arte e degli artisti o di esplosione di un nuovo modo di fare arte quanto
piuttosto la nascita di una nuova koinè, di un diverso modo di concepire la produzione del
5 The Global Contemporary. Art Worlds after 1989, mostra a cura di Andrea Buddensieg e Peter Weibel, presso ZKM (Center for Art and Media Karlsruhe), 17/09/2011 – 5/02/2012. 6 “Some people perceive the transformations of the global world from the perspective of a clash. Some people see these transformations from the perspective of confluence. Our perspective is that we are experiencing an epoch of rewriting programs: rewriting art history, rewriting political and economic history on a global scale. Translation […] no longer create the hegemony of an international art, but the reevaluation of the local and the regional. […] Contemporary art and the contemporary world are part of a global rewriting program. […] We are witnessing a new cartography of art in the making.” Peter Weibel, “Globalization and Contemporary Art” in Hans Belting et alii (a cura di), op. cit., 2012, p. 33. 7 “The central concern [of the curators in Paris] remains the same old-fashioned debate about the relationship between modernism and the tradition of others. It is not perhaps generally known that the ‘other’ has already entered into citadel of modernism and has challenged it on its own ground” Rasheed Araeen, Our Bauhaus, Other’s Mudhouse, in “Third Text”, n. 6, Primavera 1989, p. 3. Il testo è tratto da un’edizione speciale di Third Text, in occasione di Magiciens de la Terre, a cui Rasheed Araeen fu invitato ad esporre. Questo numero raccolse anche gran parte degli articoli pubblicati nell’edizione speciale del Centre Pompidou Les Cahiers du Musée d’Art Moderne, traducendoli in inglese. 8 Benjamin Buchloh, The Whole Earth Show: an interview with Jean- Hubert Martin, in “Art in America”, n.77, maggio 1989, pp. 150-152.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
3
presente che salta a piè pari la distinzione controversa tra “modernismo” e “post-
modernismo”, arrogandosi il titolo di “contemporanea”.
“Art no longer aims at the avant-garde position of modern art, but itself as contemporary
in a chronological, symbolical, and even ideological sense.”9
La Globalizzazione
Parole che in maniera diversa prendessero in considerazione un’attenzione verso un
panorama extra-nazionale sono spesso state utilizzate associando, ad esempio, alla parola
“arte” aggettivi quali “cosmopolita” e “internazionale” per descrivere, con il primo termine
nell’ottocento e con il secondo nel ventesimo secolo, una pratica largamente attestata di
diffusione o di curiosità intellettuale legata all’Europa bene, principalmente costituita da
borghesi e nobili illuminati e con grandi disponibilità economiche.
La parola “globale” è già alla ribalta negli anni ’60 grazie al saggio di Marshall McLuhan in
cui usa l’espressione « villaggio globale »10 , prefigurando un mondo in cui le persone si
sarebbero sentite più vicine tramite i media in real time, facendoci percepire di essere tutti
« nello stesso villaggio ». Questo significato permane nella parola tanto che nel 1992
Roland Robertson definisce la globalizzazione come qualcosa che si riferisce
contemporaneamente alla « contrazione del mondo e all’intensificazione in termini di
coscienza del mondo nel suo insieme ».11 Il termine interessa qui, infatti, non soltanto
perché indica l’espansione del capitalismo e l’apertura dei mercati finanziari in tutto il
mondo - l’aspetto economico è determinante per la diffusione della parola - ma perché
descrive trasformazioni sostanziali che sono avvenute in termini di percezione di « tempo
e spazio ».12
La globalizzazione che informa tutti i campi del sapere si afferma negli anni’80, tanto che
fa dire a Theodore Levitt nel 1983 in uno storico articolo pubblicato per l’Harvard Business
9 Hans Belting e Andrea Buddensieg, Idem in Hans Belting et alii (a cura di), op. cit., 2012, p.28. 10 Edmund Carpenter e Marshal McLuhan, Explorations in communication, Beacon Press, Boston, 1960. 11 Roland Robertson, Globalization: Social theory and global culture, Sage, University of Aberdeen, Londra, 1992, p. 8; Cfr. anche Charlotte Bydler, The Global Artworld Inc. On the Globalization of Contemporary Art, Uppsala University Press, Uppsala, 2004, p. 203. 12 Anthony Giddens, The Third way. The renewal of Social democracy, Polity Press, Cornovaglia, 1998.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
4
Review « globalization is at hand».13 Tuttavia è nel decennio successivo che si rileva un
cambiamento nell’uso che si fa di questa parola, registrando un epocale spostamento del
suo uso nel linguaggio. Non a caso il numero di Luglio del 1989 della rivista Art in America
è dedicata proprio alla questione “globale”14. Il volume cerca di fare il punto sull’uso
invalso di questa parola, riportando l’opinione di diversi intellettuali (James Clifford, Boris
Groys, Craig Owens, Martha Rosler, Robert Storr, Michele Wallace) e, in aggiunta,
l’intervista a quattordici artisti, definiti “peripatetic artists”, a conferma di un fenomeno
diffuso che porta con sé un modo diverso di guardare al sistema planetario.
L’avvento della globalizzazione sembra annullare la dicotomia e il dibattito intorno a
modernità e postmodernità che caratterizza le riflessioni intono agli anni ’80. Spiega il
fenomeno Anthony Giddens sostenendo che la globalizzazione fu una conseguenza di
«un’intensificata modernità».15
Facendo una distinzione tra ‘world’ and ‘global’, a distanza di venti anni, Hans Belting16
evidenzia come l’uso della parola ‘world’ indichi un legame con una concezione
modernista di un mondo dell’arte sostanzialmente chiuso17 che sottintende una posizione
di sudditanza rispetto all’America e all’Europa, mentre alla parola globalizzazione si lega
inestricabilmente a quella di post-colonialismo.
Questo legame è più immediatamente comprensibile prendendo in esame la mostra
Magiciens de la terre.
La ricezione dei giornali contemporanei sollevò un polverone dal momento che la mostra
era stata inserita fra gli eventi culturali per celebrare il bicentenario della Rivoluzione
francese, infatti, le critiche si accesero soprattutto perché la mostra si poneva in diretta
opposizione con una celebre e controversa mostra tenutasi nell’1984 al MoMA Primitivism
in the 20th Century Art.18 Il paradigma cui faceva appello la mostra parigina era di altra
natura, come ebbe modo di notare Yves Michaud, sottolineando come lo sforzo del
curatore Jean-Hubert Martin fu quello di rimpiazzare l’archetipo cosmopolita con quello
planetario non accettando più che il cento percento delle esposizioni occidentali ignorasse
13 Theodore Levitt, The globalization of markets, in “Harvard Business Review”, n. 61, maggio/giugno 1983, pp. 92-102. Questo è l’anno prima che venisse fondata la Biennale dell’Havana considerata una delle biennali apripista sia nel metodo che nella proposta dei contenuti. Cfr. Raphal Niemojewsky, The Rise of the Contemporary Biennial 1984-2009, tesi di dottorato, Royal College of Art, Londra, 2009. 14 The Global Issue, Art in America, vol. 77, n. 7, luglio 1989. 15 Anthony Giddens, The consequences of modernity, Polity Press, Cambridge, 1990, pp. 55-60; Cfr. Charlotte Bydler, op. cit., 2004, p. 203. 16 Hans Belting, From World Art to Global Art: View on the New Panorama, in Hans Belting et alii, op. cit., 2012, pp. 178-185, qui 178. 17 Arthur C. Danto, The Philosophical Disenfranchisement of Art, Columbia University Press, New York, 1986, trad. it. La destituzione filosofia dell’arte, (a cura di Andina Tiziana.) Aesthetica Edizioni, Palermo, 2008. 18 Primitivism in the 20th Century Art: affinity of the Tribal and the Modern, mostra a cura di William Rubin presso MoMA di New York, 27/09/1984 – 15/01/1985.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
5
l’80 percento della superfice del globo. 19 Contrariamente a Primitivism, infatti, che
nell’intenzione di indagare il debito nei confronti dell’arte non occidentale è però tutta
centrata sulla produzione occidentale di fatto ribadendone l’egemonia,20 Magiciens de la
terre segna uno spostamento da questa posizione modernista in senso postcoloniale
tentando un processo attivo di inclusione.
Una particolarità questa che veniva dichiarata in ogni pagina del catalogo,21 a partire dai
testi pubblicati (Aline Luque, Mark Francis, André Magnin, Pierre Gaudibert, Thomas
McEvilley, Homi Bhabha, Jacques Soulillou) alla genealogia in forma visuale fatta sul tema
dell’altro - bollato come un grande alibi – teorizzata da Bernarde Marcadè, alle due pagine
dedicate a ciascun artista in cui si indicava chiaramente il paese di provenienza; fra questi
più della metà non erano mai stai esposti in Europa, come nel caso di alcuni artisti africani
che facevano perlopiù manufatti artistici.
Gli sforzi e l’innovazione presenti nelle metodologie espositive di Martin che si muovono
nella direzione delle mostre “postmoderne” – distanziandosi da principi unificanti e
omologanti del procedere “moderno” nel modo di concepire e realizzare le mostre 22 -
sono ciò che è passato alla storia rendendo questa esposizione memorabile e
annoverandola fra quelle che hanno segnato la storia delle esposizioni.23 Certamente però,
come osserva Lamoreaux alcuni aspetti rimangono molto critici: uno su tutti il concetto di
‘magicien’. La parola è presa da Freud ed è usata in modi difficilmente assimilabili all’arte
contemporanea se non forse nell’accezione di feticcio, concetto che rimane però estraneo
alle formulazioni di Martin:
19 “Martin’s endeavour was to replace the cosmopolitan rationale of the international scene with a planetary paradigm that would no longer allow 100 per cent of western exhibitions to systematically ignore 80 per cent of the surface of the globe” Yves Michaud, “L’art planétaire – entre eux et nous” in L’artiste et les commissaires (Nîmes: Jacqueline Chambon) del testo di Johanne Lamoureaux “From Form to Platform: The Politics of Representation and the Representation of Politics”, Art Journal, vol. 64, n. 1, primavera 2005, p. 65. 20 Marina De Chiara, Oltre la gabbia: ordine coloniale e arte di confine, Meltemi, Roma, 2005. 21 Il catalogo di Magiciens de la Terre è da considerarsi un vero e proprio elemento della mostra perché pensato in totale accordo con essa, infatti, oltre a raccogliere testi teorici di importanti pensatori riporta anche le piante dell’esposizione. 22 “La stratégie d’une exposition postmoderne doit s’efforcer d’obtenir non pas des fragments d’uniformité comme c’est le cas pou l’exposition moderniste avec sa tentative d’universalisation des canons, mais d’atteindre une concentration sur la différence qui honore l’autre e lui permet d’être lui-même, sans essayer de réduire l’innombrable multiplicité en posant le principe autoritaire d’une uniformité cachée.” Jean-Hubert Martin (a cura di) Magiciens de la Terre, catalogo della mostra, Editions du Centre Pompidou, Parigi, 1989, p. 22. 23 Si ricordano qui di seguito alcuni esempi scelti fra testi che affrontano diffusamente la questione della mostra contemporanea: tutto l’impianto della mostra e del catalogo della già citata mostra a Karlsruhe individua Magiciens… come la mostra da cui partire per comprendere la storia delle esposizioni contemporanee in particolare si veda l’intervista di Hans Belting a Jean-Hubert Martin in Hans Belting et alii (a cura di), op. cit., 2012, pp. 208-211. Cfr. anche Federica Martini e Vittoria Martini, Just another exhibition. Storie e politiche delle biennali postmedia books, 2011, pp. 79-81; Bruce Altshuler, Biennials and Beyond – Exhibitions That Made Art History, 1962 – 2002, Phaidon Press: Londra, 2013, pp. 19 e 281-294; Sabine Vogel Biennials – Art on a Globale Scale, Springer Verlag, Vienna, 2010.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
6
“Ce ne sont pas de simples objets ou outils à usage fonctionnel et matériel. Ils sont destinés
à agir sur le mental et les idées dont ils sont le fruit. Ils sont les réceptacles de valeurs
métaphysiques.” 24
La drastica decisione del curatore di non usare la parola ‘arte’, perché in certe culture
questa è totalmente estranea, determina una posizione percepita come un impoverimento
del discorso, tanto complesso quanto affascinante, intorno alla definizione di cosa sia
l’arte.
Fra le più grandi conseguenze fu probabilmente l’omogeneizzazione, o secondo altri
l’incoerenza, risultante nell’allestimento che poneva opere e manufatti sullo stesso piano,
accostandoli in maniera didascalica. Un caso su tutti l’affiancamento tra i disegni di fango
di Richard Long e quello realizzato con la sabbia dalla comunità Yuendumum, che
annullava ogni genere di discorso transnazionale, rivelando uno sguardo del curatore in
ultima analisi etnocentrico,25 essendo basato su accostamenti formali giudicati superficiali.
Molte critiche Jean-Hubert Martin le ricevette anche internamente, in particolare da alcuni
artisti occidentali; ad esprimersi deliberatamente contro furono ad esempio 26 Daniel
Buren, che nel catalogo stesso attaccò la mostra e Barbara Kruger che espose all’entrata
della mostra un cartello interrogandosi sull’ intero impianto della mostra recava infatti la
scritta « Who are the magicians of the earth? ».
Complessivamente però la storica introduzione ai concetti di arte globale e al post-
colonialismo fatta da Magiciens de le terre è e rimane un riferimento non solo per via della
chiara messa a tema della produzione planetaria, esemplificata sia nella scelta degli artisti
che nei metodi che dal 1984 in poi lì portò come i curatori di una biennale ante-litteram a
girare il mondo,27 ma anche per la grande attenzione e risonanza che questa ebbe dalla
stampa e nelle riviste d’arte, tanto che già nel 1989 Benjamin Buchloh indicava questa
mostra come un esempio per le biennali a venire.28
24 Jean-Hubert Martin (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1989, p. 9. 25 “However, I think Magiciens de la Terre made a pragmatic impact in terms of relations of exchange. If we were to see the exhibition space as a contact zone of culture. […] However, […] it was still very predicated on a very redundant view of who should be an artist in this “other” space. […] it had a new colonialist eye and this manifested unwittingly for the curator a kind of curatorial bad faith, because what he could deal with was an academicism that really was dominant artistic paradigm in places like Africa and other places. […] This for me represented the failure of Magiciens de la Terre. […]” Okwui Enwezor intervistato da Paul O’Neil, “Curating beyond the canon” in Paul O’Neill (a cura di), Curating Subjects, Edizioni Open, Londra 2007, p. 112. 26 Fra gli artisti invitati che si espressero negativamente nei confronti della mostra vi furono anche Hans Haacke, Jeff Wall, Krzysztof Wodiczko e Chéri Samba. 27 “Je réunis en 1984 trois collègues et amis, Jan Debbaut, Mark Francis et Jean-Louis Maubant pour discuter le projet et sa faisabilité […] Il s‘avéra rapidement que nous ne connaissions pas d’expert du tiers monde.[…] Contrairement à une simple collecte d’objets, l’exposition réunit des œuvres – des objets – durables ou éphémères réalisés par des auteurs non seulement clairement identifiés mais auxquels nous avons visite à domicile.” Jean-Hubert Martin (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1989, p. 8. 28 Benjamin Buchloh, The Whole Earth Show: an interview with Jean- Hubert Martin, in “Art in America”, n.77, maggio 1989, pp. 150-152.
SEZIONE I - IL MONDO È CONNESSO
7
Tenendo presente ad esempio il caso studio specifico di questa tesi, nella Biennale di
Venezia del 1990, dal titolo Dimensione Futuro, Giovanni Carandente 29 rispose
direttamente a Magiciens installando una mostra centrata sul multiculturalismo, dove
trovavano spazio artisti Africani e Aborigeni Australiani, mentre il padiglione del Messico
propose un’installazione del gruppo Taller de Arte Frontiero Columbus colonized –
Everything is mine –Whose?. In dialogo con la mostra di Martin si pose anche Achille
Bonito Oliva che dichiarò in una riunione del consiglio direttivo quanto fosse importante
guardare al mondo artistico intero, cosa divenuta imprescindibile dopo l’esperienza di
Magiciens. In questi termini vanno comprese molte sue proposte fra cui Slittamenti e
Passaggio a Oriente. Più implicitamente, ma senza dubbio, anche documenta1130 avanza
una riformulazione aggiornata delle proposte della mostra parigina. Okwui Enwezor
interrogato intorno alle influenze esercitate dalla mostra commenta:
“Throughout my career, Magiciens de la Terre has been the one exhibition that I have to
contend with, to push off my back.” 31
29 Charlotte Bydler, op. cit., 2004, p. 104. 30 “The curatorial discourse around documenta11 was strongly set against all forms of simplistic antinomies […] Okwui Enwezor, in the catalogue of documenta11, implicitly invited the comparison. Whereas Magiciens inflated the notion of distance and the perception exoticism, documenta11’s presentation text advocated an anthropology of proximity.” Charlotte Bydler, op. cit., 2004, pp. 71-72. 31 “Throughout my career, Magiciens de la Terre has been the one exhibition that I have to contend with, to push off my back. […] I don’t think documenta11 and Magiciens share anything at all in terms of methodology, in terms of curatorial interests, in terms of historical questions, beyond the fact that we were really interested in the widest possible notion of where art is made and I think that is the case. I make no secret of the fact that I was very interested in the post-colonial dimension of documenta11, and I mean the most expansive way that one could understand it. The post-colonial is not simply the elsewhere, over there, and over here means something else, but to see the entire global entanglement as post-colonial in its shape”. Intervista di Paul O’Neill a Okwui Enwezor Idem, in Paul O’Neill (a cura di), op. cit., 2007, p. 113.
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
9
22. I l fenomeno della biennalizzazione
Pur avendo Magiciens de la terre introdotto quindi un argomento di grande rilevanza per il
futuro sviluppo delle esposizioni e nell’elaborazione di un’idea sull’arte globale, sono state
certamente le biennali a consolidare sia nella prassi curatoriale che nella loro espansione
planetaria queste tematiche, fino a coincidere con il risvolto che la globalizzazione ha
avuto nel settore delle arti.
Inoltre, come nota anche Charlotte Bydler interrogandosi intorno cosa voglia dire che l’arte
contemporanea sia globalizzata, sono molti gli aspetti intersecantesi quando parliamo di
globalizzazione nel mondo dell’arte; innanzitutto si deve considerare la globalizzazione del
mercato dell’arte occidentale, di cui in qualche modo fanno parte anche le biennali. Si
veda ad esempio come in un testo divulgativo e d’intrattenimento come Seven Days in the
Art World, che peraltro si basa su una personale, ma approfondita inchiesta dell’autrice, si
dia alla biennale nel sistema dell’arte contemporanea un ruolo a se stante, esattamente
come alle case d’asta, alle fiere, al critico e via dicendo.1
Il fenomeno della biennalizzazione esplode negli anni ’90 e, se prima di questo periodo è
possibile elencarle agevolmente, oggi sono oltre 100 in tutto il mondo.2
Seguendo una lettura affermatasi possiamo dire che, se la prima biennale dedicata
esclusivamente all’arte fu la Biennale di Venezia fondata dal suo Sindaco Riccardo
Selvatico, le biennali che conosciamo prima del boom degli anni ’90 nascono perlopiù
sulla spinta di magnati e filantropi.3 Così fu per la biennale internazionale di Andrew
Canergie che si tiene dal 1886, la Biennale di São Paulo iniziata nel 1951 da Francisco
Maratazzo Sobrinho, un ricco imprenditore di origine italiana, come anche era di origine
italiana l’industriale Franco Belgiorno-Nettis che inaugurò la Biennale di Sydney nel 1973.
1 Sarah Thornton, Seven Days in the Art World, Granta, Londra, 2008, pp. 221-253. 2 Una lista di tutte le biennali nel mondo può essere reperita presso i seguenti siti web: www.biennalfoundation.org; www.ifa.de/links/kunst/dbiennalen.htm; www.aaa.org.hk; www.universes-in-universe.de 3 Vogel distingue dalle prime Biennali fondati da magnati e filantropi quelle americane che nascono invece collegate per lo più ad un sistema artistico museale. Cfr. Sabine Vogel, op. cit., 2010, pp. 35-36.
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
10
Dopo la seconda guerra mondiale nasce la documenta di Kassel (1955) in accordo con il
sentimento postbellico, caratterizzato in Germania da una serie d’iniziative di “ammenda
politica” con retrospettive4 e mostre che cercavano una riconciliazione dopo il nazismo
con gli artisti e la tradizione storico-artistica, fra queste si veda ad esempio la mostra del
padiglione tedesco alla Biennale di Venezia Ernst Barlach e Max Beckmann nel 1948.5 La
rievocazione e il collegamento con il periodo pre-bellico portò ad uno sforzo di
« ricostruzione modernista di un periodo perduto».6
In questo clima di nuovo inizio, anche se con intenti diversi, nacquero la Biennale di Tokyo
(1952-1990) e la Biennale di Parigi (1959-1985)7 fondata da Andrè Malraux, che fu un
vivacissimo bacino di raccolta per i giovani artisti a cui era dedicata l’iniziativa.
A seguire in ordine di tempo si ricordano in particolare le biennali "del secondo e terzo
mondo” che con la loro costituzione cercano di contrastare la propria situazione di
periferie culturali e di sfidare l’Europa e gli Stati Uniti. Con questo spirito nascono La
Biennale del Cairo (1955), la India Triennial (1964), la Biennale dell’Havana (1984), la
Biennale di Istambul (1987) e poi, a seguire cronologicamente ma con lo stesso intento, la
Biennale di Dakar (1994) e quella di Johannesburg (1995) che se pure avrà vita breve
rimane comunque un esempio importante.
E’ su queste basi di rivalsa economica e d’immagine con il desiderio di collocarsi nello
scacchiere internazionale che si assiste ad una progressiva decentralizzazione e un
conseguente indebolimento delle forze centripete occidentali negli anni ’90 con la nascita
della maggior parte delle biennali “periferiche” fra cui la Biennale nel sud della Korea a
Kwangju (1995), la Biennale di Sharjat (1993), la Asian-Pacific Triennial (1993), la biennale di
Shanghai (1996), la Biennale di Singapore (2006), mentre in risposta all’unificazione
dell’Europa nel 1995 nasce la biennale itinerante Manifesta (1995).
E’ da notare che questo processo di decentralizzazione ha ripercussioni nella stessa
Vecchia Europa in cui città ai margini delle politiche culturali rivendicano un ruolo di
centralità che determina un fiorire di festival e biennali in città come Lione, Atene, Berlino,
Firenze, Liverpool, Mosca, Valencia, Praga e molte altre ancora.8
4 Laurence Alloway, “From Salon to goldfish Bowl”, in The Venice Biennale 1895-1968, 1 publ., Faber&Faber, Londra, 1969, p. 115. 5 Peter Joch, “Die Ara der Retrospektiven 1948-1962.Wiendergutmachung, Rekonstruktion und Archäologie des Progressiven“, in Becker e Annette Lagler (a cura di), Biennale Venedig, Der deutsche Beitrag 1895-1995, Hatje Cantz Verlag, Struttgart, 1995, p. 37. 6 Peter Joch, Idem, in Becker e Annette Lagler (a cura di), op. cit., 1995, p. 37. 7 La Biennale di Parigi fondata dall’allora ministro della cultura francese (1959-1969) André Malraux venne chiusa nel 1985. La sua eredità venne raccolta dall’artista Alexandre Gurita che riaprì la Biennale nel 2004, ma la mancanza di finanziamenti rende difficile raggiungere una preminenza internazionale. 8 Cfr. Giorgi Liana., (a cura di) European Arts Festivals: Cultural Pragmatics and Discursive Identity Frames, Rapporto di ricerca Eurofestival, disponibile online www.euro-festival.org, 2010.
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
11
A metà degli anni ’90 il fenomeno è tanto evidente che cominciano anche a fiorire le
conferenze intorno all’argomento. Fra le prime da annoverare a cui si può far risalire
l’origine del termine “biennalizzazione” è quella risalente al 1995, anno in cui si tenne a
Berlino il simposio La Sindrome di Marco Polo,9 dove si dibattè circa i problemi della
comunicazione interculturale nella teoria dell’arte e nelle pratiche curatoriali esaminando il
fenomeno della moltiplicazione di biennali e triennali in tutto il globo. L’espressione
“Sindrome di Marco Polo” è stata coniata dall’organizzatore del Simposio Gerhard Haupt
ed è legato al moltiplicarsi di queste manifestazioni definito come un fenomeno culturale
e mass-mediatico che fa parlare di sindrome. In ambito di mega mostre ci sono altri casi
che registrano l’uso di questa parola come Carolyn Chistov-Bakargiev, che parla di “biennal
syndrome” o anche il titolo della prima Triennale di Torino (2005) che indaga l’effetto della
globalizzazione nell’arte contemporanea intitolandosi Sindrome di Pantaguel. La
‘sindrome’ secondo il dizionario medico indica un « complesso più o meno caratteristico di
sintomi, senza però un preciso riferimento alle sue cause e al meccanismo di comparsa». 10
La percezione di qualcosa di fondamentalmente incontrollato con cui sembra difficile
addivenire ad una comprensione è infatti la sensazione percepita rispetto alla crescita
veloce ed esponenziale delle Biennali in tutto il mondo.
Durante il simposio emerge già la definizione di alcune caratteristiche legate al fenomeno
come il fatto che molti artisti selezionati nelle diverse biennali siano sempre gli stessi. Il
motivo dipende dalla loro « afferenza diretta ad una cerchia di curatori internazionali che, a
loro volta, hanno diretti o indiretti rapporti con musei, istituzioni, organi di informazione,
gallerie private. Questa rete si è rivelata dunque strumento idoneo alla colonizzazione
culturale ed economica di aree geografiche del pianeta particolarmente vulnerabili ».11
Una situazione questa, che –come nota Harald Szeeman – arriva a cambiare il ruolo stesso
dell’artista.12
Importanti sono le ricadute riguardanti il fenomeno dell’entrata di nuove aree nel mercato
dell’arte. Da una parte avviene una « esportazione e globalizzazione del prodotto artistico»
del mondo occidentale, dall’altra queste realtà offrono un incredibile « opportunità di
9 Il simposio The Marco Polo Syndrome. Problems of intercultural communication in art theory and curatorial practice, a cura di Gerhard Haupt in collaborazione con Bernd M. Scherer, si tenne a Berlino 11/12 aprile 1995 presso Haus der Kulturen der Welt. I testi insieme ad altri contributi vennero pubblicato nella rivista nbk (Neue bildende kunst) 4/5, 1995. Presso il sito www.universes-in-universes.de/magazin/marco-polo sono consultabili alcuni dei contributi pubblicati. 10 Definizione di “sindrome” da dizionario di Medicina Treccani (2010) http://www.treccani.it/enciclopedia/sindrome_%28Dizionario-di-Medicina%29 11 Alfredo Sigolo, Biennali invisibili, obiettivi sensibili, in “Exhibart on paper”, n. 25, ottobre 2005. 12 I think it poses problems for the artists But the explosion of biennials is creating a new type of artist who really lives from project to project. They are very flexible. […] These artists are like film directors because they go from job to job, place to place, and make masterpieces as well as failures.” Robert Storr, Prince of Tides, in “Artoforum”, Maggio 1999, pp. 160-165, e p. 194, qui 163
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
12
esplorare la scena artistica locale per selezionare nuovi scenari d’investimento». 13
Potremmo dire, infatti, che la globalizzazione dell’arte tramite la biennalizzazione si
accompagna ad una in-globalizzazione di artisti proveniente da luoghi privi di un mercato
proprio.
Al di là dei risultati del simposio si può dire che il fenomeno va di pari passo ad una
spettacolarizzazione avvenuta nell’arte contemporanea, non a caso la parola
“biennalizzazione” si accompagna spesso a quella di “festivilizzazione” un’espressione che
pone l’accento sia sulle derivazioni del concetto Debordiano di spettacolo, che
sull’inclusione totale del mercato; dopo l’esplosione del mercato dell’arte negli anni
Ottanta, si è costituita una vera e propria industria dell’arte, come propaggine
dell’industria culturale, che è diventata una delle prime strategie di consumo
nell’economia postindustriale, oltreché uno strumento di pubbliche relazioni per le città e i
complessi industriali.14 Infatti se da una parte la motivazione per l’istituzione di una
biennale è rimasto lo stesso, se paragonato a quello delle più anziane Biennale di Venezia,
Documenta di Kassel o Biennale di São Paulo, ovvero una questione di identità culturale e
la sua legittimazione, ciò che è veramente cambiato è il motore: turismo globale, velocità e
quantità d’informazione, gli interessi economici di colossi industriali e finanziari. Una delle
conseguenze culturali di ciò che è stato chiamato biennalizzazione è stato un interesse
crescente vero le “periferie” e l’emergere di discorsi “post-coloniali”.
Nonostante al fenomeno della proliferazione di biennali sia stata offerta una certa
attenzione attraverso conferenze e simposi, quasi per un ventennio poche sono state le
pubblicazioni che ne hanno analizzato il fenomeno, situazione a cui dal 2009 si è
ampiamente rimediato, come dimostra la raccolta di testi The Biennial Reader pubblicata
in occasione di un simposio tenutosi a Bergen 15 che metteva in discussione se fosse
opportuno o meno continuare a istituire biennali, oltre alla nascita di strutture di ricerca e
Fondazioni dedicate allo studio del fenomeno.16
Motivi di questa situazione possono essere trovati, come suggerisce ad esempio Carlos
Basualdo, nella mancanza di criteri condivisi per valutare questo genere di eventi
rendendo con il tempo la necessità di una approfondita riflessione - era il 2003 quando
13 Alfredo Sigolo, Idem, in “Exhibart on paper”, n. 25, ottobre 2005. 14 Anna Cestelli Guidi, La documenta di Kassel, Costa & Nolan, Milano, 1997, pp. 139-140. 15 Bergen Biennial Conference. To biennial or not to biennial? a cura di Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø, presso Bergen Kunsthall, Norvegia, 17-20 settembre 2009. I video della conferenza sono consultabili presso www.bbc2009.no . La raccolta di testi della conferenza e di testi selezionati tramite call for papers sono stati pubblicati in Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø (a cura di), The Biennial Reader. An Anthology on Large-Scale Perennial Exhibitions of Contemporary Art, Hatje Cantz & Bergen Kunsthall, Ostfildern, 2010. 16 Si veda ad esempio Biennial Foundation (www.biennialfoundation.org) e Euro festival (www.euro-festival.org)
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
13
Unstable Institution17 veniva pubblicato per la prima volta18 – sempre più acuta. Di contro
la grande, e parallela, proliferazione di “letteratura artistica” rispetto alle mega-mostre sui
giornali, riviste d’arte, la cui diffusione interroga giustamente James Elkins circa il lamento
per la morte della critica,19 ha reso riluttanti circoli intellettuali ed accademici nel valutare
un epifenomeno culturale di massa che dimostra l’assimilazione del progetto
dell’avanguardia da parte dell’industria culturale.20
D’altronde il legame tra i dettami del mercato neoliberale e la proliferazione è stretto; non
a caso, parallelamente alle biennali, si sono anche moltiplicate le fiere d’arte
contemporanea, ponendosi spesso in diretta concorrenza con le grandi mostre
internazionali d’arte contemporanea.21 Ad esempio fin dalla sua nascita Arco, la fiera d’arte
di Madrid, insieme alla parte dedicata agli stand e alle gallerie, ha proposto programmi
espositivi curati nella stessa maniera e intenzione di una normale mostra d’arte
contemporanea, dal momento che per molti aspetti le due formule della biennale e della
fiera è come se avessero rarefatto il confine che le divideva. Così anche Art Basel, la storica
fiera che si tiene ogni anno a Basilea (Svizzera) propone da diversi anni incontri di
approfondimento con curatori e intellettuali così come mostre tematiche.
Un legame questo con il mercato che fa dire a Thomas McEvilley che lo status di oggetto di
consumo non viene acquisito più dall’opera nel momento della sua immissione nel
mercato dell’arte, ma che questa sia già tale al momento della sua creazione.22
Le motivazioni che hanno spinto la nascita delle varie biennali nel mondo sono
innanzitutto strumentali23 per rispondere alla necessità di promozione locale con una
17 Basualdo Carlos, “The Unstable Institution” in Elena Filipovic, et alii., op. cit. , 2010, pp. 39-52. 18 Il testo è stato pubblicato la prima volta in Marieke van Hal, Viktor Misiano e Igor Zabel “Biennials”, edizione speciale di MJ-Manifesta Journal 2 (Inverno 2003 – Autunno 2004). E’ stato poi ripubblicato in Paul O’Neil (a cura di), Curating Subjects; in Paula Marincola (a cura di), What makes a Great Exhibition?; e da ultimo nel Biennial Reader di Bergen nel 2011 (vd. nota precedente). 19 James Elkins, What happened to Art criticism?, Prickly Paradigm Press, Chicago 2003. 20 “The academic critical literature that specifically tackles these events is relatively scarce: barely a dozen books. […] The majority of the few voices stemming from the circles of academic critics that mention these events tend to be unanimously discrediting. In most of their view, it is a case of an epiphenomena of mass culture, of the indisputable symptoms of the assimilation of the project of the avant-garde by the culture industry. Pure and simple spectacles whose logic is nothing more than that of capitalism in its late stage.” James Elkins, op. cit., 2003, p. 42. 21 “The boundary between the art fair and the Biennale is thus blurring in some instances. Yet few critics are noticing that the art fair model is also eroding the singularity of the curated exhibitions and the individual’s ability to hypothesize and construct knowledge: the fair is indeed a celebration and an expression of pure cultural relativism – a multiplicity of positions (each booth) happily juxtaposed in the democratic space of the “free market”. Carolyn Christov-Bakargiev, The biennale syndrome, in “Janus”, anno 8, n. 2, giugno-dicembre 2007, pp. 2-5, qui p. 3. 22 Thomas McEvilley, Art & Discontents: Theory at the Millennium, Kingston, New York, 1991, p. 18. 23 Giorgia Cavicchia, Le biennali d’arte contemporanea. Da strumento di conoscenza a strumento di promozione artistica, tesi, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 2007.
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
14
visibilità che è però internazionale.24 L’aura di prestigio che circonda l’arte in generale
serve perfettamente allo scopo promozionale:
“Biennales are thus attractive to city planners, investors, local politicians and reformers
from many walks who want to develop their cities and educate people through art, as well as support tourism and foster local identity”.25
E’ nel valore simbolico dell’arte, sostiene Chistov-Bakargiev, che va trovata anche gran
parte di questo atteggiamento e nella sua capacità di catalizzare un’identificazione
collettiva. Infatti, non di rado l’idea di impiantare una biennale nasce anche da idee
progressiste che sperano di usare l’arte come uno strumento per la democrazia e la pace.
Quindi spesso queste biennali si muovono sul doppio binario di concepire l’arte sia come
strumento di pacificazione sia come catalizzatore di desiderio e consumo. Osserva Chistov-
Bakargiev che si assiste alla paradossale situazione che « investitori insieme all’industria del
turismo s’incontrano con politici progressisti nell’investire l’arte di un ruolo sociale ».26
D’altronde la biennalizzazione come germinazione della globalizzazione nel mondo
dell’arte porta con sé le sue stesse contraddizioni. Oggi la mappa del mondo dell’arte
coincide con quella del mondo intero:
“a polycentric world articulated in supranational ‘art regions’. The biennials that have proliferated across the globe serve as a relay station in a cartography unprecedented in the
modern era”.27
Quindi un discorso che abbia a che fare con le biennali deve anche aver a che fare con le
relazioni fra locale e globale. Ma se è possibile costruire una cartografia delle biennali che
indichino una specifica regione dell’arte, la cultura a cui si fa riferimento in un’area
specifica deve essere ogni volta ridisegnata28, perché la situazione del ‘locale’ è quella di
ethnoscape.29
E’ proprio l’interrelazione tra questi due aspetti a formare il neologismo che si è coniato
per descrivere queste continua dicotomia tra centro e periferia: ‘glocale’.
Parallelamente in numerosi testi si riscontra un punto di confluenza nel constatare che in
questa diffusione dell’arte contemporanea, una cosa che l’arte contemporanea ha perduto
è la sua capacità di rompere paradigmi, di rompere il linguaggio, di contraddire il
24 Liana Giorgi e Monica Sassatelli, Festivals and the Cultural Public Sphere, Routledge Londra, 2011. 25 Carolyn Christov-Bakargiev, Idem, in “Janus”, anno 8, n. 2, giugno-dicembre 2007, p. 3. 26 Carolyn Christov-Bakargiev, Idem, in “Janus”, anno 8, n. 2, giugno-dicembre 2007, p. 4 27 The Global Contemporary. Art Worlds after 1989, mostra a cura di Andrea Buddensieg e Peter Weibel, presso ZKM (Center for Art and Media Karlsruhe), 17/09/2011 – 5/02/2012, guida della mostra, p 11. 28 “The biennials needs above all to ask what kind of global culture it underwrites and how that support is made manifest” Charles Esche, Debate: Biennals, in “Frieze” n. 92, giugno/luglio/agosto, 2005, p 105. 29 Fra gli autori che rigettano il dato che la nozione di cultura può essere intesa in termini geografici è Arjun Appadurai a cui si fa riferimento con il termine ‘ethnoscape’. Cfr. Arjun Appardurai, Modernity at large: Cultural Dimension of Globalization, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1996, p. 33.
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
15
consenso, di essere radicalmente altro rispetto alla società precostituita, cosa che invece i
movimenti degli anni ’60 e ’70 avevano conquistato lavorando fuori dal white cube, fuori
da sistemi istituzionali precostituiti. Elena Filipovic in particolare mette a fuoco questa
situazione trovando nella continua ripetizione delle biennali l’occasione di affermazione
del relativismo culturale. La reiterazione di questi eventi fa si che siano « puntuali
infrastrutture temporanee che rimangono perpetuamente contemporanee » 30 con,
secondo la Filipovic, diverse conseguenze, una sopra tutte un’omogeneizzazione in
termini sia di produzione artistica che di allestimento. Se durante gli anni ’90 si è
variamente sottolineato che il modello biennale costituisse un’alternativa alla staticità e
obsolescenza per il museo,31 la Filipovic intende porre l’accento sul fatto che nonostante le
differenti tradizioni entro cui si radicano le biennali, la tipologia di arte e il tipo di
allestimento che riprende quello del white cube modernista ha fatto semplicemente
accadere che le stesse modalità espositive venissero replicate.
In questo senso, si legge fra le righe, l’a-temporalità avocata da un allestimento white cube
è consono nell’intenzione di un’istituzione che aspira nelle intenzioni ad essere perenne.
Certamente la questione non è pacificata, i valori a cui fa riferimento e le posizioni rispetto
all’ordine politico e mondiale sono spesso in tale contrasto con una posizione di questo
genere da far rimanere nel testo la domanda aperta, pur invocando in realtà un tipo di
cambiamento – secondo “modelli di resistenza” alla Enwezor32 - che vada nella direzione di
una maggiore dialettica fra le opere e la loro presentazione così come anche con il
visitatore.
La conclusione della Filipovic non è certo pacificante ed è interessante contrapporvi la
ricerca condotta dal Walker Art Center che si interroga come l’istituzione possa contribuire
nel processo di nuova ri-mappattura continuamente in atto e quali possano essere le
strategie interpretative da mettere in gioco. 33 La risposta che da Philippe Vergne
30 “These perennial exhibitions, therefore, perceive themselves as temporally punctual infrastructures that remain forever contemporary and in burdened by collecting and preserving what the vagaries of time render simply modern” Elena Filipovic “The Global White Cube” in Barbara Vanderlinden e Elena Filipovic (a cura di), The Manifesta decade: Debates on Contemporary Art Exhibitions and Biennials in Post-Wall Europe, Manifesta, Bruxelles e Cambridge, 2005, pp. 63-84, qui p. 66. 31 Si vedano in questo senso anche le premesse della documenta 10 di Catherine David che sono centrate proprio su questa distinzione. Cfr. Robert Storr, Kassel Rock: Interview with curator Catherine David, in Artforum 35, n. 9, maggio 1997, p. 77. 32 Okwui Enwezor, Mega-exhibitions and the Antinomies of a Transnational Global Forum, in “MJ-Manifesta Journal”, n. 2, inverno 2003-primavera 2004, p. 31. 33 “The Walker’s global initiative and the Exhibition How Latitudes Becom Forms provide us with unique opportunities for institutional change. Our efforts to refine and perhaps reformulate the multidisciplinary mission of the Walker Art Center reflect our experiences in dealing with a greater hybridity of practices and elasticity of definitions.” Kathy Halbreich, Foreword, in Philippe Vergne et alii (a cura di), op. cit., 2003, p. 4.
SEZIONE I – IL FENOMENO DELLA BIENNALIZZAZIONE
16
nell’articolato progetto di How Latituted become forms,34 prendendo a sostegno le teorie
di Homi K. Bhabha sulla necessità di una ri-collocazione della nozione di modernità
dell’Occidente, 35 intravede proprio nella nozione di “cambiamento permanente” una
soluzione.36
34 How Latitudes Become Forms: Art in a Global Age, a cura di Philippe Vergne, presso Walker Art Center, Minneapolis, 02-05 2003; presso Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per L'Arte Torino, 01/07 -14/09 2003; presso Contemporary Arts Museum Houston Houston, Texas: 17/07 – 19/09 2004. 35 Philippe Vergne Idem, in Philippe Vergne et alii (a cura di), op. cit., 2003, p. 20; Cfr. anche Homi K. Bhabha, The Location of Culture, Routledge, Londra e New York, 2001, p. 15. 36 “The project began by asking such questions: How can the Walker Art Center as an institution contribute to a revamping of its own structures? How can we build an institution that generates at every level of its activities different practices, different scholarships, and different interpretative strategies growing out of the sedimentation of our history? […] in the context of a museum of modern and contemporary art, it means that the institution has to overcome a major contradiction: between is mission of preservation and permanence and it mission of change. The notion of “permanent change” might be the solution” Philippe Vergne Idem, in Philippe Vergne et alii (a cura di), op. cit., 2003.
SEZIONE I - LA VOGA DEL CONTEMPORARY
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33. La voga del ‘contemporary’ 1
E’ un dato conclamato in diversi testi che la biennalizzazione ha determinato
l’affermazione di quello che viene chiamato “contemporary art.” Il legame fra le biennali e
l’arte contemporanea è duplice. Da una parte queste esposizioni sanciscono e veicolano
l’arte contemporanea, dall’altra l’investimento simbolico di cui è carica l’arte
contemporanea legittima il sistema espositivo o anche, come sostiene Catherine Millet, la
capacità dell’arte di avere una visione allargata consente di posare lo sguardo ben oltre le
frontiere nazionali e le rivendicazioni nazionalistiche: « il mondo dell’arte è terra
d’accoglienza ».2 Un legame che aveva sottolineato già Walter Benjamin nel suo celebre
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica indicando il prevalere del valore
di esponibilità dell’opera d’arte con la conseguente assunzione di funzioni nuove.3
Sulla scorta di questa condizione sono sempre di più gli studiosi, come ad esempio per
l’Italia, Roberto Pinto,4 che nell’intento di comprendere il campo estremamente articolato
dell’arte contemporanea utilizzano come strumento di indagine e filtro di comprensione le
grandi esposizioni.
In che modo questo è avvenuto? Seguendo i raffronti che fa Charlotte Bydler tra l’EXPO e la
Biennale di Venezia.5 La studiosa sottolinea che se entrambe rispondo ad un grande
1 La scelta di usare la parola inglese in questo testo al posto di quella italiana è perché in ambito anglofono la portata di questa piccola rivoluzione nell’ambito della nomenclatura è più chiaro. In ambito italiano, come viene spiegato nel testo, “contemporaneo” viene usato secondo briglie più larghe e indica un orizzonte di riferimento molto vasto foriera di sovrapposizioni di significato. 2 Catherine Millet, L’arte contemporanea. Storia e geografia, Libri Scheiwiller, Milano 2007 (ed. or. L’Art contemporain. Histoire et géographie, Flammarion, Parigi, 2006), p. 81. 3 “L’opera d’are era diventata strumento di magica (nelle età primitive), che in certo modo soltanto più tardi venne riconosciuto quale opera d’arte, oggi, attraverso il peso assoluto assunto dal suo valore di esponibilità, l’opera d’arte diventa una formazione con funzioni completamente nuove, delle quali quella di cui siamo consapevoli, cioè quella artistica, si profila come quella che in futuro potrà venir riconosciuta come marginale” Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, 2000 (ed. or. Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1955), p. 28. 4 “Per cercare di delimitare il campo di studio estremamente articolato rappresentato dagli ultimi decenni dell’arte contemporanea abbiamo usato come filtro le grandi mostre e i cataloghi che le hanno accompagnate” Roberto Pinto, op. cit., 2012, p.12. 5 Pur essendo il testo di Bydler un testo importante e fa i primi a fare i conti con il rapporto fra biennali e globalizzazione la trattazione delle singole Biennali appare superficiale e – in particolare nel caso della Biennale di Venezia – anche erronea. Pur dichiarando di non voler far riferimento ai cataloghi per basare le sue
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numero di interessi locali, basati su politiche territoriali tanto quanto su interessi personali
di tutti gli attori implicati,6 la differenza sta in una particolare caratteristica organizzativa
che le distingue profondamente. Contrariamente agli EXPO le biennali “appaltano” la
scelta del tema, dei partecipanti dell’allestimento a persone ‘esterne’, perlopiù curatori
freelance. In questo modo la divisione e selezione dei lavori e le scelte espositive hanno
determinato il carattere delle biennali7 e dell’arte ivi esposta. Non sono poche d’altronde le
osservazioni relativamente alla poca novità nella scelta dei curatori e degli artisti. Notava, a
conferma di ciò, Francesca di Nardo come la biennale di Bruxelles del 2007 venisse
posticipata per la mancanza di artisti già impegnati in altre grandi esposizioni. 8
Sembrerebbe quindi che a spiegare l’affermazione dell’arte contemporanea sia dovuto ad
un circolo stretto fatto delle stesse persone legate ad una struttura che le ha determinate.
Una spiegazione deterministica e postmarxista che lascia però inevase le caratteristiche
dell’arte contemporanea.
Jonathan Harris nell’introduzione alla sua raccolta di saggi sui rapporti fra arte e
globalizzazione, tira le fila e si chiede dunque che “cos’è l’arte contemporanea?” e sostiene
che, qualunque cosa voglia dire esattamente non si riferisce ad un periodo specifico. La
parola “arte” si riferisce a pittura, scultura, fotografia, film, video, digital media, architettura
e via dicendo, mentre la parola “contemporary”, come d’altronde “globalizzazione”, non ha
un significato ultimo riconosciuto: si fonde in “recente”, “postmoderno” e financo con
conoscenze sulle esposizioni la trattazione è sbrigativa e nell’arco temporale preso in considerazione omette, non deliberatamente, l’edizione di Celant del 1997, Cfr. pp. 100-110 e in particolare p. 106. 6 “Seen from the perspective of political patrons, boards, artists, invited artistic leaders, and curators, the interests represented at the art biennials are as complex as those at the great Exhibition of 1851. Interests include the local motivation to host new biennial, often based on regional politics as much as personal interest. It also takes an organizer with art world connections to boost the local professional art scene. This calls for a legitimation of the event within the right networks, to determine the target audience, eventual partners, and the organization. Next on this list of interests are the invited curators’ motivations behind the selection of layout, artists, and theme in each edition. Too, the artists who are invited to exhibit often benefit from the opportunity to travel an expand their market. This includes networking within the local art scene, where critics, curators, gallery dealers, art historians, and artist may also appreciate the vitalized atmosphere. Biennial opening often feature seminars, a favourable environment where guest lecturers market their names and ideas. Representatives of the international press and various curators also join together to collect novelties and possible regional particularities within the art scene. And finally, the catalogue contributors, whose texts then circulate in the right networks, also represent a special interest.” p. 96-97 7 “In contrast to the World Expo, most international art biennials have handed over the exhibition theme, partecipants, and layout to centrally appointed (often freelance) curators. Thus, the categorization and judgment of artworks, and the narrative layout, have depended on the biennial’s character.” p. 97 8 “The previously announced Brussels Biennial, due to have been held in the Belgian capital between June and September, has been postponed to 2008. Among the various motivations behind this shift one is particularly striking and indicative of the general situation: the lack of artists. The curators in fact came up against the impossibility of presenting a valid exhibition programme as many of the selected artists were already committed to other major exhibitions” Francesca Di Nardo “Around the world in 28 Biennials. A brief numerical review of the big exhibitions of 2007”, in “Janus”, anno 8, n. 2, giugno-dicembre 2007.
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“moderno”. Alcune volte si riferisce a questioni di stile o di utilizzo di un particolare
medium o di una particolare condizione di produzione.9
Nel 2009 su October10 uscivano alcune delle risposte del questionario elaborato da Hal
Foster e dagli editori della rivista, incentrato sulla ricerca di una definizione di una pratica,
quella dell’arte contemporanea, riconosciuta come operante, ma sfuggente a definizioni
chiare. L’impressione che rileva Foster è che parole come “neoavanguardia” o
“postmodernismo” che fino a poco tempo prima avevano acceso dibattiti intorno all’arte e
alla sua teoria, si siano dissolte. Conferma in questo senso la si trova anche nei testi del
catalogo di Altermodern – tenutasi lo stesso anno della pubblicazione del questionario di
October, ndr – in cui Il curatore sostiene che l’accezione di “contemporary” abbia in
qualche fornito il pretesto per uscire dall’empasse del dibattito tra “moderno” e
“postmoderno”, abbandonando l’idea modernista di un’autonomia dell’arte e rifiutando
una sistematizzazione della produzione artistica.11
In realtà la proposta di Nicholas Bourriaud di « discover the current habitations of
contemporary practice » 12 si stigmatizza in una parola “altermodern” (alter= diverso;
modern = moderno), che riporta la questione della modernità in primo piano, sia perché il
termine di confronto rimane la modernità,13 sia perché la descrive come il « vuoto che
segue il postmoderno » il cui punto di partenza è costituito da molteplici temporalità, da
una visione positiva del caos e della complessità trae le sue radici nell’idea di “altro”,
suggerendo varie alternative a una singola strada. La proposta fatta dal curatore della Tate
Triennial di una dicitura alternativa a “contemporary” non è pacificante in quanto labile e
piena di contraddizioni che aprono ulteriormente il dibattito. Okwui Enwezor stesso, che
partecipa con un testo in catalogo, propone quattro diversi tipi di declinazioni per il
moderno - quasi “singular modernity”14 - che possano, descrivere diverse architetture del
9 “A cursory look at the essays in this book demonstrates that “contemporary”, whatever it may mean, does not refer to art made only, say in 2010. “art” will include, for instance, discussion of painting, sculpture, photography, film, video, and digital media, installation and mixed media, but also architecture and design, the built environment, and the realms of popular and mass culture beyond. “contemporary”, like “globalization” itself, has no finally secure sense: it merges inevitably into “recent”, the “postmodern, and back to “modern” itself. Its meanings are sometimes deemed a matter of style, or of choice of medium, or working situation (e.g. “site-specific” “relational aesthetics”). Jonathan Harris, Globalization and Contemporary Art, Blackwell, Oxford, 2011. 10 OCTOBER 130, Autunno 2009, pp. 3-124. 11 Nicholas Bourriaud, “Altermondern” in Altermondern Tate Triennial, catalogue, Tate Pubblishing Londra, 2009, p. 11-23. 12 Okwui Enwezor “Modernity and Postcolonial Ambivalence” in Nicholas Bourriaud, op. cit, 2009, p.30. 13 Bourriaud inoltre sostiene che il modello dell’artista è quello del nomade culturale derivato dall’ idea modernista boudleriana di flânerie trasformata in una tecnica per generare creatività e conoscenza “The artist turns cultural nomad: what remains of the Baudelairean model of modernism s no doubt this flânerie, transformed into a technique for generating creativeness and deriving knowledge” Nicholas Bourriaud, op. cit., p. 13. 14 Cfr. Jameson, Fredric A Singular Modernity: essay on the Ontology of the Present, Londra e New York, 2002.
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pensiero che differiscono per vita e pratiche culturali. 15 Curiosamente, inoltre, se si
consulta un dizionario, il significato corrente di “moderno” – e questo è valido per molte
lingue – cioè di essere del proprio tempo ciò è stato assunto dalla parola “contemporary”.
Tuttavia quello che appare da questo piccolo excursus sulle problematiche di
nomenclatura e definizione intorno alla questione del “contemporary” è che vi sono
numerose posizioni che collidono e collimano nel confondere le acque nonostante l’arte
contemporanea sia oggetto di corsi universitari di storia dell’arte e che l’appellativo di
“contemporaneo” sia doveroso per qualunque istituzione si occupi dell’arte del XX secolo.
In ambito anglofono16 la “novità” dell’uso della parola “contemporary” è certamente più
evidente, considerando da una parte il legame con le teorie moderniste che hanno
dominato l’accademia per oltre trent’anni e che quindi anche nei testi di storia dell’arte
almeno fino al 2000 la recente produzione artistica veniva definita prima “modern” e poi
“postmodern.” Un esempio sopra tutti è ad esempio il testo Art since 1900 di Rosalynd
Krauss, Benjamin Buchloh e Hal Foster che si attesta anche come una forma di resistenza.17
In ambito italiano invece questa “novità” a livello di nomenclatura si è percepita in maniera
minore dal momento che già negli anni ‘70 si utilizzava la parola per indicare la recente
produzione artistica, basti pensare alla mostra Contemporanea, svoltasi a Roma nel 1973.
Inoltre l’uso della distinzione buracratica fra ‘moderno’ e ‘contemporaneo’ nei programmi
universitari che definiva ‘moderna’ l’arte e la storia dal tardo 1300 alla fine del 1700 e
‘contemporanea’ quella dall’inizio dell’800 ai nostri giorni ha svuotato la parola di un uso
specifico e ha permesso la convivenza di modi diversi di usare l’accezione
‘contemporaneo’ senza creare conflitti o contraddizioni, così ad esempio Lara-Vinca Masini
titola Arte Contemporanea18 la sua storia dell’arte del ‘900 e Claudio Zambianchi scrive una
storia dell’arte contemporanea dall’espressionismo astratto alla pop art.19
Le ragioni di questa situazione vanno collocate in un diverso quadro teorico di riferimento
per l’Italia rispetto all’America e i paesi anglofoni, che nel secondo dopoguerra ha una
15 Le quattro condizioni della modernità sono per Enwezor: ‘supermodernity’, ‘andromodernity’, ‘speciousmodernity’ e ‘aftermodernity’, Cfr. Okwui Enwezor “Modernity and Postcolonial Ambivalence” in Nicholas Bourriaud, op. cit., 2009, pp. 34-38. 16 Per una ricostruzione della trattazione dell’uso della definizione di “arte contemporanea” nelle trattazioni di storia dell’arte in ambito anglofono consulta Terry Smith, The State of Art History: Contemporary Art, in “Art Bulletin”, XCII, n.4, dicembre 2010, pp. 366-383. 17 “By organizing entries according to the year of the occurrence of their content, it tracks above all the contemporaneity of modern art, rather than its history – at most it implies a limited numbers of histories of modernist art. [….] While a large portion of the entries are devoted to artists active since the 1960s, it leaves ambiguous the question of whether anything fundamental has changed.” Terry Smith, What is contemporary Art?, University Chicago Press, Chicago, 2009, p. 252. 18 Lara Vinca Masini, Arte contemporanea. La linea dell'unicità. Arte come volontà e non rappresentazione (1 e 2 vol.), Arte contemporanea. La linea del modello. Arte come progetto del mondo (3 e 4 vol.), Giunti Editore, Milano, 1989. 19 Claudio Zambianchi, Arte contemporanea: dall’espressionismo astratto alla pop art, Carocci, Roma, 2011
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vivace e propria vita culturale animata da importanti storici dell’arte del calibro di Carlo
Giulio Argan, Filiberto Menna, Luciano Caramel, Maurizio Calvesi, Gillo Dorfles solo per
citarne alcuni, forte di una lunga tradizione storico critica di ascendenza crociana e
distante, anche se non ignorante, dalle teorie greenberghiane.
Al di là delle definizioni il fatto che un diverso tipo di arte legata all’espandersi della
globalizzazione abbia fatto irruzione è ugualmente percepito come dimostra ad esempio
l’estratto che segue dell’italiano Renato Barilli: « Il fatto davvero nuovo, in quest’alba di
secolo e millennio, è la caduta del vecchio privilegio occidentale. […] si può dire davvero
che sia scesa su tutti i cultori dell’arte una specie di Pentecoste espansa. […] andate
dovunque, predicate, applicate a piacimento questi canoni di libertà strumentale,
fotografate fette ampie di realtà, folclorica, tradizionale o ibridata »20
Un approccio costruttivo per fare chiarezza sulle caratteristiche dell’arte contemporanea ci
viene da Alexander Alberro che, sulla scorta di Foucault, afferma che certe formazioni
discorsive si sono cristallizzate in un’episteme - the contemporary, appunto - determinata
dalla confluenza di diversi fattori, quali tematiche di integrazione globale a anti-
globalizzazione nelle opere degli artisti, dalla proliferazione di esposizioni su grande scala,
l’avvento di un nuovo immaginario tecnologico e high-tech, l’ibridazione delle forme, uno
spostamento nelle strategie dal conflitto dell’avanguardia alla cooperazione e,
sorprendentemente, dal riemergere di un’estetica dell’affetto. 21
Che quindi l’arte dopo la globalizzazione sia cambiata e con essa il sistema dell’arte è un
fatto quindi condiviso. Ma quali le sue caratteristiche?
Con la stessa metodologia usata dagli autori di October, ma anticipandoli di qualche anno,
Catherine Millet22 interrogava i musei intorno all’arte contemporanea partendo da una
domanda per certi versi singolare: « Ritiene che tutta l’arte prodotta sia
‘contemporanea’?» 23 . Questo procedere di Millet e la sua domanda definiscono
innanzitutto alcuni termini metodologici della questione. Innanzitutto l’indagare tramite
questionario partecipa di un modo particolare della produzione culturale contemporanea
che è proprio quello della discorsività, di una situazione orizzontale che permetta il
20 Renato Barilli, Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005 Feltrinelli, Milano, 2006, pp.193-195. 21 Alexander Alberro, “Periodising Contemporary Art” in Jaynie Anderson (a cura di), Conflict, Migration and Convergence. The Proceeding of the 32nd International Congress in the History of Art, Miegunyah Press, Melbourne, 2009, pp. 935-939. 22 Catherine Millet, l’Art contemporain. Histoire et géographie Flammarion, Parigi, 2006. 23 "Considérez-vous que tout l’art produit adjourd’hui est “contemporain”?,” Catherine Millet, op, cit., 2009, p. 8.
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confronto. Non a caso il genere dell’intervista gode oggi di grande fortuna come forse mai
prima. 24
In secondo luogo chiedersi se tutta l’arte sia ‘contemporanea’ comporta due
considerazioni, una spaziale di tipo inclusivo/esclusivo (basta che sia temporalmente
contemporanea l’arte per essere considerata tale non ci interessa dove sia prodotto? Se è
importante il luogo dove sia prodotta vuole dire che ci sono luoghi che producono arte
più “contemporanea” di altri? L’arte contemporanea è in qualche modo una produzione
contemporanea di uno specifico paese, luogo o regione?) e una temporale25 (basta che
l’arte sia prodotta in tempi recenti perché sia considerata contemporanea? Ma quanto
recenti? Ci sono delle caratteristiche dell’opera che potrebbero non essere abbastanza di
“questo tempo” per essere considerati contemporanei?).
E’ necessario partire proprio da questa particolare temporalità del “contemporary” perché,
con Agamben, sembra che nell’essere “contemporary” non ci sia semplicemente un luogo
cronologico essa appare più come qualcosa che urge dentro di esso e lo trasforma.26
L’adesso è inafferrabile sfuggendo continuamente tra un “non ancora” e un “non più”, per
questo « coloro che hanno cercato di pensare la contemporaneità, hanno potuto farlo solo
a patto di scinderla in più tempi »27 con la singolare capacità di mettere « in opera una
relazione speciale fra i tempi ». Agamben esemplifica come tempo contemporaneo per
eccellenza sia il tempo messianico, l’essere contemporanei del messia, che egli chiama
appunto “il tempo-di-ora”. Non solo questo è un tempo indeterminato, ma esso ha la
capacità singolare di mettere in relazione ogni istante del passato. « Ciò significa che il
contemporaneo non è soltanto colui che percependo il buio del presente, ne afferra
l’inesitabile luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di
trasformarlo e di metterlo in relazione con gli altri tempi ». 28
Il tempo messianico è dunque quello di un eterno presente, di una formulazione
dell’atemporalità che, come si è visto nel paragrafo precedente sembra essere anche una
caratteristica degli allestimenti di tante biennali.
Ma questa caratteristica temporale del contemporary, che tanto stupiva Filipovic porta con
se un’affermazione temporale protesa della lunga durata perché è innanzitutto
24 Proprio nel libro che rappresenta il successo del genere dell’intervista di Hans Ulrich Obrist si trova un testo che ne commenta la diffusione. Cfr. Michael Diers, “La conversazione infinita, ovvero l’intervista come forma d’arte”, in Hans-Ulrich Obrist, Interviste, vol. 1, Charta Milano, 2003, pp. 13-25. 25 Questa precisazione intorno alle caratteristiche temporali e spaziali dell’arte contemporanea, che in Millet corrisponde alla realizzazione del progetto moderno, trova nel suo testo una trattazione divisa in “temporalité” e “topologie”. 26 Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo? I sassi nottetempo, Roma 2008. 27 Giorgio Agamben, op. cit., 2008, p. 22. 28 Giorgio Agamben, op. cit., 2008, p. 24.
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23
un’asserzione, una dichiarazione di esistenza nel tempo che è ontologica, tanto che
trascina con se la dimensione spaziale. Cerchiamo di capire in che modo.
La dichiarazione di “contemporaneità”, argomenta Bydler29 è legata soprattutto ad un
discorso di posizionamento all’interno dell’orizzonte globale degli eventi e si riferisce
soprattutto ad una specifica comunità. Contemporary art e globalizzazione avverte, sono
“narrazioni” che appartengono ad una specifica prospettiva che è innanzitutto
occidentale. I riferimenti testuali in cui la teoria della globalizzazione e di conseguenza del
“contemporary” sono legati alla tradizione dell’universalistica storica dell’arte occidentale
scritta o tradotta in inglese.30 Prendendo in esame come esempi la nascita di alcuni centri o
biennali in ambito lituano e cinese, la studiosa sottolinea che lo sforzo dei curatori di aprire
l’arte locale all’internazionalità s’inscrive nell’idea uniformante di modernizzazione
necessaria del mondo intero. L’arte contemporanea appare come una specifica unità
sociale produttiva che chiede la cooperazione o partecipazione in un social network
internazionale riconosciuto, transnazionale ma di derivazione occidentale, seppur con
caratteristiche di semi-autonomia. Quindi le pratiche artistiche riconosciute come
contemporanee sono tali se in qualche modo hanno un pedigree occidentale. In questo
senso quindi, come aveva anche notato Filipovic, la distanza tra museo e biennali si
assottiglia nel momento in cui le grandi esposizioni internazionali rappresentano
l’istituzione che sancisce l’appartenenza alla contemporaneità.
Come nota anche Bydler la situazione è però controversa perché “contemporary” non è un
“modern” globalizzato.31 I confini di cosa possa essere contemporary sono così ampi, si
pensi alla definizione di Alberro, che ammette anche la contraddizione.
In questo senso un grande contributo viene dalle teorie post-coloniali e soprattutto dalle
opere d’arte stesse. Si veda in questo senso l’importanza di Magiciens de la terre come il
punto di apertura ad una nuova fase che coincide anche con la considerazione di temi
cruciali come una diversa concezione di cosa sia la produzione artistica, che vi possano
essere multiple storie dell’arte, e della possibilità di un artista di potersi esprimere come fu
il caso di artisti africani o aborigeni che non sarebbero stati altrimenti mai stati presi in
considerazioni - famoso in questo senso è lo sfogo di Jimmie Durham nella difesa
dell’esposizione parigina.
29 Charlotte Bydler, “Global Contemporary? The Global Horizon of Art Events” in Jonathan Harris, op. cit, 2011, pp. 463-478. 30 Bydler commenta che questa situazione fa si che testi pur pregevoli rimangano comunque parziali e legati ad una storiografia occidentale, Charlotte Bydler, op cit., 2004, p. 475. 31 “An institutional demarcation exists between contemporary art and modern art […] modernism is highly relevant for the postmodernist, while the contemporary art world distances itself from both”, Charlotte Bydler, op. cit., 2004, p. 474.
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24
Quando si parla di ‘contemporaneity’ è possibile, ricalcando le controversie intorno alla
positività o meno del termine globalizzazione, ascriverla in un piccolo universo
autoreferianziale di ascendenza occidentale che si espande e trova il suo riconoscimento
nella sua stessa espansione, da alcune specifiche esposizioni che reclamano la propria
specificità in opposizione alle opere d’arte stesse che non potrebbero che essere più
diverse l’una dalle altre in tutti i loro aspetti dai medium, ai contenuti, alla provenienza,
all’effetto.32 Nota Terry Smith che si assiste alla paradossale situazione che non tutta l’arte
contemporanea ha una aspetto “contemporaneo” e alle volte non sembra neanche arte.
« Il linguaggio (dell’ arte contemporanea) ha assunto uno spettro di possibilità espressive
che ingloba ogni mezzo. Queste sperimentazioni hanno inteso aumentare il valore
dell’invenzione: le nuove modalità esecutive non sono giochi immotivati, ma naturali
riflessi del modo in cui si vive, si produce, si consuma, ci si scambiano informazioni. In un
secolo si è andato creando il bagaglio di una nuova tradizione. » 33 L’effetto della
globalizzazione è stato infatti quello di accentuare « l’idea che non esista per l’uomo un
progetto unitario, ma un insieme di possibilità che si avverano ».34
Eterogeneità, pluralità, particolarità, canoni convivono in un orizzonte culturale altrettanto
sfaccettato che sembra sfuggire ad un’interpretazione, la cui mancanza Peter Timmis
invoca a spiegazione di una fondamentale incomprensibilità ermetica dell’arte
contemporanea.35
Certamente i confini di cosa sia arte sono più espansi che mai e come ricorda Julian
Stallabrass in Internet Art,36 alcuni artisti del net rifiutano la nozione di ‘arte’ perché troppo
restrittiva rispetto alle loro pratiche. Per certi versi, infatti, sembra possibile concordare con
Hans Belting che suggerisce come nell’epoca nell’accesso ognuno può proporsi artista o
meglio creativo per cui egli suggerisce di sostituire la parola arte o creatività, ma rimane il
sospetto che sia una concessione all’industria culturale che vende illusoria democrazia e
autonomia per pochi spiccioli.
32 Terry Smith, op. cit., 2009, p. 251. 33 Angela Vettese, Si fa con tutto. Il linguaggio dell’arte contemporanea. Laterza, Bari, 2010, p. V. 34 Angela Vettese, op. cit., 2010, p. VII. 35 Peter Timms, What’s Wrong With Contemporary Art? University of New South Wales, Sydney, 2004. Alla riluttanza da parte degli studiosi di comprendere l’arte contemporanea egli attribuisce la mancanza di confidenza da parte del pubblico in questo genere di arte. Così anche Bydler notava come il “general public” a cui in realtà la maggior parte delle grandi esposizioni si rivolge, siano in realtà totalemente assente dalle inaugurazioni ed eventi costruiti per lo più per il network sociale dei professionisti dell’arte contemporanea, Charlotte Bydler, op. cit., 2004, p. 467. 36 Julian Strallabas, Internet Art: The Online Clash of Culture and Commerce, Tate, Londra, 2002.
SEZIONE II - 1993
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44. 1993. La 45esima Biennale di Venezia. I Punti Cardinal i del l ’Arte.
La 45esima Biennale di Venezia, ricordata spesso per essere stata l’ultima ad ospitare
Aperto1 - la sezione dedicata ai giovani artisti - , viene presa in considerazione in questa
ricerca soprattutto perché fu la prima edizione, dopo la caduta del muro di Berlino, ad
incarnare lo spirito di un “mondo cambiato” da questo evento e ad inaugurare una svolta
nel fare espositivo degli anni ’90.
La caduta del comunismo, la fine della Guerra fredda, l’apertura dei confini e, in altri
termini, l’esplosione della globalizzazione fecero di questa fase un periodo di
sperimentazione e di fiducia in un nuovo melting-pot culturale, nonostante l’affacciarsi in
Europa agli inizi degli anni ’90 della crisi economica.
Lo sforzo italiano per evitare la svalutazione monetaria profuso durante il governo
dapprima di Giuliano Amato 2 e poi di Carlo Azeglio Ciampi 3 (che non impedì la
temporanea uscita dell’Italia dallo SME - Sistema Monetario Europeo) e l’attuazione di una
politica economica di risanamento caratterizzata dall’aumento delle imposte e dal
contenimento della spesa pubblica si associarono ad un’imponente crisi politica, dovuta
1 Aperto nacque da un’iniziativa di Achille Bonito Oliva e Harald Szeeman nel 1980 e venne organizzato in occasione della 39esima Biennale di Venezia diretta da Luigi Carluccio (1 giugno – 28 settembre 1980). La mostra, dedicata ai giovani artisti, si svolse presso i Magazzini del Sale ed ebbe un grande successo. Nelle edizioni successive il format basato sulla scelta di giovani artisti da parte di giovani curatori venne riproposto, diventando così nell’arco di 10 anni parte integrante della manifestazione arti visive. Bonito Oliva, che aveva compartecipato alla sua prima realizzazione, sarà protagonista anche della fine di questa parabola. In seguito sarà paradossalmente il direttore di Flash Art Giancarlo Politi (che in questa edizione fu implicato in uno scandalo legato al copyright e alla pubblicazione di un catalogo Aperto targato Flash Art) a portarne avanti l’idea negli anni ’90, realizzando Aperto presso il museo Trevi Flash Art nel 1995 e nel 1997. 2 Il governo presieduto da Giuliano Amato durò dal 28 giugno 1992 al 28 aprile 1993. 3 Il governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi (28 aprile 1993- 10 maggio 1994) s’insediò a seguito delle dimissioni di Amato. Fu il primo esecutivo nella storia repubblicana a non essere stato formato da un parlamentare (Ciampi era infatti governatore della Banca d’Italia) e ad essere definito come “governo di tecnici.” Cfr. Marcello De Cecco, Storia dello Stato Italiano dall’Unità a oggi, Donzelli Editore, 1995, p. 71.
SEZIONE II - 1993
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alla fine della cosiddetta “Prima Repubblica” a seguito dell’inchiesta nota come
“Tangentopoli”4.
La crisi monetaria, che a differenza di quella del 2008 fu dovuta a fattori endogeni5, viveva
già in quegl’anni in un orizzonte extra territoriale; fu, infatti, la pressione della speculazione
internazionale a portare ad una forte svalutazione della lira e fu proprio questa crisi che
accelerò la creazione di una moneta e di una politica monetaria comuni a tutti i
partecipanti dello SME in seguito agli accordi di Maastricht.
Questo scenario entro cui si svolse la Biennale del 1993 influenzò gli aspetti organizzativi
della mostra e in generale tutte le attività dell’Ente, tanto da causare situazioni di
ristrettezza economica e difficoltà operative.
Una rigorosa aderenza cronologica prevedrebbe di iniziare la narrazione a partire dalla
prima Biennale successiva alla caduta del Muro ovvero la 44esima, tenutasi nel 1990 e
diretta da Giovanni Carandente6. Tuttavia in tale edizione, sebbene sia stata in effetti la
prima organizzata dopo il 1989, non si ravvisarono ancora i segni del cambiamento
culturale che un simile evento portava con se.
Fu invece, come descritto nei prossimi paragrafi, la Biennale di Achille Bonito Oliva nel
19937 ad incarnare fin dai primi momenti l’afflato di rinnovamento portato dalla caduta di
vecchi confini e l’avvento della globalizzazione; lo stesso Bonito Oliva infatti immagina
come la Biennale abbia potuto rappresentare in quel particolare momento storico il
contesto giusto per ospitare la disseminazione della creatività artistica e organizzazioni di
tipo non egemonico.8
4 Lo scandalo che all’epoca i giornalisti chiamarono “Tangentopoli” portò alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti che interessava ai livelli più alti del mondo politico e finanziario, causando il ridimensionamento o addirittura la scomparsa di storici partiti italiani e segnando il passaggio alla cosiddetta “Seconda Repubblica”. 5 Salvatore Rossi, Aspetti della politica economica italiana dalla crisi del 1992-93 a quella del 2008-09 (versione riveduta e ampliata di alcuni capitoli di La Politica economica italiana 1968-2007, Editori Laterza, 2007). Relazione realizzata in occasione della Giornata di studio in onore di Guido M. Rey L’economia italiana: modelli, misurazione e nodi strutturali, presso Università Roma Tre di Roma, 5 marzo 2010, http://www.bancaditalia.it/interventi/altri_int/2010/rossi-050310/Rossi_050310.pdf 6 Giovanni Carandente fu direttore del settore arti visive della Biennale di Venezia per il quadriennio 1988-1992, insieme a Guglielmo Biraghi (Cinema), Francesco Dal Co (Architettura), Sylvano Bussotti (Musica), Carmelo Bene (Teatro) 7 La Biennale arti visive si sarebbe dovuta tenere nel 1992; lo slittamento al 1993 nacque dal desiderio di farla coincidere con gli imminenti festeggiamenti del centenario del 1995. 8 “Oggi ci troviamo di fronte a una situazione di disseminazione della creatività artistica […] non esistono modelli egemonici, […] ma c’è in qualche modo l’appartenere a un tessuto geografico e storico in continuo spostamento.” […] Per cui direi che la Biennale potrebbe proprio rappresentare quel luogo ideale dove questa disseminazione trova accoglienza e non disposizione gerarchica”. Bonito Oliva, Achille, Incontro dei paesi 3-4 Luglio 1993 p. 6, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, busta n. 405 (provvisorio), d’ora in poi abbreviato La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n.
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Nonostante ciò è necessario segnalare come la Biennale di Carandente, intitolata
Dimensione Futuro, lasci comunque intravvedere lo sforzo di comprendere la
trasformazione in atto, in particolare attraverso l’esposizione del padiglione Italia
Ambiente Berlin dedicata ai cambiamenti culturali, politici ed economici che seguirono la
caduta del muro, con l’intento di una “riappropriazione della centralità dell’arte europea.”9
Carandente, pur volendo svecchiare la formula espositiva senza presentare un tema
specifico e scegliendo per lo più giovani artisti, cosa che poi diventerà una caratteristica
delle Biennali a venire10, concepì la Biennale del 1990 in modo tradizionale e senza nessuna
proposta reale intorno all’arte contemporanea, sicché Ambiente Berlin, pur essendo un
esperimento interessante e degno di nota, non può essere preso in considerazione come
punto d’inizio di questa trattazione.
L’orizzonte temporale attraverso il quale si sviluppa l’indagine va quindi delineato
considerando non solo le vicende della Biennale ma anche la più vasta storia delle
esposizioni. Questa opzione metodologica presenta il duplice vantaggio da un lato di
consentire di trascurare le dispute circa quale sia stata la prima Biennale11 a mostrare segni
del cambiamento e, dall’altro, di concentrare l’attenzione su quella che più di altre ha
messo in campo strategie in risposta allo specifico scenario culturale in atto. In particolare
in questa ricerca s’intende sottolineare l’importanza di una mostra, quale la Biennale di
Bonito Oliva, per lungo tempo trascurata da storici e critici.
E’ inoltre interessante notare come alcuni prodromi di questa nuova “sensibilità” possano
essere ravvisati, più che nella concezione generale che avrebbe ispirato una specifica
edizione della mostra, in talune esposizioni che l’hanno accompagnata. Fra queste la prima
edizione di Aperto può essere annoverata come importante esempio per individuare
segnali di un cambiamento nelle metodologie espositive. Il format adottato 12 e
9 Giovanni Carandente, “Novembre a Berlino” in Ambiente Berlin. XLIV Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Fabbri Editori, Milano, 1990, p. 15. 10 “L’approccio tematico viene definitivamente abbandonato come paradigma teorico e storico-critico alla fine degli anni ’80 […] con le Biennali di Carandente del 1988 e 1990” Laura Poletto L’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia 1968-1997. Organizzazione, metodo, ricezione critica, tesi di dottorato, Ca’ Foscari, 2012, p 728. 11 Un dibattito che corre parallelamente alle tematiche del presente studio e che pone la questione della precedenza è quello intorno alla biennalizzazione. Molte delle posizioni a riguardo sono state analizzate nella tesi dottorale di Rafal Niewmojeski che arriva alla conclusione di come la Biennale dell’Havana del 1984 sia stata “ground-breaking one with an unprecedented strategy of promoting peripheral art scenes as part of the global circuit, staging a new model for international, large-scale, theme driven survey on recent art with an extensive program of parallel events and discursive practices that increasingly incorporated non-artistic disciplines” Rafal Niemojeski, “Venice or Havana: a Polemic on the Genesis of the Contemporary Biennial” in Elena Filipovic et alii, op. cit., 2010. p. 98. Diversamente da quest’analisi, la presente tesi privilegia scegliere l’esposizione che inaugura una pratica piuttosto che indicare un primato. 12 La sezione di Aperto era stata spartita fra i due curatori. Bonito Oliva si occupò degli italiani, invitando tutti gli esponenti della transavanguardia, mentre Szeemann si occupò della selezione degli artisti stranieri. Per una maggior approfondimento sui criteri di scelta degli artisti cfr. Gian Carlo Politi e Helena Kontova, Biennale di
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l’attenzione verso le più recenti produzioni artistiche resero indiscutibilmente questa
mostra una delle più importanti per la storia delle esposizioni e per la storia della Biennale.
Un aspetto importante di tale evento si cela nel suo stesso titolo, ossia “Aperto”, a
proposito del quale Szeemann racconta come esso venne scelto appunto perché in grado
di comunicare l’assenza di un orientamento predominante. E’ utile evidenziare, inoltre,
come Bonito Oliva in questa edizione già ponesse l’attenzione sul “pluralismo
linguistico”13.
D’altronde però, fissare come punto di partenza 1980 al posto del 1993 avrebbe offerto un
quadro poco realistico proponendo la Biennale come un esempio d’innovazione e di
avanguardia rispetto al sistema espositivo internazionale, giudizio fuorviante in quanto
per tutti gli anni ’80 e per buona parte degli anni ’90 la Biennale è in realtà apparsa nel
complesso piuttosto sclerotizzata e con poche edizioni di rilievo.14
Venezia. Intervista con Harald Szeeman e Biennale di Venezia. Intervista con Achille Bonito Oliva, in “Flash Art”, n. 98-90, Estate 1980, pp. 5-9. 13 “Nella mostra […] Szeemann ed io abbiamo puntato a testimoniare il pluralismo e nomadismo linguistico che interessa ora gli artisti, l'idea su cui lavora la transavanguardia. Gli artisti considerano il linguaggio come luogo di transizione, quindi come possibilità di recupero dei linguaggi del passato, senza più l'interdizione, che gli artisti stessi si erano creati da soli, di recuperare solo alcuni antenati delle avanguardie e non altri.” Achille Bonito Oliva, E l’artista restò solo, in “Modo”, ottobre, 1980. 14 “Il riflusso degli anni Ottanta” in Vittoria Martini, La Biennale di Venezia 1968-1978. La rivoluzione incompiuta, tesi di dottorato, Università Cà Foscari, 2011, pp. 209-214.
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SSituazione dell ’Ente Autonomo Biennale e contesto.
I lavori per l’organizzazione della 45esima Biennale fin dal principio sono segnati da
alcune difficoltà legate al passaggio di consegne da un consiglio all’altro. Alla fine del
1991, infatti, il dimissionario Consiglio Direttivo presieduto da Paolo Portoghesi15 rimane e
opera per tutto il 1992 “in proroga”. Questa decisione presa crea un “intoppo” nei lavori e
rallentamenti nelle decisioni, spesso dettati dalla consapevolezza della precarietà delle
delibere.16
Le più urgenti questioni legate al pareggio del bilancio17 caratterizzano l’operato del
Consiglio in proroga per diversi mesi, tanto che l’argomento “nomina direttore arti visive”
viene discusso non prima della LVIII riunione il 4 di maggio 1992, interessando i lavori del
Consiglio per due riunioni.
I curatori proposti oltre Achille Bonito Oliva sono Germano Celant, Renato Barilli e Giorgio
De Marchis. Dopo due votazioni18 i due nomi che hanno il sopravvento sono quelli di
Germano Celant e Achille Bonito Oliva. Inizialmente il Consiglio sembra più unitamente
concorde su Germano Celant votandolo a maggioranza ma è uno solo il voto che lo
15 Consiglio Direttivo della Biennale di Venezia, Presidente: Paolo Portoghesi; Vice Presidente: Ugo Bergamo; Segretario Generale: Raffaello Martelli; Consiglieri: Ulderico Bernardi, Ludina Barzini, Gianni Borgna, Luca Borgomeo, Paolo Ceccarelli, Enzo Cucciniello, Umberto Curi, Ottaviano Del Turco, Sandro Fontana, Fabrizia Gressani Sanna, Bruno Marchetti, Stefania Mason Rinaldi, Luigi Mazzella, Gianluigi Rondi, Giorgio Sala, Augusto Salvadori, Dario Ventimiglia. 16 Le parole dei consiglieri sono sempre attraversate dalla consapevolezza che tutto quello che viene deciso potrebbe essere ritrattato dal successivo Consiglio di amministrazione (Cfr. ad esempio Bruno Marchetti: “le attività […] o sono organizzate e proposte in modo molto preciso, oppure il prossimo Consiglio di amministrazione della Biennale non avendo seguito la formazione di questo, può assumere atteggiamenti diversi.” Verbali LX riunione del Consiglio Direttivo, 26 giugno 1992, p.53, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 17 Cfr. La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 18 Durante la prima votazione del 4 maggio 1992 Celant riceve 4 voti, Bonito Oliva 3, Renato Barilli 3, De Marchis 1; Nella seconda votazione si votano i due nomi che hanno riscosso più voti ma la situazione è quella di un testa a testa, dal momento che Celant raccoglie 7 voti e Bonito Oliva 6. Si vedano appunti manoscritti allegati, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 112.
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distanzia da Bonito Oliva pertanto, di fatto, il Consiglio è diviso e la votazione finale è
rimandata alla riunione successiva.
La spaccatura sembra sanarsi solo nel seguente Consiglio in cui è chiaro che Germano
Celant non avrebbe potuto ricoprire l’incarico per un conflitto d’interessi legati alla sua
posizione di curatore presso il Guggenheim Museum. 19
Il 22 maggio 1992, nella LIX riunione del Consiglio Direttivo con 10 voti su 12,20 a solo un
anno dall’apertura, Achille Bonito Oliva viene eletto curatore della 45esima Biennale di
Venezia.
19 “E’ emersa la perplessità di un suo impegno con la Guggenheim Foundation e quindi di un problema di opportunità politica di rafforzare ulteriormente questa Fondazione che già a Venezia è molto forte e che aspira addirittura ad avere la sua collezione permanente ospite nel padiglione italiano restaurato” Paolo Portoghesi, verbale del LIX Riunione del Consiglio Direttivo, 22 maggio 1992, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 112. 20 Dai verbali si evince che Bonito Oliva è stato eletto tramite una sola votazione. Dal momento che il regolamento della Biennale prevedeva che si devesse scegliere fra una rosa di nomi venne proposto anche il nome di Giuliano Briganti. Nella stessa riunione verrà eletto anche il direttore della sezione di Musica, Mario
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Da questo momento in poi l’organizzazione si fa concitata; nonostante ciò nel Consiglio
del 26 giugno, in cui è invitato a presentare le sue riflessioni21 dopo l’incarico ottenuto,
Bonito Oliva presenta un progetto piuttosto ambizioso. I verbali rivelano
sorprendentemente che al primo punto delle sue preoccupazioni ci sia la sorte della
Biennale nel suo insieme come organismo che produce cultura e che rappresenta l’Italia a
livello internazionale. Egli, infatti, affronta il tema del Centenario22 ma soprattutto la
questione delle attività permanenti da molti anni al centro del dibattito: “bisogna
conquistare per la Biennale un quotidiano, un’attività permanente capace di dare un
rapporto tra istituzione espositiva e città, basato sulla continuità.”23
L’interesse per la Biennale come istituzione permanente sembra quasi anteporsi24 alle sue
proposte curatoriali. Egli prospetta iniziative educative,25 quale la scuola per curatori in
collaborazione con l’Ecole du Magasin di Grenoble, e invoca un’attenzione al panorama
internazionale che si concretizza da un lato nella proposta di un convegno “Produzione,
conservazione e circolazione dell’arte contemporanea” con i direttori dei maggiori musei e
dall’altra nell’invito da rivolgere ai commissari dei padiglioni di esulare dai discorsi di
confine e identità nazionale, ospitando artisti di diversa provenienza o Paesi senza
padiglione. Nello stesso spirito di apertura al panorama mondiale, inoltre, Bonito Oliva
chiede che il Comitato Consultivo che lo accompagnerà sia costituito da “grandi direttori
internazionali”26 che indichino la vocazione cosmopolita dell’Ente; egli propone i nomi di
Richard Koshalek, direttore del Moka di Los Angeles,27 Krud Jensen direttore del Louisiana
Messinis, verbali LIX riunione del Consiglio direttivo, 22 maggio 1992, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 112. 21 Verbale LX Riunione Consiglio Direttivo, 26 giugno 1992, p. 26-66, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 22 Bonito Oliva si riferisce in questo caso al Centenario della fondazione dal momento che nel 1893 venne fondata la Biennale e redatto lo statuto. 23 Verbali della LX riunione del Consiglio Direttivo, 26 giugno 1992, p. 27 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 24 “Io vorrei prima parlare delle attività permanenti in quanto è qualcosa che il Consiglio debba approvare svincolato dal contributo che la commissione consultiva potrà dare nella proposta che farò” idem in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 25 L’interesse per la funzione educativa che la Biennale come istituzione può svolgere si rivela anche in altre proposte che non saranno immediatamente raccolte, come l’apertura della Biennale in un periodo in cui siano aperte ancora le scuole (p.31) o la proposta di organizzare per dicembre 1993 “l’arte spiegata ai bambini” una mostra “dove si dimostra come l’arte contemporanea ha grandi relazioni con il gioco infantile” (p. 32) idem in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 26 “Avrei scelto dei nomi di grandi direttori internazionali perchè non bisogna dimenticare che la Biennale di Venezia è un ente espositivo; per la verità l’indicazione positive che ci viene da Carandente è proprio questa: impaginare le opera nello spazio e fare della Biennale anche una catena di mostre dove ci sia un dialogo tra l’opera e lo spazio […] storici dell’arte, critici e direttori di museo possono essere utili perchè qua non si tratta di scrivere un bel libro ma di fare delle mostre” Achille Bonito Oliva, Idem, pp. 33-35, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 27 “Dovendo chiamare un direttore americano, è interessante che sia californiano in quanto è la zona che fa oggi da cerniera con l’asia, con un tipo di universo antropologico, culturale, politico, geografico e economico, in grande espansione, proprio per evitare di chiudersi su New York […] Koshalek è il fondatore di questo
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Museum di Copenhagen, e Dieter Honnisch, direttore della Neue National Gallerie di
Berlino.28 Per l’Italia dopo aver vagliato i nomi di Emilio Vedova e Giuliano Briganti29
suggeritigli dal consigliere Stefania Mason Rinaldi, Bonito Oliva indica l’artista Mimmo
Rotella e lo storico dell’arte Tommaso Trini, perché entrambi riconosciuti all’estero come
rappresentanti dell’arte italiana.30
Un elemento importante dell’operato di Bonito Oliva è l’attenzione che egli rivolge al sito
dei Giardini, di cui comprende il grande valore che hanno per la Biennale. E’ solo un
fenomeno recente considerare che la Biennale si dipani tra Arsenale e Giardini, sin
dall’inizio e per anni, infatti, questa si è identificata con i Giardini stessi.
A tal proposito egli si auspica un intervento sugli spazi verdi chiamando in causa Roberto
Burle Marx, immaginando una “specie di raccordo tra queste case matte che sono gli spazi
in cui poi i Paesi espongono, creando un collegamento e una maggiore fluidità.”31
Con un’appassionata esposizione il critico salernitano sostiene il più volte espresso
desiderio del Consiglio32 di aprire la Biennale all’esterno, fuori dai Giardini verso la città.
Nel mese trascorso tra la sua nomina e questo resoconto, egli sembra aver già contattato
molte personalità: coinvolge l’assessore alla cultura Livio Ricciardi per la gestione e
restauro del padiglione Italia e per l’agibilità dei Magazzini del Sale, Giandomenico
Romanelli per la disponibilità di Cà Pesaro e Palazzo Fortuny, accenna alla possibilità di
grande museo che è oggi il Moka di Los Angeles dove si svolgono delle grandi manifestazioni artistiche” idem, pp. 32-33, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 28 Bonito Oliva rivela anche di aver avuto l’intenzione di chiamare Dominique Bozo (che per errore di trascrizione del nome chiamato invece Bozou) del Beauborg che però non potrebbe ricoprire la carica perché ne è diventato presidente, idem, p. 33 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 29 “Per l’Italia avevo pensato a Vedova e Briganti anche per cogliere la segnalazione del voto che la prof. Mason aveva dato a Giuliano Briganti. Con quest’ultimo però c’è un’incompatibilità con i suoi incarichi e per quanto riguarda Vedova, l’artista sembra più interessato ad esporre” Achille Bonito Oliva in idem, p. 34 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 30 “Mimmo Rotella è un grande artista internazionale italiano che lavora dagli anni 50, ha partecipato al Nouveau Réalisme in Francia, alle prime mostre sulla pop art in America; per esempio, quest’anno il Moma di New York ha fatto una grande retrospettiva sull’arte americana e sulla pop art e l’unico artista italiano era Mimmo Rotella. E poi come storico dell’arte, Tommaso Trini che insegna alla Accademia di Belle arti di Milano e già anni fa ha collaborato, ha scritto dei libri, ha fatto dei lavori anche con Argan, è stato tra i primi a lanciare la situazione italiana all’estero alla fine degli anni ’60, è stato quello che ha lavorato introducendo l’Italia alla pop art sul piano critico, ecc..” Achille Bonito Oliva in idem, p. 34 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 31 Roberto Burle Marx (1909-1994) è un architetto, botanico, paesaggista brasiliano di chiara fama. Bonito Oliva non riuscirà a portare Burle Marx a intervenire nei Giardini ma i verbali riferiscono contatti fra i due pur non rivelando il modo in cui l’architetto sarebbe potuto o avrebbe voluto intervenire “secondo me i Giardini vanno valorizzati e vorrei da lui un’indicazione di intervento non costoso”, cfr. idem, pp. 36-37 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. Il nome di Burle Marx come facente parte del progetto si rintraccia fino al comunicato datato 20 marzo e poi scompare del tutto. Non è possibile dedurre dalla documentazione le motivazioni di questa mancata partecipazione, se non ipotizzare per motivi legati all’età avanzata, cfr.. cartellina stampa del 20.03.1993, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 261. 32 Cfr. piano quadriennale del Consiglio direttivo 1987-1991.
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usare la Chiesa di San Lorenzo, Punta della Dogana, La Misericordia, l’ex Ospedale
Umberto I,33 e auspica una collaborazione con Palazzo Grassi. 34
Le reazioni dei consiglieri alla sua infervorata presentazione sono entusiaste. Non a caso
molti dei temi che egli propone sono da diversi anni argomento di discussione all’interno
del Consiglio e le attività permanenti, pur essendo state prefigurate dal regolamento del
1973 e dal Consiglio presieduto da Portoghesi35 sono sempre state di là da venire. Lo
spirito operativo di Bonito Oliva coglie nel segno tanto da riuscire a strappare
l’autorizzazione a procedere. Concessione per niente scontata poiché il Consiglio Direttivo,
essendo anche un consiglio di amministrazione, aveva la necessità che tutti i programmi si
traducessero in atti formali da approvare soltanto qualora indicassero il costo
dell’operazione.36 I tempi sono stretti e l’urgenza di organizzare la convezione con l’Ecole
du Magasin di Grenoble e di prendere contatto formalmente con artisti e prestatori,
permettono a Bonito Oliva di assicurarsi l’autorizzazione a procedere con le consultazioni37
in modo da avere per la successiva riunione del Consiglio, un programma più dettagliato e
i documenti per la convenzione pronti da firmare.38
Altrettanto entusiasmo gli viene dimostrato durante il primo incontro fra i Paesi39 dove
sono in molti a reagire positivamente alla proposta di Bonito Oliva di ospitare un artista di
un altro paese40 nella speranza di far funzionare la Biennale non come Nazioni Unite
dell’arte ma come spazio capace di accogliere.41
33 “Cà Pesaro, Romanelli stamane mi ha confermato che ce lo dà sicuramente e ho aperto un discorso per Palazzo Fortuny che generalmente non viene dato per la Biennale”; Circa la Misericordia non viene fatta più alcuna menzione del sito mentre per l’Ospedale gli viene immediatamente risposto dal consigliere Cucciniello che l’Ospedale verrà ripristinato e quindi non è utilizzabile (p. 38). Relativamente invece a Palazzo Ducale in questo momento viene escluso da Bonito Oliva in quanto occupato da un’importante mostra sull’Islam, come anche l’Ala Napoleonica perché diventata sede permanente del Canova (p. 37) in idem, pp. 36-38, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. busta 113. 34 Palazzo Grassi è di proprietà privata e non entra nelle trattative con la Biennale nel modo in cui può farlo solo la municipalità ma Bonito Oliva si auspica ugualmente una possibile collaborazione non immaginandosi che nell’anno del suo centenario, con Jean Clair, la Biennale porterà fuori dai suoi confini la cosiddetta “mostra centrale”. Cfr. Sezione II cap. 2 di questa tesi. 35 “Credo che sia rassicurante la vulcanica esposizione di tante idee che però colgono nel segno perché, pensando al dibattito che c’è stato in questi anni in Consiglio, alcune di queste idee sembrano nascere proprio da questo dibattito” Paolo Portoghesi (p. 41); “davvero particolarmente significative alcune indicazioni che recepiscono in pieno gli orientamenti che avevamo espresso nel piano quadriennale ma che sono rimasti a lungo lettera morta” Umberto Curi, (p. 44) in idem, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. busta 113. 36 “Il Consiglio non può approvare [iniziative] se non dei documenti esaustivi sotto il profilo economico” Paolo Portoghesi, idem, p.62 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113. 37 Per agevolare queste procedure il Consiglio affianca Bonito Oliva del personale dell’ufficio tecnico che indaghi le modalità attraverso cui questa convenzione può essere realizzata, in idem, pp. 63-65 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. busta 113. 38 Delibera consiliare del 24 luglio 1992, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Deliberazioni del Consiglio direttivo”, busta reg. 61, deliberazione n. 792. 39 Cfr. Verbali I incontro preparatorio per la 45esimaEsposizione d’arte 1993, 3-4 Luglio 1992 presso l’hotel Bauer, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. busta 405. 40 Le prime reazioni al vulcanico progetto di Bonito Oliva all’inizio sono in realtà di sconcerto e silenzio e gli interventi procedono alla spicciolata. I commissari presenti, pur mostrando vivo interesse per la proposta, non possono rispondere per decisioni che riguardano il loro Paese, esclusi gli Stati Uniti che dichiarando di aver già
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Bonito Oliva riferisce al Consiglio: “in questa riunione è stata accettata la filosofia mia e
anche il titolo, cioè I punti cardinali dell’arte […] una mostra e una panoramica sull’arte
internazionale secondo l’idea che esiste uno scambio culturale permanente nella cultura e
nell’arte contemporanea e se all’inizio del secolo questo scambio avveniva da nord verso
sud […] adesso c’è una circolarità […]. La Biennale interpreta per spirito molto bene e
anche per vocazione culturale, quello che è ancora il Zeitgeist, lo spirito dell’arte del tempo
e di questo fine secolo.”42
Durante l’estate i lavori procedono spediti, il concept generale e le sezioni fondamentali si
delineano più precisamente. Decisiva è la riunione con il Comitato Consultivo il 10-11
agosto43 che vede l’approvazione del programma stilato da Bonito Oliva; particolare
energia viene riversata durante l’incontro all’organizzazione della mostra storica Venti
dell’arte, che a questa data è da organizzarsi nel Padiglione Italia e che viene decisa nelle
sue linee principali proprio in questa riunione.44
Il programma completo45 può essere quindi presentato alla LXII Riunione del Consiglio
Direttivo46 tenutasi il 4 e 5 settembre 1992. “Chiedo l’approvazione del progetto che è
articolato secondo mostre che rispondono tutte a questa sorta di cupola teorica che è I
punti cardinali dell’arte. L’idea che l’arte contemporanea si sviluppa sempre attraverso
riferimenti ad altre culture e quindi io svolgo attraverso queste mostre, una sorta di mappa
con movimenti, personalità artistiche del passato e del presente, capacità di documentare
questa idea dei punti cardinali dell’arte, di un’arte che vive ormai sulla coesistenza
culturale e sulla pluralità del linguaggio.”47
Tutte le sue proposte incontrano l’orientamento del Consiglio Direttivo di ridare alla
Biennale la sua funzione internazionale e la sua preminenza; anche per Bonito Oliva
d’altronde una delle preoccupazioni maggiori è proprio quella di resistere alla crescente
scelto l’artista che li rappresenterà Luoise Bourgeois - un’artista francese da molti anni vive negli Stati Uniti - sono incidentalmente in linea con il progetto, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. busta 405 41 La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. busta 405, pp. 9-11. 42 Verbali LXI Riunione Consiglio Direttivo, 24 luglio 1992, pp. 19-20, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 114; Allegato ai verbali anche copia del programma presentato (Nota n. 4032/92 data 8/9/1992). 43 Idem, p. 21 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 114. 44 “Alle ore 16.00 la riunione riprende con un dibattito approfondito sulla mostra storica, la sua organizzazione e strutturazione (4 punti, 4 artisti, 4 linee fondamentali) giocando più sulle opere che sugli artisti, figure mitologiche contrapposte”, Verbale della riunione Commissione Consultiva, allegato alla Delibera Consiliare n. 832. (31 agosto 1992; Prot. Gen. 346), p.5 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 114. 45 L’allegato 2.1. (Prot. Gen 346. Datato 31 Gennaio 1992) mostra il programma presentato da Bonito Oliva al Consiglio Direttivo. Lo stesso viene messo a punto e trasmesso a Dario Ventimiglia in data 8 settembre 1992 (Lido, nota n. 4032/92 data 8/9/1992) in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 46 Dalle parole del presidente è possibile meglio comprendere le procedure “vorrei fare una premessa metodologica. Il Consiglio direttivo esaminerà questo documento, tuttavia poi questo documento dovrà tradursi in una serie di delibere che si potranno prendere solo quando sarà precisato il piano economico” verbali LXII Riunione Consiglio Direttivo, 5 settembre 1992, p. 45, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 47 Idem, pp.45-46 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115.
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competizione internazionale. Se è pur vero che nella precedente Biennale Giovanni
Carandente aveva ospitato nel padiglione Italia la mostra Ambiente Berlin, per contro la
Biennale sembra dall’altra essersi come ritirata dalla scena internazionale. 48
Il programma viene in quest’occasione approvato solo dal punto di vista culturale49 dal
momento che, pur non essendo allegato un budget preciso è evidente che il numero delle
mostre50 presentate da Bonito Oliva sembrano fuoriuscire dal budget di 4 miliardi e mezzo
di lire51 a disposizione per le arti visive, tanto che sia il presidente che i membri del
Consiglio parlano a più riprese della necessità di coinvolgere sponsor.52
E’ in questa decisione di procedere per “direttissima” che troviamo l’origine di una serie
d’incomprensioni operative che caratterizzano la 45esima Biennale di Venezia. Questa
situazione di mancanza di pianificazione economica precisa del settore Arti Visive da un
lato e un’approvazione con autorizzazione a procedere solo culturale dall’altro, è il punto
nodale che aiuta a comprendere il modo in cui si evolve il progetto che costringerà poi
Bonito Oliva nel marzo del 1993 a fare un taglio drastico sulla “sua” Biennale.
Di per sé la procedura operativa accordata a Bonito Oliva non era contro il regolamento e i
consiglieri ne conoscevano la fragilità; tuttavia questo modo di agevolare l’operato dei
direttori, per via della lentezza burocratica rispetto al tempo a disposizione, era divenuta
una prassi. A inceppare questo delicato meccanismo fu la coincidenza con il necessario
turn over del Consiglio direttivo - che occupa due mesi interi prima che possa considerarsi
operativo - e della crisi economica che porta in Italia una confusione politica di portata
storica, segnata dallo scandalo di Tangentopoli e la conseguente fine della Prima
Repubblica.
Viene quindi in quest’occasione approvato il solo programma culturale53 e la lista dei
collaboratori, poiché necessitano di una lettera d’invito da parte di Bonito Oliva per
cominciare i lavori di organizzazione delle varie mostre.54
Nella riunione del 2 ottobre compaiono al punto 4 alcune integrazioni al programma, 55 ma
è nella riunione del 30 ottobre che si possono evidenziare importanti passi in avanti56
48 Idem, p. 67, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 49 “L’unico imbarazzo che ha il Consiglio è che non si può approvare un programma di questo genere sul piano metodologico, autorizzando il direttore a proseguire nei contatti e trattative che vedranno poi verificata la fattibilità del programma.” Paolo Portoghesi, in idem, p. 58 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 50 Le mostre presentate in questa fase del progetto ammontano a 8: Venti dell’arte, Passaggio a Oriente, Il Suono Rapido delle cose, Slittamenti, Borthers/Fratelli, Aperto 93: Realismo/Emergency, Figurabile e Opera Italiana. 51 “Per la mostra dell’arte c’è un certo a budget a disposizione che sono oltre 4 miliardi e mezzo e quello credo che nessuno li possa cancellare” Idem, p. 72 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 52 Idem, pp. 71-72 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 53 Deliberazione del consiliare n. 832 (31 agosto 1992; Prot. Gen. n. 346) La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Deliberazioni del Consiglio direttivo”, busta reg. 61. 54 Idem , p.76 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115.
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come la chiusura degli accordi con la municipalità Veneziana per la concessione alla
Biennale dell’usufrutto di alcuni palazzi storici come Palazzo Ducale, Palazzo Fortuny, Cà
Pesaro, le Corderie dell’Arsenale, Ala Napoleonica del Correr, mentre la concessione per
l’uso delle Zitelle arriverà solo ad aprile 1993.57
Gli ultimi mesi del 1992 sono molto prolifici. Bonito Oliva termina la stesura del
programma, incontra una seconda volta i Paesi,58 presenta la lista degli artisti di Aperto’93
al Consiglio nella riunione del 27 Novembre, 59 e soprattutto il 10-12 dicembre si svolge
presso Fondazione Cini il convegno Produzione, Conservazione e Circolazione dell’Arte
Contemporanea.
Tutto sembra procedere senza problemi e il 1992 si conclude con la riunione del 17
dicembre 1992 in cui il Consiglio Direttivo presieduto da Paolo Portoghesi in carica per il
quadriennio 1987-1991, in proroga durante il 1992, si dimette.
La nomina del nuovo Consiglio direttivo60 e la nomina del Presidente e del Segretario
Generale occupano 2 incontri e si concludono il 4 febbraio 1993;61 sono operazioni che
tengono fermi i lavori costringendo il Consiglio a riunirsi d’urgenza il 19 febbraio per
finalizzare il passaggio delle consegne62 e redigere le basi del programma quadriennale
1993-1996. Al centro delle preoccupazioni di questa lunga riunione che impegna due
55 LXIII Riunione del Consiglio direttivo, 2 ottobre 1992, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 116. 56 Le note di integrazione del programma in mano ai consiglieri sono datate 23 settembre perché dovevano essere discusse nella riunione del 2 ottobre. Per motivi non accertati vengono affrontati solo il 30 ottobre. In questo intervallo di tempo la mostra Venti dell’Arte viene collocata a Palazzo Ducale, con grande sollievo da parte dei grandi musei che prestano le opere. Fare un’operazione del genere nel padiglione Italia non sarebbe stato impossibile data la mancanza delle caratteristiche tecniche necessarie ad ospitare opere musealizzate. 57 Lettera del direttore generale delle Zitelle Domenico Crivellari a Bonito Oliva (datata 7 aprile 1993) “con la presente Le confermiamo la concessione dell’uso dei magazzini adiacenti al Centro Zitelle a partire dai primi di giugno fino al termine dell’esposizione della Biennale.” (8 aprile 1993, Prot. n. 3068/93) La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 58 II Incontro Preparatorio, Hotel Bauer, Sala Convengi, 13-14 novembre 1992, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 2677 e busta n. 2055. 59 Verbali LXV Riunione Consiglio Direttivo, 27 novembre 1992, p.32, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 117. 60 Nuovo Consiglio Direttivo Presidente: Gian Luigi Rondi; Segretario Generale: Raffaele Martelli, Consiglieri: Barbiani Laura, Barzini Ludina, Bergamo Ugo, Borgomeo Luca, Cucciniello Enzo, Curi Umbero, Dal Co Francesco, Gentile Ada, Gentile Francesco, Giannuzzi Miraglia Anna Maria, Giugni Gino, Gressani Sanna Fabrizia, Lattuada Alberto, Marchetti Bruno, Mazzella Luigi, Rosada Bruno, Trevisi Paolo. 61 Verbali I e II Riunione del Consiglio Direttivo, 22 gennaio e 4 febbraio 1993, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 118. 62“Nomina segretario generale, costituzione di: comitato esecutivo, commissione del personale, commissione di disciplina, commissione di gare, commissione editoria, nomina direttori di settore, programmazione piano quadriennale di massima per le attività dell’Ente 1993-1996, esame progetto riforma statuto Ente per trasmissione Ministeri competenti” La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 119.
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giorni, ci sono da un lato la Riforma dell’Ente che il Ministro attende di leggere63 e dall’altro
il costo eccessivo del settore Arti Visive.64
Dal documento redatto all’indomani della riunione65 si possono ricavare gli intenti per il
quadriennio: “il Consiglio direttivo […] ha tenuto a configurare l’attuale quadriennio come
l’asse portante delle celebrazioni centenarie indirizzandovi tutte le attività istituzionali […]
e trasformandolo nell’occasione più significativa non solo per ripensare la storia dell’Ente
alla luce di tutte le sue discipline, ma anche e soprattutto per preparare il suo futuro
anticipandone i cardini fondamentali della tanto auspicata e sempre più urgente
riforma.”66
Riforma e Centenario sono due priorità strettamente legate fra loro tanto da considerare le
attività del centenario alla luce delle riforme stesse. Le iniziative per la celebrazione del
Centenario sono trattate proprio come una prova generale di una riforma che s’immagina
possa attuarsi quasi in coincidenza di questo avvenimento, al punto che il Consiglio si
concepisce come l’ultimo pre-riforma. Il Centenario è pensato come il primo evento ad
essere organizzato secondo i principi della scena internazionale, orchestrando fra loro le
cinque sezioni - Arti Visive, Cinema, Musica, Architettura, Archivio Storico - con in testa il
coordinamento da parte dell’Archivio Storico (ASAC), immaginato come organismo
propulsore multidisciplinare delle varie attività.67
Bonito Oliva, precedentemente informato con una lettera del 20 febbraio in cui “si
comunica che il Consiglio Direttivo valutati gli aspetti economici del programma delle Arti
visive […] non possa superare lo stanziamento già disposto,” viene convocato d’urgenza
insieme al Dirigente degli Affari amministrativi e il Dirigente di Attività d’Istituto da
Raffaello Martelli il 26 febbraio 1993. 68 Egli raccoglie questa sopraggiunta necessità
ritoccando il programma secondo un criterio di “priorità capace comunque di rispettare il
principio internazionale e interdisciplinare che lo sottende, che ne costituisce il valore e
63 Documento “Esame progetto riforma statuto Ente per trasmissione Ministeri competenti” La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 119. 64 “Io propongo con forza la proposta che ha fatto adesso la collega, di nominare subito un curatore per il cinema e dopo, se possibile, passare al problema delle arti visive che ci angoscia tutti quanti” Bruno Rosada, in verbale III Consiglio direttivo, 20 febbraio 1993, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., p. 116, busta n. 119. 65 allegato 4.1 verbali V Riunione del Consiglio direttivo, 30 aprile 1993, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122. 66 Idem, p. 3 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122. 67 Idem, p. 5 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122. 68 lettera del 26 febbraio 1993 (26 febbraio 1993; Prot. N. 232/SG), in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521.
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l’originalità, capace anche di rappresentare”69 il suo sforzo progettuale che vorrebbe
assolutamente veder rispettato.
La “crisi economica” della Biennale esplode nella riunione del 10 e 20 marzo 1993. I verbali
riferiscono di una situazione concitata ed estenuante in cui il budget per le Arti Visive,
secondo i calcoli degli uffici preposti, dimostra che la sezione arte costa da sola in realtà 12
miliardi di lire, mentre la sezione italiana ai Giardini e Aperto alle Corderie 7 miliardi di lire.
70
I confronti sono animati e si arriva anche a mettere in dubbio la possibilità di fare la
Biennale o meno. Dopo giorni di sfibranti discussioni si delibera di procedere in
disavanzo71 e che le procedure organizzative per la Biennale Arti Visive possono essere
proseguite, chiedendo però al direttore di apportare tagli sostanziali in modo da stare
entro 5 milliardi e 300 milioni di lire.72
L’esame del budget 73 vagliato dai consiglieri in quella riunione porta all’attenzione
numerose voci relative ai costi di falegnameria e carpenteria74 che interessano Padiglione
Italia, Padiglione Venezia (ex Germania orientale), Padiglione Israeliano e Le Zitelle. Tutti
questi interventi di ristrutturazione sono necessari in quanto la situazione degli edifici è
caratterizzata da infiltrazioni d’acqua, rappezzamenti dovuti all’ incuria e abbandono, stato
in cui vengono lasciati gli edifici nel periodo in cui non si svolgono attività espositive.75
La condizione fatiscente degli edifici è al centro di molte discussioni almeno a partire dagli
anni ’70. Il problema di un edificio, quale il padiglione Italia, costruito in maniera
69 Lettera datata 25 febbraio 1993 (26 febbraio 1993 Prot. n. 236, 93) Corrispondenza Interna “13 Agosto 1992 – 31 Dicembre 1993”, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 70 La difficile situazione viene a lungo discussa dai consiglieri. Raffaello Martelli propone di operare in disavanzo (p. 141) sostenuto da Gian Luigi Rondi che ricorda casi simili che coinvolsero Maurizio Calvesi e Giovanni Carandente (p. 142). D’altronde il budget appare molto ridotto se paragonato, considerando anche l’inflazione, a quello di 7 miliardi di lire con cui venne organizzata la Biennale nel 1986 e 1988 (p. 170), verbali III Riunione del Consiglio Direttivo, 19 marzo 1993, pp. 140-170 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121. 71 Il Consiglio Direttivo “delibera di autorizzare […] la realizzazione della 45° edizione Internazionale d’Arte, operando in disavanzo, secondo lo schema di bilancio allegato alla presente deliberazione, sino alla concorrenza di 1.500.000.000 da ripianarsi con eventuali nuove entrate e/o economie di gestione nel corso del presente esercizio finanziario e nel corso del successivo” Delibera consiliare n. 25 (20 marzo 1993; Prot. Gen. n. 95) in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121; Cfr. anche La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Deliberazioni del Consiglio direttivo”, busta n. reg. 63. 72 Verbali III Riunione del Consiglio Direttivo, 19 marzo 1993, p. 188 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121. 73 Allegato alla Delibera consiliare n. 25 (20 marzo 1993; Prot. Gen. n. 95) in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121. 74 Verbali IV Riunione Consiglio Direttivo, 8 aprile 1993, pp. 19-21 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121. 75 Diversi sono i reclami in questo senso. Fra i documenti ufficiali di reclamo vi è anche un fax inviato (4 febbraio 1993 alle ore 10:10) da Bonito Oliva al Segretario Generale in cui rinnova la sua “più viva preoccupazione per l’assenza di qualsiasi iniziativa volta a consentire gli indispensabili interventi di adeguamento agli standard internazionali per l’esposizione di opere d’arte. Tale interventi riguardano: impianto di climatizzazione, impianto antifurto e antintrusione, rilevamento incendi, adeguamento alla normativa vigente per i locali ad uso pubblico, eliminazione delle infiltrazioni (acqua, umidità) dalle coperture e dalle pareti.” (8 febbraio 1993; Prot. BUSTA 1026/AV) “13 agosto-1 gennaio corrispondenza interna” in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521.
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temporanea e poi rappezzato di anno in anno lascia la situazione sempre incerta causando
un notevole dispendio economico di edizione in edizione.
Il Comune di Venezia si dimostra in questa circostanza molto collaborativo e oltre ad aver
messo a disposizione un palazzo di prestigio quale Palazzo Ducale, spende circa 1 miliardo
di lire76 per sistemare il padiglione Italia che, pur essendo nei Giardini ed usato dalla
Biennale, è giuridicamente proprietà del Comune che ne sostiene i costi di manutenzione.
La richiesta di tagli al programma di Bonito Oliva comporta per lo più la cancellazione della
mostra storica Venti dell’Arte che doveva tenersi a Palazzo Ducale, e della mostra dedicata
a John Cage Il suono rapido delle cose. 77 Il nuovo programma snellito78 viene approvato il
19 marzo nonostante fossero già state fatte diverse conferenze stampa.79
Le circostanze sono tali che a solo un mese dalla ricorrenza della fondazione della Biennale
(19 aprile 1893), che Bonito Oliva avrebbe voluto commemorare con il suo progetto, si è
costretti invece a ridimensionare notevolmente il progetto per mancanza di fondi.
Da questo momento in poi le riunioni consiliari procedono più fluide, e nel Consiglio dell’8
Aprile non vengono più menzionate problematiche relative al budget. Le discussioni
intorno al settore Arti Visive riguardano dettagli relativi ai collaboratori, alle dimissioni di
Tommaso Trini dalla commissione consultiva - presumibilmente proprio a seguito dei tagli
eseguiti80 - e dall’anomalia delle numerose richieste di patrocinio. Quest’ultima discussione
sollevata da Francesco Dal Cò sull’opportunità o meno di concedere tanti patrocini,
imposta una procedura che sarà poi utilizzata anche negli anni a venire.81
76 Verbali IV Riunione Consiglio Direttivo, 8 aprile 1993, pp. 20-21 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121 77 Bonito Oliva “volevo fare una domanda a tutti: se ho capito bene, mi concedete questo disavanzo in rapporto al programma di priorità”. Martelli: “Tutto fuorché Cage che si farà quando si concretizza la sponsorizzazione.” Bonito Oliva: “E tutto il resto?” Rondi: “I Punti dell’arte no, perché ha detto che se ne assumeva il sindaco la possibilità”, Verbali III Riunione Consiglio Direttivo, 19 marzo 1993, p. 65 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 120. 78 Nel programma di priorità presentato da Bonito Oliva si notano delle variazioni dal 17 marzo al 20, fra cui importante è lo scorporo di Muri di Carta da Venti dell’Arte che al 20 marzo risulta essere una mostra a se stante. Mentre da segnalare è la riduzione di Venti dell’Arte a Punti dell’Arte fatta molto chiaramente dividendola in sottosezioni dal titolo “Grave”, “Araldico”, “Aureo”, “Fermo”. Cfr. Cartelline stampa del 17 e del 20 marzo, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 261. 79 A quella data si erano già svolte le conferenze stampa a Parigi (febbraio 1993 al Centre Pompidou e al Museo d’Orsay;) e a Berlino (marzo alla Nationalgalerie); ne seguiranno poi altre a New York presso il Guggenheim Museum (aprile), a Roma e Milano (maggio) cfr. programma conferenze stampa, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 80 Le dimissioni di Tommaso Trini si trovano già nell’allegato 10 all’ODG della III Riunione del Consiglio Direttivo il 19 marzo 1993 (punto f. dell’Ordine del Giorno) anche se vengono prese in consegna solo nella riunione successiva dell’8 aprile 1993. Cfr. ordine del giorno e allegati delle riunioni in in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 120 e 121. E’ presumibile quindi ipotizzare, pur non essendo allegate motivazioni specifiche, che le sue dimissioni siano legate al taglio dal programma di Venti dell’Arte in cui lui era più direttamente implicato come coordinatore generale e ideatore fin dalle prime battute. 81 Verbali IV Riunione Consiglio Direttivo 8 aprile 1993, pp. 154-164 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 121.
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Legata alle difficoltà economiche dell’Ente è da considerare interessante la discussione
avvenuta in occasione della presentazione del Piano quadriennale,82 proposta da Bonito
Oliva e sostenuta da Dal Cò, relativamente alla riapertura dell’Ufficio Vendite che viene
messa nell’ordine del giorno del Consiglio Direttivo del 7 aprile.83
Già in una lettera del 24 marzo Bonito Oliva scrive a Raffaello Martelli per informarlo “circa
una riflessione riguardante […] l’Ufficio vendite, (ritenendo) che i tempi siano maturi, dopo
la riammissione dei premi, per riaprire anche l’Ufficio Vendite che tanti frutti ha portato alla
Biennale nel corso delle sue numerose edizioni. Sarebbe un modo per portare danaro alla
Biennale, ripristinando un Ufficio Internazionale utile anche per gli artisti.” 84
La riforma del 1973, ricorda al Consiglio il segretario Raffaello Martelli, scritta in un clima
figlio delle azioni del 1968 che avevano portato alla chiusura di suddetto Ufficio, aveva
organizzato che la Biennale fosse un Ente pubblico senza scopi economici. Di contro nella
relazione che fa Bonito Oliva, corredata da una piccola ricerca storica, egli adduce
all’assenza di questo Ufficio la responsabilità della diminuzione di presenze alla Biennale.
Sorprendentemente e controcorrente rispetto alle notazioni che fa Raffaello Martelli in
apertura dell’argomento, sono molti i consiglieri a esprimersi favorevolmente. Da una
parte perché è un’ipocrisia pensare che un’opera d’arte in mostra all’esposizione non sia in
vendita, ed è parzialmente anche per questo motivo che la Biennale ha sempre avuto un
ufficio dedicato a tale scopo, e dall’altra parte si crede che questo aiuterebbe a sostenere la
situazione economica della Biennale.85
82 Verbali V Riunione Consiglio Direttivo 30 aprile 1993, pp. 34-35 in in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122. 83 “Chiedo di mettere all’o.d.g. e su questo convocare Bonito Oliva […] affrontare con noi una cosa che farebbe molto bene alla Biennale e che è la costituzione dell’ufficio vendite” Francesco Dal Co, idem, p. 164. in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122. 84 Corrispondenza interna “13 Agosto 1992 – 31 Dicembre 1993”, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 85 Idem, pp. 50-80, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122,. Da questo momento in poi si perdono le tracce e non si rinvengono più documenti relativi a questa iniziativa.
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Nonostante un apparente entusiasmo sembra difficile pensare in quale modo sia possibile
attuare un’iniziativa di questo genere in un tempo così breve e con i Dipartimenti in
carenza di dipendenti. D’altronde una “soffiata” ai media, costringe il Consiglio a deliberare
in merito esprimendo “indirizzo positivo in merito al problema in attesa di verificare
legittimità e fattibilità e nomina una commissione di studio per gli adempimenti
connessi”.86
Il 15 maggio, il presidente Rondi apre la riunione del Consiglio con la buona notizia che il
deficit votato per la realizzazione della 45esima Biennale di Venezia non è più tale dal
momento che il debito è stato pareggiato, grazie a nuovi calcoli operati
dall’amministrazione.87 Inoltre una sponsorizzazione last minute di 150 milioni di lire da
parte della Longines e 100 milioni provenienti dal Mattino di Napoli, permette di realizzare
86 Il Consiglio delibera la nomina di un gruppo di studio per la riattivazione del servizio vendite composto dai consiglieri Francesco Dal Co, Francesco Gentile e Bruno Marchetti Delibera Consiliare n. 72 (30 Aprile 1993, Prot. Gen. n. 189, archiviata 3 maggio 1993) p. 80 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 122, 87 Tutto lo sforzo del Consiglio di operare entro un contenimento di spesa è testimoniato dalla relazione illustrativa allegata alla delibera consiliare n. 157 (6 luglio 1993, Prot. Gen. n. 478) sul conto consuntivo 1993 del 6 luglio (p. 4) in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 123.
Deliberazione consiliare n. 42 relativa alla proposta riapertura all’Ufficio Vendite, ASAC.
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all’ultimo momento88 parte89 dell’esposizione Il suono rapido delle cose90 e di migliorare la
situazione nella mostra centrale i Punti dell’Arte.91
L’organizzazione concitata e sul filo del rasoio di questa Biennale procede fino all’ultimo
secondo, ufficializzando, a soli 20 giorni dall’apertura, una mostra cancellata 2 mesi prima.
Per di più in quei giorni vengono indetti due nuovi premi: il primo proposto da Gian
Tommaso Liverani di 15 milioni di lire per l’acquisto di un’opera di un giovane artista92 e il
secondo dedicato alla memoria di Carlo Giulio Argan, morto nel novembre del ’92, da
consegnarsi a un curatore di una mostra internazionale. Un premio, questo, da intendersi
come omaggio ad un importante figura della storia dell’arte e della critica italiana, ma
anche come testimonianza della crescente importanza del ruolo del curatore, come
testimoniano le parole di Bonito Oliva: “ritengo che oggi una mostra d’arte non sia una
pura esposizione di opere ma sia in qualche modo luogo di conoscenza in cui la ricerca
artistica avanza e spesso il gusto del pubblico si trasforma e quindi il curatore è diventato
oggi una figura nuova e particolare e qualcuno che scrive nello spazio attraverso le opere e
quindi elabora una proposta che è globale e appartiene a lui ed è una sorta di regista dove
i segmenti sono le opere disposte e organizzate nello spazio, la scelta delle opere, il taglio
critico etc..” 93
Quest’ultima riunione Consiglio prima dell’apertura della mostra ove ancora si discutono
dettagli relativi all’apertura della Biennale è in linea con una gande corsa fatta di ritardi e
cancellazioni e che porta con se diverse problematiche che esploderanno nei mesi a
seguire. Fra queste, la causa giudiziaria verso Flash Art per la pubblicazione del catalogo di
Aperto, lo scontro con Gian Tommaso Liverani per la collocazione dell’opera acquistata
tramite il premio e la chiusura di alcuni padiglioni nazionali per inagibilità.
88 Dello stesso 15 maggio la lettera di Dario Ventimiglia ad Angelo Bagnato in cui chiede “di provvedere al ripristino di rapporti contrattuali con i collaboratori esterna della mostra Il suono rapido delle cose la cui collaborazione era stata sospesa. Si tratta precisamente di Alanna Heiss, Angela Vettese, Ludovico Pratesi e Carolyn Christov-Bagargiev, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 89 L’esposizione originariamente doveva essere molto più grande e costare 500 milioni di lire Per la lista completa degli artisti e di come doveva strutturarsi originariamente la mostra vd. fax 20/11/1992 (ore 18.50) di Alanna Heiss a Bonito Oliva in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 350. 90 “Vista la nota prot.15.5.1993, con cui il Division Manager della Longines ha offerto la somma di L.150.000.000 per la realizzazione della mostra il Suono rapido delle cose (Cage & Co) [..] delibera di autorizzare una sintesi della mostra”. Delibera consiliare n. 92 (13 maggio 1993; Prot. Gen. n. 219), in La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Deliberazioni del Consiglio direttivo”, busta n. reg. 64. 91 “le mostre Punti dell’arte e il Suono rapido delle cose saranno realizzate se ed in quando saranno acquisite delle sponsorizzazioni integrali” Lettera di Raffaello Martelli del 22 marzo 1993 (22 marzo 1993, Prot. n. 395, S.G) in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 92 Documenti relativi al Premio Liverani, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521. 93 Verbali VI Riunione del Consiglio Direttivo, 7 giugno 1993, p. 34 in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 123.
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44.1. Venti del l ’Arte
Il 19 marzo 1993 Bonito Oliva formalizza la cancellazione ufficiale della mostra Venti
dell’Arte. Ragioni economiche costringono il curatore della 45esima edizione della
Biennale di Venezia a rinunciare a quella che a più riprese dichiara essere la parte centrale
della sua esposizione. Tuttavia l’importanza di questa mostra, esaminata a posteriori,
risiede forse nella possibilità che avrebbe avuto Bonito Oliva di condurre attraverso
un’argomentazione più serrata il suo discorso intorno al ruolo dell’arte e al senso che egli
attribuisce alla storia.
Per Bonito Oliva, infatti, la costituzione del pensiero moderno è indagabile a partire dalla
sua formazione in riferimento a culture “altre” da cui l’Occidente trova rinnovata energia e
forza espressiva. Nell’arte moderna il punto sorgivo di tale atteggiamento è rintracciabile a
partire da Delacroix che « ha cercato e trovato il suo valore in un altrove, spaziale e
geografico, mitico e temporale; stabilendo bipolarismi Nord-Sud nella prima metà di
questo secolo e Est-Ovest nella sua seconda metà. »1
I perni attorno cui la mostra venne articolata da Bonito Oliva sono esaminati insieme alla
commissione consultiva nel primo incontro svoltosi il 10 e 11 agosto 1993 a Venezia. La
mostra che egli presenta era intesa essere organizzata intorno a 5 importanti artisti
(Delacroix, Rousseau, Gaudi, Van Gogh, Seurat) 2 in rappresentanza di 5 diverse modalità di
approcciarsi rispetto al tema dell’altrove.
Nel pomeriggio del 10 agosto 1992 Bonito Oliva si confronta operativamente con la
commissione consultiva intorno alla mostra Venti dell’Arte, distribuisce ai convenuti una
mappa identificativa delle aree culturali mentre il giorno successivo viene interamente
dedicato dalla commissione per l’esame della proposta, facendo anche un sopralluogo
ispettivo al Padiglione Italia, e per la stesura delle linee fondamentali della mostra.
1 Achille Bonito Oliva, XLV Esposizione Internazionale d'Arte. Punti cardinali dell'arte, catalogo della mostra, Marsilio, Venezia, 1993, p. XXII 2 In corso di lavorazione verranno fatti alcuni cambiamenti così ad esempio il nome di Seurat viene sostituito con quello di Fontana e Gaudì con Schwitters.
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A quella data il luogo della mostra era ancora il Padiglione Italia ai Giardini ma già l’11
settembre Bonito Oliva scriveva all’assessore alla Cultura di Venezia Fulgenzio Livieri3 per la
concessione di Palazzo Ducale che al 30 ottobre 19924 è ufficializzato e compare nei
documenti come location finale. E’ presumibile, infatti, ipotizzare che il sopralluogo, come
accadrà anche con Jean Clair, rende evidente inagibilità degli spazi del Padiglione Italia
come luogo espositivo per una mostra con opere museali che richiedono numerosi
standard cui il padiglione non può omologarsi.
Bonito Oliva riesce in questo incontro estivo a coinvolgere attivamente la commissione
consultiva:
“La commissione decide che i tre direttori di museo si occupino del recupero delle opere da esporre anche utilizzando il loro prestigio; in particolare Richard Koshalek potrà occuparsi
di criteri allestitivi. Bonito Oliva e Trini si occuperanno della parte teorica.” 5
3 “Caro Livieri facendo seguito ai nostri colloqui Le comunico che il progetto della XLV edizione della Biennale di Venezia “Punti Cardinali dell’Arte” è stato approvato all’unanimità […] data la sua importanza e partecipazione di artisti di grade rilievo storico e culturale, a livello internazionale, sarebbe indispensabile ipotizzare per la mostra storica “Venti dell’Arte” (da Delacroix ai giorni nostri) l’uso di Palazzo Ducale almeno per quanto riguarda i grandi artisti del passato, in quanto i musei prestatori richiedono locali climatizzati, sicuri e spazi dii prestigio storico.” lettera di Bonito Oliva all’assessore alla cultura Fulgenzio Livieri l’11 settembre 1992 Prot. N. 8599 A.V. in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115; in realtà vi è un documento che testimonia che le trattative con Palazzo Ducale erano già avviate ben prima del 5 settembre tanto che Bonito Oliva conferma in forma privata in una lettera a Richard Koselleck che è possibile utilizzare Palazzo Ducale per la parte storica dell’Esposizione Venti dell’Arte, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 114. 4 Allegato 4.2.1. “Venti dell’arte” parte storica – palazzo ducale; artisti contemporanei – padiglione Italia, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n 116. 5 In una lettera sempre a Koshaleck si evince il modo in cui si era organizzato per Venti dell’Arte. Dieter Honish e Koshaleck “implies active participation to the exhibitions “Winds of Art” in the form of the searching for important historical pieces of art and their display in the expositive sites, given your experience as directors of international museums. As to Alma Ruiz and Wulf Herongerath, their task consists of a historical search, and, if
Piantina Padiglione Italia con indicazioni della distribuzione degli spazi per Venti dell’Arte, Opera Italiana e padiglioni stranieri senza padiglione.
SEZIONE II – VENTI DELL’ARTE - 1993
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E’ Trini a suggerirgli, ad esempio, che s’indicassero gli estremi del nomadismo secondo i
bipolarismi della ricerca artistica come principio ispiratore. Operativamente, infatti, per
realizzare una mostra storica Bonito Oliva si avvale sia di tutta l’influenza di curatori di
museo internazionali per ottenere prestiti,6 sia del sostegno di uno storico e critico amico
di vecchia data come Tommaso Trini prezioso in particolare per la stesura delle linee
teoriche. Anche se in maniera ufficiosa, si evince, infatti, che Trini diventa lungo il corso dei
mesi, responsabile innanzitutto di questa esposizione ed è ipotizzabile che le sue
dimissioni siano legate proprio alla cancellazione della mostra stessa.7
L‘impostazione finale conferma l’idea Oliviana dei 5 punti concettuali, 5 artisti e 5 linee
fondamentali, giocando più sulle opere che sugli artisti che egli definisce, sulla scorta del
pensiero Szeemanniano, figure mitologiche contrapposte. Ed è proprio sul concetto
espresso da questi artisti, considerate figure-preambolo, che parte la ricognizione storica
della mostra.
Gli artisti che Bonito Oliva intende rappresentare sono riuniti gruppi che corrispondono
più che a delle genealogie temporali a delle mappe. La prima lista che propone è la
seguente: Paul Gauguin, Paul Cézanne, Henri Matisse, Pablo Picasso, Giacomo Balla,
Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp, Kazimir Malevič, Mondrian, Mikalojus Čiurlionis,
Alberto Giacometti, Costantin Brâncusi, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Vladimir Tatlin, Frida
Kahlo, Arshile Gorky, Jackson Pollock, Lucio Fontana, Jean Dubuffet, Marc Rothko, Antoni
Tàpies, Robert Raushenberg, Yves Klein, Jean Tinguely, Cy Twombly, Giulio Turcato, Stella,
Joseph Beuys, Marcel Broothaers, Pino Pascali, Mario Ceroli, Bruce Nauman, Jannis
Kounellis, Alighiero e Boetti, Richard Long, Gino De Dominicis, Enzo Cucchi, Annish
Kapoor, Francesco Clemente, Gerard Richter, Piero Guccione, Natalia Goncharova, Carla
Accardi, Georgia O’Kieffe, Salvator Dalì-Orson Welles, Antonio Sant’Elia o Umberto Boccioni
Boccioni, Blinky Palermo, Georg Baselitz, Roni Horn, Agnes Martin, Jaspers Johns, Luoise
they agree, also the writing of an essay on the catalogue in relation to the part they are attending to. For this reason I sent you the project of “Winds of Art” so that it may be possible for you to share the work in America and in Europe” (protocollato 21 settembre 1992, Prot. N. 8949/AV, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 350. Nelle bozze del progetto viene sottolineata questa collaborazione indicando come “la mostra potrebbe essere curata e allestita dalla Commissione consultiva” Inoltre egli individua anche una commissione operativa in “Adelina Von Fuerstenberg, Wulf Herogenrath, Alma Ruiz, Gloria Bianchino, Giovanna Dalla chiesa, Elena Pontiggia, Esther Coen. Cfr. .Allegato delibera consiliare n. 832, (31 agosto 1992; Prot. Gen. 346), in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 114. 6 Per agevolare I prestiti per la mostra storica Bonito Oliva stabilisce una collaborazione tra la Biennale e l’A.F.A.A. (Ass. Française d’Action Artistique) guidata da Prof. Jean Digne. Cfr. Lettera (prot. 26 ottobre 1992, Prot. N. 10315/92.) 7 L’importanza della figura di Tommaso Trini nella mostra è peraltro riscontrabile nel documento allegato alla fine di questo paragrafo in cui lo storico italiano compare come coordinatore della mostra.
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Nevelson, Emilio Vedova, Kurt Schwitters, Alberto Burri, Walter De Maria, Joan Miro, Beren,
Christian Boltansky.8
Nel programma consegnato al Consiglio direttivo del 5 settembre si evince inoltre che fa
parte del integrante progetto anche Muri di Carta una mostra che verrà realizzata in
extremis e ospitata poi al padiglione Italia, comprendente 500 manifesti e fotografie
dall’inizio del XX secolo in avanti che rappresentano la continuità di uno scambio tra
oriente e occidente.
Ed è proprio su questo rapporto con l’Oriente che la cultura europea intrattiene che Bonito
Oliva incentra la mostra storica, raccogliendo opere esemplari dei tracciati dell’arte
contemporanea tesi alla ricerca dell’altro e del diverso, alla pratica del nomadismo
culturale e del viaggio, alla conquista dell’altrove.
Delle figure artistiche da cui egli parte per tracciare i cinque percorsi, le opere
ricostruiscono il valore dinamico di una cultura figurativa – le avanguardie occidentali
protesa a saldarsi con modelli di altre culture. Egli distingue questa tensione verso l’altrove
in due bipolarismi, quello nord/sud, e quello est/ovest fino a giungere alla fusione di tali
poli negli anni Ottanta dominati da ampi fenomeni di nomadismo linguistico.
La scelta della metafora dei ‘venti’ (Alisei, Monsone, Tornado, Uragano e Scirocco) che poi
verrà abbandonata in favore di quella dei ‘punti’ nella versione finale della mostra,
sottolinea l’aspetto dinamico, con tendenza all’intreccio delle tendenze che si vogliono
illustrare.
Rispetto alla divisione di artisti in mappe è necessario capire che il criterio è nient’affatto
cronologico né estetico, quello che interessa al curatore sono innanzitutto le strade
tracciate dall’arte in ogni direzione:
“in un momento in cui la critica viaggia squallidamente, tenendo la testa attaccata ai piedi
attenta a non inciampare, a restare con il suo logo in mano, come una ventiquattrore, io credo invece importante risalire la montagna alla ricerca di quegli artisti, come scrissi anni
fa, che fanno dell’arte un respiro primario. In un momento in cui ci sono degli imbecilli che ancora ci chiedono di scegliere tra Van Gogh e Cezanne, io dico che l’arte è un tessuto
unitario che ogni artista ha il diritto di lacerare, proprio per correre quell’avventura, quell’esemplare deriva che è alla base dell’arte.”9
8 I nominativi subiscono delle variazioni nel corso dei mesi, la presente lista fa riferimento all’ultima deliberazione consiliare relativa all’approvazione del programma, deliberazione consiliare n. 889 del 28 novembre 1992 (Prot. Gen. N. 630), La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Deliberazioni del Consiglio direttivo”, busta n. reg. 62. 9 Achille Bonito Oliva, Il Sogno dell’arte – tra Avanguardia e transavanguardia, Spirali Editore, Milano 1981, p. 21.
SEZIONE II – VENTI DELL’ARTE - 1993
51
Gli artisti rappresentativi di ciascuna sezione costituiscono quindi delle introduzioni
iconografiche agli sviluppi che poi si vuole illustrare, che appaiono come concatenazioni
concettuali e non cronologiche:
“Tale configurazione è il punto d’approdo di una teoria critica basata su un metodo interdisciplinare di conoscenza del fenomeno figurativo, nonché d una pratica artistica che
di recente ha esaltato orizzonti multi-culturali col nomadismo.”10
Quindi, ad esempio, la sezione Alisei è introdotta dalla figura di Delacroix che indica
« l’abitudine degli artisti ad abbandonarsi a una deriva creativa per raggiungere nuove
frontiere se non l’eldorado, ovvero la felicità della propria opera », oppure la sezione
Monsone che « a partire da Rousseau, accoglie quegli artisti che, assemblando molti
frammenti della forma e della materia hanno sviluppato la nozione di un’arte come soglia
che divide ».11 Seguendo questa logica sono pensate anche le altre sezioni pertanto
Tornado (Gaudì) è dedicata a comprendere la tensione dell’autonomia artistica tesa
all’autosufficienza e alla rifondazione dell’arte totale ; Uragano (Van Gogh) esemplifica le
esperienze motivate da un sentimento di rottura e in ultimo Scirocco (Seurat) dedicato alla
formazione da parte di artisti di spazi mentali di approfondimento conoscitivo.
Alla luce di questa impostazione è’ importante sottolineare il rapporto con il passato inteso
da Bonito Oliva. Come spiega nel catalogo di Contemporanea non gli interessa il passato
come “statico fondale”, dal momento che il critico non deve guardare al passato attraverso
modelli didattici aprioristici, ma guardare indietro è inteso come l’apertura di uno squarcio
sul presente.
La mostra quindi avrebbe dovuto condensare questa tensione evidenziando « quei
desideri di trasformazione, disseminazione e innovazione che sono la forza dei ‘venti’ »12
individuati. Secondo questa impostazione il discorso sull’altrove avrebbe avuto una
chiarezza immediata anche in dialogo con le altre esposizioni ideate. Ad esempio una
mostra, che pure risponde ad un criterio di indagine intorno ai rapporti fra Occidente e
Oriente, come è la mostra Passaggio a Oriente si sarebbe diversamente collocata,
inserendola in una “storia del rapporto occidentale con l’Altrove” in cui l’esposizione
poteva essere compresa come il capitolo sull’estremo contemporaneo di Venti dell’Arte
E’ proprio in questo senso che è importante capire le affermazioni di Bonito Oliva tese a
vedere in Venti dell’Arte, il centro teorico di Punti Cardinali dell’Arte. Attraverso le linee
artistiche che egli individua Bonito Oliva tenta una storia dell’arte dal punto di vista del
nomadismo culturale, dal punto di vista della tensione:
10 Bozza progetto Venti dell’Arte/Winds of Art, p. 1, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 519. 11 Ibidem, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 519. 12 Bozza progetto Venti dell’Arte/Winds of Art, p. 2, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 519.
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52
“forse a recuperare l’idea di totalità messa in crisi dall’avvento della società moderna,
portatrice di frammenti e standards”. 13
Nel programma di priorità che Bonito Oliva consegna al consiglio direttivo del 19 marzo
egli sceglie di eliminare, per via degli alti costi organizzativi, Venti dell’Arte e Muri di Carta.
Tuttavia egli sottolinea quanto l’articolazione della mostra resti un punto di riferimento del
quadro progettuale da lui elaborato in vista soprattutto della celebrazione del centenario
di una biennale che corre tra il ’93, anno della fondazione e il ’95, anno della sua prima
manifestazione. A dimostrazione dell’importanza della mostra che si era delineata, egli
allega lo schema con la lista di opere e prestatori che egli aveva messo insieme. Il grande
sforzo di Bonito Oliva, infatti, era stato quello di garantire un posto in tutta sicurezza che
potesse ospitare opere musealizzate.
Dedicare uno spazio ad una mostra non realizzata, nasce soprattutto dalla convinzione che
è nelle elisioni e cancellazioni che possiamo trovare uno scenario importante per la
comprensione del quadro generale, tanto più se si considera che le motivazioni legate a
questa cancellazione sono tutte di ordine economico e non concettuale. E’ da notare ad
esempio che molti nomi di artisti contemporanei saranno “salvati” e riorganizzati in Punti
dell’Arte, come Anish Kapoor, Enzo Cucchi, Jannis Kounellis, Francesco Clemente, Gino De
Dominicis, Luciano Fabbro, Daniel Buren.
Tenendo invece nello sfondo Venti dell’Arte è possibile comprendere di più l’interesse di
Bonito Oliva per un discorso sull’Oriente, inteso come tensione dell’arte del novecento
all’altro, al nomadismo, proponendo una lettura della situazione artistica in dialogo con
Magiciens de la terre (1989) indicata dal curatore stesso come termine di paragone nella
costruzione della sua mostra.14
Inoltre va rilevata una coerenza teorica dell’ipotesi espositiva durante tutta la durata della
progettazione che non appare limitata dalla mancanza di Venti dell’Arte anche se,
costituendone il nucleo riflessivo, la Biennale per intero perde il centro di senso.
La cancellazione di Venti dell’Arte ha spostato l’asse di tutta la Biennale Oliviana verso il
nomadismo culturale in un’accezione più transnazionale, quando invece la sua presenza,
anche se non abbiamo la versione finale della mostra, avrebbe dato un’idea più centrata
sull’idea di modernità rivista alla luce del rapporto con l’altro. In un tale progetto, l’arte
contemporanea sarebbe risultata unicamente un’espressione recente?
13 La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n 116. 14 Verbale LX Riunione Consiglio Direttivo, 26 giugno 1992, p. 26-66, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 113.
SEZIONE II – VENTI DELL’ARTE - 1993
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Documento presentato da Achille Bonito Oliva al Consiglio direttivo insieme al piano di priorità che avrebbe portato alla
cancellazione della mostra Venti dell’Arte. Il documento pertanto può essere considerato il più completo fra quelli
rinvenuti. Oltre ad un prospetto riassuntivo del concept della mostra Achille Bonito Oliva allega la lunga lista di opere e
prestatori, di cui qui viene riportata unicamente la prima pagina come esempio
CURATORE DELLA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
Achille Bonito Oliva
UNITÀ ORGANICA AT TIVITÀ
D'ISTITUTO
DirigenteDario Ventimiglia
DIPARTIMENTO AT TIVITÀ
ESPOSITIVE
A.M. Grazia PorazziniPaolo ScibelliRoberto RosolenGianpaolo CimarostiClaudio Tesser
COLLABORATORI
Anna BagnariSuzel BerneronPatrizia BracceschiMonica NovelloEmilia TerragniDonatella Tonitto
COMITATO CONSULTIVO
Richard KoshalekKrud Jensen Dieter HonnischTommaso TriniZMagasin de GrenobleSylvie AmarAAlessandra GalassoPia JardiEmmanuelle KonigEVéronique LégerBenedetta LucheriniMimmo Rotella
ALLESTIMENTI DELLA XLV
ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D'ARTE
Studio di Venezia (Carlo Aymonino, Gabriella Barbini, Klaus Hellweger)Massimo d'AlessandroDaniela FerrettiGiuliana Stella
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
13 GIUGNO / 10 OTTOBRE 1993
SCHEDA GENERALE 1993
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
ENTE AUTONOMO
LA BIENNALE DI VENEZIA
PERSONALE
PRESIDENTE
Gian Luigi Rondi
CONSIGLIO DIRET TIVO
Ugo Bergamo (Vicepresidente)Laura BarbianiLudina BarziniLuca BorgomeoEnzo CuccinielloUmberto CuriFrancesco Dal CoAda GentileFrancesco GentileAnna Maria Giannuzzi MiragliaGino GiugniFabrizia Gressani SannaAlberto LattuadaBruno MarchettiLuigi MazzellaBruno RosadaPaolo Trevisi
COLLEGIO DEI SINDACI
PresidenteFilippo Alfano D’Andrea
Pierpaolo CagninFranco PisoAldo SauraLuigi Scatturin
SEGRETARIO GENERALE
Raffaello Martelli
CURATORE DELLA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
Achille Bonito Oliva
UNITA ORGANICA
AFFARI AMMINISTRATIVI
Dirigente superioreAngelo Bagnato
REPARTO CONTABILITÀ FINANZIARIA,
BILANCIO E CONTROLLO DI GESTIONE
Daniela VenturiniGiorgio VergombelloLeandro ZennaroBruna Gabbiato
REPARTO SERVIZI AMMINISTRATIVI
E PATRIMONIALI
Giuseppe Simeoni*
SMH Italia
REPARTO GESTIONE ECONOMICA,
AMM. ORGANI STATUTARI, DIRETTORI,
COLLABORATORI, PERSONALE E
SERVIZIO DI CASSA INTERNA
Osvaldo De NunzioLaura ScardicchioLaura Veronese
UNITA ORGANICA AFFARI
GENERALI E ISTITUZIONALI
Dirigente reggenteGualtiero Seggi
REPARTO AFFARI GENERALI
Marina BertaggiaMaria Cristina LionAntonia PossamaiGianfranco VenturiniGiuseppe BarbanMichela BoscoloAngelo LeviNicola Scolaro
REPARTO
GESTIONE DEL PERSONALE
Sandro VettorCarla Mariotto
REPARTO ORGANIZZAZIONE
E SUPPORTO AT TIVITÀ
Giuseppina MaugeriAntonio ZanchetRoberto ChiaAldo Roberto Beltrame
UNITA ORGANICA ATTIVITÀ D'ISTITUTO
DirigenteDario VentimigliaFunzionario capoMarie-George Gervasoni
DIPARTIMENTO ATTIVITÀ ESPOSITIVE
A.M. Grazia PorazziniPaolo ScibelliRoberto RosolenClaudio TesserGianpaolo Cimarosti
DIPARTIMENTO ATTIVITÀ DI
SPETTACOLO
Angelo Bacci*Alfredo ZanollaLaura MarcellinoRita Musacco
UNITÀ ORGANICA ASAC
Dirigente reggenteGabriella Cecchini
REPARTO SERVIZI GENERALI
DELLA SEDE
Giovanni MaccarroneAntonio GinettoMaurizio Urso
REPARTO SETTORI DISCIPLINARI
E ATTIVITÀ PERMANENTI
Teresa Paola GonzoSergio PozzatiAnna ClautMichela StancescuDaniela Ducceschi
REPARTO CATALOGAZIONE
E CONSERVAZIONE
Vincenzina BrugnoloPierluigi Varisco
REPARTO LABORATORI
E SERVIZI AUTOMAZIONE
Donato MendoliaRoberto ConteLucio RamelliGiorgio Zucchiatti
UNITÀ ORGANICA UFFICIO STAMPA
PUBBLICITÀ E PUBBLICHE RELAZIONI
DirigenteAdriano DonaggioFunzionario capoGiancarlo Zamattio
REPARTO RELAZIONI CON LA STAMPA
Paolo LughiAntonio Turin
REPARTO PUBBLICITÀ E
RELAZIONI ESTERNE
Eugenia Fiorin*Fiorella Tagliapietra
DISTACCHI
Gioachino Bonardo(presso Ministero Esteri fino al 30.06.93)
* Assegnazione temporanea.
HANNO INOLTRE ASSICURATO IL LORO CONTRIBUTO:
Comune di Venezia, Assessorato alla Cultura, VeneziaIstituto Schola San Samuele, Roma, Istituto giapponese di cultura, Roma, Fondazione Mudima, Milano, Giorgio Armani s.p.a., Milano Département des Affaires Internationales du Ministère Français de la Culture et de la Francophonie, Parigi Galerie de Paris, Parigi AGAV Productions, Parigi Association Française d’Action Artistique, Parigi Association Ecritures, Parigi Japan Foundation, Tokyo Organizzazione Christian Leigh, New York The British Council, Londra Associazione Zerynthia,
Roma The Institute for Contemporary Art (Ps1 Museum), New York Consorzio «Le Muse», Roma Ministero Federale per la Scienza e la Ricerca, ViennaLivet Reichard Company, Inc., New York Dirección General de Relaciones Culturales y Cientificas, Ministerio de Asuntos Exteriores, Madrid, Abet, Kónig Brauerei/Kelts, Lavazza, Network Express, sip, Videoteca Giaccari, Varese, Venini s.p.a., Murano, Videomusic, Super Channel, Castelvecchio Pascoli, Lucca - Londra, AUGE Your Creative, Partner s.r.l., Treviso, Il Gabbiano, Roma, Grand Hotel Berti, Silvi Marina
SPONSOR UFFICIALI DELLA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
EDI.ME.Edizioni meridionali s.p.a.
LONGINES
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
MAPPA SEDI ESPOSITIVE
DE LA XLV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PeggyGuggenheim
Collection
Ca’GiustinianSala delle colonne
Antichi Granaidelle Zitelle
Corderiedell’arsenale
MuseoGuidi
Esternodei Giardini
Riva deiSette Martiri
FondazioneUgo e Olga Levi
MuseoCorrer
Ateneodi San Basso
FondazioneBevilacquaLa Masa
Ex VetrerieSan MarcoCa’
Pesaro
Teatro Goldoni
TeatroFondamenta
Nuove
Ca’Vendramin
Calergi
Giardinidi Castello
Monastero Mechitarista San Lazzaro degli Armeni
PalazzoFortuny
LISTA SEDI DELLE
MOSTRE DE LA BIENNALE
Gipsoteca Antonio Canova - Possagno - TREVISO
LISTA SEDI MOSTRE PATROCINATE
DA LA BIENNALE DI VENEZIA:
LISTA SEDI DELLE MOSTRE DELLE
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
Campo del Ghetto - zona Cavallini -LISTA SEDI DEGLI EVENTI
FUORI CARTINA:
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
L’edizione 1993 de La Biennale di Venezia porta come titolo complessivo Punti cardinali dell’arte, e prevede una serie di mostre illustranti il tema.
PUNTI DELL’ARTE
La mostra attraverso l’articolazione in quattro sezioni Grave, Aureo, Araldico e Fermo, intende mostrare l’unità dei diversi linguaggi espressivi. La scelta delle opere riconduce al nomadismo culturale e all’idea di viaggio che rappresenta uno dei nodi di riflessione principale di tutte le mostre presentate.
OPERA ITALIANA
La sezione dedicata alla rappresentanza Italiana è composta da due parti. La prima denominata transiti dedicata all’interdisciplinareità spaziando fra numerose espressioni artistiche oltre che prendendo in considerazioni espressioni della critica e della commit-tenza pubblica e privata. La sezione denominata Trittici invece è centrata su alcune individualità artistiche messe in dialogo fra loro.
ProgettoAchille Bonito Oliva
Commissione operativa Adelina von Früstemberg, Tommaso Trini, Mario Codognato, Thierry Ollat.
Commissione esecutiva Nina Orda, allievi scuola Internazionale di Curators La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble
ProgettoAchille Bonito Oliva
TRANSITICommissione operativa Fulvio Abbate, Viana Conti, Francesco, Poli, Vittorio Rubiu, Anne-Marie Sauzeau, Aldo Tagliaferri, Angelo Trimarco
TRITTICICommissione operativa Jole De Sanna, Corrado Levi, Demetrio Paparoni, Loredana Parmesani, Duccio TrombadoriCommissione esecutiva Vittoria Coen (coordinamento), Gaia Donà delle Rose, Fabrizia Lanza, Miriam Mirolla, Giorgio Pace, Monica Tarrusio, Allievi Scuola Internazionale di Curators La Biennale di Venezia – Magasin de Grenoble.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ITALIA
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ITALIA
APERTO 93 –EMERGENZA/EMERGENCY–
Aperto è dedicato alla presentazione del panorama giovanile. Il tema Emergenza/Emergency (entropia, violenza, sopravvivenza, emarginazione e differenza) ha guidato la scelta dei tredici curatori che hanno organizzato le altrettante sezioni della mostra alle Corderie.
ProgettoAchille Bonito Oliva
Commissione operativa Helena Kontova (coordinamento), Francesco Bonami, Nicolas Borriaud, Antonio d’Avossa, Jeffrey Deitch, Mike Hubert, Thomas Locher, Kong Changan (Lauk’ung Chan), Robert Nickas, Rosma Scuteri, Berta Sichel, Matthew Slovoter, Benjamin Weil
Commissione esecutivaLéonie von Oppenheim, Jonathan Turner, Allievi scuola internazionale di curators La Biennale di Venezia/Magasin de Grenoble
SEDE: CORDERIE DELL’ARSENALE
PASSAGGIO A ORIENTE
La mostra presenta esperienze artistiche che mettono a confrono i caratteri della cultura d’avanguardia in Oriente e in Occidente, a partire dalla metà del nostro secolo fra cui il gruppo Gutai, Le Lettrisme, Yoko Ono e alcuni rappre-sentanti dell’ultima generazione di artisti cinesi.
Commissione operativa Virginia Baradel, Francesca del Lago, Giacinto di Pietrantonio, Li Xianting, Marco Meneguzzo, Roland Sabatier, Kazuo Yamawaki.
Commissione esecutiva Virginia Baradel (coordinamento), Barbara Bertozzi, Manuela Gandini, Seung-Duk Kim, Ada Lombardi, allievi Scuola Internazionale di Curators, La Biennale di Venezia - Magasin de Grenoble.
MURI DI CARTA
Muri di Carta propone una grande raccolta di fotografie centrate in partico-lar modo sulla rappresentazione del paesaggio a partire da Man Ray al presente. Le fotografie rappresentano una selezione della raccolta del CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunica-zione dell’Università di Parma)
Commissione operativa Gloria Bianchino, Arturo Carlo Quintavalle;
Commissione esecutiva CSAC, Parma, Paolo Barbaro, Maria Pia Branchi, Claudia Cavatorti, Alberto Crispo, Enzo Ferrari, Lucia Miodini, Antonella Monticelli, Paola Pagliari, Simona Riva.
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ITALIA
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ISRAELE-
PADIGLIONE VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
L’edizione 1993 de La Biennale di Venezia porta come titolo complessivo Punti cardinali dell’arte, e prevede una serie di mostre illustranti il tema.
SLITTAMENTI
La mostra, che si articola in tre sedi diverse, propone artisti in cui l’opera slittando da un linguaggio all’altro, emerge nel passare dal proprio abituale processo creativo a uno maggiormente controllato attraverso l’elaborazione artigianale dell’immagine.
FIGURABILE. Omaggio a Francis Bacon
La retrospettiva dedicata a Francis Bacon presenta circa cinquanta opere dell’artista scomparso.
Commissione operativa Luca Massimo Barbero, Chiara Bertola, Franco Bolelli, Vittoria Coen, Furio Colombo, Gabriella Di Milia, Gabriella Drudi, Corinna Ferrari, Jan Foncè, Enrico Ghezzi, Marco Giusti, Luigi Meneghelli, Heiner Müller, Giovan Battista Salerno, Fulvio Salvadori, Barbara Tosi, Giorgio Verzotti, Marisa Volpi.
Commissione esecutiva Chiara Bertola (coordinamento), Dobrila Denegri, allievi Scuola Internazionale di Curators La Biennale di Venezia – Magasin de Grenoble.
Commissione operativa David Sylvester (responsabile), Gilles Deleuze, David Mallor, Daniela Palazzoli, Lorenza Trucchi
Commissione esecutiva Allievi scuola internazionale di Curators La Biennale di Venezia – Magasin de Grenoble
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEDE: SALA GUARDI ALLE ZITELLE, PALAZZO FORTUNY
SEDE: MUSEO CORRER
FRATELLI. Francesco Lo Savio e Tano Festa
L’esposizione presenta le opere di due fratelli, Francesco Lo Savio (1935-1963) e Tano Festa (1938-1987), che hanno lottato con strategie individuali contro il semplice riuso dei linguaggi per affermare l’identità di due diverse esperienze.
Commissione operativa Maurizio Fagiolo dell’Arco (responsabile), Francesca Alfano Miglietti, Massimo Carboni
Commissione esecutiva Allievi scuola internazionale di Curators La Biennale di Venezia – Magasin de Grenoble
SEDE: MUSEO DI CA’ PESARO
SEDE: ANTICHI GRANAI DELLE ZITELLE
E FONDAZIONE GUGGENHEIMIL SUONO RAPIDO DELLE COSECage & Company
La mostra intende metter in forma il complesso mondo di John Cage e la sua radicale influenza nel campo delle arti visive.
Commissione operativa Alanna Heiss (responsabile), Carolyn Christov-Bakargiev, Ludovico, Angela Vettese
Commissione esecutivaGiulio Alessandri (coordinamento), Marina Bignami, Allievi scuola internazionale di Curators La Biennale di Venezia-Magasin de Grenoble
MACCHINE DELLA PACE
Sette artisti facenti parte della collezione del Museo della pace a Montecassino propongono opere che dialogano con il padiglione di un paese scosso dai tradici avvenimenti della guerra jugoslava.
Commissione operativa Laura Cherubini, Paola Ugolini,
Commissione esecutiva Allievi scuola Internazionale di curators, La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble.
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE EX- JUGOSLAVIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
L’edizione 1993 de La Biennale di Venezia porta come titolo complessivo Punti cardinali dell’arte, e prevede una serie di mostre illustranti il tema.
LA COESISTENZA DELL’ARTE
La mostra è dedicata agli scambi espressivi fra gli artisti dell’europa centrale ed orientale evidenziando il fenomeno del nomadismo culturale e della transnazionalità.
VIAGGI VERSO CITERA. ARTE E POESIA
Viaggio verso Citera ricorda un quadro di Watteau in cui ci si trasporta in quel luogo immaginario dove si rende possibile l’incontro tra le energie creatrici, in questo caso l’Arte con la Poesia.
Commissione operativa Lòrànd Hegyi (responsabile), Paolo Balmas, Danilo Eccher, Luisa Somaini, Biljana Tomic
Commissione esecutiva Nicolò Asta (coordinamento), Rainer Fuchs, Daniela Nittenberg, Micol Veller Fornasa, Allievi scuola Internazionale di curators, La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble.
Commissione operativa Francesca Pasini, Giuliana Setari
Commissione esecutiva Mario Gazzari, Janine Jensen, Allievi scuola Internazionale di curators, La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEDE: EX VETRERIE SAN MARCO
SEDE: CA’ VENDRAMIN CALERGI
DETERRITORIALE
La mostra presenta 15 giovani artisti selezionati in collaborazione con la Fondazione deputata al sostegno e alla promozione dei giovani artisti provenien-ti dalla regione Veneto.
Commissione operativa Giulio Alessandri, Virginia Baradel, Luca Massimo Barbero, Chiara Bertola
Commissione esecutiva Allievi scuola Internazionale di curators, La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble
SEDE: FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA
SEDE: COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM
ART AGAINST AIDS. VENEZIA 93
La mostra, realizzata a sostegno della AmFAR’s (fondazione americana per la ricerca sull’AIDS)
Commissione operativa John Cheim, Diego Cortez, Carmen Gimenez, Klaus Kertess
Commissione esecutivaSabrina Zannier, Allievi scuola Internazionale di curators, La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble
IL CAVALLO DI LEONARDO
Gli artisti Ben Yacober e Yannik Vu realizzano un’imponente scultura ispirata ad un disegno leonardesco, che fa da simbolo visivo alla mostra de La Biennale vicino all’approdo dei traghetti.
Contributo di José Luis BreaSEDE: RIVA DEI SETTE MARTIRI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
PARTECIPAZIONI NAZIONALIGIARDINI DI CASTELLO
PADIGLIONE ITALIA
ITALIA
OPERA ITALIANA
Progetto Achille Bonito OlivaArtistiClaudio Abate, Plinio De Martiis, Gianfranco Gorgoni, Paolo Mussat Sartor, Carlo Alfano, Nino Longobardi, Robert Mapplethorpe, Silvio Merlino, Julian Schnabel, Andy Warhol, Nino Longobardi, Carla Accardi, Alighiero e Boetti, Renata Boero, Isabella Ducrot, Giulio Turcato, Nanni Balestrini, Ugo Carrega, Eugenio Miccini, Martino Oberto, Franco Vaccari, Patrizia Vicinelli, Emilio Villa, William Xerra e Corrado Costa, Lucio Fontana, Getulio Alviani, Enrico Castellani, Pietro Consagra, Luciano Fabbro, Pinot Gallizio, Giulio Paolini, Jannis Kounellis, Mario Nigro, Giulio Turcaato, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Sapvatore Scarpitta, Cy Twombly, Emilio Isgrò, Fabio Mauri, Luciano Giaccari, Marisa Busanel, Hidetoshi Nagasawa, Luisa Protti, Giosetta Fioroni, Carol Rama, Cloti Ricciardi, Domenico Bianchi, Remo Salvadori, Piero Gilardi, Gianni Piacentino, Aldo Mondino, Antonio Recalcati, Joseph Beuys.
PAESI SENZA PADIGLIONE*
Bulgaria, Irlanda, Lussemburgo, Repubblica di Corea, Senegal, Repubblica di San Marino, Sudafrica e le nazioni afferenti all’Istituto Latino-Americano (Boliva, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Messico, Panama, Paraguay, Perù)
16. STATI UNITI D’AMERICA
Commissario Charlotta KotikArtista Louise Bourgeois
17. PAESI NORDICI
Coordinatore Lars Nittve
FINLANDIAcommissario Timo Keinänenartista Jussi Niva
NORVEGIAcommissario Svein Christiansenartista Bente Stokke
SVEZIAcommissario Lars Nittveartista Truls Melin
18. URUGUAY
Commissario Jorge Páez VilaròArtista Aguenda Dicancro
19. AUSTRALIA
Commissario Judy AnnearArtista Jenny Watson
20. REPUBBLICA CECA
Commissario Magdalena JuřikováArtista Franrišek Skála jr.
REPUBBLICA SLOVACCACommissario Jana GeržováArtista Daniel Fisher
21. FRANCIA
Commissario Jean-Louis Froment; commissario aggiunto Marc SanchezArtista Jean-Pierre Raynaud
Gerwald Rockenschaub 9. EX-PADIGLIONE JUGOSLAVIA
Macchine della Pace
10. EGITTO
Commissario Ahmed Fouad SelimArtista Farghali Abdel Hafiz
11. ufficio stampa
Commissario Lucien KayseArtisti Jean-Marie Biwer, Bertrand Ney
12. POLONIA
Commissario Anda RottenbergArtista Miroslaw Balka
13. ROMANIA
Commissario Radu Varia; commissario aggiunto Coriolan BabetiArtista Damian
14. GRECIA
Commissari Efi AndreadiArtista Georges Zongolopoulos
15. PAD. ISRAELE
Parte della mostra Passaggio a Oriente
15.bis ISRAELE (struttura temporanea)
Commissario Gideon OfratArtista Avital Geva
1. SPAGNA
Commissario Aurora GacìaArtisti Antoni Tàpies, Cristina Iglesias
2. BELGIO
Commissario Jan Debbaut; commissario aggiunto Monique VerhulstArtista Jan Vercruysse
3. OLANDA
Commissario Jan Debbaut; commissario aggiunto Monique VerhulstArtista Niek Kemps
4. LUSSEMBURGO
Commissario Lucien KayseArtisti Jean-Marie Biwer, Bertrand Ney
5. ISLANDA
Commissario Bera Nordal; commissari aggiunti Thorgeir Olafsson, Hannes LàrussonArtisti Jóhann Eyfells, Hreinn Fridfinnsson
6. UNGHERIA
Commissario Gábor Hajnóczi, Katalin KeserüArtisti Joseph Kosuth, Viktor Lois
7. BRASILE
Commissari Sergio Barcellos TellesArtisti Carlos Alberto Fajardo, Emmanuel Nassar, Angelo Venosa
8. AUSTRIA
Commissario Peter WeibelArtisti Andrea Fraser, Christian Philipp Müller,
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
*PAESI SENZA PADIGLIONE
BULGARIA
Commissari Gheorghi Lipovansky, Lidia Reghini di PontremoliArtista Stana Milanova
CIPRO
Commissari Demosthenes Davettas, Eleni NikitaArtisti George Sfikas
IRLANDA
Commissario Declan McGonagleArtisti Dorothy Cross, Willie Doherty
PAESI AFRICANI
Cordinatore Susan Vogel Artisti Jean-Marie Biwer, Bertrand Ney
PARTECIPAZIONI NAZIONALIGIARDINI DI CASTELLO
22. GRAN BRETAGNA
Commissario Andrea Rose; commissari aggiunti Brendan Griggs, Gill HedleyArtista Richard Hamilton
23. CANADA
Commissario Philip MonkArtista Robin Collyer
24. REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA
Commissario Klaus Bußmann; commissario aggiunto Florian MatznerArtisti Hans Haacke, Nam June Paik
25. GIAPPONE
Commissario Akira Tatehata; commissari aggiunti Haruhisa Sunami, Masanobu ItoArtista Yayoi Kusama
25. bis REPUBBLICA DI COREA
Commissario Seung-Won SuhArtista Chong-Hyun Ha
26. COMUNITÀ STATI INDIPENDENTI
Commissario Vladimir GoriainovArtisti Ilja Kabakov
27. VENEZUELA
Commissario Rafael Romero Dìaz; commissario aggiunto Denardin Urbina Artista Miguel von Dangel
28. SVIZZERA
Commissario Cäsar Menza; commissario aggiunto Urs StaubArtisti Christoph Rütimann, Jean-Frédéric Schnyder
29. padiglione libri
Commissario Seung-Won SuhArtista Chong-Hyun Ha
30. DANIMARCA
Commissario Marianne BarbusseArtisti Jørn Larsen
COSTA D’AVORIOCordinatore Gérard SantoniArtisti Tamessir Dia, Ouattara, Gérard Santoni
SENEGALCordinatore Ousmane SowArtisti Mor Faye, Moustapha Dime, Ousmane Sow
REPUBBLICA DI CROAZIA
Commissario Igor ZidiArtisti Milivoj Bijeli, Ivo Deković, Željko Kipke
REPUBBLICA DI MACEDONIA
Commissario Zoran Pietrosvki; commissari aggiunti Sonja Abadjieva Dimitrova, Liljana Nedelkovska DimitrovskaArtisti Petre Nikiloski, Gligor Stefanov
REPUBBLICA DI SAN MARINO
Commissario Marina Busignani ReffiArtista Bartolomeo Manzoni Borghesi
REPUBBLICA DI SLOVENIA
Commissario Zdenka BadovinacArtisti Marjetica Potr, IRWIN
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
L’IMAGE DANS LE TAPISSede: Circolo dell’Arsenalecommissario Jean de Loisy
TRÉSORS DE VOYAGESede: Isola di San Lazzaro degli Armenia cura di Adelina von FürstenbergCoordinamento Frédéric Montornes, Thierry Ollat
LA NOTTE DELL’INFORMAZIONE: STRUMENTI DI PACESede: Possagno, Gipsotecaa cura di Luigina Bortolatto, Guglielmo Monti
INSULAE & INSULAESede: Ca’ Giustinian, Sala delle Colonnea cura di Massimo Donà, Giorgio Nonveiller
INCROCI DEL SUD, AFFINITIESSede: Fondazione Ugo e Olga Levia cura di Glenn R. Babbcoordinamento di Louis Jansen Van Vuuren, Carlo Trevisancontributo di Sally Arnold
* Sul catalogo risulta anche un’altra mostra patrocinata nell’indice ma senza scheda in catalogo Étude pour le secret, consulente Olivier Kaeppelin
MOSTRE PATROCINATE*
9 GIUGNOOre 11.00 - "Swatchanschauung" di Alessandro Mendini.
Ore 11.00 - "Xenografia" di Art Affair ai Giardini.
Ore 12.00 - "La vostra presenza è l'arte più bella" -performance di James Lee Byars ai Giardini.
Ore 16.00 - "Squeezeplay"- performance di Allan Kaprow alle Zitelle.
Ore 21.00 - Performance musicale di Margaret Leng Tan al Teatro Goldoni.
10 GIUGNOOre 8.00 / 14.00 - Convegno dei Direttori dei "Network" dei Centri Soros di Arte Contempora-nea dei Paesi dell'Est, Biblioteca della Collezione Guggenheim - chiuso ai non addetti.
Ore 19.00 - "Concerto per un piacere pubblico"Concerto di Emilio Fantin alle Zitelle.
Ore 20.30 -"La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre" di‘ Amos Gitai in Campo del Ghetto.
Ore 21.00 - Performance musicale di Chiari, Lombardi, Simonetti, Marchetti, Cardini e Mosconi al Teatro Goldoni.
Ore 22.00 - "Lecture" performance di Bob Wilson alle Zitelle.
11 GIUGNOOre 8.00 /14.00 - Convegno dei Direttori dei "Network" dei Centri Soros di Arte Contemporanea
dei Paesi dell'Est, Biblioteca della Collezione Guggenheim - dchiuso ai nonaddetti.
Ore 18.30 - Performance "Jazz in time" di Anna Mari & Matteo Licitra al Teatro Fondamenta Nuove.
Ore 21.00 - "Flamenco y Kathak" (danza) di Andrés Garcia Cubo al Teatro Goldoni.
Ore 22.00 - Performance musicale di Margaret Leng Tan alle Zitelle.
Ore 22.00 - Peter Greenaway a Palazzo Fortuny
12 GIUGNOOre 21.00 - "Flamenco y Kathak" (danza) di Andrés Garcia Cubo al Teatro Goldoni.
Ore 21.00 - proiezione film "Blue" regia di Derek Iarman al Palazzo del Cinema, Lido di Venezia.
Ore 22.30 -'La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre" di Amos Gitai in Campo del Ghetto.
13 GIUGNOOre 22.30 -'La guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre" di Amos Gitai in Campo del Ghetto.
Ore 21.00 - "Flamenco y Kathak" (danza) di Andrés Garcia Cubo al Teatro Goldoni.
Ore 21.00 - proiezione film "Blue" regia di Derek Jarman al Palazzo del Cinema, Lido di Venezia.
8-9 OT TOBRE"L'Arte delle Mostre" - Convegno - Parigi.
EVENTI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
GIURIA
INTERNAZIONALE
PresidenteLuciano Anceschi
Giovanni CarandenteJulia Kristeva
Steingrim LaursenKatharina Schmidt
Nicholas Serota
PREMIAZIONI
La Giuria Internazionale della XIV Esposizione Internazionale d'Arte:Punti Cardinali dell'Arte, si è riunita sabato 12 giugno alle ore 11.00.La Giuria, composta da Giovanni Carandente, Julia Kristeva, Steingrim Laursen, Nicholas Serota, sotto la presidenza di Katharina Schmidt e alla presenza del curatore Achille Bonito Oliva, ha espresso il suo apprezzamento per il progetto di Achille Bonito Oliva nello spirito trans-nazionale e interdisciplinare dei fenomeni attuali dell'arte e ha deciso di assegnare i‘ seguenti premi:
1) PREMIO INTERNAZIONALE LA BIENNALE DI VENEZIA
consistente in un leone d'oro, per la pittura a: ex-aequo RICHARD HAMILTON e ANTONI TAPIES per l'importanza della loro opera e per la posizione morale del loro lavoro.
2) PREMIO INTERNAZIONALE LA BIENNALE DI VENEZIA
consistente in un Leone d'oro, per la scultura a: ROBERT WILSON per la sua drammatica percezione di memoria e oggetto in uno spazio plastico di grande magia.
3) PREMIO DEI PAESI
consistente in un Leone d'oro, al Padiglione della Germania che presenta due artisti di diversa nazionalità: HANS HAACKE e NAM JUNE PAIK nello spirito Trans-nazionale di questa Biennale.
4) PREMIO DUEMILA (da assegnarsi ad un giovane artista. di età non superiore ai 35 anni), consistente in Venticinque milioni di lire, a: MATTHEW BARNEY
5) QUATTRO MENZIONI D'ONORE, consistenti in una targa, sono state asseg-nate a:
1) LOUISE BOURGEOIS2) ILJA KABAKOV3) JOSEPH KOSUTH4) JEAN PIERRE RAYNAUD
Sono stati, inoltre assegnati i seguenti premi:
Premio alla memoria di Giulio Carlo Argan, al miglior curatore di una mostra internazionale tenutasi nell'ultimo biennio a DAVID SYLVESTER.
Premio Gian Tomaso Liverani, da assegnarsi ad un giovane artista italiano di età inferiore ai 35 anni, consistente in 15milioni di lire, a EVA MARISALDI.
Premio (acquisto) Fondazione Marino Marini, consistente in 50 milioni di lire a LUCA QUARTANA.
Premio swatch, da assegnarsi ad un artista di Aperto '93, consistente in una mostra in 3 capitali europee, organizzata dalla Swatch, a YUICINORI YANAGI.
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
APERTO 93
EMERGENZA/EMERGENCY
Paul Virilio, Il privilegio dell'occhio, 227helena Kontova, Intervista a ]ulia Kristeva, 233
AFTER THE EVENTMike Hubert, Dopo l'evento, 236
RIAVVICINAMENTIhelena Kontova, Riavvicinamenti (Tra i vari luoghi), 246
IL SEMPLICE SCAMBIOFrancesco Bonami, «Il semplice scambio (The Mere Interchange)», 258
REALITY USED TO BE A FRIEND OF MINEMatthew Slotover, 999, 270
CAN ART STILL CHANGE THE WORLD?Jettrey Deitch, Può l'arte cambiare il mondo?, 282
DAS REALE/DIE ARBEITThomas Locher, Das Reale/Die Arbeit, 294
INDICATORIAntonio d'avossa, Vedute sul mondo reale, 302
INDIFFERENCE AND NON-LNDIFFERENCEKong Changan (Lauk'ung Chan), Essere non-indifferenti, 314
STANDARDSNicolas Bourrieud, Standards, 322
NEWS FROM POST-AMERICABerta Sichel, Notizie post-americane, 330
FORSERosma Scuteri, Forse..., 340
AN ESSAY ON LIBERATIONIlobert Nickas, An Essay on Liberation, 350John Miller, Il corpo come feticcio, 350
VAPORETTIBenjamin Weil, Emergenze, 354
PUNTI DELL'ARTE
Arthur C. Danto, oltre quel che l'occhio vede, 365Tommaso Trini, Bussola. Verso il centro delle quattro direzioni comuni, 369
MURI DI CARTA
Arturo Carlo Quintavalle, Fotografia e paesaggio dopo le avanguardie, 411Gloria Bianchino, Il CSAC e la politica della fotografia, 419
INDICE
Gian Luigi Rondi, Presentazione, XXIAchille Bonito Oliva, Punti cardinali dell' arte, XXIIIErnst Jünger, Prognosi, XLIII
OPERA ITALIANA
TRANSITIMario Perniola, l'arte come mutante neutro, 3; Vittorie Rubiu, Arte e persona, 5Giulio Carlo Argan, Napoli, 10; Fulvio Abbate, Gibellina fabbrica civica, 18;Viana Conti, Parabilia, 24; Angelo Trimarco, Due modelli, 32Aldo Tagliaferri, Attributi dell'arte odierna nell'opera di Emilio Villa, 34Anne-Marie Sauzeau, Omaggio a Carla Lonzi, 36; Francesco Poli, Persona, 48Luciano Giaccari, Il Museo elettronico (Muel), 52
TRIT TICIPier Giovanni Castagnoli, La figura della differenza, 59; Jole De Sanna, Complessa, 60; Corrado Levi, Imagina, 64; Demetrio Paparoni, Abstracta, 70Loredana Parmesani, Oggettistica: la sfida dell’arte al reale, 76; Duccio Trombadori, Nella memoria del sacro e del profano, 82
Partecipazioni Nazionali
Australia, 88; Austria, 90; Belgio, 92; Brasile, 94; Bulgaria, 98; Canada, 100; Cipro, 102; Comunità Stati Indipendenti, 104Danimarca, 106; Egitto, 110; Francia, 112; Giappone, 118; Gran Bretagna, 122; Grecia, 126; Irlanda, 128; Islanda, 130; Israele, 134; Lussemburgo, 136; Olanda, 138Paesi Airicani: Senegal, 140; Costa d'Avorio, 142Paesi nordici: Finlandia, 148; Norvegia, 148; Svezia, 149;Polonia, 154; Repubblica Ceca, 156; Repubblica di Corea, 158; Repubblica di Croazia, 160; Repubblica di Macedonia, 164Repubblica di San Marino, 166; Repubblica di Slovenia, 168; Repubblica Federale di Germania, 172; Repubblica Slovacca, 178Romania, 180; Spagna, 182; Stati Uniti d'America, 186; Sudafrica, 190Svizzera, 194; Turchia, 196; Ungheria, 200; Uruguay, 204; Venezuela, 208; Istituto Italo-latino Americano, 212
1158 pagine22 x 29 cm
brossura illustrazioni a colori e B/N
tre volumiEditore Marsilio
COLOPHON
Realizzazione editoriale Marsilio Editori s.p.a. Venezia
Coordinamento editorialeSusanna Biadene
ImpaginazioneStefano Bonetti, Michele
LombardiCura redazionale
Leonardo Costa, Francesca Di Giacomo, Stefano Grandi,
Annalisa Longega, Rossella Martignoni
Traduttori Anna Bagnari, Barbara BertinMarco Bettini, Nicola Curcio, Angela Fazzini, Ada Ferianis,
Alberto Folin, Anthony MarascoSusanna Miillcr, Elisabetta
Pastorella, Paolo VettoreCoordinamento tecnico
Pier Giorgio CanaleImpianti
La Fotomeccanica, PadovaComposizione
Centro FotocomposizioneDorigo, Padova
MontaggiFotoforma, Padova
T. Zaramella RealizzazioneGrafica, Padova
Offset Invicta, PadovaMilanostampa, Farigliano,
Cuneo
ConfezioneMilanostampa, Farigliano, Cuneo
Legatoria Zanardi, Padova
VOLUME 1
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
CATALOGO - PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
13 GIUGNO / 10 OTTOBRE 1993
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
CAGE E LE ARTI VISIVEWulf Herzogenrath, John Cage artista figurativo, 759Jon Eister, La randomizzazione in arte, 767Richard Kostelanetz, Lo sviluppo della sua arte visiva, 771Giulio Alessandri, Cage: universi multimediali, 775Ray Kass, Diario: John Cage, il seminario di Mountain Lake, 779William Anastasi, Jarry, Joyce, Duchamp e Cage, 783Thomas McEvilley, «Non mi occorre un piano, ho la 6th Avenue» John Cage e la tradizione Zen, 789
CAGE E LA POESIAGigliola Nocera, Frammenti di funghi, 797
CAGE E LA MUSICADaniel Charles, Dalla musica alla fonografia, 807Martin Erdmann, Su alcune trasformazioni caratteristiche nelle ultime opere di Cage, 817Paul Van Emmerik,John Cage e il serialismo europeo, 823; Heinz Klaus Metzger, L'anarchia mediante la negazione del tempo ovvero Saggio di una lezione contro la morale, 829Margaret Leng Tan, Il mio ultimo giorno con John Cage: un ricordo, 835; Klaus Schoning, John Cage alla Westdeutscber Rundfunk Kóln, 839John Cale, Come si dice Zen in gallese?, 841Lokke Highstein, Caged/Incaged: un omaggio rock/sperimentale a John Cage, 845
CAGE E L'ITALIACarolyn Christov-Bakargiev, Ludovico Pratesi, Angela Vettese, John Cage (1912-1992) in Italia: principali eventi, 851; Luigi Russolo, l'arte dei rumori. Manifesto futurista, 856; Gianfranco Mattina, 858; Michelangelo Pistoletto, 860; Gianni-Emilio Simonetti, Voci fuori testo, 862; Giuseppe Chiari, 866; Sergio Lombardo, Pittura stocastica, 868; Renato Mambor,Evidenziatore, 870; Gianfranco Baruchello, La verifica incerta, 872; Giancarlo Cardini, Happy New Ears, 874; Yoshiaki Tono, Spazio vuoto e spazio pieno, 876; Lucio Fontana, 878; Walter Marchetti, 880
MACCHINE DELLA PACELaura Cherubini, Eiréne, 887
LA COESISTENZA DELL’ARTELórànd Hegyi La coesistenza dell'arte, 899; Danilo Eccher, Il sottile desiderio della frontiera 904; Paolo Balmas, L’anomalia romana - identità storica e aderenza al presente nell’arte italiana oggi, 906; Luisa Somaini, Milano, provincia d Europa, 908; Biljana Tomic, La geografia dell'arte, 910
VIAGGIO VERSO CITERA ARTE E POESIAFrancesca Pasini, In viaggio verso Citera, 929
ART AGAINST AIDS. VENEZIA 93John Cheim, Diego Cortez, (Camen Gimenez, Klaus Kertess, Drawing the Line Against Aids, 951Mathilde Krim, Elizabeth Taylor, Art Against Aids Venezia, 953
DETERRITORIALEVirginia Baradel, Luca Massimo Barbero, Chiara Bortolo, Deterritoriale, 967Giulio Alessandri, Deterritoriale, 967
CASINO CONTAINERMASA, Casino Container, 982
PLOT ARTAlessandra Mammì, Najpax, 987
MOSTRE PATROCINATE DA LA
BIENNALE
TRÉSORS DE VOYAGEAdelina von Furstenberg, Trésors de voyage, 992
INDICE
PASSAGGIO A ORIENTEElémire Zolla, Il carattere internazionale dell'avanguardia e la specificità giapponese, 493
LE LETTRISMERoland Sabatier, Il Lettrismo, 495Manuela Gandini, Dalla società del «Paradiso», 496
GUTAIBarbara Bertozzi, Jiro Yoshihara leader del Gutai, 514Ada Lombardi, Gutai, arte all'aperto, 518; Koichi Kawasaki, Il gruppo Gutai. Le opere della purezza, 519Kazuo Yamawaki, Gutai - Il primo impatto, 520
DA MOSCAGiacinto Di Pietrantonio, Viaggio nel libero spazio del nulla, 532
NUOVA PITTURA CINESEFrancesca dal Lago, Il realismo critico della giovane arte cinese, 538Li Xianting, l'ultima avanguardia cinese, 538
SHIGEKO KUBOTAMarco Meneguzzo, Dietro la vita del video (Behind the Video Life): un paesaggio narrativo, 554; Shigeko Kubota, Passaggio a Oriente e Passaggio dall’Oriente, 557
YOKO ONOVirginia Baradel, Il cielo, soprattutto, 558; Yoko Ono, Due stanze, 561
SLITTAMENTIGianni Vattimo, Oltre i confini dell'estetico, 565Chiara Bettola, «...l’esitazione di fronte al processo mistificante», 568; Barbara Tosi, Come aprire le scatole cinesi tranne l'ultima, 570 Gabriella Di Milla, Alviani lo specchio e gli altri, 572; Corinna Ferrari, l'occhio esclusivo, 574; Gabriella Drudi, Per Burroughs, 576; Franco Bolelli, Un metro sopra, 578Luca Massimo Barbero, Osservare l’acqua. Un percorso tra le affinità della luce: Peter Greenaway - Marzano Fortuny, 580; Marisa Volpi, Peter Greenaway, 580; Fulvio Salvadori, Phosphros, 584Vittoria Coen, «Soffia ora il vento attraverso il mio cuore a buchi...», 586; Marco Giusti, Pascali/Serpen-ti, 588; Luca Maria Patella, Ducb Dis-Enameled, are you ready-maid?, 590; Jan Foncé, Introduzione all’approccio referenziale dell’arte di Patella, 590Giovan Battista Salerno, Il segreto è una parola di sette lettere, 592; Furio Colombo, Rinascimento nel Lower East Side: le molte vite di Larry Rivers, 594 Enrico Ghezzi, Mario Schifano, l'immagine mossa, 596Giorgio Verzotti, Abendland. Wim Wenders e l'immagine fotografica, 598; Dario Ventimiglia, Robert Wilson: un viaggio nella memoria, 600Luigi Meneghelli, «Tutto a un tratto entra qualcuno o piuttosto “qualcosa”...», 603
FIGURABILE Omaggio a Francis BaconDavid Sylvester, Bacon racconta, 607Lorenza Trucchi, L'ultimo erede di Michelangelo, 609Daniela Palazzoli, Bacon, la fotografia e l'uomo invisibile, 613
FRATELLIMaurizio Fagiolo dell'Arco, Fratelli: Francesco Lo Savio e Tano Festa -l’essere e il niente, l'azzeramento e il monocromo; il silenzio, 621Massimo Carboni, Contributi. Anima ed esattezza: Francesco Lo Savio, 665Francesca Alfano Miglietti, Tano Festa: per una molteplice identità, 687
IL SUONO RAPIDO DELLE COSE
CAGE & COMPANYAlanna Heiss, Introduzione, 729Carolyn Christov-Bakargiev, Viaggiamo in aereo, ma pensiamo a cavallo:un omaggio italiano a John Cage, 733Angela Vettese, Considerazioni sui rapporti di John Cage e le arti figurative, 741Ludovico Pratesi, John Cage a «Lascia o raddoppia?» 749Alanna Heiss, Il mio amico John, 753
COLOPHON
Realizzazione editoriale Marsilio Editori s.p.a. Venezia
Coordinamento editorialeSusanna Biadene
ImpaginazioneStefano Bonetti, Michele
LombardiCura redazionale
Leonardo Costa, Francesca Di Giacomo, Stefano Grandi,
Annalisa Longega, Rossella Martignoni
Traduttori Anna Bagnari, Barbara BertinMarco Bettini, Nicola Curcio, Angela Fazzini, Ada Ferianis,
Alberto Folin, Anthony MarascoSusanna Miillcr, Elisabetta
Pastorella, Paolo VettoreCoordinamento tecnico
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Centro FotocomposizioneDorigo, Padova
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Offset Invicta, PadovaMilanostampa, Farigliano,
Cuneo
ConfezioneMilanostampa, Farigliano, Cuneo
Legatoria Zanardi, Padova
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
CATALOGO - PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
13 GIUGNO / 10 OTTOBRE 1993
VOLUME 2
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
INDICE
CONTENTS
Achille Bonito Oliva, Cardinal points af art, 9Ernest Junger, Prognosis, 29Arthur C. Danto, More than meets the eye, 37Elémire Zolla, The international character of the avant-garde and the Japanese specificity, 41Gianni Vattimo, Beyond the limits of the aesthetic, 45Paul Virilio, The privilege of the eye, 49Gilles Deleuze, Francis Bacon, the logic of sensation, 57Heinz Klaus Metzger, Anarchy seen through negation of time or an essay-lesson against the moral, 65Maurizio Fagiolo dell'Arco, Brothers: Francesco Lo Savio and Tano Festa being and nothingness, zero and monochro-me; silence, 71André Glucksmann, F or whom tolls the passing bell in Sarajevo?, 79Lórànd Hegyi, The coexistence of art, 83Francesca Pasini, Sailing towards Cythera, 89Arturo Carlo Quintavalle, Photography and landscape after the avant-garde, 93Massimo Cacciari, “Laudatìo” for Ernst Junger, 107
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
CATALOGO - PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
13 GIUGNO / 10 OTTOBRE 1993
LA NOT TE DELL'INFORMAZIONE: STRUMENTI DI PACELuigina Bortolatto, Intorno a Canova, ars adriatica, 998
INSULAE & INSULAEMassimo Donà, Nuove forme di esperibilità estetica, 1000Giorgio Nonveiller, Insulae & insulae, 1000
INCROCI DEL SUD.AFFINITIESSally Arnold, Concetto per la mostra «Incroci del Sud. Affinities», 1004
EVENTI
Swatchanschauung, 1010Xenografia, 1012Emilio Fantin, 1014
La Guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle Tenebre, 1016Flamenco y kathak, 1018Jazz in Time, 1020Allan Kaprow, 1022James Lee Byars, 1024
IL CAVALLO DI LEONARDOJosé Luis Brea, Mai più sarà un cavallo..., 1029
INDICIIndice degli artisti, 1033Elenco dei prestatori, 1036Courtesy, 1038Crediti fotografici, 1039
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Cuneo
ConfezioneMilanostampa, Farigliano, Cuneo
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VOLUME 3
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1993
La scultura, realizzata da Ben Jacober e Yannick Vu, presenta
uno scheletro di metallo forgiato sul modello di un disegno
leonardesco; l’installazione nel Bacino di San Marco dà un chiaro
segno visivo nella laguna della Biennale.1
RIVA DEI GIARDINI DI CASTELLO,
IL CAVALLO DI LEONARDO
GIARDINIVIALE DEI GIARDINI
DI ACCESSO
GUTAI – AVANGUARDIA SOTTO IL CIELO.
All’aperto nei viali dei Giardini vengono proposti i remake di alcune delle opere realizzate nelle storiche mostre del ’55 e del ’56 (Pineta di Ashiya, Osaka) del gruppo Gutai. Sospese come amache Mizu (acqua) e Akai Mizu (acqua rossa) di Sadama-sa Motonaga che arrivano ad allacciarsi fino alle colonne del padiglione Italia, mentre le impronte (Ashiato) di Akira Kanayama dirigono i visitatori nei padiglioni che si affacciano sul viale centrale.
Jiro Yoshihara: Shitzu, 1956. Akira Kanayama: Sakuhin, 1955; Ashiato, 1956; Tama, 1956. Sadamasa Motonaga: Akai mizu, 1955; Kugi, 1955; Fune, 1956; Mizu, 1956. Saburo Murakami: Sakuhin, 1955; Arayuro fukei, 1956; Sora, 1956. Shozo Shimamoto: Ana, 1955; Kono ue wouruite kudasai, 1956; Tutzu ni yoru sakuhin, 1956. Fujiko Shiraga: Shiroy Ita, 1955; I, 1956. Kazuo Shiraga: Dozo ohairi kudasai, 1955 e opere del 1956. Yosuo Sumi: Sakuhin, 1956. Atzuo Tanaka: Sakuhin, 1955; Denkifuku, 1956. Tsuruku Yamasaki: Totan ita no kusari, 1955; Sakuhin, 1956; Sakuhin, 1956. Toshio Yoshida: Sakuhin, 1955. Mischio Yoshiara: Sakuhin, 1955; Sakuhin, 1955; Sakuhin, 1955.
PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
Ben Jacober e Yannick Yu, Il cavallo di Leonardo
Shozo Shimamoto, Kanayama Akira, Ashiato (Impronte)
1 Secondo il progetto originario la scultura di Jacober e Yu doveva far parte di un più largo progetto di festeggiamenti con fuochi d’artificio d’artista che dovevano allietare le serate dell’inaugurazione. Gli alti costi resero i fuochi irrealizzabili.
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
Sadamasa Motonaga, Acqua.
La mostra si apre con gli artisti russi del gruppo Ispezione Mederme-neutica. Mentre nell’abside del padiglione si collocano invece i Letteristi. Un’ampia area è dedicata alla monografica di Shigeko Kubota il Giardino dell’Eden in cui l’artista si ritrae come in un videogame a grandezza umana; una stanza invece ospita l’installazi-one Two Rooms di Yoko Ono. Grande spazio è dato a 14 artisti cinesi i quali mostrano tendenze fra le più svariate dal pop ad un forte realismo, mentre il padiglione Israele presenta un’intera sezione dedicata a Jiro Yoshihara il leader del gruppo Gutai.
Gruppo Ispezione Medermeneutica: Sergej Anufriev, Vladimir Fedorov, Pavel Pepperstejn, Monastyrskij e Jurij Lejderman.Letteristi: Isidore Isou, Gabriel Pomerand, Maurice Lemaitre, Roland Sabatier, Micheline Hachette, Alain Satié, François Poyet, Gérard-‐Philippe Broutin, Woodie Roehmer, Albert Dupont, Frédérique Devaux, Michel Armager, Virginie Caraven e Jean-‐Paul d’Arville.Artisti cinesi: Fang Lijun: 1993-‐N. 1,1993; 1993-‐N. 3, 1993; 1993-‐N. 5, 1993. Liu Wei: Invito a cena, 1993; Matrimonio, 1993; Tempo di viaggi, 1993. Yu Hong: Principesse della Cina, 1992; Sport di moda, 1992. Wang Guangyi: La grande Critica-‐Benetton, 1992; La grande Critica-‐Canon, 1992; La grande Critica-‐Swatch, 1992. Li Shan: Belletto N. 36, 1993; Belletto N. 37, 1993; Belletto N. 38, 1993. Yu Youhan: Mao che gioca a ping pong, 1992; Mao e Whitney, 1992. Song Haidong: Il profumo di Peter Süskind, 1992. Ding Yi: Serie a croce N. 17, 1992; Serie a croce N. 18, 1992; Serie a croce N. 20, 1992. Feng Mengbo: Tempo scaduto, 1993. Geng Jianyi: Raggi N. 1, 1992; Raggi N. 2, 1992; Raggi N. 3, 1992. Sun Liang: da 1 a 16 figure, 1992; Da 1 a 19 figure, 1992; Da 1 a 21 figure, 1992. Wang Ziwei: Playboy, 1991; Donna francese, 1992; Jolly d’ avanguardia, 1992. Xu Bing: Un libro dal cielo. Specchio per analizzare il mondo, 1987- 91. Zhang Peili: Rosa carne e grigio, 1957; Rosa porpora e grigio, 1992.
PUNTI CARDINALI DELL’ARTE
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ISRAELE -
PADIGLIONE VENEZIA
PASSAGGIO A ORIENTE
Veduta dell’installazione dei Letteristi
Jiro Yoshihara, Sakuhin, 1961
Jurij Lejderman, Il Pozzo e il pendolo, 1993Yoko Ono Two Rooms, 1993
Allestimento Pittura Cinese,si riconosconoFang Lijun, 1993. N. 3, 1993 (in alto a dx)
Andrej Monastyrskij,La tavola dei Direttori per il Drago, 1990
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PADIGLIONE ITALIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
All’inizio del percorso del padiglione Italia troviamo Joseph Bueys con Terremoto a palazzo (1981), della stessa sezione ma in altre stanze fanno parte Robert Morris con Orion, 1980, Kikerby con tre tele (1985-‐1991) e Georg Baselitz.
Fermo si apre con Christian Boltanski (Les archives de la Biennale de Venise en 1938, 1993) che assembla in un’installazione fotografie della Biennale relativa all’anno 1938, tra i cui visitatori si riconosce Adolf Hitler. Nella grande sala insieme a Morris (Grave) sono esposte anche trenta Partiture (1991-‐92) di Vedova. Nei pressi si estroflette l’aggressiva scultura La cattedrale del disegno, 1981 di Enzo Cucchi allentati dalle vele (1993) di Jannis Kounellis.
PADIGLIONE ITALIA
PUNTI DELL’ARTE
IL PERCORSO DI PUNTI CARDINALI DELL’ARTE SI APRE CON:
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
GRAVE - NORD -
Robert Morris, Orion, 1980Joseph Bueys, Terremoto a palazzo, 1981
Georg Baseltiz, Veduta dell’allestimento
Christian Boltanski (Les archives de la Biennale de Venise 1938, 1993
Enzo Cucchi, La cattedrale del disegno, 1981
Jannis Kounellis, senza titolo, 1993
FERMO - OVEST -
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
Le opere di De Dominicis sono immerse nel buio, dove brilla l’oro dei particolari; Lucio Fontana presenta quattro opere dal titolo Concetto spaziale datati 1950 al 1966; segue nera su nero la nicchia di Anish Kapoor. Per ultima l’opera -‐ quattro piani di ceri accesi in una gabbia metallica -‐ Meditaciones n 12, 1993, di Susanna Solano.
Sigmar Polke presenta un’Annunciazione in resina e coppale nei teleri con venature misticistiche; meno monumentali del solito le bande minimaliste (Sur deux niveaux, 1993) di Daniel Buren, traforate e conservate sotto plexiglass; Cy Twombly (Salomè, 1961 e Senza titolo, 1984) sceglie tecniche miste di grande stringatezza formale e Francesco Clemente si raccoglie con una serie di tre acquarelli (1990) di appena movimentato allestimento.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
AUREO - SUD -
Anish Kapoor, veduta dell’installazione.Solano Susanna, Meditaciones n. 12, 1993
Gino De Dominicis, veduta installazione con faro radente.
Daniel Buren, Sur deux niveaux, 1993 Sigmar Polke, veduta dell’Allestimento
ARALDICO - EST -
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
PADIGLIONE ITALIA
PUNTI DELL’ARTE
Un imponente schieramento di oltre 500 immagini in una Biennale dove la fotografia recita un ruolo di assoluto rilievo. Il curatore Arturo Quintavalle utilizza i fondi del CSAC (Centro studi e archivio della comunicazione di Parma) e presenta 20 nomi del panorama internazionale, a partire da Man Ray per finire con il giovane Daniel Schwartz, includendo fotografi puri come Florence Henri, Walker Evans, Dorothea Lange, Nino Migliori, Mario Giacomelli, Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Gabriele Basilico, Fulvio Ventura, Karl-‐Dietrich Bühler, Mario Cresci, Giovanni Chiaramonte, Olivo Barbieri, Vincenzo Castello, Cucchi White, Guido Guidi, Francesco Radino e Paolo Rosselli.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
MURI DI CARTA
Vedute dell’allestimento di Muri di Carta, da sx verso dx entrata della mostra e veduta dei pannelli espositivi.
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
PADIGLIONE ITALIA
TRANSITI
Si divide in 7 sezioni:1. Concessione d’immagine;2. Fabrica Civica: Terrae Motus; 3. Fabrica Civica: Gibellina;4. Parabilia;5. Premonizioni;6. Persona;7. MUEL.
OPERA ITALIANA (TRANSITI E TRIT TICI)
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
I Transiti sono costellati da trasgressioni disciplinari, come la sezione dedicata alla poesia visiva Parabilia, un filosofo come Martino Oberto scrive su telecarta montata su carta usa e getta; Nanni Balestrini, poeta, intitola Icaro un prisma di lastre tipografiche; Ugo Carrega si cimenta nel dripping; della scomparsa Patrizia Vicinelli (Seven Poems, 1966; Apotheosis of Schizoid Woman, 1969-‐70; Non sempre ricordano, 1977-‐78) luogo di ritrovo dove gli avventori diventano opera. Eugenio Miccini (Il mare – roman-zo, 1993) racchiude in un libro di plexiglass; mare fa fatica ad essere contenuto e che verrà restaurato già a metà mostra e poi Franco Vaccari, in una sala di passaggio, che presenta il suo Bar code/Code Bar, 1993, in cui un ambiente adibito a Bar diventa un momento di riflessione politica sulla situazione di Silvia Baraldini.
TRANSITI - PARABILIA -
Ugo Carrega, Visione celeste, 1992
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
PADIGLIONE ITALIA
Ugo Carrega: Atteggiamento costante, 1992; Così è la vita, 1992; Fare esperienza con il caso, 1992; Lezione d’estetica, 1992; Ordine intatto, 1992; Tranquillo, 1992; Visione celeste, 1992. Martino Oberto: ANA, Anestesia Tabula rasa, 1955; Autopittura, 1955; e.e. cummings 277, 1955; Ineluttabile modalità del visibile, Joyce, 1959; Queste bufere sono state argomento d’inesauribile interesse in ogni ricerca metereologica americana intorno... 1961; A gettar via la scala dopo esservi saliti, Wittgenstein, 1993; Anafilofofia la libertà, 1993; Philosophieren ist schwieierig aber nicth philosophieren ist noch schwieriger, Rogge, 1993.
Dividono la sala i due protagonisti di Premonizioni. Questo “transito” s’incentra sull’ omaggio ai critici italiani Emilio Villa e Carla Lonzi. Se nella stanza di Emilio Villa troviamo per lo più opere “oggetti di poesia” realizzati dallo stesso Villa oltre che le opere di William Xerra e Corrado Costa (Lacoonte, 1972), nella stanza di Carla Lonzi, organizzata come una quadreria, si trovano omaggi e ricordi degli artisti con cui ha lavorato. L’installazione, secondo le indicazioni della curatrice Anne-‐Marie Sauzeau, doveva dare l’impres-sione di un’allestimento che si sarebbe potuto trovare in casa propria per cui sul muro dedicato alla scomparsa critica italiana le opere si affastellano e raggruppano per dare un’impressione corale.
Fra le opere di grande impatto è l’alto muro colpisce costruito da un assemblaggio di valige il Muro del pianto a muro, con in più la grazia di Susanne Christov-‐Bakargiev che completa l’ambiente con saponi e una sedia in “pelle ebrea” oltre che una performance nudista allo specchio.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
OPERA ITALIANA (TRANSITI E TRIT TICI)PADIGLIONE ITALIA
TRANSITI - PREMONIZIONI-(Emilio Villa, Carla Lonzi)
Emilio Villa, Senza Titolo, Veduta intallazione lato “Carla Lonzi”.
TRANSITI - PERSONA-(Fabio Mauri – Emilio Isgrò)
SALA FABIO MAURI
Momenti della performance,Fabio Mauri, Muro occidentale del pianto, 1993
Carla Accardi, Violarosso, 1963
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
Elenco opere nell’allestimento in onore di Carla Lonzi: Carla Accardi (Violarosso, 1963) Pino Pascali (Senza titolo), Giulio Paolini (Cara Carla, 1966), Jannis Kunellis (Rosa nera, 1965), Pinot Gallizio (L’anima dal cuore verde, 1961), Lucio Fontana (Concetto Spaziale A 111, 1957), Pietro Consagra (Piano sospeso rosso, 1964), Mimmo Rotella (Senza titolo, 1958), Salvatore Scarpitta (Senza titolo, 1963), Mario Nigro (Spazio totale: Variazioni progressive, 1954), Getulio Alviani (1.2.4. superfice a testura vibratile, 1962), Enrico Castellani (Superficie Angolare Nero, 1961), Luciano Fabbro (Italia Carta stradale, 1975), Cy Twombly (Senza titolo, 1965).
Opere: Armadietto, 1971; Famiglia Ebrea, 1971; Finimenti in pelle ebrea. Alta scuola militare Oberklandertan, 1971; Gioiello – Laiback, 1971; Haarschneidemaschine, 1971; Ippolito March, 1971; Pelli da sci eseguite con Oswald e Mirta Rohn catturati a Davos. Brzezinka Ospedale Maggiore, 1971; Priscilla –Guanto, 1971; Samuel Morpugo, primo ospite nel campo di Treblinka, nella sua stessa conrune eseguito da Attila Rengstorf-‐Treblinka 1943, 1971; Saponi (4 pezzi), 1971; Sedia in pelle ebrea, Norimberga 1941, 1971; Muro del Pianto Valige, 1993.
La sezione è dedicata a fotografi che hanno lavorato con l’arte. Sono presenti scatti di fotografi che sono sempre stati al fianco degli artisti che come Gianfranco Gorgoni, che apre la sezione e che espone un muro di scatti di pubi; numerosi ritratti di artisti come Giulio Paolini fotografato da Paolo Mussat Sarto; Pascali ritratto dal gallerista Plinio De Martiis sotto il peso di un Colosseo pop e di cartone; altro fotografo compagno di strada di molti artisti Claudio Abate che ripercorre con molti scatti gli anni Sessanta e Ottanta chiudendo la sala con fotografie di studi di artisti russi.L’allestimento di questa sala ricca di numerose fotografie utilizza lo stesso sistema di pareti utilizzato anche per Muri di Carta, creando un infilata di corridoi che moltiplicano lo spazio espositivo e restituiscono innanzitutto una ricchezza e molteplicità di immagini.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
OPERA ITALIANA (TRANSITI E TRIT TICI)PADIGLIONE ITALIA
TRANSITI - PERSONA-(Fabio Mauri – Emilio Isgrò)
SALA EMILIO ISGRÒ
TERRAE MOTUS
Emilio Isgrò, 1-‐20 Gugluemo Tell, 1993.
TRANSITI - CONCESSIONE D’IMMAGINE -
Gorgoni Gianfranco, veduta dell’allestimento.
La collezione Terrae Motus, già introdotta dall’opera di Joseph Beuys all’entrata del padiglione Italia, è qui rappresentata: dalle gigantografie realizzate da Andy Warhol dalla prima pagina del quotidiano “Il mattino”, sponsor di questa sezione, il giorno dopo il terremoto del 1981; da un trittico di Robert Mapplethorpe (Dennis with Flowers, 1983), da un dipinto di Silvio Merlino (Trofeo con piantina, 1986), da due apocalit-tiche opere di Julian Schnabel (Veronica’s Veil, 1984) e Nino Longobardi (senza titolo, 1983) e da Carlo Alfano (Eco-‐discesa, 1981).
TRANSITI - FABRICA CIVICA -(Terrae Motus e Gibellina)
Veduta della sala, si riconoscono la tela di Nino Longobardi e il trittico Il Mattino, 1981, di Andy Warhol.
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
Il terremoto è il trait d’union di questa sala che viene divisa insieme anche agli artisti di Gibellina, che viene raccontata come esperienza di “Fabbrica Civica”. Nell’ordine Troviamo i teli di Carla Accardi (Presenti, 1990) che aprono la sezione, Alighiero e Boetti (Presenti, 1985), Renata Boero (Presenti, 1992), Isabella Ducrot (Presenti, 1991) e Giulio Turcato. (Presenti, 1989).
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
OPERA ITALIANA (TRANSITI E TRIT TICI)PADIGLIONE ITALIA
GIBELLINA
Carla Accardi, Presenti, 1990.
Al museo elettronico sono dedicati due ambienti collocati strategicamente sul percorso di visita del Padiglione Italia. Il primo a cerniera tra i “punti dell’Arte” e i “transiti”, costituisco da un “tempietto” nel quale, in un ambiente oscurato, sono programmati videotapes e le performances anni 1971-‐76 e il secondo nel cuore di “transiti”, dove in un ambiente a luce naturale vengono proposte le video documentazioni di musica, danza e teatro a tre canali (anni 1972-‐1992). A questi allestimenti è stata dedicata una cura particolare impiegando strumenti professionali ma risalenti all’epoca delle produzioni, per consentire una lettura filologica delle video-‐opere, riprodotte esattamente nelle condizioni originali di visione. Nella sala delle video documentazio-ni invece gli strumenti più attuali consentono la visione a luce naturale.
MUEL - MUSEO ELETTRONICO DI LUCIANO GIACCARI
Luciano Fabbro, frame da video, 1972
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
Nel primo trittico vi sfilano Cloti Ricciardi, che non si specchia ma riflette i passanti nelle sue installazioni in alluminio, ferro e legno; Carol Rama, con 70 teatrini giocati tra in un pirotecnico allestimento, e Giosetta Fioroni include tra le sue 13 opere recenti, a completare il terzetto.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
OPERA ITALIANA (TRANSITI E TRIT TICI)PADIGLIONE ITALIA
TRITTICI – IMAGINA –
Giosetta Fioroni, Maga rapitrice, particolare, 1992-‐ 93
Carol Rama, Marta, 1940
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Giosetta Fioroni: Spiriti Silvani, 1972; Viaggio a Venezia, (1072-‐92); Notturno, 1991; Duo: Oltre le porte regali, Notturno a Roma, (1991-‐93); Trio: L’ambulante, Nella foresta, Il monte analogo, (1991-‐93); Duo: Arcana, Abissi lunari, 1992; Un bateau frele comme un papillon de mai, 1992; Verso l’Aldilà, 1992; Duo: Episodio lunare, Nel Reame lontano, (1992-‐93); Trio: Maga rapinatrice, Las encantadas, Barbari Blases, (1992-‐93); Trio: Minimi arcobaleni, Paysage moralisè, Breve storia dell’ Infinito, (1992-‐93); Trio: Morgana, Oltre le terre lontane, Il Padrone del tempo, (1992-‐93); Teatrino, 1993; Trio: Il territorio della Fata M., La Robe-‐Reve, Il No, La Notte, Il Mai, 1993. Carol Rama: Nonna Carolina, 1936; Gli scopini, 1937; Grande Teatrino, 1937; Edoardo, 1938; Opera N. 9, 1938; Opera N. 11 Renard, 1938; Appassionata, (1936-‐39); Bolle di vetro, 1939; Bubi de Allegri, 1939; Opera N.15, 1939; Opera N.27, 1939; Appassionata, 1940; Le palette, 1949; Marta, 1940; Opera N. 34, 1940; Appassionata, 1936-‐41; Dorina, 1941; Opera N. 54, 1941; Pissoir, 1941; Appassionata, 1943; Dorina, 1943; Dorina, 1944; Ivan Hurash, 1946; Papillon, 1950; Melodramma, 1960; Bricolage, 1963; Pornografia, 1963; Senza titolo, 1963; Bricolage, 1964; Come non detto, 1964; Rituale, 1964; Bricolage, 1965; L’ occhio degli occhi, 1967; Autorattristatrice N. 9, 1969; Omaggio a Carlo Mollino, 1969.
TRITTICI
I Trittici si articolano in quattro sezioni: 1. Imagina2. Extroversa3. La complessa4. Oggettistica
TRITTICI - EXTROVERSA -
Marisa Busanel, C’è qualcosa che non va, 1965 Aldo Mondino, Venezia Turcata, 1992
Un’altra donna, introduce un trittico: Marisa Busanel, fedele alla sua ultima fonte d’ispirazi-one, l’Oriente, con tanto di kilim appesi alle pareti e una stanza di dervisci con colbacco. Chiudono il trittico Antonio Recalcati (La Foresta morta, 1992-‐1993) e Aldo Mondino (Venezia Turcata, 1992; Tappeti stesi, 1985-‐92; Jugen Stilo, 1993; Mosaici di Zucchero, 1993).
Cloti Ricciardi, Misura per misura (A), 1992
OPERE: Marisa Busanel: Ilaria del Carretto, 1961; Nero su legno, 1961; Donna che nuota sott’acqua, 1962; With, 1962; Marisa cara, 1963; Grande Bianco, 1963-‐64; C’è qualcosa che non va, 1965; come si diventa ciò che si è, 1965; Piccola Betty, 1965; Sei Volte, 1972. Aldo Mondino: Tappeti stesi, 1985-‐92; Venezia turcata, 1992; Jugen Stilo, 1993; Mosaici di zucchero, 1993.
Oggettistica, vale a dire Ready- made: Salvatore Scarpitta riempie la sala con slittini archeologici omaggiando all’unisono gli Slittamenti dell’attesissima mostra al di là della Giudecca, che un cavallo di battaglia di Joseph Beuys. Analoghe attitudini rivela l’aereodinamico casco di Gianni Piacentino mentre Piero Gilardi presenta le sue nature artificiali.
La confluenza tra scultura e installazione si registra nelle opere di due reduci da Kassel: Luciano Fabbro (Senza Titolo, 1993) dalla Neue Gallerie alla sala ottagonale del Padiglione Italia, sacralizzandola con una scalena piramide marmorea poggiante su sfere nere; e analogo precario equilibrio è suggerito dalle tensioni metalliche e minerali di Hidetoshi Nagasawa (Iride, 1993). Ai due famosi artisti è affiancata la giovane Luisa Protti (Senza Titolo, 1993).
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
OPERA ITALIANA (TRANSITI E TRIT TICI)PADIGLIONE ITALIA
TRITTICI - OGGETTISTICA -
Piero Gilardi, Igloo, 1964
TRITTICI - LA COMPLESSA -
Luciano Fabbro, Senza Titolo, 1993Hidetoshi Nagasawa, Iride, 1993
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Piero Gilardi: Igloo, 1964; Vestito stato d’animo, 1964; Greto di torrente, 1965; Trilite spezzato, 1965; Grano caduto, 1967; Mare con gabbiani, 1967; Black-‐out, 1993. Gianni Piacentino: Dark DullPink Large X, 1966; Self-‐Portrait Race 1, (1991-‐93); Pearl Indigo Large X, 1992; Race 8 (V.F.V.W), (1992-‐93). Salvatore Scarpitta: Head Gear for Artists, 1991; Avon X, 1962; Boom Sled, 1976; Core, 1978; Parashute Sled, 1987; Lobster Chief Sled, 1989; Hill Canoe, 1990; Osoppo 44, 1990; Racing Car, 1190; Seal of Approval; American Rosetta, 1991; Bog Skis, 1991; Dare Davil Sled, Gulag Slug Sled, 1991; Judge and the Twin Wizards, 1991; Mud Pizzeria, 1991; Pizza Quarry, 1991.
Abstracta chiude Opera Italiana con un gruppo di giovani artisti: Sergio Fermariello (Guerrieri: trittico; Lamentazione e Senza Titolo, 1993) Domenico Bianchi (Senza Titolo, 1993) cita l’encausto e Remo Salvadori (Tavolo d’Angolo, 1993 e 5 opere dal titolo Verticale, 1993) piastrella le pareti di formelle decorative staccate da Kassel.
TRITTICI - ABSTRACTA -
Remo Salvadori, Verticuli, 1993; Domenico Bianchi, Senza Titolo, 1993
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PADIGLIONE ITALIA
PAESI SENZA PADIGLIONE NEL PADIGLIONE ITALIA:
MACCHINE DELLA PACE
Mario Ceroli, Progetto per la pace e per la guerra, 1969 e Julian Opie, Londra, 1958.
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Tony Cragg, Liverpool, 1949; Shirazeh Houshiary, Open Segrets, 1993; Ange Leccia, Arrangiament, 1993; Roman Opalka, Opalka 1965 1/∞ Detail 2668393-‐2688144, 1965; Roman Opalka, Opalka 1965 1/∞ Detail 4875812--‐4894230, 1965.
Commissione Operativa Laura Cherubini, Paola Ugolini,Commissione esecutiva Allievi scuola Internazionale di curators, La Biennale di Venezia – Magasine de Grenoble.
Lo stordimento provocato dal Padiglione Italia dove sono stipati (ala Pastor) anche gli artisti rappresentanti quei paesi che non dispongono di padiglione nazionale: Bulgaria, Irlanda, Lussemburgo, Repubblica di Corea, Senegal, Repubblica di San Marino, Sudafrica e le nazioni afferenti all’Istituto Latino - Americano (Bolivia, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Messico, Panama, Paraguay, Perù).
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LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIEAPERTO 93: EMERGENZA /EMERGENCY
RIAVVICINAMENTI – HELENA KONTOVA
Bernhard Rüdiger /Liliana Moro . La casa, 1993 Veduta dall’alto dell’installazione
AFTER THE EVENT – MIKE HUBERT
Veduta dell’allestimento entrando alle Corderie. Agelo Papadimitriou,Farewell to Art, 1991 - 92
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Dawn Clements, Silhouette, 1991; Wall, 1991; Bones, 1992; Burly-‐Q, 1992; Camomilla, 1992; Carnival Story, 1992; Easter, 1992; Five Graves to Cairo, 1992; Easter, 1992; Framed, 1992; Funhouse, 1992; Group Portrait, 1992; Honey drop, 1992; Mothership, 1992; New Consensus, 1992; Performance, 1992; Pope-‐ye, 1992; Pretty Rugged, 1992; Protection, 1992; Seen, 1992; Seen (2), 1992, Service, 1992; Smoking, Eating, Drinking, 1992; Sue Ellen, 1992; The Children’s hour, 1992; The Damned, 1992; Daisy Credits and Pillow Talk, 1993; I Think You Came Downs To Eves Drop Internetionally, 1993; Learning Italian, 1993; John Currin Sociology Professor, 1992; Sophomore, 1992; Jamita‘s sister, 1993. Martin Honert: Railway House, 1992; Starling, 1992. Gianmarco Montesano: Frauen und Mannestun, 1993; Les plus belles femmes du monde, 1993; Un mondo di fratelli, 1993. Angelo Papadimitriou: Farewell To Art, (1991.92). Alexis Rockman: Evolution, 1992. Sue Williams: Balls, 1993; Filler, 1993. Mario Dellavedova: Diogene getta la scodella (1992-‐93); Posacenere per l’ ultima sigaretta, (1992-93).
OPERE: Milena Dopitovà: 14.3.-‐10∞, 1993; I Dont’t Count on My Change, 1993. Ròza El-‐Hassan: Untitled, 1992; Untitled. Elke Frystufek: La Biennale di Venezia, 1993; Coitus, 1993. Zbigniew Libera: Impulse for the Reason, 1993; SS (Segment of a Signal) 1993. Eva Marisaldi: N. 2 Senza Titolo, 1993. Liliana Moro e Bernhard Rüdiger: La Casa, 1993. Eran Schaerf: Traslation Zone, 1993. Maria Grazia Toderi: Happy Birthday, 1993; Nontiscordardime, 1993. VSSD: Pure Eyewash (Sand in your eyes), 1993: Dimitris Kozaris, Fast Food, 1993. Premiata Ditta s.a.s.: Premiata Ditta at Work, 1993. Pipilotti Rist.: N. 3 Sister of Elettricity, 1993.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIEAPERTO 93: EMERGENZA /EMERGENCY
REALITY USED TO BE A FRIEND OF MINE
- MATTHEW SLOVOTER -
Damien Hirst, Mother and Child divided, 1993 Vongphrachanh Phaophanit, Rice Field, 1993.
IL SEMPLICE SCAMBIO - BONAMI FRANCESCO
Rainald Schumacher: Newspaper “Headline”, 1990 - 93Matthew Barney, Drawing Restraint 7, 1993
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Maurizio Cattelan: Untitled, 1993. Jessica Diamond: Tribute to Kusama: Love Forever, 1992. Carter Kustera: Reality Check: Body Tower, 1993; Reality Check Disappearing, 1993. Paul McCarthy, Assortment, 1992-‐93; Totem, 1992-‐93. Gabriel Orozco: Pounds Net Black, 1993. Charles Ray, 7 1⁄2 Ton Cube, 1990. Rudolf Stingel: N. 3 Senza Titolo, 1993; Alix Lambert, “No holes Barred”,1993. Kristin Oppenheim, Starry Nigth, 1993. Rainald Schumacher: N. 2 Newspaper “Headline”, 1990-‐93; Headline ”Heike Kempken”, 1993; Headline “Vincent Tavenne”, 1993.
OPERE: Christine Borland: N. 2 Botton Cover/Exit Hole, 1993. Mat Collishaw: The Dawn Chorus, 1993. Damien Hirst: Mother & Child divided, 1993. Simon Patterson: N. 2 The Last Super Arranged According To The Sweeper Formation (Jesus Christ in Goal), 1990. Vongphrachanh phanit: Rice Field, 1993. Steven Pippin: Flat Field, 1993; Wow & Flutter, 1993. Julie Roberts: Gynaealogical Treatment Couch, 1993; Theatre Gown (Greens), 1993. Rirkrit Tiravanija: Untitled (1271), 1993. Sadie Benning: GirlPower (Part One), 1992; It washen’t Love, 1992; Jollies, 1992. Paper Tiger Television: Operation Storm The Media, 1991. Georgina Starr: Mentioning, 1992.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIEAPERTO 93: EMERGENZA /EMERGENCY
DAS REALE/DIE ARBEIT - THOMAS LOCHER
Daniel Peterman, Recycled Tires, 1990
Rolf Walz, Feedback, 1993
Regina Moller, Film, 1993
CAN ART STILL CHANGE THE WORLD?- JEFFREY DEITCH -
Janine Antoni, Lick & Lather, 1993Kiki Smith, (prime 2 foto) veduta installazione.
Yukinori Yanagi, The Word Flag Ant Farm, 1990 prima della rimozione delle formiche
Kohdai Makahara, A module for floating to be used in pair with my wife or future child, 1993
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Janine Antoni: Lick & Lather, 1993. Renée Green: Toile: “Vienna”, 1992. Kohdai Nakahara: A Module For Floating to Be Used In Pairs With My Wife For Our Future Child, 1993. Kiki Smith: Mother-‐Child. Noboru Tsubaky: Golden Harmony, 1993. Nari Ward: Exodus, 1993. Yukinori Yanagi: The Word Flag Ant Farm 1990, 1990. Andrea Zittel: A to Z Breedin Unit: for Averaging Eigth Breeds, 1993; Cheryl Donegan: Head, 1993. Haha: Dolce, 1993.
OPERE: Biefer & Zgraggen: Prophezeiungen, 1990-‐93; Der Beuteträgher, 1991. Meg Cranston: N. 2 Who’s Who by Size: University of California Sample, 1993. Regina Möller: Film, 1993. Ocean Earth Construction and Development Corporation. Hirsh Perlman: The Layman’s Practical Guide to interrogation: First Draft, 1993. Dan Peterman: One ton Sulfure Dioxide, 1993; Shade of Green, 1993. Rolf Walz: N. 3 Feedback, 1993. Peter Zimmermann: Senza Titolo, 1993.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIEAPERTO 93: EMERGENZA /EMERGENCY
INDICATORI - ANTONIO D’AVOSSA
Bigert & Bergstrom, Adrenaline Dream, 1993. veduta dell’installazione,
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Pep Agut: Not Exact Rooms, 1993; Persona, 1993; Selfportrait, 1993. Bigert&Bergstrom: Adrenaline Dream. Marco Brandizzi: Zero, 1992. Giorgio Cattani, Corsia, 1993. Maria Eichhorn: Zeichnungen, 1989; 17 x 3 Substantive, 1991; Buch/Stehpunt, 1991-‐93; Hängenmatten, 1993. Carsten Höller: Monster Child; Pest Control, 1993. Kirsten Mosher: Top Soli Nation, 1992. Luca Quaranta: Chi, 1993. Sergio Sarra: Autoritratto, 1993; Iguane, 1993; Paesaggio, 1993. Marcelo Expòsito: Tierra Prometida, 1992. Subreal: Draculaland, 1993.
INDIFFERENCE AND NON- INDIFFERENCE - KONG CHANGAN -
Formentero - Sossella, Primi giochi, 1993
Opere: Kathe Burkhart: Charly, 1990 (Scavenger Daughter), 1992; Dave 1984-‐90 (head crusher) (Dave 1984-‐90), 1992; Slit from Liz Taylor Series (Ash Wednesday), 1992; Bill 1978-‐79 (The Rack), 1993; Cazzomatto: from Liz Taylor Series – X Y e Z, 1993; Michael 1983 (Oral, Rectal, Vaginal Pear), 1993; Scumbag: from Liz Taylor Series (Vanity Fair Cover), 1993; Smatch: from Liz Taylor Series (The girl who had Everything ), 1993. Formento-‐Sossella, Primi giochi – Dondolo a Molla, 1993; Primi Giochi – Pampano, 1993; Primi Giochi – Tatami, 1993. Michael W. Joo, Mongolid Version B-‐29 (Miss Meghook No.’s 1-‐6), 1993. Lee Ming-‐Sheng, Fireball or Firecircle, 1993. Anatoly Osmolovsky, Chaos– My House, 1993; Unwanted Third, 1993. Nedko Solakov, Dreams – Nigth, 1993. Youshen Wang, Newspaper Curtains, 1993. Wu Shan Zhuan, Putting The Money for Art-‐Matirial in Bank and Working for The Exibition.
STANDARDS - NICOLAUS BOURRIAUD -
Philippe Parreno, No more Reality, 1991Kai Althoff, senza titolo, 1993
veduta installazione
Cercle Ramo Nash, Total Recal, 1993
OPERE: Angela Bulloch: N. 5 Untitled, 1993. Cercle Ramo Nash: Total Recal, 1993. Fabrice Hybert, Sans Titre, 1986-‐93. Sean Landers: Video For Aperto, 1993; Danny Boy Of a Dingle, 1993; Challagan Strikes It Rich, 1993; Drunk Again!, 1993; Moriatri It Again, 1993; Sullivan And His Trainer, 1993; John The Baptist, 1993; Dingleberry Sean, 1993. Philippe Parreno, No more Reality, la manifetation, 1991. Patrick Van Caeckenbergh, Kakstoel, 1993. Niek Van de Steeg, Le Pavillon a Vent, 1993. Nicolaus Schafhausen presenta. Kai Althoff: Untitled, 1993. Lukas Duwenhögger: Club-‐Kellner, 1990; Gespräch, 1992.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIEAPERTO 93: EMERGENZA /EMERGENCY
FORSE ... - ROSMA SCUTERI -
Oliviero Toscani, Immagini di consumo di massa, 1993.
NEWS FROM POST - AMERICA- BERTA SICHEL
Andres Serrano, La Morgue, 1992Rigoberto Torres che fotografa le sue sculture - ritratto Julio, Jose, Junito, 1991-92
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
OPERE: Laura Aguilar: N. 2 Untitled from Clothed/Unclothed Series, 1990; Untitled from Clothed/Unclothed Series, 1991. Daniel J. Martinez: The Big Bad Wolf (The Wicked Witch) & the Thing under the Bed, 1993. Rosângela Rennó: Humorais. Doris Salcedo: N. 3 Sin titulo, 1989-‐93. Andres Serrano: The Morgue (Jane Doe Killed By Police), 1992; The Morgue (Knifed to Death I), 1992; The Morgue (Knifed to Death II), 1992; The Morgue (Infectios Pneumonia), 1992. Rigoberto Torres: Julio, Jose, Junito, 1991-‐92; Margaret and Ervin, 1992; Maria, 1993. Eugenia Vargas: Untitled, 1993. José Antonio Hernández-‐Diez: Untitled, 1993.
OPERE: Filadelfo Anzalone, Via Crucis, 1992; La natura ci ripete, 1993. Hany Armanious: Mr. Big, 1993. Botala Tala: Chute libre, 1991; La marque Pajero corbillard ou la gibecere d’un chasseur nocturne, 1991; Le coup d’ etat du 4 Decembre 1991, 1991; Chaillot, 1991; Cohabitation Pouvoir Opposition, 1991; Election democratiques en Afrique ou la main à la pate, 1991. New Madras Agency. Samuel Kane Kwei: N. 2 Traditional Coffin(Onion), 1993. Mondo/Mokoh: Anak Taken Bojog, 1992; Omaggio a mia nonna, 1992; Orang rasindengan orang malas, 1992-‐93. Bonnie Ntshalintshali: Adam, 1993; Eve, 1993; Unkulunkulo lisekhathele abantu babulana nezilwane, 1993. TODT: Barrel Lift, 1993; Bow Bike, 1993; Fly Paper, 1993. Oliviero Toscani: Immagini di consumo di massa, 1993.
AN ESSAY ON LIBERATION
- ROBERT NICHAS -
Nancy Rubin: Mattresses and Cakes, 1993
OPERE: Félix Gonzáles_Torres, Untitled (Aparicion), 1991. Scott Grodesky: 1991; 1993. Nancy Rubin: Mattresses and Cakes, 1993. Julia Scher: Security by Giulia, XVII, 1993.
CORDERIEAPERTO 93: EMERGENZA /EMERGENCY
VAPORETTI - BENJAMIN WEIL -
Sylvie Fleury, Legs, Body and Mind, 1993
OPERE: Henry Bond: On The Buses, 1993. Sylvie Fleury: Legs, Body and Mind, 1993. Dominique González-Foers-ter: This is an Abandoned Ring, 1993. Gotsho, Help, 1993. Lothar Hempel: Senza Titolo, 1993. Roth & Stauffenberg: 07 : 00: 02: 39, 1992; Boat People, 1993.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
GRANAI ZITELLE, GIUDECCA, PALAZZO FORTUNYSLIT TAMENTI
SLITTAMENTI (GIUDECCA)
Stanza curata da Pedro Almodovar allestita da Christian Leigh
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
In Slittamenti la multidisciplinarietà è al centro dell’indagine. Sono diversi gli artisti, registi che usano linguaggi artistici diversi da quelli per cui sono normalmente riconosciuti. Così Pedro Almodovar s’improvvisa curatore selezionando opere che spaziano dai suoi autori prediletti (Warhol, Lichtenstein, Mappelthorpe, Steinbach e altri) a designer come Ettore Sottsass; mentre dello scrittore William Borroughs vengono presentati dipinti, del regista Wim Wenders e del filosofo Jean Baudrillard fotografie, di Pino Pascali bozzetti pubblicitari. Il video è forse i medium più presente: di Derek Jarman, ammalato di Aids, viene anche proiettato Blue ispirato a Yves Klein, mentre di Luca Patella, Vettor Pisani, Mario Schifano, Vincenzo Agnetti, Bob Wilson si proiettano superotto degli anni ’70. Enrico Ghezzi allestisce una sala dedicata a Mario Schifano.
SLITTAMENTI (GRANAI DELLE ZITELLE)
Bob Wilson, particolare dell’installazione
Bob Wilson realizza un’installazione ambientale in cui il pavimento è ricoperto d’argilla e si odono suoni metallici, che si ripetono e si allontanano. Al visitatore viene chiesto di entrare a piedi nudi così che possa fare un’esperienza sensoriale immersiva di questo ambiente straniante tra il lunare e il desertico.
SLITTAMENTI (PALAZZO FORTUNY)
Questa parte di Slittamenti dal titolo Watching-‐Water è interamente dedicata al Peter Greenaway. All'esterno il palazzo viene rivestito con tessuti preziosi – realizzati appositamente per la mostra -‐ che richiamato i motivi di Fortuny. Al piano nobile Greenaway fa un intervento di illuminazi-one interpretando scenograficamente alcune stanze dell’abitazione del pittore; al piano superiore invece vengono allestite quattro stanze dedicate ai suoi film. In esposizione alcuni aspetti preparatori, dai disegni alle pagine delle sceneggiature di quattro film accomunati dall’uso del tema dell’acqua: Intervals (1969) Giochi nell'acqua, I morti della Senna, (1974) e L'ultima tempesta (1991). L’ultimo effetto “d’acqua” è riservato al corridoio alla fine del percorso in cui vengono riprodotti i movimenti dell’acqua.
LE MOSTRE DE LA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
GRANAI ZITELLE, GIUDECCA, PALAZZO FORTUNYSLIT TAMENTI
SLITTAMENTI (GIUDECCA)
SEZIONE II – DISPLAY - 1993
CAGE&CO. IL SUONO RAPIDO DELLE COSE
(Antichi Granai Delle Zitelle e Fondazione Guggenheim, Cà Vernier Dei Leoni)
La mostra rende omaggio a John Cage, morto nell'estate del 1992, quale “sconfinatore” tra diversi generi espressivi.Fondazione Guggenheim, dove sono presenti opere di artisti a lui legati, da Rauschenberg a Johns, a Pistoletto.
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
91
44.4. Analis i del la mostra Punti Cardinal i del l ’Arte.
La 45esima Esposizione Internazionale d’Arte Punti Cardinali dell’Arte è composta da
quindici mostre, pertanto per comprendere il progetto complessivo vanno considerati
insieme di tutti gli elementi comprese, le modifiche che costringeranno Achille Bonito
Oliva a tagliare quello che egli ritiene il centro nevralgico della sua Biennale la mostra Venti
dell’Arte alla mostra è dedicato un approfondimento in questo capitolo.
L’organon delle mostre presentate alla Biennale è parte di un progetto che si delinea
immediatamente durante i primi due mesi dell’incarico a direttore del settore Arti Visive
per cui le molte mostre, anche quando non curate direttamente da Bonito Oliva, devono
essere considerate parte integrante del progetto in toto in quanto nate nella visione
primigenia complessiva del curatore.
Punti Cardinali dell’Arte verte, nonostante i tagli, su due concetti in particolare: in primis la
coesistenza dell’arte, intesa come una convivenza fra declinazioni differenti di
metodologie e medium e una convivenza fra impostazioni culturali diverse, in seconda
istanza il nomadismo culturale che è un termine “ombrello” che racchiude tanto l’idea
modernista dell’artista che cerca un ‘altrove’ - sia esso fisico o figurato - quanto la
descrizione della condizione dell’artista contemporaneo il cui orizzonte si è
improvvisamente allargato a tutto il mondo in seguito agli eventi politici scatenatisi
all’indomani della caduta del muro di Berlino e alla concomitante esplosione della
globalizzazione informatica ed economica. L’uso della parola nomadismo è da intendersi
secondo molte accezioni diverse comunque da rapportare a un discorso intorno all’”altro”
e all’”identità” che in quegli anni prende piede nelle teorie post-coloniali.
Le varie mostre che fanno parte di questa Biennale rispondo pertanto ad un principio di
coesistenza innanzitutto spaziale, tanto che la prima caratteristica metodologica
dell’allestimento ideato da Bonito Oliva è una coabitazione spaziale e pratica riscontrabile
nelle molte mostre compresse nel padiglione Italia e nell’accoglienza di artisti di altra
nazionalità fatta da alcuni padiglioni che aderiscono al progetto di trans-nazionalità. Da
sottolineare inoltra la convivenza con la città attuatasi tramite il posizionamento nel
tessuto urbano di Venezia di alcune delle mostre della Biennale. A questa “coesistenza”
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
92
nello spazio corrisponde una “coesistenza” teorica: « La ricerca di punti cardinali dell’arte
implica la scelta di categorie spaziali e sincroniche, che consentano di pensare l’arte
secondo un ordine di coesistenze, non secondo un ordine di successioni ».1 Si può
sostenere che con Bonito Oliva si verifichi uno spostamento radicale, che poi vedrà i suoi
frutti più compiuti nella mostra di Harald Szeemann dAPERTutto: da un’idea temporale ad
una spaziale, quasi topologica. Osserva, a riguardo, Mario Perniola circa la necessità di
« liberarsi dai condizionamenti di un evoluzionismo storicistico, che riesce a pensare solo
mediante il ricorso a categorie temporali e diacroniche. La ricerca di punti cardinali
dell’arte implica la scelta di categorie spaziali e sincroniche […]. Ciò che ci interessa non è
più la storia dell’arte, ma la possibilità di una topologia dell’arte che prenda in esame e
analizzi le più varie e contraddittorie esperienze artistiche nella loro continuità e nei loro
limiti ». 2
Tutte le mostre sono parte integrante del progetto Oliviano, e per questo motivo tutte
trovano uno spazio descrittivo, seppur breve, nella scheda generale, mentre nell’analisi del
display un esame più puntuale dell’allestimento è rivolto unicamente a quelle mostre
tradizionalmente collocate entro i confini dei Giardini presso il padiglione Italia – luogo
che identifica storicamente la mostra del curatore, alcuni accenni sono riservati alle mostre
Passaggio a Oriente presso i padiglioni Venezia e Israele e Slittamenti ospitata in tre sedi
diverse a Venezia. Una digressione è altresì dedicata alla mostra riservata ai giovani artisti
Aperto ’93. Due i motivi di questa scelta: il primo è legato al fatto che questa è, anche se
non ci sono ancora avvisaglie, l’ultima edizione che viene organizzata avendo in mente di
riproporre metodologicamente l’impianto della prima edizione Aperto’80 di cui, peraltro,
Bonito Oliva fu co-curatore insieme ad Harald Szeeman. Il secondo motivo è connesso alla
sua particolare strategia organizzativa. Affidata alla guida di Helena Kontova la mostra si
divide in 13 mostre curate da altrettanti curatori. I protagonisti – sia artisti che curatori - di
questa edizione di Aperto diventeranno i grandi nomi dei decennio a seguire e oltretutto
l’impostazione di co-curatela allargata, la dimensione collaborativa, l’apertura a voci
eterogenee diventano cifra espositiva negli anni a venire culminando negli esempi più
celebri quali documenta 11 e la 50esima edizione della Biennale curata da Francesco
Bonami.
1 Verbali LXII Riunione Consiglio Direttivo, 5 settembre 1992, p. 45, in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 115. 2 Mario Perniola “L’arte come mutante neutro” in Achille Bonito Oliva (a cura di) op. cit., catalogo della mostra, 1993, p. 3.
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
93
Il display del padiglione Italia raccontato nella sezione precedente è organizzato cercando
di descrivere l’allestimento a partire dall’impostazione della mostra data da Achille Bonito
Oliva, raggruppando quindi gli artisti secondo lo schema teorico fornito dal curatore. Ad
esempio, ed in particolare per la descrizione della mostra Punti dell’Arte, si è divisa la
descrizione dell’allestimento nelle sezioni Grave (nord), Fermo (ovest), Aureo (sud),
Araldico (est). Confrontando le sezioni con la mappa dell’ipotesi di ricostruzione
dell’allestimento non si trova corrispondenza ad una divisione per stanze. La sezione Nord
infatti è costituita dal gruppo Beuys, Morris, Kikerby e Baselitz ma le loro opere sono
distribuite rispettivamente nell’esedra d’entrata al padiglione, nel salone centrale, nella
prima sala di sinistra annessa a quella centrale e nella successiva proseguendo verso il
fondo. Inoltre le opere dei quattro artisti convivono con altre opere di altrettante diverse
sezioni.
Entrando nel padiglione Italia il visitatore s’imbatte in una struttura aperta nei due lati di
fondo e apparentemente percorribile che ospita l’opera Terremoto a palazzo (1981) di
Joseph Beuys. Mentre di fianco in una nicchia dell’esedra si annida l’opera di Boltanski
(Fermo) Les archives de la Biennale de Venise en 1938 (1993) in cui l’artista assembla
fotografie relative alla famosa biennale del ’38 che ricevette la visita di Adolf Hitler.
L’opera di Beuys era molto cara a Bonito Oliva che si occupò della mostra Terrae Motus
realizzata all’indomani del terremoto di Napoli e con la quale collaborò con insieme a
Lucio Amelio di Napoli, dalla cui collezione proviene tra l’altro l’opera. Per questo è
interessante notare la sua collocazione in un posto non soltanto preminente – l’entrata alla
mostra che diventa un passaggio metaforico attraverso l’opera e la struttura postavi
attorno – ma anche la funzione legata ad una fruizione che si presenta immediatamente
senza un percorso prefissato. Sulla destra si aprono le stanze della seconda e terza sezione
di Transiti (Opera Italiana) fabbrica civica: Gibellina e fabbrica civica: Terrae Motus,
entrambe dedicate a due luoghi colpiti dal sisma e ai quali l’arte e gli artisti hanno risposto
in modi diversi ricostruendo come nel primo caso o aprendo squarci di riflessione sulla
fragilità umana nel secondo.
Nella sala successiva la compresenza fra le opere di Robert Morris, Enzo Cucchi ed Emilio
Vedova, non appartenenti alla stessa sezione della mostra, fa sorgere una domanda
intorno al principio ordinatorio che sottende l’allestimento. Certo è che un’opera grande
com’è Orion di Robert Morris non era collocabile in molte altre stanze del padiglione ma
certamente non era l’unica soluzione possibile. Questa osservazione è valida anche per le
opere di Enzo Cucchi ed Emilio Vedova, l’accostamento fra le opere però sembra suggerire
la ricerca di un dialogo fra le stesse che si pongono come dicotomiche. Una situazione
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
94
molto evidente nella stanza che accoglie i riverberi dorati creati da una luce radente sulle
opere Gino De Dominicis da una parte e dall’altra le grandi tele espressive e vitali di Per
Kikerby.
Metodologicamente le opere creano un dinamismo nel percorso che si può definire “per
trazioni e contrazioni”, esse, in particolare nelle stanze occupate da Punti dell’Arte,
articolano un discorso, un movimento fatto per continue antinomie così ad esempio di
passa dalla stanza di Sigmar Polke riempita da cielo a terra di opere dell’artista all’intimità
della proposta di Anish Kapoor per poi imbattersi nella messa in discussione dei limiti
spaziali architettonici ed espositivi suggeriti dall’installazione ambientale di Daniel Buren.
Un posto di rilievo nel padiglione è riservato alla grande mostra fotografica che Bonito
Oliva riesce in extremis a realizzare Muri di Carta. Questa occupa il soppalco e il
seminterrato quindi si insinua fra le altre mostre ma allo stesso tempo ne rimane distinta.
La mostra, in collaborazione con Arturo Carlo Quintavalle e il Centro Studi e Archivio della
Comunicazione dell’Università di Parma (CSAC) racconta attraverso oltre cinquecento
fotografie il paesaggio e la fotografia italiana. La mostra avrebbe dovuto essere
l’espressione del tema del viaggio - come viaggio nella storia del paesaggio - nella
fotografia ma anche di un tentativo concreto di valorizzare il patrimonio italiano.3
Il resto del padiglione, eccetto per l’Ala Pastor che accoglie gli artisti di alcuni Paesi senza
padiglione, è occupato dall’articolata mostra che rappresenta l’Italia in Biennale Opera
italiana. La mostra è divisa in due macro sezioni Transiti che consta di sette sotto-sezioni
(Concessione d’immagine, Fabrica civica Terrae Motus e Gibellina, Parabilia, Premonizioni,
Persona e MUEL, il museo Elettronico di Luciano Giaccari) e Trittici divisa in quattro sotto-
sezioni (Imagina, Extroversa, La complessa, Oggettistica). Tale zona espositiva,
contrariamente a Punti dell’Arte appare più ordinatamente divisa per stanze, in particolare
per quanto riguarda la sezione Transiti che è l’unica parte della mostra visitabile secondo
un percorso che procede di sala in sala. Dall’ingresso si visita la stanza delle fabbriche
civiche di Gibellina e Napoli che appaiono come due estremi opposti: a una parte, infatti,
c’è la colorata e tumultuosa Gibellina annunciata dai paramenti di Carla Accardi che
pendono dal soffitto mentre la sezione di Terrae Motus, pur presentando opere di grandi
come Andy Warhol e Robert Mappelthorpe ha l’aspetto di una fredda quadreria. A seguire
verso il fondo del padiglione si passa dall’installazione fotografica “Concessione
d’immagine”, poi per la stanza di “Persona” divisa tra il nero allestimento per l’esposizione
3 “Questa mostra è la riprova di quanto la collaborazione fra due pubbliche strutture, la Biennale di Venezia con la sue centenaria storia e l’Università con il CSAC e con i suoi specialisti e la sua ricerca possa giovare ad aree culturali emarginate”. Gloria Bianchino, “Il CSAC e la politica della fotografia”, in Achille Bonito Oliva (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1993, p. 420.
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
95
dei disegni di Emilio Isgrò e il muro occidentale del pianto di Fabio Mauri, si procede
ancora per la stanza dedicata ai due grandi critici d’arte scomparsi Carla Lonzi ed Emilio
Villa, a cui Bonito Oliva rende omaggio, per poi terminare il percorso di Transiti con
“Parabilia” la parte più interdisciplinare di Opera Italiana. Nell’allestimento di queste sale è
possibile notare un aspetto particolare che si riscontra nell’allestimento delle fotografie di
Concessione d’Immagine, ma che viene anche riproposta in Muri di Carta. Si tratta ovvero
della costruzione di numerose strutture perpendicolari alla sala che moltiplicano gli spazi
espositivi e permettono, in una grande pletora di materiale, come è appunto il caso di
queste due sezioni, di creare delle zone più identificative. Da un punto di vista
metodologico, nella proposta di elementi architettonici tradizionali per l’esposizione,
Bonito Oliva non si discosta in modo specifico dalle pratiche coeve sia in mostre
temporanee che museali. Il suo sforzo è più teso all’accostamento inedito, all’incontro fra
le opere, seguendo anche la tecnica della “moltiplicazione” di elementi solo
apparentemente distanti.
La zona dedicata ai Trittici risponde invece interamente alla logica delle opere come
singolo universo autonomo. A ciascuna opera è dedicata un’unica stanza, tranne nel caso
di Scarpitta con Piacentino, e Fioroni, con Busanel che condividono ampi spazi tali da
permettere comunque un’autonomia dell’opera. Questa impostazione centrata sull’opera
risponde, come descritto nella trattazione relativa al pensiero curatoriale di Bonito Oliva,
alla convinzione che le espressioni artistiche devono essere prese in considerazione a
partire non « non dall’anagrafe del soggetto ma dal catalogo dell’oggetto ». 4 Inoltre
l’accostamento di opere per dicotomie risponde all’esigenza di rappresentare la cultura
della complessità che l’arte contemporanea contiene. La scelta di dedicare agli artisti
italiani di Trittici sale personali è in linea con l’idea di un’identità mediterranea fatta da un
insieme – di qui il titolo Opera Italiana e non “opere” – di tensioni individuali. In questo
senso è possibile comprendere una delle accezioni con cui Achille Bonito Oliva utilizza
l’espressione “coesistenza dell’arte” ovvero come compresenza di diverse individualità che
costruisce un fatto unico.
La coesistenza linguistica si esprime in moltissime delle mostre proposte che non sono
state direttamente allestite sotto la guida di Bonito Oliva, ma rispondenti totalmente alla
sua impostazione. Fra queste, ad esempio, Slittamenti che si articola in tre parti. La mostra
è dedicata alla multidisciplinarità o più precisamente alle “invasioni di campo” che non si
fermano all’un uso di un medium specifico ma arrivano all’indagine trasversale che l’arte
compie, così nella parte che si teneva ai Granai delle Zitelle alla Giudecca il regista Pedro
4 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXIX.
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
96
Almodovar s’improvvisa curatore selezionando e allestendo una piccola mostra con le
opere dei suoi artisti prediletti oppure del filosofo Jean Baudrillard vengono esposte le
fotografie e dell’artista Pino Pascali i bozzetti pubblicitari. Una situazione altrettanto
multidisciplinare viene proposta anche in Cage & Co. Il suono rapido delle cose. Anche se
la mostra si propone di essere tributo all’artista recentemente scomparso, la complessa
mostra che viene presentata solo parzialmente per mancanza di fondi, è incentrata sulla
grande influenza dell’artista americano in molteplici campi del sapere artistico e non solo,
dimostrando di fatto la permeabilità e pervasività dell’arte. Un aspetto questo centrale del
pensiero Oliviano. Non a caso il curatore chiude il suo pezzo nel catalogo generale con una
affermazione da cui trapela la sua convinzione intorno all’importanza dell’arte in ogni
settore della vita « intendo testimoniare la capacità dell’arte di essere indispensabile ».5
I temi - entropia, natura, corpo, violenza, sopravvivenza - scelti per Aperto ’93
Emergency/Emergenza sono comprensibili proprio alla luce di questa dichiarazione e dello
sforzo di dare ragione del presente. Aperto ’93 è segnata da una forte collaborazione fra i
curatori e nonostante le vicende legali tra Flash Art e la Biennale che poi ne sono seguite,
con la conseguenza dell’interruzione di circolazione del catalogo, editato e distribuito da
Flash Art, la mostra si situa come un’esperienza fondativa per la futura Biennale e per le
mostre internazionali per due motivi.
Il primo risiede nella formula collaborativa proposta riscontrabile sia nell’organizzazione
delle varie mostre che benché affidate ai singoli curatori nascono da un confronto
continuo circa l’allestimento. Seguendo infatti la distribuzione delle opere nello spazio
sembra dominare un impianto comune, sia nella tipologia delle strutture impiegate e il
loro conseguente dispiegamento negli ambienti delle Corderie sia per la presenza di un
meta-percorso, che attraversa tutte le sezioni leggibile nel contrappunto delle grandi
installazioni - fra cui Moro-Rüdiger, McCharty, Armanious – che fanno da punti di snodo e
di concentrazione visiva. Le grandi installazioni che organizzano lo spazio di luoghi spesso
post-industriali diventano una cifra delle Biennali e diventando oltre che occasione per gli
artisti di produrre lavori pubblici altrimenti di difficile realizzazione. L’aspetto di
festivalizzazione di questi eventi inoltre porta sempre più spesso a prediligere come
segnacoli, grandi installazioni spettacolari che agiscano tanto da “brand” quanto da
“sintesi concettuale”.
Il secondo aspetto che rende Aperto ’93 un’esperienza fondativa è certamente la tematica.
Di per sé, come principio teorico organizzatore, la tematica è assente, ma nei titoli o nelle
intenzioni, (come succede in Aperto ’93) si individuano parole chiave e suggestioni che
5 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XLI
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
97
possano descrivere le tendenze della contemporaneità. Il taglio super-contemporaneo è la
cifra fondamentale, l’attualità e la sua declinazione artistica. Anche Aperto quindi partecipa
della struttura a mosaico in quando « tesa alla lettura della complessità internazionale
dell’arte mediante tasselli espositivi di temi, contesti e personalità individuali della
creazione artistica ».6
Nei tagli al programma del 19 marzo 1993 l’eliminazione di Venti dell’Arte sacrifica nello
specifico la possibilità dell’articolazione del concetto di nomadismo che in maniera diversa
realizzerà poi nel 2001 in Tribù dell’Arte. Pertanto la mostra Passaggio a Oriente che nel
disegno generale delle mostre si sarebbe collocata come la contemporanea declinazione
dell’oriente in arte, risulta invece una mostra a sé stante. Ancora una volta però sono le
scelte secondo la logica “dell’invasione di campo” che rendono la fruizione di questa
mostra come parte integrante del progetto. Divisa tra il padiglione Venezia e il padiglione
Israele - sgombro per l’occasione dal momento che l’artista Avital Geva, che rappresentava
quell’anno Israele, costruisce una serra dove svolge la sua attività artistica rendendo inutile
la presenza del padiglione – la mostra presenta anche la sezione delle installazioni Gutai
che vengono distribuite nei viali dei Giardini, mentre inizialmente erano allestite negli
spazi di una pineta. La presenza giocosa e invadente di queste opere permette a Passaggio
a Oriente di porsi, nonostante la sua marginalizzazione teorica dovuta all’assenza di Venti
dell’Arte, come il biglietto da visita della mostra di Bonito Oliva, essendo il primo incontro
del visitatore ai Giardini di Castello e di introdurre ad un discorso tanto di coesistenza con
un ‘altrove’, che sembra tutto sommato molto vicino, e di ribadire il discorso che egli tenta
di portare avanti con i Padiglioni nazionali intorno alla trans-nazionalità. Bonito Oliva,
infatti, tenta per quanto possibile, di cercare un punto di interazione con tutte le altre
mostre che si svolgono contemporaneamente alla mostra del curatore durante la Biennale.
La Biennale di per sé è già una mostra a mosaico che conta tante mostre almeno quanti
sono i padiglioni nazionali. Egli cerca di valorizzare questa struttura da Expo, da tanti anni
sotto attacco ma senza alternativa reale cercando piuttosto di operare proponendo uno
sforzo comune ideale, di superare le barriere nazionali invitando artisti di altre nazionalità
o ospitando paesi senza padiglione.
E’ opportuno anche parlare dell’allestimento delle mostre di questa Biennale dal punto di
vista della loro collocazione nella città. Consultando la cartina delle mostre in città
ricostruita per questo studio nella scheda generale è possibile comprendere il modo in cui
la mostra è distribuita.
6 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV.
SEZIONE II – ANALISI MOSTRA- 1993
98
La cartina proposta è organizzata in modo da individuare non solo il dislocamento delle
mostre nel tessuto urbano di Venezia, ma evidenzia quali siano propriamente emanazione
dell’Ente, quali sedi di mostre di Paesi senza padiglione e quali invece mostre patrocinate.
Pur concorrendo tutte al grande evento che è l’Esposizione Internazionale d’Arte
assumono un peso diverso se considerate come diretta emanazione dell’Ente o meno.
Nella mappatura, ricostruita per il 1993, è immediatamente percepibile che le mostre della
Biennale hanno invaso la città, questo è tanto più significativo se si considera che i paesi
senza padiglioni espongono per lo più al padiglione Italia non essendosi ancora
consolidata la tradizione dell’affitto di sale esterne ai Giardini pratica quale siamo abituati
oggi.
Questa scelta di esporre per tutto il comune da una parte implica una coincidenza tra
Biennale e città di Venezia che fa sì che Bonito Oliva consideri tutta la città come sito
espositivo, facendo di Venezia il teatro della Biennale. Dichiara, infatti, ad Alain Elkan in
un’intervista « ho potuto realizzare un progetto complesso e interdisciplinare implicando
l’intera mappa espositiva della città e realizzando per la prima volta il nuovo modello
espositivo dell’arte zapping ». 7
Sono diverse nella carriera di curatore le mostre che Bonito Oliva può annoverare come
portatrici di alcuni degli aspetti che fioriscono poi nella 45esima Biennale, sopra tutte però
la mostra che più di ogni altra costituisce un rimando importante sia per questa che per
altre mostre è Contemporanea (1973) con cui Punti Cardinali dell’Arte ha diversi punti di
raccordo. Pur non essendo stato lui l’organizzatore principale della manifestazione la sua
personalità vulcanica aveva fatto da collante durante quell’esperienza da cui nascerà il
duraturo sodalizio con Graziella Lonardi Bontempo e gli Incontri Internazionali d’Arte di cui
sarà animatore. La mostra, anche se venne da alcuni criticata per un atteggiamento di
adulazione nei confronti dell’arte americana8, lasciò un segno importante come rivela il
recupero della sua memoria storica ricostruita dal MACRo in una mostra del 2010.9
Contemporanea10 organizzata dagli incontri internazionali d’arte di Graziella Lonardi con il
7 Alain Elkann, La mia Biennale, un capolavoro, intervista con Achille Bonito Oliva, in “La Stampa”, 12 luglio 1993 8 “L’esposizione. […] commette l’errore di indentificare la nuova cultura americana con la cultura autenticamente contemporanea” Gregory Battock, Mostra a Roma: Contemporanea Pinacoteca Drive-in e Sotterranea, in Domus, n. 531, febbraio 1974. 9 MACRORADICI DEL CONTEMPORANEO - A Roma la nostra era avanguardia, esposizione a cura di Luca Massimo Barbero e Francesca Paola, presso MACRO, Roma, 23 gennaio – 5 aprile 2010.10 Contemporanea si svolse a Roma, nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, novembre 1973/marzo 1974. Presentava 9 sezioni: Arti visive, curata da Achille Bonito Oliva; Cinema curata da Paolo Bertetto; Teatro, curata da Giuseppe Bertolucci, Architettura e design, curata da Alessandro Mendini, Fotografia curata da Daniela Palazzoli, Musica e Danza, curata da Fabio Sargentini con saggi di John Rockwell e Marcia Siegel; Libri e dischi d’artista, a cura di Michel Claura e Yvon Lambert; Poesia visiva e concreta, a cura di Mario Diacono;
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99
supporto di un comitato internazionale si presentava come una manifestazione
interdisciplinare strutturata in nove sezioni e un catalogo di 600 pagine in italiano e
inglese. Sembrava dovesse gareggiare con manifestazioni quali la Documenta di Kassel e
la Biennale di Venezia11.
La parte del leone la fa la sezione di arti visive curata proprio da Bonito Oliva che propone
un panorama dell’arte degli anni ’55-’73 usando tre linee di lettura e organizzazione: linea
Analitica, Sintetica e Processuale. L’impostazione è sicuramente debitrice della formazione
che il critico partenopeo acquisisce presso Filiberto Menna con cui collabora fin dai primi
anni presso l’università di Salerno. Proprio all’Università tra Napoli e Salerno egli conobbe
giovani professori come Sanguineti e Mario Perniola e in quest’ambito strinse amicizia con
Marcello Rumma, promotore delle mostre presso gli Arsenali di Amalfi divenuto famoso in
particolare per aver ospitato Arte Povera + Azioni Povere (1969), stabilì rapporti che lo
portarono a Roma e instaurò un sodalizio con la rivista “cartabianca”12
Quello che egli propose con Contemporanea fu un allargamento di visuale critica che
include tanto nello spazio del discorso che in quello tridimensionale della mostra,
linguaggi ed esperienze eterogenee, non assimilabili, ma che proprio dalla loro
giustapposizione fanno scaturire corto circuiti e aperture inattese.13
Stefano Chiodi, che cura la riedizione di Territorio Magico, osserva come grande
importanza ha in questa mostra l’allestimento, pensato come un « dispositivo scenico
progettato da un architetto e pensato come ulteriore livello ermeneutico attraverso cui
rendere sensibile allo spettatore, e in modo simultaneo, la singolarità delle opere e la loro
collocazione all’interno di un orizzonte mentale comune ».14
Un’attenzione questa che non sfuggirà a nessuno dei curatori che si alternano nelle
edizioni della Biennali soggetto di questa ricerca, la dimostrazione di come il fattore
allestitivo sia importante quanto la comprensione del pensiero teorico ai fini di una
ricostruzione teorica dell’operare espositivo. In definitiva l’apporto della mostra di Bonito
Oliva si muove nella direzione della contemporaneità, internazionalità e coesistenza allo
scopo di una produzione di senso e di comprensione della realtà.
Informazione alternativa: a cura di Bruno Coà, Letizia Gervasio, Paolo Medori. Il catalogo bilingue edito da Centro di Firenze. Segretario della manifestazione Graziella Lonardi Buontempo con un compitato scientifico 11 Fu soprattutto l’estensione della rassegna ed il particolare l’itinerario critico a far fare ai giornalisti questo parallelo. Cfr. Contemporanea, in Casabella”, n. 386, febbraio 1974, p.2-6. 12 Stefano Chiodi, “Memoria del dimenticare (a memoria) conversazione con Achille Bonito Oliva”, in Achille Bonito Oliva, Il Territorio Magico, nuova edizione a cura di Stefano Chiudi, Le Lettere, Firenze, 2009, p. 250.
Stefano Chiodi, “Il Cerchio non si chiude” in Achille Bonito Oliva, Il Territorio Magico, nuova edizione a cura di Stefano Chiudi, Le Lettere, Firenze, 2009, p. 272.14 Stefano Chiodi, Idem in Achille Bonito Oliva, op. cit., 2009, p. 273.
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101
44.5. Ricezione cr it ica di Punti Cardinal i del l ’arte
La 45esima Biennale di Venezia nell’immediato ottenne notevoli attenzioni sia di pubblico
- i visitatori quasi triplicarono1 rispetto alle edizioni precedenti – che di stampa, tenendo in
considerazione tanto il numero degli articoli dedicati che il numero degli accrediti
stampa.2 Pertanto fu generalmente considerata un’edizione di successo e pur non essendo
questa ufficialmente la Biennale del Centenario venne menzionata spesso come tale dai
giornali che ne ricordavano la coincidenza con la sua fondazione avvenuta appunto nel
1893.3
La stampa italiana complessivamente si divise, quella Europea ne diede un resoconto tutto
sommato positivo, mentre la stampa estera, in particolare quella americana, l’attaccò
duramente accusandola di incoerenza salvando poche espressioni di questa edizione
come ad esempio la mostra su Francis Bacon e, alternativamente, il padiglione tedesco che
presentava l’ormai divenuta celebre installazione di Hans Haacke e i video-totem di Nam
June Paik o il padiglione russo con i lavori di Ilya Kabakov.
Il detrattore più accanito di Punti Cardinali dell’arte fu soprattutto Robert Hughes che dalle
pagine del Time criticò, oltre che le capacità personali4 di Bonito Oliva del quale denigra
l’invenzione della transavanguardia, il metodo basato, a suo avviso, su un mescolamento
di opere senza nessun criterio con l’unico risultato di indebolire anche lavori pregevoli:5
1 L’ultima Biennale di Carandente aveva registrato circa 100.000 visitatori, la mostra di Achille Bonito Oliva ne contò invece intorno ai 270.000. 2 Sulla scorta dei dati che riporta Marilena Vecco, Monica Sassatelli osserva come il “successo è misurato in particolare, date le aspirazioni universalistiche o globali sin dall’inizio, attraverso la percentuale di giornalisti stranieri accreditati: questi erano ad esempio il 52% alla Biennale arte del 1980, dato salito al 68% nel 2001.” Monica Sassatelli, La Biennale: dal rilancio urbano a Piattaforma di cultura globale, in “POLISπολις”, XXVII, 1, aprile 2013, p. 29. Cfr. anche Marilena Vecco, La Biennale di Venezia, Documenta di Kassel, Angeli Editore, Milano, 2002 e James F. English, Economy of Prestige: Prizes Awards and the Circulation of Cultural Value, Harvard University Press, Cambridge, 2008. 3 Fu peraltro Achille Bonito Oliva stesso ad insistere su questa ricorrenza, inoltre Rai 3 manda in onda il 12 giugno 1993 la notte del centenario biennale 1993. Trasmissione che andò in onda ininterrottamente per tutta la notte con servizi ed immagini sulla Biennale e la sua storia. La commissione operativa di tali interventi è composta da Marco Giusti, Alessandra Mammì (coordinatori) e Paolo Luciani. 4 “Bonito Oliva is a mini-celebrity in Italy, an imbonitore, or bustling promoter, of groups or movements, who gave the 80’s its silliest piece of art jargon “la transavanguardia”. Robert Hughes, Incoherence at the Biennale, in “Time”, 28 giugno 1993, pp. 67-68, qui p. 67. 5 “Bonito Oliva’s curatorial “method” has been to jumble works together in the Italian pavilion under the title “The Cardinal Points of Art” […] this biennale is quite incoherent and achieves the near impossible feat of
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102
« any way you slice it, the 45th Venice Biennale of contemporary art, […] is a failure”.6 Non
a caso, infatti, l’idea di nomadismo presentata per questa Biennale, anche se diversamente
declinata, fu uno dei nodi concettuali portanti, insieme all’ecclettismo, per la teorizzazione
della transavanguardia.7
Gli fa eco Michel Kimmelman dalle pagine del New York Times titolando, senza possibilità
di fraintendimenti « Death in Venice (at the Biennale) ». Nel mirino del giornalista
americano però è soprattutto la sezione Aperto, « la vasta terra desolata » che ospita i
giovani, dove gli artisti che sembravano promettenti altrove, a Venezia fanno una pessima
figura.8
E’ proprio la sezione Aperto, infatti, a scatenare tantissime polemiche mettendo d’accordo
sia la stampa estera che italiana, così infatti commenta Renato Barilli « Aperto si pone […]
all’insegna di un fumo cui molte volte non corrisponde l’arrosto ».9 Se da un lato si
riconosce a Bonito Oliva l’aver rilanciato a livello internazionale la Biennale con moltissime
presenze di artisti da tutto il mondo dall’altra le proposte non sembrano seguire nessun
criterio particolare per cui si assiste ad una « babele, simpatica ed eccitante ma pur sempre
una babele »,10 in cui la multidisciplinarità trasforma la mostra in un « suk dove ogni cosa è
bene accetta purché transiti via dalle tele dipinte »11. Oltre ai criteri metodologici di Bonito
Oliva, tacciati come inesistenti, sono le opere stesse a suscitare riluttanza. « I giovani artisti
[…] vogliono schioccare, provocare, marcare il proprio territorio affrettatamente, in uno
stato di urgenza. Ci va della vita stessa e non dell'arte. Regressione? Probabilmente.
Scorrettezza? Sicuramente. Attitudine politica? Senza dubbio. Oscenità? Forse. Ma
l'oscenità non è piuttosto di coloro che oggi si vogliono coprire gli occhi? ». Sono opere
come quelle di Oliviero Toscani alle Corderie che propone un’installazione con fotografie
di genitali a cui fa il verso quella di Gianfranco Gorgoni in Concessione d’immagine al
Padiglione Italia, con i soli genitali femminili, la grande opera in formaldeide di Damien
Hirst Mother and Child Divided, La Morgue di Andres Serrano o World Flag Ant Farm di
Yukinori Yanagi a scandalizzare.
Questa valle di orrori, sesso, dolore e opposizione politica viene pericolosamente percepita
come sintomo del proprio tempo « a political and cultural despair that the Biennale has
making what still passes for “radical” creation look even weaker than it actually is”, Robert Hughes, Idem, in “Time”, 28 giugno 1993, p.68. 6 Robert Hughes, Ibidem. 7 Cfr. Achille Bonito Oliva La transavanguardia internazionale, Gianfranco Politi Editore, Milano, 1982. 8 “The vast wasteland of Aperto […] artists who have looked promising elsewhere look simply awful in Venice” Michael Kimmelman, Death in Venice (at the Biennale), in “New York Times”, 27 giugno 1993. 9 Renato Barilli, Di tutti i colori: il sesso secondo Toscani, in “Corriere della Sera”, 13 giugno 1993. 10 Costanzo Costantini, C'è lo scandalo in mostra, in “Il Messaggero”, 12 giugno 1993. 11 Marco Vallora, Biennale-zapping fra Moana e Junger, in “La Stampa”, 10 giugno 1993.
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never previously exhibited ».12 I 40 giovani artisti alle Corderie, molti dei quali troveranno,
insieme ai curatori, affermazione negli anni a venire – facendo di quest’ultima edizione di
Aperto in realtà un evento epocale - rispondono alla tematica dell’emergenza del mondo
contemporaneo con opere che lasciano i più sconcertati e fanno già parlare di un sapore di
comunanza e di riconoscibilità – anche se in negativo - che si comincia a chiamare
“international style.”
E’ proprio sul versante della lettura delle opere proposte di ciò che indicano che si rivela
concordemente una forma di novità anche se non unanimemente accolta. Commenta
sarcasticamente Daverio: « il 99,4% dell’arte contemporanea è addirittura più che
manierismo applicato a idee geniali: è una nuova categoria, che io definisco del
“fighismo.” »13 Commenti simili erano stati riservati alla storica14 Biennale del Whitney del
1993 con cui la Biennale di Bonito Oliva viene messa spesso a confronto. Spiega Thomas
McEvilley – di cui era uscito da poco il volume Art and Otherness. Crisis in Cultural Identity
– che i rimproveri, in particolare della critica americana, nel centro del mirino avevano una
specifica tendenza che andava affermandosi nell’arte contemporanea di cui la Biennale del
Whitney del 1993 e a seguire la Biennale di Venezia avevano ospitato ampie espressioni.15
Tanto si assomigliano queste due edizioni che Giorgio Verzotti sulle pagine di Art Forum le
mette direttamente a paragone, rilevando come la Biennale di Venezia avesse « in
contrasto con le opere esposte alla Biennale del Whitney, questi lavori talvolta sembrano
formalmente deboli o disturbanti, ma non sono mai banali ».16 L’affermazione di uno “stile
internazionale” anche se riconosciuta non sembra pacificante, Adam Godnik dalle pagine
de The New Yorker osserva che l’affermazione di un modo internazionale nel suo rendersi
12 Tim Hilton, The matter of life and death, in “The Independent on Sunday”, 20 giugno 1993. 13 Philipe Daverio, Vittoria ai punti, in “Il Giornale dell’Arte”, luglio-agosto 1993, p. 33. 14 Cfr. Bruce Altshuler, Biennials and Beyond –Exhibitions That Made Art History. 1962-2002, Phaidon, New York, 2013, pp. 309-324. 15 Si discosta da questi paragone il commento di Giovanni Panza di Biumo: “Per quanto riguarda Aperto devo dire che non sembra una ripetizione della biennale del Whitney Museum che ho visitato la scorsa primavera a New York. Quella era una mostra condizionata, dalla volontà di stupire il visitatore con opere d’ispirazione freudiana ma che ormai non impressionano nessuno” Giovanni Panza di Biumo Vittoria a Punti”, ne “Il Giornale dell’Arte”, luglio-agosto 1993, p.32. 16 Giorgio Verzotti, Aperto 93. The Better Biennale, in “Artforum”, vol. XXXII, n. 2, ottobre, 1993, p. 104.
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cosmopolita ha abbassato gli standard17 livellando verso il basso18 e di come quest’arte si
assomigli un po’ tutta uniformando il linguaggio in una lingua franca internazionale.19
Le motivazioni si possono tracciare all’interno di un’affermazione generale del
multiculturalismo, che a Venezia leggiamo “nomadismo” e che porta con sé uno
« scardinamento della struttura nazionalistica ».20 Non a caso anche una critica positiva
come quella che gli riserva The Wall Street Journal s’interroga se « il pot-pourri di scuole e
scelte rappresenti la diversità democratica dell'arte, o il fallimento del curatore,
l'incapacità di additare una direzione estetica delle arti visive nel 1993 ».21
Fra le cose contestate ad Aperto prevale una polemica verso il pensiero debole dei curatori
che « sembrano non crederci più »22 ed il loro background acuisce il sospetto. Infatti, uno
fra i tredici curatori ad esempio è un mercante-collezionista Jeffrey Deitch, che anche se
non è alla sua prima mostra – l’anno prima aveva portato in quattro musei la mostra
Posthuman23, è sempre guardato con sospetto, altri invece sono collaboratori molto attivi
in riviste di arte contemporanea (Mattew Slovoter per Frieze e Helena Kontova per Flash
Art).
Nonostante le acerrime critiche scatenate intorno ad Aperto, anche i più accaniti
condividono l’opinione che le opere, per quanto rispondano a principi di « apocalyptic
trivia », 24 sono una risposta alla situazione contemporanea dettata anche dalla crisi
dell’arte moderna, e come tale, quindi, la crisi è in realtà rappresentata. Anche dalle pagine
de il Sole 24 Ore Anna Detheridge sottolinea che le intenzioni della 45esima Biennale sono
quelle di registrare la situazione contemporanea, anche se a discapito della pratica che
17 “The peculiar badness of this year’s Biennale ha to do less with a decline of “standards” than with the increasing stranglehold on art of an international manner […] the trouble with contemporary art isn’t that anything goes; it’s that the same thing keeps going, on and on and on.” Adam Gopnik, Death in Venice, in “The New Yorker”, 2 agosto 1993. 18 “Se davvero questa è la Biennale della rottura con il vecchio ordine gerarchico nazionalista dell’arte moderna, ciò che suggerisce non è tanto un livellamento verso l’alto quanto un livellamento verso il basso” Andrew Graham-Dixon “The Independent” in “I giornali del giorno dopo” ne “Il Giornale dell’Arte”, luglio-agosto 1993. 19 “The trouble is that all the nomads seem to have gone to art school at the same oasis. The number of things young artists are encouraged to make, or do, seem remarkably limited and stereotyped. […] This situation seems, in a way, nearly medieval: a fragmented, disordered, and increasingly tribalized world, bound together by a lingua franca of official art.” Adam Gopnik, Idem, in “The New Yorker”, 2 agosto 1993. 20 Thomas McEvilley, Venice the Menace, in “Artforum”, vol. XXXII, n. 2, ottobre 1993, p. 102. 21 Federika Randall, Ecletic “Mix Marks 45th Venice Biennale, in “The Wall Street Journal”, 18 giugno 1993. 22 “Il problema curatoriale nasce forse dalla poca convinzione che hanno dimostrato verso l’arte emergente i curatori stessi […] non è sufficiente invitare un centinaio di nomi “giusti” e dargli un qualche spazio per fare una bella mostra. L’unico modo è crederci fino in fondo, anche ciecamente, almeno per il tempo in cui lo si sta facendo.” Carolyn Christov-Bakargiev, Aperto si ma non al gioco puerile, in “Il Sole 24 Ore”, 4 luglio 1993. 23 Post Human, a cura di Jeffrey Deitch, New York 1992 si tenne a Losanna presso il FAE Muse ́e d'Art Contemporain Pully/Lausanne (14 giugno- 13 settembre 1992); a Torino presso Castello di Rivoli, Museo d'Arte Contemporanea (1 ottobre – 22 novembre 1992); ad Atene presso il Deste Foundation for Contemporary Art (3 dicembre 1992 – 14 febbraio 1993) e infine ad Amburgo presso il Deichtorallen Hamburg (12 marzo-9 maggio 1993). 24 “The Aperto is apocalyptic trivia, devoid aesthetic impulse. Everything is on much the same dull, hectoring narcissistic and politically simpleminded level” Robert Hughes, Idem, in “Time”, 28 giugno 1993, p. 68.
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mostra uno stato depressivo collettivo, cosa peraltro perseguita nel catalogo anche grazie
a interventi di intellettuali, quali ad esempio, Paul Virilio e Julia Kristeva che tratteggiano
nei loro scritti le questioni del post-moderno e della società dello spettacolo.
I lavori, riconoscono persino Robert Hughes e Michael Kimmelman, sollevano molte
discussioni intorno alla situazione politica e sociale contemporanea che richiede pertanto
un esame attento.25 A favore di questo atteggiamento scrive Politi: « Considero Aperto una
delle più belle manifestazioni di arte giovane degli ultimi 20 anni proprio perché prende
nota di ciò che sta accadendo nel sociale: intorno a noi c'è infatti disfacimento, malattia,
guerra. »26
In sintesi è quindi interessante notare come Aperto apra all’arena del confronto “salvando”
per certi versi, una discussione intorno all’arte: « La biennale non ispira gioia. Ma può
essere fonte di riflessione. Non sull’arte considerata in un compartimento stagno, ma sul
ruolo dell’artista nella storia dell’arte. »27
Inoltre la sottolineatura intorno all’aspetto politico, è in linea, come già notato anche nella
parte dedicata al contesto di questa tesi, con l’emergere di un grande interesse alla vita
come quotidianità e nella ricerca del suo significato ultimo anche relativamente al suo
valore politico, in senso aristotelico, e che critici come Clair Bishop descrivono come
“socially engaged,” che testimonia una sempre maggiore consapevolezza della pressione
della realtà ̀ esterna sull'arte, tale da annullare qualsiasi speranza da parte degli artisti di
difendere una propria dimensione di privilegiata autonomia estetica.28
Oltre agli accenti politico-sociali imperversa il video « dalla fantastica invenzione dei robot
televisivi di Nam June Paik nei giardini del padiglione tedesco », allo spiegamento di
fantasmi di Yayoi Kusama nel padiglione giapponese, senza dimenticare la meravigliosa
'cappella laica' di Yoko Ono o il deposito di gadgets elettronici di Sigeko Kubota, ed in
generale della parola - scritta, parlata, evocata - dimostrando, come vedrà più avanti, una
consonanza tra modello espositivo e “discoursivity”.
E’ proprio il video a far parlare della Biennale prima ancora di essere inaugurata.29 Bonito
Oliva commissiona a Nam June Paik ventuno videoclip per propagandare il tutto il mondo
l’immagine della Mostra delle Arti visive. « Flashes straordinari della durata di trenta
secondi o un minuto al massimo, in cui l’artista coreano assembla a un ritmo vertiginoso e
25 Emanuela Caretto, Multiculturale? Una parolaccia, in “La Repubblica”, 2 luglio 1993, p. 31. 26 Gabriella De Marco e Carlo Alberto Bucci, Gran bazar del caos con remake, in "L'Unita ̀", 13 giugno 1993. 27 Geneviève Breerette, Le malaise planétaire sur la Lagune, in “Le Monde”, 18 giugno 1993. 28 Francesco Poli, Le formiche invadono gli spazi nazionali, in “Il Manifesto”, 13 giugno 1993. 29 Fra i progetti che dovevano realizzarsi ad esempio Casinò Container che all’ultimo momento è cancellato.
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con una strabiliante fantasie visive, immagini vecchie e nuove di Venezia, sella Biennale e
dei suoi protagonisti ».30
Nella sfera dell’uso delle tecnologie è la fotografia ad assumere un ruolo di primo piano.
Per la prima volta viene presentata una mostra – Muri di carta - unicamente fotografica.
Insieme al sapore nuovo delle opere dettato dall’uso della tecnologia e dalle tematiche,
anche la proposta di un diverso modello espositivo ingenera non poco sconcerto. Il
quotidiano francese Libération ne sottolinea l’aspetto plurale e frammentato,31 - quello che
Bonito Oliva chiama « mostra-post televisiva, mostra-zapping, mostra a mosaico - che
predilige il veloce colpo d'occhio alla contemplazione sulle singole opere. Non a caso
viene si lamenta la mancanza di un “survey” e di un’analisi ». In effetti, della mostra Bonito
Oliva non fa né l’uno né l’altro. Non fa una ricognizione perché non gli interessa
l’approccio temporale. Non fa un’analisi perché non gli interessa l’approccio
documentarista.
Questo esito fu enfatizzato anche dal grande numero di opere presenti. La dispersione di
mostre per tutta Venezia, la presenza di più di 400 artisti e l’ampiezza del programma32
rendono la visita estenuante33 costringendo necessariamente il visitatore a non soffermarsi
sulle singole opere. Di conseguenza l’impressione generale è che sulle opere prevalga
l’evento della mostra e i discorsi intorno ad essa. Così osserva ad esempio Catherine Millet
« Cette prolifération de métadiscours, souvent obscurs, tend à annihiler les discours
propres des artistes ».34
Una “sostanziale eclissi dell'opera” a favore dell'evento espositivo. « Qui, soprattutto, sta il
nuovo di questa Biennale; che porta dunque senz'ombra di dubbio sulla pelle l'impronta
forte del suo direttore ».35 In particolare la stampa italiana, infatti, riconoscendo molti
aspetti di questa Biennale in esposizioni precedentemente realizzate da Bonito Oliva, ne
30 “Ed ecco David Bowie canta e si sdoppia trasformandosi improvvisamente in Joseph Beuys, il più grande artista concettuale di questo secolo. Ecco John Cage – il musicista a cui la Biennale dedicherà una mostra _ sorridere in piazza San Marco, mentre i motoscafi del Canal Grande si trasformano in astronavi che solcano canali lunari da “Guerre stellari” o il rock di Lou Reed si stende sulla facciata di Palazzo Ducale, o ancora, fa la sua comparsa una Venezia “alla maniera” di Keith Haring, il grande graffittista americano scomparso alcuni anni fa…. Un modo decisamente originale, questo della Biennale, di farsi pubblicità, mirto su pubblici diversi, da quello americano a quello orientale. Per Bonito Oliva – mago dell’immagine e della costruzione del consenso – un altro tassello alla costruzione di una mostra che ha già fatto parlare moltissimo di sé. Prima ancora di essere inaugurata.” Enrico Tantucci, Anteprima su “Fuori Orario” Ventuno spot per la Biennale di Bonito Oliva. Regista è June Paik, ne “La nuova Venezia”, 19 maggio 1993, p. 13. 31 “La prééminence accordée aux jambes au détriment de l'oeil, correspond à un nouveau type d'appréhension, voire de consommation, des travaux artistique” Hervè Gauville, Le marathon de Venise, in “Libération”, 14 giugno 1993. 32 “Un programma così aperto, ampio, dà luogo inevitabilmente ad eccessi”. Lorenza Trucchi, Narcisi, fratelli e vecchie signore, in “Il Giornale”, 13 giugno 1993. 33 “La Biennale a ainsi multiplié les endroits […] transformant la visite en marathon”, Hervè Gauville, Idem, in “Libération”, 14 giugno 1993. 34 Catherine Millet, 45e Biennale tout et n'emporte quoi, in “Art Press”, settembre 1993, p. 64. 35 Fabrizio D'Amico, Ma l'Opera non c'è, in “La Repubblica”, 12 giugno 1993.
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107
riducono la portata facendo di questa occasione un momento autocelebrativo.
Nonostante, dunque, i numerosi collaboratori e curatori implicati nella realizzazione delle
molteplici sezioni, la Biennale viene tacciata d’essere realizzata « ad immagine di Achille
Bonito Oliva ».36 Incalza Daverio: « Mi è piaciuto molto il fatto che Achille Bonito Oliva abbia
fatto del Padiglione Italia, una sua autobiografia, una bella autobiografia ».37
D’altronde Achille Bonito Oliva, istrionico e presenzialista, da corda alle critiche e sulle
pagine dei giornali risponde a tono alle critiche di Hughes. Dopo aver liquidato scortesie e
antipatie relative alla sua persona, riconosce innanzitutto un’incompatibilità di pensiero,
che non permette al critico australo-americano di comprendere che il « modello di
complessità espositiva » in cui « contaminazione, interscambiabilità, e multiculturalismo »38
sono programmatiche, non ha niente a che fare con l’incoerenza di cui viene accusato.
Anzi incalza, in un’altra intervista, “l'assoluta coerenza” del progetto risiede nel fatto che
« ogni mostra è un tassello di un mosaico attraverso il quale emerge il carattere
transnazionale e interdisciplinare dell'arte contemporanea ».39
La difesa di Bonito Oliva in nome di un nuovo approccio all’internazionalismo è sostenuta
a più voci. Illeana Sonnabend, in un’intervista rilasciata a Il Giorno sottolinea proprio
l’organizzazione pluralistica come « segno della molteplicità culturale dei nostri tempi ».40
Le critiche positive, infatti, evidenziano come esca “rivitalizzata l’etichetta di
internazionalità che della Biennale era stata alle origini la rivoluzionaria novità ».41
« Questa Biennale si oppone alle lottizzazioni culturali, lotta contro l'egemonia delle
tendenze, e, all'opposto, propone la coesistenza dei linguaggi, rivaluta le espressività
disperse e periferiche […]. Ma lo fa, bisogna ammetterlo, senza demagogia ».42
Thomas McEvilley su Artforum43 sottolinea come la scelta del tema del nomadismo
scardini la tradizionale struttura nazionalistica della Biennale, facendo di questa edizione
un fatto storico. Inoltre egli indica alcuni aspetti di questa Biennale, segnata da un nuovo
tipo di sensibilità, come l’apertura a paesi non tradizionalmente parte del circuito dell’arte
occidentale come ad esempio la Nigeria, Zimbabwe e Costa d’Avorio per la prima volta
36 Tommaso Trini, I pro e i contro, in “Arte in”, agosto 1993, p. 45. 37 Philipe Daverio, Idem, ne “Il Giornale dell’arte”, luglio-agosto 1993. 38 Lettera di Bonito Oliva “Old Time” come replica a Robert Hughes, inviata a La Repubblica e a Il Giornale dell’Arte. 39 Costanzo Costantini, Ma Hughes è un cow-boy (intervista a Bonito Oliva), in “Il Messaggero”, 25 giugno 1993. 40 Nella stessa intervista anche Leo Castelli sottolineava come la Biennale di Bonito Oliva “lavora contro il campanilismo e che Bonito Oliva abbia una visione globale della situazione dell’arte”, Manuela Gandini, Alla riscoperta della Biennale, (intervista a Leo Castelli e Ileana Sonnabend) ne “Il Giorno”, 2 agosto 1993. 41 Cavallo G. da Il Mattino (da Il giornale dell’arte; Giornali del giorno dopo) 42 Lorenza Trucchi, Idem, in “Il Giornale”, 13 giugno 1993. 43 Thomas McEvilley, Venice the Menace, in “Artforum”, vol. XXXII, n. 2, ottobre 1993, p. 102.
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presenti alla Biennale di Venezia o le particolari scelte dei padiglioni stranieri di accogliere
artisti trans-nazionali come Louise Bourgeois o Yayoi Kusama.
Probabilmente però, ciò che per alcuni è la coesistenza dei linguaggi, per altri è la
nebulosa del politically correct inscritto nel multiculturalismo.44
Nell’affollato Padiglione Italia le mostre Punti dell'arte e Opera Italiana non conquistano la
critica, suscitando diverse perplessità, più ampiamente argomentate dalla stampa italiana,
più che per gli artisti - « già ben noti alle cronache degli ultimi anni, e tra i più originali nei
rispettivi settori, sicché non possiamo che plaudere alle loro scelte »45 - per la divisione
degli artisti in sottosezioni, di cui sembra difficile scorgere, dice Dorfles, le ragioni di
« un’appartenenza ad una piuttosto che ad altra delle tetrapartizioni qui suggerite »46 o,
come sottolinea Enrico Crispolti, le sezioni confondono « il visitatore sollecitandolo a
cimentarsi sull'amenità di riconoscere per esempio nel 'grave', nell''araldico', nel 'fermo'
niente meno che i punti dell'arte. Ed è involontariamente comico avere immaginato un
pittore d’inveterato dinamismo come Vedova incastonato sotto il segno 'fermo' ».47
Fra tutte le mostre di questa Biennale quella che Pierre Restany, che pure aveva speso
parole complessivamente favorevoli, boccia fermamente sono proprio quelle nel
padiglione Italia: « il meno significativo della Biennale, a parte qualche spettacolare
eccezione, come Piero Gilardi, Fabio Mauri o Vaccari. [...] Il ruolo dell'arte italiana nello
show-biz di ABO è decisamente ridotto: è sul sacrificio dell'identità nazionale che è stato
costruito il castello di carte della XLV Biennale ».48
Maggiore plauso raccolgono invece mostre come Fratelli e Il suono rapido delle cose:
Cage&Company « bellissime ed esaustive il cui rigore filologico non raggela la
partecipazione attiva, emozionata ed emozionante, dei curatori. In particolare Maurizio
Fagiolo ed i suoi collaboratori non solo hanno fatto il punto sulla vicenda dei “fratelli”, […]
ma sono riusciti a provare come l'arte di Tano Festa, intrisa di pathos espressivo e quella di
Francesco Lo Savio votata al silenzio della precisione, abbiano una sicura valenza
internazionale collocandosi con originalità e tempestività l'una nella vicenda della Pop e
l'altra in quella del minimalismo. Ma anche “ricordi” e omaggi di minore estensione e
44 "Da vari anni le nebulose questioni della correttezza politica, del 'multicultiralismo', e della politicizzazione dell'arte e simili si sono spostate dagli ambienti accademici e artistici e dalle riviste culturali alla stampa americana di larga diffusione, generando nel complesso, più fumo e calore che luce." Hughes R. La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, Milano 1994, p. 13. 45 Gillo Dorfles, Registi, filosofi, musicisti: tutti insieme appassionatamente, in “Corriere della Sera”, 13 giugno 1993. 46 Dorfles Gillo, idem, in “Corriere della Sera”, 13 giugno 1993. 47 Enrico Crispolti, La gran Vernice, in “L'Unità”, 10 giugno 1993. 48 Pierre Restany, Il circo Abo, in “D'Ars”, n. 140, estate 1993, p. 37.
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portata, quali quelli a due critici – Emilio Villa e Carla Lonzi – e a un gallerista-fotografo –
Plinio De Martiis – indicano una positiva caduta del policentrismo, basato sull'asse New
York-Parigi ».49
La fortuna della mostra negli anni successivi ha sorti altalenanti. Innanzitutto però è degno
di nota che per la Biennale e i suoi consiglieri questa 45esima edizione fu una biennale
importante e apprezzata. Nonostante vi fosse chi non amasse Bonito Oliva all’interno del
consiglio, e che la sua figura sia stata contraddittoria, egli fu in grado di rilanciare
internazionalmente la Biennale dando nuovo slancio e interesse nella stampa con il
risultato molto favorevole di essere riuscito quasi a triplicare i visitatori rispetto all’edizione
precedente. Inoltre egli fa proprie le istanze del consiglio che intendeva oltre ad affermare
il ruolo della Biennale a livello internazionale, anche trovare una sinergia operativa con la
città di Venezia. Come notava Laurence Alloway già nel 1969 « Turismo e prestigio sono i
principali valori della Biennale per la città di Venezia »50 e viceversa. La diffusione della
Biennale Oliviana nel tessuto urbano e la capacità del direttore di cooperare con le
istituzioni veneziani furono pertanto molto apprezzate e rimangono fra i più importanti
contributi di questa Biennale. Episodi come quello legato al sequestro del catalogo di Flash
Art insieme ad altre forme di gestione economica un po’ disinvolta hanno fatto si che pur
venendo riproposto ad ogni elezione per la carica del direttore delle arti visive - almeno
fino alla presidenza Baratta – non venisse più eletto.
Ragioni di questa stima da parte di gran parte del consiglio direttivo è ravvisabile, oltre che
per un effettivo successo di pubblico, attenzione mediatica (anche se non sufficienti in sé
perché le stesse cose non “salveranno” Jean Clair) e vivace proposta culturale, nella sua
condotta con la stampa. Nelle interviste ai giornali e nelle conferenze stampa, fin dall’inizio
del suo mandato, passando per le pagine di difesa fino alle ultime interviste, il curatore
partenopeo non punta mai il dito e non tira in causa questioni legate all’Ente, nonostante
le molteplici difficoltà finanziarie che gli imposero un taglio drastico alla sua mostra.
Certamente alcuni “incidenti” come la causa giudiziaria - perduta - con Flash Art per il
catalogo di Aperto o il contenzioso apertosi con la Quadriennale di Roma per via del
Premio Liverani, hanno nociuto più di ogni altra cosa al suo rapporto con il consiglio
direttivo, forse più della fondamentale opposizione di gran parte della critica e degli artisti
italiani. Nelle sei giornate dedicate alla riflessione intorno al Centenario e alle sorti della
riforma della Biennale, quella dedicata alle arti visive fu quella con il dibattito più acceso,
49 Lorenza Trucchi, Idem, in “Il Giornale”, 13 giugno 1993. 50 Laurence Alloway, op. cit., 1969, p. 141.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA - 1993
110
molti si scagliarono contro Bonito Oliva, ancora in carica in quel momento, tanto da
spingere alcuni intellettuali e artisti italiani a scrivere una lettera al consiglio direttivo in cui
si chiedeva esplicitamente di non rieleggerlo come curatore della sezione Arti Visive.51
Negli anni successivi per almeno due edizioni, la Biennale di Bonito Oliva costituisce
un’ubiqua pietra di paragone con cui confrontarsi e da cui differenziarsi. Tanto i curatori,
Clair e Celant ad esempio sottolineano la diversità della loro proposta rispetto a quella
Oliviana, quanto la stampa la utilizzano nel delineare confronti e lontananze.
L’influenza di questa Biennale nei primi anni, pertanto, si situa sotto una stella bifronte
tuttavia rimane comunque una mostra di cui parlare e discutere. Esempi chiari sono quelli
del già citato Thomas McEvilley o di Frederick Jameson che ricordano Punti Cardinali
dell’Arte come esempio di esposizione che affronta le questioni del postmoderno.52
Dopo questo periodo di interesse la mostra sembra cadere nell’oblio, e viene raramente
citata in articoli e studi intorno alle biennali.
Riappare nelle pagine di studi e ricerche negli stessi anni in cui fiorisce un’editoria intorno
alla tematica delle biennali così si ritrova ad esempio citata in un articolo in cui Marian
Pastor Roces (2005) 53 contesta alla 45esima Biennale una posizione internazionale
inautentica; Royce W. Smith (2007) 54 ne fa un punto di partenza per una narrazione intorno
alle biennali come potenziali forum di dibattiti culturali; nell’articolo di Federica Martini e
Vittoria Martini (2009) 55 è esempio precoce di mostra co-curata con l’intento di costruire
un discorso pluralistico; Roberto Pinto (2011) 56 ne fa un punto sulla mappa delle geografie
artistiche globali.
Questa breve carrellata di contributi dimostra dunque un crescente interesse per una
Biennale poco studiata ma che ad una più attenta analisi si mostra, come si vedrà più
avanti, capitale per premonizioni e impostazione teorico-metodologica.
51 Una lettera aperta indirizzata al Presidente della Biennale e firmata da 51 artisti; accanto ai nomi di nemici storici di ABO (Piero Dorazio in testa) l’ammutinamento annoverava tra i suoi protagonisti l’ex protetto Chia e numerosi partecipanti all’ultima edizione; come De Dominicis, Kounellis, Merz Pistoletto L’ex scuola di San Lorenzo, pure vicinissima anni da, al critico (Bianchi Ceccobelli) citazionisti (Galliani, Salvo, Di Stasio), poveristi (Boetti, Gilardi) e veterani (Messina, Sassu, Giò Pomodoro, Scialoja, Uncini). Tutti uniti a denunciare “chi considera le opere d’arte un prodotto effimero o un fenomeno di costume; chi ridurrebbe la Biennale in una fiera o in supermercato; chi vuole ridurre il calore dell’opera al suo consumo e a merce di scambio”. 52 Frederic Jameson, Postmodernism or the cultural logic of late capitalism, Duke University Press, Durham, 1991, p. ix; 419 e 431. 53 Marian Pastor Roces, “Crystal Palace Exhibitions” in Gerardo Mosquera G. e Jens Fisher (a cura di), Over Here: International Perspectives on Art and Culture, Cambridge Massachussets, 2005, pp. 234-250. 54 Royce W. Smith, Cultural Development? Cultural Unilateralism? An Analysis of Contemporary Festival and Biennale Programs, in “The Journal of Arts Management, Law and Society”, vol. 36, n. 4, 2007, pp. 259-272. 55 Federica Martini e Vittoria Martini “Questions of Autorship in Biennial Curating” in Elena Filipovic et alii op. cit., 2010, p. 267. 56 Roberto Pinto, Nuove Geografie artistiche. Le mostre al tempo della globalizzazione, Postmediabooks, Milano, 2011, pp. 232-234.
SEZIONE II – ACHILLE BONITO OLIVA - 1993
111
Achil le Bonito Oliva:
i l passo dello strabismo e la crudeltà come ideologia del traditore
Le premesse entro cui si collocano le linee guida della Biennale diretta da Achille Bonito
Oliva sono innanzitutto strategiche, poiché risultano essenzialmente volte alla
comprensione e alla valorizzazione della Biennale in quanto “ente” che opera da un lato
attraverso il momento della manifestazione internazionale e, dall’altro, come soggetto
radicato a Venezia, città con cui è necessario cooperare per la realizzazione della mostra
stessa.
All’interno di questa premessa egli propone i criteri con cui intende attuare la propria
Biennale, nella quale fa convergere un insieme di momenti eterogenei che contemplano
contesti prettamente espositivi (quindi un complesso di mostre), educativi e scientifici
(come la scuola per curatori in collaborazione con uno dei primi centri di formazione
europei quale l’Ecole du Magasin di Grenoble1 e il convegno Produzione, circolazione e
conservazione dell’arte contemporanea) e per finire legati alla comunicazione
esemplificati dai video pubblicitari girati da Nam June Paik.
Fin dall’inizio Bonito Oliva delinea i contenuti per la sua Biennale facendo del concetto di
“coesistenza” il nodo fondamentale. Si tratta di una proposta che può essere compresa
interamente solo alla luce di tutti i suoi scritti precedenti. Infatti le tematiche da lui
avanzate, pur essendo per molti versi attuali (si veda ad esempio i discorsi intorno allo
spostamento dell’asse degli interessi culturali occidentali, esemplificati dal concetto di
“trans-nazionalità e di “nomadismo culturale”), ad un’attenta disamina appaiono piuttosto
come un passo ulteriore all’interno di un discorso Oliviano intorno all’arte lungo 30 anni.
Non a caso è proprio la stampa italiana, in particolare, a sottolineare il carattere
“autobiografico”2 di Punti Cardinali. La 45esima Biennale di Venezia, infatti, dal punto di
vista teorico possiede tutte le caratteristiche per poter essere considerata una summa del
1 L’Ecole du Magasin viene fondata nel 1980. 2 Philippe Daverio, Idem, ne “Il Giornale dell’arte”, luglio-agosto 1993.
SEZIONE II – ACHILLE BONITO OLIVA - 1993
112
suo pensiero, sicché risulta necessaria una rassegna del suo operato per comprendere la
portata dell’evento in termini di anticipazioni, coerenza e sviluppi.
A seguito della narrazione del contesto e dell’analisi della mostra va innanzitutto rilevata
una uniformità dell’ipotesi espositiva durante tutta la durata della progettazione. La traccia
teorica del documento sottoposto all’esame del Consiglio Direttivo il 5 settembre 19923
presenta un incipit concettuale che rimarrà tale anche nelle diverse versioni dei
comunicati stampa fino al testo del catalogo, nonostante il taglio di programma fatto a
marzo del 1993.
“L’edizione 1993 della Biennale di Venezia porta come titolo complessivo “Punti Cardinali
dell’Arte” e si articola con la presenza di [oltre 40 paesi dei]4 vari continenti e mostre laterali illustranti il tema. “Punti cardinali dell’arte” non esprime tanto un taglio critico e restrittivo
ed impositivo, quanto piuttosto la constatazione di come l’arte contemporanea si sia formata attraverso il nomadismo culturale e la coesistenza dei linguaggi. Sottoposta al
confronto serrato col mondo della tecnica e l’evoluzione della società moderna, essa ha dovuto accettare l’idea di viaggio, il riferimento a culture “altre” per ritrovare energia e
forza espressiva.”5
L’incipit invariato dimostra una conformità nell’intero progetto non limitata dalla
mancanza di Venti dell’Arte anche se, come è possibile constatare nella scheda,
l’esposizione costituiva il nucleo riflessivo di Bonito Oliva. Egli rinunciando alla parte
storica si concentra sugli anni ’90 “attraversati dalla finis Russiae” 6 che vedono la
frantumazione di ogni visione unitaria e reale, fortificando in realtà la progettualità
culturale intorno alla contemporaneità poggiante « su una struttura a mosaico, tesa alla
lettura della complessità internazionale dell’arte mediante tasselli espositivi di temi ».7
Ed è a questa prima attestazione che è necessario fermarsi per comprendere il modo in cui
Bonito Oliva affronta la visione dell’arte contemporanea. L’internazionalismo, chiamato in
causa nell’introduzione, incluso nel titolo fino a coinvolgere tutto il pianeta entro i quattro
punti cardinali, è da considerarsi come una condizione inevitabile per l’uomo
contemporaneo. Un’apertura, come egli sottolinea parlando di Delacroix, che non
appartiene unicamente all’uomo degli anni ’90 del Novecento ma che è condizione,
approccio e tensione del soggetto moderno, ed è proprio in termini di rapporto con l’altro
che egli intende una narrazione della modernità.
3 Definito dal punto di vista formale e spedito da Raffaello Martelli a Dario Ventimiglia l’8 settembre, 4 La parte fra parentesi è presente solo nel documento presentato al Consiglio il 5 settembre e viene eliminata nel catalogo. Cfr. Achille Bonito Oliva. XLV Esposizione Internazionale d’Arte Punti Cardinali dell’arte, Marsilio Editore, Venezia, 1993, p. XXIII. 5 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXII; Cfr. Progetto Culturale XLV Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, 1993. (Nota 4032/92, data 8/09/1992) La Biennale di Venzia, ASAC, FS. dep., busta n. 115. 6 Achille Bonito Oliva op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV. 7 Achille Bonito Oliva, Ibidem.
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113
A questa tensione si aggiunge la frantumazione politica – in primis quella dell’Europa
orientale dopo la caduta del comunismo – che ha come naturale conseguenza quella
dell’impossibilità del riconoscimento della purezza del nucleo nazionale. Pertanto la
proposta ai Padiglioni Nazionali di aprirsi ad artisti di altra nazionalità e a paesi diversi,
oltre che inevitabile, risulta essere il sintomo di una “tras-nazionalità, intreccio di popoli
che produce eclettismo culturale e necessario interrazzismo”.8
Appunto in questo senso bisogna intendere legati termini “internazionalità” e
“interdisciplinarità”, legati perché entrambi escludono il concetto di differenza, o quanto
meno lo accolgono in maniera critica, invocando la rappresentazione della « coesistenza
pacifica dell’arte nelle sue differenze espressive ».9
E’ tuttavia da notare come Bonito Oliva non usi la parola “globalizzazione”, pur riflettendo
sull’importanza dell’internazionalità sia come necessità per la Biennale – in qualità di ente
con vocazione internazionale e in grado di resistere alla crescente competizione con le
nascenti biennali mondiali - sia come risposta teorica inevitabile del trattare la produzione
artistica contemporanea.
A tal proposito occorre ricordare che da un lato in quegli anni tale termine non veniva
ancora impiegato in modo sistematico e, dall’altro, le espressioni “globalizzazione” e
“internazionalità” hanno due accezioni molto diverse che rivelano un orizzonte culturale di
riferimento differente. La prima si riferisce all’apertura dei mercati verso i paesi dell’Est,
quindi evoca una sorta di “vittoria” del sistema capitalistico e la contemporanea
espansione del mondo occidentale in quella direzione. La seconda rivela invece un
approccio al mondo e un aprirsi ad esso in qualche modo ancora romantici, più utopici e di
accezione illuministica, legato allo spostamento fisico dell’artista ‘singolo’ che incontra la
differenza insita nell’altro. Non si tratta più un orientalismo di primo Novecento, ma di una
forma di pre-globalizzazione, una consapevolezza, se così si può dire, dell’assenza di
confini fra i popoli e di appartenenza ad uno stesso pianeta. Il concetto di
“internazionalità” evoca quindi l’abbattimento delle frontiere, mentre con il termine
“globalizzazione” si pone invece l’accento su una sorta di connessione world wide.
Parallelamente però si potrebbe sottolineare anche un’idiosincrasia da parte di Bonito
Oliva verso l’uso invalso di determinate “etichette.” Rappresenta ad esempio un
precedente in questo senso il testo l’Ideologia del traditore, che pur inserendosi
8 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV. 9 Achille Bonito Oliva, Ibidem.
SEZIONE II – ACHILLE BONITO OLIVA - 1993
114
pienamente in un discorso post-moderno egli non fa mai uso di questa parola nel suo
testo.10
Nelle pagine del catalogo della 45esima Biennale Bonito Oliva, associa le parole
“internazionalità” e “politica”, sostenendo come il discorso “internazionale” si sia imposto a
partire da una situazione innanzitutto politica. Nonostante egli abbia un’idea della società
e dell’arte fortemente dipendente dai meccanismi del “sistema dell’arte”, egli concentra la
propria attenzione in particolare sulla situazione politica. Il primo punto della sua disanima
nel catalogo viene, infatti, dedicato al “Sistema della Politica”.11 La comprensione dell’uso
del termine “internazionalità” da parte di Bonito Oliva va quindi calata nella più ampia
concezione generale che il critico fa del sistema dell’arte, come organizzazione di un
tessuto di azione umana e dell’arte rivelatrice di una posizione umana nei confronti della
realtà. Non a caso egli chiama in causa anche la moralità di un’indagine sull’arte che deve
partire da un’identità investigativa.12
Appare in questa sede proficuo mettere a confronto da un lato la divisione in paragrafi del
suo testo nel catalogo Punti Cardinali dell’Arte, dove si rileva la scansione “sistema della
politica”, “sistema della cultura”, “sistema della pubblicità”, “Artae” e “Arte di confine e lo
sguardo del maiale”, dall’altro i capitoletti del suo Arte e sistema dell’arte (1975)13,
rispettivamente concernenti “il mercato come opera d’arte”, “il pubblico come opera
d’arte”, “la crisi dell’arte nell’epoca della sua crisi” e “la critica come autocritica”.
Al di là di un’assonanza nella struttura fra i due testi, di cui qui di seguito vengono
analizzate analogie e progressioni, è doveroso precisare che i nodi concettuali di Achille
Bonito Oliva sono riconducibili a due testi in particolare: Territorio Magico (1971)14 e
L’ideologia del traditore (1976).15
Ciò che interessa qui delineare del pensiero Oliviano è prima di tutto il modo di intendere
l’ “arte” alla luce del “sistema” di riferimento, come una “pratica” (della complessità)
10 “La teorizzazione che Achille Bonito Oliva ha fatto della Transavanguardia si lega a queste teorie (post-moderne), con questo di particolare però, di non parlare mai di post-modernità” Filiberto Menna in un intervista con Paola Fonticoli, in Paola Fonticoli, Achille Bonito Oliva. La critica d’arte come arte della critica, Nuova Prearo Editore, Milano, 1985, p. 19; Cfr. anche Gillo Dorfles, Ultime tendenze dell’arte oggi, Feltrinelli Editore, Milano, 1984, p. 165. 11 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, pp. XXV-XXVIII. 12 “L’identità investigativa dell’arte trova nell’affermazione di questi concetti la sua necessità d’essere e produce anche la motivazione morale di questa Biennale”, Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV. 13 Achille Bonito Oliva, Arte e sistema dell’arte. opera pubblico critica mercato, Galleria Lucrezia de Domizio Durini, Pescara,1975. 14 Achille Bonito Oliva, Territorio Magico. Comportamenti alternativi nell’arte, a cura di Stefano Chiodi, Le Lettere, Firenze, 2009 (1971 prima edizione). 15 Achille Bonito Oliva, L’ideologia del traditore. Arte, maniera, maniersimo. Electa, Milano, 1998 (prima edizione 1976).
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interconnessa all’azione umana in cui il cardine è il concetto di relazione - da quella inter-
culturale a quella inter-linguistica.16
La prima indagine che egli conduce intorno a questo sistema d’interconnessioni è appunto
Arte e sistema dell’arte, in cui Bonito Oliva identifica nella triade “opera, pubblico e
mercato” il sistema vitale su cui l’arte s’innesta. La disanima è volta a dimostrare come il
sistema assorba qualunque accento di novità e contraddizione rendendo ogni sforzo
avanguardistico vano. La “strategia dell’impurità” attuata dagli artisti degli anni ‘60-‘70,
ravvisabile nella scelta di materiali insoliti e di tecniche non contemplate dalla tradizione
così come nella necessità di negare pubblico e mercato, è quindi dettata dall’intento di
sottrarsi al sistema, peraltro inutilmente: « più l’arte d’avanguardia cercava di uscire dalla
storia dell’arte più erano i suoi tentativi eversivi, più essa veniva pedinata dal museo e dal
mercato ».17 La condizione dell’opera d’arte è pertanto di “merce”, dal momento che viene
assorbita non per la sua qualità, ma per il suo puro valore di appartenenza al mondo mitico
della creazione artistica.18 Ed è in questo scenario che, secondo Bonito Oliva, si situa il
paradosso del mercato artistico:
“il mercato come opera d’arte. Un ingranaggio lucido e perfetto che aggiorna la propria universalità attraverso la distribuzione internazionale del prodotto artistico, la propria
ineluttabilità attraverso l’assicurazione di sopravvivenza e di sostentamento economico dell’artista, la propria oggettività attraverso la coscienza cinica (nel nostro sistema neo-
capitalistico) di dare statuto di esistenza e riconoscimento all’opera d’arte.”19
In tale sistema il pubblico è il centro di un procedimento che tratta e acquisisce l’opera
come ipotesi: egli, infatti, sostiene che l’opera d’arte non possa esistere senza lo sguardo
dello spettatore; il pubblico, abbandonata la condizione d’immobilità della
contemplazione, diviene esso stesso presenza privilegiante, nel senso che dà statuto di
socialità all’arte, per dirla in termini Oliviani. Il procedimento della fruizione è quello del
“cannibalismo”, che « attraverso la comprensione e la conoscenza dell’opera, tende a
fagocitare e ad assorbire ciò che è stato espulso dalla fantasia dell’artista »,20 senza poter
mai accedere però – seguendo un ragionamento tutto Adorniano – alla diretta realtà della
creazione artistica che è la potenzialità creativa dell’artista. Una nozione quella
16 “Si je devais formuler un standard culturel et conceptuel pour mon travail, ce serait celui d’une recherche continuelle d’un art des limites. J’ai toujours œuvré en faveur d’une idée complexe de la culture, j’ai toujours travaillé sue le concept de relation et, depuis mon livre, Territoire Magique, jusqu’au projet de cette prochaine Biennale de Venise, ce concept de relation a toujours été appliqué. Relations interculturelles, inter-linguistiques, relation de contamination et d’intégration des langages. Je pense que pour être moderne, il ne suffit pas d’être spécialisé mais d’être un praticien de la complexité. Lamarche-Vadel, la biennale des différences (intervista ad Achille Bonito Oliva) in “Art Press”, maggio, 1993, p. 24. 17 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 20 18 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 22. 19 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 24. 20 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 30.
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dell’antropofagia, legata all’idea di appropriazione e contaminazione culturale – si veda in
questo senso l’esperienza della Biennale di San Paolo del 1998 sotto la guida di Paulo
Herkenhoff21 - divenuta col tempo nel pensiero di Bonito Oliva l’unico modo della fruizione
e dell’interazione con l’arte da parte del critico.
Egli chiudeva il suo testo Arte e Sistema dell’arte descrivendo come conseguenza ultima
del sistema delineato « una situazione di crisi dell’arte nell’epoca della sua crisi come crisi
dell’evoluzione dei linguaggi artistici ».22 La situazione cui egli fa riferimento è la percepita
difficoltà a proseguire la ricerca artistica dopo l’arte concettuale e comportamentale. A
livello storico-artistico il critico sostiene l’impossibilità di un’idea di storia dell’arte
darwinianamente intesa, dal momento che il parametro per l’artista « non è più soltanto il
linguaggio, ma il mondo.”23 In un momento di crisi è inevitabile un atteggiamento più
critico e riflessivo che usi, ad esempio, la citazione. Non a caso egli evoca epoche in cui la
citazione è la cifra di riconoscimento come nel caso del Manierismo e del Neoclassico.24
In questo affresco « la critica, quale gesto sovrastrutturale, partecipa al sistema
sovrastrutturale dell’arte »: se prima il critico viveva di lateralità, oggi (cioè gli anni ’70)
prevale un rapporto verticalizzato esemplificato dal potere del critico sull’artista per
questo l’unico ruolo che rimane al critico è l’autocritica, « una velenosa autocoscienza del
proprio ruolo verso il pubblico e verso il mercato ».25 Però sostenendo che « la critica può
diventare un movimento all’incontrario che interrompe tale feticizzazione, in quanto
costringe l’arte a un perpetuo movimento in avanti data la capacità d’assorbimento che
21 La XXIV Biennale di San Paolo (3 ottobre -13 dicembre 1998), il cui titolo va ascritto a Paulo Herkenhoff, era incentrata sull’indagine degli “effetti che il desiderio culturale esercita sullo sviluppo dell'espressione artistica”. In questo senso è stato declinato il concetto di antropofagia, un termine che però ha profonde radici locali. Oswald de Andrade, infatti, nel 1928 scrisse Manifesto dell'Antropofagia, una sorta di manifesto dell’appropriazione culturale. Il testo, steso in forma di sceneggiatura, sosteneva come il processo di contaminazione culturale derivasse certamente da un aspetto di permeabilità delle culture ma soprattutto da un desiderio di socialità esemplificato dall’orgia democratica e carnevalesca brasiliana. In questo senso è importante l’uso che Bonito Oliva fa negli anni ’70 della parola “cannibalismo” perché inserisce nel discorso dello scambio culturale una radice che è innescata dal desiderio e dall’appropriazione. Si veda più avanti anche il discorso introno al “nuovo”. 22 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975. 23 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 40. 24 Fra Neoclassicismo e Manierismo, però, Bonito Oliva sposa più apertamente il secondo, facendolo il centro di riflessione per la transavanguardia. Inoltre Bonito Oliva si pone in aperta contraddizione con Argan a livello storico proprio tramite il libro Ideologia del traditore, sostenendo che l’Italia negli anni ’70 stava vivendo un nuovo manierismo e non come invece sosteneva Argan, un nuovo neoclassicismo. Il rapporto con Argan è conflittuale ma anche di reciproca stima. Nell’introduzione al libro di Paola Fonticoli Argan osserva “Indubbiamente Achille Bonito Oliva è la figura più emergente della giovane critica italiana […]. (egli) non cerca di spiegare come un fenomeno artistico agisca oltre il perimetro dell’arte, ma al suo interno. Io naturalmente per la mia età e per la mia formazione sono in una posizione molto diversa e, non di rado, contrastante” più avanti parlando della transavanguardia osserva “io ravvisavo in quelle opere la prova di una sopravvenuta condizione di morte: Bonito Oliva non era d’accordo, ma gli interessava il mio punto di vista come a me interessava il suo. Era un dibattito aperto, leale e non credo sia stato inutile.”Paola Fonticoli, op.cit., 1985, pp. 8-10. 25 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, pp. 48-50, qui p. 50.
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riesce a realizzare dell’opera attraverso la cosiddetta lettura critica »26 Bonito Oliva apre una
possibilità per la critica di lavorare all’interno delle contraddizioni, posizione che
radicalizza nel testo Autocritico, automobile (1977) facendone l’unica strada possibile e di
fatto individuando il terreno operativo per se stesso: la vitalità della contraddizione.
Nel testo del catalogo per la Biennale di Venezia Bonito Oliva riprende quindi il
procedimento teorico appena delineato aggiornando le ragioni dell’arte e della funzione
della critica a quelle di un uomo del proprio tempo che risponde alla realtà in cui vive.
Sforzo quindi del critico salernitano è quello di tracciare le linee di comprensione della
condizione dell’uomo nei primi anni ’90, anche se l’impianto è invariato, non a caso egli si
affida alla verifica del “sistema”. Sarà proprio questa analisi a produrre “naturalmente” la
definizione del motivo teorico della Biennale.
Non si può, infatti, letteralmente parlare di individuazione di una tematica che permette di
guardare ad un certo modo di fare arte, o ad un argomento specifico per scegliere alcune
opere piuttosto che altre, si tratta invece di individuare la chiave metodologica per
guardare all’arte, per parlarne e produrla.
Nel paragrafo “sistema della politica” egli evidenzia come sia cambiato il concetto di
politica dopo la caduta dei grandi sistemi, da una pratica progettuale della storia ad una
visone di « amministrazione del presente ».27 Per coloro che sospirano un ritorno della
politica come campo del buon vivere, Bonito Oliva nega immediatamente la possibilità in
quanto la politica come pratica concettuale della storia è stata fallimentare28 e « lo sviluppo
tecnologico ha creato una interdipendenza planetaria, una connessione internazionale
che non permettono la pratica politica come semplice amministrazione geografica ».29 La
situazione è semmai quella di una “turbolenta complessità,” dove in mancanza di
ideologie e ideali esplode la lotta raziale, infatti l’interdipendenza ha « creato nuovi
problemi che spostano i punti cardinali della politica ».30 I legami economici, ma anche
sociali e razziali, sono legati a doppio filo con la tecnologia, mutando i « codici della
politica […] telematicamente in scena, nessuno escluso, (tutti) possono diventare attori
protagonisti e spettatori insieme ».31
26 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 52. 27 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXV. 28 “La caduta dei grandi sistemi ha innanzitutto determinato una modifica del concetto di politica […] l’efferatezza del vero comunismo, astratto rispetto alla mappa delle differenze individuali, e la durezza delle leggi di mercato capitalistico, al servizio di una selvaggia iniziativa personale, sono entrambe inadatte alla gestione umana del sociale”, Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXV. 29 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXV. 30 Achille Bonito Oliva, Ibidem. 31 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXVII.
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Nel suo testo egli non risparmia giudizi da giornalista di politica estera commentando la
situazione di Iran-Iraq, ma il centro di queste riflessioni ha un parallelo nel diffuso interesse
negli anni ’90 per la politica per chi si occupi di arte contemporanea.32 Egli, infatti, alla fine
del paragrafo apre a una soluzione che è una risposta strategica alla complessità politica,
storica e sociale in cui versa:
“io non credo che l’onestà della politica sia sufficiente e nemmeno il semplice ricambio del ceto al potere. E’ necessaria una diversa cultura, capace di restituire una buona
amministrazione alla geografia e una visione complessa alla storia.”33
La turbolenza politica non è liquidata come negativa o positiva ma è contraddittoriamente
intesa come « sintomo della vitalità della storia »34 e minaccia alle radici della cultura, dal
momento che crea mescolanza e contaminazione, riproducendo quindi cultura tramite
« riconversione, riciclaggio, destrutturazione e assemblaggio ».35
Lo scenario che Bonito Oliva delinea del sistema della cultura è proprio quello che oggi
conosciamo della globalizzazione:
“il sistema di circolazione internazionale porta sempre più la popolazione di artisti verso canali di informazione che alfabetizzano velocemente anche soggetti creativi di paesi
sottosviluppati ma informati mediante stampa e televisione. La conseguenza è l’assunzione di modelli linguistici occidentali, adeguati con una disinvoltura di
riproduzione tecnica che determina omologazione verso l’esterno e ulteriore differenza verso l’interno. Succede così che il nuovo, una volta misurabile in parametri culturali
statisticamente nazionali, viene annullato dai riferimenti internazionali, che trasformano la produzione artistica in riproduzione culturale.”36
Nell’affermare che il nuovo dell’opera d’arte è quindi riproduzione culturale, Bonito Oliva
compie l’ultimo passo dell’assorbimento dell’arte in un sistema culturale, anticipando il
dibattito portato avanti da un certo filone della sociologia che individua la cultura come
risorsa o espediente.37
Se nel testo del ‘75 Bonito Oliva delineava quindi l’avanguardia come inutile perché il
sistema era capace di assorbire il nuovo e normalizzare il conflitto, ora, nel ’93,
l’avanguardia più che inutile è inesistente e impossibile38 sia per via di un’egemonia
32 Cfr. Catherine David (a cura di) documenta 10. Das Buch. Politics / Poetics, catalogo della mostra, Ostfildern-Ruit, Cantz, 1997; 33 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXVII. 34 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXVIII. 35 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXVII. 36 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, pp. XXVIII-XXIX. 37 Cfr. George Yudice, The Expediency of culture: Uses of Culture in the Global Era, Duke University Press, Burbant, 2003; Emmanuel Négrier, Les publics des festivals, Michel de Maule, Parigi, 2010; Monica Sassatelli, Liana Giorgi e Gerard Delanty, G. (a cura di) Festivals and the cultural public sphere, Routledge, Londra, 2011. 38 Bonito Oliva in Arte e sistema dell’Arte. “Oggi i sistema riesce a far dentro qualsiasi tentativo di rottura e di novità. […] Non esiste avanguardia perché pensare in questi termini significa avere dell’arte una visione darwinistica. (p.14) mentre i riferimenti nel catalogo della Biennale vd. “il carattere della riproduzione che
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culturale determinata da schemi occidentali, sia perché non sono sopravvissute « poetiche
di gruppo che riproducano ancoraggi culturali collettivi. L’opera si affida alla fantasia del
singolo ».39 La crisi degli anni ’60 che delineata come « la crisi dell’arte nell’epoca della sua
crisi » lascia spazio unicamente alla verifica del proprio punto di rottura, per cui nel ’75
sosteneva che « l’arte ha assunto la coscienza cinica che è giusto operare attraverso un
livello meno tradizionalmente creativo e più critico e riflessivo, attraverso la citazione ».40
Ma come collocare allora il valore dell’operare artistico? Nel ’93 egli allarga ancora di più le
maglie della citazione e fornisce una risposta di strategia morale della resistenza:
“l’opera, non riproducendo nuove dinamiche concettuali, può diventare essa stessa
semplice riproduzione di uno stereotipo. Per evitare tale paralisi, l’artista sembra adottare […] un’agitazione eclettica dei linguaggi preesistenti, rispettando il carattere del riciclaggio
riconversione e citazione ogni volta garantite dal già fatto o dal presente vissuto.”41
In definitiva la cultura occidentale nel suo nomadismo continua a cercare “altrove” una
posizione autonoma e complementare a quella occidentale. In questa Biennale l’“altrove”
è l’Oriente esemplificato nelle pratiche degli artisti di Passaggio a Oriente e nella biografia
creatrice e comportamentale di John Cage sviluppata in Il suono Rapido delle Cose.
Un rapporto con l’Oriente che Bonito Oliva delinea in esplicita contrapposizione con quello
indicato dalla mostra di Magiciens de la terre 42 che a suo avviso fa un’operazione
omologante della produzione artistica occidentale e orientale.
Meno stringente, invece, appare il paragrafo dedicato al “sistema della pubblicità”. Questo
paragrafo, in cui Bonito Oliva spiega un atteggiamento della pubblicità informata da in
hoc signo vinces Constantiniana come espressione puritana legata alla dimostrazione della
bontà del prodotto, tenta di illustrare una possibile interazione della pubblicità con l’arte.
In un certo senso la pubblicità ha saccheggiato l’arte di funzioni e riferimenti ma nella neo
pubblicità, come la chiama Bonito Oliva, il crinale è più interessante. Un esempio in questo
può essere ravvisato nelle fotografie pubblicitarie di Oliviero Toscani che disturbano il
messaggio diretto del brand, rompendo il campo di rimandi.
Bonito Oliva, non senza problematicità e forzature, traccia, sulla scorta d’idee legate
principalmente al principio di contaminazione di materiali, storia e produzione, un
connota su scala planetaria i nostri ultimi decenni, comporta anche per l’Occidente l’impossibilità di una avanguardia attuale.” Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIX. 39 Achille Bonito Oliva, Ibidem. 40 Conseguenza di questa condizione d’indagine dell’arte intorno alla crisi è che “La crisi dell’arte viene assunta come saturazione della cultura verso il proprio continuo livello creativo e come bisogno di rivedere la storia dell’arte in un più ampio sistema che è la storia” Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, pp. 43-44. 41 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXX. 42 “C’est le contraire de ce qu’on a vu avec l’exposition “Les Magiciens de la terre” à Paris, en 1989, où l’on mettait en confrontation des artistes de la recherche occidentale et des travaux d’artisans du tiers monde dans un tentative d’homologation qui me semble très dangereuse.” Pierre Courcelles, Entretien avec Achille Bonito Oliva, in “Revolution”, n. 696, 1 luglio 1993.
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parallelo tra la storia dell’arte contemporanea e la storia della pubblicità ove il punto di
congiunzione è rappresentato dal recupero del significato che entrambe sembrerebbero
attuare.43
In questo senso il paragrafo rientra coerentemente nel discorso intorno alla coesistenza
dei linguaggi, allo stesso tempo però è necessario evidenziare il rischio insito nel discorso
di questa “coabitazione”, rilevato soprattutto dai suoi detrattori, il cui spettro rischia di
essere così ampio da poter includere qualunque cosa incorrendo conseguentemente in
una condanna di superficialità teorica.
Intorno al rapporto fra arte e pubblicità Bonito Oliva aveva già osservato in Territorio
Magico che il problema dell’artista « non è di comunicare alcun messaggio, ma di costituire
ed allargare questo territorio magico, tale perché oltre la sopravvivenza gli permette la
possibilità di un accumulo di autonomia vitalistica ».44 Ma le due posizioni appaiono però
molto diverse. Se in Territorio magico, l’artista si rivolge ad altri campi del sapere per
sopravvivere e aumentare la propria vitalità, procedimento che egli riconosce anche agli
artisti della transavanguardia, nel ’93 sostiene che gli artisti contemporanei attuano quello
che egli chiama shakeraggio dell’esistente, eliminando i confini fra saperi che partecipano
tutti di un orizzonte culturale comune. In questo modo egli pone sullo stesso piano arte e
pubblicità. Un parallelismo apparentemente di poco conto portatore invece di due tipi di
conseguenze: la prima è che s’intende che arte e pubblicità parte di un sistema culturale in
cui nessuna delle due ha un ruolo più importante, e quindi appaiono intercambiabili; la
seconda è che l’autonomia vitalistica dell’arte di cui egli parla in realtà non può sussistere,
perché l’allargamento del “territorio” tramite la contaminazione è tale che la parola
“autonomia” rimane solo un vago ricordo degli sforzi dell’arte avanguardistica e
totalmente obsoleto.
E’ qui che risiede la grande contraddizione del pensiero Oliviano, che seppure fa della
complessità e della contraddizione il suo faro e principio ispiratore, suppone come
un’indecisione sul fatto che l’arte abbia un valore o meno, un’esitazione fra un rapporto di
necessità, che pure egli riconosce nel rapporto critico-arte e uno di utilità dell’arte. Nel ’75
chiudeva Arte e sistema dell’arte con parole che scatenarono molte perplessità:
43 “L’arte contemporanea ha percorso da Duchamp, Magritte, Warhol ad Hamilton una lunga marcia dal significante al recupero del significato: con la pittura di Bacon, con le antropometrie di Klein, con l’esposizione del mongoloide alla Biennale del 1972 di De Dominicis, con l’opera concettuale di Haacke e le Transavanguardie di Baseltiz, Cucchi, Clemente, Polke Kikerby, Schnabel e Mucha. Così su questo modello si è sviluppato anche il tragitto della pubblicità dal significante di Costantino e della Coca-Cola al significato della neo-pubblicità che trova nei 21 videoclip pubblicitari, Plot Art, realizzati appositamente da Man June Paik per la Biennale, un punto di equilibrio dialettico tra i due versanti.” Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXIV. 44 Achille Bonito Oliva, op.cit., 2009, p.63.
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“Personalmente io non amo l’arte, come l’operaio non ama la macchina con cui lavora. Non
ho il feticismo dell’opera, io utilizzo l’arte per fare un discorso sul sistema dell’arte. L’arte serve a chi la fa e poi a chi la riceve, le mostre servono prima al critico e agli artisti e poi al
pubblico, così come una macchina serve prima a dare sussistenza all’operaio che ci lavora e poi a colui che consuma il prodotto.”45
Se questa posizione può sembrare un disinteressamento verso l’opera – quando invece ha
tutti i caratteri della critica materialistica - in realtà46 è proprio la parte non inquadrabile
nella spiegazione di un sistema dell’arte a interessarlo, ovvero la capacità dell’opera d’arte
di portare lo sguardo un “po’ più in là”. Come descrive più chiaramente ne Il sogno
dell’arte - questo in “là” corrisponde alla parte “magica”, al « versante nascosto, la faccia
oscura, sotterranea, che si affaccia alla superficie per attimi balenanti ».47
In questa trama il profilo dell’artista contemporaneo è definibile attraverso il suo
atteggiamento nei confronti di questa coesistenza che porta con sé una trans-nazionalità
incorporata che è anche un trans-genere. Per descrivere la posizione esterna e di
contrapposizione rispetto al sistema sociale determinato, Bonito Oliva usa la metafora
dell’essere “meridionale”48che aveva già testano in una mostra del 1991 dal titolo A sud
dell’Arte.
L’arte contemporanea stessa « abita il sud di ogni paese, un meridione morale, lasciato al
suo destino e all’iniziativa puramente individuale »49 E paradossalmente, rispetto alla sua
idea transnazionale, egli indica questa come caratteristica precipuamente italiana.50 Bonito
Oliva riflette sull’Italia e sulla sua storia determinata dalla municipalità che ha, da sempre,
frantumato il popolo italiano creando però allo stesso tempo una cultura complessa fatta
di « tensioni individuali e condizione artigianale ».51 L’italianità è quindi « espressione di un
atteggiamento che utilizza l’arte come affermazione »,52 di ecclettismo « memore di una
tradizione che ha assorbito, che ha fatto della coesistenza una cifra stilista e operativa ». In
45 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 54. 46 Il testo di Paola Fonticoli esamina il contenuto critico della produzione Oliviana fino all’ 1985 e pur considerando la dicotomia della posizione del critico come sospesa tra critica materialista e atteggiamento fenomenologico di fronte all’opera, ella non opera una vera critica sul suo lavoro apportando quasi unicamente tesi a sostegno e utilizzando le argomentazioni di Oliva stesso per sostenerle. “E’ un personaggio che vive con grande tempismo e attualità, senza fossilizzarsi sulle posizioni raggiunte. Credo, infatti, sia abbastanza imprevedibile e creativo per capire anche le nuove esigenze che verranno” in Paola Fonticoli, op.cit., 1985, p. 30. 47 Achille Bonito Oliva, Il Sogno dell’arte – tra Avanguardia e transavanguardia, Spirali Editore, Milano 1981, p. 13. 48 “l’artista diventa l’emblema dell’essere meridionale” Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXV. 49 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXV. 50 “Anche questo è il Made in Italy. La possibilità di esportare fuori dall’Italia l’immagine di un paese capace di produrre forme della differenza.” Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXV. 51 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXV Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXIV; Bonito Oliva indica l’arte italiana come esempio emblematico di una mentalità “mai funzionale e integrata, libertaria e non asservita al sistema” Achille Bonito Oliva, op.cit., 1993, p. XXXV.
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questo senso egli, infatti, intende la mostra Deterritoriale che indica la capacità tutta
italiana « di spossessarsi dalla semplice staticità delle radici municipali ».53
E’ interessante anche rilevare come egli aggiorni l’idea di « un’arte che si pone al di là delle
frontiere, geografiche e linguistiche », ai temi intorno al gender che hanno caratterizzato il
dibattito intorno agli anni ‘80. Egli, infatti, sottolinea come l’arte non abbia sesso « in
quanto oggettivata in una forma che dimentica a memoria l’identità biografica del suo
artefice ». In questo modo Bonito Oliva si svincola e contemporaneamente prende
posizione rispetto alle teorie femministe. Egli conia un neologismo chiamando l’arte
“Artae” - che scritto alla latina indica il neutro, ma che si legge esattamente come la parola
“arte” in italiano – uno stratagemma che permette alla questione intorno all’identità
femminile di dissolversi in un universo di opere.
Questa puntualizzazione è degna di nota perché egli si distacca da qualunque
osservazione che prenda in considerazione gli artisti per sesso, nazionalità o ceto: « l’arte
non vuole segnalare la diversità conflittuale […] ma la differenza tra diverse personalità ».54
Egli si pone radicalmente contro idee di femminismo in arte tanto da affermare che « le
forme non riuscite appartengono alla politica dell’emancipazione femminile, estranea alla
logica disciplinata di un linguaggio che vuole appartenere all’intera comunità », l’arte
quindi « non ha sesso » per questo egli sostiene che Artae sia caratterizzata da una
spersonalizzazione dell’opera.
In sintesi se le forme d’arte nascono da pulsioni narcisistiche e approdano a un risultato
linguistico personale e individuale, allo stesso tempo, sostiene, è necessario l’ancoraggio a
una forma che dia sostanza ad una fertile instabilità. Egli per descrivere questa qualità che
è l’artista stesso a ricercare usa la parola “indeterminatezza”. Un aspetto dell’opera che la
spersonalizzi dal suo autore per immetterla in un universo che è instabile e turbolento e
quindi anche indeterminato delle espressioni artistiche che devono essere comunque
prese in considerazione a partire dall’opera o per dirla in termini Oliviani « non
dall’anagrafe del soggetto ma dal catalogo dell’oggetto ».55
L’idea di arte che ha Bonito Oliva è essa stessa quindi una posizione rispetto alla realtà.
Come dice in Territorio Magico, l’arte non è una doppia vita, o una sovrapposizione di
livelli ma « la fermentazione accanita della propria disposizione alla vita che non è fatta di
53 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, pp. XXXIV-XXXV. 54 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXVII. 55 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXXIX.
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infittimenti di significati ma una piattaforma che si estende all’infinito ».56 Così egli intende
proprio l’agire artistico come luogo di allargamento sia in termini di tempo che spazio.57
Già in Territorio magico Bonito Oliva descriveva l’arte come di un territorio che « l’artista
continuamente produce, ove interno ed esterno coincidono, in cui il pensiero e la parola
contano alla stessa stregua dei materiali »58 una lettura questa che ricorda molto la Krauss
dell’expanded field.59 Bonito Oliva, che per una sua naturale opposizione alla freddezza
analitica del pensiero anglosassone-americano, predilige all’espansione dell’opera nello
spazio, il concetto di magia che « non crea ma invoca (Kafka) e che consente non di
trasfigurare ma di vedere per linee orizzontali e polisensoriali ».60
La descrizione intorno alla consistenza deriva, come appena illustrato, da Territorio magico
ma la intensifica nel testo del ’93 facendone un elemento di necessità, oltre che per l’artista
anche per il critico. Entrambi, infatti, compartecipano al territorio di azione e creazione
dell’arte ma da una posizione che necessariamente è quella di “lateralità”.
Nell’ultimo paragrafo “arte di confine e lo sguardo del maiale” Bonito Oliva ribadisce
quanto già scritto nel ‘71 su Territorio Magico della condizione di lateralità che vive il
critico, e quanto scritto in Ideologia del Traditore della necessità di essere un traditore –
che secondo Barthes è distaccato dalla società « teso alla correzione del reale e tuttavia
impotente ».61 Nel ’93 Bonito Oliva esaspera il tono esperienziale e di sussistenza creativa
vissuto dal critico tanto da paragonare il critico al maiale che come tale, deve stabilire un
rapporto di necessità con i resti, costituiti invece che dal cibo dalle opere d’arte che
diventano alimento creativo. Già ne il Sogno dell’Arte (1981) scriveva intorno al fatto che
l’opera d’arte è costituita di resti e di brandelli: « il momento in cui l’arte perde il senso di
un’affermazione assoluta e categorica anche la critica si trova ad elaborare una visione che
non punta sulla totalità bensì sul frammento e la deriva ».62
La critica, pertanto, è per Achille Bonito Oliva atto creativo63 di cui la scrittura, mezzo di
espressione del critico, diventa un’attività antropologica in quanto non è commento ma
esperienza che comprende sia un livello fisiologico che uno mentale, estremizzato nell’uso
56 Achille Bonito Oliva, op.cit., 2009 (1971), p. 57. 57 “se il tempo è una qualità della coscienza, tutto l’apparato dell’uomo è la possibilità di spostare e di menzionare lo spazio, come zona dove si attua l’esistenza” Achille Bonito Oliva, op.cit., 2009 (1971), p. 57. 58 Achille Bonito Oliva, op.cit., 2009 (1971), p.61. 59 Rosalind Krauss, Sculpture in the Expanded Field, in “October”, vol. 8, primavera, 1979, pp. 30-44. 60 Achille Bonito Oliva, op.cit., 2009 (1971), p.62. 61 “L’ideologia è circoscritta o funzionale, strumento di contenuti sociali di parte, o etimologicamente, idea per un’azione storica. E’ in quest’ultimo senso che l’arte diventa ideologia e tradimento. Il traditore, secondo Barthes, è distaccato dal gruppo (quindi dalla società) per guardarlo nella sua alienazione, teso verso una correzione del reale e tuttavia impotente a compierla, escluso dal mondo e necessario al mondo, volto verso la praxis ma incapace di parteciparvi se non tramite il raccordo immobile del linguaggio” Achille Bonito Oliva, L’ideologia del traditore. Arte, maniera e manierismo. (ed. or.1976), Electa, Milano, 1998, p. 20. 62 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1981, p. 17. 63 Paola Fonticoli, op.cit., 1985, p. 21.
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della metafora del maiale che evoca fortemente la corporeità di questa esperienza
definendo lo sguardo, non in termini di contemplazione, ma di « approfondimento per
macerazione e masticazione ».64
Rispetto quindi al rapporto con l’arte, freddo, di necessità, legato alla sussistenza che aveva
descritto ne Arte e Sistema dell’arte: « L’arte serve a chi la fa e poi a chi la riceve, le mostre
servono prima al critico e agli artisti e poi al pubblico, così come una macchina serve prima
a dare sussistenza all’operaio che ci lavora e poi a colui che consuma il prodotto »,65
trent’anni dopo pur l’esperienza con l’arte è fisiologica nel suo bisogno dal momento che è
il nutrimento oltre che lo spazio abitativo. Per questo motivo il rapporto fra critico e le
forme dell’arte non è ridotto a sguardo contemplativo, ma venendo assorbito
corporalmente si traduce in fecondità, testimoniata dalla scrittura.
Questo modo di descrivere l’artista e il critico lascia sempre un sapore di indefinitezza
calcolata,66 di impossibilità di una posizione frontale e chiara rispetto alla realtà che non
solo è in linea con il pensiero Oliviano ma è voluta: « come non si può dire che cosa sia un
artista in senso stretto, così non si può dire che cosa sia un critico. Entrambi vivono
nell’ampio territorio della cultura, nello spazio della conoscenza ».67
E dal momento che per Bonito Oliva la critica è tanto scrittura quanto pratica - « non
applicazione pedissequa di un’idea […] bensì è una pratica dell’arte in cui […] il momento
di visualizzazione è fondante » 68 – l’esposizione, con il suo allestimento, sono parte
integrante del suo pensiero critico. La figura del critico quindi resiste con Bonito Oliva non
entrando in contrapposizione con quella del curatore di cui condivide lo stesso territorio
ed esperienza. Pensiero e prassi sono due facce della stessa medaglia per cui Bonito Oliva
non partecipa in nessuna maniera della « fine della critica »69 anzi la professa come spazio
di necessità senza paura di essere anacronistico.
La mostra per Bonito Oliva non deve essere diretta conseguenza di una cieca teoria critica
ma deve cercare un rapporto con la realtà in cui vive, dal momento che l’evento espositivo
è a un tempo gesto culturale e pubblico.70 Non a caso dichiara nel comunicato stampa che
64 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XL. 65 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1975, p. 54. 66 Un’altra delle metafore Oliviane usate nel catalogo Punti Cardinali dell’arte sono quella del Don Giovanni “che proprio in quanto sente l’irresistibilità dell’arte, solo attraverso lo spostamento può evitare di rimanere annichilito in uno stato di passiva contemplazione e di acquistare la propria libertà laica” e del Leopardo bianco del Kilimangiaro, per descrivere l’azione dell’arte il cui compito è di portare nello stato dell’impossibilità, pareggiare il peso negativo delle cose con l’astratta leggerezza della fantasia.” Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XL. 67 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XL. 68 Achille Bonito Oliva, Autocritico automobile” Castelvecchi, Roma, 2002 (prima edizione 1977), p. 235. 69 Vedi parte di questa tesi dedicata alla fine della critica e all’affermazione del curatore, inserire alla fine 70 Achille Bonito Oliva, op.cit., 2002 (1977), pp. 217-235.
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125
le grandi esposizioni « costituiscono oggi un luogo di conoscenza e spostamento del gusto
collettivo ». Il “gesto” di Punti Cardinali dell’arte rivendica, tramite le parole di Bonito Oliva
“una diversa progettualità culturale, non poggiante sulla superbia unificatrice e teorica
ma piuttosto su una struttura a mosaico;”71
infatti « non si tratta solo di andare a vedere un’esposizione: si viaggia attraverso mostre,
convegni, happening, film, video eventi musicali i cui tasselli si ritrovano in ciascuno degli
elementi fatti da esposizioni, eventi, incontri, didattica, convegni e catalogo ».72
Rispetto al modello tradizionale della Biennale - che secondo Bonito Oliva ha sempre
rispecchiato quello dell’Expo Universale - egli propone la coesistenza dell’arte che declina
da un lato in un discorso intorno il concetto di nazionalità rivisto e corretto (trans-
nazionalità) e dall’altro in una costellazione di mostre tematiche. In questo modo
“il progetto de I Punti cardinali dell’Arte vuole segnalare la specificità di un Ente
Centenario come quello della Biennale che potrebbe trovare nell’assunzione problematica e non puramente documentativa dell’Arte un suo ruolo indispensabile e necessario.”73
Quindi Bonito Oliva cerca di rivisitare gli intenti della Biennale di apertura
all’internazionalità e di proposta culturale attraverso un progetto che contempla una
molteplicità di aspetti sostenendo che « tale progetto rivendica la capacità della cultura di
produrre una domanda sulla realtà contemporanea rileggendo le nozioni di
internazionalità e disciplinarità del fenomeno ».74 L’uso per altro frequente della parola
‘cultura’ al posto di ‘arte’ apre l’esposizione verso il più ampio della conoscenza.75
Tempestivamente, rispetto ai tempi, propone come parte integrante della Biennale gesti in
questa direzione come l’esperienza educativa che prende corpo nella scuola di curator
insieme con L’ecole du Magasin oppure come l’approfondimento intellettuale
multidisciplinare invitando teorici e filosofi ad introdurre ciascuna mostra.76 In questo
senso la 45esima Biennale di Venezia testimonia un precoce esempio in Europa77 di un fare
71 “Punti Cardinali dell’arte proprio per rivendicare una diversa progettualità culturale, non poggiante sulla superbia unificatrice e teorica ma piuttosto su una struttura a mosaico, tesa alla lettura della complessità internazionale dell’arte mediante tasselli espositivi di temi, contesti e personalità individuali della creazione artistica.” Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV. 72 Giovanna Wurmbrandt, Punti Cardinali dell’arte, in “Business Art”, Luglio 1993, p.48. 73 Cartellina stampa in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 521 74 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV. 75 Achille Bonito Oliva, op.cit., 1993, catalogo della mostra, p. XL. 76 Vedi fax spedito da Bonito Oliva a Giulio Giorello il 9 aprile 1993 “Caro prof. Giorello, come già le accennai a suo tempo sarei molto felice se lei potesse stendere una nota introduttiva alla mostra “Punti dell’Arte” che partecipa alla costellazione espositiva dei “Punti cardinali dell’Arte”, titolo complessivo della XLV Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Ogni mostra è introdotta da un filosofo o da un teorico: Zolla, Vattimo, Perniola, Virilio, Cacciari, infine un testo inedito espressamente scritto per noi da Ernst Jünger” 77 Rafal Niemojeski sostiene che la prima mostra a “comportarsi” in questo modo sia la Biennale dell’Havana nell’1984. Rafal Niemojeski, op cit., tesi di dottorato, 2009.
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126
mostra che coinvolge intellettuali e didattica. Anche se sono elementi che appaiono forse
in maniera meno evidente nelle pagine dei giornali e nelle analisi della mostra.
La struttura “a mosaico” ricalca l’idea, già sperimentata da Bonito Oliva di un’ esposizione
senza centro, di non avere una struttura teorica soverchiante nei confronti delle opere, ma
che suggerisca piuttosto percorsi in cui perdersi. Non a caso negli anni ’80 aveva utilizzato
la metafora del “labirinto”78 per descrivere l’errare del visitatore senza punti di riferimento
che consentiva di sperimentare il percorso e approdare alla conoscenza.
Rispetto alla mostra-labirinto in quella “a mosaico” la figura del critico retrocede di qualche
passo, parlando di se come responsabile e non come curatore della manifestazione. Se è
vero da una parte che questo riposizionamento è ascrivibile al fatto che fra le mostre che
lui aveva direttamente ideato per la Biennale la più importante, Venti dell’Arte, è stata
tagliata, dall’altra parte la riconsiderazione del suo ruolo va anche intesa come una
posizione morale nei confronti dell’esposizione, di cui un precedente lo si può ritrovare
nella mostra di Pisa del’81 Critica ad arte – Panorama della Post-critica.79
L’assenza di un principio unificatore è, nella pratica Oliviana, emancipante, come per il
manierista la perdita del centro e della prospettiva costituiscono « liberazione e fuga delle
figure nello spazio e nel tempo »; parallelamente la frantumazione della mostra in molti
eventi che permette al visitatore di passare da una mostra all’altra come da un canale
all’altro – spesso sui giornali Bonito Oliva parla proprio di “mostra-zapping” o “mostra post-
televisiva” – offre « un’ipotesi critica capace di diventare un edificio laboratorio della
cultura »80 in cui prevale il desiderio di « produrre progetti di investigazione sulla realtà ».81
Ed è su questo punto che sarà possibile valutare la Biennale di Bonito Oliva come un punto
di riferimento e di sviluppo di pratiche espositive degli anni ’90. La mancata realizzazione
di Venti dell’arte, se da un lato non consente di valutare l’impianto teorico complessivo del
pensiero e delle intenzioni di Bonito Oliva, dall’altro permette a questa Biennale di porsi
come importante formulazione di un fare espositivo che si afferma in quegli anni. Se
infatti, la struttura “a mosaico” è una premessa metodologica importante per la
costituzione di un nuovo fare espositivo, seppure come si è evidenziato debitore di
esperienze degli anni 70-80, è la concentrazione sulle problematiche della
contemporaneità come parte di un più largo discorso culturale che conferma l’esemplarità
di questa esposizione.
78 Cfr. Achille Bonito Oliva, Labirinto, UNI editore, Milano, 1979; Labirinto – Luoghi del silenzio imparziale, Feltrinelli, Milano 1981; Bonito Oliva, op.cit., 1981. 79 Cfr. Achille Bonito Oliva, Critica ad arte – Panorama della Post-critica, Gianfranco Politi Editore, Milano, 1983. 80 Alain Elkann, La mia Biennale, un capolavoro, intervista con Achille Bonito Oliva, in “La Stampa”, 12 luglio 1993. 81 Achille Bonito Oliva, come sei piccola….. America, in “L’espresso”, 18 luglio 1993, pp. 98-10
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127
L’includere come parte della Biennale mostre multidisciplinari, numerose esposizioni
affidate ad altri curatori, l’ideazione di momenti di riflessione come lo è stato il convegno
sulla Produzione e circolazione dell’arte, la scuola per curatori, l’apporto teorico nel
catalogo di testi di intellettuali oltre che la disseminazione dell’evento in tutta la città
fanno decisamente di questa Biennale un esempio precoce per la comprensione della
diffusione di una pratica espositiva ‘a piattaforma’ che si sviluppa negli anni a venire.
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11995. La 46esima Biennale di Venezia.
Identità/Alterità
Immediatamente dopo la chiusura della 45esima Biennale di Venezia i lavori del Consiglio
Direttivo si aprono sotto i migliori auspici. Il 29 ottobre il Presidente Gian Luigi Rondi dà
notizia circa la possibilità di un fondo speciale messo a disposizione dallo Stato per le
celebrazioni del Centenario attingendo all’8x1000 che può far capo a 10.000.000.000 di lire
e poi di altri 2 miliardi fruibili attraverso il Consiglio Europeo e l’Unesco, per il centenario
del cinema1 da celebrarsi congiuntamente a quello dell’Ente.2 Questi finanziamenti vanno
a rinforzare i contributi - certi ma invariati da almeno dieci anni 3 - che vengono
normalmente dati da Stato, Regione Veneto, Comune e Provincia di Venezia.4
Tutti gli sforzi sono concentrati sulla riforma dell’Ente, di cui un « testo unificato del
disegno di legge di iniziativa parlamentare (è) attualmente all’esame della Commissione
cultura del sentato»5 e per il quale il 27 gennaio viene costituita una commissione
consiliare della Biennale impegnata sia a vagliare tutte le parti del documento e a redigere
tutti gli emendamenti necessari sia a elaborare le finalità e il programma per il Centenario.
1 La riunione è per lo più dedicata alla seconda variazione del Bilancio e a discussioni relative alla Pubblicazione del Centenario; inoltre si incaricano Szeemann e Saporito per la mostra sul Centenario del cinema, XXXIV Riunione del Consiglio Direttivo, 6 marzo 1995, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n.146. 2 “Il 20 ottobre scorso mi sono incontrato con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sen. Maccanico, per sollecitare una Legge Speciale con cui lo Stato possa intervenire in favore delle Biennale in occasione delle celebrazioni centenarie. Ho avuto assicurazione che, sul fondo dell’8 per mille, dovrebbe essere possibile ottenere una somma di 10.000.000.000, cui d’intesa con il Dipartimento per l’informazione e l’editoria presso la Presidenza del consiglio, se ne potrebbero aggiungere altri due a sostegno di due progetti congiunti che il Consiglio d’Europa e l’Unesco intendono sottoporci, avendo scelto prioritariamente su tutte Venezia e la Biennale come sedi più idonee per celebrare il Centenario del Cinema all’unisono con quelle del nostro Ente.” Provvedimenti speciali per il Centenario in Comunicazioni del presidente, allegato a XIV Riunione Consiglio Direttivo, 29 ottobre 1993, p. 1 in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 3 “I contributi ordinari, immutati da quasi dieci anni, richiederebbero, se non altro in considerazione del progressivo effetto inflattivo, dei sensibili aumenti. […] per gli stanziamenti relativi alle spese riguardanti la parte gestionale ordinario-fissa e in conto capitale, restano pressoché confermati gli importi previsti per il 1993, pur essendosi tenuto conto dell’aumento degli oneri e dei passaggi di categoria previsti in conseguenza dei concorsi interni indetti in attuazione del d.p.r. 285/88, nonché dei concorsi pubblici autorizzati con d.p.c.m. 11.10.92.” Bilancio Preventivo 1994, Relazione del Presidente (d.p.r. 696/79 art. 2) allegato a XIV Riunione Consiglio Direttivo, 29 ottobre 1993, p. 1 in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 4 “Il bilancio preventivo per il 1994 è rigorosamente legato ai contributi finanziari giuridicamente certi dello Stato, della Regione del Veneto, del Comune di Venezia e della Provincia di Venezia per un totale di L. 10. 656.000.000 e alle entrate di gestione e proventi patrimoniali , preventivati come seriamente attendibili, per un totale di L. 1.140.000.000” ibidem, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 5 Disegno legge di riforma, Comunicazioni del Presidente, allegato a XIV Riunione Consiglio Direttivo, 29 ottobre 1993, p. 1, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127.busta 127, Materiali Consiglio Direttivo, AC, ASAC,
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Proprio intorno a questo argomento vertono i primi paragrafi della bozza del piano
quadriennale, intendendo fare del Centenario il punto di svolta di tutta l’attività del
Quadriennio « tesa nel medesimo tempo a ripensare […] la storia delle diverse discipline
istituzionali ».6 Il Centenario, all’origine, è pertanto concepito come un’occasione per tutti i
settori di essere impegnati su uno stesso fronte; a questo scopo i direttori delle cinque
discipline istituzionali (Arti Visive, Cinema, Musica, Teatro e Architettura) sono nominati
con il mandato di « predisporre, entro due mesi dalla nomina, progetti articolati per il
biennio 1994/1995, che verranno sottoposti al Consiglio direttivo che ne curerà il
coordinamento e l’intreccio nel quadro del Centenario di fine secolo ».7
Le ipotesi che prendono forma in questa bozza per il settore delle Arti Visive sono in
qualche modo un argomento obbligato, dal momento che nel 1995 « l’Esposizione
Internazionale d’Arte ha già un suo felice tema […], il proprio Centenario di fine secolo, che
sotto certi aspetti corrisponde all’arco intero dell’arte contemporanea, il cui inizio, nella
seconda metà dell’Ottocento, si è soliti far coincidere con l’Impressionismo. Tra i punti
fermi dell’Esposizione, così, dovrà esserci una mostra storica, che […]8 sia in grado di
ripercorrere i sentieri complessi della evoluzione dell’arte contemporanea […]
ripercorrendo anche tutte le edizioni della Biennale d’Arte dal 1895 ».9
Il Consiglio è unitamente concorde sull’importanza che il Centenario ha e che la sua
celebrazione da attuarsi tramite un coordinamento fra i settori, mostrando una Biennale
“unica” e multidisciplinare che muove i primi passi verso la riforma.
Nonostante la concezione unitaria del Centenario, la Commissione viene divisa per
settori10 con il compito di svolgere una « sistematica consultazione dei soggetti, delle
istituzioni, delle forze artistiche, culturali e sociali veneziane, nazionali e internazionali,
6 Bozza piano Quadriennale 1993-1996, p. 1, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 7 “Un Centenario di Fine Secolo” in Bozza piano Quadriennale 1993-1996, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 8 Nelle ipotesi emerse nella bozza del Piano Quadriennale sembrano molto vivi i suggerimenti carpiti dalla metodologia di Achille Bonito Oliva per Venti dell’Arte. Infatti non solo gli artisti ipotizzati ricalcano le figure di riferimento per una mappatura dell’arte da Delacroix ai nostri giorni (Delacroix, Cézanne, Seurat, Rousseau, Van Gogh, Gauguin), proposte da Bonito Oliva, ma anche l’ipotesi di collaborare con i padiglioni Nazionali ( “i padiglioni Nazionali potrebbero ospitare in maniera esemplare artisti atti a rappresentare in termini di importanza e di durata la storia dell’arte del loro Paese”), la proposta di un convegno per tenere vive le attività permanenti (“sollecitare con un convegno su “L’arte delle mostre”, per avviare una riflessione sul significato oggi di una mostra internazionale intesa anche come momento di conoscenza e di trasformazione del gusto sociale”) e non da ultimo la costruzione di una grande architettura in forma di nave da collocarsi di fronte ai Giardini “a testimonianza del nomadismo del grande veneziano”. Bozza piano Quadriennale 1993-1996, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 9 Ipotesi per i settori, Arti Visive, Bozza piano Quadriennale 1993-1996, pp. 2-3, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 127. 10 I consiglieri vengono così divisi nella commissione di lavoro: per Architettura Enzo Cucciniello e Laura Barbiani; per l’Archivio Storico Umbero Curi, Laura Barbiani e Annamaria Giannuzzi Miraglia; per le Arti Visive Enzo Cucciniello e Bruno Rosada; per il Cinema Gian Luigi Rondi e Bruno Marchetti; per la Musica Ada Gentile e Paolo Trevisi; per il Teatro Paolo Trevisi e Laura Barbiani. Verbali XV Riunione Consiglio Direttivo, 27 novembre 1993, p.7, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 128.
SEZIONE II - 1995
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finalizzata alla formulazione in un organico progetto di rifondazione dell’Ente ».11 Fra le
prime iniziative vi è l’organizzazione di sei giornate di studio dal titolo Quale Biennale
dopo 100 anni?,12 di cui ciascun giorno è dedicato ad una diversa sezione della Biennale.13
L’impegno del Consiglio Direttivo sul fronte Centenario e Riforma tra il 1994 e l’inizio del
1995 porta ad un rapido scorrere dei mesi e nonostante le buone intenzioni dettate dal
desiderio di impostare in maniera coordinata tutte le attività dell’Ente, la questione delle
nomine dei direttori viene posta soltanto l’11 marzo 1994, mettendo, come di consueto, i
direttori nelle condizioni di operare sotto un regime d’urgenza.
La XIX Riunione del Consiglio Direttivo si apre innanzitutto con una discussione sui criteri
che dovrebbero ispirare la scelta dei direttori14 e in particolare del direttore delle Arti
Visive. Vi è una generale concordanza sulla « necessità di far riacquisire all’ente la capacità
[…] di essere nuovamente punto di riferimento del largo pubblico internazionale,
interessato ai settori culturali di competenza dell’ente, oltre che degli stessi operatori di
questi settori»,15 e sull’esigenza, sopraggiunta in seguito alle forti polemiche scaturite
intorno alla figura di Bonito Oliva durante la giornata di studio dedicata alle Arti Visive, di
trovare una figura super partes.
Fra i nomi proposti16 su cui si discute più a lungo ci sono due italiani, Achille Bonito Oliva e
Gillo Dorfles, e due stranieri Jean Clair e Harald Szeemann. La candidatura di due stranieri è
una vera novità per la Biennale, poiché lo statuto pre-riforma non consentiva di chiamare
come direttore di una sezione uno “straniero” ma una nuova legislazione europea
consente di superare questo vincolo senza dover modificare le norme.17
La prima votazione18 lascia la situazione a un’impasse perché la procedura prevede che se
alla prima votazione non si raggiunge la maggioranza, la seconda votazione si focalizzi sui
11 Verbali XV Riunione Consiglio Direttivo, 27 novembre 1993, p.7, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 128. 12 Quale Biennale dopo 100 anni? Identità, prospettive, riforma, 29 gennaio: Cinema; 31 gennaio: Teatro; 5 febbraio: Musica; 12 marzo: Architettura, il 19 marzo: Arti Visive e il 29 marzo:ASAC. 13 Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 14 In questa riunione vengono proposte anche le candidature per gli altri settori. Le candidature per Architettura sono Aldo Rossi, Massimo Scolari e Hans Holbein; per il Cinema sono Caprara, Fava, Pontecorvo e Moretti; per la Musica Messinis; per il Teatro Scarparo, Lluis Pasqual e Gassman. (Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, p. 23, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129); A questa data l’ASAC non è ancora un settore a se per cui non è possibile eleggerne il direttore, Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, pp. 24 e 39, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 15 Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, p. 15, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 16 Le candidature in realtà sono più numerose ma, all’interno dei materiali del consiglio direttivo, non si rintracciano le cartelline a disposizione dei consiglieri consegnate per la riunione, cfr. in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 17 Laura Barbiani, Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, p. 12, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 18 Prima votazione 6 voti Jean Clair, 5 Achille Bonito Oliva, 2 Harald Szeeman; maggioranza non raggiunta, “ci vuole la maggioranza qualificata di nove” Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, p. 38, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129.
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due nomi più votati in questo caso Jean Clair e Bonito Oliva.19 Lo stallo dovuto alle molte
discussioni è causato tanto dalle condizioni poste da Clair in caso di nomina, che richiede
un budget preciso e la garanzia di mezzi di supporto, il restauro del padiglione Italia e la
libertà in termini progettuali sua e dei suoi collaboratori,20 quanto dalla figura di Bonito
Oliva, che, pur essendo apprezzato da diversi consiglieri per la coincidenza dei suoi intenti
con quelli dell’Ente,21 rimane una figura controversa.
Alla seconda votazione la spunta Jean Clair,22 una figura pensata in primo luogo in
funzione della mostra storica del Centenario, ma anche perché è un nome fuori dalle
polemiche italiane oltre che un nome di prestigio internazionalmente riconosciuto.
Clair ha un rapporto con l’arte italiana di lunga data. Nell’esposizione Réalismes, tenutasi al
Centre Pompidou nel 1980, egli aveva esposto la pittura italiana degli anni 1920-1930, è
inoltre profondo conoscitore di artisti come De Chirico e Arturo Martini a cui aveva anche
dedicato alcune mostre. Il suo rapporto con la Biennale invece è meno intenso, anche se
già nel 1982 era stato contattato da Luigi Carluccio per la realizzazione del programma di
Arte come arte.23
La notizia dell’incarico dato a Clair rimbalza su tutti i giornali, soprattutto perché insieme a
lui vengono nominati tutti gli altri direttori di settore24 di cui 3 su 5 sono stranieri. Si tratta
di una piccola rivoluzione per la Biennale, una « svolta […] che ha cancellato con un solo
colpo di spugna una prassi ormai consolidata di spartizioni partitiche ».25
19 Il nome di Gillo Dorfles viene nelle discussioni progressivamente messo da parte per via della sua età avanzata mentre il nome di Harald Szeemann, nelle parole dei consiglieri viene considerato parimenti a quello di Clair, ricordando soprattutto il picco di presenze registratesi alla sua documenta, ma il suo nome non viene raccolto dai più. 20 “La mia accettazione definitiva resta subordinata alla soluzione di un certo numero di problemi che dovremmo discutere insieme: l’accordo della mia autorità tutela che è il ministero della cultura, la garanzia che i mezzi di materia e di personale mi saranno donati in tempo sufficiente visto il poco tempo che ho per portare a termine la mia missione, la rimessa in stato del padiglione centrale dei giardini, la libertà nella scelta dei membri del comitato scientifico e dei miei collaboratori.” Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, p. 38 in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 21 Il suo discorso alle sei giornate ricalca infatti le intenzioni del piano quadriennale ma le vicende con Flash Art e il suo recente dissequestro e soprattutto le proteste da parte di artisti e critici fanno di questa candidatura 22 Voti: 9 Jean Clair, 5 Achille Bonito Oliva. Verbali XIX Riunione del Consiglio Direttivo, 11 marzo 1994, p. 39, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 23 Clair racconta le motivazioni per cui pensa di essere stato scelto a Catherine Millet in un’intervista per “Artpress”. Egli rimarca il desiderio della Biennale di porsi in maniera europea e l’intenzione di uscire dal fenomeno della lottizzazione tramite la sua nomina e quella dei suoi colleghi Hollein e Pasqual. Catherine Millet, Venise ’95, Exposition Ouverte, in “Artpress”, n. 203, giugno 1995. 24 Gli altri direttori vengono votati con un’unica votazione. Architettura 13 voti Hans Hollein e 1 ad Aldo Rossi; Cinema 9 Pontecorvo e 5 Moretti; Musica Messinis con 10 voti, 1 a Becker, 1 a Panni, 1 a Dujardin, 1 a Sinopoli; Teatro Pasqual con 10 voti e 4 a Scaparro, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 129. 25 Un direttore obbligato al record. Ho 14 mesi per esporre 100 anni, in “Il Giornale dell’Arte Vernissage”, Aprile 1994, p.1.
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Le condizioni di Jean Clair si rivelano ostinate e solo dopo molte insistenze26 il 19 marzo,
non senza polemiche,27 abbandona ogni riserva e accetta l’incarico « in gara contro il
tempo ».28
La notizia della nomina di Clair29 viene accolta abbastanza positivamente dalla stampa
italiana, soprattutto per via della sua posizione super partes, anche se fin dall’inizio
vengono sottolineate le sue istanze conservatrici note in Italia per la traduzione di un suo
saggio degli anni ’80, Critica della Modernità.30 All’estero invece la necessità di dover
scegliere una figura super partes è riportata in termini folkloristici, una soluzione tutta
italiana che ricorda la trazione delle repubbliche italiane che per mettere a posto situazioni
di disordine cronico chiamavano un podestà o un governatore di un altro paese.31
Fin dalle prime battute Clair disattende i desideri del consiglio e le indicazioni di alcuni
storici dell’arte italiani che gli scrivono una lettera - firmata da Luciano Caramel, Enrico
Crispolti e Vittorio Fagone32 - il 5 aprile chiedendo apertamente una mostra storica sulla
Biennale di Venezia, instaurando da subito un clima di malcontento. Nella proposta
presentata al successivo consiglio dell’8 aprile egli infatti, in apertura del tuo testo dichiara
che non è sua intenzione « intraprendere una commemorazione o una retrospettiva delle
Biennali » perché « sarebbe un lavoro da archeologo che supererebbe di gran lunga i
tempi ed i mezzi a disposizione » - la cui mancanza egli lamenta fin dall’inizio.33 D’altronde
26 “Jean Clair: Io, un Kamikaze sbarcato in Laguna” p. 25 : “tutto è cominciato con una telefonata, mi ha chiamato […] Rondi … per chiedermi di accettare l’incarico, - come ha reagito? Con no, no, no. – e poi? Sono stato bombardato di fax e telefonate per otto giorni. Dicevano che erano stanchi di polemiche, proteste e pressioni e che io ero al di sopra delle parti. Alla fine ho accettato.” Fiamma Arditi, intervista a Jean Clair, ne “Il Corriere della Sera”, 10 gennaio 1995. 27 “Il progetto di realizzare due mostre per la Biennale in 14 mesi rappresenta una scommessa quasi stravagante. Accetterò questo incarico solo se otterrò i mezzi tecnici, finanziari e il personale sufficienti per assolverlo in modo soddisfacente.” E. Gucciardini , Senza mezzi niente Biennale (intervista a Jean Clair) in “La Repubblica”, 18 marzo 1994. 28 Enrico Tantucci, Jean Clair ci prova. In gara contro il tempo, ne “La Nuova Venezia”, 19 marzo 1994”, p. 53; Un direttore obbligato al record: Ho 14 mesi per esporre 100 anni, in “Il Giornale dell’Arte Vernissage”, Aprile 1994, p.2; 29 La notizia è accompagnata pochi mesi dopo da quella della nomina a direttore di un curatore francese alla documenta di Kassel, Catherine David, curatore di Jeu de Pomme. 30 Jean Clair Critica della modernità. Considerazioni sullo stato delle belle arti. Umberto Allemandi 2011. (ed. originale Considérations sur l état des beaux-arts critique de la modernité, Gallimard, Parigi, 1983 – prima traduzione italiana, 1984). 31 Il fatto di aver assoldato un curatore straniero per la Biennale è paragonato da Roderick Conway Morris sull’ International Herald Tribune come una soluzione tutta italiana e ricorda la trazione delle repubbliche italiane che per mettere a posto situazioni di disordine cronico chiamavano un podestà o un governatore di un altro paese (“ Venice – Italy’s faction-ridden medieval republics sometimes found that the only solution to their chronic disorder was to call in a foreign podestà, or governor, to rule them”, Roderick Conway Morris , A Parisian Savior for the Biennale, in “International Herald Tribune”, 11 giugno 1995, p. 8). 32 Lettera inviata il 6 aprile 1994 (6 aprile 1994, Prot. N. 2411/p) , La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 132. 33 “Sarebbero necessari tre anni buoni […] per avviare una seria riflessione sui cent’anni trascorsi, mettere insieme un’èquipe all’altezza del compito, individuare un filo conduttore e ottenere i prestiti, problema, quest’ultimo, di più difficile soluzione, soprattutto per la parte storica; per realizzare “L’Âme au corps” ad esempio, ci ho messo cinque anni ed ho impegnato un gruppo di venti studiosi! Immagino che per la Biennale dovrò dar fondo a tutta la mia esperienza come curatore di mostre”. Un direttore obbligato al record: Ho 14 mesi per esporre 100 anni, in “Il Giornale dell’Arte Vernissage”, Aprile 1994, p. 2.
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– incalza – non ritiene che questo potrebbe essere di qualche utilità e « il risultato sarebbe
senz’altro noiosissimo ».34 La sua convinzione è che una storia della Biennale non esiste e
che una retrospettiva di questo genere non permetterebbe di parlare dell’evolversi
dell’arte moderna, dal momento che la Biennale ha mostrato di tutto, « dalla pittura più
accademica a un’arte più estremista e provocatrice, e sino alla sua stessa negazione ».
Egli quindi predilige ad una « Storia Universale, a qualche enciclopedismo senza frontiere”
una tematica che permetta la leggibilità « dal più gran numero di gente, così come dalla
piccola élite che fa professione dell’arte contemporanea ».
La presentazione della sua mostra Identità e Alterità è dettagliata e ampiamente sostenuta
teoricamente. Contrariamente quindi alla tendenza che si andava affermando in ambito
espositivo in quegli anni, egli sceglie una tematica precisa incentrata su una domanda
« perché nell’arte moderna, da un secolo, dalla sua nascita a oggi, questa ricerca incessante
e ansiosa, disperata, del volto nel viso umano? » 35
Molti consiglieri rispondono entusiasti al progetto e sembrano persuasi che la sua
soluzione sia l’unica possibile.36 Jean Clair, che già sui giornali era stato attaccato come
retrogrado,37 si vede in questa prima riunione appoggiato. In particolare suscita interesse
la tematica del volto « in un momento in cui la figura umana e l’uomo viene fatto a
pezzi », 38 oltre che l’impianto storiografico che ha fatto si che le « preoccupazioni
organizzative e tecniche si sono dissolte davanti all’impianto concettuale ».39
In contrapposizione con il direttore che lo ha preceduto, egli sottolinea « non sono un
cronista dell’oggi, ma uno storico »40 prendendo così implicitamente distanza dall’arte
contemporanea più attuale. Fra le sue più radicali iniziative infatti vi è la cancellazione di
34 Programma della mostra storica, Gerard Regnier, p. 1, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 132. 35 Programma della mostra storica, Gerard Regnier, p. 2, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 132. 36 Consiglieri Umberto Curi “per quanto riguarda la mostra storica, lo sforzo di non predisporre un progetto meramente ricapitolativo di quelle che sono state le tendenze dell’arte contemporanea degli ultimi cento anni, cosa che sarebbe stata indubbiamente una piatta riproposizione con toni evidentemente didattici e scolastici” verbali XX Riunione del Consiglio Direttivo, 8 Aprile 1994, busta 133, Verbali Consiglio Direttivo, AC, ASAC, p.41. 37 Consigliere Bruno Rosada vi fa riferimento “certe polemiche veramente scadenti che miravano a contrapporre lo storiografo all’attualista che ponevano anche quasi offensivamente in discussione le stesse competenze dell’attuale direttore” Clair “je vous suis particulièrement très reconnaissant d’avoir fait justice de ce procès d’intention que la presse a pu me faire il y a quelques jours, que j’étais un homme du passé et esprit un peu rétrograde alors que je me suis toujours très intéressé à l’art contemporain” Verbali XX Riunione del Consiglio Direttivo, 8 Aprile 1994, p.42, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 133. 38 Consigliere Alberto Lattuada, Verbali XX Riunione del Consiglio Direttivo, 8 Aprile 1994, p. 42, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 133. 39 Consigliere Bruno Rosada “ Voglio unirmi ai colleghi per ingraziare il direttore per la magistrale lezione che ci ha dato oggi nella sua relazione. Alcune nostre preoccupazioni organizzative e tecniche si sono dissolte davanti all’impianto concettuale mediante il quale abbiamo avuto una lezione tipica della scuola francese. Abbiamo visto come la storiografia si fa storia contemporanea e in questo modo pone le premesse di un discorso alto, di un discorso successivo, in modo che riusciamo anche a comprendere come determinati problemi che l’arte contemporanea pone […] acquistano immediatamente chiarezza” verbali XX Riunione del Consiglio Direttivo, 8 Aprile 1994, busta 133, Verbali Consiglio Direttivo, AC, ASAC, pp. 41- 42. 40 Lidia Panzeri, La Biennale cambia faccia e chiude, in “Il Giornale dell’arte”, maggio 1994, p. 6; pubblicato anche come A human face for Europe’s oldest avant-garde event, in “The Art News Paper”, maggio 1994, p. 8.
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Aperto - decisione che prende definitivamente solo dopo un lungo tentennare41 e per la
quale dovrà difendersi per tutta la durata del suo incarico. Egli adduce motivazioni legate
ad una scarsa qualità delle ultime edizioni e cattive condizioni espositive alle Corderie;
inoltre per buona parte del 1994 si crede di poter realizzare la sezione di Architettura in
contemporanea con quella di Arti Visive per cui Clair cede di buon grado la location al suo
collega Hollein42 sperando in questo modo di aver risolto il problema.
La successiva riunione del Consiglio Direttivo è in gran parte dedicata a questioni di ordine
organizzativo rispetto alla sezione arti visive: viene approvato il nuovo regolamento, 43 con
alcune sostanziali modifiche, in vista della prima riunione con i paesi del 1 e 2 di giugno e
si nomina una commissione per studiare la possibilità di accedere a sponsorizzazioni
private44 per evitare di essere totalmente in balia dei contributi statali. Inoltre Jean Clair
presenta una rosa di nomi per la commissione di esperti che lo affiancherà. La sua
proposta tenta da un lato di rendere omaggio ai direttori delle Biennali precedenti,
dall’altro di prendere in considerazione stimati storici dell’arte italiani e stranieri. Tra questi
il consiglio nomina: Gabriella Belli, Giulio Macchi, Hans Belting, Gillo Dorfles e Maurizio
Calvesi.45 Contestualmente viene anche approvata la lista di collaboratori di cui egli
intende avvalersi. 46
41 Clair dice che su Aperto non ha deciso nulla, („Der Chef sagt: Noch ist nichts entschieden. Doch Teilnehmer der jüngsten Vorstandssitzung wissen es genau“) Aperto war zuletzt nicht gut – also weg damit in “ART”, Luglio 1994, p. 116. 42 “Aperto non ci sarà per due ragioni: la prima è che mentre all’inizio era stata una trovata fantastica, le due ultime edizioni, secondo il mio punto di vista, si sono rivelate delle catastrofi; inoltre le condizioni per accogliere le opere in questo spazio nono sono le migliori. Le corderie sono uno spazio molto particolare, e ci sono degli artisti, molto diversi da quelli presentati nelle ultime edizioni, che vogliono esporre in un museo, non in queste condizioni disagiate. Per questo Aperto ha creato “un certo tipo” di arte che va bene in questo luogo, ma trovo un’ingiustizia non poter accogliere altri che necessitano di spazi più neutri; […] La seconda ragione è la concomitanza con la Biennale di Architettura, per cui per ragioni logistiche, non potevamo avere sia lo spazio dei Giardini che quello delle Corderie. Non si può fare tutto: una mostra storica di quattrocento capolavori a Palazzo Grassi, una mostra di architettura, Aperto… e tutto questo in fretta e senza avere il tempo di pensare e scegliere. Preferisco concentrarmi su alcuni punti molto precisi, “forti” e cercare di fare bene quelli.” Centenario tra “nuove dorme” e tradizione, in “Flash Art”, Febbraio /marzo 1995, p. 42. 43 Il Regolamento, studiato d’intesa con il Direttore Jean Clair e gli uffici tecnici e l’unità delle “Attività d’Istituto” presenta varianti notevoli di “carattere tecnico, vi sono stati degli affinamenti e perfezionamenti sia di sostanza che ti carattere terminologico e linguistico” che hanno tenuto conto dell’esperienza passata che tutelano la Biennale sotto vari profili in particolare disciplinando “la partecipazione dei paesi stranieri, la partecipazione alla sezione italiana e le mostre speciali e poi ci sono le norme generali che riguardano tutte le manifestazioni divise in capi che prevedono il catalogo, le fotografie e poi gli imballaggi, assicurazioni e trasporti,” XXII Riunione del Consiglio Direttivo 27 maggio, p. 25, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. busta 135. 44 “Tra le indicazioni mi sembrano molto importanti quelle che dicono che prioritariamente noi, come ente, dovremmo poter cominciare a interessare agenzie di servizi che ci procurano le sponsorizzazioni che del resto è un sistema che noi avevamo già indicato nella parte approvata del piano quadriennale che proprio demandava al consiglio direttivo la decisione su una eventuale sponsorizzazione” XXII Riunione del Consiglio Direttivo 27 maggio 1994, pp. 10- 11., in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. busta 135. 45 Ottengono voti: Gabriella Belli 9, Hans Belting 8, Achille Bonito Oliva 5, Maurizio Calvesi 6, Giovanni Carandente 2, Enrico Crispolti 1, De Felice 5, Gillo Dorfles 8, Giulio Macchi 9. Vengono pertanto nominati componenti della commissione esperti: Belli, Macchi, Belting, Dorfles e Calvesi, Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, p. 27, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 46 Maria Josè Baudinet-Mondzain, Ester Coen, Philippe Comar, Gunter Metken, Didiet Ottinger, Kathrin Pichler, Adriana Scalise. “la scelta dei collaboratori è stata dettata da due considerazioni: da una parte evidentemente il
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Il progetto della mostra viene arricchito da una sinopsi in cui è delineata l’architettura della
mostra storica divisa per capitoli successivi. Pur non trattandosi di un documento
definitivo Clair propone 400 opere che formano il cuore della mostra includendo « opere di
prima, seconda e terza scelta (secondo) la disponibilità delle collezioni e dei musei che
accetteranno o no di prestarle ». Fra queste compaiono anche cinquanta opere mostrate
nelle diverse Biennali che gli danno l’occasione ancora una volta di sottolineare che « la
mostra (da lui ideata) non è un’archeologia della Biennale, non è le cinquanta opere
mostrate nelle Biennali, non è i grandi premi dati a Venezia, non è la storia della Biennale di
Venezia ».47
Insieme alla sinossi della mostra egli mostra anche la lista di prestigiosi prestatori, come ad
esempio il museo d’Orsay, il Louvre, il museo di San Pietroburgo, con lo scopo di rendere il
consiglio consapevole della portata della mostra storica proposta e della necessità di
procedere rapidamente nella richiesta dei prestiti e nell’organizzazione della logistica. La
sua preoccupazione maggiore, infatti, risiede nel fatto che la Biennale non sia abituata a
fare questo genere di esposizioni e che quindi non sia in grado di stare al passo con le
necessità che le grandi esposizioni storiche richiedono.48
L’insistenza di Clair sulla non conformità di una storia della Biennale per questa sua
edizione, comincia ad instaurare un clima di reciproco sospetto e scontentezza fra il
Consiglio Direttivo e il direttore di Arti Visive.
La mostra, per quanto convinca i consiglieri in termini di rigore scientifico e importanza
delle opere proposte, pone diversi interrogativi legati propriamente alla natura stessa della
Biennale e alle intenzioni di questo consiglio, che non vengono mai soddisfatti. Gli viene
chiesto conto ad esempio quale sia il ruolo di coinvolgimento della storica location dei
Giardini e dove siano finite manifestazioni come Aperto. Si comprende che i consiglieri
attendono una proposta che comunque si modelli sulla tradizionale struttura dei
loro livello di competenza” – che egli dettaglia persona per persona – “ e vedete nella combinazione delle nazionalità proposte anche la speranza di raggiungere alcune vostre preoccupazioni di avere comitato europeo che è un problema di logistica interessante perché per quando queste esposizioni storiche suppongono si ottenere dei tratti di diversi paesi, è utile avere dei collaboratori che siano scelti da diversi paesi” Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, p. 27, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 47 Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, pp. 28-29, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 48 “La Biennale abitualmente non fa questo tipo di grandi esposizioni, non è il suo ruolo, ma all’occorrenza ciò ci obbliga di entrare nella logica delle grandi esposizioni storiche cioè di fare le richieste di prestito al più tardi alla fine di giugno” Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, p. 29. in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n.135.
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Giardini, 49 mentre per Clair ragiona se un posto non è adatto all’esposizione
semplicemente non può essere usato.
Un’idiosincrasia questa intessuta anche di una posizione contrastante nei confronti della
più recente produzione artistica. In quest’occasione egli ribadisce « devo dire che la
questione della mostra Aperto è una questione estremamente difficile, e molto
francamente vi dico che da dieci anni Aperto non mi convince assolutamente, né per
interesse né per necessità. Si possono vedere nelle fiere di arte internazionali molte più
cose di quanto ci sia ad Aperto, presentate in modo più gradevole ».50
Questo non fa che alimentare l’interesse verso Aperto anche fuori dal consiglio. Già il 14 di
marzo51 egli aveva ricevuto una proposta da parte di Francesco Bonami, che raccoglieva
dai giornali le dichiarazioni intorno ad Aperto dello stesso Clair, per rilanciare e
ristrutturarne il format attraverso un taglio sulla quantità ed un affondo sulla qualità. La
risposta di Clair si farà attendere e il 10 maggio52 risponderà ancora in termini vaghi
intorno alla questione, mostrando di prendere tempo considerato il malcontento
generalizzato intorno questa scelta.53
D’altro canto anche la proposta, presentata in accordo con Hollein, di realizzare
Architettura e Arti Visive nello stesso periodo desta reazioni contrastanti. Da una parte
alcuni consiglieri avanzano il sospetto che se c’è “posto” per due sezioni nello stesso
momento, il programma è in realtà molto esiguo, considerando che per l’edizione
precedente non vi era spazio a sufficienza per le sole Arti Visive e si era “usciti dai Giardini”
49 “Non solo per la mostra storica ma anche nel voler per quanto possibile al tema ricondurre anche parte dell’esposizione dei Giardini. A questo punto però mi domando se questo comprenda anche alcune manifestazioni come Aperto” Consigliere Bruno Marchetti, XXII Riunione del Consiglio Direttivo 27 maggio 1994, p. 30 in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 50 Io sono dell’opinione di non fare Aperto ed eventualmente di consacrare questo spazio dell’Arsenale a una mostra di architettura in accordo con il prof. Hollein. E’ un luogo che si presta meravigliosamente bene alla presentazione di architettura e questo è il mio punto di vista odierno” XXII Riunione del Consiglio Direttivo 27 maggio 1994, p. 30 in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 51 “Comprendo bene i suoi dubbi se mantenere in vita in modo specifico la mostra stessa dedicata alla giovane arte contemporanea. Nondimeno ritengo che, facendo Aperto parte della storia della Biennale, sia tuttora necessario mantenerlo in vita pur ridefinendone radicalmente la funzione. Il mio progetto consiste in una trasformazione della struttura della mostra, puntando verso la ricerca di una profonda qualità dell’opera d’arte, riducendo drasticamente la quantità. […] La linea di lavoro che il mio progetto per Aperto persegue, si concentra sul dialogo fra immagini fotografiche, visioni pittoriche ed influenze televisive, una ricerca che trova interessantissimi esempi sia negli Stati Uniti che in Europa”. Il progetto di Bonami pensa anche ai costi ed all’allestimento ipotizzando di far venire le opere via mare e di affidare l’allestimento agli uffici tecnici della Biennale gestiti da Pina Maugeri. “Corrispondenza Esterna Jean Clair”, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 407. 52 La lettera di risposta di Jean Clair è un prendere tempo “non mi è possibile darLe per ora una risposta in merito, in considerazione del fatto che i progetti della Biennale sono ancora in fase di studio. Non appena saranno conclusi i lavori con i rappresentanti dei Paesi stranieri proprietari di un padiglione ai Giardini della Biennale e che i progetti per la sua XLVI edizione saranno definiti, sarà mia cura farLe sapere l’esito della Sua richiesta.” lettera datata 10 maggio 1994 (Prot. N. 3192/94) La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 407. 53 Bonami porta alle Corderie la mostra che egli aveva proposto a Clair con il nome Campo.
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per “allargarsi” in varie location sparse per la città, 54 dall’altra pur essendo persuasi della
validità della mostra storica da lui presentata, i consiglieri cominciano a mal vedere la
posizione negativa di Clair sulla storia della Biennale.
La sua scarsa considerazione della Biennale come importante luogo storico per la storia
dell’arte e il suo scarso interessamento verso Aperto aprono preoccupazioni intorno al
fatto che il Centenario possa essere rappresentato quasi esclusivamente da un percorso
storico 55 , non esposto in Biennale – è già chiaro in queste battute anche se non
esplicitamente detto che il padiglione Italia non potrà essere una location adeguata – che
vede la confluenza di due manifestazioni come arti Visive e Architettura ma senza quella
invasione della città a cui Bonito Oliva li aveva abituati nell’edizione precedente.
Il consiglio sembra voler prendere sul Centenario una posizione di forza
« riappropriandosene »56 e dirigendo i passi dei curatori, e non viceversa; non a caso si
comincia a far strada l’idea - che poi verrà concretizzata nella mostra Venezia percorsi del
gusto - di far comunque, al di là delle opinioni del direttore, manifestazioni che i consiglieri
ritengano adeguate per celebrare il Centenario.57
Sulla mancanza di sintonia fra Ente e direttore delle Arti Visive, inoltre, pende la spada di
Damocle della disponibilità economica per la realizzazione del Centenario. In questo
momento vi è un cambio di governo in Italia per cui la Biennale, che dipende interamente
dai finanziamenti statali, deve attendere in primo luogo l’insediamento del nuovo
governo. Il Presidente Rondi, infatti, pur avendo avviato le pratiche per una pianificazione
organica del 1995, non può garantire nessun genere di finanziamento certo ai direttori:
« Attualmente, noi abbiamo un decreto delegato di cinque miliardi per il Centenario, che
però deve essere approvato dal nuovo parlamento, e io dovrò recarmi dal nuovo governo
54 Consigliere Luigi Mazzella: “noi passeremo dalla mostra dell’anno scorso dove eravamo usciti dagli spazi dei Giardini per occupare tanti altri spazi, ad una mostra dove addirittura posiamo consentire che nei Giardini si svolga anche una mostra dell’architettura. Io non vorrei che in definitiva il centenario della biennale nella visione di chi la ama poco, non debba essere una celebrazione più funeraria che non avveniristica per quel che riguarda i prossimi cento e duecento anni”. Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo 27 maggio 1994, p. 39, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 55 Clair si difende a più riprese anche dal fatto di fare una mostra unicamente di Belle Arti “insisto ancora una volta nel dire che non è un’esposizione di Belle Arti ma una esposizione pluridisciplinare quanto possibile, per esempio con evocazioni scientifiche dell’epoca, anche la fotografia e il cinema che sono presenti sotto vari aspetti”, Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo 27 maggio 1994, p. 29, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 56 Consigliere Laura Barbiani: “Riprendendo il discorso della necessità da parte del consiglio di riappropriarsi del piano generale del centenario, di fare il suo mestiere rispetto al centenario, ritengo che l’idea di mettere all’o.d.g. un ragionamento sul piano generale in termini di spazio, tempo e denaro mi sembra molto corretto” (p. 40); Consigliere Bruno Rosada: “E’ un’occasione unica per cui la Biennale fatta con il suo personale e i dirigenti e dal suo segretario e presidente e consiglio direttivo dovrà fare un’opera di pianificazione e coordinamento che finora non ha mai fatto perché ogni direttore è andato a ruota libera” (p. 42), Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 57 Consigliere Bruno Rosada: “Aperto di deve fare e non importa che lo faccia Clair. Jean Clair ci ha dato la Biennale fino ad oggi, il futuro la Biennale lo deve dare”, Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, busta 135, p. 42, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135.
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per chiedere una legge speciale per il centenario. Fino a che il nuovo parlamento non
risponderà sull’attuale disegno di legge e fino a che il nuovo governo non mi rassicurerà su
una legge speciale per il centenario, e io spero di saperlo prima della fine di luglio quando
ci incontreremo, è chiaro che la nostra situazione è questa: la Biennale per il centenario
dispone di dieci miliardi, più i 5,8 che verranno dati in modo straordinario al cinema ».58
Rondi per convincere Jean Clair ad accettare gli ha assicurato una disponibilità finale di 11
miliardi ma in questo momento, come d’altronde era stato informato, la disponibilità per
avviare la richiesta di prestiti con i relativi contratti di assicurazione è solo di un miliardo e
duecento milioni.
Di pari passo con le preoccupazioni di ordine logistico e temporale della mostra sono
scottanti quelle riguardanti le relazioni con il Comune, con cui il Consiglio invoca un
rapporto più stretto di collaborazione, e quelle legate alla pianificazione economica. A
questa data, infatti, manca totalmente un’idea della misura di spesa a cui si va incontro.
Alla fine di giugno59 sembra chiara e possibile una collaborazione con Palazzo Grassi e in
un’intervista Clair spiega il modo in cui intende distribuire la sua mostra: « Venezia non ha
spazi espositivi moderni, Palazzo Ducale non ha climatizzazione, manca di ascensori, è
totalmente sprovvisto di impianti di sicurezza. Il museo Correr e Ca’ Pesaro sono troppo
piccoli. Ho chiesto Palazzo Grassi perché è il solo spazio museografico come si deve che,
oltretutto, dà garanzia a chi presta le opere. Lì farò la parte principale dell’esposizione
storica dal 1895 al 1968: e la mostra dal ’68 ai nostri giorni si concluderà ai Giardini ».60
La riunione del Consiglio direttivo del 23 settembre, oltre alla definizione della mostra
storica all’interno degli spazi di Palazzo Grassi, con cui si avvia uno studio di una
convenzione che durerà fino a dicembre,61 è volta a definire tutte le altre iniziative della
46esima edizione. « Tutto ciò che presento è organicamente molto legato. Ci sono 2500
metri quadri a Palazzo Grassi e 2000 mq ai Giardini; la mostra storica, la scelta dell’arte
contemporanea è fatta sotto la mia direzione con altri collaboratori come Adalgisa Lugli,62
58 Consigliere Bruno Rosada, Verbale XXII Riunione del Consiglio direttivo, 27 maggio 1994, pp. 42-43, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 135. 59 Questa notizia si deduce dalla stampa e non dai verbali del Consiglio Direttivo che affrontano la questione dei rapporti con Palazzo Grassi solo a partire da settembre, infatti il consiglio direttivo del Riunione del 26 luglio 1994, , per le arti visive tratta solo le collaborazioni, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 137. 60 Dall’intervista di Fiamma Arditi a Jean Clair si apprendono le motivazioni dell’uso di Palazzo Grassi, Fiamma Arditi, intervista a Jean Clair, ne “Il Corriere della Sera”, 10 gennaio 1995. 61 La bozza è in allegato 5.2.c delle comunicazioni con la seguente nota “bozza di convenzione con Palazzo Grassi che viene rimessa a un preventivo esame del consiglio direttivo anche se non ancora completa (resta da definire l’art. 11 riguardante catalogo, eventuale video e oggettistica), Cfr Verbali riunione del Consiglio direttivo, 23 settembre 1994, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 139); il 16 dicembre è ancora in ballo la convenzione con Palazzo Grassi che viene in questa riunione deliberata, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, deliberazioni del Consiglio direttivo, busta n. reg. 69, delibera n. 435. 62 La storica muore il 16 settembre 1995, prima che la Biennale sia terminata.
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Catherine Pichler, Maurizio Calvesi, Gabriella Belli che lavora con me molto attivamente;
[…] la sola cosa su cui non intervengo è la scelta del padiglione Italia […] perché sono
molto sensibile alla critica fatta dalla stampa, che era paradossale che il direttore delle arti
visive della biennale fosse francese e avesse anche la responsabilità del padiglione
italiano ».63 E’ dunque secondo la logica di affidare ad una responsabilità autoctona la
scelta degli artisti del proprio Padiglione, che Clair affida questa scelta alla commissione di
esperti che lo affianca. Fra questi c’è anche un tedesco, Hans Belting, giustificato però
dall’essere uno dei più rinomati storici dell’arte italiana nel mondo. 64 Da queste
dichiarazioni intorno alla scelta degli artisti per la sezione italiana, che poi smentirà
scegliendo anche lui tre artisti, e dal prender tempo rispetto alla questione di Aperto si
comprende che egli subisce la pressione della stampa – cosa che non accade con la mostra
centrale che difende strenuamente – ed è come preso dall’indecisione se andare incontro
alle aspettative dell’Ente e del pubblico italiano o meno.
D’altro canto la risposta della critica è già in queste prime battute aggressiva e il dissenso
viene mostrato anche dagli artisti come ad esempio Gino De Dominicis e Pietro Dorazio
che in una lettera, sottoscritta da una cinquantina di artisti, protestano65 contro Identità e
Alterità, non tanto per la scelta della tematica in sé, quanto perché si mostra come
tematicamente imbrigliante: « quindi è l’esposizione di un suo tema con le opere d’arte
che diventerebbero lo svolgimento, esempi visivi utili ad illustrare le sue teorie. E con
l’inserimento nella mostra anche di stilisti, scenografi etc.. » e annuncia De Dominicis che
« data la situazione le mie opere si rifiuteranno di partecipare alla mostra ».66
Clair sostituirà De Dominicis67 ma questa situazione di polemica a mezzo stampa renderà i
rapporti fra i vari attori di questa 46esima edizione sempre più tesi.
Così nel novembre del ’94, pur essendo Clair soddisfatto del procedere della mostra
storica, che può già contare a quella data su 240 prestiti di opere dai maggiori musei del
63 Verbale XXVIII Riunione Consiglio direttivo, p. 72, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 141. 64 Clair chiarisce di fronte al Consiglio direttivo perché gli viene chiesto dal consigliere Marchetti il motivo della sua estraneità nei confronti del padiglione Italiano e aggiunge “ Devo dire che la scelta fatta da Calvesi, Macchi, Belli, Belting è una scelta fatta con me, abbiamo lavorato tre giorni su delle liste di artisti e sono anche intervenuto per dire quello che mi sembrava più interessante per cui in un certo senso ho avuto un ruolo” Verbale XXVIII Riunione Consiglio direttivo, p. 72, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n.141. 65 “Il giornale dell’arte”, aprile 1994 – 8 marzo, p. 121. 66 Lettera dell’ 8 Aprile. 67 In un’intervista pubblicata su “Flash Art” Roberto Pinto domanda “É di pochi giorni da la nomina degli artisti del padiglione Italiano, sul giornale di oggi (?) c’è una dichiarazione di De Dominicis che si rifiuta di partecipare alla Biennale perché non vuole che “certi curatori….. ci dichiarino contro le mostre tematiche” . Clair risponde “non ero ancora a conoscenza di questa decisione. Comunque non ho inventato io le caratteristiche di dare ad ogni Biennale una tematica e una direzione di indagine.” Roberto Pinto Un Centenario tra nuove forme…, “Flash Art”, 1995, p. 42; Per la sezione italiana vengono sostituiti Piero Guccione e Gino De Dominicis da Ida Barbarigo. Verbali XXXVI Riunione Consiglio direttivo 28 Aprile 1995, p. 46, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 149.
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mondo, di cui 40 sono capolavori68, si sbilancia: « penso che il nucleo storico della mostra
sarà una cosa fantastica, veramente di un alto livello internazionale che dovrebbe avere un
successo di alta qualità ».69 Contestualmente il prendere forma della mostra Venezia:
percorsi del gusto, crea perplessità in lui e nei gestori di Palazzo Grassi, che inevitabilmente
percepiscono la mostra in aperta competizione e contraddizione con quella ospitata nelle
proprie sedi espositive.70 La mostra a Palazzo Ducale promossa dal Sindaco di Venezia, in
cui Clair partecipa nel comitato scientifico insieme a Gabriella Belli, è intesa come una
« storia del gusto della Biennale centrata sugli artisti italiani della Biennale con i rapporto
fra gli italiani e gli stranieri. Una mostra di 150 opere ma anche una documentazione degli
archivi ».71
Il contrasto scaturito da un’implicita competizione con questa mostra che sembra fare
quello che era stato chiesto a Jean Clair ma che lui non ha voluto fare, si acuisce nei giorni
successivi. Dall’iniziativa Clair prende ripetutamente le distanze e contesta l’utilizzo di
parte del budget messo a sua disposizione per la realizzazione. A seguito poi di un
disguido per un prestito chiesto per la mostra di Palazzo Ducale alla National Portrait
Gallery, Clair coglie l’occasione per chiarire con Giandomenico Romanelli, Direttore dei
Musei Civici Veneziani, una necessaria separazione a livello teorico, pratico e monetario
delle due esposizioni.72
68 Alla data di oggi la situazione dei prestiti per la mostra storica che avrà luogo al Palazzo Grassi e al padiglione Italia, è la seguente: abbiamo più di 240 opere […] e aspettiamo la risposta di 350 […] fra le quali capolavori di Matisse, Picasso, Bonnard, Giacometti, De Chirico, Martini, De Kooning, Pollock. Ho incontrato a New York tutti i direttori dei grandi musei di New York e Philadelphia che erano tutti opposti alla Biennale per molti motivi. Finalmente ho potuto accentuare il fatto del centenario e di questa occasione unica per la Biennale di fare una mostra di livello internazionale e ho avuto risposta positiva di Libermann del Metropolitan, di Bill Rubin, del Moma, David Scott del Whitney, T. Krens del Guggenheim e la direttrice del museo di Philadelphia.” Verbali XXVIII Riunione Consiglio direttivo, p. 47, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 69 Verbali XXVIII Riunione Consiglio direttivo, p. 47, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 70 Circa la questione della mostra a Palazzo Ducale in data 3 ottobre (busta 40 “File Corrispondenza esterna Jean Clair”) lettera di Clair a Paolo Viti, direttore di Palazzo Grassi in cui lo informa di una riunione avvenuta con Giandomenico Romanelli. “La mostra di Palazzo Ducale si limiterà ai rapporti tra la Biennale e la Città, e si chiamerà “Venezia e la Biennale”; 400 mq, non più di 150 opere sarà preso dalle collezioni pubbliche veneziane (escluse quelle che Romanelli presta a Palazzo Grassi). La tematica sarebbe “Il Gusto” delle Biennali attraverso cinque o sei punti nodali […] questa storia non mi interessa e mi pare un poco fastidiosa. E io preferisco evitare i problemi con Vedova e altri simili che io non ho scelto per “Identità/Alterità” dato che loro saranno esposti a Palazzo Ducale.” In una lettera del 4 novembre 1994 Clair dice che quello stesso giorno egli ha partecipato “ai lavori della commissione scientifica che cura il progetto promosso dal Comune a Palazzo Ducale per ricordare il Centenario della Biennale. A parte alcune questioni di metodo che sono state chiarite, il progetto procede bene e ritengo che possa diventare una buona esposizione collaterale alla nostra grande mostra Identità-Alterità” Il progetto è già molto avanzato e dunque l’apporto della Biennale è dato più da un sostegno morale che operativo, proprio per questo La vorrei rassicurare: nella previsione d’essere ormai quasi permanentemente a Venezia potrò seguire personalmente i lavori del comitato, ed anche se mi sarà difficile dare un contributo scientifico, sarò sicuramente presente a nome della Biennale.” lettera del 4 novembre 1994 (Prot. N. 10776/94) corrispondenza esterna, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 407 71 Verbale XXVIII Riunione Consiglio direttivo, p. 47, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 72 Lettera non datata ma certamente scritta dopo il 22 dicembre, data in cui la National Portrait Gallery chiede delucidazioni circa il prestito del ritratto di Aubrey Beardsley di Blanche, Clair scrive : “J’ai refusé de consigner comme vous le savez les dernières demandes de prêt concernant l’exposition Venezia e la Biennale au Palazzo Ducale. […] Je constate avec grand déplaisir qu’il n’en est pas ainsi. Je constate également que le financement
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Anche sulla questione dei paesi senza Padiglione che ogni anno si pone in maniera sempre
più preponderante perché le richieste aumentano, la posizione di Clair è quella di non
includerli per non fare « paesi di serie A e di serie B ».73 Ancora una volta la sua presa di
posizione è in contrasto con la Biennale che propende ad essere sempre più internazionale
e aperta alle modificazioni planetarie.
A novembre è pronta a lista dei 20 artisti italiani che rappresenteranno l’Italia e Clair
annuncia le scelte della commissione esperti: « loro avevano deciso di fare una scelta di 15
nomi perché negli anni passati il numero degli artisti italiani alla Biennale era sempre fra i
15 e i 20 nomi. Abbiamo 17 nomi fatti da 5 esperti e ho proposto di fare anch’io, come
direttore, una scelta di tre nomi, quindi saranno 20 artisti italiani ».74
Rimane irrisolto il problema degli artisti giovani, dal momento che Aperto è stato
cancellato, per cui in questa riunione si fa avanti, su proposta proprio di Clair che cerca di
districarsi fra le polemiche, la possibilità di aprire ad artisti giovani spazi come Bevilacqua
La Masa.
Finalmente, alla fine del 1994 si ha la conferma della formalizzazione dei 10 miliardi che
erano stati promessi più volte. E’ interessante riscontrare, dal racconto che fa Rondi al
consiglio direttivo circa il modo totalmente politico del procedimento che ha dovuto
seguire per ottenere i finanziamenti, cosa che mette in luce ancora una volta la necessità di
una riforma che svincoli la Biennale da logiche politiche, permettendo all’istituzione
veneziana di operare in maniera più snella. Di per sè infatti la Biennale non è un Ente di
grandi proporzioni, messa a paragone con altre istituzioni del genere, ma la difficoltà a
operare risiede proprio nella sua strutturazione e dipendenza politica.75 Rondi racconta
come, avuta la notizia da Gianni Letta di poter accedere al finanziamento, gli venga
comunque consigliato dal sottosegretario che si occupa della Finanziaria, di sentire
que la Biennale de Venise vous accorde, de 1,5 milliards de lires, a été prélevé sur notre propre budget. Et que là encore notre projet se voit mis en péril.” 73 “I paesi senza Padiglione: questa storia è molto difficile. All’inizio pensavo che non fosse possibile invitare alcuni paesi con quattro stelle e altri con solo una stella. E’ meglio dire di no per quest’anno e facciamo solo il centenario che è già un’impresa molto costosa e difficile e quest’anno non ci saranno paesi senza padiglioni, piuttosto di invitare questi paesi in spazi miseri senza qualità. Ero molto a disagio ad invitare il Messico o l’Argentina e di dare loro un piccolo spazio nel buio quando Giappone e Corea hanno grandi spazi. Meglio dire no piuttosto che dare una piccola mancia.” Verbale XXVIII Riunione Consiglio direttivo, pp. 47-48, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 74 Gianni Pisani, Mino Trafelia, Amalia Dal Ponte, Giuliano Vandi, Ettore Spalletti, Luigi Autani, Gino De Dominicis, Stefano Di Staglio, Paola Gandolfi, Francesco Clemente, Nunzio, Lorenzo Boneti, Callerani, Capucci, Pizzi, Ruggero Savinio, Vito Tongiani, Riccardo Cavallo, Parmigiani, Savelli”, Verbale XXVIII Riunione Consiglio direttivo, p. 48, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 75 Monica Sassatelli, La Biennale: dal rilancio urbano a piattaforma di cultura globale, in “Polis, Ricerche e studi su società e politica in Italia” XXVII, 1, aprile 2013, pp. 29- 54.
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preventivamente le opposizioni in maniera da far procedere l’emendamento in Senato
senza problemi.76
Questo episodio, ma sono moltissimi gli esempi di questo genere all’interno dei verbali del
Consiglio direttivo, ci permette di sottolineare la fatica che quest’istituzione fa a procedere
in attesa dell’approvazione dei finanziamenti. Al di là che questi sono dei finanziamenti
“speciali” da erogare in occasione del Centenario, è pur vero che la promessa di questi
soldi risale ad un anno prima. I soldi “sicuri” infatti non provengono dallo Stato ma dal
Comune e dalla Regione, ma sono fondi che permettono la gestione ordinaria per cui per
realizzare le proprie manifestazioni ogni volta la Biennale deve attendere che passi il
decreto in parlamento.
A gravare nell’organizzazione del Centenario inoltre sono i rapporti tesi con il Comune di
Venezia intorno alla costituzione di una Fondazione presso il padiglione Italia il cui scopo
era la costituzione in questi spazi di un museo di arte contemporanea. La Biennale, che
viene chiamata a far parte di questa Fondazione pone diverse remore, legate al fatto che
gli spazi del Padiglione vengono usati periodicamente dalla stessa Biennale.
I rapporti verso la fine dell’anno si distendono all’indomani di un incontro fra il presidente
GianLuigi Rondi e il Sindaco Massimo Cacciari. In quell’occasione il sindaco di Venezia
rinnova l’importanza della collaborazione con la Biennale di Venezia e impegna 11 miliardi
di lire per il restauro dei Giardini e la messa a norma del padiglione Italia. Per accelerare la
ratifica degli accordi finali, inoltre, la Biennale s’impegna a costituire una commissione che
si sieda attorno al tavolo del Comune.77
A gennaio del 1995 è possibile finalmente dedicare la riunione del Consiglio Direttivo alla
ripartizione delle risorse per le manifestazioni del Centenario78, che però provocano
immediatamente le proteste di Clair che scrive a Rondi79 ritenendo che sia in pericolo la
mostra storica, dal momento che rispetto ai 12 miliardi di lire che gli erano stati
76 Presidente GianLuigi Rondi: “Letta mi ha detto che se era possibile avrei dovuto sentire le opposizioni e mi sono rivolto a Borgomeo che ha telefonato al capogruppo al Senato, Mancino, che gli ha dato assicurazione che il gruppo dei Popolari non sarebbe stato contrario. Mi sono poi rivolto a Marchetti che ha parlato con l’ufficio stampa cultura del PDS mentre io mi rivolgevo al senatore Salvi capogruppo dei PDS ed entrambi ci hanno detto che non ci dovevano essere difficoltà da parte loro per un problema come quello della Biennale. Sapendo che c’era il dissenso larvato di Pagliarini ho telefonato al capogruppo della Lega in Senato, che mi ha fatto alcune obiezioni sui dieci miliardi, a suo parere eccessivi, ma ho detto che si tratta di Venezia e i Lombardi preferiscono certamente il Lombardo Veneto che non dare del denaro all’Opera di Roma che ha avuto ben 40 miliardi e ritengo che la Lega che si trova comunque di fronte a un testo governativo, non dovrebbe essere contraria. Ho richiamato Letta per raccontargli tutti i miei passi e i ha detto “credo di poterti tranquillizzare, questa cosa dovrebbe passare o venerdì in serata o sabato prima che si chiuda la Finanziaria”, Verbale XXVIII Riunione Consiglio direttivo, pp. 3-4, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 77 “A questo punto se noi costituissimo subito fra noi questo gruppo che sarà poi attorno al tavolo col Sindaco, chi si offre? Marchetti, Cucciniello, Gentile, Miraglia, Trezzini” a questi nomi, su proposta di Busetto del Collegio Sindacale, si unisce come uditore l’avvocato Scatturin. Verbale XXX Riunione del Consiglio direttivo, 16 dicembre 1994, p. 10, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 142. 78 Verbale XXXI Riunione Consiglio Direttivo, 13 gennaio 1995, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 143. 79 Lettera datata il 17 gennaio 1995 indirizzata a Gian Luigi Rondi.
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preventivati egli si trova approvati soltanto 9, 3 miliardi, che lo obbligherebbero ad
annullare parte della mostra e degli eventi programmati, come il colloquio dei Nobel,
l’invito a Venezia dell’accademia di Salisburgo, Artelaguna ed altre manifestazioni. In
questa stessa riunione Clair mette a parte il presidente della fatica che egli riscontra nel
convincere i musei a prestare le opere dal momento che, pur essendo la Biennale
un’istituzione rispettata, è nota internazionalmente la situazione dei suoi ambienti
espositivi, egli quindi si trova costretto a fare appello a tutta la sua personale reputazione e
professionalità di organizzatore di mostre e di Direttore di un museo. Bruciante per Clair è
anche l’eccessiva parte di budget che a suo avviso viene allocata per la mostra a Palazzo
Ducale. La conclusione della sua lettera è inequivocabile e minacciosa « J’entende en
retour un engagement tout aussi ferme de la part des instances directrices de la Biennale.
A défaut, je serais contraint de vous présenter ma démission ».
Fra una controversia e l’altra, grazie anche alla mediazione di Rondi tutto teso a
tranquillizzare il direttore di Arti Visive e a tenere le polemiche il più sopite possibile,
l’organizzazione procede fino a marzo, con la messa a punto della convenzione con Alinari
per la mostra al padiglione Italia,80 senza particolari scontri se non nella perplessità da
parte del consiglio per la concessione dei numerosi patrocini, fra cui quello ad un’iniziativa
che intendeva portare il nome di Aperto’95 dedicata ai giovani artisti e distribuita per tutta
la città di Venezia, iniziativa contro cui il consiglio voterà all’unanimità.81
Nel frattempo il progetto del Centenario sembra « indebolirsi progressivamente »82 e la
mostra di Architettura viene spostata a settembre, mentre viene fatta la presentazione del
Centenario al Centre Pompidou, grazie alla mediazione di Paolo Fabbri,83 il 29 e 30 marzo.
80 Viene anche fatta una convenzione con Alinari per la realizzazione della mostra che aveva ipotizzato Clair per il padiglione Italia ma che poi appare essere troppo costoso “allora si è raggiunto un accordo con Alinari tale per cui l’Alinari si assume tutti gli oneri della mostra che verrà ospitata ai Giardini della Biennale, al padiglione Italia, verso un corrispettivo di 300 milioni più IVA. […] all’interno del padiglione Italia la costituzione di una sala di posa dove l’Alinari farà dei ritratti con i vecchi dagherrotipi, per si darà vita ad una specie di laboratorio dell’attività ritrattistica dell’Alinari”. Verbale Riunione Consiglio direttivo, p. 12, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 145. 81 La mozione votata all’unanimità è avanzata da Gentile con la seguente motivazione “Aperto è una testata della Biennale e non può essere utilizzata da chicchessia”. Verbale XXXIII Riunione Consiglio direttivo, 24 febbraio 1995, p.21, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 145. 82 “Un progetto a sorpresa progressivamente indebolitosi difronte alla mancanza di fondi e di spazi da parte delle varie nazioni per organizzare due mostre insieme, e anche una perplessità di fondo sulla validità dell’iniziativa. Ieri, la decisione del consiglio direttivo. […] Del resto, l’architetto austriaco fino a una settimana fa non aveva firmato il contratto che lo lega alla Biennale e a tutt’oggi non ha ancora presentato il programma dettagliato della sua manifestazione […]. Su un solo aspetto il direttore della Biennale Architettura non intende mollare: vuole a tutti i costi edificare, per il prossimo giugno, un suo padiglione “provvisorio” nell’arena verde dell’esedra, a financo di un altro padiglione teoricamente “provvisorio” ma ormai inserito in via definitiva nel programma dei giardini, quello dell’Electa costruito da James Stirling. […] per ora Ronda ha preso tempo, rinviando la “patata bollente” al consiglio del prossimo 24 febbraio” (Enrico Tantucci, Biennale di Architettura rimandata a settembre, in “La nuova Venezia, 4 febbraio 1995, p.40) 83 Il materiale per l’organizzazione di una conferenza stampa al Centre Pompidou si trova nella busta 142.
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In quest’occasione è esposta la collezione dei Manifesti storici della Biennale e vengono
dedicati due giorni di interventi di intellettuali alla storia della Biennale.
Il 26 aprile 1995 si svolge la presentazione del Centenario e della 46sima Biennale di
Venezia al MoMa, con il patrocinio dell’ International Council e il MoMa stesso, presenti,
oltre a Jean Clair, anche il segretario generale, avv. Raffaello Martelli. In questa conferenza
Clair coglie l’occasione per sottolineare che la sua mostra è stata l’individuazione di un
criterio per “navigare” all’interno della storia dell’arte degli ultimi 100 anni.84
Dopo due mesi di parziale tranquillità la situazione dei rapporti e delle polemiche si
complica gravemente, creando tensioni anche all’interno del suo staff con la minaccia di
dimissioni di Catherin Pichler.85
Il lungo e difficile restauro del padiglione Italia che va incontro a risistemazioni strutturali
più importanti del solito maquillage pre-biennale, dovuto anche alla installazione di un
sistema di condizionamento, trovano Jean Clair sempre più sospettoso nei confronti
dell’effettiva possibilità di terminare i lavori. In una lettera del 21 marzo86 Clair ribadisce le
assicurazioni dategli da Rondi in termini di consegna dei locali, facendo presente come
l’attuale situazione dei lavori non permetterà il rispetto delle date a cui corrisponde anche
l’arrivo dei lavori prestati. Vista la situazione egli chiede di spostare l’inaugurazione a causa
dei ritardi accumulati dal 7 giugno al 19 di giugno. La convocazione di un incontro il 13
aprile per dirimere la situazione tra le parti – presenti il presidente Gian Luigi Rondi,
l’assessore alla cultura Gianfranco Mossetto, il segretario della Biennale Raffaello Martelli e
84 “Credo nella storia”: Un Secolo di Arte, in “La nuova Venezia”, 27 aprile 1995, p. 36. A New York viene presentato il programma per il centenario con in testa il settore arti visive, cfr. A. Farkas, La Biennale riparte da New York, in “Corriere della Sera”, 27 aprile 1995, p. 33. 85 La curatrice stessa mostra segni di fatica nell’organizzazione della sua sezione, in particolare per il contrasto creatosi con l’architetto Gae Aulenti e per un’impressione, percepita dal suo stesso staff, di una diffidenza da parte di Clair per l’arte contemporanea, sezione per la quale lei è responsabile, la porteranno a presentare le dimissioni. “I have now spent several days of thinking about the contemporary part of the exhibition in the Giardini –Without coming to a really acceptable result. Besides the fact of the unexpected reduction of space by the Alinari exhibition […] I cannot find any satisfying solution for the planned selection and inner structuring of the exhibition in the changed conditions. The main reason (besides the general reduction and the specific space problems) is the fact that there are a series of unexpected works in up to now unexpected placements. […] these works are in a definitive difference – or even contrast – to the selection I have made and in an obvious aesthetic difference to the intentions and conceptions of the (really) contemporary art. (Though my concept and the selection refers perfect to the definition of the last chapter, you gave). The combination of the “new” works with my selection is pure nonsense. I do not accuse you of intentional intervention or of calculated demontage of the contemporary part, but I notice and feel that there is not a lot of engagement for really representing nowadays art and living artists. It can be expected that the activities of Signora Aulenti will do the rest to destroy any intentions to show a real contemporary reference to the theme. All this [..] brings me to the solution to resign from this project.”. Lettera di Cathrin Pichler datata 28 marzo 1995 (1 aprile 1995; Prot n. 3804/AV), La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 2056. 86 Jean Clair: “Monsieur le Président, Je vous fais part une nouvelle fois, la troisième, de mes vives alarmes face au retard inadmissible pris à la fois dans le choix du transporteur et dans la mise à disposition de la Biennale du Pavillon Italien. “ in questa lettera egli allega il piano di installazione delle opere il cui arrivo previsto è intorno al 7 maggio e sottolinea con fermezza che non farà consegnare i lavori se gli spazi non sono pronti ad accoglierli. (je m’opposerais formellement à laisser entre des ouvres dans espaces qui ne seraient pas en mesure de les accueillir »). Lettera datata 21 marzo 1995.
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Jean Clair - porta ad una piccola ridefinizione delle deadline per la consegna dei locali per
l’installazione delle opere che appare inderogabilmente prorogate fino al 7 di maggio.
Nella riunione ad aprile viene nominata la giuria,87 discussa la realizzazione della facciata di
Boltansky 88 e, nonostante le assicurazioni, continuano a permanere timori circa
l’impossibilità di terminare in tempo. D’altronde, anche la stampa locale nota che:
« maggio sarà un mese di fuoco. Al padiglione Italia dovranno essere terminate le
coperture, gli impianti elettrici e di sicurezza, gli allestimenti, la sistemazione della viabilità
e del verde ».89
Tra la riunione del 29 aprile e quella del 19 maggio sui giornali impazza la polemica tra
Jean Clair e la Biennale. Alla lettera del 21 marzo seguirà una polemica di dimensione
internazionale aperta da Clair tramite un’altra lettera dell’8 maggio scritta questa volta
direttamente al Presidente del Consiglio dei Ministri Lamberto Dini, e resa pubblica tramite
il Giornale e Le Monde, in cui lamenta dei rapporti con la Biennale e con il Comune di
Venezia responsabile dei lavori, e chiede un intervento diretto dello Stato per poter salvare
la situazione. Il 7 maggio, infatti, doveva essere la data della consegna degli ambienti dei
lavori al padiglione Italia per l’allestimento, ma i lavori sono ancora in corso.
Nella lettera Clair si appella agli articoli 5 e 8 del suo regolamento, dicendosi « allarmato dal
fatto che all’inizio di aprile, nessuna decisione era stata ancora presa per (riadattare il
padiglione Italia), sballottato per le mie richieste da un ufficio all’altro, mi sono incaricato di
avvisare personalmente il sindaco di Venezia della estrema urgenza della situazione. A
seguito del mio intervento il 13 aprile si è tenuta una riunione a Ca’ Farsetti […] Al termine
della riunione è stata firmata una convenzione che stabiliva un calendario dei lavori e un
seguito di questi ultimi. Ora sono costretto a constatare, alla data dell’8 maggio, un mese
prima della prevista apertura del centenario che le condizioni dei locali sono tali da vietare
di collocarvi, la più piccola opera d’arte. […] É fuori discussione che io mi assuma la
responsabilità di introdurvi delle opere e di ammettervi il pubblico ».90
87 Viene votata anche la giuria che segue il seguente criterio: “il direttore propone cinque nomi equamente divisi per aree geografiche continentali: abbiamo un americano, un tedesco, uno spagnolo, un italiano e un giapponese”, Verbale XXXVI Riunione del Consiglio direttivo, 28 Aprile 1995, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 149. 88 “Facciata Boltansky: adesso il comune di Venezia dà carico di restaurare la facciata del padiglione Italia però c’era la proposta del direttore il quale aveva detto che avrebbe trovato una sponsorizzazione per fare questa facciata con il nome di tutti gli artisti che hanno esposto alla Biennale.” Verbale XXXVI Riunione del Consiglio direttivo, 28 Aprile 1995, p. 47, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 149. 89 Intesa per il Centenario, in “Il Gazzettino di Venezia”, 15 aprile 1995, p. III. 90 Jean Clair: “Monsieur le Président, après avoir constaté l’état du pavillon italien à la date du 8 mai, l’architecte Gae Aulenti e moi-même avons pris la décision de ne laisser entrer aucune œuvre d’art à support traditionnel – peinture, sculpture, dessin, photographie – dans ces locaux. Ceux-ci ne seront utilisés que pour abriter les installations vidéo des artistes survivants.” Lettera datata 10 maggio 1995, corrispondenza Jean Clair –Rondi (in copia a Cathrin Pichler, Adalgisa Lugli, Gae Aulenti e Dario Ventimiglia) in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 407.
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La lettera ha larga eco91 sulla stampa nazionale e internazionale, rimbalzando la notizia
della frettolosa installazione del grande impianto di climatizzazione.
Pronte le repliche e le smentite (sempre indirizzate a Dini) del sindaco Cacciari92 e la
convocazione di un incontro tra le parti93 per dirimere la situazione a pochi giorni di
distanza (12 maggio). Risultato dell’incontro sarà la concessione del Museo Correr per
ospitare una parte dell’esposizione originariamente destinata ai Giardini come il gruppo di
opere dell’azionismo viennese e una parte della sezione di Adalgisa Lugli.
91 Enrico Tantucci, Amaro sfogo di Jean Clair, in “La Nuova Venezia”, 12 maggio 1995, p.40. 92 A cui era stata fatta pervenire una lettera dal sindaco Cacciari volta a evitare che esplodessero successive polemiche con toni di pacificazione che hanno convinto “Jean Clair a ritirare certe accuse fatte e infondate che lui dichiarò essere state travisate, mettendo la parola fine a tutta l’operazione” p. 5. 93 Comunicato stampa del 12 maggio, in La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 2056.
Lettera di Jean Clair indirizzata a Lamberto Dini pubblicata su Il Giornale.
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Nella XXXVII Riunione del Consiglio direttivo del 19 maggio, la situazione tesa con Clair
appare rientrata e il presidente Rondi riassume i particolari del contenzioso94 concludendo
il racconto ragguagliando i consiglieri dell’impegno preso nel terminare i lavori, 95
chiedendo tuttavia riserbo e silenzio stampa considerato lo scatenarsi dei media intorno
alla notizia.
La lettera che scrive Clair al presidente della Repubblica apre, insieme alle polemiche sul
restauro del padiglione Italia, anche notevoli discussioni fra i consiglieri circa la sua figura.
Il malcontento nei suoi confronti fino a quel momento era stato manifestato in maniera
personale con pochi, anche se pungenti, interventi. Dopo l’episodio della lettera al
presidente del Consiglio dei Ministri l’indignazione è largamente condivisa: « sulla Biennale
è venuto ulteriormente fango, cioè si è ancora una volta ripetuto che questa struttura forse
più che la sua celebrazione dovrebbe celebrare il suo funerale perché in definitiva dalle
parole di Clair viene fuori una situazione di tale dissesto sia delle strutture immobiliari sia
dell’organizzazione ». Conseguentemente sono molti a chiedere che « la scelta [non] debba
essere in qualche modo rivalutata, dopo l’apertura della mostra »96 – così ad esempio si
schierano Mazzella, Rosada e Rumiz - dal momento che « quello che è accaduto non è una
semplice intemperanza del direttore Clair »97 « c’è una mostra contro la Biennale perché
l’ha dichiarato lui e c’è una Biennale in parte dominata
94 Verbali XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, pp. 5-6, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 95 “A questo punto abbiamo – e me ne impegno di fronte a voi – l’assoluta garanzia che i lavori, che adesso dipendono solo dalla Biennale, saranno terminati per l’inaugurazione, il Comune ci ha consegnato tutte le parti di sua spettanza, e noi stiamo curando il resto, però il resto sono questi allestimenti di cui vi parlavo che sono già tutti sistemati di intesa con l’arch. Ferretto e gli artisti italiani. Gae Aulenti ha già cominciato a sistemare la coda della mostra storica e la parte del museo Correr è in allestimento. Perciò la questione si è risolta a tutto vantaggio della Biennale. […] Il direttore è per il momento tranquillo, i lavori procedono, tecnicamente ci assumiamo nuovamente l’impegno che il calendario sarà rispettato.” Verbale XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, pp. 5-6, , La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 96 Consigliere Luigi Mazzella, XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, p. 6, , La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 97 Clair ha imparato immediatamente lo sport specialistico dei direttori della Biennale. Il facile gioco di insultare la Biennale nelle sue diverse stratificazioni […] e d’altra parte questo li mette al riparo di tutte le loro inadempienze, Verbale XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, p. 7, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n.150.
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da altri personaggi come Calvesi e Belli ».98 Gentile di contro sottolinea come « bisogna
stare attenti a non immaginare una Biennale contro la mostra »99 e si interroga circa il
funzionamento dell’Ufficio stampa. Infatti fra le molte difficoltà a livello di percezione
mediatica c’è poco sostegno delle tante attese attività del Centenario tanto che la sua
inaugurazione si svolge in sordina.100
Il consiglio conclude di rimandare il riesame della sua figura101 in funzione della direzione
del settore arti visive, considerando la questione sospesa e non conclusa.102
Nonostante tutte le promesse e gli impegni i lavori da fare sono molti e procedono non
senza impedimenti. Il primo di giugno è possibile ancora leggere un articolo che racconta
delle conseguenze di un temporale al padiglione Italia dove i lavori non sono ancora
ultimati. 103
98 Consigliere Bruno Marchetti, Verbale XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, p. 8, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 99 Consigliere Francesco Gentile, Verbale XXXVII Riunione del Consiglio Direttivo, 19 maggio 1995, p. 8, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 100 Verbale XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, p. 8, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 101 Alle proteste dei consiglieri citati si aggiungono anche le osservazioni del consigliere Laura Barbiani che “accoglie le proposte dei vari consiglieri di analizzare con cura dopo come è stato possibile che il direttore, al di là delle sue intemperanze, 15 giorni prima dell’apertura della mostra avrebbe potuto scrivere quella lettera” p. 9; e quella di Miraglia tese a distendere la situazione: i direttori siano stranieri “difficilmente (sono) capaci di comprendere anche alcune approssimazioni che noi abbiamo nel nostro modo di lavorare. Voglio mettere anche questo dato positivo, perché non ritengo che abbiano l’interesse nemmeno loro di vivere con grande fatica, però, […] è chiaro che noi abbiamo delle oggettive difficoltà. Abbiamo potuto garantire la copertura finanziaria in date che in una manifestazione rigorosamente impostata sono impensabili.” Verbale XXXVII Riunione del Consiglio direttivo, 19 maggio 1995, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 102 Verbale XXXVII Riunione del Consiglio Direttivo, 19 maggio 1995, p. 11, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 150. 103 “Ieri a causa del forte temporale, pioveva dentro ad alcune sale che ospiteranno l’esposizione di oggetti d’arte. Sale dove i lavori non sono ultimati, dove bisogna ancora stuccare e la pittura cola lungo le pareti. I tempi sono stetti, anzi strettissimi. La vernice è prevista per mercoledì prossimo, dunque tra una settimana. Mancano ancora tante cose da fare. Non solo le rifiniture e i dettagli ma addirittura la copertura del tetto per impedire che piova dentro. Il lavoro procede a ritmi frenetici. L’impianto di condizionamento dell’aria e riscaldamento è costituito da enormi tubi coperti da pareti in cartongesso che hanno rimpicciolito le stanze.” Valeria Lipparini, L’Italia rischia di …affogare, in “Il gazzettino di Venezia”, 1 giugno 1995, p. III.
L’immagine, pubblicata su Il Gazzettino di Venezia mostra lo stato dei lavori al padiglione Italia poco prima dell’inaugurazione.
SEZIONE II - 1995
152
Fra mille difficoltà, polemiche e malumori la 46esima Biennale di Venezia viene inaugurata
il 7 giugno 1995.
Bastano pochi giorni per capire che sarà una Biennale positiva dal punto di vista degli
incassi e delle presenze di pubblico, già nella Riunione del Consiglio direttivo del 30
giugno venivano espressi giudizi positivi intorno agli incassi distendendo per un certo
periodo i rapporti, tanto che a settembre a Clair viene prolungato il contratto di locazione
per un appartamento a Venezia.104
Il Bilancio è lusinghiero e a ottobre già si contano 300.000 visitatori – a novembre saranno
320.000 con un incasso di oltre 4 miliardi di lire - raddoppiando quasi il numero
dell’edizione precedente. Ma alla domanda di un giornalista se rimarrà o meno, Clair nota
soltanto che non gli è stato chiesto anche se in qualche misura i progetti veneziani e la
Biennale gli interessano.105
L’intemperanza di Clair rimane tale nonostante le buone intenzioni, e i rapporti con la
Biennale saltano nuovamente dopo la chiusura della Biennale, a causa dei suoi giudizi sul
progetto del Comune, in collaborazione con la Biennale, di portare avanti un progetto di
museo di arte contemporanea per la città di Venezia. Clair aveva già a più riprese
sottolineato come il padiglione Italia fosse una location inadeguata e le sue dichiarazioni
sul Giornale dell’Arte in cui ribadisce come il Comune con il suo « attivismo culturale
ammirevole in teoria ma riprovevole in pratica » non avrebbe portato a nessun risultato
concreto, fanno esplodere la situazione, scatenando un “botta e risposta” fra lui e
l’amministrazione comunale.106
La dichiarazione conclusiva di un secco “me ne vado”, 107 toglie d’impaccio il consiglio e
Rondi nota che « Clair ci ha aiutato dicendo al Comune che non si ricandida più, comunque
è un fatto tecnico, non è una nomina ».108
104 Si allunga il contratto di locazione di Jean Clair per cui ancora non si è discusso della sua posizione rispetto al Consiglio della Biennale come si accennava nella riunione di maggio anche perché si è un po’ presi dalle giornate del cinema. Cfr. Verbale 49esima Riunione del Consiglio direttivo, 29 settembre 1995, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 153. 105 Risponde “Non lo so, nessuno mi ha chiesto di restare o partire. Una cosa è certa: occorrono due anni per organizzare la Biennale. In questo momento però non posso dire: sono disponibile. Molte cose dipendono dalla politica culturale del Comune di Venezia. Non voglio essere preso tra l’incudine e il martello del Comune. Certo, sono molto interessato ai progetti museali dell’amministrazione veneziana. Ma non so se è possibile realizzarli in due anni come è previsto. Ci sono molte cose da fare per il padiglione Italia, per San Marco.” Paolo Vagheggi, Biennale chiude e Jean Clair fa il Bilancio, intervista a Jean Clair, in “La Repubblica”, 9 ottobre 1995, p. 30. 106 Sebastiano Grasso, Jean Clair: Addio Venezia ingrata, in “Corriere della Sera”, 12 novembre 1995; Alain Cueff, La Biennale di Jean Clair: “La modernità è un dramma e non joie de vivre”, in “Il Giornale dell’Arte”, novembre 1995, p. 10. 107 “Uno con la puzza sotto il naso che non capisce nulla d’arte contemporanea, un menagramo” questo è Jean Clair secondo l’assessore alla cultura di Venezia Gianfranco Mossetto, che non ha digerito lo scetticismo dell’ormai ex-direttore della Biennale circa il progetto di fare il padiglione Italia ai Giardini un museo d’arte contemporanea. A dar fuoco alle polveri è stato, indirettamente, Il giornale dell’Arte, che ha pubblicato a distanza di un mese prima dell’intervista all’Assessore, che annunciava i programmi culturali del Comune.
SEZIONE II - 1995
153
Allora, ai tempi della lettera al presidente Dini, Cacciari aveva mediato e la ragion di stato prevalse; ora invece, Cacciari accusa apertamente Jean Clair di essere abituato troppo bene e manda Jean Clair testualmente ai paesi suoi. Jean Clair, il cui contratto scade a dicembre, ha risposto glaciale: “Me ne sono già andato”. Il comune di Venezia dà la buonuscita a Jean Clair: menagramo e incompetente, torna al tuo paese, ne “Il Giornale dell’arte”, dicembre 1995, p. 2. 108 Verbale 45esima riunione del Consiglio Direttivo, 23-24 novembre 1995, p. 5, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 155.
DIRET TORE DEL
SET TORE ARTI VISIVE
Jean Clair
COMMISSIONE ESPERTI
Gabriella Belli Hans BeltingMaurizio CalvesiGillo DorflesGiulio Macchi
UNITÀ ORGANICA AT TIVITÀ
D'ISTITUTO
DirigenteDario Ventimiglia
DIPARTIMENTO AT TIVITÀ
ESPOSITIVE
A.M. Grazia PorazziniPaolo ScibelliRoberto RosolenGianpaolo Cimarosti
CONTRIBUTI PROFESSIONALI
Laurisa BoniValentina CastellaniCristina cintiAnna Della BonaGaia Donà Dalle RoseLia GardumiAdriana Scalise Barbara Tasca
COMITATO CONSULTIVO
Richard KoshalekKrud Jensen Dieter HonnischTommaso TriniMimmo Rotella
SCUOLA INTERNAZIONALE DI
CURATORS LA BIENNALE DI VENEZIA
MAGASIN DE GRENOBLE
Sylvie AmarAlessandra GalassoPia JardiEmmanuelle KonigPau LagunasVéronique LégerBenedetta LucheriniSylvie MokhtariAlessandra PaceMagda PetraglioCharles-Daniel Schreiber
ALLESTIMENTI DELLA XLV
ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D'ARTE
ArchitettiGae Aulenticon: Francesca Fenaroli, Monica BonadeiDaniella Ferretti (Impronte del corpo e della Mente)
Consulente per l'IlluminazionePiero Castiglioni
Per la BiennaleGottardo Bonacini (Palazzo Grassi e Museo Correr)Francesca Mamprin (Padiglione Italia)Manuela Lucà-Dazio (Padiglione Italia)
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
11 GIUGNO - 15 OTTOBRE 1995
SCHEDA GENERALE 1995
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
MANIFESTI
ENTE AUTONOMO
LA BIENNALE DI VENEZIA
PERSONALE
PRESIDENTE
Gian Luigi Rondi
CONSIGLIO DIRET TIVO
Massimo Cacciari (Vicepresidente)Lamberto TrezziniLaura BarbianiLudina BarziniLuca BorgomeoEnzo CuccinielloUmberto CuriFrancesco Dal CoAda GentileFrancesco GentileAnna Maria Giannuzzi MiragliaGino GiugniFabrizia Gressani SannaAlberto LattuadaBruno MarchettiLuigi MazzellaBruno RosadaPaolo Trevisi
COLLEGIO DEI SINDACI
PresidenteMatteo Masiello
Gabriele BusettoPaolo CariniAldo SauraLuigi Scatturin
SEGRETARIO GENERALE
Raffaello Martelli
CURATORE DELLA XLV ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
Jean Clair
UNITA ORGANICA
AFFARI AMMINISTRATIVI
Dirigente superioreAngelo Bagnato
REPARTO CONTABILITÀ FINANZIARIA,
BILANCIO E CONTROLLO DI GESTIONE
Daniela VenturiniBruna Gabbiato
REPARTO SERVIZI AMMINISTRATIVI
E PATRIMONIALI
Leandro Zennaro*Giuseppe Simeoni*Mauro Fiorenzato
REPARTO GESTIONE ECONOMICA,
AMM. ORGANI STATUTARI, DIRETTORI,
COLLABORATORI, PERSONALE E
SERVIZIO DI CASSA INTERNA
Giorgio Vergombello*Laura ScardicchioLaura Veronese
UNITA ORGANICA AFFARI
GENERALI E ISTITUZIONALI
Dirigente reggenteGualtiero Seggi
REPARTO AFFARI GENERALI
Marina BertaggiaMaria Cristina LionAntonia PossamaiAndrea BernardiMichela BoscoloAngelo LeviNicola Scolaro
REPARTO
GESTIONE DEL PERSONALE
Graziano CarrerSandro VettorCarla Mariotto
REPARTO ORGANIZZAZIONE
E SUPPORTO AT TIVITÀ
Mauro MomentèGiuseppina MaugeriAntonio ZanchetRoberto ChiaAldo Roberto Beltrame
UNITA ORGANICA ATTIVITÀ D'ISTITUTO
DirigenteDario VentimigliaFunzionario capoAnna Maria Porazzini
DIPARTIMENTO ATTIVITÀ ESPOSITIVE
A.M. Grazia PorazziniPaolo ScibelliRoberto RosolenGianpaolo Cimarosti
DIPARTIMENTO ATTIVITÀ DI
SPETTACOLO
Angelo Bacci*Carlo TesserAlfredo ZanollaLaura MarcellinoRita Musacco
UNITÀ ORGANICA ASAC
Dirigente reggenteGabriella Cecchini
REPARTO SERVIZI GENERALI
DELLA SEDE
Erica De LuigiGiovanni MaccarroneAntonio GinettoMaurizio Urso
REPARTO SETTORI DISCIPLINARI
E ATTIVITÀ PERMANENTI
Anna ClautMichela Stancescu
REPARTO CATALOGAZIONE
E CONSERVAZIONE
Daniela DucceschiOsvaldo De NunzioRoberto ContePierluigi Varisco
REPARTO LABORATORI
E SERVIZI AUTOMAZIONE
Lucio RamelliGiorgio Zucchiatti
UNITÀ ORGANICA UFFICIO STAMPA
PUBBLICITÀ E PUBBLICHE RELAZIONI
DirigenteAdriano DonaggioFunzionario capoGiancarlo Zamattio
REPARTO RELAZIONI CON LA STAMPA
Fiorella TagliapietraPaolo LughiAntonio Turin
REPARTO PUBBLICITÀ E
RELAZIONI ESTERNE
Eugenia Fiorin
* Assegnazione temporanea.
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
MAPPA SEDI ESPOSITIVE
DE LA 46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PeggyGuggenheimCollection
Antichi Granaidelle Zitelle
Circolodell’arsenale
Esternodei Giardini
IstitutoRumeno di
Cultura
CasinoVenier
Loggiadel Temanza
FondazioneUgo e Olga Levi
Palazzo Giustinian Lolin
PalazzoGrassi
MuseoCorrer
Ateneodi San Basso
PalazzoBarozzi
PalazzoDucale
Gallerie ex-vetrerie
Ca’Pesaro
Cà Cornerdella Regina
ChiesaSan Stae
TeatroFondamenta
Nuove
Scuola GrandeSan Giovanni
Evangelista Chiostri Convento
San Francesco della Vigna
Istituto Ellenico
Giardinidi Castello
Palazzettodello Sport
Rivadegli
schiavoni
Zattere
CampoSan'Agnese
PalazzoCavalli
Franchetti
Campo San Vio
Riva San Biagio
MuseoGuidi
Chiesa di San Giovanni Nuovo
Palazzo delle Prigioni
Campo Bandiera e Moro
LISTA SEDI DELLE
MOSTRE DE LA BIENNALE
mostre patrocinate: Vicenza, Galleria d'Arte Meeting di Mestre, Palazzo della Ragione a Padova, Villa Pisani a Stra, Roma e TiranaEventi: Palagalileo (Lido di Venezia), Palazzetto dello Sport
LISTA SEDI MOSTRE PATROCINATE
DA LA BIENNALE DI VENEZIA
LISTA SEDI DELLE MOSTRE DELLE
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
LISTA SEDI DEGLI EVENTI
FUORI CARTINA:
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
PalazzoAlbrizzi
MOSTRA DEL CENTENARIO
IDENTITÀ E ALTERITÀ. FIGURE DEL CORPO 1985-1995
IDENTITÀ E ALTERITÀ. FIGURE DEL CORPO 1985-1995
Curatore Jean Clair
Assistenti del direttorePieranna Cavalchini (segreteria di direzione)Dominique Renoux (documentalista)
Consulenti del direttoreMarie Josè Boudinet-Mondzain (iconologia e arte orientale)Philippe Comar (antropologia e scienza del corpo)Gunter Metken (arte tedesca)Didier Ottinger (arte contemporanea)
IL CORPO REALE E VIRTUALE 1985-1995Curatori Jean Clair e Cathrin Picler
IMPRONTE DEL CORPO E DELLA MENTECuratore Adalgisa Lugli
AllestimentoGae Aulenti (con Francesca Fenaroli e Monica Bonadei)Daniela Ferretti (Museo Correr)
LE MOSTRE DE LA 46. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEDE: PALAZZO GRASSI, MUSEO CORRER, GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ITALIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
SEDE: PALAZZO GRASSI
II. 1895- 1905 “Il positivismo”
III. 1905-1915 “L’incoerenza delle avanguardie”
Una nuova norma fuori norma. La rivendicazione espressionistaDall’immagine espressionista all’icona astratta
Dalla callimetria all’antropologia metrica.La ricerca dell’invisibile
IV. 1915-1930 “Verso l’uomo nuovo?”(il primo dopoguerra)
La Bellezza della macchina“Tempeste d’acciaio”: la grande guerra“Ars Moriendi”Un “Richiamo all’ordine” impossibile
Iconografia del Capo. La bellezza frigida L’Eros e il corpo in partiIl surrealismo e la bellezza “convulsaAutoritratti (II) negli anni Trenta
La svolta 1962-1973“Argilla umana” 1973-1985“Ars amandi”Volto velato - volto svelato
L’eclisse del volto, i marginali, i refrattari, i resistenti.
V. 1930-1945 “Arti totalitarie” e “arte degenerata”
VII. 1962-1985 Ritorno al corpo
VI. 1945-1962 “il dopoguerra”
SEZIONI:
I. Ritratti di gruppo
SEDE: MUSEO CORRER VIII. 1964-1995
Il corpo reale e virtuale
Nodi tematici: il concetto di fisionomia, la sua interpretazione estetica e scientifica, il concetto di Individuo, di Personalità; l’Identità sociale e il modo in cui essa viene percepita; il corpo come oggetto di identificazione, come rappresentazione e come critica, il corpo e l’introspezione (scientifica).
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO,PADIGLIONE ITALIA
IX. Impronte del corpo e della mente
Impronta è il segno del passaggio, dell’esserci… l’artista entra direttamente nell’opera con il suo corpo e lo riproduce col calco, con l’ombra, la sagoma, la traccia. Egli ha sempre saputo, fin dall’antico, riprodurre con immediatezza il corpo. La mostra intende mettere in risalto la forte continuità tra antico e contemporaneo proprio su questo tema particolare.
MOSTRA DEL CENTENARIO
IDENTITÀ E ALTERITÀ. FIGURE DEL CORPO 1985-1995
LE MOSTRE DE LA 46. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
SEDE: PALAZZO DUCALE,CA’ PESARO
VENEZIA E LA BIENNALE:
PERCORSI DEL GUSTO
Venezia e i percorsi del gusto tenta di ricostruire in linea cronologica le atmosfere delle Biennale fino al 1972. La mostra è divisa tra Palazzo Ducale, dove vengono presentate per lo più opere di pittura e scultura e il Museo Correr che presenta la parte dedicata alle arti applicate
SEDE: PALAZZO DUCALE DIPINTI E SCULTURE 1895-1972
Tutte le opere esposte erano state presentate nelle diverse edizioni della Biennale dal 1895 a al 1968. La mostra si articola in tre sezioni.
La prima (coordinata da Maria Mimita Laberti) analizza gli esordi fino agli anni ’20: dall’arte del Salon all’affermarsi dell’estetica simbolista. Due approfondimenti sono dedicati ai ritratti e alle presenze internazionali.
La seconda sezione (coordinata da Claudia Gian Ferrari) ricostruisce le vicende artistiche del periodo tra le due guerre. Sono gli anni della secessione di Ca’ Pesaro; quelli che vedono l’affermazione dell’estetica del novecento, sostenuta da Margherita Sarfatti e del Realismo magico, la scuola romana, la trasmigrazione di artisti italiani a Parigi e l’affermarsi dell’aereopittura.
La terza sezione (coordinata da Gabriella Belli) è incentrata sull’arte italiana, documenta le vicende dal 1948 al 1968. Dalla ripresa del dibattito artistico, dopo la pausa del fascismo, con il Fronte Nuovo delle Arti, Gruppo degli Otto, alla spaccatura tra astrattisti e figurativi, fino all’emergere delle nuove tendenze.
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
Comitato scientifico: Jean Clair, Giandomenico Romanelli (commissario), Diego Arich de Finetti, Gabriella Belli, Maurizio Calvesi, Giuseppina Dal Canton, Fabio Fergonzi, Claudia Gian Ferrari, Mimita Lamberti, Chiara Rabitti, Philiph Rayland, Sileno Salvagnini, Giovanni Sarpellon (curatore arti applicate e vetro), Flavia Scotton, Duccio Trombadori (coordinatore e organizzatore)
Coordinamento generale: Chiara AlessandriAllestimento:Umberto Franzoi e Ivano Martino
GRANDI CICLI DECORATIVE E ARTI APPLICATE 1895-1934 a cura di Flavia Scotton
I VETRI DI MURANO 1895-1972Progetto e realizzazione ricerche storiche Marina Barovier, Rosa Barovier Mentasti e Attilia DorigatoOrganizzazione Marina Barovier
SEDE: CA’ PESARO GRANDI CICLI DECORATIVE E ARTI
APPLICATE 1895-1934. I VETRI DI MURANO 1895-1972
L’epoca d’oro dei grandi cicli decorativi della Biennale inizia nel 1903 e si esaurisce intorno al 1920. Ritornano ad essere visibili il ciclo di maiolica del Laurenti, alcuni frammenti del fregio per la Sala dell’Arte del Sogno (1907) di Chini di cui vengono presentati anche i pannelli del 1914 e del ’20 e parte del ciclo “Risveglio di Venezia” di Pieretto Bianco. Infine viene esposto parte del gigantesco lucernaio di Besnard, che nel 1905 illuminava la sala francese. Il secondo piano è interamente dedicato al ciclo di Sartorio che ornava il salone centrale del Padiglione Italia del 1907. E’ naturale che la storia del gusto trovi a Venezia una sua manifestazione anche nel settore del vetro con i primi esempi di Zecchin e W. Ferrari. Gli anni ’30 vedono emergere le figure di Napoleone Martinuzzi, di Ercole Barovier e l’inizio del sodalizio pluriennale tra Carlo Scarpa e la vetreria Venini. Nel dopoguerra nascono nuove fabbriche con cui collaborano numerosi artisti.
LE MOSTRE DE LA 46. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
L’IO E IL SUO DOPPIO. CENTO ANNI DI RITRATTO FOTOGRAFICO IN ITALIA 1895-1995
Con una larga partecipazione dell’Archivio Fratelli Alinari la mostra tocca le sale di posa della Belle Epoque e la cronaca d’autore varie star dello spettacolo, delle arti e della letteratura fotografate da Bragaglia e Scianna, Fontana e Mulas, l’immagine pubblicitaria e la fotografia come arte concettuale (Vaccari) dai dagherrotipi e dagli ambrotipi dei pionieri alla cibachrome di Zaliani.
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO,PADIGLIONE ITALIA,
ALA PASTOR E SALA DELLA POSA
LE MOSTRE DE LA 46. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
Curatore:Italo Zannier
Comitato scientifico: Carlo Bertelli, Jean Clair, Daniela Cammilli, Cesare Colombo, Paolo Costantini, Michele Falzone del Barbarò, Emanuela Sesti, Susanna Weber, Italo Zannier
Segreteria di redazione: Giovanna Nardi
Organizzazione della mostra: Rosa Manno
Allestimento e grafica: Stefano Rovai/Graphiti
SALA DELLA POSACoordinamento e realizzazione di Francesco Barasciutti, Monica Maffioli, Ferruccio Malandrini, Maurizio Rebuzzini, George Tatge
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
20. REPUBBLICA CECA
Commissario JiH SevéikArtista Karel Malich
REPUBBLICA SLOVACCACommissario Katarina BajcurovàArtista Jozef Jankovic
21. FRANCIA
Commissario Jean-Louis Froment; Artista Cèsar
22. GRAN BRETAGNA
Commissario Andrea Rose; commissari aggiunti Brendan Griggs, Richard RileyArtista Leon Kossof
23. CANADA
Commissario Pierre Granger; commissario aggiunto Yves PépinArtista Edward Poitras
24. GERMANIA
Commissario Jean-Christophe AmmanArtisti Katharina Fritsch, Martin Honert, Thomas Ruff
25. GIAPPONE
Commissario Junji Iro; commissari aggiunti Masanobu Ito, Haruhisa SunamiArtisti Jae Eun Choi, Katsihilo Hibino, Yoichiro Lawaguchi, Kengo Kuma, Hiroshi Senju
25 bis. REPUBBLICA DI COREA
Commissario Lee YìlArtisti Hyong-keun Yun, In-kyum Kim, Jehon Soo-cheon, Kwak Hoon
Ovidiu Maitec, Ion Nicodim, Neculai Paduraru, Ioan Parvan, Constantin Popovici, Mircea Roman, Napoleon Tiron, Aurel Vlad, Marian Zidaru, Paul Neagu, Roman Cotosman
14. GRECIA
Commissario Maria MarangouArtista Takis
15. ISRAELE
Commissario Gideon OfratArtisti David Grossman, JOshua Neustein, Uri Tzaig
16. STATI UNITI D’AMERICA
Commissario Marilyn A. ZeitlinArtista Bill Viola
17. PAESI NORDICI
Coordinatore Timo Valjakka
FINLANDIAcommissario Timo Valjakkaartista Nina Ross
NORVEGIAcommissario Svein Christiansenartista Per Maning
SVEZIAcommissario Svenrobert Lundqvistartista Eva Löfdahl
18. URUGUAY
Commissario Angel KalenbergArtista Ignacio Iturria
19. AUSTRALIA
Commissario Ann Lewis Artista Bill Henson
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
PADIGLIONE ITALIA
ITALIA
Commissione Jean Clair, Gabriella Belli, Hans Belting, Gillo Dorfles, Giulio Macchi
ArtistiIda Barbarigo, Lorenzo Bonechi, Roberto Capucci, Francesco Clemente, Amalia Dal Ponte, Stefano Di Stasio, Paolo Gallerani, Paolo Gandolfi, Nunzio, Luigi Ontani, Claudio Parmiggiani, Gianni Pisani, Pier Luigi Pizzi, Angelo Savelli, Ruggero Savinio, Ettore Spalletti, Vito Tongiani, Mino Trafeli, Giuliano Vangi
1. SPAGNA
Commissario Fernando HuiciArtisti Andreu Alfaro, Eduardo Arroyo
2. BELGIO
Commissario Laurent BusineArtista Didier Vermeiren
3. OLANDA
Commissario Tom van GestelArtisti Marlene Dumas, Maria Roosen, Marijke van Warmerdam
5. ISLANDA
Commissario Bera Nordal;Artista Birgir Andrèsson
6. UNGHERIA
Commissario Marta KovalovszkyArtista György Jovánovics
7. BRASILE
Commissario Edemar Cid Ferreira; commissario aggiunto Jens Olesen;Artisti Arthur Bispo do Rosàrio, Nuno Ramos
8. AUSTRIA
Commissario Peter WeibelArtisti Coop Himmellaub, Peter Kogler, Richard Kriesche, Constanze Ruhm, Peter Sandbishler, Eva Schlegel, Ruth Schnell
9. REPUBBLICA FEDERALE DI JUGOSLAVIA
Commissario Radislav Trkulja; commissario aggiunto Vesna MilicArtista Milos Sobaïc
10. EGITTOCommissario Magdi Kinawi; commissario aggiunto Gamal Eldin BakriArtisti Akram Elmagdoub, Ateia Ahmed Hamdi, Medhat Shafik
12. POLONIA
Commissario Anda Rottenberg; commissario aggiunto Hanna WroblewskaArtista Roman Opalka
13. ROMANIA
Commissario Dan Haulica; commissari aggiunti Coriolan BabetArtisti George Apostu, Stefan Bertalan, Mihai Buculei, Maria Cocea, Doru Covrig, Darie Dup,
*PAESI SENZA PADIGLIONE
ARGENTINACommissario Jorge GlusbergArtista Jorge Orta
CROAZIACommisario Igor ZidicArtisti Martina Kramer, Goran Petercol, Mirko Zrinscak, Ivan Faktor, Nina Ivancic, Damir Sokic, Mladen Stilinovic, Dean Jokanovic Toumin, Goran Trbuljal, Vlasta Zanic, Gorki Zuvea, Jusuf Hadzifjzovic
IRLANDACommissario Fiach Mac ConghailArtisti Shane Cullen, Kathy Prendergast
LUSSEMBURGOCommissario Enrico Lunghi Artista Berth Theis
PORTOGALLOCommissario José de Monterroso TeixeiraArtista Rui Chafes, Josè Pedro Croft, Pedro Cabrita Reis
REPUBBLICA DI ARMENIACommissario Sonia Balassanian Artisti Garen Andreassian, Samuel Baghdassarian
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
26. FEDERAZIONE RUSSA
Commissario Viktor MisianoArtisti Eugeny Asse, Vadim Fishkin, Dimitri Gutoff
27. VENEZUELA
Commissario Tahia Rivero; commissario aggiunto Anunciata Fraino Artisti Sammy Cucher (in collaborazione con Anthony Aziz), Paolo Gasparini,
28. SVIZZERA
Commissari Urs Staub, Pierre- André LienhardArtisti Peter Fischli, David Weiss, Christian Marclay
29. padiglione del libro
30. DANIMARCA
Commissario Mette Wivel; commissario aggiunto Vibeke DyhrcroneArtista John Olsenaggiunti Haruhisa Sunami, Masanobu Ito
REPUBBLICA DI SLOVENIACommissario Zdenka Badovinac; commissario aggiunto Igor Zabel Artisti V.S.S.D. Janez Jordan, Alen Ozbolt
TAIWAN Commissario Tsai Ching-fen; commissario aggiunto Paolo De GrandisArtisti Lien Teh-ceng, Huang Chin-ho, Hou Chun-ming, Huang Chih-yang, Wu Mali
ISTITUTO ITALO-LATINO AMERICANOCommissario Fernando Macotela; commissario aggiunto Alessandra Bonanni;Artisti
CILE Mario YrarrazabalCOLOMBIA Elìas HeimCOSTA RICA Cèsar Valverde VegaCUBA Eduardo Rubèn ECUADOR Luigi StornaioloEL SALVADOR O. René ChacónMESSICO Fernando Leal PANAMA Rodney R. ZelenkaPARAGUAY Nèlida MendozaPERÙ LUCY Jochamowitz
SUDAFRICACommissario Glenn BabbArtista Malcom Payne,
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
ARTELAGUNA 1995Opere d’arte per la laguna di Venezia
L’ENIGMA DEL CAMPOSede: Campo Bandiera e MoroChiesa San Giovanni di Bragora
MARK DI SUVEROSede: Riva degli Schiavoni, Riva San Biagio,Zattere, Campo Sant Agnese, Campo San Via,Giardini di Palazzo, Cavalli Franchetti,Campo Santa Lucia
TRANSCULTURESede: Palazzo Giustinian Lolin
ONDER ANDEREN/AMONG OTHERSSede:chiostri del convento di San Francescodella Vigna.
VIVA LA DONNA!Sede:Palazzo Albrizzi
ELYTRONSede:Istituto Ellenico di Costello
ARTE E TECNOLOGIA,METODI DELLA CREATIVITÀSede: Teatro Fondamenta Nuove
IDENTITÀ E DIFFERENZA LIBRI DI ARTISTESede: Scuola internazionale di grafica
GENERAL RELEASEGIOVANI ARTISTI BRITANNICISede: Scuola di San Pasquale.
HISTOIRE DE L’INFÀMÌESede: Circolo ricreativo dell’ Arsenale
L’IMAGEDANS LA SCULPTURESede: Roma
APERÇUSede: Casino Venier
L'UOMO,IMMAGINE DEL COSMOSede: Palazzo Albrìzzi,
SCULTURE E OPERE DIRICHARD HESSSede: Vicenza
MEMORYSede: Scuola Grande San Giovanni Evangelista.
ANNI CINQUANTA, ANNI NOVANTASede: Galleria d’Arte Meeting di Mestre
GIULIO PAOLINI AL PALAZZO DELLA RAGIONESede: Padova
MEMORIE E ATTESE 1895-1995Sede: Il castello d’amore Villa Pisani a Stra
ORIZZONTI D’ARTE IN ALBANIASede: Tirana e Venezia
CLUB BERLINSede: Teatro Malibran
MOSTRE PATROCINATE
3-7 GIUGNOOre 21.00 - Ex machina di Frédéric Flamand e Fabrizio PlessiPalagalileo. Lido di Venezia.
8 GIUGNOOre 11.00 - Anti-SisifoIl pittore Roman Opalka e il suo lavorosull'infinito. Cinema Ritz.
Ore 18.00 - Concerto di Marjatta Airas (soprano) e Timo Korhonen (chitarrista) per l'inaugurazione della mostra “L'enigma del campo"Campo Bandiera e Moro.
Christian Boltanski - intervento sulla facciatadel Padiglione Italia
9 GIUGNOOre 18.00 - Lussemburgo Performance del percussionista statunitense lames Meneses all'interno dell'opera "Potemkin Lock”. Giardini della Biennale
Ore 22.00 - Concert & film concerto dell'EnsembleModem di Francoforte. con video dell'artista Bill Viola Palazzetto della Sport
11 GIUGNOOre 18.00 - Lussemburgo Performance del percussionista statunitense lames Meneses all'interno dell'opera "Potemkin Lock”. Giardini della Biennale
2 SET TEMBRE - 1 OT TOBREGangart (Simonetta Ferfoglia, Heiner Pichler)Cento Anni della Biennale
EVENTI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
GIURIA
INTERNAZIONALE
Robert HughesThomas Llorens
Arturo Carlo QuintavalleShuji Takashina
Jacob Wenzel
PREMIAZIONI
PREMIO INTERNAZIONALE LA BIENNALE DI VENEZIA
consistente in un leone d'oro, per la pittura a: RONALD B. KITAJ (U.S.A)
PREMIO INTERNAZIONALE LA BIENNALE DI VENEZIA
consistente in un Leone d'oro, per la scultura a: GARY HILL (U.S.A)
PREMIO DEI PAESI
consistente in un Leone d'oro, al Padiglione EGITTO
PREMIO DUEMILA
(da assegnarsi ad un giovane artista. di età non superiore ai 35 anni) a: KATHY PRENDERGAST (Irlanda)
QUATTRO MENZIONI D'ONORE, consistenti in una targa, sono state assegnate a:
NUNZIO (Italia)HIROSHI SENJU (Giappone)JEHON SOOCHEON (Corea)
RICHARD KRIESCHE (Austria)
Sono stati, inoltre assegnati i seguenti premi:
Premio acquisto della Fondazione Cassa di Risparmio IGNACIO ITURRIA (Uruguay)
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
L'IO E IL SUO DOPPIO
CENTO ANNI DI RITRATTO
FOTOGRAFICO IN ITALIA 1895-1995
SALA DELLA POSA
221 Un secolo di ritratto fotografico in Italia di Italo Zannier
VENEZIA E LA BIENNALE:
PERCORSI DEL GUSTO
245 Percorsi del gusto di Giandomenico Romanelli249 Dipinti e sculture 1895-1972259 Grandi cicli decorativi e arti applicate 1895-1934267 I vetri di Murano 1895-1972
EVENTI280 Christian Boltanski282 Concert & Film284 Ex Machina
MANIFESTAZIONI PATROCINATE289 Anni cinquanta, anni novanta289 Among others/Onder anderen290 «Apercus»290 Arte e tecnologia.
METODI DELLA CREATIVITÀ291 Artelaguna 1995291 Club Berlin292 Elytron292 L’enigma del campo293 General Release:
YOUNG BRITISH ARTISTS293 Histoire de l’infamie294 Identità e differenza.
LIBRI DI ARTISTE294 L'mage dans la sculpture295 Mark di Suvero295 Memorie e attesa 1895-1995: il Castello d'Amore296 Memory296 Orizzonti d’arte in Albania297 Giulio Paolini al Palazzo della Ragione297 Sculture e opere di Richard Hess298 TransCulture298 L'uomo, immagine del cosmo299 Viva la donna!
INDICI300 Indice degli artisti302 Elenco dei prestatori304 Courtesy305 Crediti fotografici
INDICE
Partecipazioni italiane
2 Presentazione di Jean Clair4 Ida Barbarigo8 Lorenzo Bonechi12 Roberto Capucci16 Francesco Clemente20 Amalia Del Ponte24 Stefano Di Stasio28 Paolo Gallerani32 Paola Gandolfi36 Nunzio4o Luigi Ontani44 Claudio Parmiggiani48 Gianni Pisani52 Pierluigi Pizzi56 Angelo Savelli6o Ruggero Savinio64 Ettore Spalletti68 Vito Tongiani72 Mino Trafeli76 Giuliano Vangi
Partecipazioni Nazionali
82 Argentina84 AustraliaB6 Austria92 Belgio94 Brasile96 Canada100 Cile102 Danimarca104 Egitto108 Francia112 Germania116 Giappone122 Gran Bretagna124 Grecia126 Irlanda128 Islanda130 Israele134 Lussemburgo136 Olanda140 Paesi Nordici140 Finlandia140 Norvegia141 Svezia146 Polonia148 Portogallo152 Repubblica Ceca154 Repubblica di Armenia156 Repubblica di Cina a Taiwan162 Repubblica di Corea166 Repubblica di Croazia170 Repubblica di Slovenia172 Repubblica Federale di Iugoslavia174 Repubblica Slovacca176 Romania182 Russia186 Spagna190 Stati Uniti d'America192 Svizzera194 Ungheria198 Uruguay200 Venezuela204 Istituto Italo-latino Americano207 Colombia207 Costa Rica207 Cuba207 Ecuador207 El Salvador207 Messico207 Panama207 Paraguay207 Perù216 Sudafrica
a cura di Jean Clair, Giandomenico Romanelli,
Italo Zannier
316 pag. cm 24x29
brossuraIllustrazioni a colori e
bianco/neroitaliano/inglese
Edito da Marsilio, 1995
COLOPHON
Realizzazione del catalogoArchivio Storico
delle Arti ContemporaneeVenezia
Pubblicazione realizzata daMarsilio Editori s.p.a.
Venezia
Coordinamentoredazionale
Francesca Di Giacomo
RedazioneValeria Bové
Diana Massarotto
TraduzioniMarco BettiniAlberto Folin
Maria GiacobbeRiccardo Held
Enzébet KigyosIsabella Meloncelli
Kikuko OgawaZsuzsa Ordasi
Elisabetta PastorellaMaria Emilia Pratesi
Mark RobertsonZlatka Ruzic
lmpaginazioneStefano Bonetti
Coordinamento tecnicoPiergiorgio Canale
ImpiantiPuntoimmagine
Mogliano, Treviso
ComposizioneCentro Fotocomposizione
Dorigo, Padova
MontaggiT. Zaramella Realizzazione
GraficaPadova
StampaLa Grafica & Stampa
editriceVicenza
ConfezioneLegatoria Laghetto
Vicenza
LA BIENNALE DI VENEZIA:
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE.
CATALOGO GENERALE
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
a cura di Manlio Brusatin e Jean Clair
592 pag. cm 24x29
brossuraIllustrazioni a colori e
bianco/neroitaliano/ inglese
Edito da Marsilio, 1995
309 V. Arti totalitarie e arti degenerate 1930-1945311 Iconografia del Capo. La bellezza frigida324 L’Eros e il corpo in parti333 Il surrealismo e la bellezza «convulsa»354 Autoritratti negli anni trenta
367 VI. Il dopoguerra 1945-1962368 L’eclisse del volto387 I marginali, i refrattari, i resistenti
405 VII. Ritorno al corpo 1962-1985405 La svolta 1962-1973410 «Argilla umana» 1973-1985432 «Ars amandi»441 Volto velato e volto svelato
451 VIII. li corpo reale e virtuale 1985-1995
569 IX. Impronte del corpo e della mente
551 Schede biografiche e critiche
INDICI
585 Indice degli artisti586 Elenco dei prestatori588 Courtesy589 Crediti fotografici
INDICE
XXV L'ANATOMIA IMPOSSIBILE
1895-1995
NOTE SULL'ICONOGRAFIA
DEL MONDO DELLE TECNICHEdi Jean Clair
IDENTITÀ E ALTERITÀ
3 Sguardi sugli oggetti di Claude Lévi-Strauss9 Artisti e ritratti di gruppo di Marc Fumaroli19 Amori di statue di Maurizio Bettini27 Difformità dei viso di Paolo Fabbri33 Dietro lo specchio. Schizzi sul ritratto nel xx secolo di Gunter Metken39 Il corpo fuori di se di Philippe Comar45 Un'identità su misura di Philippe Comar49 Ars moriendi: Andres Serrano di Marcel Brisebois53 Ritratto, maschera, cappuccio. Otto Dix, Jean Helion, Philippe Guston di Didier Ottinger59 Sacrificio. Sui lavori con il corpo di Arnulf Rainer, Rudolf Schwarzkogler e Gunter Brus di Cathrin Pichler65 Impronte del corpo e della mente. Sopravvivenze e mutamenti dall'antico al contemporaneo di Adalgisa Lugli73 Il Supremo Convegno: anima e corpo di Manlio Brusatin
83 Il Supremo Convegno
89 I. Ritratti di gruppo91 Dall'Accademia al Caffè
103 II. Il positivismo 1895-1905104 Dalla callimetria all’antropologia metrica104 La misura del corpo130 Il corpo in movimento148 Corpo criminale. «Genio e follia»171 La ricerca dell’invisibile171 «L’inconscio della vista»174 Le radiazioni invisibili: raggi x, fenomeni spiritìci188 La manifestazione del sacro.- la Sacra Sindone
193 III. L'incoerenza delle avanguardie19o5-1915193 Una nuova norma fuori norma202 La rivendicazione espressionista. Autoritratti226 Dall’immagine espressionista all’icona astratta
243 IV. Verso l'uomo nuovo? 1915-1930244 La bellezza della macchina259 «Tempeste d’accìaio»; la grande guerra271 «Ars moriendi»279 Un «richiamo all’ordine» impossibile
COLOPHON
Realizzazione del catalogoArchivio Storico delle Arti
contemporanee- Venezia -
Catalogo a cura diManlio Brusatin
e Jean Clair
Pubblicazionerealizzata da
Marsilio Editori s.p.a.Venezia
Coordinamento editorialeSusanna Biadene
Coordinamento redazionaleIsabella Ruol
RedazioneValeria Bové, Diana Massarotto
TraduzioniAlberto Folin, Riccardo Held,
Paolo Vettore
ImpaginazioneDaniela Albanese
Coordinamento tecnicoPiergiorgio Canale
ImpiantiLa Fotomeccanica
Padova
ComposizioneCentro Fotocomposizione
Dorigo - Padova -Linotipia Saccuman - Vicenza -
MontaggiForpress Padova
Stampa Offset Invicra Padova
ConfezioneLegatoria Zanardi
Padova
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA:
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE.
IDENTITÀ E ALTERITÀ.
FIGURE DEL CORPO 1895 / 1995
Identità e Alterità si apre con la sezione dedicata ai ritratti di gruppo e direttamente sul pannello d’entrata della mostra colloca un piccolo olio di Otto Dix che ritrae gli artisti Gunther Francke, Paul Ferdinand Schidt e Carl Nierendorf. Vicino, come a dare una sintesi veloce dell’incipit della mostra, si riconosce nella nicchia il gruppo dei vorticisti immortalati da William Roberts e lo studio di un giovane volto per il chiacchierato dipinto Il Supremo Convegno di Giacomo Grosso .La mostra si apre quindi con una riflessione sull’iden-tità sociale dell’artista, descrivendo attraverso le opere la marginalizzazione che vive l’artista nel novecento. La sezione comincia con con Hommage a Cèzanne di Maurice Denis, un quadro che ancora testimonia la vita di gruppo e il valore sociale della comunità artistica, e si chiude con la marginalizzazione definitiva degli artisti al caffè con l’opera di Renato Guttuso Caffè Greco.
Entrata alla mostra:
sul panello introduttivoOtto Dix, Ritratto di
gruppo: Gunther Francke, Paul Ferdinand Schidt e
Carl Nierendorf , 1923
nella nicchiaWilliam Roberts, I Vorticisti
al ristorante de la Tour Eiffel: Primavera 1915, 1962
sul cavalletto Giacomo Grosso, L’adolescente
(studio), 1895.
SEZIONE I: RITRATTI DI GRUPPO
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
Maurice Denis, Hommage à Cézanne,
1900
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
1) Dalla callimetria all’antropologia metrica
La misura del corpo.Il corpo in movimento. Corpo criminale.
Veduta dell’allestimento della sottosezione:
La Misura del Corpo
in primo piano sul piedistallo:Auguste Rodin, Balzac: étude
de nu en athelète, 1892-97 e Assemblages; tetes et main de
bourgeois de Clais en réduction, 1900
parete di fondo:Alphonse Bertillon, Vitrine
photographiqur d’einsegnement du
signalement descriptif, 1890.
Parete di destra si riconosce Max Ernst, Castor e Pollution,
1923Paul Cezanne, Nature more au crane et chandelier, 1900.
SEZIONE II: IL POSITIVISMO 1895- 1905
Thomas Eakins“Brooklyn N° 1” Masked Girl1883-84
Photographies signalétiques de prisonniers juifs du champ d’Auschwitz
Umberto Boccioni, Forme uniche nella continuità dello spazio, 1913
sullo sfondo: Chuck Close, Alex, 1991
Marcel Duchamp e Man RayLa Tonsure, 1924-25
Bruce NaumanMouths, 1967
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
La sezione si dipana a partire dalle teorie lombrosiane e dalla registrazione dei movimenti su pellicola di Marey, fondamento dell’avanguardia futurista (Boccioni, Balla, Bragaglia) spesso in contrasto con lo spiritualismo di Kupka e Kandinsky.Al centro della sala sono collocate le misure antroponometriche, che per Clair rappresentano l’illusione positivista che attraverso le misurazioni e l’indagine scientifica sul corpo si potesse “controllare” l’uomo. Convivono in questa sezione i modelli anatomici di Thomas Eakins, la fisiognomica criminale di Cesare Lombroso, testimonianze artistiche di artisti come Michetti, Duchamp, Man Ray con la famosa Tonsure, 1924-25. Di questa sezione fanno parte anche gli studi articolari di Rodin e il ritratto multiplo Io-noi-boccioni di Boccioni. A dimostrazione della continuità nel Novecento di questi approcci di interesse sulla misura umana e il suo controllo, vengono proposti accostamenti diacronici: le Sequenze di Myubridge sono accostate alla Mano del violinista di Balla; Forme uniche di continuità nello spazio di Boccioni è accostata alla gestualità deformante di Bruce Nauman; gli studi Contrazioni dell’attacco isterico di Paul Richter con opere di Louise Bourgeois. Accostata alla positività scientifica anche l’altra faccia della medaglia: la ricerca dell’invisibile. Per questo ritroviamo Boccioni con Stati d’animo, Kandinsky con Dame in Moscau (1912) e le prime radiografie che poi saranno utilizzate da Raushenberg in Booster (1967). La ricerca dell’invisibile è testimoniata anche dalle evocazioni degli ectoplasmi negli anni d’oro dello spiritismo fino alla computerizzazione che ricostruisce il volto dalla Sacra Sindone.
2) La ricerca dell’invisibile
“L’inconscio della vista” .Decomposizione e ricomposizione del movimento. Le radiazioni invisibili: raggi X, fenomeni spiritici.La manifestazione del sacro: la Sacra Sindone
Veduta allestimento
in primo piano:Louis e Auguste Lumiére e
Jules Carpentier, strumentazioni cinematogra-
fiche, 1895.
Sullo sfondo al centro della stanza:
Umberto Boccioni, Sulla parete di fondo da
sinistra verso destraBruce Nauman, Studies for
Holograms, 1970Chuck Close, Alex, 1991.
Negativo della fotografia ufficiale della Sindone, 1931
Edouard-Isidore BuguetPhotographie « spirite » : le spectre de Balzac e Miss Bluwald évoquant Napoléon,1870ca.
Robert Raushenberg,Booster,1967
Veduta allestimento di Louise Bourgeois In and Out (Cell)1995
Richard GerstlLachender Mann1908
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
Delle Avanguardie Clair evidenzia come aspetti contrastanti quelli votati alla rifondazione metalinguistica dell’arte, tra Cubismo e Futurismo (in mostra studi e opere della vigilia prima delle Demoiselles d’Avignon di Picasso, L’Antigrazioso di Boccioni) e quelli che rivendicavano, nonostante tutto, un ruolo alla soggettività espresso tramite la presenza di moltissimi autoritratti che allineano Paul Gauguin, Edward Munch, Helene Schjerfbeck, Jacek Malczewski, Pierre Bonnard stesso, Lovis Corinth e Arnold Shönberg. Poi l’immagine diventa icona nelle teste espressioniste di Alexej Jawlensky e per culminare nell’astrazione con Kasimir Malevič, del quale è però documentato il ripensamento figurativo degli anni Trenta.
1. Una nuova norma fuori norma. 2. La rivendicazione espressionista. Autoritratti.3. Dall’immagine espressionista all’icona astratta: Jawlensky e Malévich
Veduta dell’allestimento delle tele di
Kasimir Malevič:
da sinistra verso destra:
Suprematiszm, 1920-27Čërnyj krest, 1925-30
Ženskij tors, 1920Dve musžskie
figury, 1928-32Golova, 1928,32
Krest’janin v pole, 1928-32Portret ženy Natalija A.
Mančenko, 1933Mužskoj portret Nikolaj Nikolaevič Punin, 1933
SEZIONE III:
L’INCOERENZA DELLE AVANGUARDIE 1905-1915
Arnold SchömbergSelbsportrait1910
Alexej von JawlenskyMeduse1923
Robert Gie, Distribution d’effluves avec machine central et tableau métrique, 1916
Lovis CorinthSelbstporträt mit Glas1907
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
La sezione “Verso l’uomo nuovo?” è segnata dall’illusione del ritorno all’ordine nella sua declinazione italiana del Realismo Magico e del Novecento e in quella tedesca della Neue Sachlichkeit, insieme all’utopia razionalista della Bauhaus e alle ben più profetiche e tragiche premonizioni di Otto Dix e Max Beckmann.Al centro della sala è esposta la scultura di Epstein The Rock Drill che trova eco in Zyclop di Markus Lüpertz; alla Femme au bouquet, 1924, di Fernand Léger si contrappone il Figliol prodigo di Giorgio De Chirico; la messa a punto del manichino di Metropolis è vanificata dal volto nuovo offerto dalle maschere antigas e dagli studi su ferite facciali riportate dai combattenti della Grande Guerra di Henry Tonks. La sala che desta più scalpore è quella che porta il titolo “Ars Moriendi”, che visualizza attraverso la celebre suite di Hodler dedicata alla moglie morente, Le tre età della donna di Klimt, la cera anatomica di una morta per artrosi deformante e tre cibachrome della serie Morgue di Andres Serrano: suicidio con veleno per topi, morte per Aids, pestaggio. In generale l’impressione è che per l’uomo non ci sia scampo: non basta il classicismo metafisico di Casorati Ritratto di Silvana Cenni, di Sironi Allieva, non l’artista che riprende coscienza di sé. “Nulla sine tragoedia gloria”, recita il motto di un autoritratto di De Chirico del 1922-23), non l’ideazione neosimbolista nelle fotografie di Wiltz, perché è tempo delle terribili dittature del novecento.
Allestimento sala: La Bellezza della macchina
al centro:Jacop Epstein, Torso in Metal
from « The Rock Drill », 1913.14
parete di fondo:sx: Walter Schulze-Mittendorf,
copia del robot del film « Metropolis » di Fritz Lang,
1926 (originale), rifacimento (1970).
dx: Anonimo, Esempi di tamponi per le maschere
anti-gas, 1915
parete di sinistra:Otto Dix, disegni dalla serie «
Der Kreg », 1923-1924.parete di destra:
Henry Tonks, Serie di studi sulle ferite al viso, 1916
Allestimento sala « Ars Moriendi»
al centro :Paul Richer, Cire d’une
vieille femme mortes des suites d’un rhumatisme
déformant
parete di sinistra :Andres Serrano, The
Morgue (Rat Poison Suicide, AIDS related death, Hacked
to Death) 1992
parete di fondo :Gustav Klimt, Die drei
Lebensalter, 1905
Henrt Tonks, Study of Facial Wounds n° 57; n° 58; n° 64; n° 59, 1916
Jeffrey SilverthorneMorgue Work; Old Man1986
1. La Bellezza della macchina2. “Tempeste d’acciaio”: la grande guerra 3. “Ars Moriendi”4. Un “Richiamo all’ordine” impossibile
SEZIONE IV:
VERSO L’UOMO NUOVO? 1915-1930
Société du Petit Parisien, Dupuy et CieLe soldat Brunier avant sa guérison1916
Fotunato Depero, Clevel nella funicolare1918
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
L’avvento delle dittature vede trionfare uno stesso stile accademico e respingere come degenerata l’avanguardia (Ernst, Mirò), nonostante già si annunci in Spencer e Lachaise una tematica femminista. Dei regimi totalitari viene evidenziata la bellezza frigida: Prampolini, Wildt e Bertelli si esercitano sulla mascella del Duce; si afferma il superomismo nazista (Eugen Matthias, Der Männliche Körper) e il realismo socialista; rispondono, fra gli altri, Nussbaum con l’Autoritratto con scheda da giudeo e Music con Non siamo gli ultimi. Superuomini e omunculi, come quello immaginato dallo scienziato Wilmar Graves Pensfield, come le bambole di Bellmer, mentre Kertész affida a specchi e obiettivi deformanti anatomie surrealiste che accostate non sembrano poi così diverse dai Personagges di Mirò, 1936, e dalle Femmes, 1930, di Picasso.
Adolfo Wiltd, Ritratto ideale di Benito Mussolini1925 ca.
skar Kokoschka Bildnis eines «Entarteten Künstlers»1937
Jaques André BoiffardSans titre (pieds), 1930
André Kertész, Distortion n° 1371976
Pablo Picasso, Métamorphose1928
Jaques André BoiffardLe pouce, 1929
Henri Matisse, Autoportrait 1937
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
Allestimento sala: Iconografia del Capo. La bellezza frigida
a sinistra:Ivan Šadr, Junoša so zvezdoj i
znamenem, 1937
parete di sinistra:Aleksandr Nikolaevič
Samochvalov, Devuška s iadrom, 1933
Kuz’ma Sergeevič Petrov-Vodkin, Trevoga, 1934
Aleksandr Nikolaevič Samochvalov, Osoaviachi-
movka, 1932
al centro:Franz Tschackert, Der Gläserne Mensch, 1962 (originale 1932)
1. Iconografia del Capo. La bellezza frigida2. L’Eros e il corpo in parti3. Il surrealismo e la bellezza “convulsa”4. Autoritratti (II) negli anni Trenta
SEZIONE V:
1930-1945 “ARTI TOTALITARIE E “ARTE DEGENERATA”
Il dopoguerra si apre con un uomo “dolente e rassegnato” come nel Giobbe di Gruber e vivisezionato come nei ritratti di Antoni Artaud. Jean Clair contrappone l’arte informale agli artisti che persistono nella ricerca figurale. Da una parte quindi troviamo Fautrier con tre Otage, 1944-45, Jean Dubuffet che recupera l’art brut, e Jackson Pollock che si autoritrae in una rara tela del 1930 e Eyes in the Heat caratterizzato da un esistenzialismo esasperato che sfocia nella cancellazione del disegno ricevuto da De Kooning da parte di Robert Rauschenberg nel 1953. Dall’altra parte predominano autori che riscoprono il corpo. È questa la sala trionfale della mostra, che nell’allestimento di Gae Aulenti, vede schierate al centro come in passerella le Femme de Venise di Giacometti con alle pareti un percorso all’interno della produzi-one di Francis Bacon dal ’49 all’82 con Head II, Self-Portrait e Study of the Human Body . Si confrontano con queste due grandi composizioni le opere di Balthus (La partie des cartes, 1948-50 e Grande composition au corbeau); la sala si chiude con nudi e figure, 1960-1970, di Lèon Kossof e tre autoritratti di Eugène Leroy.
Francis Bacon, Sphinx1954
Jean Fautrier, Tête d’otage n° 141945
Diane Arbus, Woman with Accessories1967
Allestimento sala: I marginali, i refrattari,
i resistenti
al centro: Alberto Giacometti, Femme de
Venise, I-IX, 1956
sulle pareti di fondo si riconoscono le tele di Balthus
Allestimento sala:I marginali, i refrattari, i
resistenti
al centro: Alberto Giacometti, Femme de
Venise, I-IX, 1956
sulle pareti di fondo le tele di Francis Bacon
da sinistra verso destra:Study of the Human Body,
1981-82Sphynx, 1954
Self Portrait, 1973Head II, 1949
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
1. L’eclisse del volto.2. I marginali, i refrattari, i resistenti
SEZIONE VI: IL DOPOGUERRA 1945-1962
“La svolta” in questa sezione è rappresentata dalle figure capovolte di Baselitz dagli interni metafisici di Hockney, dalla Pop-Art e da una diversa concezione spaziale, quale si configura in Fontana e Bruce Nauman. A testimoniare la fine degli anni sessanta un non ancora neoespression-ista Georg Baselitz, mentre Kitaj ricorre al neo-orientalismo per ricomporre la perduta unità della figura. In queste sale troviamo anche Chuck Close che per la sua monumentale ritrattistica usa mini-unità quasi fossero pixel, David Hockney e Lucien Freud. Al centro della sala un’opera poco nota di Lòpez Garcìa, Hombre y mujer che sembra fare il verso alle Femme di Giacometti delle sale precedenti. Alle pareti, gli studi grafici che documentano la disperata individuazione di un possibile canone proporzionale; i tagli, le aggiunte, i pentimenti occorsi per pervenire a una “forma della figura” mai assoluta. La stanza seguente affianca a un taglio di Fontana, Venezia era tutta d’oro, Robert Morris, Georgia O’Keeffe e una scultura del ’62 di Andrea Cascella, suggerendo per Fontana e Morris una lettura antropomorfizzata. A chiudere il percorso di Palazzo Grassi le fotografie di corpi di Marc Garanger, Gatian de Clérambault e Helmut Newton.
Helmut NewtonSie Kommen Naked e Sie Kommen dressed, 1981
R.B. KitajThe Orientalist
1976-77
Allestimento: “Argilla Umana” 1973-1985
al centro della salaAntonio López, Hombre y
Mujer, 1968-90
sulla parete di destra: Avigdor Arikha,
Autoportrait u de dos, 1986Nu à l’écharpe noire, 1985
sulla parete di sinistra: disegni di Antonio López
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
IDENTITÀ E ALTERITÀ
PALAZZO GRASSI
1. La svolta 1962-19732. “Argilla umana” 1973-19853. “Ars amandi”4. Volto velato-volto svelato
SEZIONE VII: RITORNO AL CORPO 1960-1985
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE ALLESTIMENTO: MUSEO CORRER – PRIMO PIANO
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE ALLESTIMENTO: MUSEO CORRER – PRIMO PIANO
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
MUSEO CORRER
Il museo Correr si apre con i corpi realmente martoriati dagli azionisti viennesi Gunther Brus e Arnulf Rainer e quelli sottilmente deformi dei tableau-vivants di Cindy Sherman. Francesco Clemente, sacrificato ai Giardini in una piccola sala, ha messo qui in scena un più vasto teatrino delle crudeltà. Chantal Wickl propone una serie di autoritratti con minime variazioni e non manca l’ubiqua Marlene Dumas al suo esordio in Biennale. Le convocazioni post-umane sono riservate a Greer Lankton che espone corpetti in pelle umana; Judy Fox con una sacra conversazione si colloca tra Kiki Smith e il kitsh alla Jeff Koons; Jeanne Dunning, con l’obiettivo indugia su orifizi e fessure. Accostate le metamorfosi uomo-animale di Wanda Wulz (1932) e quelle di Gerhard Lang o le inquietanti nature morte di Wols fotografo. Nancy Bruson propone dal canto suo un’immancabile sequenza fotografica su labbri leporini, gemelli siamesi e altre cattive azioni; a chiudere le demoniache mascherate fotografate da Jane Alexander.
SEZIONEVIII:
“IL CORPO REALE E IL CORPO VIRTUALE”5
a cura di Catherine Pichler.
Arnulf RainerAuch eine Daseinshölung1972-73
Günter Brus Malerei, Selbstbemalung, Selbstverstümmelung Galerei Junge Generation1965
Gerhard LangPaleanthropische Physognomien1991- 1992
Chantal WickiPhantombilder-Gaby, 1-30
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
MUSEO CORRER
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE ITALIA
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE:
La facciata del padiglione centrale è luogo di intervento di Christian Boltanski dove vengono trascritti migliaia e migliaia di nomi, quelli di tutti gli artisti presenti nelle quarant-acinque edizioni della rassegna, dal 1895 al 1993.
Christian Boltanski, Liste des artistes ayant participé à la Biennale de Venise, 1895-1995
L’apertura della sezione di Adalgisa Lugli è un’intro-duzione storica e archeologica che comincia con le maschere mortuarie di André Breton e di persone non conosciute, giustapposte a ritratti di epoca romana e da manufatti del Niger. La corporalità è esaltata tramite la magica fisicalità di Bruce Nauman, la presenza virtuale delle proiezioni di Gary Hill e le gambe danzanti di Stephan von Huene.Le sale si articolano dalle ferite di Rosso Plastica di Burri alle rughe della terracotta di Guido Manzoni; dall’androgino dorato alla Venere di Cioccolato di Vettor Pisani all’arte povera di Zorio, Penone e Boetti insieme ai lavori concettuali quali Astrolabio di Giulio Paolini e l’autoritratto di Claudio Parmiggiani. Sagome (Gallina, Ceroli), riflessi (Mattiacci), positivi e negativi (Spagnuolo), matrici e figlie (Uncini), design surrealista e zoomorfo (Meret Oppenheim), reperti reali o virtuali (Uovo e Fiato d’Artista di Manzoni) materia plasmabile e penetrabile nella Nature di Fontana, impronta come metafisica presenza (nel “Sapiente” di Melotti) sino al ribaltamento con il calco dall’interno operato da Duchamp (With my tongue in my cheek, 1959) e a Yves Klein. La selezione appare ragionata e drastica (manca la pop art ad esempio), ma tenta un raccordo con l’impostazione di Palazzo Grassi, personalità e tempi diversi.
Tony Cragg, Hunters1989
Yves KleinPortrait-relief Arman
1962
Pietro GallinaOmbra di Ragazza Seduta
19672
SEZIONE IX: IMPRONTE DEL CORPO E DELLA MENTE
Entrando nel padiglione Italia:
Giuseppe Penone, Soffio di foglie , 1979, Soffio di creta 1978Veduta allestimento
SEZIONE II – DISPLAY - 1993SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE ITALIA
FACCIATA: CHRISTIAN BOLTANSKI
Le scelte della commissione italiana sono distribuite nel Padiglione Italia secondo i gruppi scelti dai curatori; per cui non c’è un allestimento che metta in discussione o comunicazione le opere fra loro. Agli artisti è singolarmente dedicata una stanza o una parte di stanza che viene però divisa. Il percorso si snoda fra opere molto eterogenee fra loro come gli accenti neoquattrocentisti di Lorenzo Bonechi, la monumen-talità sacrificata di Giuliano Vangi, sagome acquee di di Amalia dal Ponte, l’installazione di Vito Tongiani, la deposizione di Gianni Pisani, il ritmo colorato degli abiti di Roberto Capicci e ancora, Ettore Spalletti, Luigi Ontanti, Ida Barbarigo e altri. Nell’ultima saletta la collezione Bruno Bischofberger di opere di Francesco Clemente, presente più degnamente al Correr.
L’IO E IL SUO DOPPIO Se la Biennale del ’93 con i suoi “muri di carta” aveva tentato di chiarire il ruolo giocato da questa forma di espressione nel formare l’odierna nozione di “paesaggio”, Italo Zannier, in collaborazione con lo stesso Clair, Susanna Weber e Daniella Camilli, in sintonia col tema “Identità e Alterità”, punta invece all’attenzione con la sezione “L’io e il suo doppio” su cent’anni di ritratto fotografico italiano e perciò sull’evoluzione nel modo di guardare all’uomo e di fissarne un’immagine duratura.Larga partecipazione dell’Archivio Fratelli Alinari, secondo il titolo scelto dal curatore Italo Zannier, tocca le sale di posa della Belle Epoque e la cronaca d’autore (Bove, Gabinio, Secchiaroli, Cioni, Lattuada, Berengo, Gardin, Jodice, Guidi), varie star dello spettacolo, delle arti e della letteratura fotografate da Bragaglia e Scianna, Fontana e Mulas, l’immagine pubblicitaria e la fotografia come arte concettuale (Vaccari) dai dagherrotipi e dagli ambrotipi dei pionieri alla cibachrome di Zaliani.
Luigi OntaniVeduta dell’allestimento
Nunzio, senza titolo, 1995
Roberto CapucciVeduta dell'allestimento
Vito TongianiI tennisti, 1995
SEZIONE II – DISPLAY - 1995
LA BIENNALE DI VENEZIA
46. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE ITALIA
SEZIONE ITALIANA
ALA PASTOR:
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1995
183
55.3. Analis i del la mostra Identità e Alterità . F igure del corpo 1895 – 1995
L’analisi della mostra ideata da Jean Clair per la 46 Esposizione Internazionale d’Arte non
può che partire dal dato più clamoroso, ovvero la sua ubicazione a Palazzo Grassi. Infatti,
pur essendo divisa in tre location che comprendono anche il Museo Correr e alcune sale
del Padiglione Italia, sette sezioni su nove si dispiegano nel museo sul Canal Grande.
La scelta, seppur determinata da motivazioni legate alla situazione allestitiva difficile del
padiglione Italia che a questa data abbisogna di un sostanziale intervento di restauro,
nasce ancor prima dall’intenzione di realizzare una mostra museale, nel senso di proporre
una lettura storica piuttosto che partire dalla situazione contemporanea. Scelta sostenuta
fino in fondo dal momento che egli affida la trattazione delle ultime due sezioni che
trattano opere più contemporanee ad altri due curatori: Catherin Pichler e Adalgisa Lugli.
Queste due ultime sezioni pur rispondendo all’impostazione di Clair, si discostano
notevolmente dalla sua struttura di mostra tanto che sono in molti i critici a osservare che
a chi entusiasma la sezione di Clair, viene deluso da quella esposta ai Giardini e viceversa.
L’allestimento di Palazzo Grassi è studiato in accordo con l’architetto Gae Aulenti1 esperta
di allestimenti e famosa per la sua ristrutturazione dell’allestimento di vari musei tra cui il
Museo D’Orsay, e l’impianto generale da una parte per la tipologia dell’edificio già adibito
a museo e dall’altra per il tipo di impostazione cercata da Clair stesso, risponde ai canoni
museali nel posizionamento delle opere secondo la linea di visione, per l’uso di vetrine
espositive e luci diffuse.
Le strutture ostensive, come in tutti i musei però rispondono ad una logica di
rafforzamento visuale e di accordo fra le parti, per cui le stanze vengono strutturate come
dei capitoli di un libro, volti a dimostrare passo dopo passo una teoria, quella di Clair,
sull’arte del novecento.
La mostra, pur partendo teoricamente dalla coincidenza della fondazione della Biennale
nel 1895 e l’introduzione in Europa pressappoco negli stessi anni della fotografia
d’identità, coincidenza che permette a Clair di costruire un parallelismo fra l’evoluzione di
1 Gae Aulenti sarà anche il braccio destro di Germano Celant che non a caso farà della Biennale un museo d’arte contemporanea, cfr. sezione analisi mostra Futuro Presente Passato.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1995
184
alcune pratiche artistiche e le scoperte scientifiche, si apre con i ritratti di gruppo fatti dagli
artisti e che ritraggono gruppi di artisti. Attraverso un percorso che parte dall’Hommage a
Cèzane di Maurice Denis in cui una serie di artisti e critici si raccolgono presso il mercante
Ambroise Vollard per celebrare il grande maestro Cezanne rappresentato da un suo
appartenuto a Paul Gauguin, che testimonia un senso di appartenenza a un gruppo che
nasce da una positiva percezione del proprio mestiere e riconoscimento da parte della
società, arriva all’opera di Guttuso che tratteggia il gruppo d’artisti romani al caffè Greco
ormai marginalizzati socialmente e ridotti. Questo incipit è molto importante perché
seppure la mostra si articola per andate e ritorni dal campo della scienza e dell’arte per
descrivere e dare fondamento ad una versione della storia dell’arte moderna di Clair
diversa da quella raccontata da un certo tipo di storiografia impostosi, sintetizza lo scopo
della mostra e la sua proposizione di fondo che l’arte ha perso di senso e ruolo nella
società contemporanea e che a questa perdita si è accompagnato anche la perdita di
un’identità certa dell’uomo.
La mostra segue una sequenza cronologica precisa per cui la seconda sezione che è più
l’inizio vero e proprio di questa narrazione è centrata sull’affermazione del positivismo
attraverso la strumentazione scientifica. L’impostazione che egli segue è quella di
affiancare e ritmare opere d’arte e testimonianze scientifiche e mostrarne le assonanze.
Così la vetrina fotografica per insegnare la segnaletica descrittiva della polizia francese
risalente al 1980 convive con l’opera di Marcel Duchamp realizzata come una foto
segnaletica (Ready made Rectifiè: wanted, 1923-26) le foto segnaletiche del campo di
concentramento di Auschwitz, Most Wanted Man (1964) di Andy Warhol fino a Mouths
(1967) di Bruce Nauman. Vengono pertanto prese allo stesso modo tanto le testimonianze
artistiche quando quelle scientifiche fungendo da documenti indiziari per il racconto che si
dipana stanza per stanza. Così nella parte dedicata alla dimostrazione che parallelamente
alla crescita di una fiducia nei mezzi scientifici si sviluppa un sempre maggior interesse
verso i fenomeni dell’invisibile. Una tendenza comunque non distante dalle conquiste in
campo medico che comincia ad avvalersi della strumentazione per i raggi x. La visione di
qualcosa di presente ma invisibile è rappresentato dalle foto degli spettri di Buguet, dal
negativo della foto della sindone ma a che da Stati d’animo (1911) di Umberto Boccioni o
da Booster (1967) di Robert Raushenberg.
Il discorso cronologico prosegue passando nella terza parte della mostra dedicata alla
Incoerenze delle Avanguardie (1905-1915). Una sezione molto critica questa perché, come
è possibile vedere anche dalla sequenza proposta dei quadri di Kasimir Malevic, delle
Avanguardie Clair evidenzia soprattutto il ripensamento linguistico. La sequenza
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1995
185
dell’artista russo ad esempio mostra alcuni esempi sulla sinistra di quadri suprematisti
degli anni ’20 e seguendo l’ordine di lettura si arriva a quelli di dieci anni dopo figurativi.
Un tale percorso accompagnato anche numerosi autoritratti e quadri come Meduse di
Jawlensky, che accennano all’uso dell’icona come forma di astrazione, suggerendo quindi
una lettura dell’astrazione come punto di partenza per l’espressione dell’invisibile ma che
non si discosta dal figurativo in senso stretto.
Nella sezione che cronologicamente si dipana dal 1915 al 1930 tra un discorso intorno
all’affermazione della bellezza frigida della macchina e all’apparente impossibilità di
riscattare la propria individualità. La sala che appare più sintenticamente riuscita
nell’argomentazione portata avanti da Clair è quella che porta il nome di “Ars Moriendi” e
che presenta opere che ritraggono momenti appena prima o appena dopo la morte,
quando si percepisce ancora la presenza di un anelito di vita che già fugge via. Al centro
della sala campeggia la teca a terra con la cera di una donna morta per artrite reumatoide
(1895) che quindi presenta tutti gli arti deformati, mentre alle pareti le grandi fotografie
scattate all’obitorio da Andres Serrano (Morgue, 1992) mettendo a fuoco la ferita sintomo
della causa della morte. Ancora su un’altra parete Le tre età della donna (1905) di Klimt e
poi la serie di disegni di Ferdinand Hodler che ritraggono la moglie morente, le fotografie
di Jeffrey Silverthorne del 1986 ,un torso di Camille Claudel, le foto di un anonimo del 1905
che ritrae un morto per suicidio con arma da foco. L’infilata di tragedie mette fortemente
in risalto l’elemento sincronico che è presente in tutte le sale. L’accostamento delle foto di
Serrano alla cera dell’ottocento, la foto dell’anonimo a quelle di Silverthorne sembrano
suggerire la permanenza di alcune tematiche nel moderno. La riproposizione di strategie
visuali e fa si che il discorso che sembra strutturarsi è quello della permanenza nel tempo
moderno di alcune questioni sia tematiche che produttive. La strategia della somiglianza,
del raggruppamento per tematica avviene più che per diretto accostamento per un
alternanza. La stanza viene concepita come un elemento del discorso compiuto,
un’affermazione chiara.
Un’altra sala che sintetizza chiaramente il procedere di Clair e che viene considerata la
parte centrale della mostra stessa è la sala che raccoglie al centro le Femme de Venise, I-IX
(1956) di Alberto Giacometti, alcune opere della produzione artistica di Francis Bacon, due
grandi tele di Balthus Le partie des cartes (1948-50) e Grande composition au corbeau, per
chiudersi poi con nudi e figure di Léon Kossof e tre autoritratti di Eugéne Leroy. Il
procedimento non accomuna opere distanti nel tempo, dal momento che l’anno di
produzione delle opere è in questo caso in accordo con la sezione cronologica che le
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1995
186
ospita (Sezione VI: Il dopoguerra 1945-1962) ma opera un accostamento fra autori
considerati distanti fra loro e la cui vicinanza propone un comune anelito e spinta creativa.
Passati stanza per stanza è quindi possibile ritornare al via, alla stanza con i ritratti di
gruppo per ricollocarla nel quadro generale della mostra. Si comprende alla luce di quanto
delineato che la più grande preoccupazione di Clair è il fatto che l’arte ha perso il suo
valore salvifico per la società, la sua capacità di far guardare all’uomo un po’ più là e
soprattutto ha marginalizzato gli artisti come outsider, e questo ha creato da un lato la
possibilità degli artisti di non sentirsi investiti di una responsabilità sociale e dall’altro di
non partecipare pianamente alla vita sociale e politica, nel senso etimologico. Quindi
l’identità dell’artista, insieme a quella dell’uomo, nel novecento si è decomposta e
frantumata.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA - 1995
187
55.4. La Biennale di Jean Clair – Ricezione e cr it ica
La parola bandita in questa Biennale è tiepidezza. L’immediata ricezione della Biennale di
Jean Clair, infatti, si attesta su una divisione netta fra detrattori e sostenitori,
indistintamente italiani ed esteri, scatenando un polverone di critiche che le valgono
l’appellativo di “Biennale della discordia”.1
D’altronde, sin dalla sua nomina, Clair divide gli animi. Da una parte viene tacciato di
essere un reazionario per via del suo saggio sulla modernità tradotto e conosciuto anche in
Italia, dall’altra sono diverse le persone che vedono in lui un’opportunità per la Biennale sia
di uscire da pressioni politiche e locali, sia, nell’ottica del Centenario, di realizzare di una
mostra storicamente importante basata sulla sua rigorosa formazione storico scientifica.
Se nei primi mesi dalla sua nomina le fazioni, nel dare un giudizio in un senso piuttosto che
in un altro, sono egualmente contrapposte, con il tempo ed in particolare dopo l’apertura
della mostra, a prevalere saranno le critiche negative.
Già nel gennaio 19952, alcune interviste fatte ai convenuti in occasione della mostra
celebrativa del decennale del Castello di Rivoli, rivelano fra gli addetti ai lavori un certo
malcontento intorno ai nomi degli artisti per il padiglione Italia, perché non costituiscono
una scelta (« una scelta senza scegliere » - Rudi Fuchs) e perché non sembrano
rappresentare la situazione artistica italiana (« qui non solo mi sembra che si voglia tornare
indietro, ma che questa lista offra un’immagine poco fedele dell’arte italiana attuale » -
Giorgio Pesano, gallerista torinese), segnali negativi provengono anche dall’artista Bruno
Ceccobelli che rispondendo in questo numero al tradizionale appuntamento con “il
meglio e il peggio” del’94 ha preventivamente indicato la Biennale come la peggior
mostra.
Sono diversi i temi nell’occhio del ciclone: da una parte la scelta di non onorare la storia
della Biennale viene, in particolare in Italia, percepita come « un’occasione mancata »3 e
1 Anna Detheridge, Bella Biennale della discordia, intervista a Jean Clair, in “Il Sole 24 Ore”, 4 giugno 1995. 2 Ancor prima di vedere la Biennale è già accesa la polemica. “Il Giornale dell’arte” le dedica un articolo definendola “Anacronistica, nostalgica, cartesiana ma soprattutto Berlusconiana”, gennaio 1995. 3 Giorgio Segato, Occhio ai vetri, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, p. 62; Cfr anche Enrico Crispolti, Et Voilà Consommé, in “Arte In” n. 39, agosto 1995, p. 42.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA - 1995
188
dall’altra la scelta del tema, con la sua particolare lettura critica, è foriera di attacchi da più
parti, che spaziano dalle omissioni al conservatorismo.
D’altronde la tematica che egli sceglie per la mostra del Centenario non è certo pacificante.
La mostra Identità e Alterità, divisa fra Palazzo Grassi, Padiglione Italia e il Museo Correr
mostra circa 700 opere fra cui moltissimi capolavori dell’arte del Novecento europeo e
americano. Le critiche più tiepide, pur sottolineando l’inconsistenza delle “verità” di Clair,
apprezzano lo sforzo necessario a mettere insieme una mostra del genere e la possibilità di
poter veder raccolte opere pregevoli se non addirittura capolavori, godendosi perlomeno
una passeggiata fra opere tanto mirabili. Senza dubbio, infatti, la possibilità di avere per
un’edizione della Biennale opere tanto blasonate è senz’altro unica.4 Questa linea è
adottata ad esempio da Jonathan Napack, come emerge dalle pagine di The Observer,
dove sostiene che « nonostante la sua concezione banale, (la mostra) sia una sorprendente
collezione di opere straordinarie ».5
I toni cupi e funerei delle descrizioni e delle critiche si assomigliano un po’ su tutti i giornali
italiani e stranieri, descrivendo la Biennale di Clair come « una parentesi dolorosa e
depressa » (Il Giornale dell’Arte), « reparto degli orrori » (La Repubblica), « death in Venice »
(Artforum), « fond de tristesse » (Le Monde) « Le Centenaire broie du noir » (Le Figaro)6.
Clair, rispondendo ad una domanda proprio intorno a questo sentore di morte e di dolore
della mostra, sostiene che è normale sia così perché l’esposizione rappresenta
l’espressione del proprio tempo, di una decadenza in cui i temi prevalenti sono proprio la
malattia, la sofferenza e la morte. Basti confrontare, sostiene Clair, uscite editoriali come
Abject Art e Endzeit Stimmung.7
Ma sono le “verità” di Clair a irritare i più. La novità interpretativa della mostra proposta,
innanzitutto, non è percepita come tale. Sono diversi, fra critici e giornalisti, a sottolineare
come questa fosse in realtà la “sorella gemella”8 della mostra tenutasi presso le Galeries
Nationales du Grand Palais l’anno precedente, L’âme ai corps dedicata a sondare i nessi tra
4 Come spiegato nella descrizione del contesto operativo di questa Biennale, fu proprio la location di Palazzo Grassi con tutte le sue caratteristiche tecniche a garantirne la presenza. L’unica altra volta in cui si vedranno opere storiche è in occasione della 54esima Biennale Illuminazioni (2011) in cui sono esposte le recentemente restaurate tele del Tintoretto. 5 Jonathan Napack, View from the Rialto: The Art of the Party, Biennale-Style, in “The Observer”, 23 giugno 1995. 6Michel Nuridsany, La centenaire broie du noir, in “Le Figaro”, 13 giugno 1995, p. 23. Egli sottotitola il suo pezzo con toni piuttosto pesanti “Commémoration funèbre avec une manifestation officielle morne, voire lugubre”; “Liberation” titola La lacuna di Venezia e sugli stessi toni anche “Artforum” (Allan Schwartzman, Laguna Lacuna, in "Artforum", Vol. XXXIV, No. 1 September 1995, pp. 33-34). 7 “Je crois qu’en effet l’ambiance générale de l’exposition risque d’être assez pesante. […] L’ambiance est, non pas celle d’une décadence comme à la fin du 19e siècle, mais plutôt d’une déchéance. L’exposition sera donc plus fidèle à l’esprit du temps que, une fois encore, l’alignement triomphal des « 400 chefs-d’ouvres » de la Biennale.” Catherine Millet, Venise ’95, Exposition Ouverte, in “Artpress”, n. 203, giugno 1995. 8 Franco Fanelli, L’uomo ha perso la grazia ma non la faccia, ne “Il Giornale dell’arte”, luglio-agosto 1995, n° 135, p. 28.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA - 1995
189
arte e scienza tra il 1793 e il 19939, presentando quindi un recupero sia di temi che di
opere. In realtà l’idea centrale della mostra viene recuperata dalla sua produzione
saggistica precedente in particolare da Critica della modernità, seppure alcuni aspetti,
come la parte scientifica indiziaria, vengano obiettivamente ripresi dalla mostra parigina.
La proposta di una lettura della modernità che si discosta da quella di matrice americana
“greenberghiana” non è ciò che gli viene più aspramente criticato, al centro delle
polemiche è semmai la parzialità della sua proposta espositiva e teorica. Così ad esempio
per il concetto di “identità”: « Sembra che Jean Clair abbia […] un’idea particolare
sull’identità ed è quella che vuole offrirci; un’idea che è europea, bianca, maschile e
altamente individualistica e per la quale tutto il resto è deviante ».10
L’accusa di parzialità investe ogni aspetto della mostra, ma in primo luogo ovviamente
sotto accusa è la sua idea di modernità da cui, secondo Crispolti, egli elimina l’aspetto
antagonistico fra modernità « quale mito progressivo (come nella linea maggiore
dell’avanguardia fra cubismo, futurismo e costruttivismo) e modernità invece per
contraddizione (come nella linea che corre da dada al surrealismo) che porta Clair a fare
dei tagli rispetto a certi movimenti che sanno di affronto alla storia dell’arte ».11
Anche Lea Vergine, pur riconoscendo la presenza di alcuni capolavori, taccia la parzialità
adottata da Clair (« il critico ha il diritto di fare le sue scelte ») di vera e propria omissione:
« non si può convertire una mostra in una cancellazione di eventi, in uno sminuzzamento
sadico. »12
Fra le esclusioni, secondo Bonito Oliva, è l’astrattismo ad uscirne discriminato, nonostante
le “prove di buona volontà” quando espone ad esempio il Nero di Raushenberg o le forme
erotico-allusive di Cascella, Morris e Fontana.13
Clair si difende dicendo « non sono un nemico giurato dell’astrazione » sostenendo come
anzi egli abbia posto il “problema dell’astrazione” cercando di riposizionarne la sua lettura
storica.14
Barbara Rose rincara la severità di giudizio commentando « il mondo non è un disegno,
osservò Claes Oldenburg, considerando che come artista Hitler avrebbe potuto cancellare
mezzo mondo. Lasciamo Venezia con la fastidiosa sensazione che forse l’intero progetto
modernista, con i suoi impulsi riassuntivi e standardizzanti, potrebbe essere
9 “Come in un gioco di prestigio Clair riprende un’esposizione realizzata a Parigi l’anno scorso. Una serie di scelte incongrue, anacronistiche, che svelano un gusto dell’orrido ai limiti della necrofilia; poi se c’è qualcun altro.” Luciano Caramel, La mostra degli orrori, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, p. 56. 10 Jen Budney e Shannon Pultz, La Biennale del Centenario, in “Flash Art”, Estate, n. 193, p. 52. 11 Enrico Crispolti, Poco progetto, molta conservazione, in “Quadri e sculture”, giugno-luglio 1995, pp. 35-36. 12 Lea Vergine, Biennale. La grande bottega degli orrori, in “Il Manifesto”, 2 luglio 1995. 13 Achille Bonito Oliva, L’astrattismo negato, in “L’Unità”, 10 giugno 1995. 14 Paolo Vagheggi, Biennale la vita, la morte e il sesso, intervista a Jean Clair, in “La Repubblica”, 7 giugno 1995.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA - 1995
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fondamentalmente totalitario. Un pensiero così spaventoso significa che l’arte del nostro
secolo, dal suo inizio alla fine, chiede di essere analizzata nelle sue premesse. »15
Anche le soluzioni allestitive provocano diverse critiche. Il modo di accostare le opere fra
loro genera un’ambiguità che s’innesca sul confronto, a detta di Caramel, « assai opinabile
» per « affinità tra visibilità di esiti scientifici analitici e apparenza iconografica dei risultati
della ricerca artistica, più o meno coeva ».16 Per altri, evidentemente, il nesso dei rimandi
fra le opere rimane più oscuro, così Crispolti, ad esempio sostiene che la « mostra delude
per la mancanza di chiarezza espositiva. Discutibili anche l’affollamento e la disuguale
qualità delle opere esposte ».17
In maniera diametralmente opposta si pone invece Pierre Restany, che su “Domus”
conduce una lunga disamina della mostra di Clair, mostrando come i nessi allestitivi
appaiono piuttosto chiari, sebbene ammetta che quelle del curatore suo conterraneo
possano essere scelte ed omissioni discutibili « offre però una coerente chiave di lettura
del secolo, una prospettiva logica di approccio all’arte, alla sua essenza, alla sua esistenza.
[…] Vedere il nostro secolo attraverso le diverse situazioni del corpo umano è un’opzione
come un’altra, ed è assurdo biasimare il Direttore della Biennale, di averla fatta propria.
Jean Clair […] ha nostalgia dell’Accademia in senso storico, cioè dell’incontro tra saperi
polivalenti nella elaborazione di uno stile e di un gusto. La misura dell’arte è l’uomo, e
questa misura s’è persa e insieme si è offuscata la nozione di un accademismo creatore. » 18
In sintesi per Pierre Restany la difficoltà della ricezione della mostra di Clair non risiede
nella scelta operata dal curatore ma dalla complessità della produzione artistica: « La
Biennale di Venezia riflette bene questa confusione del sistema dell’arte ».19
In una posizione diametralmente opposta invece ne apprezza la tesi centrale quindi « che
lo studio del volto, inteso come identità non solo fisionomica, sia centrale nell’arte del XX
secolo », accusando semmai il direttore di non verificarla: « cerca di imporla come verità
[…] descrivendo la rete di relazioni storiche tra le varie forze agenti, non stabilisce dei
percorsi interpretativi, ma costruisce un castello accusatorio contro le avanguardie ».20
Fra tutte le sue prese di posizione rispetto alla modernità è proprio la sua ostilità verso le
avanguardie, anche se lui puntualizza che lui è contro l’interpretazione che se ne è fatta, a
creare la polemica più accesa. Poche voci che ne difendono l’impostazione come quelle di
15 Barbara Rose, Dio è morto, Marx è morto, l’arte non sta bene, in “Arte In”, n. 39, agosto 1995, p. 49. 16 Luciano Caramel, La mostra degli orrori, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, p. 44. 17 Enrico Crispolti, Et Voilà Consommé, in “Arte In”, n. 39, agosto 1995, p. 42. 18 Pierre Restany, Burocrati di tutto il mondo, unitevi, in “Domus”, luglio-agosto 1995, pp. 53-55. 19 Pierre Restany, Ibidem. 20 Pietro Roccasecca, Il direttore Jean Clair ignora le correnti più vive del secolo. Il suo Novecento senza Pop Art e Fluxus, in “Liberazione”, 9 agosto 1995, p. 20.
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Roderick Conway Morris21, Marco Vallora (« Geniale [..] la mostra rimarrà storica, davvero
epocale: segna una tappa nella brodaglia del verbosismo para-critico d’oggi […] Questa
mostra (è) […] un eversivo saggio di Clair sulla Modernità. Ogni opera, pur
magnificamente scelta, viene sussunta dal discorso critico. Dunque una mostra anti-
crociana per eccellenza: non si cerchino i capolavori, ma percorsi, meandri, legami. E’ una
vera mostra “concettuale” in cui a ogni quadro avverti – se sei disponibile – che tutte le tue
idee preconcette, gli idola novecenteschi e le fabulae dei manuali vanno rumorosamente
in frantumi »22) o Flavio Cairoli (« bisognerà assegnare un ruolo addirittura esemplare alla
Biennale del Centenario per aver testimoniata tanta impotenza di pensiero e tanta
infelicità con nobiltà di pensiero e altezza di orizzonti: strumenti ai quali eravamo da
tempo disabituati »).23 Su queste stesse linee si attesta anche Frederika Randall sul “Wall
Street Journal” che osserva come la biennale sia riuscita a sfidare la paralisi che ha
costretto la biennale per anni.24
Ciò che si evinca da questi commenti è il fatto che gli stessi punti che permettono a chi
apprezzò questa mostra di sostenerla, sono quelli contro cui si scagliano invece i detrattori,
ponendo le critiche nell’alveo per lo più delle opinioni, ricalcando un andamento
all’interno della critica che vede l’affermazione di una critica scevra da analisi e più dedita
alla recensioni.
A mettere tutta la critica d’accordo è la mancanza di Aperto. Alcuni, come Nicholas Serota
osservano come l’importanza di Aperto risieda nella capacità della Biennale di « guardare
avanti »25 mentre dalle pagine di Artforum Richard Cock sostiene che per quanto ogni volta
si presentasse come caotica e imprevedibile, la sezione dei giovani artisti rappresentava
una felice alternativa alla pomposità nazionalistica dei padiglioni e proponeva sempre uno
sguardo vivace sulla contemporaneità.
E’ proprio l’assenza di Aperto che fa dire a molti che manchi “il contemporaneo” a Venezia.
Nel padiglione Italia, infatti, fra gli artisti esposti non ci sono nuove leve, nonostante alcuni
siano alla loro prima esposizione in Biennale. Jean Clair sosterrà a più riprese che « I
contemporanei rappresentano il 40% » e questo per certi versi gli sembra bastare. A uno
sguardo più attento però si noterà che lui intende per “artista contemporaneo” 26 un’età
21 “Some Italian Critics have been waiting for Jean Clair’s Biennale to fall on its face speaking of him as he were a new Macchiavelli incarnate. It is a pleasure to report that he seems triumphantly to have saved the Biennale from itself” Rodrick Coway Morris, A Parisian Savior for the Biennale, in “International Herald Tribune”, 11 giugno 1995. 22 Marco Vallora, La spirale dell'invenzione, in “La Stampa”, 10 giugno 1995, pp. 15-16. 23 Flavio Cairoli, Uomo discuti te stesso, in “il Sole 24 ore”, 11 giugno 1995, p. 33. 24 Cfr. Federika Randall, Fleshy Works at the Venice Biennale, in “The Wall Street Journal”, 16-17 giugno 1995. 25 Traduzione dell’autore; David Lister, Young Brits scandalise the Biennale Establishment, in “Indipendent”, 10 giugno 1995, p. 7. 26 Franco Fanelli La Centennale di Venezia, in “Il Giornale dell’arte”, giugno 1995.
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anagrafica che va all’incirca dai 70 anni per i più anziani ai 25 anni per i più giovani, a
contare, infatti, è l’attualità della produzione artistica. Il criterio, per quanto giusto però,
rispetto alla parte storica della sua mostra, non è argomentato e lascia il sospetto ultimo di
un disinteresse o superficialità.
Una conseguenza interessante della mancanza di Aperto risiede nella moltiplicazione di
eventi simili, anche se in più piccole dimensioni, per tutta Venezia, al punto che ne viene
proposto il patrocinio alla Biennale per un’iniziativa dal titolo “Aperto ‘95”. Il patrocinio
non verrà concesso, anzi il consiglio diffida dall’uso di un titolo la cui proprietà intellettuale
è della Biennale,27 ma l’iniziativa verrà comunque realizzata. Alessandra Mammì ne parla
sarcasticamente « è un vero miracolo mettere insieme ventotto musei europei diversi per
statuto, tendenze e opinioni, diretti da curatori di forte personalità, riuniti, nonostante
tutto da un unico logo, un’unica manifestazione, un unico catalogo e un’unica polemica.
“Morto un Aperto se ne fa un altro” e mentre appunto 28 musei di arte contemporanea
hanno organizzato altrettanti “Aperto” sparsi per il mondo alcuni padiglioni stranieri
hanno organizzato autonomamente a Venezia le mostre dei loro giovani ». Fra questi sarà
proprio Giancarlo Politi, direttore di Flash art, coinvolto nella questione del catalogo
scandalo di Aperto’93, a fare un’edizione che porterà proprio quel nome, “Aperto ’95”, nel
museo Flash Art a Trevi inaugurando proprio lo stesso giorno dell’apertura della Biennale
l’11 giugno.
I giovani, orfani di Aperto, espongono comunque in varie sedi nella città: vicino
all’Arsenale nel circolo ufficiali, la mostra Storia dell’infamia a cura di Jean-Yves Jouannais
presenta nove artisti della nuova generazione francese che rivendicano l’idiozia come
antidoto al conformismo; nei chiostri di San Francesco della Vigna è allestito un confronto
tra cinque artisti dei Paesi Bassi e cinque delle Fiandre che usano tecniche diverse, pittura,
scultura e video, sconfinando anche nel campo della musica, dell’architettura e
dell’ambiente; Campo, a cura di Francesco Bonami, presenta 27 lavori fotografici di 27
artisti di 13 nazioni diverse; Onder Anderen /Among Others è il titolo della mostra di
giovani artisti curata da Bart de Baere e Lexter Braak; presso la Scuola di San Pasquale,
invece, per iniziativa del British Council, si riuniscono in New Art from Britain 12 giovani
artisti di varie tendenze; in Outpost Venice ’95, diplomati degli ultimi anni all’Accademia di
27 Riferisce il segretario al consiglio circa la proposta: “Che è una cosa molto importante cui il direttore tiene molto anche per alcuni rilievi sentiti in consiglio per la mancanza di Aperto. In contemporanea con la 46esima esposizione d’arte, presso trenta prestigiosi luoghi di arte contemporanea saranno presentati dei giovani artisti di questi paesi che saranno collegati con la Biennale idealmente perché sarà in contemporanea con la Biennale in tutti questi musei. Il direttore ha dato parere favorevolissimo.” (p.13) Ma per mancanza di contenuti e soprattutto per l’uso che si fa del nome di “Aperto” non viene patrocinata. “Consideriamo la proposta ritirata perché priva di contenuti. Aperto è una testata della Biennale e non può essere utilizzata da chicchessia” (p.21). Verbale XXXIII Riunione Consiglio direttivo, 24 febbraio 1995, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 145.
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Belle Arti di Venezia, espongono presso l’isola del Tronchetto. Oltre all’organizzazione dei
vari musei per esporre i propri giovani a Venezia, ci sono iniziative anche in giro per l’Italia
come alla Galleria Comunale di Bologna, o la già citata “Aperto’95” a Trevi.
Paradossalmente quindi la risposta è innanzitutto una vivacità espositiva che si muove in
più direzioni.
Clair, di fronte a questa unanimità di giudizi, cerca di difendersi chiamando in causa ora
l’assenza di fondi, ora il fatto che le Corderie da un lato non erano adatte alla mostra e
ancora che la location era originariamente a disposizione di Hollein, che avrebbe dovuto
realizzare la Biennale di architettura in contemporanea con quella di Arti Visive. Nel
tentativo di sedare le polemiche, egli si augura che per il ’97 Aperto si possa fare con più
soldi e più rigore.
Altra mostra su cui la critica sembra negativamente concorde è la mostra di artisti italiani
che occupa le stanze del Padiglione Italia. A emergere innanzitutto la pessima
ristrutturazione, in particolare l’impianto di areazione troppo invasivo, guadagnandosi il
soprannome de “il padiglione del tubo” che come nota Luigi Lambertini « a Parigi con il
Beaubourg ne è stato fatto un monumento […] qui sembrano soltanto budelli di un
transatlantico ».28
Anche in questa edizione l’alta presenza artisti italiani raccoglie numerose lamentele
« esiste una tradizione molto difficile da superare, - sottolinea Calvesi - che vuole una
presenza considerevole di artisti italiani alla Biennale ».29 Bisognerebbe, in realtà, puntare a
« non più di dieci artisti, meglio ancora a due o tre, presentandoli con adeguato spazio ». 30
L’affollamento è percepito come tale anche per la disomogeneità della sua presentazione.
Il tentativo di lasciare liberi i curatori italiani dalle scelte personali di straniero appare
invece come una forma di disinteresse per cui persino uno dei commissari, Gabriella Belli,
commenta l’atteggiamento negativamente di Jean Clair: « devo dire che il padiglione
italiano sicuramente risulta disomogeneo rispetto al rigore dell’esposizione storica. Forse il
direttore ha ceduto il passo rispetto a un’opzione che avrebbe anche potuto e che non ha
voluto fare. […] da questo punto di vista il padiglione italiano non risponde certo al
ragionamento di Clair, che ha deciso di attribuire ai membri della commissione l’autorità di
selezionare artisti che per ragioni “professionali” potessero essere ritenuti interessanti. Io
per esempio, come direttore di museo, ho fatto delle scelte tra loro assolutamente
28 Luigi Lambertini, Il padiglione del tubo, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, p. 65. 29 Rachele Ferrario, I pro e i contro, Intervista ai commissari, in “Arte in”, agosto, 1995, pp. 53-55, qui 53. 30 Anche Gillo Dorfles conclude con Maurizio Calvesi che forse gli artisti che rappresentano l’Italia sono troppi “Ad ogni modo anch’io ritengo che i diciannove artisti del padiglione italiano siano un po’ troppi, forse ne sarebbero stati sufficienti una quindicina, numero comunque indispensabile per dare un quadro della situazione”. Rachele Ferrario, Idem, in “Arte in”, agosto, 1995, p. 54.
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disomogenee, in quanto la mia posizione mi porta a essere predisposta verso un
eclettismo culturale ».31
Nonostante questo, Gabriella Belli, insieme a Gillo Dorfles salva la disomogeneità in nome
dell’eterogeneità che risponde alla necessità di testimoniare la grande diversità delle
esperienze artistiche italiane che spaziano da personalità come Capucci e quelle di Pizzi
(scelti da Giulio Macchi, il cui intento era di « allargare il campo visivo ad attività che
contano con grande impatto nella vita di oggi »), prediligendo « artisti che non fossero mai
stati presentati alla Biennale ».
Anche Macchi, dando un giudizio generale sul padiglione, commenta che « la democrazia
vale anche per le scelte della Biennale. Eravamo in cinque. Se avessi dovuto scegliere da
solo, sarebbe stato un padiglione diverso, con più errori, più monotono e di parte ». 32
Nonostante questa timida difesa intorno all’evidente « ammucchiata di artisti italiani » le
critiche, in particolare da parte della stampa italiana sono numerose.
La maggiore responsabilità spetta comunque ai ben cinque curatori. Angela Vettese, sul
“Sole 24 ore”, « poiché si sa che cavare sangue dalle rape è difficile, si poteva immaginare
che una lista di artisti in parte ignoti anche agli addetti ai lavori, in parte per aver mostrato
scarsa creatività, avrebbe dato risultati deprimenti. Nemmeno in questa edizione si è avuto
il coraggio di limitare il numero di presenze per consentire a pochi artisti di dare il meglio.
Si è invece optato per l’ennesima ammucchiata. […] il criterio che unifica le presenze è
imperscrutabile ».33
Francesco Bonami è ancora più severo sostenendo che « la zona dedicata all’arte italiana
“contemporanea”, è da considerarsi un’occupazione illecita del suolo pubblico,
un’indiscutibile e rinnovata vergogna da cui è obbligatorio difendersi ».34
Jean Clair sulle pagine de “Il Tempo” scarica la responsabilità dichiarando: « sono rimasto
molto deluso dalla scarsa qualità del padiglione italiano, per il quale ho demandato la
selezione degli artisti ad un comitato di esperti italiani. Mi dispiace che i risultati ottenuti
non siano all’altezza delle aspettative del pubblico e della critica ».35
La difesa d’altronde appare difficile. Le critiche piovono da tutte le parti e anche gli artisti,
quando non si rifiutano di esporre inviando lettere ai giornali, come nel caso di Gino De
Dominicis, si trincerano dietro dichiarazioni di resistenza, come fa ad esempio Claudio
Parmiggiani che, rispondendo alla domanda del perché ha esposto al Padiglione Italia,
risponde « al di fuori dei rari fratelli che sono in questa mostra come monaci rinchiusi nelle
31 Rachele Ferrario, Idem, in “Arte in”, agosto, 1995, p. 55. 32 Ibidem. 33 Angela Vettese, Il padiglione degli assenti, in “Il Sole 24 Ore”, 11 giugno 1995. 34 Francesco Bonami, Le Curateur Bionique, in “Flash Art”, n. 193, Estate, p. 56. 35 Jean Clair difende l’arcobaleno della Biennale, ne “Il Tempo”, 29 agosto 1995, p. 19.
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loro grotte […] entrare nel padiglione italiano significa letteralmente ripercorrere come in
un incubo le sale di una esposizione dell’Era Fascista. Quarant’anni di invenzione e di
avventura generose è come se non fossero mai esistiti. […] la mia opera è qui e qui resta
nella sua verità come testimone di una fede e di una resistenza ».36
Il percorso al padiglione appare confuso, perché anche quest’anno, problema che si era
posto anche nell’edizione precedente, sono diverse le mostre che ne occupano lo spazio.
Oltre alle presenze italiane, campeggia la mostra di Alinari, che raccoglie critiche
sostanzialmente positive, e la coda della mostra di Clair a cura di Adalgisa Lugli.
Quest’ultima sezione della mostra Identità e Alterità divide allo stesso modo la critica ma in
modo inversamente proporzionale: per quelli che avevano apprezzato la mostra, in
quest’ultima sezione la qualità si va indebolendo perdendo in incisività37, mentre i più
negativi allentano la morsa delle critiche sostenendo che in questa sezione vi sono dei
« barlumi di speranza ».38
Alla fine della Biennale ci sono due i bilanci che vengono fatti. Da una parte si canta
vittoria. Questa è una Biennale che chiude l’anno con un bilancio contabile positivo, come
si evince dai titoli sui giornali in cui il presidente Rondi annuncia di aver incassato quasi 4
miliardi in biglietti. L’interesse, il numero dei visitatori, l’eco sui mass media, tutto sembra
positivo, ma dall’altra parte c’è la consapevolezza di molti di non essere riusciti a cogliere
nel segno degli obiettivi del Centenario. Ci sono ancora molte manifestazioni prima che
l’anno del Centenario chiuda, ma è evidente che la parte centrale di queste celebrazioni
dovesse avere il suo fulcro nelle arti visive: « la Biennale del Centenario resterà certamente
nella storia come un mosaico di buoni, ottimi propositi e di obiettivi mancati ».39
Sono diversi i giornali che titolano gli articoli con espressioni funebri: « Credevamo di
assistere alle celebrazioni del Centenario. Invece […] l’unico rito a cui si partecipa è quello
funebre. La precedente edizione curata da Bonito Oliva era all’insegna dell’Eros, Jean Clair
si distingue optando per Thanatos ».40
36 Claudio Parmigiani, Padiglione Italia: un incubo fascista, in “Il Giornale dell’Arte”, luglio-agosto, n° 135, 1995, p. 28. 37 “L’ultima sezione è un miracolo di parzialità che occulta la molteplicità delle ricerche artistiche compiute in decenni attivissimi. Grandi assenti i movimenti artistici attivi tra gli anni Sessanta e Ottanta: Pop Art, Op Art, Arte Povera, Minimal, Fluxus. Incomprensibile e non giustificabile, la totale assenza di Joseph Beuys.” Pietro Roccasecca, Il direttore Jean Clair ignora le correnti più vive del secolo. Il suo Novecento senza Pop Art e Fluxus, in “Liberazione”, 9 agosto 1995. 38 “Le opere scovate dalla Lugli intrecciano misteriosi ma certissimi dialoghi, tutte sottilmente unite da un afflato comune. Una piccola mostra quasi abusiva, al padiglione, e forse – in tutta questa Biennale – la perla rara di un pensiero che, non rinnegando la storia, sia capace di scavalcarne con l'immaginazione le più ovvie sistemazioni.” Fabrizio D’Amico, Reparto orrori, in “La Repubblica”, 10 giugno 1995. 39 Giorgio Segato, Occhio ai vetri, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, p. 62. 40 Lorella Pagnucco, Fiato alle Trombe, in “Arte In”, n. 39, agosto 1995, p. 50.
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I tratti con cui lo si descrive lo fanno apparire come un « nemico della Biennale » anche se
in realtà nelle interviste, almeno a parole, la difende molto. Si vedano ad esempio le
seguenti dichiarazioni riportate in “Flash Art”: « questa manifestazione (del Centenario) sta
suscitando grande entusiasmo proprio perché certifica la propria capacità (della Biennale
di Venezia) di sopravvivenza nonostante tutto quello che è successo in questo secolo […]
non ci sono molte istituzioni che possono vantare una simile longevità. »41
Nonostante le sue dichiarazioni, di fatto, la scelta di proporre come mostra celebrativa del
Centenario Identità e Alterità dimostra, come osserva Luciano Caramel, una fondamentale
incomprensione della Biennale come istituzione, « una totale estraneità nei confronti di
quello che la Biennale è e dovrebbe essere ».42 La crisi d’identità della Biennale da diversi
anni alla ricerca di una nuova formulazione organizzativa è per Caramel un fatto evidente e
imprescindibile ma l’incomprensione di Clair, risiede, secondo lo storico italiano, nel
« concetto di esposizione, forse quello che non coglie è la differenza, […] tra un’istituzione
come la Biennale e le attività di un museo ».43 La mostra proposta per il Centenario
insomma, poteva essere fatta in qualunque altro museo del mondo. Non a caso la mostra
organizzata su spinta del Comune di Venezia a Palazzo Ducale I percorsi del gusto, viene
percepita come un’anti-biennale, come un tentativo di proporre una lettura della storia
della Biennale che Clair non ha avuto il coraggio di fare.44
A braccetto con la polemica unanime della cancellazione di Aperto si accompagna la
protesta che in fondo non si sia voluto, alla fine, prendersi la responsabilità di fare un
grande lavoro di comprensione della storia della Biennale. Francesco Bonami, non
condanna unicamente Clair ma distribuisce le colpe equamente anche all’Ente e chiarisce:
« L’idea globale che sostiene il progetto offende la storia della Biennale che quest’anno
andava celebrata con coraggio in tutta la sua tormentata storia, offrendo al pubblico non
un’esibizione di sapienza erudita ma una visione profonda delle trasformazioni e dei
traumi che hanno spinto questo appuntamento della cultura mondiale fino alle soglie del
duemila, attraverso un impianto organizzativo contorto, burocratico e infame […]
purtroppo l’incapacità di analizzarsi della stessa Biennale, l’impotenza decisionale, il timore
di una trasformazione reale, hanno portato a scelte direttive incomplete ».45
41 Jean Clair, Centenario tra “nuove dorme” e tradizione” in “Flash Art”, febbraio /marzo 1995, p. 41. 42 Luciano Caramel, Idem, in “Arte In”, Speciale Biennale, 1995, p. 56. 43 Luciano Caramel, Idem, in“Arte In”, Speciale Biennale, 1995, p. 56. 44 “L’impossibilità di fare la Biennale delle Biennali […] per cui l’auspicato auto-interrogarsi della Biennale nella ricorrenza dei suoi cento anni circa la propria fisionomia, il proprio ruolo, il proprio destino, alla luce di un secolo di esperienze dinamiche e diversamente orientate è stato relegato in una mostra povera e marginale, ospitata in spazi di fortuna, seppur nella splendida cornice di Palazzo Ducale” Luciano Caramel, ibidem, p. 56. 45 Francesco Bonami, Le Curateur Bionique, in “Flash Art”, n. 193, Estate 1995, pp. 55-56.
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E’ sicuramente in questo rapporto negato tra l’Ente e il suo direttore di arti visive che va
trovata la causa della damnatio memoriae che Clair subisce negli anni successivi. Infatti,
« offrire una mostra tutta costruita sul passato, nascondendosi all’ombra di un futuro
genetico tuttavia da verificare, è un’operazione contraddittoria e a dir poco incompleta.
Per questo Jean Clair ha negato il suo stesso ruolo nel contesto che ingenuamente gli era
stato affidato ».46
La Biennale del Centenario, pur avendo attirato moltissimo l’attenzione dei media,
portando ad un numero di giornalisti accreditati al suo massimo storico, non riscuote più
nessun tipo di interesse nel futuro. La mostra non viene quasi più citata se non in qualche
testo relativo a studi su mostre sull’identità di genere. Nel filone degli studi curatoriali o
relativi alle biennali e alle grandi mostre internazionali non trova più nessuna citazione.
46 Francesco Bonami, Idem, “Flash Art” n. 193, Estate 1995, p. 56.
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55.5. Jean Clair : come e perché cr it icare la modernità
Affrontare il centro teorico che ha ispirato una mostra chiarisce le scelte e le intenzioni
soggiacenti all’esibizione stessa, ed è dunque un’operazione importante; nel caso di
questa 46esima edizione della Biennale di Venezia, è indispensabile per chiarire la
discordia fra il consiglio direttivo e Jean Clair ma soprattutto per capire come mai il
conservatore francese abbia così deliberatamente ignorato la richiesta del consiglio di fare
una mostra del Centenario che fosse celebrativa della Biennale e della sua storia.
In un libretto pubblicato da artpress nel 2013, in cui si raccolgono alcune interviste che
Jean Clair ha rilasciato nel corso della sua carriera in occasioni di mostre importanti, egli
risponde alla domanda di Catherine Millet che chiede conto del suo rapporto con la
Biennale, in un modo piuttosto inaspettato ed evasivo, dicendo che è facile in Italia trovarsi
in una situazione di ostilità in quanto straniero, “foresto”,1 rivelando a un tempo un clima
di provinciale malcontento da parte degli italiani e la prudenza del conservatore francese
che considera una missione delicata « scrivere una pagina prestigiosa della storia d’Italia,
quando tanti ottimi critici e storici di questo paese avrebbero potuto, in mia vece, scriverla
molto meglio e con maggior calma di quanto non abbia potuto fare io ». 2
Egli continua poi facendo notare i due punti fondamentali su cui è stato criticato: da una
parte per non aver onorato la storia della Biennale e dall’altra per non aver scelto tutti gli
artisti della sezione italiana lasciando la questione in mano alla commissione di esperti. Per
sostenere la mancata celebrazione della Biennale egli adduce ragioni pratiche - quali
mancanza di fondi e di tempo per la ricerca d’archivio3 - e ragioni teoriche, come il fatto
che egli non intravedeva i criteri necessari per ipotizzare una mostra del Centenario: cosa
scegliere fra migliaia di opere esposte in 100 anni alla Biennale? Come affidarsi anche solo
1 “(C.M.) As-tu rencontré une hostilité ? (J.C .) C’est souvent ainsi en Italie : on vous porte aux nues dans un premier mouvement, puis, dés que vous êtes en place, on vous fait cruellement sentir que vous n’avez pas à juger de l’ « italianité » de l’art italien, que vous êtes un foresto, un étranger, particulièrement dans un moment comme aujourd’hui”. Catherine Millet, “Venise 95, Exposition Ouverte”, in Jean Clair, les grands entretiens d’artpress, Imec èditeur, Paris, 2013, p. 24. 2 Jean Clair (a cura di) La Biennale di Venezia. 46. Esposizione Internazionale d'arte. Identità e alterità. Figure del corpo 1895-1995, voll. 2, Marsilio, Venezia 1995, p. XIX. 3 A questa data l’Archivio storico è stipato a Ca Corner La Regina ed è per la maggior parte inutilizzabile e non archiviato.
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ai premi che hanno subito la pressione del proprio tempo e che quindi non rispondono ad
una storia troppo parziale e legata a logiche di potere?4 Coerentemente con quest’idea
egli sostiene relativamente ai premi assegnati nel 1995: « i premi non possono esistere al di
fuori di una struttura accademica, in cui le regole del gioco siano chiaramente definite e i
criteri accuratamente stabiliti. Attualmente, nel campo dei criteri di valutazione regna la
più assoluta confusione, perciò attribuire un premio non ha più alcun senso. Ciò conduce a
risultati assurdi, come ad esempio, assegnare un premio di scultura a qualcosa che non ha
nulla a che vedere con la scultura ».5 Prevale, pertanto, la convinzione che una storia della
Biennale sia inutile, oltre che impossibile - ed egli non manca di ribadirlo financo nelle
prime righe d’apertura del catalogo.6 Un’idea di storia della Biennale, se non di storia in
generale, diversa da quella intesa dai consiglieri del direttivo che porta all’ostilità
permanente.
Scorrendo i documenti e i verbali del Consiglio direttivo è molto evidente che fra le due
parti ci fosse un’incomprensione. La critica italiana sottolinea che quello che Clair non ha
colto è la differenza, labile ma pur sempre una differenza, tra un’istituzione come la
Biennale e le attività di un museo: « La prima osservazione da fare, a proposito della mostra
“Identità e Alterità” […] è la totale estraneità nei confronti di quello che la Biennale è e
dovrebbe essere. Si tratta, infatti, di una mostra museale, che avrebbe potuto ben figurare
in qualsiasi importante museo del mondo, ma non risponde alle esigenze di una rassegna
come quella veneziana: in crisi, certo, di identità, non riconoscendosi più nelle funzioni
istituzionali d’un tempo, ma non assolutamente assimilabile a quello che è un museo, e
quindi non idonea, pena la perdita di legittimità, a svolgere il ruolo, che anche solo a livello
di esposizioni temporanee, del museo è proprio ».7
Di contro, altri come Pierre Restany colgono questa opposizione di Clair come
un’occasione per la Biennale di ripensare seriamente se stessa, elogiando il curatore per
avere avuto il coraggio di porre la situazione della Biennale alla Biennale (« Jean Clair ha
posto in modo perentorio il problema dell’avvenire della Biennale, del suo destino ».8), non
risparmiando la verità sulla situazione, sospendendo Aperto perché ingestibile e
rifiutandosi di mettere opere che sarebbero state danneggiate nel Padiglione Italia. In
4 Jean Clair intervistato da Catherine Millet, Idem, in op. cit., 2013, p. 26. 5 Jean Clair intervistato da Catherine Millet, Ibidem. 6 “Che senso avrebbe avuto riunire, ammesso che la cosa fosse possibile, i cento, duecento o anche seicento capolavori della Biennale, quando sono venuti meno tutti i criteri di scelta? Che senso avrebbe avuto distinguere due, tre o anche ottocento, mille artisti, quando sono oltre ventimila quelli che hanno esposto ufficialmente nei suoi locali e probabilmente il doppio quelli che hanno esposto ufficiosamente, ossia l’equivalente della popolazione di Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico?” Jean Clair (a cura di) op.cit., 1995, p. XIX. 7 Luciano Caramel, La mostra degli orrori, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, p. 56. 8 Pierre Restany, Burocrati di tutto il mondo, unitevi!, in “Domus”, 1995, p. 54.
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questo guazzabuglio di critiche Clair si difende in tutti i modi ribadendo e precisando di
intervista in intervista:
“La storia della Biennale è una storia caotica: comincia con un salone accademico e
mondano che si trasforma poi in un salone parigino “fin de siècle”. La modernità italiana si definisce in opposizione alla Biennale di Venezia. La Biennale ha avuto un ruolo negativo,
ma sempre un ruolo. […] I modelli della Biennale sono stati da un lato il salone accademico alla francese, dall’altro le grandi esposizioni universali con i loro padiglioni, distribuiti
secondo uno schema ideale in uno spazio immaginario, nei quali era esposto il meglio dei prodotti nazionali. Tale modello mi pare superato. Ciò che non è superato, e che sarebbe
anzi auspicabile, è che la Biennale ritorni ad essere ciò che è stata per qualche tempo: un luogo di incontro, di convivialità soprattutto per gli artisti, e non per un pubblico che in
ogni caso ha tradito l’avanguardia e che diventa sempre più ristretto, nella misura in cui il turismo è diventato di massa e si è trasformato in un turismo imbecille, volgare, del tutto
indifferente alla vera cultura. Per qualche decennio Venezia è stato il più bel salone d’Europa, una salone all’aria aperta in cui i grandi artisti potevano incontrarsi, scambiandosi
le loro esperienze discutendo dei loro problemi. Per qualche giorno, Venezia diventava una specie di foro in cui pittori di professione si riunivano e parlavano, nella miglior tradizione
veneziana. […] ci si chiede oggi dove potrebbero avvenire tali incontri. I Giardini sono in uno stato di abbandono. Speriamo che il comune e la Biennale possano nei prossimi mesi,
ridare a questo luogo il lustro perduto: infatti, ora è una specie di terreno incolto in cui nessuno ha voglia di andare a Biennale chiusa. L’omaggio a Cézanne dipinto da Maurice
Denis compisce proprio perché dimostra ancora coscienza della propria dignità. […] Ma allo stesso tempo mette in evidenza la progressiva dissoluzione della grande comunità del
mondo artistico […] Assistiamo alla sua lenta frammentazione in una serie di sette e gruppuscoli che vivono nei caffè, al greco o in altri. Ma non è un vita di Bohéme, è piuttosto
una vita da emarginati che non sanno quasi più quale sia il loro ruolo nel mondo odierno. Da questo punto di vista, l’evoluzione della Biennale è lo specchio del declino della pratica
artistica, intesa come corpus omogeneo di conoscenze, di tecniche, di regole e di norme.” 9
In questo declino, qual è quindi il ruolo delle grandi esposizioni? Secondo Clair non rimane
che la rivisitazione perpetua del movimento moderno10 quindi non « già fare un bilancio, e
neppure un’autopsia. L’arte non è morta e il malato Modernità sta bene ».11 Così infatti
Jean Clair per questa Biennale sceglie la strada dell’interrogarsi intorno alla modernità « di
testare, in scorcio di secolo, la validità delle teorie che hanno avuto corso lungo tutto il
secolo » 12 e al modo in cui noi inscriviamo la contemporaneità in una storia della
modernità: « J’ai plutôt de ce siècle de distance pour, à partir d’une réflexion su la
modernité, poser un certain nombre de problèmes qui m’apparaissent très actuels ».13
9 Jean Clair, L’accademia è la vera avanguardia, intervista con Emanuel Fessy, in “Il Giornale dell’Arte”, giugno 1995. 10 “Les grandes expositions jouent-elles leur rôle aujourd’hui? Elles obligent à une perpétuelle revisitation du mouvement moderne. Des ajustements s’opèrent. On ne peut plus, par exemple, parler aujourd’hui du mouvement moderne comme on le faisait il y a dix ans. L’art comme substituions du sacré est en train d’atteindre ses limites”, intervista a Jean Clair, in “Le Figarò”, 13 giugno 1995, pp. 24-25. 11 Jean Clair (a cura di) op.cit., catalogo della mostra, 1995, p. XIX. 12 Jean Clair, Ibidem. 13 Catherine Millet, Idem, in op. cit., 2013, p. 28.
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Clair quindi ha lo sguardo fisso sul problema che la modernità pone e con questa mostra
inaugura un periodo della sua vita che sarà costellato da pamphlet polemici intorno
all’arte contemporanea, alla proliferazione di musei e biennali in tutto il mondo
testimoniando in sintesi una fase decadente della cultura contemporanea, che si ancora ad
una lettura parziale della modernità.
Se fosse giusta o meno una mostra come Identità e Alterità per celebrare la Biennale, come
sono in molti a chiedersi, non sembra in realtà una questione ben posta. La formula della
mostra storica e soprattutto di una mostra riepilogativa che desse dalle avanguardie in poi
una lettura della storia dell’arte moderna, è una prassi consolidata. Semmai, come osserva
Laura Poletto, è un mancato aggiornamento rispetto all’innovazione delle edizioni degli
anni ’80 ed in particolare di Giovanni Carandente, di focalizzare lo sguardo più
direttamente sul presente,14 che si può forse dire che la proposta di Clair sia fuori tempo.
Tuttavia, rispetto alle aspettative del Consiglio direttivo e della critica italiana la proposta
di Clair appare senz’altro una chiusura.
Quello che però fondamentalmente scuote gli animi della stampa e della critica è il
concetto di storia, modernità e fare espositivo proposto da Clair.
Il suo pensiero che si precisa negli anni attraverso i suoi scritti, per il 1995, è riconducile per
larga parte al pamphlet Critica della modernità (1983)15 scritto una decina di anni prima
della sua Biennale di Venezia e poi un altro scritto uscito poco dopo, La Responsabilità
dell’artista (1997)16 in cui definisce meglio la sua posizione nei confronti del concetto e
diffusione di avanguardia, anche se, come verrà descritto più avanti, è la mostra realizzata
al Grand Palais L’âme au corps17 a costituire il punto di partenza teorico ed espositivo di
Identità e Alterità.
Da questi due testi sopra menzionati, oltre che dall’impostazione che viene tracciata nel
testo per il catalogo generale della mostra della Biennale, si evince innanzitutto che per
Clair parlare di storia, modernità, opera d’arte e fare espositivo è un fatto unito,
un’operazione totalmente congiunta determinata dal fatto che per parlare della storia non
si può prescindere dall’idea di modernità che si è diffusa e che viene divulgata e che per
14 Laura Poletto, L’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia 1968 – 1997. Organizzazione, metodo, ricezione critica, tesi dottorato, Cà Foscari, 2012, pp. 708-736. 15 Jean Clair, Considérations su l’état des beaux-arts critique de la modernité, Editions Gallimard, Parigi, 1983, (trad. it. Critica della modernità. Considerazioni sullo stato delle belle arti) Umberto Allemandi & C., Torino, 1984). 16 Jean Clair, La responsabilité de l’artiste. Les avant-gardes entre terreur et raison, Editions Gallimard, Parigi 1997 (trad. it. a cura di Stefano Chiodi, La Responsabilità dell’artista. Le avanguardie tra Terrore e Ragione, Abscondita, Milano, 2011). 17 L’âme au corps. Art et sciences, 1793-1993, a cura di Jean Clair, presso Galeries nationales du Grand Palais, 19.10 1993 – 24.01.1994; Jean Clair, L’âme au corps Art et sciences, 1793-1993, catalogo della mostra, Gallimard, Parigi, 1994.
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parlare del valore dell’arte non si può ignorare il forte legame dell’opera con la propria
ostensività, condizione acquisita proprio durante la formazione della modernità.
Allievo di Andrè Chastel, formatosi quindi sulla scuola tedesca warburghiana della
tradizione di Erwin Panosky18 e conoscitore della storia dell’arte italiana narrata da storici
come Lionello Venturi, la sua disamina parte dall’opera e rifiuta connotazioni che narrino
una storia dell’arte teleologica di ascendenza hegeliana o anche una storia dell’arte
determinata unicamente dalle condizioni del proprio tempo. In altre parole, come illustra
nel secondo capitolo di Critica della Modernità, “Cronos e Mnemosine,” l’idea di una storia
moderna in realtà non è l’idea di una Storia19. Sulla scorta di Harold Rosenberg20 che
definisce la tradizione come la trasmissione, quanto più fedele possibile, da una
generazione ad un’altra di un insieme costituito di modelli formali e ideologici, di un
corpus di credenze e stili, Clair rimarca come la modernità rompa questo rapporto positivo
con la tradizione, trasformandola in qualcosa da cui distanziarsi. Il fatto nuovo, sottolinea
Clair, è che a partire dalla modernità il “cambiamento” diventa la pietra di paragone del
progetto creatore, pertanto, sarà creatore colui che rompe con il passato. Di conseguenza,
con Octavio Paz,21 Clair rileva che la continua rottura con il passato e la inevitabile e
perpetua proposta del nuovo non fanno altro che stabilire un altro tipo di tradizione: la
“tradizione della rottura”.
Ed è la ripetizione della rottura con la tradizione a portare, secondo Clair, ad una duplice
aporia della Storia: da un lato una Storia inintelligibile, fatta di eventi ed individui, che
vivendo della rottura, non hanno niente a che fare gli uni con gli altri, dall’altra una storia
del sempre identico, in quanto la promulgazione di una Storia che per progredire deve
continuamente rompere con il passato produce una sorta di eterno ritorno della propria
negazione. Quindi, di fatto, non c’è storia.
18 “Du Lycee, vous êtes passe au Quartier latin et a la Sorbonne, ou vous avez été remarqué et pris en amitié ardes professeurs du calibre de René Etiemble, d’André Chastel, de Jean Grenier, puis rue Sebastien-Bottin, où vous êtes introduit dans le monde littéraire et où vous devenez, pour vingt-cinq ans, le chroniqueur d’Art de la N.R.F., tour à dirigée par Marcel Arland, Georges Lambrichs et Jaques Réda, autant d’ainés et d’amis.” Réponse de Marc Fumaroli, in Discours de Réception de Jean Clair à l’Académie française et Réponse se Marc Fumaroli, Gallimard, Parigi 2009, p. 56. 19 maiuscolo di Storia viene usato da Clair nel suo testo, e viene qui ripreso. 20 Il testo citato nel libro è il famoso libro di Harold Rosenberg, The tradition of the New, Horizon Press, New York, 1959 (trad. it. La tradizione del nuovo, Feltrinelli, Milano, 1964). 21 Octavio Paz, Point de convergence. Du Romanticisme à l’avant-garde, Gallimard, Parigi, 1976. Il poeta e premio nobel è una figura molto cara a Clair: entrambi si appassionarono alla figura storica di Duchamp ed entrambi ne proposero una lettura fuori dai canoni tradizionali. Cfr. anche Intervista (televisione messicana, interviste a Octavio Paz - 13 marzo 1984) a Octavio Paz in cui spiega cosa lo appassiona di Duchamp http://www.youtube.com/watch?v=GgmUlgp8wqM Spiega che Duchamp figura emblematica per l’avanguardia del novecento che allo stesso tempo però si pone contro l’avanguardia, di cui è comunque una figura marginale. Quello che importa della procedura duchampiana è innanzitutto la sua meta-ironia. Cfr. anche Octavio Paz, Aparencia desnuda. La Obra de Marcel Duchamp, Ediciones ERA Messico, 1973 (trad. it. Apparenza nuda, l’opera di Marcel Duchamp, Abscondita, Milano, 2000).
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Di questa duplice aporia storica si nutre la posizione di Clair nei confronti della costruzione
della mostra che non può che essere quindi un tentativo ironico e forzoso di cercare di
leggere all’interno di un secolo di opere d’arte e di artisti. L’uso di una tematica per
indagare l’arte a partire dalla fattualità delle opere, dalla propria fenomenologia, diventa
l‘unica strada percorribile in ambito espositivo. Ed è proprio partendo dalla fattualità
dell’opera che Clair in Identità e Alterità si chiede: « perché nell’arte moderna dell’ultimo
secolo, cioè dalla sua nascita fino ad oggi, questa ricerca incessante, ansiosa, disperata di
un volto da dare al corpo umano? »22
Già in Critica della modernità egli si chiedeva “Quale corpo l’opera d’arte moderna può
ancora offrire alla nostra attenzione?”23 ma la condizione dell’oggetto, minata dalla scienza
museografica che si frappone fra osservatore e oggetto, fa si che la natura stessa
dell’oggetto sia ambigua, che ci si ponga difronte ad una gnoseologia dell’oggetto sempre
più evasiva. Così l’opera contemporanea, come disjecta membra, assume ogni genere di
forma, al punto che se si dovesse trovare un elemento in comune ciò che “emerge
prepontente: non più “vedere”, neppure “pensare”, ma “sentire”.24
Ma nel suo indagare storico, prendendo la corporeità delle opere in tecnica, soggetto e
concetto come suo punto di partenza, la domanda rimane sempre aperta dal momento
che la sua, così la descrive Clair, è un’indagine che procede per intuizioni, tanto che ancora
nel 2004 sostiene che è « troppo presto per trovare un senso a questo fenomeno ».25
Come già evidenziato nell’analisi della mostra egli organizza le sale come fossero capitoli
illustrativi di un testo scritto. Ogni ‘capitolo’ porta con sé elementi che affiancati
dimostrano un pensiero, l’emergere di un discorso o di una domanda. Il modo in cui
questo avviene è in qualche modo iconografico come in un “atlas” Warburghiano. Le
tematiche di sesso, morte, dolore sembrano lacerti di interesse, ricerca, bramosia verso
l’uomo e la sua singolarità corporea emerge secondo meccanismi di persistenze, latenze e
sopravvivenze.
Egli, infatti, pone una relazione all’interno delle sezioni che è sia sincronica, quindi
s’incontrano elementi che appartengono ad un determinato periodo storico per
testimoniarne una caratteristica, sia diacronica testimoniata attraverso elementi che
rispondono ad una logica tematica, si veda l’esempio già riportato nella sezione ars
moriendi delle foto di Silverthorne accanto alla serie di Andres Serrano realizzate almeno
100 anni dopo che si ancorano le une alle altre per una persistenza di interesse, tematica e
22 Sinossi dell’esposizione , La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 398. 23 Jean Clair (a cura di) op.cit., catalogo della mostra, 1995, pp. 15-17., qui p. 16. 24 Jean Clair, Breve storia dell’arte moderna, (ed. or. Courte Historie de l’art moderne, Echoppe Francia 2004) Skira, Milano, 2011, p. 32. 25 Jean Clair, Ibidem.
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sensibilità artistica. Non a caso l’Atlante Warburghiano porta anche il nome di Mnemosyne,
un’arena, « uno spazio espositivo, per exempla, della struttura complessa del nostro codice
culturale ».26
Quindi nonostante la mostra sia strutturata cronologicamente, questa cronologia è
continuamente spezzata con tagli temporali verticali, sostiene a riguardo Clair: « con
questo non voglio dire che non c’è stata una storia, ma questa storia non è quella di un
progresso ».27
Se quindi la cronologia della modernità è continuamente spezzata e si registrano nelle
opere permanenze e tematiche ricorrenti, è evidente che una storia dell’arte condotta
tramite una successione di stanze, a cui corrispondono successive fasi evolutive non può
che essere una forzatura.28 Non a caso in un’intervista rilasciata ad Anna Detheridge egli
dichiara « quando si visita le sale di un museo l’infilata di stanze l’una dopo l’altra si dà
come un’immagine obiettiva della storia dell’arte. Si ha l’impressione che dalla prima
all’ultima sala ogni sala rappresenti un capitolo di storia. Questa impressione di obiettività,
è evidente, non è che un’illusione. La storia stessa non è che un’illusione, un’illusione di
ordine che viene fabbricata in base al bisogno del momento presente. E’ abbastanza
scioccante vedere come i grandi musei di arte moderna mostrano tutti un modello
identico ».29
Clair condanna duramente l’istituzione del museo moderno, facendone un segno della
perdita della funzione dell’arte. Sulla scorta del pensiero di Malraux sostiene che l’anima
del museo è « la metamorfosi in sculture degli Dei, dei morti e degli spiriti, quando hanno
perduto la loro sacralità »30 aggravandola con la nozione Rivieriana di ecomuseo31 che
trasforma in oggetti culturali i gesti umani quando hanno perduto la loro funzione. L’arte
26 Monica Centanni, Kurt W. Forster, Katia Mazzucco, (a cura di), Introduzione ad Aby Warburg e all’Atlante della memoria, Bruno Mondadori, Milano, 2002, p. X. 27 “Je ne veux pas dire par là qu’il n’y a pas une histoire, mai cette histoire n’est pas celle d’un progrès.” Catherine Millet, Idem, in Jean Clair, les grands entretiens d’artpress, Imec èditeur, Paris, 2013, p. 32. 28 Nella sua difesa a Clair anche Vallora parla della mostra come un libro da leggere. Paradossalmente lo stesso aspetto sarà motivo di scandalo per Gino de Dominicis che nella sua lettera di rifiuto di partecipare alla Biennale dalle stesse ragioni che sono per Vallora invece un motivo di grande interesse. Cfr. Marco Vallora, La spirale dell'invenzione, in “La Stampa”, 10 giugno 1995 pp. 15-16 e anche Bernardino Campello, Vi dimostro dove sbaglia Jean Clair, intervista con Gino De Dominicis, in “La Repubblica”, 19 giugno 1995. 29 Anna Detheridge, Bella Biennale della discordia, in “Il Sole 24 Ore”, 4 giugno 1995. 30 Citazione di Andrè Malraux fatta da Clair in Critica della modernità, 1984, p. 19. 31 Riferito all’ecomuseo Clair sostiene “la creazione e la moltiplicazione in questi ultimi due decenni di un nuovo tipo di museo, l’ecomuseo, confermerebbero […] l’avanzare delle tenebre”, anche se riconosce che l’ecomuseo è il segno e non la causa di tale situazione. Nella nota n. 4 a p. 17 di Critica della Modernità, Clair in un’ insolita e lunga nota, riporta la definizione di ecomuseo data da George-Henri Rivière in nel 1974. Cfr. La muséologie selon Georges Henri Rivière, Dunod, Paris, 1989.
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così, in un mondo secolarizzato, non può che essere la sostituzione del sacro32 ed il museo
il suo tempio.33
Clair in qualche modo rivendica la centralità dell’uomo - almeno come tensione - e indaga i
modi in cui egli ha tentato di riavvicinarsi alla sua singolarità, cosa che può accadere
soltanto in un faccia a faccia con “l’alterità”, con la sua parte oscura, la parte nascosta e
inquietante rintracciabile in dolore, malattia e morte. Non a caso con il termine “identità”,
nella mostra alla Palazzo Grassi, egli indica la tensione degli artisti a cercare, anche nel
modo più triviale, la propria specificità, fisica e mentale. L’interesse per la sessualità, la
defecazione, l’organicità del corpo manifesta la volontà di re-incontrare il corpo ad un
livello preverbale, pre-analitico in cui le pulsioni primitive e primarie permettono un
mescolamento e riconoscimento dell’unità del corpo.34
E’ questo tipo di attitudine e di indagine tramite il sensibile e il sensorio che permette
all’artista di essere pienamente libero - e non illusoriamente libero come è l’artista
moderno - in quanto ciò che si pone come gesto liberante è l’esperienza di un gesto
fondatore, creatore e non di un gesto di rottura e novità che genera un avvenimento. Ed è
qui che risiede a suo avviso “l’illusione” della modernità, ovvero nel credere che l’artista sia
giudicabile in base alla sua capacità di suscitare un avvenimento: « più l’uomo diventa
storico, cioè “moderno” e meno crede alla possibilità di poter fare da solo la Storia, che
pure è il solo potere in nome del quale si considera “moderno” ».35
Per Clair, dunque, è feconda una nozione di arte in cui convivano l’idea Rosenberghiana di
gesto creatore dell’artista, derivata da quella del kunstwollen, insieme a quella del
kunstkönnen Semperiano. Nel capitolo di Critica della modernità, intitolato appunto
“kunstwollen o kunstkönnen,” critica, sulla scia di Panovsky un kunstwollen come principio
artistico che porta con se la conseguenza di scindere l’intenzione artistica dall’oggetto, di
privilegiare la prima in modo di « abbracciare il reale, con all’alba della creazione in modo
spontaneo e quasi immediato ».36 Di fatto dunque l’intenzione artistica prevale sul saper
fare e « siffatta volontà di spezzare l’abilità, di distruggere il mestiere e di rifiutare la pratica,
32 “L’art comme substituions du sacré est en train d’atteindre ses limites”, intervista a Jean Clair, in “Le Figarò”, 13 giugno 1995, p. 25. 33 Questa impostazione sarà poi esacerbata nei testi La crisi dei musei, e Globalizzazione dell’arte contemporanea (Skira, 2008), e poi ne L’inverno della cultura (Skira, 2011) Clair incorona il museo come il luogo di culto della cultura contemporanea. 34 “On a l’impression qu’il y a chez beaucoup d’artistes un désir plus ou moins conscient ou avoué de retrouver une singularité a la fois corporelle et mentale qui passe parfois par les voies les plus triviales, voire scatologiques. On se raccroche au sexe, si j’ose dire, comme à une chose qui existe en soi et qu’on ne veut pas lâcher. De même, un certain nombre d’œuvres contemporaines ont un rapport à la merde évident […] Elles (artistes) manifestent la volonté de ressaisir le corps à un niveau préverbal, pré-analytique de considérer l’être à un niveau puéril, dans ses pulsions les plus primitives, ses fonctions les plus primaires (éructer, déféquer..). ” Catherine Millet, in op. cit., 2013, p. 36. 35 Jean Clair, op.cit., 1983, p. 154. 36 Jean Clair, op.cit., 1983, p. 105.
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conoscerà negli anni sessanta la sua apoteosi ».37 Non a caso egli individua proprio come
caratteristica dell’avanguardia il fatto che a questa basti solo l’intenzione artistica,
portando con sé il germe dell’arte concettuale. E’ in questa filiazione che si può capire
forse la sua predilezione per la pittura e scultura. 38
Se però in Critica della modernità è proprio questa riduzione dell’arte a kunstwollen,
dell’esaltazione del non-sapere, che diventa quasi uno stile di un’epoca, e che rappresenta
il principio che porta secondo Clair all’astrazione,39 in Identità e Alterità fa un passo in
avanti affermando che anche in un gesto ridotto e iconoclasta come può essere quello
dell’arte astratta permane un segno sensibile e che certa astrazione deriva da filoni non
avanguardistici con una matrice teosofica e occultistica interna alla modernità. Il sorgere di
questo interesse nei confronti dell’invisibile – di quell’alterità che la mostra indaga – si
sviluppano nel momento in cui si scoprono e si usano raggi X, le onde radioelettriche, la
radioattività, aspetti che mettono in discussione lo statuto dell’immagine, perché la realtà
non si lascia più cogliere con immediatezza dall’occhio:
“sorge il bisogno di tradurre nell’arte questi nuovi stati della materia. Sarà uno dei punti di
partenza dell’astrazione, che del resto si baserà molto di più sulle pseudoscienze e sulle correnti occultistiche come l’antroposofia, la teosofia, lo spiritismo […] grandi figure della
modernità – fra cui Kandinskij, Mondrian, Kupka e Marcel Duchamp - […] sognano di raccogliere la sfida di fondare una nuova “iconografia dell’invisibile”40
In Identità e Alterità si chiede : e se il Novecento fosse stato, più di ogni altro il secolo
dell’autoritratto e non già dell’arte astratta? O detto in altri termini se il novecento non sia
piuttosto la ricerca di questa singolarità fra i frammenti delle disjecta membra dell’arte e
dell’uomo e non soltanto di un principio iconoclasta.
37 Jean Clair, Ibidem. 38 “La grande idea, l’idea più fallace del XX secolo, è proprio quella di una cultura divinizzata al punto da creare un ministero per gestirla e dei finanziamenti per promuoverla, mentre l’educazione viene trascurata. Quando parlo di educazione, intendo la Pubblica Istruzione, quella di una volta, l’insegnamento democratico per tutti… Siamo molto lontani da tutto questo. Non mi stanco di ripetere che la pittura, le arti plastiche non sono l’espressione immediata di una genialità scaturita chissà da dove…. Non vedo perché non si possano applicare alle arti plastiche le nozioni di mestiere e di abilità che vengono invece riferite senza problemi ad altri campi del sapere e della creatività…… forse anche a causa di una concezione delle arti plastiche fondata su presupposti totalmente sbagliati: sul radicale misconoscimento del significato reale dell’opera di Duchamp, su un malinteso concetto di spontaneità dell’atto creativo, sul misconoscimento del significato dell’astrazione in Malevic. Penso che bisognerebbe fare tabula rasa e ricominciare su basi un po’ più chiare.” 39 “A poco a poco l’«intenzione artistica», propria all’artista «indipendente» che rifiuta l’accademismo ufficiale, si identificherà ad una Kunstwollen inteso come il nuovo stile collettivo di un’epoca, caratterizzato dal rifiuto dello spazio illusionista, la preoccupazione decorativa, il ritorno alle arti «primitive» e l’esaltazione del «non-sapere »: si predisponeva già il dispositivo dell’astrazione”. Jean Clair, op. cit., 1983, p. 105. Clair riporta come riferimento in nota il seguente testo Avigdor Arikha, De l’abstraction en peinture, in “Cahier du Musèe National d’Art Moderne”, n. 10, inverno, 1982. 40 Jean Clair, op.cit., (ed. or. 2004) 2011, p. 16.
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E’ bene precisare che Clair non critica l’astrazione in quanto astrazione,41 ma si scaglia
contro la dittatura dell’astrazione come punto finale di un processo evolutivo di stampo
modernista, o semplicemente greenberghiano.
“In questa città meglio che in ogni altra si impone la necessità di rivisitare il senso della nascita e della diffusione di una certa astrazione – che è pure ricerca di un volto umano al
di là di un viso – volto umano oppure passaggio e promessa dell’Angelo, al di là dell’uomo in carne e ossa. Se anche qui vogliamo citare qualche nome, saranno per esempio Malevic,
Jawlensky e Kandinsky, che re-introducono a Venezia la tradizione bizantina. Ma anche quegli artisti per i quali la scelta tra figurazione ed astrazione non du un problema di ordine
formale o estetico bensì scelta metafisica o morale […] non grandi scoperte […[ ma una rilettura, una rivisitazione, la ricerca di un senso in quei fenomeni che troppo lungamente
sono stati trattati unicamente come formali.”42
In un’intervista43 spiega, infatti, che l’astrazione viene affrontata nella sua mostra del
Centenario in quattro momenti che esemplificano, in un certo modo, le varianti
dell’astrazione. I primi fenomeni, infatti, legati a figure come Kandinsky, di cui Clair
sottolinea il legami con i movimenti occultistici; poi l’astrazione di Malevic e Jawlensky che
è legata per lo più all’icona della tradizione ortodossa; poi l’iconoclastia della scuola
americana degli anni ’50 e poi quella di Fontana e Morris che è un astrattismo legato ad un
contenuto umano ad un segno ultimamente sensorio. La proposta di una diversa lettura
dell’astrazione nasce dalla convinzione che:
“non appena ci si imbatte in artisti che non fanno parte di questa formula non si sa come fare. … ciò che io propongo in questa sale, e so che è d’un orgoglio insensato, è di
rovesciare il guanto. Otto Dix si trova all’interno e Stella è all’esterno. In questo modo si evidenzia chiaramente un altro asse che comprende Otto Dix, Stanley Spencer, Lovis
Corinth, Balthus e Lucien Freud. […] Stabilisco un ordine diverso che non risente dell’influenza di Clement Greenberg negli anni ’60 che rifiuta il manierismo come un
manierismo sterile.”44
Clair, non a caso cerca di promuovere una mostra che sia innanzitutto Europea
« recuperando una tradizione umanistica più ancora che figurativa ».45
Già con Bonito Oliva si era percepito che il contraccolpo della globalizzazione porta con sé
anche un riscoperta delle proprie tradizioni tanto che l’aspetto antitetico ma inscindibile
41 “Tutta la scuola formalista americana che ha occupato la scena dell’arte negli anni Cinquanta, che è passata nel mondo come il culmine, la fine, l’apoteosi, della storia della pittura occidentale, è, secondo me, una gigantesca impostura” Paolo Vagheggi, Biennale la vita, la morte e il sesso, intervista a Jean Clair, in “La Repubblica”, 7 giugno 1995. 42 Presentazione programma, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 398. 43 Alain Cueff, La Biennale di Jean Clair: La modernità è dramma e non joie di vivre, in “Il Giornale dell’Arte”, novembre 1995, p. 10. 44 Jean Clair, L’accademia è la vera avanguardia, intervista con Emanuel Fessy, in “Il Giornale dell’Arte”, giugno 1995. 45 Anna Detheridge, Biennale di Venezia. Spudoratamente Serenissima, in “Il Sole 24 Ore”, giugno 1995.
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del processo della globalizzazione è localizzazione, che trova nel neologismo coniatosi
negli anni ’90 - glocal – la registrazione di questo ossimoro.
In Clair però più che difendere una trazione europea contro quella americana, contro cui
ha sempre parole aspre, si tratta di difendere una tradizione storiografica e soprattutto un
modo di guardare all’uomo e al suo destino
“non sto dicendo che l’arte del ventesimo secolo è un’arte figurativa. Non è questo il problema. E’ un problema di lettura. Si è pensato che potesse esistere un’arte totalmente
priva di significato. A rose is a rose, a cube is a cube. Ok so what. Non è vero.”46
Inoltre egli tenta di fare giustizia di una parte dell’arte che è stata messa da parte per via
dell’affermazione di una corrente di pensiero che ha origine nel puritanesimo americano:
“Quella americana è una società che trema ogni volta che gli si pone sotto gli occhi i fatti della vita, che ha il tabù della morte e del sesso, della vecchiaia, del dolore.
Sfortunatamente la malattia esiste, la morte esiste.”47
Il centenario è quindi un’occasione per Clair di ripensare la modernità che pure è stata
molte volte protagonista delle esposizioni nella Biennale.
Il perno ispiratore della tematica nasce dalla coincidenza della data della Fondazione della
Biennale con l’introduzione nelle società moderne dell’uso della fotografia d’identità:48
“Identità che rinvia alla persona ma anche al gruppo sociale, alla classe, alla nazione, alla etnia infine. L’alterità, la scoperta dell’irriducibilità dell’Altro – dei suoi tratti, del suo corpo,
del suo comportamento – è una delle conquiste della Modernità, in particolare della biologia di fine secolo, che scopre che siamo tutti diversi e tutti uguali. Un motivo, dunque,
quasi unico, ossessivo, domina questa esposizione: il corpo umano e più precisamente il volto. ”49
Uno dei nodi per Clair è lo statuto dell’immagine,, che è cambiato completamente,
rovesciandosi a 180 gradi50: se prima l’immagine autentificava oggi getta un dubbio sulla
validità dell’oggetto registrato. L’inversione di questo rapporto viene raccontato nella
mostra per frammenti.
L’alterità è un’alterità etnologica innanzitutto, che è una cosa nota, per quanto diventata
più inquietante perché pone la questione dell’identità e alterità biologica, della sua
permanenza come uno stesso individuo, dell’aerazione dovuta alla malattia, della
differenza dovuta all’alterazione fisica e psicologica. L’altro non è più “lo straniero” ma è
46 Anna Detheridge, Biennale di Venezia. Spudoratamente Serenissima, in “Il Sole 24 Ore”, giugno 1995. 47 Anna Detheridge, Ibidem. 48 “L’idea di iniziare da lì mi è stata suggerita dalla constatazione che la fondazione della Biennale coincide, grosso modo, con l’introduzione, nelle nostre società civilizzate, della pratica della fotografia d’identità. Identità che rinvia alla persona, ma anche al gruppo sociale, alla classe, alla nazione, all’etnia infine”. Programma presentazione, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 398. 49 Jean Clair, Ripensiamo l'arte moderna, in “Quadri e sculture”, giugno-luglio 1995, pp. 25-27. 50 Catherine Millet, in op. cit., 2013, p. 32.
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l’altro all’interno dell’individuo, è la degenerazione, la malattia fisica e mentale,
l’alienazione. Si tratta dell’altro interiore di un’anima e di una stessa cultura.
Sono i processi tecno-scientifici, secondo Clair ad aver iniziato a minare l’unità dell’uomo.51
Così di fronte a questa dissoluzione della nozione di identità, e di fronte alla perdita di
senso della globalità del corpo e della sua unità sensoriale e semantica, l’opera di alcuni
artisti appare spesso come un tentativo di riconquistare l’unità perduta.52
Per questo motivo Clair concepisce la mostra non limitata all’esposizione di opere:
“di essenza pluridisciplinare, (l’esposizione) tenterà di visualizzare un aspetto della storia delle idee, attraverso ciò che può essere espresso nella storia delle forme. A questo titolo, la
fotografia e la storia del cinema saranno naturalmente presenti. La fotografia e il cinema dapprima come strumento di investigazione delle fisionomie, delle affezioni, delle passioni,
delle malattie. Ma anche e soprattutto come strumenti ormai privilegiati per gli artisti in quella ricerca sul corpo che conducono da almeno dieci anni.”53
Un’impostazione questa che rispecchia l’impostazione di fondo della mostra chiusasi nel
gennaio del 1994 al Grand Palais a Parigi L’Âme au Corps. Se alcuni critici, come notato
nella sezione della ricezione critica, lamentano una eccessiva somiglianza, è proprio Clair a
dichiarare la figliolanza della mostra veneziana rispetto a quella parigina nella sinossi di
presentazione al Consiglio direttivo:
“Il progetto della Biennale continua, limitandosi all’epoca contemporanea (1983-1993), la tematica illustrata nell’esposizione « L’Âme au Corps », tenutasi al Grand Palais di Parigi
l’inverno scorso. L’esposizione parigina indagava le relazioni fra le arti e le scienze dalla fine dei Lumi all’inizio del nostro secolo, e si chiudeva con una frase scritta da Antonin Artaud
nel 1947, dopo la seconda Guerra Mondiale: « Le visage humain n’a pas encore trouvé sa face. Depuis mille et mille ans qu’il souffre et qu’il respire, le visage de l’homme est encore
un champs de ruine… » Ecco la questione che dobbiamo porci: perché nell’arte moderna dell’ultimo secolo, cioè dalla sua nascita fino ad oggi, questa ricerca incessante, ansiosa,
disperata di un volto da dare al corpo umano?”54
Nel catalogo della Biennale e nelle interviste rilasciate si perdono le tracce di questo stretto
legame con la mostra precedente, ma almeno in due documenti è rintracciabile una
dichiarazione in questo senso.
51 “Tu dis qu’à mesure que la science dissout l’individualité du corps dans des processus numériques, le artistes font revivre le principe d’individuation”, pp. 35-36. 52 Continua la citazione “Se si vogliono fare dei nomi, è il caso dei dipinti di Bacon o Lucien Freud, o dei video di Bruce Nauman, Gary Hill e Bill Viola. Allo stesso tempo, e inversamente, se il corpo “artistico” tende a recuperare le disjecta membra del corpo “scientifico”, tende anche a trasgredire la norma: man mano che il corpo si normalizza, l’artista tenta di turbare tale norma; mentre la scienza porta alla dissoluzione dell’individualità del corpo in procedure numeriche, l0artista cerca di far rivivere il vecchio principium individuationis.” Sinossi dell’esposizione, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 398. 53 Presentazione programma, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 398. 54 Sinossi, dell’esposizione, La Biennale, ASAC, FS dep., busta n. 398.
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La dipendenza di Identità e Alterità da L’Âme au Corps è riscontrabile in particolare in
alcune sezioni come quelle dedicate alla callimetria, alla frenologia e all’indagine intorno ai
primi esempi di arte astratta e la loro dipendenza dalle scoperte scientifiche e dal
diffondersi di teorie teosofiche. Ritroviamo quindi la serie fotografica di Paul Richer, le foto
di Buguet e gli studi di Bertillon come anche gli studi di Lombroso, la ballerina di Degas
come simbolo di studi sulla degenerazione, oppure la scultura di Boccioni dinamismo nello
spazio e le tele della serie Stati d’animo.
Nonostante sia Clair stesso a dire che la mostra della Biennale rappresenta la ‘sezione’
contemporanea della mostra al Grand Palais è piuttosto da considerarsi come una
riflessione ulteriore intorno al senso dell’arte e al ruolo dell’artista in epoca moderna.
E’ interessante, infatti, notare una compenetrazione delle tematiche delle due mostre nel
testo conclusivo alla raccolta dei suoi scritti Autoportrait au visage absent.55
Si comprende, infatti, che tutta l’indagine sul volto56 e sul corpo umano dalla propria
sessualità alla sua dissoluzione ha come asse portante la secolarizzazione della cultura
occidentale, la perdita di una spiritualità che permetta la comprensione dell’uomo come
fatto unito e conclude:
“Le grand débat de l’art de notre temps n’aura pas été le débat de la figuration et de
l’abstraction, il aura été le débat de la représentation du visage et son impossibilité.”57
Pertanto a una domanda sulla partecipazione o meno di artisti del Terzo Mondo alla
Biennale risponde « l’dea che facciamo dell’arte e dell’attività artistica è strettamente
limitata al mondo occidentale e la volontà pseudogenerosa di aprire i nostri musei, le
nostre istituzioni, le nostre gallerie e le nostre Biennali ad artisti del Terzo Mondo non è
altro per me che l’ultima conseguenza d’un malinteso colonialismo. La nostra cultura ha
elevato il concetto di arte ad un livello di raffinata complessità sconosciuto ad ogni altra
cultura, e al tempo stesso, l’ha limitato, relegandolo nel campo del godimento e del
piacere, mentre in altre culture esso si è sviluppato nell’ambito della religione, del sacro o
della medicina. Non ci saranno quindi artisti del Terzo Mondo. Sarebbe un abuso di potere,
un abuso di linguaggio e una mescolanza di cose del tutto incompatibili. »
55 Jean Clair, Autoportrait au visage absent. Ecrits sur l’art 1981-2007, Gallimard, Parigi, 2008. 56 “Le vieux mot français de « voult » pur désigner le visage, dont ne subsiste que le verbe envouter, vient du latin vultus. Il demeure en italien sous le nom de volto, qui s’oppose au viso : viso, c’est le visage à découvert pour cette raison des pouvoirs occultes. Il renvoie à ce qui se trouve pris dans une expression, figé dans une mimique, une contracture des traits dont on retrouve quelque chose dans le français « convulser ». C’est quelque chose d’assez voisin du masque de l’apotropaion, un artifice à la fois protecteur et guerrier. On retrouve aussi le terme particulier de vultus, plutôt que visus, dans l’expression latine, aut vulva, aut vultus qui renvoi à l’impossibilité de figurer de manière simultanée et ce qui représente en l’homme sa part spirituelle, c’esta-à-dire son visage, et sa part animale, c’est-à-dire son sexe.” Jean Clair, op. cit., 2008, pp. 415-416. 57 Jean Clair, op. cit., 2008, p. 416.
SEZIONE II – JEAN CLAIR - 1995
212
Infatti egli riconosce come particolarmente compromessa la posizione del commissario
(leggi curatore) culturale contemporaneo pagato per alimentare il sacro fuoco e custodire
il tempio di una religione nella quale lui o lei non credono necessariamente.
Durante la crisi di autorità maturata alla fine dell’ultimo secolo, il culto dell’arte era un
conveniente rimpiazzo per la religione, quando Nietzsche dichiarò la morte di Dio. Per
questo Jean Clair riconosce nell’avanguardia un particolare sistema di fede storica. « Se Dio
è morto, l’arte è libera dal servire la religione e quindi ogni altra autorità se non se
stessa.[…] E’ stato senza dubbio Marcel Duchamp a vincere la battaglia su chi decide che
cosa sia l’arte, rivolgendosi direttamente al pubblico con metodi scioccanti. Viene il
sospetto che per Jean Clair, Duchamp non rappresenti l’inizio dell’avanguardia, ma la fine
[…]. Il successo di Duchamp è trasformare, con un audace lampo di genio, il personale del
museo in collaboratori, provocando un’inevitabile perdita di credibilità e autorità. Dando
così il colpo di grazia al museo moderno. Un audace gioco di potere che ha lasciato i
curatori di musei alla mercé degli artisti viventi. »58
E’ alla luce di questo pensiero di fondo che è possibile leggere, in ultima istanza, il motivo
principale per cui Jean Clair non vuole fare Aperto: per una repulsione per il nuovo a tutti i
costi legato ad un certo sistema di arte contemporanea:
“the new at any price, neophilia, the young artist holding the key to the future – it comes down to an ideology, and it isn’t mine.”59
58 Barbara Rose, Dio è morto, Marx è morto, l'arte non sta bene, in “Arte in”, n. 39, agosto 1995, pp. 45-49 59 Lauren Sedofsky, Esprit de Corps, in “Artforum”, aprile 1995, p. 25.
SEZIONE II - 1997
215
6. 11997. La 47esima Biennale di Venezia. Futuro Presente Passato
All’inizio del 1996 la posizione di direttore del settore Arti Visive è vacante e fino
all’indomani della mostra cinematografica, le discussioni del Consiglio direttivo vertono
per lo più sulla mostra di Architettura e Biennale del Cinema, oltre che intorno alle
numerose variazioni di Bilancio.1
Il primo o.d.g. in cui appare la questione della nomina dei curatori per le manifestazioni del
1997 è l’11 ottobre 19962, ma in definitiva il punto viene rimandato al successivo consiglio
perché ad essere al centro delle numerose discussioni è la proposta di Legge relativa alla
riforma dell’Ente.3
E’ soltanto quando si giunge alla 60esima Riunione del Consiglio Direttivo, del 29
novembre 1996, che viene affrontata la questione della nomina dei curatori 4 per le
manifestazioni del 1997, insieme anche alla relativa questione di sponsorizzazione 5 .
Nonostante fosse chiaro al consiglio direttivo del poco tempo a disposizione che i curatori
hanno progressivamente, in questa Biennale si crea una situazione di ristretteza temporale
fra le più dure con solo sei mesi a disposizione.
Nonostante siano diversi i curricula proposti, fra cui anche Barilli e Dorazio, il consiglio
appare fondamentalmente diviso sui due nomi di Germano Celant e Achille Bonito Oliva.
Come già notato in precedenza infatti, dal punto di vista del consiglio direttivo, Bonito
Oliva è largamente considerato il curatore che più di altri, nonostante le numerose
1 Cfr le numerosi variazioni di bilancio eseguite il 24 maggio, il 26 luglio e il 27 agosto a cui se ne aggiunge una quarta per il 30 di novembre 1996, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25. 2 Cfr. punto 4b (Manifestazioni 1997 ed eventuale nomina curatori) dell’ordine del giorno della 58esima Riunione del Consiglio direttivo, 11 ottobre 1996, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25. 3 Punto 4.a (Proposta di Legge Riforma dell’Ente) 58esima Riunione del Consiglio direttivo, 11 ottobre 1996, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25. 4 Nella stessa riunione viene anche nominato il direttore del settore Cinema: Felice Laudadio che con una sola votazione viene incaricato direttore. Verbale 58esima Riunione del Consiglio direttivo, 11 ottobre 1996, p. 29, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25. 5 Nell’o.d.g. questione sponsorizzazione per la 47esima Esposizione Internazionale d’Arte e le sue date (5.a e 5.b) In questa stessa riunione viene fatta la IV variazione di Bilancio, il Presidente Rondi sostiene “che è da fare entro il 30 novembre di ogni anno e che ci permette anche di recepire alcuni finanziamenti”, Verbali 58esima Riunione del Consiglio Direttivo, 11 ottobre 1996, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25.
SEZIONE II - 1997
216
contraddizioni, ha saputo incarnare lo spirito della Biennale per quello che era nelle
intenzioni degli ultimi due piani quadriennali.
La divisione è tale che ci vogliono ben cinque votazioni prima di arrivare alla finale
elezione di Germano Celant, con nove voti sui quattro di Bonito Oliva.6
Sono diverse le obiezioni intorno al nome di Celant. Da una parte qualche critico insinua
che attraverso di lui possa attuarsi una “colonizzazione statunitense” dall’altra sono in
molti a voler evitare la sovrapposizione della funzione di curatore della sezione arti visive e
dell’istituendo Museo d’arte contemporanea al padiglione Italia, a cui sembra stesse
lavorando in gran segreto da diversi mesi.7
Germano Celant viene eletto il 29 novembre del 19968 e da subito nel decidere le date
della manifestazione che il Presidente propone9 si apre per Celant il confronto immediato
con la documenta di Kassel, da quattro anni in preparazione e che in quell’edizione celebra
il suo decennale.
Questa nomina rappresenta in qualche modo per lui un ritorno in Italia dopo aver lavorato
per lungo tempo negli Stati Uniti. Egli, infatti, contestualmente alla Biennale di Venezia si
occuperà anche di altre mostre.
Egli è molto noto in Italia specialmente per il suo legame con l‘arte povera, ma non è molto
amato.10 Alla Biennale poi, come d’altronde anche Bonito Oliva prima di lui, non è un
neofita. Era stato rappresentante di una delle esperienze più significative della storia della
Biennale come Ambiente/Arte. Come nella migliore tradizione della Biennale, l’arrivo di
Celant non è senza polemiche, in particolare egli viene associato ai nuovi “movimenti” che
6 Prima votazione Celant 7, Bonito Oliva 4, Barilli 2, Dorazio 1, bianche 2; Seconda votazione: Celant 8, Bonito Oliva 4, Barilli 2, Dorazio 1, bianche 1; Terza votazione: Celant, 8, Bonito Oliva 5, Barilli 3; Quarta votazione: Celant 8, Bonito Oliva 5, Dorazio 1, Barilli 1, bianca 1; Quinta votazione: Celant 9, Bonito Oliva 4, Barilli 1, bianca 1. Verbali 58esima Riunione del Consiglio Direttivo, 11 ottobre 1996, pp. 28-30, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25. 7 “Diverse anche le obiezioni sul nome di Celant all’interno del Consiglio Direttivo. Si voleva, infatti, evitare il sovrapporsi della doppia funzione di curatore della manifestazione e dell’istituendo Museo d’arte contemporanea al Padiglione Italia, per il quale Celant stava lavorando nel più assoluto riserbo da alcuni mesi, su incarico del Comune. Un grande merito, quest’ultimo, agli occhi del sindaco di Venezia, che proprio per questo, secondo l’opinione di molti, si è personalmente impegnato per la sua elezione. Per sgomberare comunque il campo da ogni possibile interferenza tra i due ruoli, Celant si occuperà, d’ora in poi, solo della Biennale. Per l’attività della neonata Fondazione per l’Arte Contemporanea e del museo ad essa connesso verrà designato un nuovo direttore” Lidia Panzieri, Celant Curatore Massimo, in “Il Giornale dell’Arte”, gennaio 1997, p. 4. 8 Germano Celant viene nominato direttore del settore Arti visive con deliberazione consiliare n. 740 (28 novembre 1996; Prot. Gen. n. 564) La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 541. 9 La documenta x di Kassel sarebbe cominciata il 21 giugno, il Presidente propone di iniziare la Biennale il 15 di giugno, e terminarla il 14 novembre, in modo da avere gli spettatori americani. La proposta viene votata all’unanimità, Verbali 58esima Riunione del Consiglio Direttivo, 11 ottobre 1996, p. 30, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 25. 10 Già in conferenza stampa precisa sul suo filoamericanismo: “In America mi giudicano uno che diffonde l’arte europea perché nei grandi spazi pubblici ho realizzato mostre dedicate all’arte inglese, tedesca, francese, belga e naturalmente italiana (recentemente Italian metamorphosis). Per l’Italia sono filoamericano perché mi sono occupato di Pop Art e di Minimal, di concettuale, danza, musica, teatro, architettura.”
SEZIONE II - 1997
217
sembrano coinvolgere il Comune di Venezia, Punta della Dogana e il Guggenheim
Museum, di cui lui era stato curatore, ma della sezione americana. Il suo legame con
Thomas Krens ovviamente lo lancia nell’occhio del ciclone ma in realtà il progetto del
Guggenheim esisteva da tempo e si sovrappone alle questioni intorno alla Fondazione per
la realizzazione del Museo di arte contemporanea di Venezia al Padiglione Italia. Fra queste
accuse e nella migliore tradizione della Biennale, come d’altronde fu per Bonito Oliva in
termini di socialismo, Celant deve smarcarsi dalle logiche politiche che lo vogliono
protetto dell’Ulivo11.
Infine la polemica che si apre intorno alle presunte dichiarazioni di Celant, poi da lui stesso
smentite, circa il voler portare la Biennale in altre sedi. Questo è un progetto che appare in
linea con la sua vena imprenditoriale e in realtà, nonostante le smentite, egli si prodiga per
parte della mostra del padiglione Italia presso il nuovo Museo alla Stazione Termini di
Roma.12
Dopo meno di due mesi, nel pieno dei rivolgimenti per il cambio di testimone tra un
consiglio direttivo e l’altro, Celant presenta nella 61esima riunione del Consiglio direttivo
del 24 gennaio 1997 il suo programma. Pur indicando che si tratta soltanto di alcune linee
generali, di una spiegazione metodologica, in realtà egli lascerà inalterato questo
progetto, che, anche se ampliato e meglio comunicato, rimarrà sostanzialmente invariato.
I nodi centrali sono la confluenza in una sola mostra della parte cosiddetta “storica” e
Aperto e questo è possibile grazie all’idea temporale che sottende tutto il suo progetto di
un’idea di continuità fra le generazioni, quasi osmotico « per me un’artista che ha 70 anni o
25 è la stessa cosa nel senso che conta il lavoro e la sua qualità ». Spiega meglio: « ho
pensato di mettere insieme i due momenti che hanno sempre caratterizzato la Biennale.
C’era una mostra storica, c’è Aperto, a questo punto nei tempi che abbiamo a fare le
mostre storiche è impossibile […] Allora mi è venuta in mente questa idea di mettere
insieme diverse generazioni, tre generazioni che sono gli anni Sessanta, in modo da avere
le grandi presenze che sono anche grandi attrazioni […] la seconda che è quella in via di
sviluppo, e la terza generazione che è quella che normalmente sarebbe stata in Aperto, la
più giovane. Quindi senza distinzione, perché io penso che il lavoro conta ed è chiaro che
sulla prima generazione c’è meno discussione perché sono già affermati, sulla seconda
sono informazioni, sulla terza è aperto però non è aperto come titolo, è solamente questa
11 Celant si difende dalle accuse “non ho il marchio dell’Ulivo” (Germano Celant intervistato da Fiorella Minervino, in “la Repubblica”, 25 gennaio 1997); “Il metodo della mia elezione riguarda il Consiglio della Biennale che io non ho sollecitato in nessun modo. Ho accettato una sfida che riguarda il mondo dell’arte. La politica non c’entra.” (Intervista, in “Corriere della sera”, 25 gennaio 1997, p. 29). 12 Sulla questione del trasferimento di parte della mostra presso il museo della Stazione Termini di Roma si vedano i verbali della VII Riunione del Consiglio direttivo, 5 agosto 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36
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218
grande mostra che ho identificato questo titolo che non è tematico, è solo per dire un arco
di tempo Futuro, presente, passato, perché penso che la lettura venga sempre fatta
dall’oggi allo ieri e quindi parto con il futuro per leggere il passato ».
Celant quindi ancora fortemente al presente la sua mostra, facendo quasi un grande
Aperto, situazione enfatizzata anche dalla richiesta che egli farà a tutti gli artisti “vecchi e
nuovi” di partecipare con opere recenti. Questa soluzione, oltre ad aggirare le
problematiche di prestiti e assicurazioni da stipulare con musei e galleristi, permette di
avere una mostra veramente contemporanea, anche nell’età delle opere13.
Omogeneità, continuità, uniformità sono parole che Celant usa spesso per definire la sua
mostra anche in termini di gestione della comunicazione e delle relazioni con i paesi. Egli
infatti immagina l’aggregazione in un luogo unico dei paesi senza padiglioni e si auspica
un criterio per trattare egualmente tutte le istituzioni che cercano, sotto la forma del
patrocinio, un rapporto con la Biennale.14
Il consiglio, nonostante alcuni sottolineino l’estrema approssimazione della proposta,15
approva la proposta di Celant con larga maggioranza.16 D’altronde lo stato di emergenza in
cui si opera non sembra permettere altro che una proposta di un “criterio ispiratore di
fondo sulla base del quale organizzare queste due mostre”. 17 D’altronde anche la
13 “Quindi su questa grande mostra evidentemente come voglio operare? Voglio operare avendo tutti i lavori contemporanei, vale a dire, non ricercare la storia, non ricercare quindi prestiti già esistenti, ma se invito un grande personaggio lo invito con l’ultima opera recente, quindi sarà anche questa a livello di informazione […] quindi non riprenderò elementi già conosciuti ma chiederò a ognuno giovanissimo o meno l’ultima opera prodotta.” (p. 26) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35 14 “Poi c’è una cosa che voglio chiarire, questa parte finale in cui dico di questo tentativo di coordinamento di tutti i meccanismi della Biennale secondo una logica di uniformità. […] Quello che come esperienza di queste due settimane sto affrontando è che evidentemente sulla Biennale tutti vogliono partecipare in maniera diretta o indiretta in occasione della manifestazione. [..] Quello che però cerco di fare è certamente una metodologia di omogeneità se è possibile che le nazioni senza padiglione si congregano e trovano un posto unico per noi è un accumulo di energia in un punto dove possiamo mettere l’immagine e investire più fortemente che se completamente dispersa.” (p. 27) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35. 15 La mancanza di un programma vero e proprio gli viene criticato da più consiglieri allorché entra in sua difesa il Presidente Rondi “Per quanto riguarda il termine tecnico della delibera io ho sempre parlato con Celant di linee programmatiche. Se è finita la parola programma è per consuetudine [..] Qui si trattava di linee programmatiche che lui ha enunciato e che hanno trovato il consenso” (p. 35) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35. 16 “Io oggi ho sottoposto, in intesa con il prof. Celant delle linee programmatiche, un regolamento che discende da queste linee programmatiche, una variazione di date e la commissione esperti che oltre alle proposte del curatore si è arricchita di altre proposte da parte del consiglio” (p. 35).; Linee programmatiche approvate 7 favorevoli, 2 contrari, 1 astenuti, e anche il regolamento (6 favorevoli, 3 contrari, 1 astenuti) perché c’è il primo incontro paesi (p. 37) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35. Cfr. anche Linee programmatiche approvate con deliberazione consiliare n. 767 (24 Gennaio 11997; Prot. Gen. n. 13) La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep, busta n. 541. 17 Il consigliere Laura Barbiani gli critica il fatto che “questo non possa essere un programma e che possa essere votato come tale perché programma non è” (p. 29) invece il consigliere Umberto Curi sottolinea come egli stia lavorando in emergenza (p.29) e di come sia importante aver comunicato “un criterio ispiratore di fondo sulla
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situazione economica non appare rosea. Celant, può apprendere solo in questa riunione
che ha a disposizione di 7 miliardi18, grazie anche ad un rinforzo promesso da Veltroni
tramite l’otto per mille di due miliardi e mezzo 19 che gli bastano per fare solo la
manifestazione ai Giardini. Ma per procedere è necessaria una variazione di bilancio e,
infatti, in questa riunione non gli sarà possibile neanche far votare al consiglio direttivo
l’aiuto dei suoi collaboratori. Rondi chiarisce soltanto la possibilità di ricevere fondi per due
miliardi e mezzo tramite l’otto per mille e indica la necessità di trovare ulteriori
sponsorizzazioni.
Dal momento che i tempi sono piuttosto stretti e che l’incontro con i paesi è alle porte
vengono eletti anche i membri della commissione consultiva (Carla Accardi, Ida Giannelli,
Lars Nittve, David Anthony Ross e Nicholas Serota)20 e viene approvato il regolamento che
può essere dunque presentato.
La grande necessità di soldi, porterà anche la Biennale a firmare un accordo per una
sponsorizzazione di due miliardi con un non meglio precisato Centro Italiano per le arti e la
cultura. Il consiglio è profondamente diviso sulla questione ma le difficoltà economiche
sembrano costringere il consiglio a votare a favore. In questo modo in realtà la biennale
incorrerà non solo in un problema finanziario che dovrà appianare non senza difficoltà alla
base del quale organizzare queste due mostre” (p. 30) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35 18 “Essendo arrivati alla considerazione che con il DCPM di Prodi e con i due miliardi che si sarebbero versati già 500 milioni ai primi di febbraio se oggi li approvate, il prof. Celant dispone di 7 miliardi, è stato comunicato da me e da Cacciari al prof. Celant che lui dispone di 7 miliardi con i quali può fare le sue manifestazioni nelle sedi tradizionali die Giardini. Naturalmente essendosi proposto il prof. Celant di trovare delle sponsorizzazioni, se questo sponsorizzazioni sopra i sette miliardi dovessero arrivare, il prossimo consiglio approverà una proposta di adottare anche come spazi le Corderie ed eventualmente anche le Zitelle, ma questo consiglio oggi si tiene alla legge istitutiva, applica in deroga, perché noi siamo in deroga, la attribuzione dei fondi di cui dispone.” (p. 35) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35. 19 “Per quanto riguarda la copertura (finanziaria) […] io ho preso contatti con Veltroni che avevo ottenuto da Prodi tramite DCPM il versamento sull’8per mille della somma di due miliardi e mezzo. Veltroni si è informato presso gli uffici che mi hanno comunicato ieri che questa DCPM che da tutti approvato si trova attualmente presso i competenti uffici della Corte dei Conti per i prescritti adempimenti. Non appena il suddetto decreto sarà restituito registrato dall’organo di controllo si darà luogo all’assunzione del versamento. Quindi ecco perché all’o.d.g. abbiamo tolto oggi i collaboratori perché ovviamente non avrebbero copertura e perché abbiamo copertura non basta che arrivi questa lettera come non basta che arrivino due miliardi che adesso siete richiesti di esaminare con la proposta di uno sponsor, ma ci vuole una variazione di bilancio. Questo consiglio non è nei tempi tecnici per farla e sarà il prossimo consiglio che farà la variazione di bilancio che metterà il direttore in grado di funzionare al più presto anche con i collaboratori.” (p. 35) Verbali 61esima Riunione del Consiglio direttivo, 24 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35. 20 Egli presenta anche una rosa per la commissione di esperti Carla Accardi, Ida Giannelli, direttrice del Museo di Rivoli, Lars Nittve direttore del museo.. Danimarca, David Ross, direttore del Whitney Museum, Nick Serota, direttore della Tate Gallery (che sono la sua prima scelta e che si sono resi disponibili) e poi abbiamo Bernice Murphy di Sydney e Gjis van Tuyl direttore del Kunstmuseum Wolfsburg in Germania. Rosada aggiunge 3 nomi alla commissione degli esperti Renato Barilli, Enrico Crispolti e Luciano Caramel.. Commissione esperti: Carla Accardi 8, Ida Giannelli 8, Lars Nittve 8, David Antony Ross 9, Nicolas serota 9, Renato Barilli 4, Enrico Crispolti 1. Quindi nominati: Carla Accardi, Ida Giannelli, Lars Nittve, David Anthony Ross e Nicholas Serota con delibera consiliare n. 760 (24 gennaio 1997; Prot. Gen. n. 15) La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 541.
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fine dell’esercizio finanziario ma dovrà anche aprire una causa che durerà circa due anni
per cercare di introitare la promessa di sponsorizzazione. Tutta la fatica di questa
situazione è riassumibile nelle parole del consigliere Rosada: « Voto a favore per l’ennesima
volta in una condizione di necessità perché mi rendo perfettamente conto che se non si
vota non si fa la Biennale. Non è la prima volta che siamo messi in queste condizioni. Vorrei
per lo storico futuro lasciare dentro questo registratore questa dichiarazione ».21
Alla fine del 1996 il consiglio si deve dimettere ma per la riunione dell’inizio di gennaio si
aprono le polemiche, perché se Provincia e Regione hanno fornito la propria rosa di nomi,
il Comune di Venezia tentenna. Il Sindaco Cacciari, infatti, nonostante le pressioni del
Ministro dei Beni Culturali che lo invita a nominare i propri rappresentati,22 cerca di
velocizzare il processo di realizzazione della riforma della Biennale e dichiara « che non
venga fatto un nuovo consiglio con lo statuto vigente »23 che è già in discussione da 3 anni
in Parlamento e di andare incontro al commissariamento, che a parere di Massimo Cacciari,
avrebbe fatto risparmiare anche soldi all’Ente in questo momento di difficoltà 24
considerando anche le nuove disposizioni della legge finanziaria in termini di tassazione.25
Alla fine di gennaio il tira e molla finisce e Cacciari cede e indica le sue proposte,
strappando un impegno da parte del governo di portare a compimento la riforma della
Biennale.
Tra il 31 gennaio e 1 febbraio si svolge l’incontro preparatorio con i Paesi, 26 in
quest’occasione l’assessore alla cultura Gianfranco Mossetto dichiara che questa edizione
della Biennale sarà la prima e l’ultima di un nuovo ciclo. L’ultima di questo consiglio
direttivo e la prima di una nuova Biennale perché « in questi giorni », egli annuncia « il
21 Il Consigliere Bruno Rosada, p. 42, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 541. 22 “Ieri il Ministro dei Beni Culturali ha inviato il comune a nominare i suoi rappresentanti in modo da evitare che si arrivi al commissariamento.” La Biennale contesa in cerca di un consiglio, in “La Nuova Venezia” 15 gennaio 1997, p. 21. 23 Commissariare la Biennale, in “il Gazzettino di Venezia”, 24 gennaio 1997, pp. 1-3. 24 “Avrei preferito un commissariamento breve senza spreco di soldi” Cacciari deve rifare le nomine in “La Nuova Venezia”, 30 gennaio 1997. 25 Questo consiglio direttivo si apre sotto mille difficoltà che vengono relazionate dal Presidente: “Comincio con le mie comunicazioni, soprattutto la prima è estremamente negativa. Sulla Gazzetta Ufficiale è stata pubblicata la legge finanziaria dalla quale si evince che gli enti pubblici come la Biennale sono tassati del 20% da parte dello stato. Il 20% vuol dire che noi abbiamo 10 miliardi complessivi divisi tra presidenza del Consiglio, dipartimento spettacolo e Beni Culturali, da questi dieci miliardi ci viene tolto già il 5% che sono 550 milioni, più questo 20% ce sono 2.440.000.000 – vale a dire che noi rimaniamo, tenendo conto che 5 miliardi sono per le spese del personale, con una disponibilità per l’anno di 560 milioni, la qual cosa, essendo di estrema gravità, mi ha indotto a telefonare subito, non appena presa conoscenza della Gazzetta Ufficiale, sia al ministro Paolucci, sia al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carsia, sia a D’Addio e poi per ulteriori informazioni ho chiesto a Martelli he si rivolgesse al capo del gabinetto del ministro del tesoro, il nostro amico Lamanda. Trovate tutte le lettere”, (p.3) Verbali 48esima Riunione del Consiglio direttivo, 26 gennaio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali Consiglio direttivo”, busta n. reg. 35. 26 Primo Incontro Preparatorio per la XLVII Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia 1997. Hotel Bauer, 31 gennaio – 1 febbraio 1997.
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221
Parlamento Italiano sta discutendo intorno ad una legge che la riformerà », anche se in
realtà sarà necessario ancora tutto un anno solare prima che la riforma si concretizzi.27
Febbraio è un mese difficile per la Biennale perché contestualmente alle procedure per
l’elezione di un nuovo consiglio che traghetti la Biennale verso la Riforma e alle poche
risorse disponibili, si aggiunge la crisi politica, che preoccupa per il conseguente arresto
nell’erogazione dei finanziamenti, infatti, Rondi commenta così: « Se si va alle elezioni, voi
capite che noi, fino a Luglio, una discussione su questo miliardo e mezzo non la potremmo
fare ». Una situazione questa che mette in difficoltà soprattutto la sezione Architettura a
cui i finanziamenti di cui relaziona Rondi erano destinati.28
I lavori per l’organizzazione della 47esima Biennale di Venezia procedono e il 22-23
febbraio si riunisce la commissione esperti29 insieme con Celant con lo scopo di discutere
alcuni dettagli dell’organizzazione. Celant espone la sua proposta di Biennale e raccoglie
un certo consenso in particolare intorno ai nomi che costituiscono il suo nucleo fondativo
della mostra.30 In maniera interessante viene dalla commissione la proposta sia di istituire
premi alla Carriera, che di aumentare i premi per i giovani e soprattutto di eliminare la
specificazione artistica.31 Per quanto si tratti di una piccola innovazione che oggi sembra
essere percepita come normale, in realtà è una novità che segna il cambiamento radicatosi
nella pratica artistica. D’altronde l’edizione precedente aveva vissuto la straniante
situazione di assegnare il premio della scultura a Gary Hill.
La mostra che Celant intende fare, contrariamente a quanto aveva fatto Clair intende
coinvolgere la location delle Corderie. Se in un primo momento Rondi aveva suggerito,
visto il budget ridotto, di tenere fuori questa parte, Celant invece insiste per potere
utilizzare lo spazio. Dopo il consiglio direttivo del 5 marzo, pertanto, dopo aver ricevuto
27 “Biennale il primo si. La commissione cultura del Senato ha approvato la riforma, ora va in aula entro l’estate il via libera finale. Niente più spa” in “la Nuova Venezia”, 9 febbraio 1997, p. 10. 28 La situazione economica nella riunione del 23 febbraio è evidentemente rientrata perché si appronta la pianificazione di architettura. 29 Presenti: Dario Ventimiglia, Anna Maria Porazzini, Paolo Scibelli e Roberto Rosolen e Germano Celant oltre che la collaboratrice esterna Antonella Soldaini per espresso desiderio del curatore. La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 2110. 30 Fra gli artisti che raccolgono il consenso del curatore e degli esperti Laes Oldenburg & Coosje van Bruggen, Roy Lichtenstein, John Baldessari, Michale Heizer, Ellsworth Kelly, Ed Ruscha, Richard Artschwager, Anselm Kiefer, Tony Cragg, Gerhard Richter, Rebecca Horn, Annette Messanger, Rainer Ruthenbeck, Sol LeWitt, Mario Merz, Lucaino Fabro, Maria Nordman, Ann Hamilton, Haim Steinbach, Jeff Koons, Bertrand Lavier, Wolfang Laib, Cabrita Reis Lensland & Bell, Marlene Dumas, Damien Hirst, Robert Longo, Jessica Stockholder, Luc Tuymans, Marco Bagnoli, Gilberto Zorio.” La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep. busta n. 2110. 31 E’ di David Ross la proposta di istituire uno o più premi alla carriera, mentre non si evince dal riassunto dei verbali da chi venga la proposta di eliminare il riferimento alla tipologia artistica applicata nello specifico, Cfr. La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep. Busta n. 2110.; la proposta è approvata nella II Riunione del Consiglio Direttivo: “Il consiglio delibera di istituire questi tre premi alla carriera e di aumentare da uno a tre i premi 2000, di abolire la distinzione della disciplina relativamente ai due premi internazionali alla Biennale di Venezia. Votanti 12, favorevoli 11, contrari 1.” (p. 39) Verbali II Riunione del Consiglio direttivo, 27 marzo 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep. busta n. 2110.
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l’ipotesi di budget generale,32 il curatore rifà i conti cercando di ritagliarsi il 25 % dei costi
per poter realizzare i suoi piani. Contestualmente comunque, insieme al team Ciappi che lo
affianca egli cerca di rimpinguare con sponsorizzazioni i suoi fondi.
L’uso delle Corderie per Celant importante per due ragioni, da un lato, lo spazio incarna
l’impressione di area sacralizzata che egli cerca per le sue opere, dall’altra, i già difficili spazi
del padiglione Italia sono tagliati di una parte, l’ala Pastor, che vengono dedicati agli
uffici.33 Questo significherebbe ridurre la sua mostra e come dichiara a più riprese « Non
intendo fare una mostra “parziale” ».34 Inoltre per Celant non si tratta di fare una mostra per
le Corderie e una per il Padiglione Italia, anzi come ha più volte modo di sottolineare e
come evidenzierà visivamente con l’uso di un particolare tipo di tappeto grigio cercato e
ordinato appositamente,35 la mostra è un continuum.36
Nella riunione del 24 marzo 1997 si presenta per la prima volta il nuovo consiglio
direttivo37 i cui consiglieri, con alcune novità rispetto al consiglio precedente, eleggono il
proprio presidente senza molte esitazioni, Niccolò Miccichè e poi il segretario Generale
Gianfranco Pontel che era stato sovrintendente alla Fenice.38
Le questioni istituzionali sono tutte rimandate alla riunione successiva in cui Celant è
chiamato a presentare in maniera più esaustiva il suo programma soprattutto in rapporto
ai costi.39 L’incertezza legata al cambio di amministrazione e la situazione politica italiana di
32 Il giorno successivo, pertanto, Celant scrive al segretario Generale (cfr. lettera del 7 marzo 1997 Prot. N. 1137/SG) in cui dice di aver ricevuto un’ipotesi di budget generale, di cui però vuole tagliare il 25% in modo da avere la possibilità di disporre di 1.300.000.000 di riserva che dovrebbe intervenire sulle Corderie 33 Documentazione risalente al 17 aprile 1997 (Prot. Gen. 743/SG AI US). Lettera di Gualtiero Seggi con relative mappe che documenta la sistemazione dell’ALA Pastor come uffici. 34 50esima riunione del Consiglio direttivo, 5 marzo 1996. 35 Lettera del 7 Aprile di Celant che chiede un particolare tipo di tappeto che solo la Ruckstuhl di Milano è in grado di fornire (7 Aprile 1997; Prot. N. 1658/97). 36 “Le due sedi sono pari, hanno la stessa moquette, per dire, non c’è differenza, io vado sul linguaggio.” p. 28) Verbali III Riunione del Consiglio direttivo, 2 maggio 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 37 I Riunione Consiglio direttivo, 19 marzo 1997, Presidente pro tempore Massimo Cacciari, Segretario Generale: Raffaello Martelli, Assistente Possamai. Consiglieri: Laura Barbiani, Ranieri Da Mosto, Adriano Donaggio, Anna Maria Giannuzzi Miraglia, Lorenzo Jorio, Wlater Le Moli, Giovanni Meo Zilio, Lino Miccichè, Corrado Perna, Giandomenico Romanelli, Duccio trombadori, Giorgio Van Straten, Angelo Zennaro, Bruno Zino, Giuseppe Maria Pilo, Francesco Gentile. Collegio Sindacale Matteo Masiello (presidente) Paolo Carini, Aldo Saura, Gabriele Busetto, Luigi Scatturin. La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 38 Poi viene eletto Nicolò Miccichè Presidente dell’Ente con 14 voti (p.12); Segretario Generale (pp. 13-14) Gianfranco Pontel, sovrintendente alla Fenice. (1 votazione Paladini 6, Pontel 7, Bianca, 3, Martelli 1; Seconda votazione: Pontel 12, Paladini 4, bianca 1; Commissione per il comitato esecutivo (pp.15-16) ; Iorio 11, Gentile 4, Zennaro 8, Miraglia 8, Pilo 3, Romanelli 1, Donaggio 3, Meo Zilio 5, Trombadori 3, Zino 2. La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 39 I consiglieri Laura Barbiani e Anna Maria Miraglia (che erano parte anche del consiglio precedente) puntualizzano, prima Barbiani: ”Il programma del Curatore Celant non è mai stato approvato specificatamente. Quindi siamo nella curiosa situazione di approvare cose che non sappiamo e precisamente le spese e i costi per ogni singola iniziativa” (p.16), poi Miraglia: “Quella volta lo votammo per necessità riservando al futuro consiglio di poter avere delle informazioni più precise. Se non lo avessimo votato perché generico non avrebbe potuto utilizzare il tempo da allora ad oggi per fare gli atti dovuti” (p.16) Verbali I Riunione Consiglio direttivo, 19 marzo 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36.
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crisi politica rendono i lavori di questa edizione, insieme ad un lavoro frenetico condotto
sul filo del rasoio ad una difficoltà a tenere la situazione sotto controllo. Nonostante non vi
sia, rispetto a Clair una continua lamentela presso la stampa, i rapporti fra Celant e i
consiglieri non è pacifico, emblematico a questo proposito rimarrà infatti il suo testo in
catalogo dal titolo “Celant Vs La Biennale”.
Nella riunione del 27 marzo, infatti, egli cerca di tranquillizzare i consiglieri e oltre ad
approfondire la tematica che aveva già presentato, egli sottolinea alcuni aspetti che
possono contenere i costi come la produzione al 98% di opere ex-novo o molto recenti, di
ridurre drasticamente il numero degli artisti, per un totale di 60 tra Padiglione Italia e
Corderie.
Celant d’altronde mostra qualità imprenditoriali da curatore americano per cui strategia
comunicativa e idea curatoriale vanno a braccetto. « ho avuto diverse strategie nel fare
questa lista dei nomi […] ho cercato di spiegarla da un punto di vista teorico e da un punto
di vista metodologico ma è chiaro che mi sono anche posto il problema di cos’è l’universo
delle esposizioni che succedono nell’estate del 1997 ». Dunque egli sottolinea « quindi
chiaramente mi sono posto il problema perché la gente deve venire a Venezia per trovare
delle cose che non sono dalle altre parti », « Sappiamo che Venezia ha un rapporto con
documenta, quindi ho cercato di evitare i nomi di documenta perché [..] l’impatto di
identità della Biennale deve essere di totale ed autonoma ».40
In linea con la strategia comunicativa, di cui era fautrice Catherine David per la documenta,
egli non vuole comunicare tutta la lista degli artisti, per cui anche ai consiglieri comunica a
poco a poco la lista degli artisti.41
Egli cerca inoltre di tenere sotto il suo controllo comunicativo moltissimi aspetti, da una
coerenza grafica del progetto editoriale con il concept della mostra alla distribuzione degli
spazi di servizio per il pubblico « Il problema della comunicazione è uno dei problemi che
la Biennale ha avuto da anni per cui la prima cosa che ci siamo posti è come fare sì che vi
sia una omogeneità. Abbiamo già studiato a livello di grafica, come fare una passerella che
colleghi i giardini alle Corderie. E’ uno dei fatti fondamentali per cui io so, uscendo dai
40 Verbali I Riunione Consiglio direttivo, 19 marzo 1997, pp. 19-20, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 41 “Io ho cercato in questo momento di assicurarmi fondamentalmente grossi calibri […] ma naturalmente non vorrei, visto che documenta non esporrà i nomi fino alla data dell’apertura, bruciare un po’ di segreto e anche questo fa parte della comunicazione, perché documenta nella conferenza stampa ha fatto tre nomi e invece sono duecento” (Verbali I Riunione Consiglio direttivo, 19 marzo 1997, p. 22, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36). In realtà gli artisti che vengono invitati a questa data sono 37, come da deliberazione consiliare n. 40 (30 aprile 1997; Prot. Gen. 166) in La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 3832. Già il 25 marzo 1997 con delibera consiliare n. 16 (25 marzo 1997; Prot. Gen. n. 71) erano stati invitati 21 artisti, Verbali I Riunione Consiglio direttivo, 19 marzo 1997, p. 23, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36.
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Giardini. […] Cercare di attivare l’ingresso che sia un ingresso di servizio. […] Due, quando
esco che ci sia un segno che mi dica dove andare ».42
Forse anche conscio di una “debolezza” nella sua proposta curatoriale, che egli cerca di
sostenere innanzitutto tramite i nomi degli artisti presentati, Celant cerca di sottolineare
alcune novità, fra cui la presentazione di un linguaggio unicamente artistico. Sulla scia
delle polemiche per la mostra realizzata l’anno precedente a Firenze sulla moda e sulle
polemiche per la presenza di Capucci a padiglione Italia nella mostra di Jean Clair, egli
vuole “purificare” da linguaggi spuri la sua proposta.
Egli cerca di proporre una novità all’interno della sua personale genealogia espositiva e
un’opposizione alla documenta, facendo una mostra dedicata unicamente alle arti visive:
« per anni io ho fatto la contaminazione dei linguaggi e questa contaminazione dei
linguaggi è sempre stata una delle parti identità e forse documenta sarà basata sulla
identificazione dei linguaggi e io per la prima volta con un cambio di segno ho detto: no,
oggi si fa solo arte e la Biennale sarà una manifestazione dedicata fondamentalmente solo
al linguaggio dell’arte ».43
L’altra novità che egli introduce è sempre in termini di riduzione, infatti, contrariamente ai
trend affermatisi in questi anni, egli decide di presentare, come d’altronde fanno la
maggior parte dei padiglioni internazionali, di presentare solo tre artisti. Un numero così
basso inoltre non era stato presentato almeno sin dal 1972 quando per la sezione italiana
vennero esposti sette artisti.
Quello che invece continua ad aumentare sono le richieste da parte dei paesi senza
padiglioni di poter esporre. L’ultimo padiglione costruito è quello della Corea inaugurato
nel 1995. Dopo di che non vengono più costruiti padiglioni all’interno dei Giardini,
cionondimeno la questione delle location per i sempre più numerosi partecipanti diventa
pressante. In una lettera presentata al consiglio il 27 marzo, è addirittura il ministro dei
Beni Culturali, Veltroni a perorare la causa di paesi come la Lettonia che cerca uno spazio
espositivo.44
Evidentemente la disgregazione dell’Europa dell’est e la crescita economica di molti paesi
dell’Asia a seguito della globalizzazione pongono una questione geografica ed
internazionale in modo sempre più preponderante. Sono diverse le proposte che vengono
avanzate, fra cui anche la possibilità di costruire padiglioni temporanei all’interno dei
42 Verbali III Riunione del Consiglio direttivo, 2 maggio 1997, p.28, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 43 Ibidem 44 Ad ogni riunione si aggiungono paesi senza padiglioni, viene letta in questa riunione lettera di Veltroni che chiede aiuto per trovare spazio per la Lettonia etc.. i cambiamenti politici dell’Europa portano anche ad avere sempre più paesi che richiedono uno spazio. Verbali II Riunione del Consiglio direttivo, 27 marzo 1997, p. 17, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36.
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Giardini. Celant da parte sua insiste che la Biennale sia presente sul territorio urbano e che
la mostra dei paesi senza padiglione costituisce un’occasione per la Biennale in questo
senso. Tuttavia egli suggerisce a più riprese che i padiglioni si organizzino in spazi da
condividere, in maniera da poter creare centri di aggregazione per evitare che la
disseminazione diventi dispersiva.45
A maggio l’installazione dei lavori procede e il 2 maggio è possibile nominare la giuria
(Klaus Biesenbach, Maurizio Calvesi, Thomas Krens, Suzanne Pagé e Kirk Varnedoe) che
assegnerà i premi e indicare i leoni alla Carriera da assegnare ad Agnes Martin ed Emilio
Vedova,46 che si riscatta in questo modo dell’assenza all’edizione precedente. Oltre ai
premi da assegnare innanzitutto alle opere sono approvati anche una serie di premi
sponsorizzati che assegnano premi in denaro agli artisti o per l’acquisto di opere per la
Biennale. 47
L’apertura della Biennale di Venezia mostra una grandissima affluenza dei primi giorni, e
Miccichè rivolge i suoi apprezzamenti alla riuscita della mostra, egli contrariamente a molti
dei consiglieri48 darà sempre una versione positiva della riuscita, anche nei comunicati
stampa finali,49 sia in termini di affluenza che di attenzione mediatica, in realtà, un
confronto dei dati mostra invece una contrazione in entrambi i sensi.
45 Il 13 maggio 1997 sul Gazzettino di Venezia escono notizie relative al fatto che sia molto difficile accontentare le richieste di tutte le nazioni che vogliono partecipare alla Biennale. Il problema dei paesi senza padiglioni si fa sempre più pressante. Celant aveva proposto nella riunione dei paesi, rivolgendosi a quelli senza padiglione di unirsi e trovare un unico posto insieme in modo da non disperdersi per tutta Venezia. 46 Leoni alla Carriera dati a Agnes Martin e Emilio Vedova (deliberazione consiliare n. 37 (29 aprile 1997; Prot Gen. n. 157) La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 541. 47 Ci sono i tre primi all’opera: Benesse corporation di Okayama Giappone, che ha offerto di corrispondere a una giovane artista partecipante un premio di due milioni di yen e di corrispondere alla Biennale un contributo di tre milioni di yen. Poi c’è il premio della Cassa di Risparmio consistente in un premio acquisto in dollari USA 20.000. Terzo c’è il premio della Illy caffè che propone un importo di 25.000.000- Tutti e tre i premi verranno conferiti dalla giuria internazionale; III Riunione del consiglio direttivo, 2 maggio 1997, p. 449, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 48 “Credo che abbiamo preso tutti atto con viva soddisfazione del successo di pubblico e di stampa della 47esima esposizione. Successo ovviamente non vuol dire assenza di punti critici che invece sono stati assai presenti e dialetticamente contrastanti, vuol dire ampiezza della eco che la manifestazione ha ottenuto e si può dire che tra le tante manifestazioni svoltesi nella storia dell’esposizione questa è non so se quella di maggior successo ma una di quelle che hanno avuto maggiore successo. Gande affluenza di visitatori, 1100 al giorno dopo l’inaugurazione, il che ci fa ben sperare […]; qualche piccolo incidente, uno sponsor troppo chiacchierone […] un mucchio di ossa che hanno ricevuto il leone d’oro che verso il 5° giorno hanno cominciato a emanare un mefitico tanfo, per cui abbiamo dovuto avvertire la leonessa d’oro, che, a partire dal giorno dell’apertura, doveva sostituire le ossa con ossa plastiche perché non si poteva continuare con la puzza. Comunque inaugurazione andata bene visita del ministro abbastanza costruttiva anche perché ho usato un piccolo tranello fargli visitare tra i padiglioni stranieri quello del paese più popoloso al mondo, la Cina, all’ASAC, dove il Ministro ha reso atto con sorpresa delle cose di cui tutti forse avete preso atto con sorpresa a suo tempo, ovvero della dimensione notevole dell’ASAC”(p.3). Questo discorso solleva molte critiche e Miccichè viene tacciato di personalismo (p. 5) Verbali V Riunione del Consiglio direttivo, 27 giugno 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 49 Miccichè cerca di tenere uno sguardo positivo commentando che innanzitutto è straordinario essere riusciti a fare le Arti Visive in un tempo così ridotto e poi che messe a paragone con altre edizioni il risultato finale, se relativizzato, non è un dato negativo (p. 5) “facendo un raffronto tra varie edizioni ma limitatamente alla sede duplice ma continua Giardini-Corderie […] sono tra le cifre più alte della Biennale in proporzione, se raffrontiamo con dati omologhi. […] E’ semmai straordinario che si sia riusciti a questo preparando la 47esima
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Il proseguire del 1997 mostra un interesse spostato soprattutto per la vicenda della riforma
che negli occhi del consiglio direttivo ma soprattutto in quelli del suo presidente Miccichè
che vede nella Biennale un centro propulsore per lo studio delle arti nel novecento. A
questo proposito egli promuovere il progetto Lo scambio delle arti nel Novecento a cui
lavora una commissione.50 Il progetto, che con una prospettiva quadriennale, investe tutte
le pratiche artistiche in ambito Biennale vedrà il suo primo atto proprio a pochi giorni
dall’entrata in vigore del nuovo statuto che instaura una nuova Biennale come Società di
Cultura.
Questa iniziativa di Miccichè si sposa con tutti gli sforzi dei vari presidenti e consiglieri di
rendere la Biennale, un luogo di propulsione culturale. In questa direttiva vanno anche
intesi i primi accordi per la digitalizzazione dell’ASAC51 con il parco scientifico tecnologico
che vedranno poi nel 2003 lo spostamento dell’archivio in quegli spazi.
Quello che la riforma porterà soprattutto sarà un cambiamento nella strutturazione che
intende permettere oltre ad un funzionamento meno dipendente dall’apparato statale,
anche un input culturale diverso tramite la formazione di un comitato scientifico.
Il 1997 si chiude con una situazione che ricalca quella di molti altri anni, bilancio da
ripianare e polemiche interne.
Dopo la chiusura della biennale di Celant, infatti, si registra un disavanzo di 585 milioni di
lire e di fondo ci si sfoga in un’amarezza52 per come la Biennale si sia assestata su un piano
Esposizione in meno di due mesi”) Questa osservazione non è apprezzata da tutti i consiglieri, e in particolare Adriano Donaggio fa sapere “Questa analisi non sembra utile. Mi sembrano fuorvianti queste rassicurazioni perché continuano ad impedire alla Biennale di rendersi conto di un problema reale: la Biennale non ha pubblico. Kassel ha avuto più di 600.000 visitatori.” […] se invece partiamo dal fatto che abbiamo avuto pochi visitatori, forse dobbiamo considerare in una mostra cosa è mancato? La pubblicità? Gli spot? Come possiamo muoverci?.” (p. 7). Inoltre Esce un comunicato stampa che riporta questa lettura positiva che fa il presidente “Un risultato lusinghiero se si considera l’afflusso alle Biennali degli ultimi dieci anni nelle sole sedi espositive dei Gardini e delle Corderie” (comunicato stampa della Biennale del 9 novembre 1997). La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 2131. 50 presieduta da Miccichè stesso con Crispolti, Marotti, Messinis, Portoghesi, Tinazzi, Zannier, nella VIII Riunione del Consiglio Direttivo, 3 settembre 1997, presenta progetto di ricerca “Lo scambio tra le arti del Novecento” in cartella la bozza (se serve poi guardare in materiali) che consiste in una premessa sulla ratio del progetto + 10 proposte. Prospettiva quadriennale. Il progetto investe tutte le pratiche artistiche operative in ambito Biennale dal cinema alla fotografia, al teatro alla musica alle arti all’architettura. Il progetto dovrebbe essere portato a conoscenza dei centri di ricerca, universitari e non, italiani ed europei, per stabilire una rete internazionale di ricerche coordinate che avrebbe l’epicentro nella Biennale ma che sarebbe poi anche decentrata in altre aggregazioni in grado di chiedere ed ottenere finanziamenti sui singoli progetti. Biennale deve essere il fulcro di partenza dell’iniziativa ma non può certo finanziare altro che il primissimo avvio. VIII Riunione del Consiglio Direttivo, 3 settembre 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 36. 51 Viene presentato il memorandum d’intesa sul parco scientifico tecnologico SCRAL VEGA. “Gli scopi del memorandum d’intesa sono: digitalizzazione dell’Asac nuove iniziative della Biennale, programmare l’ampliamento della manifestazione della mostra del cinema in maniera da utilizzare la sezione commerciale, sale cinematografiche di questo progetto.”, IX Riunione del Consiglio direttivo, 16 ottobre 1997., 5f dell’ o.d.g, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 37. 52 Il tentativo di essere positivi di Miccichè in realtà sfoga amaramente sulle pagine dei giornali (esempio su La Nuova Venezia “Un triste bilancio per la Biennale Arte”, 11 novembre 1997) che registrano una diminuzione di pubblico, numero tanto più deludente considerando invece il grande successo di pubblico della documenta x,
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non di miglioramento.53 Inoltre ad esacerbare la situazione c’è uno scontro fra Miccichè e
Donaggio per via di una diversa interpretazione dei fatti. 54
Il presidente Miccichè, facendo un lungo ragionamento sulla situazione finanziaria
dell’ente conclude che l’ente non è in realtà autonomo, perché non è mai stato messo in
condizioni di operare.55
e la diminuzione di giornalisti e della chiusura della biennale con uno sforamento di 585milioni che va quindi pareggiato. IX Riunione del Consiglio direttivo, 16 ottobre 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 37. 53 Ragioni di questo buco nel budget possono essere trovate da una parte nella truffa del centro italiano per la cultura e dall’altra nei costi XI riunione del Consiglio Direttivo, 19 Novembre 1997. Di nuovo trovo in o.d.g. 3.b. “maggiori spese per servizio di allestimento generale delle opere partecipanti alla 47eisma Esposizione Internazionale d’arte nella sede delle corderie dell’Arsenale”, Ibidem. 54 Lo scontro fra Donaggio e Miccichè esplode in seguito alla pubblicazione di un articolo di Adriano Donaggio che commenta negativamente – nonostante il comunicato stampa diramato – la chiusura della Biennale: “Qualche Video rotto, molte sale trascurate, toilette pressoché inservibili, caffetteria deprimente, servizio di guardaroba mai attivato, […]. Cosi si è chiusa […] la 47esima Esposizione Internazionale d’Arte. Quasi cinque mesi di apertura alla ricerca di una risposta del pubblico, da sempre tallone d’Achille dell’Ente Veneziano,. Risultato? Meno di 140mila visitatoti paganti. […] In poche parole, la Biennale ha ridotto la sua audience internazionale nonostante il supporto delle molte partecipazioni nazionali che la sostengono. Il confronto con Kassel è davvero imbarazzante. Non possono essere scaricate sul curatore responsabilità che sono del management o del passato consiglio che solo alla fine del 1996 ha preso la decisione di fare l’Esposizione Internazionale d’Arte. Inutile e improduttivo invocare quale alibi il parastato.[…] Se qualcuno crede che la riforma salverà la Biennale ex opere operato, ha una fede sbagliata”.(Alla Biennale ha fallito il management, in “il Giornale dell’arte”, n. 161, dicembre 1997) A questo articolo Miccichè risponde duramente con una lettera ad Adriano Donaggio (17 Dicembre 1997; Prot. N. 8983/P) de il 14 Dicembre in cui lo redarguisce per la “mascalzonata” soprattutto per i toni usati che vengono anche da una persona che dovrebbe invece essere un capoufficio stampa per la Biennale. 55 Amara considerazione di Miccichè sulla situazione economica della Biennale ma molto istruttiva sulle ragioni delle difficoltà finanziarie di questo ente: “Ho preso atto, che disavanzo a parte, la nostra situazione finanziaria prospettiva per il ’98 non è particolare, cioè non è dovuta alle circostanze di quest’anno, ma è del tutto fisiologica: noi abbiamo, come fondo ordinario soltanto fondi sufficienti a tenere aperti gli uffici senza fare assolutamente nulla, e per tutto ciò invece dovremmo statutariamente fare, siamo costretti a chiedere finanziamenti straordinari. Ho allora cominciato a scrivere una serie di lettere […]. Il ragionamento che domina questi interventi che io ho fatto […] è che noi abbiamo avuti assegnati 10 miliardi nel 1984, che se questi dei miliardi fossero indicizzati dovrebbero essere 25; che non solo non sono stati indicizzati ma sono stati decurtati in due occasioni: prima del 5% e poi del 20 % e che, nel decurtarli, non si è tenuto per nulla conto di una indicazione di legge che invitava i ministri a operare una selezione prioritaria tra istituzioni privilegiando le situazioni internazionali aventi dimensione internazionale. Così la decurtazione è stata applicata indiscriminatamente a tutti gli enti […] con una sola eccezione: Il C.A.I. […] Questo significa non solo che il C.A.I è più importante della Biennale ma l’esenzione è virtualmente possibile. […] Dobbiamo allora partire dalla più ovvia delle conclusioni: la assoluta mancanza di considerazione del potere politico nei confronti della Biennale. Aggiungerò che, mentre diminuivano i nostri contributi statali, diminuivano anche quelli degli enti locali. Mentre la Regione ha continuato a dare i propri 270.000.000. […] fatto sta che, così i nostri 10 miliardi, 11 una volta, si sono ridotti a 7.560.000.000., più circa 380.000.000 dagli enti locali e dalla Regione fino ad arrivare a un totale di 7,9 miliardi. Siamo cioè sotto gli 8 miliardi. Se voi pensate che il costo del personale si aggira, con gli ultimi aumenti, sui 5,4 miliardi, voi capirete che così la biennale non può svolgere nessuna attività; che se la svolge ciò accade soltanto su finanziamento straordinario; che il finanziamento straordinario non è mai preventivamente sicuro e che ciò costringe a tempi organizzativi proibitivi per tutte le manifestazioni; che manifestazioni così organizzate all’ultimissimo momento non consentono una razionale pianificazione degli investimenti e un funzionale controllo dei costi come sarebbe invece giusto. Io sono partito dalla buona fede: ovvero che, forse, all’autorità politica non è chiara la situazione. Allora ho cominciato a rappresentarla con il calore che fa parte del mio temperamento, accettando qualche suggerimento di moderazione del Segretario Generale, ma restando sempre dell’idea che se la Biennale non è un “ente inutile” è però un “ente inutilizzato”. [..] Questo “ente autonomo” non è un “ente” perché non ha i finanziamenti, e non è “autonomo” perché non può deliberare alcune attività.” X Riunione del consiglio direttivo, 31 ottobre 1997, Affari amministrativi: Rifinanziamento della 47esima Esposizione Internazionale d’Arte; bilancio di previsione esercizio finanziario 1998 con Deliberazione consiglio direttivo n. 89 (31 ottobre 1997; Prot. Gen. n. 511) La Biennale di Venezia, ASAC, FS dep., busta n. 3832.
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E’, infatti, in termini quasi stupiti che si esprime Miccichè, commentato l’intervento del
ministro della cultura Veltroni che decide di avvalersi di una legge in vigore da pochi anni
che permetteva in certe situazioni di legiferare in maniera diretta, saltando alcuni passaggi
in parlamento e quindi di procedere tramite un decreto legge.56 In questo modo Il 16
dicembre è possibile comunicare al Consiglio direttivo che il giorno 5 dicembre il consiglio
dei ministri ha approvato un Decreto legge che trasforma la Biennale da Ente autonomo in
Società di Cultura. Il testo, salvo la premessa, è la fotocopia quasi fedele a quello uscito
dalla commissione Cultura della Camera. Seguono ora le procedure necessarie come il
parere del Parlamento entro 30 giorni, l’invio al Presidente della Repubblica e la
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per cui entro 3 mesi, la biennale sarà “nuova”.57
A smorzare i toni sul futuro roseo è però Cacciari che ricorda che la finanziaria non passerà
prima di gennaio 1998, quindi non è ancora possibile ripianare il fondo di dotazione e che i
tempi di passaggio da una gestione all’altra possono portare via fino a sei mesi per cui la
situazione per la prossima Biennale di Arti Visive rimane per la verità inalterata, tempi di
nomina stretti e situazione finanziari assolutamente incerta.58
56 La legge 15 marzo 1997, n. 59, recante Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, nota come Legge Bassanini. 57 Cfr. parole di Miccichè: “Tra questo consiglio e il precedente accade una piccola rivoluzione. […] Dall’ultima volta che ci siamo visti è accaduto un piccolo grande evento, ne trovate traccia nelle vostre cartelle. E’ cioè accaduto un piccolo grande evento: ne trovate traccia nelle vostre cartelle. E’ cioè accaduto che l’on. Veltroni ha deciso di avvalersi della legge Bassanini che delega al governo la possibilità di legiferare per decreto sugli enti pubblici da privatizzare. E il consiglio dei ministri del giorno 5 ha approvato quello che era il DDl che trasformava in “società di cultura” l’ente La Biennale di Venezia”. XII Riunione del Consiglio Direttivo, 16 Dicembre 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 37. 58 Cfr. p. 8, XII Riunione del Consiglio Direttivo, 16 Dicembre 1997, La Biennale di Venezia, ASAC, Fondo Storico, serie “Verbali. Consiglio direttivo”, busta n. reg. 37.
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
CURATORE DELLA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
Germano Celant
COMMISSIONE ESPERTI
Carla AccardiIda GiannelliLars NittveDavid Anthony RossNicholas Serota
ASSISTENTE CURATORE
Antonella Soldaini
COORDINAMENTO PROGET TI
SPECIALI
Piervincenzo Rinaldi
DIRIGENTE AT TIVITÀ ESPOSITIVE E
AT TIVITÀ DI SPET TACOLO
Dario Ventimiglia
DIPARTIMENTO AT TIVITÀ ESPOSITIVE
A. M. Grazia Porazzini (responsabile)Paolo ScibelliRoberto RosolenGianpaolo CimarostiMaria Cristina Cinti
ORGANIZZAZIONE GENERALE
A. M. Grazia Porazzini
MOSTRE PATROCINATE\EVENTI
Paolo ScibelliGianpaolo Cimarosti
FUTURO PRESENTE PASSATO
Roberto RosolenGianpaolo Cimarosti
PARTECIPAZIONI NAZIONALI/ITALIA
Roberto Rosolen
GIURIA
Paolo Scibelli con la collaborazione di Ilaria Gianoli
COLLABORAZIONI
ALL’ORGANIZZAZIONE
Matteo BaglioniGiovanni BianchiLuigi RicciariLuigi SabatinoPatrizia Tocci
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLVII ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
FUTURO PRESENTE PASSATO
15 GIUGNO / 9 NOVEMBRE 1997
SCHEDA GENERALE 1997
ENTE AUTONOMO
LA BIENNALE DI VENEZIA
PERSONALE
PRESIDENTE
Lino Miccichè
CONSIGLIO DIRET TIVO
Massimo Cacciari (Vicepresidente)Laura Barbiani Ranieri Da Mosto Adriano Donaggio Francesco GentileAnna Maria Giannuzzi Mlraglia Lorenzo JorioWalter Le MoliGiovanni Meo ZilioCorrado PernaGiuseppe Maria Pilo Giandomenico Romanelli Duccio TrombadoriGiorgio Van StratenAngelo ZennaroBruno Zino
COLLEGIO SINDACALE
PresidenteMatteo Masiello
Gabriele Busetto (Presidente)Paolo CariniAldo SauraLuigi Scatturin
SEGRETARIO GENERALE
Gainfranco Ponte
AFFARI AMMINISTRATIVI
Dirigente superioreAngelo Bagnato
REPARTO CONTABILITÀ FINANZIARIA,
BILANCIO E CONTROLLO DI GESTIONE
Daniela venturiniBruna GabbiatoGiorgio VergombelloLeandro Zennaro
REPARTO SERVIZI AMMINISTRATIVI
E PATRIMONIALI
Debora RossiGiuseppe SirneoniMauro FiorenzatoGabriella GavagninReparto gestione economica
AFFARI GENERALI E ISTITUZIONALI
DirigenteGualtiero Seggi
AFFARI GENERALI
Funzionario capo Donato Mendolia
Umberto Volpe Daniela Barcaro Maria Cristina Lion Antonia Possamai Andrea BernardiNicola ScolaroMichela BoscoloAngelo Levi
REPARTO
GESTIONE DEL PERSONALE
Sandro VettorCarla MariottoGraziano Carrer
REPARTO ORGANIZZAZIONE
E SUPPORTO AT TIVITÀ
Giuseppa MaugeriMarina BertaggiaMaria Pia Biscosi Roberto ChiaAldo Roberto Beltrame Mauro Momenté
ATTIVITÀ D'ISTITUTO
DirigenteDario Ventimiglia
DIPARTIMENTO ATTIVITÀ ESPOSITIVE
Funzionario capoAnna Maria Porazzini
Paolo ScibelliRoberto RosolenGianpaolo CimarostiMaria Cristina Cinti
DIPARTIMENTO ATTIVITÀ DI
SPETTACOLO
Angelo BacciAlfredo ZanollaClaudio TesserSilvia MenegazziRita Musacco
ARCHIVIO STORICO DELLE ARTI
CONTEMPORANEE
Dirigente reggenteGabriella Cecchini
REPARTO SERVIZI GENERALI
DELLA SEDE
Giovanni Maccarrone Margherita Mesirca Erica De Luigi Maurizio Urso
REPARTO SETTORI DISCIPLINARI
E ATTIVITÀ PERMANENTI
Anna ClautMichela StancescuDaniela PersiAdriana Rosaria Scalise
REPARTO CATALOGAZIONE
E CONSERVAZIONE
Funzionario CapoOsvaldo De Nunzio
Daniela DucceschiGiovanni Alberti Roberto Conte Michele Mangione Maddalena Pietragnoli Pierluigi Varisco
REPARTO LABORATORI
E SERVIZI AUTOMAZIONE
Giorgio Zucchiatti Lucio Ramelli
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
MAPPA SEDI ESPOSITIVE
DE LA 47. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
Antichi Granaidelle Zitelle
Circolodell’arsenale
Corderiedell’arsenale
Esternodei Giardini
FondazioneUgo e Olga Levi
Palazzo Giustinian Lolin
MuseoCorrer
Palazzo Papadopoli
Palazzo Fortuny
Fondazione Bevilacqua La Masa
Ateneodi San Basso
Scuola SantaApollonia
Berengo Fine Arts
Cà Cornerdella Regina
ChiesaSan Stae
TeatroFondamenta
Nuove
Scuola GrandeSan Giovanni
Evangelista
CampoSanta
Margherita
PalazzoAlbrizzi
Chiostri Convento
San Francesco della Vigna
Istituto Ellenico
Giardinidi Castello Isola
di SanLazzaro
SanZenobio
Cinema Arsenale
Fondazione Querini Stampalia
Palazzo delle Prigioni
GalleriaNuova
Icona
LISTA SEDI DELLE
MOSTRE DE LA BIENNALE
mostre patrocinate: Marghera, Villa Pisani Stra, Ex Macello a DoloLISTA SEDI MOSTRE PATROCINATE
DA LA BIENNALE DI VENEZIA:
LISTA SEDI DELLE MOSTRE DELLE
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
FUORI CARTINA:
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
Palazzo Vendramin
San Gregorio Art Gallery
MOSTRA BIENNALE 1997
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
FUTURO PRESENTE PASSATO
Sede: Giardini di Castello (Padiglione Centrale) e Corderie dell’Arsenale
Curatore: Germano Celant
Assistente curatore (relazioni con gli artisti): Antonella Soldaini
Curatori associati: Nancy Spector, Vincente Todoli, Giorgio Verzotti
Futuro Presente Passato è la mostra unica della Biennale. L’esposizione è divisa nelle due location del Padiglione centrale e delle Corderie dell’Arsenale. La mostra abolisce l’uso di un tema per la mostra e propone una lettura temporale della produ-zione artistica contemporanea. Celant invita a presentare lavori recenti circa 60 artisti di tre generazioni diverse, testimoni del trentennio ’67-’97.
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
20. REPUBBLICA CECA
Commissario Olga Malá Commissario aggiunto Alena PomajzlováArtista Ivan Kafka
REPUBBLICA SLOVACCA
Commissario Mária HorváthováArtista Ondrej Rudavský
21. FRANCIA
Commissario Guy Tortosa Artista Fabrice Hybert
22. GRAN BRETAGNA
Commissario Andrea RoseCommissari aggiunti Anna Gallagher, Brendan GriggsArtista Rachel Whiteread
23. CANADA
Commissario Loretta YarlowArtista Rodney Graham
24. GERMANIA
Commissario Gudrun Inboden Commissari aggiunti Niklas Führer, Adreina ForieriArtisti Gerhard Merz, Katharina Sieverding
25. GIAPPONE
Commissario Fumjo NanjoCommissari aggiunti Masanobu Ito, Shûji TakatoriArtista Rei Naito
14. GRECIA
Commissari Efi StrousaArtista Dimitri Alithinos, Stephen Antonakos, Alexandros Psychoulis, Totsikas
15. ISRAELE
Commissario Sara Breitberg- Semel Artista Yossi Breger, Sigalit Landau, Miriam Cabessa
16. STATI UNITI D’AMERICA
Commissario Miriam RobertsArtista Miriam Roberts
17. PAESI NORDICI
FINLANDIACoordinatore Jon- Ove Steihaug
NORVEGIACommissario Timo Valjakka
SVEZIAcommissario Marith Hopeartista Mark Dion, Henrik Håkansson, Mariko Mori, Sven Påhlsson, Marianna Uutinen
18. URUGUAY
Commissario Clever LaraArtista Nelson Ramos
19. AUSTRALIA
Commissario Michael Lynch Commissario aggiunto Sue- Anne Wallace Curatori Brenda L. Croft, Victoria Lynn, Hetti PerkinsArtista Emily Kame Kngwarreye, Yvonne Koolmatrie, Judy Watson
ITALIA
Dall’ItaliaProgetto: Germano CelantAr tisti : Enzo Cucchi, Ettore Spalletti , Maurizio Cattelan
1. SPAGNA
Commissario Victoria CombalíaArtisti Joan Brossa, Carmen Calvo
2. BELGIO
Commissario Catherine De ZegherArtista Thierry De Cordier
3. OLANDA
Commissario Leontine Coelewij, Arno Van Roosmalen Artista Aernout Mik, Willem Oorebeek
4.non utilizzato
5. ISLANDA
Commissario Bera Nordal; commissario aggiunto ÓlafsdóttirArtisti Steina Vasulka
6. UNGHERIA
Commissario Katalin Néray; commissario aggiunto Anna BálványosArtisti Róza El- Hassan, Judit Hersko, Éva Köves
7. BRASILE
Commissari Jiulio Landmann; commissario aggiunto Jens Olesen; curatore Paulo HerkenhoffArtisti Waltercio Caldas, Jac Leirner
8. AUSTRIA
Commissario Peter WeibelArtisti Die Wiener Gruppe (Friedrich Achleitner, Hans Carl Artmann, Konrad Bayer, Gerhard Rühm, Oswald Wiener)
9. REPUBBLICA FEDERA-LE DI JUGOSLAVIA
Commissario Branislav SekulićArtista Vojo Stanić
10. EGITTO
Commissario Abdel Hafeez FarghaliArtista Ali Ahmed Al- Ghoul
11. non utilizzato
12. POLONIA
Commissario Jan Stanislaw Wojciechowski; commissario aggiunto Hanna Wróblewska; curatore Anda RottenbergArtista Zofia Kulik
13. ROMANIA
Commissario Artista
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
*PAESI SENZA PADIGLIONE
ARGENTINA
Commissario Jorge GlusbergArtistI Gustavo López Armentía, Ana Eckell, Daniel García
CROAZIA
Commissario Berislav ValušekArtisti Dalibor Martinis
IRLANDA
Commissario Fiach Mac ConghailArtisti Jaki Irvine, Alastair Mac Lennan
LUSSEMBURGO
Commissario Lucien Kayser Artista Luc Wolff
PORTOGALLO
Coommissario Alexandre Melo Artista Julião Sarmento
REPUBBLICA DI ARMENIA
Commissario Grigorian AnelkaArtisti Sonia Balassanian, Atom Egoyan, Arman Grigorian, Azat Sarkissian, Stepan Veranian
REPUBBLICA DI CIPRO
Commissario Eleni Nikitas Artisti Nikos Charalambidis, Savvas Chistodoulides, Lefteris Olympios, Theodoulos
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
25. bis REPUBBLICA DI COREA
Commissario Kwang- su OhCommissario aggiunto Doo- hyun ParkArtisti Hyung- woo Lee, Ik- Joong Kang
26. RUSSIA
Commissario Konstantin Bokhorov Curatore Yuri NikichArtisti Maxim Kantor
26. REPUBBLICA DI GEORGIA
Commissario Tea Chkuaseli Commissario onorario Hans J. BaumgartArtista Gia Edzgveradze
27. VENEZUELA
Commissario Carlos SilvaCommissario aggiunto Anunciata Fraino Artisti Roberto Obregón, Rolando Peña
28. SVIZZERA
Commissario Urs Staub Commissario aggiunto Pierre- André LienhardArtisti Helmut Federle, Urs Frei
29. Padiglione del libro
30. DANIMARCA
Commissario Lene BurkardtArtisti Kirsten Ortwed
REPUBBLICA DI ESTONIA
Commissario ITamara LuukCommissario aggiunto Paivi Tirkkonen De GrandisCoordinatore Paolo De GrandisComitato Selezionatore Presidente Leonhard Lapin, vicepresidente Urve Kuttner, Eha Komissarov, Andres Tali, Leo Rohlin, Hannes Starkopf, Juri ArrakArtisti Siim- Tanel Annus, Raoul Kurvitz, Jaan Toomik
REPUBBLICA DI LETTONIA
Commissario Enzo Rossi- RòissArtista Lolita Timofeeva
REPUBBLICA DI MACEDONIA
Commissario ZDragan BosnakoskiCommissario aggiunto Enzo Di Martino Cordinatore Paolo De Grandis Artista Aneta Svetieva
REPUBBLICA DI SLOVENIA
Commissario Zdenka BadovinacCommissario aggiunto Igor Zabel Artista Jože Barši
REPUBBLICA POPOLARE CINESE
Commissari Sun Weimin, Giovanni IovaneArtistI Chen Yifei, Sun Weimin, Wan Jiyuan, Ghao Ge, Hu Jiancheng, Weng Yuping, Shen Ling, Hong Ling, Liu Gang, Yuan Yunsheng, Xie Dongming, Liu Xiaodong, Yu Hong
ROMANIA
Commissario Dan HaulicaCommissari aggiunti Coriolan Babeti, Adrian GutaArtisti Ion Bitzan, Teodor Graur, Ion Grigorescu, Iosif Kiraly, Valeriu Mladin, Gheorghe Rasovszky, Sorin Vreme
TAIWAN
Commissario Lin Mun- LeeCommissario aggiunto Paolo De GrandisArtisti Chen Chien- Pei, Lee Ming- Tse, Wang Jun- Jieh, Wu Tien- Chang, Yao Jui- Chung
ISTITUTO ITALO-LATINO AMERICANO
Commissario Bernardino Osio Commissario aggiunto Alessandra Bonanni ArtistiBolivia Sol Mateo Cile Carlos AltamiranoCosta Rica Miguel HernándezCuba Juan Roberto Diago DurruthyEcuador Manuel CholangoEl Salvador O. René Chacón, Luis Paredes Trigueros Guatemala Doris Contreras, Isabel RuizMessico Francisco Toledo Panama Manuel Ortega, Aristides Ureña RamosParaguay Mónica González, Fátima Martini, Marité ZaldívarPerù Jorge Piqueras, Joaquín Roca- ReyRepubblica Dominicana Dionisio Blanco
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
ARTISI PER SARAJEVOSede: Fondazione Scientifica Querini StampaliaCuratore Chiara Bertola
CLUB MEDIASede: Teatro Fondamenta Nuovea cura di Adelina von FürstenbergCuratore Thomas Büsch, Jörg Starke
DEPOSITION-SWEDISH CONTEMPORARY ART IN VENICESede: Cinema ArsenaleCuratore Bo Nilsson
EUROPARTE – 5 GIOVANI PROPOSTE PER LA BEVILACQUA LA MASASede: Galleria Fondazione Bevilacqua La MasaCoordinatore Andrea PagnesComitato Rudi Fuchs, Rebecca Horn, Viktor Misiano, Tierry Ollat, Jonathan Watkins
GORGONA GORGONESCO GORGONICOSede: Villa Pisani, Stra (Venezia), ex Macello, Dolo (Venezia)Curatore Marija GattinCoordinatore Boris Brollo
ILLUMINATIONSede: Circolo sottufficiali della Marina Militare Ca’ di Dio, Ca’ TronCuratore Markku Valkonen
INTERSECANDO….SISede: Chiostro di San Francesco della VignaCoordinamento Sue Kim
ANSELM KIEFER HIMMEL ERDESede: Museo CorrerCoordinatori Germano Celant, Giandomenico Romanelli
BERNHARD KREMSERSede: Associazione Culturale Italo- tedesca Palazzo AlbrizziCuratore Nevia Pizzul Capello
METAMORPHOSIS: CONTEMPORARY AUSTRALIAN ABORIGINAL PHOTOGRAPHY AND SCULPTURESede: Palazzo Papadopoli (Coccina Tiepolo)Curatore Gabrielle Pizzi
MODERNITIES & MEMORIES: RECENTE WORKS FROM THE ISLAMIC WORLDSede: Zenobio Institute, Rio Terà FoscariniCuratori Brahim Alaoui, Pia Alisajahbana, Suhail Bisharat, Clifford Chanin, Salima Hashmi, Salah Hassan, Hasan- Uddin Khan, Beral Madra, Toeti Heraty, Noerhadi, A. D. PirousCoordinamento Hasan- Uddin Khan
L’OFFICINA DEL CONTEMPORANEO VENEZIA ’50-‘60Sede: Palazzo FortunyCuratore Luca Massimo BarberoCoordinamento scientifico Germano Celant, Giandomenico Romanelli
DENNIS OPPENHEIM Sede: Marghera, capannone Pilkington S. I. V.Coordinamento scientifico Germano Celant, Giandomenico RomanelliCoordinamento Sandro Mescola
SEGMENTATION MULTIPLICATION: THREE TAIWANESE ARTISTSSede: Scuola Grande, San Giovanni Evangelista, Sala BadoerCuratori Yang Wen- i, Enrico Pedrini
VENEZIA MARGHERA FOTOGRAFIA E TRASFORMAZIONI NELLA CITTÀ CONTEMPORANEASede: Marghera, Capannone S. I. V.Curatore Paolo CostantiniCoordinamento scientifico Germano Celant, Giandomenico RomanelliCoordinamento Sandro Mescola VENEZIA POESIASede: Campo Santa Margherita, Luoghi Vari, Venezia e MestreDirettore Nanni Balestrini
MOSTRE PATROCINATE
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
GIURIA
INTERNAZIONALE
Klaus BiesenbachMaurizio Calvesi
Thomas KrensSuzanne Pagé Kirk Varnedoe
PREMIAZIONI
IN OCCASIONE DELLA XLVII ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE SONO STATI ASSEGNATI I SEGUENTI
PREMI UFFICIALI
LEONI D’ORO ALL’OPERA assegnati a due Maestri viventi dell'arte contemporanea:AGNES MARTIN ed EMILIO VEDOVA
PREMI INTERNAZIONALI LA BIENNALE DI VENEZIA, assegnati a due artisti viventi partecipanti a qualsiasi titolo alla XLVII esposizione internazionale d'Arte:
MARINA ABRAMOVICper un'artista che sta rinnovando la sua opera, per la quale si è già affermata nel corso degli ultimi venticinque anni, trasformandola in un approccio molto contemporaneo e innovativo alla performance art
GERHARD RICHTER per l'artista al contempo più esperto e più giovane, che lascia un'impronta definitiva nella pittura del XX secolonte in un Leone d'oro, per la scultura a:
PREMIO DEI PAESI, assegnato al padiglione che presenta la migliore partecipazione nazionale:FRANCIAper una nuova concezione del padiglione non più visto come opera finita, ma come apertura verso l'esterno che travalica il mondo dell'arte
PREMIO DUEMILA assegnati a tre giovani artisti (di età non superiore ai 40 anni) presenti a qualsiasi titolo alla XLVII Esposizione Internazionale d'Arte
DOUGLAS GORDONper un lavoro la cui straordinaria efficacia emotiva si basa sull'estrema economia dei mezzi ed esige un nuovo atteggiamento da parte del pubblico
PIPILOTTI RISTper la grande padronanza del materiale audiovisivo impiegato nell'espressione di una nuovissima sensibilità che coniuga la forza dell'immagine all'ironia e a una grande potenza emotiva
RACHEL WHITEREADper un'opera basata sulla memoria che ha già raggiunto un livello formale classico
QUATTRO MENZIONI D’ONORE
THIERRY DE CORDIERper la sua opera molto singolare fra habitat e scultura, radicata in materiali primitivi in cui ritrova la magica forza originaria
MARIE-ANNE GUILLEMINOTper l'artista che instaura un nuovo rapporto con il pubblico, che coinvolge nella realizzazione stessa dell'opera in una riscoperta molto inventiva di oggetti di uso quotidiano
IK-JOON KANGPerchè il sou lavoro è un tentativo originale di creare un'enciclopedia di diverse immagini dipinte che perdono e acquistano importanza in virtù della quantità in cui sono presentate
MARIKO MORIper la sua estrema abilità nel passare dal reale all'artificio, e nell'utilizzare le forme più nuove di comunicazione per reinventare un nuovo mondo immaginario
ALTRI PREMI ASSEGNATI IN OCCASIONE DELLA XLVII BIENNALE
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA. Premio acquisto di 20.000 dollari assegnato dalla giuria internazionale a un artista partecipante alla XLVII Esposizione, la cui opera sarà acquisita dall'Archivio Storico della Biennale
TOBIAS REHBERGERperchè si infiltra nella percezione dello spettatore con un approccio reale, fittizio, personale, scultoreo
BENESSE CORPORATION DI OKAYAMA, GIAPPONE. Premio di 2.000.000 di yen a un giovane artista della 47 Esposizione che "allarghi la possibilità di nuove forme di espressione"
ALEXANDROS PSYCHOULIS rappresentando una scoperta per la giuria, il giovane artista greco ha creato un chiaro spazio in cui si incontrano il suo personale vocabolario e l'immaginazione del pubblico
Illycaffé DI TRIESTE, premio di lire 25.000.000 per un premio assegnato a un giovane artista partecipante alla 47 Esposizione
SAM TAYLOR-WOODperchè ottiene effetti emotivi con messi essenziali
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
LA BIENNALE DI VENEZIA. XLVII ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE. CATALOGO GENERALE
A cura di Germano Celant
AUTORI:
Barbero Luca Massimo, Bonito Oliva Achille, Celant Germano, Khan Hasan-Uddin, Pizzi Gabrielle, Spector Nancy, Strohmaier Eckart, Todoli Vicente, Valkonen Markku, Verzotti Giorgio
736 pagine24 x29 cm
brossura Illustrazioni a colori e B/N
CATALOGO GENERALE
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLV ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
CATALOGO - FUTURO PRESENTE PASSATO
15 GIUGNO / 9 NOVEMBRE 1997
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1997
LA BIENNALE DI VENEZIA. XLVII ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE. FUTURO PRESENTE PASSATO.
AUTORI:
Boatto Alberto, Ammann Jean-Christophe, Basualdo Carlos, Bokhorov Constantin, Bonami Francesco, Bos Saskia, Bourriaud Nicolas, Brett Guy, Brison Norman, Brock Bazon, Calvesi Maurizio, Carboni Massimo, Celant Germano, Coen Ester, Denizot René, Enwezor Okwui, Fisher Jean, Hanhardt John G., Hulten Pontus, Lauf Cornelia, Lingwood James, Martin Jean-Hubert, McEvilley Thomas, Melo Alexandre, Misiano Victor, Monk Philip, Murphy Bernice, Obrist Hans-Ulrich, Pasini Francesca, Perniola Mario, Rogozinski Luciana, Rosenblum Robert, Schmidt-Wulffen Stephan, Schwabsky Barry, Soutif Daniel, Spector Nancy, Storr Robert, Tazzi Pier Luigi, Tomic Biljana, Verzotti Giorgio, Vettese Angela, Von Graevenitz Antje, Zevi Adachiara
592 pagine24 x29 cm
brossura Illustrazioni a colori e B/N
italiano/inglese
FUTURO PRESENTE PASSATO
GUIDA A LA BIENNALE DI VENEZIA. XLVII ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE.
A cura del Reparto Pubblicità e Pubbliche Relazioni dell’Ufficio Stampa della Biennale.
Eugenia Fiorin (responsabile) Maria Angela GermanottaPaolo Lughi
103 pagine21 x 28 cm
brossura Illustrazioni a colori e B/N
italiano/inglese
GUIDA
COLOPHON
XLVll MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE
Catalogo a cura diGermano Celantcon lo collaborozione diAntonella Soldainie delDipartimento Attività EspositiveAM. Grazia PorazziniPaolo ScibelliRoberto RosolenPaolo Cimarostie di:Matteo BaglioniPatrizia Toccidell'Ufficio Attività Editoriali ASACGiovanni Albertie di:Alberto Prandi
Electa, Elemond Editori AssociatiRealizzazione del catalogo
RedazioneRosanna AlbertiFrancesca Barzazi
TraduttoriIvor Neil Cowa1dAlessandra CaberlottoGianandrea FasanAlvise RavennaStephen Sartarelli
lmpaginazione graficaGuido Sacchetto
Coordinamento esecutivoStefano Cecchetto
Messa in paginaSistema s.n.c., Marcon
FotocomposizioneCompuService, Venezia
FotolitoLa Fotomeccanica, Padova
Stam paElemond Spa, Martellago
FUTURO PRESENTE PASSATO
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
GIARDINI
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
Viale dei Giardini
Damien Buren, Diagonale pour 30 tilleuls, 1997
All’entrata dei Giardini, vicino alla biglietteria, i visitatori sono accolti dalla bianca scultura geometrica di cemento armato a forma di ziqqurat di Sol LeWitt. Mentre il viale di accesso al padiglione Italia è segnato dall’opera Diagonale pour 30 tilleuls, 1997, di Daniel Buren, in cui l’artista circonda i tronchi degli alberi che costeggiano il viale di cubi di legno a strisce rosse e bianche.
PADIGLIONE ITALIA
Giulio Paolini, naturalmente avverso alle grandi rassegne internazionali, decide di partecipare purchè gli venga concesso di “restare fuori”. Paolini articola con quadrati trasparenti la superficie e disegna un’immagine di un uomo in volo vestito in frac a puntare il centro dell’ingresso, mentre perde nel volo il proprio cilindro.
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PADIGLIONECENTRALE
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
Agnes Martin, veduta installazione
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
Claes Oldenburg e Coise Van Bruggen,Valentine Perfume, 1997
Mario Merz, veduta dell’installazione, di fronte e dal soppalco
Le prime sale del padiglione Italia presentano due grandi installazioni. La prima che occupa l’esedra d’ingresso è una grande scultura di Claes Oldenburg e Coise Van Bruggen, Valentine Perfume. La seconda si dispiega negli spazi del salone centrale, il più grande di tutto il padiglione Italia, è opera di un solo artista Mario Merz. L’opera è costituita da quattro tipologie di igloo realizzate con materiali diversi come il ferro, vetro, alluminio, pietre e neon. L’ingombro della sala è totale, creando quindi una situazione ambientale in cui gli igloo sono totalmente percorribili dai visitatori.
Emilio Vedova, veduta installazione
E’ dedicata ai due artisti insigniti del Leone d’Oro alla Carriera, Agnes Martin ed Emilio Vedova la sala del soppalco. La stanza è divisa in due parti in modo da isolare i due grandi maestri che incarnano due modi radicalmente diversi di dipingere.
PADIGLIONE CENTRALE
Ed Rusha, veduta installazione
Anselm Kiefer, Dein und mein Alter und das Alter der Welt, 1997
Immediatamente alle spalle del soppalco si colloca la stanza di Ed Rusha. L’artista parte dall’idea che lo spazio assegnatogli serve “per far rumore”, così presenta scritte a caratteri cubitali The Long Wait (1995), Here and Now (1997), Slave/Master Complex, It’s Payback Time (1997), This Is No Joke I’m After you Stupid Punk (1997), Be Cautious Else We Be Banging On You (1997), A Columbian Necklace for You (1997).
Oltre al padiglione Italia, Kiefer ha anche una mostra monografica allestita al Museo Correr che ripercorreva le diverse fasi della sua attività artistica sino agli anni ’90 a partire dalle prime opere della fine degli anni sessanta.Al padiglione Italia presenta l’imponente piramide Dein und Alter und Alter der Welt (1997) in cui la pittura si mescola alla sabbia e alla terracotta producendo effetti ruvidi e disgregando l’unità di una superficie.
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PADIGLIONE CENTRALE
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
Tony Cragg, veduta installazione
Due sculture di Tony Cragg, appena arrivate e tolte dall’imballaggio
Roy Lichtenestein, House, 1997
Nella stanza successiva a Kiefer, Tony Cragg presenta sculture biomorfe, alcune realizzate semplicemente con dei dadi da gioco come Secretions (1997), che perdendo la loro funzione originaria e si trasformano in forme misteriose.Seguendo il percorso si arriva nella stanza di Roy Lichtenstein. L’artista presenta una delle sue ultime opere House una piatta casetta che sembra tridimensionale. Egli tra l’altro non vedrà la fine di questa Biennale perché muore nel settembre del 1997.
PADIGLIONE CENTRALE
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
Gerhard Richter ,Abstraktes Bild, 1997
La sala di Gilberto Zorio viene molto apprezzata dalla critica: La casa del cinghiale (1997), due sculture in pelle di maiale che si gonfiavano e si animavano attraverso il suono e il movimento nello spazio per afflosciarsi di nuovo al termine del percorso e poi si rigonfiavano. La sala successiva invece è assegnata a Gerhard Richter che presenta una serie di recenti tele dal titolo Abstraktes Bild, 1997.
Gerhard Richter, veduta installazione
PADIGLIONE CENTRALE
Gilberto Zorio, La casa del cinghiale, 1997
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE
Michale Heizer, veduta allestimento
Gino De Dominicis, Auronia D.D: a 99 anni in 99 luoghi, 1997
Rappresentante della Land Art, Heizer nella sua sala personale propone Altar (1995) un’installazione costituita da cinque elementi in acciaio eroso saldato, appoggiato su di un basamento – un altare per l’appunto - ricoperto di polvere di ruggine, e Negative Steel Circle (1996) e Negative Steel Square (1996), appesi alle pareti.Procedendo della sala a destra Gino De Dominicis espone la tavola Auronia D.D: a 99 anni in 99 luoghi su cui era dipinto un ermetico volto di donna che introduceva la seconda opera presentata una scultura vitrea a forma di parallelepipedo sospesa nel vuoto in una bacheca. Un’opera piccola ma molto poetica e in una situazione appartata.
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE
James Dine presenta tre pannelli Night and Day, Girls and Plants, tools and Dreams (1996-1997) e cinque del 1997: Ape, Plice, Doctor, Soldier, Me. E poi un’inquietante sfilata di volti scolpiti nel gesso, Big Rolling Noise (1997)In una piccola stanza attigua si dispiega sul muro la serie Waferboard (1996) di Richard Tuttle, realizzata usando compensato e pittura acrilica.
James Dine, Ape, Police, Doctor, Soldier, Me, 1997
Richard Tuttle, Waferboard, 1996
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE
Seguono le stanze di due artiste Rebecca Horn e Annette Messager. La prima presenta una stanza invasa da calcinacci, assi, detriti, tubi da cui provenivano suoni di uno scenario in rovina Sigh Concert from Broken Landscape (1996). Mentre Annette Messager dentro al piccolo spazio assegnatole crea un ambiente invasivo e allo stesso tempo raccolto dove attacca a fili di lana che pendono dal soffitto, una moltitudine di elementi: parole, organi umani di stoffa imbottita a fotografie di membra del corpo.
Rebecca HornSigh Concept from Broken Landscape
1996
Annette Messager, veduta allestimento
LE MOSTRE DE LA XLVII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE
Panamarenko in linea con il fascino dell’artista per i velivoli, presenta un aviatore, Aviator “Pepto Bismo” , con l’equipaggiamento fuori tempo; piccoli motori collegati alle spalle con numerose eliche, che fanno immaginare che l’uomo si possa idealmente alzare in volo come un moderno Icaro. Nella stanza successiva John Baldessari, porta le sue Goya Series (1997), dieci stampe realizzate a getto d’inchiostro con caratteri manoscritti sulla tela. In queste opere Dibbets, associa la fotografia alla scrittura d’arte. Le fotografie rappresentavano oggetti fotografati dall’artista, mentre i titoli, impressi direttamente sotto l’immagine, erano copiati o ispirati ai titoli delle stampe di Goya I disastri della Guerra. In questo modo si creava pertanto un’ambiguità che ampliava il ventaglio semantico dell’immagine. Nelle due piccole sale successive espongono poi Ruthenbeck il quale propone su due pareti parallele due specchi, ciascuno dei quali attraversato da una lamina che si incrociava con quella opposta, (Endlose Uberkreuzing Schwarz-Weib auf zwei Spiegeln I, 1995,) e Artschwager con tre opere The Gleaners (1996), D.M.B.R.T.W. and Potato (1997), Untitled (Splatter desk, chair, typewriter), (1997).
Panamarenko, Aviator “Pepto Bismo”, 1996
Jan Dibbets, veduta allestimento
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SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE
Jan Dibbets propone un lavoro (Venice, one space four windows) in linea con la sua produzione degli anni novanta in cui egli presentava in spazi espositivi immagini fotografiche di fotografie sagomate di finestre, aprendo così lo spazio su vedute esterne.Teli stesi dai soffitti del padiglioni accolgono il visitatore nella stanza di Luciano Fabbro che presenta Questa è la vita, è la storia, è la morale (1995), una tela tagliata nel modo in cui Lawrence Sterne descrive la vita di Tristan Shandy, disegnando una serie di curve geometriche. Sopra questa tela Fabbro ne mette un’altra distesa che rappresenta il cielo australe.Maria Nordman presenta l’installazione The New City Potentially Finding its Base at the Level f Personal Eye Level, 1997 composta di sei pannelli scorrevoli in vetro colorato, legno e acciaio. Durante i giorni della vernice, l’artista accoglieva i visitatori offrendo loro un plastico bianco simboleggiante il frammento ideale che in ogni città ognuno riconosce come proprio.
Jan Dibbets, particolare installazione
Luciano Fabbro ,Questa è la vita, è la storia, è la morale, 1995
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SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE
Collocata nel seminterrato del padiglione Italia la performance di Marina Abramovic Balkan Baroque durò tutti i giorni della Vernice. L’artista, con vesti di cotone bianco e capelli sciolti, puliva ossa di bovino, cantando una canzone funebre. Le ossa venivano pulite con una spazzola di ferro per tutte le ore della manifestazione. Le ossa erano ammucchiate e lei progressivamente si sporcava anche perché usava l’acqua come in un lavaggio purificatorio ed un una sorta di rito espiatorio. La performance era accompagnata da un’installazione di tre schermi su cui venivano mostrati i volti del padre e della madre, mentre nel video al centro la stessa Abramovic, con un camice bianco spiegava la storia della creazione dei “ratti-lupo”. A questa succedeva un video dell’artista che, vestita di nero con una sciarpa rossa, ballava sfrenatamente sulle note di una musica balcanica. A queste note il padre alzava una rivoltella verso la tempia e la madre si copriva gli occhi con le mani. L’opera, che gli valse un leone d’oro, racconta dei barocchissimi della propria terra, della mescolanza (sua madre era serba, mentre suo padre montenegrino) di etnie che hanno portato la ex-Yogoslavia in una guerra sanguinaria e fratricida.
Marina Abramvic, Balkan Barouque, un momento della perfonrmance
Marina Abramovic, Balkan Baroque, veduta dell’installazione
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SEZIONE II – DISPLAY - 1997
PADIGLIONE CENTRALE, DALL’ITALIA
Cucchi, Spalletti e Cattelan vengono presentati tutti nella stessa stanza, contrariamente a quello che avviene per tutto il resto del padiglione Italia in cui ciascun artista ha una sua stanza in cui viene consacrato e immortalato.Dall’Italia si presenta come un intrecciarsi di opere e l’aspetto generale è molto integrato, come avviene fra il dialogo che si crea fra le opere di Enzo Cucchi, Lupo di Gubbio e di Cortona (1997) e il lampadario di Murano installato da Cattelan; Quest’ul-timo sembra quasi occupare gli spazi lasciati dagli altri.
Ettore Spalletti, Aida
Enzo Cucchi, Lupo, e Maurizio Cattelansenza titolo (lampadario), 1997
Vista dell’allestimento dei piccioni di Maurizio Cattelan
Vista allestimento stanza collettiva
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CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
Le sezioni delle Corderie sono determi-nate dalla divisione dello spazio in aree specifiche in modo da creare ambienti unici senza l’effetto corridoio. Le opere che accolgono i visitatori sono i due enormi teschi di Dinos e Jake Chapman, Ground Zero (1997). Fra la terza e la quarta campata troviamo da una parte: Mariko Mori – presente anche ai padiglioni nordici - con Empty Dream, una gigantesca immagine fotografica composta di sei pannelli ad alta risoluzione, che le guadagna una menzione d’onore. Dall’altra parte Sam Taylor Wood. L’opera, Bad trip (1997) si presenta come un trittico su cui scorrono immagini di un video che appare come una cronaca diretta di un litigio sentimentale in un ristorante. Sullo schermo centrale sono le immagini del ristorante affollato dove si vede la coppia in fondo, la cui conversazione è coperta dai rumori delle altre conversazioni. Sugli altri due schermi, da una parte il volto della donna e dall’altro quello dell’uomo rivelano i particolari delle loro espressioni. Al centro si staglia per quasi tutta l’altezza delle Corderie il Mulino di Andreas Slominski alla cui destra sono le due enormi sfere di 7 metri di diametro ciascuna, gonfiabili bianche e opalescenti opera di Maurizio Mochetti, l’installazione di Langlans&Bell.
Maurizio Mochetti, Gemini, 1997
Andrea Slominski, The Mill of Richard Kluin, 1997
Jane e Dinos Chapman, Ground Zero, 1997, veduta dell’allestimento
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CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
All’inizio della seconda sezione s’incontra la sequenza fotografica di Roni Horn You are in the weather (1994-1996) in cui mostra frontalmente una ragazza immersa in acqua che sembrano uguali. In realtà ci sono dei lievissimi mutamenti che fanno emergere la variabilità delle emozioni con espressioni metereologiche come “cool, sunny, cold”. In mezzo al percorso invade lo spazio il grande Xmas-Caterpillar di Bertrand Lavier.Ai suoi lati da una parte le fotografie dei cactus di Giuseppe Gabellone e dall’altra invece l’opera di Anne Hamilton. In una zona delimitata da un cerchio a terra la Giullemi-ont crea uno spazio di contatto che l’artista chiama Transformation Parlour in cui l’artista, con piccoli gruppi da sei persone alla volta, insegna come trasformare collant o altri elementi in oggetti. Inoltre in mostra anche Chapeau-Vie un cappello che srotolato si trasformava in un abito nero di quasi due metri. A seguire un’altra opera relazionale dell’artista Tobias Rehberger Mutande, slip, reggiseno indossati dai guardiani della mostra Futuro Presente Passato, alla Biennale di Venezia 1997, fatti di tulle elasticizzata, banda elastica e fili colorati, prodotti nelle taglie small, medium e large. I proventi della biancheria intima, disegnata dall’artista e venduta al bookshop, vengono devoluti a beneficio dei malati di Aids. A sinistra la grande installazi-one di Ilya e Emilia Kabakov We were in Kyoto (1997) e sul lato opposto di Tracy Moffat, Scarred for Life (1994), una serie fotografica dell’artista australiana che rappresentano violenze famigliari. A chiudere quest’area la grande opera di Cai Guo Qiang, e la serie di dipinti olio su tela Illegitimate I-V (1997) di Luc Tuymans.
Bertrand Lavier, Xmas-Caterpillar, 1997
Mary Anne Giullemiont, Transformation Parlour, 1997
Illya e Emilia Kabakov, We were in Kyoto, 1997
Cai Guo Quiang, The Dragon has arrived, 1997
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CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1997
Nella successiva area di più ridotte dimensio-ni, campeggiano le grandi croci realizzate in cera e poi dipinte di Robert Longo e di fianco, su una parete in cartongesso, sono esposte le tele Desert Song (1995-97), piene di erotismo e rimandi a culture diverse, di Francesco Clemente.Nella porzione di corderie che segue si apre con i quadri dipinti con polvere di carbone: Stranger in the Village #9 (1997), Stranger in the Village #10 (1997) di Glenn Ligon. Opposto si trova la zona chiusa di Mario Airò, l’installazione Addio e grazie per tutto il pesce (1997). Nei due black boxes adibiti alla proiezione video: da una parte Douglas Gordon che presenta 30 Second Text (1997), un’installazione in cui venivano narrati attraverso illuminazione a parete un testo redatto nel 1905 in cui si parla delle ultime istanti e movimenti di un decapitato. Lo spazio totalmente buio s’illuminava con il testo ogni 30 secondi. Dall’altra Pipilotti Rist con Ever is Over All opera concepita come un dittico. Su uno schermo si alternano in maniera convulsa inquadrature, immagini di un giardino, mentre sullo schermo di sinistra la telecamera segue una giovane donna vestita d’azzurro che porta un fiore rosso in mano mentre passeggia sul marciapiede di una strada di Zurigo e che ad un certo punto comincia ad infrangere i parabrezza delle macchine parcheggiate. Ad aprire la grande porzione di Corderie che si apre subito dopo l’installazione di Franz West e la serie di ritratti fotografici Beaches Portraits (1992-1996) di Reineke Dijkstra.Separate da una parete trasversale le opere di Haim Steinbeck, mentre sulla destra Vanessa Beecroft. In linea con i discorsi intorno alla fragilità del corpo e in particolare delle donne, presenta per i giorni della vernice una performance in cui ragazze, come nelle fotografie di moda, fronteggiano la macchina fotografica e fino allo sfinimento sono costrette a stare in piedi. In mezzo al percorso l’opera di Marco Bagnoli che viene rafforzata spazialmente proprio dalla struttura stessa delle Corderie, infatti la colonna e la scultura su cui insisteva lo specchio convesso, che a propria volta, rifletteva, attraverso un sapiente gioco, su altre colonne laterali, l’ombra trasfigurata di una figura dalle proporzioni allusivamente classiche. A chiudere, l’opera di Stokholder e la serie di monitor di Luca Pancrazzi.
Veduta dell’installazione di Robert Longo Seven Days a Week/tWhen Heaven and Hell Change Place (1994);
sullo sfondo Francesco Clemente
Testo di accompagnamento al video di Douglas Gordon
Franz West, veduta dell’installazione
Rineke Dijkstra, veduta dell’allestimento, sulla sinistra Kolobrzeg Poland, July 27, 1992
Un momento della performance di Vanessa Beecroft.
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CORDERIE
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Juan Munoz, sulla sinistra di quest’area più ridotta che esalta felicemente le sculture dell’artista spagnolo, espone Acqua Alta, un complesso di dodici statue dai tratti somatici orientali, forzatamente sorridenti e vestiti in uniforme. Dall’altro lato Charles Le Dray, presenta sculture minute e chiude l’area la delicata opera di Wolfang Laib con barche di cera d’api You Will Go Some-where Else (1995-1997), che profumano leggermente l’ambiente espositivo.L’ultma zona di chiusura subito dopo le opere di Pedro Cabrita Reis e Jeff Koons è collocata l’opera di Jason Rhoades che invade lo spazio con installazioni articolate 4 cars 4 venice (the intersection of the autopursuits): Laminated wood Car, The Picabia Car, Smoking Fiero to illustrate the Aerodynamics of Social Interaction.Jean Fabre, invece, presente due opere realizzate con coleotteri legati e tenuti insieme da filo di ferro Vogelverschrikker (Scarecrow) (1996) e un colossale emisfero, De Globe, (1997). A chiudere il percorso della mostra e delle Corderie le opere di Julian Schnabel. In questa parte finale le Corderie appaiono sgombre e spaziose, mettendo in rilievo sia l’opera storica di Schnabel Si Tacuissess (1990) che la più recente produzione pittorica A Self Portrait with Champagne Glass, 1990; Malfi, 1996; Portrait of Olatz, 1997; Portrait of Olmo, 1997.
Juan Munoz, Acqua Alta, 1999
Jason Rhoades, 4 cars 4 venice, 1997
Jan Fabre, Vogelverschrikker, 1996
Julian Schnabel, Si Tacuissess, 1990
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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66.3. Analis i del la mostra Futuro Presente Passato
I viali dei Giardini, la facciata del Padiglione Italia, l’esedra d’ingresso e la grande sala
centrale si collocano progressivamente come i luoghi nei quali i curatori delle Biennali
pongono il segno sintetico della propria proposta espositiva. A questi spazi si
aggiungeranno con Celant anche l’entrata e la parte terminale delle Corderie che per la
loro struttura longitudinale si prestano ad un discorso visuale e ad una proposizione
artistica che si articola secondo un inizio ed una fine. Lo spazio espositivo tanto del
Padiglione Italia che delle Corderie costituiscono pertanto il punto di partenza della
mostra Futuro Presente Passato.
I Giardini si presentano ancora in questa edizione come l’attacco del percorso espositivo,
situazione che, come si vedrà nei prossimi capitoli, tenderà a cambiare spostandosi sempre
più verso le Corderie. Il visitatore è accolto dalla grande installazione di Sol LeWitt,
Progressive Tower, posizionata all’incrocio dei due viali. L’artista concettuale per
eccellenza, che nel maggio del 1969 pubblicò le sue proposizioni in Sentences on
Conteptual art,1 introduce alla mostra tramite una scultura ambivalente: da una parte essa
si pone nella sua produzione più tipica, caratterizzata da multipli, dall’altra ricorda strutture
architettoniche sacre e arcaiche come la ziggurat.
La strada che porta al padiglione Italia passa attraverso l’installazione di Buren, per arrivare
al fronte del padiglione su cui campeggia il leggero intervento di un’altro artista
concettuale che, per quanto facente parte del gruppo dei poveristi, è sicuramente il più
intellettuale e quello più vicino alla corrente americana, Giulio Paolini, che si compiace di
non star propriamente nella Biennale essendo stato collocato appena fuori dall’edificio
espositivo.2
Quindi Il prologo della mostra che realizza Celant muove dal concettuale all’arte povera,
isolando alcune declinazioni dalla più radicale testimoniata da Sol LeWitt ad una
ambientale legata all’institutional critique e ad un’operazione di decostruzione della
situazione espositiva dal di dentro testimoniata da Daniel Buren fino all’espressione
1 Sol LeWitt, Sentences con Conceptual Art, in “0-9”, New York, 1969 2 Giulio Paolini, Ho detto di sì perché posso starne fuori, in “Il Giornale dell’arte”, giugno 1997, p. 21.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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italiana testimoniata dall’Arte povera e dal suo rappresentante in questa sede Giulio
Paolini.
Se all’esterno viene dichiarata una forma di preminenza dell’arte concettuale e poverista
nelle sue varie declinazioni, all’interno del Padiglione Italia il discorso si muove tra i due
binari paralleli della Pop Art e dell’Arte Povera.
Nell’esedra che apre la mostra si trova la grande scultura di Claes Oldenburg e Cosie Van
Bruggen mentre nella sala principale campeggiano quattro grandi Igloo Mario Merz.
L’idea di centralità di queste due opere, che assurgono a simbolo di una generazione di
artisti, ad un periodo specifico dell’esperienza artistica e all’inizio temporale da cui
considerare la genealogia dell’arte contemporanea, che consapevolmente Celant delinea,
è sottolineata dal posizionamento centrale e scevro da qualsiasi tipo di intervento che ne
possa modificare la visione. La scultura del duo Pop poggia su di un piedistallo basso che
serve più per garantirne la staticità ma che essendo bianco spicca e isola di fatto la scultura
dal pavimento scuro. Gli igloo di Mario Merz poggiano direttamente sul pavimento e
rappresentano una piccola personale dell’artista piemontese. Le quattro strutture che per
l’artista rappresentano tanto il mondo, l’esterno, quanto la casa e la sfera intima e privata3
sono presentate in quattro tipologie diverse (ferro, vetro, pietre, alluminio), quasi una
variazione sul tema, un campionario della sua principale espressione artistica.
Già da queste prime due stanze si nota immediatamente l’effetto unificante conferito
all’esposizione dall’uso della moquette grigio scuro. Scelta con grande accuratezza da
Celant stesso il risultato che se ne ricava è la scomparsa del pavimento e allo stesso un
ancoraggio delle opere allo spazio, unico, su cui sono posizionate. L’impressione visiva che
si delinea è quello di uno spazio unico che attraversa le sale e che suggerisce decisamente
un’idea di comunicazione e continuità fra le opere.
L’edificio del Padiglione Italia per come è strutturato non ha un percorso specifico. Per lo
più le stanze si articolano intorno al salone centrale a cui si torna diverse volte per poi
strutturarsi secondo un’infilata di stanze che spesso costringono a un dietro-front nella
parte destra.
Il discorso retorico dell’allestimento di Celant è facilmente percorribile. Alle spalle della sala
di Merz di collocano i Leoni d’oro alla Carriera Agnes Martin ed Emilio Vedova e con la
stessa alternanza fra gli estremi dell’espressione e del concettuale si dipanano le stanze
successive prima quella con le opere di Lichtenstein e a seguire La casa del cinghiale
(1997) di Gilberto Zorio, di seguito le astrazioni colate (Abstraktes Bild, 1997) di Gerard
Richter da cui si accede alla stanza di John Baldessari. Le figure artistiche che Celant
3 Germano Celant, Arte dall’Italia, Feltrinelli Milano, 1988, p. 120
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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propone sono le stelle del suo firmamento ma anche nomi di grandi artisti conosciuti. In
particolare in questa zona non propone nomi di artisti poco noti.
L’allestimento quindi nel padiglione Italia è tutto centrato a rendere gli ambienti più
minimalisti possibile dando alle opere tutto lo spazio necessario ad accoglierle e poterle
vedere girandovi attorno ed esplorandole. Al consiglio direttivo relaziona questa sua
intenzione in questo modo: « secondo me uno dei problemi importanti è che questa
Biennale sia una Biennale pulita, essenziale dove c’è meno costruzione possibile […] ho
sempre paura ad aggiungere degli elementi perché spostano la visibilità ».4
Quindi l’intero allestimento al padiglione Italia è condotto seguendo l’idea di isolare per
porre l’attenzione, ma anche necessariamente creando una distanza. La strategia è
evidentemente quella della musealizzazione, della collocazione di opere ed artisti in una
situazione di white cube che ammicca all’a-temporalià. L’allestimento suggerisce una
condizione senza tempo, in cui le sue parole cardine “futuro, presente, passato” convivono
in una sospensione temporale piuttosto che scandirne la successione.
Nonostante la presenza della moquette grigia anche nella sezione di sinistra del
padiglione centrale che ospita la mostra DALL’ITALIA le soluzioni allestitive sono molto
diverse e non propongono lo stesso effetto musealizzato del resto della mostra. Gli artisti
in mostra Ettore Spalletti, Maurizio Cattelan ed Enzo Cucchi, sotto la guida di Germano
Celant collaborano ad un progetto comune di mostra che li vede interagire fra loro a
diversi livelli cercando un rapporto di osmosi, di dialogo, di contrappunto fra le opere.
Durante i mesi organizzativi che precedono l’apertura della Biennale i quattro si
incontrano ripetute volte cercando di elaborare un disegno comune riflettendo su cosa
possa voler dire per un artista ed un opera essere affiancati ad un altro. Ne nascono sia
un’esposizione in cui le opere dei tre dialogano fra di loro, in particolare sono le opere di
Maurizio Cattelan a creare un commento, un supporto e una risposta alle opere dei suoi
colleghi, sia un catalogo con l’aspetto di un libro d’artista. Il progetto deve essere
considerato compiutamente tanto degli artisti quanto del curatore; non a caso a più
riprese nel catalogo i nomi di Cucchi, Cattelan e Spalletti sono messi di fila insieme a quello
di Celant senza nessuna gerarchia fino a far scomparire la figura curatoriale in quella di un
artista.
La mostra quindi, pur essendo ridotta al minimo storico nella rappresentanza italiana,
secondo il suo “mantra del levare”, è un esempio molto riuscito di collaborazione
nell’allestimento con gli artisti.
4 Verbali III Riunione del Consiglio direttivo, 2 maggio 1997, p. 27
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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Alle Corderie l’allestimento, nonostante le caratteristiche strutturali diametralmente
opposte a quelle del padiglione Italia, suggerisce una dimensione di sacralità che più volte
Celant stesso sottolinea « per me è importante che entrando in questo padiglione delle
Corderie ci sia nuovamente il meno possibile e per le me Corderie dovrebbe diventare
come una grande moschea, quasi vuota, bellissima con un segno, il pavimento pulito, i
muri bianchi al padiglione centrale, spazi degni e puliti per tutti e lo stesso alle Corderie.
Alle Corderie volevo togliere questo incavo al centro che ha sempre creato questa idea di
fiera».5
Seguendo questi intenti Celant distribuisce la mostra nell’edificio cinquecentesco in aree
delimitate e chiuse interrompendo la lunghezza del percorso e annullando l’effetto
corridoio che la sezione centrale adibita al cordame accentua. La mostra alle Corderie è
quindi divisa individuando le otto aree in cui si articolano gli spazi chiudendo il passaggio
visivo. Le stanze quindi quando si percorrono non sembrano già preludere a quelle
successive. La collaborazione con Gae Aulenti e Daniela Ferretti risulta particolarmente
fruttuosa perché secondo i suoi desideri le varie sezioni, tali sono in termini visive e
allestitivi, appaiono proprio come una basilica complice anche il fatto di essere
interamente percorsa da colonne che separano lo spazio in una naturale navata centrale
con le sue vicine navate laterali. L’espressione di “basilica o moschea” è usata da Celant
stesso per descrivere l’effetto desiderato.6 Le opere sono distribuite nello spazio lasciando
sempre un ampio agio di percorribilità intorno e distribuendole in modo da rompere la
direttrice dritta, aprendo anche ai lati. Si veda ad esempio il mulino di Slominsky
posizionato in maniera decentrata rispetto alla navata centrale o ancora i teschi del duo
Jake e Dinos Chapman che sembrano essere rotolati di qua e di là delle colonne. Si veda,
ad esempio, il posizionamento delle opere per comprendere il modo con cui Celant ha
cercato di movimentare lo spazio, pur lasciando molto spazio vuoto che appare sempre
riempito dalla stessa moquette del padiglione centrale (anche se di una gradazione più
scura) che ha la funzione, anche qui, di raccordare le opere fra di loro. L’impressione quindi
è quello di grandi spazi articolati dalle opere invece che da strutture espositive. Sono pochi
infatti i supporti in cartongesso se non per l’esposizione dei quadri, posti peraltro in senso
parallelo ai muri perimetrali, o per creare dei black boxes per la visione dei video, cosa che
accade solo in due casi.
5 verbali III Riunione del Consiglio direttivo, 2 maggio 1997, p. 27 6 «At the Corderie we had the idea of an architecture without walls. That is, we should try to even out the flooring, to avoid erecting walls of separation and isolation, and to leave the entire space open, as in a great basilica or mosque. The artists would no longer exhibit their work in stalls, as at a fair, but in an open terrain» Cartellina stampa.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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Alle Corderie Celant presenta inoltre la maggior parte delle opere dei giovani alternandoli
ai grandi e mettendo in dialogo opere che toccano questioni comuni soprattutto da un
punto di vista del medium, come nel caso di Mariko Mori e Sam Taylor Wood o Pipilotti Rist
e Douglas Gordon che si fronteggiano ai due lati opposti delle Corderie, o delle tematiche,
anche se affrontate in maniera molto diversa, come è il caso di Jan Fabre e Julian Schnabel.
Se gli attacchi sono importanti, lo sono anche le chiusure e sorprendentemente, pur non
avendo esposto nella sua carriera i neo-espressionisti tedeschi, egli chiude il percorso
proprio con Schnabel di cui, in controtendenza con le opere molto recenti degli altri artisti,
espone Si Tacuisses del 1990.
L’allestimento, articolato secondo le direttrici sopra descritte, risponde da una parte al
desiderio di proporre una mostra internazionale di ampio respiro con artisti importanti, per
dare lustro ad una Biennale in questo momento storico prima della riforma e sotto i colpi
delle neonate sorelle Biennali, in una fase discendente; dall’altra mette in opera alcuni
“vecchi tarli” dell’impostazione di Celant. Fra questi c’è l’interesse per l’allestimento come
forma di comunicazione e dello spazio espositivo come cubatura.
Il primo aspetto è visibile sotto molti punti di vista; infatti oltre al suo insistere sulla
necessità di un elemento che copra il pavimento e lo unifichi che lo porterà a cercare in
tutta Europa la ditta che produca la giusta tonalità e dimensione, lo si può riscontrare
anche dal suo inserimento nella cartella stampa di una pagina dedicata unicamente a
questo.
Il testo che presenta è di grande interesse non solo perché conferma pubblicamente
quanto discusso con gli architetti o relazionato al Consiglio Direttivo, ma perché si
presenta come un tentativo di storicizzazione delle proposte allestitive della Biennale, cosa
avvenuta di rado e non in tempi recenti. Uno dei pochi esempi intorno a questo
argomento è riscontrabile nella mostra curata da Giandomenico Romanelli Ottant’anni di
allestimento alla Biennale del 1977 , peraltro non citata nel testo.
In queste linee guida spiega che «nel padiglione centrale gli spazi saranno ridotti a delle
semplici cubature, i tubi dell’aria condizionata saranno dipinti di banco e il pavimento
porterà lo stesso segno, grigio scuro, presente alle Corderie […] e unificherà i due spazi ».7
L’interesse per la «semplice cubatura perimetrale» degli spazi era stata da Celant già
attuata nell’ambito della sua prima mostra curata nell’ambito della Biennale
Ambiente/Arte. In quell’occasione, sempre grazie alla collaborazione di un architetto, Gino
7 Cartellina stampa, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep, busta n. 2131
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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Valle, “spoglia” le pareti del padiglione da tutte le controsoffittature e rivestimenti per
lasciarlo al suo stadio essenziale. L’incipit dell’introduzione al catalogo del ’76 chiarisce
forse più di ogni racconto della mostra il punto da cui il curatore genovese si è mosso nella
ideazione dell’allestimento della Biennale:
«L’idea di stabilire una serie di relazioni fisiche e percettive tra il contesto ambientale e le ricerche artistiche data nel corso dei secoli da quando l’artista, una volta che gli era stato
assegnato uno spazio architettonico o urbanistico ha pensato di utilizzarlo non come “vaso” o “ recipiente”, che accoglie passivamente e indifferentemente una certa struttura,
ma come una parte interagente con il suo intervento. Lungo tutta la storia dell’arte esistono opere, che hanno una funzione speciale di significare le situazioni in cui operano,
e la differenza fra le maniere di significare è dovuta alla collocazione contestuale. Questa sollecita un senso di reciprocità basato su una mutualità reale, in cui l’arte crea uno spazio ambientale, nella stessa misura in cui l’ambiente crea l’arte. Ogni opera essendo riferita ad un dato particolare contesto è un estremo o un opposto, che esiste solo in relazione
all’altro termine situazionale. Si crea un continuum tra immagine, superficiale e volumetrica, e un contesto dato, in cui l’osmosi muta a causa delle differenti condizioni
ambientali.»8
8 Germano Celant, Ambiente/Arte, dal futurismo alla body art, Catalogo della mostra, La Biennale di Venezia, Venezia, 1977, p. 5.
Linee guida per l’allestimento della XLVII Esposizione Internazionale d’Arte, allegate alla cartellina stampa, ASAC
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 1997
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Questa caratteristica dell’arte del XX secolo di cui egli nella mostra sopracitata trova le
radici a partire dal futurismo è un aspetto cercato e trovato nelle opere e
metodologicamente acquisito come pratica espositiva.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA - 1997
276
6 .4 . Ricezione cr it ica di Futuro Presente Passato Celant
La ricezione della mostra di Celant per certi versi, comincia ancora prima di aprire i battenti
a giornalisti e pubblico. Sin dal momento in cui viene nominato il 29 novembre 1996 i
riflettori sono puntati su di lui, specialmente in Italia. Il suo ritorno in patria dopo anni
come senior curator al Guggenheim di New York è accolto in maniera diseguale. L’anno
prima della Biennale egli fa una mostra a Firenze tra arte e moda, dal titolo Il tempo e la
moda che riscuote diverse critiche.1 D’altronde dopo la stanza di Capucci in Opera Italiana
alla Biennale del 1995 la critica italiana è ancora fortemente contraria a operazioni così
apertamente di contaminazioni fra le arti e quindi la mostra viene guardata con sospetto.
Nonostante ciò, Celant rimane un nome di prestigio. E’ lui il critico che ha lanciato l’Arte
povera, l’ultimo grande movimento italiano, insieme alla Transavanguardia a ricevere
attenzione a livello internazionale ed è lui uno dei pochi critici italiani che ha saputo
inserirsi e affermarsi a livello internazionale.2
Egli fin dalla sua nomina ha i riflettori puntati contro e la stampa mette in evidenza “la
strategia delle conoscenze” di Celant ancora prima che la Biennale abbia aperto i battenti.
Dalle pagine del New York Times ad esempio Roberta Smith lo accusa di usare la sua
“rubrica” e di aver trovato il modo di aggirare i prestiti ai musei andando direttamente da
gallerie e artisti.3
La pratica delle relazioni con gallerie e artisti di cui racconta la Smith - che è normale se si
voglia un’opera recente in realtà - diventerà con il proliferare delle esposizioni un modo di
procedere sempre più comune, fino a consolidarsi in prassi. Inoltre con il crescere del
numero delle biennali il business per le gallerie si lega spesso all’essere “presenti” nelle
esposizioni con i propri artisti. Il canale di legittimazione di un artista contemporaneo non
1 Lea Vergine, Biennale di Firenze: povera arte nel luna park della moda, in “Corriere della Sera”, 7 ottobre 1996. 2 Nelle generazioni a venire di nomi di curatori italiani affermatisi a livello internazionale ve ne saranno molti di più, si ricordi ad esempio Francesco Bonami o Massimiliano Gioni, ma della generazione di Celant si tratta di poche persone, come Achille Bonito Oliva e Giovanni Carandente. 3 “Mr. Celant seems to be using his many connection to assemble “Future, Present, Past” an exhibition of recent works by 60 contemporary artists […]. Of course, the recentness of the art means that Mr. Celant will not be able to borrow works from museums or collectors, but quickly from artists and galleries.” Roberta Smith, Silence in Venice: Bad Sign for Biennale, in “The New York Times”, 14 maggio 1997.
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è unicamente il museo, anzi viene, per il contemporaneo, surclassato dalla “biennale”. Il
legame fra gallerie e biennali si è reso a tal punto evidente che nel 2007 documenta12
s’impegna fra i suoi obiettivi di non rivolgersi alle gallerie affermate e di guardare oltre
quel panorama consolidatosi con il mercato.
Le “conoscenze” di Celant vengono criticate sotto due punti di vista. Da una parte sono al
vaglio i suoi rapporti con il potere tanto che alcuni giornalisti si spongono a dare una vera
e propria storia di questi rapporti.4 Dall’altra sono messi sotto giudizio e sue scelte
curatoriali come nel caso di Jerry Saltz, che sostiene che la mostra poteva chiamarsi anche
come la famosa sitcom Friends.5
Il suo legame con gallerie viene anche sottinteso rispetto all’episodio delle dimissioni di
Maurizio Calvesi dalla giuria che catalizzano l’attenzione della stampa italiana all’indomani
dell’apertura della Biennale. Egli infatti aveva proposto Anselm Kiefer al leone d’oro vinto
invece da Gerhard Richter. Calvesi sui giornali non risparmia critica alla giuria che dichiara
in balia di un pregiudizio ideologico verso la pittura.6 I premi vengono criticati anche da
Pierre Restany dalle pagine di Domus ma con sottolineature diverse. Il critico e storico
francese condanna la scelta della giuria perché troppo in linea con il mercato, mostrando
come la scelta di Richter serva a far salire le sue quotazioni di una galleria londinese che
rappresenta sia Keifer –che però ha già alte quotazioni – e di Richter.7
Gli artisti e le opere scelte appaiono spudoratamente di parte, legate alle sue mostre e alla
sua storia di curatore così in maniera Demetrio Paparoni lo accusa di autocelebrazione,
autoincoronandosi come “vincitore” in un processo storico che però lui non ha la forza di
sostenere non essendo un critico del calibro di Greenberg capace di strappare, di fatto, il
primato al vecchio continente “Celant ci mostra che il futuro è la coda di ciò che
rappresenta il suo passato.”8
Per la verità Celant non fa mistero di aver fatto ricorso, visto il poco tempo a disposizione,
al già saputo,9 di non aver fatto ricerca e in una intervista rilasciata ad Alessandra Mammì
che gli chiedeva conto di una mostra tutto sommato autobiografica Celant risponde: “E’
4 Mario Ajello, Biennale, soldi, moda e molto Celant, in “Panorama”, 26 giugno 1996, pp. 124-128. 5 Jerry Salz speciale grandi mostre dell’Estate, in “Flash Art”, ottobre-novembre, n. 206, 1997, pp. 70-71. 6 Cfr. Paolo Vagheggi, Calvesi sbatte la porta, in “La Repubblica”, 15 giugno 1997; 7 “I due artisti fanno capo ad una stessa galleria londinese, quella di Anthony d’Offay. Richter è ben lontanto dall’aver raggiungo le quotazioni di Kiefer […] Richter è ormai sulla buona strada.” Pierre Restany, Venezia-Kassel: l’ordine dei manager e i capricci dei sovversivi, in “Domus”, ottobre 1997. 8 “Celant ci mostra che il futuro è la coda di ciò che rappresenta il suo passato. Incoronandosi re, egli compie di fatto quello stesso gesto che fu di Napoleone quando si autoincoronò […] La strategia di Celant la sua forzatura della Storia, è così pesante che alla fine egli, nel tentativo di potenziare la sua nicchia di consensi, crea antipatia nei confronti di un’arte – i poveristi di ieri e di oggi – che invece va difesa in ben altro modo.” Demetrio Paparoni, in “Tema Celeste”, Ottobre-dicembre 1997. 9 “part of the pleasure of the Biennale perhaps, lies in seeing so many old friends”, Adam Gopnik, The Repressionists, in “The New Yorker”, 14 luglio 1997, p. 86.
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chiaro che dovendo fare una Biennale in tre mesi mi sono portato la coperta di Linus:
ovvero l’universo degli artisti di cui, almeno al 50 per cento conoscevo il lavoro
frequentando mensilmente lo studio. Li ho invitati al telefono, ho puntato sul nostro
rapporto e sulla nostra fiducia reciproca.”10
Forse intuendo il rischio di una scelta di questo genere Germano Celant imposta l’intero
impianto secondo due cardini principali che avrebbero dovuto metterlo al riparo da certe
critiche che gli vennero comunque mosse fra cui appunto l’autobiografia e la
musealizzazione. Egli infatti si era prefissato di fare una cosa diversa dalle sue mostre
precedenti, rinunciando alla multidisciplinareità che aveva contraddistinto molta parte
della sua attività curatoriale, esponendo dunque solo artisti d’arte visuale e opere recenti,
al di là dell’anagrafica dell’artista. Il risultato infatti è un alto numero –quasi il 90% - di
opere realizzate nel 1997 o pochissimi anni prima.11
La scelta di opere recenti va incontro al suo desiderio di evitare “il museo”, l’effetto stantio
di opere già viste e già conosciute, ma di proporre una mostra dinamica che suggerisce
quanto fossero stretti i legami fra gli artisti e le opere dal 1967 all’oggi.
Paradossalmente però è proprio “l’effetto museo” che gli viene criticato. L’installazione
delle opere, infatti, rispettano leggi e accorgimenti che sono propri degli spazi museali,
spazio libero fra le opere, chiarezza ed essenzialità nell’allestimento, uniformità nella
fruizione, per questo infatti realizza una pavimentazione unica tramite una moquette
grigio scuro che producesse un aspetto “amorfo”12 in realtà voluto dal curatore.13
Se per alcuni lo spazio fra le opere è un pregio facendo si che “ogni identità mantiene le
proprie identità”14 per altri invece è una grave pecca.
E’ in particolare la critica italiana a puntare il dito contro questa scelta di
omogeneizzazione e di orizzontalità temporale e così Enrico Crispolti ha a notare come
l’impianto voluto da Celant che mette tutti gli artisti sullo stesso piano e che permette
l’osmosi fra le opere non sottintenda invece una omologazione.15
Quindi se è vero che toglie i box da fiera, Celant opta per spazi da museo ma senza il rigore
museale, con il risultato, nota la stampa estera, come una raccolta casuale16 o come una
scelta cauta per evitare ultimamente un’interpretazione.17
10 Alessandra Mammì, Celant 2: il Ritorno, (intervista a Germano Celant), in “L’Espresso”, 12 giugno 1997, p. 120. 11 Cosa che non gli risparmia il commento di sostituire “artisti recenti con opere recenti”. Perché invece la Biennale è importante, in “Il Giornale dell’Arte”, luglio 1997, p. 1. 12 Marcia E. Vetroq, The 1997 Venice Biennale: A Space Odyssey, in “Art in America”, Settembre 1997. 13 “In apparenza è come se la mostra si organizzasse a caso e le opere non si costituissero secondo sistema di necessità ma di accidentalità e di imprecisione, sottraendosi ad uno schema determinato di compressione.” Germano Celant “Un labirinto: Futuro Presente Passato” in Catalogo della mostra, pag. 12. 14Francesca Pasini, Cactus che arte, in “Liberazione”, 12 giugno 1997. 15 Enrico Crispolti, Il “miracolo” di Celant. Una Biennale grossa ma non grande, in “L’Unità”, 12 giugno 1997. 16 Roberta Smith, Another Biennale shuffles to life, in “The New York Times”, 16 giugno 1997.
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Anche se Celant, nelle intenzioni, intende evitare l’effetto museo, infatti chiede solo opere
recenti agli artisti. La sua risulta come un’operazione di storicizzazione e l’allestimento non
fa altro che confermarlo.
In linea con i progetti dell’amministrazione comunale, Claudio Spadoni insinua che questa
di Celant sia una prova generale del museo al padiglione Italia18 ma in effetti anche
nell’intervista rilasciata ad Anna Detheridge per il Sole 24 ore Celant si lascia andare a
dichiarazioni in questo senso affermando che “se (la biennale) fosse funzionante tutto
l’anno sarebbe una struttura museale eccezionale”19, confermando in qualche modo la
soffiata sui giornali che prima della sua elezione Celant stesse lavorando in gran segreto
all’istituzione del museo d’arte contemporanea al padiglione Italia.
“L’amerikano”20 sembra quindi voler fare una prova di forza e coglie questa Biennale come
una sfida ed una possibilità di poter mostrare la sua storia. Per farlo ricorre agli strumenti
comunicativi e organizzativi più efficienti, quelli imparati dal guru dell’affermazione del
museo contemporaneo nel mondo, Thomas Krens e la Fondazione Guggenheim.
D’altronde per realizzare “il Miracolo”21 a cui grida l’inviato speciale di Le Monde, bisogna
essere pragmatici, e le molte osservazioni di Celant che ha perso il piglio “militante
sessantottino”22 e ha acquisito quello “manageriale americano”, non solo non vengono
smentite dallo stesso (“è vero sono un manager”23), ma vengono riconosciute come
necessarie per il risultato finale.
Egli osserva che sono anni che gli dicono “Celant studia da museo” e lui risponde di aver
“capito subito che le avanguardie necessitavano di una sistematizzazione storica e che
l’Italia aveva bisogno di una metodologia scientifica anche per l’assoluto contemporaneo.
17 Marcia E. Vetroq, Marcia E. Vetroq, The 1997 Venice Biennale: A Space Odyssey, in “Art in America”, Settembre 1997. 18 “(Celant) auspica che la Biennale diventi una struttura permanente, affidata, possibilmente, alle sue cure. Un gigantesco, straordinario museo, di cui questa edizione della Biennale sembra quadi una prova generale” Claudio Spadoni, Biennale, prova generale per il “Museo Celant, in “Il Giorno”, 18 giugno 1997, p. 18. 19 “si è voluto dare una serie di segnali per dimostrare a un pubblico internazionale che la Biennale è una macchina straordinaria che può funzionare in maniera non soltanto effimera […] se questa struttura fosse funzionante tutto l’anno sarebbe una struttura museale eccezionale.” Una Biennale dunque come prova generale per un futuro museo ai Giardini firmato Celant? La risposta non c’è.” Anna Detheridge, Strategie per un’arte globale, in “Il Sole 24 Ore”, 8 giugno 1997, p. 30; Cfr. Massimo Di Forti, La Biennale è un museo, meglio il mio laboratorio (intervista a Bonito Oliva), in “Il Messaggero”, 7 giugno 1997, p. 20. 20 Fin dalla sua elezione la sua carriera negli Stati Uniti gli fa guadagnare questo soprannome sulla stampa italiana. D’altronde come racconta Lidia Panzieri nel dopo-elezione “Contro di lui qualche critico ha rispolverato l’argomento un po’ stantio di una possibile colonizzazione statunitense”. Lidia Panzieri, Celant Curatore Massimo, in “Il Giornale dell’Arte”, gennio 1997, p. 4. 21 Cfr. Une Biennale de Venise trop propre et trop sage, in Culture “Le Monde”, 17 giugno, 1997. 22 Sulla carta Alessandra Mammì gli dice. “Lo spirito sulla carta è più museale che critico. Cosa succede? Ha rinunciato a dare il critico militante? Quall’altro. Questa è una mostra militante dal momento che nasce dalla collaborazione con gli artisti, c’è una complicità fortissima che riflette la mia storia personale.” Alessandra Mammì, Celant 2: il Ritorno, (intervista a Germano Celant), in “L’Espresso”, 12 giugno 1997, p. 120 23 “Sono un critico manager è vero. Ho riflettuto sul modo “più economico” di raccogliere tutto quello che mi girava attorno.” Anna Detheridge, Strategie per un’arte globale, in “Il Sole 24 Ore”, 8 giugno 1997, p. 30.
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Da quel momento mi sono impegnato per costruire un metodo, basato su cronologie e
biografie, esposizioni e cataloghi altamente qualificati sul presente dell’arte.”24
La scelta “temporale”, qui operata in senso orizzontale, quindi appare come la soluzione
per consegnare il contemporaneo alla storia. Se molta critica è fissa sull’idea di consegnare
la “storia di Celant” alla storia dell’arte o sulla parzialità e semplificazione25 di questa, sono
in pochi a notare lo spostamento attuatosi con questa mostra. Invece di instaurare
genealogicamente una relazione con l’avanguardia storica, come avveniva in precedenza
nelle mostre storiche della Biennale,26 egli indica le esperienze degli anni ’70 come
generatrici del contemporaneo.
Complessivamente la mostra, nonostante la tiepidezza dei commenti, ha una buona
risposta dalla stampa. I grandi nomi chiamati, il suo sforzo di imparzialità che lo portano a
chiamare anche artisti della “linea del nemico”, come ad esempio Francesco Clemente, o
Julian Schnabel che erano stati protagonisti di un “ritorno all’ordine” che però Celant non
aveva sposato a livello curatoriale.27
Viene apprezzato soprattutto per la qualità elevata di nomi proposti28 e per aver fatto in
qualche modo giustizia ad alcuni artisti che erano assenti da troppo tempo dalla Biennale,
come ad esempio i rappresentanti della pop art che avevano trionfato proprio a Venezia
nel 1964 o Agnes Martin, Anselm Kiefer, Annette Messanger Richard Artschwager ed altri,
e artisti che non ci avevano mai messo piede come Brice Marden.
La scelta degli artisti però sembra basarsi sulla “longevità degli artisti invitati”; commenta,
infatti, Bonito Oliva, di cui la mostra Minimalia al Castello di Rivoli viene riportata come
l’Anti-Biennale29, che sono molte le “grandi” esclusioni relativamente agli anni presenti in
considerazione fra cui Warhol, Beuys, Basquiar, Haring oltre che due grandi protagonisti
dell’arte povera come Kounellis30 e Pistoletto.
24 Alessandra Mammì, Celant 2: il Ritorno, (intervista a Germano Celant), in “L’Espresso”, 12 giugno 1997, p. 120. 25 “Una mera operazione di riepilogo”, Achille Perilli, in Diario Supplemento, “L’unita” , 25 giugno 1997. 26 Cfr. parte di questa tesi (penso che ne parlerò in analisi della mostra di Celant) in cui spiego il taglio importante che fa a livello temporale cambiando i riferimenti genealogici dalle avanguardie all’arte degli anni’ 70. 27 Renato Barilli, proprio in virtù di questa apertura parla di “antologismo esasperato” (cfr. Barilli, Renato, Improvvisazione in laguna, rigore a Kassel, in “Il Corriere della sera”, 11 giugno 1997. 28 Cfr. Hervé Gauville, La Renaissance de Venise. La 47e Biennale fait du neuf avec des artistes confirmés, in “Liberation”, 16 giugno 1997; Calvo Serraller, La Bienal de Venecia sorprende a los expertos con su tono equilibrado e inteligente”, in “El Pais”, 13 giugno 1997; Sulla stampa italiana i commenti sono biunivoci e se da una parte apprezzano la qualità delle opere (Cfr. Chiacchiere ai Giardini, in “Il Giornale dell’Arte”, luglio-agosto, 1997) ne criticano altri aspetti. 29 Achille e la sua Antibiennale, in “Il Sole 24 Ore”, 8 giugno 1997; Massimo Di Forti, La Biennale è un museo, meglio il mio laboratorio, in “Il Messaggero”, 7 giugno 1997. 30 Per l’assenza di Jannis Kounellis è possibile ipotizzare una frizione dovuta alla mostra sulla moda a Firenze. In quell’occasione, infatti, l’artista non risparmio parole amareggiate per l’accostamento fra opere d’arte e abiti sartoriali.
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Unanimi sono invece i commenti sulle presenze femminili di questa Biennale: “pur
trattandosi di una brutta mostra c’è un elemento fortunato che lo riguarda; una spaziosità
ai margini che salva il centro. Celant stato salvato da un piccolo numero di giovani artisti,
molti dei quali sono donne che usano il video. Pipilotti Rist, Sam Taylor Wood, Mariko Mori,
Vanessa Beecroft. “A queste piccole parentesi di vita ci fanno desiderare un Celant più
attento a guardare attraverso l’altra estremità del telescopio, più concentrato sull’ora e
meno sull’allora.” Le artiste, alcune delle quali conquistano anche i premi della Biennale,
dimostrano soprattutto un uso aggiornato della fotografia e del video. Sono proprie le
opere video della nuova generazione di artisti che conquistano critiche positive e in
qualche modo conferma anche l’interesse crescente per questo medium.
Il plauso è riservato anche alla sezione italiana, che pur mostrando una selezione molto
esigua di artisti trova nella scelta di far lavorare gli artisti in comunicazione visiva risulta
vincente e si attesta forse come la dimostrazione più chiara degli intenti di incrocio di
linguaggi artisti e generazioni che Celant aveva in mente. Fra i tre artisti italiani Enzo
Cucchi, Ettore Spalletti e Maurizio Cattelan, si crea un rapporto di dialogo vero che si
traduce in un allestimento di opere personali ma presentate come un’opera comune, cosa
che viene recepita e apprezzata dalla critica. In particolare le opere di Cattelan sembrano
offrire un ambientazione31 - con il suo lampadario, le biciclette appoggiate al muro e i
piccioni impagliati - alla pittura di Spalletti e Cucchi dando una prova quasi – suggerisce
Restany- di “estetica relazionale”32
La scelta delle tre generazioni in comunicazione fa si che Aperto venga cancellata in modo
indolore. Dopo tutte le polemiche nell’edizione precedente, l’inclusione pacifica all’interno
di Aperto nella mostra centrale e senza dubbio, anche la qualità e l’interesse suscitato dai
nomi delle nuove generazioni, permettono ad Aperto di scomparire senza che se ne faccia
un evento luttuoso come nella Biennale precedente, facendo passare alla storia che in
fondo la colpa della cancellazione di Aperto è colpa di Clair dal momento che Celant non la
cancella ma la assorbe nella mostra centrale e sancendo allo stesso tempo una prassi che
sarà poi ricalcata da Szeeman.
Il confronto con la documenta di Kassel viene spontaneamente proposto sia dai
commentatori che da Celant stesso. Per il curatore genovese il confronto comincia fin dalle
prime battute del suo incarico quando Rondi decide le date dell’inaugurazione in base alle
31 Giacinto di Pietrantonio, Superstrata adriatica, in “Flash Art”, giugno-luglio 1997, p. 68. 32 Pierre Restany, Venezia-Kassel: l’ordine dei manager e i capricci dei sovversivi, in “Domus”, ottobre 1997, pp. 101-116.
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date d’apertura della manifestazione tedesca. Le due manifestazioni sono da sempre in
una competizione più o meno evidente ma la strategia comunicativa di Catherine David, fa
si che Celant prenda posizioni simili cercando di tenere segreti alcuni dei nomi chiamati
per la manifestazione e cercando di porsi in aperto contrasto. Le somiglianze vengono
evitate il più possibile ma d’altronde non sarebbe potuto essere diversamente,
considerando l’impostazione teorica dei due curatori che vengono stigmatizzati in visione
“manageriale, pragmatica, capitalista e liberale” nel caso di Germano Celant e “freudiana,
marxista, critica e radicale” quella di Catherine David.33
Come si evince dal confronto più approfondito fatto tra le due manifestazioni da questa
apparente antinomia è possibile trarre in qualche modo gli estremi di un fare mostra che si
afferma negli anni ’90. Documenta x sarà decisamente più d’influenza rispetto alla
Biennale di Celant, che subirà al contrario una sorta di cancellazione storica, ma rimane alla
47esiam edizione di aver indicato chiaramente una nuova genealogia di riferimento per
l’arte contemporanea, che si distanzia ormai irrimediabilmente dalle avanguardie che
appaiono lontane e con problemi fondamentalmente diversi.
Nel confronto con documenta, quand’anche i critici sono spietati con Catherine David,
Futuro, Presente Passato appare come una mostra scialba e leggera, in particolare nella
stampa estera.34
Nella stampa italiana, quando messe a confronto invece, la Biennale di Celant sembra
recuperare posizioni grazie al criticatissimo allestimento che invece a Kassel appariva
spezzettato; così ad esempio Fanelli sottolinea il solido filo conduttore 35 sotteso
all’impianto perchè “Celant è riuscito a infondere a questa Biennale un senso di grande
ordine […] la visita è resa gradevole, facile da memorizzare e valorizza tutte le opere
esposte”.36 L’allestimento ovviamente ricalca un modo diverso di concepire sia la mostra e
l’opera ma condividono un approccio temporale alla rilettura della recente storia dell’arte,
che appare come un tentativo di lasciare un segno nella storia, uno sforzo di dire qualcosa
in relazione alla storia dell’arte, seppure attenendosi ad un credo diverso37
33 Pierre Restany, Venezia-Kassel: l’ordine dei manager e i capricci dei sovversivi, in “Domus”, ottobre 1997, p. 102. 34 “Venise ou Kassel ? Les amateurs de réelles découvertes opteront pour la ville allemande. Il est plus intéressant pourtant de ne pas avoir à choisir car les deux manifestations s’opposent et se complètent, Venise plus légère et plus consensuelle, Kassel plus grave et peut-être plus polémique”. Mireille Descombes, Venise-Kassel, le match de l’été, in “L’HEBDO”, 26 luglio 1997, p. 66. 35 Fanelli Franco, La Biennale di Venezia 1997 Dal Vivo, I libri reportage de “Il Giornale dell’Arte”, Allemandi 1997. 36 Fanelli, Franco, Perché (invece) la Biennale è importante, in “Il Giornale dell’Arte”, luglio-agosto 1997, p. 1. 37 “l’art contemporain est quelque chose qu’il est toujours loisible de regarder, souvent d’écouter, quelquefois de renifler et même de palper. […] D’ans ces manières d’utiliser, de s’approprier ou de contourner des territoires dévolus ou non aux célébrations artistiques, se dévoile le désir de laisser une trace dans l’histoire. […] Chacun de ces trois événements se décrypte comme une triple profession de foi. Le credo vénitien est
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esthétique ; […] le credo kesselien est néo-marxiste ;[…] le credo lyonnais est alternatif.” Hervè Gauville, Trois villes, une même foi en l’art contemporain, in “Liberation”, 10 luglio 1997, p. 97.
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6 .5 . Germano Celant: verso un “pensiero povero”.
Il testo in catalogo di Germano Celant rivela immediatamente l’arena dell’azione e del
pensiero della sua Biennale: Germano Celant vs Biennale di Venezia.
Il titolo riconduce immediatamente al fatto che assumere la Biennale come soggetto
d’indagine porta con se numerose problematiche, una su tutte la difficoltà, di porsi come
esposizione che presuma di essere testimonianza dell’arte di tutto il mondo.1 In questo
senso, Celant, puntualizza che vi possono essere solo due situazioni entro cui questo può
avvenire: considerando la Biennale entro uno specifico contesto storico2 e facendola
dipendere da una determinata e specifica visione curatoriale, che si espone naturalmente
alla temporaneità e alla confutazione. Sostiene Celant: « Nella storia delle Biennali, come
di tutte le grandi mostre la buona esposizione si distingue per un certo numero di
affermazioni o paradigmi forti che sono suscettibili di essere confutati, negati e messi in
discussione. Ogni volta che questo succede la ricerca teorica ed espositiva sopravvive e
procede ».3
L’idea di una metodologia espositiva e il fatto che la mostra operi attraverso il display è
un’idea molto chiara a Celant che già nel 1982 pubblicava The Visual Machine,4 un saggio
intorno alle pratiche espositive del novecento dimostrando come queste costruissero
attraverso l’allestimento un preciso pensiero teorico.
1 “Le mostre d’arte contemporanea realizzate oggigiorno si accollano l’onere di compendiare i maggiori spostamenti di paradigma del secolo scorso, o di articolare le tendenze definitorie del declino attuale. Teoricamente, ‘un’esposizione biennale è progettata per porre in rilievo in modo specifico le conquiste e svelando quelle mai viste in precedenza. Ma questo poi succede di rado, considerate le pressioni nazionali, economiche e politiche che gravano sulle grandi esposizioni biennali, come quelle di Venezia, Istanbul, San Paolo e New York, per citare soltanto le più conosciute. E dato che si avvicina il nuovo millennio, non c’è dubbio che si guarderà alle principali biennali organizzate, nei prossimi tre anni come a scadenze atte a fornire una chiara comprensione del XX secolo, sotto tutti gli aspetti in cui lo si può analizzare: per decennio, per movimento, per tema, per nazione e cosi via.” Nancy Spector, Vincente Todolì, Giorgio Verzotti, “Futuro Presente Passato: una visione dall’interno”, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. 13. 2 La sua realizzazione e la sua messa in mostra sono comprensibili interamente solo posizionandola in un certo tempo. Non può essere separata dal contesto storico in cui è fatta” Germano Celant, “Germano Celant vs Biennale di Venezia”, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXI. 3 Gemano Celant, Ibidem. 4 Il testo venne pubblicato originariamente in documenta 7, vol 2, Kassel 1982, pp. xiii-xvii e ripubblicato in Reesa Greenberg et alii, op. cit., 1996, pp. 371-386.
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Egli osserva inoltre come nell’ambito delle grandi rassegne internazionali come la Biennale
e Documenta, sia difficile elaborare nuovi modelli espositivi che normalmente si ripetono.5
Le formule più consuete si basano su strumenti di « registrazione e rilevamento » che
rispondono a « un tema, a una prospettiva storico-cronologica che opera su una
contestualizzazione urbana o territoriale, sociologica o antropologica, filosofica o
scientifica, estetica o linguistica, al chiuso o all’aperto, museale o alternativa, centrale o
periferica, nazionale o transnazionale, e infine a un’individuazione di una personalità che si
è collocata al centro o ai margini delle vicende dell’arte. ».6
L’interesse per l’allestimento come funzione retorica e interpretativo-critica è una delle
caratteristiche principale e più importanti dell’apporto del pensiero del critico dell’Arte
povera. Se egli ha avuto la capacità di riconoscere il fermento artistico di poveristi e di
sostenerlo promuovendolo a livello internazionale è stato proprio in virtù di una
consapevolezza del medium attraverso il quale fosse importante comunicarlo:
“Lungo tutta la storia dell’arte esistono opere che hanno la funzione speciale di significare le situazioni in cui operano, e la differenza fra le maniere di significare è dovuta alla collocazione contestuale. Questa sollecita un senso di reciprocità basato su una mutualità reale, in cui l’arte crea uno spazio ambientale, nella stessa misura in cui l’ambiente crea l’arte.”7
Questa riflessione sull’allestimento viene formulata in occasione di Ambiente/Arte del
1976 che egli realizza proprio alla Biennale di Venezia. In quell’occasione egli ”scarnifica” la
struttura architettonica cercando un accordo linguistico fra l’ambiente e l’opera. Inoltre nel
testo riflette intorno alle operazioni espositive compiute fin dalle avanguardie nella ricerca
del giusto linguaggio allestitivo corredandolo di un’importante documentazione
fotografica. Ambiente/Arte è pertanto da considerare alla base tanto del saggio The Visual
Machine che dell’esposizione Futuro Presente Passato per la Biennale del 1997.
Nella progettazione della mostra del ’97 fra le sue preoccupazioni principali vi è il tentativo
di sfuggire alla strutturazione territoriale della Biennale. « La costruzione dei padiglioni si
lega a una territorializzazione politico-diplomatica, che cerca di distinguere l’arte per
configurazioni nazionali. Oggi le frontiere fluttuanti questa cartografia è entrata in crisi.
Perché esclude la sovrapposizione e lo sconfinamento tipici dell’arte, sempre tesa a
trascendere l’ordine, le identità e le separazioni. L’artista non appartiene alla nazione, ma
5 Sia per la Biennale che per Documenta, come per tutte le grandi esposizioni, estiva (un’altra costante ripetitiva, di matrice promozionale-turistica) , le innovazioni della metodologia espositiva sono rare e soffrono di una notevole ripetitività, non si sono ancora trasformate in dinamicità critica continua.” Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXII. 6 Gemano Celant, Ibidem. 7 Germano Celant, Ambiente/Arte, dal futurismo alla body art, Catalogo della mostra, La Biennale di Venezia, Venezia, 1977, p. 5.
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alla storia dell’arte e agli artisti, a una comunità che si è sempre ribellata a qualsiasi
limite ».8
Anche se praticamente su questo versante egli non riuscirà ad introdurre cambiamenti e
innovazioni, questo aspetto viene comunque segnalato perché testimonia l’intenzione di
Celant di presentare tramite l’esposizione un “terreno comune” che rifletta un tentativo di
« emancipazione dell’arte dalla tutela nazionale ». In questo senso si comprende l’uso che
egli fa del padiglione Italia e delle Corderie dell’Arsenale cercando di « trascendere
l’identità degli artisti e immergerli in una solidarietà linguistica ».9
Pertanto il discorso espositivo che Celant propone è tanto spaziale (territorio comune –
percorso da un flusso migratorio) quanto temporale che prevede un orizzonte di
comunanza tra il futuro e il passato che è il presente. La logica temporale non è lineare, ma
di un territorio in cui passato presente e futuro si intersecano, di cui è necessario tracciare
una mappa con alcune coordinate che non segnano però un sviluppo progressivo. Celant
sostiene che la storia si scriva « dall’oggi all’ieri, per cui la logica di dare alla Biennale era
quella di un capovolgimento di termini: Futuro Presente Passato ».10
L’indicazione temporale del tiolo non può essere considerata una tematica e infatti la
mostra s’inscrive nel solco delle mostre internazionali senza un tema specifico ma con una
proposta interpretativa, difatti prosegue:
“Una volta stabilita l’uscita dalla dimensione tematica e l’assunzione di una prospettiva
temporale aperta e rovesciata, ho tentato di capire cosa questo significasse in termini di lettura interpretativa, Il significato è semplice: il passato è il mio futuro e il mio futuro è il
mio passato, questi si incontrano al centro nel presente.” 11
Un’impostazione teorica questa che determina le soluzioni allestitive trovate. Gli artisti
vengono presi individualmente e vengono accostati in base a parametri di « attrazione
energetica e concettuale, visuale e formale » provate dal curatore e dai collaboratori che lo
hanno affiancato - Nancy Spector, Vincente Todolì e Giorgio Verzotti.
E’ quindi la logica dell’ “intensità”, sostenuta dalla metafora stellare che gli permette di
parlare di stelle, galassie e supernovae in base all’intensità luminosa, che sono stati scelti
artisti s cui sono dedicate stanze personali.
La biennale stessa si configura come una Galassia, concetto che egli comunica fin dalla
copertina del catalogo. L’utilità di una metafora del genere gli permette non solo di
scegliere gli artisti in base alla loro luminosità - si veda ad esempio la definizione di Agnes
8 Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXII. 9 Germano Celant, Ibidem. 10 Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXIII. 11 Germano Celant, Ibidem.
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Martin e Brice Marden come « luci di massima intensità per la pittura contemporanea » –
ma anche di considerare il panorama artistico come un territorio in continua espansione e
conosciuto solo nelle sue parti più prossime. Se da un lato questo determina una relatività
delle scelte curatoriali, dall’altra permette al curatore di fare una scelta che non sia nel
senso dell’esclusione, dice infatti: « Da parte mia ho scelto di fermarmi con il mio sguardo
su alcune stelle. Ciò non esclude che quelle “non” visitate siano di maggior magnitudine.
[…] Diciamo che in quest’occasione non mi sono messo in lunghezza d’onda con loro.
Questo non significa che la loro luminosità sia inficiata dalla mia scelta, rimangono grandi
stelle che la mia “freccia del tempo” 1997 non ha percorso. Niente di drastico o
drammatico, ho seguito una traiettoria che non li ha inclusi, ma esistono e contano in
maniera assoluta, fuori dalla relatività di questa Biennale ».12
Necessariamente quindi la divisione dello spazio del Padiglione Italia e delle Corderie
avviene in modo da offrire un territorio « ambientale e architettonico che corrisponda al
rispetto del lavoro e della sua presentazione ottimale al grande pubblico ».13
No prevale pertanto una divisione fra generazioni o tipologie artistiche ma
un’articolazione spaziale che restituisca un passaggio osmotico sia spaziale che temporale
fra gli artisti, mescolando quindi le generazioni.14
Questa impostazione è il motivo per cui Celant decide di non ristabilire più Aperto. Se
infatti Clair decide di non fare Aperto perché semplicemente non fa parte dei suoi interessi
storico-critici né nelle sue ambizioni curatoriali, Celant ne sancisce la fine. Se Clair è passato
alla storia per aver soppresso Aperto è Celant, però, a darne le ragioni critiche che poi
saranno sposate da Szeemann che le estremizzerà in dAPERTutto.
Celant, quindi, teorizza la fine di Aperto assorbendolo però nella mostra centrale:
“le generazioni, pur esistendo, possono confondersi e fondersi. Di qui la caduta della distinzione tra mostra storica e Aperto, che aveva segnato le Biennali precedenti”.15
Una scelta teorica che ha risvolto pratico molto rilevante. Celant, infatti, invita tutti gli
artisti “sia ottantenni che ventenni” a partecipare con un’opera recente e contemporanea,
12 Egli nomina artisti precisi che ha escluso forse per giustificare un’assenza che si sarebbe portato dietro un certo numero di critiche, forse dagli artisti stessi, considerando che si tratta di nomi con cui egli ha lavorato spesso e che rappresentano dei nomi importanti nel panorama internazionali fra questi nomina: “Andre e Kounellis, Kosuth e Pistoletto, Weiner e Baseltiz, Salvadori e Sherman, Penone e Vercruysse, Byars e Blechner, Simonds e Anselmo, Samaras e Irwin…insieme a moti altri con cui ho lavorato e condiviso nel tempo energia e sintonia, potrebbero rientrare in una mappa simile a quella tracciata per la Biennale di Venezia del 1997.” Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXIV. 13 Germano Celant, Ibidem. 14 “Sul piano degli artisti significa che le generazioni, pur esistendo, possono confondersi e fondersi.” Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXIII. 15 Germano Celant, Ibidem.
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fatta pochi mesi da o realizzata appositamente per la Biennale, permettendo quindi a tutti
gli artisti di incontrarsi « sul piano dell’orizzontalità temporale ».16
L’apertura all’incontro fra opere e generazioni trova corrispondenza nell’allestimento che
punta alla comunicazione visiva del continuum spaziale e temporale, uniformando quindi
le sale e gli spazi anche tramite l’uso di una pavimentazione unificata. Un’idea questa che,
come già accennato sopra trova ispirazione nella precedente mostra fatta per la Biennale
nel ’76 nel cui catalogo scrive:
“Ogni opera essendo riferita ad un dato e particolare contesto è un estremo o un opposto, che esiste solo in relazione all’altro termine situazionale. Si crea un continuum tra
immagine superficiale e volumetrica, e contesto dato, in cui l’osmosi muta a causa delle differenti condizioni ambientali”.17
Quello che si presenta è, usando le parole della commissione che assiste Celant, “un
continuum interconnesso”18 in cui si sentono le voci anche di quegli artisti che pur essendo
scomparsi, hanno vissuto il lungo contemporaneo individuato nella forbice temporale che
dagli anni 60 arriva fino al 1997.19
A di là degli aspetti qui sopra individuati tutte le altre strategie che mette in campo sono
determinate da quello che Carlos Basualdo chiama il principio di opposizione,20 secondo il
quale le biennali si alternano in opposizione alla precedente, rendendo quindi difficile e
instabile una narrazione intorno a questo genere di istituzioni. Pur essendo veritiera questa
osservazione, si vedrà nelle conclusioni come la partica per opposizione sia generatrice da
un lato della crescita dell’istituzione stessa e dall’altra come una strategia per garantire la
distinzione fra mostre, che come osserva Celant, tendono a ripetere le formule espositive.
Pertanto compito dello storico sarà quello di individuarne anche le continuità.
Secondo questa strategia in contrapposizione con Jean Clair, Celant propone una mostra
non tematica, centrata sul contemporaneo evitando la lettura storica e in
contrapposizione a se stesso, cercando di proporre qualcosa di diverso anche rispetto alle
proprie pratiche espositive, decide di fare una mostra non multidisciplinare, perché
sostiene la contaminazione dei linguaggi è diventata una prassi per cui, Celant sente il
16 Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXIII. 17 Germano Celant, op. cit., 1977, p. 5. 18 Nancy Spector et alii, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p.13. 19 “Se Futuro Passato Presente si concentra soltanto su artisti viventi – offrendo una selezione transgenerazionale che spazia da Agnes Martin a Annette Messanger e a Mariko Mori -, altri ve ne sono il cui spirito può essere avvertito in qualsiasi mostra dedicata “al contemporaneo”. Le voci particolari di artisti come Joseph Beuys, Andy Wahrol, Eva Hesse, Robert Smithson, Gordon Matta-Clark e Felix Gonzalez-Torres, anche se non vivono più, echeggiano e informano questa mostra come parte di quel continuum che essa cerca di incarnare” la dicitura della mostra Futuro Passato Presente invece di Futuro Presente Passato è un errore che si ripete due volte nel testo Nancy Spector et alii, Ibidem. 20 Carlos Basualdo, “The Unstable Institution” in Marieke van Hal, Viktor Misiano, Igor Zabel “Biennials”, edizione speciale di MJ-Manifesta Journal 2 (Inverno 2003 – Autunno 2004).
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bisogno di distaccarvisi e dice « Apparentemente sembra un gesto di conservazione, ma in
un momento storico critico in cui la contaminazione dei linguaggi è diventata anche tra i
giovani critici, una prassi generalizzata, ho pensato che l’uscita dal branco poteva avvenire
nuovamente andando contro corrente, rispetto alla mia stessa identità e alla situazione
della critica ».21
La necessità di contrapporsi alla sua prassi e a quella dei suoi colleghi sembra nascere da
due necessità. La prima e certamente la più determinante è dovuta alla grande
concorrenza. Per questa Biennale, più che per altre la situazione di concorrenza si fa
elevatissima perché per una congiuntura che si ripropone poche volte la Biennale di
Venezia si svolge in contemporanea con la sorella tedesca Documenta e con la grande
rassegna di scultura di Münster oltre che con la Biennale di Lione che seppure di minore
importanza rispetto alle altre, reca un curatore d’eccezione come Harald Szeemann.
Fino a quel momento la percezione della crescita di biennali e di grandi rassegne d’arte
internazionali era stata minore, nel 1997 diventa un dato imprescindibile. Quell’anno sono
molti i giornali che fanno il confronto fra la Biennale e documenta, con l’aggravante, per
Celant di non avere il budget e il tempo a disposizione della sua collega Catherine David.
Per questo motivo egli cerca di operare a livello di comunicazione, scelta degli artisti in
diretta contrapposizione con David in modo da non uniformarsi e venirne schiacciato.
Un’altra scelta fatta secondo il principio di opposizione la è la riduzione del numero degli
artisti che rappresentano l’Italia. La scelta nasce proprio dalla constatazione che
normalmente l’Italia fa una mostra molto vasta quindi per par condicio propone un
numero di artisti tali da accordarsi con il trend degli altri padiglioni Nazionali.
Il progetto che ne segue è uno dei più riusciti della Biennale e nel quale riesce a realizzare
un’interazione fra gli artisti e non solo fra le opere. Il desiderio sotteso alla mostra
DALL’ITALIA era quello di far emergere la ricerca linguistica, formale e creativa italiana cosa
che avviene nella cooperazione all’ideazione della mostra e del suo allestimento.
La riflessione sulla modalità espositiva che Celant compie in questa esposizione lo porta a
riflettere sul comporre gli elementi di una mostra. Nel momento infatti in cui viene meno
un tema unificante di cui le opere svolgono i paragrafi di stanza in stanza, la mostra,
sembra dire Celant fra le righe, consta comunque di una unità complessiva data
dall’insieme del percorso (« l’intento è quasi sempre di far risaltare il carattere unitario di
un percorso ») e parallelamente di una discontinuità, data dal succedersi delle opere
offrendo un cambiamento e una modificazione percepibili e palese.22
21 Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXV. 22 Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXIII.
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Pertanto la 47Biennale è concepita da Celant come una « totalità mobile, finita e illimitata
secondo l’esigenza di una sintesi aperta e plurale, che si annette la storia, la ricerca
dell’ignoto ». La mostra quindi tenta di agglomerare opere che diano lo stato presente
dell’arte secondo uno « scorrimento verticale e orizzontale che integri le testimonianze di
tutte le età e di tutte le tendenze dal 1960 a oggi ».23
La scelta del “white cube”24 nell’allestimento è molto importante perché non svolgendosi
la Biennale in spazi museali, Celant e Gae Aulenti si sono dovuto sforzare di far
assomigliare le Corderie, così fortemente connotate, in un ambiente che si avvicinasse al
white cube. Non sono state dipinte le mura di bianco ma lo spazio è stato diviso e il
pavimento è stato coperto in modo da far sembrare gli spazi come sacri. Un processo
quindi di musealizzazione cercato fin nei minimi dettagli, come ad esempio nella scelta del
tono giusto del grigio del tappeto, per utilizzare un linguaggio internazionale, a-storico e
consolidato che avrebbe conferito alle novità proposte di essere immesse
immediatamente in un circuito consolidato.
Dal testo The Visual Machine è interessante notare che essendo l’allestimento uno
strumento interpretativo egli sostiene che ognuno sceglierà quello che meglio interpreta
quanto vuole sostenere, e nel caso di questa Biennale egli vuole sostenerne l’importanza
internazionale, ma una cosa sola egli deplora il mettere in relazione l’arte con l’arte,
affermando la necessità di una convergenza fra i diversi linguaggi espressivi. 25
Coerentemente invece con quanto aveva già formulato almeno una decina d’anni prima
sul concetto di contemporaneo26 egli ne ripropone alcuni accenti in questa Biennale « le
sue manifestazioni si svolgono sotto i nostri occhi, senza che lo sguardo riesca a
controllarle e a definirle o la parola sia capace di descriverle in tempo, allo stesso
tempo ».27 Quindi il contemporaneo « nel suo scorrere rimane tutto da scoprire, resta
indefinito e informulato, esiste e si impone, ma non si lascia incanalare. E’ difficile
confinarlo in un paesaggio unico, rinchiuderlo in un perimetro dove stabilire cosa passa e
come succede. Si irradia continuamente liberandosi delle cose presenti. E’ un’energia a
23 Nancy Spector et alii, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. 11. 24 Brian O’Doherty, Inside The White Cube: The Ideology of the Gallery Space, pubblicato la prima volta in tre saggi distinti su in Artforum nel 1976, ripubblicati poi in un unico volume nel 1981. 25 “Certainy, with the current situation, it is impossible to affirm the existence of a single method containing immutable and fixed points, for there cannot be any one norm. Each work can exist according to multiple points of reference, relating to numerous, parallel experiences. What seems troublesome and reactionary to me is the use of a method tat compares only art to art. For this reason I have preferred and continue to prefer an expository method that affirms the convergence of languages” Germano Celant, Idem, in Reesa Greenberg et alii, op. cit., 1996, p. 385. 26 Cfr. Germano Celant (a cura di) Il gergo inquieto, inespressionismo americano, catalogo della mostra, Bonini Editore, Genova, 1981. 27 Germano Celant, Periodi di marmo : arte verso l'inespressionismo, Electa, Milano, 1989, p. 5.
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perdere, senza limiti: tutto è identicamente contemporaneo ma la definizione lo smarrisce,
ne attua la perdita ».28
Egli dice sempre in questa introduzione che l’interesse per il contemporaneismo è
qualcosa a cui lui assiste in continuazione e si svolge nel tentativo di inquadrare e
cristallizzare in qualche modo lo spirito del “proprio” tempo, forzando quindi in qualche
modo l’attualità a diventare “storia”. Egli lamenta una corsa a “nuovo e l’accelerazione per
stabilire cosa è « più presente del presente » o « più nuovo del nuovo » che ha creato come
una « patologia del futuro ed una compressione della durata che hanno ridotto il
contemporaneo a definizione quasi metafisica, immanenza dell’adesso per il dopo ».29
Una visione questa che si unisce ad una preoccupazione per le ideologie del presente che
fanno “sfuggire” ai commissari l’osservazione:
“Se si dovesse indicare un presupposto tentativo che per così dire attraversa in sott’ordine la mostra, questo si identificherebbe con la messa in questione dell’ideologia come
organica visione del mondo, non importa se nel quadro di una accettazione dell’aspetto sociopolitico esistente o se in termini antagonistici.”30
Per questo motivo egli vede la funzione del critico come determinante ma anche soggetta
alla continua instabilità positiva che delinea fin dal 1969: « il critico può solo usare degli
strumenti autonomi, non vincolanti da enti manipolanti e speculanti, luò solo offrirsi come
un’ulteriore prova di esistenza autonoma/il lavoro del critico può funzionare come
ulteriore strumento di esperienza / bisogna ampliare la percezione e l’appercezione delle
cose non chiuderle mi piace vivere solo con amici che ritengo delle termiti ».31
28 Germano Celant, Ibidem. 29 Germano Celant, op. cit., 1989, p. 6. 30 Nancy Spector et alii, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. 15. 31 Germano Celant, “Ad Amalfi ho intuito che”, in Germano Celant, Arte Povera più azioni povere, Rumma, Salerno, 1969, p. 54.
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77. 1999. La 48.esima Biennale di Venezia . dAPERTutto
Il contesto in cui si apre la 48° Biennale di Venezia è quello di un Ente riformato e
trasformato in “società di cultura” tramite decreto legge del 5 dicembre 1997 – l’attuazione
del decreto avvenne il 29 gennaio 1998 a seguito delle riforme finanziarie attuate dal
Governo Italiano.
La variazione dell’ente pubblico La Biennale di Venezia in persona giuridica di diritto
privato, denominata “Società di cultura La Biennale di Venezia”, costituisce un momento di
fondamentale importanza, non solo per la successiva trasformazione in Fondazione, ma
anche per l’acquisizione di una indipendenza maggiore rispetto ai sostegni statali e
l’apporto di una nuova riforma a livello statuario.
Girolamo Sciullo rileva che questo passaggio è il primo caso di mutamento ex lege di un
ente pubblico nell’inedita veste di “società di cultura”, facendosi quindi portatrice di un
modello per la ridefinizione di altre strutture operanti nel campo della cultura.1
Le grandi novità di questa trasformazione risiedono nell’assunzione della veste giuridica di
diritto privato, permettendo, fra le altre cose, la gestione commerciale delle attività e dei
prodotti culturali2, con l’unica limitazione di destinare gli utili a scopi istituzionali3; e la
possibilità di partecipazione di soggetti non pubblici oltre al riordino degli organi e il
potenziamento delle attività culturali.
La Biennale non è propriamente privatizzata, nel senso che la “sostanza dell’istituzione
resta pubblica”, dal momento che la nomina del presidente è governativa, così come metà
del consiglio d’amministrazione (costituito dal Sindaco di Venezia, due delegati nominati
dal consiglio regionale del Veneto e dal consiglio provinciale di Venezia e la maggioranza
dei componenti del collegio dei revisori dei conti). Inoltre viene sottolineato nell’articolo 9
che la partecipazione dei privati deve rimanere minoritaria per un massimo del 40% del
1 “La Biennale, rappresenta il primo – e finora l’unico nell’ordinamento italiano – caso di mutamento ex lege” di un ente pubblico.” Centro Documentazione sulle Fondazioni (a cura di) La prima Società di Cultura, in “Giornale delle Fondazioni” allegato a “Il Giornale dell’Arte”, n 197, marzo 2001. 2 Articolo 7. 3 Articolo 3, comma 3.
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patrimonio. Per tanto i contributi statali restano e la formula che viene trovata è più quella
di un entità pubblica aperta alla presenza di privati.4
La riforma, che pure rimane un importante passo per la Biennale, è un atto “di forza”5
dell’onorevole Veltroni per permetterne la trasformazione, anche se il testo si basa su un
disegno di legge che, sempre grazie a Veltroni, era stato presentato in Senato il 15
settembre del 1996, nonostante già nel marzo del 1992 il Consiglio Direttivo avesse
redatto un testo preparatorio6 e che nel 1993 erano state ben tre le proposte di legge .7 Nei
mesi che precedono la settima Commissione della Camera dei Deputati, Veltroni aveva
incontrato una delegazione di consiglieri della Biennale per ascoltare i vari punti di vista
sulla legge. Nei mesi finali del 1996 la riforma sembrava sul punto di prendere vita e nella
riunione del 17 luglio 1996 del Consiglio Direttivo i tempi presunti per l’attuazione
sembrano doversi realizzare entro l’anno8. Il 9 febbraio 1997 la situazione si sblocca in
seguito anche alla bagarre, sollevata da Massimo Cacciari, riguardante il rinnovo del
4 Girolamo Sciullo, op. cit., 1998. 5 Luca Tommasini, Biennale. Da ente a società, in “Liberazione”, 13 febbraio 1998. 6 Biennale Verso i 100 anni. Un convegno a Roma per guardare all’Europa, (intervista a Paolo Portoghesi), in “il Giornale”, 3 marzo 1992. 7 Nel corso del 1993 ben tre sono state le proposte di legge di riforma. Il disegno di legge intitolato “Modifiche all’ordinamento dell’Ente autonomo La Biennale di Venezia” nasce ufficialmente nel febbraio 1993. Porta il numero 1016 ed è presentato dall’allora ministro del Turismo e Spettacolo (Boniver) e dal ministro dei Beni culturali e ambientali (Ronchey) di concerto con i ministri Reviglio (Finanze) e Barucci (Tesoro). Successivamente sono comunicati alla Presidenza del Senato tre disegni di legge. Il 1101, intitolato “Riordino della Biennale di Venezia”, è di iniziativa dei senatori Nocchi, Chiarante, Alberici, Bucciarelli, Pagano, Tedesco Tatò. Tanieri, Barbieri, Brutti, Cavazzuti, Chiaromonte, Migone, Salvi, Scivoletto, Senesi, Smuraglia, Sposetti, Visco, Pedrazzi Picolla, Lama, Rognoni, Pecchioli, Tossi, Brutti, Adalberto Minucci e Peruzza (24 marzo 1993). Segue (29 giugno 1993) il disegno n. 1343 intitolato “Costituzione della Fondazione La Biennale di Venezia” d’iniziativa dei senatori De Rosa, Manzini, De Matteo, Zoso, Robol, Daria Minucci (18 giugno). Il disegno di legge n. 1423 è intitolato “Costituzione del comitato promotore della Fondazione La Biennale di Venezia ed è presentato su iniziativa dei senatori Covatta, Struffi, Pischedda, Manieri, Ricevuto e Giuseppe Russo (22 luglio 1993). Un testo “unificato” (dai disegni 1016, 1101, 1343, 1423) è presentato in VII Commissione, in sede deliberante (consta di sette articoli). Tuttavia nella seduta del 30 novembre 1993, è approvato soltanto l’articolo 1 – “Costituzione della Fondazione La Biennale di Venezia” – (lo approvano Dc, Pds, Psi, Pri, Pli, Msi, Lega Nord). Intanto, intorno alla Biennale, e a Venezia, si sono accese vivaci polemiche. I critici cinematografici contestano i criteri di nomina di Gian Luigi Rondi alla presidenza dell’Ente (e fanno vento di fronda alla Mostra del Cinema al Lido). Si rompe quello, da taluno definito, l’asse di ferro tra alcuni partiti. Ci sono le elezioni amministrative e mutano gli equilibri politici. Anche chi, in passato, si è pronunciato per l’uscita della Biennale dal parastato, sembra cambiare idea di fronte ad una parziale privatizzazione. Anche il personale dell’Ente scende in sciopero. Il Consiglio Direttivo della Biennale chiede tre mesi di riflessione per una “indagine conoscitiva” destinata ad integrare il disegno di legge (un suo componente, Francesco dal Cò si è dimesso). La Commissione è tornata a riunirsi in questi ultimi giorni, ma ancora “nulla di fatto”. Il sen. Manzini commenta: “E’ veramente curioso che proprio coloro che più degli altri chiedevano il passaggio della Biennale da ente statale a Fondazione, oggi abbiano cambiato sostanzialmente opinione. Ho la sensazione che i risultati elettorali siano più importanti dei giudizi di merito. Ancora più curioso è che i neo liberisti della Lega e riformatori del Pds alla prova dei fatti scelgano la soluzione statalista”. Tonino Scaroni, Riforma della Biennale in Alto Mare, in “Il Giornale dello spettacolo”, 23 Dicembre 1993, p. 35. 8 Presidente Miccichè: “Mi si dice che I tempi presunti sono: che gli emendamenti e la discussione in commissione si concludano prima delle vacanze della Camera; che alla riapertura di settembre la Camera discuta e voti, in aula; che di qui la legge venga ritrasmessa al Senato per il secondo esame. Se il DDL transiterà pacificamente in Senato non subendo ulteriori modifiche, tra I mesi di ottobre e di novembre potrà diventare operative. Diversamente accadrebbe se il Senato apportasse nuove modifiche. In tale caso sarebbe difficile ipotizzare una entrata in vigore del DDL prima di novembre/dicembre” Riunione del consiglio direttivo, 17 luglio 1996.
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Consiglio Direttivo e il testo emendato venne allora approvato dalla Commissione cultura
del Senato.
Dopo l’incontro del 2 luglio, l’intero consiglio con la Commissione cultura della Camera dei
Deputati termina i lavori solo alla fine di ottobre. Pertanto la rapida trasformazione in DL fa
sì che il testo abbia numerose imprecisioni, tanto che alcune modifiche vengono
apportate nel corso del mese di gennaio 19989. Risulta importante segnalare il rinnovato
impegno da parte del Comune di Venezia nella concessione dell’uso del Padiglione Italia,
che viene garantito essere a norma per ospitare mostre temporanee.10
Con l’anno nuovo i lavori del Consiglio Direttivo sono finalizzati, in attesa dei tempi
burocratici, a poche attività fra cui il risanamento del bilancio – grazie ad un aumento dei
finanziamenti da 3,8 miliardi a 5,8 miliardi11 – ed all’ elezione dei curatori di architettura e
cinema12. Così il 6 marzo 1996, in cui si svolge l’ultima riunione del Consiglio Direttivo,
dopo la ratifica delle delibere presidenziali pendenti si chiude un capitolo della Storia della
Biennale di Venezia.
Nei mesi successivi si formano i vari organi dirigenziali e il 14 aprile si dà notizia sui giornali
della nomina di Paolo Baratta a presidente della Società di Cultura. Con lui il musicologo
fiorentino Giorgio Van Straten -pure lui scelto da Veltroni-, il Sindaco Massimo Cacciari, il
presidente della Regione Giancarlo Galan e lo scrittore Riccardo Calimani in
rappresentanza della Provincia.13
« Sento, anche a nome del Consiglio Direttivo, il dovere di ringraziare, per la essenziale
collaborazione avuta, tutto il personale dell’Ente, augurando a tutti e a ciascuno di poter
sviluppare al meglio la propria professionalità nella “nuova” Biennale. Essa, ancor più di
prima, avrà bisogno del lavoro e dell’attaccamento di ognuno ». 14
9 Come potrete vedere, il testo del decreto varato il 23 gennaio 1998 è quasi fotocopia del decreto che già era stato varato come schema di decreto del mese di dicembre, salvo alcune modificazioni formali, fra cui una sola appare di un certo rilievo, quella che, riferendoci, al Sindaco come vice Presidente, elimina l’obbligo che un suo eventuale delegato sia membro della giunta, XIV Riunione del Consiglio Direttivo, 27 gennaio 1998, p. 3. 10 “Dopo recenti e puntualissime verifiche, si è giunti alla seguente conclusione: il padiglione Italia può ospitare mostre temporanee di arte contemporanea e sarà messo a norma e adeguato per attività di questo tipo. Abbiamo verificato che qualunque lavoro di faccia, il padiglione Italia, una mostra di Picasso o di Matisse o di Van Gogh non la può ospitare. Cioè non può ospitare mostre da museo perché le sue strutture murarie non lo consentono, quindi anche l’idea che avevamo di fare lì un museo di arte contemporanea lo abbiamo dovuto fa cadere perché non si può fare un museo permanente con le opere di grandi maestri lì. Si possono fare mostre temporanee anche di grande prestigio. Una mostra tipo Jean Clair al padiglione Italia non si potrà mai fare. La Biennale si può fare”. XIV Riunione del Consiglio Direttivo, 27 gennaio 1998, p. 8. Cfr. anche di Enrico Tantucci, Nuova Biennale, subito bufera, in “Il Gazzettino di Venezia”, 17 dicembre 1997, p. IV. 11 XIII Riunione del Consiglio Direttivo, 9 gennaio 1998, p. 2. 12 XIV Riunione del Consiglio Direttivo, 27 gennaio 1998. 13 Doppia promozione per Baratta, in “Il Gazzettino di Venezia” 14 aprile 1998. 14 lettera 6 marzo 1998; 12:59; Prot. Gen. 119/P, ASAC, Materiali del Consiglio Direttivo.
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Il nuovo presidente raccoglie il plauso della stampa. Noto manager di origini milanesi, più
volte ministro e presidente della Banker Trust fin spa, Paolo Baratta sembra essere la
persona giusta per rilanciare le sorti della Biennale.15
Il programma di Baratta, che sembra muoversi in accordo con le intenzioni della politica
culturale del nuovo assessore alla cultura Mara Rumiz – già consigliere presso la Biennale –
è incentrato soprattutto sul legame con la città. « Venezia non sarà usata come un teatro
dove, finito lo spettacolo, cala il sipario. Deve diventare piuttosto, una città laboratorio per
l’arte con il recupero progressivo di spazi e il coinvolgimento di sponsor privati ».16
Sulla scia di questi intenti, è necessario sottolineare anche gli sforzi di Comune e Biennale
per la costituzione di un museo di arte contemporanea di Venezia. Naufragato il progetto
della fondazione guidata da Marco De Michelis e sostenuta da diversi collezionisti, in
questo periodo le fatiche sono rivolte ad un diverso progetto, che prevedeva una
collaborazione con Guggenheim Museum per la gestione degli spazi di Punta della
Dogana.17
La Biennale deve lasciare il segno in città e per questo motivo sono chiamati a ricoprire il
ruolo di direttori di settore, tre grandi nomi internazionali: il luglio del 1998 si nomina
Harald Szeeman per le arti visive, Carolyn Carson per la danza e Massimiliano Fuksas per
l’architettura.
Le nomine destano non poco clamore perché il direttore di Architettura in realtà era stato
già indicato dalla precedente amministrazione nella figura di Francesco da Cò, mentre per
le arti visive sembrava si dovesse riconfermare Germano Celant. Inoltre, dopo solo due
mesi si dimette un consigliere di nomina provinciale, Riccardo Calimani in disaccordo con
una gestione apparentemente troppo presidenzialista.18
L’occasione di queste nomine è per Baratta anche l’occasione di poter affermare le linee
della sua presidenza. Lui stesso dichiara in conferenza stampa il 17 luglio: « la nostra è stata
una scelta di livello internazionale. Abbiamo seguito un principio di unità delle arti, e le
persone indicate hanno un forte senso di collaborazione. A tutti loro interessa cimentarsi
insieme intorno al tema della creatività artistica: La Biennale non deve essere un luogo che
15 Un manager per l’arte, in “L’Unità”, 16 marzo 1998. 16 Un’intervista rilasciata a “Il Gazzettino Venezia”, il 18 luglio 1998. 17 Cfr. Enrico Tantucci, Il museo d’arte contemporanea a Venezia. A parola al ministero, in La Nuova Venezia, 1 dicembre 1998; Emilio Rosini, A punta della Dogana solo una sala espositiva, ne “Il Gazzettino di Venezia”, 16 dicembre 1998. 18 Paolo Vagheggi, Biennale Nomina a sorpresa escluso Celant, in “La Repubblica”, 18 luglio 1998.
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è la somma di tanti festival. Vogliamo unità delle arti e creazione delle arti. Vogliamo
organizzare un maggior numero di attività permanenti, laboratori, workshop ».19
Negli stessi giorni dichiara la possibilità di ampliamento degli spazi per le attività della
Biennale nelle artiglierie dell’Arsenale ove in questa data sono già cominciate le operazioni
di recupero.20
I lavori del nuovo Consiglio di Amministrazione presieduto da Laura Barbiani, Gianfranco
Mossetto, Giorgio Orsoni e Giorgio Van Straten procedono spediti e il 27 luglio viene
approvato il nuovo statuto.
I problemi finanziari non mancano. Per le attività del 1998 viene realizzata soltanto la
mostra del cinema che però gode comunque di finanziamenti straordinari da parte del FUS
che ne garantiscono lo svolgimento regolare.
Baratta punta sugli sponsor privati e con piglio manageriale si dichiara « aperto a
trasformare questa società in una piccola macchina eccellente. Solo con la ferrea
progettazione e organizzazione svizzera possiamo sperare di catturare privati e mecenati
internazionali a sovvenzionare i programmi della Biennale ».21
Baratta non si illude. Sa benissimo che l’operazione richiede tempo e si augura che Stato e
Regione garantiscano alla società di cultura la forza per partire con il piede giusto.
Continua: « sarà nostro dovere far sì che la Biennale sia credibile, nelle iniziative e nella
progettualità, così da diventare l’oggetto del desiderio per i privati che vorranno
partecipare all’avventura ».22
Uno dei punti di forza del progetto Baratta è la valorizzazione, dei “piccoli tesori sepolti in
casa propria” come l’ASAC. Pur essendo l’Archivio Storico al centro dei piani di
valorizzazione dei programmi delle amministrazioni precedenti (che lo volevano come
propulsore delle attività permanenti tanto da costituirlo anche come settore a sé stante),
l’Archivio non è fino a questa data ancora decollato e mostra notevoli difficoltà di fruizione
date alle numerose chiusure dovute all’obsolescenza e degrado della sua sede.23 Manca
ancora di una sistemazione definitiva e di fondi. Grazie all’intervento delle quattro
19 Cfr. anche Emmanuel de Roux, La Biennale de Venise achéve sans violence sa profonde mutation, in “Le Monde”, 30 aprile 1999. 20 Paolo Vagheggi, Biennale Nomina a sorpresa escluso Celant, in “La Repubblica”, 18 luglio 1998 21 Valeria Lipparini, La nuova Biennale ricomincia da tre, (intervista a Paolo Baratta) in “Il Gazzettino di Venezia”, 18 luglio 1998. 22 Valeria Lipparini, Idem, 1998. 23 “L’archivio è stato costretto a chiudere al pubblico per problemi di sicurezza, legati proprio al cattivo funzionamento dell’impianto elettrico che, data la enorme mole cartacea di documenti conservati, lo poneva a rischio incendio. L’archivio è anche privo di impianto di riscaldamento, tanto che il personale in inverno, è costretto a riscaldarsi con delle stufette elettriche” Enrico Tantucci, Archivio storico. Dieci Miliardi per ringiovanirlo, in “La Nuova Venezia”, 5 ottobre 1997; Cfr. anche L’asac: restauratelo ma non chiudetelo, ne “Il Giornale dell’Arte”, n. 164, marzo 1998 (lettera firmata da Luigi Viola, Renato Barilli, Giuseppina Dal Canton, Enrico Crispolti, Marco De Michelis, Fabrizio Plessi, Giorgio Tinazzi, Antonio Toniato, Giorgio Nonveiller, Vittorio Gregotti, Italo Zannier, Giuseppe Cristinelli, Umberto Eco, Lionello Puppi.
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300
fondazioni venete e della Venice International University le sue sorti sembrano potersi
riscattare. Inoltre viene messa a disposizione l’ex sede del Mediocredito a Venezia, per
ospitare la biblioteca, mentre videoteca e fonoteca sembrano nell’estate del 1998
destinate all’isola San Servolo, anche se a dicembre sembra aprirsi una possibilità di
collocazione anche presso il Parco Scientifico tecnologico di Marghera.24 Inoltre ad ottobre
dalla Giunta Comunale giunge la notizia dello stanziamento di dieci miliardi, - garantiti con
fondi della Legge Speciale – per il restauro di Cà Corner della Regina, su progetto di
Giorgio Bellavitis e Maurizio Paveggio.25
Ad ottobre viene anche eletto il direttore dell’ASAC nella figura di Gianfranco Pontel, già
segretario generale nell’ultimo consiglio direttivo della Biennale come Ente Autonomo,
oltre che Giovanna Legnani come coordinatore generale della nuova società di cultura.26
L’impegno maggiore del consiglio direttivo nei mesi seguenti sono gli spazi espositivi.
Nel mese di ottobre, infatti, i Giardini diventano oggetto di vandalismo. L’amministrazione
comunale propone, per scongiurare episodi di questo genere e per la verità piuttosto
frequenti – di aprire i Giardini alla città rendendoli fruibili al pubblico. Questa soluzione,
proposta da Mara Rumiz e offerta anche ai Paesi proprietari di Padiglione,27 potrebbe
ovviare allo stato di abbandono in cui versano i Giardini per gran parte del tempo28 anche
se i piani di bonifica per la zona dei Giardini non partono prima di marzo 1999.29
24 La collocazione definitiva dell’ASAC è ancora di là da venire e saranno molte le sedi proposte per una sua sistemazione definitiva in seguito all’abbandono di Cà Corner La Regina, fra queste si ricordi anche la proposta dell’uso di spazi presso lo IUAV. La strada aperta con il parco tecnologico sarà invece quella che si concretizzerà diventando la sede dell’Archivio Storico nel 2003. Nicola Pellicani, Il parco pensa in grande. E si prenota un posto anche la Biennale, in “La Nuova Venezia” 23 dicembre 1997, p. 14. 25 Enrico Tantucci, Archivio storico. Dieci Miliardi per ringiovanirlo, in “La Nuova Venezia”, 5 ottobre 1997. 26 Cambi ai vertici della Biennale, ne “Il gazzettino”, 3 ottobre 1998. 27 “L’oggetto dell’incontro riguarda in particolare la situazione dei Giardini di Castello, e specificamente, il problema della loro manutenzione e guardiania nei periodi in cui non vi sono attività e la zona resta completamente abbandonata a se stessa. E’ necessario che gli spazi siano protetti da atti vandalici che di recente – ma non solo – hanno provocato ingenti danni a numerosi padiglioni. […] La proposta è di stipulare un accordo tra Biennale e Paesi per assicurare [….] una sorveglianza diurna e notturna per mezzo di custodi e di appositi sistemi di allarme. […] Ogni Paese potrebbe contribuire […] La Biennale potrebbe a sua volta assumere il ruolo di interlocutore con il Comune di Venezia, con il quale sarebbe necessario stipulare un’apposita convenzione per la concessione dei Giardini. In questo modo con una spesa contenuta sarebbe possibile evitare costosi interventi di ripristino e riqualificare l’intera area rendendola disponibile anche per attività dei singoli Paesi al di fuori delle tradizionali mostre di Arti Visive e Architettura”. Verbale riunione 01.12.1998 presso Palazzo Querini Dubois, in busta 874. 28 “Apriamo i Giardini alla città” c’è un episodio di vandalismo ai Giardini per cui si ipotizza, per bocca dell’assessore alla cultura di Venezia Mara Rumiz, l’apertura dei Giardini al pubblico durante l’anno e la dotazione di un’integrazione di recinzione e illuminazioni in maniera da preservarli da ulteriori atti di vandalismi.” Enrico Tantucci, in “La nuova Venezia”, 8 ottobre 1998; Cfr. anche Giulio De Polo, I vandali fanno a pezzi la biennale, ne “Il Giorno”, 17 novembre 1998. 29 Si bonificano i Giardini di Castello, ne “Il Gazzettino di Venezia”, 5 marzo 1999, p. II; Enrico Tantucci, Ore 8 sgombero dei padiglioni. Via all’operazione Giardini puliti, in “La Nuova Venezia”, 10 marzo 1999, p. 16.
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Il Comune di Venezia intanto, tenendo fede ai suoi impegni, stanzia 3 miliardi di lire per il
restauro del padiglione Italia, che permetteranno la sistemazione del tetto, dei lucernai,
degli infissi e della pavimentazione che risulta usurata in più punti.30
Dalla relazione riguardante la riconsegna del padiglione Italia in cui si elencano i necessari
interventi da eseguire segue anche una strategia di ristrutturazione di tutti i Giardini e
della zona dell’Arsenale che vengono fornite di numerose infrastrutture di servizio, come
toilette, punti ristoro e via dicendo, in modo da rendere pienamente operative queste
strutture espositive.31 I restauri del Padiglione rimangono comunque un annoso problema
e già il 15 luglio del 1999 nonostante i restauri, l’ufficio tecnico relaziona circa alcune
infiltrazioni d’acqua nel padiglione Italia, nella sala stampa, nell’ufficio tecnico e negli
uffici32 oltre ad aver danneggiato irrimediabilmente l’opera di Wolfang Laib.33
A dicembre Baratta può contare sull’allargamento degli spazi a disposizione per la
Biennale, in particolare l’uso del Teatro Verde della Fondazione Cini con 1500 posti
disponibili per la sezione danza che si svolgerà in contemporanea con le arti visive nel
giugno del 1999, e parte del complesso dell’Arsenale per la realizzazione di Arti visive. In
particolare, il museo Verdi sarà la sede dell’Accademia del Movimento, fondata dalla
Biennale e affidata a Carolyn Carson e che funzionerà anche da laboratorio di attività
permanenti del settore danza. La Biennale ha già ottenuto dallo stato anche il
finanziamento di 700 milioni per l’intervento sul Teatro Verde.
Dell’Arsenale vengono messe a disposizione le Artiglierie (che erano già interessati da un
restauro conservativo da parte della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici da
diversi anni) e le Gaggiandre, ossia i grandi capannoni rinascimentali sospesi sull’acqua (e
dedicati alla mostra di Arti Visive con l’intenzione di ospitare lì anche alcuni paesi stranieri
privi di padiglione – a questa data se ne contano 13 in lista d’attesa)34. La zona acquisita è
un grande valore per la Biennale. Infatti per la prima volta il pubblico può entrare
all’interno, non ai margini – come accadeva per le Corderie da sempre dotate di un accesso
indipendente – ma nel cuore stesso dell’Arsenale che è ancora di proprietà della Marina
Militare. Questa era l’anima di Venezia. Lo spazio dove venivano assemblate le navi fino al
varo. Erano luoghi di lavoro e corrispondevano in primo luogo alla funzionalità, ossia le
tettoie dove ricoverare le imbarcazioni, poi alle tese si depositava la legna e le armi alle
artiglierie, Corderie gli ambienti dove si lavorava la corda per le navi.
30 Quel restauro infinito del Padiglione Italia, in “La Nuova Venezia”, Articolo del 12 novembre 1998. 31 ASAC, Fondo Storico, sezione Deposito, busta 3839. 32 Memo da Roberto Rosolen a Dario Ventimiglia (15 luglio 1999), ASAC, Fondo Storico, sezione Deposito in busta 2205, 33 Vedi corrispondenza tra Harald Szeemann, Wolfgang Laib e Pina Maugeri in busta 874 e fax di Szeeman, del 30 luglio 1999, inviato ore 13:06 ASAC, Fondo Storico, sezione Deposito, in busta 1037. 34 Enrico Tantucci, Baratta il conquistatore, in “La Nova Venezia”, 1 dicembre 1998.
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Nel progetto di ampliamento verso l’Arsenale che prevedevano l’inclusione di nuovi spazi
come le artiglierie, le tese e le Gaggiandre, era incluso il progetto di allargamento della
Biennale e di ripensare al Padiglione Italia, che in quest’edizione diventa ex-padiglione
Italia, come ad un luogo permanente per la Biennale. In un articolo di Paolo Conti si legge
« Ormai la vera anima, quella rivolta al futuro, pulsa all’Arsenale tra le Corderie e i nuovi,
splendidi spazie di Artiglierie, Tese e Gaggiandre […] lì si sposteranno probabilmente
parte degli uffici della Biennale e forse l’Archivio storico ».35
E’ proprio in attesa della conferma dell’acquisizione dei nuovi spazi che la presentazione
del programma della Biennale non avviene prima della fine di dicembre per espressa
volontà di Szeemann.36
Il 22 dicembre Harald Szeeman presenta l’attesissimo programma della Biennale dal titolo
dAPERTutto.37 « Una Biennale Arti Visive che elimina le barriere geografiche e anagrafiche,
cercando di offrire uno specchio fedele del momento dell’arte contemporanea di oggi ».38
La mostra, nota Enrico Tantucci, sembra quindi configurarsi come l’esatto contrario della
mostra di Celant. Se, infatti, la mostra precedente aveva puntato « su una rassegna a tema
di carattere quasi museografico, riunendo a Venezia soprattutto grandi e celebrati nomi
dell’arte contemporanea occidentale – con largo spazio soprattutto agli americani – il
nuovo direttore del settore Arti Visive sembra voler investire soprattutto sull’arte extra-
europea, al di là di canali consolidati di critica e di mercato guardando in particolare
all’Asia, all’Estremo Oriente e all’Africa che non a caso sta esprimendo alcuni degli artisti
più interessanti dell’ultima generazione dalla giapponese Mariko Mori all’africano Chris
Ofili. Lo stesso Szeeman del resto ha curato lo scorso anno, all’interno della nuova Biennale
coreana di Kwangjiu – segno dell’apertura artistica sempre più accentuata dell’Oriente – la
mostra Speed/Water ». 39
Risulta già chiaro in questa prima presentazione che la mostra non prevede una rassegna a
tema, perché vuole favorire al massimo la contemporaneità e la libertà espositiva.
Rispetto alle edizioni precedenti Szeemann decide di non avvalersi delle tradizionali
commissioni di esperti e di avvalersi unicamente di suoi collaboratori di fiducia. Inoltre fino
35 Paolo Conti, ne “Il Corriere della sera”, 12 giugno 1999. 36 “Per le date della prossima Biennale. Penso – per mostrare al mondo che tutto è cambiato – aspettare che tutti gli spazi dell’Arsenale possono essere integrati. Se tal cosa è possibile fino 99 va bene, altrimenti vale meglio di aspettare fino 2000.” Fax di Harald Szeemann a Paolo Baratta de il 27 agosto 1998, ore 17:17, ASAC, Fondo Storico, sezione Deposito, in busta 905. 37 Fra le aspettative della stampa c’è quella di veder realizzato “un’ampia fascia di attività permanenti e di laboratorio” che si auspica Baratta nel suo programma. Per questa edizione però le aspettative verranno deluse per mancanza di tempo ma il proposito resta fermo per l’edizione del 2001. Cfr. Martedì 1 Dicembre articolo (in LA Nova Venezia “Baratta il conquistatore” di Enrico Tantucci). 38 Tantucci nel suo articolo “Szeemann: una Biennale che va oltre l’Occidente” martedì 22 dicembre 1998, 39 Ne parla Tantucci nel suo articolo “Szeemann: una Biennale che va oltre l’Occidente” , 22 dicembre 1998.
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303
a dicembre non incontra i proprietari dei padiglioni stranieri che, nota ancora Tantucci, è
dovuto a un suo volontario disimpegno verso una formula espositiva considerata
desueta.40 Non a caso egli smembrerà il padiglione Italia facendone un padiglione virtuale.
Alla fine dell’anno inoltre sembrano risolti molti dei problemi economici41 per cui l’attesa è
tutta rivolta a conoscere i nomi degli artisti che saranno presenti in questa edizione.
La presentazione definitiva del programma di Szeemann avviene alla fine dell’aprile 1999 e
in essa si ribadisce l’ispirazione allo spirito della prima edizione di Aperto da lui stesso
inaugurata insieme ad Achille Bonito Oliva nel 1980.42 Egli conferma il fatto che questa
edizione non potrà essere dedicata, secondo quanto sperava Paolo Baratta rispetto al suo
programma culturale, all’unità delle arti per via di una sostanziale mancanza di tempo.
L’idea non è scartata, ma viene solo rimandata alla prossima edizione. Da subito
insorgono polemiche intorno alla soppressione del Padiglione Italia, nel senso che
l’edificio sarà usato interamente per la mostra centrale senza dividerlo in stanze e sezioni,
mentre gli artisti italiani sono distribuiti nella mostra senza avere un padiglione proprio. La
situazione si preciserà solo poco prima dell’inaugurazione ideando l’espressione
“padiglione virtuale” e nominando 5 fra i 9 artisti italiani invitati come rappresentanti del
Padiglione Italia.43 Il critico svizzero sembra consapevole già prima della presentazione alla
stampa, delle situazioni di polemiche che sarebbero potute scaturire dalle sue scelte, tanto
che fa un tentativo di costituire una commissione per il Padiglione Italia a febbraio44, ma il
criterio di scelta che egli sostiene è stato in virtù della mostra centrale che, ispirata ad
Aperto, sarà caratterizzata per lo più dalla presenza dei giovani « per dimostrare che la
Biennale di Venezia, che la più antica, è anche la più giovane tra queste manifestazioni.
40 “Il ritardo nella presentazione ai Paesi stranieri del progetto di Szeemann – ancora tutt’altro che ultimato […] - si deve anche a una formula di disimpegno verso una formula, quella delle partecipazioni nazionali, che è l’esatto contrario della manifestazione che egli sta concependo Tantucci nel suo articolo “Szeemann: una Biennale che va oltre l’Occidente” martedì 22 dicembre 1998. 41 “La maximostra non dovrebbe avere, contrariamente a quanto temuto, problemi di fondi oltre che di spazi”, Enrico Tantucci, Szeemann: una Biennale che va oltre l’Occidente, 22 dicembre 1998. 42 “L’idea di Aperto nasceva da una serie di precise constatazioni e fotografava la situazione delle arti visive degli anni Ottanta, in quel preciso momento, perché la Biennale era dedicata agli anni Settanta. Ma non c’erano solo giovani. C’erano anche artisti di sessant’anni. Successivamente questa funzione è stata stravolta. Si è cominciato a parlare di giovani sotto i trentacinque anni… Se ne sono perse le origini. Ora riprendo il vecchio spirito: la mia sarà una mostra senza sbarramenti”. Paolo Vagheggi, La Nuova Biennale? Guarderà al Passato, in “La Repubblica”, 5 marzo 1999. 43 Paolo Vagheggi, Le sorprese della Biennale, in “La Repubblica”, 21 aprile 1999. 44 “Caro Dario, il Presidente al telefono aveva 2 desideri: 1) Scendere ancora di due miliardi nel preventivo 2) Fare un comitato scientifico per l’Italia. La riunione di venerdì dei commissari ha reso evidente che l’unico paese che non era rappresentato era l’Italia. Allora: puoi tu trovare una formula d’invito. Nomi che propongo Carolyn Christov-Bagargiev, Angela Vettese, ev. Bruno Cosà. Discutere anche con Agnes (Kohlmeyer) e sottoporre al Presidente. Cordiali saluti, Harald” fax del 3.2.99, delle 17:41, in busta 874.
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Venezia correva il rischio di invecchiare, c’è un nuovo pubblico, un nuovo tipo di
attenzione. Le retrospettive sugli anni passati spettano ai musei ».45
A maggio Baratta assicura la situazione economica con un ulteriore introito di 9 miliardi.
Egli si era già assicurato, secondo alcuni accordi presi prima della sua nomina,46 un
raddoppiamento dei fondi – passati dai 5 miliardi e 8000 milioni di lire di gennaio 1998 a
14 miliardi e 700 milioni. D’altronde la mostra di Arti Visive ha un costo che sfiora i 15
miliardi e il finanziamento extra permette la realizzazione dei progetti della Biennale.47
I notevoli fondi e lo straordinario ampliamento degli spazi, che permette alla Biennale di
allargarsi all’intera città, fa sperare il meglio per il futuro della Biennale.48 Il fatto che i
sovvenzionamenti siano per lo più di origine statale non preoccupa Baratta, che precisa
come sia necessario prima un rilancio della Biennale per poter attrarre investimenti privati,
dichiarando « Oggi era doveroso l’intervento dello Stato: doveva dimostrare di credere nel
nuovo soggetto di cui era fondatore e promotore. Difficile chiamare in causa altri se il
promotore si astiene ».49 Baratta agisce nella consapevolezza che la Biennale sia stata
riformata con diversi dettagli ancora da limare e sistemare, ma i suoi obiettivi sono alti e
pone un successo di 400 mila visitatori per un incasso di 6 miliardi.50
45 Paolo Vagheggi, Ecco perché i critici mi spareranno, (intervista con Harald Szeemann) in “La Repubblica”, 21 aprile 1999. 46 “Ho avuto promesse precise prima della mia nomina, che i fondi pubblici per sostenere la nuova Biennale non sarebbero mancati” Enrico Tantucci, Baratta: una Biennale “regista” della cultura che cambia, (intervista a Paolo Baratta) in “La Nuova Venezia”, 23 maggio 1999, p. 43. 47 “Un fiume di denaro […] che si aggiungono ai consistenti finanziamenti, rigorosamente statali, che Baratta è riuscito a dirottare verso Venezia da suo insediamento. Dai 2 miliardi di fondi della legge Speciale […] per le nuove strutture espositive. Per il Teatro Verde di San Giorgio […] Baratta è riuscito a ottenere altri 700 milioni di fondi pubblici della legge per il recupero dei teatri storici. Ancora, la nuova società di cultura si è assciurata una dote permanente di 4 miliardi annui che serviranno per le manifestazioni di Musica, Teatro e Danza. All’appello manca ancora il Cinema, ma c’è da star certi che prima di luglio – come di consueto – arriveranno circa 7 miliardi di finanziamenti per l’organizzazione della Mostra curata quest’anno da Alberto Barbera. […] L’unica controindicazione sta proprio nel fatto che i fondi che affluiscono sono tutti di provenienza pubblica mentre la natura privatistica della Biennale era stata concepita – oltre che per una più agile gestione dell’ente – per attirare investitori privati.” Enrico Tantucci, Per la Biennale nove miliardi in più, in “La Nuova Venezia”, 4 maggio 1999, p. 34. 48 Alessandra Stanley, The Biennale is Back, in “The New York Times”, 23 maggio 1999, pp. 14-15. 49 Paolo Vagheggi, LA Biennale degli sponsor, in “La Repubblica”, 24 maggio 1999, p. 28. 50 Enrico Tantucci, Baratta: una Biennale “regista” della cultura che cambia, (intervista a Paolo Baratta) in “La Nuova Venezia”, 23 maggio 1999. p. 43.
48. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
DirettoreHarald Szeemann
Assistenti del direttore
Agnes Kohlmeyer(esposizione)Cecilia Liveriero Lavelli(pubblicazioni) PROGRAMMAZIONE
Dario Ventimiglia
SUPPORTO ORGANIZZATIVO
Anna Maria PorazziniDebora RossiMatteo BaglioniChiara Bernardi
ASSISTENZA AGLI ARTISTI
Gianpaolo CimarostiLuigi RicciariLuigi Sabatino
ASSISTENZA AI PAESI
Roberto RosolenMartina Pizzul MOSTRE A LATERE
E GIURIA INTERNAZIONALE
Paolo Scibelli
LOGISTICA E ALLESTIMENTO
SPAZI ESPOSITIVI
Pina MaugeriAldo Roberto BeltrameBruno BittnerPaul BittnerAlessandro Dal PraAlvise DraghiCristiano FrizzeleManuela Lucò DazioFrancesca MamprinMauro MomentéLucio Ramelli ALLESTIMENTI ESPOSIZIONE
Kees HensenJosy KraftPidu RussekJérôme SzeemanChristoph Zocher
TRASPORTI E ASSICURAZIONI
Marina BertaggiaMaria Pia BiscosiPiero PizzulAntonio Zanchet VIAGGI E OSPITALITÀ
Antonia PossamaiJasna Zoranovic
COMUNICAZIONE
Gabriella Cecchini
RELAZIONI STAMPA
E PUBBLICHE RELAZIONI
Paolo LughiFiorella TagliapietraClelia Caldesi ValeriValentino DescovichAlessandra DucaChiara FarneaElisabetta GardinLuisa GrandessoGlory JonesPatrizia MartinelliVeronica T uzii
PUBBLICITÀ E MARKETING
Eugenia FiorinMichela Mason ACQUISTI E SERVIZI
Guàltiero SeggiCinzia BernardiMauro FiorenzatoSilvia GattoGiuseppe SimeoniGiorgio Zerbini
RISORSE UMANE
Sandro VettorGraziano CarrerGiovanni Drudi AMMINISTRAZIONE
Daniela VenturiniBruna GabbiatoLaura ScardicchioGiorgio VergombelloLeandro Zennaro PROGET TO
DOCUMENTAZIONI
E IMMAGINI
a cura di Gianfranco Pontele Harald SzeemannAngelo BacciGiovanni AlbertiMonica DemattéMichele MangioneMargherita MesircaMaddalena PietragnoAdriana Rosaria ScaliseMichela StancescuGiorgio Zucchiatti
LA BIENNALE DI VENEZIA
48. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
13 GIUGNO / 7 NOVEMBRE 1999
SCHEDA GENERALE 1999
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
ENTE AUTONOMO
LA BIENNALE DI VENEZIA
PERSONALE
PRESIDENTE
Paolo Baralla
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Laura Barbiani Gianfranco Massello (vicepresidente)Giorgio OrsoniGiorgio Van Siraien
COMITATO SCIENTIFICO Alberto Barbera, CinemaGiorgio Barberio Corsetti, TeatroBruno Canino, MusicaCarolyn Carson, DanzaMassimiliano Fuksas, ArchitetturaGianfranco Pontel, ASACHarald Szeemann, Arti Visive
Tec Bruno Canino
Musica Carolyn Cari san
Danza Massimiliano FuksasArchi/elll Gianfranco Pontel ASAC Harald Szeemann Arti Visive
COLLEGIO SINDACALE Lionello Campagnari Piergiorgio Brida Adamo VecchiRaniero Silvio Folchini
Coordinatore generale Giovanna Legnani
REPARTO AFFARI GENERALI
REPARTO
GESTIONE DEL PERSONALE
UNITA ORGANICA ATTIVITÀ D'ISTITUTO
DirigenteDario VentimigliaSegreteriaMarie-George Gervasoni
UNITA ORGANICA AFFARI
GENERALI E ISTITUZIONALI
Dirigente reggenteGiovanna Legnani
REPARTO AFFARI GENERALI
Debora RossiDaniela BarcaroM. Cristina Lion
REPARTO
GESTIONE DEL PERSONALE
Sandro VettorGraziano CarrerGiovanni Drudi
UNITA ORGANICA ATTIVITÀ D'ISTITUTO
DirigenteDario Ventimiglia
SegreteriaM. Cristina Cinti
Attività espositive Anna Maria Porazzini Paolo Sci belliRoberto Rosolen Gianpaolo Cimarosti
Attività di spettacolo Alfredo Zanolla Carla Mariotto Silvia Menegazzi Claudio TesserRito Musacco Daniela Persi
AFFARI AMMINISTRATIVI
Responsabile Giovanna Legnani
SERVIZI AMMINISTRATIVI,
PATRIMONIALI, INFORMATICI,
TECNICI E AUSILIARI
Gualtiero Seggi
dirigente Lucio RamelliGiuseppe Simeoni Andrea BernardiMauro FiorenzatoMauro MomentéNicola ScolaroMichela Boscolo
CONTABILITÀ FINANZIARIA,
BILANCIO E CONTROLLO DI
GESTIONE
Daniela Venturini Giorgio Vergombello
Leandro Zennaro Bruna GabbiatoLaura Scardicchio Laura Veronese
UFFICIO STAMPA PUBBLICITÀ
E PUBBLICHE RELAZIONI
DirigenteGabriella Cecchini
Relazioni con lo stampa Paolo LughiFiorella Tagliapietra Michela Lazzarin Roberto Turin
Pubblicità e relazioni esterneEugenia Fiorin
InternetDonato Mendolia
A.S.A.C.
Responsabile Giovanna Legnani
Servizi generaliAnna Claut Giovanni MaccarreErica De Luigi Maurizio Urso
Settori disciplinarie attività permanenti Angelo Bocci Michela Stancescu Umberto Volpe Adriano Rosario Margherita Mesirca
Catalogazionee conservazione Osvaldo De Nunzi Daniela Ducceschi Giovanni Alberti Roberto Conte Michele Mangione Maddalena PietragnoliPierluigi Varisco
Laboratori Gioraio Zucchiatti
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
MAPPA SEDI ESPOSITIVE
DE LA 48. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
Antichi Granaidelle Zitelle
Circolodell’arsenale
Corderie
Artiglierie
Isolotto
Tese
Gaggiandre
Deposito Polveri
ARSENALE:
Esternodei Giardini
Palazzo Papadopoli
Fondazione Bevilacqua La Masa
Schola SantaApollonia
Schola dei Tiraoro
CinemaGiorgione
Chiostri Convento
San Francesco della Vigna
Istituto Ellenico
Chiesa san Giovanni Novo
Giardinidi Castello
Cinema Arsenale
Ex Istituto Santa Maria AusiliatricePunta
della dogana
Fondazione Querini Stampalia
Palazzo delle Prigioni
GalleriaNuova
Icona
LISTA SEDI DELLE
MOSTRE DE LA BIENNALE
mostre patrocinate: Marghera, Villa Pisani Stra, Ex Macello a DoloLISTA SEDI EVENTI A LATERE
LISTA SEDI DELLE MOSTRE DELLE
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
FUORI CARTINA:
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
Palazzo Vendramin
CentroStudi
Armeno
Oratorio di San Ludovico
San Gregorio Art Gallery
Corte del Duca Sforza
Galleria A +A
Tesedell’Arsenale
Ateneodi SanBasso
dAPERTutto
dAPERTutto
La mostra del direttore di Arti Visive è l’unica proposta dalla Biennale e occupa interamente gli spazi del padiglione Italia, che non è più tale perché non ospita più la rappresentanza italiana, e gli spazi dell’Arsenale. Per la prima volta oltre a usare le Corderie, in uso già dal 1980, la Biennale conquista gli spazi delle Artiglierie, Tese, Deposito Polveri, Isolotto e Gaggiandre. Senza una tematica precisa dAPERTutto si articola come una grande mostra internazion-ale.
Direttore Harald Szeemann
Assistenti del direttore Agnes Kohlmeyer (esposizione) e Cecilia Liviero Lavelli (pubblicazioni)
LE MOSTRE DE LA 48. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEDE: L’ARSENALEGIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ITALIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
PADIGLIONE CENTRALE
#ITALIAAll’interno della mostra internazionale
dAPERTutto
Curatore Harald Szeemann
ArtistiGrazia Toderi, Paola Pivi, Bruna Esposito, Luisa Lambri, Monica Bonvicini
1. SPAGNA
Commissario David PérezArtisti Manolo Valdés, Esther Ferrer
2. BELGIO
Commissario Laurent JacobArtisti Ann Veronica KìJanssens, Michel François
3. OLANDA
Commissario Karel Schampers; commissario aggiunto Monique VerhulstArtista Daan van Golden
5. ISLANDA
Commissario Olafur K varan; commissario aggiunto Audur ÓlafsdóttirArtista Steina Vasulka
6. UNGHERIA
Commissario janos Sturcz; commissario aggiunto Anna BálványosArtisti Emerse Nanczùr, Imre Bukta, Attila Csörgõ, Gábor Erdélyi, Mariann Imre
7. BRASILE
Commissario Carlos Bratke; Curatore Ivo Mesquita; commissario aggiunto Jens OlesenArtisti Nelson Leiner, Iran do Espirito Santo
8. AUSTRIA
Commissario Peter WeibelArtisti Ecke Bonk, Peter Friedl, Rainer Ganahl, Christine u. Irene Hohenbüchler, Knowbotic Research, wochenKlausur
9. REPUBBLICA FEDERALE DI JUGOSLAVIA
Commissario Radislav Trkulja; commissario aggiunto Vesna MilicArtisti Milorad Damnjanovic, Marijana Gvozdenovic, Slobodan Kojic, Mladen Marinkov, Brislava Prodanovic Nedeljkovic Todor Stevanovic
10. EGITTOCommissario Mostafa El RazzazArtisti Shady El Noshokaty, Gamal Nasser Abo El Yazid
12. POLONIA
Commissario Anda Rottenberg; curatore Hanna WroblewskaArtista Kararzyna Zozyra
13. ROMANIA
Commissario Judit Angel, Horea Avram; commissario aggiunto Aurora Dediu; commissario onorario Dan Haulica
16. STATI UNITI D’AMERICAREPUBBLICA SLOVACCA
Commissari Petra Hanàkovà, Alexandra KusaArtisti "Slovak Art For Free" Juraj Bartusz, Erik Binder, Marko Blazo, Cyril Blazo, Simona Bubénova Ladislav Carny, Pavol Cejka, Pavlina Cierna, Anton Cierny, Emil Drliciak, L'ubomir Durcek, Rudolf Fila, Stano Filko, Eva Filova, Daniel Fischer, Matej Gavula, Julius Koller, Patrik Kovacovsky, Marek Kvetan, Drahusa, Lànyi, Denisa Lehockà, Galina Lishakova, Monika Mitàsova, Ilona Németh, Petra Novàkova, Roman Ondak, Boris Obreicka, Peter Ondrusek Viktor Oravec, Sara Pernecka Elena Patoprsta Karol Pichler Vladimir Popovic Peter Ronai Veronika Ronaiova Dorata Sadovska Martin Sutovec Laco Teren, Dezider Toth, Erika Trnkova Enoke Vargova Imro Vasko ,Karol Weisslechner Dusan Zahoransky Jana Zelibska Anabela Zìgova
21. FRANCIA
Commissari Hou Hanru, Denys ZacharopoulosArtista Jean-Pierre Bertrand, Huang Yong Ping
22. GRAN BRETAGNA
Commissario Andrea Rose; commissari aggiunti Brendan Griggs, Clarrie WallisArtista Gary Hume
23. CANADA
Commissario Jessica BradleyArtista Tom Dean
24. GERMANIA
Commissario Gudrun Inboden; commissari aggiunti Niklas FührerArtista Rosemarie Trockel
25. GIAPPONECommissario Junichi Shioda; commissario aggiunto Atsuko SatoArtista Tatsuo Miyajima, “Revive Time” Kaki Tree Project executive Committee
Gerwald Rockenschaub Artista Dan Perjovshi SubREAL, Alexandru Antik Mircea, Florian Dan Mihaltianu, Nicolae Onucsan AIexandru, Patatics
14. GRECIA
Commissario Anna KafetsiArtisti Danae Stratou, Evanthia Tsantile, Costas Varotsos
15. ISRAELE
Commissario Meir AhronsonArtisti Philip Rantzer, Simcha Shirman
16. STATI UNITI D’AMERICA
Commissario Katy Kline, Helaine PosnerArtista Ann Hamilton
17. PAESI NORDICI
Coordinatore John- Peter NilssonArtisti Eija-Liisa Ahtila, Knut Asdam, Annilka von Hausswolff
18. URUGUAY
Commissario Clever Lara, commissario aggiunto Angel KalenbergArtista Ricardo Pascale
19. AUSTRALIA
Commissario Ron Radford curatore Timothy Morrell Artista Howard Arkley
20. REPUBBLICA CECA
Commissario Olga Malá; curatore Karel SrpArtista Veronika Bromovà
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
PADIGLIONE CENTRALE
*PAESI SENZA PADIGLIONE
ARGENTINACommissario Raul Rodriguez Macchi; curatori Laura Buccelatto, Jorge GlusbergArtisti Jacques Bede, Luis S. Benedit, Oscar Bony, Dino Bruzzone
CROAZIACommisario Vladimir MalekovicArtista Zlatan Vrkljan
IRLANDACommissario Sarah FinlayArtista Anne Tallentire
LUSSEMBURGOCommissario Enrico LunghiArtista Simone Decker
MALTACommissario Adrian Bartolo Artisti Norbert Attard, Vince Briffa, Ray Pitrè
PORTOGALLOCommissario Anda Rottemberg; curatore Hnna WroblewskaArtista Jorge Molder
REPUBBLICA DI ARMENIACommissari Edward Balassanina, Stephan VeranianArtista Narek Avetissian
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
25 bis. REPUBBLICA DI COREA
Commissario Misook Song; commissario aggiunto Seungduk KimArtisti Lee Bul, Noh Sangkyoon
26. RUSSIA
Commissario Konstantin Bokhorov; curatore Joseph Backstein Olesja TurkinaArtista Sergey Bugaev, Vitaly Komar & Alexander Melamid
REPUBBLICA DI GEORGIA
Commissari Maka Mikadze Irena PopiashviliArtista Mamuka Japaridze, Giorgi Alexi Meskhishvili
27. VENEZUELA
Commissario Maria Josefina Weitz; curatore Maria Elena Ramos; commissario aggiunto Miryan CastellanosArtisti Roberto Victor Lucena
28. SVIZZERACommissario Urs Staub; commissario aggiunto Konrad BitterliArtisti Roman Signer
29. padiglione del libro
30. DANIMARCA
Commissario Marianne Torp 0ckenholt, Jéròrne SansArtista The Snoball (Peter Bonde e Jason Rhoades)
REPUBBLICA DI CIPROCommissario Eleni Nikitas Artista Glafkos Koumides
REPUBBLICA DI ESTONIACommissario Sirje HelmeArtisti Jüri Ojaver, Peeter Pere, Ando Keskküla
REPUBBLICA DI LITUANIACommissario Lolita DemakovaArtisti Mindagas Navakas, Egle Rakauskaite
REPUBBLICA DI LETTONIACommissario Helena Demakova; commissario aggiunto Paivi TirkkonenArtisti Ojars Petersons, Inta Ruka, Anita Zabilevska
REPUBBLICA DI SLOVENIACommissario Jure Mikuz; commissario aggiunto Lidija Sircelj Artisti Natasa Prosenc, Andrej Zdravic
TAIWAN Commissario Lin Mun- Lee; commissario aggiunto Paolo De Grandis; curatore Jui-Jen Shih curatore aggiunto Hai-Ming Huang Artisti Buh-Ching Hwang, Chieh-Jen Chen, Tung-Lu Hung
ITALO-LATINO AMERICANOCommissari Bernardino Osio, Louis-Philippe Dalembert; commissario aggiunto Alessandra Bonanni
BOLIVIA Fernando MontesCOLOMBIA Fernando AriasCOSTA RICA Jimenez DerediaCUBARene Francisco Rodríguez FernàndezECUADOR Marianna Fernandez de CórdovaHAITI Philippe DodardHonduras Santos Arzù quiotoGUATEMALA Andrés BonifasiMESSICO Paula Santiago NICARAGUA Cecilia ArguelloPANAMA David VegaPARAGUAY Gustavo BeckelmanPERÙ Benito RosasREPUBBLICA DOMINICANA Elsa Nunez
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
ACOUSTICAL VISIONS OF VENICE Bill FontanaSede: Punta della Doganaa cura di Frederick B. Henry
ALBANIA OGGISede: Ex Istituto Maria Ausiliatricea cura di Edi Muka
BASQUIAT A VENEZIASede: Galleria Bevilacqua La Masa, San Marcoa cura di Achille Bonito Oliva
BEYOND MYTH/OLTRE IL MITOSede: Giardino Palazzo Papadopolia cura di Gabrielle Pizzi
CEREMONIALSede: Schola dei Tiraoro e Battioro, San Staea cura di Nancy Marie Mithlo
COX & MATTHEWSSede: Oratorio San Ludovicoa cura di Kathleen Goncharonv
FEATURE FILM: DOUGLAS GORDONSede: Cinema Giorgionea cura di Vittorio Urbani, Toni Pasquinucci
7 C’S: Ulf RollofSede: ex-cinema Arsenale, Campo della Tanaa cura di Sune Nordgren
SOGNI/DREAMSSede: Giardini di Castello e altre sedia cura di Francesco Bonami e Hans Ulrich Obris
THE LAST JUDGEMENT: Anthony CaroSede: Antichi granai, ZitelleOrganizzazione Museum Wurth
THE WORDSSede: Vaporettia cura di Tuuka Luukas, Ewa Gorniak
TRATTENENDOSISede: Antichi Granai, Zitellea cura di Jan Hoet, Gil Vandecavaye, Eva Wittox
VOC. HANDLE WITH CARESede: Ateneo San Bassoa cura di Yang Wen-l
WALAS-KWIS-GILE TRAVELS GREAT DISTANCES: David NeelSede: Campo San Staea cura di Elspeth Sage, Vittorio Urbani
MOSTRE PATROCINATE
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
GIURIA
INTERNAZIONALE
Zdenka Badovinac Okwui Enwezor
Ida Giannelli Yuko Hasegawa
Rosa Martinez
PREMIAZIONI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
LEONO DORO PER IL MIGLIOR PADIGLIONE NAZIONALE
PADIGLIONE ITALIANOIt represents a new attitude towards the reinvention of the territori al
tradition of pavilions. It is an expression of the spiri t of generosity and openness that is the chief proposition of this Biennale. The energy of the
works is criticaI and fresh.
IL PREMIO INTERNAZIONALE LA BIENNALE DI VENEZIA
DOUG AITKENHe recovers the narrative form of cinema and also the experimental investiga-tions that have been displaced by the high production values of the commer-
ciaI film industry. His installation is precise and articulated with intellectual charity.
CAI GUOQIANGHis work is powerful and surprising, perfect1y balanced in the space. He is questioning the history, the function and the epic of art through temporal
and physical decontextualization.
SHIRIN NESHATThe criticaI and emotional power of her work compares the established
cultural model with the energy of another model that has been silenced, bridging the -, distance between them.
MENZIONI SPECIALI
GEORGES ADÉAGBOHe occupies the in-between space between the globai and the local. The
sprawling effect of his work retains the poetic vision of the individual voice and the capacity to write on the margins of the shared personal and public
wor1ds.
EIJA-LIISA AHTILABer work is compelling and points to the importance of video and film as
strategie and critical tools to analyse personal and socìal rituals.
KATARZYNA KOZYRAShe explores the authoritarian domain of the male space and surveils it by
bringing together elements of performance and masquerade
LEE BULShe creates critical metaphors of Asian female situations with a style that
goes from kitsch to cybernetics. Through her work she shows the psychologi-cal isolation and joy for a possible mutation
dAPERTutto nell’ordine delle sue autorealizzazioni di Harald Szeemann
è litaniaè oracoloè solidarietà minaccioso è esistenziale-sincopato è strategia doppiaè engagementè Oriente giocosoè eclissi e cerimoniaè slancio nello materia dei colori è autoaiuto nel gruppoè opulento e filigrana, ornamento sublime è demolizione di eroiè scultura di mass media è cannibale e distortoè numinosoè testo giganteè bellezza occidentale nello Zen è "ultimi giorni" e caducitàè comico e serioè sumerico d'oggiè dipingere come espressione di vita è grattarsi come nuova iconografiaè concentrato di figuraè silenzioè dietro lo monocromia è intelligenza condiviso è anarchicoè automutilanteè disegno-conquisto è Mandala e fiabaè propaganda raggirataè gruppo asiatico con individuo è relazionarsi con lo famigliaè trovare formeè telefonare a trattiè di nuovo un altro santo è distruzione e scampoè avere a che fare con uno specie in via d'estinzione è solidarietà esplicitoè performance cineseè corpo e forzo di gravità è frontiera del doloreè denudamentoè arrostireè erotismo ricamatoè breakdance come via d'uscita è luttoè accuso e sofferenza è festoso e attivoè contraffazione e lascito
VOLUME 1 VOLUME 1
LA BIENNALE DI VENEZIA
XLVII ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
CATALOGO - dAPERTutto
13 GIUGNO / 7 NOVEMBRE 1999
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 1999
COLOPHON
Realizzazione editoriale Marsilio Editori® s.p.a. Venezia
Coordinamento editoriale Rossella Martignoni
Coordinamento redazionale Annalisa Longega
Redazione Stefania Ivanovich
Elena GuidaMaria Giulia Montessori
LayoutDaniela Albanese
Stefano BonettiCoordinamento tecnico
Piergiorgio CanaleTraduzioni
Stefano Giordani Michaela Heissenberger
Nicoletta Zanon(dal tedesco all'italiano)
Shaul BassiAnthoni Marasco
Eliana MiorinCristiana Moldi Ravenna
Carla TolloloViviana Tonon
(dall'inglese all'italiano) Alberto Folin
(dal francese all'italiano) Maria Pia De Paulis
(dallo spagnolo all'italiano) Impianti
Fotolito Veneta s.r.l., Verona La Fotomeccanica s.r.l., Padova
Composizione Centrofotocomposizione Dorigo
s.r.l., Padova Linotipia
Saccuman & C s.n.c., VicenzaMontaggi
Forpress s.r.l.. Padova Ti-effe s.n.c., Vigodarzere (Padova)
StampaLa Grafica & Stampa editrice s.rl., Vicenza Litopat, Bassone (Verona)
ConfezioneLegatoria Berto s r.l., Conselve
(Padova) Zanardi Editoriale s.p.a., Padova
Stampato su carta GardaMatt Art
a cura di Harald Szeemann
710 pag.cm 24x29 Brossura
Illustrazioni a colori e bianco/nero,
2 volumi italiano/ inglese
Edito da Marsilio, 1999
è soffrire sul medium è lounge e famiglia è invio degli apostoli è "tutti veneziani'"è splash!è camminare sulla funeè cuore eterno e amore fugace è baco da seta in azioneè atelier del futuroè capitale lìè capitale quaè comportamento ibridoè protesta contro i macho di ogni sorta è rifugio di raccoglimentoè poesia del fabbricatoè l'opposto dello starmuseum è trasparenza del dominioè omaggio alle "Sisters in the Sky" è sospendere e invertireè passaggio dal bambino all'uomoè raddoppiamento della poesia nomade è cyborgè boria globale e risveglio nazionale è sublimazione della fustigazioneè borotalco per bambiniè profusione di tempoè hybris dei multisè concerto di vetroè o solare mioè rivalità fra tradizione e liberazione è lo parrucca necessaria alla vitaè ornamento dell'oggettoè bene imitarloè genesi delle montagne dai rifiuti è tappeto volante che galleggia è librarsi e scoppiareè sofferenza e riscatto dei contadini di terre argillose è Majestic Splendorè l'interno e l'esternoè lo porta d'Orienteè interrogarsi sulla domanda dei padiglioni nazionali è desiderio pensato adessoè racconto giganteè amore per gli spazi è un altro respiroè libertà dall'obbligo di prefazioneè il benvenuto ai paesi presenti con o senza padiglione è il benvenuto alle mostre "a latere"e augura a tutti una meravigliosa passeggiata attraverso i Sé
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
GIARDINI
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
dAPERTutto
Sul viale dei Giardini presso il padiglione del libro s’incontra una padiglione virtuale per la Thailandia realizzato da Rirkrit Tiravanija e una grande struttura difronte al Padiglione degli Stati Uniti realizzato da Horbelt- Winter. Sul sentiero che porta al padiglione Italia, che rimane tale solo di nome perché la struttura ospita la mostra internazionale di Harald Szeemann si viene accompagnati dall’installazione sonora di Max Neuhaus. Il fronte del padiglione è realizzato invece da Michel Maiuerus.
Rirkrit Tiravanija, The First Thai Pavillion, 1999
Max Neuhaus, installazione sonora e Michel Maiuerus, fronte padiglione Italia
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
PADIGLIONE CENTRALE: IPOTESI DI RICOSTRUZIONE
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
L’esedra che accoglie il visitatore è segnata dalla grande anfora di Jamee Lee Byars. Scomparso nel 1997 l’artista viene ricordato con questa grande opera collocata nello stesso luogo in cui nel 1980 celebrò la “messa solenne artistica” vicino al leggio datogli da Joseph Beuys. L’opera di Byars, che riporta nel titolo un punto di domanda doppio, è accompagnata da un testo: Apollo penetra nella Pizia per tutte le aperture del suo corpo/ nel medesi-mo istante/ e parla delle sue labbra/ con la voce di baritono, in esametri/epici/ Eraclito scrive che l’oracolo/non dice né si né no/fa solo dei cenni??/ Quando Socrate udì che/ l’oracolo/ l’aveva chiamato l’uomo più / saggio / di Grecia, seppe/ di essere stato prescelto/ come vittima sacrificale??
La grande sala centrale del padiglione ospita i giganteschi ratti neri di Katharina Fritsch che diventano, nonostante fossero già stati esposti da Szeemann nella Biennale di Lione del 1997, l’emblema della mostra. Disposti in cerchio rivolti verso gli spettatori che sovrastano per statura, sono legati per la coda mostrandosi come un’allegoria della condizione umana di fine millennio.
Katharina Fritsch, Rat King, 1993-1993
Jamee Lee Byars, The spinning oracle of Delfi ??, 1986
PADIGLIONE CENTRALE
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
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SEZIONE II – DISPLAY - 1999
PADIGLIONE CENTRALE
Gino De Dominicis, veduta dell’installazione
Mario Schifano, veduta installazione, si riconoscono a sinistra, Sorrisi scomparsi, 1991, al centro Il parto numeroso della moglie
del collezionista, 1985 e a destra Aut/Aut, 1960
Le sale che si dispiegano immediatamente a destra del salone centrale sono dedicate a due maestri scomparsi entrambi nel 1998 Gino De Dominicis e Mario Schifano. Le stanze saranno fra le più critiche per essere state un’occasione mancata di rendere omaggio ai due maestri dal momento che presentano opere minori dei due artisti. Di Schifano vengono presentate sei tele mentre per De Dominicis che aveva conquistato notorietà proprio qui a Venezia esponendo un giovane handicappato, alcuni esempi della sua ultima produzione rispettando in catalogo il suo desiderio di non riprodurre fotograficamente le sue opere
Martin Kippenberg, Veduta della stanza Dieter Roth, veduta installazione, SOLO SCENES, 1997-98
Ad Altri due artisti recentemente deceduti sono dedicate le due stanze successive: Martin Kibberberg morto nel 1997 e a Dieter Roth morto l’anno successivo.La stanza di Kippenberg raccoglie diverse opere installative fra cui la celebre gondola pachwork con una struttura di bancali sopra (Sozialkistentransporter, 1989) e l’uomo volto al muro in un angolo della sala con il volto e le mani in plexiglass rosso (Martin, vai nell’angolo, e vergognati, 1989). La stanza di Dieter Roth invece presenta una grande installazione video su scaffalature (SOLO SCENES, 1997-98) che riporta nei monitor la ripresa della vita quotidiana di un uomo ripreso in tutti i momenti della sua giornata, restituendo un’impressione antieroica dell’esisten-za umana. Nelle vetrine sull’altra parete invece sono esposti i suoi trittici.
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
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PADIGLIONE CENTRALE
La stanza dedicata a Louise Bourgeois presenta una serie di manichini di stoffa realizzati con pezze diverse e parti di manichini come una testa, un torso, chiusi in alcune vetrine su piedistalli. In fondo alla stanza campeggia poi una struttura con tre corpi progressivamente dall’alto in basso con meno parti. Nelle stanze successive si alternano degli interventi di Parreno, Huyghe e Gonzalez-Foerster. A seguire una stanza interamente dedicata a Qui Shi Hua che presenta i suoi monocromi con varianti dal bianco al panna realizzati con sottilissimi strati di pittura. Nella piccola zona annessa in una nicchia un’opera altrettanto delicata di Wolfang Laib realizzata con il polline (Pollinen from Dandelion, 1999) e l’opera di Zhang Peili. La sala dell’artista cinese presenta una video installazione che consta di due parti. La prima con una serie di monitor a terra che riprendono il prurito di diverse parti del corpo. Mentre su una serie di monitor installati su piedistalli si dispiega Just for you, che riprende una serie di volti di uomini e donne che cantano in cinese “Tanti Auguri a te”.
Louise Bourgeois, Three Horizontals, 1998
Qui ShiHua intervistato difronte a Senza titolo (landsacpe), 1998
Zhang Peili, Uncertain pleasure, 1996
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
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SEZIONE II – DISPLAY - 1999
PADIGLIONE CENTRALE
John Bock, ApproximeationRezipientenbedurfniscomaUrUltraUseMaterialMiniMaxi, 1999, veduta installazione e particolare
John Bock ricrea in due stanze dei microcosmi che appaiono come delle miniature teatrali. Nella prima stanza fa uso di architetture in legno che sembrano essere incastrate nella parete espositiva, mentre la seconda stanza completamente offe un’esperienza immersiva presenta un percorso segnato dalla ghiaia su cui incombono da soffitto una pletora di oggetti di stoffa e di diversi altri materiali e le pareti sono ricoperte da piccoli puntini di colore.Xie Nanxing espone nella sala a lui dedicata una serie di dipinti fortemente realistici in cui viene rappresentata la brutalità di esperienze notturne. I corpi segnati dalle ferite sembrano colti da un flash fotografico improvviso restituendo un’istantanea di dolore ed emarginazione.
Proseguendo si trova la grande stanza con un lavoro site specific di Otto Zitko che esegue un wall drawing su tutte le pareti della sala. In due piccole stanze successive invece si è immersi nelle installazio-ni video di Grazia Toderi che in quest’occasione presenta due opere Il Decollo e Il fiore delle mille e una notte.
Grazia Toderi, Il decollo, (frame da video), 1998
Otto Zitko, veduta dell’installazione
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
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PADIGLIONE CENTRALE
Nella sala ottagonale del Padiglione Italia si posizione l’installazione della svizzera Pipilotti Rist presente anche all’arsenale. La stanza ha un contrappunto colorato di Blu, giallo e rosso che sono i colori diffusi dalle lampade dell’installazione. Ai lati della stanza su di una bassa piattaforma a terra si presenta un modellino architettonico. Nella stanza consecutiva il visitatore s’imbatte nei grandi trittici fotografici lunghi tre metri risalenti agli anni ’70 di Katharina Sieverding. A seguire invece la mostra ospita l’installazione di Liisa Roberts in cui, come ad esempio in betraying the portrait viene proiettato sul muro tramite un trabattello sui cui si colloca la strumentazione tecnica necessaria, il volto di una donna di spalle, evitando quindi la possibilità di essere ripresa in volto.
Katharina Sieverding, The great White Way goes, 1977
Pipilotti Rist, Vorstadthirn, 1999
Salendo le scale del soppalco si è accolti dalla grande tela di Sigmar Polke Apparizione a Maria, che fronteggia direttamente lo spettatore e che appare installata su di un muro separatorio che permette un’articolazione dello spazio. Nella stessa sala dal lato di Sigmar Polke si dispiegano le grandi tele di Fang Liu e di Yangshaobin. Dall’altra parte del muro invece campeggia il volto di giovane ragazza di Franz Gertsch, Silvia.
Soppalco, veduta allestimento. Si riconoscono: Sulla sinistra Sigmar Polke, Marienerscheinung (apparizione a Maria), 1994;
in fondo Fang Liu; sulla destra Yang Shaobin, senza titolo, 1998-1999
Soppalco, veduta allestimento, si riconoscono:a sinistra Franz Gertsch, Silvia, 1998;z a destra, Schwarzwasser (acqua nera), 1993-94.
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PADIGLIONE ITALIA
Ai piedi del soppalco si articola il lungo tavolo di Wang Du che come a un mercato espone manichini, busti e mezzi busti di personaggi noti all’informazione giornalistica di quei giorni e che riempiono le pagine scandalistiche. Alle pareti si dispiegano le opere di Wang Xingwei che presenta diverse tele fra cui quella sua più celebre in cui riprende un bambino che ha rotto il grande vetro di Duchamp e viene sgridato.
Wang Du, Marché aux puces –Mise en vente d’informations d’occasion Mercato delle pulci, 1999
Wang Xingwei, Le grand verre, 1996
Il passaggio all’infilata delle stanze di sinistra del padiglione Italia è segnato dall’installazione di Sarah Szee e dalla stanza di Oreste. Quest’ultimo, nato da un’iniziativa di Cesare Pietroiusti, è composto da un gruppo molto nutrito di artisti italiani che invece di esporre le loro opere propongono uno spazio di incontro, ritrovo ed educazione. Il gruppo chiede ai visitatori di coinvolgersi con il loro “trovarsi” fisico, nello spazio realizzato, e “virtuale” tramite internet accessibile dai computer presenti, la cifra del proprio lavoro
Sarah Szee, Nostalgia, 1999
Oreste, veduta della sala
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SEZIONE II – DISPLAY - 1999
PADIGLIONE CENTRALE
Dopo la stanza di Oreste è la volta di una piccola stanza occupata dalle tele materiche di Pia Fries. Continuando il percorso sono le opere di Aiweiwei che scorrono sia sulle pareti quasi senza soluzione di continuità dal momento che da una stanza passano direttamente allo spazio successivo, sia occupando la zona centrale della stanza con delle vetrinette della stessa serie fotografica (Cross Table, 1996). Nella grande sala attigua a quella centrale sono stati realizzati alcuni black box per la visione dei video di Bo e William Kentridge. A chiudere il percorso di visita inoltre una sala con una grande tela di Zhou Tiehai, l’installazione video di Douglas Gordon e la serie fotografica di persone appartenenti a gruppi (poliziotti, infermieri, militari etc…) vestiti con la propria divisa d’ordinanza di Zhuang Hui.
William Kentridge, Stereoscope (frame da video), 1999
Douglas Gordon, Through a looking glass, 1999
Zhuang Hui, veduta dell’allestimento
Ai Weiwei, 72 Standard, 1997
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SEZIONE II – DISPLAY - 1999
PADIGLIONE CENTRALE
Il seminterrato è condiviso da tre artisti. Alle pareti ci sono le cibachrome di Teresa Hubart e Alexander Birchler inoltre vi è al centro una struttura che accoglie l’opera di Sidén che mette insieme negli stessi scaffali asciugamani e navigatori.. temi videoMentre l’ala opposta presenta le opere di Perino e Vele. Perino e Vele sono i più giovani artisti di questa Biennale e mostrano, La pelle dell’Elefante, un grande tappeto gibboso con inserite due poltrone, realizzato in vetroresina e cartapesta scegliendo i quotidiani in base al colore. E’ un’opera praticabile sulla quale si può camminare e mettersi a sedere.
Emiliano Perino e Luca Vele, Pelle d’elefante, 1998
Sidén, Who told the Chambermaid, 1998
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LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
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CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
La prima zona delle Corderie si apre con un una grande installazione di Wolfgang Winter & Berthold Horbelt che posizionano una grande struttura realizzata con le cassette dell’acqua creando un’architettura percorribile. Di questo generi di spazi è quindi possibile per il visitatore sia immergersi nella penombra di una zona al chiuso come avviene alle Corderie oppure vederne il contrasto con la natura dei Giardini.
Passata la grande installazione si entra nella prima sezione delle Corderie articolata con numerose strutture temporanee per poter suddividere le grandi navate dell’edifi-cio in ambienti adatti allestivi. Per cui immediatamente sulla sinistra s’incontra una zona a box con il video di Burham e a sinistra l’installazione di Max Dean. Una larga parte di questa sezione ospita molti degli artisti cinesi che sono in mostra. Si riconoscono le storie con i panda di Zhao Bandi, le opere di Yuo Ming Jun che si fronteggiano da una parte e l’altra delle Corderie in due serie da una parte tutte centrate sull’omologazione e la differenziazione, e Zhang Huan.Da contrappunto alla sezione le piccole sculture di Dieter Appelt su bassi piedistalli. Inoltre sono presenti opere video di Bruce Nauman e i monitor di Anna Jermolaewa. Chiude la sezione la donna-neonato di Ma Liuming.
Max Dean, As Yet Untitled, 1992-1995
Yue Minjun, veduta dell’installazione
Dieter Appelt, Skultur Nr.1, 1994Ma Liuming, Baby '98 no.2", 1998
Winter & Holbert, veduta dell’installazione
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
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CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
Entrando nella seconda parte delle Corderie s’incontra l’installazione di Ghada Amer che su tre grandi tele e due teche con cuscini ricamati presenta le sue opere cucite. Difronte in una lunga struttura realizzata appositamente per ospitare l’installazione, troviamo 3 grandissimi schermi che riportano il video di Doug Aitken, Electric Earth. Oltre a questo video sono presenti anche Vesna Vesic, Christian Jankowski, l’installazione su monitor in cerchio di Saverio Lucariello. Dal soffitto pendono gli abiti di Wang Jin. e a chiusura di questa parte il camper di Costa Vece con le pile di cartoni che creano un’architettura visitabile.
Doug Aitken, Electrich Earth, 1999
Costa Vece, Videolounge, 1999
Ghada Amer, veduta dell’installazione
Wang Jin, The Dream of China, 1997
Tim Hawkinson presenta una grandissima installazione realizzata in poliuterano che riproduce il corpo dell’artista che picchietta con una parte diversa del corpo contro i rami dell’albero sonoro. Le figure sono dodici come gli apostoli a cui a riferimento il titolo Pentecoste, il momento in cui ricevono lo Spirito Santo e furono poi in grado di parlare le lingue del corpo. La struttura si articola intorno alle colonne dell’edificio.Nella stanza successiva segue un’altra grande installazione video di Il narratore. L’ampia area delle Corderie è immersa nel buio ed è segnata da quattro grandi schermi su cui si articola il lavoro del duo. Nella piccola area immediatamente successi-va seguono le proiezioni a terra del video di Antoni Abbad i cui protagonisti sono dei topolini.
Tim Hawkinson, Pentecoste, 1999
Antoni Abad, Love Story, 1998
Dopo le due grandi installazioni precedenti la mostra torna a presentare i classici box per isolare le opere così s’incontra un’installazione con le piccole sedioline di Liang Shaoji e di fronte l’opera di Ana Laura Alàz che propone una struttura mobile per una casa futuribile che possa servire ad un artista nomade. In una zona a sinistra le grandi foto di Balthasar Burkhard e di seguito le sculture di Gilles Barbier che sintetizzano con elementi eteroge-nei la schizofrenia delle informazioni di un mondo tecnologico. Sullo stesso lato una stanza è dedicata alle rarefatte opere di Luisa Lambri, opposto invece l’installazione di Monica Bonvicini e poi la casa di paglia di Massimo Bartolini. Chiude questa parte l’installazione di Christos Papoulias che riflette sul valore del piedistallo e del museo con un’opera ispirata al museo dell’Eretteo di Atene.
Massimo Bartolini, veduta dell’installazione
Monica Bonvicini, I believe in the Skin of the things
as in the of the women, 1999
Gilles Barbier, veduta dell’allestimento Christos Papoulias, The Erchtonian Museum of the Athens Acropolis project, 1991
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
Paola Pivi, aereo, 1999 veduta dell’installazione e particolare
Chris Burden, The mexican bridge, 1998-1999
Kim Soo-Ja, Cities on the Move –Bottari Truck in Exile (dedicated to the Kosovo Refugees, ), 1999
Simone Aaberg Kaern , Sisters in the Sky - Woman Pilots in War Duty During WW II, 1997, 1998, 1999
Le Corderie si chiudono con quattro grandi installazioni. Sulla sinistra incastrato fra le colonne un aereo (Paola Pivi) incastrato fra le colonne e gli risponde “a tono” in una struttura che compie una curva l’installazione di Simone Aarberg Kaern che presenta una serie di ritratti di donne pilota durante la seconda guerra mondiale.A seguire ci si imbatte nei quattro grandi ponti di Chris Burden costruiti con i meccano.Ultima installazione quella di Kim Soo-ja che parcheggia fra le campate camion Bottari carichi di sacchi di stoffe coloratissime. L’opera nasce in concomitanza con il progetto Cities on the move.
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
ARTIGLIERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE DELLA PIANTA DELL’ALLESTIMENTO
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SEZIONE II – DISPLAY - 1999
ARTIGLIERIE
L’installazione che apre quest’area utilizzata per la prima volta per la Biennale è costituita dai manichini appesi di Lee Bull e vicino le installazioni con sedie in cerchio di Zhco. L’opera è quasi all’aperto dal momento che è possibile riscontrare dalle foto una grande fessura sul tetto dell’edificio. Immediatamente dopo s’incontrano i grandi tamburi di Chenz Zhen. L’installazione, che era stata officiata all’inaugurazione direttamente dai monaci è poi lasciata al pubblico da esplorare. Fra le installazioni più invasive c’è l’opera di Thomas Hirshhorn che propone un mondo/aeroporto tutto centrato sull’emergenza. Segue la grande installazione di Richard Jackson che con i suoi mille orologi realizza un’ambiente pervasivo e di grande impatto. Alla fine delle Artiglierei in un ampio spazio si snoda la grande installazione di Paul McCarthy e Jason Roades Proppositiom, 1998.
Kcho, Solo comprendo Io que pienso cuando lo dibjo, 1999
Thomas Hirshhorn, Mondo/Aereoporto, 1999
Paul McCarthy e Jason Roades, Propposizion, 1998-1999
Chen Zhen, Jue Chang, Fifty Strokes to each Joe Chang, 1998
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
TESE, ISOLOTTO, DEPOSITO DELLE POLEVERI, GAGGIANDRE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
LE MOSTRE DE LA XLVIII ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
TESE, ISOLOTTO, DEPOSITO DELLE POLEVERI, GAGGIANDRE
SEZIONE II – DISPLAY - 1999
Maurizio Cattelan, momento della performance, 1999
Shirit Neshat, Turbulent, 1999
Serge Spitzer, Reality Models –Re/cycle (don’t hold your breath), 1999
Bruna Esposito, Acquarell e Madrepatria, 19988-99
Cai Guo Qiang, Venice-Rent Collecting Courtyard, 1999t Stephan Huber, Deposito Po, 1999
L’isolotto è interamente occupato dalla grande installazione di Serge Spitzer. Quattro mila bicchieri sono installati sul pavimento, sulle balaustre, ovunque sia possibile poggiarvi bicchiere conferendo all’ambiente un’impressione di fragilità e dispersione. Alle Tese oltre all’opera di Ataman e Rizzoli spicca il grande camion di Wim Delvoye e l’installazione video di Shirin Neshat Turbolent che racconta in maniera poetica la difficoltà delle donne in paesi islamici ad essere ascoltate. Di grande impatto emotivo inoltre la performance di Maurizio Cattelan che chiede ad un fachiro di essere sepolto vivo. Unico segno della sue presenta: le mani che spuntano dal terreno. Nel Deposito delle Polveri troviamo i pesci imbustati di Lee Bul e all’esterno ad accogliere il visitatore fluttuano le bolle di sapone piene di fumo di Pipilotti Rist. All’interno sotto la direzione dell’artista Cai Guo Qiang, un gruppo di giovani artisti cinesi modellano l’argilla secondo un’antica tecnica della scultura classica. L’installazione è un work in progress e piano a piano le statue prendono forma riecheggiando un progetto dell’epoca maoista di restituzione reale del lavoro, ma nel contesto contemporaneo se ne percepisce l’anacronismo. Alle Gaggiandre sotto le tettoie i coloratissimi teli di Lori Hersberger uniscono le banchine dove attraccavano le gaggiandre della Serenissima. Nel bacino a poca distanza sulle acque galleggia una zattera su cui è collocata una panchina ricoperta di specchi, opera galleggiante di Bruna Esposito.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
335
77.3. Analis i di dAPERTutto
Il nuovo corso della Biennale con uno statuto riformato, una diversa organizzazione ed un
rinnovato programma culturale si apre con una mostra che riprende l’impostazione di
Aperto ‘80, una mostra divenuta storica che ha segnato l’identità della Biennale e che per
anni, come si è potuto vedere anche con le edizioni precedenti del 1993 e 1995, scatena
dibattiti e polemiche intorno alla produzione artistica più recente. L’intenzione dichiarata è
quella di attuare Aperto in ogni dove, “dapertutto” per l’appunto.
Se nel 1980 Aperto faceva parte di una serie di mostre, fra cui, ad esempio, L’arte degli anni
settanta, che secondo le intenzioni di Luigi Carluccio dovevano restituire il fermento
artistico più recente, questa impostazione per la Biennale doveva diventare regola
principalmente a partire da questa edizione. Nelle linee guida che Szeemann stila per
questa Biennale indica proprio la rinuncia ad un’indagine storica a favore delle pratiche
artistiche contemporanee. Se nel 1999 questo è un aspetto programmatico relativo ad
un’edizione l’impostazione è destinata a caratterizzare il modo in cui si strutturano tutte le
biennali a venire. Per la Biennale di Venezia che aveva individuato nelle tre linee guida
documentazione, informazione e educazione il proprio futuro all’indomani dei dibattiti
degli anni ’70, con le biennali di Szeemann, la nuova struttura capeggiata da Paolo Baratta,
diventano un’agenda concreta il cui primo esempio è ravvisabile nella prima edizione che
acquisisce nuovi spazi e nuove identità.
Come Aperto, dPAERTtutto, non ha un tema specifico ed il titolo comunica unicamente
un‘apertura ad una mostra totalmente internazionale, che volge lo sguardo dPAERTtutto,
in ogni dove creativo. E’ proprio il rilancio sulla scena internazionale della Biennale che
viene immediatamente rappresentato nella strada del visitatore verso l’ex-padiglione Italia
divenuto Padiglione Centrale. Due elementi ne costituiscono la dichiarazione principale:
l’opera di Rikrit Tiravanjia sul fianco del viale che porta al padiglione centrale e la ri-
funzionalizzazione del padiglione stesso.
L’opera di Tiravanija, The first Thai pavillion, è un padiglione “virtuale”, se così si può dire,
perché ufficialmente il Paese non è presente alla Biennale ma dalla sua piattaforma da cui
cresce una pianta si comprende l’intento dell’artista di suggerire un luogo che sia
innanzitutto un luogo aperto, di confronto, a cui convergere. L’opera, che anticipa il
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
336
concetto di piazza d’incontro, suggerito dall’operazione di Massimiliano Gioni per la
Biennale del 2003, si pone come un invito al confronto sovra-nazionale, inter-nazionale
suggerendo una modalità concettuale e operativa che sarà sposata e attuata da Szeemann
per l’edizione 2001 non a caso intitolata Platea dell’Umanità.
L’idea di un luogo di ritrovo, di raccolta è riproposto dalla grande installazione di Holbert-
Winter nello spazio esterno antistante il padiglione degli Stati Uniti. Il percorso verso la
facciata, che reca un intervento di Michale Maierus, segna i passi del visitatore con
l’interazione obbligata con l’opera sonora di Max Neuhaus.
Szeemann infatti a più riprese nelle interviste sottolinea quanto la mostra debba essere
intesa come una passeggiata di sorpresa in sorpresa, così l’emozione che le fotografie non
possono rendere dell’accompagnamento sonoro deve essere sottolineato perché il
cambio di situazione, il gioco emotivo dal piccolo al grande da una sensazione di un tipo a
quella opposta è la cifra dell’allestimento che ordina la 48esima edizione.
L’attacco del padiglione Italia è quindi di grande impatto. La sala dell’esedra è occupata da
una grande anfora di Jamee Lee Byars un artista con cui Szeemann intrattiene un rapporto
di lunga durata, e nel salone centrale di contro una giovane artista tedesca, Katharina
Fritsch che ripresenta un’opera del 1997 già esposta dal curatore svizzero in occasione
della Biennale di Lione di quell’anno, diventando perciò in questa, simbolo della
condizione umana e iconografia della mostra che rimbalza su tutti i reportage della
mostra.
La figura di Jamee Lee Byars è per Szeemann un figura artisticamente molto rilevante
paragonabile nel suo Olimpo a quella di Joseph Beuys. Non è a caso l’ermetica opera di
Byars che presenta è una grande anfora dorata riversa su un fianco poggiata esattamente
nel centro della sala o meglio nel luogo in cui proprio nel 1980 l’artista aveva celebrato una
sorta di “messa solenne” vicino ad un leggio datogli da Joseph Beuys.
Questo dettaglio, raccontato nella targa , fa si che l’opera di Byars oltre a omaggiare la sua
scomparsa con una posizione di grande importanza all’entrata della mostra, ricordi anche
il collegamento concettuale di questa mostra con l’esperienza non tanto di Aperto ma di
Szeemann stesso con la Biennale risalente al 1980. Egli infatti era anche nella commissione
che si occupò della mostra Arte degli anni Settanta tenutosi proprio nel padiglione Italia.1
L’esperienza fu molto faticosa per Szeemann che non amava lavorare in gruppo, al punto
1 La commissione organizzativa della mostra era costituita da Achille Bonito Oliva, Michael Compton, Martin Kunz e Harald Szeemann.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
337
che ad un certo punto di quell’esperienza, rassegna le sue dimissioni,2 non trovando la
sintonia nella progettazione di una mostra che lui avrebbe voluto diversa.3 Per certi versi
quindi la mostra, come rivela la tipologia dell’opera e l’artista presentato in apertura,
l’esposizione dAPERTUTTO vuole continuare una discorso che il curatore ha iniziato nel
1980 con la Biennale che è premessa di questa edizione del 1999 sia dal punto di vista
teorico, nell’estensione del concetto di Aperto a tutta la mostra, sia dal punto di vista
storico-allestitivo facendo una citazione diretta dell’esperienza passata.
A destra della sala centrale di Fritsch nell’infilata di sale collegate le une alle altre troviamo
gli artisti storici che vengono omaggiati in questa Biennale. Quelle italiane, che non
trovano grande favore soprattutto nella critica nazionale, sono due stanze dedicate
rispettivamente a Gino De Dominicis, di cui vengono presentate alcune opere che
sintetizzano la sua figura espressiva - fra cui Tentativo di volo (1969), Mozzarella in carrozza
(1970), Autoritratto, invisibile nello studio (1998) oltre a numerose opere che come di
consuetudine non recano un titolo - , e di Mario Schifano del quale vengono presentate
alcune opere poco significative pur toccando emblematicamente alcuni periodi chiave
della produzione artistica come gli anni ’60 con Aut Aut o gli anni ’70 con Primavera nel
cinema sovietico fino ad arrivare agli ultimi anni della sua produzione con Buio+inquinato
del 1995. L’idea è mostrare una piccola sintesi emotiva del lavoro degli artisti più che una
carrellata cronologica, ma l’esperimento sintetico appare più riuscito nelle sale dedicate a
Martin Kippenberg in cui vari le dieci opere esposte, tra cui Martin vai nell’angolo (1989), la
gondola “socialista” (Sozialkistentransporter, 1989), sembrano comporre un vero unicum
meta-installativo che restituisce il senso del lavoro dell’artista, cosa che accade anche nella
stanza dedicata a Dieter Roth che pur presentando un minor numero di opere la presenza
della grande installazione di Solo Scenes (1997-1998) è comunque di forte impatto e in
accordo con le altre opere esposte nella sala.
Il resto dell’allestimento procede secondo un percorso di continua variazione emozionale.
Nel soppalco alle spalle della sala centrale si dispiega il trionfo della pittura sia europea che
asiatica. Questa sala come quella che la precede con l’accesso alle scale, mostra
chiaramente le vicinanze tra artisti e tematiche internazionali. Partendo dalla sala di
accesso al soppalco che per quest’anno è possibile solo da questo lato, pone al centro il
grande tavolo di Wang Du con le figure caricaturali in cartongesso dei protagonisti dei
media di quel periodo, tra le quali si trova anche la figura di Monika Lewinsky implicata
nello scandalo della Casa Bianca, e poi alle pareti i lavori di Wang Xingwei compresa la
2 Lettera di Harald Szeemann a Luigi Carluccio, 26 gennaio 1980, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep, busta 2941. 3 Cfr Laura Poletto, op. cit., 2012, pp. 437-438.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
338
famosa tela in cui un bambino viene sgridato perché ha rotto il Grande Vetro di Duchamp
(Le grand Verre, 1966). I due artisti cinesi, che fanno parte del grande gruppo che
Szeemann presenta in questa Biennale, evidenziano in maniera diversa la circolazione di
idee, informazioni, contaminazioni ormai all’ordine del giorno in un mondo connesso, per
cui le figure diventano, nonostante i tratti somatici riconoscibili internazionalmente e un
quadro come quello di Xingwei carico di un complesso di rimandi tra occidente e oriente
sembra il trait d’union che apre ad una nuova e diversa internazionalità.
Il soppalco in maniera diversa, declina questa vicinanza, puntando sul grande formato
pittorico.
Salendo le scale si è accolti dalla grande tela di Sigmar Polke Apparizione a Maria (1994) a
cui risponde l’ermetico volto di Silvia (1998) di Franz Gerst. Al di la della presenza di questi
artisti europei le altre tele che si dispiegano sono di artisti cinesi come Fang Liu e Yang
Shaobin che raccontano della propria identità culturale in modi che appaiono
straordinariamente vicini. Questo principio espositivo informa anche la stanza del
seminterrato divisa fra i giovanissimi Perino e Vele che espongono la loro pelle d’elefante
realizzata con la carta di giornale e l’installazione video di Sidén.
Nell’ala di sinistra del padiglione Italia dopo l’opera di Sarah Szee, s’incontra la stanza di
Oreste. Questa sala dove in realtà si svolgono incontri e discussioni, è testimonianza
dell’arte relazione degli anni ’90 resa famosa dagli scritti teorici di Bourriaud e che nelle
prossime edizioni sarà sempre presente in Biennale fino a culminare con l’esperienza di
Stazione Utopia del 2003. Oreste nello specifico è un’esperienza italiana di collettivo
artistico nato dall’iniziativa di Cesare Pietroiusti interessante per la modalità con cui
Szeemann la sceglie oltre per l’attenzione positiva ricevuta dalla stampa essendo a questa
data ancora un’esperienza fresca e sperimentale. Si tratta infatti di un’autocandidatura che
Szeemann vaglia e decide di accogliere. Studiando infatti tutti i suoi carteggi è possibile
infatti capire come egli cercasse di prendere in considerazione ogni proposta che gli
venisse fatta e valutarla. Da una parte questo dimostra una grande curiosità del curatore e
un procedere senza preconcetti, dall’altra rivela la sua percezione dell’accadimento delle
cose come interconnesse, per cui è difficile che lasciasse correre ciò che “accadeva”. Ed è
l’avvenimento, lo scatenarsi in noi di un’esperienza emotiva forte a seguito dell’imbattersi
in qualcosa o qualcuno, il principio con cui lui cerca di far esperire ad altri tramite la
mostra. Racconta, infatti, dell’idea di strutturare la mostra come un percorso « Ho sempre
avuto l’idea di fare una grande mostra sotto forma di un cammino d’iniziazione – fin dai
tempi di documenta 5 nel 1972 – e di una passeggiata dove si passa da sorpresa a
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
339
sorpresa. L’arte e gli artisti di oggi permettono finalmente di realizzare quest’idea a
Venezia. Chi crede che tutto sia legato a tutto, ha il dono di aspettare l’occasione ideale ». 4
Secondo quest’idea si passa pertanto dall’opera di Ai WeiWei che sconfina fino alla zona
dove si proiettano i video di William Kentridge e di Bo. L’alternanza di artisti occidentali
con artisti asiatici è anche caratteristica di queste ultime sale che si chiudono con Shou
Tiehai e Douglas Gordon, oltre alla piccola stanza che si apre direttamente sull’esedra
d’entrata con le lunghe fotografie di gruppo di Zhuang Hui.
Nella zona a destra delle sale dedicate agli artisti scomparsi si sussueguono invece una
serie di sale dedicate singolarmente a un’opera o a una serie di opere di artisti per lo più
giovani. In questa zona del padiglione Italia e nelle Corderie l’effetto cercato è proprio
quello di “sorpresa in sorpresa” creato grazie ad una continua assonanza generale,
all’affiancamento di lavori che producono un effetto immersivo, come nel caso, ad
esempio, della vicinanza fra le bianche tele meditative di Qui Shi-Hua, i pollini di Wolfgang
Laib e la stanza intimista di pruriti erotici di Zhang Peili.
Szeemann predilige inoltre in questa esposizione, cosa particolarmente evidente da qui in
avanti, le grandi installazioni. Le stanze sono concepite, come luoghi dell’accadimento
artistico impersonato dalle varie opere, si susseguono quindi le stanze di John Boch, quella
di Pipilotti Rist, con un’installazione per tutta la stanza ottagonale del padiglione o le
stanze raccolte per i video di Grazia Toderi. Anche quando, come nel caso di Katharina
Sieverding vengono presentate opere a parete come i suoi grandi trittici, la collocazione è
raccolta da fine di far sembrare la situazione più simile ad un’installazione ambientale che
non ad un allestimento di un’opera fotografica.
All’Arsenale per la prima volta il percorso delle Corderie non è terminale ma l’inizio di un
percorso molto più lungo che attraversa anche le aree delle Artiglierie, Isolotto e poi Tese
con il Deposito delle Polveri e le Gaggiandre.
L’inizio del percorso cita l’inizio della visita dei Giardini riproponendo un’installazione di
Winter e Holbert realizzata con le cassette inutilizzate dell’acqua. La grande installazione
occupa tutta la prima sala delle Corderie e si pone come il “negativo” dell’opera all’aperto
essendo immersa in una zona più buia. Il resto del percorso delle Corderie si divide per
alcune grandi aree in cui Szeemann posiziona gruppi di opere che compaiono tra box e
pareti divisorie per articolare lo spazio imperativo delle Corderie cadenzato da spazi precisi
segnati dalle grandi colonne centrali. Quindi tutte le zone che egli individua fanno
un’ambiente dedicato ma allo stesso tempo in comunicazione. Come osserva Pietro
Rigolo, Szeemann « aveva sempre amato la possibilità offerta da grandi ambienti di
4 Identikit di Harald Szeemann, in “Tema Celeste”, luglio – settembre 1999.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
340
presentare molti oggetti nello stesso spazio, attuando attraverso la loro disposizione dei
legami concettuali di vicinanza o di lontananza ». 5
Inoltre opere degli stessi artisti non vengono sempre messe vicine. Questa strategia
allestitiva predilige quindi il valore dell’opera e del proprio carico concettuale ed emotivo
alla proprietà creativa dell’artista. Può accadere inoltre che opere dello stesso artista
spesso siano vicino ma non accanto come nel caso di Zhao Bandi e Zhang Huan; se in
pianta appaiono uno di fronte all’altro e quindi teoricamente insieme, praticamente la
distanza da un lato all’altro delle Corderie è tale per cui non si percepisce questo
accostamento, mentre invece è molto più diretto l’accostamento fra i quadri di Yue
Minjum e le piccole sculturine di Dieter Appel che vengono distribuite lungo la parete su
bassi piedistalli.
Ai video talvolta installati a piccoli gruppi, altre volte uno di fronte all’altro si
accompagnano le grandi installazioni a fare da contrappunto il percorso del visitatore.
Dall’installazione con camper e scatoloni di Costa Vece segue la stanza di Pentecoste di
Hawkinson per un’infilata di opere sempre più grandi fino a chiudere le Corderie con l’aere
di Paola Pivi la curva di quadri di Simon Aaberg Kaen, i ponti di Chris Burden e i grandi
camion di Soo Ja Kim, nati nell’ambito di un progetto che segna anch’esso una tappa
importante dell’interesse verso i cambiamenti planetari a seguito della globalizzazione,
Cities on the Move.
L’allestimento del resto delle nuove “acquisizioni” dell’Arsenale continua secondo la
modalità delle grandi installazioni anche per motivi pratico strutturali. Queste zone, anche
se acquisite ancora non presentano una ristrutturazione compiuta che sarà lavoro di anni e
quindi le aree risultano ancora succubi delle intemperie. La combinazione però fra le
grandi installazioni e gli ambienti assimilabili ad un reperto archeologico, è spettacolare e
viene pertanto percepita come fra le più riuscite della mostra fra le installazioni di questa
zona si ricordano a titolo di esempio l’aeroporto di Thomas Hirshhorn, i tamburi di Chen
Zhen che portarono in Biennale perfino i monaci buddisti, la grande installazione di
bicchieri di Serge Spitzer, l’installazione video di Shirit Neshat e la panchina galleggiante di
Bruna Esposito. Quest’artista fu insieme alle altre artiste italiane (Luisa Lambri, Grazia
Toderi, Monica Bonvicini, Paola Pivi) che rappresentavano “virtualmente” l’Italia - non
essendo infatti raccolte in un luogo per poter essere “bollate” come italiane - vincitrice del
premio “miglior padiglione nazionale”. Un altro italiano viene consacrato da Szeemann
5 Pietro Rigolo, op. cit. 2013, p. 29.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA -1999
341
prima in dAPERTutto e poi in Platea dell’Umanità, è Maurizio Cattelan.6 Artista eclettico ed
irridente espone al posto di un’opera un fachiro che per i giorni della vernice fa una
performance che lo vede sepolto vivo per un certo tempo.
Gli spazi dell’Arsenale sono molto importanti per il dispiegamento della mostra, tanto che
Szeemann e Baratta legano alla possibilità dell’uso di questi spazi la realizzazione della
mostra stessa come conditio sine qua non, ed è nel segno di queste aree che viene
comunicata la rinnovata forza della Biennale che appare contemporanea e vitale nella
struttura e nella proposta culturale.
Tornando all’opera di Byars, egli facendo riferimento all’oracolo di Delfi crea
metaforicamente un accenno al percorso iniziatico, che non a caso finisce con un fachiro,
che comincia proprio in questo luogo. E’ importante tenere presente il modo in cui
Szeemann concepisce l’arte secondo “ossessione” e “necessità interiore” per poterne
comprendere l’intento finale.
« La creazione artistica intesa come costruzione di una “mitologia individuale”, uno “spazio
spirituale, in cui un individuo pone i suoi segni, segnali, simboli, che per lui significano il
suo mondo” permette secondo il curatore di relativizzare il concetto di arte e creare così
uno spazio di libertà ».7
Coerentemente con questa impostazione Szeemann concepisce il catalogo. Il suo testo si
riduce ad una sorta di dichiarazione poetica sulla mostra (vedi scheda catalogo) e gli artisti
vengono semplicemente ordinati secondo la data di nascita senza quindi creare nessuna
gerarchia fra i più o meno giovani, senza distinguerli gli uni dagli altri.
Il catalogo, come anche nelle altre mostre analizzate nella presente ricerca, è uno
strumento teorico molto importante che oltre a che documentare svolge una funzione
ancor più interessantedi registrazione del pensiero curatoriale. L’attenzione dedicata
anche alla sola impaginazione è altresì sostenuta dagli appunti manoscritti di Szeemann
che indicano l’ordine e l’organizzazione grafica di tutti i volumi.8 Per questa edizione il
curatore aveva anche pensato ad una piccola guida per il visitatore, ma i tempi stretti lo
obbligano a rinunciarvi riuscirà in tale proposito solo nell’edizione successiva.9
6 Cattelan è per la verità presente ininterrottamente per diverse Biennali. Nel 1997 è parte della rappresentanza italiana nella mostra Dall’Italia, in dAPERTutto presenta il fachiro, mentre nell’edizione successiva fa scandalo con La Nona Ora. Alla mostra di Bonami nel 2003 si aggireranno invece dei piccoli manichini su un triciclo telecomandati con il calco del proprio viso. La sua presenza in Biennale è tanto particolare che viene riproposto un allestimento suo anche per la mostra diretta da Bige Curiger accostandolo a Tintoretto nel salone centrale del padiglione Italia divenuto “palazzo delle Esposizioni”. 7 Pietro Rigolo, p. 147, che cita le mitologie individuali da Die Agentur fu ̈r geistige Gastarbeit im Dienste..., cit. 8 La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 4964. 9 La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 874.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA -1999
343
77.4. Ricezione Crit ica di dAPERTutto
La 48esima edizione della Biennale di Venezia viene accolta dalla stampa per lo più
positivamente e viene generalmente salutata come una Biennale “vivace e vitale” 1 .
Frederika Randall, dalle pagine del Wall Street Journal, prende in prestito i termini usati da
Italo Calvino per definire le caratteristiche necessarie ad artisti e poeti del nuovo millennio:
“leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità.”2
L’accoglienza di critici e giornalisti, anche in presenza di annotazioni negative rivolte ad
aspetti particolari, è il saluto a una Biennale rinnovata (anche in termini di organizzazione
dell’Ente). La stampa estera e nazionale appare in questo senso piuttosto allineata, anche
se dall’Italia si ergono proteste intorno alle scelte attuate per la rappresentanza artistica
italiana.
La stampa estera è in generale molto più positiva e pur anteponendo la buona notizia di
una Biennale innanzitutto riformata, pone l’accento, dalle pagine di Art in America, sulla
riuscita di Szeemann nell’impresa di svecchiamento e nella volontà di un nuovo slancio,
ringiovanendo un’istituzione moribonda e mettendo in piedi in soli sei mesi una mostra
così coinvolgente da oscurare i padiglioni nazionali.3
Pierre Restany, su Domus, esalta in particolare l’attitudine all’innovazione dell’operato
Szeemaniano, ricordando come abbia cambiato i tempi nell’era delle mostre con When
Attitudes Become Form, e come in quest’edizione abbia cambiato il corso della Biennale:
“trent’anni dopo ritorna al problema dell’arte e della comunicazione e lo riprende
affrontando senza esitazioni, nella totalità delle sue implicazioni.” Inoltre Restany
sottolinea la capacità imprenditoriale di Szeemann nel trovare le sponsorizzazioni
1 Gillo Dorfles, Biennale: una gran voglia di ricominciare, in “Corriere della Sera”, 19 giugno 1999. 2 I termini vengono usati in italiano nell’articolo. Randal Frederika. A biennale for the Millennium, in “The Wall Street Journal Europe”, 18-19 giugno 1999. 3 “Szeemann has accomplished the seemingly impossible: he has rejuvenated a moribund institution that was widely considered irrelevant at best, pernicious at worst, by staging a big, vigorous, sometimes spectacular and thoroughly pertinent exhibition, one that places its faith in youthful invention, installation and new media. […] in just six months, Szeemann assembled a show so engaging as to overshadow the individual national entries that traditionally supply the Biennale’s star power.” Marcia Vetroq, The Venice Biennale. Reformed, Renewed, Redeemed, in “Art in America”, n. 83, settembre 1999, p. 87.
SEZIONE II – RICEZIONE CRITICA -1999
344
necessarie4 per due anni di sopravvivenza delle Arti Visive “affermandosi in modo così
netto come impresario della cultura globale nell’arte visiva, Szeemann è l’uomo della
situazione: ha cambiato il volto della Biennale e corre rischi calcolati. […] Il suo principale
merito è stato quello di aver elaborato e messo in atto un articolato progetto che recepisce
e amplia i segnali positivi, probabilmente percepiti dai curatori delle ultime edizioni mai
concretizzati per eccessiva fedeltà alle loro idee e/o per gli impedimenti esterni.”5
Da una parte a Szeemann viene riconosciuta l’impresa di svecchiare la manifestazione,
agevolato anche dal fatto di avere un contratto quadriennale, dall’altra gli viene criticata la
scelta relativa al padiglione Italia e al premio conferitogli dalla Giuria.
Szeemann, nella sua Biennale dAPERTutto, ‘apre’ letteralmente su tutti i fronti, cercando di
rompere la parcellizzazione originaria della Biennale in rappresentanze nazionali. In questo
modo, il padiglione Italia, l’unico su cui lui poteva direttamente intervenire, viene
smembrato all’interno della mostra, conquistando “grottescamente”6 il premio al miglior
padiglione nazionale – che suona però a molti come un risarcimento per averlo abolito.7
Paolo Rizzi dalle pagine del Corriere della Sera insinua il sospetto che il Leone d’oro al
migliore padiglione sia in realtà una cosa “architettata” da Szeemann (e avallata dalla
giuria). 8 Inoltre, rincara Il Giornale dell’Arte, gli artisti selezionati sembrano essere
rappresentati per lo più da gallerie milanesi.9
Il caso del padiglione Italia virtuale – che come nota Paolo Conti un premio “al padiglione
che non c’è sarebbe piaciuto a Borges”10 – crea quindi non poco scompiglio. D’altronde,
fino a pochi giorni prima della Vernice, Szeemann non chiarisce la situazione, alimentando
l’idea che il padiglione italiano fosse stato totalmente abolito. E’ proprio a partire da
questa edizione, infatti, che si apre il caso inerente la mancanza di un Padiglione Italia, dal
4 Restany fa accenno ai cambiamenti di gusto di un’epoca, ma con When Attitudes Become Form Szeemann introduce anche un aspetto imprenditoriale che sarà caratteristico del fare espositivo a venire infatti la figura del curatore indipendente ha aspetti manageriali e imprenditoriali marcati soprattutto perché per realizzare la sua idea non sempre c’è un’istituzione come committente e sempre più necessario diventa, anche per un retrocedere della presenza statale nelle commissioni culturali, di sponsor privati. Il caso specifico di When Attitudes Become Form e della sponsorizzazione della Philip Morris è stata esaminata da Claudia di Lecce. Claudia Di Lecce, “Avant-garde Marketing ‘When Attitudes Become Form’ and Philip Morris’s Sponsorship”, in Cristian Rattemeryer et alii, Exhibiting the New Art, Afterall books, Londra, 2010, pp. 220-230. 5 Restany Pierre, La Biennale della cultura globale, in “Evento”, ottobre 1999, p. 101. 6 The Global art village, p. 43. 7 “I premi di questa Biennale così congeniale alla società dello spettacolo, sono stati – coerentemente – un colpo di teatro: quello per il miglior padiglione è andato all’Italia, in paradossale risarcimento della sua abolizione” Maurizio Calvesi, La Biennale del Far Grande, in “ARS”, settembre 1999, p. 54. 8 L’articolo di Paolo Rizzi insiste su questa posizione sottolineando come la motivazione del premio dato dalla giuria fosse un plauso a Szeemann. Paolo Rizzi, Biennale con acchiappafantasmi, in “Speciale Biennale 6” 1999, p. 53. 9 Harry e le storie tese, in “Il Giornale dell’Arte” giugno 1999. 10 Paolo Conti, in “Corriere della Sera”, 13 giugno 1999.
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momento che l’edificio, da ora in poi chiamato ‘ex-padiglione Italia’ sarà usato per la
mostra centrale11 nonostante gli spazi appaiano sempre come inadeguati.12
Le polemiche intorno alle convocazioni italiane caratterizzano i rumors della vigilia e la
soluzione di nominare cinque artiste italiane in rappresentanza di un padiglione virtuale
non calmano gli animi dei giornalisti nostrani: “ci si può rallegrare del Leone d’Oro
assegnato al Padiglione Italiano “inesistente”. Anche se – sia detto per inciso – è sperabile,
nel prossimo futuro, che ci si liberi di questo sentimento molto politically correct di
felicitazioni sessiste. […] Un giorno forse si parlerà di quello che fa e che ha fatto una
persona-donna evitando di raddoppiarle addosso come principale titolo di merito il solo
fatto di esser donna.
Gli omaggi storici a De Dominicis, Schifano, Kippenberg, Roth e Lee Byars sono considerati
per lo più doverosi, ma nel caso specifico di Schifano, alquanto sbrigative. Sono diverse le
voci della critica italiana che si rammaricano della perduta occasione di mostrare l’alto
livello artistico italiano.13
Le critiche intorno alle scelte di artisti italiani non si placano fino alla fine dell’esposizione,
quando la commissione acquisti dei Deputati che dopo lungo giro tra i Giardini e
l’Arsenale decide di non acquistare alcuna opera, nonostante i 35 milioni già stanziati.
Commenta Sgarbi “Si salvano solo i morti come Gino De Dominicis e Mario Schifano.
Abbiamo girato a lungo, sgomenti, ma tra la panchina galleggiante della Esposito, la
capanna dello zio Tom di Bartolini, l’impronta del Fachiro di Cattelan, l’aereo disastrato
della Pivi o i video tristi della Toderi, non c’era proprio possibilità di scelta”14
D’altronde, come osserva Franco Fanelli circa la sempre scontenta stampa italiana: “dopo
aver invocato per decenni un direttore non italiano, e quindi presumibilmente alieno dalle
camarille e dalle lottizzazioni, due ne abbiamo avuti, Jean Clair e Harald Szeemann,
entrambi poi tacciati di scarsa italianità.”15
11 L’assenza del Padiglione Italia sarà argomento d discussione sui giornali italiani per un decennio fino al momento in cui viene assegnata all’Italia la zona delle Tese delle Vergini. L’uso di chiamare il padiglione Italia “ex-padiglione Italia” rimane invalso per molto tempo nonostante dal 2011 sia stato ribattezzato Palazzo de la Biennale in occasione del riadattamento dell’edificio come struttura permanente dell’Ente con l’uso della Biblioteca nell’ala Pastor con l’annesso Giardino Scarpa. 12 Bonito Oliva A., La Biennale delle distanze, in “la Repubblica”, 14 giugno 1999, p.38; Cfr. anche Angela Vettese, Salpando per mari aperti, in “Il sole 24 Ore”, 13 giugno 1999, p. 39. 13 Ad esempio: “l’indegno omaggio a Mario Schifano (occasione persa per dimostrare agli stranieri che possiamo vantare un altro buon creativo) e quello poco minimale (come gli non avrebbe voluto) a Gino De Dominicis)” Lorenzo Marucci, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 32; “Per Schifano si poteva scegliere molto meglio: la sua voce è stata rese irriconoscibile e volgare”, Maurizio Calvesi, La Biennale del far Grande, idem, p. 53; “Schifano è stato ignobilmente maltrattato a causa delle pessime, eccetto una, opere che lo rappresentano” Arianna Di Genova, G. La Cina è vicina, idem, 1999. 14 Enrico Tantucci, Alla Biennale non c’è niente da comprare, in “La Nuova Venezia”, 4 novembre 1999. 15 Fanelli F., La Biennale, la Svizzera e l’Europa, in “Il Giornale dell’Arte”, giugno 1999.
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Tuttavia il coro non è unanime e c’è chi, anche fra gli italiani, trova quella di Szeemann una
“possibilità di confronto della nostra rappresentanza ufficiale, costituita per l’occasione di
sole donne.”
La stampa estera di contro – e in particolare gli americani16, meno interessati al premio del
padiglione Italia – plaude la scelta come coerente al progetto Szeemanniano di
transnazionalità, capace di trasformare un potenziale disastro in una scelta di successo17 e
si lascia andare a qualche commento ironico, come nel caso dei redattori di Artforum18 che
pure incoronano la Biennale, come un trionfo.
In particolare, si riconosce al direttore il merito di non essersi legato a tendenze particolari.
Osserva Luciano Marucci nello speciale dedicatogli da Juliet, che la scelta di una Biennale
slegata dal tema e centrata sulle personalità artistiche, oltre che rispondere ad
un’impostazione teorica Szeemanniana, risulta corretta nel caso dell’arte contemporanea
dove “non si riscontrano movimenti polarizzanti e si sa che la storia dell’arte viene scritta
dalle individualità prima ancora che dai gruppi. Perciò è stato giusto privilegiare l’unicità
delle singole poetiche, l’opera e la sua funzione spirituale.”19
Molto apprezzata l’impostazione della Biennale anche dal Sindaco Cacciari, che nel suo
discorso inaugurale mette in evidenza la novità introdotta da Szeemann, il fatto di aver
superato la Biennale a tema, ideando “una mostra senza pre-giudizi. Credo che il suo
interrogativo di fondo sia se esista ancora un prodotto d’arte individuabile per tradizione
culturale, religiosa, stilistica o se tutto sia ormai indifferente e omologato. Se questo
‘multiverso creativo artistico’ sia un flusso universale indeterminato. Se globalizzazione
significhi sradicamento. Verifica che ha un valore meta-artistico poiché riguarda anche la
politica, l’economia.”20
A parte la gratificazione di Massimo Cacciari, le scelte di Szeemann appaiono a molti come
eccessivamente eterogenee e mancanti di un filo conduttore, così in “assenza di un
sentimento forte, il pensiero si fa debole.”21
La Biennale ‘aperta’ viene tacciata di grande confusione, dove “l’eterogeneità perseguita
sembra solo disomogeneità. L’intenzionale (democratica?) astensione da un ruolo guida,
consegna alla caoticità estetica”, che trasforma “il critico in una specie di rigattiere
16 Mark Rosenthal, Richard Armstrong, direttore del Carnegie Museum of Art, iidem, in “Artforum”, settembre 1999. 17 “A potential national disaster becomes an international success.” David Eliott, Hole Truth, ARTFORUM international, settembre 1999, p. 150. 18 “The irony is too rich to ignore” Madoff S. H., All’s Fair, ARTFORUM international, settembre 1999, p. 146. 19 Lorenzo Marucci, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999. 20 The Global Art Village, p. 44. 21 Lorella Pagnucco Salvemini, idem, in “ART IN”, agosto-settembre 1999, p. 40.
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contemporaneo.”22 La mancanza del tema crea disorientamento, anche se egli aveva
dichiarato apertamente “il filo rosso sono io. In una mostra come questa non ci sono temi.
Oggi è importante offrire agli artisti la possibilità di esprimersi.”23.
Inoltre autori come Daniel Birnbaum, protagonisti invece del decennio espositivo
successivo, tanto che anche lui curerà una biennale fortemente diversa da quella di
Szeemann, rimpiange la mancanza dell’impianto teorico e sottolinea come la sua
posizione sia in qualche modo fuori tempo e romantica. 24
Nonostante l’idea portante delle mitologie individuali, che informa da sempre l’operato di
Szeemann, l’impressione di alcuni è che in questo dialogo fra le opere, l’ambiente crei
confusione e alla fine non rispetti le opere.
Il paragone con la disseminazione attuata da Bonito Oliva avviene in maniera spontanea e
così c’è qualcuno che nota: “non si creda tuttavia che nella sua selezione “a-storica”
Szeemann non sia riuscito a rappresentare talune direttrici delle ricerche in atto. A
differenza della confusione della Biennale curata nel ’93 da Bonito Oliva, così gratuita,
trionfalmente roboante […] “dARPERTutto” agli occhi di chi sa vedere evidenzia non
poche situazioni comuni della ricerca internazionale.”25 Altri invece, come Raffaele Gavarro
rimpiangono Bonito Oliva a posteriori, anche se a denti stretti.26
Non si esime dal paragone neanche Bonito Oliva stesso, che era stato protagonista con
Szeemann della prima edizione di Aperto, e commenta l’eccessiva apertura della mostra:
“Se la mia è stata definita una Biennale zapping, questa potrebbe dirsi una Biennale
promenade, attraversamento di un territorio fin troppo dilatato dalle lunghe distanze, che
crea da un lato isolamento e dall’altro suggerisce quasi agli artisti di esibirsi in una sorta di
atelier personale, dove tutto il lavoro può spargersi, concentrarsi, abbuiarsi, ammutolirsi,
piangere o canticchiare come chez soi”27.
La maggior parte dell’effetto, secondo Bonito Oliva, è dato dagli spazi che, da una parte
appaiono congeniali per le grandi dimensioni di artisti americani come Paul Mc Carthy,
22 Pagnucco Salvemini L., Mandarini Hi-Tech, in “ART IN”, agosto-settembre 1999, pp. 39-40. 23 Vagheggi Paolo., La mia Biennale a tre dimensioni, (intervista di Harald Szeemann con Paolo Vagheggi) in “la Repubblica”, 30 maggio, 1999. 24 “Szeeman’s strength lies in his ability to single out strong positions and give the artists the space and means required to fully realize their conceptions. It’s the belief in the single artist’s vision that forms the basis of his curatorial practice, which may appear old fashioned, even romantic. The Venice Biennale is by tradition less intellectual that Documenta, but this year’s version was quite exceptional in its lack of theoretic al framework. What really are the issues that this gigantic exhibition meant to tackle? […] There was time when every exhibition required a commentary by one French philosopher or another, and we all got sick of that. Now I kind of miss Derrida”. Birnbaum D., Practice in Theory, in “ARTFORUM international”, settembre 1999, p. 153. 25 Di Genova G., La Cina è vicina, in “Speciale Biennale, 4” p, 49. 26 Gavarro Raffaele, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 35. 27 Bonito Oliva Achille, La Biennale delle distanze, in “la Repubblica”, 14 giugno 1999, p.38.
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dall’altro riducono invece opere europee a pure decor, mentre lo stato di rovina e la sua
attrazione degli spazi dell’Arsenale impregna il rigore di alcune installazioni.
Bonito Oliva, che sembra quasi voler dare una pacca sulla spalla al suo vecchio compagno
di avventure, conclude dicendo che questa è una Biennale di passaggio e che l’intento di
Szeemann è stato quello di occupare spazi in vista della prossima edizione, e quindi, di
fatto, bocciando il lavoro del curatore elvetico.28
Il riconoscimento a Szeemann per le sue capacità è unanime: il fatto di aver lavorato molto,
di aver viaggiato, incontrato artisti, visto mostre e studi, incontrato galleristi e curatori.
Tuttavia l’impressione, per usare le parole di Raffaele Gavarro, che sintetizzano un sentire
diffuso, è che “invece il progetto sia mancato del tutto: gli artisti risultano incollati gli uni
alti altri in maniera casuale, nonostante appartengano quasi tutti alla tipologia che il trend
del sistema internazionale sta esaltando. A tale proposito va detto che l’obiettivo è stato
perfettamente centrato.”29
“La proposta concettuale di apertura massima di Szeemann, l’arbitrarietà delle scelte
dettate da un sottile filo conduttore, riflette la personalità emotiva e razionale del
curatore”30. Nonostante gli si riconosca una grande capacità di regia organizzativa, la
mostra non convince fino in fondo.
Sono in molti a pensare in maniera positiva la sua figura, non senza riconoscere una sorta
di onestà intellettuale al suo operato, oltre ad una grande capacità nella regia espositiva
(“Well shown but Empty headed”31). Nelle parole dell’ex-direttore del Kunstverein di
Francoforte Peter Weiermair si può sintetizzare un pensiero diffuso “non è necessario
trovarsi in accordo con le sue ossessioni contenutistiche o antisistematiche. Quel che si
evidenzia – in contrasto con le strategie speculative di Germano Celant, la cui sciatteria
nella scelte delle opere dell’ultima Biennale si è ritorta perfino contro gli artisti – sono
proprio l’integrità e l’autenticità di quest’uomo che non nega le proprie relazioni, le
proprie lacune e i condizionamenti.”32
Anche nelle pagine di Art in America l’articolo si conclude osservando che se pure la
mostra non sarà una mostra epocale riesce comunque ad essere soddisfacente pervasa da
uno spirito di rettitudine curatoriale.33
28 Bonito Oliva Achille. Ibidem. 29 Gavarro Raffaele., Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 35. 30 Marucci Lorenzo., Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 32. 31 Packer William, Well Shown but empty headed, in “Financial Times, 19/20 giugno 1999. 32 Peter Welermair, Dare Forma alla poesia, in “Tema Celeste”, luglio – settembre, 1999. 33 Giudizio finale di Art in America “The show may not prove epoch-defining, but it is eminently satisfying, with an amplitude of ideas and a pervasive spirit of underlying curatorial rectitude” p 92.
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Molti definiscono questa Biennale come la biennale della globalizzazione, un melting pot
planetario,334 . La scelta del titolo in fondo appare azzeccata “dAPERTutto è un logo
abbastanza efficace e veritiero”35 “La parola multiculturalismo sarà pure diventata un
cliché, ma continua a segnalare una necessità ineliminabile in campo culturale a cui
un’istituzione come la Biennale non può non aprirsi ed è lodevole che l’abbia fatto anche
qui con generosità.”36
L’apertura a molti artisti orientali giovani, fanno dire che Szeemann sta dalla parte della
globalizzazione e quindi, nonostante il suo tentativo sia quello di far coesistere la diversità
sembra ad alcuni che piuttosto “la sua scelta è stata a favore della globalizzazione,
dell’indeterminazione, dello sradicamento e conseguentemente – nei fatti, se non nei
presupposti – dell’omologazione”37
Gli viene quindi contestato di stare dalla parte delle gallerie che stanno colonizzando,
grazie alla globalizzazione, l’apertura dei mercati l’oriente. Egli, quindi, appare in sintonia
con la linea “vincente nel mondo dell’arte, nelle mostre, nelle gallerie, nel mercato”38 in cui
l’arte si assomiglia tutta, di cui si potrebbe dire che viene da qualunque luogo. […]. Tutto è
pressoché uguale, o almeno simile. C’è una sorta di clonazione imperante, che non può
non allarmare. Degli Italiani è stato selezionato solo Cattelan, che potrebbe però essere si
qualsiasi altra nazione, come gli statunitensi, i tedeschi o gli svizzeri potrebbero essere
italiani.”39
Alcuni dicono che la Biennale è vincente, perché ha rappresentato le linee “vincenti” in
quel momento dell’arte contemporanea ma che produce un allargamento per lo più
dell’omologazione. Quello che è omologazione per alcuni è però Peter Welermair su Tema
Celeste, una sintassi comune.
Diversamente Roderick Conway Morris sulle pagine dell’Herald Tribune accoglie
positivamente la Biennale di Szeemann e nota come in controtendenza, rispetto all’arte
postmoderna che ricalca uno stile consciamente internazionale che sembra poter essere
prodotta in qualunque posto, questa biennale registra uno spostamento verso il discorso
34 Harry Bellett, L’exposition internationale de la Biennale de Venise pulvérise les bastions nationaux, in “Le Monde”, 16 giugno 1999, p.40. 35 Elena Santese, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 32 36 Giorgio Verzotti, La Biennale delle culture emergenti, in “Tema Celeste”, luglio-settembre 1999. 37 The Global Art Village, Artforum, p. 44. 38 Ibidem 39 “Ho sottomano il volume appena uscito a cura di Uta Grosenick e Burkhard Riemschneider sull’ Art at the Turn of The Millennium che raccoglie gli autori proposti come rappresentativi di questo momento di passaggio tra il vecchio secolo (e il millennio) e il nuovo.” citazione presa da Global Art Village, p. 44.
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locale, regionale e anche figurativo. Come il leggendario Marco Poloro, Szeeman importa
artisti cinesi evocando la glocalizzazione dell’arte.40
D’altronde è proprio la globalizzazione, sostiene Restany, ad aver fatto piazza pulita di ogni
gerarchia culturale tra l’arte prodotta nei centri classici dell’Occidente industrializzato e
quella prodotta nella periferia emergente del pianeta, l’ex Terzo Mondo. Il risultato è la
diffusione generale di una lingua franca, di un esperanto planetario. […] Dall’inizio degli
anni Novanta queste opere hanno fatto la loro apparizione con insistenza crescente nelle
biennali esotiche che proliferano ai quattro angoli del mondo, l’Avana, Istanbul,
Johannesburg, Kwang-Ju in Corea, fino a Lione nel cuore della provincia Europea. Le
biennali esotiche hanno preso d’assalto la veneranda città dei dogi e dei Giardini, madre di
tutte le biennali. Ne hanno trasformato lo spirito, vi hanno impresso il segno dell’intera
gamma delle loro motivazioni, dalla sorda introversione della loro critica sociale fino
all’esuberanza dei loro dispositivi mediatici”41
Anche Carolyn Christov-Bakargiev che riflette sul ruolo della Biennale all’interno del più
vasto panorama proliferato e proliferante della Biennale, sottolinea come sia complesso
pensare di accogliere all’interno di un'unica mostra una esposizione totalmente
internazionale, tanto più che girare per i Giardini è un’operazione imbarazzante,
considerando il portato colonialista e imperialista che i padiglioni nazionali comunicano
architettonicamente. “La natura così allargata della mostra che raccoglie centinaia di opere
di artisti in una sorta di esposizione universale esprime un senso di megalomania e la
presunzione del “centro” ad aggiornarsi velocemente sulle spinte creative di tutte le “sue”
periferie culturali nel mondo. Tale caratteristica è inoltre antitetica alla natura intima,
meditativa e narrativa di molte opere presenti.”42
Non a caso sempre più frequenti sono le notazioni circa la fatica di vedere queste mega-
esposizioni, ma soprattutto del fatto che un curatore, come ad esempio Robert Storr alla
Biennale del ’99, conosce quasi tutti all’inaugurazione, mostrando come il circuito dell’arte
contemporanea sia fondamentalmente chiuso e autoreferenziale. Con ironia egli nota che
andare all’inaugurazione è come andare a un cocktail parti con 10.000 persone, di cui
cinquemila le conosci, o sai chi sono, le altre cinquemila sanno chi sei tu.43
Dunque una delle caratteristiche della ricezione critica della Biennale di Szeemann è di
essere un esempio importante per il tipo di diffusione della biennalizzazione, c’è chi si
40 “Like the legenday explorer, (Marco Polo) director Harald Szeemann brought Chinese imports to Venice in an attempot to evoke what he termed the “glocalisation” of the art world in the forty-eight Biennale” sottotitolo di Sarah Greenberg, The Marco Polo Biennale.” 41 Pierre Restany, La Biennale della cultura globale, in “Evento”, ottobre 1999, p.100. 42 Carolyn Christov-Bakargiev, Zapping tra nazioni e narrazioni, in “Il Sole 24 Ore”, 13 giugno 1999, p. 40. 43 Robert Storr, Art Carnies, in “ARTFORUM international”, settembre 1999, p. 246.
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chiede se questa tipologia durerà, come ad esempio Siegel su Artforum,44 o chi ritiene che
la strada indicata da Szeemann sia quella del futuro. Il curatore sull’argomento viene
ripetutamente interrogato. I suoi commenti sono per lo più positivi45 ed egli rileva un
cambiamento nella figura dell’artista, che vive di progetto in progetto 46 e nella
predominanza da parte degli enti implicati, in discorsi di marketing.
Le scelte di Szeemann appaiono ai più come scelte di opere del proprio tempo, un tempo
in cui l’arte si mostra diversamente “dai valori fissati una volta per tutte a luoghi di transito
e flusso. Da un modo di concepire l’arte centrato sui concetti di autore e di opera a una
ridefinizione di essa, come campo che genera relazioni a partire da stimoli inventato da un
soggetto che tende a essere plurale più che singolare. Da pittura e scultura, insomma, a
qualcosa di molto più evanescente e rispondente a quella crisi del sapere occidentale”47
In questa biennale gli artisti Cinesi la fanno da padrone: “Szeemann nutre evidentemente
un singolare interesse per la Cina e l’Estremo Oriente, l’abbiamo visto anche a Lione, e ha
cominciato da quelle aree geopolitiche.”48 “Non ha avuto paura di riproporre opere che
ama, quali il Re dei topi di Katharina Fritsch, o di ripresentare il vasto modo artistico
underground cinese.”
Per esplicita ammissione di Szeemann, l’oriente ha avuto un’area di privilegio. Ancora una
volta il paragone con la Biennale di Bonito Oliva pare inevitabile, anche allora si era urlato
all’invasione cinese, questa volta appare più evidente e sicuramente l’affondo che fa
Szeemann distinguendo fra artisti formatisi in Occidente e quelli invece rimasti nella loro
terra pone un livello più approfondito. Come osserva Giorgio Segato, Szeemann ha capito
e manifestato “la necessità di attraversare l’Oriente per ritrovare l’identità dell’Occidente. Il
contrario di Cristoforo Colombo. Ma con la stessa esigenza di scoprire nuovi territori
inesplorati e di fornire all’arte nuove risorse, energie fresche: all’arte, allo spettacolo
dell’arte e al mercato dell’arte.”49 Una presenza ubiqua quindi che risponde all’impianto
generale riconosciuto nella mostra, ricerca delle produzioni attuali ma anche allineamento
44 “Although the coming Carnegie and baby Biennales will no doubt bear out Szeemann’s predictions in the short term, the tide will eventually turn and his partial picture of contemporary art sink into the sea” Kathy Siegel, Rad Weather, in “ARTFORUM international”, settembre 1999, p. 149. 45 “I feel like the person who has to turn the Mama of all the Biennials back into a young woman again – with nice breasts, you now I see why everybody makes biennials [….] but on the other hand, I suppose it’s a good thing to have all these biennials” Robert Storr, Prince of Tides, in “Artforum”, Maggio 1999, pp. 160-165, e p. 194, qui 163. 46 “I think it poses problems for the artists But the explosion of biennials is creating a new type of artist who really lives from project to project. They are very flexible. […] These artists are like film directors because they go from job to job, place to place, and make masterpieces as well as failures.” Robert Storr, Prince of Tides, in “Artforum”, Maggio 1999, pp. 160-165, e p. 194, qui 163. 47 Angela Vettese, Salpando per mari aperti, in “Il sole 24 Ore”, 13 giugno 1999, p, 39. 48 Verzotti Giorgio, La Biennale delle culture emergenti, in “Tema Celeste”, luglio-settembre 1999 49 Giorgio Segato, Febbre Gialla, in “Speciale Biennale 6”, 1999, p. 56.
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con le regole di mercato e la necessità di novità. Sicuramente in questo senso l’Oriente si
apre in quegli anni come un terreno vergine.
Per Alberto Fiz si tratta di una rivoluzione culturale “per la prima volta il numero di artisti
asiatici è superiore addirittura a quello degli americani. E’ un chiaro segnale che la cultura
del Nuovo Mondo si inaridisce, mentre l’Est si prende finalmente la rivincita con ben 15
artisti provenienti dalla Cina.[…] Se la figurazione generalmente in Biennale scarseggia, i
cinesi fanno eccezione”50
I più critici sottolineano il fatto che le opere gli artisti cinesi vengano tutti dalla stessa
collezione, e in effetti Szeemann dichiara che egli deve molto all’ex ambasciatore svizzero
a Pechino che è stato uno dei primi a collezionarle. “Molte opere presenti a Venezia
provvedono dalla sua raccolta. Arrivano dalla Cina i lavori di quattro artisti ma la maggior
parte è stata presentata dal diplomatico svizzero. E’ un settore nuovo del mercato e a
Venezia siamo nei tempi giusti per capire questa apertura”.51
La Biennale ‘aperta’, è soprattutto “aperto, quindi rivolta agli emergenti, ma senza
ghettizzazione o categorizzazione dei giovani”. Si riconosce, come nell’articolo del
Giornale dell’Arte, che la categoria “giovani” è in realtà dettata dal desiderio di guardare al
linguaggio giovane, quindi non legato all’età anagrafica e per questo troviamo da Louise
Bourgeois al collettivo Oreste ai giovanissimi Perino e Vele, i più giovani a questa Biennale.
A esaminare le scelte, alcuni, come il Giornale dell’Arte, osservano come seppure ci si sia
voluti smarcare dalla predominanza degli Stati Uniti – che nella Biennale precedente
avevano fatto da padrone – di fatto moltissimi artisti selezionati, vivono negli Usa e negli
artisti europei è possibile individuare un “asse svizzero-tedesco con molti innesti dei paesi
nordici, è consistente quasi predominante e ne nove artisti vengono ripresi dalla mostra
“Berlin/Berlin” conclusasi a Gennaio”. 52
Maurizio Calvesi “Anagraficamente il capovolgimento è totale rispetto alla precedente
Biennale […] sul piano linguistico tuttavia, non c’è scarto. Alla giovane età dei convenuti
non corrisponde una novità di ricerca, né ci si poteva aspettare qualcosa di diverso
essendo ben noto che il ciclo delle avanguardie, inteso come avventura in continuo
rinnovamento del linguaggio, è da tempo concluso.”53
Per altri invece l’ago della bilancia è troppo spostato verso la sperimentazione lasciando
come un senso di acerbo. Anche Fabrizio D’amico sulle pagine della Repubblica
commenta che sarebbe un errore individuare nelle opere esposte “ lo specchio oggettivo
50 Alberto Fiz, I ragazzi della Biennale, in “Carnet”, giugno 1999, 51 Paolo Vagheggi, La mia Biennale a tre dimensioni, (intervista di Harald Szeemann con Paolo Vagheggi) in “la Repubblica”, 30 maggio, 1999. 52 Lidia Panzieri, Il cinismo inteso come –ismo, in “Il Giornale dell’Arte”, giugno 1999. 53 Calvesi Maurizio, La Biennale del Far Grande, in “ARS”, settembre 1999, p. 48.
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di una situazione di ricerca, soprattutto giovanile, qualitativamente egemone sulle altre”, “
più diffusa, certo.”54
La presenza dei giovani, pone direttamente questa edizione in contrasto con la Biennale di
Celant percepita come museale con la presenza di grandi nomi. In questo senso Marco
Senaldi, dalle pagine di Flash Art, si chiede se non ci sia una via di mezzo. “Nell’alternativa
tra una Biennale algida e museale con grandi personalità affermate e indiscutibili, come di
quella di Celant, e la Biennale di Szeemann, tortuosamente smarrita tra le tante ‘piccole
individualità e una grandissima vanità, non esiste davvero una valida alternativa?” 55
Sono molte le grandi installazioni presentate e l’aspetto di stupore, di gioco e
coinvolgimento di molte opere e installazioni alimenta commenti eterogenei. Se per alcuni
come Bonito Oliva queste installazioni rendono la mostra “ariosa per l’avventurosa
esplorazione a cui il percorso obbliga,”56 per Calvesi invece, la scala dell’abnorme, che
viene annunciata nella sala centrale dell’ex-padiglione Italia con gli enormi topi di
Katherina Fritsch o nell’installazione di bicchieri alla fine del percorso dell’Arsenale,
riecheggiano motivi anni 60-70 in maniera ingigantita e diluita nel significato.57 Le opere
bizzarre e divertenti distraggono dal vedere opere “serie”. “Si fa di tutto insomma, per
neutralizzare la serietà dell’impegno professionale, l’opera deve risultare disinvolta e
leggera e a questo fine può funzionare benissimo anche la dispersione del nucleo
l’ammasso indiscriminato di ingredienti puramente quantitativi”58.
La grande presenza di installazioni e il fatto che siano state protagoniste di questa
biennale, osserva Carol Vogel dalle pagine del New York Times, viene anche sancito dai
premi che vengono assegnati a Cai Guo-Qiang, Doug Aitken e Shirit Neshat che
presentano appunto grandi ambienti e installazioni che coinvolgono lo spettatore. La
tendenza che la Biennale di Venezia segna la diffusione di pratiche esperienziali che
coinvolgano lo spettatore.59 “La Biennale di quest’anno dimostra con giocosa eleganza e
con qualità di intrattenimento ad alto livello le nuove possibilità comunicative dell’arte.
Queste ultime, a livello spaziale, non si manifestano più sulla parete e neppure sull’oggetto
della singola opera. Al posto delle tradizionali forme artistiche sono definitivamente
subentrati nuovi generi”.
“Viene soprattutto a realizzarsi un antico sogno dell’arte: il tempo e il movimento si
introducono nell’opera e nella sua percezione. Ciò si manifesta innanzitutto nell’arte come
54 Maurizio Calvesi, La Biennale del Far Grande, in “ARS”, settembre 1999, p. 55. 55 Marco Senaldi, Italiani Dappertutto, in “Flash Art”, Estate 1999. 56 Achille Bonito Oliva, La Biennale delle distanze, in “la Repubblica”, 14 giugno 1999, p.38. 57 Maurizio Calvesi, Idem, in “ARS”, settembre 1999, p. 52. 58 Maurizio Calvesi, Idem, in “ARS”, settembre 1999, p. 51. 59 Carol Vogel, At the Venice Biennale, Art is Turning into an Interactive Sport, in “The New York Times”, 14 giugno 1999, pp. 1 e 6.
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avvenimento, come processo o come atto dotato di senso che si realizza tanto nella sua
presentazione quanto nella sua ricezione”.60
Le parole “Fair”, “Festival”, rimbalzano in particolare nelle pagine estere, sottolineando
l’aspetto di intrattenimento e leggerezza che questa Biennale invoca. Così vengono
ricordate le bolle di sapone di Pipilotti Rist nella lagune oltre che le folle di giornalisti nei
giorni della Vernice. Come nota il positivo articolo di Peter Schjeldahl su The New Yorker, la
mostra è una Biennale divertente e giocosa che è quindi definibile come un Festival
dell’arte in grado di esaltare il curatore invece che i dealer, il pubblico invece che gli
addetti i lavori. Una qualità questa che egli riconosce propriamente alla pratica di
Szeemann che può essere considerato l’inventore del festivalism con la sua famosa When
Attitudes Become Form.61
Pierre Restany, facendo il bilancio tra opere che ammiccano alla seduzione e alla
piacevolezza, giustifica Szeemann notando che è una scelta in linea con la cultura globale.
Il fatto che sia una Biennale sia rassicurante nel senso che non propone opere dirompenti
ma “messaggi perfettamente normalizzati e predigeriti […] risponde alla logica quasi
matematica della nostra cultura globale” mostrando una preoccupazione verso l’aspetto
del “piacere” perché presuppone in qualche modo una ricezione passiva da parte del
pubblico. Che dimostra il “peso determinante della globalizzazione dell’informazione e
dell’economia sulla nostra sensibilità percettiva individuale e collettiva”. Nonostante
questo, egli rileva alcuni spunti “sorprendenti e stimolanti. Dalla banalità può qualche
volta nascere una scintilla di fantasia, uno spiraglio poetico” come nel caso
dell’installazione di bicchieri dell’israeliano Serge Spitzer. Un’apertura questa che appare
come una “soluzione di una sopravvivenza umanista nell’universo normalizzativo della
cultura globale risiede in queste piccole crepe nella densità organica della rete, segnali di
libertà e di speranza.”62
Fra i vari Giudizi, c’è chi dice che “sotto il profilo dell’intensità a-storica nell’arte” la mostra
organizzata da Szeemann è esemplare. “La mostra, infatti è uno spaccato indicativo delle
problematiche che assillano la creatività di questa fin de siècle di transizione, in cui i più
cercano di scavalcare i linguaggi tradizionali dell’arte, votandosi ai linguaggi della
tecnologia e dell’elettronica, non sempre con precisa cognizione delle loro possibilità
estetiche.”
60 Friedhelm Mennekes, La riscoperta dello spazio. La XLVIII Biennale di Venezia (1999), in “Civiltà Cattolica”, 16 ottobre 1999. 61 “Szeemann might be said to have invented Festivalism, with a fiercely avant-garde exhibition entitled When Attitudes Become Form in 1969. Now he presides over the mode’s mandarin consolidation” Schjeldahl Festivalism. Oceans of fun at the Venice Biennale, in “The New Yorker”, 5 luglio 1999. 62 Pierre Restany, Caduti nella rete, in “Speciale Biennale”, Domus, agosto, 1999.
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355
Sono in molti ad essere concordi, sia con intenti elogiativi che denigratori, nel sottolineare
come le opere siano specchio dell’arte contemporanea, magari quella “vincente”, ma
comunque contemporanea che, come osserva Laura Tansini, ha cambiato pelle: non più
destinata a un uso privato ma destinata a tutti l’arte è tornata ad essere, come nel
medioevo degli affreschi nelle chiese, un arte sociale. “L’ultima generazione di artisti rifiuta
barriere geografiche, culturali e codici espressivi e per lavorare ha bisogno di committenza
e spazi pubblici.”63
Il confronto delle opere con gli spazi di Archeologia militare sono sorprendenti64 e
rimangono fra le opere più fotografate della manifestazione come, ad esempio, Lo Unico
permanente di Kcho, l’installazione di Serge Spitzer con i bicchieri, le mani del fachiro di
Maurizio Cattelan alle Tese o il patchwork di stoffe colorate nel bacino di carenaggio
dell’Arsenale della svizzera Lori Hersberg.
La Biennale dAPERTutto, che invade ancora di più Venezia per via dei numerosi padiglioni
sempre in aumento, viene accolta positivamente. Ogni anno è stato un crescente
inglobamento della città e come nel ’93 viene sottolineata fortemente: d’altronde
l’aumento crescente di paesi che chiedono di avere il padiglione e la mancanza di spazio ai
Giardini, porta alla colonizzazione di spazi sempre nuovi. Inoltre, come viene sottolineato
sulle pagine di art in America,65 questo stimola anche iniziative locali, dimostrando come
Venezia e la Biennale stiano sempre più coinvolgendosi l’una con l’altra.66
La vera novità sembrano gli spazi. Raffaele Gavarro profeticamente dice che
“Quest’ampliamenti di spazi non va sottovalutato, sarà di sicuro la cosa più importante per
la quale verrà ricordata questa Biennale. Lo dico senza ironia. Un po’ come accade nel
1980, l’anno di fondazione di Aperto. Nessuno ricorsa chi ci fosse, ma tutti ricordano
l’importante innovazione, il cui merito, va detto, è dello stesso Harald Szeemann e del
buon ABO, il cui nome, compreso il sottoscritto, molti invocano, un po’ a denti stretti,
facendo forse tardiva ammenda delle critiche alla sua Biennale zapping.”67
I nuovi ambienti, che vengono unanimemente lodati come spettacolari – acquisiti grazie
all’autorizzazione da parte del demanio militare – sono agli occhi di molti critiche italiane
63 Laura Tansini, Fuga dall’opera, in “Speciale Biennale 5”, 1999, p. 52. 64 Pierre Restany, La Biennale della cultura globale, in “Evento/Event”, ottobre 1999, p. 100. 65 Marcia Vetroq, The Venice Biennale. Reformed, Renewed, Redeemed in “Art in America, settembre 1999, p. 84. 66 Si veda la parte dedicata all’approfondimento sul padiglione Italia che mostra come la municipalità Veneziana, caratterizzata dalla personalità del Sindaco Massimo Cacciari che ha un ruolo importante nel contribuire ad un dialogo e collaborazione fra la Biennale e la città di Venezia. 67 Raffaele Gavarro, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 35.
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la vera novità e speranza per il futuro della Biennale, a cui spetta l’onere del restauro delle
mura.68 Una tale novità, da subito rilevata, è quello che oggi è una realtà, ovvero uno
spostamento dell’asse “d’interesse dai Giardini all’Arsenale”69. Infatti, trapela che “lì si
posteranno probabilmente parte degli uffici della Biennale e forse l’Archivio storico.”70
Come era già successo per la Biennale di Bonito Oliva il dito è puntato anche sull’ampio
uso dei media da parte degli artisti. “E’ saltata subito agli occhi l’eliminazione della pittura
e della scultura tradizionali, già decretata da Catherine David a documenta x di Kassel […].
Sono prevalse le nuove tecnologie, la fotografia, l’installazione con interventi processuali e
relazionali.”71
C’è chi lamenta la quasi totale assenza di media tradizionali, - come Gillo Dorfles: “la pittura
(vera e propria) che evidentemente non è consanguinea all’arte contemporanea,”72 o
William Packer che s’interroga perché il video abbia un tale predominio relegando pratiche
consolidate nel cestino73 – e chi riconosce che il video è in qualche modo l’espressione
dell’esprit du temps, anche se ne viene sottolineato l’uso marcato ed eccessivo. Bruno di
Marino commenta: se è certo che “l’immagine in movimento ormai si è affermata nell’arte
sia come elemento di integrazione che come elemento costitutivo dell’opera” non sempre
l’uso che gli artisti ne fanno mostra risultati apprezzabili e inoltre, - commenta lo studioso
italiano - l’accostamento che se ne fa alle Corderie invece che creare un contesto
determinano un “ingorgo audiovisivo” come ad esempio succede con i lavori di Abad,
Buchanan, Dias e Edwig.
Il video viene esposto nelle opere e declinato in moltissime forme, nell’uso voyeuristico
come con Ann-Sofi Hidén o Mcha Shirman, in modo documentaristico o violento e
drammatico come in Vesna Cusic e Eglè Raukalitè, è forse ciò che è veramente
dappertutto, osserva Di Marino. E’ il video che non è più solo una moda, ma una realtà.74
68 “Sarà un onere esaltante per la Biennale, il Comune e la Sovrintendenza, mettere allo studio e realizzare negli anni a venire l’oculato restauro di queste mura; che potranno ospitare, nella loro inesauribile capacità, anche luoghi di spettacoli e convegni nonché offrire, come sembra auspicabile, una sistemazione spaziosa e adeguatamente attrezzata ai volumi e alla carte del grande Archivio Storico della Biennale. Insomma il nuovo secolo non poteva affacciarsi con migliori auspici per un’Istituzione che si proietta fiduciosamente nel futuro.” Maurizio Calvesi, Idem, in “ARS”, settembre 1999, p. 49. 69 Pierre Restany, La Biennale della cultura globale, in “Evento/Event”, ottobre 1999, p.99. 70 Paolo Conti, in “Corriere della Sera”, 12 giugno 1999. 71 Luciano Marucci, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 32. 72 Gillo Dorfles, Biennale: una gran voglia di ricominciare, in “Corriere della Sera”, 19 giugno 1999. 73 “It is not that I don’t like video per se, though I do resent the passive captivity it habitually expects the viewer […] but I cannot see why it should have assumed such primacy, relegating the more established, less self-consciously cutting-edge concerns of the painter or the sculptor to the bin” William Packer, Never mind the art, switch on the video, in “Financial Times”, 15 giugno 1999. 74 Bruno Di Marino, L’immagine in movimento, in “ARS”, settembre 1999, p. 60.
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“La levata di scudi contro l’uso indiscriminato della fotografia e del video a scapito della
pittura e scultura vere e proprie, appare puramente strumentale: evidentemente ci si
dimentica che questo è il momento della piena vitalità massmediatica”75
A una domanda su quali generi saranno presentati alla Biennale Szeeman risponde: “Ho
cercato di essere il più democratico possibile.” 76 Un fatto questo che gli viene ampiamente
riconosciuto ma che partecipa delle critiche intorno alla mancanza ultima di una scelta
personale.
Calvesi, infatti, nota: “E’ una Biennale pensata perché sia difficile parlarne male, prende
cautamente la distanza dai padiglioni nazionali, cui è riservato un catalogo a parte. La vera
mostra – si lascia intendere – è tutto il resto, un prevalente schieramento di giovani che
restituisce un’equa parità a Oriente e Occidente, al sesso maschile e a quello femminile
facendosi usbergo del politically correct.”77
Fa eco Pagnucco Salvemini dalle pagine di ART IN: “Si patisce la mancanza di un filo rosso
nel percorso espositivo. Salvo poi scoprire che nella sua apparente illogicità questa
edizione del ’99 nasconde una logica ferrea. Abolite, in linea generale, stravaganze,
provocazioni, così pure all’opposto, la possibilità di colpi di fulmine fatali. Nessuna offesa o
atteggiamento sconvenientemente seduttivo: quando si dice bon ton elvetico”78. Nella
fiera del politically correct ognuno sottolinea aspetti diversi: i cinesi, la forte presenza di
artiste donne che già con Celant si erano imposte con opere importanti – come era stato il
caso di Pipilotti Rist e Sam Taylor-Wood – nella Biennale di Szeemann si ricordano Shirin
Neshat – che si aggiudica con Turbolent il premio Internazionale della Biennale –
Rosemarie Trockel, Eisa-Liisa Ahtila, Luisa Lambri, Grazia Toderi. Artiste che presentano
comunque opere che rimarranno sicuramente molto importanti, ma anche di riferimento.
D’altronde, anche nella giuria, il criterio del politically correct sembra informare le scelte
della giuria. Si pensi al caso del mancato premio a Cattelan per via di incorrettezza
politica.79
Il successo di questa mostra risiede quindi in una congiuntura di elementi nella
Szeemaniana capacità di mettere insieme, il dispiegamento di un concetto di mostra
orizzontale, che slegava le mostre da una dimostrazione del pensiero curatoriale,
lasciandole libere di generare direttamente un contatto con lo spettatore invocando
quella relazionalità che in questo momento sembra così importante per molti artisti. Una
75 Elena Santese, Harald Szeemann, in “Juliet”, ottobre 1999, p. 33. 76 Mimmo di Marzio, Una Biennale senza steccati, (intervista a Harald Szeemann), in “Il Giornale”, 10 maggio 1999. 77 Maurizio Calvesi, La Biennale del Far Grande, in “ARS”, settembre 1999, p. 48. 78 Pagnucco Salvemini L., Mandarini Hi-Tech, in “ART IN”, agosto-settembre 1999, p. 40. 79 Il premio Ida Gianneli Voleva darlo al Fachiro di Cattelan ma Okwui Enwezor si è opposto per questioni di incorrettezza politica.
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congiunzione importante è però quella legata alla riforma della Biennale, che fa da volano
di successo sia per la mostra che per l’istituzione e facendo sottacere quindi, alcuni aspetti
che sarebbero stati altrimenti sotto la critica. Per la prima volta infatti, dopo molti anni, non
si leggono fiumi di parole sulla difficoltà della Biennale come istituzione di operare, dando
al curatore pochi soldi e poco tempo. Se si fa accenno al poco tempo avuto a disposizione
di Szeemann è solo per lodare l’impresa del curatore o per giustificare alcune incertezze
che invocano alla fine una sospensione di giudizio, dal momento che è in cantiere una
Biennale che riuscirà ad avere due anni di programmazione.
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88. La 49esima Biennale di Venezia. Platea dell ’Umanità
I lavori per la 49esima Biennale di Venezia cominciano all’indomani della chiusura
dell’edizione precedente e già in coincidenza della chiusura Paolo Baratta dichiara di voler
perseguire l’idea iniziale di cooperazione fra tutti i settori.
« Ora abbiamo un anno e mezzo per mettere le basi della prossima edizione e vedere se è
possibile stilare un programma cui partecipino anche gli altri settori della Biennale, come
cinema, teatro danza, musica e architettura. L’obiettivo di Baratta è, infatti, quello di fare
della Biennale del 2001 una sorta di casa delle arti in cui attorno alle Arti Visive si muovano
anche le altre discipline dell’Ente ».1
Inoltre fa già trapelare ciò che intende mantenere; anche la successiva edizione non sarà
una mostra tematica e sarà dato largo spazio ai giovani che precisa Szeemann è peraltro
una condizione obbligatoria considerando l’ancora difficile situazione del Padiglione Italia
dove sembra impossibile a questa data pensare di organizzare nessuna mostra.2
Un primo incontro per la collaborazione fra settori avviene il 5 dicembre in cui si
incontrano Harald Szeemann e Alberto Barbera, direttore del settore Cinema, per verificare
la possibilità di presentare registi nella sezione di arti Visive. Nonostante non sia ancora
chiaro il budget a disposizione i due curatori propongono diversi progetti e si accordano
per contattare Akerman, Egoyan/Sarmento, David Lynch, Wong Kar-Wei, Gianikian e Stan
Douglas.3 Nei mesi successivi Szeemann incontra anche gli altri direttori con l’intento di
raggiungere un programma comune che si concretizzerà nelle “settimane speciali”
dedicate a teatro, danza e musica.4
1 Enrico Tantucci, Giovane e a ciclo continuo così sta già nascendo la Biennale d’Arte del 2001, in “La nuova Venezia” , 7 novembre 1999. 2 “D’altra parte il Padiglione Italia è un disastro ed è impossibile pensare di programmare qui – tra le infiltrazioni d’acqua e la mancanza di un impianto decente di climatizzazione – una mostra del terzo millennio, che pure mi piacerebbe fare con opere storiche […] abbinandole ad altre di artisti contemporanei. […] A questo punto, tra due anni, potrei anche decidere di lasciare chiuso il Padiglione Italia e mi auguro che il Comune capisca, la necessità di un intervento radicale sulla struttura” Enrico Tantucci, Giovane e a ciclo continuo così sta già nascendo la Biennale d’Arte del 2001, in “La nuova Venezia”, 7 novembre 1999. 3 L’incontro si svolge il 5 dicembre 1999 alla presenza oltre che dei due curatori anche di Michael Tarantino e Cecilia Liveriero Lavelli presso la Galleria Caroline e Salvatore Ala. Cfr. riassunto dell’incontro in busta 2321. 4 Verbali della riunione del 20 ottobre 2000, ASAC, materiali di consiglio direttivo, in busta 2323, p. 2.
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Preoccupazione di Szeemann è quella di curare molto la comunicazione soprattutto per
garantire « la presenza della Biennale anche fuori dagli eventi tangibili » avendo quindi
accortezza nel comunicare tutta la ricchezza dell’Archivio Storico, nella creazione di un sito
web e di una chat che possa alimentare il dibattito intorno all’arte contemporanea5.
Il sito web viene rapidamente concretizzato e messo in rete in giugno e nell’arco di pochi
mesi raggiunge 10 milioni di contatti. Parallelamente al sito web viene avviato un discorso
intorno all’ASAC.
Viene evidentemente fatto un restauro del padiglione che però ancora una volta non
risolve la situazione in maniera definitiva. Rapporto infiltrazioni nelle sale di Ocampo,
Graham e Richter.
Nella riunione con i Paesi del 20 ottobre Szeemann presenta il programma della sua
Biennale6. In questa riunione Szeemann presenta un testo riassuntivo della Biennale in cui
spiega le intenzioni del suo progetto che pone non solo in continuità rispetto ad Aperto e
a dAPERTutto ma come un’ulteriore intensificazione. Nel 2001 la Biennale non intende
presentarsi semplicemente come una mostra d’arte, bensì come “platea dell’umanità”,
pronta a ricevere anche il contributo delle altre arti il titolo, spiega « non vuole essere un
tema ma un’affermazione di responsabilità di fronte alla storia, agli avvenimenti del nostro
tempo e a quel più profondo umanesimo che noi auspichiamo ».
Un aspetto importante che viene dichiarato è la centralità dell’Esposizione Internazionale
in termini di riferimento per tutto l’organismo della Biennale. Inoltre rispetto ai Paesi
Szeemann rilancia la peculiarità della presenza dei padiglioni Nazionali, in passato
considerati come una vera e propria spina nel fianco della Biennale. Szeemann invece ne
sottolinea l’importanza: « Platea dell’Umanità non è limitata al Padiglione Italia e
all’Arsenale ma coinvolge sia i contributi che rappresentano i Paesi, sia la sezione
internazionale. Soltanto la Biennale di Venezia è in grado di fornire agli uni e all’altra una
piattaforma così persuasiva ».
La specificità della Biennale di poter fare un incontro con i rappresentanti di 35 paesi è
enfatizzata anche da Paolo Baratta che dettaglia le intenzioni della Biennale di porsi come
luogo di produzione culturale: « L’idea è quella di valorizzare la Biennale per ciò che essa è
di specifico […] che consiste proprio nel valorizzare le novità prima che arrivino i grandi
successi dando possibilità operative in spazi monumentali straordinari per eventuali opere
nuove pensate ad hoc, come caso di molte opere musicali concepite per uno spazio
5 Fax di Harald Szeeman a Dario Ventimiglia del 8.03.2000, ore 17:29, in La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep. Busta n. 2321. 6 Comunicazione di Dario Ventimiglia ad Harald Szeemann de il 4 ottobre 2000, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. Cfr anche programma dell’incontro che si tiene il 20 ottobre 2000 presso Palazzo Querini Dubois, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323.
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straordinario. Avendo i settori danza, musica, teatro, arti visive, cinema possiamo
accogliere, meglio di altri, eventi che si collocano a cavallo fra queste discipline ». Si
auspica poi che con i singoli paesi possa nascere un programma culturale e una
collaborazione « vorremmo che foste voi a scegliere di essere con la Biennale anche nei
campi di danza, musica e teatro. L’auspicio è che vengano identificati interlocutori specifici
per avviare questo dialogo ».7 Informa infatti i presenti degli importanti progetti di attività
permanenti che sono in cantiere con le varie sezioni della Biennale. I progetti a lungo
termine che ipotizza Baratta, che vanno oltre le idee e la realizzazione della 49esima
Biennale sono possibili grazie ad un accordo che verrà formalizzato il 17 maggio 2001 con
il Demanio che concede l’uso dell’Arsenale per 6 anni8.
Questa è anche un’occasione per Szeemann di riconfermare alcune caratteristiche
proposte nella mostra precedente come la mostra unica divisa fra padiglione Italia e
Arsenale e lo smembramento della rappresentanza italiana nella mostra centrale
osservando in conclusione che se gli artisti italiani non sono pronti a confrontarsi con i
colleghi internazionali in uno spazio unitario possono essi stessi rifiutarsi.9
L’assenza di un padiglione italiano impazza e alla fine alla conferenza stampa del 29 marzo
a Roma viene trovata una situazione di compromesso per cui viene dedicato il padiglione
Venezia all’Italia gestito da una commissione nominata dal ministro Giovanna Melandri
con Pio Baldi, Sandra Pinto e Paolo Colombo.10
La riunione con i Paesi è anche un’occasione per Baratta di illustrare le migliorie attuate
all’interno dell’Arsenale come ulteriori restauri, infrastrutture come ad esempio la
realizzazione di un teatro ampio e capiente in corrispondenza dell’ingresso alle Corderie,
mentre alle Tese è stato realizzato un teatro-studio flessibile e adattabile alle varie
esigenze di danza, musica e teatro. In questo modo si è cercato di avere all’interno dello
spazio adibito per le arti visive anche spazi per le altre arti.11
La riunione del consiglio d’amministrazione del 21 dicembre 2000 porta ad una variazione
del budget a disposizione per la 49esima Biennale decurtando di contributi di 3,5 miliardi
di lire.12
7 Verbali della riunione del 20 ottobre 2000, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323, p. 10. 8 Verbale di Contatazione di Possesso e Riconsegna di porzione del compendio demaniale denominato “Arsenale di Venezia” in Comune di Venezia, PROT. N. 3335/CG, del 17 maggio 2001, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2276. 9 Programma e testo di presentazione per l’incontro con i Paesi La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. 10 Alessandra Mammì, L’Italia? Fatela voi, in “L’espresso”, 12 aprile 2001, p. 133. 11 Verbali della riunione del 20 ottobre 2000, p. 1-2, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. 12 “Nel corso del primo incontro ho trasmesso al prof. Szeemann la documentazione approvata dal Consiglio di Amministrazione della Società nella sua seduta del 21 dicembre u.s. al punto 5 all’ordine del giorno. […] In merito alla richiesta di maggiori risorse sul budget della 49° Esposizione Internazionale d’Arte, ho
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La risposta di Szeemann è amareggiata in particolare perché i costi che vengono ridotti
sono quelli relativi alle opere speciali degli artisti che prevedono una produzione da parte
della Biennale. Si sfoga Szeemann “torniamo alla vecchia storia di un aiuto minimo per
progetti che non corrispondono alla filosofia della Nuova Biennale di dare l’immagine
verso il mondo he siamo un luogo di creazione. Ne abbiamo parlato tanto che sono
sorpreso che non sia cambiato niente. […] se vogliamo sorprendere il mondo attraverso
quello dell’arte dobbiamo investire con un budget così posso fermarmi a metà strada della
preparazione.”13
L’amarezza per la situazione economica è accentuata anche dalla notizia che il quadriennio
di Szeemann in realtà finisce prima.14
I lavori durante l’inizio del 2001 procedono affannosamente con diversi intoppi e
problematiche fra cui la necessità di fare le gare e avere tutto pronto e poi la
comunicazione a marzo di alcune variazioni sugli spazi, come l’impossibilità di usare alcuni
spazi alle Tese e alcune modifiche all’area Bar dell’Arsenale che influisce sul
posizionamento delle opere di Beuys, cosa che crea alcune frizioni con Szeemann che
lamenta la fatica di lavorare in condizioni instabili.15
Marzo 2001
Documento relativo all’oscuramento del Padiglione Italia per permettere la visione di
video16.
Il 4 novembre con un grande successo di pubblico (240 mila visitatori) e di stampa si
chiude la seconda Biennale di Harald Szeeman che può vantare anche una grande
rappresentato al prof. Szeemann la situazione complessiva della pianificazione delle risorse della Biennale per il 2001, evidenziandogli la riduzione complessiva dei contributi di lit. 4 mld. A fronte di una riduzione per complessivi 3,5 mld sul budget della 49° Esposizione Internazionale d’Arte, solo 500 milioni di riduzione gravano sui Costi Diretti di Allestimento. […] Ho rassicurato il prof. Szeemann sul fatto che, relativamente ai progetti in collaborazione con il settore Cinema, Biennale provvederà in linea di massima a sostenerli con stanziamenti aggiuntivi” lettera di Massimo Coda a Paolo Baratta, de il 22 gennaio 2001, PROT. N. 296/P, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. 13 Lettera da Harlad Szeemann a Paolo Baratta del 10 gennaio 2001, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. 14 “E vogliamo finire in bellezza questo quadriennio che non dura 4 anni. Anche questo l’ho saputo oggi” Lettera da Harlad Szeemann a Paolo Baratta del 10 gennaio 2001, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. 15 “Non faccio altro che alfabeticamente scrivere, confermare, proporre spazio agli artisti per avere il massimo in questa settimana. Se non ho tutto faccio un disegno con supposizioni per avere le date necessarie per la gara. Ma Tarantino viene solamente il 17 marzo e la pianta Vergini l’ho ricevuta oggi, e la notizia che gli spazi non sono a disposizione ieri oltre alla conferma dell’ampliamento Bar dopo aver tutto calcolato per Beuys. Amo lavorare ma in queste condizioni con 104 artisti!!!” fax del 6 marzo 2001, ore 22:52, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2323. 16 Memo di Pina Maugeri a Dario Ventimiglia, del 1 marzo 2001, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 2321.
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affluenza di visitatori sul proprio sito web entrando « di prepotenza nella hit parade degli
itinerari culturali della città e dell’Italia intera ».17
Quando parlo della chiusura della Biennale a poco meno di un mese dalla chiusura termina
il primo quadriennio di rilancio della Biennale firmato Baratta. Infatti con sorpresa al
manager milanese viene preferito dal Ministro Giuliano Urbani Gianfranco Bernabè. A
molti sembra una scelta politica, considerando il cambio di rotta del governo, che era stata
preannunciata dalle dichiarazioni di novembre in cui avvertiva che avrebbe fatto nuove
nomine a Cinecittà e Biennale.18
A Novembre inoltre si svolge l’incontro con una delegazione della Biennale per cercare di
far passare alcuni emendamenti alla Finanziaria per scongiurare i numerosi tagli della
Finanziaria ma senza alcun successo.19 Dalla notizia Ansa del 14 dicembre 2001 Giancarlo
Galan, presidente della giunta veneta, sottolinea che Baratta fosse stato già avvertito a
settembre che non sarebbe stato riconfermato « anche se si è comportato ignorandolo,
decidendo incarichi e designazioni pluriennali in vari settori ».20 Un atteggiamento questo
di cui Baratta è pienamente conscio: « Contrariamente a quanto si fa di solito nei cambi
della guardia, di rimettere in porto la nave, disarmarla e consegnarla vuota, ai nostri
successori lasciamo un vascello in piena navigazione ed efficienza ».21 Il consiglio è in carica
fino ad Aprile ma da più parti arrivano pressioni perché Baratta si dimetta, dal momento
che il Ministro ha già designato il prossimo Presidente della Biennale.22 Questa decisione
crea un dibattito perplesso intorno ad una scelta che sembra giudicare l’operato e i
progetti di Baratta e che sono accompagnati anche su un « disinvestimento del governo
nel campo della cultura, testimoniato da una legge Finanziaria nella quale si tagliano fondi
alle istituzioni culturali e allo spettacolo ».23
17 Giuseppe Tedesco, Chiude oggi la Biennale dei record. Verso le 240mila presenze, in “Il Gazzettino”, 4 novembre 2001. 18 Leonardo Jattarelli, Urbani: nuove nomine a Cinecittà e Biennale, in “Il Messaggero”, 2 novembre 2001; Urbani: nuovi vertici a Cinecittà e Biennali, in “La Repubblica”, 2 novembre 2001. 19 Alberto Vitucci, Tagli confermati, meno soldi a Venezia, in “La Nuova Venezia”, 7 novembre 2001, p. 16. 20 Biennale di Venezia: Galan, Bernabè scelta manageriale, Ansa, 18:36, 14 dicembre 2001. 21 Baratta: Lascio un vascello con le vele spiegate, in Il Gazzettino”, 18 dicembre 2001. 22 On. Vittorio Sgarbi commenta “E’ vero che il consiglio attuale è in carica fino ad aprile ma è altrettanto ovvio che, con una designazione fatta, il lavoro dell’attuale presidente conterà poco e che quindi sarebbe opportuno e auspicabile che si dimettesse. […] al di là dei termini del loro mandato i direttori dovrebbero capire che il loro lavoro per i prossimi appuntamenti è inutile. Anche se siamo in una fase istruttoria, la disponibilità di Hughes per me chiude il caso: che ci sta a fare Szeemann?” Biennale Venezia: Sgarbi Urbani più Sgarbiano di me per l’Arte sembra esserci disponibilità di Robert Hughes, ANSA, ore 16:30, 14 dicembre 2001. 23 Biennale di Venezia: DS, su nomine in discussione metodo Governo, Ansa, 13:01, 15 dicembre 2001.
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A far saltare i legami con il governo sembra24 essere la nomina del direttore di Architettura
(Deyan Sudjic)25 accusa dalla quale Paolo Baratta di difende indicando la procedura da lui
seguita come “prassi normale.”26
I tempi per il cambio di consiglio sono comunque lunghi27 e il 19 dicembre Baratta in
seduta di consiglio di amministrazione predispone la chiusura del bilancio consuntivo per
gennaio 200228 oltre che le dimissioni anticipate rispetto alla scadenza di Aprile 2002.29
Il 31 gennaio a sorpresa il consiglio di amministrazione si dimette con l’orgoglio di poter
lasciare “margini di gestione che consentono di anticipare oneri futuri” per un totale di 168
mila euro.30 D’altronde però Baratta lascia una Biennale rinnovata. Dopo essere riuscito
infatti a portare a Venezia ingenti finanziamenti non solo dello Stato ma anche da parte di
sponsorizzazioni private e ad essere riuscito a rinnovare gli spazi, recuperare ben tre nuovi
teatri e ad attuare una Biennale che fosse di collaborazione fra le arti, la Biennale non
appare più quella degli anni precedenti, i rinnovamenti attuati segnano una nuova strada
per il futuro.31
24 “Che i rapporti tra presidenza Baratta e gestione Urbani fossero pessimi si era capito in estate quando scoppiò l’attrito Sgarbi-Baratta. Sgarbi annunciò la sostituzione del presidente designato da Walter Veltroni e del direttore della Mostra cinematografica Alberto Barbera. Poi Urbani frenò Sgarbi addirittura parlò di riconferma. Mossa solo diplomatica: nessuno difese la mostra accusata di “antiamericanismo”, la presenza del ministro fu frettolosa e irritata. L’ultimo capitolo risale a qualche giorno fa. Il Consiglio nominò Deyan Sudjic direttore della sezione architettura in sostituzione di Massimiliano Fuksas, clamorosamente revocato un anno fa dopo la rottura con Baratta.” Paolo Conti, Bernabè presidente, la svolta del Polo alla Biennale, ne “Il Corriere della Sera”, 15 dicembre 2001, p. 39. 25 “La ragione vera, storica, profonda della decapitazione di Paolo Baratta alla presidenza della Biennale di Venezia – ha spiegato oggi il sottosegretario ai beni culturali Vittorio Sgarbi – sta nel fatto che ha rifiutato il confronto minimo sulle nomine dei responsabili di settore.” Biennale di Venezia: Sgarbi, Baratta ha fatto l’errore del secolo, Ansa, ore 16:11, 15 dicembre 2001. 26 “La nomina del nuovo direttore di Architettura, cessato il mandato di Fuksas, è stata una decisione del consiglio, una prassi normale, in base alle sue prerogative i membri, sia i tre locali, sia i due di nomina governativa, lavorano in autonomia e non rispondono all’autorità che li ha designati, così ha stabilito il legislatore) e al dovere di garantire la continuità operativa, davanti l’opinione pubblica internazionale e per il bene della Biennale: la sciare un ‘buco’ sarebbe stato un gesto autolesionistico. Personalmente mi sono attenuto a due principi: autonomia e cortesia informando il ministro ventiquattr’ore prima della comunicazione alla stampa. Se questo è il ‘metodo Baratta’ francamente non posso che andarne orgoglioso” Baratta: Lascio un vascello con le vele spiegate, in Il Gazzettino”, 18 dicembre 2001. 27 Paolo Baratta: “Al momento c’è una designazione, che prima di diventare decreto del ministro deve passare attraverso le due commissioni cultura di Camera e Senato. E poi c’è il problema, tecnicamente più complesso, della formazione del nuovo consiglio, di cui fa parte di diritto il sindaco, ma i cui rappresentanti di Provincia e Regione hanno un iter di nomina non inferiore a sessanta giorni. In questo caso il largo anticipo della designazione sarebbe auspicabile”, Baratta: Lascio un vascello con le vele spiegate, in Il Gazzettino”, 18 dicembre 2001. 28 “Ci siamo impegnati a chiudere il bilancio entro il mese di gennaio – ha spiegato ancora Costa – e solo allora faremo una valutazione complessiva della vicenda” Entro gennaio il bilancio del consiglio uscente, in “Il Gazzettino”, 20 dicembre 2001. 29 Baratta dà il ‘rompete le righe’, in “La Nuova Venezia, 20 dicembre 2001. 30 Paolo Conti, Biennale, si dimette in anticipo il consiglio di amministrazione, in “Corriere della Sera”, 1 febbraio 2002, p. 37. 31 Gianna Marini, Baratta: il talento degli imprenditori ha sconfitto le carte dei burocrati, (intervista a Paolo Baratta) ne “Il Giornale dell’Arte”, n. 204, novembre 2001.
SEZIONE II - 2001
367
Allestimento della piattaforma del Pensiero nel Padiglione Centrale.
Documento che attesta la concessione alla Biennale di Venezia l’uso continuato per 6 anni degli spazi dell’Arsenale,
49.ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
LA BIENNALE DI VENEZIA
PLATEA DELL’UMANITÀ
10 GIUGNO / 4 NOVEMBRE 2001
SCHEDA GENERALE 2001
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
49. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
DirettoreHarald Szeemann
Assistenti del direttoreCecilia Liveriero Lavelli
PROGRAMMAZIONE
Dario Ventimiglia
SUPPORTO ORGANIZZATIVO
Anna Maria PorazziniDebora RossiMatteo BaglioniChiara Bernardi
ASSISTENZA AGLI ARTISTI
Gianpaolo CimarostiLuigi RicciariLuigi Sabatino
ASSISTENZA AI PAESI
Roberto RosolenMartina Pizzul MOSTRE A LATERE
E GIURIA INTERNAZIONALE
Paolo Scibelli
LOGISTICA E ALLESTIMENTO
SPAZI ESPOSITIVI
Pina MaugeriAldo Roberto BeltrameBruno BittnerPaul BittnerAlessandro Dal PraAlvise DraghiCristiano FrizzeleManuela Lucò DazioFrancesca MamprinMauro MomentéLucio Ramelli ALLESTIMENTI ESPOSIZIONE
Kees HensenJosy KraftPidu RussekJérôme SzeemanChristoph Zocher
TRASPORTI E ASSICURAZIONI
Marina BertaggiaMaria Pia BiscosiPiero PizzulAntonio Zanchet VIAGGI E OSPITALITÀ
Antonia PossamaiJasna Zoranovic
COMUNICAZIONE
Gabriella Cecchini
RELAZIONI STAMPA
E PUBBLICHE RELAZIONI
Paolo LughiFiorella TagliapietraClelia Caldesi ValeriValentino DescovichAlessandra DucaChiara FarneaElisabetta GardinLuisa GrandessoGlory JonesPatrizia MartinelliVeronica T uzii
PUBBLICITÀ E MARKETING
Eugenia FiorinMichela Mason ACQUISTI E SERVIZI
Guàltiero SeggiCinzia BernardiMauro FiorenzatoSilvia GattoGiuseppe SimeoniGiorgio Zerbini
RISORSE UMANE
Sandro VettorGraziano CarrerGiovanni Drudi AMMINISTRAZIONE
Daniela VenturiniBruna GabbiatoLaura ScardicchioGiorgio VergombelloLeandro Zennaro PROGET TO
DOCUMENTAZIONI
E IMMAGINI
a cura di Gianfranco Pontele Harald SzeemannAngelo BacciGiovanni AlbertiMonica DemattéMichele MangioneMargherita MesircaMaddalena PietragnoAdriana Rosaria ScaliseMichela StancescuGiorgio Zucchiatti
SOCIETÀ DI CULTURA
LA BIENNALE DI VENEZIA
PERSONALE
PRESIDENTE
Paolo Baratta
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Laura BarbianiPaolo Costa (vicepresidente) Giorgio OrsoniGiorgio van Straten
COMITATO SCIENTIFICO
Alberto Barbera (Cinema)Giorgio Barberio Corsetti (Teatro) Bruno Canino (Musica)Carolyn Carlson (Danza) Granfranco Pontel (ASAC)Harald Szeemann (Arti Visive)
COLLEGIO SINDALCALE Lionello Campagnari Piergiorgio Brida Adamo VecchiRaniero Silvio Folchini
COORDINATORE GENERALE
Massimo Coda
PERSONALE ARTI VISIVE
COORDINAMENTO ORGANIZZATIVO
E SUPPORTO
Dario VentimigliaChiara BernardiAngela CicoliniGianpaolo CimarostiMaria Cristina CintiAmyel GarnaouiAnnaMaria PorazziniRoberto RosolenPaolo Scibelli
ALLESTIMENTO
Manuela Lucà Dazio Jéróme Szeemann Matteo Ballarin Christian Dominguez Alvise DraghiIvano GandinKees HensenLucio RamelliUna Szeemann Christoph Zürcher
Pina Maugeri (RISTRUTTURAZIONE) Maria Elena CazzaroArianna LaurenziFrancesca Mamprin
TRASPORTI E ASSICURAZIONI
Josy KraftClaudia De ZordoRita MusaccoLuigi RicciariAlessandra Versace
COMUNICAZIONE E PUBLIC
RELATION
Flavia Fossa MarguttiSilvio SircanaAlexia BoroElisabetta Scantamburlo
Paolo LughiBarbara Del GrecoChiara FarneaDiego Giacomini Michela Lazzarin Donato Mendolia Maddalena Pietragnoli Fiorella Tagliapietra Donatella Venturini
Guerino Delfino (web site) Giovanni Alberti
MARKETING, SERVIZI AL PUBBLICO E
SPONSOR
Fabio AchilliDario MerighiAlessandra MiragliaLaura Revelli Beaumont
PUBLICITA’
Eugenia Fiorin Cristina Graziussi Michela Mason
SERVIZI GENERALI
SEGRETERIA E AFFARI GENERALI Daniela BarcaroNicola BonRoberta SavoldelloCinzia Tibolla
Giusi Conti Cristina Abele Patrizia Andres Marta Pellizzato
UNITA’ LOGISTICA E TECNICA Angelo BacciAldo Roberto Beltrame Cinzia BernardiMarina Bertaggia Andrea BonaldoPaolo CasarottoAlessandra Durand de la Penne Marco GarofaloSilvia GattoStefania GuerraTiziano InguanottoSilvia MarchettoNicola RizzoLucia Scarabottolo Giuseppe Simeoni Guido Vianello
SERVIZI LEGALI
Debora Rossi Isabella Cecchini
OSPITALITA’
Antonia Possamai Nella Bertelli Barbara Carpenedo Sabina Mabilia Jasna Zoranovic
RISORSE UMANE Sandra Vettor Silvia Bruni Federica Camali Graziano Carrer Giovanni Drudi Mariano Folin Antonella Sfriso Alessia Viviani
Auditing Valentina Borsato
AMMINISTRAZIONE Daniela Venturini Bruna Gabbiato Martina FioriMaria Cristina Lion Manuela Pellicciolli Giorgio Vergombello Sara Vianello Leandro Zennaro
DOCUMENTAZIONE PROGETTO CURATO
DA ASAC Gabriella CecchiniErica De LuigiRoberta Fontanin Michele Mangione Oriana Rispoli Francesca SardiAdriana Rosaria ScaliseMichela Stancescu Evelina Piera Zanon Giorgio Zucchiatti
PROGETTO INTER-SETTORE
49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D'ARTI VISIVE
CinemaAlberto Barbera Michael TarantinoThe Cinema Department Staff
Danza, Musica, Teatro Bruno CaninoCarolyn CarlsonGiorgio Barberio Corsetti The DMT Department Staf
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
MAPPA SEDI ESPOSITIVE
DE LA 49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
Antichi Granaidelle Zitelle
Corderie
Artiglierie
Isolotto
Tese
Gaggiandre
Giardino delle Vergini
ARSENALE:
Serredei Giardini
di Castello
MuseoCorrerSchola Santa
Apollonia
Museo SantaApollonia
Fondacodei
Tedeschi
Giardinidi Castello
Palagraziussi
CampoSan Lio
Fondazione Querini Stampalia
Ponte della Canonica
Palazzo delle Prigioni
GalleriaNuova
Icona
Giardini Napoleonici
LISTA SEDI DELLE
MOSTRE DE LA BIENNALE
Partecipazioni nazionali Fuori Cartina: Villa Letizia, TrevisoMostre Fuori Cartina: Centro per la Cultura e le Arti Visive a Treviso, discarica di Bellolampo a Palermo, Villa Mannin di Passariano a Codroipo (Udine), Spazio Berengo a Murano, Centro Culturale Candiani a Mestre.Eventi Fuori Cartina: Porto di Venezia
LISTA SEDI MOSTRE PATROCINATE
DA LA BIENNALE DI VENEZIA
LISTA SEDI DELLE MOSTRE DELLE
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
LISTA SEDI DEGLI EVENTI
FUORI CARTINA:
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
Palazzo Vendramin Opera
Santa Maria della Carità
Corte del Duca Sforza
Galleria A +A
Scuola diSan Pasquale
Teatro Piccolo
Arsenale
FondazioneUgo e Olga Levi
Palazzo Giustinian Lolin
Spazio Acquarim
Thetis
Magazinidel Sale
CampoSanta
Margherita
viaGaribaldi
Scuola GrandeSan Teodoro
PLATEA DELL’UMANITÀ
La mostra del direttore di Arti Visive è l’unica proposta dalla Biennale e occupa interamente gli spazi del padiglione Centrale e gli spazi dell’Arsenale. “ Il termine platea contiene in sé molte accezione: è piano sopraelevato, è base e fondamenta, è piattaforma. La Biennale d’Arti Visive come piattaforma dell’umanità. Questa è la pretesa. Negli anni cinquanta ha fatto il giro del mondo una mostra dal titolo Family of Man. A questa vogliamo ricollegarci all’inizio del nuovo millennio” (H.S.)
Direttore Harald Szeemann
Assistente del direttore Cecilia Liviero Lavelli
LA MOSTRA DE LA 49.ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
LA BIENNALE DI VENEZIA
SEDE: ARSENALE,GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE ITALIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
15. ISRAELE
Commissario Michael Gov.; curatore Yigal Zalmona; commissario aggiunto Arad TurgemanArtista Uri Katzenstein
16. STATI UNITI D’AMERICA
Commissario James Rondeae, Olga M. VisoArtista Robert Gober
17. PAESI NORDICI
Commissari Marketta Seppālā, Timo Valjakka; Curatori Tommi Grönlund, Petteri Nisunen
Artisti :
FINLANDIA Tommi Grönlund, Petteri Nisunen
NORVEGIA Anders Tomren
SVEZIA Leif Elggren, Carl Michael von Hausswolff
18. URUGUAY
Commissario Clever Lara, commissario aggiunto Angel KalenbergArtista Rimer Cardillo
19. AUSTRALIA
Commissario Leon Paeoissien; curatore John Barrett-LennardArtista LyndaI Jones
20. REPUBBLICA CECA e REPUBBLICA SLOVACCA
Commissario Katarina RusnakovaArtisti Ilona Némethe, Jiri Suruvka
21. FRANCIA
Commissari Centro d’Arte·"Le Consortium"Artista Pierre Huyghe
22. GRAN BRETAGNA
Commissario Andrea Rose; commissari aggiunti Brendan Griggs; curatore Ann GallagherArtista Mark Wallinger
23. CANADA
Commissario Wayne Baerwaldt; commissario aggiunto Jon TupperArtisti George Bure Miller, Janet Cardiff
24. GERMANIA
Commissario Udo KittelmannArtista Gregor Schneider
25. GIAPPONE
Commissario Eriko Osaka; commissari aggiunti Masato Furuya, Haruhisa SunamiArtisti Yukio Fujimoto, Naoya Hatakeyama, Masato Nakamura
25 bis. REPUBBLICA DI COREA
Commissario Kyung-Mee Park Artisti Do-Hoo Suh, Michael Joo
26. RUSSIA
Commissario Leonid Bazhanov Artista Olga Chernysheva, Sergei Shutov, Leonid Sokov
27. VENEZUELA
Commissario Luis Angel Duque; commissario aggiunto Miryan Castellanos, Annunciata FaynoArtisti Victor Hugo Irazbal
1. SPAGNA
Commissario Estrella de DiegoArtisti Ana Laura Alez, Javier Pérez
2. BELGIOCommissario Jan HoetArtista Luc Tuymans
3. OLANDA
Commissario Jaap Guldermond; commissari aggiunti Marente Bloenheuvel, Monique VerhulstArtisti Liza May Post, Rob Johannesma, Job Koelewijn, Mark Manders, Aernout Mik, Michael Raedecker, Frank van der Salm, Mike Tyler, Marijke van Warmerdam, Edwin Zwakman
5. ISLANDA
Commissario Hrafnhildur Schram; commissario aggiunto Gudny MagnùsdottirArtista Finnbogi Pétursson
6. UNGHERIA
Commissario janos Sturcz; commissario aggiunto Anna BálványosArtisti Tamás Komoròczky; Antal Lakner
7. BRASILE
Commissario Carlos Bratke; Edemar Cid Ferreira curatore Germano celantArtista Ernesto Neto
8. AUSTRIA
Commissario Elisabeth Schweeger; commissario aggiunto Thilo HoffmannArtisti gelatin, Granular = Synthesis
9. REPUBBLICA FEDERALE DI JUGOSLAVIA
Commissario Petar Cukovic; commissario aggiunto Dobrila Denegri, Svetlana RacanovicArtisti Oleg Kulik, Milija Pavicecevic
10. EGITTOCommissario Ahmed Fouad SelimArtista Mostafa Ramzi
11. ITALIA (PADIGLIONE VENEZIA)
Commissari Pio Baldi, Paolo Colombo, Sandra Pinto; curatori Anna Mattirolo, Antonella Soldaini, Diletta Borromeo, Massimo MinimiArtista Alighiero Boetti
12. POLONIA
Commissario Anda Rottenberg; curatore Aneta Prasal-WisniewskaArtista Leon Tarasewicz
13. ROMANIA
Commissario Ruxandra Balaci; commissario aggiunto Raluca Velisar; curatori Ruxandra Balaci, Sebastian Bertalan, Alexandru PataticsArtista Gheorghe Rasovszky, Context Network (Bogdan Achimescu, Anrik Alexandru, Olimpiu Bandalae, Bartha Sándor, Matei Bejenaru, Sebastian Bertalan, Mircea Cantor, CaIin Dan, Teodor Graur, KissPál Szabolcs, Calin Man, Dan Mihaltianu, Nìcolae Onucsan, Alexandru Patatics, Rostopasca Group, Utö Cusztáv, Sorin Vreme)
14. GRECIA
Commissario Lina TsikoutaArtisti Ersi Hatziargyros, Mikos Navridis, Ilias Papailiakis
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
*PAESI SENZA PADIGLIONE
ARGENTINA
Commissario Teresa de Anchorena; curatore Irma ArestizábalArtisti Leandro Erlich, Graciela Sacco
CROAZIA
Commisario Zvonko Makovic; commissario aggiunto Dean Jukanovic TourminArtista Julije Knifer
CILE
Commissario Antonio Arévale; curatore Marilys Belt de DowneyArtista Juan Downey
FYROM (ex Repubblica Jugoslava di Maceodonia)
Commissario Viktorija Vaseva Dimeska; commissario aggiunto Menka KarapasovskaArtista Jovan Sumkosvki
GIAMAICA
Commissario Margaret Bernal; curatore Paolo De GrandisArtisti Albert Chong, Keith Morrison, Arthur Simms
IRLANDA
Commissario Patrick MurphyArtisti Siobhan Hapaska, Grace Weir
LUSSEMBURGO
Commissario Marie-Claude Beaud; commissari aggiunti Bjōrn Dahlström, Alessandro PavoneArtista Doris Drescher + Claude Closky, Paul Devautour, Yoon Ja, Peter Kloger (artisti ospiti)
NUOVA ZELANDA
Commissario Jenny Gibbs; curatore Gregory BurkeArtisti Jaqueline Fraser, Peter Robinson
IRLANDACommissario Patrick MurphyArtisti Siobhan Hapaska, Grace Weir
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
28. SVIZZERA
Commissario Urs Staub; commissario aggiunto Pierre-André LienhardArtisti Andy Guhl, Urs Lüthi, Norbert Möslang
29. Padiglione del libro
30. DANIMARCA
Commissario Danish Contemporary art Foundation; curatori Dorthe Abildgaard, Sanne Kodof OlsenArtisti Henning Christiansen, Ursula Reuter Christiansen
LUSSEMBURGO
Commissario Marie-Claude Beaud; commissari aggiunti Bjōrn Dahlström, Alessandro PavoneArtista Doris Drescher + Claude Closky, Paul Devautour, Yoon Ja, Peter Kloger (artisti ospiti)
NUOVA ZELANDA
Commissario Jenny Gibbs; curatore Gregory BurkeArtisti Jaqueline Fraser, Peter Robinson
PORTOGALLO
Commissario Pedro LapaArtista João Penalva
REPUBBLICA DI ARMENIA
Commissari Edward Balassanian; commissario aggiunto Joan Agajanian QuinnArtisti Sona Abgarian, Narinè Aramian, Mher Azatian, Nora Badalian, Diana Hagobian, Ara Hovsepian, Hamlet Hovsepiau, David Kareyan, Tigran Khachatrian, Hovhannes Margarian, Karinè Matsakian, Tatev Mnatsakanina, Samuel Saghatelian, Harutyun Simouian, Arpinè Tokmajian
REPUBBLICA DI CIPRO
Commissario Eleni Nikitas; commissario aggiunto Satvroula AndreouArtista Andreas Karayian
REPUBBLICA DI ESTONIA
Commissario Sirje HelmeArtisti Marko Laimre, Ene-Liis Semper
REPUBBLICA DI LITUANIA
Commissario Kestutis Kuizinas; commissario aggiunto Jonas ValatkeviciusArtista Deimantas Narkevicius
REPUBBLICA DI LETTONIA
Commissario Helena DemakovaArtisti Ilmars Blumbergs, Viersturs Kairiss Laila Pakalnina
REPUBBLICA DI SINGAPORE
Commissario Kwok Kian Chow; commissario aggiunto Paivi TirkkonenArtisti Ilmars Blumbergs, Viersturs Kairiss Laila Pakalnina
REPUBBLICA DI SLOVENIA
Commissario Aurora Fonda; commissario aggiunto Lidija Sircelj Artisti 0100101110101101.org, Vuk CosiC, Tadej Pogocar
TURCHIA
Commissario Beral Madra; commissario aggiunto Vittorio Urbani Artisti Morova, Butch Morris, Ahmet Oktem, Sernin Sherif, x.urban net
UCRAINA
Commissario Alexandec Fedoruk, Curatore Valentin Rayevsky, commissario aggiunto Paolo De Grandis. Artisti Valentin Rayevsky, Arsen Savadov, Oleg Tistol, Yuri Solomko, Olga Melntiy, Sergey Panich
ITALO-LATINO AMERICANO
Commissario Louis-Philippe Dalembert; commissario aggiunto Alessandra Bonanni
BOLIVIA Raùl Lara, Hortensia Montenegro, Chrystal Ostermann Stumpf, Ricardo Pérez Alcalá, Gastón Ugalde
COLOMBIA Nadìn Ospina
COSTA RICA Rafa Fernàndez, Villacruz
CUBA Luis Gòmez Armenteros, Ibrahim Miranda Ramos
ECUADOR José Antonio Cauja, Alfredo Eguiguren, Rcberto Noboa
EL SALVADOR Rene Chacón, Vladimir Montufar
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
ALLORA, DUNQUE (LOTHAR BAUMGARTEN)Sede: Museo Fondazione Scientifica Querini Stampaliaa cura di Chiara BertolaOrganizzazione: Fondazione Querini Stampalia
AUTHENTIC/EX-CENTRIC: AFRICA IN AND OUT OF AFRICA Sede: Fondazione Levi, Palazzo Giustinian Lolina cura di Salah Hassan Olu Oguibe, Emma Bedford; assistente curatore Eriberto EulisseOrganizzazione: Forum for African Arts
EDEN Sede: Spazio Berengo, Fondamenta Vetrai, Muranoa cura di Boris BrolloPromosso da: Claudio Palvarini, Cooperativa Lotta contro l’emarginazione, Sesto San Giovanni (Mi); Galleria Bordone; A.I.A.P. – UNESCO, Parigi, con il patrocinio di Regione Veneto e Provincia di Venezia.
HOLLYWOOD (MAURIZIO CAT TELAN)Sede: Discarica di Bellolampo, PalermoPromosso da Comune di Palermo; AMIA –insieme per l’ambiente
LASPIS IN VENICESede: Magazzini del SaleA cura di Magdalena Malm
MARKERS - ART & POETRY IN VENICE Sede: Via Garibaldi, Veneziaa cura di Doron Polak; coordinamento artistico di Giancarlo Vianiello; In collaborazione con Peggy Guggenheim collection
MARZONA VILLA MANIN. UNA COLLEZIONE D'ARTE Sede: VìIIa Manin di Passariano, Codroipo (Udine)a cura di Egidio Marzone, Elena Carlini, Paolo Toffolutti, Pietro Valle Organizzazione Neoassociazioneculturale e Associazione culturale Colonos. In collaborazione con Villa Manin, e la municipalità di Codroipo
PLESSI WATERFIRESEDE: MUSEO Correr - Ala Napoleonicaa cura di Carl HaenlenOrganizzazione: Musei Civici Veneziani, Comune di Venezia, Direzione Centrale Beni e Attività Culturali
ROCK THE CAMPO!Sede: Bar e ristoranti in Campo Santa MargheritaCura e organizzazione: FRAME, Finish Fund for Art Exchange, Helsinki
THE DELIVERANCE AND THE PATIENCE Sede: Ex birreria, Giudecca Direzione Vittorio UrbaniCuratela Ingrid Swenson; Project manager Kieren Beattle; organizzaizone The peer trust, londra con la Fondazione Henry Moore e il British Council
TERRAFERMASede: Centro Culturale Candiani, Mestrea cura di Roberto CalduraOrganizzazione: comune di Venezia, Cultura e Spettacolo, Direzione Centrale Beni e Attività Culturali
UMBILICUSSede: Scuola Grande San Teodoro, Campo San Salvadora cura di Mancy Maria MithloOrganizzazione NA3
MOSTRE A LATERE
TEATRO PICCOLO ARSENALE
6-7-8 GIUGNO 2001 ore 18.00 - No Body, Never MindFabrice Lambert e gruppo “Experience Harmaat
25 AGOSTO 2001 ore 19.3026 AGOSTO 2001 ore 21.30concerto brani di Mauricio Kagel eseguiti da “Tarn Theater An Marienpaltz”
BANCHINA DI LEVANTE, PORTO DI VENEZIA
13-14-15-16 SET TEMBRE 2001
Les Voiles éscalatesSpettacolo di Theatre des Fréres Forman
EVENTI DEL PROGETTO INTER-SETTORE
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
GIURIA
INTERNAZIONALE
Ery CàmaraCarolyn Christov-Bakargiev
Manray HsuHans-Ulrich Obrist
Virginia Pérez-Ratton
PREMIAZIONI
PREMIO PER LA MIGLIORE PARTECIPAZIONE NAZIONALE
PADIGLIONE DELLA GERMANIAPer la trasformazione operata da GrEgor Schneider di un'architettura autoritaria e monumentale in
un labirinto di stanze ossessivo che riflette segrete condizioni di disagio, ma anche auspici di libertà
LEONI D'ORO A DUE MAESTRI DELL'ARTE CONTEMPORANEA
RICHARD SERRA e CY TWOMBLY
PREMIO NON UFFICIALE
PREMIO FONDAZIONE PANATHLON "DOMENICO CHIESA"
URS LUTHI (Svizzera)Per la sua derisione di un mondo eccessivamente preoccupato della forma fisica e per l'autoironia
con cui affronta l'invecchiamento e il mutarsi dell'identità da più di trent'anni
MENZIONIYINKA SHONÌBARE (Authentic/ExcentricJ Fondazione Levi, Palazzo Giustianian Lolin)
TIONG ANG ( Olanda, Platea dell’Umanità, espone alle Corderie)SAMUEL BECKETT/MARIN KARMITZ (Francia, Platea dell'Umanità, espone all'Isolotto)
JUAN DOWNEY (Cile, espone al Padiglione del Cile, Thetis)
PREMI SPECIALI "LA BIENNALE DI VENEZIA"
JANET CARDIFF e GEORGE BURES MILLER (Canada)Per la capacità di coinvolgere gli spettatori in una nuova esperienza cinematica tra finzione e realtà,
tecnologia e corpo. convergono in molteplici e mutevoli viaggi attraverso lo spazio e il tempo.
MARISA MERZ (Italia)Una tra le più grandi figure artistiche visionarie del nostro tempo
PIERRE HUYGHE (Francia)Per la capacità di esplorare l'esperienza dello spettatore nello spazio della videoproiezione ed in generale dei media digitali, affrontando i temi della durata, della partecipazione, della circolazione e della collaborazione
PREMI SPECIALI PER GIOVANI ARTISTI
FEDERICO HERRERO (Costa Rica)Per la sua fresca pittura murale nelle Artiglierie in cui la fantasia viene proiettata sulla realtà che
trova nel sito
ANRI SALA (Albania/Francia)Per il suo rispettoso e filmico ritratto della vecchiaia, della solitudine e della marginalità nel
contesto urbano contemporaneo
JOHN PILSON (Usa)Per la sua rappresentazione umoristica ed anarchica dell'ambiente aziendale. L'arte può
apparire dove meno la si aspetta
A1-53167 (Guatemala)Per l'efficace testimonianza di un'azione solitaria e coraggiosa per le strade del Guatemala,
azione che è sia politica sia poetica
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
volume 1: dedicato interamente alla mostra internazionale presentata da Harald Szeemann. Raccoglie il testo di presentazione del curatore e le schede su ciascun artista.
volume 2: riunisce i contributi delle partecipazioni nazionali e le mostre a latere, numerose, organizzate a Venezia in occasione della Biennale.
a cura di Harald Szeemann, Cecilia Liveriero Lavelli
ELECTA
2 volumi Pagine totali 710
24x29 cmItaliano e Inglese
Pagine totali 6516x22 cm
Italiano e Inglese
COLOPHON
Catalogo edito da Harald Szeemann
Cecilia Liveriero Lavelli Lara Facco (assistente)
Con la collaborazione di Chiara BarbieriElena Cimenti
Claudia De ZordoAlessia Facco
Rose PorterChiara Zabatta
Graphic DesignDario Tagliabue (catalogo)
Tapiro VeneziaEnrico Camplani
Pierluigi Pescolderung(copertina e immagine
ufficiale)Carlo Maria Biadene
(layout)
Editore Generale Rosanna Alberti
TraduzioniMarina Baruffaldi
Paolo BettoRichard G. Carlsson
Tina CawthraLaura Dal Carlo
Sabina FataSusanne Franco
Roberta Lazza roJames Manley
Anthony Marasco Andrew May
Nicholas MayowWilliam Murphy
Katarzyna Niementowska Fiona Peterson
Stefano PoleselloLuigina Romor
Giuliana SchiaviMonica Sonck
Carla ToffoloSusan Wise
Catalogue production Electa, Milano
VOLUME 1 GUIDA
LA BIENNALE DI VENEZIA 49.
ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PLATEA DELL'UMANITÀ - PLATEAU OF HUMANKIND - PLATEAU DER
MENSCHHEIT - PLATEAU DE L'HUMANITÉ -
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2001
L’ingresso del Padiglione centrale presenta lebandiere di Marco Neri, unite da una sintattica relazione storica e politica, ammiccando alla situazione d’incontro internazionale dei Giardini.
Nel verde delle aiuole dei Giardini sono sparse le testuggini de la Cracking Art Group* mentre un pavone vero testimonia la presenza di Francy Alÿs che ironicamente ricorda il narcisismo degli artisti.
LA BIENNALE DI VENEZIA
49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
GIARDINI
FACCIATA PADIGLIONE CENTRALE
Cracking Art Group, S.O.S World, 2001
Marco Neri, Quadro mondiale, 2000.
Francy Alÿs, performance, 2001
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
*Cracking Art Group (Omar Ronda, Marco Veronese, Renzo Nucara, Alex Angi, Carlo Rizzetti, Kikko, Alessandro Pianca)
LA BIENNALE DI VENEZIA
49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE CENTRALE
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE:
La Sala Ovale ospita l’opera di Carsten Nicolai che intende immortalare il suono dell’acqua racchiusa in studiati contenitori posizionati su un lungo tavolo che attraversa lo spazio dell’esedra del padiglione. Nelle nicchie compare il ritmico e infinito ripetersi dello schematico motivo riflesso negli specchi di Niele Toroni.
Appena entrati nel padiglione il primo spazio mostra la plastica percezione degli spazi di Niele Toroni e un’installazione video di Minette Vàri ai lati del passaggio per procedere alla sala successive con un morphing dissolve e ricompone perpetuamente la bandiera del suo paese d’origine.
Niele Toroni, veduta dell’installazione Carsten Nicolai, Frozen Water, 1999- 2001
Niele Toroni, Alcune Reflessione, 2001
Minette Varì
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
LA BIENNALE DI VENEZIA
49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE CENTRALE
A sinistra dell’entrata s’incontra l’installazione di Gary Hill dal titolo Wall Piece, a seguire la mappa di Laura Horelli, sulla quale sono individuati i paesi guidati da capi di Stato donne. Il tema della donne è variamente declinato dalle due artiste delle stanze successive Ene-Liis Semper e Cristina Garcia Rodero. La prima presenta un (video?) in cui una morbosa eroina di Dostoevsky ripete continuamente un suicidio mentre la seconda è presenta con un’ampia serie fotografica.
La Grande Sala è occupata dall’ affollata Piattaforma del Pensiero in cui Le penseur di Rodin è inserito in un insieme di opere d’arte di esecuzione africana e orientale. La piattaforma dipinta di rosso è inserita nella sala per lo più spoglia e tinteggiata di un verde intenso. Di fronte alla piattaforma in relazione d’intensità storica, dal momento che un secolo prima era stato esposto alla Biennale di Venezia, Szeemann colloca L’homme qui marche di Rodin. Al lato della piattaforma inoltre l’opera di Pierre Bismuth che consiste in una lista di accostamenti fra parole che inneggiano alla creatività in ciascuno. Questa sala costituisce il centro teorico della mostra e una dichiarazione d’intenti del curatore.
Piattaforma del Pensiero, veduta dell’installazione
Cristina Garcia Rodero, veduta installazione
Auguste Rodin,L’homme qui marche sur colonne, 1900
Piattaforma del pensiero, si riconoscono a partire dal
fondo in senso orario:Hans Schmitt,
Adamo ed Eva, 1975Erich Bödeker,
Santa Barbara, 1970Seni Camara,
senza titolo, 1998John Goba, senza titolo, 1997
Erich Bödeker, Schwarze Stürzende, 1969
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49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE CENTRALE
Il percorso che porta al soppalco è segnato dall’installazione di Paul Pfeiffer che presenta una fila di vetrinette che racchiudono una forchetta e un coltello accompagnata da una proiezione al muro dal titolo The Long Court. Sul muro opposto invece si dispiegano sul muro le metope di Eva Marisaldi che bianco su bianco diventano segni arcaici e impercettibili. Separata e isolata grazie a un muretto in cartongesso dal lato destro della stanza trova posto l’opera di Mark Manders.Il soppalco appare come un’esplosione di colori delle opere di Cy Twombly a cui è dedicato tutto questo spazio.
Dopo il video di Salla Tykkä s’incontra una stanza totalmente dedicata al decollage di Mimmo Rotella, fra le figure che si riconoscono anche lo storico Circo Orfei.Di seguito i lavori di Federico Herrero e di Tania Ostojic con il quadrato nero di Malevic riproposto con i peli pubici. Nella saletta inoltre campeggia la costruzione di gomma di Loris Cecchini mentre il passaggio alle sale successive è possibile attaversando l’installazione ambientale che ricopre tutti i muri da terra a cielo di Olaf Nicolai.
Paul Pfeiffer, Poltergeist, 2001 e The Long Court, 2000 Cy Twombly, veduta dell’installazione
Eva Marisaldi, Senza Fine, 2000
Loris Cecchini, BBBreathless, 2001 Olaf Nicolai, Blutsropfen, 2001
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LA BIENNALE DI VENEZIA
49. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
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Jeff Wall installa sulle pareti della sua sala 4 opere con un box retroillumina-to. Le sue fotografie che bloccano un momento di realtà “vengono fuori” dalla parete con sorprendere forza. Mentre gli “scarabocchi” di Paul Graham diventano tele alle pareti. La sala assegnata a Nedko Solakov invece diventa un luogo di attività permanente: due imbianchini infatti, per tutta la durata della Biennale, imbiancano le pareti “inseguendosi”. Uno dipinge di bianco e l’altro di nero e sembrano rincorrersi a vicenda.
A destra della piattaforma del pensiero si dispiega una piattaforma di diversa natura quella di Marko Lehanka che costruisce della aree per rimirare il rifacimento di monumenti culturali europei. Nella stanza successiva si articolano sul muro le tele di Neo Rauch che alternando formati quadrati e tondi racconta in toni surrealisti scende e situazioni reali. Il percorso di blocca con l’ultima sala di quest’infilata che vede l’allestimento della serie di dipinti romboidali di Gerhard Richter.
Marko Lehanka, Wilderer, 2001
Gerhard Richter, Abstract Painting Rhombus, 851-1 bis 851-6, 1998
Neo Rauch, veduta dell’allestimento
Jeff Wall, Veduta installazione Nedko Solakov, momento della performance
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Dall’esedra ci si imbatte nella stanza dedicata a Yishai Jusidman che articola una installazione con immagini fotografiche da cui dipartono verso il visitatore dei teli che chiedono un’interazione e allo stesso tempo pongono una distanza di avvicinamento.La stanza di Do-Ho Suh presenta al visitatore una pedana calpestabile il cui spessore è costituito da una miriade di piccole statuine forgiate nella posa di reggere la pavimentazione su cui il visitatore è invitato a camminare. Inoltre la stanza è decorata con una carta da parati con pois costituiti da piccoli volti ciascuno diverso dall’altro. La ripetizione diventa dolore alle immagini un video di Xu Zhen in cui si sente il ritmico ripetersi delle percosse a cui corrisponde il cambiamento di colore di una schiena arrossata e ferita. Nelle stanza di Alessandra Tesi sono proiettati su uno schermo alcune immagini in movimento con la luce del giorno, senza quindi ricorrere al black box. L’immagine quindi si fa quadro assumendo un aspetto rarefatto. Questa parte del padiglione Italia si chiude con l’omaggio a Chen Zhen.
Do-Ho Suh, Floor, 1997-2000
Yishai Jusidman, Mutatis Mutandis, 1999
Alessandra Tesi, Opale 00, 1999
Keith Tyson allestisce l’intera sala con una pletora di grandi disegni incorniciati che ricoprono la parete della sala. Al centro vi colloca una struttura scultorea nera che ammicca alla forma di una colonna – quella del pensatore di Rodin per l’appunto - che fa da punto di attrazione di tutta la stanza. Helmut Ferdele precede la piccola stanza dedicata ad una piccola testa rosa di Marisa Merz che viene isolata su di un piedistallo e che ripete lo stesso tipo di allestimento nella zona del seminterrato. Un allestimento simile che predilige l’isolamento delle opere è riservato anche a Richard Tuttle che espone una serie di opere pittore su legno che per il materiale utilizzato assumono quasi una dimensione scuoltorea. Passando per la stanza di Manuel Ocampo si giunge poi all’esedra con l’installazione video di Eulalaia Valldosera che ripropone elementi della vita quotidiana sa reali che proiettati creando una situazione ambientale sfuggente.
Keith Tyson, The thinker (after Rodin), 2001 Richard Tuttle, veduta allestimento
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Il seminterrato è dedicato all’opera di due artiste Lucinda Devlin e Marisa Merz. Al centro in una struttura circolare con una illuminazione drammatizzata, si innalza solitaria la Tete rose, una piccola scultura di Marisa Merz. Attorno alla sala si dispiegano le fotografie di Lucinda Devlin che documenta le asettiche sale in cui vengono avvengono le esecuzioni capitali nelle carceri americane.
Marisa Merz, veduta installazione Marisa Merz, Tete rose, 1982
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Il primo grande spazio delle Corderie è invaso dal gigante di Ron Muek, Boy. La scultura, realizzata di vetroresina si presenta come un ragazzo accovacciato che nasconde parte del viso fra le braccia conferendo un’aria sinistra e melanconica a tutto lo spazio che è lasciato interamente spoglio. Proseguendo a sinistra vi sono altre realizzazioni dell’artista australiano mentre a destra rispondono altre creature sinistre di Xiao Yu, che in vasi, come sotto formalina, conserva le figurine metà uomo-metà animale ad un apparente stato embrionale.A chiudere questa prima parte delle Corderie alcune installazioni video. Solitaria in una stanza la videoinstallazione di Bill Viola fatta di lenti movimenti speculari e le parole di Charles Sandison di living rooms, mentre in un black box opposto la proiezione di due video di Chris Cunningham.
Chris Cunningham, Monkey Drummer, 2001
Ron Muek, Boy, 1999 Xia yu, Ruan, 1999
Charles Sandison, living rooms, 2001
I visitatori vengono accolti alle Corderie con un’opera ambientale dei giovanissimi Botto e Bruno che riducono a carta da parati un paesaggio di solitudine della periferia torinese.
Botto e Bruno, House Where nobody lives, 2001
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ENTRATA CORDERIE
Questa parte dell’Arsenale è come il resto divisa in aree che isolano le opere. Il visitatore è accolto dal video di João Onofre presenta modelli che recitano uno a uno davanti la telecamera una frase tratta da Stromboli di Roberto Rossellini « l’impossibilità di una rappresentazione adeguata non sta soltanto nella mancanza di qualità ma soprattutto in una assoluta e irriducibile differenza ». Video sono anche le opere di Richard Billingham e Veli Granö. Di Billingham viene presentato Playstation un video interamente centrato sul fratello che gioca assorto ai videogiochi, mentre il secondo racconta l’ossessione del collezionista. Luis Gonzàlez Palma racconta nell’installazione realizzata con fotografie, collage e altri materiali, la tragedia del Guatemala. Tatsumi Orimoto sulla sinistra presenta l’installazione che nasce dall’esperienza di accudimento della madre malata di Alzheimer, con la quale cerca nuove forme di comunicazione.
Tatsumo Orimoto, Poster, veduta installazione
Tuomo Manninen, veduta allestimento
Tatsumo Orimoto, Art Mama, installazione, 2001
Luis Gonzàlez Palma, the critical look, 2001, veduta allestimento
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Viktor Maruščenko che documenta da quindici anni la storia della tragedia che ha distrutto la vita degli abitanti di Cernobyl, a questo risponde la serie fotografica di Arnold Odermatt che per anni ha fotografato le scene del crimine esaltando gli aspetti estetici facendo così perdere il fondo di dolore e sangue delle vicende ritratte.Tiong Ang artista di origini indonesiane proietta delle lunghe sequenze che riprendono bambini alle prese con l’apprendimento scolastico.Il giovane artista albanese Anri Sala presenta il suo video Uomoduomo in cui un senza tetto trova riparo presso il Duomo di Milano e sui banchi, curvo si addormenta.Alexander Roitburd invece parodia il lavoro di montaggio utilizzando la famosa corazzata di Eisenštejn.
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Yervant Gianikian /Angela Ricci Lucchi, La marcia dell’uomo, frame da Video, 2001
Tiong Ang, School, (frame da video) 1999
Anri Sala, Uomoduomo, 201
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Con un’installazione che taglia le Corderie Maaria Wirkkala presenta un lungo tavolo sospeso con gli animali dell’Arca di Noè e ai due estremi la bibbia e il corano. A destra troviamo le foto di Sarenco l’Africano con le statue di uomini contemporanei bianchi e neri che si approcciano alla storia che li unisce di violenza e soprusi. Al centro delle corderie, ieratica, siede la statua di Sunday Jack Akpan che mescola nei tratti di questo capo tribale elementi tradizionali e della contemporaneità. Una riflessione sui subdoli meccanismi dei rapporti di potere e di controllo la conduce Santiago Sierra con le sue controverse performance che documenta minuziosamente. Per la Biennale chiede ad un certo numero di persone di colore che incontra per Venezia di ossigenarsi i capelli in cambio di una remunerazione. Dell’intento originario di far collaborare le arti fra loro rimangono pochi esempi fra cui l’installazione video di Abbas Kiarostami intorno all’intimità spiata dal visitatore.Fra installazioni scultoree e molti video trovano spazio le piccole sculture realizzate con precisione matematica e piccolissimi parti naturali, opera di Christiane Löhr.
Maria Wirkkala, Found a mental connection, 1998
Sunday Jack Akpan, Chief, 2001
Abbas Kiarostami, Au travers de la fenêtre, 2001
Christiane Löhr, Kleiiner,Turn, 1999
Santiago Sierra, frame da video, 2001
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Le varie installazioni in rosso di Eliezer Sonnernschein con una scritta che recita “Update” all’ingresso portano il visitatore in uno spazio immersivo, in cui le opere sono avvolte dalle pareti e dal pavimento rossi e collegate fra loro con scritte e collegamenti testuali. In contrasto con questo allestimento fuori da quest’area domina il bianco dei box e dove trovano per lo più posto installazioni e serie fotografiche come nel caso di A1-53167 che attraverso alcuni particolari raccontano del 30 giugno 2000, giorno in cui per protestare contro i massacri del Guatemala organizza una manifestazione artistica in cui intende rovesciare dei sacchi di carbone sulla strada della parata militare, in segno simbolico contro il massacro e la morte. Fra i video si riconosce anche quelle dell’incerto uomo che si muove su dei palloni in tuta bianca di Lars Siltberg.
Vadim Zakharov, entrata all’installazione
Vadim Zakharov , veduta dell’interno.
Eliezer Sonnenschein, veduta dell’installazioneA1 – 53167, 30 June, 2000
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In questa sezione delle corderie si susseguono box per la visione di video fra cui Magnus Wallin, Jaime David Rischler, Minette Varì, Heli Rekula, Tracey Rose. I video sono intervallati da alcune installazioni. La prima che s’incontra è la stanza di Priscilla Monge “decorata” con assorbenti intimi quasi fossero materiale fonoassorbente. Artigas elabora un’installazione intorno al concetto di regola mentre Francesco Vezzoli elabora un’installazione di volti di donne belle e famose su cui ricama lacrime e trucco, mentre a ricamare dal vero durante i giorni della vernice è Veruska, un simbolo della moda e della bellezza anni settanta. In questa sezione inoltre vi è una zona dedicata al progetto speciale Museum in Progress e Human Condition. Il primo cerca di portare l’arte in contesti socio-economici particolari usando le strategie di comunicazione più moderne. Alle Corderie Ken Lum, porta d’esempio alcuni poster realizzati. Il secondo invece, Human condition, nasce dalle atrocità commesse durante la guerra in Bosnia e presenta poster di borse, ad esempio, realizzati in pelle umana.
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
Tracey Rose, Ciao Bella, 2001
Priscilla Monge, Room, particolare e veduta dell’allestimento, 2001
Gustavo Artigas, The Rules of the Game, 2000-2001
Francesco Vezzoli, Embroidery of a book,young at any age!, 2000
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Ingeborg Lüscher presenta un video in cui degli uomini in giacca e cravatta che giocano a calcio, al gol esplode l’esposizione di una gioia incontenibile. Altro video è quello delle donne africane riprese da Fiona Tan. Paul Pfeiffer presenta invece una sorta di teatrino che illumina però il telo bianco di fronte al palco rendendo, nonostante l’attenzione destata dalle luce, un’attesa invano. La vita, il tempo libero, il consumo sono declinati variamente dagli artisti di questa parte delle Corderie. Il tempo libero rimane impronta in Buchanam o estetica straniata nelle fotografie di Massimo Vitali presentate come dei dittici e che riprendono persone in luoghi famosi di villeggiatura. Se da una parte il consumo di massa è stigmatizzato nell’installazione di Matthieu Laurette che presenta camion che trasporta uno showroom in cui s’intravede su un piedistallo un uomo che spinge un carrello della spesa dall’altra la strada, il commercio e il consumo invadono lo spazio espositivo nell’installazione di Barry McGee, Stephen Powers e James Todd che in maniera invasiva con la riproduzione dei mercati di strada, di chioschi e situazioni affollate tipiche delle periferie metropolitane, chiudono il lungo percorso delle Corderie.
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Roderick Buchanan, Deadweight, veduta installazione, 2000 Massimo Vitali, Riccione-Agosto, 1997
Matthieu Laurette, Vivons remboursès, 1997 Ingeborg Lüscher, Fusion (frame da video), 2001
Barry Mc Gee/ Stephen Powers/James Todd, Streetmarket, 2001
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Il percorso delle Artiglierie si articola attraverso alcune installazioni di grande formato. Nella prima sala dopo il video di Stan Douglas si accede ad una struttura che accoglie un video di Bill Viola da una parte e alla stanza dedicata a Chantal Ackerman che presenta un’installazione autobiografica strutturata attraverso sette monitor. Sulle pareti la serie fotografica di Hai Bo e i ritratti di Rineke Dijkstra.Successivamente per la grande installazione odorosa di Ernesto Neto che riempie grandi sacchi di Nylon appesi con spezie profumate e colorate si accede ad un’ampia area interamente dedicata a Joseph Beuys. Dell’artista scomparso vengono presentate due opere la prima è un dispiegamento di grandi rocce di basalto mentre la seconda più raccolta, dal titolo Oliverstone, si colloca in una struttura appositamente realizzata. Passando per l’installazione di Manfred Pernice e per le opere di Atom Egoyan e Julião Sarmento, Martin Bruch si giunge alla grande struttura ottagonale che presenta il video struggente di Javier Téllez. A chiudere le artiglierie due artiste Georgina Starr e Alexandra Ranner con le sue micro-unità abitative.
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
Joseph Beuys ,Oliverstone 1984Manfred Pernice, installazione, 2001
Ernesto Neto, o becho, 2000 Joseph Beuys, the end of the 20th century, 1983
Alexandra Ranner, Aprèslude, 2001 Gerd Rohling, Wasser und Wein, 1984 - 2001Georgina Starr, The Bunny 2001 like Collection, 2000
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ARTIGLIERIE
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ISOLOTTO/TESE/ GIARDINO DELLE VERGINI/GAGGIANDRE
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE
DELLA MAPPA ALLESTITIVA:
La parte finale dell’arsenale, come già era accaduto con l’edizione del 1999, Szeemann la dedica alla grande installazioni che rimangono l’aspetto più spettacolare di questa mostra. Qui troviamo sia la molto chiacchierata installazione di Maurizio Cattelan con il papa colpito da un meteorite che le grandi fotografie su billboard di Vanessa Beecroft. Imponente l’opera di Richard Serra che chiude anche idealmente il percorso del curatore iniziato nel padiglione Italia con la piattaforma del pensiero. Fra gli artisti che espongono in questa zona anche i Kabakov, il progetto di Michael Schmitz, Com e Com oltre che Olaf Nicolai che nel Giardino delle Vergini realizza una piattaforma fucsia che invade tutto lo spazio.
Michael Schmitz, 2001
Olaf Nicolai, Frozen Water, 2000 - 2 001
Maurizio Cattelan, La nona ora, 1999 Vanessa Beecroft, The sister project, 2000
Richard Serra, 2001
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
Ilya e Emilia Kabakov, Not every one will be taken into the future, 2001
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ISOLOTTO/TESE/ GIARDINO DELLE VERGINI/GAGGIANDRE
Nel bacino delle Gaggiandre si dispiegano le teste di cammello di Not Vital che infila l’una dietro l’altra seguono tutta la lunghezza delle piattaforme di attracco. Al largo nelle acque del bacino si muove l’unità Woman and Waves di Atelier Van Lieshout per consentire l’interruzione di gravidanza a donne che provengono da paesi nei quali l’aborto è vietato, operando in acque internazionali.Lungo il percorso che costeggia l’Arsenale è invece presente il progetto Refreshing che consta di una caffetteria, un ristorante, dei carretti ambulanti ideati da Massimo Bartolini, Cai Guo-Qiang, Olafur Eliasson, Tobias Rehberger, Rirkrit Tiravanija. Inoltre lungo le Corderie Marco Nereo Rotelli installa il suo Bunker Poetico.
Marco Nereo Rotelli, Bunker Poetico, (veduta allestimento) 2001
Cai Guo Qiang, Refreshing, 2001
Atelier Van LIeshout, Woman and waves, 2001
Not Vital, 70 camels in and above Water, 2001
Massimo Bartolini, Refreshing, 2001
SEZIONE II – DISPLAY - 2001
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ISOLOTTO/TESE/ GIARDINO DELLE VERGINI/GAGGIANDRE
GAGGIANDRE/ ESTERNO ALL’ARSENALE
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88.3. Analis i di Platea del l ’Umanità
Per progettare Platea dell’Umanità contrariamente a quanto avvenuto per dAPERUTutto
Szeemann dispone di tutto il tempo necessario per riflettere e mettere insieme una mostra
che segua un percorso teorico compiuto e articolato. La proposta che si concretizza con
questa edizione per certi versi può essere indicata come una summa del suo pensiero.
La mostra s’inscrive pienamente nel solco dell’edizione precedente se si considera la
rinuncia al tema pre-ordinatore e l’intenzione di essere una mostra internazionale che
tende a porsi come punto sopraelevato a cui guardare al mondo e da cui essere guardati.
Questi intenti sono pienamente interpretata dall’opera di Marco Neri installata sul fronte
del padiglione centrale, che sinteticamente, attraverso la riproduzione di piccole bandiere
sul muro esterno, accenna tanto all’internazionalità quanto alla storia e ai rapporti di
potere implicitamente contenuti in una bandiera.
In continuità con l’edizione precedente le stanze inziali del padiglione sono da considerarsi
come un prologo all’Esposizione. Così s’incontra, sempre sulla tematica del concetto di
nazione e di potere, la bandiera di Minette Varì che perpetuamente si fa e si disfa, mentre
in questa e nell’esedra d’entrata oltre al grande tavolo sonoro di Carsten Nicolai, in cui le
onde sonore danno forma all’acqua contenuta in grandi bocce di vetro, si collocano anche
gli interventi di Niele Toroni. Il contributo dell’artista tedesco è lieve e appena percepibile,
con pochi punti, infatti egli rielabora lo spazio in cui si collocano i suoi interventi. Le opere
sinteticamente mostrano la forza delicata e sensibile dell’operare artistico che attraverso
seppur piccoli benchè potenti gesti è capace di dare forma all’invisibile o al non
immediatamente visibile.
La grande fiducia nell’arte, nella capacità visionaria e utopica degli artisti sono il sotto-
tema di questa mostra come dichiarato dalle sue forme millenarie e intemporali nella
piattaforma del pensiero che egli allestisce nel salone centrale spazio che rappresenta la
sinossi de Platea dell’Umanità. La stanza totalmente dipinta di verde, da un lato ospita
una pedana lievemente degradante della quale val la pena elencare la tipologia di opere
che ivi collocate. Vi si trovano le sculture di Peter Wanjau che riflettono su grandi temi
quali il sovraffollamento del pianeta e la piaga dell’Aids (One man can fill the world, 1998 e
Aids killing, 1998), Adamo ed Eva di Hans Schmitt, due sculturine in legno tratteggiate in
maniera grossolana che ricordano sculture propiziatorie; la scultura legnea dipinto di John
Goba di un uomo con un albero alle sue spalle realizzato con gli aculei di un porcospino; il
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2001
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piccolo Mazzo di fiori in granito (1960) di Ettore Jelmorini dai tratti arcaici; di Eric Bödecher
tre statue Schwarze Stürzende (1969), Apollo 0 (1970) e Santa Barbara (1970) che appare
quasi come una stele, lunga e senza forme corporee. Insieme a queste opere,
campeggiano sulla piattaforma statue di diversa provenienza con divinità indiane dai tratti
fortemente eroticizzati (XVII-XVII secolo), oppure il Tirthaňka Pārśavanātha (XI-XIII sec. )
una grande stele con una figura in meditazione proveniente da un santuario a Giujarat,
oppure le figure del buddha proveniente dal Siam (XIV sec.). Fra queste figure inoltre si
pone il pensatore di Rodin (1880) che raccoglie a se tutte le figure intorno e che è in diretta
comunicazione con un’altra statua di Auguste Rodin, Homme qui marche sur colonne,
1900.
Il posizionamento del “pensatore” al centro della piattaforma, invece che di un pittore o di
uno scultore, pone centralmente una figura innanzitutto meditativa. Già Bonito Oliva ebbe
a notare negli anni ’70 che l’arte aveva assorbito la riflessione, così oggi, all’inizio di un
nuovo millennio, dichiara Szeemann, il pensatore, come figura in astratto, è al centro della
piattaforma, vivificata però dalla presenza di figure di altre culture. A questa dichiarazione
del curatore va però aggiunto che le figure che egli elegge, quando non provenienti da
templi e prodotte da artisti contemporanei, hanno la fattura di opere arcaiche. L’arcaismo
della piattaforma è proprio il richiamo ad una funzione dell’arte mai perduta che è
propriamente quella di costituire un luogo che permetta sia di procedere nel pensiero, di
avanzare – come indica l’uomo che marcia di Rodin – sia di incontrarsi seppur nelle
differenze d’origine e culturali. Scrive infatti in apertura di catalogo che la validità dell’arte
che può persistere per chiunque voglia trovare il tempo di ‘leggerla’, e qualora questo
avvenga l’arte risulterà sempre attuale.
La posizione dell’uomo, e della Biennale, è quella dell’uomo che cammina di Rodin, teso
alla ricerca, alla comprensione a quell’utopia che l’arte stessa anela. Il risultato
nell’esposizione è una tensione fra le “ossessioni” del curatore e degli artisti e la “forze
vitale” delle opere che l’alimentano.
L’arcaismo delle immagini presentate, siano esse produzioni recenti o meno, e la
mancanza di qualsivoglia cenno architettonico nella stanza che rimanda soltanto ai due
colori rosso e verde, colloca inoltre la piattaforma in uno spazio senza tempo che in
perpetuo esiste. A conferma di ciò l’unica opera propriamente contemporanea che Harald
Szeemann espone nella grande sala del padiglione centrale è l’opera di Pierre Bismuth
(From Humanity to Something Else, 2001) che elenca una serie di idee sui muri illustranti lo
stato successivo che l’uomo sperimenta nell’incontro con l’arte. Opera, quest’ultima che
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2001
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intensifica il prologo di Minette Varì, Carsten Nicolai e Niele Toroni all’entrata del
padiglione.
Poste le basi della mostra in questo modo, un ulteriore affondo viene fatto presso
l’Arsenale. Le opere o meglio le stanze del padiglione Italia che si susseguono intorno alla
stanza centrale appaiono come declinazioni particolari degli artisti che attraverso esse
testimoniano la loro personale riflessione. Il modo con cui vengono declinate le varianti
avviene per una continua alternanza dell’intensità che le opere producono. Alle spalle del
salone centrale, nel soppalco, la sala viene liberata di tutte le pareti divisorie e si dispiega la
scrittura vitalistica di Cy Twombly, mentre scendendo da lì, il silenzio delle “metope” che
raccontano degli interstizi di contatto fra le persone di Eva Marisaldi accompagnato dalle
vetrine e dall’installazione di Paul Pfeiffer e Mark Mender conduce all’opera di Loris
Cecchini, Bbbrethless (2001), una casetta di gomma che gonfiandosi e sgonfiandosi,
respira”. Il cubo bianco di Cecchini ha il suo contraltare nel quadrato nero di peli pubici di
Tanja Ostojic. Il pop di Federico Herrero trova contrappunto nei decollage di Mimmo
Rotella. Secondo questa modulazione di accostamenti e contrapposizioni si continuano a
svelare le opere a sinistra della sala centrale da Cristina Garcia Rodero, Ene-Liis Semper,
Laura Horelli fino all’installazione video di Gary Hill. A destra del salone centrale la prima
sala a cui si acccede è quella di Marko Lehanka che ricrea una situazione suggerita dalla
piattaforma del pensiero della sala precedente. L’artista infatti articola delle zone
d’incontro intorno a delle riproduzioni di statue. Seguendo l’allestimento delle sale si
rende sempre più evidente che l’articolazione delle opere non è concettuale. Alcuni artisti
inoltre vengono riproposti anche nelle Corderie con altre opere, separando l’opera dal
proprio creatore ancor di più di quanto non fosse già avvenuto nell’allestimento di
dAPERTutto. All’interno del catalogo di Platea dell’Umanità, Szeemann, propone un
collegamento, artista per artista, fra alcune opere che è totalmente mentale. Si tratta quasi
di un’altra mostra, in cui vengono associati autori come Maurizio Cattelan e Mimmo Rotella
che si trovano l’uno all’Arsenale e l’altro al padiglione Italia, così come Loris Cecchini e
Lucinda Devlin, i quali benchè condividano almeno la location sono collocati in punti
diametralmente opposti. Lucinda Devlin in particolare condivide il seminterrato con
l’installazione di una piccola testa di Marisa Merz. Questa è una delle “combinazioni” più
suggestive. Il seminterrato presenta alle pareti la serie di fotografie di una freddezza quasi
clinica delle sale dove si eseguono le esecuzioni capitali. Al centro della stanza una
struttura quasi elicoidale racchiude al suo interno una piccola scultura di Marisa Merz.
L’effetto immersivo fra la vita e la morte è molto struggente ed è fortemente sottolineato
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2001
406
tanto dall’accostamento fra le opere di queste due artiste quanto dall’allestimento
drammatico della testa di Marisa Merz.
Il confronto fra la mostra raccontata in catalogo e l’effettiva geografia delle opere negli
spazi rende immediatamente percepibile un procedere mentale quasi filmico, fatto di
immagini che si associano, che possono essere riscritte nella loro narrazione.
Szeemann rileva che qualcuno ebbe giustamente ad osservare quanto la mostra del 1999
fosse un allestimento metodologicamente paragonabile alla post-produzione ed è lui
stesso a dar ragione di questa interpretazione dichiarando come proprio principio
ispiratore una mostra realizzatasi in collaborazione con la Comunità Economica Europea
nella quale si celebrava il centenario dell’invenzione del cinema, che avrebbe tra l’altro
dovuto svolgersi a Venezia.
« As one who is convinced that everything is interconnected, this year’s exhibition is
strongly linked, also from the thematic point of view, with Illusion-Emotion-Realität,
conceived in this case from the viewpoint of figurative arts, but neared to that witch is
referred to as film editing in its articulation ».1
Una dichiarazione di questo genere è molto importante per seguire lo svolgimento
emozionale del percorso espositivo che trova una sua più compiuta elaborazione nell’area
delle Corderie, dove il curatore costruisce uno spazio immaginario proprio che egli
ricompone creando un percorso in cui non si perde mai la visione d’insieme e allo stesso
tempo si possa approfondire nel dettaglio un aspetto particolare secondo il proprio
interesse. Non a caso le schede di lavoro con cui Szeemann procedeapprontando
l’allestimento sono schede per opera e non per artista.
Con più tempo a disposizione di quanto avvenuto nel 1999, in questa edizione Szeemann
costituisce per ogni artista un archivio delle opere come riportato nella scheda qui allegata
a titolo di esempio. Di ogni opera vengono segnalate le caratteristiche tecniche per
l’allestimento, corredato dalle indicazioni di eventuali opere di muratura, impianti elettrici
o quant’altro, il tutto accompagnato con un’immagine identificativa.
Questo “atlante” delle immagini permette di “navigare” senza difficoltà nella mappatura
dell’allestimento ma soprattutto fa comprendere il modo con cui egli concepisca le opere
singolarmente, per la propria intensità e la propria autonomia linguistica.
Anche in quest’edizione il percorso alle Corderie è divisibile in grandi blocchi che sulle
cartine il curatore segna come tali: aree di senso in cui le opere si combinano in un
racconto per assonanze. La prima opera che s’incontra alle corderie passati per l’ingresso
1 Harald Szeemann “The Timeless, grand narration of human existence in its time”, in Harald Szeemann e Cecilia Liviero Lavelli (a cura di), 49. Esposizione Internazionale d’Arte. Platea dell’Umanità, catalogo della mostra, Electa, Milano, 2001, p. XVIII.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2001
407
foderato di un paesaggio di solitudine del duo Botto e Bruno (House Where nobody lives,
2001), si giunge a Boy (1999), la grande scultura di Ron Muek che campeggia solitaria e
impaurita nel salone d’entrata. Sebbene Szeemann non indichi questo artista come la
figura ispiratrice della mostra che egli riconosce piuttosto in personalità come Antoni
Artaud, Joseph Beuys e Richard Serra, il posizionamento della sua opera e la grande
dimensione la fanno assurgere rapidamente a icona della 49esima Biennale. La condizione
solitaria, sospesa nell’esistenza umana sembra declinarsi in modo diverso nelle aree della
sezione successiva. A sinistra si ritrovano altre sculture di Ron Muek che ripropongono la
stessa alienazione, in altre creazioni a cui risponde Xia Yu (Ruan, 1999) con le sue figurine
metà uomo metà-animale sotto formalina. La vita bloccata nella propria tensione
nell’espressione di espressioni primarie identificative madre, figlio, uomo, amore, dolore,
malattia sono variamente declinati dalle opere di Chris Cunningham (Monkey Drummer,
2001; Charles Sandison (living rooms, 2001), che queste parole le esplicita in una video-
installazione, Bill Viola; Tatsumi Orimoto che ad esempio racconta del suo rapporto con la
madre malata di Alzheimer, Tuomo Mannin o nel video di João Onofre (Casting, 2000) che
da voce alle tensioni di molte opere, facendo pronunciare ai protagonisti del suo video
una frase tratta dal film Stromboli di Roberto Rossellini « L’impossibilità di una
rappresentazione adeguata non sta soltanto nella mancanza di qualità ma soprattutto in
una assoluta e irriducibile differenza ».
Alle Corderie viene inoltre inclusa nell’allestimento parte dell’iniziativa di collaborazione
con il settore cinema. L’idea di Szeemann per la mostra è quella di un’opera d’arte totale
che accolga tutte le arti. Per questo la Biennale sembra il terreno ideale a tale visione
essendo essa stessa costituita da settori diversi ed essendo guidata da un comitato
scientifico costituito dai vari direttori di settore che potenzialmente potrebbero lavorare
sempre in collaborazione e durante il suo mandato egli avrà modo di testare la difficoltà di
questa procedura ma cionondimeno getta le basi per una collaborazione che troverà vita
attraverso alcuni progetti. Se con il settore teatro, musica e danza la sinergia si ferma ad
alcune rappresentazioni organizzate durante la Biennale Arti visive, entrando a far parte
del calendario eventi specifico di questa Biennale, con il cinema la collaborazione è più
fruttuosa e l’Arsenale accoglie i lavori di partnership ad esempio di Atom Egoyan con il
pittore Julião Sarmento (alle Artiglierie), mentre alle Corderie viene esposta l’opera di
Yervant Gianikan e Angela Ricci Lucchi, come anche un breve contributo di Abbas
Kiarostami, testando sul campo il diverso approccio al dato filmico rispetto ad un artista
come Stan Douglas (Le Detroit, 1999-2000) o al documento video di Santiago Sierra (200
people remunered to have their hair died blond, 2001) che in maniera controversa
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2001
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organizza e racconta del modo di dare in cambio la propria autonomia e la propria identità
per pochi spiccioli.
L’allargamento alle arti viene attuato anche nei confronti della poesia, e si comprende che
fosse desiderio di Szeemann che l’Esposizione aprisse anche ad una Biennale della poesia.
In questa edizione 2011 egli ospita il progetto di Marco Nereo Rotelli (Bunker Poesia) che
corre lungo il percorso esterno delle Corderie.
Rispetto all’edizione del 1999, come avranno in molti a notare, l’allestimento appare meno
spettacolare ma questo è dovuto in particolare al tono specifico delle opere proposte. Si
presentano in questa edizione, soprattutto alle Corderie, meno installazioni e molte più
opere grafiche e fotografie, offrendo quindi al visitatore un tipo di fruizione molto più
lenta e scandita dalla grande presenza di strutture murarie che articolano lo spazio dentro
una struttura per la verità non molto dissimile dall’edizione precedente ma la cui tipologia
delle opere ne cambia totalmente la percezione. Infine il riferimento in alcuni testi, come
nella guida alla mostra The Family Man del 1955 tenutasi al MoMA2 fa pensare ad un
orientamento alla scelta per lo più di materiale fotografico o che visivamente sintetizzasse
allo stesso modo i soggetti a-temporali che persistono nell’uomo e che ne caratterizzano il
rapporto con la realtà. L’accenno alla mostra non è motivato se non nella capacità della
mostra di Edward Steichen di aver fatto vivere, attraverso autori molto diversi che hanno
fotografato luoghi e persone di tutto il mondo, un senso di comunanza e fratellanza che
avrebbe accomunato uomini di ogni luogo e di ogni tempo. La mostra in effetti faceva leva
sulla diversa rappresentazione ma sul comune e accomunante sentimento del dolore,
dell’amore, della fratellanza, della solitudine. La mostra era parte di un programma di
promozione degli Stati Uniti per generare, all’indomani della seconda guerra mondiale, un
sentimento di comunanza fra le genti ma a Szeemann pare interessare il modo in cui opere
accostandosi riescano a rafforzare e rinvigorire un discorso intorno all’uomo.3
2 The Family of Man, esposizione a cura di Edward Steichen, presso MoMA, New York 24 gennaio – 8 maggio 1955. 3 Ulteriori informazioni circa l’ispirazione di questa mostra per Platea dell’Umanità non sono state reperite nell’Archivio dell’ASAC che andrebbe messo a confronto con quello di Harald Szeemann acquisito dal Getty Research Institute di Los Angeles.
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99. 2003. 50esima Biennale di Venezia . Sogni e Confl itt i
La 50esima Biennale di Venezia vede la sua nascita con un nuovo consiglio
d’amministrazione ed un nuovo Presidente nella figura di Gianfranco Bernabè.
Dal suo insediamento a febbraio del 2002 i lavori per la nomina del curatore del settore
Arti Visive procedono lentamente e l’indecisione intorno ai candidati crea un mal contento
espresso anche sulle pagine della stampa estera. Robert Hughes, infatti, che era stato
contattato verso la fine del 2001 a seguito di tentennamenti decide di dare il rifiuto
all’incarico direttamente sul New York Post dichiarando che l’offerta lo aveva reso felice ma
le diatribe e l’inettitudine del governo italiano lo hanno successivamente amareggiato.1
Inoltre insiste che considerando il caso che regna in questo momento alla società di
cultura è difficile che questa 50esima edizione possa vedere la luce nel 2003.2
La polemica impazza sui giornali e Vittorio Sgarbi se la prende direttamente con il
Presidente: « Se ha cambiato idea, la responsabilità è del Presidente. Il governo non c’entra
nulla: anzi, si è mosso con tempestività, velocità e buoni risultati ».3 Sembra però che in
realtà le richieste di Hughes in termini di compenso siano state eccessive oltre ad avere
avuto anche il problema di non aver mai curato una mostra prima.
Le polemiche impazzano tra Sgarbi e il Sindaco Paolo Costa, vicepresidente della Biennale,
dal momento che le ingerenze del sottosegretario sono diverse dal suggerimento dei
nomi degli ipotetici direttori di sezione alle direttive dei programmi.4
1 Paolo Conti, Highes se ne va e Sgarbi attacca il presidente Bernabè, in “Il Corriere della Sera”, 1 marzo 2002, p. 37 2 “I informed them I was pulling out yesterday” Hughes tells me. According to Time’s art critic: “Life’s too short to waist fooling around with ditherers”. He complains that the Biennale is “a shambles” at this stage and wonders whether it will even happen” Neal Travis, Vacancy in Venice, in NyPpost.com, 28 febbraio 2002. 3 Sergio Frigo, Sgarbi contro Bernabè, in “Il Gazzettino”, 1 marzo 2002, p. 18. 4 W Se le Biennali saranno costruite in base a criteri legati al mercato dell’arte contemporanea sarà guerra aperta […] “ho proposto il nome di Bernard Henry Levy per il teatro: ho anche dato il numero di telefono a Bernabè una ventina di giorni fa e non mi risulta che lo abbia ancora chiamato. Starebbero invece contattando Quaglia”; Sul fronte del cinema aggiunge Sgarbi “i miei nomi restano Muller, Ghezzi e Tatti Sanguineti. Per l’architettura ho suggerito Mario Botta. Tute persone da cui ho avuto la disponibilità”. Sergio Frigo, Sgarbi contro Bernabè, in “Il Gazzettino”, 1 marzo 2002, p. 18.
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Reagisce il Sindaco in un’intervista « sono cose che si commentano da sole! Fino a prova
contraria lo Statuto, che non mi risulta sia stato cambiato, dice che i direttori di settore li
nomina il consiglio di amministrazione, che al momento non mi pare esistere ».5
Mentre Bernabè si barrica in un silenzio assoluto cercando un contatto diretto con il
Ministro6. In un’intervista a Frederika Randall sul Wall Street Journal fa trapelare che ha
contattato Hughes esattamente come ha contattato altri curatori. Quello che gli
interessava era sentire come vedeva l’arte e soltanto a questo si è limitato dal momento
che sta al consiglio decidere e la seduta per decidere non ha ancora avuto luogo.
D’altronde il nuovo Statuto è stato redatto in modo da evitare le ingerenze politiche che
hanno sempre caratterizzato la vita della Biennale e Bernabè sembra intenzionato a
muoversi in questa direzione. La grande preoccupazione del manager è oltre alle nomine
anche le condizioni finanziarie della Società dal momento che i fondi statali vengono
decurtati del 17%. Rispetto all’amministrazione precedente ha parole di elogio per quello
che ha costruito Paolo Baratta e intende portare avanti i programmi da lui iniziati.7
I giorni di marzo procedono tra notizie convulse in attesa della nomina dei consiglieri del
Cda, se il 14 marzo è pronta la nomina della Provincia che nomina Amerigo Restucci8 e il 16
marzo quella della Regione di Valerio Riva,9 si può finalmente procedere alla seduta del
consiglio che si evince il 17 marzo avverrà entro la settimana successiva.10
Nel frattempo sono ancora altri i nomi dei direttori di settore che trapelano perché
declinano un impegno come direttori, dopo il no di Martin Scorzese, Marina Cicogna,
Marco Muller, Bernabè è costretto a incassare anche il no di Pierluigi Celli.11
Il rimbalzare di notizie, dichiarazioni e smentite sulla stampa italiana ed estera accende di
nuovo i riflettori su una Biennale in preda alle difficoltà politiche e organizzative e The
Guardian non si esime dal giudicare una farsa la situazione entro cui naviga la società.12
La risposta di Bernabè, come si era già capito dal suo procedere silenzioso e defilato dalle
polemiche, avviene con i fatti e alla prima seduta del Consiglio di amministrazione di cui
fanno parte oltre al Sindaco di Venezia Paolo Costa, Valerio Riva, Amerigo Restucci e
Severino Salvenimi, con un gesto che fa sperare per una nuova autonomia della cultura in
5 Sergio Frigo, Sgarbi contro Bernabè, in “Il Gazzettino”, 1 marzo 2002, p. 18. 6 “Asse Urbani-Bernabè dunque, anche se nessuno dei due lo dice, con Sgarbi fuorigioco.” Paolo Vagheggi, Biennale. Una tempesta di parole la seppellirà?, in “La Repubblica, 2 marzo 2002, p. 4. 7 Frederika Randall, New Head of Venice Biennale Seek to Quell Tide of Rumors”, in “Wall Street Journal Europe”, 8 marzo 2002, p. 3. 8 Biennale di Venezia: la Provincia nomina Restucci, in KataWebArt, 14 marzo 2002. 9 Biennale , consiglio al completo con l’incarico di Valerio Riva, in “Il Gazzettino”, 16 marzo 2002, p.18. 10 GianLuigi Rondi, Ma la Biennale saprà difendersi da tutte le pressioni esterne, in “Il Giornale dell’Arte”, 17 marzo 2002. 11 Indipendenza per la Biennale, in “La Stampa”, 17 marzo 2002, p. 25. 12 Venice Festival sinks ino farce, The Guardian”, 18 marzo 2002, p. 3.
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Italia,13 avviene la nomina di tutti i direttori di Settore: alle Arti visive Francesco Bonami, al
cinema Moritz de Halden mentre conferma ad Architettura Deyan Sudjic, nominato nella
precedente amministrazione Baratta e chiede agli attuali direttori di settore Carolyn
Carson per la danza e Giorgio Barberio Corsetti per il teatro di portare avanti i programmi
avviati per il 2002, tanto che il cartellone di Venezia tra il 2 e il 29 maggio rispetta i quasi
cento appuntamenti già progettati.14 Se il Ministro Urbani esprime il suo plauso in merito
alle scelte per la “nuova stagione” della Biennale, Vittorio Sgarbi le giudica « una scelta
intollerabile ». Una reazione questa prevedibile dal momento che in particolare la scelta di
Francesco Bonami è totalmente contraria ai gusti in fatto di Arte del sottosegretario.15
La maggior parte dei giornali riceve positivamente la notizia delle nomine16 che danno
innanzitutto un segnale di indipendenza della biennale rispetto alle pressioni politiche e
alle polemiche imperversate nei due mesi precedenti. Francesco Bonami,17 pur essendo
italiano, risulta una novità del panorama italiano anche se è dal 1995 che lavora al fianco
della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. « Dal 1998 senior curator al museo d’arte
contemporanea di Chicago ha alle spalle una professione di curatore che non è quello del
critico o storico dell’arte. Sensibile scopritore di talenti ha costruito la propria carriera
oltreoceano allestendo mostre alle Walker Art Center di Minneapolis come alla
Whitechapel di Londra o all’Armand Hammer Museum di Los Angeles.[…] si tratta di una
vera rottura con la tradizione dei critici/curatori tipicamente italiana che da Calvesi a
Celant, ha fatto sempre la parte del leone ».18 Bonami, infatti, non è un accademico né un
critico ed è il tipo di curatore contemporaneo che fino a questo momento la Biennale non
13 Giancarlo Politi, L’arte e la cultura ai manager, in “Flash Art”, aprile-maggio 2002. 14 Anna Bendettini, Cento appuntamenti con la nuova Biennale, in “La Repubblica”, 21 aprile 2002, p. 41. 15 Paolo Vagheggi, Biennale. Ecco le nomine della discordia, in “La Repubblica”, 22 marzo 2002, p. 45. 16 “ apprezzamenti per la nomina di Francesco Bonami giungono intanto da Marino Folin, rettore dello Iuav (“mi pare una scelta eccellente. Bonami è un personaggio con una grandissima competenza nell’arte contemporanea”), e da Giancarlo Politi, direttore della rivista “flash art”, secondo cui “finalmente la Biennale diventerà “Una vera rassegna di arte contemporanea”. Applausi per Bonami, timori per i tagli al bilancio, in “Il gazzettino”, 23 marzo 2002, p. 16; Cfr. anche Sebastiano Grasso, Bonami, la Transavanguardia sbarca a Venezia, in “Corriere della Sera”, 23 marzo 2002, p. 37; “ Harald Szeemann commenta “sono contento. Si tratta di una scelta che prosegue la linea tracciata da me, la linea del contemporaneo”; “Piena soddisfazione la esprime anche chi la lavorato con Bonami Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e Maria Luisa Frisa” Stefano Milani Bonami, nel segno della continuità, in kataweb Art, 22 marzo 2002, riportato anche in Francesco Bonami named Curator of 2003 Venice Biennale, in “Artforum.com” 23 marzo 2002; Cfr. anche Chritopher Emsden, A globe-trottin arts curator scopes out the lagoon, in “Italy Daily Herald Tribune”, 18 aprile 2002, p. III. 17 Forse ho comincaito a sognare questo momento dieci anni fa, nel ’93 sono stato chiamato a curare una piccola sezione della Biennale di achille Bonito Oliva. Avevo invitato dei giovani artisti – tra gli altri Matthew Barney, Maurzio Cattelan, Gabriel Orozco, oggi famosissimi. E’ un’emozione straordinaria tornare a Venezia insieme. Ero di passaggio in Italia e il presidente della Biennale, franco Bernabè, mi ha invitato a cena. Sapeva che da settimane stava incontrando curatori italiani e stranieri e personaggi del modo dell’arte. A cena, però, mi ha chiesto quale avrebbe potuto essere il mio progetto per la Biennale. Il feeling tra noi è stato immediato. Dopo questo incontro aspettavo notizie, ma ovviamente il mio cellulare ha deciso di rompersi. Il 21 marzo ero a Venezia; mia madre mi ha chiamato per annunciarmi che la tv aveva detto che ero il nuovo direttore.” Francesco Bonami, Un sogno lungo 10 anni, in “Flair”, giugno 2003, pp. 223-224. 18 Anna Detheridge, Alla biennale 2003 un direttore tecnico, in “Il Sole 24 Ore”, 24 marzo 2002, p. 41.
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ha mai avuto. Segno dei tempi che cambiano e di una Biennale che si aggiorna allo spirito
internazionale.
Il curatore fiorentino, eletto all’unanimità anche se non senza difficoltà,19 dichiara da subito
le sue intenzioni per la Biennale « Penso a un progetto di mostra come qualcosa molto
legato allo spazio fisico, all’entrare e uscire da un perimetro definito… bisogna mantenere
la possibilità di creare e salvare l’esperienza diretta dell’individuo con lo spazio,
conservando la propria scala rispetto alle cose e al mondo. Questo è il mio principale
obiettivo che come curatore perseguo, quasi con rabbia ».20 E ancora in maniera più
precisa « Per quanto riguarda la rassegna la mia idea è che le grandi mostre
monotematiche non siano più attuali. Sto dunque pensando ad un progetto con cui
attivare una collaborazione con altri colleghi, che abbia un’unità ma che sia anche capace
di includere diverse prospettive ».21
La nuova Biennale presentata in conferenza stampa da Francesco Bernabè è una “Biennale
delle Esplorazioni” ma a questa data gli mancano i soldi per il viaggio. Spiega in
un’intervista a Paolo Vagheggi su repubblica che i tagli della Finanziaria sono notevoli e la
mancanza dei privati, a cui si aspirava inizialmente con la trasformazione in Società di
cultura, è evidente. Bernabè spiega che la colpa è dello statuto « occorre modificare la
natura stessa dell’ente. Oggi la Biennale è una società di cultura. E’ un ente anomalo: non è
una società, non è una fondazione, non è un ente pubblico… E’ stata inventata una
definizione che ha consentito di fare un passo avanti rispetto al vecchio statuto, ma ha
lasciato abbastanza indeterminata la natura stessa dell’entità che è stata creata. Di
conseguenza è difficile trovare soggetti disposti a entrare in una cosa dove non è chiara la
gestione delle risorse ».22
Parallelamente gli interessi di Bernabè sono nel proseguo del rilancio internazionale della
Biennale e per procedere in questa direzione egli è fermamente convinto che la chiave di
volta sia Venezia ma anche il Veneto. Infatti sottolinea come la regione sia ricca di grandi
realtà imprenditoriali e che ha già cercato collaborazioni in questo senso nel territorio.
19 “La nomina di Francesco Bonami quale curatore della 50° mostra delle arti visive del 2003 è stata una sorpresa anche per i consiglieri del consiglio di amministrazione, tanto che vi sarebbe stata anche una discussione all’interno dell’organismo sull’oppportunità di procedere così rapidamente alla definizione di un responsabile anche in questo settore. E’ quanto emerge oggi da alcune indiscrezioni sulla riunione del Cda di ieri sera, in cui il nome di Bonami sarebbe stato fatto dal presidente Francesco Bernabè per la prima volta ai consiglieri. […] Secondo quanto si è appreso, Bonami avrebbe presentato un progetto ancora molto vago per la mostra del 2003, prevedendo il coinvolgimento di altri sei sub-curatori la cui identità però non sarebbe ancora precisata”. Biennale: sorpresa anche in Cda su Bonami per Arti Visive, Ansa, ore 16:36, 22 marzo 2002, 20 Paolo Campiglio, Bonami alle Arti Visive. La scelta promette bene, in “L’unità”, 22 marzo 2002, p. 22. 21 Applausi per Bonami, timori per i tagli al bilancio, in “Il gazzettino”, 23 marzo 2002, p. 16. 22 Paolo Vagheggi, Intervista a Franco Bernabè. Ecco la Nuova Biennale, in “La Repubblica”, 28 marzo 2002, p. 39.
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« solo così si può arrivare anche all’obiettivo di un rilancio internazionale della Biennale di
Venezia ».23
A maggio Bonami presenta al consiglio la sua Biennale dal titolo Sogni e conflitti « un
viaggio dentro i sogni e i conflitti dentro cui si costruisce l’arte contemporanea » ma anche
« un assemblage di progetti specifici ». E sui giornali trapela che « l’intento della Biennale
del 2003 », spiega ancora il direttore, « è creare per lo spettatore non un’esperienza totale,
ma una serie di esperienze diverse focalizzate, definite da diversi luoghi ». Vengono anche
indicati in questa prima battuta alcuni dei progetti e curatori che si occuperanno delle
varie sezioni anche se la lista non è completa e i nomi delle sezioni sono ancora una
proposta24.
Il padiglione Italia viene affiato a Massimiliano Gioni in collaborazione con un gruppo di
giovanissimi architetti mentre ai padiglioni nazionali « sarà suggerito di riflettere se lo
spazio e l’identità di ogni padiglione non possa aprirsi in parte a realtà anomale o
conflittuali che in un modo o in un altro hanno o stanno contribuendo al Dna futuro di
ogni nazione ». Da qui nasce l’idea di creare un padiglione palestinese che raccoglie
immediatamente diverse proteste e preoccupazioni anche da parte di rappresentanti del
consiglio che temono che “la Biennale rischia di divenire occasione per manifestazioni
antisemite »25 anche se con il consueto riserbo Bernabè cerca di glissare l’argomento.26 Tra
l’altro la questione richiederebbe una consultazione con il Ministero degli Esteri dal
momento che i Paesi riconosciuti dalla Biennale sono gli stessi riconosciuto dallo Stato
Italiano.
Immediatamente Bonami non sembra avere l’unanime appoggio del consiglio.
La massima contemporaneità della Biennale come obiettivo di Bernabè si concretizza in un
cambiamento radicale nei mesi successivi e fa passare al consiglio, nonostante
l’opposizione di Paolo Costa e Valerio Riva, il cambiamento dei direttori di settori
23 Roberto Pugliese, La Biennale deve allargarsi al Veneto, in “Il Gazzettino”, 28 marzo 2002, p. 15. 24 Questi i progetti: ‘Corderie e Arsenale’ (aperto a più curatori e artisti); ‘Conflitto’ (a cura di Catherine David); ‘Anomalie’ (Gabriel Ozoco); Sistema Unico (Igor Zabel); Accelerazione’ (Huo Hanru e Carlos Basualdo); ‘Mutazione’ (Philippe Vergne); ‘Clandestini’ (Bonami); Utopia (Hans Ulrich Obrist e Rirkrit Tiravanija) Sogni e Conflitti, in “kataweb art”, 2 maggio 2002. 25 La “realizzazione di un padiglione palestinese, doveva però essere un documento ad uso interno, riservato. Un progetto da discutere proprio oggi, in sede di consiglio di amministrazione. […] Invece, è diventato materia incandescente: un articolo al vetriolo di Milano Finanze ha riformulato le news uscite sull’Ansa, Soprattutto, l’idea del padiglione palestinese non è piaciuta al consigliere Valerio Riva che ieri l’ha bocciata perché cosi, dice, “la Biennale rischia di divenire occasione per manifestazioni antisemite” E aggiunge: per realizzare ciò bisognerebbe avere l’approvazione del ministero degli esteri e se questo fosse stato consultato sarebbe “a insaputa del cda, un vero colpo di mano, già scavalcato una volta per la nomina di Bonami”. Critico Riva anche verso le linee guida della Mostra (“in sostanza, una copia di Documenta 11)” Arianna di Genova, Biennale scoppia il caso Palestina, ne “Il Manifesto”, 3 maggio 2002, p. 15. 26 “La Biennale Arti Visive è un work in progress, conta solo ciò che verrà approvato in Consiglio, non le anticipazioni. Quando al Padiglione della Palestina è solo una proposta, di cui discuteremo. Per ora di sicuro c’è solo che verranno raddoppiati gli spazi del padiglione israeliano.” Enrico Tantucci, Biennale Arte congelata, in “La nuova Venezia”, 4 maggio 2002.
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annualmente invece che in maniera quadriennale27. Apparentemente un cambiamento
piuttosto radicale rispetto alle intenzioni programmatiche sulla lunga durata con cui era
stata pensata la Biennale della Riforma di Baratta.
In particolare, si legge nella nota consegnata alla stampa, i tre settori di danza, musica e
teatro saranno gestiti con « un nuovo metodo di lavoro che prevede una maggiore
articolazione, la creazione (per ciascuno dei settori) della figura del coordinatore delle
attività permanenti e l’affidamento dei programmi artistici a un direttore di chiara fama e
livello per ciascuno degli anni di attività ».28 In questo modo Bernabè, che rivendica la
capacità del consiglio d’intervento sui programmi e non solo,29 intende di poter registrare
al meglio le tendenze che circolano sulla scena artistica culturale.
Così a ottobre vengono nominati i futuri direttori di danza, musica e teatro per il 2003,
2004 e 200530. Pur non interessando questo cambiamento le Arti Visive, che rimangono
necessariamente una manifestazione ‘biennale’, si tratta di una decisione che riflette un
progetto culturale chiaro e va di pari passo con il nuovo assetto della società che sta di
passo in passo attuando Bernabè. La convinzione infatti è che « a tre anni dall’avvio della
riforma, che pure ha funzionato, bisogna fare un ulteriore passo avanti per garantire più
solidità alle strutture ».31
Fra i progetti che egli persegue c’è anche la ricerca di una fusione con una Fondazione
Bancaria32 e conduce una politica di partnership innanzitutto in accordo con il Consorzio di
tecnologie marine Thetis crea la società Tese Spa33 per la gestione, progettazione e
manutenzione e servizi della Società di cultura e poi con la Marsilio Editori realizza un
accordo quinquennale per la realizzazione editoriale comune per le manifestazioni dei
settori Arti Visive, architettura, Danza, teatro e musica. « L’accordo rappresenta un grande
vantaggio per la Biennale – ha detto Bernabè – l’accordo rappresenta una grande
vantaggio economico e strategico; l’intesa ha una valore superiore a 1.500.00 euro di
27 Nicolò Menniti-Ippolito, Quel format annuale, ne “Il Manifesto”, 12 ottobre 2002, p. 15 28 Giuseppe Tedesco, La Biennale rimanda nomine e polemiche, in “Il Gazzettino”, 4 maggio 2002, p. 16 29 Giuseppe Tedesco, La Biennale rimanda nomine e polemiche, in “Il Gazzettino”, 4 maggio 2002, p. 16 30 Per il teatro vengono nominati Peter Sellars (2003), Massimo Castri (2004) e Romeo Castellucci (2005); per la musica: Uri Cane (2003), Giorgio Battistelli (2004); per la danza: Frédéric Flamand (2003), Michail Barishnikov (2004). Quest’ultima nomina però non sarà confermata dal momento che il famoso ballerino declinerà l’incarico alla fine del 2002. 31 Paolo Calcagno, Biennale, cambio tutto, (intervista a franco Bernabè) in “Il Tempo”, 21 aprile 2002, p.21. 32 Richard Heuzé, Biennale cherche fonds, in “Le Figaro”, 14 ottobre 2002, p. 25. 33 Contestualmente viene anche fondata nel dicembre Arsenale spa i cui soci sono il Demanio Civile e il Comune di Venezia. Lo scopo è la valorizzazione dell’intero complesso monumentale. “Quattro le destinazioni: quella cultural con la parte monumentale affidata in concessione alla Biennale; la parte militare, con il bacino gli edifici storici occupati dalla Marina e dal Museo; e la parte dell’Arsenale Novissimo, con i cantieri e gli edifici dell’ala nord” Alberto Vitucci, Arsenale, la Spa inizia il decollo, in “La Nuova di Venezia e Mestre”, 14 dicembre 2002.
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royalties per la Biennale ».34 Inoltre con Marsilio la Biennale intende attuare strategie
comuni di marketing, comunicazione e promozione editoriale rivolte all’estero. Scatta
quindi quello che Bernabè chiama « un piano di promozione del marchio Biennale”35 per il
quale intende da una parte chiedere maggiori fondi al ministero e dall’altra si dota di un
team che possa attuate la ricerca sponsor in modo da poter coltivare istituzioni
permanenti come ad esempio l’Accademia di danza di Carolyn Carson36.
A Novembre Bernabè incontra il placet del Ministro Urbani per i cambiamenti che egli
desidera nello statuto ma i tempi non sono ancora maturi e ci si limita a dichiarazioni
d’intenti sui giornali37. In Italia nei mesi di fine 2002 è molto vivace l’attenzione intorno alle
imprese ed alle liberalizzazioni e privatizzazioni fatte in Europa, cosa che rende poco
semplice l’individuazione di una strada chiara per il futuro della Biennale38.
Per la fine dell’anno viene anche approvato il programma di Francesco Bonami per la 50°
esposizione d’Arte. Il suo programma prevede dieci mostre che si confronteranno
mantenendo una propria autonomia. Due mostre ai Giardini (Ritardi e Rivoluzioni curata
dallo stesso Bonami con Daniel Birnbaum al Padiglione Italia e La Zona a cura di
Massimiliano Gioni) e otto invece le sezioni previste per la zona dell’Arsenale (Z.O.U. Zone
d’Urgenza a cura di Hou Hanru, Sistemi Individuali di Igor Zabel, La struttura della
sopravvivenza, a cura di Carlos Basualdo, Stazione Utopia a cura di Molly Nesbit, Hans
Ulrich Obrist e Rirkrit Tiaravanija, Conflitto a cura di Catherine David, Il Quotidiano Alterato
a cura di Gabriel Orozco, Clandestini ancora a cura di Francesco Bonami e Smottamenti a
cura di Gilane Tawardos). La Biennale dal titolo Sogni e Conflitti, Dittatura dello spettatore
si presenta quindi come un arcipelago, come una « mostra delle mostre »39 volta alle
problematiche del mondo senza essere però cronaca40. La soluzione di più curatori crea un
immediato confronto con la recente documenta 11 ma da questa Bonami cerca
34 Enrico Tantucci, Accordo tra Marsilio e La Biennale, in “La nuova Venezia”, 1 giugno 2002. 35 Claudia Provvedini, Cambio la Biennale. A Venezia più fondi per danza e teatro, in “Corriere della Sera”, 21 aprile 2002, p. 38. 36 Claudia Provvedini, Cambio la Biennale. A Venezia più fondi per danza e teatro, in “Corriere della Sera”, 21 aprile 2002, p. 38. 37 “Franco Benanbè […] ha annunciato una revisione dello Statuto della Biennale, in accordo con il ministero: “Occorre ancora tempo. Per ora si sta pensando a una formula associativa fra privati” Laura Martellini, I beni culturali non si vendono”, in “Corriere della Sera”, 14 novembre 2002, p. 37. 38 Claudio Lindner, La verità è che le concentrazioni sono fallite, (intervista a Franco Bernabè), in “Corriere Economia”, 11 novembre 2012, p. 2; Bernabè: privatizzazione della Biennale? Sono contrario, in “Il Gazzettino”, 14 novembre 2002, p. 19;Giovanni Valentini, L’assalto alla diligenza delle Fondazioni bancarie, in “La Repubblica”, 6 novembre 2002, p. 15. 39 Enrico Tantucci, La Biennale Arti Visive si moltiplica per dieci, in “La Nuova di Venezia e Mestre, 25 marzo 2001. 40 Biennale Arte: I Sogni e i Conflitti della mostra di Bonami, ANSA, 0re 17: 00, 6 dicembre 2002; Biennale Arte: I progetti della mostra ‘Sogni e Conflitti’, ANSA, ore 17:09, 6 dicembre 2002.
SEZIONE II - 2003
438
immediatamente di prendere le distanze dichiarando che non « mostrerà un’arte politica
bensì una riflessione sulle politiche dell’arte ».41
Il visitatore è il centro per Bonami di questa Biennale dal momento che in un complesso di
mostre ciascuno troverà il suo percorso. « La ricerca di unitarietà nel mondo dell’arte è
un’utopia e tentare di trovare un filo unico che colleghi un’esposizione internazionale di
arte contemporanea sarebbe una forzatura nei confronti delle diversità ».42
Inoltre Bonami propone anche una mostra storica che si svolgerà al Museo Correr in cui
presenta per lo più dipinti infatti porta il titolo Pittura. Da Rauschenberg a Murakami 1964-
2003. Una mostra questa che s’innesta sulla storia della Biennale, infatti il punto di
partenza è proprio un momento importante della sua storia in cui il Premio a
Rauschenberg apre una nuova stagione dell’Ente verso una maggiore contemporaneità43.
Il 2002 si chiude però con una certezza per il futuro della Biennale ed è lo spostamento
dell’Archivio Storico dalla sua sede storica di Cà Corner della Regina presso il Vega, Parco
Scientifico Tecnologico di Marghera. Una cosa apparentemente di poco conto ma che
permetterà in pochi anni, grazie anche all’operazione di digitalizzazione e risistemazione
dell’archivio iniziata negli anni precedenti, a riaprire l’archivio al pubblico. Il neo direttore
dell’ASAC44, Giuliano da Empoli, un giovane studioso e ricercato che aveva già affiancato
Bernabè in altre operazioni, rilancia la funzione dell’Asac istituendo « L’archivio del
contemporaneo » un centro di ricerca e di produzione culturale e interdisciplinare che si
innesta sulle tradizionali attività dell’Archivio storico. Il primo impegno dell’Archivio del
contemporaneo è la collaborazione con la 50esima Biennale grazie al quale allestisce in
uno spazio dell’Arsenale « la rilettura per immagini della storia della Biennale con un fitto
calendario di eventi finalizzati a creare un collegamento tra le problematiche evocate dagli
artisti presentati e la più vasta arena del dibattito culturale e scientifico internazionale ».45
Inoltre ha già in programma un forum sul finanziamento dell’arte in collaborazione con la
Solomon R. Guggenheim Foundation, una collana editoriale46.
41 Stefano Milani, Dieci mostre per un’unica Biennale, in Kataweb Art, 9 dicembre 2002. 42 La Biennale. ‘una mostra delle mostre’, in “L’Arena”, 7 dicembre 2002, p. 6. 43 “Partiamo dal 1964 perché è l’anno del grande cambiamento alla Biennale. Quando a Venezia su premiato Rauschenberg furono ribaltati gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Il mondo dell’arte si trasformò. Presentiamo una quarantina di opere di pittura, che in certi periodi fu esclusa. Ha sempre camminato parallela alla biennale ma con l’idea della esclusione, con un dibattito sul c’è o non c’è la pittura. Cerchiamo di far vedere, di capire cosa è accaduto” Paolo Vagheggi, L’arte ricomincia dal 1964, in “La Repubblica”, 23 gennaio 2003, p. 35. 44 Il progetto per la banca dati di documenti dell’Archivio con l’integrazione fra sezioni produttive risale a dicembre 2001, La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 4966. 45 Enrico Tantucci, Nasce l’Archivio del Contemporaneo, in “La nuova di Venezia e Mestre”, 20 dicembre 2002, p. 49. 46 “Tre proposte fatte con lo spirito di collegare l’archivio a quanto accade nel resto del mondo, sia in campo artistico che di politica dell’arte. Da subito la Biennale comincerà a lavorare con sette istituzioni di cultura, sia europee che extra europee, per costituire una Biblioteca di cultura contemporanea, e pubblicare, una volta l’anno, tutte nello stesso periodo, la migliore monografia che gli altri enti hanno prodotto in quell’anno. Il
SEZIONE II - 2003
439
Con l’apertura del 2003, con la mostra di Arti Visive nel pieno della sua realizzazione,
Franco Bernabè deve fare i conti e razionalizza i costi, cosa non facile con « una macchina
culturale da 20 milioni di euro. E comunque, se nel 2002 il deficit, stando al preconsuntivo,
è stato di 1.107.817 euro, nel 2003 dovrebbe scendere a soli 370.967 euro ».47 La mancanza
di 4 miliardi rispetto al budget disponibili al suo predecessore costringe Bernabè a trovare
soluzioni di tutti i tipi facendosi sempre più chiara la difficoltà, causata principalmente
dallo statuto della Società, di far entrare investitori privati. A maggio del 2003 costituisce
“Amici della Biennale” una « sfida per dimostrare che possiamo offrire a questi potenziali
investitori dei servizi e delle opportunità culturali che giustifichino la loro elargizione ».48
Inoltre per la prima volta l’esposizione internazionale di Venezia viene esportata. Il
progetto Sensi Contemporanei s’inserisce nel progetto per la promozione e diffusione
dell’Arte Contemporanea e la valorizzazione di contesti architettonici e urbanistici nelle
Regioni del sud Italia. Quindi in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche di
Sviluppo in coesione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Direzione Generale
per l’Architettura e l’Arte Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali si
cerca di rinnovare il ruolo di promozione culturale della Biennale con grandi eventi otre
che a ricoprire un ruolo strumentale per la crescita del Paese. Le dieci mostre della
Biennale infatti vengono ricontestualizzate in diverse regioni del Sud Italia come
Abbruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia con lo scopo anche in
alcuni casi di valorizzare il patrimonio artistico Italiano come nel caso di Villa Zerbi a
Reggio Calabria che diviene la sede di Z.O.U Zona d’Urgenza con lo scopo poi di convertire
l’edificio in una sede espositiva per l’Arte contemporanea49.
secondo progetto prevede uno spazio, concesso dalla Biennale d’arte all’ASAC, alle Corderie dell’Arsenale. Lo spazio, progettato da una gruppo di architetti torinesi, ospiterà una mostra per i 50 anni dell’esposizioni, ma soprattutto una serie di incontri con al centro “la dittatura dello spettatore” […]. Infine una data. Il 21 giugno. Quel giorno, a Venezia, 100 protagonisti del mondo dell’arte si incontreranno a Palazzo Ducale per palare di finanziamento dell’arte. Sotto l’ala protettiva della Fondazione Carive e della Salomon Guggenheim di New York. Ma soprattutto della Fondazione Finance di Ginevra. Cha pare abbia molto a cuore il futuro della Biennale”, S.D’A. L’archivio storico guarda all’estero, in “Corriere del Veneto”, 20 dicembre 2002. 47 La Biennale Risparmia, in “La nuova di Venezia e Mestre”, 6 febbraio 2003, p. 40. 48 Enrico Tantucci, La mia Biennale come un’azienda, (Intervista a Franco Bernabè) in La Nuova Venezia, 31 maggio 2003, p.52. 49 Cartella stampa con tutte le date dell’iniziativa in La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 4865 e progetti dettagliati La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 4866.
50ESIMA ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
LA BIENNALE DI VENEZIA
SOGNI E CONFLITTI. LA DITTATURA DELLO SPETTATORE
15 GIUGNO – 2 NOVEMBRE 2003
SCHEDA GENERALE 2003
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
50. ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE D'ARTE
DirettoreFrancesco Bonami
CuratoriCarlos BasuladoDaniel BirnbaumCatherine davidMassimiliano GioniHou HanruMolly NesbitHans Ulrich ObristGabriel OrozcoGilane TawadrosRirkrit TiravanijaIgor Zabel
Dirigente organizzativo Renato Quaglia
Assistenti del direttoreSylvia Chivaratanond Sarah Cosulich Canarutto
SEGRETERIA DI SET TORE
Alessandra Rugo Maria Cristina Cinti Rita Musacco
ORGANIZZAZIONE
E PROGRAMMAZIONE
Marina Bertaggia Gianpaolo CimarostiAlessandra Durand de la Penne Matteo LiguigliRoberto RosolenPaolo Scibelli
SOCIETÀ DI CULTURA
LA BIENNALE DI VENEZIA
PRESIDENTE
Franco Bernabè
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Paolo Costa (vicepresidente) Amerigo RestucciValerio RivaSeverino Salvemini
COMITATO SCIENTIFICO
Francesco Bonami (Arti Visive) Moritz de Hadeln (Cinema) Frédéric Flamand (Danza)Uri Caine (Musica) Peter Sellars (Teatro) Giuliano da Empoli (ASAC)
COLLEGIO SINDALCALE Lionello Campagnari Piergiorgio Brida Giorgio ValbonesiRaniero Silvio Folchini
COORDINATORE GENERALE
Massimo Coda, fino al 9 maggio 2003 Paolo Gardin, dal 13 maggio 2003
PERSONALE
SEGRETERIA DI SET TORE
Alessandra Rugo Maria Cristina Cinti Rita Musacco
ORGANIZZAZIONE
E PROGRAMMAZIONE
Marina Bertaggia Gianpaolo CimarostiAlessandra Durand de la Penne Matteo LiguigliRoberto RosolenPaolo Scibelli
AMMINISTRAZIONE DI SET TORE
Stefania GuerraCristina Graziussi
ALLESTIMENTO, LOGISTICA,
AGIBILITÀ E SICUREZZA
Cristiano Frizzele, Tese spa Manuela Lucà Dazio, Tese spaPiero Novello, Tese spaMassimiliano Bigarello, Tese spaGrazia Cattaneo, Tese spaSilvia Ferri, Tese spa
PROGETTI SPECIALI E COORDINAMENTO
TECNICO-LOGISTICO Pina MaugeriArianna Laurenzi, Tese spa
SPONSORSHIP
Laura Linzi Francesca Sallusto
UFFICIO STAMPA
Flavia Fossa Margutti Alexia BoroVera MantengoliIlaria Tontardini Benedetta Vianello hanno collaborato Paolo Lughi Maddalena Pietragnoli
PUBBLICITÀ E PROMOZIONE
Eugenia FiorinMichela MasonElena Bonotto
PROMOZIONE E ORGANIZZAZIONE
PUBBLICO
Elena BadiniMartina FlaboreaDiego MantoanDario MerighiChiara Rastello
UFFICIO ORGANIZZATIVO
VERNISSAGE E INAUGURAZIONE
Giusi ContiCristina AbeleMarta PellizzatoPatrizia Andres
IMMAGINE E ARCHIGRAFIA
DELL'ESPOSIZIONE
CODEsign
SITO WEB TISCALI
SERVIZI GENERALI
SEGRETERIA E AFFARI GENERALI
Daniela BarcaroNicola BonRoberta Savoldello
UFFICIO LEGALE
Debora Rossi Cinzia Bernardi Alberto Bogoni
RISORSE UMANE Sandra Vettor Silvia Bruni Graziano Carrer Giovanni Drudi Antonella Sfriso Alessia Viviani
CONTROLLO DI GESTIONE E
INTERNAL AUDITING Valentina Borsato Michele TellanSara VianelloLivia Arrigoni
AMMINISTRAZIONE
Daniela Venturini Bruna Gabbiato Martina FioriMaria Cristina Lion Manuela Pellicciolli Giorgio Vergombello Leandro Zennaro
RESPONSABILE PREVENZIONE
SEDI ISTITUZIONALI
Giuseppe Simeoni
TECNOLOGIE E SISTEMI
INFORMATIVI Andrea Bonaldo, Tese spa Michele Schiavon, Tese spaLeonardo Viale, Tese spa
ASAC - ARCHIVIO
DEL CONTEMPORANEO
Giuliano da Empoli, direttoreGabriella Cecchini Giovanni Alberti Alessandro Alfier Massimo Benvegnù Agata Brusegan Massimiliano Cadamuro Maria Elena Cazzaro Valentina Da TosErica De LuigiLia DuranteRoberta Fontanin Michele Mangione Donato Mendolia Antonia Possamai Adriana ScaliseMichela Stancescu Maurizio UrsoZoe WilkinsonGiorgio Zucchiatti Diletta Zannelli
HANNO COLLABORATO INOLTRE
Alessandro Brunello, per la consulenza informaticaLuigi Sabatino, Maria Paola Spinclli, Michele Favaro, per l'organizzazione Alex Ragazzi, Massimiliano Frani, Ruben Abbattista, per il fund raisingl'Ufficio per le Attività Educative Musei Civici Veneziani e il Cavaliere Azzurro, per l'attività didattica Emanuela Rossini, per le attività collaterali
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
MAPPA SEDI ESPOSITIVE
DE LA 50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE
D’ARTE LA BIENNALE DI VENEZIA
Antichi Granaidelle Zitelle
Convento dei Santi Cosma
e Damiano
Corderie
Artiglierie
Isolotto
Tese
Giardino delle Vergini
ARSENALE:
Fermata Linea
1/82 Giardini
MuseoCorrer
Piazzaledella
stazione
Schola SantaApollonia
Fondacodei
Tedeschi
Campo de la
Maddalena
Giardinidi Castello
Palagraziussi
CampoSan Lio
Fondazione Querini Stampalia
Ponte della Canonica
Palazzo delle
Prigioni
Palazzo Zorzi
GalleriaNuova
Icona
LISTA SEDI DELLE
MOSTRE DE LA BIENNALE
LISTA SEDI MOSTRE PATROCINATE
DA LA BIENNALE DI VENEZIA:
LISTA SEDI DELLE MOSTRE DELLE
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
LISTA SEDI DEGLI EVENTI
Palazzo Vendramin Opera
Santa Maria della Carità
AteneoVeneto
Campo Santo Stefano
Ca’ delDuca
Galleria A +A
Scuola diSan Pasquale
SanVidal
FondazioneUgo e Olga Levi
Palazzo Giustinian Lolin
Spazio Acquarim
Thetis
Magazinidel Sale
Ex Birreria
CampoSanta
Margherita
Palazzo Malipiero
viaGaribaldi
Palazzettodellosport
ex-mensa Arsenale
Canale retro Arsenale
Gaggiandre
IngressoArsenale
Stazione Ferroviaria
Museo Fortuny
Liceo Artistico
CentroStudi
Armeno
Serra del Giardino
Istituto Nautico
S. Venier
Santa Maria della Pietà
Scuola GrandeSan Teodoro
Oratorio di San Ludovico
Palazzo San Zenobio
Archivio del Contemporaneo
LA MOSTRA DE LA 49.ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
RITARDI E RIVOLUZIONI
La mostra si basa sulla constatazione che la storia dell’arte non si svolge su di un percorso temporale lineare, ma è caratterizzato da ripetizioni e sincopi, deviazioni e ritardi.
LA ZONA
La Zona è una struttura temporanea, dietro il padiglione degli Stati Uniti pensato per essere soprattutto un luogo di incontro e di scambio che mette implicitamente in discussione i padiglioni nazionali presenti ai Giardini.
CuratoriFrancesco Bonami e Daniel Birnbaum
CuratoreFrancesco Bonami
CuratoreGilane Tawadros
CuratoreIgor Zabel
CuratoreMassimiliano Gioni
CLANDESTINI
La mostra articola il significato di “clandestino” su più piani di lettura facendo riferimento tanto allo spettatore, quanto all’opera o all’artista. L’intento è quello di mostrare le pratiche artistiche senza imbrigliarle in una categorizzazi-one diretta.
SEDE: CORDERIE DELL’ARSENALE
SMOTTAMENTIArte contemporanea Africana e Paesaggi Mutevoli
L’esposizione raduna artisti contempora-nei provenienti dall’Africa e dalla diaspora africana, i quali con le loro opere tracciano le linee di quelli “smottamenti” che determinano l’esperienza contempo-ranea sia a livello locale che a livello globale.
SISTEMI INDIVIDUALI
Sistemi individuali presenta artisti che costruiscono sistemi che esprimono non solo una idea (utopica) di società armoni-ca ma riflettono anche le profonde contraddizioni e tensioni della modernità.
SOGNI E CONFLITTI. LA DITTATURA DELLO SPETTATORE
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, PADIGLIONE CENTRALE
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO,
SEDE: CORDERIE DELL’ARSENALE
SEDE: CORDERIE DELL’ARSENALE
LA MOSTRA DE LA 49.ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
Z.O.U. /ZONA D’URGENZA
La mostra diparte dalla considerazione che i conflitti del processo di globaliz-zazione hanno trasformato gli ambienti in cui viviamo in zone d’urgenza a cui bisogna far fronte. La mostra presenta artisti provenienti dall’asia per proporre soluzioni critiche alternative.
LA STRUTTURA DELLA CRISI
La mostra intende esplorare il rapporto fra arte e società e soprattutto al modo in cui l’arte vi riflette mettendo al centro la fragilità della situazione di crisi generata dalla globalizzazione. La mostra si propone di essere antigerar-chica e propone un allestimento che permetta allo spettatore di sperimenta-re modi diversi di fruizione, dalla contemplazione alla partecipazione.
CuratoreHou Hanru
CuratoreGabriel Orozco
CuratoreCarlos Basualdo
IL QUOTIDIANO ALTERATO
L’artista, in questa veste curatore, presenta artisti che utilizzano per lo più oggetti d’uso quotidiano trasformandoli con il proprio intervento artistico e che dimostra la capacità che hanno, non solo gli artisti, di rivoluzionare la propria vita a partire da gesti semplici.
SOGNI E CONFLITTI. LA DITTATURA DELLO SPETTATORE
SEDE: CORDERIE DELL’ARSENALE
SEDE: ARTIGLIERIEDELL’ARSENALE
RAPPRESENTAZIONI ARABE CONTEMPORANEE
La mostra fa parte di un progetto cominciato a Barcellona e a Rotterdam con lo scopo di mostrare rappresentazi-oni visive che sovvertano le immagini con cui vengono tradizionalmente dipinti i territori arabi. La mostra è organizzata come un “videorarum” in cui si combinano immagini di diverso genere e provenienza.
CuratoreCatherine David
SEDE: ARTIGLIERIEDELL’ARSENALE
SEDE: TESE, ARSENALE
CuratoriMolly Nesbit, Hans Ulrich Obrist, Rirkrit Tiravanija
STAZIONE UTOPIA
“La mostra vuole essere innanzitutto un luogo in cui fermarsi, per guardare, per parlare e per rinfrescarsi strada facendo.” Per questo sono invitati a diverso titolo moltissimi artisti che hanno realizzato da elementi per “fermarsi” a strutture temporanee ove incontrarsi. Parte integrante del progetto un programma di incontri, dibattiti e il progetto di poster richiesti a 160 artisti diversi che vengono anche affissi per la città di Venezia.
SEDE: TESE, ARSENALE
LA MOSTRA DE LA 49.ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D’ARTE
LA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
PITTURA/PAINTINGDA RAUSCHENBERG A MURA-KAMI. 1964-2003
La mostra intende fornire una visione provocatoria e idiosincratica dei progressi della pittura a partire dalla sua tumultuosa storia collegata alla Biennale. Pertanto punto di partenza dell’esposizione coincide con la data del 1964 in cui venne assegnato il premio alla pittura a Robert Raushenberg, un momento che segna una svolta nelle politiche culturali italiane e della Biennale.
INTERLUDES
Interludes è un progetto di installazioni esterni che secondo le intenzioni del curatore dovrebbero porsi come intervalli all’interno dell’esposizione, determinando un ritmo dello spettatore che oltre a confrontarsi con i diversi progetti delle mostre proposte, possa fare degli incontri ”individuali” con le opere.
CuratoreFrancesco Bonami
CuratoreFrancesco Bonami
SOGNI E CONFLITTI. LA DITTATURA DELLO SPETTATORE
SEDE: MUSEO CORRER
SEDE: VARIE NELLA CITTÀ DI VENEZIA
LINKS
Questa sezione della Biennale raccoglie una serie di progetti fra arte e architet-tura che indagano il rapporto della Biennale con la città o fra i suoi vari raccordi
SEDE: GIARDINI DI CASTELLO, ARSENALE, IUAV
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
17. PAESI NORDICI
commissari Ute Meta Bauer; curatori Anne Karin Jortveit, Andrea KroksnesArtisti Mamma Andersson, Kristina Breein, Liisa Lounila
18. URUGUAY
Commissario Carlos Alejandro Barros. curatore: Luciano Caramel Artista Pablo Atchugarry
19. AUSTRALIA
Commissario Victoria Lynn; curatore Linda MichaelArtista Patricia Piccinini
20. REPUBBLICA CECA E REPUBBLICA SLOVACCA
Commissario Michal KolecekArtisti Kamera skura & Kunst-FuFy
21. FRANCIA
Commissari jean-Pierre Criqui, Alfred PacquementArtista Jean-Marc Bustamente
22. GRAN BRETAGNA
Commissario Andrea Rose; commissari aggiunti Brendan GriggsArtista Chris Ofili
23. CANADA
Commissario Pierre Théberge; curatore Gilles GodmerArtista Jana Sterbak
24. GERMANIA
Commissario Julian HeynenArtisti Candida Hofer, Martin Kippenberger
25. GIAPPONE
Commissario Yuko Hasegawa; Vice-commissari Miki Okabe, Yoshimi TsurumiArtisti Motohiko Odani, Yutaka Sone
25 BIS. REPUBBLICA DI COREA
Commissario Kim Hong-Hee Artisti Whang In Kie, Bach Yiso, Chung Seoyoung
26. RUSSIA
Commissario Evgeniy Zyablov; Curatore: Viktor MisianoArtisti Sergey Bratkov, Vladimir Dubossarsky & Alexander Vinogradov, Valery Koshliakov, Konstantin Zvezdochetov
GEORGIA
Artisti Tea Gvetadze e Tamara Khundadze (Museum of Fundamental Archeology), Levan Chogoshvili(Beyond Banns) ,Commissario. Nana Kipiani, Renata Wiehager. Curatore: Irena Popiashvili. Vice-Commissioner. Tea Tabatadze
27. VENEZUELA
Commissario Maria Luz Càrdenas. Curatoer: Maria Luz Càrdenas. Vice-Curator. Dolores Diaz-Benjumea.
28. SVIZZERA
Commissario . Urs Staub. Vice-Commissioner. Andreas MiinchArtisti Emmanuelle Antille (padiglione centrale), Jòrg LenzIinger& Gerda Steiner (Chiesa di SanStae
1. SPAGNA
Commissario Rosa MartinèzArtisti Santiago storia… non sei riuscito a trovarlo a Venezia
2. BELGIO
Commissario Thierry de DuveArtisti Silvie Eyberg, Valérie Mannaerts
3. OLANDA
Commissione Rein WolfsArtisti: Carlos Amorales, Alida Framis, Meschac Gaba, Jeanne van Heeswijk, Erik van Lieshout
5. ISLANDA
Commissario Laufey Helgadòttir; commissario aggiunto Gudny MagnùsdottirArtista Rùrì
6. UNGHERIA
Commissario Julia Fabényi; curatore Zsolt PetrànyiArtisti Littel Warsaw (Andràs Gàlik & Bàlint Havas)
7. BRASILE
Commissario Manoel Francisco Pires da Costa; curatore Alfons HugArtisti Beatriz Milhazes, Rosàngela Renné
8. AUSTRIA
Commissario Kaspar König; commissario aggiunto Bettina M. BuseArtista Bruno Gironcoli
9. SERBIA E MONTENEGRO
Commissario: Branislava Andjelkovic. Curatori: Branislava Andjelkovic, Branislav Dimitrijevic, Dejan SretenovicArtista Milica Tomic
10. EGITTO
Commissario Mostafa Abdel-MoityArtista Ahmed Nawar
11. ITALIA (Padiglione Venezia)
Commissario Pio Baldi; curatori Paolo Colombo, Monica Pignatti Morano, Diletta Borromeo, Massimo MinimiArtisti Charles Avery, Avish Khebrehzadeh, Sara Rossi, Carola Spadoni Ministero per i Beni culturali e le Attività Culturali
12. POLONIA
Commissario Agnieszka Morawinska; curatori Pawel Sosnowski, Anna JagielloArtista Stanìslaw Drézdz
13. ROMANIA
Commissario Calin Man Artisti Calin Man / Cinema Ikon
14. GRECIA
Commissario Marina FokidisArtisti Athanasia Kyriakakos, Dimitris Rotsios
15. ISRAELE
Commissario Mordecahi Omer.; curatore Mordecahi Omer; commissario aggiunto Arad Turgeman, Diana ShoefArtista Michal Rovner
16. STATI UNITI D’AMERICA
Commissario Katleen goncharov. Artista Kathleen Goncharov
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
*PAESI SENZA PADIGLIONE
BOSNIA HERZEGOVINA Commissario Enver Hadiiomerspahié; vice-commissaio Edo Hozié; curatore Asja MandiéArtisti: Maja Bajevié, Jusuf Hadàifejzovié, Edin Numankadié, Nebojsa Seric-Soba
CROAZIACommisario Leonida KovaéArtisti Boris Cvjetanovié, Ana Opalié
FYROM Commissario Emil Aleksiev; Zlatko TeodosievskiArtista Vana Urosevik; Zaneta Vangeli
INDONESIA Commissario Sumarti Sarwono; Curatore: Amir Sidharta. Vice- Commissario Grace Anna MarieArtisti: Arahmaiani, Dadang Christanto, Tisna Sanjaya, Made Wianta
IRAN Commissario Majid Karshenas. Vice Commissario. Alireza Samiazar. Curatoer: Reza NamiArtisti: Behrooz Daresh, Abbas Kiarostami, Hossein Khosrojerdi, Ahmad Nadalian
IRLANDACommissario. Valerie Connor Artista Katie Holten
KENIA Commissario Ugo Simonetti; Vice- Commissario Nanda VigoArtisti: Richard Onyango, Armando Tanzini
LAT VIA Commissario LCCA; Curatore: Mara Traumame; Vice- Commissario Paivi TirkkonenArtisti Group F5 (leva Rubeze, Martit.ls Ratniks, Liga Marcinkeviéa, Ervins Broks, Felikss Zìders)
LITHUANIA Commissarii Christian Caujolle, Svajone Stanikiene; Vice-commissari leva Dilytee, Rima PovilionyteArtista S&P Stanikas
LUSSEMBURGOCommissario Marie-Claude Beaud; commissari aggiunti Bjōrn Dahlström,Artista Su-Mei Tse
NUOVA ZELANDACommissario Jenny Gibbs; curatore Boris Kremes, Robert LeonarsArtista Michael Stevenson
PORTOGALLOCommissari : Joào Femandes, Vicente TodoliArtista Pedro Cabrita Reis
REPUBBLICA DI ARMENIACommissario e curatore Edward BalassanianArtisti David Kareyan & Eva Khachatrian
REPUBBLICA DI CIPROCommissario Loulli Michaelidou; curatore Henry Meyric HughesArtista Nikos Charalambidis
REPUBBLICA DI ESTONIACommissario Sirje Helme;Curatore: Anders HarmArtista John Smith
REPUBLIC OF KOREA Commissario: Kim Hong-HeeArtisti Whang In Kie, Bahc Yiso, Chung Seoyoung
REPUBBLICA DI SLOVENIACommissario Jurij Krpan; Aurora FondaArtisti Ziga Karii
SINGAPORE Commissione: Ching-Lee Goh. Curator: Sze-Wee Low. Vice-Commissioner: Paolo De GrandisArtista: Heman Chong, Francis Ng, Swie-Hian Tan
THAlLAND Commissione Apinan PoshyanandaArtisti Kamol Phaosavasdi, Tawatchai Puntusawasdi, Michael Shaowanasai, Vasan Sitthiket, Manit Sriwanichpoom, Montri Toemsombat, Sakarin Krue-On
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
29. Padiglione del libro
30. DANIMARCA
Commissario Gitte ØrskouArtista Olafur Eliasson
TURCHIACommissario Beral Madra;Artisti Nuri Bilge Ceylan, Ergin Cavusoglu, Giil Ilgaz, Neriman Polat, Nazif Topcuoglu
UCRAINACommissario Alexander Fedoruk. Curatori: Viktor Sydorenko, Alexander Solovyov; Vice Curatore: Victoria Burlaka. Artista Viktor Sydorenko
ITALO-LATINO AMERICANOCommissario Irma Arestizabal; commissario aggiunto Alessandra Bonanni ARGENTINA Charly NijensohnCILE Eugenia VargasCOLOMBIA Maria Fernanda CardosoCOSTA RICA Marisel Jiménez Rittner, Rossella Matamoros, Joaquin Rodriguez del PasoECUADOR Tomas OchoaEL SALVADOR Muriel H. HasbunPANAMA Brooke Alfaro, Haydee Victoria SuescumREPUBBLICA DOMINICANA Marcos Lora Read
FEDERAL REPUBLIC OF CHINA Commissario Yan Dong. CuratoreFranc: Fan Dian, Wang Yong .Artisti: LiuJianhua, Lu Shengzhong, Wang Shu, Yang Fudong, Zhan Wang (exposing at Beijing)
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
ABSOLUT GENERATIONSSede: Palazzo Zenobio Curatore: Hervé Landry, curatore aggiunto Paola TognonOrganizzazione: The Absolut Company, Stockholm
BRAIN ACADEMY APARTMENTSede: Liceo Artistico Statale; Serra dei Giardini di Castello; Rialto Net Curatore; Guglielmo di Mauro; ideatore con Emilio MorandiOrganizzazione: Liceo Artistico Statale di VeneziaTHE DAWN OF DIMI Sede: Auditorium Santa Margherita Organizzazione Kiasma Museum of Contemporary Art, Helsinki
FURTHER. ARTISTS FROM WALESSede: Ex Birreria, GiudeccaCommisario Michael Nixon; curatore Patricia FlemingOrganizzazione: Wales Arts International, Cardiff
HANS ULRICH OBRIST - INTERVIEWSSede: Archivio del Contemporaneo, ArsenaleOrganizzazione: Fondazione Pitti Immagine Discovery, Florence
HUNGRY GHOSTSSede: Vaporetto sul Canal GrandeCuratore: Elpeth SageOrganizzazione: On Edge, Vancouver
IIYA/EMILIA KABAKOV "WHERE IS OUR PLACE?"Sede: Fondazione Querini Stampalia Curatore: Chiara BertolaOrganizzazione: Fondazione Querini Stampalia, Venice
INHABITSede: Oratorio di San Ludovico, Dorsoduro Curatori Vittorio Urbani, Camilla SeibezziOrganizzazione: FRAME (Finnish Fund for Art Exchange), Helsinki
FABIO MAURI – Istantanea di un Duca mortoSede: Galleria Nuova Icona Curatori: Vittorio Urbani, Gaetano Salerno, Camilla SeibezziOrganizzazione: Nuova Icona, Venice
ITALIAN FACTORY -LA NUOVA SCENA ARTISTICA ITALIANA Sede: Istituto Santa Maria della PietàCuratore Alessandro Riva; assistente del curatore Micaela BonettiOrganizzazione: Ministero degli Affari Esteri
LIMBO ZONESede: Palazzo delle Prigioni Commissario Tsai-lang Huang; Vice-commisario Paolo De Grandis, curatore ospite Shi-min LinOrganizzazione: Taipei Fine Arts Museum di Taiwan
NAVIGATING THE DOT Artists from Hong Kong, China
Sede: Arsenale, campo della Tana Curatore: Para/Site Art SpaceOrganizzazione: Hong Kong Arts Development Council, Hong Kong, China
PELLEROSSASOGNA - THE SHIRTSede: Ca' Foscari University, Palazzo Cosulich, Zattere, Organizzazione: Indigenous Arts Action Alliance (IA3), Santa Fe, USA
RADAR CONTEMPORARY ARTS FOR EUROPEAN CITIES Sede: Centro Civico (Isola della Giudecca) e sedi varieUn progetto Europeo per promuove l’integrazione sociale attraverso interventi artistici.Coordinatore scientifico per Venezia Angela Vettese; junior curator Martha CrombieOrganizzazione: Venice International University con la Municipalità di Atene; Malopolski Instyut Kultury, Cracovia, Polonia; Lewisham Council, Grand Bretagna; Città di Plovdiv, Bulgaria; Venice City Council, Italia; FNV Venezia, Italia; Weimar University, Germania; Istituto Universitario di Architettura, Venezia (Facoltà di Arte e Design), Università Ca' Foscari, Venezia.
RESHAPE!Sede: Istituto Nautico S. Venier Curatori Sara Arrheniun e Karina Ericsson WarnOrganizzazione: IASPIS (International Artists' Studio Program in Sezia), Stoccolma
IL SOGNO CHE RISORGE DALLA VITASede: Chiesa dei Santi Geremia e LuciaCuratore Marie-Aimée Tirole; collaboratore Clemens ToussaintOrganizzazione: Comité National Monégasque de l'A.I.A.P., UNESCO, Monaco
STOPOVERSede: Convento dei Santi Cosma e Damia-no, GiudeccaCuratore David ThorpOrganizzazione: The Henry Moore Foundation Contemporary Projects
THE SNOW SHOW: VENICE Sede: Palazzo Zorzi Commisario Lance M. Fung; curatori Hilkka Likkanen, Unto KäyhköOrganizzazione: Kemi Art Museum, Finlandia, con Rovaniemi Art Museum, Finlandia
ZENOMAPSede: Palazzo Giustinian Lolin Curatori: Francis MacKee, Kay PallisterOrganizzazione: Scottish Arts Council con il British Council
EXTRA 50
MOSTRE PATROCINATE DALLA BIENNALE DI VENEZIA
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
EVENTI DELLA VERNICE 12-14 GIUGNO 2003Si consulti il documento in “Analisi della mostra” in questa sezione
EVENTI DI STAZIONE UTOPIAdurante tutta la durata della mostra si svolgono eventi, quello che segue è un calendario esemplificativo degli incontri, performance e dibattiti svoltisi durante il vernissage
Christoph Schlingensief, Church of Fear
Shimabuku Will
Anatoli Osmolowsky
Radio Arte Mobile, Zerynthia insieme a Franz West
Martha Rosler e Oleanna group
Karl Holmquist
Agnès Varda
EVENTI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
ogni giorno performance di:
12 GIUGNO 12.00 Karl Holmquist and Agnès Varda13.00 Jonas Mekas Films15.00 Edouard Glissant16.00 The Utopian City di Ilya and Emilia Kabakov (film) 17.00 seconda proiezioni dei Film di Jonas Mekas20.00 presentazione Utopia Station nell’ambito di 99.
13 GIUGNO 10.00 Kitakyushu presenta the Bridge the Gap book11.00 Wong Hoy Cheong, performance12.00 performances continue con Karl Holmquist and Agnès Varda 12.30 Tom Gotovac, performance13.00 Martha Rosler performance, con Oleanna Group 14.00 Anri Sala e Edi Rama, proiezione e discussione15.00 Panel con Rem Koolhaas, Yona Friedman, Stefano Boeri 16.00 Prima di Sink or Swim, Lawrence Weiner17.00 Presentazione del primo volume interviste di Hans Ulrich Obrist a seguire conversazione tra l’autore, Francesco Bonami e Rem Koolhaas
14 GIUGNO 12.00 Perché 13.00 Karl Holmquist e Agnès Varda 14.00 Lucia Prandi, presentata da Marco de Michelis e Angela Vettese 15.00 Panel con Shimabuku, Yang Fudong, Kamin Lertchaiprasert and Wong Hoy Cheong16.30 John Bock, performance
99. EVERY IDEA BUT ONECalendario degli incontri
EVENTI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
14/06/2003 Francesco Morace sociologist, writer and journalist 16/06/2003 Alfonso Berardinelli writer17/06/2003 Daniele Di Gennaro publisher18/06/2003 Marco Casamonti architect18/06/2003 Alberto Cecchetto architect19/06/2003 Franco Bolelli writer, philosopher, events orgaruser 20/06/2003 Roberto Panzarani psychologist21/06/2003 Tracy Metz journalist25/06/2003 Tiziano Scarpa writer26/06/2003 Lorenzo Miglioli digitaI artist27/06/2003 Umberto Curi philosopher28/06/2003 Frédéric Flamand director Biennale Danza 28/06/2003 Franco La Ceda anthropologist and architect 28/06/2003 Piero Zanini architect29/06/2003 Elido Fazi publisher02/07/2003 Enrico Arosio journalist03/07/2003 Luca Stoppini graphic designer04/07/2003 Tommaso Pincio writer05/07/2003 Arvo Part composer06/07/2003 Stefano Pistolini journalist, TV scriptwriter and writer 09/07/2003 Massimiliano Capati essayist10/07/2003 Francesca Mazzuccato writer11/07/2003 Alberto Kurapel producer and dramatist12/07/2003 Sandro Veronesi writer13/07/2003 Fabio Novembre designer16/07/2003 Erik Drooker illustrator and drawer16/07/2003 Mario Maffi writer18/07/2003 Stefano Boeri architect19/07/2003 Giancarlo Calza orientalist19/07/2003 Pio d'Emilia journalist19/07/2003 Alessandro Gomarasca orientalist19/07/2003 Samuel-Fuyumi Namioka contemporary art critic 20/07/2003 Lorenzo Romito architect01/08/2003 Philippe Dagen art critic 02/08/2003 Lars Spuybroek architect 03/08/2003 Francesco Avallone psychologist 23/08/2003 Giulio Mozzi writer24/08/2003 Marco Navarra architect 07/09/2003 Alain Elkann journalist, writer 10/09/2003 Chiara Gamberale writer11/09/2003 Massimo Coppola journalist, television presenter12/09/2003 Alberto Oliverio psychologist13/09/2003 Michele Serra journalist14/09/2003 Alberto Abruzzese sociologist17/09/2003 Andrea Zingoni producer, writer18/09/2003 Uri Caine director Biennale Musica18/09/2003 Rudy Stauder journalist19/09/2003 Michel Maffesoli sociologist20/09/2003 Luciano Pietronero physicist21/09/2003 Massimo Canevacci anthropologist 24/09/2003 Anna Detheridge journalist25/09/2003 Marco D'Eramo sociologist, journalist, writer 26/09/2003 Gianluigi Mansi psychiatrist27/09/2003 Ugo Bressanello manager28/09/2003 Marco Ferrante journalist, writer01/10/2003 Mariuccia Casadio journalist and art critic 01/10/2003 Maria Luisa Frisa art and fashion critic 01/10/2003 Adriana Mulassano journalist and fashion critic 02/10/2003 Antonio Romano graphic designer03/10/2003 Mauro Covacich writer04/10/2003 Giorgio Gori producer05/10/2003 Yves Mény political commentator08/10/2003 Dennis Redmont journalist09/10/2003 Errico Buonanno writer10/10/2003 Fiona Diwan journalist11/10/2003 Eugenio Tassini journalist15/10/2003 Lorenzo Mattotti drawer16/10/2003 Cliostraat architectural studio17/10/2003 Lucio Caracciolo journalist22/10/2003 Andrea Granelli manager23/10/2003 Aldo Grasso journalist, television critic 24/10/2003 Arianna Dagnino journalist, writer 24/10/2003 Stefano Gulmanelli symbolic analyst 25/10/2003 Domenico De Masi sociologist 30/10/2003 Marco Paolini actor31/10/2003 Guido Guerzoni essayist01/11/2003 Peter Sloterdijk philosopher 02/11/2003 Paolo Legrenzi psychologist
TIPPING POINT Incontri organizzati dall’Archivio del Contem-poraneo - ASAC
Calendario
27 giugno Marco de Michelis, Facoltà di Design e Arti IUAV28 giugno Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO 29 giugno Giorgio Camuffo, STUDIO CAMUFFO - 4 Luglio Marco Pierini, PALAZZO DELLE PAPESSE- CENTRO ARTE CONTEMP.- Siena5 Luglio Peter Weiermair GAM - Bologna 6 Luglio Mario Cristiani, ASSOCIAZIONE GALLERIA CONTINUA - San Giminiano 11 Luglio Kuno Prey, Facoltà di Design e Arti - Bolzano 12 Luglio Riccardo Passoni, FONDAZIONE TORINO MUSEI - GAM – Torino 13 Luglio Andreas Hapkemeyer e Marion-Piffer Damiani, MUSEION - MUSEO D'ARTE MODERNA E CONTEMP. - Bolzano12 settembre Ludovico Pratesi, CENTRO ARTI VISIVE PESCHERIA13 settembre Gillian Crampton Smith, INTERACTION DESIGN14 settembre Salvatore Lacagnina, GALLERIA CIVICA D'ARTE CONTEMP. MONTEVERGINI - Siracusa19 settembre Fabio Cavallucci, GALLERIA CIVICA D'ARTE CONTEMPORANEA 21 settembre Patrizia Brusarosco, Mario Gorni, ASSOCIAZIONE VIAFARINI / ASSOCIAZIONE CARE OF - Milan26 settembre Chiara Bertola, FONDAZIONE SCIENTIFICA QUERINI STAMPALIA 27 settembre Lapo Cianchi, FONDAZIONE PITTI IMMAGINE DISCOVERY28 settembre Luca Massimo Barbero, COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM3 ottobre Daniel Soutif, CENTRO PER L'ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI4 ottobre Jean - Hubert Martin, PAC- PADIGLIONE D'ARTE CONTEMPORANEA and MUSEO DEL PRESENTE5 ottobre Lorenzo Marchetto, ASSOCIAZIONE ABACO, Vicenza10 ottobre Gabriella Belli, MART-MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA, Rovereto e Trento11 ottobre Angela Vettese, FONDAZIONE BEVILACQUA LA MASA12 ottobre Beniamino Saibene, ASSOCIAZIONE ESTERNI, Milano17 ottobre Giacinto Di Pietrantonio, GALLERIA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA, Bergamo18 ottobre Ida Gianelli, CASTELLO DI RIVOLI19 ottobre Alberto Bovo, HANGAR DESIGN, Mogliano Veneto24 ottobre Marco Goldin, LINEA D’OMBRA, Conegliano25 ottobre Renzo di Renzo, FABRICA, Treviso26 ottobre Richard Peduzzi, ACCADEMIA DI FRANCIA, VILLA MEDICI, Roma30 ottobre Alberto Robecchi, URBAN MAGAZINE, Milano31 ottobre Mario Pieroni, ZERYNTHIA, Roma1 novembre Danilo Eccher, MACRO - MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA2 novembre Anni Ratti, FONDAZIONE ANTONIO RATTI, Como
REGIONE
ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA MOLISE
PUGLIA SICILIA
SEDE
L'Aquila Forte Spagnolo PotenzaMuseo Archeologico ProvincialeMateraPalazzo Lanfranchi
Reggio Calabria - Villa Zerbi Napoli - Mostra d'Oltre-mare Nuovo Museo d'ArteContemporanea della Regione Molise Bari - Sala MuratLecce - Castello Carlo V Palermo - Palazzo Belmonte RisoBagheria - Villa Cattolica
TITOLO SEZIONE
Clandestini
Sistemi Individuali
Movimento/Movimenti
Zona d'Urgenza
Stazione Utopia Movimento/Movimenti
La Zona Movimento/Movimenti Ritardi e Rivoluzioni Movimento/Movimenti
DATE
dal21 luglio al 21 ottobre
dal 29 maggio al 30 ottobre
dal 30 maggio al 5 ottobre
dal 18 settembre al 14 novembre
dal 27 luglio all 9 settembre dal2 ottobre al 30 novembre
dal 15 luglio al 16 ottobredal 16 luglio al 16 ottobre
dal 15 settembre al 30 ottobre
dal 15 settembre al 30 ottobre
EVENTI
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
SENSI CONTEMPORANEIcalendario mostre
GIURIA PER
L'ESPOSIZIONE
INTERNAZIONALE
presidenteSalvatore Settis
Richard Flood
Koyo KouohDalia Levin
Vasif KortunPio Baldi
GIURIA PER
LA MIGLIORE
PARTECIPAZIONE
NAZIONALE
presidenteSalvatore Settis
Gabriella Belli
Isabel CarlosVishakha N. Desai
Rose IssaShinji Kohmoto
PREMIAZIONI
LEONE D’ORO ALLA CARRIERA
MICHELANGELO PISTOLETTOCAROL RAMA
LEONE D'ORO PER LA MIGLIORE PARTECIPAZIONE
INTERNAZIONALE
Il Leone d'Oro per la migliore partecipazione internazionale è assegnato al padiglione del Lussemburgo che espone l'opera di SU-MEI TSE, una
forte ma poetica combinazione di suono, film e spazio, che risulta immediatamente attraente allo sguardo ma è ricca di sottili eco di significati politici e metafisici. Il luogo stesso in cui il padiglione del
Lussemburgo è collocato mette in dubbio che siano necessari padiglioni nazionali di grandi dimensioni.
PREMIO PER LA GIOVANE ARTE ITALIANA
Il premio per la giovane arte italiana è assegnato ad AVISH KHEBREHZA-DEH, per la grazia del suo lavoro di animazione, la sottigliezza del narrare
e la capacità di fondere nella propria arte influenze innumerevoli.
LEONE D'ORO PER UN ARTISTA SOTTO I 35 ANNI
Il Leone d'Oro per un artista sotto i 35 è assegnato a OLIVER PAYNE e NICK RELPH, per aver creato un'opera che non riguarda nè lo ieri nè il domani ma piuttosto l'oggi, il tempo presente nel senso più stretto. Il loro lavoro
riflette la cultura la cultura urbana ed il sospetto tra generazione è autentico, astratto e sapiente. Esso racconta con linguaggio universale la
solitudine ed il coraggio delle giovani generazioni.
LEONE D'ORO PER LA MIGLIORE OPERA ESPOSTA
Il Leone d'Oro per la migliore opera esposta è assegnato a PETER FISCHLI e DAVID WEISS in riconoscimento del loro lungo e coerente lavoro
comune della sua modestia, chiarezza e qualità artistica, per aver posto domande che ci fanno tutti un pò più disposti a capirci a vicenda, e per aver creato un lavoro che coglie la vera natura dei sogni e dei conflitti.
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
SOMMARIO A
PRESENTAZIONEFranco Bernabè"HO UN SOGNO"Francesco BonamiRITARDI E RIVDLUZIONIFrancesco BonamiDaniel BirnbaumINTERLUDE 1LA ZONAMassimiliano GioniINTERLUDE 2INTERLUDE 3CLANDESTINIFrancesco BonamiINTERLUDE 4INTERLUDE 5SMOTTAMENTIGilane TawadrosINTERLUDE 6SISTEMI INDIVIDUALIIgor ZabelZ.O.U. / ZONA D'URGENZAHou HanruINTERLUDE 7LA STRUTTURA DELLA CRISICarlos BasualdoINTERLUDE 8RAPPRESENTAZIONI ARABE CONTEMPORANEECatherine DavidINTERLUDE 9IL QUOTIDIANO ALTERATOGabriel OrozcoINTERLUDE 10STAZIONE UTOPIAMolly NesbitHans Ulrich ObristRirkrit TiravanijaINTERLUDE 11INTERLUDE 12PITTURA / PAINTlNG: DA RAUSCHENBERG A MURAKAMI, 1964-2003Francesco BonamiINTERLUDE 13L1NKASAC ! ARCHIVIO DEL CONTEMPORANEOTHE CORDRISERVA ARTIFICIALEOMUSE PROJECT 1 - UNO SPAZIO VUOTO PIENO D'ARTEILLYMINDRECYCLlNG THE FUTURE VV'INTERLUDE
XIX
XXI
60
63
86
88
91
126
128
131
146
149
185
238
241
288
291
298
301
316
319
416
418
421
478
482
486
488
490
492
494
502
SOMMARIO B
518 CROAZIA 520 DANIMARCA 522 EGITTO 524 ESTONIA 526 FRANCIA 528 FYROM (EX REPUBBLICA JUGOSLAVA DI MACEDONIA) 530 GEORGIA 532 GERMANIA 534 GIAPPONE 536 GRAN BRETAGNA 538 GRECIA 540 INDONESIA 542 IRAN 544 IRLANDA 546 ISLANDA 548 ISRAELE 550 ITALIA 552 KENIA 554 LETTONIA 556 LITUANIA 558 LUSSEMBURGO 560 NUOVA ZELANDA 562 OLANDA 564 PAESI NORDICI: FINLANDIA, NORVEGIA, SVEZIA 568 POLONIA 570 PORTOGALLO 572 REPUBBLICA CECA E REPUBBLICA SLOVACCA 574 REPUBBLICA DI ARMENIA 576 REPUBBLICA DI CIPRO 578 REPUBBLICA DI COREA 580 REPUBBLICA DI SLOVENIA 582 REPUBBLICA POPOLARE CINESE 584 ROMANIA 586 RUSSIA 588 SERBIA E MONTENEGRO 590 SINGAPORE 592 SPAGNA 594 STATI UNITI D'AMERICA 596 SVIZZERA 598 THAILANDIA 600 TURCHIA 602 UCRAINA 604 UNGHERIA 606 URUGUAY 608 VENEZUELA 610 ISTITUTO ITALO-LATINO AMERICANO: ARGENTINA, CILE, COLOMBIA, COSTA RICA, ECUADOR, EL SALVADOR, PANAMA, PERù, REPUBBLICA DOMINICANA
EXTRA. 50618 ABSOLUT GENERATIONS 620 BRAIN ACADEMY APARTMENT 622 THE DAWN OF DI MI 624 FURTHER: ARTISTS FROM WALES 626 HANS ULRICH OBRIST - INTERVISTE 628 HUNGRY GHOSTS - FANTASMI AFFAMATI 630 ILYA / EMILIA KABAKOV "WHERE IS OUR PLACE?" 632 INHABIT 634 ITALIAN FACTORY
636 LIMBO ZONE 638 FABIO MAURI 640 NAVIGATING THE DOT - ARTISTS FROM HONG KONG, CHINA 642 PELLEROSSASOGNA - THE SHIRT 644 RADAR - CONTEMPORARY ARTS FOR EUROPEAN CITIES 646 RESHAPE! 648 THE SNOW SHOW: VENICE 650 IL SOGNO CHE RISORGE DALLA VITA 652 STOPOVER 652 ZENOMAP 657 GLI ARTISTI
MARSILIO
a cura di Francesco Bonami
e Maria Luisa Frisa
1 volumePagine totali 668
24x29 cmItaliano e Inglese
COLOPHON
catalogo a cura di Francesco Bonami Maria
Luisa Frisa
progetto grafico e impaginazione
BiancoAlessandro Gori
coordinamento redazionale Francesca Del Puglia
Sandra Montagnercon Carla Bianchi Riccardo Dirindin
copertina CODesign
realizzazione del catalogo Marsilio Editori
coordinamento editoriale Rossella Martignoni
redazione e impaginazione in.pagina s.r.l.,
Mestre-Venezia
coordinamento tecnico grafico
Piergiorgio CanaleStefano Grandi
traduzioniAlberto Folin(dal francese)
Barbara Giacometti (dallo spagnolo)
Floriana Pagano(dall' inglese e dal tedesco)
Alessandro Romano(dal russo)
Valeria Barboni, Paolo Barnaba, Olga Barmine,
Viviana Tonon (dall'inglese)
fotolito Fotolito Veneta,
San Martino Buonalbergo, Verona
stampaGrafiche Peruzzo,
Veggiano, Padova
confezioneLegatoria Zanardi, Padova
© 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA Ca' Giustinian
San Marco 1364/a 30124 Venezia
VOLUME 1
LA BIENNALE DI VENEZIA.
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
SOGNI E CONFLITTI -
LA DITTATURA DELLO SPETTATORE
SEZIONE II – SCHEDA GENERALE - 2003
L’entrata alle sedi della Biennale, tanto ai Giardini quanto all’Arsenale, è segnato dalle strutture realizzate da Archea associati nell’ambito di LinkNei Giardini si aggira la scultura radiocomandata di Maurizio Cattelan di un bambino, con il volto dell’artista, che si aggira per i viali che sono contrappuntati da un ingrandimento di passaporti; parte della mostra Interludes, che si articola in piccoli interventi sparsi per la Biennale e la città di Venezia, Stateless Nation è un progetto che mette in discussione il concetto di nazione e rappresentanza nazionale. Nella zona alberata di Giardini inoltre è possibile appollaiarsi su parte dell’installazione di Christoph Schlingensief, mentre la seconda parte del progetto artistico si conclude in fondo all’Arsenale ospitato dalla mostra Stazione Utopia.
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
GIARDINI
Archea associati, The Cord, 2003
Christoph Schlingensief, Church of Fear, 2003
Maurizio Cattelan, Charlie, 2003
Sandi Hilal e Alessandro Petti, Stateless Nation, 2003
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
ENTRATA:
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
IPOTESI DI RICOSTRUZIONE
DELL’ALLESTIMENTO DEL PADIGLIONE:
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE CENTRALE
Nella prima sala il visitatore è accolto dal gruppo scultoreo di David Hammon costituito da due sculture in bronzo thailandesi fra le quali è sospesa una spilla da balia. L’opera isolata al centro dell’esedra su di un tappeto rappresenta la sintesi dell’idea curatoriale di Francesco Bonami. Negli angoli inoltre si riconoscono i monitor che trasmettono i video di Fabra. David Hammons, Praiying to safety, 1997
Isa Genzhen, Haare wachsen wie sie wollen (i capelli crescono come vogliono), 2003
Sam Durant, Like, man, I’m tired (of waiting), 2002
RITARDI E RIVOLUZIONI
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
La stanza si apre con le scritte a lettere cubitali Mmm! Ahh! Ohh! di Lucy McKenzie ironicamente suggerendo una posizione di difficile interpretazione delle opere da parte del visitatore, anzi dello spettatore. La fisicità dello spettatore richiesta e negata insieme è data tanto dalle scritte sui muri che dalla pensilina dell’autobus di Gil Carmit in mezzo alla stanza, come anche il raggruppamento di palloni senza i propri calciatori di Rivane Neuenschwander. A sinistra sulla parete e a terra l’installazione di Bayerle che era stata originariamente pensata per stare all’esterno mentre dalla parte opposta l’opera di Cady Noland.
Veduta dell’allestimento:
sullo sfondo alla parete: Lucy McKenzie, Murale per
la Biennale, 2003
In fondo per terra: Rivane Neuenschwander,
Globos, 2003
in primo piano: Gil Carmit, Bus, 2002
Thomas Bayerle, Autobahn, 2002-2003
Cady Noland, The big slide, 1989
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
PADIGLIONE CENTRALE
Il disimpegno che porta all’infilata di stanza sulla sinistra del padiglione Italia è occupato da un monitor che trasmette il celebre video di Warhol su Duchamp. Mentre nella stanza successiva trovano due lavori fortemente incentrati sulla figura femminile: Female Figure di Charles Ray che nuda e a grandezza naturale si impone plasticamente nello spazio e Pomp Bang una grande composizione muraria di Ellen Gallagher che elabora delle immagini di donne di coloando e applicando inserti materici per farne nuove capigliature.
A Richard Prince è dedicato l’intero soppalco. Sulle pareti sono distribuite le opere che ritraggono per lo più cowboy, simbolo di un rapporto romantico, solitario e tutto maschile con la natura. Scendendo dal soppalco Berlinde de Buyckere espone sia il cavallo nero che una figura femminile con i capelli lunghi entrambi ripiegati su se stessi a nascondere il proprio volto. Rialzati su un piedistallo si ritraggono ad un contatto visivo con lo spettatore.
Richard Prince, senza titolo (Cowboy), 1980-2002
Berlinde de Bruyckere, il cavallo nero / K 36, 2003
Charles Ray, Female Figure, 2003 Ellen Gallagher, Pomp Bang, 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
RITARDI E RIVOLUZIONI
PADIGLIONE CENTRALE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
L’installazione di Gabriel Orozco nasce in diretta comunicazione con la storia dell’architettura del padiglione. Dell’attiguo Giardino di Carlo Scarpa infatti, l’artista fa un calco della copertura e la trasporta nella sala interna
Gabriel Orozco, Sombra entre aros de aire (pensilina), 2003
Le stanze sulla destra della grande sala centrale si aprono con la piccola proiezione video di Felix Gmelin e la fila di fotografie di Shvilly. Nell’altra porzione di stanza isolata troviamo invece l’installazione di Dan Graham che mostrano due schermi rivolti verso uno specchio con una telecamera che proietta questa riflessione creando una situazione di déjà-vu e di leggero ritardo dell’azione.
Nella piccola sala successiva all’installazione di Orozco incontriamo un altro tributo/inchiesta su un grande artista italiano Mario Merz a cui Tacita Dean dedica un video tra finzione e realtà. Alla fine dell’infilata di stanza tornando all’ingresso del padiglione Italia c’è l’opera di Tobias Rehberger Seven Ends of the World che si articola con diverse strutture globulari di plastica appese in maniera varia tra il soffitto e alle pareti.
Dan Graham, Opposing mirrors and video monitors on time delay, 1974
Felix Gmelin, Test del colore, la bandiera rossa, 2002
Tacita Dean, Mario Merz, (frame da video), 2002
Tobias Rehberger, Seven Ends of the World, 2003
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
RITARDI E RIVOLUZIONI
PADIGLIONE CENTRALE
Jennifer Pastor presenta la grande struttura in ferro e materiale plastico opaco e transludico. Le parti che la compongono hanno ispirazioni molto diverse tra loro ma accostate trovano un dialogo e una strutturazione che la rendono compatta. Nella stanza successiva invece si trova l’installazione video di Goren da cui si accede con una stanza con opere decisamente low-tech. Da una parte si dispiega la quadreria di Carol Rama mentre in un angolo i piccoli elementi di Ian Kaier. LE due stanze successive sono invase dai tavoli di Matthew Barney. Tavoli di vetro che racchiudono elementi vegetali che l’artista fa cresce anche sotto i lucernai del padiglione Italia
Le stanze successive presentano tutte delle situazioni installative. La prima stanza viene divisa Kerry James Marhsall che propone la barca a vela tanto a terra quanto a parete, mentre dall’altro lato Giuseppe Gabellone espone due steli in schiuma e poliuterano con la parte superiore sporgente. Le figure ritratte sembrano richiamare le antiche stampe giapponesi. Nella stanza in fondo invece Franz Ackermmann allestisce la sua sala con pittura e una grande palla segnata da una striatura di luce che pende dal soffitto.
Giuseppe Gabellone, I giapponesi, 2003
Franz Ackermann, The Drawing Corridor With The Sleeping Dragon, 2001
Kerry James Marshall, Gulf stream, 2003
Jennifer Pastor, The perfect ride, 2003 Carol Rama, particolare della parete.
Matthew Barney, Drawing Restaint 8, serie, 2003
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
RITARDI E RIVOLUZIONI
PADIGLIONE CENTRALE
Dall’immersione nella stanza buia di Fischli e Weiss che in un’installazione il cui lavoro si è protratto lungo un arco di tempo molto lungo fa fluttuare sul muro domande sulla vita grandi e piccole con in un angolo un piccolo lettino che suggeriscono di sogni e interrogativi sul futuro e l’esistenza che si consumano appena prima che le palpebre si chiudano al sonno. Domande esistenziali che Damien Hirst propone nel titolo della sua grande vetrina su cui espone medicinali antidepressivi. Totalmente immersiva invece è l’esperienza nell’installazione ambientale di Rudolph Stingel che dipinge tutte le pareti di materiali lucidi e brillanti che ricordano l’oro e l’argento. Le pareti sono tutte graffiate da segni e piccoli interventi che fanno di questa stanza quasi un’esperienza” orientale”. Il piccolo spazio dietro la stanza di Stingel è occupata da un’opera di Jonas Dahlberg che ammicca alle pareti e al decoro ma questa volta la carata da parati è una videoproiezione.
Rudolph Stingel, senza titolo, 2003
Damien Hirst, Standing Alone on the Precipice Overlooking the Artic Wasteland of Pure Terror, 1999-2000
Fischli e Weiss, Untitled (questions), 1981-2003
La parte destra del padiglione Italia è segnata da una serie di installazioni, centro e passaggio da una stanza all’altra è l’opera di Sarah Lucas costituita da diversi elementi a terra come la rosa dei venti disegnata a terra, la motocicletta e una serie di altri elementi riprodotti con la carta pesta. Da una parte della stanza della Lucas si trovano le stanze di Dihn Q con le sue grandi interpretazioni pop-romantiche cinesi e Floyer che occupa un piccolo spazio di risulta. Dall’altra parte invece si accede alla stanza interamente coperta dalla “carta da parati” disegnata da Shirana Shabazi. L’artista iraniana propone il volto di una donna sotto diverse angolazione che guarda direttamente in camera mentre al soffitto della grandi magnolie. Di contro nella piccola stanza successiva si colloca il video di Hanley che riprendendo la morte del grande dittatore ipotizza che si apra un nuovo periodo storico. Dalla Lucas si passa anche per accedere alla sala ottagonale del padiglione Italia che ospita la grande installazione di tubi luminosi concentrici di Carsten Holler. A chiudere il percorso le stanze di due pittori molto diversi fra loro Glenn Brown e Piotr Janas.
Sarah Lucas, All we are saying is give pizza a chance, 2’’3
Carsten Holler, Lightbulb Installation, 2003
Shirana Shabazi durante l’allestimento del suo lavoro
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
RITARDI E RIVOLUZIONI
PADIGLIONE CENTRALE
La piattaforma di Massimiliano Gioni è una proposta che risponde a due domande da una parte la richiesta di un padiglione “Italia”, anche diverso da quello antico, che risponde alla necessita di avere una rappresentanza italiana e dall’altra ad una difficoltà di parlare di un ‘arte italiana distinta e diversa, quindi della difficoltà di prendere in considerazione discorsi sulla rappresentanza nazionale. Per questo motivo in collaborazione con lo studio di architetti A12 pensa ad una struttura temporanea che assolve sia la funzione di padiglione ospitando le grandi sfere di Patrick Tuttofuoco, l’opera di Micol Assael, i dipinti di Alessandra Ariatti e il video di Anna de Manicor e Diego Perrone, sia di luogo d’incontro. La Zona infatti presenta un’area a piattaforma ove è possibile fermarsi. La struttura è pensata come temporanea e virtualmente mobile e trasportabile in altri posti.
A12, Veduta della piattaforma de La Zona, 2003
Alessandra Ariatti, a sinistra Iole, 1999; a destra Ines, 2001
Patrick Tuttofuoco, Veduta di parte dell’allestimento interno, 2003
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
LA ZONA
A CURA DI MASSIMILIANO GIONI
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
RITARDI E RIVOLUZIONI
PADIGLIONE CENTRALE
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
ARSENALE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
contemporary arab
representations
rappresentazioni arabe
contemporanee
bookshop
archivio del
contemporaleofault lines
smottamenti
individual system
sistemi individuali
teatro delle tese
the everyday altered
il quotidiano alterato
utopia
station
stazione
utopia
ithe structure of survival
la struttura della sopravvivenza
clandestine
clandestini
ingresso
z.o.u.
(zone of
urgency)
Artisti: Etty Abergel, Avner Ben Gal, Mircea Cantor, Colin Drake, Enrico David, Flavio Favelli, Ghazel, Dryden Goodwin, Hannah Greely, Hakan Gürsoytrak, Michal Helfman, Eva Koch, Paulina Olowska, Jorge Queiroz, Aïda Ruilova, Bojan Sarcevic, Dana shutz, Doron Solomns, Monika Sonowska, Cheyney Thompson, Jaan Toomik, Francisco Tropa, Tatiana Trouvé, Nobuko Tsuchiya, Magnus von Plessen, Amelie von Wulffen, Shizuka Yokomizo, Liu Zheng
a cura di Francesco BonamiCLANDESTINI
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
CORDERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
Clandestini, Veduta allestimento, Kunstforum, 2003
Thompson Cheney, Table of Fluid Ideas, 2002 Enrico David, senza titolo, , 2003
Flavio Favelli, Palco Rettorico, 2003 Monika Sonowska, Untitled (corridoio), 2002
Hakan Gursoytrak, senza titolo 2003
Nobuko Tsuchiya, Table Rabbit, 2003
Etti Abergel, Salient (the workshop of the conchshell maker), 2003
Magnus von Plessens, senza titolo, 2002 - 2003
Amelie von Wulffen, veduta allestimento
ArtistiLaylah Ali, Kader Attia, Samta Benyahia, Zarina Bhimji, Franck Bowling, Clifford Charlse, Pitzo Chinzima, Rotimi Fani-Kayode, Hassan Fathy, Veliswa Gwintsa, Moshekwa Langa, Salem Mekuria, Moataz Nasr, Wael Shawky
a cura di Gilane TawadrosSMOTTAMENTI – FAULT LINES
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
Entrata alla mostra Moshekwa Langa, Waiting, veduta installazione, 2003
Frank Bowling, veduta installazione, 1967-‐70 Samta Benyahia, the Polygon and the Dedale, 2003
Wael Shawky, Asphalt Quarter, 2003 Moataz Nasr, Tabla, 2003
Clifford Charles, Painting on Water series, 2002 - 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
CORDERIE
SISTEMI INDIVIDUALI - INDIVIDUAL SYSTEMS -
a cura di Igor Zabel
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
ArtistiVictor Alimpiev e Marian Zhunin, PAwel Althamer, Art & Language, Josef Dabernig, IRWIN, Luisa Lambri, Yuri Leiderman, Andrei Monastirsky, Pavel Mrkus, Roman Olpaka, Marko Peljhan, Florian Pumhösl, simon Starling, Mladen Stilianović, Nahum Tevet.
Entrata alla mostra Roman Olpaka, Olpaka 1965/1
Yuri Liederman, Electronic names 2, 2000 - 2003
IRWIN, Icon, 2003
Nahum Tevet, Question five 2000, 2003 Pavel Mrkus, A prayer of PW 20/LW, frame davideo
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
CORDERIE
Z.O.U. ZONA D’URGENZA - ZONE OF URGENCY -
a cura di Hou Hanru
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
ArtistiVictor Alimpiev e Marian Zhunin, PAwel Althamer, Art & Language, Josef Dabernig, IRWIN, Luisa Lambri, Yuri Leiderman, Andrei Monastirsky, Pavel Mrkus, Roman Olpaka, Marko Peljhan, Florian Pumhösl, simon Starling, Mladen Stilianović, Nahum Tevet.
Entrata alla mostra ora Kim & Gimhongosh, Cronic Historical Interpretation Syndrome, 2003
Heri Dono, Trojan Cow, 2003
Shuela Cheang, Richair, 2003 Atelier Bow Bow & Momoya Kajima, Museum of Pet Architecure Guidebook, 2003
Canton Express, veduta dell’allestimento
Yan Pei-‐Ming, senza titolo, 2003
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
CORDERIE
STRUTTURE DELLA CRISI- THE STRUCTURE OF SURVIVAL -
a cura di Carlos Basualdo
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
ARTIGLIERIE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
Artisti:Caracas Group, Carolina Caycedo, Alexandre da Cunha, Paola di Bello e Armin Linke, Yona Friedman, GAC (Grupo de Arte Callejero)/Alice Creisher/Andreas Siekmann, Gego, Fernanda Gomes, Rachel Harrison, José Antonio Hernàndez-Diez, Koo Jeong-a, Chris Ledochowski, Mikale Levin, Marepe, Cildo Meireles, Oda Projesi, Hélio Oiticica, Antonio Ole, ‘Muyiwa Osifuye, Majetica Potrç, Rasq Media Collective, Pedro Reyes, Robert Smithson, Meyer Vaisman, Juan Maidagan e Dolores Zinny.
Entrata alla mostra
Rachel Harrison, Indigenous Parts III, veduta dell’installazione da due angolazioni diverse, 2003
Raqs Media Collective, 5 pieces of evidence, 2003
Mikael Levin, Notes, 2003
Yona Friedman, Il castello del povero, 2003
Artisti:Abraham Cruzvillegas, Jimmie Durham, Daniel Guzmàn, Jean Luc Moulène, Damiàn Ortega, Fernando Ortega
RAPPRESENTAZIONI ARABE CONTEMPORANEE - CONTEMPORARY ARAB REPRESENTATIONS -
a cura di Catherine David
QUOTIDIANO ALTERATO
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
TESE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
Artisti Taysir Batniji, Tony Chakar, Bilal Khbeiz, Michel Lasserre, Walid Raad, Randa ShaathPaola Yacoub
Damien Ortega, Cosmic Thing, 2002Jean Luc Moulene, veduta installazione, 1991-2002
Abraham Cruzvillegas, Dos Naciones, 2003
Entrata alla mostra Veduta dell’allestimento e dell’entrata al videoraum
Entrata comune sia alla mostra Il Quotidiano Alterato che Utopia Station
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
ARTIGLIERIE
Atelier van Lieshout,scatopia, 2002
Superflex_TOOLS/SUPERCO PY; Guaranà Antartic
Veduta dell’allestimento all’interno
Martha Rosler, Speculations and Speculative fictions, (perf.) 2003
Ingresso alla mostra
Leif Elggren e Carl Michael von Hausswolff, The annexation of Utopia by the Kingdoms of Elgaland-‐ Vargaland, 2003
Alicia Framis, Billboard House, 2000 Luca Vitone, Anarchy Flag, 2003
Martha Rosler con Oleanna e FLEAS, Speculations and Speculative fictions, 2003
Rirkrit Tiravanija, Station structure, 2003
Liam Gillick, stutture disegnate dall’artista, 2003
ARTISTIgruppo A12, Marina Abramovic, Carla Accardi, Acconci Studio, Franz Ackermann, Doug Aitken, Pawel Althamer, Amicale des témoins, Arcagrup, Asymptote, Atelier van Lieshout, Yuri Avvakumov, Zeigam Azizov e Stuart Hall, John Baldessari, Anna Barbara e CLIOSTRAAT, Matthew Barney, Thomas Bayrle, Dara Birnbaum, John Bock, Iñaki Bonillas, Ecke Bonk, Ingrid Book e Caterina Hedén, Angela Bulloch, Louise Bourgeois, Bureau d'études, Pash Buzari, Yung Ho Chang, Jay Chung, Santiago Cirugeda, Verne Dawson, Tacita Dean, Luc Deleu, Jeremy Deller, Wilson Diaz e Marco Moretti, Diller + Scofidio, Thea Djordjadze e Bettina Pousttchi, Nico Dockx, Trisha Donnelly, Jan Fabre, Hans- Peter, Feldmann, Peter Fend, Peter Fischli e David Weiss, Vadim Fishkin, Didier Fiuza, Faustino, Alicia Framis, Yona Friedman, Yang Fudong, Future Systems, Isa Genzken, Matteo Ghidoni/ Avanguardie, Permanenti, Liam Gillick, John Giorno, Leon Golub, Dominique, Gonzalez- Foerster con Christophe van Huffel, Tomislav Gotovac, Rodney Graham, Joseph Grigely, Henrik Håkansson, Mathew Hale, Nikolaus Hirsch e Markus Weisbeck, Thomas Hirschhorn, Karl Holmqvist, Marine Hugonnier, Pierre Huyghe, Initiative Haubrich- Forum, Arata Isozaki & Associates, Janus Magazine, Sture Johannesson, John M. Johansen, Isaac Julien, Jean- Paul Jungmann e Tamas Zanko, Ilya e Emilia, Kabakov, Gülsün, Karamustafa, Alexander Kluge, Jakob Kolding, Lertchaipras-ert, Simon Leung e Lincoln Tobier, Armin Linke, Loo Jia Wen e Wong, Hoy Cheong, M/M, Enzo Mari, Bruce Mau Design/Insti-tute without, Boundaries, Steve McQueen, Jonas Mekas, Mario Merz, Annette Messager, Gustav Metzger, Jonathan Monk, Ayumi Minemura, (Are you meaning company), Multiplicity/ Border, Device(s) Project, Deimantas, Narkevicius, Carsten Nicolai, Nils Norman, Henrik Olesen e Kirsten Pieroth, Olof Olsson, Roman Ondák, Yoko Ono, Anatoli Osmolovski, Lygia Pape, Claude Parent, Philippe Parreno, Oliver Paynee e Nick Relph, Manfred Pernice, Elisabeth Peyton, Michelangelo Pistoletto, Paola Pivi, Florian Pumhösl, Ma Qingyun, Radek Raqs Media Collective, Tobias Rehberger, Pedro Reyes, David Robbins, Françoise Roche, Haghighian, Anri Sala, Tomas Saraceno, Markus Schinwald, Christoph Schlingensief, Carolee Schneemann, Tino Sehgal, Allan Sekula, Thasnai Sethaseree, Shimabuku, Andreas Slominski, Patti Smith, Sean Snyder, Nedko Solakov, Nancy Spero, Yutaka Sone con Henry Clancy, Eric Allaway e Damon McCarthy, Luc Steels, Superflex, Supermoderno, Javier Téllez, Rirkrit Tiravanija e Immanuel Wallerstein, Lincoln Tobier e Simon Leung, Rosemarie Trockel, Uglycute, Agnés Varda, Anton Vidokle, Jacques Villeglé, Luca Vitone, Laurence Weiner, Wang Jian- Wei, Eyal Weiner, Wang Jian- Wei, Eyal Weizman, Franz West, Pae White, Steven Willatz, Cerith Wyn Evans, Carey Young, Zerynthia, Andrea Zittel.
UTOPIA STATION
a cura di Hans Ulrisch Obrist, Molly Nesbit e Rirkrit Tiravanija
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
Francesco Clemente, Porta Coeli, 1983
ArtistiKai Althoff, frank Auerbach, Francis Bacon, Georg Baselitz, Jean Michel Basquiat, Glenn Brown, Erik Bulatov, Daniel Buren, alberto Burri. Enrico Castellani, Vija Celmins, Francesco Clemente, Chuck Close, John Currin, Gino De Dominicis, Peter Doig, Marlene Dumas, Carroll Dunham, Lucio Fontana, Franz Gertsch, Domenico Gnoli, Philip Guston, Renato Guttuso, Jan Håfström, Peter Halley, Richard Hamilton Damien Hirst, Gary Hume, Jörg Immendorff, Anselm Kiefer, Martin Kippenberg, Maria Lassing, Roy LIchtestein, Margherita Manzelli, Agnes Martin, Robert Raushenberg, Gerhard Richter, Ed Ruscha, Robert Ryman, Jenny Saville, Julian Schabel, Luc Tuymans, Cy twombly, Andy Warhol
ArtistiDarren Almond, Pawel Althamer, Pedro Cabrita Reis, Thomas Demand, Urs Fisher, Jeppe Hein, Sandi Hilal e Alessandro Petti, Gabriel Kuri, Damir Niksic, Mareaperto Onlus e Luca Guglietta, Alexandre Perigor, Paola Pivi, Piotr Uklanski
PITTURA/PAINTING
a cura di Francesco Bonami
Paola Pivi, Senza titolo, 2003
INTERLUDES_
a cura di Francesco Bonami
LA BIENNALE DI VENEZIA
50. ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D'ARTE
SEZIONE II – DISPLAY - 2003
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
477
99.3. Analis i di Sogni e Confl itt i . La dittatura del lo spettatore
Sogni e Conflitti. La dittatura dello spettatore si presenta come un complesso di undici
mostre distribuite tra i Giardini di Castello (Ritardi e Rivoluzioni e La Zona), le Corderie
dell’Arsenale (Clandestini, Sistemi Individuali, Zona D’urgenza, Smottamenti), le Artiglierie
(Strutture della Crisi e Rappresentazioni Arabe Contemporanee), Le Tese (Il quotidiano
Alterato e Stazione Utopia) con un’appendice al Museo Correr (Pittura/Painting 1964-
2003). Nonostante di per sé questo elenco appaia già come un calendario molto nutrito la
Biennale va anche considerata per gli eventi che propone. Un fitto calendario di
appuntamenti viene proposto durante tutto il periodo di apertura della Biennale fino a
novembre con l’intento di animare dibattiti e rendere l’esposizione criticamente vitale.
Due sono le iniziative principali: 99 Idee tranne una che raccoglie entro novantanove
incontri intellettuali provenienti da tutti i campi del sapere che il visitatore avrebbe potuto
incontrare alla fine della giornata dopo aver presumibilmente visitato la Biennale. Lo scopo
dell’iniziativa è quella di « condividere le idee per poter aprire nuove strade per il pensiero
circa il mondo intorno a noi ». 1 La seconda iniziativa, che allo stesso modo della
precedente ricopre l’intero periodo della durata della Biennale, è Tipping point altrettanti
incontri organizzati dall’Archivio per il Contemporaneo a cui sono invitati a interagire con il
pubblico persone alla guida di istituzioni, direttori di realtà artistiche e culturali in Italia che
producono sotto varie forme innovazione. La convinzione che sottende l’iniziativa è che da
piccoli cambiamenti è possibile innescare una rivoluzione (culturale).2
Durante la vernice inoltre si svolgono molti appuntamenti contemporaneamente. Oltre
alla consueta conferenza stampa che apre tradizionalmente questo genere di eventi
seguono poi una lunga serie di incontri particolari per presentare le singole iniziative, a
questo inolstre s’intersecano alcuni appuntamenti anticipazioni di 99 Idee tranne Una e
Tipping point oltre agli appuntamenti del primo Festival Internazionale di Danza
Contemporanea organizzato dalla Biennale.
1 “99 privileged witness of the present day, invited by the Biennale di Venezia’s Archive of Contemporary Culture to speak at the Arsenale, and share the idea or open a new avenue of thought about the reality around us”. Cartellina stampa, La Biennale di Venezia, ASAC, FS. dep. Busta n. 4966. 2 “Social changes obey the same law sas epidemics: in the same way as a virus, an idea, fashion or form of behavious can reach a threshold beyond which is produces an avalanche effect. This threshold is the Tipping point, the critical point. When this critical point is exceeded, the reaction seems to defy normal relationships of cause and effect: a small change can at this point unleash a true revolution” Ibidem.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
478
Programma della Vernice della 50. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Sogni e conflitti. La dittatura dello spettatore.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
479
L’insistenza sulla pletora di eventi e incontri che caratterizzano non solo la Vernice ma
tutta la durata della Biennale è necessaria per poter cogliere da subito la prima
caratteristica della Biennale organizzata da Francesco Bonami che si concretizza nella
proposta di una pluralità di visioni e di proposte intellettuali che mettono sullo stesso
piano tanto le mostre quanto gli eventi culturali. La Biennale non è più propriamente
chiamabile “mostra” dal momento che questo diviene uno degli aspetti fondamentali ma
non l’unico che lo costituisce.
Lo spostamento che aveva indicato Achille Bonito Oliva dall’arte alla cultura dettata dalla
convinzione che l’arte potesse contribuire alla formazione di una coscienza sul mondo
(« intendo testimoniare la capacità dell’arte di essere indispensabile ».3) è qui, sulla scorta
anche dell’esperienza di documenta 11, pienamente compiuta. La Biennale diventa un
luogo ove si svolgono visivamente e verbalmente proposizioni volte a interrogare la realtà
contemporanea con lo scopo di stimolare nel visitatore una personale elaborazione di
senso « Incoraggiando molteplici visioni del mondo possiamo ridurre l’influenza esercitata
dalle visioni egemoniche pre-confezionate che ci vengono imposte ».4
Fra le molteplici mostre che vengono presentate l’attenzione ricade particolarmente su
quelle curate da Francesco Bonami negli spazi della Biennale dei Giardini e dell’ Arsenale,
anche se è importante sottolineare che dall’esame degli articoli, sia di reportage che critici,
la percezione della mostra e la sua fruizione è avvenuta all’interno del complesso
presentato. Infatti le mostre curate da Bonami non hanno avuto maggiore attenzione di
altre. Certamente, rispetto alla mostra di Punti Cardinali dell’Arte, il fatto di averle tutte
raccolte negli spazi dell’Arsenale le ha fatte percepire come una proposta organica,
rendendo vincente quindi la scelta di allargare gli spazi identificati direttamente con la
Biennale attuatasi nel 1999. La dispersione delle mostre di Punti Cardinali dell’Arte nel
tessuto urbano ha sicuramente minato la percezione di un complesso unitario, che di
contro invece il passaggio di mostra in mostra all’Arsenale ha certamente agevolato.
Il padiglione centrale dedicato oramai alla mostra internazionale è interamente occupato
dalla mostra curata da Francesco Bonami e Daniel Birnbaum Ritardi e Rivoluzioni. Fra tutte
le mostre questa è probabilmente quella che maggiormente manifesta l’idea complessiva
della Biennale dal momento che ospita nell’esedra del padiglione, che come già visto nelle
precedenti analisi viene sempre immaginata come premessa teorica a tutto il percorso,
l’opera di David Hammons Praying to safety (1997) che Bonami mette in contrapposizione
3 Achille Bonito Oliva, op.cit., catalogo della mostra, 1993, p. XLI 4 Francesco Bonami, “Ho un sogno”, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di) 50.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia. Sogni e conflitti. La dittatura dello spettatore, catalogo della mostra, Marsilio, Venezia, 2003, p. XXIII.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
480
alle pietre di basalto di Joseph Beuys dell’edizione precedente. L’installazione si compone
di due statue thailandesi in preghiera l’una di fronte all’altra fra le quali pende una spilla da
balia. Per Bonami la mostra è il simbolo della generazione di curatori a cui appartiene che
vivono la complessità della realtà e devono poterla assumere articolandola nella
molteplicità e diversità di idee.
Dopo l’opera di Hammons si apre la grande sala del padiglione Centrale con diverse
installazioni. Sopra tutte campeggia il murale di Lucy McKenzie che riporta suoni di
sorpresa, di piacere o stupore tramite i suoi “Mmm! Ohh! Ahh”. Il murale sembra il fumetto
del pensiero del visitatore che s’imbatte nelle opere e ne cerca un contatto ed una
comprensione. Al centro della sala la pensilina dell’autobus di Gil Carmit. La pensilina è
senza stanzi ma anche senza strada e senza autobus. Decontestualizzata al centro della
sala del padiglione è un invito a essere percorsa, un invito a porsi nell’attesa di un
“autobus” che passerà. Alle pareti anche l’opera di Cady Noland e quella di Thomas Bayrle
che all’inizio sarebbe dovuto essere presente con una grande installazione all’esterno del
padiglione in compagnia di Isa Genzhe, che corona il padiglione con le sue canne di
bambù-capelli e il cartello di Sam Durant “Like, Man. I’m Tired of waiting” (2002). La sala
complessivamente si articola intorno ai temi suggeriti dalla statua di Hammons all’entrata:
la quotidianeità, suggerita dalla spilla da balia, è evocata in tutte le opere esposte,
attraverso elementi comuni, o immediatamente riconoscibili, come nel caso anche
dell’installazione di Rivane Neuenschwander, Globos (2003) in cui palloni di tutte le
dimensioni sono dipinti con i colori delle bandiere di diversi paesi. Le famigliarità degli
oggetti comuni, che riconosciamo immediatamente sono però sempre cambiati in scala (si
pensi al murale di suoni appena sussurrati, o un pallone grandissimo “incalciabile”) o
riposizionati (la pensilina del bus) che cambiano la nostra percezione delle cose aprendo,
parafrasando le parole di Bonami, a nuove visioni sul mondo permettendoci di accedere a
quella tensione creativa tra il nostro spirito e l’utopica sicurezza della nostra vita
quotidiana.5
Il soppalco, nuovamente accessibile anche dalla sala principale, è dedicato interamente
alle serie dei cowboy di Richard Prince. La serie che riprende cowboy della campagna
pubblicitaria della Malboro mette in discussione, tra finzione e realtà, l’idea comunicata in
quelle immagini della libertà, del rapporto con la natura e del valore umano.
L’ingrandimento dell’immagine che si associano ad una pubblicità rivelano, quando
lasciate alla contemplazione, la finzione e l’ideale proiettato.
5 Francesco Bonami, Idem, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di) op.cit., catalogo della mostra, 2003, p. XXIII.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
481
La maggior parte delle stanze, come nel caso di Prince sono trattate come entità
autonome, come stanze conchiuse entro cui si entra in comunicazione direttamente con
l’opera. Le stanze, tranne nel caso del salone centrale come visto, sono stante singole e
autonome. Raramente - come nel caso di Helen Gallager e Charles Ray oppure nel caso di
Kaier e Carol Rama o Gmelin e Shvilly – se non a causa delle ridotte dimensioni delle loro
opere, gli artisti vengono accoppiati. Rispetto alle piante parziali di allestimento rinvenute
infatti, le variazioni apportate al dislocamento delle opere è molto alto. Soltanto opere di
notevoli dimensioni come l’installazione di Orozco (Sombra entre aros de aire, 2003) che
riprende ricontestualizzandola la copertura esterna del Giardino Scarpa all’interno e che
quindi necessita di una vicinanza di senso con il giardino, e la posizione di Cartsen Holler,
con la sua spirale luminosa difficilmente collocabile in altre stanze, oppure opere che
vengono pensate in comunicazione fra loro - dal momento che innescano un continuo di
rimandi fra l’esterno fisico e paesaggistico e l’interno psicologico e come landa di pensieri,
emozioni e ricordi - come nel caso del seminterrato con i video di Warhol (Outer and inner
space, 1965) e le opere di Amit Gober (Map/Mappa, 2003) non subiscono la sorte di essere
spostate. Confrontando, infatti, le immagini dell’allestimento con le piante rinvenute
all’Asac è stato necessario ricollocare quindi gran parte delle opere nelle sale che si
dispiegano a destra dell’edificio.
L’allestimento essendo il padiglione centrale strutturato per stanze bianche che
suggeriscono un allestimento white cube viene articolato appunto per spazi singoli
pertando vengono ospitate per lo più opere installative che possano confrontarsi con la
volumetria della stanza, come nel caso delle installazioni di Goren, Jennifer Pastor o del già
citato Carstern Holler, oppure di opere che hanno bisogno di uno spazio chiuso
totalmente dedicato per poter sussistere, come nel caso delle installazioni di Rudolf
Stingel, di Shirana Shabazi che tappezza con la sua carta da parati con volti di donna e
orchidee una stanza intera o di Peter Fischli e David Weiss che vicino a un piccolo lettino
nella penombra proiettano su tutte le pareti domande esistenziali in tutte le lingue. Da
una parte e dall’altra dell’opera del duo svizzero si trovano le stanze di Matthew Barney e
Damien Hirst che articolano un dialogo virtuale fra le due opere. Entrambi utilizzano il
concetto dell’esposizione del reperto o elemento scientifico utilizzando fredde vetrine di
vetro - Hirst ingigantisce il concetto di vetrinetta medica, mentre Barney moltiplica gli
espositori botanici o di reperti come libri antichi e documenti- per mettervi al loro interno
elementi che ne interrogano il significato. Barney vi inserisce i suoi disegni della serie
Drawing Restraint circondati da muschi e licheni che sembrano moltiplicarsi e invadere gli
spazi circostanti fino a colonizzare i lucernai del padiglione, mentre Hirst vi colloca
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
482
ordinatamente migliaia di pillole di tutti i generi per poi chiamare la sua opera Standing
alone on the precipice overlooking the arctic watelans of pure terror (1999-2000). Fra le
opere che segnano di più l’allestimento generale è l’opera di Franz Ackermann (The
drawing corridor with the sleeping dragon, 2001) che interviene in una stanza con un solo
accesso per cui non in un luogo di passaggio, ma la forte luce proveniente da un elemento
che pende dal soffitto come un lampadario ma costituito da una forma globulare con
numerose lacerazioni dalla quale esce questo fascio di luce, fanno si che l’opera si veda in
prospettiva da tutte le stanze in fila rispetto a quella. Un aspetto insolito considerando che
ogni stanza è concepita quasi fosse un mondo a se stante.
Opere che partono dalla quotidianità o elementi semplici di una vita comuni per poi aprire
all’utopia e al sogno che viene interrogato spesso anche criticamente sono al centro della
creazione di molte opere presenti in questa mostra di cui ricordo ad esempio quella di
James Marshall o la grande installazione di Tobias Rehberger (9 ends of the world, 2003).
Nonostante Francesco Bonami dedichi alla pittura una mostra a se stante presso gli spazi
del Museo Correr sono presenti anche due pittori fra loro molto diversi Piotr Janas e Glenn
Brown.
I Giardini inoltre sono animati da molte installazioni. Innanzitutto da segnalare l’entrata ai
Giardini che è caratterizzata dai grandi tubi di cemento creati da Arche e associati come
elemento di riconoscimento della Biennale ma anche come passaggio obbligato per
entrare alla Biennale. Il progetto non è semplicemente l’intervento di miglioria dei servizi
di biglietteria o di marketing, ma vuole essere un passaggio metaforico ad un luogo di
elaborazione culturale. Questo intervento è molto importante dal punto di vista teorico
perché rinsalda il progetto della 50esima Biennale di essere soprattutto luogo ove poter
veder il mondo con “gli occhi dell’arte”.6 I viali sono contrappuntati da uno dei progetti di
Interludes, che s’inframmezzano fra le mostre e sono distribuite intorno alla città. Il
progetto di Stateless Nation (2003) di Sandi Hilal e Alessandro Petti aveva creato non poco
scompiglio nella stampa perché percepito come un padiglione palestinese e si colloca
lungo i viali che portano ai padiglioni questionando il concetto di nazione e di
appartenenza ad esso in un mondo globalizzato.
Fra i grandi passaporti di questa installazione si muove il triciclo telecomandato guidato da
un fantoccio (Charlie, 2003) con il volto di Maurizio Cattelan che quest’anno si presenta
con un’opera ironica e meno dirompente rispetto alla criticata Nona ora del 2001.
6 “Cosa sta tentando di offrire allo spettatore questa Biennale? Noi speriamo che Sogni e conflitti. La dittatura dello spettatore sia al visitatore l’opportunità di capire più profondamente qual’è la dedizione degli artisti alla propria arte e qual è la loro visione del mondo – il loro modo di vedere il mondo attraverso gli occhi dell’arte”. Francesco Bonami, Idem, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, p, XXIII.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
483
Sempre ai Giardini inoltre si trova la piattaforma progettata da un altro gruppo di architetti
italiani, gli A12, per la Zona di Massimiliano Gioni, una mostra pensata come un padiglione
temporaneo che possa “viaggiare” proponendo quindi un alternativa alla staticità delle
costruzioni limitrofe. La piattaforma della zona presenta anche una struttura chiusa ove si
trovano esposte le grandi sfere di Patrick Tuttofuoco, le tele di Alessandra Ariatti, l’opera di
Micol Assael e i video di Piego Perrone e Anna de Manincor con Zimmerfrei.
All’Arsenale si svolgono invece tutte le mostre dei curatori chiamati ad interpretare le
istanze poste da Francesco Bonami. Scorrendo le proposte fatte è possibile però
individuare una tendenza preponderante nel considerare soprattutto “i sogni e i conflitti”
piuttosto che “la dittatura dello spettatore” aspetto che appare più una speranza di
Bonami che il visitatore possa “essere stimolata a osservare il mondo attraverso ciò che la
ispira” piuttosto che un punto critico sviluppato attraverso la sua Biennale.
Le mostre all’Arsenale presentate da Bonami Clandestini, Gilane Tawadros (Smottamenti),
Igor Zabel (Sistemi Individuali), Hou Hanry (Z.O.U./Zona d’Urgenza), Carlos Basualdo
(Struttura della crisi), Catherine David (Rappresentazioni Arabe Contemporanee), Gabriel
Orozco (Il Quotidiano Alterato) presentano nonostante la diversità nel trattare
l’allestimento appaiono come fortemente collegate fra di loro. Nonostante fosse stata
lasciata loro una ampia libertà d’azione è possibile quasi rilevare una weltanschaunng del
2003 caratterizzata da una conquistata coscienza critica sia nei confronti del dispositivo
espositivo, si veda ad esempio la grande cura della disposizione delle opere dimostrata dai
documenti trovati in Archivio di Hou Hanru 7 oppure le riflessioni sulla funzione
dell’allestimento di Carlos Basualdo8 o ancora l’uso del videorarum da parte di Catherine
David,9 sia nei confronti della condizione contemporanea provata dalle conseguenze della
globalizzazione e dai conflitti mondiali acuitisi all’indomani dell’11 settembre.
Fra le mostre dell’Arsenale merita una maggiore attenzione quella di Stazione Utopia
curata da Hans-Ulrich Obrist, Molly Nesbit e Rirkrit Tiravanija che rappresenta il punto più
vitale di tutta la proposta della 50esima Biennale.
7 La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 4973. 8 Carlos Basualdo “La mostra tenta di pensare di sviluppare una geografica complessa dove la geografia è determinata tra i rapporti fra opere. […] Collaborazione con Vasa e Mattia (Bevk and Perovic architects) molto importante. L’atto estetico è un atto di affermazione. In questo atto si crea qualcosa e qualcuno.” La struttura della crisi, incontro con Carlos Basualdo,12 giugno 2003, 99 Idee tranne una. 9 Le rappresentazioni arabe proposte da Catherine David scorrono sugli schermi allestiti nella sezione delle Artiglierie dedicatagli. “Il progetto vuole affrontare situazioni e contesti eterogenei spesso contrastanti o conflittuali per acquisire una conoscenza più specifica di ciò che succede nela varie regioni del mondo arabo per esaminare le dimensioni complesse dell’estetica in relazione alle situazioni sociali e politiche” Catherine David, “Rappresentazioni Arabe Contemporanee” in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, p. 292.
SEZIONE II – ANALISI DELLA MOSTRA - 2003
484
L’esposizione è concepita pienamente come una piattaforma d’incontro, soprannominata
“stazione” perché è intesa essere un luogo di passaggio a cui si arriva ma da cui quindi si
diparte (in senso sia fisico che figurato). Il progetto riflette intorno al concetto di utopia, sia
essa realizzabile o meno, e invita ben 104 artisti a collaborare. La “stazione” è ideata
secondo un traffico sostenuto per cui ogni giorno ci sono proiezioni, performance,
dibattiti, incontri oltre che una serie di interventi para-architettonici da parte di un una
ventina di artisti. L’allestimento infatti è parte integrante della mostra, come dimostra la
pianta cui pubblicata,10 pertanto le parti strutturali vendono disegnate da Yung Ho Chang,
Philippe Parreno, Liam Gillick mentre intorno si distribuiscono lavori di Michelangelo
Pistoletto (Love Difference 2003), Roman Ondak (Virtual Museum of Contemporary Art,
2003) e molti altri, gli schermi su cui vengono trasmessi video di artisti fra cui Jonas Mekas,
Nico Dockx, Yang Fudong. All’esterno delle tese inoltre si dispiegano altrettante strutture e
installazioni come Anarchy Flag di Luca Vitone o Bilboardhouse di Alicia Framis.
Parallelamente si svolge poi la “call” per i poster. I curatori commissionano inoltre a
moltissimi artisti dei poster che siano dedicati al tema dell’Utopia e poi vengono affissi
tanto nell’area dedicatagli di Stazione Utopia quanto nella città come veri e propri
manifesti pubblicitari.
10 La Biennale di Venezia, ASAC, F.S.dep., busta n. 4972.
Pianta dell’allestimento con le indicazioni di tutti gli interventi per Stazione Utopia, datata aprile (ca.) 2003.
SEZIONE II – FRANCESCO BONAMI - 2003
491
Francesco Bonami: i l curatore non-più-guru
Il titolo della 50esima Biennale di Venezia indica immediatamente i due cardini entro cui
Francesco Bonami intende muovere l’esposizione: Sogni e Conflitti.
Da una parte i “sogni” che spingono l’uomo alla conquista di libertà, diritti, idee e dall’altra
i “conflitti” che vengono mossi dallo scontro fra sogni diversi. Dice, infatti, Bonami in
apertura di catalogo facendo proprio il “sogno” di Martin Luther King nel discorso
pronunciato il 28 agosto 1963: « La storia è un infinito flusso di sogni generati da conflitti,
come purtroppo l’infinito flusso di conflitti è la tragica conseguenza di sogni irrealizzati ».1
E’ in questa dinamica che egli colloca e intende la mostra « il nostro tentativo di rispondere
a essi (conflitti) è il soggetto stesso delle mostre e dell’arte ».2 Alla produzione artistica egli
quindi affida il compito di alimentare, sostenere e produrre sogni per un mondo migliore e
alla mostra il compito di dispiegarne il senso. Bonami colloca l’arte nell’interstizio tra
utopia e realtà, stabilendone anche la direzione vettoriale dalla realtà all’utopia.
L’indicazione quindi della freccia nella grafica della stazione utopia appare pienamente in
linea con un’idea di arte con lo sguardo rivolto “in avanti”. Una mostra che quindi intenda
esporre opere che si articolano nella direzione dell’utopia diventa una proposta alternativa
di realtà e « acquista potere nella sua funzione di terreno simbolico per soluzioni
possibili ». 3
Il progetto appare in totale consonanza con l’evento collaterale alla Biennale del 1999 in
cui presentava in un libro i sogni e le utopie di novanta artisti, che aveva curato insieme a
Hans-Ulrich Obrist dal titolo Sogni/Dreams. Il parallelismo fra le due mostre non si ferma
unicamente al titolo, infatti, Francesco Bonami riprende l’idea centrale della pubblicazione
e la sviluppa nel tentativo di dare corpo alle utopie artistiche cosa che può accadere
soltanto in collaborazione con chi le ha prodotte. Inoltre in quell’occasione avrà modo di
riflettere sul modo in cui Venezia sia di per sé la città che più di ogni altra esprime la realtà
1 Francesco Bonami, “Ho un sogno”, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, p. XXI. 2 Francesco Bonami, Ibidem. 3 Francesco Bonami, Ibidem.
SEZIONE II – FRANCESCO BONAMI - 2003
492
dei sogni.4 Va notato che durante i dieci anni che intercorrono dalla sua collaborazione in
Aperto ’93 a questa edizione, tutti gli anni, tranne nel 2001, sarà presente con un progetto
in occasione della Biennale, dimostrando quindi di conoscere da vicino l’istituzione e le sue
possibilità di sviluppo.5
Di per sé quindi la mostra della 50esima Biennale assume una “forma” utopica ma in due
sensi: da un lato raccorda opere d’arte la cui sostanza sono i sogni generati dai conflitti, e
non viceversa come nella realtà, dall’altro è uno spazio utopico perché fondamentalmente
irrealizzabile, è un’eterotopia cosciente e programmatica.
Per descrivere questa particolare condizione di una mostra che guardi al mondo ma che ne
stia allo stesso tempo fuori, Francesco Bonami usa un neologismo formata dall’unione di
globalizzazione e romanticismo: Glomanticismo.
Lo scopo della mostra, ed in particolare delle mostre che come la Biennale, è di
documentare la situazione dell’arte contemporanea, prevedendo un rassegna sullo stato
dell’arte contemporanea a livello globale. Bonami cerca di contrapporre a questa formula
“fredda” di mostra globale, organizzata come una mappa, una mostra che guardi alla
globalizzazione attraverso « una nuova rete di espressioni culturali, meno dogmatiche e
più spirituali ». Il tema della globalizzazione è, infatti, un punto centrale ed è affrontato
secondo due punti di vista, che ricalcano uno schema di pensiero, come vedremo, molto
caro a Bonami. Da una parte la globalizzazione è considerata come argomento d’indagine
« caratterizzata da un’informazione sconfinata, producendo un’ingannevole vicinanza
dell’altro », un contatto stretto con l’alterità che comporta però anche la scomparsa
dell’individualità e dell’unicità, a cui molti artisti reagiscono fornendo nuove visioni della
coscienza interiore. Queste « risposte artistiche » sono però strutturate secondo « visioni
multiple » articolate in « orizzonti individuali » facendo del momento espositivo una
mostra complessa, fatta di tante complessità.
Di qui il secondo versante con cui viene trattata la globalizzazione: come struttura
formante della mostra.
4 “Sogni/Dreams è un progetto strettamente legato alla futura nuova sede cittadina della Fondazione (Sandretto Re Rebaudengo). Questo rispecchia una compenetrazione tra ciò che la Fondazione rappresenta e il pensiero degli artisti: iniziare con i sogni significa non solo sfidare l’utopia in momento in cui questo sembra essere tabù, ma significa anche e soprattutto ascoltare gli artisti. […] E’ statastata scelta Venezia perché più di ogni altra città esprime la realtà dei sogni. E’ una citta che vuole sopravvivere trasformando il passato in una proposta per il futuro, la nostalgia in necessità, il tempo in attività” Sogni/Dreams in Harald Szeemann (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1999, p. 288. 5 Elenco degli eventi curati da Francesco Bonami nel decennio 1993-2003: partecipa alla Biennale del 1993 curando la sezione di Aperto’93 Il semplice scambi; nel 1995 cura una mostra presso gli spazi dell’Arsenale dal titolo Campo, che rispecchia parzialmente il progetto di Aperto ’95 che egli aveva presentato a Jean Clair; nel 1997 partecipa con un testo in catalogo alla Biennale di Germano Celant; 1999 cura, insieme a Hans-Ulrich Obrist, l’evento collaterale Sogni/Dreams.
SEZIONE II – FRANCESCO BONAMI - 2003
493
Bonami, infatti, intendere « rendere questo nuovo panorama » tramite « una polifonia di
voci e di idee, evitando la tentazione di ridurle ad un assolo ». Per questo motivo egli
chiama undici curatori per « realizzare le loro visioni » lasciandogli l’autonomia operativa e
ideativa: Carlos Basualdo, Daniel Birnbaum, Catherine David, Massimiliano Gioni, Hou
Hanru, Molly Nesbit, Hans Ulrich Obrist, Gabriel Orozco, Gilane Tawadros, Rirkrit Tiravanija
e Igor Zabel. Egli sottolinea come non abbia scelto i curatori secondo indicazioni
geografiche appunto perché non gli interessa la « mappa dell’arte contemporanea » ma
seguendo il criterio della « visione individuale ». Per cui ciascuno è stato incaricato di
« definire il proprio punto di vista all’interno di una porzione o regione della mostra ».
Un atteggiamento fortemente collaborativo che lascia ampio spazio d’azione ai curatori.
Nel 2003 la formula della collaborazione fra curatori è già ampiamente testata, sia nella
storia specifica della Biennale, come è il caso della Biennale del 1993 di Bonito Oliva, che
nella documenta 11 guidata da Okwui Enwezor affiancato da altri cinque curatori.
Entrambi però, sia Bonito Oliva che Enwezor, affermano ultimamente la propria
responsabilità e proprietà intellettuale sulla mostra da loro ideata. Bonami, di contro, cerca
di puntualizzare come i curatori delle varie sezioni fossero indipendenti e che la proposta
curatoriale che viene da loro realizzata, sia una « propria interfaccia personale ».6
Uno degli scopi, senz’altro riusciti, di Bonami è stato quello di pensare al suo progetto di
Biennale guardandosi indietro e considerando il contesto entro cui operare. La Biennale
egli la considera innanzitutto storicamente. Pertanto se l’esposizione « assume la funzione
di terreno simbolico per soluzioni possibili » la Biennale stessa è la porzione di realtà, il sito,
entro cui la mostra prende vita. Gettando lo sguardo indietro fino ai giorni in cui la
Biennale veniva fondata da Riccardo Selvatico, Bonami raccoglie il sogno del suo ideatore,
un sogno di futuro per la città di Venezia che versava allora in una condizione di
arretramento.
“Nel creare la Biennale di Venezia, Selvatico gettò i semi di un eterno conflitto tra passato e futuro, tra la Venezia del passato e quella del futuro Anche i DNA de la Biennale portava in
sé il proprio sogno e il proprio conflitto, nello scontro tra utopia e realtà. Il sogno consisteva nel fatto che le arti potevano rappresentare un linguaggio universale. Ma nei
padiglioni nazionali questo linguaggio comune veniva frantumato dai conflitti che caratterizzavano un mondo ancora diviso in nazioni alla ricerca della propria identità e del
proprio dominio. La Biennale simboleggia dunque il mondo moderno con le sue contraddizioni e la sua progressiva frammentazione in sempre più nazioni e identità.” 7
Francesco Bonami, “Ho un sogno”, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, p. XXII.
Francesco Bonami, “Ho un sogno”, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, p. XXI.
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Pertanto anche la sua struttura per nazioni non viene messa in discussione come tale ma
presa a modello di “sogno e conflitto” entro cui si animano altrettanti “sogni e conflitti” di
tutte le nazioni partecipanti. In questo senso egli valorizza quanto già aveva tentato di fare
Bonito Oliva nel ’93 ma invece di proporre la transnazionalità come modalità operativa,
individua nella singolarità delle nazioni ulteriori terreni di esplicitazione della condizione
stessa di una mostra - di essere un terreno simbolico di soluzioni possibili - e dell’arte - di
proporre visioni e soluzioni per la realtà entro cui s’inscrive.
Entro questo progetto di arte e di mostra anche il ruolo del curatore viene diversamente
articolato. Egli tenta di fare un passo indietro e la figura a cui egli si contrappone
direttamente è quella di Harald Szeemann.
Nel tentativo di contestualizzare la propria edizione Bonami sceglie di ripartire proprio da
quella che lo precede. Se, come illustrato nei capitoli precedenti, tutti i direttori del settore
arti visive hanno cercato di proporre una mostra che fosse innanzitutto diversa da quella
precedente, Bonami non si discosta da questa pratica fino al punto di identificare nella
contrapposizione con Szeemann un modus operandi nuovo. L’intento di questo confronto
nasce dal desiderio di segnare la fine della dell’epoca del Grande Curatore inteso come
epoca della visione della mostra costituita da un singolo punto di vista di un
curatore/autore. La mostra non vuole più essere uno « sguardo di egemonia del curatore
ma un ambiente in cui diversi sguardi entrano in contraddizione creando l’opportunità e il
bisogno di una continua trasformazione ».8
Nel testo del catalogo Bonami rimarca questo aspetto più volte esplicitando i due termini
del discorso espositivo di Szeemann in Platea dell’Umanità ed i propri in Sogni e Conflitti.
L’apertura e la chiusura della mostra del curatore svizzero che venivano simboleggiati
rispettivamente dall’opera di Joseph Beuys e da quella di Richard Serra indicano, secondo
quanto indicato da Szeemann stesso, una concezione della mostra e dell’arte come capace
di trasformare la nostra identità spirituale. A questa idea Bonami contrappone l’inizio,
segnato dall’opera di David Hammons costituita anch’essa di una pietra di Basalto ma
contrapposta alla spilla, che riconduce alla piccola quotidianità e alla fine con Stazione
Utopia che indica un transito e pertanto non può essere concepita come una chiusura vera
e propria. La proposta espositiva di Bonami è quindi da intendersi come un transito, aperto
e da attraversare, dal momento che l’arte come la realtà è in continuo cambiamento e
costituita da un flusso continuo di “sogni e conflitti”. La strategia perseguita nel catalogo di
partire dall’opera per enunziare l’impostazione della mostra e il proprio pensiero non
8 Francesco Bonami, “Ho un sogno”, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, p. XII.
SEZIONE II – FRANCESCO BONAMI - 2003
495
nasce solo da una ripresa della strategia retorica di Szeemann usata a rovescio come in
uno specchio, ma trova consonanza anche in altri cataloghi. In Italics, ad esempio, utilizza
le sei opere che aprono la mostra (la fontana autoritratto di Alighiero Boetti, roccia di Gino
de Dominicis, nove corpi sotto lenzuolo di Maurizio Cattelan, le teste mozzate del video di
Yervent Gianikian e Angela Ricci Lucchi, la fontana di Marisa Merz e l’Italia d’oro a testa in
giù di Luciano Fabbro)9 per illustrare il tema della mostra. Questo ricorrente modo di
procedere che si riscontra anche in altri cataloghi permette pienamente di considerare
l’esedra del padiglione Centrale ancora una volta la stanza “manifesto” del curatore.
Se nel testo del catalogo però il curatore fiorentino sostiene che la distanza da Szeemann
avviene soprattutto grazie alla sua proposta di una mostra aperta è nella pratica che
questo avviene più che nella teoria. Nella pratica, infatti, egli organizza un’edizione ricca di
appuntamenti, mostre e eventi in cui lui non propone una sua visione diretta ma permette
ai vari protagonisti di essere tali e di proporre la propria visione. In teoria invece
l’introduzione dell’idea della “dittatura dello spettatore” lo avvicina più di quanto lui non
voglia alla figura del curatore svizzero.
Ma perché Bonami ritiene Szeemann l’uomo da cui distanziarsi? Come osserva Stefano
Chiodi « L’esposizione diviene con Szeemann un vero e proprio dispositivo in cui ogni
elemento – le opere l’ambiente di esposizione, i vari livelli di comunicazione visiva e
testuale che vi si intrecciano, il contesto discorsivo, le eredità storiche e l’ambito
geopolitico entro cui la mostra di colloca e rispetto ai quali reagisce – viene posto in
relazione con un disegno al tempo stesso altamente personale e criticamente
produttivo ».10 In altre parole Szeemann rappresenta la direzione unica e autoritaria della
mostra rispetto alla quale Bonami propone invece una circolarità a-gerachica fra arte e
società, fra opere e fruitore, fra curatore e artisti. Inoltre simbolicamente Szeemann
rappresenta della storia delle mostre contemporanee e il primo curatore per cui ponendosi
in diretto confronto compie il parricidio che gli permette di inaugurare una nuova era.
Anche se anche in altre occasioni Bonami cerca di porre le distanze fra alcuni grandi storici
critici per posizionare il proprio pensiero, così ad esempio accade con Carlo Giulio Argan11
9 Curiosamente Bonami parla delle opere descrivendole senza però metterne il titolo. In accordo con questa impostazione si è qui citato le opere con brevi tratti descrittivi. Francesco Bonami, (a cura di) Francesco Bonami Italics, Arte Italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008, Electa, Milano, 2009.10 Stefano Chiodi, prefazione, in Pietro Rigolo, Immergersi nel luogo prescelto. Harald Szeemann a Locarno 1978-2000, doppiozero.com, 2013, p. 3. 11 “Secondo il grande storico dell’arte Giulio Carlo Argan, le opere che fanno la storia dell’arte non sono belle o brutte, ma “giuste”. Dipende da cosa si intende per “giusto” A mio parere un’opera d’arte è giusta se fa giustizia dei tempi in cui vive, se riflette in qualche modo la realtà che la circonda. Ma credo che Argan intendesse qualcosa di diverso. Giusta per lui era un’opera concepita secondo certi criteri, certi parametri, certe direttive e forse all’interno di certe ideologie…. Il netto confine morale e politico tracciato da Argan fra arte “giusta” e arte “sbagliata” ha creato un’anomalia italiana responsabile dell’esclusione di molti artisti che per un motivo o per
SEZIONE II – FRANCESCO BONAMI - 2003
496
o anche ai più prossimi Achille Bonito Oliva e Germano Celant,12 Harald Szeemann
veramente incarna il curatore e il suo mito. Proprio nel 2003 Szeemann, ormai anziano, con
l’aiuto di Tobias Bezzola comincia a redigere With by through because towards despite che
avrebbe raccolto sinteticamente tutte le mostre da lui realizzate.13 Un aspetto questo che,
come osserva Pietro Rigolo fa parte del suo progetto di « auto-rappresentazione ed in
generale alla costruzione del proprio personaggio e del proprio mito attraverso la
formulazione di alcuni concetti astratti quali Agentur fu ̈r geistige Gastarbeit e Museum der
Obsessionen ».14
Pertanto discostarsi da Szeemann significa per lo più discostarsi dalla figura di un curatore
guru o sciamano. L’interesse per una profonda comprensione del ruolo del curatore è
esplicitato più volte nei cataloghi ove cerca più volte di problematizzarlo. A distanza di
qualche anno dalla Biennale avrà modo di trovare una definizione « Il curatore […] non è
uno storico dell’arte né un critico ma un esploratore, un antropologo, un archeologo del
presente un astronomo che studia una galassia semisconosciuta ».15
L’espressione che egli aggiunge acanto al titolo “dittatura dello spettatore”, che gli
crescerà non poche critiche in particolare per l’uso della parola “dittatura”, in realtà non
appare ben argomentata e nella mostra – come analizzato nella sezione precedente – non
viene accolta praticamente in nessuna delle mostre elaborate da lui e dagli altri curatori.
L’espressione rivela piuttosto il desiderio di Bonami, rivelatore in questo senso l’uso del
condizionale nella sua definizione - di vedere al centro della mostra un visitatore attivo,
critico e produttivo:
“Lo spettatore dovrebbe essere il dittatore della propria esperienza, del proprio sguardo e
del proprio tempo. In quanto Grande Mostra, La Biennale offre allo sguardo dello spettatore e alla sua immaginazione la visione di un mondo complesso, trasformato dallo
sguardo e dall’immaginazione degli artisti. […] noi speriamo che Sogni e conflitti. La dittatura dello spettatore dia al visitatore l’opportunità di capire più profondamente qual è
la direzione degli artisti alla propria arte e qual è la loro visione del mondo […] Speriamo
un altro rimanevano fori da una delle tante famiglie” Francesco Bonami, (a cura di) Francesco Bonami Italics, Arte Italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008, Electa, Milano, 2009, p. 27. 12 “L’arte italiana ha avuto negli ultimi trent’anni dei genitori perfetti che sono la peggior iattura possa capitare a un individuo o a un gruppo di individui. La perfezione è terribile perché inattaccabile, non trasformabile, non aggiornabile, impossibile da sviluppare. Tuttavia questi artisti che oggi hanno intorno ai trent0anni, hanno trovato la forza di rifiutare la perfezione dei genitori e hanno accettato il dubbio che è la patologia inevitabile dell’arte contemporanea. Due genitori perfetti: l’Arte povera e la Transavanguardia”. Francesco Bonami, Genitori Perfetti (Mamma chi era Aldo Moro?) in Giulio Ciavoliello (a cura di), Francesco Bonami, La sabbia e il gorgoglio. Scritti 1993-2002, Silvana Editoriale, 2003, p. 69, già pubblicato in Paolo Colombo (a cura di) Fatto in Italia, catalogo della mostra, Electa, Milano 1997. 13 Tobia Bezzola e Roman Kurzmeyer (a cura di), Harald Szeemann, with by through because towards despite: Catalogue of all Exhibitions 1957-2005, Voldemeer Springer, Zurich-Wien-New York, 2007; 14 Pietro Rigolo, op. cit., 2013, p. 8. 15 Francesco Bonami, (a cura di) Francesco Bonami Italics, Arte Italiana fra tradizione e rivoluzione 1968-2008, Electa, Milano, 2009, p. 27
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che comprendendo ciò, la gente sia stimolata a osservare il mondo attraverso ciò che la
ispira. Incoraggiando molteplici visioni del mondo possiamo ridurre l’influenza esercitata dalle visioni egemoniche pre-confezionate che ci vengono imposte. […] Ognuno di noi
lotta, come nell’opera di David Hammons, per raggiungere quella tensione creativa che tra il nostro spirito e l’utopica sicurezza della nostra vita quotidiana. Ognuno di noi ha bisogno
di sognare e aspira a trasformare i propri sogni in realtà”16
Questa descrizione di del ruolo dello spettatore è in realtà molto vicina all’idea che ha
Szeemann della mostra come per percorso iniziatico.17 Anche il curatore svizzero persegue,
in particolare in Platea dell’Umanità, il suo sogno personale di realizzare una mostra che
risponda al concetto di opera d’arte totale.
Il grande sogno di Bonami è invece, questa la proposta di quest’analisi, quella di
comprendere e far comprendere il valore e l’utilità dell’arte in un mondo in cui il « suo
pubblico annuale è più o meno lo stesso di quello di un’ora di America on line ».18 Il
rapporto fra arte e realtà è fin dalla sua prima mostra in Biennale all’interno di Aperto ’93 la
sua preoccupazione principale scrive ne Il Semplice scambio :
“Regredendo qualitativamente, nel tentativo di sfuggire a una mercificazione selvaggia,
l’arte contemporanea è apparsa sì, illuminata dalla sostanza dei contenuti, ma incapace di mettere in sincrono la passione dei gesti con il ritmo delle parole. […] è necessario
semplificare nuovamente lo scambio per rimettere in sincronia la voce con i gesti.”19
In altre parole egli è alla ricerca di una comunicazione più stringente fra la realtà e l’arte, o
meglio fra i contenuti che essa comunica e il ricevente che vive secondo “altri ritmi e altre
parole”. La stessa idea di inseguire la possibilità di creare, attraverso la mostra, questo
circuito virtuoso egli la persegue nella Biennale di Santa Fè. Nel catalogo oltre ad avanzare
come metafora interpretativa quella del “kularing” e di sostenere che l’arte sia in grado di
mantenere un rapporto infinito con l’Altro20 insiste sul senso circolare della storia. Un’idea
riposta in Ritardi e Rivoluzioni e che riprende in altri scritti come The Road Around: « Ho
intitolato questa introduzione The Road Around, che potrebbe sembrare ironica per un
libro che cerca di attraversare a piedi il flusso dei linguaggi che dividono due millenni. La
strada gira intorno e non va avanti, credendo fiduciosamente che il linguaggio circolare
dell’arte contemporanea contenga ancora le informazioni per conseguire una nuova
16 Francesco Bonami, “Ho un sogno”, in Francesco Bonami e Maria Luisa Frisa (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 2003, pp. XXII-XXIII. 17 Cfr. analisi del pensiero curatoriale di Harald Szeemann in questa tesi 18 Francesco Bonami “La Strada Intorno” in Giulio Ciavoliello (a cura di), op. cit., 2003, p. 16, già pubblicato in Echoes of Art, Contemporary Art at the Age of Endless Conclusions, Monacelli Press, New York, 1997. 19 Francesco Bonami, “Il semplice scambio”, in Achille Bonito Oliva (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1993, p. 258 20 Cfr. Francesco Bonami “L’ospite è stanco” in Giulio Ciavoliello (a cura di), op. cit., 2003, pp.22-25, già pubblicato in “Atlantica International, Revista de Las Arted del Centro Atlantico de Arte Moderno, Canary Islands 1998.
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rivoluzione culturale, una rivoluzione che potrebbe bilanciare il terremoto tecnologico
che, adesso ogni minuto, minaccia di scuoterci ».21
La forza e capacità di resistenza dell’arte alla frantumazione politica e sociale22 a cui sono
invece soggette le nostre esistenze costituisce la possibilità dell’uomo di poter resistere
difronte a esse. « L’arte con la sua fisicità antica e paleo-cibernetica, sembra essere l’unico
strumento capace di proteggere il tempo e lo spazio […] l’unico posto in cui la nostra
diversità potrà crescere e trasformarsi ».23
Nel testo di Echoes Bonami insiste molto su due aspetti che mettono luce sulle premesse
della Biennale del 2003. Da un lato egli accordandosi al pensiero di Paul Virilio sostiene che
l’arte sia una forma di resistenza emancipante che permetta a chi vi riesce raggiunge « una
condizione anche più alta di quella dello sciamano; […] cercando risposte al significato
dell’esistenza. »24 Dall’altro egli parla dell’interattività in un modo che fa luce sul concetto
di Dittatura dello spettatore e avverte che l’interattività è un’apparente libertà per
l’osservatore “è inganno, che costringe ad agire coloro che desiderano soltanto assistere
all’avvenimento della rappresentazione. Essere “interattivi” significa accettare la perdita
della nostra identità e del nostro ruolo, e rinunciare alla libertà totale dell’osservazione de
della meditazione”25
In questo senso si capisce il richiamo di Bonami alla dittatura dello spettatore tramite un
discorso intorno allo sguardo e all’occhio. Interattività è illusoria e la partecipazione in
realtà vuol dire abdicare dal trono della libertà personale. In questo senso egli promulga
una dittatura - parola non altrimenti comprensibile - della necessità del singolo di agire
senza mediazioni. L’uso corrente della parola “dittatura” è talmente connotato nel senso
opposto della libertà, della quale parola è un “contrario” piuttosto che un sinonimo, non
ha permesso un’immediata comprensione di un pensiero che poteva far luce anche su un
21 Francesco Bonami, Idem in Giulio Ciavoliello (a cura di), op. cit., 2003, p. 20, già pubblicato in Echoes of Art, Contemporary Art at the Age of Endless Conclusions, Monacelli Press, New York, 1997. 22 “E’ stato solo con la caduta del Muro di Berlino, e lo sbriciolamento dell’imbalsamato sogno sovietico, che la cultura occidentale è stata costretta a ridefinire la sua direzione e la sua stessa ragione di esistere. Il progetto si è finalmente rimesso di nuovo in piedi, riunendosi allo spirito perso in quella notte del dicembre 1980 (morte di John Lennon). […] Il pianeta è stato gradualmente occidentalizzato; ma paradossalmente, attraverso l’omogenea distribuzione di modi di produzione, sia economici che creativi, la spaccatura fra le culture diverse si è allargata […] le differenze fra le persone stanno esasperando l’inganno di u “equilibrio” creato dal consumo delle stesse merci e delle manipolazioni inique, come quell’ideale morboso di una comunicazione globale creata da Internet. Attraverso la Rete infame, il mondo si illude di stare diventando più piccolo e comodo […] ogni voce, ogni volto, ogni odore e rumore spariranno lentamente dalla nostra memoria sullo schermo piatto”. Francesco Bonami, Idem in Giulio Ciavoliello (a cura di), op. cit., 2003, p. 18, già pubblicato in Echoes of Art, Contemporary Art at the Age of Endless Conclusions, Monacelli Press, New York, 1997. 23 Francesco Bonami, Ibidem. 24 Francesco Bonami, Idem in Giulio Ciavoliello (a cura di), op. cit., 2003, p. 19, già pubblicato in Echoes of Art, Contemporary Art at the Age of Endless Conclusions, Monacelli Press, New York, 1997.25 Francesco Bonami, Ibidem.
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dibattito intorno alla collaborazione, partecipazione e interazione che proprio a partire da
mostra come questa si è acceso in ambito critico.
L’interesse per lo spettatore è però a tutto tondo. Non gli interessa semplicemente chi di
arte già si occupa, ma tutti gli altri, o meglio tutti. La realtà non esclude nessuno per cui
Bonami cerca di rivolgersi unanimemente a tutti. Già nel 1997 lamentava una distanza
nella società dall’arte contemporanea che egli rivela essere « sintomo di un malessere
culturale che non promette niente di nuovo » 26 ed è probabilmente in questa luce che va
intesa la sua larga produzione negli ultimi anni di una letteratura divulgativa intorno
all’arte contemporanea. Questa dimostra soprattutto la radice del rapporto che egli
intrattiene con l’arte che avviene in termini di “ricerca di significato” convinto in fondo
della profonda utilità per l’esistenza umana. Con questa convinzione egli approccia tutti i
lettori dei suoi libri sull’arte contemporanea da Lo potevo fare anch’io (2009), a Dopo tutto
non è Brutto (2010). Con una prosa ironica e accattivante Bonami tenta di mettersi
pazientemente in contatto con l’Alberto Sordi in gita alla Biennale di Venezia con la moglie
D’altra parte, questo interesse trova una totale consonanza con le mostre che egli lungo la
sua carriera ha curato, e palesa uno sguardo del curatore rivolto per lo più alla
contemporaneità, e soprattutto alla vitalità del presente che l’arte può manifestare « Ciò
che importa è valorizzare il nostro presente in modo da dare un senso e una vitalità nuova
ai nostri gesti, alle nostre parole, alle cose e infine inevitabilmente, all’arte. Ciò che importa
è cominciare a vedere anche lontano il fumo dei camini che ritorna a salire nel cielo »27
26 Francesco Bonami, Genitori Perfetti (Mamma chi era Aldo Moro?) in Giulio Ciavoliello (a cura di), Francesco Bonami, La sabbia e il gorgoglio. Scritti 1993-2002, Silvana Editoriale, 2003, p. 70, già pubblicato in Paolo Colombo (a cura di) Fatto in Italia, catalogo della mostra, Electa, Milano 1997. 27 Francesco Bonami, Ibidem.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
503
110. Ritardi e continuità nel le pratiche esposit ive della Biennale
Da Punti Cardinali dell’Arte a Sogni e Conflitti. La dittatura dello spettatore. Dieci anni che
segnano la Biennale in maniera definitiva. Nell’arco di tempo intercorso tra il 1993 e il
2003, la Biennale cambia veste organizzativa ma soprattutto getta le basi di una
programmazione culturale che definisce la fisionomia della Biennale come la conosciamo
oggi.
Il percorso di trasformazione, come evidenziato in particolar modo attraverso le sezioni di
contesto che precedono la trattazione di ciascuna edizione, non segue una rotta lineare,
ma è piuttosto caratterizzato da sincopi e improvvise accelerate. La modalità in cui l’on.
Veltroni accelera, ad esempio, il processo di conversione da Ente Autonomo a Società di
Cultura, pur basandosi su documenti e proposte avvenute nel lungo corso degli anni dalle
precedenti amministrazioni, avviene pur sempre come una fiammata che permette però
alla nuova dirigenza, capeggiata da Paolo Baratta, di operare più direttamente e in
maniera più libera grazie ad una struttura burocratica-gestionale più snella.
Se agli inizi degli anni ’90 la Biennale è un organismo in perenne crisi strutturale incapace
di rinnovarsi e di crescere culturalmente, già ai primi anni del terzo millennio la Biennale
può cominciare a contare su una crescita costante di visitatori, risonanza e profitti.
In continuità con Harald Szeemann, il programma iniziato alle Arti Visive, la Biennale può
farlo proprio anche grazie alla permanenza della figura di Baratta in qualità di presidente,
fatta eccezione per un periodo in cui sarà Franco Bernabè prendere le redini della
Biennale. E’ certamente da sottolineare che la linea di crescita in una determinata direzione
dal punto di vista culturale è senz’altro pienamente possibile grazie a Paolo Baratta che
dapprima fa proprie alcune istanze Szeemaniane e poi le investe di tutti gli sforzi necessari
per portarle a compimento nel suo secondo mandato.
E’ appunto negli anni che vengono presi in considerazione da questo studio che troviamo
le radici metodologiche ed operative che troveranno sviluppo.
Costituendo l’anima più originaria della Biennale, le Arti Visive godono di un assoluto
primo piano all’interno delle politiche dell’Ente. Questo settore si pone tra il 1993 e il 2003
come motore di rinnovamento culturale costante capace, grazie al suo direttivo e in
seguito ai dibattiti che accompagnano le esposizioni, di avanzare proposte per il futuro.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
504
Ripercorrendo il cammino attraverso le sei edizioni della Biennale oggetto di questa
ricerca, è pertanto possibile comprendere di cosa consistano le proposte metodologiche di
ciascuna Esposizione. Una traversata lungo le sei edizioni non può che mettere in luce i
ritardi e le anticipazioni che ciascuna di esse ha apportato.
Con sorpresa, rispetto alle ipotesi inziali da cui aveva preso piede questo lavoro, la
Biennale di Bonito Oliva del 1993 si presenta come una fra le più importanti nel suggerire i
tratti distintivi di un modus.
Sinteticamente intorno alla mostra di Punti Cardinali dell’Arte va notato come sia stata per
lo più una summa del pensiero Oliviano, un’occasione per il curatore di mettere in opera
su grande scala molte delle idee testate durante la sua carriera. Nonostante sia possibile
concordare con una posizione di questo genere, proposta da certa critica, la mostra non
può essere solo considerata come una semplice somma dal momento che, usando una
metafora chimica, gli “elementi del composto” hanno reagito dando vita ad un organismo
nuovo con caratteristiche proprie, inoltre la Biennale di Bonito Oliva è rilevante non
soltanto perché innovativa, ma anche perché portatrice di intuizioni che saranno altri a
sviluppare pienamente.
Nell’analisi della ricezione critica di Punti Cardinali dell’Arte è possibile riscontrare
commenti pieni di astio e per lo più irritati, ma a intuire la radice di tanto scontento è
Vittorio Fagone che dalle pagine del Messaggero del primo luglio osserva « il mistero di
questa Biennale resta, per me, un altro: come può un critico spesso acuto e senza dubbio
geniale, che personalmente non scambierei neppure con due o tre Hughes, affiancato da
duecento commissari […] non riuscire a sfiorare neppure uno dei quattro diversi modelli di
esposizione dell’attualità artistica internazionale? » 1
Le numerose mostre, l’allestimento per dicotomie, la mescolanza di mostre, tendenze e
personalità e l’attenzione verso la produzione orientale, che in ambito italiano e di grandi
esposizioni internazionali è cominciato ad affacciarsi dopo la mostra parigina di Jean-
Huber Martin Les Magiciens de la terre, ma che non può ancora considerarsi prassi, tanto
che dell’edizione di Harald Szeemann del 1999 si avrà ancora a notare della grande
presenza di artisti cinesi, provocano nel pubblico e nella stampa un effetto destabilizzante
perché non se ne riconoscono modelli. Di questa novità della sua proposta però è conscio
Bonito Oliva che già nel catalogo sottolinea « Credo di aver fondato un modello espositivo
giocato sulle lontananze e sulla contrazione della distanza ».2
1 Vittorio Fagone “Fatti, misfatti e lampadine” in Messaggero, giovedì 1 luglio 1993, p.19. 2 catalogo p. XXXIX
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
505
Ma in cosa consistono le novità proposte da Bonito Oliva? Le caratteristiche della sua
mostra si possono dividere in due tipologie da una parte le caratteristiche aggettivanti,
quindi di una serie di aspetti che descrivono un’attitudine, e dall’altra una caratteristica
fondativa ovvero la presa di coscienza totale che il momento espositivo è un momento di
costruzione storico, interpretativo e produttore di cultura all’interno della realtà, della
società del proprio tempo.
Fra le prime caratteristiche aggettivanti c’è quella del concepire la mostra come “a
mosaico”. Questa definizione è quanto egli ha in mente fin dall’inizio. Egli parla di un
organon di mostre da subito nel consiglio direttivo, cercando di fare in modo che tutte le
declinazioni possibili intorno alla coesistenza dell’arte e del nomadismo siano espresse. Il
centro teorico della sua mostra doveva essere Venti dell’Arte che, come analizzato,
mostrava originariamente 5 sezioni, come i venti principali che raccoglievano artisti divisi
per tendenze espressive, non formali, ma raggruppati in maniera sincronica. Il mosaico che
egli concepisce è strutturato quindi per poter vedere alla fine un quadro d’insieme.
Seguendo la metafora del mosaico quindi, tecnicamente la mostra Punti cardinali dell’arte
rimane orfana della parte centrale, quella da cui si sarebbe potuto capire il soggetto del
disegno, stando alla metafora. Quella che appare come una sventura dovuta ai tagli per
mancanza di budget e legati alla lievitazione dei costi in corso di organizzazione che non
permetterebbe di cogliere nel complesso l’idea della mostra di Bonito Oliva di fatto
costituisce la fortuna della mostra che si rivela molto più contemporanea. In effetti rimane
difficile collocare Passaggio a Oriente e comprendere la mostra Punti cardinali dell’arte
senza avere in mente la mostra cancellata non solo nel senso della mancanza di maestri
storici e pezzi di provenienza museale, ma perché focalizzata su aspetti della
contemporaneity che si pongono al di là del 1989 tentando una ricostruzione a partire dal
presente senza imbrigliarsi in tematiche specifiche. Come notato anche nell’analisi della
mostra, la mancanza di Venti dell’Arte di fatto sposta l’asse della mostra dal nomadismo,
che originariamente era la tematica dominante a quella della coesistenza, nelle due
accezioni di coesistenza di tendenze artistiche, di nazionalità e di interpretazioni diverse.
L’affondo sulla contemporaneità riesce a Bonito Oliva proprio in virtù dell’assenza di Venti
dell’Arte, seppure fosse una mostra di grande interesse critico, invera e attua gli intenti
dichiarati secondo cui « il progetto rivendica la capacità della cultura di produrre una
domanda sulla realtà contemporanea».3
E’ questo atteggiamento di fondo a caratterizzare la struttura musiva. Mettere insieme
mostre diverse risponde alla necessità di dare lettura della complessità dell’arte senza
3 Achille Bonito Oliva (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
506
imporre una lettura univoca ed unificante. Detto in altri termini, senza stabilire un tema
che determini le opere in una narrazione pre-confezionata e pre-costituita, ove le opere,
come le parole, servano a dimostrare una teoria di fondo: « Il progetto della XLV edizione
della Biennale di Venezia porta come titolo unitario Punti cardinali dell’arte proprio per
rivendicare una diversa progettualità culturale non poggiante sulla superbia unificatrice e
teorica ma piuttosto su una struttura a mosaico, tesa alla lettura della complessità
internazionale dell’arte mediante tasselli espositivi di temi, contesti e personalità
individuali della creazione artistica ».4
Seguendo le dichiarazioni di Bonito Oliva prima attraverso il materiale del consiglio
direttivo, la sua corrispondenza e i verbali degli incontri con le commissioni con cui
collabora e poi attraverso le sue dichiarazioni sui media ante e post apertura della
Biennale, è possibile rilevare una progressiva presa di coscienza delle conseguenze delle
implicazioni di una progettualità culturale tesa al confronto e alla trattazione della
contemporaneità. In questa parola, che non è Oliviana, ma che propone l’autore, per
sintetizzare che viene sussunta sia nelle parole chiave individuate per la mostra di Aperto
’93. Per cui se dapprima egli parla soprattutto di mostra a mosaico o pareggiando la
velocità dell’informazione e dei media “mostra zapping”, alla fine a parlare invece di
mostra “laboratorio”.
E’ un interessante spostamento terminologico che avviene principalmente per due motivi,
uno legato alla Biennale stessa dal momento che il concetto di laboratorio in Biennale
viene proposto come principio di cambiamento per la struttura della Biennale stessa, a
partire dagli anni ’70 e poi diverrà il principio guida di Baratta alla sua prima presidenza. Il
secondo motivo è legato al panorama delle mostre internazionali dal momento che
laboratorio diventa metafora operativa attraverso cui si strutturano alcune mostre capitali
negli anni ’90 come ad esempio quella ideata da Hans Ulrich Obrist nel 1999 Laboratorium.
Il sostantivo “laboratorio” compare già nell’atto fondativo della Biennale « Il legame tra la
Biennale e il “progetto per la città” per rendere “economicamente produttiva” la storia di
Venezia per trasformarla in un “laboratorio per la modernità”, era stata alla base dell’idea d
Selvatico che aveva lanciato l’ente nel 1895 e in generale il concetto di sperimentazione e
di ricerca è alla base delle proposte espositive post rivolta studentesca ». 5 Nei due
convegni che seguirono la contestazione Proposte per la Biennale. Una tavola rotonda, un
progetto a cui fra gli altri partecipa anche Germano Celant e Una Nuova Biennale.
Contestazioni e Proposte, si tentava di proporre nuove soluzioni per la trasformazione
4 Achille Bonito Oliva (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1993, p. XXIV. 5 Vittoria Martini, op. cit., tesi di dottorato, 2010
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
507
della Biennale a livello strutturale ed organizzativo e poi una pianificazione delle attività
dell’Ente in direzione dell’informazione, documentazione e produzione artistica. Intorno a
questi dibattiti, osserva Vittoria Martini, “ricerca” è la parola chiave indicando una tensione
verso un profondo rinnovamento, « La ricerca come oggetto dell’opera proposta oltre ogni
preoccupazione del risultato assoluto, il farsi erano diventati un metodo di lavoro in cui il
percorso diventava più importante del risultato ». 6
Rispetto agli anni 70 dove la focalizzazione è maggiore sul processo dell’opera, sul suo
farsi, negli anni ’90 ed in particolare nel caso della proposta espositiva di Punti Cardinali
dell’Arte fatta da Bonito Oliva, lo sguardo si concentra più sulle pratiche espositive come
determinanti dell’ostensività dell’opera. Il laboratorio di Bonito Oliva non è riferito
unicamente alle pratiche artistiche, ma alla mostra.
Qui si passa quindi alla caratteristica fondativa citata in apertura di capitolo. Quello che
cambia è il modo di pensare la mostra come campo di forze, come momento importante
per la produzione di senso, in cui l’arte, ma anche altri elementi, concorrono e collaborano
a questo progetto ma con un obiettivo di partire da una situazione a-gerarchica in cui
poter comprendere di più la realtà contemporanea solitamente ricondotta a categorie
ricorrenti – politica, etica, razza, identità globalizzazione - .
Come tratteggiato nel mio capitolo introduttivo con la caduta del muro di Berlino si
acuisce il senso postmodernista di non poter far riferimento ad una storia lineare fino a
stabilire una piattaforma “ground zero” da cui ripartire, da cui ricostruire.
In questo senso è possibile rintracciare un altro elemento importante della mostra di
Bonito Oliva che, solo per affermare un gergo immediatamente comprensibile per negarlo
subito dopo, è la multidisciplinareità. Questa va intesa non soltanto come coesistenza di
linguaggi artisti eterogenei in cui si utilizzano medium diversi, ma come considerazione
dell’arte alla stregua di altri linguaggi, della capacità dell’arte di produrre cultura. Già nel
75 Bonito Oliva osserva che l’arte tende ad occupare oltre allo spazio della creazione anche
quello della riflessione, nel ’93 l’arte per Bonito Oliva produce cultura ed è uno strumento
potente ed è un’assimilazione tale che spesso nel catalogo le parole “cultura” e “arte” si
confondono e si sovrappongono, partecipando congiuntamente alla produzione di
conoscoscenza. La mostra quindi come laboratorio culturale capace di produrre una
domanda sulla realtà contemporanea. In tale prospettiva l’esempio più riuscito di questo è
sicuramente Aperto.
In questo quadro è importante evidenziare la partecipazione al progetto generale della
mostra di altri “attori”: il catalogo, gli eventi e i progetti didattici. Questi ultimi tutti ridotti
6 Vittoria Martini, Ibidem.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
508
di molto rispetto alle intenzioni iniziali presentano caratteristiche importanti. Sappiamo
che testi critici nei cataloghi della Biennale compaiono per la prima volta con la Biennale
del ’68 quando si comincia a trattare la mostra come uno strumento di produzione
culturale, e di pari passo con l’evoluzione e la crescita dell’importanza della mostra nel
sistema artistico cresce anche l’importanza del catalogo quale strumento del curatore.
Bonito Oliva fa suo questo strumento invitando numerosi filosofi, intellettuali e critici a
scrivere un testo così il suo catalogo si concepisce con una grande raccolta di scritti di
autori di altissima levatura. Questo aspetto che oggi vediamo consolidato come partica
corrente, all’epoca desto’ grandissimo interesse, anche se esistono molti esempi di
cataloghi scritti con la collaborazione di intellettuali, ma l’ampia partecipazione e il fatto
che non sia una trattazione a parte ma sono inseriti mostra per mostra restituendo
l’impressione di una grande produzione culturale a cui partecipano personaggi del calibro
di Ernst Junger, Paul Virilio, Julia Kristeva, Mario Perniola, Massimo Cacciari e altri7. Gli
eventi sono anche un altro importante e ricorrente elemento nelle esposizioni che si
strutturino secondo la piattaforma, perché coincidono per lo più come azioni vive, siano
esse performance, spettacoli, dibattiti o altro in cui la presenza viva nell’hic et nunc è
garanzia di partecipazione alla contemporaneità produttiva della mostra. Fra gli eventi
che poi vengono cancellati ci sono anche dei fuochi d’artificio che dovevano partire dal
cavallo di Yannik Yu e alcuni spettacoli teatrali fra cui la performance della Cage Company.
Importanti sono per la comprensione di questo senso di operativitità (più che
sperimentale, costruttiva) i convegni che dovevano far parte della mostra. Il primo evento
viene realizzato a Venezia presso la Fondazione Cini, Produzione, circolazione e
comunicazione dell’arte, mentre l’ultimo, che avrebbe dovuto focalizzarsi sul sistema delle
mostre internazionali, viene annullato per mancanza di fondi.8
Ultimo fattore da considerare, sebbene ridimensionato per mancanza di fondi è la
progettualità didattica, in questo ambito l’azione Il più importante che Bonito Oliva riesce
a mettere in piedi fin da subito è la scuola per curatori della Biennale di Venezia, in
collaborazione con Ecole du Magasin di Grenoble - storicamente la prima scuola per
curatori attivata in Europa-, mentre non vedranno la luce i progetti relativi alle scuole e alla
didattica in Biennale.
E’ in virtù di questi interessi per documentazione, informazione e didattica che diviene
probabilmente comprensibile il grande favore raccolto da Bonito Oliva all’interno del
Consiglio direttivo, dal momento che, con risposte concrete, accoglie nel suo programma
7 Si veda nella scheda generale del 1993 la parte dedicata al catalogo in cui sono riportati gli indici dei cataloghi che riportano la lista completa degli intellettuali e critici intervenuti con contributi nel catalogo. 8 Traccia di questo convegno è presente negli eventi segnalati nella scheda generale della mostra.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
509
tutte le preoccupazioni di coloro che intendono riformare la Biennale da circa venticinque
anni.
Degna di attenzione inoltre la sua attività di collaborazione con i padiglioni nazionali. Egli
propone ai padiglioni di ospitare artisti da altri paesi o di accogliere il sempre più crescente
numero di paesi senza padiglione in casa propria. Il curatore lega questa richiesta al
discorso di trans-nazionalità che impernia questa Biennale ma di fatto pone un nuovo
livello e modello di dialogo con i padiglioni che negli anni 70 volevano abbattere.
Anche quest’ultimo è un importante seme gettato dalla mostra di Bonito Oliva poiché
permette alla Biennale di rivalutarsi da tutti i punti di vista, secondo le caratteristiche che
le sono proprie, sarà questa la chiave che risolleverà non solo le sue sorti economiche, ma
soprattutto la sua identità culturale. Infatti anche se con la riforma del ’38 la Biennale era
assurta a ruolo di guida culturale del Paese, acquisendo il nome di Esposizione
Internazionale e oggettivamente proponendosi come la porta culturale sull’Italia, in realtà
non sempre ha saputo svolgere a pieno un ruolo propulsivo dell’arte e della cultura
italiana.
Seppure quindi la struttura a mosaico non presenti un tema, lo sforzo teso “alla lettura
della complessità” si articola in così tanti diversi modi che sebbene questa mostra non sia
esplicitamente citata più di tanto, rimane un termine di paragone per le edizioni
successive.
La mancanza del tema non è di per se un primato, come nota anche Laura Poletto9 circa le
mostre di Giovanni Carandente del 1988 e del 1990 è lui a proporre una Biennale senza un
preciso taglio tematico ma questa cosa non si accompagna ad un ripensamento
strutturale. Per questo anche se la 45 Esposizione Internazionale d’arte diretta da Bonito
Oliva non può dirsi la prima ad aver abbandonato l’impostazione tematica o ad aver
proposto mostre, dibattiti e programmi -, nonostante ciò è ascrivibile nel novero delle
esposizioni che hanno segnato una svolta nella Biennale, per aver effettivamente
ripensato il fare espositivo in un modo tale che la rende riferimento importante per le altre
mostre internazionali oltre che un vero e proprio punto di non ritorno per la storia della
Biennale.
Anche Rafal Niemonieswky indica la Biennale dell’Havana dell’84 come la prima fra le
biennali a mettere in campo determinate strategie ma è negli anni ’90 che si articola in
maniera più continuata questo a metodologia espositiva che riconsidera la mostra
innanzitutto come un luogo che raccoglie e attiva una serie di processi di produzione
culturale.
9 Laura Poletto, op. cit., tesi di dottorato, 2011, p. 632
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
510
Bisogna altresì notare che fra i copiosi curatori che partecipano, a diverso titolo, alla
Biennale del ’93 tra loro sono in molti ad essere quei giovani che segneranno la
produzione espositiva internazionale da li a venire. Fra questi si ricordi Helena Kontova
che, oltre a continuare a dirigere la rivista Flash Art, fonderà la Biennale di Praga nel 2003 ,
Carolyn Christov-Bagargiev (Cage & Co) direttrice prima della Biennale di Sydney nel 2008
e poi curatrice della documenta 13 nel 2012, Nicolas Bourriaud (Aperto ’93), teorico
dell’Estetica Relazione e curatore della Tate Triennial nel 2009, Francesco Bonami (Aperto
‘93) in quegli anni redattore di Flash art international diventerà poi curatore al Whitney e lo
ricordiamo anche qui per la sua Biennale del 2003 che molto deve all’impostazione
Oliviana, Matthew Slovoter (Aperto ’93) è l’animatore di Frieze Art Fair, Lóránd Hegyi
(Coesistenza dell’arte) si occuperà anche della Biennale di Valencia nel 2003 dopo essere
stato per diversi anni direttore del museo di Saint Etienne, Angela Vettese (Cage & Co)
guiderà a Venezia la Fondazione Bevilacqua La Masa e fra i molteplici incarichi sarà anche
promotrice del Festival di Faenza dedicato alla riflessione intorno a temi particolari
dell’arte contemporanea e oggi Assessore alla Cultura del Comune di Venezia. Per Mario
Codognato (Punti dell’Arte) la Biennale del ’93 segna una delle prime esperienze
importanti della sua carriera come curatore e storico dell’arte così anche come per Chiara
Bertola, Laura Cherubini e molti altri che non è possibile citare per intero.
La mostra di Jean Clair, Identità e Alterità, d’altro canto, oltre ad aver sollevato numerose
polemiche, attua una virata molto diversa a quella di Bonito Oliva. Scelto dai consiglieri del
direttivo perché desiderosi di una rigorosa impostazione accademica, egli ha perseguito
quella linea e lo ha fatto anche oltre le aspettative. Reduce dalla grande mostra al Grand
Palais Aim du Corps continuò la sua personale riflessione sulla condizione dell’arte
moderna, senza, di fatto discutere e sussumere il ruolo della Biennale. La mostra di per sé
non comporterebbe grandi discussioni in merito, se non intorno alla sua proposizione, a
tratti revisionista, dell’arte moderna che comunque contiene punti molto interessanti
come ad esempio: quattro declinazioni diverse di astrattismo, oppure le sue associazioni
sincroniche basate su assonanze fra le opere. Un procedere in realtà non molto lontano
dall’impostazione che sembrava avesse teoricamente il criterio di raggruppamento che fa
Bonito Oliva nei suoi Venti dell’Arte e che anticipa, visivamente, alcune posizioni che
possiamo ritrovare nelle teorie sull’anacronismo esaminate da George Didi-Huberman
sulla scorta di Aby Warburg, Walter Benjamin e Carl Einstein.
Da un punto di vista di affluenza di pubblico, si può parlare di una Biennale positiva, ma è
l’impossibilità di comunicazione fra lui e la dirigenza della Biennale che consegna questa
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
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edizione al novero di quelle non riuscite. Non soltanto perché l’interazione fra il direttore e
la dirigenza permette uno scorrere più agevole dei rapporti e dell’organizzazione generale,
ma perché è stato proprio nella sinergia fra queste due entità che si sono scritte pagine
importanti della storia della Biennale. Bonito Oliva non era amato da tutti ma aveva a
cuore la Biennale e seppe rilanciare positivamente anche aspetti che destavano non poco
scompiglio, come la questione dei padiglioni nazionali, proponendo un approccio
unificante. Al di là dell’efficacia, questo determinò una clima di compartecipazione,
evidente dai verbali, quando invece gli incontri del 1995 appaiono molto più burocratici
con tratti di stizza nei confronti del direttore di settore. Inoltre la sua incapacità di prendere
posizione, almeno pubblicamente, sulla questione di Aperto fa si che il suo tentennare fino
alla fine crei ulteriori dissapori. Le ragioni per chiuderlo, non sono in realtà messe in
discussione, anche perché alla fine nessuno dei suoi successivi curatori riterrà necessario
riproporre la mostra come era strutturata, e in qualche modo anche Bonito Oliva l’edizione
prima e poi dirà Harald Szeemann che per quello che era diventata Aperto, semplicemente
una mostra per giovani artisti, non aveva più senso proporla. Bonito Oliva infatti, in
Aperto’93, aveva abolito il discorso intorno all’età e aveva stabilito delle parole chiave che
facessero da discorso unificante.
Inoltre la mancata celebrazione del Centenario, che avviene ma non secondo i desideri del
consiglio, getta una lunga linea d’ombra su tutto il periodo segnato anche da sventure
editoriali come il catalogo complessivo della Biennale che pubblicato con moltissime
inesattezze viene addirittura ritirato dal mercato.
Sembrerebbe un’annata da dimenticare. Ma gli effetti di quest’esperienza sono molto
positivi, perché rendono evidente una necessaria riconsiderazione delle modalità
espositive e sui luoghi che dovrebbero identificare la Biennale. La Biennale deve essere
identificata con i suoi luoghi storici, causa per la quale Clair si batterà anche durante la
questione della Fondazione di un museo nei Giardini. Questi aspetti concorrono a radicare
l’idea che la Biennale è Venezia ma soprattutto i Giardini e Arsenale.
Quindi il problema di Clair non è, come molti hanno sottolineato la mostra storica di per sé
che era stata una prassi per la Biennale, piuttosto è stata questa poca volontà di
comprendere un’istituzione come la Biennale per poterla rilanciare e valorizzare.
Per quanto criticabile, ci sono dei temi molto importanti affrontati da Clair che risultano di
grande attualità al di là della sua declinazione scientifico-artistica e al di là del fatto che egli
li contestualizzi in un passato, prossimo, ma pur sempre passato: il concetto di identità e
alterità. Si può dire pertanto che nella sua accezione principale, l’identità si trova alle basi
motivazioni delle mostre che l’autore chiama a piattaforma. L’identità intesa come
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
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indagine intorno al senso e alla funzione dell’arte in un mondo massacrato
dall’informazione e dalla tecnologia.
Se Clair non prende particolari posizioni sulla questione dei padiglioni nazionali, Celant
nell’edizione del 1997, sotto molteplici punti di vista riprende la strada tracciata da Achille
Bonito Oliva, anche se in realtà, pubblicamente, ne prenderà sempre le distanze dalla
Biennale dello storico compagno di viaggio. Futuro Presente Passato viene concepita
come uno spazio comune sia a livello temporale, e il titolo di per se ne è già una chiara
dichiarazione, sia a livello spaziale che, come descritto nell’analisi della mostra, tenta di
creare una consonanza abitativa fra opere tra di loro eterogenee. L’idea portante è legata
al tentativo di “emancipare l’arte dalla tutela nazionale” e questo obiettivo è perseguito
sia nella sezione dedicata alla rappresentanza nazionale della mostra Dall’Italia,
cooperativamente ideata insieme agli artisti italiani, sia in un dialogo proposto ai
padiglioni nazionali. Il ritardo con cui Celant viene nominato non gli permetterà la
desiderata collaborazione con i padiglioni nazionali, dal momento che le politiche culturali
e i processi decisionali dei singoli padiglioni viaggiano su binari propri e le decisioni
vengono spesso prese con largo anticipo, per cui non gli rimane che lasciare una eredità
per il futuro sulle linee guida del suo intervento in catalogo: « L’impresa non è facile, ma va
tentata. Siccome la territorialità è legata allo spazio, bisognerebbe progettare, insieme a
tutti i curatori nazionali, una metodologia dinamica, che permetta lo spostamento o la
rotazione del territorio, cercando di trovare un progetto comune che rappresenti tutti.
Innanzitutto bisognerebbe considerare i Giardini di Castello come un’unità percorsa da
una modalità uniforme, a tempo pieno. Assunta questa visione globale, quasi aerea – Una
Biennale non vista dal basso, dalle sue radici storico-politiche, ma dall’alto secondo una
prospettiva universale -, si potrebbe lavorare sulla pluralità delle culture e sulla
molteplicità delle proposte. L’ipotesi sarebbe quella di configurare il non figurabile:
assumere il territorio Biennale come un grande continente, che ha dimenticato le diversità
di identità ».10
La mostra che Germano Celant distribuisce tra il padiglione Italia e le Corderie
dell’Arsenale è un’esposizione unica e a tutti gli effetti una mostra internazionale in cui
cerca di sfidare il concetto di territorialità in un modo che ricorda sia il concetto di
nomadismo che quello derivato di transnazionalità promossi da Bonito Oliva. Così scrive
Celant, Futuro Presente Passato « si deve intendere come uno spazio comune, in un
tempo comune che sfida la territorialità che cerca di emancipare l’arte dalla tutela
nazionale. La mostra si svolge tra il Padiglione Italia e Corderie dell’Arsenale e aspira a
10 Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXII
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travalicare la pertinenza nazionale. Anche da un punto di vista architettonico-ambientale,
ho usato il padiglione Italia per trascendere l’identità degli artisti italiani e immergerli in
una solidarietà linguistica, fuori dai conflitti territoriali. Contemporaneamente lo spazio
delle Corderie l’ho assunto come percorso da un flusso “migratorio” di artisti, capaci quindi
di accamparsi e di convivere come nomadi transnazionali ».11
Se il modo di guardare all’arte dei due curatori che all’inizio della loro carriera avevano
condiviso l’esperienza amalfitana, tanto che Bonito Oliva scrive per il Arte Povera+Azioni
povere, sulle loro prove in Biennale pur avendo una consonanza dal punto di vista
dell’impostazione generarle convinta che l’artista non appartiene alla nazione ma alla
« storia dell’arte e agli artisti, a una comunità che si è sempre ribellata a qualsiasi limite »
dal punto di vista delle scelte artistiche e delle pratiche espositive le due esposizioni
appaiono quasi agli antipodi. Laddove Bonito Oliva fa erigere strutture per creare ambienti
di lettura delle opere, Celant scarnifica per creare spazio e continuità di spazio, laddove
Bonito Oliva, raggruppa per dicotomie, Celant isola e avvicina per assonanza.
L’unica parte della mostra di Bonito Oliva che sembra andare nella direzione che poi
esegue Celant nel padiglione Italia sono le stanze personali di Trittici della mostra Opera
Italiana. In questa parte il critico salernitano aveva voluto mettere al centro l’individualità
dell’opera, la propria esistenza singolare, che egli esemplifica anche in una sezione di
Transiti,“Persona” , dedicata proprio all’esposizione di opere singole con un proprio
universo conoscitivo e di relazione a cui bene si adatta la situazione isolata.
D’altronde se l’interesse di Bonito Oliva si rivolge più precisamente all’opera- cosa che gli
fa sperimentare soluzioni allestitive fra le più diverse ai cui antipodi possono stare la
sopramenzionata sezione Trittici e la mostra Slittamenti-, nell’esposizione di Germano
Celant prevale un interesse architettonico-ambientale, dimostrato sin dalla sua mostra
Ambiente/Arte del ’76 proprio in Biennale, che pre-ordina l’esposizione, si veda in questo
senso la sua divisione in 60 spazi decisa a priori anche rispetto alle opere.
La mostra di Germano Celant è comunque da considerarsi ganglio importante del
cambiamento del fare espositivo, perché se per certi versi si lega, come detto, alla mostra
di Bonito Oliva, per altri anticipa alcuni aspetti delle mostre del periodo Szeemann.
La mostra concepita come unica, singola e internazionale viene adottata anche da
Szeemann e anche il curatore elvetico attuerà strategie volte alla definizione spaziale
determinata da una “cartografia in crisi” che chiede di trascendere ordine, identità e
separazioni.
Germano Celant (a cura di), Ibidem, 1997.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
514
Celant però, limite forse inevitabile visto il poco tempo avuto a disposizione, non riesce a
mettere in piedi un discorso internazionale aggiornato. La soluzione di scegliere opere
contemporanee si rivela un escamotage utile per mantenere i costi bassi ma non
funzionale ad aprire uno sguardo vero alla contemporaneità. Con il mondo globale che
bussa alle porte e con le biennali che proliferano in ogni angolo della terra, mettere
insieme una mostra di artisti prevalentemente occidentali e appartenenti a tre correnti
artistiche precise diventa una soluzione molto limitante e che ha minato l’apprezzamento
e l’attenzione critica. Inoltre la critica più aspra relativamente alla decisione di aver
chiamato soltanto artisti noti, è avvalorata dalla lista di nomi che egli redige quasi
immediatamente dopo la sua nomina. A dimostrazione che la riflessione su chi invitare gli
era chiara e partiva da una rete di contatti che non rivela un interesse specifico per
l’attualità della produzione artistica.
L’avvento di Szeemann, in coincidenza con la riformata Biennale e la personalità di Paolo
Baratta, fa sì che il periodo della sua direzione si collochi come inizio di una nuova era. Se
la mostra di Bonito Oliva pianta i semi di quel che avverrà, con Szeemann sbocciano le
rigogliose le prime gemme di un nuovo corso. E’ Pierre Restany a sottolineare
tempestivamente la situazione che egli ascrive in particolare alla grande personalità del
curatore svizzero: « trent’anni dopo ritorna al problema dell’arte e della comunicazione e lo
riprende affrontando senza esitazioni, nella totalità delle sue implicazioni”. La capacità
imprenditoriale di Szeemann ha inoltre permesso il reperimento delle sponsorizzazioni
necessarie per due anni di sopravvivenza “affermandosi in modo così netto come
impresario della cultura globale nell’arte visiva, Szeemann è l’uomo della situazione: ha
cambiato il volto della Biennale e corre rischi calcolati ».12
La “nuova Biennale” di cui parla Restany si modella attraverso due aspetti fondamentali.
Innanzitutto una cooperazione attiva tra la dirigenza e il curatore. Il rapporto tra Baratta e
Szeemann, nonostante alcuni documenti che attestano le “consuete” lamentele per la
disorganizzazione veneziana, è sinergico soprattutto negli obiettivi. Le linee
programmatiche della 48esima Esposizione Internazionale d’arte 13 coniugano aspetti
espositivi propri e aspetti strategici dell’istituzione. Gli obiettivi infatti dovevano essere
tanto “riflettere attraverso le opere degli artisti la situazione attuale: globalizzazione,
interdisciplinarità, internazionalizzazione; quanto “fare della più vecchia Biennale la più
giovani e la più importante”. Le azioni strategiche che ne seguono, sono: l’abolizione della
12 Pierre Restany, La Biennale della cultura globale, in “Evento”, ottobre 1999, p. 101. 13 La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep, busta n. 874.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
515
distinzione fra artisti giovani e famosi, l’espansione del concetto di Aperto a tutta la
Biennale, l’allargamento gli spazi e l’integrazione delle altri altre arti e degli altri settori
all’interno delle manifestazioni dell’Esposizione. Di quest’ultima Szeemann riuscirà a
compiere alcuni passi soltanto per l’edizione del 2001, ma l’intenzione fin da subito è di far
lavorare i settori insieme. Un progetto non facile che farà fatica a decollare ma per il quale
Szeemann si prodiga durante tutto il suo mandato.
Queste strategie rispondono al desiderio di Baratta di fare del settore arti Visive centro
propulsore di tutto l’Ente e punto di riferimento per tutto l’organismo biennale di quel
laboratorio che egli vuole costruire per la Biennale.
I nuovi spazi dell’Arsenale, in questa rinnovata logica di rilancio della Vecchia Biennale in
una nuova giovane e importante, sono fondamentali tanto che per i mesi autunnali del
1998 si attende la conclusione delle intese con il Demanio. L’idea è che qualora la stipula
degli accordi si fosse protratta, la Biennale sarebbe stata rimandata all’anno successivo,14
slittamento che viene scongiurato dagli accordi siglati per l’appunto alla fine del 1998. I
nuovi spazi permetteranno la costruzione di un teatro legato alla Biennale, aree da
dedicare ai Paesi senza padiglione, e la possibilità di luoghi che si concentrino in spazi
inediti per la Biennale. L’allargamento della Biennale fuori dai confini dei Giardini che con
Bonito Oliva realizza dando luogo a tante mostre, nella Biennale del 1999 si attua tramite
l’acquisizione di nuove aree con la conseguente concentrazione delle energie e delle
risorse in un luogo unico ma espanso.
Per l’edizione del ‘99 il punto di partenza è Aperto nel suo concept originale. Così la
manifestazione che Clair aveva accantonato diventa il principio ispiratore di tutta una
Biennale. Già Celant nel 1997 aveva ritenuto che non fosse necessario istituire ancora
Aperto, inglobandola nella sua mostra ma facendola dipendere dalla sua impostazione di
orizzontalità temporale, Celant non assume direttamente una posizione critica nei
confronti di Aperto,15 di fatto però l’idea che non ci siano distinzioni fra le età degli artisti
ma soltanto opere che si dimostrino contemporanee e quindi che riflettano intorno la
situazione attuale e che siano significative viene già intuita come strada da percorrere sulla
scorta di un cambiamento introdotto da Bonito Oliva nel 1993. Szeemann però, che
insieme ad Achille Bonito Oliva fu ideatore e coordinatore di Aperto ’80 . Pur avendo
Celant pensato la sua mostra come unica, senza una tematica precisa, con tutti gli artisti
14 La Biennale di Venezia, ASAC, F.S. dep., busta n. 874. 15 “Il passo successivo è stato quello di definire, in termini d’arte e d’esposizione, l’operatività e la logica di questa impostazione, che confonde e rende osmotici i termini temporali. Sul piano degli artisti significa che le generazioni, pur esistendo, possono confondersi e fondersi. Di qui la caduta della distinzione tra mostra storica e Aperto, che aveva segnato le Biennali precedenti” Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXIII
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
516
insieme a qualunque generazione essi appartengano, Szeemann può dire di fare una
riforma esattamente con le stesse strategie. Szeemann in particolare sostiene che
dAPERTutto non vuole dividere gli artisti affermati nel Padiglione Italia e i giovani
nell’Arsenale come si faceva con Aperto e di qui si comprende il sintomo più importante
della damnatio memoriae di alcune iniziative di Germano Celant. Se si confronta
l’allestimento delle due edizioni 1997 e 1999 Celant nel padiglione Italia mette i big, quelli
le cui opere non si rovinano, come succedeva in continuazione, sono molte le opere che
vengono danneggiate durante l’esposizione per il troppo caldo, per le infiltrazioni e altre
problematiche tecniche, mentre alle Corderie, situazione ancora più difficile, vengono
messe opere meno quotate. Di qui una scelta di campo di Szeemann di rinunciare a grandi
nomi e di fare una mostra che risponda innanzitutto all’internazionalità globale.16 Il suo
sguardo, diversamente da quello di Celant, non è temporale ma spaziale, la sua non è un
viaggio astorico ove le categorie temporali s’incontrano e si fondono ma un viaggio
planetario che fa incontrare vicini e lontani.
Questa la vera radice della diversità teorica delle due mostre. I due curatori oltre a vivere
gli stessi tempi, condividere alcuni momenti importanti della storia delle mostre
collaborando alla realizzazione delle stesse – si ricordi ad esempio che Celant intervenne
con un discorso all’apertura di When Attitudes Become Form – sono per certi versi vicini. Il
tributo di Celant a Szeemann è ravvisabile da una parte nell’uso della categoria delle
“mitologie individuali” diventato, per la verità, un nodo di riflessione condiviso fra curatori
e critici, e dall’altro nella recente mostra ricostruttiva dedicata alla storica esperienza di
Berna. 17 A questi temi si accompagnano aspetti diversi della propria impostazione
curatoriale per cui Szeemann, come sempre, insegue l’opera totale attraverso l’incontro fra
le arti e concepisce il momento espositivo come un dispositivo costruttivo e organizzativo.
Una sorta di theatrum mundis con un fulcro comune di scambio che è la mostra e sarà poi
la piattaforma del 2001.
Anche Celant comprende ed usa la macchina espositiva con maestria, dosando tutti gli
elementi, facendoli concorrere a un effetto voluto, ma se il risultato di Celant è la
sospensione atemporale dovuta ad un allestimento che ammicca al white cube, per
Szeemann la mostra è sempre un’operazione vitale attraverso cui passare per accedere ad
una conoscenza o ad uno stato in cui l’arte si pone aspetto vitale. L’opera totale, egli dice,
quale l’obiettivo del suo progetto di interazione fra le arti, ma aggiunge, è un’utopia mai
16 “Si rinuncerà a molti artisti di reputazione internazionale per prendere posizione sull’attuale dinamica degli scambi intercontinentali, privilegiando i giovani artisti attivi nell’ultimo decennio e, in particolare, le donne artiste” Linee programmatiche 48. Esposizione Internazionale d’Arte, busta n. 874 17 inserire riferimenti del catalogo e della mostra, controllare che il catalogo sia in bibliografia.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
517
realizzata né realizzabile, è una tensione, o come scrive al passo successivo dei suoi punti
programmatici, “una macchina dei desideri”. In questo senso quindi l’esposizione è un
motore che si attiva, un dispositivo che aziona un cambiamento.
dAPERTutto è innanzitutto perciò una sintesi dell’idea di una Biennale, mamma di altre
biennali, che rivolge lo sguardo verso tutti i continenti che accoglie, con i propri padiglioni
nazionali, l’internazionalità globale, nella propria mostra ed essa stessa accoglie opere che
abbiamo a cuore la situazione attuale. Non a caso anche il titolo della Biennale viene
puntualmente da Szeemann riportato in quattro lingue: dAPERTutto, APERTO over ALL,
APERTO Par TOUT, APERTO über ALL, soluzione mantenuta anche per la mostra successiva.
La mostra, come spiegato nell’analisi effettuata, si pone in diretta continuità con le
esperienze di documenta 5, dal momento che da quest’esperienza prende corpo l’idea di
mostra come un “percorso iniziatico”18 e allo stesso tempo con le esperienze della Biennale
del 1980 sia con Aperto, che ispira la metodologia di selezione degli artisti sia con
Esperienze degli Anni Settanta citata direttamente in apertura di mostra con l’opera di
Jamee Lee Byars collocata nel medesimo luogo in cui l’artista aveva in quella mostra fatto
una performance vicino al leggio di Joseph Beuys.
La Biennale quindi per Szeemann viene sussunta nel suo discorso curatoriale come punto
di partenza per la mostra ed è possibile sostenere che egli contribuisca pienamente al
progetto di Paolo Baratta nel mettere al centro dell’istituzione la mostra di Arti Visive.
Per Szeemann concepire la mostra curatorialmente diventa quindi un’impresa che ne
contiene anche gli sviluppi istituzionali a cui parteciperà promuovendo programmi inter-
settore che vedranno la luce, non senza fatica, nella Biennale del 2001. A questa possibilità
di interazione del direttore di Arti Visive con l’istituzione, contribuisce fortemente la nuova
struttura della Biennale che stabilisce un dialogo diretto fra il presidente e i direttori di
settore e che presenta un comitato scientifico costituito dai direttori stessi. Una
particolarità che permette da un lato ai direttori di esprimersi più liberamente senza
sottoporre ad una lunga approvazione il loro operato e dall’altra garantisce alla Biennale
una collaborazione dal punto di visto programmatico. In un’intervista del 2011 Baratta
chiarisce come la strada della libertà del curatore fosse stata la strada che avrebbe
garantito la qualità delle manifestazioni, “Un curatore esposto in prima persona sa di
essere giudicato per la capacità di “creare” una mostra, di ispirarsi a un principio di ricerca.
Ancora una volta, la responsabilizzazione del curatore è la via giusta della trasparenza.”19
18 Nota che riprende nota dell’analisi. 19 Franco Fanelli, Ho rimesso le ali ai leoni, in “Vernissage, Il Giornale dell’Arte”, n. 131, novembre 2011, pp.4-7, qui p. 5.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
518
Le impostazioni nel senso della mostra unica, internazionale che svincolasse l’ormai ex-
padiglione Italia dalla mescolanza della rappresentanza italiana e di una proposta di
mostra fatta da commissioni e curatori, la valorizzazione del paesi partecipanti come
caratteristica particolare della Biennale di Venezia e come motore della sua
internazionalità insieme ad un stringente legame con la città, sono “i pilastri” che oggi
Baratta sostiene essere i principi della Biennale e che si sono formati proprio nel 1999 a
partire dall’esperienza di Szeemann. 20 Come già accennato i germi di quanto può
svilupparsi nel 1999 erano già presenti dalla mostra del 1993 a targata Bonito Oliva che
seppe interpretare la mostra proprio a partire dalle caratteristiche stesse della Biennale
esaltandole e mettendole a frutto, facendone il carattere distintivo della Biennale di
Venezia che negli anni novanta è costretta a rispondere ai colpi della concorrenza delle
sorelle biennali in crescita su tutto il globo.
Nell’edizione del 2001 Harald Szeemann persegue le linee guida del ’99 cercando di
realizzare soprattutto il progetto di collaborazione tra le arti e quindi promuovendo
progetti inter-settore. L’impresa non gli riuscirà pienamente ma in questa sede è
l’intenzione che ci interessa registrare perché parte di un progetto sulla mostra che
risponde all’Opera totale. Un interesse che per Szeemann, come sottolinea Pietro Rigolo,
costituisce il fil rouge della sua produzione curatoriale.21 Il momento in cui Szeemann
realizza questa mostra è un momento avanzato della sua età per cui la riflessione di due
anni che lo chiama a concentrarsi su questo evento, comporta anche una riflessione sulla
propria pratica curatoriale che egli storicizza nel suo testo in catalogo e sulla cui linea
evolutiva pone Platea dell’Umanità. La sua storia curatoriale, trasversalmente intrecciata in
quella della Biennale comincia con When Attitudes Become Form (1969) prosegue con Le
macchine Celibi (1975) presentate proprio a Venezia e in collaborazione con Jean Clair
(ndr), per poi toccare Aperto 80 e sfociare infine, con un salto temporale, in dAPERTutto.
Una ennesima tappa della biografia curatoriale è la mostra Illusion, Emotion, Reality (1995)
che avrebbe dovuto essere realizzata tra l’altro a Venezia fra i progetti del Centenario ma
poi, come molte iniziative per quell’anno, annullato, vedrà compimento quindi soltanto a
20 La mostra della Biennale si presenta dunque ora fondata sui seguenti pilastri. 1. Primo Pilastro: i Padiglioni dei Paesi Partecipanti […] 2. Secondo pilastro, La Mostra Internazionale del curatore della Biennale. […] 3. Terzo pilastro: gli spazi per realizzare la grande Mostra Internazionale del curatore della Biennale. […] 4. Quarto pilastro: un’ulteriore componente: gli eventi collaterali. […] 5. Un elemento decisivo: la città di Venezia che per sei mesi accoglie sul suo territorio questo grande insieme di energie vitali. […] 6. Un pilatro sempre più importante della nostra costruzione è poi la cura del pubblico.” Paolo Baratta “La Biennale è come una macchina del vento” in 54.ma Esposizione Internazionale La Biennale di Venezia, ILLUMInazioni, 2009, pp. 30-35. 21 Pietro Rigolo., op. cit., 2013.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
519
Vienna e a Zurigo. La carrellata dei riferimenti delle mostre è funzionale per comprendere
che la Biennale per Szeemann è un tema che viene totalmente interiorizzato ed elaborato
come storia personale. Già nella mostra del 99 aveva avuto a rispondere a un giornalista
che chiedeva circa una chiave di lettura della mostra “il filo rosso sono io” perché avesse a
sottolineare la propria personalità come creatore di mostre ed “exhibition maker”.22
La mostra Platea dell’Umanità è, come analizzato, una mostra complessa per il contenuto
di rimandi ed molto vicina per certi versi al complesso di mostre del Monte Verità.
Probabilmente gran parte delle critiche rivolte a quest’edizione sicuramente meno agile e
spettacolare della precedente sono ascrivibili proprio ad un aspetto della produzione
curatoriale di Szeemann meno noto internazionalmente ma che ha costituito certamente il
principio costituitivo del Museo delle Ossessioni, ovvero il complesso delle mostre ideate
da Szeemann.
L’influenza di questa mostra e la capacità che ebbe comunque di sollevare gli animi è
riscontrabile soprattutto nella edizione successiva organizzata anch’essa in un momento
di cambiamento della Biennale. La mostra del 2003 ,curata da Francesco Bonami, si apre
con la presidenza di Franco Bernabè che sostituisce, immediatamente all’indomani della
chiusura dell’edizione del 2001, il presidente Baratta che tornerà a guidare la Biennale nel
2008, dopo Davide Croff (2004-2007), riprendendo l’impostazione lanciata nel periodo
Szeemann e permettendo di fatto la filiazione del programma dell’odierna Biennale con
quella post-riforma 1998.
Francesco Bonami apre la sua mostra collegandosi a quella del suo predecessore e
prendedone allo stesso tempo le distanze così come aveva fatto Szeemann con la sua
Platea dell’Umanità, mostrando l’inizio teorico della sua mostra con The End of the 20th
Century di Joseph Beuys e la chiusura con due installazioni che si confrontano di Richard
Serra e Illya e Emilia Kabakov, Francesco Bonami mostra due opere come termini teorici
della sua impostazione della 50.ma Biennale l’opera di David Hammons Praying for Safety
1997 e Stazione Utopia. In particolare Bonami oppone all’opera di Beuys quella di
Hammons che utilizza lo stesso materiale ri-significandolo, per dichiarare finita l’epoca
dell’autorialità curatoriale che Harald Szeemann rappresentava per la generazione
successiva di curatori della quale Francesco Bonami è parte. La sua mostra, non a caso, è
totalmente improntata alla collaborazione. Egli imposta i termini di un discorso, quello dei
“sogni e dei conflitti”, oltre a quello non compiutamente argomentato della dittatura dello
spettatore, e sceglie i curatori a cui affidare porzioni di spazio che però hanno la possibilità
di muoversi con un’autonomia piuttosto ampia. Il risultato della mostra è molto
22 Hans-Joachim Müller, Harald Szeemann: The Exhibition Maker, Hatje Cantz Publishers, 2006.
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
520
interessante soprattutto perché i curatori mostrano ultimamente di condividere
esperienze comuni e impostazioni di fondo anche se vi sono mostre che si distinguono più
di altre per innovazione, citeremeo l’esperienza di Stazione Utopia.
La mostra di Francesco Bonami ha moltissime consonanze con quella di dieci anni prima
curata da Bonito Oliva, alla quale tra l’altro partecipò come curatore de Il Semplice scambio
all’interno di Aperto ’93, a dimostrazione di quanto chi visse le esperienze della Biennale
del 1993 maturò poi in altre iniziative l’esperienza personale lì compiuta. Il primo dato di
comunanza è soprattutto la struttura generale improntata da un tema generale
esemplificato da una serie di mostre. Sono due gli elementi che però la distinguono dal
suo predecessore, il primo aspetto è che la sua autorialità è molto limitata. Se è vero che
Punti Cardinali dell’Arte era una manifestazione costituita da una serie di mostre illustranti
il tema principale - che poi un tema non è – Francesco Bonami rispetto a Bonito Oliva
controlla meno l’impianto generale. Anche se non aveva potuto occuparsi direttamente di
allestimento e organizzazione di ciascuna delle tredici mostre presentate Bonito Oliva ne
detiene il primato ideativo. Anche in Aperto dove la figura di Helena Kontova era stata una
figura chiave nell’organizzazione di tutta la sezione, la responsabilità del titolo e dell’intero
progetto è appannaggio di Achille Bonito Oliva il quale sottolinea più volte di averlo
improntato e con i curatori reso più volte oggetto di confronto. Questo stesso controllo,
anche in virtù di una presa di posizione teorica in favore della collaborazione, Francesco
Bonami non la mantiene con la sua Biennale che, di fatto, diventa una mostra di molti
curatori, basti guardare gli eventi della Vernice, costellati di conferenze stampa satellite in
coordinamento con la presentazione della mostra centrale. La pluralità di voci e la
possibilità di essere una Platea dell’Umanità viene trasformata in una piattaforma agibile
direttamente dal pubblico come espresso architettonicamente dalla piattaforma di
Massimiliano Gioni per La zona e dagli arredi e struttura dell’intera Stazione Utopia. La
collaborazione con la Biennale di Bonami diventa anche relazione, partecipazione e
interazione.
La mostra centrale come proposta curatoriale di contro si indebolisce. Ritardi e Rivoluzioni,
come anche Clandestini sempre curata da Francesco Bonami, è una proposta fra le altre e
non una proposizione forte da parte del curatore.
L’aspetto che viene invece fortemente vivificato con Sogni e Conflitti è la mostra della
Biennale come affondo sulla contemporaneità, affondo che le mostre in maniera diversa
affrontano tramite le proprie proposte allestitive. Come documentato e come dimostrano
ad esempio le piante con al ricostruzione in 3D della Zona d’Urgenza curata da Hou Hanru,
o l’impianto di Strutture della Crisi di Carols Basualdo, ideato insieme ad un team di artisti
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
521
è il tema mai scontato dell’allestimento di grande centralità nella progettazione espositiva.
Anche Stazione Utopia, che si avvale della presenza e collaborazione di moltissimi artisti,
organizza precisamente gli spazi di incontro in collaborazione con Liam Gillick, Atelier Van
Lieshout, Superflex, Tobias Rehberger. Un cambiamento che nell’arco di dieci anni è
fortemente percepibile. Se sicuramente Achille Bonito Oliva aveva certamente prestato
attenzione alla distribuzione delle opere e come dimostrato nell’analisi di Punti Cardinali
dell’Arte, la collocazione delle opere nello spazio è mirata ad una produzione di senso e di
dinamismo nel percorso del visitatore, ancor di più nelle mostre dei curatori della 50esima
edizione l’allestimento viene concepito in maniera più puntuale e con grande attenzione
alla geografia non solo delle opere, ma anche degli spazi intorno e fra le opere. Si tratta di
una generazione consapevole che ogni opera in mostra e che ogni elemento
dell’allestimento contribuisce alla costruzione della mostra.
In definitiva quindi, la Biennale di Bonami si pone in continuità con le edizioni di Harald
Szeemann assumendole come punto di ripartenza per una nuova edizione, discostandosi
ma rimanendo pur sempre nel tracciato segnato da dAPERTutto e Platea dell’Umanità, ma
soprattutto rivela una continuità metodologica con Punti Cardinali dell’Arte. Se il primo
aspetto di eredità e di presa di distanza dal suo predecessore è dichiarato, la ripresa del
modello Oliviano viene per lo più taciuta. Le ragioni di questo atteggiamento non vanno
rintracciate in una scorrettezza, tanto è vero che nei suoi ringraziamenti la prima persona
che menziona è proprio Achille Bonito Oliva, ricordando quanto la sua carriera sia stata
lanciata proprio a partire dall’esperienza con Aperto ’93, ma vanno trovate piuttosto in una
pratica che si consolida con le grandi esposizioni a seguito di documenta 11 diretta da
Okwui Enwezor. Questa mostra stigmatizza una nuova tipologia di mostra, che Vittorio
Fagone non aveva riconosciuto ancora nel 1993 in Punti Cardinali dell’Arte, si tratta del
modello della collaborazione che accoglie nel suo programma, alla stesso livello
d’importanza del fatto espositivo, anche eventi, incontri, dibattiti, programmi didattici e
non da ultimo lo strumento del catalogo. Apre inoltre l’interesse verso campi non
propriamente artistici dischiudendo le porte a intellettuali di tutti i campi del sapere,
consegnano definitivamente l’arte contemporanea al vasto campo della produzione
culturale.
Il confronto con documenta 11 viene posto spesso dalla stampa che individua nelle grandi
mostre internazionali l’uso sempre più frequente di un clichè collaborativo che in Sogni e
Conflitti trova la sua più compiuta espressione in particolare nell’esperienza di Stazione
Utopia. Certamente Francesco Bonami guarda alla recente documenta del cui staff
curatoriale collabora con Carlos Basualdo e a cui tutti gli altri curatori, in maniera diversa,
SEZIONE III – RITARDI E CONTINUITA’
522
avevano partecipato e collaborato. Rispetto a Okwui Enwezor egli fa un passo ulteriore
lontano dall’autorialità lasciando sempre più liberi i curatori di fare una mostra propria,
tanto che Carlos Basualdo in un incontro nota che la sua mostra è chiaramente legata
all’esperienza recente di documenta ma che in quest’occasione ha avuto la possibilità di
intervenire più liberamente sull’allestimento, segno evidente della libertà operativa dei
curatori della 50.ma Biennale.
Ciononostante, la impressionante somiglianza fra la Biennale del 1993 e il 2003 e il fatto
che Francesco Bonami abbia partecipato ad una delle mostre più vitali di Punti Cardinali
dell’Arte va sottolineato per comprenderne le continuità e il ruolo di modello che la
Biennale ha assunto, anche implicitamente, sia nell’ambito della sua storia specifica sia in
termini di modello d’ispirazione delle mostre internazionali.
Va altresì evidenziato che della Biennale del 1993 l’aspetto che è stato più veicolato
internazionalmente, nonostante il concept della mostra dipendesse da quello della
Biennale per intero, è Aperto ’93. Aperto infatti, fin dalla sua nascita è stata la mostra che
ha attirato di più l’attenzione dei media e della critica, nonostante non sempre fosse stata
una mostra dinamica e vitale come fu la prima del 1980. Il dibattito che ne è scaturito nel
1995 a seguito della decisione di Clair di abolirla ha accentuato l’interesse per questa
manifestazione creando una reazione a catena di mostre per i giovani artisti in tutta la città
di Venezia, determinando di fatto una situazione di un “Aperto ‘95” alternativo e diffuso.
L’operazione poi di Szeemann di fare della Biennale un maxi-Aperto, ha consacrato alla
storia la manifestazione, individuando in Aperto il carattere e il modus operandi della
Biennale stessa.
Dice Paolo Baratta della Biennale « è come una macchina del vento ogni due anni, scuote
la foresta, scopre verità nascoste, dà forza e luce a nuovi virgulti, mentre pone in diversa
prospettiva i rami conosciuti e i tronchi antichi […]. L’arte è qui intesa come attività in
continua evoluzione. Se un museo di qualifica principalmente per le opere che possiede
[…], un’istituzione come la Biennale si qualifica piuttosto per il suo modus operandi, per i
metodi seguiti, per la natura dei soggetti che vi partecipano, per le scelte sul metodo e per
i principi e le regole che ispirano la sua organizzazione, per gli spazi di cui dispone ».23
23 Paolo Baratta, Idem, in op. cit., catalogo della mostra, 2009, p. 31.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
523
111. Esposizione come piattaforma come disposit ivo.
Dal 1993 al 2003 la Biennale di Venezia si rinnova e viene rilanciata sulla scena
internazionale a seguito di due importanti eventi. Il primo è certamente l’avvenuta riforma
istituzionale che la trasforma nel 1998 da Ente Autonomo a Società di Cultura. Questo è
certamente il cambiamento più rilevante nonostante nel 2004 prenda il nome di
Fondazione, dal momento che la trasformazione in Fondazione vera e propria non avverrà
mai, pertanto il mutamento appare anche a livello legislativo soltanto una variazione di
denominazione a cui non fa seguito la condizione necessaria per essere a tutti gli effetti
una Fondazione ovvero la dotazione di patrimonio.
L’anno 1998 è quello della vera trasformazione dell’Ente, è il momento in cui si registra
parallelamente anche la seconda importante novità: la strutturazione del piano culturale
della Biennale a partire dal settore Arti Visive, fattore fondativo di alcune caratteristiche
innovative necessarie per la mostra.
Questo aspetto svela una totale presa di coscienza della capacità dell’Esposizione di
operare in maniera critica e significativa sia in ambito artistico che mediatico.
Negli anni presi in esame la continua riconsiderazione del format, la discussione intorno ai
luoghi espositivi, la grande attenzione all’allestimento indicano una progressiva
assimilazione da parte del consiglio, del presidente e dei curatori dello strumento mostra.
La Biennale ha il privilegio di poter contare tanto su una storia propria quanto su
un’esperienza internazionale, visto e considerato che i curatori che si avvicendano alla sua
guida hanno sempre una o più edizioni prima della loro a cui guardare, ispirarsi,
contrapporsi ma allo stesso tempo, non essendo impiegati e dipendenti dell’istituzione,
lavorano presso la Biennale soltanto per un periodo specifico essendo di fatto curatori con
competenze e esperienze internazionali.
Questo crocevia tra la storia particolare della Biennale e i contributi provenienti
dall’esterno e spesso dall’estero, hanno reso possibile una continua dinamica di “sorgente”
che ha garantito lungo gli anni, nonostante periodi poco brillanti, un incessante
rinnovamento. La Biennale è un “punto d’osservazione” eccezionale per l’arte
contemporanea, sia per la susseguirsi nel tempo di edizioni che ne permette una visone
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
524
diacronica, sia per la sua capacità di accogliere moltissimi attori da Paesi di tutto il mondo
che vi partecipano nei diversi padiglioni, oltre agli artisti invitati alla mostre e curatori che
permettono una coabitazione di tendenze, teorie, opere fra le più diverse.
La Biennale come punto ‘osservazione privilegiato’ per l’arte contemporanea le politiche
espositive è quindi il mio primo punto. Carlos Basualdo1 segnala la difficoltà di scrivere
una storia della Biennale per la struttura complessa con cui questi organismi normalmente
si articolano. Mettere in relazione gli eterogenei elementi che compongono le Biennali
come il fatto che esse spesso, come è stato verificato in questo stesso studio, vengano
ideate secondo un principio di opposizione2 all’edizione precedente, è un’impresa dai
risultati incerti.
Considerando la strada intrapresa dalla presente ricerca, una possibilità di comprensione
del “complesso biennale” può avvenire inter-relazionando i due aspetti della realtà
istituzionale e del display, soluzione che permette metodologicamente di tenere insieme
le due direttrici fondamentali quella istituzionale con un’agenda propria e quella
curatoriale che persegue fini critico-artistici intrecciati al più vasto panorama dell’arte e del
sistema dell’arte, nel caso delle Biennali, internazionale.
Questo approccio ha permesso di prendere in considerazione aspetti come la riforma dal
punto di vista non soltanto istituzionale-organizzativo, ma altresì del programma culturale
stilato in modo sinergico e comune.
La Biennale di Venezia per la sua lunga continuità istituzionale e l’accessibilità del proprio
archivio permette di seguire le vicende in modo sistematico anche se non sempre agevole
essendo ancora una larga parte dell’archivio da organizzare.
Ciò che è stato possibile marcare in questo decennio attraverso la metodologia incrociata
del contesto in relazione all’allestimento è il prevalere di alcune tematiche, evidenziate nel
paragrafo precedente e soprattutto l’emergere di un modus operandi che è stato già
diverse volte chiamato in questa tesi a piattaforma.
Come nota Germano Celant in The Visual Machine, osservazione che poi ribadisce anche
nel catalogo della Biennale del 1997,3 i modelli espositivi non sono molti e vengono per lo
più ripetuti. Le formule più consuete si basano su strumenti di « registrazione e
rilevamento » che rispondono a « un tema, a una prospettiva storico-cronologica che
1 Carlos Basualdo, op. cit., 2003. 2 “the history of exhibitions mounted by any one biennial institution must therefore necessarily be the history of separate, independent, unrelated, eccentric, disparate curatorial projects that are in fact often brought to life through a principle of opposition to previsous editions or even through a strategic denial of what has been done before” Hlavajova Maria How to Biennial? The Biennial in Relation to the Art Institution” in Elena Filipovic, Marieke van Hal e Solveig Øvstebø (a cura di), op. cit., 2010, p. 295. 3 Cfr. Il penseiro curatoriale di Germano Celant nel capitolo dedicato alla Biennale del 1997.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
525
opera su una contestualizzazione urbana o territoriale, sociologica o antropologica,
filosofica o scientifica, estetica o linguistica, al chiuso o all’aperto, museale o alternativa,
centrale o periferica, nazionale o transnazionale, e infine a un’individuazione di una
personalità che si è collocata al centro o ai margini delle vicende dell’arte».4
Nel corso degli anni novanta però, sulla scorta di uno spostamento di interesse verso la
contemporaneity e dalla proliferazione di Biennali in tutto il globo, si diffonde e afferma un
diverso modo di intendere l’esposizione. Mettendo a confronto in particolare le due
edizioni della Biennale di Venezia del 1993 e del 2003 è possibile delinearne le
caratteristiche principali.
Le due esposizioni mostrano una consonanza soprattutto organizzativa. Entrambe
ricorrono alla collaborazione di altri curatori, presentano invece che un tema un taglio
interpretativo argomentato da una serie di mostre, corredate da dibattiti, incontri e
programmi didattici. Questi ultimi, non nuovi nella programmazione delle mostre,
assumono però un ruolo di primo piano al punto che vengono considerati alla stessa
stregua dell’esposizione. Il momento dell’ostensività pertanto non è consegnato in nessun
modo alla contemplazione ma alla riflessione. Un esempio comparativo che meglio indica
il valore paritario raggiunto da aspetti normalmente considerati succedanei, è dato
dall’esperienza di documenta 11. La mostra è organizzata in cinque sezioni, chiamate dal
direttore Okwui Enwezor, piattaforme. Quattro di queste però sono quasi esclusivamente
piattaforme discorsive, entro cui si incontrano intellettuali (raramente personaggi del
mondo dell’arte)5 e che non contemplano l’esposizione di opere d’arte. Soltanto la quinta
viene dedicata alla consueta esposizione di opere d’arte. Va osservato comunque che
nell’esposizione sono selezionati moltissimi video, alcuni dei quali anche con durata
superiore all’ora. Secondo i calcoli fatti da certi giornalisti per visionare tutti non sarebbe
bastato stare alla documenta tutti i giorni previsti dal calendario di apertura. Allo stesso
modo per poter visitare tutte le mostre organizzate nell’ambito delle esposizioni di Bonito
Oliva e Francesco Bonami, sarebbe servito un tempo altissimo. La pletora suggerisce da un
certo punto di vista che la mostra possa essere comunque percepita solo nella sua
parzialità. Ed è la parzialità di visione l’aspetto che è necessario isolare innanzitutto in
queste Esposizioni. Come sottolinea anche Celant nella sua introduzione al catalogo si fa
sempre più pressante e presente l’idea che la mostra non possa presentarsi in termini di
interpretazione univoca ma solo come parziale suggerimento personale del curatore.
4 Germano Celant, Idem, in Germano Celant (a cura di), op. cit., catalogo della mostra, 1997, p. XXII 5 Si consulti la lista delle conferenze per notare che i nomi di curatori e artisti sono veramente pochi. Inoltre in queste occasioni non venivano organizzate mostre tranne nella piattaforma che si svolse a Dheli che venne accompagnata da un programma di proiezioni di film e video.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
526
Seppure questa appaia una considerazione inevitabile e per lo più condivisa, assumerla nel
progetto di mostra ha voluto dire, nel caso delle mostre organizzate secondo il modello
della piattaforma, porsi criticamente il problema tentando di proporre uno strumento,
tramite l’esposizione, che cercasse una via d’uscita.
La proposta della mostra a piattaforma risiede dalla sua impostazione critica di offrirsi non
come luogo di affermazione ma di interrogazione, non solo sull’arte ma sulla realtà
contemporanea.
Molti sono stati tentativi di definizione di questa strategia critica e molti i paragoni fioriti e
le metafore spese tutti però descrivono solo parzialmente il modello. Viene ad esempio
utilizzata l’espressione exhibition as site, oppure viene paragonata all’arena, espressione
fra le più vicine al concetto di piattaforma che fa leva in particolare sulla forma degli
incontri che queste esposizioni assumono; museo come laboratorio che sottolinea in
particolare il procedimento di ricerca sotteso all’utilizzo di varie metodologie
contemporaneamente; esposizione come stazione che fa riferimento alla situazione di
incompiutezza e di “movimento “ in avanti che suggerisce la produzione culturale che si
attua in questi siti e altri ancora.6
Questa trattazione non ha la pretesa di essere esaustiva dell’argomento, dal momento che
la ricerca si concentra sull’oggetto della Biennale di Venezia, ma si pone l’obiettivo di
indicare puntualmente i tratti distintivi di una pratica espositiva che si afferma e che per la
difficoltà di mettere a paragone mostre spesso diverse nate in contesti molto diversi fra
loro, non permettono una comparazione diretta che illumini su caratteristiche specifiche,
cosa che invece è possibile fare dopo l’esame di sei edizioni consecutive della Biennale.
Pertanto il primo e più importante elemento è l’assunzione della mostra come un luogo,
anche disperso in più luoghi, entro cui vengono accolte voci, la cui natura può toccare
ogni genere di campo del sapere, eterogenee e plurali invitate a confrontarsi e a costruire
proposte per il futuro, offrire visioni interpretative. In altre parole un sito di produzione
culturale il più possibile a-gerachico.
L’esposizione a piattaforma permane nell’idea di essere un luogo identificato ma va
considerato alla luce dell’interpretazione metodologica che si è data negli anni sessanta
alla nozione di territorio quale « punto di riferimento spaziale, geografico e ambientale
6 Cfr. The Global Contemporary. Art Worlds After 1989, catalogo della mostra, 17 settembre 2011 - 5 febbraio 2012, ZKM: Museum of Contemporary Art, Karlsruhe, 2011.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
527
entro cui si svolge la produzione umana »7, una direttrice teorica che ha seguito Miwon
Known per definire la site-specificity.8
Le esposizioni a piattaforma rimangono sempre uno spazio artistico ma vengono accolte
alla stessa stregua, proprio per l’assunzione di principi a-gerarchici anche fra le arti, tutte le
espressioni artistiche e non.
Come avviene anche con gli altri modelli espositivi non esiste una tipologia unica di questa
declinazione di “sito di produzione”. L’esperienza di Bonito Oliva per quanto, come è stato
analizzato, mostri ancora accenti e interessi non totalmente realizzati, struttura la mostra
“a mosaico” perché tute le mostre potessero concorrere a definire quali fossero veramente
i “punti cardinali dell’arte”. Ogni mostra partecipa con una proposizione ma non c’è una
mostra che rappresenti la proposizione definitiva. Nella mostra di Bonami allo stesso
modo- nonostante l’analisi in questa ricerca abbia dovuto focalizzarsi su una mostra in
particolare per ovvie necessità di organizzazione del lavoro e del discorso generale-, tutte
le mostre concorrono a illustrare i “sogni e i conflitti”. La dimostrazione di questa parità è
confermata dal programma del vernissage, oltre che dalle dichiarazioni dei curatori, che
organizza una conferenza stampa per ciascuna delle esposizioni.
Entrambe le edizioni hanno focalizzato l’attenzione alla situazione della contemporaneità
guardando alla politica, ai conflitti globali o alle problematiche che si sono poste a livello
sociale in quegli anni specifici. Un interesse politico dunque molto marcato anche se
inteso in senso “greco”, la politica come amministrazione della cosa pubblica, argomento
da cui l’arte non può sfuggire.
L’intento di Francesco Bonami nel suo testo in catalogo è, infatti, quello di ricollegare
l’uomo alle preoccupazioni del proprio vivere che come l’arte è stata relegata a qualcosa
che interessa pochi.
Per questa accezione “politica”, rivelatrice di interesse per la realtà contemporanea, per il
vivere, si è scelta la parola piattaforma per descrivere questa nuova modalità espositiva.
La parola piattaforma indica innanzitutto una superficie piana, stando alla prima
definizione che ne dà Niccolò Tartaglia nel 1546. La parola mantiene questo significato
principale lungo il corso dei secoli anche se va indicando sempre più specificatamente
contesti particolari nei vari campi del sapere. La piattaforma è tanto una piattaforma
petrolifera, adibita all’estrazione del greggio, piattaforma di atterraggio per elicotteri,
piattaforma di salto e via dicendo. L’uso che qui se ne fa riferisce però all’accezione
diffusasi nell’Ottocento, in particolare nella lingua inglese, in riferimento alla piattaforma
7 Carlo Sciolla, La critica d’arte del novecento, UTeT, Torino, 2006, p. 389. 8 Miwon Kwon, One Place after another. Site-specific Art and Locational identity, The Mitt Press, Cambridge-Londra, 2002.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
528
politica. S’intende per piattaforma politica la riunione di partito entro cui vengono decise
le linee guida da seguire. Si tratta di un luogo di confronto e di costruzione. Intendere
l’esposizione come piattaforma secondo questa accezione permette infatti di contemplare
alcune delle strategie normalmente messe in campo da queste esposizioni come la
tendenza a utilizzare meccanismi partecipativi o collaborativi, a diversi livelli (dalla
semplice collaborazione fra curatori, al suggerimento che sia il fruitore a partecipare alla
costruzione di senso della mostra, al coinvolgimento attivo del visitatore o di altre persone
invitate in dibattiti o opere pubbliche) che ricalcano l’idea democratica e l’idea utopica di
una possibilità di proposta (culturale) che possa migliorare il mondo.
Le prime piattaforme politiche furono proprio quelle socialiste che avevano nell’agenda
degli incontri l’obiettivo di individuare le politiche di miglioramento per la società.
Con la stessa carica ideale si strutturano le esposizioni a piattaforma. Riscorrendo le
dichiarazioni dei curatori delle edizioni della Biennale che più hanno messo in opera
questo procedimento – si vedano a riguardo l’esame del pensiero curatoriale di Achille
Bonito Oliva e Francesco Bonami – la convinzione alla base che ne ispira la realizzazione è
che l’arte possa suggerire visioni e idee per il cambiamento sociale e politico.
Da queste due edizioni non si discostano molto, per la verità, anche quelle curate
rispettivamente da Germano Celant e da Harlad Szeemann. Il primo però, nonostante
abbia disseminato nei testi dei cataloghi e dei suoi libri, lungo l’arco della sua carriera,
dichiarazioni circa l’importanza sociale e politica dell’arte e nonostante il suo ampio
interesse nella mostra come dispositivo, non muove nella direzione delle esposizioni a
piattaforma. Il dispositivo ostensivo che egli mette in atto, pur partendo da riflessioni sulla
contemporaneità, è tutto rivolto all’esposizione di opere le più contemporanee possibile,
invitando anche artisti non più giovani con opere recenti. Un’operazione storicizzante, che
tramite il dispositivo del white cube consegna gli ultimi trent’anni della produzione
artistica alla storia.
Diverso è invece il caso di Harald Szeemann. Se la sua prima edizione del 1999 si accorda
con le sue esperienze precedenti di When Attitudes become form e documenta 5, nella
mostra Platea dell’Umanità, pur non utilizzando strategie partecipative, introduce il
concetto di Plateau che si accorda per molti versi con quello di piattaforma. Come già
evidenziato nella parte dedicata al pensiero curatoriale di Harald Szeemann, Platea
dell’Umanità si presenta, nonostante un favore di critica e di stampa più ridotto rispetto
all’edizione precedente, come una esperienza nuova all’interno della sua produzione
curatoriale. La novità non consiste nel modo di concepire la mostra, che segue i binari
delle mitologie individuali, dell’opera totale e della mostra come cammino iniziatico, ma
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
529
nella proposta complessiva che egli fornisce di platea. Nella parola platea Harald
Szeemann suggeriva che fossero contenuti molti significati di plateau, base, fondazione,
piattaforma
Egli immagina la Platea dell’Umanità come un luogo da cui osservare ma nel quale
contestualmente si « rispecchiano le esistenze umane ». 9 Da questo aspetto si comprende
che l’esposizione è sempre concepito come uno spazio di presentazione e non di
costruzione e produzione ma egli sembra intravedere, visionario qual era, la direzione per
il futuro:
“La Platea per la presentazione delle esistenze umane”. Inherent to this concept is a
subversive – revolutionary trend, that in the near future will certainly lead to and explosive eruption in Art, which we can only hint here”10
L’esposizione come piattaforma viene pertanto declinata sotto molteplici variabili le cui
costanti vanno trovate in alcune caratteristiche rivelatrici ma soprattutto nell’impostazione
della concezione di fondo di esposizione come dispositivo e di arte come parte del
complesso culturale.
Quest’ultimo aspetto inoltre viene declinato secondo un’idea moderna, recuperata delle
avanguardie storiche, della capacità dell’arte di mostrare la strada per il futuro, di indicare
la via. Un’impostazione che dopo la caduta del muro di Berlino è nuovamente reinvestita
di positività costruttiva benchè inserita in un sistema che ancori l’utopia alla realtà.
L’esposizione può diventare quindi una porta aperta in questa direzione, o come indica la
freccia che emblema grafico della mostra Stazione Utopia, un vettore di cambiamento e di
trasformazione.
L’esposizione come piattaforma si configura quindi come una struttura strategica
all’interno della produzione artistica entro cui l’esposizione si situa e, questo genere di
esposizione, intende situarsi. Achille Bonito Oliva intendeva la mostra come un luogo di
rapporti di forze che non vengono rilevati nella mostra ma pre-ordinati e pre-organizzati
anche se non pre-definiti nel risultato. Il movimento utopico in avanti che l’esposizione
suggerisce e costruisce tramite pratiche di partecipazione e discorsive –Bruce Ferguson
riconosce proprio nel discoursiveness la caratteristica principale di tante biennali
contemporanee – non prevede i risultati che poi si acquisiscono. Ciò che la mostra
produce in termini di rapporti, suggerimenti e idee non rimangono all’interno
9 “After dAPERTutto, “Plateau”. The idea contains many ideas: it is plateau, basis, foundation, platform. The Biennale as mirror and platform of humankind.“ Harald Szeemann e Cecilia Liviero Lavelli, op. cit., catalogo della mostra, 2001, p. XVIII. 10 Harald Szeemann, Ibidem.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
530
dell’esposizione stessa, pertanto anche ciò che rimane risulta in un’esperienza valutabile
solo singolarmente. Ma l’obiettivo della piattaforma non è specifico è strategico.
In questo senso infatti è possibile definire la mostra come piattaforma, come dispositivo,
nel senso di essere « un insieme di strategie di rapporti di forza che condizionano certi tipi
di sapere e ne sono condizionati »11
Seguendo la ricostruzione della genealogia e la definizione delle caratteristiche che ne fa
Giorgio Agamben sulla scorta di Foucault si possono individuare le tre principali
caratteristiche:
“a. E’ un insieme eterogeneo, che include virtualmente qualsiasi cosa, linguistico e non-linguistico allo stesso titolo: discorsi, istituzioni, edifici, leggi, misure di polizia, proposizioni
filosofiche, etc.. Il dispositivo in se stesso è la rete che si stabilisce fra questi elementi b. Il dispositivo ha sempre una funzione strategica concreta e si inscrive sempre in una
relazione di potere c. come tale, risulta dall’incrocio di relazioni di potere e di relazioni di sapere.”12
Secondo questi termini si può dire che la mostra come piattaforma è un dispositivo in
senso Foucaldiano dal momento che stabilisce una strategia concreta che prende corpo
nelle iniziative dalla mostra ai dibattiti ai programmi didatti che si svolgono durante la
mostra includendo ogni genere di iniziativa. Ognuna di queste “concorre allo stesso titolo”
per cui come detto, nelle Biennale di Bonami o di Achille Bonito gli elementi che le
costituiscono partecipano egualmente al registro della mostra ed è la mostra è la rete che
tiene insieme la relazione fra questi elementi così disparati.
Alla base della creazione dei dispositivi, spiega in maniera piena di interessanti
conseguenze che non è possibile qui indagare, vi è un desiderio di felicità e la cattura e la
soggettivazione di questo desiderio in una sfera separata (costituita appunto dal
dispositivo) costituisce la potenza specifica del dispositivo.13
L’idea centrale di Agamben intorno al dispositivo è che , di qualunque genere esso sia,
concorre alla formazione della personalità di chi li usa.
Nella mostra a piattaforma questa idea costituisce da un lato la speranza e l’utopia di
questo genere di mostre dall’altro la radice della critica che ne è scaturita, anche se si è il
più delle volte direzionata nelle particolarità accessorie che la costituivano come l’aspetto
della partecipazione e collaborazione.14
11 Giorgio Agamben, Che cos’è il dispositivo?, I sassi nottetempo, Roma 2006, p. 7. 12 Giorgio Agamben, Ibidem. 13 Giorgio Agamben, op.cit., 2006, p. 26. 14 Cfr. Claire Bishop, Artificial Hells, Participatory Art and the politics of Spectatorship, Verso, New York, 2012; Markus Miessen, The Nightmare of Participation, Stenberg Press, Berlin, 2010.
SEZIONE III- ESPOSIZIONE COME PIATTAFORMA
531
In sintesi dunque la mostra come piattaforma è una strategia che risponde alla domanda
dei curatori di riconsegnare all’arte un’identità e un ruolo sociale e politico perduto.
I modi in cui la strategia della piattaforma prende corpo sono declinate in modo spesso
diverso ma rispondono sempre al principio di una mostra come luogo di costruzione e di
produzione culturale in cui ci sono molti aspetti a concorrere a tale produzione e tutti
vengono considerati alla stessa stregua.
La pervasività di questo modello espositivo è stato molto alto ma la ricerca si ferma nel
momento in cui i grandi esempi di questa strategia erano stati messi in atto (documenta
11 e Sogni e conflitti), e si rimane con la domanda di Agamben Se i dispositivi che
circondano ormai la nostra esistenza non stanno di fronte all’uomo come oggetti neutri
ma, al contrario, creano la personalità di chi li usa, quale strategia dobbiamo seguire nel
nostro quotidiano corpo a corpo?”15
15 Giorgio Agamben, op. cit., 2006, p. 40.
BIBLIOGRAFIA – FONTI PRIMARIE
533
BBIBLIOGRAFIA
FONTI PRIMARIE
ARCHIVIO STORICO DELLE ARTI CONTEMPORANEE, VENEZIA, (ASAC)
Fondo storico, Serie La Biennale di Venezia (FS, BV)
Presidente:
Deliberazioni: registro 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48
Decreti e ordinanze presidenziali: busta 2
Verbali. Consiglio direttivo: registro 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37
Verbali ed altri materiali portati alla discussione del Consiglio di amministrazione
1992 – busta 115, 116, 117
1993 – busta 118, 119, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128
1994 – busta 129, 130, 131, l32, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142
1995 – busta 143, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155
1996 – busta 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164
1997 – busta 165
Deliberazioni del consiglio direttivo
1992 – registro 61, 62
1993 – registro 64, 65, 66
1994 – registro 67, 68, 69
1995 – registro 69, 70, 71, 72, 73, 74
1996 – registro 74, 75, 76, 77
1997 – registro 77
Deliberazioni del Comitato esecutivo
1992 – registro 43, 44
1993 – registro 45, 46, 47, 48, 49
1994 – registro 49, 50, 51, 52, 53
1995 – registro 54, 55, 56, 57, 58, 59
BIBLIOGRAFIA – FONTI PRIMARIE
534
1996 – registro 59, 60, 61, 62, 63, 64
1997 – registro 64, 65, 66, 67, 68
1998 – registro 68
Fondo storico, Serie La Biennale di Venezia
Sezione Di DEPOSITO
Arti Visive
1990-2005 – busta 2058
1991-2001 – busta 2083
1992-1994 – busta 447, 520, 2672, 3899
1992-1995 – busta 3851
1993 – busta 9, 251, 256, 258, 260, 262, 263, 267, 281, 416, 417, 418, 419, 422, 425, 427, 421, 440, 441, 442, 443, 449, 450, 451, 452, 453, 454, 461, 472, 474, 476, 477, 478, 510, 511, 512, 513, 515, 516, 517, 518, 519, 521, 522, 523, 524, 1101, 2038, 2039, 2040, 2041, 2042, 2043, 2044, 2045, 2046, 2048, 2220, 2252, 2349, 2358, 2359, 2360, 2361, 2421, 2433, 2434, 2435, 2475, 2674, 5041, 5042, 5043
1993-1997 – busta 400, 2887
1994 – busta 485, 486, 487, 490, 492, 495, 496, 498, 499, 500, 503, 504, 505, 506
1994-1995 – busta 404, 458, 468, 470, 492, 752
1995 – busta 244, 348, 381, 382, 383, 384, 385, 386, 387, 388, 389, 390, 391, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 398, 401, 402, 403, 406, 407, 409, 410, 411, 412, 413, 414, 437, 438, 444, 445, 446, 448, 456, 459, 462, 463, 464, 465, 469, 479, 480, 481, 482, 484, 488, 491, 493, 501, 502, 507, 508, 509, 781, 782, 783, 784, 785, 826, 1036, 2049, 2050, 2052, 2051, 2053, 2054, 2216, 2251, 2253, 2254, 2518, 3037, 3038, 3039, 3040, 3041, 3042, 3043, 3044, 3045, 3046, 3047, 3048, 3049, 3050, 3051, 3052, 3053, 3054, 3055, 3056, 3057, 3058, 5003
1996 – busta 2573, 2956
1997 – busta 290, 291, 292, 873, 888, 1023, 1024, 1025, 1054, 1057, 2088, 2089, 2090, 2091, 2093, 2103, 2104, 2105, 2106, 2107, 2108, 2109, 2110, 2111, 2115, 2126, 2130, 2131 2132, 2136, 2137, 2138, 2139, 2140, 2218, 2229, 2467, 2469, 2495, 2496, 2497, 2498, 2499, 2500, 2522, 2523, 2524, 2525, 2526, 2528, 2529, 2530, 2531, 2532, 2533, 2627, 2628, 2629, 2630, 2633, 2648
1998 – busta 1035, 1037
1999 – busta 874, 939, 940, 941, 1020, 1022, 1038, l039, 1052, 1053, 1055, 1056, 2190, 2192, 2194, 2202, 2203, 2204, 2205, 2209, 2460, 2462, 2463, 2464, 2465, 2539, 2540, 2541, 2542, 2543, 2544, 2562, 2563, 2564, 2565, 2566, 2567, 3833, 3900, 4958, 4959, 4960, 4961, 4962, 4963, 4964
2000 – busta 2168
BIBLIOGRAFIA – FONTI PRIMARIE
535
2001 – busta 517, 531, 533, 534, 535, 966, 967, 968, 969, 973, 2163, 2164, 2165, 2166, 2167, 2227, 2273, 2275, 2276, 2278, 2285, 2286, 2289, 2291, 2293, 2294, 2310, 2320, 2322, 2323, 2324, 2330, 2453, 2454, 2455, 2456, 2458, 2489, 2490, 2491, 2492, 2493, 2494, 2545, 2546, 2547, 2548, 2549, 2550, 2609, 2610, 2611, 2612, 2613, 2614, 2616, 2619, 2623, 2817, 3837, 3838, 3843
2002 – busta 2297, 3840
2003 – busta 4863, 4864, 4865, 4866, 4867, 4868, 4894, 4895, 4896, 4897, 4946, 4957, 4965, 4966, 4967, 4968, 4969, 4970, 4971, 4972, 4973, 4974, 4975, 4976, 4978, 4980, 4981, 4982, 4983, 4989, 4990, 4991, 4992
Documentazione Fotografica e video
ARCHIVIO STORICO DELLE ARTI CONTEMPORANEE, VENEZIA, (ASAC)
Diapositive
1993 – busta 13 e successive
1995 – busta 23 e successive
1997 – busta 31 e successive
1999 – busta 40 e successive
2001 – busta 50 e successive
2003 – busta 69 e successive
DOCVA
1993 – 707.4 1993 BIENNALE
1995 – 707.4 1995 BIENNALE; Whitney Biennale 1995;
1997 – 707. 4 1997 BIENNALE; FUTURO PRESENTE PASSATO 1997; documenta X;
709.2 Marina Abramovic (intervista)
1999 – 707. 4 1999 BIENNALE
2002 – 707.4 2002 documenta 11 – Platform 5
2003 – 707.4 2003 BIENNALE
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