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CULTURA MATERIALE INSEDIAMENTI TERRITORIO

La Tripolitania rurale tardoantica, medievale e ottomana alla luce delle recenti indagini archeologiche territoriali nella regione di Leptis Magna

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ISSN 0390-0592ISBN 978-88-7814-616-7

CULTURA MATERIALE

INSEDIAMENTI

TERRITORIO

archeologia medievaleCultura materiale. Insediamenti. Territorio.

xLI2014

All’Insegna del Giglio

INDICE

ARCHEOLOGIA GLOBALE, a cura di Gian Pietro Brogiolo, Enrico GiannicheddaGian Pietro Brogiolo

Nuovi sviluppi nell’archeologia dei paesaggi: l’esempio del progetto APSAT (2008-2013) 11Juan Antonio Quirós Castillo

Oltre la frammentazione postprocessualista. Archeologia agraria nel Nordovest della Spagna 23Giuliano Volpe, Roberto Goffredo

La pietra e il ponte. Alcune considerazioni sull’archeologia globale dei paesaggi 39Luca Maria Olivieri, Massimo Vidale

An ethno-historical and ethno-archaeological look to the off-site archaeological locations of the Swat valley (Khyber Pakhtunkhwa, Pakistan) 55

Antonia Arnoldus-Huyzendveld, Carlo CitterSite location and resources exploitation: predictive models for the plain of Grosseto 65

Enrico GiannicheddaChi ha paura dei manufatti? Gli archeologi hanno paura dei manufatti? 79

Elisabetta NeriLe parole e le cose. La trasmissione del sapere e l’archeologia. Riflessioni ed esempi 95

Marco MilaneseDal progetto di ricerca alla valorizzazione. Biddas – Museo dei Villaggi Abbandonati della Sardegna (un museo open, un museo per tutti) 115

Marco ValentiL’archeologia come servizio (attraverso l’impiego degli strumenti tecnologici) 127

Daniele ManacordaArcheologia globale e sistema della tutela 141

NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPONotizie dall’ItaliaNicola Mancassola, Andrea Augenti, Mattia Francesco Antonio Cantatore, Stefano Degli Esposti,

Enrico Marchesi, Federico ZoniRicerche archeologiche sulla Pietra di Bismantova (RE). Il Castello medievale. Campagna di scavo 2012 151

Fabio Redi, Alfonso Forgione, Francesca Savini, Angelo Russi, Enrico Siena, Alessia de IureAmiternum (AQ). Scavo archeologico in località “Campo S. Maria”. Relazione preliminare, scavo 2013 171

Nicola Busino, Marielva Torino, Danilo LupoRicerche archeologiche nella chiesa di San Pietro di Aldifreda a Caserta. Dati archeologici ed antropologici 195

NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPONotizie dal bacino del MediterraneoMassimiliano Munzi, Fabrizio Felici, Isabella Sjöström, Andrea Zocchi

La Tripolitania rurale tardoantica, medievale e ottomana alla luce delle recenti indagini archeologiche territoriali nella regione di Leptis Magna 215

Schede 2013-2014, a cura di S Nepoti 247Aggiornamento schede 1971-2012, a cura di S Nepoti 252

NOTE E DISCUSSIONIRoberta Conversi, Eleonora Destefanis

Bobbio e il territorio piacentino tra VI e VII secolo: questioni aperte e nuove riflessioni alla luce dei dati archeologici 289Santa Frescura Nepoti

Fossati, palancati e mura: le fortificazioni di Bologna tra l’inizio dell’XI secolo e la fine del XIII 313Claudia Pizzinato

Focolari domestici, forni e piani di cottura dell’Italia medievale. Un primo bilancio 335

Esther Travé Allepuz, Mª Dolores López Pérez, Karen Álvaro RuedaTecnología de producción y organización de los alfares de cerámica culinaria en la Cataluña medieval: una aproximación a la implantación y transmisión de técnicas 349

Victoria Amorós Ruiz, Victor Cañavate Castejón, Sonia Gutiérrez LloretTapaderas articuladas tipo K de El Tolmo De Minateda (Hellín, Albacete, España): un ejemplo del comercio en el Altomedievo mediterráneo 369

Sauro GelichiQuesto Museo ‘non s’ha da fare’: peripezie archeologiche nella laguna di Comacchio 387

Recensioni

D Alexandre-Bidon, Dans l’atelier de l’apothicaire. Histoire et archéologie des pots de pharmacie XIIIe-XVIe siècle (E Giannichedda), p 397

215

XLI, 2014, pp. 215-245

Massimiliano Munzi, Fabrizio Felici, Isabella Sjöström, Andrea Zocchi

La Tripolitania rurale tardoantica, medievale e ottomana alla luce delle recenti indagini archeologiche territoriali nella regione di Leptis Magna

RICOGNIZIONI IN TRIPOLITANIA (1995-2013)

Dal 1995 la missione archeologica dell’Università Roma Tre, diretta da L. Musso, conduce in collaborazione con il Dipartimento alle Antichità della Libia un progetto di ricogni-zione archeologica in quello che in età antica era il territorio di Leptis Magna, con il duplice obiettivo di documentare a fini di tutela l’enorme patrimonio storico-archeologico presente nelle campagne e ricostruire l’evoluzione del sistema insediativo rurale nel corso dei secoli 1. La ricerca è stata pensata ad ampio spettro cronologico e tipologico: non si è voluto infatti discriminare le presenze antropiche in funzione di alcuna limitazione cro-nologica – si tratta di una ricerca multi-periodo – e tipologica. Accanto agli insediamenti e alle infrastrutture ad essi collegate, oggetto dell’indagine sono state anche le tracce lasciate dalle genti non sedentarie, condividendo a questo proposito l’esigenza di colmare una grave lacuna metodologica e documentaria, espressa per la Tripolitania da I. Sjöström già nel 1993: «The kind of archaeological survey work which has so far been carried out in all of Tripolitania would normally only notice sites with structural remains, and for this reason alone our knowledge of the settlement pattern must be considered incomplete. On the other hand, it is true that the documentation of the surviving structures is fairly complete. The problem is that almost nothing relating to the nomadic or semi-nomadic population will show up in the archaeological record» 2.

Il territorio è stato indagato attraverso la ricognizione siste-matica di campioni rappresentativi delle diverse realtà geogra-fiche, quali le zone costiere della Gefara orientale (o Piccola Gefara) e del Sahel di Khoms, le propaggini settentrionali del gebel di Msellata, tutte terre alquanto fertili in considerazione della media annuale delle precipitazioni tra i 300 e i 200 mm, le steppiche propaggini orientali del gebel di Tarhuna e della Msellata, dove la media della piovosità annuale scende tra i 200 e i 100 mm, nonché le vallate di alcuni importanti widian che scendono dal gebel raccogliendone le acque 3. In partico-lare sono stati campionati: il wadi Bendar 10 km a sud-est di Leptis Magna (1995); la fascia costiera tradizionalmente abitata dalla cabila Silin, subito a ovest della moderna città di Khoms (1996-1997); la regione solcata dal bacino idrografico del wadi Caam-Taraglat, che raccoglie le acque del declivio interno del

1 Il nostro ringraziamento va ai tanti colleghi italiani e libici che nel corso degli anni hanno preso parte alle campagne di ricognizione, tra questi in modo particolare a: Musbah Ali Asmia, Gabriele Cifani, Enrico Cirelli, Sergio Fontana, Muftah Ahmed al-Haddad, Jabar Mohamed Matoug, Khaled Mselati, Khayri Absalam Ben Rabha, Giovanni Ricci, Gianluca Schingo.

2 Sjöström 1993, p. 110. Sulla problematica visibilità archeologica delle popolazioni nomadi si veda anche: Cribb 1991 e 2004; Avni 1996; il Symposium on Mobile People in Archaeology (Montreal, 2 aprile 2004).

3 Masturzo 2013, pp. 187-188, 193-194, 196, per un’analisi quantitativa dell’uso attuale del suolo, condotta con l’ausilio di immagini multispettrali Landsat.

gebel Tarhuna e della Msellata, e il non lontano fertile distretto interno di Gighna (1999-2000); l’area tra le alture di Ras el-Mergheb e Ras el-Hammam, che contorna a sud Leptis Magna e Khoms (2007 e 2013, ancora in corso) 4 (fig. 1).

La ricerca sul campo ha avuto carattere estensivo (sono stati finora battuti ca. 104 km²) ed è proceduta per siti, dove sito è stato considerato ogni anomala concentrazione di resti antropici, normalmente presenti sotto forma di materiali fittili e strutture murarie, risaltante sul rumore archeologico di fondo, costituito dai radi e sparsi materiali che testimoniano delle attività agricole e pastorali svolte fuori dagli insediamenti. Le indagini hanno rivelato un’alta densità degli insediamenti agricoli d’età antica, ma anche medievale e moderna. Gli oltre 450 siti individuati fino ad oggi (tab. 1) rappresentano un ottimo campione documenta-rio in base al quale poter ricostruire, almeno per linee generali, l’evoluzione delle tendenze insediative. Il materiale associato ai siti, raccolto in superficie, ha consentito di scandire con buona approssimazione lo sviluppo diacronico dell’insediamento (fig. 2). Nella regione circolavano quantità consistenti di ceramiche importate e di monete che hanno fornito elementi diagnostici determinanti.

Ad oggi il quadro può essere così sintetizzato: 1. frequen-tazione della costa da parte di gruppi epipaleolitici e neolitici (8000-6500 BP); 2. prime forme di sedentarizzazione nel IV-III secolo a.C.; 3. diffusione dell’insediamento tra II e I secolo a.C.; 4. boom di ville marittime e fattorie olearie tra I e II secolo; 5. stagnazione nella fascia costiera nel III secolo con abban-dono di alcune ville marittime; 6. affermazione, in particolare nell’entroterra, della fattoria fortificata tra IV e metà V secolo; 7. crisi nell’entroterra verso la metà del V secolo con l’abban-dono della maggior parte degli insediamenti rurali; 8. ultime sopravvivenze di popolamento sedentario tra VI e VII secolo; 9. sistema insediativo agricolo-pastorale con villaggi e torri-granaio fortificate tra l’VIII-IX e il XII secolo; 10. nomadizzazione dal XII-XV secolo; 11. paesaggio ottomano a case sparse, villaggi e marabutti dal XVI all’inizio del XX secolo.

Le ricognizioni e l’esame dei materiali rinvenuti in associa-zione ai siti permettono di delineare le fluttuazioni quantitative dell’insediamento, indice del mutare della struttura economica e dei modi di produzione. Se sul piano della diacronia appare il succedersi delle congiunture di sviluppo e contrazione, su quello della sincronia emerge l’articolazione interna dei sistemi

4 Fontana, Munzi, Ricci 1996; Cifani et al. 2003; Munzi et al. 2004, 2004-2005, 2010, 2011; Munzi 2010a-b.

Wadi Bendar Silin Wadi Caam-Taraglat Ras el-Mergheb-Ras el-Hammam Tot.

11 64 211 168 454

tab. 1 – Quantità di siti individuati per areale di ricognizione.

216

notizie scavi e lavori sul campo

fig. 1 – Ricognizione archeologica del territorio di Leptis Magna: gli areali indagati (1995-2013) (elabo-razione M. Munzi, A. Zocchi – supporto satellitare Google Earth).

della millenaria storia rurale tripolitana. I dati forniti dalle nostre ricognizioni, nel tentativo di inquadrare l’evoluzione del paesaggio leptitano nel contesto regionale, sono stati di volta in volta integrati con quelli disponibili dalle altre ricerche archeologiche che hanno interessato la Tripolitania orientale, in particolare a quelle, condotte sotto l’egida dell’UNESCO, che hanno interessato i grandi widian del pre-deserto e della Sirtica 5.

1. LA TRIPOLITANIA TARDOANTICA

1.1. Dall’affermazione della fattoria fortificata alla scomparsa del sistema rurale tardoantico

Le indagini territoriali hanno mostrato che dopo un’intensa occupazione del territorio, segnata dalla diffusione di ville e fattorie aperte attrezzate per la produzione olearia a partire dal II secolo a.C. nella fascia costiera e dal I secolo d.C. nel medio e alto Taraghlat, intorno alla metà del III secolo costa ed en-troterra si incamminavano su traiettorie insediative divergenti. Probabilmente anche a causa della congiuntura non favorevole che aveva interessato la città di Leptis Magna all’indomani della sovraesposizione d’età severiana nella zona costiera le

5 Barker 1996, Mattingly 1996a (pre-deserto); Rebuffat 1988; Reddé 1985 e 1988 (regione sirtica).

0

50

100

150

200

250

300

IV a.C.

IIIa.C.

IIa.C.

I a.C. I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX

fig. 2 – Ricognizione archeologica del territorio di Leptis Magna: evoluzione dell’insediamento rurale.

insediativi e produttivi, in cui agricoltura sedentaria, in diverse gradazioni d’intensità, e pastoralismo si alternano o convivono, anche in funzione di diversi stadi d’inserimento nel mercato regionale e in quello mediterraneo.

In questa sede si presentano i risultati relativi ai periodi tardoantico, medievale e moderno (nello specifico ottomano)

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 3 – La frequentazione del territorio tra IV e metà V secolo d.C. (elaborazione M. Munzi, A. Zocchi – supporto satellitare Google Earth).

lussuose ville marittime e suburbane iniziarono a non essere più mantenute 6. Nell’entroterra leptitano, in particolare lungo il Taraglat (ma anche nei grandi widian del predeserto indagati dalla UNESCO Survey e sul gebel di Tarhuna) il tessuto di ville rurali e fattorie rimase invece, tra il IV e la prima metà del V secolo, estremamente vitale. Tuttavia, se la maggior parte delle ville e delle fattorie occupate in quel periodo restava ancora del tradizionale tipo aperto, un terzo circa del totale, a seguito di ristrutturazioni di edifici preesistenti o di nuove edificazioni, si mostrava ora attrezzato per la difesa 7: nasceva la villa-fattoria fortificata (fig. 3). Tali edifici, normalmente dotati di poderose murature e talvolta di fossati difensivi (figg. 4, 5), sono denomi-nati centenaria o turres in alcune epigrafi dedicatorie 8. Il termine centenarium, tradizionalmente considerato d’ambito militare (centenarius era l’ufficiale comandante cento uomini), è stato di recente riferito a centenum (segale); la derivazione sarebbe nata in ambito africano come sinonimo di horreum, valore semantico poi evolutosi in quello di fortino/fattoria fortificata con depo-

6 Caso emblematico è quello della villa sul wadi er-Rsaf nel suburbio occi-dentale di Leptis Magna, scavata dalla missione dell’Università Roma Tre: alla ristrutturazione commodiana e alla monumentalizzazione severiana seguì nel secondo venticinquennio del III secolo la fine della manutenzione e l’abbandono degli ambienti periferici: Munzi, Felici 2008.

7 20 fattorie fortificate: 14 evolute da fattorie aperte, 7 di nuova fondazione. Sulle fattorie fortificate-gsur nel territorio di Leptis Magna cfr.: Felici, Munzi, Tantillo 2006, pp. 645-650, 664 e 667-673; Munzi 2010b, pp. 56-67; Cirelli, Felici, Munzi 2012, 764-771.

8 IRT 876 (turris), 877-880 (centenarium). Sui centenaria: Smith 1968; Elmayer 1985; Mattingly 1995, pp. 102-106; Kerr 2005; Munzi 2010b, pp. 56-57; Munzi, Schirru, Tantillo 2014.

sito di granaglie 9. I conquistatori Arabi avrebbero in seguito chiamato questi edifici gsur (plur. di gasr) dal latino castrum 10. Il fenomeno delle ville-fattorie fortificate, pur se con variazioni per dimensioni e status degli edifici, interessò anche alle altre regioni africane: ne sono testimonianza le ben note rappresentazioni sui mosaici tardoantichi, come quello celebre del dominus Iulius a Cartagine 11, l’uso del termine castellum in Agostino 12, e nella concretezza archeologica lo scavo del “Castellum del Nador” tra Tipasa e Caesarea in Mauretania Caesariensis (Algeria) 13. Proprio come i pyrgoi del Levante, gli gsur avevano una duplice funzione, residenziale e difensiva, essendo attrezzati per resistere a pericoli a bassa intensità, come le scorrerie dei nomadi 14.

Se il riuso di elementi di torchi nelle murature di alcuni gsur pare indicare una diminuzione del numero degli impianti funzionanti e quindi della produzione olearia, la sopravvivenza di buona parte delle fattorie aperte dovette assicurare la prose-cuzione delle attività agricole, pur in un quadro di contrazione progressiva. Un recente censimento delle attestazioni di anfore tripolitane in contesti italiani appare d’altra parte confermare

9 Adams 2007, pp. 550-554, 565, 571-572.10 Gasr (qasr قصر), plur. gsur, risalente al latino castrum attraverso il greco

bizantino kastron. La trasmissione del termine sarebbe maturata nell’Oriente tardoantico, in particolare tra le truppe romane d’origine araba e tra i foederati arabi del VI secolo, che avevano occupato i castra e i castella (in arabo qastal) di frontiera: Shahid 2002, pp. 67-75.

11 Duval 1986; Nevett 2008.12 Coppolino 2008.13 Anselmino et al. 1989. 14 Sui pyrgoi d’Oriente cfr. Decker 2006.

218

notizie scavi e lavori sul campo

fig. 4 – Murature in blocchi nel gasr Wafi (KHM 82, fotografia M. Munzi).

fig. 5 – Resti delle strutture del gasr KHM 130, circondato da un fossato (fotografia M. Munzi).

che l’olio tripolitano continuò ad essere esportato attraverso il Mediterraneo almeno fino alla fine del IV secolo 15.

Il carattere privato delle fortificazioni rurali tripolitane è ormai accertato, come anche la relazione del fenomeno con l’insicurezza montante nella regione, endemicamente minacciata dalle scorrerie dei nomadi a partire dallo smantellamento del settore orientale del limes severiano nella seconda metà del III secolo. Il gasr può considerarsi come la risposta dei proprietari locali al ridislocamento in profondità delle truppe imperiali, che avevano abbandonato il fortino di Gholaia/Bu Ngem intorno al 260 e quello di Myd(---)/Gheriat al-Garbia verso il 275/280 16. L’attività dei predoni provenienti dal deserto si era già fatta sentire durante il secondo quarto del III secolo ma il dispositivo militare in quell’occasione era risultato efficace 17. Una volta abbandonati i fortini sul limes le attività dei razziatori

15 Ciotola, Munzi 2012, pp. 1417-1420.16 Mackensen 2011, 2012a-b; cfr. Schimmer 2012 per la presenza di un

posto militare anche a Mizda.17 Loriot 1971 per una dedica a Gordiano III, da Gheriat el-Garbia, menzio-

nante un bellum; IRT 880; Di Vita-Evrard 1991 per l’epigrafe del centenarium novum di Gasr Duib con attestazione di incursiones barbarorum.

aumentarono d’intensità tanto da richiedere forse, a fine secolo, il diretto intervento imperiale 18. Nonostante la ristrutturazione del sistema di controllo della fascia frontaliera, affidato tra IV e V secolo a milizie irregolari come quelle comandate dai tribuni di Bir ed-Dreder 19 e dai capi di Ghirza, coadiuvate da piccoli posti di militari regolari come Gasr Bularkan a Msellatin 20 e la rioccupata Gheriat al-Garbia (a partire dal 360/380), le scorrerie sarebbero continuate: le gravi e ripetute incursioni portate dagli Austuriani negli anni di Gioviano e Valentiniano nei territori di Leptis Magna e Oea ne sono l’episodio più noto, grazie alla det-tagliata narrazione lasciata da Ammiano Marcellino 21. Obiettivo dei nomadi erano le proprietà presso le città e lungo la costa.

18 Di una inconcludente spedizione di Massimiano contro gli Ilaguas siamo informati dallo storico giustinianeo Corippo (Iohan., I, 478-482; V, 178-180; VII, 530-533); il silenzio delle altre fonti su tale campagna induce a mantenere il dubbio sull’attendibilità della testimonianza corippea: Modéran 2003, pp. 124, 126.

19 Goodchild 1950 (1976a, pp. 37-38) e 1954; Modéran 2003, pp. 258-265.

20 Quadriburgium in miniatura, 22 m di lato, con torri poste agli angoli e al centro di tre lati: Goodchild 1950 (1976a, pp. 38-41); Scott, Dore, Mattingly 1996, pp. 173-175, 178.

21 Amm. 28.6.

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 6 – La frequentazione del territorio tra metà V e VII secolo d.C. (elaborazione M. Munzi, A. Zocchi – supporto satellitare Google Earth).

Traccia del loro passaggio distruttivo sono forse rintracciabili in due ville del suburbio occidentale di Leptis Magna: quella presso il vecchio porto di Khoms fu abbandonata proprio in quel torno di tempo come indicato dalla datazione dell’interramento di un tesoretto monetale 22; nel pozzo-cisterna di quella appena a ovest del wadi er-Rsaf si sono rinvenuti i resti dello scheletro di un uomo sui 45-50 anni con segni di fendente da spada sul cranio 23. Le ville e le fattorie dell’interno non dovettero risentire allo stesso modo delle scorrerie, forse tutelate da una tradizionale politica di convivenza e di accordi con le tribù nomadi che frequentavano la provincia non solo per brigantaggio ma anche per attività pastorali e come manodopera stagionale nelle tenute agricole 24.

Dopo un lungo periodo di stabilità insediativa, verso la metà del V secolo, proprio quando la provincia cadeva nelle mani dei

22 Le monete più recenti in esso contenute si datano alla fine del 362: Munzi 1998.

23 Munzi, Felici 2008.24 R.G. Goodchild e J.B. Ward-Perkins (1949 = Goodchild 1976a, p.

31) ritenevano che le scorrerie sarebbero state impossibili senza l’indifferenza o peggio la complicità della popolazione degli gsur, che secondo i due archeologi britannici avrebbero avuto compiti di milizia limitanea; secondo D. Mattingly (1995, p. 209) e Y. Modéran (2003, pp. 273, 280-281) l’appartenenza a gruppi tribali affini, quali quelli dei Macae e dei Nasamones, la secolare frequentazione scandita dai ritmi stagionali dei lavori agricoli e una buona diplomazia avrebbero permesso ai proprietari e ai coloni delle fattorie di evitare l’urto dei nomadi e di convivere con i loro frequenti passaggi transumantici e/o pirateschi.

Vandali, l’ormai plurisecolare sistema delle ville e fattorie olearie tripolitane venne meno. Solo pochi siti, tutti caratterizzati da strutture difensive, continuarono a essere occupati nel periodo vandalo-bizantino (fig. 6). Pur condividendo nell’assunto gene-rale l’osservazione di D. Mattingly, che riferendosi al predeserto mette in guardia dal formulare la semplicistica equivalenza tra declino nel numero degli insediamenti e crollo demografico 25, non ci si può sottrarre dal leggere una così drastica contrazione insediativa come indice di una marcata crisi non solo economica ma anche demografica, senza tuttavia escludere che parte della popolazione, già agricola e stanziale, nel corso del V secolo si fosse convertita al pastoralismo.

La regione leptitana appare inoltre in controtendenza rispetto alla Zeugitana e alla Byzacena, che dalla recente ricerca storica e archeologica sono accreditate per l’età vandala di una congiuntura positiva senza soluzioni di continuità con il sistema economico-produttivo d’età imperiale 26. A ben guardare il dato archeologico delle indagini territoriali, la tendenza alla contrazione pare tut-tavia trovare riscontro anche in quelle province: a Leptis Minus e a Dougga è stato registrato un vistoso calo degli insediamenti intorno alla metà del V secolo, mentre nelle regioni di Segermes

25 Mattingly (1996b, p. 342) immagina la formazione di un sistema inse-diativo più nucleato rispetto al periodo precedente.

26 Cfr. da ultimi Palmieri 2008; Tedesco 2011 e Id. 2012, pp. 217-218.

220

notizie scavi e lavori sul campo

e Kasserine il ripiegamento economico e sociale delle campagne sembra doversi posticipare alla fine del V o al VI secolo 27. Tra le motivazioni della possibile sfasatura tra province occidentali e orientali del regno vandalo, va considerato che le prime dovettero fronteggiare il problema dei Mauri soltanto sullo scorcio del V secolo 28, laddove questo pericolo era endemico nelle seconde. L’intrinseca fragilità della Tripolitania può trovare spiegazione nella maggiore lontananza dal centro di potere e nella conseguen-te superiore esposizione alle scorrerie portate dalle tribù Maure, che dalle loro basi a est e sud-est della provincia progressivamente avevano ampliato il loro raggio d’azione fino a giungere alle mura di Leptis Magna. Il contributo sostanziale della conquista vandala alla destrutturazione del sistema insediativo e produttivo tripo-litano sta nell’aver determinato una cruciale assenza d’autorità e di difesa militare, che espose l’entroterra, prima densamente popolato e altamente produttivo, all’egemonia delle tribù.

La crisi rurale trova confronto con quanto contemporanea-mente avveniva a Leptis Magna. La città, un tempo popolosa, secondo Procopio era allora divenuta un luogo deserto (eremos) e insabbiato. Secondo lo storico di Cesarea, le tribù dei Laguatan, qualche anno prima della riconquista bizantina, sarebbero ad-dirittura giunte a mettere a ferro e fuoco ciò che rimaneva della città, svuotandola degli abitanti 29.

La riconquista giustinianea della Tripolitania, avvenuta nel 533, non sembra aver incentivato una ripresa dell’insediamen-to e dell’agricoltura stanziale. I pochi siti dell’alto Taraghlat ancora abitati in questo periodo potrebbero essersi trovati ai limiti dell’effettivo controllo romano. Né i centri urbani locali, nonostante gli sforzi di rivitalizzazione voluti da Giustiniano, né il mercato mediterraneo stimolavano più uno sfruttamento delle campagne tripolitane finalizzato alla produzione di surplus per la commercializzazione. Nelle campagne le uniche forme di intervento pubblico, in linea con il progetto politico di cri-stianizzazione dei Berberi perseguito dall’imperatore secondo Procopio 30, erano rivolte alla costruzione e al restauro degli edifici di culto cristiano, per lo più concentrati sul gebel 31.

Le ultime sopravvivenze sedentarie sembrerebbero estinguersi nel VII secolo: la frequentazione del solitario insediamento TRG 39, ultimo testimone del paesaggio rurale antico, potrebbe non aver oltrepassato la metà del secolo. Nelle campagne leptitane non si registra, finora, alcuna sicura prova archeologica di con-tinuità insediativa tra età tardoantica e islamica, attestata invece nei contesti urbani di Leptis Magna-Lebda, Oea-Tarablus e Sirte-Medina Sultan 32. Allo stesso tempo il processo di tribaliz-zazione dell’entroterra leptitano, un fenomeno di lungo periodo tutt’altro che completo ancora in avanzata epoca bizantina, finalmente si compiva: le sopravvissute popolazioni rurali del gebel furono verosimilmente assorbite, insieme alla variegata realtà tribale nota allo storico giustinianeo Corippo, dai Mazâta e dagli Hawwâra, le sole tribù berbere che gli Arabi avrebbero incontrato entrando in Tripolitania 33.

M.M.

27 Dietz et al. 1995 (Segermes); Hitchner 1988; Hitchner et al. 1990 (Kasserine); De Vos 2000 e Ciotola 2004 (Dougga); Ben Lazreg, Mattingly 1992 (Leptis Minus); Fentress et al. 2004 (ricognizioni a confronto).

28 Modéran 2003, pp. 554-561.29 Procop., Aed. VI, 4, 6-9.30 Procop., Aed., VI, 2, 19 (Augila); VI, 3, 9-11 (Gadames); VI, 4, 12

(Gadabitani)31 Caso esemplare è quello della chiesa di Breviglieri/al-Khadra, per cui cfr. De

Angelis D’Ossat, Farioli 1975; per altri casi Ward-Perkins, Goodchild 1953.32 Cirelli 2001 per Leptis Magna in età islamica; per Medina Sultan

Fehérvári et al. 2002 e Munzi 2005.33 Modéran 2003, pp. 776-778.

1.2 Per una tipologia delle fattorie fortificateSulla base degli elementi caratterizzanti acquisiti nelle rico-

gnizioni, quali la consistenza delle strutture visibili, la superficie di dispersione del materiale archeologico, la presenza di arredi di lusso e di impianti produttivi, è stato possibile ricostruire un’articolata gerarchia insediativa, fatta di insediamenti (villaggi, ville e fattorie aperte, ville-fattorie fortificate) e di infrastrutture (cave, fornaci, dighe/sbarramenti). Le ville-fattorie fortificate (gsur) sono una categoria insediativa attestata proprio a partire dal periodo tardoantico. Da un punto di vista edilizio, gli gsur si presentano come strutture a pianta quadrangolare con un singolo ingresso e spesso un cortile, realizzate con paramenti in opera quadrata o a ricorsi di blocchetti, che spesso riutilizzano materiale edilizio più antico. I nuclei delle murature, di consi-derevole spessore, sono costituiti da frantumi di pietrame legati con calce povera. Talvolta la poderosa muratura viene circondata da un fossato difensivo artificiale, come avviene in ben sette casi (SLN 61; TRG 54, 64, 178; KHM 123, 125, 130). Oltre al materiale ceramico raccolto in superficie, anche differenze nelle modalità costruttive permettono di distinguere, sebbene non sempre agevolmente, tali edifici da quelli dell’“incastellamento” aglabita-fatimita, con i quali sono stati talvolta confusi. Peculiarità si rilevano ad esempio nella realizzazione delle porte, dotate di architravi o archi a conci negli esempi tardoantichi, sostituiti suc-cessivamente da architravi con arco incavato. Elementi di torchi appaiono frequentemente reimpiegati nelle murature degli gsur, indizio di una qualche contrazione quantitativa degli impianti e della produzione olearia, che tuttavia continuava ad essere assicurata dalle molte fattorie aperte ancora frequentate tra IV e metà V secolo. Al ricognitore gli gsur si mostrano in condizioni di conservazione che variano fortemente a seconda della tecnica edilizia utilizzata: ben conservati e con strutture ben leggibili sono gli edifici realizzati in opera quadrata, mentre ridotte a grandi cumuli di macerie sono le fattorie fortificate a blocchetti.

Di seguito vengono riportati in forma sintetica i dati relativi agli gsur identificati nei campioni di ricognizione, che sono in tutto 48. La tab. 2 riassume inoltre i dati cronologici di questi insediamenti relativamente alla fase tardoantica.

SLN 19Localizzazione: 33S 0419229, 3618264.Definizione: fattoria; fortilizio; villaggio di età moderna.Posizione: sommità collinare.Superficie: 200 m².Tecnica edilizia: opera quadrata con riuso di elementi di torcular.Bibliografia: Munzi et al. 2004; Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-IV/V secolo; X-XX secolo.SLN 49Localizzazione: 33S 0427397, 3614583.Definizione: mausoleo; gasr.Posizione: plateau.Superficie: 500 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti con riuso di elementi di torcular.Bibliografia: Aurigemma 1914; 1925, pp. 7-10; Masturzo, Rabha 1997; Munzi et al. 2004, Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: fine II/III-prima metà V secolo.SLN 57Localizzazione: 33S 04227802, 3615352.Definizione: villa; fortilizio.Posizione: sommità collinare.Superficie: 4000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata con riuso di blocchi di spoglio.

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notizie dal bacino del mediterraneo

Bibliografia: Munzi et al. 2004, Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: II a.C.-V secolo.SLN 61Localizzazione: 33S 0421592, 3616343.Definizione: fattoria; fortilizio, presenza di età araba.Posizione: plateau.Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Apprestamenti difensivi: fossato artificiale.Bibliografia: Munzi et al. 2004, Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: seconda metà I secolo a.C.-IV/V secolo; XV-XX secolo.TRG 7Localizzazione: 33S 0424978, 3565785.Definizione: fattoria fortificata.Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: prima metà IV-prima metà V secolo; età islamica.TRG 13Localizzazione: 33S 0425355, 3567183.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.Posizione: terrazzo fluviale.Superficie: 4000 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà VI secolo.TRG 15Localizzazione: 33S 0425120, 3568401.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.Posizione: pendice.Superficie: 6000 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: seconda metà II-prima metà VI secolo; età islamica.TRG 16Localizzazione: 33S 0425203, 3569576.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.Posizione: sperone calcareo.Superficie: 5000 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà VI secolo.TRG 18Localizzazione: 33S 0422713, 356321.Definizione: fattoria; fattoria fortificata; villaggio fortificato di età araba.Posizione: sommità collinare.Superficie: 10000 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà V secolo; età islamica.TRG 39Localizzazione: 33S 0426727, 3569845.Definizione: fattoria; fattoria fortificata, marabutto.Posizione: sommità collinare.Superficie: 12000 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-VII secolo; età islamica.TRG 41Localizzazione: 33S 0428106, 3574786.Definizione: fattoria fortificata.Posizione: pendice collinare.Superficie: 2500 m².Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.

Datazione: prima metà IV-prima metà V secolo.TRG 50Localizzazione: 33S 0432643, 3595354.Definizione: fattoria; fattoria fortificata; villaggio fortificato di età araba.Posizione: sommità collinare.Superficie: 8000 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà V secolo; età islamica.TRG 54Localizzazione: 33S 0431360, 3590658.Definizione: fattoria; fattoria fortificata; torre di età araba.Posizione: plateau.Superficie: 900 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Apprestamenti difensivi: fossato artificiale.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà V secolo; età islamica.TRG 62Localizzazione: 33S 0446267, 3594173.Definizione: luogo di culto? insediamento fortificato.Posizione: sommità collinare.Superficie: 90×110 m.Tecnica edilizia: pietrame a secco con elementi architettonici reimpiegati.Datazione: fine I a.C.-IV/V secolo.TRG 64Localizzazione: 33S 0445408, 3593381.Definizione: fattoria fortificata.Posizione: sommità collinare.Superficie: 1500 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Apprestamenti difensivi: fossato artificiale.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: prima metà IV-prima metà VI secolo.TRG 84Localizzazione: 33S 0427770, 3573456.Definizione: fattoria fortificata.Posizione: basso sperone.Superficie: 800 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: prima metà IV-prima metà V secolo.TRG 97Localizzazione: 33S 0425904, 3575678.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.Posizione: Terrazza.Superficie: 1200 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: II-prima metà V secolo; età islamica.TRG 99Localizzazione: 33S 0426003, 3576254.Definizione: fattoria; fattoria fortificata; villaggio fortificato di età araba.Superficie: 2500 m²Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà V secolo; età islamica.TRG 173Localizzazione: 33S 0443505, 3593295.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.

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notizie scavi e lavori sul campo

Posizione: sommità di bassa altura.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà V secolo.TRG 175Localizzazione: 33S 0443379, 3592268.Definizione: fattoria fortificata.Posizione: sommità di altura.Superficie: 400 m².Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: prima metà IV-seconda metà VI secolo.TRG 178Localizzazione: 33S 0417390, 3561837.Definizione: fattoria fortificata.Posizione: sommità collinare.Superficie: 1500 m².Tecnica edilizia: muratura a blocchetti.Apprestamenti difensivi: fossato artificiale.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: prima metà IV-prima metà V secolo.TRG 184Localizzazione: 33S 0419010, 3559421.Definizione: fattoria fortificata; presenza e cimitero di età araba.Posizione: fondo di vallata.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: prima metà IV-prima metà V secolo; età islamica.TRG 201Localizzazione: 33S 0434270, 3594173.Definizione: villa; villa fortificata; frequentazione di età araba.Posizione: sommità collinare.Superficie: 400 m².Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-prima metà V secolo; età islamica.TRG 210Localizzazione: 33S 0433062, UTM 3595907.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.Posizione: sommità collinare.Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: I-seconda metà V secolo.TRG 211Localizzazione: 33S 0433180, UTM 3596886.Definizione: fattoria; fattoria fortificata.Posizione: plateau.Superficie: 10000 m².Bibliografia: Felici, Munzi, Tantillo 2006.Datazione: II-I secolo a.C.-seconda metà V secolo; età islamica.KHM 29Localizzazione: 33S 0429778, 3610002.Definizione: Villa/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 2750 m².Tecnica edilizia: opera quadrata con partizioni interne a bloc-chetti.Datazione: I-V secolo.KHM 34Localizzazione: 33S 0428805, 3609643.Definizione: Villa/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 1400 m².Tecnica edilizia: blocchi e lastre di riuso.Datazione: II secolo a.C.-V secolo.KHM 35Localizzazione: 33S 0429532, 3611463.

Definizione: Mausoleo/Gasr-Villa.Posizione: bassa pendice.Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: I-V secolo.KHM 40Localizzazione: 33S 0429313, 3609458.Definizione: Villa/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 400 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: I a.C.-III secolo.KHM 45Localizzazione: 33S 0429696, 3608177.Definizione: Mausoleo/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 1000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II a.C.-V secolo; età islamica.KHM 68Localizzazione: 33S 0430766, 3610254.Definizione: Mausoleo/Gasr-Villa.Posizione: plateau.Superficie: 1500 m².Datazione: I a.C.-V secolo.KHM 73Localizzazione: 33S 0426976, 3609063.Definizione: Fattoria/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 150 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II secolo a.C.-VI secolo; età islamica.KHM 78Localizzazione: 33S 0427379, 3608819.Definizione: Villa/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 10000 m².Datazione: II secolo a.C.-VI secolo; età islamica.KHM 82Localizzazione: 33S 0426271, 3608152.Definizione: fattoria, fattoria fortificata.Posizione: sommità collinare.Superficie: 200 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II secolo a.C.-V secolo; età islamica.KHM 99Localizzazione: 33S 0428779, 3605959.Definizione: Villa/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 2000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II secolo a.C.-II secolo; età islamica.KHM 100Localizzazione: 33S 0428653, 3606825.Definizione: Villa/Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 8000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II a.C.-V secolo; età islamica.KHM 123Localizzazione: 33S 426836, 3612865.Definizione: villa, fattoria fortificata.Posizione: media pendice.

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notizie dal bacino del mediterraneo

Superficie: 15000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Apprestamenti difensivi: fossato.Datazione: II a.C.-V secolo.KHM 125Localizzazione: 33S 423982, 3611159.Definizione: area di frammenti fittili, fattoria fortificata.Posizione: sommità collinare.Superficie: 300 m² (edificio).Tecnica edilizia: opera quadrata.Apprestamenti difensivi: fossato.Datazione: I-VI secolo; età islamica.KHM 128Localizzazione: 33S 425868, 3612513.Definizione: Fattoria-Gasr?Posizione: alto sperone.Superficie: 8000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II a.C.-VI secolo; età islamica.KHM 129Localizzazione: 33S 425667, 3612819.Definizione: villa, fattoria fortificata, case arabe.Posizione: basso sperone.Superficie: 27000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II a.C.-VI secolo; età islamica.KHM 130Localizzazione: 33S 425818, 3612412.Definizione: fattoria fortificata.Posizione: sommità collinare.Superficie: 300 m².Tecnica edilizia: opera quadrata con divisioni interne a blocchetti.Apprestamenti difensivi: fossato.Datazione: II-I a.C.-VI secolo; età islamica.KHM 144Localizzazione: 33S 433345, 3606549.Definizione: Fattoria?-Gasr.Posizione: sperone.Superficie: 1200 m².Datazione: I-IV-V secolo.KHM 148Localizzazione: 33S 432460, 3606278.Definizione: Fattoria-Gasr-Pressa sotterranea con torchio.Posizione: bassa altura.Superficie: 8000 m².Datazione: I-IV secolo.KHM 152Localizzazione: 33S 432411, 3607516.Definizione: Villa-Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 5000 m².Datazione: III a.C.-V secolo.KHM 155Localizzazione: 33S 433162, 3605688.Definizione: Villa-Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 5000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II-I a.C.-V secolo.KHM 157Localizzazione: 33S 433353, 3605082.Definizione: Villa-Gasr di piccole dimensioni.

Posizione: sommità collinare.Superficie: 50 m².Datazione: II a.C.-IV-V secolo.KHM 163Localizzazione: 33S 0431894, 3605208.Definizione: Villa-Gasr.Posizione: sommità collinare.Superficie: 13000 m².Tecnica edilizia: opera quadrata.Datazione: II-I a.C.-VI secolo.KHM 164Localizzazione: 33S 0431776, 3605159.Definizione: Fattoria-Gasr.Posizione: bassa altura.Superficie: 3000 m².Datazione: II-IV-V secolo; età islamica.

SITO DEFINIZIONE II III IV V VI VIISLN 19 F; FF 1 1 1 1SLN 49 M; FF 1 1 1 1SLN 57 V; FF 1 1 1 1SLN 61 F; FF 1 1 1 1 1TRG 7 FF 1 1TRG 13 FF 1 1 1 1 1TRG 15 FF 1 1 1 1 1TRG 16 F; FF 1 1 1 1 1TRG 18 FF 1 1 1 1TRG 39 FF 1 1 1 1 1 1TRG 41 FF 1 1TRG 50 FF 1 1 1 1TRG 54 F; FF 1 1 1 1TRG 62 L; FF 1 1 1 1TRG 64 FF 1 1 1TRG 84 FF 1 1TRG 97 F; FF 1 1 1 1TRG 99 F; FF 1 1 1 1TRG 173 F; FF 1 1 1 1TRG 175 FF 1 1 1TRG 178 FF 1 1TRG 184 FF 1 1TRG 201 V; FF 1 1 1 1TRG 210 F; FF 1 1 1 1TRG 211 F; FF 1 1 1 1KHM 29 V; FF 1 1 1 1KHM 34 V; FF 1 1 1 1KHM 35 M; V; FF 1 1 1 1KHM 40* V; FF 1 1 /KHM 45 M; FF 1 1 1 1KHM 68 M; V; FF 1 1 1 1KHM 73 F; FF 1 1 1 1 1KHM 78 V; FF 1 1 1 1 1KHM 82 F; FF 1 1 1 1KHM 99* V; FF 1 / /KHM 100 V; FF 1 1 1 1KHM 123 V; FF 1 1 1 1KHM 125 FF 1 1 1 1 1KHM 128 F; FF 1 1 1 1 1KHM 129 V; FF 1 1 1 1 1KHM 130 FF 1 1 1 1 1KHM 144 F (?); FF 1 1 1 1KHM 148 F; FF 1 1 1KHM 152 V; FF 1 1 1 1KHM 155 V; FF 1 1 1 1KHM 157 V; FF 1 1 1 1KHM 163 V; FF 1 1 1 1 1KHM 164 F; FF 1 1 1 1

tab. 2 – Dati cronologici degli gsur (L = luogo di culto; F = fattoria; FF = fattoria fortificata; M = mausoleo; V = villa; * = il materiale ceramico recuperato è relativo esclusivamente alla fase antecedente la fortificazione).

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notizie scavi e lavori sul campo

1.3 Sigillata tripolitana, anfore tripolitane tarde, importazioni

Il panorama offerto dalle ceramiche fini a partire dal IV secolo è di diffusa autosufficienza, con la maggioritaria presenza della sigillata tripolitana, di produzione locale 34. Fino alla prima metà del V non mancano comunque le importazioni interregionali, soprattutto nel campione costiero, anche se numericamente inferiori ai prodotti locali. Uguale fenomeno si riscontra nei dati del pre-deserto 35. Va però notato che le aree costiere e in-terne si comportano in maniera diversa. Nella zona costiera le importazioni sono infatti maggiormente rappresentate, anche se la produzione locale resta quella con più attestazioni. Influisce sui dati il materiale del sito TRG 44, un villaggio costiero (o piuttosto un vicus formatosi intorno ad una villa), in cui le im-portazioni superano i prodotti locali. La classe più rappresentata è dunque la sigillata tripolitana, della quale è stata identificata una officina nel Taraglat (TRG 91) 36. Si tratta questo di un dato di estrema rilevanza dal momento che finora non erano stati individuati luoghi di produzione di questa classe ceramica, denominata da J.W. Hayes unicamente sulla base della sua di-stribuzione, prevalentemente tripolitana. Due sono le scodelle attestate tra gli scarti e dunque presumibilmente prodotte negli impianti del sito TRG 91. Si tratta dei tipi Hayes 2 (300-400) e Hayes 3 (325-400/420) 37, in assoluto i più diffusi tra IV e V secolo. Hayes assimila questi tipi di scodelle rispettivamente ai tipi Hayes 58 (290/300-375) e 61A (325-400/420) della sigillata africana D. Questo ambito cronologico è sostanzialmente con-fermato dai dati degli scavi di Berenice in Cirenaica 38. Le due scodelle sono tra i tipi più attestati anche nello scarico di ma-teriali riferibile alla ristrutturazione del Tempio Flavio a Leptis Magna seguita al terremoto del 365, formato essenzialmente da ceramiche della prima metà del IV secolo 39. Una conferma della presenza nella regione di manifatture di sigillata tripolitana viene inoltre dall’attestazione, tra i materiali raccolti nel corso della ricognizione, di un’alta percentuale di esemplari che mostrano imperfezioni di lavorazione (superfici annerite da un’esposizione al calore massiccia o prolungata troppo a lungo), oggetti che, benché non perfetti, erano stati comunque immessi nella rete commerciale locale; è presumibile che in un ambito economico di raggio più esteso si sarebbe operata una scelta più oculata del materiale da commercializzare.

Diversa è la situazione del centro urbano dove, grazie al di-retto inserimento nella grande distribuzione mediterranea, più consistenti sono le importazioni di sigillata africana C e D; tali classi raggiungono rispettivamente, nel già citato contesto del Tempio Flavio, il 36,3% e il 32,8% del totale delle ceramiche fini, contro il 35,5% della sigillata tripolitana 40.

Le ceramiche fini di importazione sembrano penetrare nell’entroterra in maniera assai scarsa, a favore dell’utilizzo di stoviglie locali. Questa diffusa autosufficienza del territorio non sembrerebbe però interpretabile necessariamente come indizio di una stagnazione, come dedotto da D. Mattingly. Bisogna infatti tener conto della tenuta dell’insediamento nel campione interno nella prima metà del IV secolo, in concomitanza con l’inizio della produzione della sigillata Tripolitana. D’altra parte nascita e diffusione delle produzioni regionali di sigillata sono

34 Hayes 1972 pp. 304-309; Atlante I, pp. 137-138.35 Dore 1996.36 Felici, Pentiricci 2002.37 Ibid., rispettivamente fig. 3, nn. 1-3 e fig. 3 n. 4.38 Hayes 1972 pp. 305-308. Kenrick 1985 pp. 389-390, B695-6.39 Fontana 1996, p. 94, tab. 1.40 Ibid., p. 88, fig. 3.

un aspetto tipico del IV secolo africano 41. Ad esempio in Tunisia centrale e meridionale sono prodotte tra IV e V secolo la sigillata E e altre ceramiche locali (Hayes 66, 68, 70, 92), raramente esportate. Questi prodotti raggiungono percentuali significative solo a Gerba e a Kasserine dove i prodotti locali sono dominanti (rispettivamente 80% e 90%). Il fenomeno non è limitato alla Byzacena e alla Tripolitania ma è esteso anche alla Numidia. Qui un caso esemplare di sostituzione delle importazioni si ha a Setif, dove la sigillata africana importata costituisce il 18% del totale nel III secolo e solo il 2% dal V secolo 42. In Numidia, Byzacena e Tripolitania la sigillata africana D appare dunque rimpiazzata da prodotti locali, più raramente esportati. La situazione cambia almeno dalla seconda metà del V secolo, con una brusca dimi-nuzione dei materiali identificati. La scarsa diffusione di tutti questi indicatori, comprese le ceramiche prodotte localmente, sembra riflettere una reale rarefazione e concentrazione dell’in-sediamento. Fossili guida sono ora le forme tarde della sigillata tripolitana (soprattutto Hayes 8A e B), alcune forme della sigillata africana D (Hayes 87C, 99A, 104A, 105) e le monete. Nel campione interno aumenta sensibilmente la percentuale delle ceramiche sicuramente importate, a marcare l’importanza dei pochi insediamenti sopravvissuti, dei quali soltanto uno raggiunge il VII secolo. Le scodelle tipo Hayes 8 della sigillata tripolitana sono attestate nei contesti di Berenice della prima metà del VI secolo, associate proprio alle scodelle Hayes 104 in sigillata africana D, dalle quali sembrano derivare 43. Nella Tripolitania settentrionale in un contesto dell’isola di Gerba di pieno VI secolo la sigillata tripolitana raggiunge solo lo 0,3% dei frammenti e l’1,6% del numero minimo di esemplari attestati 44, fatto che sembra riflettere la lontananza dai centri produttori e la scarsa circolazione di questi prodotti.

Nel territorio leptitano il tessuto economico originatosi nel III secolo resse nelle aree interne fino alla prima metà del V seco-lo. Le anfore fabbricate in Tripolitania cessano di essere esportate nel bacino del Mediterraneo alla fine del IV secolo, senza che possa ritenersi conclusa la storia produttiva dei contenitori o dell’olio che questi trasportavano. Nei contesti tardoantichi della Tripolitania e della Cirenaica continuano infatti a trovarsi anfore di grandi dimensioni, derivate tipologicamente dalle Tripolitane II e III. La produzione sembra ora riservata ai mercati locali, regionali e interregionali. Nel nostro campione l’impianto TRG 47 ancora nel pieno IV secolo continuava a fabbricare anfore olearie tipo Tripolitana II e Tripolitana III, prive di qualsiasi bollo. Anfore di tipo non identificabile erano prodotte anche presso un gasr occupato tra IV e VI secolo.

F.F.

1.4 Economia monetaria ruraleLe ricognizioni hanno portato al recupero di abbondante

materiale numismatico. Le superfici degli insediamenti han-no restituito oltre 300 reperti numismatici (monete, tessere e sigilli) di età antica, medievale e moderna. Queste monete perdute e non recuperate permettono di fare luce sull’uso dello strumento monetario in ambiente rurale 45. In particolare è pos-sibile individuare, a livello di tendenza generale, le oscillazioni nella frequenza delle presenze monetarie nel corso dei secoli,

41 Fentress et al. 2004.42 Fentress 1991, p. 193.43 Kenrick 1985 p. 394, B702.44 Fontana 2000. L’unico tipo riconoscibile è la scodella Hayes 4C.45 Per una prima presentazione: Munzi 2004 e 2010b, pp. 63-65, 68-70.

Simile abbondanza di reperti numismatici si è riscontrata nella survey di Segermes (Tunisia): Grinder-Hansen 1995.

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 8 – Nummus protovandalico dalla fattoria fortificata TRG 175.

mistura ufficiali, rappresentavano il mezzo monetario più adatto a regolare le transazioni minute proprie della fascia più povera della popolazione. Nella pratica quotidiana si veniva a creare, dunque, un sistema monetario misto, ove i radiati costituivano le frazioni delle monete ufficiali. Tale sistema si presentava par-ticolarmente adatto alle necessità del mondo rurale tripolitano, dove le quotidiane piccole transazioni interne potevano avere un prezzo inferiore al valore della più piccola moneta ufficiale ed essere state quindi regolate in natura fino all’introduzione, in qualche modo tollerata, dei radiati d’imitazione. Nel contesto delle fattorie dovevano essere le piccole transazioni tra coloni, pa-stori, artigiani e commercianti itineranti, a necessitare di moneta spicciola. Anche quelle tra domini, conductores/affittuari e coloni potevano richiedere l’impiego di moneta bronzea, ad esempio per i bassi canoni relativi all’affitto di piccoli e sparsi appezzamenti 48, anche se nel circuito canonario i pagamenti continuavano a essere praticati soprattutto in moneta aurea e in natura 49.

Le campagne leptitane non furono più raggiunte, in maniera sostanziale, da nuovi apporti di moneta imperiale dal terzo decen-nio del V secolo. Mentre le emissioni del primo decennio sono ancora ben attestate, soltanto pochi esemplari successivi sono stati rinvenuti dalle ricognizioni. Ad un momento ancora più avanzato del V secolo possono essere riferite poche imitazioni di nummi imperiali del tipo con croce o astro a otto raggi in ghirlanda, prodotte a Cartagine o comunque nell’Africa vandalica 50 (fig. 8). Ciò non vuol necessariamente significare che l’economia rurale avesse perso il suo carattere monetario. È assai probabile che anche in ambiente rurale si continuasse a fare uso della vecchia moneta di IV secolo 51, nonché delle imitazioni radiate, la cui produzione e circolazione proseguì a lungo. I radiati dovettero restare in uso sul gebel almeno fino all’inizio del VI secolo, come prova il ripostiglio della chiesa di Asabaa sul gebel, in cui essi furono riposti insieme a bronzi imperiali emessi tra Costantino e Arcadio, nonché a minimi vandali e bizantini pre-giustinianei 52.

Il mancato rinnovo della moneta bronzea nell’entroterra leptitano, oltre a riflettere la riduzione del volume delle emissioni occidentali verificatasi nella prima metà del V secolo, potrebbe leggersi in relazione alla fuoriuscita della regione dall’orbita politica ed economica imperiale, determinata dall’instaurarsi dell’effimero controllo dei Vandali nel 439. Un simile con-traccolpo nel rifornimento monetario pare essersi verificato, a seguito della conquista vandala, nella stessa Cartagine 53. La destrutturazione del sistema insediativo e produttivo dell’entro-terra leptitano, che aveva resistito alle turbolenze del III e del IV secolo, e il conseguente affievolimento dei vincoli economici che legavano la regione al sistema economico mediterraneo dovettero costituire l’antefatto strutturale della fine della circo-lazione monetaria nelle campagne. La moneta bronzea poteva continuare a circolare nel Mediterraneo romano-barbarico, senza limitazioni imposte da frontiere statuali, ma a condizione

48 I pagamenti di piccole somme in folles sono la regola nelle Tablettes Albertini del 493-496: Ørsted 1994; Vitrone 1994-1995; Tedesco 2011, pp. 135-136.

49 Cod. Iust., 11.48.5 (366 d.C.): Hendy 2008, pp. 290-291.50 Sulle emissioni proto-vandaliche: Asolati 2005, pp. 47-51; Id. 2006,

pp. 121, 127-133; Arslan 2007, pp. 19-25.51 Una lunga circolazione (fino all’età vandalo-bizantina) delle monete di

IV secolo è ipotizzata anche da Grinder-Hansen 1995 per il materiale numi-smatico rinvenuto nella survey di Segermes.

52 Bartoccini 1928-1929, pp. 77-92; Ward-Perkins, Goodchild 1953, pp. 35-37.

53 Gli scavi (Avenue du President Habib Bourghiba, Salammbo e porto circolare) hanno mostrato un’interruzione dei rifornimenti monetali dopo il 430 e la parallela permanenza in circolazione della vecchia moneta degli anni 350-430: Reece 1984, p. 174 e Id. 1994, 253-254.

TRG SLN KHM Tot.Insediamenti con monete 26 3 22 51Monete 273 3 40 316

tab. 3 – Rinvenimenti numismatici nei campioni di ricognizione: TRG = wadi Caam-Taraglat; SLN = area di Silin; KHM = area tra Ras al-

Mergheb e Ras al-Hammam.

fig. 7 – Imitazione radiata dalla fattoria fortificata TRG 184.

attraverso grafici elaborati in base alle date di emissione delle monete (tab. 3).

I rinvenimenti registrano una marcata impennata di presenze monetarie nella seconda metà del III secolo d.C. Il dato può corrispondere ad un’effettiva intensificazione della circolazio-ne monetaria. Gli antoniniani di povera mistura di Gallieno, Claudio II, dei Tetrici e i “radiati barbari”, ovvero le loro imi-tazioni, appaiono come gli elementi alla base della circolazione di quei decenni 46 (fig. 7).

La diffusione della monetarizzazione delle campagne aumentò nel corso del secolo seguente, proprio quando la regione stava chiudendosi alle importazioni di ceramiche fini dalle altre pro-vince per passare a produzioni locali (la sigillata tripolitana) e tuttavia continuava a inviare olio verso Roma (cfr. par. 1.3). Le monete di IV secolo sono infatti ancora più attestate. Pur senza raggiungere i livelli eccezionali riscontrati in Egitto 47, nelle cam-pagne leptitane gli scambi quotidiani si erano allora ampliamente convertiti alla moneta, rappresentata dalle emissioni ufficiali dei Costantinidi e della casa di Valentiniano e Teodosio, oltre che dalle imitazioni radiate certamente ancora in uso. Queste monete d’emergenza circolavano sia nelle città (sono attestate nelle stratigrafie e nei tesoretti di Leptis Magna e Sabratha) che nelle campagne tripolitane. Tali frazioni bronzee, di valore inferiore a quello facciale e intrinseco delle monete di bronzo e

46 Per un censimento dei ripostigli tripolitani con imitazioni radiate in Tripolitania cfr. Macaluso 1992; per una proposta d’interpretazione cfr. Garraffo 1996; Chameroy 2010 e Ben Hadj Naceur-Loum 2012 per tesoretti rispettivamente in Algeria e Tunisia.

47 Sulla circolazione monetaria in Egitto e Levante: Morrisson 2004. In Egitto, in particolare nel Fayoum, anche il ricorso a sistemi di credito per gli scam-bi interni alle aziende rurali, era frequentemente praticato, cfr. Rathbone 1991.

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notizie scavi e lavori sul campo

che sussistessero le condizioni economiche per la circolazione monetaria: queste condizioni nella Tripolitania della metà del V secolo erano ormai venute meno.

La situazione non cambiò con la riconquista bizantina. I centri urbani locali, nonostante gli investimenti dell’amministrazione giustinianea, e più in generale il mercato mediterraneo non stimolavano più uno sfruttamento delle campagne tripolitane finalizzato alla produzione di surplus oleario da esportare. I pochi insediamenti rurali sopravvissuti, in cui forse continuava ancora ad essere usata la vecchia moneta di IV secolo e le imita-zioni radiate, dovettero fare molto raramente ricorso alla nuova moneta bizantina, visto che finora un solo esemplare riferibile alle emissioni post-riconquista vi è stato rinvenuto: si tratta di un nummus di Giustiniano, emesso nella zecca di Cartagine, rinve-nuto nella fattoria/villa-gasr con rilevante frequentazione islamica KHM 129 (area del Mergheb). Come dimostra il confronto con i contesti urbani di Leptis Magna 54 e Sabratha 55, ove gli scavi hanno riportato in luce monete bizantine in quantità significa-tiva, tale rarità non è imputabile al mancato rifornimento della riconquistata provincia. Era piuttosto la marcata contrazione insediativa e la connessa destrutturazione del sistema economico rurale a far si che la moneta bizantina uscisse difficilmente dagli ambiti urbani, dove pure giungeva come pagamento di truppe, apparato amministrativo e scambi commerciali.

2. LA TRIPOLITANIA MEDIEVALE

2.1 Dalla rinascita dell’insediamento rurale alla contrazione tardomedievale (VIII-XV secolo)

La conquista araba della Tripolitania, avvenuta intorno alla metà del VII secolo, non comportò una sostanziale discontinuità nella funzionalità del centro post-urbano di Leptis Magna, dai conquistatori chiamata Lebda. Un’ininterrotta frequentazione sembra potersi registrare anche nel centro quasi-urbano di Surt-Medina Sultan sulla costa sirtica e in quello di Ghirza nel lontano predeserto 56. Per quanto riguarda invece le campagne leptitane, la prova della continuità insediativa sfugge ancora alla ricerca archeologica. La prosecuzione delle indagini sta tuttavia progressivamente colmando la lacuna documentaria e restituendo l’anello mancante. Nel corso della campagna del novembre 2013 per la prima volta si è rinvenuta moneta di rame di età omayyade: si tratta di due fulus restituiti da due ville aperte della zona di Ras el-Hammam (KHM 140 e 146), occupate fino al IV/V secolo e (ri)frequentate in età islamica, come attestato dai reperti ceramici.

La rinascita dell’agricoltura e il ritorno alla floridezza sono invece, questa volta in maniera evidente, documentati per il pe-riodo aglabita e fatimita. Tra seconda metà dell’VIII e IX secolo il territorio leptitano era divenuto l’avamposto dell’Ifrīqiya agla-bita in direzione dei territori Tulunidi o Ikhshididi dell’Egitto. Ma se la fascia costiera, inclusa la città di Lebda, rimaneva sotto il controllo dell’emiro aglabita, rappresentandone il confine orientale, il gebel e il predeserto si trovavano ai limiti orientali dello stato berbero ibadita dei Rustamidi, i quali mantennero una propria autonomia per quasi un secolo e mezzo (763-909), controllando saldamente le vie carovaniere del commercio trans-

54 Tesoretto d’età vandalo-bizantina nel Mercato, Goodchild 1976b; scavi nel teatro, Joly, Garraffo, Mandruzzato 1992, pp. 83-84, nn. 482-491 e Munzi, Felici, Schirru 2003, pp. 549-550; scavi nel Chalcidicum e nel Tempio Flavio, Munzi 2010b, pp. 73-74 e 76.

55 Scavi del Tempio della Divinità Ignota, Garraffo 1984, pp. 179-183, nn. 125-151; scavi britannici degli anni 1948-1951, Burnett, Jenkins, Kenrick 1986, p. 262.

56 Lebda: Cirelli 2001. Medina Sultan: Fehérvári et al. 2002; Munzi 2005. Ghirza: Brogan, Smith 1984.

sahariano e praticando una politica di tolleranza ed alleanza nei confronti delle comunità cristiane 57. Nonostante che città e campagne fossero, come in precedenza, attraversate da eserciti e tribù in armi 58, fu proprio in quel periodo che lungo il me-dio e l’alto corso del wadi Taraglat, come nel resto del gebel e fors’anche in parte del predeserto, riapparve un sistema di tipo agro-pastorale. Sorsero allora nuovi insediamenti stabili, sia fortificati che aperti, legati alla rinata pratica dell’agricoltura sedentaria, cui si accompagnavano le tradizionali forme del pastoralismo seminomadico. A questo proposito si ricordi come l’imam Abd al-Wahhab (784/5-823/4) nelle sue lettere d’istru-zione alle comunità ibadite avesse affrontato tematiche non soltanto spirituali, ma anche pratiche, incentivando tra l’altro il lavoro agricolo 59. L’entroterra tornava ad essere popolato, come in età tardoantica, da insediamenti fortificati (fig. 9). Questi erano prevalentemente collocati su rilievi collinari, in posizione strategica a controllo delle vallate degli affluenti destinate alla coltivazione. Elemento cardine del nuovo sistema rurale era il villaggio fortificato, incentrato di norma su uno o più gsur-granai per lo stoccaggio delle derrate alimentari prodotte dalla rinata agricoltura praticata dai Berberi nelle terre comunitarie (fig. 10). Completavano il quadro torri isolate, con la doppia funzione di granai e di avamposti per il monitoraggio del territorio (fig. 11), ma anche un nuovo tipo di fattorie aperte, nonché gli sbar-ramenti d’età romana, riattivati per la regolamentazione idrica degli widian a fini agricoli. La prevalenza dei granai evidenzia l’importanza assunta dalla cerealicoltura, che non era limitata alla fertile striscia del Taraglat: nell’XI secolo al-Bakri affermava che nel wadi Soffegin il grano arrivava a rendere cento per uno 60. Un ruolo di rilievo nell’attività agricola spettava poi all’olivi-coltura, ancora fiorente ai tempi di Idrisi (ca. 1099-1165). Lo storico, attivo alla corte di Ruggiero II di Sicilia, giustapponeva l’impoverimento di Lebda causato dagli Arabi (i conquistatori di VII secolo o i Banu Hilal e Banu Sulyam della metà dell’XI secolo) alla prosperità agricola della regione: «La città di Lebda è situata a poca distanza dal mare. In altri tempi era stata florida e molto popolosa; ma gli Arabi si erano impadroniti della città e dei dintorni, fecero sparire la prosperità e il benessere degli abitanti, a tal punto che essi furono costretti ad abbandonare la città. Non ne resta che due castelli assai considerevoli, dove alcuni Berberi della tribù Hawara hanno stabilito la loro dimora. (Indipendentemente da questi castelli) si vede ancora a Lebda un forte grande e popolato situato sul bordo del mare. Ci sono delle fabbriche e vi si tiene un mercato che è assai frequentato. Il territorio di Lebda produce datteri e olive, da cui ottiene nella stagione adatta abbondante raccolta d’olio» 61.

57 Talbi 1966, pp. 127-128; Savage 1997, pp. 89-111; Cirelli 2001, p. 427; Rushworth 2004, pp. 88-95. Nel cimitero di en-Ngila i cristiani ricordavano i propri defunti con epitaffi latini ancora all’inizio dell’XI secolo, in pieno periodo fatimita: Bartoccini, Mazzoleni 1977 e da ultimo Handley 2004, p. 307.

58 Due sanguinosi scontri ebbero luogo a Wardasa, una località nel territorio degli Hawwâra, posta 15 miglia ad est di Lebda, di cui ancora si conserva il toponimo presso il wadi Caam: nel 760-761 i Berberi ibaditi guidati dall’imam Ibn al-Khattab furono sconfitti dalle truppe abbassidi di Ibn al-Ash’ath; nell’879 il generale aglabita Ahmad ben Qurhub fu sconfitto dal Tulunide al-Abbas, che poi si fece aprire le porte di Lebda, abbandonandosi al massacro degli abitanti (Cirelli 2001, pp. 433-434). Nell’859, le truppe del governatore di Tripoli ora Tarabulus, Abd Allah ben Muhammad ben al-Aghlab, fratello dell’emiro Abu Ibrahim Ahmad, erano state sbaragliate dalla tribù Banu Luhan, del gruppo berbero degli Hawwâra, con la conseguenza che il governatore sconfitto si era ritirato a Lebda, di cui provvide a rinforzare le difese (tradizione conservata dallo storico curdo d’età ayyubide ‘Alī ibn al-Athīr, cfr. Talbi 1966, p. 258).

59 Savage 1997, p. 204.60 al-Bekri in Mac Guckin de Slane 1913, p. 25.61 Idrisi in Dozy, De Goeje 1866, p. 154; cfr. anche Bresc, Nef 1999, p. 208;

Cirelli 2001, pp. 426-427 (lettura in riferimento alle invasioni di VII secolo).

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 9 – La frequentazione del territorio in età aglabita-fatimita (elaborazione M. Munzi, A. Zocchi – supporto satellitare Google Earth).

fig. 10 – Villaggio fortificato TRG 22 sul wādī Sulaīmān (fotografia M. Munzi).

Alle coltivazione di cereali e ulivi si aggiungeva certamente la pastorizia, che dava formaggio, lana e cuoio. L’articolato network di granai fortificati del Taraglat rappresentava inoltre una funzionale infrastruttura di rifornimento e stoccaggio al servizio delle carovane trans-sahariane, che percorrevano

quest’itinerario attraverso il gebel orientale alla volta di Lebda 62. Traffici commerciali sono testimoniati per il IX secolo dal fun-zionario abasside Ibn Khurradadhbih, che ricordava tra Tripoli

62 Cirelli 2004.

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notizie scavi e lavori sul campo

fig. 11 – Torre-granaio TRG 11, lungo il wadi Taraglat (fotografia M. Munzi).

fig. 12 – Ruba’ī aureo del califfo fatimita Abu Ali al-Mansur al-Hakim bi Amr Allah (996-1021 d.C.) dal villaggio Gsur Bu Shadhufa (TRG 6).

e Barqa ventuno caravanserragli 63. Per D. Oates i villaggi sul Taraglat erano caravanserragli sulla strada che da Gasr Garabulli incontrava gli widian Turgut e Gsea. Un percorso minore di questo tragitto, chiamato Trigh el-Arza (la Strada delle Colonne, forse per suggestione delle onnipresenti rovine romane), ancora battuto dai mercanti della Sanusiya nella prima metà del XX secolo, dall’alto Turgut raggiungeva Gasr ad-Daunn e più oltre l’alto Taraglat 64.

La datazione all’età aglabita e fatimita del sistema di fortifica-zioni sorte lungo questo wadi si fonda su dati ceramologici, numi-smatici, edilizi ed epigrafici. La ceramica raccolta in associazione alle strutture è confrontabile con quella prodotta nella fornace installata tra le rovine del Tempio Flavio (cfr. par. 2.4). Nel butto carbonioso di un villaggio fortificato (Gsur Bu Shadhufa, TRG 6) è stato recuperato un quarto (ruba’ī) di dinar aureo emesso dal califfo fatimita Abu Ali al-Mansur al-Hakim bi Amr Allah (996-1021 d.C.) (fig. 12). Le decorazioni a stucco presenti negli intradossi delle volte delle torri-granaio si rinvengono anche nei villaggi fortificati del predeserto, uno dei quali (Gasr Darryah sul wadi Garjuma) è stato datato dall’analisi al 14C all’860±80 65. Un significativo dato di confronto per la datazione degli gsur del territorio di Lebda è infine fornito dalla riapparizione dell’epigra-fia d’apparato negli immediati dintorni del centro abitato. Nel gasr di Ras el-Hammam, fortino militare a controllo delle vie d’accesso a Lebda da sud e da est, riferibile allo stesso orizzonte architettonico del ribat aglabita di Sousse e del palazzo-fortezza fatimita di Agedabia ma anche per certi aspetti agli gsur-granai fortificati del Taraglat, un’epigrafe reca la datazione all’anno 473 dell’Egira (1080-1081 d.C.) 66 (cfr. par. 2.3).

Alla positiva congiuntura economica corrisponde un ritorno della moneta nelle campagne, oltre che una sua continuazione

63 Ibn Khurradadhbih in Hadj-Sadodok, Carbonel 1949, p. 5.64 Oates 1953, pp. 89-90.65 Cirelli 2004, pp. 390-391; cfr. Sjöström 1993, pp. 203, 248-249,

288-289, nn. 271, 475-477 e 634.66 Romanelli 1925, p. 169; Levi Della Vida 1949; Cerbella 1953, pp.

45-46; Goodchild, Ward Perkins 1953, p. 73 nota 61; Whitehouse 1972, pp. 18-21; King 1989, pp. 203-204; Sjöström 1993, p. 137, n. 21; Cirelli 2001, p. 436.

d’uso nelle città. Monete d’argento e di bronzo circolavano nelle aree post-urbane di Leptis-Lebda 67 e Sabratha 68, come anche nell’insediamento quasi-urbano di Surt (Medina Sultan), l’antica Syrte 69. Per quanto riguarda il territorio extra-urbano, oltre ai due fulus omayyadi rinvenuti in due ville aperte presso Ras el-Hammam (KHM 140 e 146) e al quarto di dinar aureo del califfo fatimita al-Hakim rinvenuto nel villaggio Gsur Bu Shadhufa (TRG 6), monete auree e argentee dello stesso periodo sono venute alla luce, all’esterno dei nostri areali di ricognizione, in due altri contesti tripolitani rurali: un tesoretto di dieci dinari aurei d’età aglabita e fatimita nell’insediamento fortificato di Gasr Sidi Hassan, nella Sirtica 70; quattordici monete d’argento (dirham) di epoca abbaside e fatimita nell’edificio 32 di Ghirza 71. Dopo una lunga assenza, le monete riapparivano dunque nelle campagne, anche se in quantità limitate e con funzioni almeno in parte modificate rispetto all’esplosione delle presenze d’età tardoantica, non solo come mezzo di pagamento per le piccole transazioni quotidiane tra agricoltori e pastori, ma anche, per quanto riguarda le monete nei metalli preziosi, come strumento per la conservazione della rinnovata ricchezza agricola e per transazioni di più alto livello (scambi carovanieri).

Questo paesaggio, caratterizzato dalla forte mutualità agri-colo-pastorale, almeno in parte sopravvissuto all’urto delle invasioni portate dalle tribù beduine alla metà dell’XI secolo (visto anche quanto scrivevano al-Bakri e Idrisi), dovette trasfor-marsi a partire dal XII-XIII secolo in senso più marcatamente nomadico-pastorale. La rarità di materiali risalenti al periodo successivo (ceramiche con rivestimento vetroso, maioliche) sembra indicare un venir meno della frequentazione in buona parte degli insediamenti. Una spiegazione di questa possibile contrazione può essere ricercata nello spostamento delle mag-giori direttrici carovaniere. Lungo itinerari serviti da un nuovo network di villaggi fortificati, come quelli del wadi Beni Ulid e della Tunisia meridionale, le carovane lasciavano Lebda per Tarabulus 72. Ai tempi di El-Abdani (XIII secolo) l’antica capitale era ormai in rovina 73.

M.M.

67 Area artigianale del Tempio Flavio, mezzo dirham attribuito a Abdullah I (811-816) o II (902-903) e un fals aglabita, Balog 1968-1969; Chalcidicum, fulus aglabiti e fatimiti, Cirelli 2001, pp. 431-432.

68 Scavi britannici 1948-1951, fulus abbassidi: Burnett, Jenkins, Kenrick 1986, p. 263.

69 Da segnalare in particolare la scoperta di due dirham dei califfi al-Muizz (952-975) e al-Hakim (996-1021): Munzi 2005; sui rinvenimenti monetari d’età araba in Tripolitania cfr. in generale Munzi 2010b, pp. 77-80.

70 Faraj 1995.71 J. Walker in Brogan, Smith 1984, p. 274 et pl. 147.72 Zeltner 1992.73 Motylinski 1900, p. 77.

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notizie dal bacino del mediterraneo

SITO DEFINIZIONE IV-V VI-VII VIII-X XI-XIII XIV-XVI XVII-XIXTRG 6a, b VF 1 1 1TRG 11 VF 1 1 1 1TRG 12 VF 1 1 1TRG 22 VF 1 1TRG 23 T 1 1 1TRG 24 VF 1 1 1TRG 25 VF 1TRG 27 T 1TRG 28 VF 1 1 1TRG 29 VF 1 1 1TRG 30 VF 1TRG 35 T 1 1TRG 36 VF 1TRG 60 VF 1 1 1TRG 88 VF 1 1 1TRG 89 VF 1 1 1 1 1TRG 136 2 T 1TRG 198 T 1 1 1TRG 199 T 1 1TRG 209 T 1 1 1 1TRG 212 T 1

tab. 4 – Frequentazione degli gsur (VF = villaggio fortificato; T = torre- granaio).

2.2. Insediamenti e ceramiche di età aglabita e fatimita

Tra VIII e X secolo si viene formando un nuovo sistema di villaggi fortificati, che trasforma completamente il paesaggio interno del territorio leptitano 74. Nel campione analizzato sono stati individuati complessivamente 96 siti che risultano frequentati in questo periodo. Si tratta di siti in cui non si ri-levano segni di continuità di vita con il paesaggio preesistente, se si escludono le scelte insediative, che ricalcano in alcuni casi quelle adottate in età imperiale romana. Sono comunque nu-merosi anche gli insediamenti che nascono su aree non edificate in precedenza, soprattutto nelle propaggini più meridionali del campione indagato. Parte di questi insediamenti è caratterizzata da strutture monumentali che ancora segnano il paesaggio (tab. 4). Si tratta di torri granarie (gsur) conservate in elevato per 2-3 piani, realizzate in piccoli blocchi di pietra legati da malta argillosa e caratterizzate da piccoli ambienti coperti da volte a botte costruite con il sistema delle ghuraf (sing. ghurfa), tecnica di tradizione berbera che prevedeva l’utilizzo di cesti in vimini sovrapposti come cassaforme. Sono normalmente situate ai lati della vallata del wadi Taraglat, spesso ai margini di strutture di sbarramento artificiale utilizzate per deviare il corso delle acque torrentizie e rendere fertile il terreno circostante, risalenti con ogni probabilità all’età romana e riattivate. Gli gsur sono talvolta raggruppati e circondati da abitati irregolari e protetti da un circuito murario difensivo. Gli interni di queste strutture presentano spesso decorazioni in stucco a rilievo, anch’esse di tradizione berbera.

Oltre ai villaggi fortificati e alle torri-granaio, nella media e alta valle del Taraglat sono presenti gsur tardoantichi con tracce di frequentazione relative a questo periodo e piccoli insediamenti aperti, di difficile interpretazione, associati a scarse concentra-zioni di materiale, talvolta sorti sulle rovine di antiche fattorie aperte, più raramente di nuova costruzione.

La ripresa dell’insediamento in età aglabita-fatimita è testimoniata dalla diffusione di vasellame del tipo prodotto nell’area del porto di Leptis Magna-Lebda che viene a costituire una sorta di fossile guida del periodo. Negli scavi condotti da

74 Lo sviluppo dell’argomento si deve in gran parte al collega E. Cirelli che ringrazio. Cfr. Cirelli 2004; Cirelli, Felici, Munzi 2012.

Enrica Fiandra nel Tempio Flavio sono stati infatti individuati i resti di almeno una fornace insieme ad una vasta area di produ-zione ceramica 75. I livelli superiori di questo quartiere artigianale hanno restituito un mezzo dirham e un fals degli emiri aglabiti 76. Un recente riesame del materiale rinvenuto, costituito perlopiù da scarti di fornace, ha permesso di identificare la produzione di vasellame non rivestito quali bottiglie, brocche, ciotole, coppette e piatti-coperchio nonché anfore e lucerne, tutte accomunate da un impasto che dà spesso risultati cromatici crema-verde 77. La classe è ben attestata anche nel villaggio islamico indivi-duato da A. Laronde nell’invaso del porto di Leptis. Due tipi in particolare, un’anfora globulare di piccole dimensioni con orlo a collarino e fondo a bottone e una brocca con versatoio tubolare, dimostrano una considerevole diffusione nel territorio retrostante indagato dalle nostre ricognizioni 78. Questi stessi tipi di anfore e brocche con versatoio sono attestate a Medina Sultan (antica Surt) e nel territorio di Gerba. Forme simili si rinvengono in contesti databili alla fine del IX e, con alcune varianti successive, anche nel X secolo in Sicilia.

Risulta invece piuttosto rara la presenza di ceramiche con rivestimento vetroso, testimoniate nei siti urbani costieri solo verso la fine del X secolo, un tipo di vasellame che appare desti-nato solo a ristrette élites e che troverà una più ampia diffusione soprattutto nel corso dei secoli XI e XII. La maggior parte dei siti individuati nei nostri campioni d’indagine territoriale non presenta attestazioni di questo tipo di cultura materiale, almeno stando alla raccolta di superficie.

F.F.

2.3 Fortini a guardia di Lebda: Ras el-Mergheb e Ras el-Hammam

Il gasr sulla sommità di Ras el-Hammam (KHM 105) è spesso nominato, con quello su Ras el-Mergheb (KHM 108), come parte delle difese tarde di Leptis Magna-Lebda. Non c’e dubbio che, ad un certo momento della loro lunga storia inse-diativa, entrambe le colline furono fortificate. Le loro posizioni geografiche sono infatti eccellenti da un punto di vista militare, in particolare per fornire un sistema di allarme in caso di attacchi dall’entroterra contro la città. La datazione dei resti archeologici giunti fino a noi rimane, tuttavia, problematica.

Nel caso di Ras el-Hammam, ci sono due scuole di pensiero: quella che fa capo a P. Romanelli ritiene il gasr d’età bizantina, ma forse sovrapposto a una fondazione romana 79; l’altra crede che il gasr sia d’età araba, fino all’estremo di ritenere che l’iscri-zione di XI secolo, inserita nella muratura, dati la costruzione 80. Le iscrizioni del gasr hanno finora ricevuto più attenzione che l’edificio stesso. Una consiste in tre blocchi di reimpiego, ap-partenenti alla stessa iscrizione trilingue (latino, neopunico e greco) IRT 481, descritti per la prima volta da Romanelli. Uno dei blocchi è ancora in situ, un altro si trova nel museo di Leptis Magna 81, mentre il terzo sparì tra la prima visita di Romanelli e la metà degli anni venti del secolo scorso. I blocchi che reca-no l’iscrizione, di un calcare più chiaro della maggioranza dei blocchi squadrati usati nella costruzione, provenivano secondo

75 Inizialmente la produzione della fornace venne attribuita ad età bizantina, Dareggi 1968-1969, p. 362. Per una prima corretta identificazione del mate-riale, che è stato esposto al museo di Leptis Magna, Dolciotti, Ferioli 1984, pp 329-332.

76 Balog 1968-1969, p. 394.77 Dolciotti 2007, pp. 247-266.78 Cirelli 2001, pp. 430-431; Cirelli, Felici, Munzi 2012, pp. 772-773.79 Romanelli 1925, pp. 169-170.80 Goodchild, Ward Perkins 1953, p. 73.81 Levi Della Vida, Amadasi Guzzo 1987, p. 40.

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notizie scavi e lavori sul campo

fig. 13 – Ras el-Hammam, iscrizione araba con datazione all’anno 473 dell’Egira (1080-1081 d.C.) sull’architrave della porta di accesso al gasr

KHM 105 (fotografia I. Sjöström).

Romanelli da un tempietto. La seconda iscrizione, quella in arabo, è abbastanza rozzamente incisa sul blocco sormontante l’architrave della porta interna del portico (fig. 13). Già studiata da G. Levi Della Vida, N.M. Lowick, è stata di recente ripresa in considerazione da H. Abdouli 82. Reca la datazione all’anno 473 dell’Egira (1080-1081 d.C.) e fa riferimento a un certo emiro Sālim, membro della tribù Salim, che secondo Ibn Khaldun si sistemò nei dintorni di Lebda nel tardo XI secolo 83.

La pianta del gasr è approssimativamente quadrata, con l’entrata sulla facciata ovest e quattro torri rettangolari irrego-larmente distanziate sugli angoli (quella all’angolo nord-ovest meno sporgente delle altre). L’entrata, caratterizzata da un portico arcuato, appare la caratteristica distintiva dell’edificio; sopra la porta interna, di forma squadrata, è ricavata una cadi-toia/piombatoia. All’esterno, a nord del portico, sopravvivono due o tre filari di muratura relativi a un ambiente realizzato in un secondo momento, che oggi ha l’aspetto di una piattaforma ma che in passato doveva elevarsi quanto il portico; il colore più pallido dei blocchi presso l’angolo nord-ovest del portico rappresenta la traccia dell’appoggio nella sua originaria altezza (fig. 14).

All’interno del gasr sono visibili numerosi setti murari, certamente riferibili a varie fasi costruttive, ma la quantità di materiale in crollo e la vegetazione rendono difficile ricostruire e interpretare la pianta. I loro allineamenti sembrano comunque combaciare o essere ad angolo retto rispetto a quelli delle mura perimetrali. Alcuni setti sono costruiti interamente in blocchi squadrati di buon taglio, mentre per altri sono state usate pietre di dimensioni minori e più rozzamente squadrate; in alcune strutture entrambi i tipi di pezzame sono rappresentati, presumibilmente a seguito di successivi interventi di restauro.

Il primo schizzo dell’edificio risale a Romanelli. Negli anni ’70 del secolo scorso D. Whitehouse fece rilevare nuova-mente il monumento 84, ma anche in questo caso si trattò di uno schizzo misurato, pur se più dettagliato del precedente. Secondo Whitehouse il gasr misura ca. 23 m per lato, mentre per Romanelli le sue dimensioni (presumibilmente escluse le

82 Levi Della Vida 1949; Lowick 1971, p. 19; Abdouli 2013.83 Abdouli 2013.84 La pianta, ancora inedita, è conservata nell’archivio della Libyan Studies

Society.

torri) sono 17,40×18,00 m. Problematica rimane l’interpreta-zione del muro a blocchi squadrati che, stando alla pianta di Romanelli, corre verso ovest sullo stesso allineamento del lato settentrionale del gasr e poi, girando ad angolo retto, verso sud. L’andamento di questa struttura, che fu poi reimpiegata per le pareti nord ed ovest della moschea di al-Saba 85, indica che il gasr fu a un certo punto dotato di un grande cortile sul lato ovest, con un’entrata ad arco sul lato nord. Parte di questo muro, nel passato recente coperto da intonaco, è ora di nuovo visibile a seguito della recentissima distruzione della moschea da parte dei Salafiti. La corrispondenza di orientamento suggerisce che questa struttura sia stata in funzione durante almeno alcune delle fasi di frequentazione del gasr (fig. 15). Rimane tuttavia problematica la relazione tra tale struttura e il gasr, visto che non risulta visibile alcuna traccia di giunzione o appoggio tra i due e che, nello stesso tempo, murature così alte e prossime al forte sarebbero state poco desiderabili da un punto di vista militare. Al momento sembra dunque preferibile l’ipotesi, pur non completamente soddisfacente, che il muro del cortile/moschea sia stato realizzato con blocchi presi dal gasr.

Anche la data di costruzione del gasr continua a sfuggirci. Nel breve testo che accompagna la pianta, Whitehouse sostiene che il portico fu un’aggiunta tarda. Quest’affermazione appare erronea in quanto sul lato meridionale del portico, se i sei filari inferiori risultano addossati al muro perimetrale del gasr, dal settimo in poi essi sono ad esso legati (fig. 14). Dunque o il portico e il corpo del gasr furono costruiti insieme o la parte superiore del gasr fu ricostruita quando il portico fu aggiunto, ma dato che le mura esterne del forte danno l’impressione di essere di una sola fattura, in termini di mano d’opera e di stato di degrado, questa seconda ipotesi sembra da escludersi. Un indizio per risolvere la questione potrebbe essere fornito dall’iscrizione trilingue: l’unico blocco rimasto in situ è infatti inserito nel muro meridionale del portico; gli altri due frammenti erano anch’essi nel portico (nella parte superiore, perché la muratura non presenta lacune) o erano inseriti nelle mura del gasr? Romanelli purtroppo non specifica dove li vide per la prima volta. Le mura perimetrali presentano lacune di blocchi in varie posizioni, in particolare nel lato orientale, e i due frammenti potrebbero provenire da queste lacune. Numerosi blocchi di reimpiego (da presse olearie?) sono inoltre visibili in varie zone delle mura (ad esempio nella porzione inferiore dei muri perimetrali est e ovest e sull’angolo della torre sud-ovest); altri blocchi ancora sono dello stesso tipo di calcare chiaro dell’iscrizione trilingue. Tutto suggerisce che più di un edificio fu smantellato per costruire il gasr a Ras el-Hammam.

I resti antichi sulla collina del Mergheb, a pochi chilometri ad ovest di Leptis Magna, sono stati raramente visitati dagli archeo-logi per il semplice fatto che la collina è stata sede di istallazioni militari, non soltanto in antico, ma anche dai tempi della guerra italo-turca fino al presente. Prima di una visita eseguita da Munzi e Felici nel giugno 2013, la miglior descrizione archeologica del sito era quella di Romanelli, basata in parte sui resoconti di pubblicati nel primo decennio del XX secolo da Ch. Clermont-Ganneau e da H.M. De Mathuisieulx 86. Clermont-Ganneau descriveva, in cima alla collina, una piattaforma con una parete verticale tagliata nella roccia, rivolta verso sud; nella piattaforma erano diversi fori usati in precedenza dai locali per deporre le offerte al vicino marabutto

85 All’interno dell’edificio di culto sono riutilizzati elementi di origine antica. Il Romanelli segnala anche un’entrata ad arco di modeste dimensioni verso l’angolo nord-ovest della moschea, ormai non più visibile. Per la moschea cfr. infra 3.2.

86 Clermont-Ganneau 1903, da De Mathuisieulx 1906; Romanelli 1925, pp. 168-170.

231

notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 14 – Ras el-Hammam, lato occidentale del gasr KHM 105 (fotografia I. Sjöström).

fig. 15 – Ras el-Hammam, an-golo nord-ovest del gasr KHM 105, in primo piano i resti della moschea di al-Saba (fotografia I. Sjöström).

di Sidi Ali. Il marabutto non esisteva più quando Romanelli visitò il luogo, ma sicuramente la piattaforma era in origine parte di una cava antica. Secondo De Mathuisieulx la fortezza consisteva in blocchi da taglio e comprendeva un muro di cinta (22,50×14,60 m), largo ca. 1 m, che richiudeva un ridotto anch’esso rettangolare (7,90×8,50 m), con una porta larga 0,70 e alta 1,70 m. La porta centrale del recinto era sul lato nord-est, e quella del ridotto sul medesimo lato. L’altezza massima dei muri nel 1906 era di 9 m. Il muro esteriore era alto 1 m sul lato interno, ma sfruttava anche

in parte il dirupo. La descrizione di De Mathuisieulx è partico-larmente preziosa perché quando fu la volta di Romanelli, nel secondo decennio del XX secolo, i ruderi del cosiddetto castellum erano scomparsi in seguito alla costruzione delle fortificazioni e delle caserme italiane dal 1911 in poi 87.

87 La pianta di De Mathuisieulx, riprodotta da Romanelli (1925, p. 168), non evidenzia le caratteristiche consuete di difesa di tale tipo di struttura, a parte la porta ad angolo.

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notizie scavi e lavori sul campo

fig. 16 – Ras el-Mergheb, resti della porta ad arco in opera quadrata (KHM 108, fotogra-fia M. Munzi).

Ciò che è rimasto in piedi ancora oggi, malgrado i bombar-damenti NATO della primavera/estate 2011, è la bella porta ad arco, costruita in blocchi squadrati ben tagliati di calcare, probabilmente riferibile al I secolo d.C. (fig. 16). La relazione spaziale tra il castellum e la porta ad arco non è chiara, ma il primo doveva trovarsi dove furono costruite le caserme del Forte Italia. La porta, alta di 3,41 m e larga 1,98 m, era forse l’entrata principale di un circuito esterno delle fortificazioni (in alterna-tiva potrebbe trattarsi di un arco ornamentale).

Al-Idrisi, che scrive intorno alla meta del XII secolo, ci infor-ma che esistevano due castelli che proteggevano Leptis/Lebda. Queste dovrebbero, con un ragionevole elemento di certezza, corrispondere a quelle del Mergheb e di Ras el-Hammam, le due alture meglio situate nelle vicinanze di Lebda. Ma è bene ricordare che Idrisi non fornisce i toponimi, scrivendo semplice-mente: «Della citta [Lebda] non rimane più che due castelli ora abitati da un gruppo di berberi Hawwara. Indipendentemente da questi castelli, c’è a Lebda un forte sulla riva del mare, abitato da artigiani. C’e un mercato abbastanza ben frequentato» 88.

I.S.

3. LA TRIPOLITANIA OTTOMANA

3.1 Ripresa e diffusione dell’insediamento rurale (XVI-inizi XX secolo)

Marcata appare la ripresa dell’insediamento rurale, stabile o semi-sedentario, in concomitanza con l’entrata della regione nell’orbita dell’Impero Ottomano, a metà del XVI secolo. Dopo l’incerto intermezzo tardo-medievale, per il quale si attendono ancora informazioni circostanziate, l’agricoltura riprendeva ad

88 al-Idrisi 1836, p. 284 (traduzione francese).

affiancare il pastoralismo. Le fonti letterarie suggeriscono, ad esempio, che l’olivicoltura era diffusa nella fascia costiera: l’area tra gli widian Lebda e Ganima, delimitata a sud dalle alture della Msellata, nel XVII secolo era denominata al-Gāba, cioè bosco o uliveto 89.

Tornava ad affermarsi nelle campagne una forma di occu-pazione non fortificata e diffusa che le ricognizioni hanno in-dividuato con particolare densità sulle propaggini settentrionali della Msellata (areali di Silin, Mergheb e Ras el-Hammam) e più sporadicamente risalendo il wadi Caam-Taraglat (fig. 17). Le case potevano essere isolate o raggruppate a formare piccoli villaggi (ad esempio SLN 19, 61, tra SLN 43 e 46, 64; TRG 33; KHM 45, 148), i più consistenti identificati nella toponomastica locale con il termine di qaryat (è il caso di Qaryat Banū Hassan 90). Alcuni di essi furono abitati per secoli fino agli anni del regno di Idris 91. Tra i villaggi si può annoverare anche lo scomparso centro di Leggāta, sviluppatosi pochi chilometri a ovest di Lebda nei pressi di un promontorio e di una piccola insenatura naturale che per-metteva l’approdo di navigli di transito verso Tripoli 92. Nei pressi delle abitazioni rurali ricorreva la presenza di pozzi-cisterna, che potevano anche essere realizzati in aperta campagna, a servizio dei terreni da coltivare; alcuni di essi sono risultati ancor’oggi in uso.

Facevano parte del sistema insediativo ottomano-caramanli le tradizionali tende dei seminomadi e qualche struttura mili-

89 Cesàro 1933, p. 43.90 Abdouli 2012. 91 Quello dei Banu Hassan era ancora abitato ai tempi di Cesàro (1933, p. 46).92 Le tracce dell’abitato di Leggata si vedevano ancora negli anni ’30 del

secolo scorso subito fuori, a ovest, del muro di cinta di Khoms: Cesàro 1933, pp. 47-48; cfr. anche Sjöström 1993, p. 136. Il centro fu abbandonato per la nascita immediatamente a est, nella seconda metà del XIX secolo, di Khoms, che divenne presto capoluogo del locale sangiaccato: Camperio 1880 (=1912, p. 218); Cowper 1897, pp. 194-197; de Mathuisieulx 1902, p. 251; Munzi 2009.

233

notizie dal bacino del mediterraneo

tare per il controllo del territorio. Tra le prime, di assai difficile individuazione vista la normale assenza di resti strutturali, va menzionata la postazione di attendamento stagionale rinvenuta nell’area del Mergheb (KHM 113), segnata sul terreno dalle pietre che tenevano i lembi delle tende e dalla dispersione del materiale ceramico all’esterno delle tende. Tra le seconde va con ogni pro-babilità annoverata la struttura a base quadrata, verosimilmente una piccola torre, posta su una sommità collinare (KHM 166) appena a sud di Ras el-Hammam, ove si è rinvenuto un sigillo in bronzo con inciso su quattro righe il nome di un notabile (o un ufficiale) e la data secondo l’era dell’Egira: Hamed/Ali/al-Salem (?)/1320 o 1325 (1902-1907).

Nello stesso periodo apparvero i marabutti, generalmente a marcare le pertinenze territoriali dei vari gruppi familiari (cabile). Con questo nome si indicano tanto i pii mussulmani quanto, per traslazione, le loro tombe, spesso veri e propri monumenti funerari, a pianta quadrangolare sormontati da una piccola cu-pola, divenuti meta di devozione popolare e pellegrinaggio 93. Ne sono stati documentati esempi in tutti i campioni, ma particolar concentrazione è stata registrata nelle zone di Silin (SLN 1, 3,

93 Fonte di prim’ordine sui santuari musulmani della Tripolitania è la guida redatta nel XVII secolo da ‘Abd al-Salām e tradotta da A. Cesàro (Cesàro 1933); sulla tipologia architettonica Messana 1972.

10, 34, 43, 46, 58, 60), Ras el-Mergheb-Ras el-Hammam e nel Sahel di Khoms fino al wadi Caam (KHM 21, 37, 44, 50, 82, 99, 100). Il più delle volte i marabutti e i villaggi, cui sono collegati, sorgono tra le rovine di insediamenti rustici romani. Le ragioni di questa scelta insediativa risiedono nella facilità di reperimento e recupero di materiali edilizi offerti dalle antiche ville e fattorie. Ne serba memoria P. Della Cella, che visitò la regione nel 1817, parlando della regione di Zliten: «Della popolazione, che anti-camente abitava questo luogo ubertoso, trovansi spesso le tracce ne’ rottami di fabbriche impiegati ne’ tuguri moderni, e spesso i Marabutti hanno profittato di alcuni avanzi di vecchie torri per annicchiarvisi» 94. Completano il quadro due moschee, entrambe situate nell’oasi costiera tra Suk el-Khamis e il wadi Caam, quella con scuola coranica (madrasa) di Sidi Ali Fergiani (TRG 164), documentata almeno dal XVI secolo, che riutilizza elementi architettonici provenienti da edifici monumentali di Leptis Magna, e quella di Sidi abd al-Sadiq (TRG 162 bis), anch’essa caratterizzata dal reimpiego di elementi architettonici antichi 95.

In associazione agli insediamenti si è rinvenuta, in significa-tiva quantità, ceramica locale e importata dal sud della Tunisia,

94 Della Cella 1819, p. 31.95 Forse identificabile con la Zauia el-Atrusìia, su cui Cesàro 1933, pp.

56-57.

fig. 17 – La frequentazione del territorio in età otto-mana (elaborazione M. Munzi, A. Zocchi – supporto satellitare Google Earth).

234

notizie scavi e lavori sul campo

in particolare i grandi contenitori per la conservazione dell’olio (la giara detta habia, plur. huàbi) dalla vicina isola di Gerba, contesa tra il bey di Tunisi e il pascià Caramanli di Tripoli 96, ma anche da altre regioni del Mediterraneo. All’interno o nei pressi di tali insediamenti, tra le rovine di ville-fattorie antiche la cui rioccupazione o frequentazione d’età ottomano-caramanli è attestata dai reperti ceramici, sono stati raccolti anche monili: due aghi crinali in bronzo (KHM 49 e 78), una placchetta deco-rata d’argento (KHM 82), un anello in bronzo con paste vitree (KHM 121). Anche la moneta spicciola tornava a essere utilizzata (ad esempio per il pagamento di piccole somme ai braccianti, accanto ai compensi in natura). In un piccolo agglomerato di case (KHM 129) è stata infatti recuperata una monete di rame (para) battuta a Tripoli intorno al 1830. Al di fuori delle aree indagate dalle nostre ricognizioni si può ricordare, come utile confronto per l’estensione della rinnovata circolazione mone-taria nell’entroterra, il rinvenimento di monete del periodo dei Caramanli nel villaggio di al-Gazalat, uno dei tanti disposti sui bordi della vallata del wadi Beni Ulid 97.

Questo paesaggio rimane inalterato fino all’inizio del XX secolo, quando anche la Tripolitania entrò stabilmente nel gioco del colonialismo europeo. Proprio alla vigilia dell’occupazione italiana, nel 1911, il governo ottomano aveva provveduto a censire la popolazione del vilayet. I dati demografici sono di estremo interesse per la ricostruzione del popolamento nell’ultimo pe-riodo turco: in totale si registrò poco più di mezzo milione di abitanti (523176); tra questi, nelle zone da noi indagate, 11910 erano nella Gefara, 10813 nel distretto di Khoms, 15579 nella Msellata, 16407 nel Sahel, 37966 nel distretto di Zliten, 50484 nella zona di Tarhuna 98. Questo è anche il paesaggio fotografato dalle missioni agrologiche italiane, giunte in Tripolitania appena all’indomani dell’occupazione 99. Le loro relazioni forniscono preziose informazioni sui sistemi agricoli e sui relativi tipi di insediamento prevalenti nella costa e nell’entroterra tripolitani, che permettono di integrare e illuminare i dati archeologici raccolti sul terreno.

I giardini irrigui (sania, plur. suani) erano diffusi nelle co-siddette oasi costiere della Gefara (tra queste, al limite orientale della Gefara, l’oasi di Silin alla foce del wadi Jabrun) e del Sahel di Khoms, mentre si facevano rari nel gebel (attestati in particolare nella Msellata), dove si concentravano nelle vallate di alcuni widian. Di limitata estensione, erano per la maggior parte compresi tra un minimo di 1/3 di ha a un massimo di 2,7 ha (nel Sahel di Khoms). Quasi tutti dotati di pozzo (bir, plur. biar), erano destinati a coltivazioni sia arboree che erbacee: tra le prime prevaleva la palma da datteri, ma non mancavano ulivi, granati, albicocchi, agrumi, mandorli, fichi e gelsi; tra le seconde l’erba medica, il tabacco, ortaggi, orzo e frumento. I giardini erano racchiusi da muretti o argini in terra battuta o pietre calcaree non squadrate (tabia), spesso sormontati da una siepe di fichi d’India 100.

La piccola coltura asciutta (o inondata) era invece il sistema di conduzione agricola più diffuso sul gebel, ove occupava so-prattutto le vallate degli widian. Normalmente isolati, così ad esempio nella Msellata quando non erano inseriti nella grande coltura arborea, i giardini asciutti (ginan, plur. ginanat) potevano trovarsi raggruppati nel gebel di Tarhuna. Di limitata estensione (media 1/2 ha), circondato e difeso da muretti in terra o pietrame

96 Sulla Tripolitania sotto i Caramanli cfr. Micacchi 1936.97 al-Khadduri 1996.98 MC 1913, II, pp. 183-187.99 MAIC 1912; MC 1913; Franchetti 1914; cfr. Scarin 1940.100 MAIC 1912, pp. 220-252, 264-269 (pozzo); MC 1913, II, pp. 98-108;

Franchetti 1914, pp. 252-254.

e da siepi spinose, il piccolo giardino asciutto era dedicato quasi esclusivamente a fitte coltivazioni arboree, tra cui prevaleva l’ulivo, ma vi prosperavano anche la vite, il mandorlo, il fico, il carrubo e gli alberi da frutto. L’acqua vi era portata tramite canalizzazioni (saghia) dalle alture vicine 101.

La maggior parte dei terreni coltivabili del gebel era tuttavia destinata alla grande coltura asciutta. Quella erbacea a grano e orzo, chiamata sra (ulteriormente definita kalis quando la terra era seminata a cereali, burr quando era a riposo per rotazione), era diffusa nel gebel di Tarhuna; quella arborea a olivi, detta gába zeitùn, predominava nella Msellata, quella a fichi, detta gaba karmùs, si incontrava invece nel gebel di Garian e di Iefren; vi era infine la grande coltura mista, generalmente di orzo e olivo, chiamata mènga, anch’essa diffusa nella Msellata 102.

Tra le oasi costiere della Gefara e il gebel di Tarhuna, Msellata, Garian e Yefren, si incontravano tre tipi di abitazioni: tende, fabbricati e abitazioni sotterranee. Le tende (bēt-biūt) erano comuni nella zona di Tarhūna, dove il sistema pastorale misto era più diffuso. Esse erano rette da paletti, fermate da picchetti, tenute su corde di sparto o di palma, coperte da pesanti e forti panni di lana di pecora, circondate da zeribe in pietra o terra con sovrapposte piante spinose; al loro interno erano suddivise in non più di tre scomparti, uno dei quali riservato alle donne. Le ricorda anche Della Cella, nel tratto di viaggio tra Tagiura e Lebda, riferendosi alle valli dei «monti del Goriano» (il Garian, ma a indicare l’intero gruppo gebelico di Garian, Tarhuna e Msellata): «Nelle loro valli sono ricchi di pascoli e popolati di Beduini, che vi hanno in più luoghi fisse le loro tende. […] Alla sera, giunsero al campo diversi corpi di Beduini, che hanno le loro tende ne’ monti e ne’ piani attigui» 103.

I fabbricati (hosc) erano comuni nelle oasi della Gefara e, sul gebel, nella Msellata, oltre che nel Yefren e presso alcune tribù del Gariān. Le tecniche costruttive e i materiali impiegati tuttavia variavano passando dalla Gefara al gebel, in considerazione della diversità di materiale edilizio a disposizione. Nella costa in genere il coltivatore era anche il proprietario del podere (solo pochi terreni erano in affitto mediante pagamento in natura o denaro) e vi risiedeva in case di norma ubicate lungo la strada o presso un angolo del podere, quasi sempre vicino al pozzo. Comune nei piccoli poderi irrigui situati in prossimità dei centri urbani, l’abitazione isolata tendeva a sparire nelle zone più remote, dove semmai si raggruppava in piccoli villaggi, anche per fini di difesa comune. A seconda del livello sociale e dell’importanza del fondo si andava dai tuguri di due o tre stanze alle vere e proprie ville delle oasi presso Tripoli. La casa standard era a un solo piano, delimitata da forti muri senza finestre, con sale che prendevano luce dal cortile interno (fig. 18). Era costruita in pisé (darb al-bāb, ovvero “battere con la porta”): la terra limosa (detta tin) veniva bagnata e compressa con mazze di legno entro due tavole lignee, distanti tra loro secondo lo spessore del muro da realizzare (spesso 70 cm); una volta essiccata, si procedeva con lo strato superiore; talvolta si intercalavano strati di malta, collegati con la malta dell’intonaco, e si aggiungevano a copertura alcuni ricorsi in blocchetti di arenaria messi in opera a spina di pesce (nelle zone di Zliten e Misurata le pareti di terra battuta erano rivestite da una cortina di scaglioni calcarei disposti a spina di pesce). Nelle rare costruzioni a due piani si faceva invece uso di pietrame legato da malta. I pavimenti erano in terra battuta, su cui si disponevano stuoie, le pareti intonacate a calce, mentre

101 MC 1913, I, pp. 161, 186-202; Franchetti 1914, pp. 254-261; TCI 1929, pp. 230-231.

102 MC 1913, I, p. 203; Franchetti 1914, pp. 262-265.103 Della Cella 1912, pp. 20-21.

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 18 – Casa standard nella zona costiera (da MAIC 1912, tav. V).

per i tetti si impiegavano travi di palma, coperte di alghe, terra e calce 104.

Anche sul gebel i coltivatori erano per lo più i proprietari dei fondi e vi risiedevano. Qui, tuttavia, le case erano costruite con pietrame. legato da malta di calce e sabbia. Sviluppate su un solo piano coperto a terrazza (come travi si utilizzava legname di ulivo, palma o pistacchio selvatico), per ripartizione interna non differivano dalle abitazioni costiere: nelle costruzioni più complesse l’ingresso dava su un cortile esterno, intorno al quale si distribuivano i magazzini di concime e legname; dal cortile esterno, tramite un passaggio coperto, si accedeva al cortile interno, su cui si affacciavano i vani d’abitazione. Ma vi erano anche case, costituite da 1-3 ambienti, a un solo cortile, che era anche recinto per animali, sempre schermato dagli sguardi esterni. Quanto alla mobilia, tanto nelle abitazioni costiere che in quelle dell’entroterra essa si riduceva a casse lignee, ornate di chiodi e/o lastrine metalliche, in alcuni casi rinvenuti dalle ricognizioni (ad es. le appliques di bronzo negli insediamenti KHM 112 e 148).

Le abitazioni scavate nel suolo (mog.āra-mog.āuīr o moghaghìr) erano comuni nel Gariān, dove vi si abitava durante tutto l’anno, mentre nel gebel di Tarhūna e nella Msellata la loro frequenta-zione era soltanto estiva. Gli ambienti erano scavati lungo un declivio al di sotto della crosta quaternaria (talvolta venivano scavati a cielo aperto nel declivio, quindi coperti con pali d’u-livo o pistacchio selvatico, pietrame, fascine e terra a ricreare il piano di calpestio superiore), e venivano protetti all’esterno da un muretto a secco di pietrame posto al livello del terreno 105.

Nei poderi della fascia costiera il frantoio consisteva in un basamento cilindrico in muratura su cui girava la macina cilin-drica in pietra, infissa al centro tramite un perno di ferro, mossa da un asino, una vacca o un cammello. La pasta era poi posta in acqua bollente così da portare l’olio in superficie. Con questo sistema di spremitura si riuscivano a distinguere due sole qualità di spremitura e la sansa rimaneva molto ricca. Il torchio a trave lignea era impiegato solo nei poderi più vasti. Più articolato e organizzato era l’oleificio standard del gebel (masra), un apparato interamente sotterraneo che permetteva di evitare gli sbalzi di

104 MAIC 1912, pp. 252-255; MC 1913, II, pp. 73-75, 108-109; Scarin 1940, pp. 110-144; per la tecnica del pisé nella Tripolitania antica cfr. Aurigemma 1962, pp. 30-34.

105 MC 1913, pp. 72-74; Franchetti 1914, pp. 274-283; Scarin 1940, pp. 107-108.

fig. 19 – Frantoio sotterraneo (da Franchetti 1914, fig. 197).

temperatura durante la lavorazione (fig. 19). Da accessi costruiti in pietra dal piano di campagna si discendeva tramite un corri-doio in un grande vano, ricavato al di sotto della crosta calcarea, in cui era alloggiato l’impianto per la macinazione. Al centro del vano trovava posto un grande frantoio (g.ergāba), costituito da una base cilindrica in pietra o muratura di ca. 3 m ricoperta da un letto in pietra calcarea (farš), su cui doveva scorrere la macina litica (g.ergāba), tenuta da un sistema di paletti lignei. La pasta di olive, raccolta dal farš, era portata in fiscoli di sparto (sciamia, plur. sciuàmi) al torchio, situato in un vano laterale. Qui i fiscoli erano impilati in un recipiente litico su cui agiva la trave lignea (bentāl), azionata da un argano orizzontale. L’olio usciva così tra le maglie dei fiscoli, si raccoglieva nello scolatoio e da questo in una serie di recipienti in ceramica posti nel terreno 106. Alcuni impianti di questo tipo sono stati documentati nelle zone di Silin, Mergheb e Ras el-Hammam (SLN 19, KHM 47, 148 e 158, si veda par. 3.2): perfettamente conservati, essi in alcuni casi presentavano ancora i fiscoli di sparto lasciati in posto nel torchio dopo l’ultima spremitura.

Nel XIX secolo prese infine avvio l’esportazione dello sparto verso l’Inghilterra, nelle cui fabbriche era impiegato per fare la carta. Oltre che a Khoms, dove veniva anche pressato, uno stabilimento per la raccolta e l’esportazione era a Tabia, subito a sud della punta di Ras Sidi Magru (ove è il villaggio d’età antica TRG 44), presso la foce del wadi Caam. Alla fine del XIX secolo H.S. Cowper ne lasciava una vivida descrizione, dopo aver ricordato che sul promontorio erano le tombe dei marabutti Sidi Hamed el-Maghrebi e Sidi Macru: «At Tabia, just south of Ras el-Magro, there is a huge building built as a fonduk or store for esparto grass by an enterprising Maltese; but, in consequence of the competition at Zliten and Khoms, is not now used for this purpose. This building we found full of Greek sponge fishermen engaged in mending their sails. This

106 MC 1913, pp. 211-213; Franchetti 1914, pp. 433-455.

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notizie scavi e lavori sul campo

fishery is generally carried on in the vicinity of Tripoli, and it is only quite recently that a venture has been made here; and it is said to have been fairly successful in spite of the Greeks having lost several of their vessels» 107.

M.M.

3.2 Moschee, madrase e marabuttiNell’areale di Ras el-Mergheb-Ras el-Hammam le ricogni-

zioni hanno potuto censire numerosi edifici religiosi islamici quali, moschee, madrase (scuole coraniche) e marabutti 108. Queste strutture non presentano sempre elementi architettonici o tipologici datanti, inoltre non sempre le fonti storiche sono di aiuto per definire una cronologia certa. Anche se alcune costru-zioni possono risultare più antiche nei loro impianti originari, si è deciso di discutere di questa classe architettonica nel periodo ottomano in mancanza di più specifiche datazioni.

Tra le strutture più importanti di questa categoria, purtroppo oggi non più conservate in quanto distrutte a causa della recente espansione edilizia di Khoms, va sicuramente ricordato il com-plesso composto da moschea e marabutto di Sidi Ahmèd Ben Gehà (figg. 20-22), costruito presso il vecchio abitato di Leggāta (cfr. par. 3.1). Cenni sulla vita di questo marabutto e della sua tomba vengono forniti dal testo di Schech Abd es-Slam el-Àlem et-Tagiùri, mentre le strutture del marabutto e della moschea sono brevemente descritte nella traduzione del suddetto testo da parte di Antonio Cesàro, il quale situa gli edifici nel settore meridionale di Khoms 109. La moschea (fig. 20), a pianta qua-drangolare con contrafforti, era situata presso la Porta Mergheb ed era caratterizzata da una grossa cupola (gùbba) costolata, impostata su un tamburo ottagonale. L’edificio era affiancato da una costruzione, anch’essa con possenti contrafforti, la cui copertura era composta da otto piccole cupole lisce, probabil-mente una madrasa 110; l’area intorno alla moschea era adibita a cimitero. Da una cartolina dell’epoca è inoltre visibile il lato nord della moschea dove si apriva un piazzale cinto da un muro (fig. 21) 111. Il marabutto di Sidi Ahmèd Ben Gehà era invece si-tuato poco lontano, sempre nel settore meridionale di Khoms ma accanto al muro difensivo della città. Questa costruzione aveva una pianta rettangolare con gùbba costolata impostata anch’essa su un tamburo a pianta ottagonale. Lungo un lato corto dell’edificio sembra si sviluppasse un ambiente voltato a botte, come mostra l’estradosso della volta, parzialmente visibile nella fotografia pubblicata da Cesàro (fig. 22).

La ricognizione ha permesso l’individuazione di altre due antiche moschee nei dintorni di Khoms. La prima è certamente presente dal periodo finale della dominazione ottomana ed è situata sul promontorio di Ras el-Hammam (7 km a sud di Khoms). La moschea, nota attualmente con il nome di al-Saba o “di Ras el-Hammam” 112 (KHM 105, cfr. par. 2.3), viene descritta brevemente dal Romanelli 113 ed indicata con il nome di Sidi Hakned al Gandun o Sidi Hakned al Gandur nella cartografia

107 Cowper 1897, pp. 123, 222-223; Cesàro 1933, pp. 58-59 per i marabutti di et-Tabia e del wadi Caam.

108 Per i marabutti d’età ottomana nella zona di Silin si rimanda a E. Cirelli in Munzi et al. 2004, pp. 37-41.

109 Cesàro 1933, pp. 47-48. L’esatta localizzazione della moschea è in SME 1924, tav. I, che si appoggia ad una pianta di Khoms del 1886.

110 Cesàro (1933, p. 47) ne riporta erroneamente sei. 111 La didascalia della cartolina (Edizione S. Calandrino 116799) riporta

l’erronea didascalia di «Marabutto di Sidi ben Giacà».112 I toponimi attuali sono stati forniti da Khaled Msellati (Ispettore del

Dipartimento delle Antichità della Libia) che qui si ringrazia.113 Romanelli 1925, p. 170.

storica 114. La costruzione di questo edificio di culto probabilmente è compresa tra il XVIII-XIX secolo in quanto non viene men-zionata nel resoconto di Abd es-Slam el-Àlem della seconda metà del Seicento. Si tratta di una moschea a pianta quadrangolare internamente tripartita da quattro colonne (fig. 23) composte da elementi antichi reimpiegati (fusti in granito e, come capitelli, tre basi rovesciate e un capitello). La struttura, oggi in stato di crollo a causa dei danni provocati dalla recente guerra per opera dei Salafiti, conserva in ampie sezioni di pareti l’uso di blocchi squadrati in calcare reimpiegati o addirittura facenti parte delle originarie strutture dall’adiacente Gasr el-Hammam 115.

Un’altra moschea situata alla periferia meridionale di Khoms, che il testo Chitab el-Isciarat di Abd es-Slam el-Àlem riporta alle spalle di Leggāta, è quella di Umm Gorbàn che Cesàro riconosce nella moschea di Sidi Zaid el-Garib 116. Si tratta in realtà di un grande marabutto (KHM 44) anche se il Chitab el-Isciarat la menziona come mèsged, ovvero una moschea senza minbar per la predica e ne ricorda inoltre il pellegrinaggio della popola-zione locale per trarne benedizione. La costruzione è costituita da due volumi contigui disposti su due piani sfalsati (fig. 24). L’impianto originario, probabilmente cinquecentesco, è quello orientale nel quale era collocata la tomba di Sidi Zaid el-Garib con la gùbba costolata impostata su tamburo a pianta ottagonale. In un secondo momento viene addossato al lato occidentale della struttura un ulteriore volume per ospitare la tomba di un marabutto originariamente sepolto all’esterno, dove ancora è presente un piccolo cimitero 117.

Una serie di piccoli marabutti, spesso costruiti presso i resti di gsur o di altre strutture antiche, caratterizza il paesaggio ru-rale dell’entroterra di Khoms (KHM 21, 37, 50, 82, 99, 100). Tra questi vanno menzionati: Sidi Rāquid al ‘Arsah (KHM 21), contraddistinto da una piccola cupola (fig. 25) e Sidi al-Gharib (KHM 37) a pianta rettangolare. Presso la moschea Ammud (KHM 50) e all’interno di Gasr Uafi (KHM 82; fig. 26) 118 sono dei piccoli marabutti costituiti spesso da materiale antico

114 Rispettivamente Archivio IGM SE005973 in scala 1:25.000 e Archivio IGM SE005982 “Dintorni di Homs” in scala 1.25.000 datata al 30 giugno del 1913.

115 Romanelli 1925, p. 170 e infra 2.3.116 Cesàro 1933, pp. 47-48 lo ricorda come parzialmente rovinato dagli

eventi bellici dell’occupazione italiana. Una carta militare del 1913 (Archivio IGM SE005982) riporta il toponimo di «Moschea Sidi Zuaiet» mentre nella carta in scala 1:50.000 del 1962 dell’US Army Corps of Engineers la moschea è citata come «Sidi Ali Bin Zayid».

117 Gran parte di queste informazioni sono state fornite da Jabar Matoug (Ispettore del Dipartimento delle Antichità della Libia), che qui si ringrazia.

118 Sidi Uafi nella Carta IGM F. 1476 del 1937.

fig. 20 – Moschea Sidi Ahmèd Ben Gehà (fotografia dei primi anni del XX secolo, archivio privato A. Zocchi).

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 21 – Moschea Sidi Ahmèd Ben Gehà (cartolina, ed. S. Calandrino 116799).

fig. 22 – Marabutto Sidi Ahmèd Ben Gehà (da Cesàro 1933).

fig. 23 – Moschea di Ras el-Hammam prima della sua parziale distru-zione (KHM 105, fotografia A. Zocchi).

fig. 24 – Marabutto Sidi Zaid el-Garib (KHM 44, fotografia M. Munzi).

di reimpiego e privi di intonaco. Altri piccoli marabutti sono stati individuati presso Gasr Gus (KHM 100) e presso la località Henscir Malusha (KHM 99).

3.3 Abitati e case sparseIl paesaggio collinare dell’entroterra di Khoms risulta

punteggiato da numerose abitazioni e piccoli agglomerati di case di epoca ottomana, abbandonati nella maggior parte dei

casi 119. Si tratta di costruzioni realizzate con la tecnica del darb al-bāb, ma più spesso interamente costituite da pietre irregolari di diversa forma alternate a strati di calce più o meno sabbiosa. Queste costruzioni, quasi sempre intonacate, sia esternamente

119 Già all’epoca della redazione della Cartografia in scala 1.50.000 da parte dell’US Army Corps of Engineers nel 1962 molte di queste strutture erano segnate come «Ruins» o «Ancient Ruins».

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notizie scavi e lavori sul campo

fig. 25 – Marabutto Sidi Rāquid al ‘Arsah (KHM 21, fotografia A. Zocchi).

fig. 26 – Marabutto Sidi Uafi (KHM 82, fotografia A. Zocchi).

sia internamente, dovevano presentare delle coperture piane il più delle volte non più conservate, realizzate in rami e foglie di palma, sorrette grazie a travature lignee (principalmente di olivo e palma) non sagomate (cfr. par. 3.1).

Le tipologie di costruzioni attestate in questo areale mostrano una predominanza di strutture composte da un singolo volume parallelepipedo (lungo dai 5 ai 12 m e largo 3-4 m) partito inter-namente in due o tre stanze (KHM 53, 87, 129, 147, 158, 159). Un caso esemplificativo per questa tipologia è una costruzione situata qualche chilometro a SO di Ras el-Hammam (fig. 27): si tratta di un lungo edificio rettangolare (10×3 m) cinto da un muro in pietre non squadrate e da piante di fichi d’India a delimitare un giardino di modeste dimensioni; all’interno sono ancora i resti di un piccolo portico, il cui scheletro è costituito da tronchi di palma. Non mancano tuttavia abitazioni più complesse con corte interna e diversi ambienti che si affacciano al suo interno (fig. 28) o comunque più caseggiati, forse ma-gazzini, anch’essi affaccianti su uno spazio centrale che sembra essere in condivisione (KHM 29, 45, 56, 99, 161). La stessa tecnica edilizia caratterizza inoltre strutture, sempre a pianta rettangolare, situate non di rado in posti isolati e probabilmente adibite a semplice ricovero di animali, in particolar modo ovini (KHM 52, 141, 149) 120.

L’intonaco esterno in questi edifici difficilmente risulta conservato, rendendo così visibile la tecnica costruttiva impie-gata: le pietre, quasi sempre di piccole-medie dimensioni sono posizionate a strati orizzontali o a spina di pesce, mentre per gli angoli della costruzione, per gli stipiti e per le architravi di porte e finestre, venivano utilizzate pietre squadrate di grosse dimensioni come anche materiale antico di reimpiego. Colonne o frammenti di montanti di torcular romani ma anche semplici blocchi squadrati di arenaria reimpiegati rappresentavano spesso la materia prima ideale per la realizzazione delle parti struttural-mente più delicate di queste abitazioni (fig. 29). Non tutte queste costruzioni venivano tuttavia intonacate, in questi casi solamente una striscia verticale di intonaco fungeva da discendente plu-viale in corrispondenza degli scarichi del terrazzo, in modo da evitare così che l’acqua dalla copertura si infiltrasse all’interno delle murature 121 (fig. 30). In tutte le abitazioni il pavimento è costituito da terra battuta o, nel migliore dei casi, da scaglie

120 Per questa tipologia cfr. anche MC 1913, II, p. 108.121 MC 1913, II, p. 74.

fig. 27 – Casa di epoca ottomana (KHM 159, fotografia A. Zocchi).

di calcare; tappeti e stuoie di giunchi dovevano rappresentare l’arredo principale di questi ambienti 122.

Spesso vicino a questi piccoli agglomerati di case ma anche nei pressi di abitazioni isolate e, non raramente anche in terreni adatti alla coltura e o pastorizia, sono stati rinvenuti dei pozzi. Nell’areale di Khoms se ne sono riscontrati due tipi. Nel primo rientrano quei pozzi situati lungo o presso i corsi degli widian e che, verosimilmente, utilizzano l’acqua di falda come fonte di approvvigionamento idrico (KHM 85, 119, 123, 129, 150, 161; fig. 31). Si tratta di strutture costruite da operai specializzati

122 Cfr. Ajello 1911, p. 24.

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notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 28 – Strutture di epoca ottomana (KHM 99, fotografia M. Munzi).

fig. 29 – Elementi architettonici antichi reimpiegati in strutture di epoca ottomana (KHM 45, fotografia A. Zocchi).

fig. 30 – Discendente pluviale (KHM 161, fotografia A. Zocchi).

(stauát) secondo regole ben precise come dimostra la testimo-nianza fornitaci da Oberto Manetti nei primi anni del XX secolo:

«Interessante ci è sembrato anche il metodo di escavazione dei pozzi secondo il metodo indigeno, che abbiamo potuto os-servare più volte, durante la nostra permanenza nel Gebèl. […]. Il lavoro, sotto il passato regime turco, si pagava ad un tanto la gama […]. La gama è una misura esclusivamente adoperata per lo scavo dei pozzi e delle cisterne, ed è universalmente adoperata in tutto il Gebèl. […]. Lo scavo in roccia prosegue fino a che la falda acquifera non è stata raggiunta e l’acqua non arriva ad una certa altezza del pozzo. Infine si procura di dare allo scavo una maggiore solidità, col rivestire di pietrame le pareti del pozzo nel tratto compreso dal livello del suolo alla roccia, dando così al pozzo un diametro uniforme. […]. Le pietre sono ben cementate con calce e qualche volta anche intonacate. […] La stagione preferita per lo scavo del pozzo è l’estate; la località ove essi sono scavati sono generalmente i punti più bassi delle depressioni od il fondo degli uidian» 123.

Al secondo tipo afferiscono invece quelle strutture, spesso combinate in pozzo e cisterna, che sfruttano i pendi collinosi per convogliare le acque di scorrimento (KHM 23, 36, 38, 42, 45, 57, 99, 117, 120, 130, 131, 133, 147, 162, 163; fig. 32). Una descrizione accurata di questi pozzi viene offerta invece dal resoconto di Secondo Franchi, anch’egli scrivente nei primi anni dell’occupazione italiana:

«In un paese come questo, di piogge scarse e mal distribuite, non può bastare l’impluvio di un tetto o di un terrazzo […]. Per l’impluvio si utilizza quindi la superficie di una falda di monte o di collina, nella cui parte bassa, od anche al cui piede, è co-stantemente scavata la cisterna. Quivi si trovano generalmente le condizioni propizie per tale scavo, sia nel terreno di sfacelo delle falde contro di essa accumulatosi, sia nelle zone marnose langhiane o marnose-arenacee del Cenomaniano […]. Il cro-stone che ricopre questi terreni farà da tetto allo scavo, ed un foro in esso praticato, sul quale si costruisce il parapetto, sarà la bocca della cisterna. Attorno a questo parapetto una superficie ad imbuto molto depresso, modellata col materiale dello scavo, riceve l’acqua, che i solchi collettori vi portano dalla falda roc-ciosa brulla […]. Dall’imbuto l’acqua entra nella cisterna per un foro lasciato al piede del parapetto» 124.

123 Franchetti 1914, pp. 284-290; la gama è un’unità di misura che corri-sponde, tenendo le braccia distese all’altezza delle spalle, alla lunghezza tra la punta del dito medio sinistro e la punta del dito medio destro.

124 MC 1913, I, pp. 86-87, tav. XXII figg. 1-2.

In entrambi i casi sopracitati la bocca del pozzo poteva essere anche a livello del piano di calpestio, spesso però la vera è co-stituita da pietrame sbozzato e intonacato, a parte ovviamente l’accortezza, per la seconda tipologia, di lasciare un foro per far passare l’acqua attraverso il parapetto. In alcuni casi lastre di marmo o di calcare travertinoso antiche sono reimpiegate come elementi di copertura del pozzo stesso mediante larghe apertu-re centrali: in questo punto l’attrito della corda era maggiore pertanto era preferibile usare questo materiale più resistente e meno spigoloso del pietrame in calcare (KHM 36, 85, 147; fig. 33). In altri casi diversi elementi antichi, come vasche e basi di

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notizie scavi e lavori sul campo

fig. 31 – Pozzo (KHM 119, fotografia A. Zocchi). fig. 32 – Pozzo (KHM 99, fotografia F. Felici).

fig. 33 – Elementi antichi reimpiegati nei pozzi (KHM 36, fotografia A. Zocchi).

fig. 34 – Base di macina antica utilizzata a servizio di un pozzo (KHM 150, fotografia A. Zocchi).

macine, sono utilizzati come abbeveratoi per animali e sistemati a ridosso dei pozzi stessi (KHM 45, 99, 123, 150; fig. 34).

Nell’entroterra di Khoms sono stati inoltre documentati tre frantoi sotterranei, due situati nei pressi di case abbandonate (KHM 47, 158), un terzo – di difficile esplorazione perché completamente ricoperto da vegetazione arbustiva – all’in-terno del perimetro più esterno di un gasr, forse riutilizzando un’antica cisterna sotterranea (KHM 148). Nel caso di KHM 47 si è conservato l’accesso originario della struttura tramite un’apertura addossata alla parete 125, mentre negli altri due parte della copertura costituita dalla crosta calcarea è crollata lasciando visibile, ma al contempo distruggendo, parte del frantoio. Lo stato di conservazione specialmente in due casi risulta notevole: la macina è perfettamente conservata nel sito KHM 47 (fig. 35) ove sono visibili tutte le componenti descritte da Oberto Manetti della Missione Franchetti (cfr. par. 3.1 e fig. 19). Sono conservate oltre agli elementi in pietra quali la base, il farš e la g.ergāba che su di esso ruotava, gli elementi lignei in olivo come il palo verticale (ghelb), l’elemento infisso al centro della macina (garùr) e legato al ghelb e due manovelle (hamèd) su cui avveniva la spinta per la rotazione. Ancora ben conservato il cordame di sparto che tiene uniti gli elementi mentre ai piedi

125 Per le tipologie di accesso cfr. Franchetti 1914, p. 445 e fig. 196.

della g.ergāba risulta ancora sul posto una sciamia realizzata con sparto molto robusto. Gli elementi che costituiscono il torchio sono invece ben visibili all’interno di un altro frantoio (KHM 158) situato nella zona di Ras el-Hammam (fig. 36). In questo caso è ben visibile il bentàl di olivo e gli elementi in pietra che lo sorreggono ovvero il perno e il contrappeso. Ancora in situ sono gli sciuàmi di sparto impilati al di sotto del torchio, da cui doveva uscire la pasta di olive filtrata. Nello stesso frantoio sono poi visibili nicchie, disposte lungo i lati della camera principale, che fungono da depositi (zuarìf ) in cui erano conservate le olive prima di essere macinate 126. Negli zuarìf, tramite aperture che li mettevano in contatto con il sopraterra, venivano fatte cadere le olive senza dover scendere all’interno della masra, in questo modo i frutti potevano essere conservati all’ombra e senza subire gli sbalzi di temperatura della stagione fredda tripolitana.

Altre forme di presenza umana nel territorio, per loro stessa natura, sfuggono normalmente alla ricognizione archeologica, che soltanto in casi fortunati (per ottime condizioni di visibilità) si può riuscire a individuarle. Si fa riferimento a quei campi stagionali contraddistinti da strutture mobili e tende, che doveva-no caratterizzare il paesaggio rurale della Tripolitania medievale e ottomana (vedi par. 3.1). L’identificazione di un’area di frequen-

126 MC 1913, II, p. 212, Franchetti 1914, p. 446.

241

notizie dal bacino del mediterraneo

fig. 36 – Elementi del torchio di un frantoio sotterraneo (KHM 158, fotografia F. Felici).

fig. 35 – Macina di un frantoio sotterraneo (KHM 47, fotografia M. Munzi).

tazione probabilmente relativa ad attività pastorali stagionali (KHM 113) ha permesso di conoscere meglio questa realtà 127. Su un pianoro di 80×30 m, posto su un declivio collinare presso il wadi Chadrun, è stata infatti individuata un’area di dispersione ceramica, seppure molto debole, estesa per circa mezzo ettaro: vi si riconoscono le pietre utilizzate per fissare le tende ed è stata raccolta terraglia europea della fine del XIX secolo.

A.Z.

4. LE GUERRE DI LIBIA

Nel 1911, dichiarando guerra all’Impero Ottomano per la conquista delle sue due province africane, l’Italia iniziava una delle ultime grandi guerre coloniali. Durante il conflitto alcune sanguinose battaglie furono combattute nei dintorni della citta-dina di Khoms e nei pressi delle rovine di Lebda.

Le truppe italiane, sbarcate sotto il comando del colonnello Giovanni Maggiotto a Khoms il 21 ottobre 1911, trovarono scarsa resistenza perché gli arabo-turchi si ritirarono sulle alture del vicino colle del Mergheb. Dopo diversi scontri per rendere sicura la difesa di Khoms gli italiani decisero di conquistare l’altura dominante di Ras el-Mergheb il 27 febbraio 1912. L’attacco riuscì e durò l’intera giornata; subito furono fortificate dagli italiani le alture con il Forte Italia e le ridotte Mondovì e Genova attraverso anche la sistemazione di batterie d’artiglieria. Le truppe ottomane tentarono un contrattacco tra il 5-6 marzo, quando con 5000 uomini, secondo le stime italiane, provarono, senza successo, a riprendere l’importante posizione strategica. La reazione turca si concentrò poi a est presso le rovine di Leptis Magna, conquistata dagli italiani il 2 maggio; in questo caso gli scontri interessarono principalmente l’antico aggere dei Monticelli il 12 giugno. Il carattere di frontiera militare di questa fascia anulare intorno Khoms e Lebda tornò attuale con l’esplosione della rivolta araba nel 1914-1915, in concomitanza con la deflagrazione della Grande Guerra in Europa, e rimase poi cristallizzato fino all’inizio della riconquista della Tripolitania, all’alba degli anni venti 128.

I fortini italiani e le linee d’attacco arabo-turche nei dintorni di Khoms e di Leptis Magna erano sommariamente noti dai resoconti dell’epoca e da qualche cartografia realizzata durante i primi anni dell’occupazione. Grazie alla ricognizione sistematica di ampie porzioni di territorio avvenute negli anni tra il 2007 e il 2013 sono stati ora individuati e documentati i campi di

127 Sugli aspetti del nomadismo in Tripolitania vedi anche Stroppa 1915.128 Resoconti dettagliati sono presenti in SME 1924 e Causa 1913.

battaglia, i forti e le ridotte italiane. La scoperta di parti del munizionamento in uso negli eserciti contrapposti ha permes-so di identificare le rispettive posizioni sul campo. Sul terreno sono stati recuperati, tra l’altro, bossoli, pallottole e pacchetti-caricatore dei fucili italiani Vetterli Vitali 1870/87 e Carcano 1891, ma anche bossoli e pallottole del fucile turco Mauser M 1887. Schegge e palle di piombo per shrapnel testimoniano il diffuso uso dell’artiglieria.

Una prima presentazione dei rinvenimenti è stata recentemen-te pubblicata sulla rivista Archeologia Postmedievale, in un numero con un’ampia sezione dedicata alla Conflict Archaeology 129. La campagna di ricognizione del novembre 2013, che si è con-centrata negli immediati dintorni di Ras el-Mergheb e Ras el-Hammam, le due alture di evidente rilevanza militare poste l’una a nord-ovest di Khoms e l’altra a sud-est di Lebda, ha permesso di aumentare sensibilmente le informazioni quanto a siti coinvolti (passati da 53 a 84) e a reperti militari attestati (da 217 a 506).

F.F., M.M., A.Z.

5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In vent’anni la Libia è a dir poco cambiata, anzi sta ancora cambiando e molto velocemente negli ultimi mesi, tra quando abbiamo iniziato a stendere questo testo e ora che ne stiamo scrivendo le conclusioni. Lo stesso territorio sottoposto a in-dagine è in forte e continua trasformazione, soprattutto per la massiccia avanzata dell’edificazione nel suburbio di Khoms e nella fascia costiera, con conseguenti gravi perdite in termini

129 Munzi et al. 2013.

242

notizie scavi e lavori sul campo

Secolo II III IV V VI VII VIII-X XI-XIII XIV-XVI XVII-XIXn. 284 214 175 165 28 1 96 61 19 136% 63 47 39 36 6 0,2 21 13 4 30

tab. 5 – Numero e percentuale sul totale di insediamenti occupati e di frequentazioni attestate per secolo.

di patrimonio culturale, cui recentemente si sono aggiunte le distruzioni ideologiche di tanti monumenti di età ottomana.

In questo quadro di marcata trasformazione, anche il nostro modo di pensare e fare la ricognizione archeologica in Libia nel corso di questo ventennio si è modificato. Negli anni novanta non si disponeva ancora di GPS di precisione e sulle vecchie carte in scala 1:50.000, disegnate dall’Army Map Service dell’US Army Corps of Engineers nei primi anni Sessanta e aggiornate da un team polacco alla fine degli anni Settanta, occorreva fare il punto in maniera tradizionale, orientandosi con i pochi elementi geografici di riferimento che il paesaggio tripolitano lascia a disposizione. Nel 1996 la nostra dotazione si arricchì del GPS, la cui precisione lasciava tuttavia a desiderare. A par-tire dal 2007 i dati geografici rilevati dai GPS, divenuti con il tempo assai più precisi, sono stati riversati in un sistema GIS e gestiti in relazione a una copertura cartografica restituita da fotografie satellitari. Nel 2013 la migliorata precisione del GPS ne ha permesso l’impiego ai fini della perimetrazione dei siti sulla copertura cartografica satellitare fornita da Google Earth.

Nello stesso tempo, in linea con un approccio di ricerca fin dall’inizio proiettato sul lungo periodo (lo sviluppo del paesag-gio culturale doveva essere compreso nel suo insieme e nel suo divenire), attenzione sempre maggiore è stata prestata ai periodi post-medievali, ampliando parallelamente l’indagine a nuove aree d’interesse come quelle dell’archeologia dei conflitti e del colonia-lismo. Si è inoltre venuta sviluppando una particolare sensibilità verso la realtà, scarsamente percepibile, del nomadismo. È stato così possibile individuare campi stagionali, le cui fisionomie sono state comprese anche grazie alla descrizioni d’età coloniale, ed attività extra-sito (tra cui quelle militari). Negli anni si è infine consolidata l’attenzione verso la cultura materiale, ceramica, numismatica e altra, allo scopo di ottenere non solo parametri cronologici ma anche indicatori economici e funzionali.

La rilevante dimensione del campione indagato (107 km²) e del corpus di dati rilevati contribuisce, se non a superare, almeno a ridurre le distorsioni dovute a fattori casuali e all’inevitabile incompletezza della campionatura e della raccolta. Le variazioni quantitative nella frequentazione del territorio nel corso dei secoli, registrate dalla ricerca, possono quindi ritenersi sufficientemente indicative delle trasformazioni diacroniche del paesaggio, se non altro alla scala dei macrofenomeni insediativi ed economici.

In questo contributo per la prima volta si è tentato di rac-contare l’evoluzione del paesaggio tra l’età tardoantica e la fine dell’età ottomana, attraverso un millennio e mezzo di storia rurale tripolitana. L’analisi, riepilogata provvisoriamente nella tab. 5, ha da una parte messo in evidenza alternanze congiunturali di crescita e contrazione, dall’altra permesso di farsi un’idea dell’articolazione stessa dei sistemi insediativo-produttivi, in cui le varie gradazioni dell’agricoltura da sedentaria a stagionale e il pastoralismo si alternarono e talvolta convissero, in funzione dei diversi livelli di apertura della regione al mercato regionale e mediterraneo.

In estrema sintesi la storia, dal Tardoantico alle soglie del XX secolo, di questa parte del paesaggio tripolitano può essere riassunta come segue. Dopo la massima fioritura raggiunta nel secondo secolo dell’impero romano, quando oltre il 60% di tutti gli insediamenti documentati nei campioni sottoposti a indagine era frequentato, si assiste a un calo graduale ma tutto sommato contenuto fino alla metà del V secolo, quando ca. il 35% degli insediamenti risulta ancora frequentato. È questo il lasso di tempo in cui si venne affermando la fattoria fortificata (centenarium/gasr) in un quadro di sostanziale continuità, che vedeva la sopravvivenza di un gran numero di ville-fattorie aperte dotate di torcularia e, più in generale, la prosecuzione senza cesure del sistema agricolo anti-co, assai articolato ma incentrato sulla produzione e l’esportazione

dell’olio d’oliva. Fenomeno epocale fu quello che probabilmente già a partire dalla metà del V secolo e poi nel secolo successivo portò la percentuale degli insediamenti occupati ben al di sotto del 10% e un secolo più tardi fin quasi all’azzeramento. L’avvio della drastica contrazione presenta una evidente coincidenza cronologica con l’invasione vandalica della Tripolitania, né la riconquista bizantina pare invertire tale tendenza che nel giro di due secoli condusse alla sostanziale scomparsa del popolamento rurale sedentario. La popolazione, oltre a diminuire, dovette parallelamente riconvertirsi al nomadismo, riducendo al minimo le proprie necessità in termini di cultura materiale (divenendo archeologicamente evanescente). Il territorio leptitano tornò a popolarsi, riavvicinandosi ai livelli tardoantichi, dapprima in età aglabita-fatimita, quando particolarmente nel bacino del wadi Taraglat si ricreò un sistema agricolo-pastorale basato su villaggi fortificati e torri-granaio, poi, dopo una probabile seconda fase nomadico-pastorale associata forse all’allontanamento delle di-rettrici carovaniere, con la ripresa ottomano-caramanli, quando si formò quel paesaggio di case sparse, villaggi, marabutti, atten-damenti, descritto dai viaggiatori europei.

Questo è un racconto parziale, certamente suscettibile di aggiustamenti, soprattutto per il periodo tardomedievale, con la prosecuzione della ricerca sul campo, che l’accrescersi dell’in-stabilità e della conflittualità in Libia hanno reso necessario, per ora, rimandare.

M.M.

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SummaryRural Tripolitania in the Late Antique, Medieval and Ottoman

Periods in the light of recent archaeological excavations in the region of Leptis Magna.

Since 1995 the Archaeological Mission of University of Roma Tre has conducted surveys in the territory of Leptis Magna (Libya). To date, more than 450 sites have been surveyed in an area of about 100 Sq.Km. Based on this collection of data, an outline can be drawn as a preliminary synthesis about the Tripolitanian rural landscape from the Late-Antique to the Ottoman period. The data gathered not only make it possible to distinguish alternate phases of growth and contraction, but also to emphasize the changes in the productive and settlement system in which different modes of agriculture and sheep-farming alternated or even coexisted, due to the opening of the Tripolitanian market to the regional areas and to the Mediterranean. The survival of the ancient rural system, based on villae-farms with torcularia for olive oil production (several of these sites in the 4th and 5th century were equipped with defensive structures), went into a decline starting in the second half of the 5th century, and settlements were reduced dramatically and almost disappeared in the 7th century when most of the surviving population probably became nomadic. New agricultural and pastoralism systems developed in the Aghlabid and Fatimid periods, when fortified villages and tower-granaries were scattered over the wadi Taraglat landscape and also acted as restocking and warehouse depots for the convoys leading to Lebda. After a possible nomadic interlude, maybe due to the shift in trade routes, with the Ottoman domination a new system of villages and marabouts was born and this was the landscape found by the European travelers. Key words: Tripolitania, archaeological reconnaissance, rural settle-ments, Late Antique archaeology, Islamic archaeology.

RiassuntoÈ dal 1995 che la missione archeologica dell’Università Roma Tre

conduce ricognizioni nel territorio di Leptis Magna (Libia). Ad oggi sono stati indagati oltre 100 km² e documentati oltre 450 siti. Sulla base di tale ingente corpus documentario si traccia una sintesi preliminare sull’evoluzione del paesaggio rurale tripolitano tra le età tardoantica e ottomana. I dati raccolti permettono di rilevare non solo alternanze con-giunturali di crescita e contrazione, ma anche trasformazioni dei sistemi insediativo-produttivi, in cui varie gamme di agricoltura e pastoralismo si avvicendano e talvolta convivono, anche in funzione dell’apertura del territorio al mercato regionale e mediterraneo. La sostanziale soprav-vivenza del sistema rurale antico, incentrato su ville-fattorie dotate di torcularia per la produzione olearia, alcune delle quali tra IV e V secolo attrezzate per la difesa, entra in crisi dalla metà del V secolo, quando gli insediamenti si riducono drasticamente fin quasi a scomparire nel corso del VII secolo, lasciando immaginare la riconversione della popolazio-ne sopravvissuta al nomadismo. Un sistema agro-pastorale si riforma nei secoli aglabiti e fatimiti, quando villaggi fortificati e torri-granaio popolano il wadi Taraglat, servendo di rifornimento e stoccaggio alle carovaniere verso Lebda. Ad un possibile intervallo nomadico-pastorale, forse spiegabile con lo spostamento delle direttrici carovaniere, segue, con la conquista ottomana, la formazione di quel paesaggio di villaggi e marabutti, che apparirà ai viaggiatori europei. Parole chiave: Tripolitania, ricognizione archeologica, insediamenti rurali, archeologia tardoantica, archeologia islamica.

€ 60,00

ISSN 0390-0592ISBN 978-88-7814-616-7

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