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Sommario Introduzione.............................................................................pag. 5 1. Una scuola, un nome..............................................................6 2. Prima......................................................................................8 3. Durante...................................................................................9 3.1 «L’“allievo di Kerényi” che ero stato».......................9 3.2 La strada indicata da Pettazzoni.................................” 10 3.3 L’«embrassons-nous» di Marburgo............................” 14 3.4 Contro l’«homo religiosus»........................................” 17 3.5 Una teologia mascherata............................................” 19 3.6 Riconquista della storia..............................................” 22 4. Dopo.......................................................................................” 24 4.1 Religione è cultura......................................................” 24 4.2 Una disciplina «discutibile»........................................” 26 4.3 «Perché storicismo e quale storicismo?»....................” 28 5. Relativo e assoluto.................................................................” 32 6. Conclusione.............................................................................” 35 Note..............................................................................................” 37 Riassunto – Summary..................................................................” 45 Riferimenti bibliografici..............................................................” 46 3

«La storia sta in scelte». Lo storicismo di Angelo Brelich alla luce della sua critica alla fenomenologia della religione

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Sommario

Introduzione.............................................................................pag. 5

1. Una scuola, un nome..............................................................” 6

2. Prima......................................................................................” 8

3. Durante...................................................................................” 93.1 «L’“allievo di Kerényi” che ero stato».......................” 93.2 La strada indicata da Pettazzoni.................................” 103.3 L’«embrassons-nous» di Marburgo............................” 143.4 Contro l’«homo religiosus»........................................” 173.5 Una teologia mascherata............................................” 193.6 Riconquista della storia..............................................” 22

4. Dopo.......................................................................................” 244.1 Religione è cultura......................................................” 244.2 Una disciplina «discutibile»........................................” 264.3 «Perché storicismo e quale storicismo?»....................” 28

5. Relativo e assoluto.................................................................” 32

6. Conclusione.............................................................................” 35

Note..............................................................................................” 37

Riassunto – Summary..................................................................” 45

Riferimenti bibliografici..............................................................” 46

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RICCARDO NANINI

«LA STORIA STA IN SCELTE»Lo storicismo di Angelo Brelich

alla luce della sua critica alla fenomenologia della religione

Introduzione

L’immensa figura di Raffaele Pettazzoni troneggia indistur-bata da quasi un secolo sullo sfondo degli studi storico-religiosi ita-liani. Ad Angelo Brelich, primo successore del persicetano sullacattedra di storia delle religioni dell’Università di Roma, è toccatoforse il fardello piú pesante: quello di restare fedele al maestro sen-za sacrificargli la propria originalità. Meno venerato, meno influen-te, meno studiato e forse meno capito di Pettazzoni, Brelich è, percerti aspetti, il vero fondatore della “Scuola Romana”, se non altroperché a lui appartiene il duro e oscuro lavoro di costruzione diun’identità in senso lato “storicistica” che, per quanto messa in dub-bio – in primis da lui stesso –, rimane tutt’oggi come punto fermonello studio scientifico della religione a livello nazionale e interna-zionale.

Aspetto fondamentale del Brelich scienziato è una polemicacostante, sempre dura e inflessibile, contro approcci al fenomeno re-ligioso estremamente differenti dal suo, che egli chiama «irraziona-listi». Una polemica che si può agevolmente ritrovare in molti altristudiosi italiani di storia delle religioni, a cominciare – ma la que-stione è tuttora aperta – da Pettazzoni:1 nell’estro concettoso e com-battivo di Ernesto de Martino,2 nell’antropologismo laicista di Vit-torio Lanternari,3 nell’«aristotelismo» di Ugo Bianchi,4 nello storici-smo «filo-gramsciano» di Alfonso M. Di Nola5 o nel “post-brelichi-smo” di Dario Sabbatucci.6

Quello che Brelich chiama «irrazionalismo» è in buona partecostituito dalla fenomenologia della religione,7 che ha il suo capo-stipite ideale in Rudolf Otto e i suoi rappresentanti piú significativie piú noti in Gerardus van der Leeuw e Mircea Eliade.8 Ebbene, nonè temerario affermare che la sua polemica contro la fenomenologiaè un elemento essenziale della sua metodologia e della sua episte-mologia: gli «irrazionalisti», per contrasto, indirizzano lo studioso,deciso a progredire sulla strada segnata da Pettazzoni, verso quello

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«storicismo assoluto» che rimarrà fino ad oggi uno dei segni carat-teristici della scienza delle religioni italiana.

In questo studio vogliamo ripercorrere le tappe piú significa-tive di questo confronto critico, cosí come risultano dai testi breli-chiani – cui sarà dato ampio spazio –, cercando di mettere in luce leragioni e i ragionamenti del rifiuto – definibile per certi versi comeaprioristico – dell’approccio fenomenologico in contrapposizionealla conformazione dello “storicismo assoluto” del successore diPettazzoni.

1. Una scuola, un nome

Sostiene Brelich ad un convegno del 1973:

«Una scuola romana di storia delle religioni […], in realtà nonesiste né nel senso banale dell’insieme di un maestro e deisuoi seguaci, né in quello di un ben preciso e facilmente defi-nibile indirizzo programmaticamente seguito da un gruppo distudiosi romani.»9

E continua, parlando dell’«origine scientifica» della loro «comunediscendenza»:10

«Noi, studiosi italiani (non solo romani) di storia delle religio-ni, non abbiamo dietro le spalle grandi tradizioni che affondi-no le radici nel secolo scorso. In campo classico ci manca laspontanea assimilazione dello spirito dell’Altertumwissen-schaft germanica; in campo comparativo non siamo sorretti dauna familiarità acquisita sin dai primi anni di studio con certiproblemi e certe cognizioni che nei paesi anglosassoni l’ormaisecolare scuola antropologica inglese imponeva, o metteva adisposizione, a chiunque; né abbiamo assorbito, sin da ragaz-zi, ciò che delle conquiste della scuola sociologica francesecircolava nella cultura generale della Francia. La nostra origi-ne comune […] si riassume in un unico nome, quello di Raf-faele Pettazzoni, primo e, fino alla sua vecchiaia, si potrebbedire, unico studioso italiano di storia delle religioni.»11

Lo schermirsi di Brelich è almeno in parte contraddetto dal-l’ottimismo del maestro Pettazzoni, che in un colloquio privato conun altro dei suoi discepoli, Vittorio Lanternari, ha occasione di af-fermare:

«Oggi esiste un gruppo di giovani studiosi che, pur nella di-versità di orientamento individuale e pur provenendo da diffe-renti indirizzi, risultano uniti da una comune consapevole ten-denza, lo storicismo. Ora, è bene che l’Italia si faccia conosce-

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re su scala internazionale, perché la nostra scuola di studiosiha davvero qualche cosa di nuovo e d’importante da dire a li-vello internazionale. Fuori d’Italia è mancata una tradizionestoricistica altrettanto consapevole e coerente; anzi nel nostrocampo di studi dominano per lo piú correnti non altrettantoaperte e rinnovatrici. Si tratta dunque di far valere il frutto delnostro pensiero chiarificatore, là dove spesso prevalgono an-cora indirizzi antistoricisti, dove insomma la luce del pensierostorico non è pervenuta ancora appieno a far suo il dominiodegli studi religiosi.»12

Ciò che Pettazzoni non contraddice, del resto, è l’afferma-zione che a lui e soltanto a lui sia dovuta la nascita degli studi stori-co-religiosi in Italia. Piuttosto, per il maestro si tratta di vedere inpositivo quella che per Brelich è una sostanziale mancanza di lun-ghe e provate tradizioni: bisogna, finalmente, rendere effettivo il«nostro pensiero chiarificatore», l’unico capace di portare la «lucedel pensiero storico».

In effetti, la questione dell’esistenza “formale” di un’organi-ca e organizzata scuola romana o italiana di studi storico-religiosiassume un’importanza piuttosto secondaria, nel momento in cui sidà credito all’ipotesi che il ruolo pettazzoniano, al di là dell’abilità“politica” del persicetano di farsi spazio nella cultura e nell’univer-sità, fino al secondo dopoguerra impregnate di neoidealismo, sia daindividuare in un peculiare storicismo metodologico, proposto sulpiano teoretico ma ancor di piú messo in pratica nell’esercizio con-creto della ricerca scientifica.

Brelich è l’anima di tale storicismo metodologico. È, se sivuole, la figura piú genuina, e piú esposta, della Scuola Romana,tutta tesa a cercare di allontanare quelle ombre di ambiguità e dicommistione con correnti «antistoriche» che Pettazzoni non avevapotuto o voluto dissipare completamente. È la figura che, propriosul piano concreto della ricerca, influenza in misura maggiore lescelte e i metodi dei successivi studiosi di storia delle religioni del-l’Università di Roma, i quali, piú che allievi del “patriarca” Pettaz-zoni, non potranno essere che seguaci del suo primo successore.13

Ed è la figura meno disposta in assoluto – in nome della pura meto-dologia – a scendere a patti con l’«irrazionalismo» fenomenologico-religioso, anche soltanto a concedergli lo statuto di scienza.

2. Prima

Lo stesso Brelich14 suddivide il proprio percorso scientificoin tre grandi momenti, emblematicamente denominati Prima, Du-rante e Dopo;15 dove il Durante segnala il paradigma della massima

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resa dell’attività di ricerca e di studio. Il suo lavoro di storico dellereligioni si situa quindi, fondamentalmente, in quella lunga fase cheva all’incirca dal 1953-1955 (epoca in cui Brelich inizia, su incari-co, a svolgere corsi annuali di storia delle religioni) alla per lui si-gnificativa stagione del Sessantotto, quando l’attento studioso sirende conto che l’«ideologia» (di origine anche «pettazzoniana»)dell’«insegnamento asetticamente “aconfessionale e apolitico”»«serve solo alla causa della conservazione».16

Il «Prima» rappresenta innanzitutto, per Brelich, il dilemmascientifico della scelta tra approfondimento monografico ed esigen-ze comparative:

«Credendo – spiega nella sua autobiografia – che la storia del-le religioni fosse necessariamente da condurre su scala ecume-nica, come faceva Pettazzoni, e d’altra parte convinto, peresperienza diretta, che anche lo studio di una sola religione erainesauribile, vedevo nella situazione degli studi contempora-nei (che mal conoscevo!) il conflitto tra l’esigenza della com-parazione (che non comprendevo!) e quella dello studio inprofondità delle singole religioni (che credevo possibile senzala comparazione!).»17

Questo periodo viene retrospettivamente liquidato da Brelich– “sradicato” e trapiantato a Roma, dove ha l’occasione di conosce-re Ernesto Buonaiuti e di iniziare a frequentare Pettazzoni – come lafase dell’«assenza di una qualsiasi presa di coscienzametodologica»;18 tanto che arriva ad affermare:

«Io non riconosco piú come “miei” i lavori scritti “prima”(cioè prima dell’acquisizione di una coscienza metodologicastorico-religiosa).»19

Originariamente allievo di Kàroly Kerényi, storico delle reli-gioni di orientamento irrazionalista, e soprattutto culturalmente for-matosi in Ungheria, Brelich acquisisce quella «coscienza metodolo-gica storico-religiosa» distaccandosi piuttosto bruscamente dall’an-tico maestro, e abbracciando il comparativismo storico pettazzonia-no. Fino al momento in cui egli comprende quanto gli specialisti deisingoli settori filologici «fossero lontani non solo dal risolvere», mapersino «dall’essere in grado di porre certi problemi» risultanti dallapiú semplice operazione comparativa,20 egli continua a subire, piú omeno passivamente (da quanto si evince, almeno, dal suo testo auto-biografico), il fascino kerényiano:

«Finché io non scoprii la mia propria linea metodologica, nonavevo, sul piano scientifico, nulla da opporre al suo indirizzo

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[di Kerényi] e continuavo a credere che la sua genialità apris-se chissà quali strade imbattute verso la conoscenza della reli-gione greca:21 fu solo con la mia presa di coscienza che, anchesotto quell’aspetto, mi allontanai con vertiginosa rapidità dallesue idee.»22

3. Durante

3.1 «L’“allievo di Kerényi” che ero stato»L’occasione della rottura definitiva viene fornita a Brelich

da un volumetto kerényiano del 1955:23 sulla rivista pettazzoniana“Studi e materiali di storia delle religioni” dell’anno successivo, piúche una recensione dell’opera, viene pubblicato24 quello che Adria-no Santiemma definisce un vero e proprio «tentativo di Brelich diridurre alla storia l’a-storico (ungeschichtliche = “essenza”, “arche-tipo”, “divino”) del suo maestro».25 Questo il punto di vista delloscienziato italo-ungherese:

«Per me si trattava, in piú sensi, di un bisogno di chiarificazio-ne: ora che avevo scoperto la mia strada, dovevo confrontarmicon il mio proprio passato, con l’“allievo di Kerényi” che erostato, sia per misurare il senso e la portata del cambiamento dirotta, sia per capire come mai avevo potuto rappresentare unindirizzo che ora mi ripugnava.»26

Quel che ci interessa principalmente qui è accogliere questoscritto come il primo “programma” metodologico brelichiano, percapire in che modo e in che misura il successore di Pettazzoni sullacattedra romana di storia delle religioni si fa storicista e comparati-vista, e fa sua la “missione” di smascherare ogni approccio “religio-nistico”. Sottolinea Brelich:

«Ora bisogna dir la verità, certi atteggiamenti degli “irraziona-listi” giustificano abbondantemente questo sospetto: spessoessi tendono a render “irrazionali” gli studi stessi che, eviden-temente, non possono esistere al di fuori della logica. Malgra-do sia una banalità addirittura vergognosa, sembra ancora ne-cessario riaffermare che l’irrazionalità di un fenomeno nondeve minimamente influire sulla razionalità del suo studio e,viceversa, la razionalità dello studio non deve tendere a oblite-rare l’irrazionalità del fenomeno.»27

Ma l’intento di Brelich è, comunque, quello di “salvare” Ke-rényi dalle accuse principali mossegli: quelle di «psicologismo» e«fenomenologismo». Il distacco, in altre parole, è ancora condizio-nato dal «residuo attaccamento a Kerényi, fondato sui ricordi del

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passato» e da un «impulso polemico»28 proprio verso gli studiosiitaliani che, pregiudizialmente, mal tollerano gli approcci non con-formi alla loro tradizione.

«Cosí l’articolo attenua, nei limiti del possibile, le critiche emette in rilievo tutto ciò che sia pur solo parzialmente potevaapparire salvabile nel libro [di Kerényi].»29

Il suo è un lavoro di diplomazia, di fronte a chi, da un lato,appare estraneo (e in effetti lo è) a ogni ipostatizzazione cripto-teo-logica, e dall’altro vuole muoversi oltre la storia, nel solco di unaconcezione di homo religiosus che fa il paio, per analogia, con quel-la di «homo œsteticus».30

La condanna della fenomenologia della religione è totale esenza appello, nel discepolo:

«È un fatto notevole che mentre proprio negli ultimi decennigli specialisti di ogni ramo della storia culturale, compresi glistorici delle religioni, hanno acquistato una sempre piú chiaracoscienza del carattere organico delle civiltà e dell’inseparabi-lità dei loro singoli aspetti, nello stesso tempo ha preso nuovisviluppi anche la comparazione storico-religiosa e quell’indi-rizzo fenomenologico che, prescindendo dalla coerenza orga-nica delle singole civiltà in cui sono funzionalmente inserite lereligioni, tratta i fenomeni religiosi come fatti autonomi e cer-ca di ritrovarli, sostanzialmente identici, nelle civiltà di piúvario tipo.»31

Ma lo è anche, ab origine, nell’(ex-)maestro:

«[…] Quando [Kerényi] insiste sul fatto che in ogni civiltàtutto è connesso, che una civiltà è un contesto unico, le sueconclusioni sarebbero gradite ai funzionalisti, mentre i “feno-menologi” dovrebbero sentirsi invitati a controbatterle.»32

Il solo limite del maestro “ripudiato” è che non vuole, in-somma, fare i conti fino in fondo con l’unicità e con l’autonomiacreativa di ogni processo storico. Dunque, lo ammonisce Brelich:

«Bisogna stare in guardia di fronte a una concezione “linnèa”,quale traspare appunto dal termine homo religiosus: la “quali-tà” religiosa deve essersi formata in qualche tempo, come tut-te le altre “qualità” e nulla proibisce che a un certo momentoscompaia. Se nella pratica possiamo prescindere dalla sua sto-ricità e considerarla “universalmente umana”, è perché la tro-viamo presente in tutte le civiltà conosciute: perciò essa risultaun’acquisizione anteriore alle differenziazioni culturali, a noinote, del genere umano. […] Le qualità “universalmente uma-ne” non esistono nel senso assoluto, “linnèo”, ma possono

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considerarsi “a-storiche” ai fini della concreta ricerca storicache non voglia divagare nel “pre-umano” e nel teorico.»33

Si tratta quindi di un distacco, quantomeno nelle intenzioni(nei fatti, specie dal punto di vista affettivo, non è cosí), indolore: ilvero “nemico” del comparativismo storico-religioso non è Kerényi,il vero peccato non è quello della messa fra parentesi della storia; o,perlomeno, non è che un peccato di omissione. Colpa assai piú dele-teria è quella di ignorare la «coerenza organica delle singole civiltà»nelle quali sono inserite le religioni. Brelich è persino disposto adaccettare, a livello convenzionale, il concetto di «homo religiosus»dell’ex maestro, purché sia chiaro che l’«universalmente umano»semplicemente non esiste in senso assoluto, non si dà come variabi-le indipendente «pre-umana».

3.2 La strada indicata da PettazzoniAngelo Brelich, come storico delle religioni, nasce privo dei

favori, almeno iniziali, di Pettazzoni: fino al 1957 non viene banditoalcun concorso per la successione sulla cattedra dell’Università diRoma, ed è soltanto, forse, grazie a un ultimo ripensamento pettaz-zoniano che lo studioso italo-ungherese può prevalere, in extremis,sul rivale Ernesto de Martino, diventando professore di ruolo. Ora,in che misura, fino a che punto Brelich prosegue lungo la strada se-gnata dal persicetano?

Per Giovanni Filoramo e Carlo Prandi si tratta del «perso-naggio piú vicino a Pettazzoni e piú coerentemente impegnato acontinuarne il magistero»;34 e, effettivamente, in molti casi Brelichnon è avaro di riconoscimenti e tributi nei confronti di colui che l’hainiziato al comparativismo storico-religioso. Nel discorso comme-morativo di Pettazzoni, pubblicato su “Studi e materiali” l’anno se-guente alla sua scomparsa,35 Brelich fa però un’affermazione parti-colarmente interessante, in riferimento al famoso «ogni phainóme-non è un genómenon»36 del maestro:

«Ora, anche il pensiero di Pettazzoni è un genómenon, e nonsi può intenderlo pienamente senza risalirne alle origini e se-guirne gli sviluppi.»37

Qui è senza dubbio implicito l’assunto che nulla di ciò cheha realizzato Pettazzoni, specie dal punto di vista metodologico, vaconservato immutato. Il persicetano ha insegnato all’Italia che cos’èla storia delle religioni, ha creato il metodo comparativo e l’ha com-binato con uno storicismo nuovo e originale, e per di piú corre il ri-schio, a posteriori, di subire una sorta di incomprensione di ritorno,

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simile a quella chi, agli inizi di carriera, si misurava con i suoi lavo-ri.38

Ma Pettazzoni non ha detto l’ultima parola sulla storia dellereligioni. Brelich stesso confessa che, nella propria commemorazio-ne di Pettazzoni,

«[…] – a leggere tra le righe – si trova, da un lato, una primapresa di distanza dalla metodologia pettazzoniana (mai chiari-ta in pieno sul piano teorico, nemmeno nel suo ultimo articoloin “Numen” 1959, e perciò data da me come implicita nelleopere e in continua formazione), dall’altro lato una surrettiziaattribuzione di orientamenti metodologici miei, sotto la par-venza di esegesi a Pettazzoni che, in realtà, quegli orientamen-ti non li aveva mai messi in pratica.»39

Quando sostiene che «il pensiero di Pettazzoni si è venutomaturando lentamente lungo i decenni della sua operosità»,40 e che

«[…] istintivamente egli avvertì che i metodi prefabbricatinon reggevano alla prova e che il vero metodo doveva forgiar-si nelle quotidiane prove della ricerca diretta»,41

Brelich, infatti, da una parte difende il maestro da ogni accusa di“fissismo” metodologico:

«Pettazzoni ha cominciato da comparativista ed è rimastocomparativista per quasi un mezzo secolo. Credo di poter af-fermare che questa apparente invariabilità del suo metodo siala fonte prima di ogni malinteso sorto intorno alla suaopera.»42

Poi, tuttavia, legge il concetto di comparativismo pettazzoniano at-traverso i propri occhi di studioso:

«La comparazione di per sé non è una scuola, non è un indi-rizzo, non è nemmeno una tecnica, è soltanto un mezzo chepuò esser impiegato con varie tecniche e al servizio di vari or-dini di ricerca e di varie finalità. Ciò che resta da vedere è se ilcomparativismo di Pettazzoni giovane sia stato lo stesso deisuoi contemporanei e se il comparativismo di Pettazzoni vec-chio sia stato quello stesso di Pettazzoni giovane.»43

Quella del maestro è

«[…] non […] una comparazione orizzontale e sterile di feno-meni, bensí comparazione di processi storici; non comparazio-ne intenta a livellare e a ridurre, bensí a differenziare e a pre-cisare, onde cogliere, oltre che le trame fondamentali comuni,anche le irrepetibili soluzioni creative concrete.»44

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Brelich, in definitiva, nella misura in cui sostiene che «Pet-tazzoni ha fatto molto, ma soprattutto ha indicato la strada»,45 sisente autorizzato a storicizzare, in tutti i sensi, il suo pensiero, perportarlo alle sue estreme conseguenze: la comparazione, che per ilpersicetano è il mezzo principale per arrivare alla comprensione diun fenomeno complesso e polimorfo, ma sostanzialmente unitario –la religione –, nell’italo-ungherese si riduce in mero strumento perl’approfondimento monografico, per l’analisi strutturale e storico-culturale di ogni singola religione, per renderla unica – e per questo,alla fin fine, incomparabile. Brelich è e rimane uno specialista dellereligioni della Grecia e di Roma antiche, che sfrutta il metodo com-parativo (che forse sarebbe piú opportuno definire, nel suo caso,“confrontativo”) in primo luogo per rendere maggiormente intelligi-bili le dinamiche genetiche del mito greco o del dionisismo. (È piut-tosto significativo che, in occasione di alcune lezioni universitarieche ricorda «con vergogna», egli ritenga «oziosa» la «questione del-la definizione del concetto di “religione”».)46

Certo, afferma,

«[…] a leggere oggi l’ultimo articolo della sua vita – Il meto-do comparativo – uscito nel 1959 nella rivista Numen, si rima-ne, a tutta prima, perplessi.»47

Forse il successore di Pettazzoni è addirittura deluso dalmaestro, che parla di una «scienza integrale delle religioni», suddi-visa tra indagine storico-religiosa e fase fenomenologica, quandoBrelich attacca apertamente la fenomenologia e la trasforma nel ne-mico principale, specie dopo la scomparsa dello studioso persiceta-no, della genuina comparazione storica:

«L’indirizzo di Pettazzoni […] in realtà è minacciato nel suoelemento piú vitale e piú moderno. Infatti, la comparazione è,inevitabilmente, pane quotidiano anche dei fenomenologi:solo in base alla comparazione si può giungere ai pretesi ar-chetipi generalmente umani, alla definizione di una strutturaarcaica del pensiero […]. Stabilendo posizioni archetipe carat-teristiche, indistintamente, di ogni civiltà arcaica, e quindi va-lide fuori dal tempo, la fenomenologia religiosa sottrae la re-ligione alla storia e contemporaneamente alla sfera umana.Con ciò essa si ricongiunge a ben piú antichi orientamenti an-tiumanistici e mistici che solo anacronisticamente possonopretendere di esser piú moderni del limpido e risoluto pensierostorico di Pettazzoni.»48

3.3 L’«embrassons-nous» di Marburgo

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Il disappunto brelichiano nei confronti della corrente «irra-zionalista» raggiunge uno dei suoi punti massimi nella «Nota pole-mica» pubblicata sullo stesso numero di “Studi e materiali”,49 a pro-posito del “famigerato” Congresso Internazionale di Storia delle Re-ligioni di Marburgo del 1960.50 La polemica è sollevata, da una par-te, grazie all’impalpabilità di una sensazione:

«L’atmosfera del Congresso di Marburgo […] non sembravatanto quella di un congresso di storia delle religioni, quantoquella di un incontro tra religioni.»51

Il simposio viene visto come «un generale embrassons-noustra le varie religioni»,52 cosa che evidentemente non favorisce lapermanenza dello «spirito scientifico» necessario in un convegnointernazionale di studiosi. Un embrassons-nous in cui si è volutoprocedere al confronto tra «metodo occidentale» e «metodo orienta-le», e all’auspicio di una riunificazione, o almeno collaborazione,tra i due;53 e dove «occidentale» ha il senso di un approccio rigoro-samente scientifico e storico-comparativo alla religione, mentre«orientale» assume un generico significato prevalentemente irrazio-nalistico. Si domanda lo studioso italo-ungherese:

«Ma come? Non esiste forse – e non da ora – la comparazionestorico-religiosa? e, anzi, non dalle esigenze di questa è scatu-rita, piú di mezzo secolo fa, l’idea di organizzare congressi distoria delle religioni? non è forse proprio la comparazione chegiustifica l’esistenza di una “storia delle religioni” distintadallo studio filologico dell’aspetto religioso di questa o quellasingola civiltà?»54

Il metodo storico-religioso «occidentale», puntualizza,

«[…] si è forgiato nel segno della comparazione e si è sempresforzato di penetrare nei piú grandi problemi […] della storiaculturale umana.»55

Non è vero, insomma, che lo stile di ricerca «occidentale»sia meno adatto di altri a indagare il fenomeno religioso, poichéesso è penetrato nella «storia culturale umana», nella cultura: sicco-me la religione è, nella sua essenza, un prodotto eminentemente cul-turale – è il sillogismo di Brelich –, allora il metodo «occidentale»adottato dagli storici delle religioni rappresenta il sistema piú adattoper accostarsi ad essa.

«In realtà – è il piuttosto definitivo giudizio brelichiano – dimetodo storico-religioso ce n’è uno solo (anche se, natural-mente esso può avere infinite varietà): quello fondato sulla

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comparazione e tendente a interpretazioni storiche. Questometodo è “occidentale” semplicemente in quanto è nato in oc-cidente ed è tuttora coltivato soprattutto in occidente.»56

«Le civiltà di tali nazioni [non occidentali] […] può essere,sotto i piú diversi aspetti, superiore (se di superiorità si puòparlare in campo culturale) alla nostra; quasi certamente avre-mo molte cose da imparare da loro, cose anche di gran lungapiú importanti, ma non la maniera scientifica di studiare lastoria delle religioni.»57

Ma di chi è la responsabilità di tutto ciò? I “registi occulti”di questa fumosa e confusionaria operazione non possono che esse-re i fenomenologi:

«La comparazione è anche oggi attivamente coltivata, soltantosembra che essa sia passata dalle mani degli storici in quelledei fenomenologi delle religioni.»58

C’è, in effetti, una differenza non da poco tra il comparativismo sto-rico e quello fenomenologico:

«Per la storia delle religioni la comparazione serve per indivi-duare in ogni singola formazione religiosa prodotta in mo-menti e luoghi particolari della storia ciò che in essa vi è dispecifico e di nuovo, sullo sfondo di ciò che invece l’accomu-na ad altre formazioni parzialmente analoghe; per la fenome-nologia, la comparazione serve a delineare ciò che tra forma-zioni storiche diverse vi è, malgrado ogni diversità, di struttu-ralmente comune.»59

Se la fenomenologia accettasse il ruolo di subordinazioneche le spetta, potrebbe avere un certo diritto di esistenza, poiché

«[…] anche, infatti, per mostrare il nuovo, l’originale, lo spe-cifico, è necessario elaborare il precedente, il tradizionale, ilcomune, da cui esso si stacca. In tal caso, la fenomenologianon sarebbe che uno strumento della storia.»60

Ma i fenomenologi non sono dello stesso avviso, e cosí,

«[…] volendo costituirsi […] in disciplina autonoma rispettoalla storia, o addirittura volendo invertire i suoi rapporti con lastoria, facendo di quest’ultima il proprio strumento, la feno-menologia viene a fondarsi su implicazioni discutibili sul pia-no teorico, pericolose sul piano pratico.»61

A livello teoretico, quella della fenomenologia è un’opera-zione intrinsecamente «antistorica»:

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«Essa cerca, infatti, di ricostruire strutture comuni a tutte lereligioni del mondo, strutture, cioè, atemporali, poste fuoridella storia – fondate o su una presunta “natura” umana statica(sfociando cosí nelle scienze naturali) o addirittura ontologica-mente (sfociando cosí nella teologia).»62

A livello concreto, poi,

«[…] obliterando le differenze specifiche tra le diverse reli-gioni e tra i loro singoli momenti, essa svaluta l’attività crea-trice umana; per essa le singole religioni e istituzioni religiosenon saranno grandiose creazioni dei vari gruppi umani trovati-si in varie situazioni storiche, ma varianti trascurabili e contin-genti di una struttura ultima e preformata ed eterna: la religio-ne.»63

Individuare forme religiose archetipali, risalire alle struttureinvariabili ed eterne dell’homo religiosus porta necessariamente, aparere di Brelich, a svalutare drammaticamente ogni genialità, ogniimpulso creativo, ogni unicità, ogni storicità degli esseri umani. (Èla tesi che pressoché tutta la Scuola Romana utilizza e porta alleestreme conseguenze, fino a tacciare di indistinta «conservazione»ogni scienziato che fa uso di un approccio “religionistico”.) La con-clusione di Brelich:

«Ed è questo risultato che – prima ancora di esser raggiuntonella forma di una tesi precisa – sta dando i suoi frutti nellapratica: in quel fervore ecumenistico in cui i rappresentantidelle varie religioni ritrovavano, a Marburgo, ciò che li univa,nell’ispirazione dello “spirito divino” quanto piú vago possibi-le, e nella trasformazione di un congresso storico in una orgiadi comunione interconfessionale.»64

3.4 Contro l’«homo religiosus»Laddove Pettazzoni aveva tentato una ricomposizione (e non

soltanto in un inciso, o in uno scritto occasionale, ma almeno in tresaggi metodologici fondamentali),65 invitando implicitamente i pro-pri successori a raccogliere e sviluppare questa sua ultima, impe-gnativa eredità; laddove il padre degli studi religiosi in Italia – e quile ragioni, riteniamo, non sono semplicemente “politiche”, di piú omeno alta diplomazia accademica, ma dettate da lunghe e profonderiflessioni – dimostra una versatilità e un eclettismo che gli consen-tono di non “ipostatizzare” nemmeno il proprio comparativismo sto-rico e, non troppo paradossalmente, di prendere sul serio anche lavia religionistica; laddove, in definitiva, Pettazzoni “cede” – semprecriticamente, però – alla fenomenologia, Brelich riparte da zero. In-terpreta la metodologia comparativa del maestro attraverso chiavi di

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lettura sue proprie, in qualche misura assolutizza la propria metodo-logia, o perlomeno la sua Weltanschauung, e liquida infine fenome-nologi e «irrazionalisti» vari come “preti mascherati”, per di piúreazionari.

Si prenda, ad esempio, il manuale «destinato esclusivamenteall’uso degli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Uni-versità di Roma».66 Scrive Brelich, per presentare ai suoi allievi lacorrente fenomenologica:

«Molti affermano che “la” religione sia connaturata all’uomocome tale (sul modello di homo faber: homo religiosus) e lecondizioni storiche e culturali non decidano che la forma par-ticolare in cui questa religione innata si manifesta concreta-mente.»67

Infatti,

«[…] la moderna corrente di “fenomenologia delle religioni”(G. van der Leeuw, M. Eliade) anche quando non presuppon-ga esplicitamente “la religione” come fatto universalmenteumano, tende verso questa concezione: ricercando, infatti, le“strutture” comuni sotto la varietà dei fenomeni religiosi stori-camente concreti, essa attiva quasi inevitabilmente – e si fer-ma – davanti a una presunta struttura unica comune a ogniesperienza religiosa.»68

È relativamente semplice, per Brelich, controbattere questatesi, poiché

«[…] se è vero che noi non conosciamo alcuna civiltà storica[…] priva di qualsiasi forma di religione, non abbiamo tutta-via il diritto di estendere il valore di questa osservazione difatto su epoche sconosciute del passato […] o del futuro.»69

La religione è sempre e soltanto un prodotto umano, un pro-dotto storico fra gli altri. Non solo non esiste “la” religione, ma nep-pure c’è motivo di creare una separazione fittizia tra religione e cul-tura, fra sacro e profano, quantomeno, e innanzitutto, nel momentodell’analisi delle sue manifestazioni storiche.

«L’irrazionalismo storico-religioso […] pretendeva che l’e-sperienza del “sacro” fosse qualcosa di sui generis, irriducibi-le a ogni altra categoria dell’esperienza umana. Mentre il ca-rattere particolare dell’esperienza religiosa è provato nella mi-sura in cui i prodotti di questa esperienza – le religioni e leloro singole istituzioni – hanno un carattere particolare rispet-to ad altre creazioni umane, il torto fondamentale dell’irrazio-nalismo (in seguito al quale esso esce dal campo strettamente

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scientifico per sfociare nel misticismo, esce dalla storia dellereligioni per diventare, quasi, religione) sta nella convinzioneche all’esperienza sui generis debba rispondere, anche in re,qualcosa di sui generis, il “sacro” stesso, concepito (esatta-mente come lo concepisce il soggetto religioso) come obietti-vamente esistente.»70

Non solo lo studio scientifico delle religioni, nella loro con-formazione e nel loro sviluppo, dimostra, per cosí dire, l’indimo-strabilità di qualsiasi oggettivazione dell’elemento centrale dell’e-sperienza religiosa (il sacro, Dio); non solo esso riesce ad afferrareciò che, a chi si dedica a un’osservazione “partecipante”, sfuggeinevitabilmente (e cioè il fatto che le religioni non si differenzianosensibilmente dalle altre forme di cultura); ma anche, e soprattutto,l’analisi obiettiva dei fenomeni religiosi svela i motivi che spingonoa renderne necessaria l’esistenza.

«Ora, nell’osservare tutto ciò che nelle varie civiltà tende a di-stinguersi come “religioso” da quanto, correlatamente, si di-stinguerà come “profano”, in realtà noi riusciamo a renderciconto – a differenza del soggetto religioso stesso che non viriesce (perché, riuscendovi, distruggerebbe la propria religio-ne) – delle ragioni per cui certe cose assumono un carattere re-ligioso. Dovunque di tratta dello sforzo di un gruppo umanodi proteggersi da ciò che, con altri mezzi, esso non è capacedi dominare.»71

Uno sforzo che le culture, ciascuna con le proprie peculiarità e ca-ratteristiche, compiono attraverso «miti», «riti», «culti», «norme» e«divieti», «valori religiosi», «simboli».72

Ecco, dunque, la definizione a posteriori (ovvero «sulle basidell’osservazione empirica» di ciò che le diverse società, nel corsodel tempo e nello spazio, intendono per tale, in un senso «relativa-mente vicino» a quello occidentale moderno)73 di religione che Bre-lich offre ai suoi studenti:

«Noi possiamo chiamare religioni quei complessi di istituzio-ni, credenze, azioni, forme di comportamento e organizzazionimediante la cui creazione, conservazione e modifiche adegua-te a nuove situazioni, singole società umane cercano di regola-re e di tutelare la propria posizione in un mondo inteso essen-zialmente come non-umano, sottraendone, investendo di valo-ri e includendo in rapporti umani quanto ad esse appare d’im-portanza esistenziale.»74

Da tutto questo non è difficile risalire allo scopo ultimo alquale, a parere di Brelich, è chiamata una disciplina come la storiadelle religioni:

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«Per mezzo della storia delle religioni si arriverà probabil-mente a un rinnovamento radicale degli studi riguardanti lesingole civiltà e quindi anche di tutta la storia umana, cioèdell’uomo quale essere storico creatore di valori. La storiadelle religioni è perciò uno degli strumenti piú efficienti nellacostruzione di un nuovo tipo di umanesimo integrale.»75

3.5 Una teologia mascherataProseguire l’opera di Pettazzoni significa, per Brelich, prima

di tutto scegliere da che parte stare. Non è certamente una meraquestione politica; o meglio, a livello pratico i differenti orienta-menti si stabilizzano e soprattutto tendono a polarizzarsi attorno apunti di riferimento e retroterra culturali, se non ideologici, piú omeno precisamente connotati. L’italo-ungherese sente la necessitàdi riconoscere e sottolineare le linee di demarcazione fra «credenti»e «non credenti», e di conseguenza tra «irrazionalismo» e «raziona-lismo»; di non ignorare l’ambiguo ruolo che anche un attore per al-cuni versi – e in alcuni contesti – secondario, “derivato”, come l’o-pinione pubblica sa giocare, se debitamente stimolato; piú global-mente, ci sembra, egli avverte il bisogno di fare uso di una forma diriflessione intellettuale, di Kultur, come può essere lo studio compa-rato delle religioni, da un lato a livello pre-prassiologico, togliendo-la dal piedistallo per certi aspetti ancora ottocentesco su cui l’avevaposta Pettazzoni (da questo punto di vista, l’accusa crociana di«erudizione» non appare poi cosí assurda), e dall’altro mantenendo-la, contemporaneamente, nell’ordine separato delle dinamiche acca-demiche della cultura “alta”, di una “escatologia scientifica” di sa-pore – paradossalmente – quasi religioso.

D’altronde, senza questo dualismo, probabilmente, si scivo-lerebbe a parere di Brelich, lentamente ma inesorabilmente, in quelperimetro vago e indefinito nel quale proprio lo stile fenomenologi-co sa muoversi con maggiore naturalezza, un’area per un versoascientifica, anti-empirica (non soltanto anti-storicistica), e per l’al-tro soggiogata da – se non complice di – tendenze essenzialmenteconservatrici, velleità inconfessate di una “destra esistenziale” costi-tutivamente antistorica e vagamente affascinata dall’esoterismo.

Nel 1966 Brelich è chiamato a Debrecen, in Ungheria, per il-lustrare la mappa aggiornata degli indirizzi scientifici storico-reli-giosi.76 Nel quadro che fornisce risulta con grande evidenza l’impo-stazione post-pettazzoniana che vuole tendere alla chiarificazione ealla sistematizzazione, pur nell’esplicito spirito “etico” del rifiuto, edella condanna, delle banalizzazioni e «strumentalizzazioni» ideolo-giche. La storia delle religioni, per sua natura, «desta sospetti e av-

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versione tra credenti e non-credenti», nella misura in cui i primi ri-fiutano ogni tentativo storicizzante e potenzialmente riduzionisticodel fatto religioso, e gli atei non ritengono degno di attenzione unaspetto dell’identità umana sostanzialmente irragionevole, se noninspiegabile.77

«Ora – è il ragionamento di Brelich – la polemica direttamen-te ispirata a simili fini non porta […] a una seria attività scien-tifica; ma che l’opinione pubblica costituisca quasi costante-mente il sottofondo, spesso inconscio, anche degli studi piúseveri, risulta dal fatto che la storia delle religioni, da quandoesiste, si muove e si sviluppa tra i due poli d’attrazione dell’ir-razionalismo – religioso o di sia pur lontana e indiretta originereligiosa – e del razionalismo sostanzialmente irreligioso; essaporta in sé tuttora i segni della sua origine da posizioni difronte alla religione, ed è ciò che la rende impopolare davantial grosso pubblico.»78

Il discorso brelichiano è in linea con quanto affermato inprecedenza: rimane come opzione fondamentale – non piú nellevolgarizzazioni da dare in pasto all’opinione pubblica, ma nei rigo-rosi e lunghi itinerari della specializzazione – l’approccio compara-tivistico-storicistico,79 e resta in special modo, in nome di un certorealismo epistemologico, la diffidenza istintiva nei confronti dellafenomenologia della religione.80

«Il fatto che attualmente questo indirizzo sia in moda, ha unasua grande utilità; infatti, esso ha richiamato nuovamente l’at-tenzione all’unità degli studi storico-religiosi, dopo che questisi sono frantumati nelle minute specializzazioni, perdendo[…] la propria autonomia.»81

Anche perché, d’altra parte, «la fenomenologia non nega la storia e,in alcuni casi fortunati, neanche la trascura completamente».82

Il suo problema principale è che, tuttavia, essa rimane essen-zialmente astorica:

«Il fenomenologo delle religioni anzitutto esamina i fenomenidelle singole religioni cosí come essi sono, indipendentementedalla questione, in che modo essi si siano formati; egli è teori-camente disposto ad attribuire a fattori storici le parziali diver-genze dei fenomeni caratterizzati da una struttura comune, itratti specifici e irripetibili con cui un fenomeno si presentanel concreto contesto di una singola religione. Ma di tutto ciòegli si preoccupa poco: ciò che gli importa è proprio la struttu-ra comune sottostante a fenomeni storicamente concreti, e lapossibilità di enucleare questa struttura comune dalla varietàconcreta dei fenomeni.»83

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La fenomenologia, ribadisce l’allievo di Pettazzoni, non èche una teologia mascherata, la stessa operazione inaugurata da Ru-dolf Otto, benché avvolta di «vesti “laiche”».84 Per essa

«[…] essere uomini ed essere religiosi sarebbero fatti insepa-rabili, come apparirebbe anche dalla circostanza che ogni ci-viltà umana era religiosa: fino all’epoca piú lontana cui i ritro-vamenti ci possano condurre, ovunque si riscontrano fenome-ni religiosi. Perciò gli elementi comuni (strutture fondamenta-li) alle piú varie religioni sarebbero perfettamente comprensi-bili.»85

Ma non solo è indimostrabile l’universalità del religioso, bensí

«[…] il concetto stesso della “natura umana” è poco scientifi-co: la biologia contemporanea non attribuisce piú caratteriatemporali e immutabili neppure alle specie vegetali o anima-li.»86

Ecco perché, allora, secondo un verace indirizzo storico-reli-gioso

[…] il passato di un fatto religioso non si ricava da schemiprestabiliti – da strutture universali e atemporali o da una co-mune base “primitiva” – ma ripercorrendo, mediante la com-parazione storica le tappe della sua formazione, individuandogli strati culturali da cui provengono le sue singole componen-ti e i fattori che hanno cooperato alla sua elaborazione partico-lare.»87

3.6 Riconquista della storiaSulla stessa linea “pre-prassiologica”, pur con un taglio piut-

tosto differente, si situa l’introduzione al (provvisoriamente) ultimonumero di “Studi e materiali”.88 Nell’intento di ripensare completa-mente uno strumento scientifico divenuto ormai obsoleto – unacreatura pettazzoniana, sopravvissuta dopo la scomparsa del persi-cetano poco piú che come foglio di collegamento accademico –Brelich denuncia in prima istanza l’errore primordiale di Pettazzoni:l’averle assegnato ab initio, cioè,

«[…] un carattere doppiamente ibrido: da un lato, accogliendoarticoli di comparativisti (“storici delle religioni”), di storici disingole religioni e di studiosi di singole civiltà in generale;dall’altro lato, ospitando – in ciascuna di queste categorie dicollaboratori – indirizzi metodologici assai differenti, spessoaddirittura opposti.»89

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L’articolo risente non poco del clima nel quale viene scritto.Non è piú tempo di erudizione, di «studi proseguiti nell’hortus con-clusus della vita accademica», per quanto meritori e comunque, amonte, indispensabili; è, anzi, giunto il momento di un «nuovoumanesimo, che non rinneghi il vecchio, ma lo superi.90

«Oggi, quando l’essere dotti ed eruditi non rappresenta piú untitolo indiscusso, o un salvacondotto in qualsiasi situazione,siamo condannati a dover cercare di capire perché ci dedichia-mo a certi studi, perché facciamo – nel caso specifico – storiadelle religioni.»91

È giunta l’ora di una riflessione approfondita; riflessione cheper Brelich porta naturalmente a una prima, importante consapevo-lezza, quella del carattere universale della storia delle religioni. Essa«è stata l’unica a tentare la via di una storia globale»,92 tramite l’ap-plicazione, a mano a mano piú affinata ed “umile”, dello strumentodella comparazione:

«Nulla come la comparazione perseguita su scala universale cirestituisce la visione dell’unità della storia. Sempre che non cisi adagi nell’inerte e sostanzialmente fideistica (o addiritturacreazionistica) ipotesi di una immutabile “natura umana”, ilsolo fatto che fenomeni sotto certi aspetti comparabili si ri-scontrano in civiltà distantissime nello spazio, nel tempo e dif-ferentissime per carattere, dimostra che nelle centinaia di mil-lenni di vita umana, malgrado ogni isolamento piú o menoprolungato e piú o meno completo di singoli gruppi umani,l’incidenza di tratti di passato culturale comune, anche remoti,e i contatti e scambi diretti o indiretti non sono mai venuti acessare definitivamente.»93

La storia delle religioni è universale in quanto la storia del-l’uomo è universale: ecco il nucleo della visione brelichiana, che,poi, il particolare contesto storico di questo scritto carica di valoreaggiunto:

«Oggi, quando il mondo si sta avviando, con velocità crescen-te, a diventare realmente “uno” […] la riconquista di una co-scienza storica universale appare d’una pressante attualità.»94

Da qui, riteniamo, hanno origine le tensioni principali tra laScuola Romana e l’orientamento fenomenologico-religioso; da quiproviene, logicamente, la grande linea di demarcazione fra «razio-nalismo» e «irrazionalismo». Un confine non tanto e non solo situa-to tra chi presuppone strutture immutabili ed eterne della naturaumana e chi, viceversa, misura l’umanità con il metro esclusivo del-

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la storia; ma soprattutto tra chi, in fin dei conti, intende confrontarsicon fenomeni umani irriducibili ad altri, ad ogni altro – i fenomenireligiosi –, e chi, al contrario, si confronta con i fenomeni religiosiperché agli effetti pratici, proprio nel campo degli studi religiosi, enon in altri ambiti, è stata messa a punto una metodologia (il com-parativismo storico) da considerarsi valida in termini assoluti. So-stiene infatti Brelich:

«È ora di rendercene conto: che vi sia o no una disciplina ac-cademica catalogata sotto l’etichetta di “storia delle religioni”,ha ben poca importanza. Ma resta certo che quanto si è fattosotto quest’etichetta e, ancor di piú, quanto si può ancora fare,con o senza di essa, sulla medesima linea, non è stato fatto an-cora in altre discipline diversamente etichettate; resta che […]il comparativismo storico-religioso è stato ed è tuttora l’unicostrumento usato (e perciò almeno in una certa misura collau-dato) per la presa di coscienza dell’unità della storia, delle sueimmense prospettive, dell’inesauribile varietà delle risorsecreative, anche inconsce, delle società umane.»95

4. Dopo

Non è agevole capire fino a che punto Brelich, nel suo Dopo,conosca una vera metamorfosi rispetto al Durante; in che misura,cioè, egli sappia ripensarsi. Certo, il fatto di proporre, sulla scia delSessantotto, la trasformazione (essenzialmente fallita, a quanto sem-bra oggi) di una tranquilla rivista di erudizione in un agguerritostrumento di lotta militante, a tutta prima, appare il segnale di un ta-glio piuttosto netto con il passato.

Ma è pure vero che lo studioso italo-ungherese non vuolecerto rinnegare il proprio lavoro: intende, piuttosto, far evolvere lapropria maniera di essere studioso, il che, indubbiamente, non ècosa secondaria, e tuttavia è possibile in tanto in quanto glielo con-sente, e forse glielo facilita, la sua stessa posizione scientifica.

4.1 Religione è culturaNelle dispense universitarie dell’anno accademico 1968-

1969,96 infatti, lo storico delle religioni disegna, per cerchi concen-trici, un percorso da un lato perfettamente in linea con le acquisizio-ni precedenti, e dall’altro estremamente sobrio nell’assegnare, senzatroppi timori, alla propria disciplina una funzione particolarmenteattiva.

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Brelich vuol far capire «semplicemente» cosa è la storia del-le religioni,97 e per spiegarlo ai suoi discenti parte dall’inizio, dalsenso del termine cultura:

«Tutto ciò che non è “natura”, ma è prodotto umano (e perciòanche l’economia, la politica, l’ordinamento sociale, ecc.) è[…] “cultura”.»98

Se la cultura, poi, è un prodotto umano, essa «è sempre unprodotto storico»,99 e dunque relativo:

«Attraverso lo studio di altre civiltà, il senso storico occiden-tale ha finito per comprendere che esse non vanno giudicatecon il metro dei valori della civiltà occidentale; esse non sono“inferiori”, né “superiori”, ma sono semplicemente differentiperché scaturiscono da processi storici differenti da quelli chehanno portato alle nostre forme d’esistenza.»100

L’uomo è situato, culturalmente e storicamente. Di conse-guenza egli non può esistere senza sistemi di riferimento, «valori»:

«In ogni momento dell’esistenza noi scegliamo […], il chevuol dire che attribuiamo valori differenti alle varie possibilitàche ci stanno davanti.»101

Cultura è investire di significato e organizzare ciò che viene offertocome possibilità, a livello individuale e quindi anche a livello socia-le e collettivo.

«Lo storico – ne evince, cosí, Brelich – “interpreta” le civiltà,riportando le loro singole manifestazioni – razionali e irrazio-nali, coscienti o inconsce, dirette o indirette – al soggiacentesistema di valori, o meglio, alle singole fasi della formazionee delle modificazioni di questo.»102

Qual è allora il posto riservato alla religione? Sicuramenteessa appartiene a quel «sistema di valori» che è per Brelich la cultu-ra: ne fa parte con tutta la sua vaghezza e aleatorietà, con la sua de-finibilità possibile soltanto a posteriori, con il fatto di essere il risul-tato dell’allargamento di un concetto tipicamente occidentale, ana-logamente a quanto succede con i termini cultura e storia. Ma ne èparte integrante: essa «non è differente da altre manifestazioni uma-ne, cioè “culturali”», anzi, «è inseparabile dal resto dell’esistenza diuna società, dall’insieme della sua “cultura”».103 E poiché ogni siste-ma culturale non può che essere interpretato attraverso la storia, lereligioni non sfuggono a questa legge, né prese singolarmente, né

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nell’analisi (la comparazione) delle loro «analogie» e«differenze».104

Ancora una volta, la tesi dei fenomenologi è quindi arbitra-ria. Essi

«[…] sostengono che “la” religione sia congenita alla formaumana dell’esistenza: come l’uomo è homo faber, o come èzoon politikos [sic!] (animale sociale), ecc., cosí sarebbe an-che homo religiosus; l’infinita varietà dei fenomeni religiosi siricondurrebbe a poche radici generalmente umaneinvariabili.»105

La tesi è arbitraria perché

«[…] muove dal postulato indimostrabile che ogni umanitàpassata (anche quella di remotissime epoche della cui culturanon abbiamo documenti) e futura dovesse e debba essere reli-giosa (e non spiega, p. es. il laicismo moderno).»106

Per Brelich le analogie fra le religioni si possono spiegare«senza difficoltà», semplicemente con la supposizione di un qualsi-voglia «“patrimonio” religioso comune a un’umanità intera», in-somma, con la sostanziale «unità della storia umana» e con le conta-minazioni avvenute nel corso di essa tra le varie civiltà.107

Se dunque la storia delle religioni, alla luce di tutto questo,

«[…] è soprattutto un metodo, la cui assimilazione, accompa-gnata da una preparazione quanto piú larga, mette in grado lostudioso di comprendere storicamente i singoli fatti religiosidi qualsiasi epoca o civiltà»,108

essa trova il suo posto nell’attualità, nella contemporaneità. Da unaparte,

«[…] tra tutte le materie “umanistiche”, la storia delle religio-ni […] è una di quelle che maggiormente abituano a pensaresu una scala veramente “planetaria”, includendo nei propriproblemi le molte decine di millenni di storia dell’intera uma-nità.»109

D’altra parte, indagando il lato piú oscuro, irrazionale, inconsapevo-le delle dinamiche culturali, essa cerca di

«[…] riportare al livello della coscienza i fattori inconsci chehanno determinato o determinano tuttora le origini, le trasfor-mazioni, l’organizzazione, le riorganizzazioni dei fenomeniche chiamiamo “religiosi”.»110

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4.2 Una disciplina «discutibile»Non deve pertanto sorprendere il fatto che Brelich, incarica-

to di presentare la propria disciplina in un’importante opera enciclo-pedica francese,111 e affrontando dunque le problematiche che la ri-guardano da un punto di vista piú sistematico, nel parlare dei «so-stenitori dell’autonomia del fenomeno religioso»,112 si chieda se,

«[…] introducendo questo criterio di distinzione del fenomenoreligioso, si vada molto oltre una tautologia pura e semplice: èreligione quel che si fonda sul “sacro”, è “sacro” quel che sitrova alla base di ogni esperienza religiosa.»113

Continua lo studioso:

«Evidentemente, per chi ammette il fondamento trascendentee oggettivo della religione, il problema dell’autonomia di que-st’ultima non si presenta per nulla complicato: il “sacro” – oancor piú concretamente: Dio – esiste, e la religione non rap-presenta altra cosa che le relazioni umane stabilite con questodato d’esistenza oggettivo.»114

Lo storico, ribadisce Brelich, deve scrupolosamente attenersialla sua propria materia, non gli è consentito presupporre nulla chenon sia dimostrabile storicamente, altrimenti lo studio ne rimarreb-be irrimediabilmente viziato: né postulati etnocentrici, né assuntimetafisici, e, naturalmente, «neanche il presupposto di una religione“innata” nell’uomo».115

L’approccio brelichiano non cambia, in definitiva, rispettoagli scritti precedenti: rifiuto di qualsiasi posizione innatistica, poli-vocità e quindi non-definibilità a priori della religione, assimilabili-tà della forma culturale religione alle altre, e, su tutto, un saldo fon-damento sull’unità della storia umana116 sono i punti qualificanti diun programma scientifico che conosce evoluzioni soprattutto di or-dine pratico, come si è potuto vedere, e non si preoccupa eccessiva-mente di differenziare le varie posizioni «irrazionalistiche». (Distin-guere Eliade da van der Leeuw, ad esempio, è un compito che unostudioso rigoroso come Brelich dovrebbe sentire l’esigenza di af-frontare, come a suo tempo operato, pur in modo ambiguo ed impli-cito, da Pettazzoni.)117

Alla fine, i “meriti” assegnati ai fenomenologi della religio-ne sono sostanzialmente generici e, in ultima analisi, poco significa-tivi. Essi mettono in evidenza soprattutto il fatto che

«[…] una data civiltà ben raramente crea dal nulla elementicompletamente nuovi e che, molto piú spesso, invece, la sua

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opera creatrice consiste nel riplasmare una serie di eredità piúantiche.»118

La virtù dei fenomenologi

«[…] consiste nel far capire agli specialisti di ciascuna civiltàche ogni fenomeno religioso trascende il loro settore di spe-cializzazione e nel dimostrare, seguendo la vasta gamma divariabilità di ciascun fenomeno, che un fatto religioso di unadata civiltà non è altro che la manifestazione specifica di qual-cosa di molto piú generale e molto piú ampio.»119

La fenomenologia rimane una disciplina «per vari aspetti si-curamente discutibile», «passabile di grosse riserve»,120 che si limitaa porre problemi di carattere storico senza contribuire, peraltro, a ri-solverli:

«Infatti, la fenomenologia delle religioni – almeno in teoria –considera i fenomeni religiosi concreti su un piano orizzontalee li tratta come semplici varianti di fenomeni presunti fonda-mentali. Ma, a prescindere dal carattere ipotetico di questi fe-nomeni (che servono solamente ad eludere, non a risolvere, ilproblema storico delle loro origini, essendo presentati come“inerenti” all’uomo o “innati” in lui), ci si continuerà a do-mandare perché una religione assume questa o quella variantedello stesso “fenomeno fondamentale”: questa questione ciimmette ipso facto nel campo storico.»121

4.3 «Perché storicismo e quale storicismo?»Lo scritto che qui vogliamo prendere in considerazione vie-

ne definito da Filoramo e Prandi «il manifesto ideologico del grup-po romano».122 Qui lo scienziato affronta una volta per tutte il dis-senso con le scuole irrazionaliste e propone, esplicandola, la propriaconcezione di storicismo.

Dopo un vago lamento per l’indifferenza culturale nei con-fronti della storia delle religioni, Brelich affonda:

«Quel poco che da quegli studi arriva a un pubblico un po’ piúlargo, è precisamente ciò che noi ci troviamo a dover combat-tere. Cosí è stato nel recente passato, quando l’eclettica “colle-zione viola” di Einaudi (e poi di Boringhieri) incontrava – perprima – l’attenzione di una sia pur ridotta cerchia di lettorinon specializzati, ma soprattutto con le opere affascinanti im-prontate a varie ideologie antistoriche (da Frobenius a van derLeeuw, da Eliade a Kerényi).»123

Ebbene, qual è il motivo di tanto successo tra i «non specia-lizzati»?

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«La cultura italiana – risponde Brelich – (ma quella italianasolo in misura alquanto maggiore di altre culture occidentali)nella sua impostazione paleo-umanistica (filologica, letteraria,storico-artistica, storico-politica nazionale ed europea) solo inquesti ultimi due decenni si è trovata a contatto con certi studiche evadono da quell’impostazione […]. La scoperta di unnuovo mondo di problemi è stata salutare e ci può solo dispia-cere se non è stata piú generale, d’un piú largo pubblico: sa-rebbero stati i benvenuti cento Kerényi e cento Eliade se ce nefossero stati.»124

Una questione di ritardo culturale, insomma, che rende piúaffascinanti, semplicemente perché piú appariscenti, gli studiosi«antistoricisti» a scapito di chi, pur avendo compiuto un «passo al-trettanto radicale», è voluto rimanere ancorato alla storia. In altreparole:

«Mentre la storia delle religioni cominciava a svegliare, in Ita-lia, un po’ d’interesse, questo era piú per un Eliade […] chenon per Pettazzoni.»125

Brelich vuole ancora spiegare l’“accanimento” nei confrontidegli irrazionalisti; non tanto i «cattolici» come Padre Schmidt, ogli «psicologisti» freudiani o junghiani, quanto i fenomenologi, lacui disciplina è da essi presentata come scientificamente autonomae allo stesso tempo in grado di riconoscere chiaramente

«[…] una latitudine notevole ai fattori storici, facendo saliresolo le ultime (e piú generiche) radici di ogni fenomeno reli-gioso alla comune e universale natura dell’homo religio-sus.»126

La situazione del «fenomenologismo» è ambigua:

«L’apparente impostazione laica […] non era che il travesti-mento di comodo di una soggiacente teologia e il riconosci-mento della storicità delle singole formazioni religiose non erache una concessione, con la precisa funzione di sottrarne allastoria quelle “ultime radici”: l’homo religiosus era lì, eterno –vario nelle sue manifestazioni storicamente condizionate, mauguale e immutabile creatura di Dio nella sua costanza.»127

Anzi, a parere dello storico di origine ungherese, è addirittu-ra in malafede. Cosí taglia corto:

«Da una parte stanno coloro per i quali nulla di essenziale èmai cambiato, può cambiare o deve cambiare nel mondo;tutto è deciso sin da sempre: da quando Dio ha creato il

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mondo e l’uomo, oppure da quando, comunque, l’uomo esi-ste.»128

Dall’altra parte ci stanno i “buoni”, i progressisti, «noi»,

«[…] coloro per i quali la partita è aperta, per i quali c’è sta-ta, c’è e ci sarà storia […], per i quali l’uomo di oggi non èproprio quello di sempre e nemmeno quello di una genera-zione fa e per i quali il domani dell’uomo dipende anche daciò che oggi si sta facendo.»129

Si tratta, dunque, di una situazione che va molto al di là dellastoria delle religioni. La linea di demarcazione «divide campi benpiú vasti»: quello teologico-religioso da quello laico, quello conser-vatore-reazionario da quello progressista-rivoluzionario…130

A questo punto, ammette Brelich, non si può tuttavia negareche si tratta di due opzioni, di due diverse scelte, e che il problemanon è piú scientifico.

«Ebbene, su un piano puramente umano – afferma –, unasiffatta impostazione non m’impressionerebbe molto; se sitrattasse veramente di un’opzione, cioè di una scelta, prefe-rirei sempre di aver scelto come ho scelto […]; preferiscod’aver “scelto” cosí, perché attribuisco alla mia “scelta” unvalore storico; perché nello stesso poter scegliere trovo lagiustificazione della mia posizione: non tutto è determinatosin da sempre, se io posso ancora scegliere. La storia sta, ap-punto, in scelte.»131

«La storia sta in scelte»: a tal punto che lo studioso non temedi porsi, per ipotesi, dalla parte dei fenomenologi. Se essi, dice,sono disposti alle «piú ampie concessioni alle variabilità storica-mente determinate» pur di mantenere i punti fissi delle forme arche-tipali ed immutabili che stanno loro tanto a cuore, egli può arrivare,da parte sua, anche a concedere «sperimentalmente» una «serie diammissioni del tutto gratuite» proprio nel campo dell’universale edell’eterno.132

Per lo storicista le conseguenze sono evidenti: anche caricatadi questo giogo precostituito, ogni cultura, nel corso della storia, èin grado di dare di questo stesso giogo elaborazioni sempre diffe-renti e originali:133

«Tutto ciò che – in qualsiasi modo o forma – viene ammessocome precostituito, universalmente umano, ecc., davanti allostoricista perde di colpo ogni interesse, per il fatto stesso chediventa un “dato”, diventa – direi – natura, cioè semplicepunto di partenza e condizione per la storia.»134

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Certo, ragiona Brelich, non c’è nulla di male nel fatto dicercare «le basi comuni e permanenti» dei fenomeni, a condizione,però, che non si confondano le scelte con i fatti, che non si riduca lastoria a un «vacuo girotondo nel cortile delle cose date».135

La ragione è semplice: gli stessi fenomenologi, e gli «anti-storicisti» in genere, non sono avulsi dalla storia, ne sono anzi pro-tagonisti; se affermano che “non c’è niente di nuovo sotto il sole”,nello stesso tempo – scherza, ma non troppo, Brelich – svalutanoanche il loro stesso lavoro scientifico:

«L’antistoricista di oggi può sostenere che nulla di essenzia-le lo distingua dal cacciatore paleolitico, ma deve ammetterealmeno che il cacciatore paleolitico non avrebbe potuto so-stenere questa stessa tesi con uguale raffinatezza di argo-mentazioni.»136

Lo storico-storicista, viceversa, prende atto di ciò che acca-de, senza fare valutazioni, ma anche senza fingere che non succedamai niente.

«Alla domanda: perché storicismo?, basta la semplice rispo-sta: perché solo lo storicismo risponde ai fatti obiettivi cheoggi conosciamo.»137

Uno storicismo che, pur occupandosi «del particolare edell’irripetibile», non si ferma davanti ad esso, ma va oltre, fino adanalizzare i contesti e le relazioni, le motivazioni e i valori soggia-centi.138 Uno storicismo per il quale

«[…] la realtà della storia non si esaurisce nell’indubbia in-dividualità dei suoi infiniti momenti singoli, bensí sta preci-samente nelle vaste connessioni tra questi momenti.»139

Uno storicismo capace di individuare le «soluzioni cultura-li» che le società e le culture mettono in campo, nella misura in cuivengono in qualche modo sensibilizzate dagli avvenimenti, confron-tandole con le soluzioni precedenti o successive, o con altre simili,tramite la comparazione.140

Brelich chiude l’intervento dando voce a quelle che do-vrebbero essere le ultime riserve degli «antistoricisti». Qualcunopotrebbe infatti chiedere:

«E poi? Anche se avete “obiettivamente” ragione, a che ser-ve tutto il vostro mestiere?»141

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Gli storici delle religioni, e tutti gli storici in generale, in fondo, aqueste condizioni non sono che degli «antiquari»…

«È obiettivamente vero […] – risponde Brelich – che l’espe-rienza storicista intesa nel senso in cui si è cercato di caratte-rizzarla, dà la precisa coscienza del fatto che il mondo non èfermo, il che significa che in esso si può fare qualcosa; chenon si ha bisogno di una scala di valori filosoficamente oteologicamente fondata, per avvertire, vivendo nella nostraciviltà e nel suo attuale momento storico, che cosa non cisoddisfa in essa e che cosa ne vorremmo cambiare […]. Per-ciò è proprio la nostra posizione quella che ci permette, sen-za alcuna remora di dogmi precostituiti, di accettare la no-stra parte nel mondo, di vivere il presente e di impegnarcinei problemi che esso attualmente ci pone.»142

5. Relativo e assoluto

Brelich compie, dopo l’abbandono di Kerényi, un’opera-zione di grande portata: trasforma il comparativismo storico di Pet-tazzoni in uno «storicismo radicale» per il quale il raffronto non vaadoperato come metodologia generalizzante, bensí, soprattutto,come strumento di lavoro di una storia delle religioni il cui piuttostoesplicito obiettivo finale è di farsi «storia delle culture». Lo studiosoitalo-ungherese, in altri termini, può essere considerato come il pri-mo alfiere di quella «vanificazione dell’oggetto religioso» cui siispira la corrente principale delle discipline storico-religiose, innome di una «terza via» direttamente ispirata dal persicetano e pro-seguita da Dario Sabbatucci.143

Per Nicola Gasbarro, quella di Brelich è

«[…] una scelta teorica contro le resistenze intellettuali eu-ropee a storicizzare gli ultimi universali possibili, che tenta-no disperatamente di salvare la modernità dal “tramonto del-l’Occidente” e dal “disincanto del mondo”. […] Brelichvuole invece storicizzare le forme, dare una struttura cultu-rale e diacronica allo stile, svuotare gli archetipi, problema-tizzare nelle e con le civiltà l’appercezione trascendentale,verificare le tipologie nella loro genesi, anche a costo di per-derne la nozione, pur di guadagnare alla storia le coordinatedi comprensione.»144

Il successore di Pettazzoni si preoccupa soprattutto dinanziall’irrazionalismo fenomenologico, latore di un «antistoricismo» an-ti-umanistico, pericoloso, per cosí dire, politicamente prima ancorache culturalmente, e culturalmente prima ancora che scientificamen-

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te, portatore di istanze, accomunate alle piú reazionarie tradizionireligiose o a esotici olismi, che devono essere esorcizzate come dis-simulate ideologie di conservazione. Suo scopo, spiega ancora Ga-sbarro, è trasformare lo storicismo da filosofia a metodo, il cui solopresupposto sia la «lucida coscienza del continuo cambiamento», eil cui unico limite – poiché la storia «coincide con la cultura, anzicon la molteplicità differenziale delle culture») sia la natura.145

«Se per i fenomenologi e gli esistenzialisti è la storia a por-tare al relativismo e alla crisi e se ne può uscire solo abdi-cando alla storicità del reale, per Brelich la giusta premessadeve portare alla storicizzazione comparativa della crisi, percapirla e scegliere di conseguenza. Cosí persino il concettodi crisi da valore diventa metodo, la struttura “cultura comecrisi” si trasforma nel modello analitico “crisi comestoria”.»146

In questo contesto assume un ruolo di primaria importanzail saggio, pubblicato postumo a piú di vent’anni di distanza dallaprima stesura, scritto da Brelich per la “Collana viola” Einaudi diCesare Pavese ed Ernesto de Martino.147 Un libro che non ha diretta-mente a che fare con la storia delle religioni ma che, come spiegaSabbatucci nell’introduzione, è strettamente ancorato al «metodostorico-religioso», il metodo che «informa tutta la sua opera scienti-fica» e «probabilmente si è chiarito in lui proprio con il serrato ra-gionamento a cui questo libro lo ha costretto».148

Il cammino dell’umanità è un libro sulla «crisi della civiltàcontemporanea»; è la risposta di Brelich a quanti sono spinti a porsiil problema del superamento di tale crisi. Qui non è il caso di pren-dere in considerazione la tesi discussa nel saggio, secondo la qualela crisi non riguarda soltanto la civiltà contemporanea, quanto l’in-tera epoca storica dell’umanità, l’epoca del distacco dalla natura edal non-umano, della razionalità e dell’irrazionalità intimamente le-gate, l’epoca dove l’anelito alla libertà e alla perfezione che distaccal’uomo dal non-umano è messo in dubbio proprio dai limiti e dal-l’imperfezione dello stato non-naturale.149 Piuttosto, si tratta di os-servare dietro questa tesi una sorta di “forma compiuta” della meto-dologia storica brelichiana: l’approccio storico consente di guardaredall’alto l’intera storia dell’umanità, di storicizzarla e relativizzarneogni falso assoluto, persino la crisi stessa, come ricorda Gasbarro:una crisi che è solo il volto di una condizione, quella dell’uomostesso, intimamente contraddittoria e irrisolvibile. Assolutizzare leforme, come la religione, attraverso cui l’uomo tenta, senza succes-so, di ritrovare la perfezione che ha perduto, non rivela, dalla pro-spettiva di Brelich, che una fatale mancanza di metodo:

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«Il pensatore che cerca le radici di un fenomeno umanospesso viene tratto in errore dalla forma in cui quel fenome-no gli si presenta: egli lo vede alla luce di un determinatoambiente culturale, cui egli appartiene. Partendo, per esem-pio, dalla constatazione fenomenologica che la religione èun fatto esclusivamente e generalmente umano – né la storiané l’etnologia conoscono, infatti, un’umanità priva di unaqualsiasi forma di religione – egli cercherà di identificare lesorgenti della religiosità umana: ma molto facilmente le suericerche saranno determinate da quella conformazione stori-ca della religione che in Occidente da lungo tempo ha elimi-nato ogni o quasi ogni resto di altri orientamenti religiosi. Imomenti che lo colpiranno, saranno i momenti salienti dellareligiosità del suo ambiente: pur volendo ripulire questi mo-menti da ogni particolare forma dottrinale, il cui caratterecontingente non gli sfuggirà, egli tenderà facilmente a ravvi-sare i tratti essenziali della religione per esempio nei rappor-ti dell’individuo con un Essere infinito, nella credenza neltrascendente, nell’aspirazione all’immortalità ecc. L’analisidi questi o simili momenti ritenuti essenziali lo porterà a po-stulare nell’uomo – vale a dire in ogni possibile forma del-l’umanità – le tendenze che spiegano in modo adeguato pro-prio quei momenti. A metterci sull’avviso che “religione”non significa necessariamente la forma religiosa cui siamoassuefatti e che vi possono essere religioni in cui individuo,essere infinito, credenza, trascendente, immortalità non han-no alcuna parte sia pur minimamente importante – a premu-nirci da simili errori che possono compromettere ogni fatica“antropologica”, serve ed è indispensabile la ricerca storica.Essa ci farà conoscere tutte le forme di cui una determinata“qualità” umana si è rivestita nelle varie epoche e nelle variesfere dell’umanità storica: e solo cosí potranno apparire glielementi veramente permanenti e quelli che invece si forma-no solo in certe configurazioni storiche.»150

Brelich è insomma fermamente convinto di aver raggiuntouna sorta di “capolinea” metodologico, dove alla religione, né piúné meno che ad altre forme culturali umane, non rimane altro che lostatuto di provvisorie e relative «espressioni della fondamentale“tendenza” umana», quell’“amore-odio” nei confronti di sé e dellanatura che fonda l’umanità stessa dell’uomo. «Una fase del divenireumano priva di religione – ricorda Brelich – non sarebbe meno pen-sabile di una fase senza il linguaggio o senza strumenti».151

Il problema, l’unico problema, è che gli altri non lo sanno,o non lo vogliono sapere. Non lo sapeva Pettazzoni, ostinato nellavolontà di storicizzare la religione cercando costantemente, tuttavia,di mantenerne intatta l’unità: non si può certo dire che Brelich sia,sotto questo aspetto, un buon allievo del persicetano. Lo studioso

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italo-ungherese sembra piuttosto interessato ad allargare a dismisurail motto pettazzoniano – «ogni phainómenon è un genómenon» –fino a fare dello storicismo l’unico punto fermo: uno solo è il meto-do storico-religioso, quello occidentale: occidentale per caso, mauniversale per dignità e vocazione, come Brelich ricorda dopo Mar-burgo.

Non lo sanno, evidentemente, i fenomenologi della religio-ne, troppo impegnati per Brelich a cercare nella metastoria un’im-possibile via d’uscita dalla storia. Cosí come non lo sanno, infine, inon-iniziati alla scienza storica, coloro che non possono compren-dere le potenzialità anche pratiche, politiche, di una «coscienza sto-rica universale».

6. Conclusione

La recentissima pubblicazione di alcuni saggi brelichiani, acura di Paolo Xella, aveva un obiettivo piuttosto esplicito:

«[…] Il proposito di fondo è quello di riaprire (o, per l’Italiadi oggi, forse, aprire tout-court?) il dibattito sulla storia dellereligioni e i suoi metodi, in un momento – l’epoca c.d. post-moderna – in cui i dubbi, le esitazioni, i travagli che sempreagitarono Brelich circa la ragion d’essere e le vie di realizza-zione di questi studi appaiono sempre piú attuali efondati.»152

Infatti, denuncia Xella, il fatto che non ci sia stato finora«un grande fervore di studi» su Brelich, «un vero dibattito», ha per-messo che prendessero piede «impostazioni di studio cripto-feno-menologiche, piú o meno apertamente confessionali o puramente fi-lologiche» totalmente estranee all’«approccio storicistico, dinamico,comparativo» brelichiano.153

Ora, a parte l’inevitabile sospetto verso quest’atteggiamen-to esageratamente pessimistico e dai toni sinistramente allusivi (dadove vengono le minacce alla storia delle religioni? chi e perché havoluto “dimenticare” Brelich?), è opportuno fare alcune considera-zioni. Innanzitutto vale la pena di chiedersi se davvero la metodolo-gia brelichiana sia caduta in oblio con la scomparsa dello studioso,o piuttosto non abbia continuato a vivere e a svilupparsi attraversoaltri storici delle religioni coevi – in particolare Vittorio Lanternari– e piú giovani. Non è qui il caso di soffermarsi sulla questione, mavale la pena di menzionare le lamentazioni uguali e contrarie di chisi trova dall’altra parte della barricata (cioè, dalla parte della feno-

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menologia della religione), come Aldo N. Terrin.154 Questi, nel fareuna rassegna dello studio delle religioni in Italia, denuncia:

«La scuola romana sostiene di rifarsi nella struttura metodo-logica di fondo al metodo di studio di Pettazzoni, il veroispiratore della storia delle religioni in Italia. Ma qualcunopotrebbe dubitare che sia davvero cosí. La prima impressio-ne, per esempio, mostra qualcosa di diverso. Pettazzoni, in-fatti, fa un uso abbastanza ampio del metodo comparativo,mentre la comparazione sembra completamente scomparsanei suoi discepoli, fatta eccezione per le ricerche di Bianchi,che risultò in questo senso il piú fedele rappresentante, inquesti ultimi decenni, della metodologia di Pettazzoni.»155

Il problema esiste: quanto è fedele Brelich a Pettazzoni? inche misura Pettazzoni va considerato il caposcuola del gruppo ro-mano? che peso ha l’impronta brelichiana? L’impressione è che del-l’autonomia del religioso predicata dal persicetano sia rimasto benpoco, a partire da Brelich e oltre Brelich. Esponenti odierni non se-condari della Scuola Romana, come Marcello Massenzio e NicolaGasbarro – sorretti dagli ultimi “grandi vecchi”, come Lanternari,Carlo Tullio-Altan e il recentemente scomparso Sabbatucci –, nonmancano di ribadire la validità della lezione storicistica brelichiana,appellandosi al «riconoscimento dell’unità della storia» e all’«indi-viduazione delle peculiarità, storicamente determinate, delle singolecreazioni religiose»,156 oppure sottolineando la necessità della tra-sformazione della storia delle religioni in «storia delle culture».157

L’analisi qui condotta del confronto critico con la fenome-nologia della religione da parte di Brelich mostra con abbondanza diprove il desiderio dello studioso di origini ungheresi di cercare unastrada propria verso la storia delle religioni, di applicare il suo me-todo storicizzante persino all’ingombrante figura di Pettazzoni, ascapito, tuttavia, della salvaguardia dell’oggetto religione e di unacomparazione di ampio respiro. La lotta alla fenomenologia dellareligione è parte integrante della nuova metodologia brelichiana: lostoricismo razionalistico è l’unica arma a disposizione, a suo parere,per sconfiggere politicamente e culturalmente ogni tentativo di rea-zione e ogni sfiducia nelle possibilità creative dell’uomo, anche acosto di chiudersi nella torre d’avorio dell’“alta cultura”. E proprioa partire dal dominio, irrazionale per antonomasia, della religione èpossibile mettere a punto, secondo Brelich, lo strumento piú effica-ce per portare a denominatore comune l’intera storia umana.

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Riassunto

Questo saggio intende analizzare gli aspetti fondamentalidella metodologia storicistica di Angelo Brelich (1913-1977), unodei piú significativi esponenti della “Scuola Romana” di storia dellereligioni italiana fondata da Raffaele Pettazzoni, alla luce della suacostante polemica con la corrente antagonista della fenomenologiadella religione, da egli inclusa in un generico «irrazionalismo». Sivuole dimostrare che tale polemica è parte integrante della metodo-logia brelichiana, evidenziando le ragioni che portano lo studioso adefinire il proprio «storicismo assoluto» in contrapposizione diretta,scientifica e non, con la fenomenologia, e nel tentativo di trovareuna via propria allo studio scientifico delle religioni anche rispettoal maestro Pettazzoni.

Summary

This study means to analyse the basic aspects of the histo-ricistic methodology of Angelo Brelich (1913-1977), one of themost significant exponents of the “Roman School” for History ofReligions, founded by Raffaele Pettazzoni, in the light of his conti-nuous controversy with the rival current, the phenomenology of re-ligion, which he includes in a vague «irrationalism». We want toprove that such a controversy is an integral part of Brelich’s metho-dology, emphasizing the reasons that lead the scientist to determinehis «absolute historicism» in a direct, scientific and non-scientific,contrast with the phenomenology, and to try to find his own track tothe scientific study of religions, even as to the master Pettazzoni.

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RICCARDO NANINISeminar für Religionswissenschaft

Universität HannoverIm Moore 21

D – 30167 Hannover

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1Note

Cfr. su questo NANINI 2003.2 Molto significativo è il saggio demartiniano Fenomenologia religiosa e storicismo assoluto, “Studi e materialidi storia delle religioni”, XXIV-XXV, 1953-1954, pagg. 1-25.

Cfr. anche NANINI 2000a.3 Di Lanternari si veda la raccolta Antropologia religiosa. Etnologia, storia, folklore, Dedalo, Bari 1997.4 Di Bianchi vanno segnalati in questo senso alcuni dei Saggi di metodologia della storia delle religioni, Ateneo,Roma 1991(2).5 Emblematica la presentazione dinoliana alla Fenomenologia della religione di GERARDUS VAN DER LEEUW, tr.it. di VIRGINIA VACCA, Boringhieri, Torino 1975(2), pagg. IX-XII.6 Cfr. SABBATUCCI 1987.7 Sulla fenomenologia della religione si veda il capitolo ad essa dedicato in FILORAMO – PRANDI 1991, pagg. 31-64.8 A mo’ di esempio, si vedano i noti: RUDOLF OTTO, Il Sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazio-ne al razionale, tr. it. di ERNESTO BUONAIUTI, Feltrinelli, Milano 1994(5); GERARDUS VAN DER LEEUW, op. cit.; MIRCEAELIADE, Trattato di storia delle religioni, tr. it. di VIRGINIA VACCA riv. e corr. da GAETANO RICCARDO, Bollati Boringhie-ri, Torino 1999(2).9 La metodologia… in BRELICH 2002, pag. 139.

Prosegue lo scienziato: «Siamo un gruppo di amici che abbiamo tra di noi un contatto continuo sia nell’ambitodell’Istituto di Studi storico-religiosi dell’Università di Roma, dove svolgiamo la nostra attività professionale, sia in pri-vato, un contatto che ci permette […] frequenti scambi di idee che spesso convogliano i nostri interessi in direzioni co-muni; ciò avviene, quando avviene, senza programmi prestabiliti, in maniera del tutto spontanea, fortunatamente noncompromessa da formalità che in altri ambienti derivano dalle differenze di età o di posizione accademica. Di qui l’indi-pendenza di ciascuno in una pur consistente comunanza d’interessi.» (ivi, pagg. 139-140).10 Cfr. ivi, pag. 140.11 Ivi.12 Citato in LANTERNARI 1959, pagg. 285-286.

L’affermazione è presente, leggermente modificata, anche in un articolo successivo: VITTORIO LANTERNARI,Scienze delle religioni e storicismo, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia”, VI, Cressati, Bari 1960, pagg. 3-15,qui pag. 4.13 È quello che non a caso sottolinea Paolo Xella, quasi a voler fare una piccola rivelazione: «In realtà A. B. fu unvero caposcuola, trasmise ai suoi allievi un metodo di lavoro, indicò piste di indagine…» (XELLA 2002a, pag. 15).14 Angelo Brelich nasce a Budapest nel 1913, da padre fiumano italiano e madre ungherese. Inizia gli studi allaFacoltà di Filosofia dell’Università di Budapest (latino, italiano e storia dell’arte). Subito comincia a frequentare le le-zioni del giovane Kàroly Kerényi sulla religione greca e ne subisce il forte fascino; inizialmente intenzionato a laurearsicon A. Alföldi, professore di archeologia, a Budapest, segue invece Kerényi all’Università di Pecs (dove questi vienechiamato come ordinario) e lì conclude gli studi nel 1937 con una tesi sullo status religioso del trionfatore romano. Latesi progettata con Alföldi, Aspetti della morte nelle iscrizioni sepolcrali dell’impero romano, viene pubblicata nellostesso anno, in italiano. Brelich, che era stato a Roma per un breve soggiorno nel 1935, vi ritorna nel 1938 grazie a unaborsa di studio, facendo la conoscenza di Ernesto Buonaiuti e consolidando quella con Raffaele Pettazzoni, che lo chia-ma subito come assistente. Durante la seconda guerra mondiale è militare dell’esercito italiano (ufficiale interprete inUngheria) e rimane prigioniero in Germania per un anno e mezzo prima di tornare ai suoi studi sulla religione romana.Nell’anno accademico 1946-1947 tiene il suo primo corso.

I suoi primi lavori sembrano caratterizzarlo come “seguace” di Kerényi, cosa che disturba Pettazzoni anche acausa di alcuni malintesi. Al pensionamento dell’anziano professore (1953-1954) non subentra infatti Brelich, ma undocente di storia del cristianesimo, anche se l’italo-ungherese, per sua stessa ammissione, comincia qui, tenendo una se-rie di corsi liberi, a praticare in modo meno settoriale la storia delle religioni (un vero e proprio nuovo inizio, lo consi-dera egli stesso). È soltanto nel 1955 che Pettazzoni supera la diffidenza nei confronti dell’allievo: il concorso banditoper la successione del persicetano (1958) viene infine vinto, nonostante la robusta concorrenza di Ernesto de Martino,da Brelich, che da questo momento diviene l’astro nascente della storia delle religioni post-pettazzoniana. Per piú di undecennio lo studioso partecipa a diversi convegni, nazionali e internazionali, in qualità di presidente della Società italia-na di storia delle religioni e di membro del direttivo dell’International Association for the History of Religions (IAHR),continuando ad occuparsi delle religioni del mondo classico, di politeismo e di questioni piú generali.

Le sue dimissioni da questi organismi, tra il 1967 e il 1970, coincidono con la tempesta studentesca del ’68 (at-tivamente sentita e vissuta da Brelich) e con quella, interiore, dello studioso, che entra il una grossa crisi di carattere esi-stenziale dovuta a «superlavoro» e alla sostanziale incapacità di uniformarsi a quella che Vittorio Lanternari definisce«canea manovriera, clientelista, assetata di potere del mondo ufficiale accademico» (LANTERNARI 2002, pag. XI). Am-malatosi agli occhi e poi, di tumore, alla gola, Brelich si toglie la vita il 30 settembre 1977 a Roma (cfr. il profilo auto-biografico Verità… in BRELICH 1979 e LANTERNARI 1979).15 Cfr. Verità… in BRELICH 1979, pagg. 21-115.16 Cfr. Ivi, pagg. 102-103 e nota 27 pag. 103.17 Ivi, pag. 45.18 Ivi, pag. 38.

Il rapporto tra Pettazzoni e Buonaiuti non è particolarmente cordiale, e Brelich rischia di farne le spese, dopoche nel 1939 il sacerdote modernista propone al giovane italo-ungherese una collaborazione con la sua rivista,“Religio”, e Pettazzoni lo dissuade fermamente. Cfr. la preoccupata lettera di Brelich a Pettazzoni datata 28 aprile 1939in PERROTTA 1996-97, pagg. 298-300.19 Verità… in BRELICH 1979, pag. 29.20 Cfr. Ivi, pag. 51.21 Ricordiamo che Brelich, fino all’incarico di storia delle religioni – e in certa misura anche dopo – è essenzial-mente studioso delle religioni del mondo classico.22 Verità… in BRELICH 1979, pag. 62.23 Si tratta di KÀROLY KERÉNYI, Umgang mit Göttlichem, Göttingen 1955.

Sul rapporto Brelich-Kerényi si veda MASSENZIO 1997, pagg. 47-52.24 Si tratta di BRELICH 1956.25 Cfr. SANTIEMMA 1988, pag. 363.26 Verità… in BRELICH 1979, pag. 63.27 BRELICH 1956, pag. 7, corsivo nostro.28 Cfr. Verità… in BRELICH 1979, pag. 64.29 Ivi.30 Cfr. BRELICH 1956, pagg. 11-14.31 Ivi, pagg. 9-10.32 Ivi, pag. 10.33 Ivi, pag. 27.34 FILORAMO – PRANDI 1991, pag. 79.35 È la Commemorazione di Raffaele Pettazzoni, “Studi e materiali di storia delle religioni”, XXXI, 1960, pagg.191-202. Qui ci si riferisce alla ristampa pubblicata sulla stessa rivista piú di vent’anni dopo (BRELICH 1983).36 Cfr. PETTAZZONI 1959, pag. 10. L’espressione viene usata dal persicetano, in polemica con la fenomenologiadella religione, per sottolineare il ruolo giocato dalla storia nello studio dei fenomeni religiosi, contro la pretesa fenome-nologica di poterne astrarre, praticando una strada puramente sincronica a scapito della via diacronica.37 BRELICH 1983, pag. 10.38 Cfr. ivi, pag. 13.39 Verità… in BRELICH 1979, pag. 78.40 BRELICH 1983, pag. 13.41 Ivi.42 Ivi.43 Ivi, pagg. 13-14.44 Ivi, pag. 15.45 Ivi, pag. 16.46 Cfr. Verità… in BRELICH 1979, pag. 68.47 BRELICH 1983, pag. 15.48 Ivi, pag. 16, corsivi nostri.49 Si tratta di BRELICH 1960.50 Valuta Brelich, quasi vent’anni dopo: «Astrattamente considerato, esso [l’articolo] è in linea con il laicismo diPettazzoni […] e con quello, ben piú battagliero, di de Martino: ma privo d’ogni remora accademica, fresco, deciso, ta-gliente, mostra un’acquisita sicurezza nelle mie proprie posizioni, come forse nessun mio scritto anteriore» (Verità… inBRELICH 1979, pag. 78).51 BRELICH 1960, pag. 122.52 Ivi, pagg. 122-123.53 Cfr. ivi, pag. 123.54 Ivi, pagg. 123-124.55 Ivi, pag. 123.56 Ivi, pag. 124.57 Ivi, pag. 125.58 Ivi, pag. 127.59 Ivi.60 Ivi.61 Ivi.62 Ivi, pag. 128.63 Ivi.64 Ivi.65 Oltre a Il metodo comparativo, segnaliamo di Pettazzoni: Aperçu introductif, “Numen”, I, 1954, pagg. 1-7 eL’Essere Supremo: struttura fenomenologica e sviluppo storico, in: MIRCEA ELIADE – JOSEPH M. KITAGAWA (eds.), Stu-di di storia delle religioni (1959), tr. it., Sansoni, Firenze 1985, pagg. 75-82.66 Con questa intestazione (cfr. Verità… in BRELICH 1979, pag. 89) si apre BRELICH 1966.67 BRELICH 1966, pag. 3.68 Ivi, pag. 4.

È quello che lo studioso aveva già affermato, in modo meno perentorio, in un contributo dell’anno precedenteper Carl Jouko Bleeker: «[…] Il metodo fenomenologico non ci conduce che a scoprire delle varianti di un solo feno-meno, fatta astrazione da ogni dimensione storica: tale metodo si esplica su un piano orizzontale, ignorando l’esistenzadel piano verticale degli sviluppi e delle trasformazioni, che è quello della storia. […] Pur apprezzando le analisi feno-menologiche che svelano il pattern unico soggiacente a una grande varietà di formazioni storiche, devo insistere sul fat-to che se esse sono condotte unilateralmente, rischiano di misconoscere il contesto storico. I nostri sforzi scientifici, amio avviso, non dovrebbero mirare a confondere, ma piuttosto a distinguere e precisare i significati da conferire ai ter-mini che utilizziamo; non dilatarli al punto da rendere inutile ogni definizione, bensí restringerli per potercene servire inragionamenti privi di equivoci» (Iniziazione e storia in BRELICH 2002, pagg. 85-86).69 BRELICH 1966, pag. 3.70 Ivi, pag. 65.71 Ivi, pagg. 65-66, corsivo nostro.72 Cfr. ivi, pag. 66.73 Cfr. ivi.74 Ivi.

«Quello di cui lo storico ha bisogno – spiega Filoramo interpretando lo studioso di origini ungheresi – è la defi-nizione non dell’essenza ma del concetto di religione», il quale «si è formato (e continua a formarsi) lungo la storia del-la civiltà occidentale» (FILORAMO 1981, pag. 34).75 BRELICH 1966, pag. 70.76 Il risultato è BRELICH 1967.77 Cfr. BRELICH 1967, pag. 3.78 Ivi, pagg. 3-4.79 Cfr. ivi, pag. 6.80 Ricorda Brelich: «Nei nostri giorni è l’indirizzo fenomenologico-religioso a rappresentare quel riflusso dell’ir-razionalismo che […] in tutta la storia dei nostri studi si alterna, quasi con la regolarità delle alte e basse maree, con leavanzate del razionalismo progressista» (ivi, pag. 8).81 Ivi, pag. 7.82 Ivi.83 Ivi.84 Cfr. ivi.85 Ivi, pagg. 7-8.86 Ivi, pag. 7.87 Ivi, pag. 11.88 Si tratta di BRELICH 1969.

Dal numero successivo la rivista prenderà, anche se solo per pochi anni, il nome di “Religioni e civiltà”, persottolineare il rinnovamento culturale che proprio questa introduzione del direttore cerca di avviare, all’indomani della“rivoluzione” del ’68.89 BRELICH 1969, pag. 6.90 Cfr. ivi, pag. 12.91 Ivi, pag. 15.

«Non ci basta piú – chiarisce Brelich – pubblicare “studi” e “materiali” uniti dal vago denominatore comune di“riguardare le religioni”» (ivi).92 Cfr. ivi.93 Ivi, pag. 16, corsivo nostro.

«Fuori dal comparativismo – sottolinea lo studioso – la storia delle religioni non è nulla, non esiste; è un nomeappiccicato a una congerie di studi diversissimi compiuti da una distinta ed erudita minoranza di sopravvissuti dei tempiche furono» (ivi, pag. 17).94 Ivi, pag. 16.95 Ivi, pag. 18.96 Ovvero Storia… in BRELICH 1979.

Poche pagine, alquanto polemicamente stilate, adoperate come testo unico per l’esame di storia delle religionidopo la cosiddetta «Riforma Lombardi», che assegnava alla disciplina che fu di Pettazzoni il gradino piú basso nella ge-rarchia degli insegnamenti universitari – «esame a livello generico», o semplicemente «facile» (cfr. Verità… in BRELICH1979, pag. 101).97 Cfr. Storia… in BRELICH 1979, pag. 225.98 Ivi.99 Cfr. ivi, pag. 226.100 Ivi, pag. 228.101 Ivi, pag. 229.102 Ivi, pag. 230.103 Ivi, pag. 234.104 Cfr. ivi, pag. 249.105 Ivi.106 Ivi.107 Cfr. ivi, pagg. 253, 250.

108 Ivi, pag. 255.109 Ivi, pag. 256.110 Ivi, pag. 257.111 Si tratta di Prolégomènes à une Histoire des religions, in HENRY-CHARLES PUECH (ed.), Histoire des Religions(Encyclopédie de la Pléiade), vol. I, Gallimard, Paris 1970, pagg. 3-59, poi tradotto in italiano per Laterza sei anni dopo(Prolegomeni… in BRELICH 1979).112 Cfr. Prolegomeni… in BRELICH 1979, pag. 138.113 Ivi.114 Ivi.115 Ivi, pag. 139.116 «La cultura – scrive l’italo-ungherese – è l’elemento che distingue l’uomo dalle altre specie e lo contrapponealla “natura”, in cui tuttavia continua a rientrare; di qui, uno stato di crisi che rappresenta un elemento costitutivo dellacoscienza e quindi un dato permanente della condizione umana. Inscindibile da questa crisi è lo sforzo che tende a supe-rarla e che fa dell’uomo una specie “storica”, in quanto non solamente portatrice di cultura, ma anche continuamentecreatrice di forme sempre rinnovate di cultura» (ivi, pag. 174).117 Cfr. su questo NANINI 2003.118 Prolegomeni… in BRELICH 1979, pag. 167.119 Ivi, pag. 168.

Brelich non risparmia, in effetti, nemmeno i filologi e la loro mancanza, speculare rispetto ai fenomenologi, disensibilità nei confronti della storia delle religioni. Scrive nella recensione a un volume di G. Aurelio Privitera: «[…] Sei filologi spesso ci rimproverano mancanza di rigore, appunto, filologico nell’uso dei documenti, essi [possono] – divolta in volta – aver ragione o torto; ma troppo frequentemente accade che, rigorosi in questioni filologiche, essi dimo-strano un’incredibile leggerezza nei giudizi di carattere storico-religioso, una rozzezza di concetti, una totale mancanzadi metodo, l’ignoranza dei problemi stessi; custodi gelosi del proprio campo, credono di poter impunemente invadere eperfino annettere quello altrui. Anzi, mentre noi almeno ci rendiamo conto della necessità di basi filologiche – anche seall’atto pratico le nostre possono risultare insufficienti, perché non siamo filologi – essi non sembrano neppure sfioratidal dubbio che vi siano questioni per le quali essi sono incompetenti» (Ad philologos in BRELICH 2002, pag. 119).120 Cfr. Prolegomeni… in BRELICH 1979, pag. 167.121 Ivi, pag. 168.122 Si tratta di BRELICH 1970-72.

Cfr. FILORAMO – PRANDI 1991, pag. 80.123 BRELICH 1970-72, pag. 8.

Sulla «Collana viola» si veda CESARE PAVESE – ERNESTO DE MARTINO, La collana viola. Lettere 1945-1950,PIERO ANGELINI (ed.), Bollati Boringhieri, Torino 1991.124 BRELICH 1970-72, pagg. 8-9.125 Ivi, pag. 9.126 Ivi, pag. 10.127 Ivi, pagg. 10-11.128 Ivi, pag. 12.129 Ivi.130 Cfr. ivi, pagg. 12-13.

È sintomatico che Vittorio Lanternari, esponente della Scuola Romana tra i piú vicini all’italo-ungherese, con-fermi questo punto di vista: «La costante polemica di Brelich contro i vari tipi di irrazionalismo nel campo scientifico indifesa dello storicismo non è scindibile dalla sua polemica contro la cultura della borghesia intellettuale conservatrice ereazionaria» (LANTERNARI 2002, pag. XII).131 BRELICH 1970-72, pag. 13.132 Cfr. ivi, pagg. 15-16.133 Cfr. ivi, pag. 16.134 Ivi.135 Cfr. ivi, pag. 17.136 Ivi.

Ciò viene affermato, puntualizza Brelich, fuori da ogni evoluzionismo e da qualsiasi attribuzione di valore, a li-vello sincronico o diacronico, alle varie culture: «Lo storico non giudica il corso della storia, ma cerca di comprenderlo:non dal di fuori – e specie non dall’empireo dei valori assoluti o delle verità metafisiche – ma dall’interno della sua po-sizione storica che sola l’ha messo in grado di esercitare il suo mestiere» (ivi, pag. 22).137 Ivi.138 Cfr. ivi, pag. 24.139 Ivi.140 Cfr. ivi, pag. 27.141 Ivi.142 Ivi, pagg. 27-28.143 Cfr. GASBARRO 1990.

Per Sabbatucci «[…] la vanificazione [religiosa] sussiste in quanto effetto secondario di una ricerca della fun-zione culturale di ciò che è stato recepito acriticamente sub specie religionis in culture diverse dalla nostra, vale a diredi ciò a cui è stata attribuita arbitrariamente la funzione che la religione ha nella nostra cultura» (SABBATUCCI 1987, pag.

97)144 GASBARRO 1988, pag. 295.145 Cfr. ivi.146 Ivi, pagg. 295-296.147 Si tratta di BRELICH 1985.148 Cfr. SABBATUCCI 1985, pag. IX.149 Su questo bastino queste considerazioni riassuntive di Brelich: «La storia umana incomincia con un “no!”: èl’atteggiamento dell’uomo nei riguardi delle “leggi della natura”, del “ritmo universale”, delle forme dell’esistenza pu-ramente biologica; l’uomo si forma nel momento in cui si rifiuta di accettare le determinazioni che gli derivano dallanatura. In un momento successivo abbiamo visto l’uomo pronunciare un altro “no!”: si trattava, allora, delle tradizionaliforme dell’esistenza umana, sorte da una visione immediata della realtà e da un adattamento naturale ad essa; a un certomomento l’uomo non ha voluto piú accettare quelle forme che egli non poteva non sentire “ingiustificate”: egli volevaavere in se stesso, nella sua coscienza, le origini e la giustificazione delle sue forme di esistenza. Ma con ciò l’uomo ècaduto di nuovo a norme limitatrici: in luogo delle “leggi della natura” e delle forme spontanee benché “ingiustificate”della sua esperienza ingenua, sono sopravvenuti i criteri del suo raziocinio, che, di nuovo, appaiono ristretti e ingiustifi-cati. L’uomo si accorge di non essere soltanto raziocinio e oppone il suo “no!” anche alle limitazioni dettate dal suo in-telletto. Il suo miraggio è la libertà. È l’autonomia. È la pienezza, la perfezione. È ciò che è proprio della realtà non-u-mana, di quella grande realtà dalla quale egli si è staccato. Ovunque egli scorga limiti, criteri, norme, prima o dopo eglisi ribella. Quando l’uomo viene ad accorgersi delle determinazioni che gli derivano dalla propria costituzione psichica ostorica, egli è pronto a dire “no!” anche a queste determinazioni» (BRELICH 1985, pag. 221).150 Ivi, pag. 35.151 Cfr. ivi, pag. 204.152 XELLA 2002b, pag. 3.153 Cfr. ivi.

Le sconsolate considerazioni del curatore lo spingono addirittura a quello che appare quasi un appello dispera-to: «Chi ha a cuore il futuro della disciplina, al di fuori dei giochi di potere accademici, è chiamato fortemente a pronun-ciarsi, pena il declino totale e la scomparsa di questi studi, che non possono piú restare ancorati alla sola tradizione pet-tazzoniana, alla formula degli “studi e materiali”, alla presunzione di chi ritiene che il semplice occuparsi di testi reli-giosi o discettare di “religione” sia automaticamente fare storia delle religioni» (ivi).154 Scrive ad esempio lo studioso padovano: «La scuola italiana di storia delle religioni […], anche se dapprima haavuto una piccola pausa di riflessione con Pettazzoni […], il quale fu incerto sulla sua propria metodologia tra visionestoricistica e una dovuta fedeltà all’autonomia dell’esperienza religiosa, poi sembra che si sia lasciata decisamente por-tare verso uno storicismo pieno di cui, del resto, lo stesso storico italiano andava fiero. Ma la storia delle religioni in Ita-lia fece ancor di piú. Sotto l’influsso della visione filo-gramsciana – una visione metodologica del tutto contraria al sen-so dell’esperienza religiosa – condusse la storia delle religioni verso un vero laicismo con studiosi come A. Brelich, E.de Martino, A. Di Nola, V. Lanternari ecc.» (TERRIN 2001b, pagg. 130-131).155 TERRIN 2001a, pagg. 55-56.156 Cfr. TULLIO-ALTAN – MASSENZIO 1998, pagg. 63-68, in particolare pag. 66.

Sulla “lezione” di Brelich cfr. anche MASSENZIO 1997, pagg. 39-47.157 Cfr. GASBARRO 1988 e GASBARRO 1990, dove la «terza via pettazzoniana» è in realtà, a nostro parere, una rilet-tura squisitamente “brelichiana” della metodologia di Pettazzoni.