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Cassazione penale direttore scientifico Domenico Carcano condirettore Mario D’Andria LV - febbraio 20 15 , n° 02 02 20 15 | estratto LE INDAGINI ATIPICHE A CONTENUTO TECNOLOGICO NEL PROCESSO PENALE: UNA PROPOSTA di Stefano Marcolini ISSN 1125-856X

Le indagini atipiche a contenuto tecnologico nel processo penale: una proposta

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Cassazionepenaled i r e t t o r e s c i e n t i f i c o D o m e n i c o C a r c a n o c o n d i r e t t o r e M a r i o D ’ A n d r i a L V - f e b b r a i o 2 0 1 5 , n ° 0 2

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LE INDAGINI ATIPICHE A CONTENUTOTECNOLOGICO NEL PROCESSO PENALE:UNA PROPOSTA

di Stefano Marcolini

ISSN

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A cura di Francesca Ruggieri, Lucio Camaldo, Gaetano De Amicis, Gabriella Di Paolo e Stefano Marco-lini

Il numero si apre con un’articolare riflessione sulle “indagini atipiche a contenuto tecnologico”, la cuiomessa disciplina nel nostro ordinamento dà l’occasione per una più ampia riflessione di sistema conriferimento alle suggestioni provenienti dalla giurisprudenza europea; continua con una lettura “mul-tilinguistica” del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale nella Proposta di regolamento cheistituisce la procura europea e si conclude con le ultime novità sulla struttura di questo organo.

105 LE INDAGINI ATIPICHE A CONTENUTOTECNOLOGICO NEL PROCESSO PENALE: UNA PROPOSTA

Atypical Investigations with Technical Content in CriminalProceedings: A ProposalIl lavoro, muovendo da un piano descrittivo, suggerisce una definizione di “atto investigativo acontenuto tecnologico” e si interroga sui limiti che lo svolgimento di tale attività trova o dovrebbetrovare nel processo penale, alla luce del rispetto del diritto fondamentale alla riservatezza.Muovendo dalla sentenza della Corte di giustizia UE sul data retention del 2014, si traggono delleconseguenze di sistema, sino a giungere alla formulazione di una proposta di legge che discipliniorganicamente la materia.

The work, starting from a descriptive level, suggests a definition of “investigative act of technical content” and

questions the limits that the carrying out of such activity has or should have in criminal proceedings, in the light of

the fundamental right to privacy. Reasoning on the judgment of the Court of Justice on the EU data retention of

2014, the work reaches some systemic consequences, finally suggesting a bill to organically regulate the matter.

di Stefano MarcoliniUniversità dell’Insubria

Sommario 1. Ambito e finalità del presente lavoro. — 2. Fenomenologia e classificazione delle varie“attività” a contenuto scientifico. — 3. Gli atti di investigazione atipici a contenuto tecnologico: unostatuto. — 4. I diritti fondamentali incisi dagli atti di investigazione atipici a contenuto tecnologico.In particolare, il diritto alla riservatezza ed il suo rango. — 5. La posizione tradizionale, che sostienela possibilità di svolgere liberamente attività di investigazione atipica, e la sua inaccettabilità per gliatti a contenuto tecnologico. — 6. Individuazione della sanzione per l’atto di investigazione atipicosulla base della legislazione vigente. Dall’inascoltata inutilizzabilità costituzionale ai nuovi profili dicontrarietà al diritto comunitario: la vicenda del data retention. — 7. Le conseguenze specifiche dellavicenda del data retention: contrarietà al diritto comunitario dell’art. 132 codice privacy. — 8. (Segue) Lasorte delle attività di acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico nel vuotonormativo. — 8.1. Inquadramento del problema. — 8.2. Dal diritto amministrativo al diritto proces-suale penale. — 8.3. Il trattamento dell’attività di acquisizione compiuta prima della sentenza dellaCorte di giustizia del 2014. — 8.4. Il limite del giudicato ed il suo possibile superamento. — 9. Leconseguenze generali della vicenda del data retention: contrarietà al diritto comunitario di ogniattività innominata di indagine a contenuto tecnologico. — 10. Conclusioni. Proposta di introdurreuna disciplina legislativa dell’atto di investigazione atipico a contenuto tecnologico.

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1. AMBITO E FINALITÀ DEL PRESENTE LAVOROIl presente scritto vuole porre l’accento sull’ormai preponderante importanza che le indaginiscientifiche o ad alto contenuto tecnologico hanno all’interno del processo penale (1), procederead una loro classificazione, interrogarsi sulle loro attuali possibilità di impiego e, infine, evi-denziare l’ormai improrogabile necessità di un modifica legislativa che si faccia stabilmentecarico di far convivere i preziosi esiti conoscitivi che tali investigazioni consentono di raggiun-gere con il rispetto dei diritti fondamentali dell’accusato (2).

Che il progresso scientifico abbia fatto prepotente (ed irreversibile) irruzione all’internodel processo penale è un assunto che sarà tutt’altro che arduo dimostrare.

Il reperimento di tracce biologiche, anche minime, su qualunque “scena del crimine”consente di ricavare con certezza il profilo del DNA della persona che le ha lasciate (3); latecnica della Bloodstain Pattern Analysis, c.d. BPA (in italiano, “analisi delle macchie disangue”), attraverso l’analisi della morfologia di schizzi, gocce e macchie di sangue presentisulla scena del crimine, effettuata con l’impiego integrato di diversi saperi (biologia, chimica,

(1) Precisazione che vale a circoscrivere l’ambito di trattazione del presente lavoro. Ne rimane esclusa una impor-tante zona grigia, ancora oggetto di scarsa attenzione da parte della dottrina (almeno italiana), eppure cruciale nellaprospettiva della tutela dei diritti fondamentali del cittadino, e cioè quella delle c.d. “indagini proattive” (proactiveinvestigations), contrapposte alle “indagini reattive”, con un dualismo che solo superficialmente si potrebbe sovrap-porre a quello tradizionale, noto al giurista nazionale, tra attività di polizia preventiva o di sicurezza e attività di poliziagiudiziaria. Si definiscono “proattive” le indagini volte a combattere il crimine organizzato, anche di tipo terroristico,mediante attività di intelligence che – per essere efficace – non attende di collocarsi a valle di una notizia di reato maassume valenza ante delictum. Questo tipo di indagine è stato oggetto di definizione, nonché di una serie di auspici,volti a delimitarne l’utilizzo, in una delle Risoluzioni approvate all’esito del XVIII Congresso Internazionale di DirittoPenale, tenutosi ad Istanbul il 20-27 settembre 2009 (cfr. la Risoluzione adottata dalla “Sezione III - Speciali misureprocessuali e protezione dei diritti fondamentali della persona”, parr. 9 ss., che si può leggere all’indirizzo www.pe-nal.org/?page=mainaidp&id_rubrique=24&id_article=95).

In Italia il tema porta ad interrogarsi, in particolar modo, intorno alle condizioni di legittimità delle c.d. intercetta-zioni preventive ex art. 226 disp. att. c.p.p. La versione attualmente vigente della norma si deve alla riscrittura ad operadell’art. 5 d.l. n. 374 del 2001, convertito in legge n. 438 del 2001, mentre il novero dei soggetti legittimati alla richiestaè stato esteso dall’art. 4 d.l. n. 144 del 2005, convertito in legge n. 155 del 2005 (il dato è significativo: ambedue i decretilegge citati sono volti al contrasto del terrorismo internazionale). È evidente che, in materie come queste, in cui pureil sacrificio imposto ai diritti del cittadino – segnatamente alla sua riservatezza – può essere altissimo, ci si muove su unterreno privo di casistica giurisprudenziale e a dir poco opaco ad ogni forma di controllo esterno, sia preventivo siaanche successivo.

Altra attività che si colloca in una problematica zona grigia tra prevenzione e repressione è quella del contrasto aireati in materia di libertà sessuale dei minori, di cui all’art. 14 legge n. 269 del 1998, norma da coordinare con ilsuccessivo art. 9 della legge n. 146 del 2006, che consente invece alla polizia di svolgere operazioni sotto copertura peracquisire elementi di prova in ordine ad un numero di fattispecie di reato molto più ampio. Sul necessario raccordo trale due disposizioni, cfr. RUSSO, Le “operazioni sotto copertura” e le “attività di contrasto” in materia di delitti sessualio per la tutela dei minori, in Giur. merito, 2008, p. 3346 ss. Sulle operazioni sotto copertura cfr. almeno BARROCU, Leindagini sotto copertura, Jovene, 2011, nonché, per alcune riflessioni sui rapporti con la Convenzione europea,BORTOLIN, Operazioni sotto copertura e “giusto processo”, in AA.VV., Giurisprudenza europea e processo penaleitaliano, a cura di A. Balsamo e R. Kostoris, Giappichelli, 2008, p. 395 ss.

(2) Si usa tale termine per comprendere, in senso ampio, sia la figura della persona sottoposta alle indagini, siaquella dell’imputato.

(3) Pur ovviamente con tutte le cautele, le problematiche ed i costi che la scienza e l’esperienza forensi segnalano.In tal senso si leggano, almeno, tre recenti contributi, consecutivamente apparsi sulla Rivista italiana di medicinalegale (anno 2011): FIORI, Mito, realtà e fallacie del Dna (nella pratica) forense, p. 1329 ss.; PASCALI, L’uso delDna-profiling nel procedimento penale: fatti e misfatti, p. 1339 ss.; SALARDI, Dna ad uso forense: paladino di giustiziao reo di ingiustizie?, p. 1359 ss. Cfr. anche RIVELLO, Tecniche scientifiche e processo penale, in questa rivista, 2013, p.1691 ss. (par. 4), nonché TONINI, Informazioni genetiche e processo penale ad un anno dalla legge, in Dir. pen. proc.,2010, p. 883 ss.

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matematica, fisica), consente di comprendere con alto grado di precisione le dinamiche del-l’azione criminosa (4); la termografia consente di rilevare la temperatura all’interno dellesingole abitazioni anche di condomìni molto grandi, così da orientare gli organi di polizia allaperquisizione dei soli appartamenti in cui la temperatura rilevata sia insolitamente alta, al finedi ricercare coltivazioni di marijuana, tradite dal massiccio uso di lampade per farle crescere (5);il collocamento di un ricevitore GPS sull’auto in uso all’accusato (non necessariamente all’in-terno dell’abitacolo, ma anche, ad esempio, sotto la vettura) consente di pedinarlo a distanza,evitando di mantenere un rischioso controllo a vista, e di monitorarne minuziosamente glispostamenti (6); l’intercettazione di flussi telematici o informatici in entrata e/o in uscita daidispositivi in uso all’accusato consente di seguirlo nei suoi “spostamenti”, comunicativi e non,sul web (7); l’acquisizione, presso il fornitore dei servizi di comunicazione, dei dati relativi altraffico telefonico del dispositivo mobile in uso all’accusato consente di sapere chi chiama, dachi è chiamato, a chi scrive messaggi e da chi li riceve, nonché, in tutti questi casi, a quale cellatelefonica è agganciato in quel momento (8); l’inserimento clandestino di un programma spianel computer in uso all’accusato consente di carpirne le password ed accedere a svariaticontenuti riservati, oppure di attivarne, a sua insaputa, webcam e/o microfono ed eseguire inquesto modo delle videoriprese o delle intercettazioni ambientali (9).

Si tratta di un elenco meramente esemplificativo, dal quale si è volutamente tenuto fuori ilrecente argomento, su cui pure ferve un notevole dibattito, relativo al ruolo che le neuroscienze

(4) La BPA nasce negli Stati Uniti: cfr., almeno, BEVEL e GARDNER, Bloodstain Pattern Analysis, 2ª ed., CRC Press,2002; JAMES-ECKERT, Interpretation of Bloodstain Evidence at Crime Scenes, 2a ed., CRC Press 1999. In Italia essa è statautilizzata in alcuni casi famosi, come l’infanticidio di Cogne: cfr. Sez. I, 21 maggio 2008, n. 31456, in questa rivista, 2009,p. 1840; in dottrina cfr. VICOLI, Riflessioni sulla prova scientifica: regole inferenziali, rapporti con il sapere comune,criteri di affidabilità, in Riv. it. med. leg., 2013, p. 1239 ss. (al richiamo delle note 14 e 15); FRATINI, La bloodstain patternanalysis (BPA) come fonte di prova, in AA.VV., Scienza e processo penale - Nuove frontiere e vecchi pregiudizi, a curadi C. Conti, Giuffrè, 2011, p. 281 ss.; CAPRIOLI, Scientific evidence e logiche del probabile nel processo per il “delitto diCogne”, in questa rivista, 2009, p. 1867 ss.; VENTURA, Prove penali e leggi scientifiche, in Giust. pen., 2009, III, p. 459 ss.;D’AURIA, Blood pattern analysis e ragionamento probatorio del giudice, ivi, 2006, I, p. 219 ss.

(5) È il noto caso Kyllo, giudicato dalla Corte suprema americana nel 2001 (Kyllo v. U.S., 533 U.S. 27 (2001). Nelladottrina italiana cfr. MIRAGLIA, Il IV Emendamento alla rincorsa del progresso: perquisizioni e lotta alla droga neldiritto Usa, in Dir. pen. proc., 2002, 105 ss.

(6) Anche in questo caso appare utile il riferimento ad un arresto della Corte suprema degli Stati Uniti del gennaio2012 (U.S. v. Jones, 132 S.Ct. 945 (2012), sentenza che ha avuto eco anche in Italia (cfr. FILIPPI, Il GPS è una prova“incostituzionale”? Domanda provocatoria, ma non troppo, dopo la sentenza “Jones” della Corte suprema USA, inArch. pen., 2012, 309 ss. Sulla sentenza “Jones” cfr. anche CERASE, Il GPS innanzi alla Corte Suprema degli Stati Unititra originalismo interpretativo e progresso tecnologico, in questa rivista, 2012, p. 1936 ss., nonché FANCHIOTTI, U.S. v.Jones: una soluzione tradizionalista per il futuro della privacy?, in Dir. pen. proc., 2012, p. 381 ss.). Come si vedrà(infra, par. 5), la risposta della giurisprudenza e della dottrina maggioritaria sul tema del pedinamento satellitare o viaGPS è del tutto inappagante.

(7) La norma che consente tale attività, come noto, è l’art. 266-bis c.p.p. La fissazione della summa divisio tracaptazione di comunicazioni e captazione di attività non comunicativa si deve alla sentenza della Corte costituzionalen. 135 del 2002, ed è stata poi ripresa dalla giurisprudenza ordinaria (si veda, per tutte, la pronunzia delle Sezioni unitenel caso Prisco: Sez. un., 28 marzo 2006, n. 26795, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, p. 1537 ss.).

(8) La base giuridica per siffatta attività è fornita in Italia dall’art. 132 d.lg. n. 196 del 2003 (c.d. Codice privacy). Laproblematica vigenza della norma sarà oggetto di riflessioni infra, parr. 7 ed 8.

(9) Attività particolarmente subdola su cui cfr., da ultimo, TROGU, Sorveglianza e “perquisizioni” on-line su mate-riale informatico, in AA.VV., Le indagini atipiche, a cura di Scalfati, Giappichelli, 2014, p. 431 ss.; MANCUSO, L’acqui-sizione di contenuti e-mail, ibidem, p. 77; IOVENE, Le c.d. perquisizioni online tra nuovi diritti fondamentali ed esigenzedi accertamento penale, in www.penalecontemporaneo.it, 22 luglio 2014, nonché infine, volendo, MARCOLINI, Le c.d.perquisizioni on line (o perquisizioni elettroniche), in questa rivista, 2010, p. 2855 ss.

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possono avere non solo in ambito penale sostanziale, ma anche in quello processuale, adesempio per stabilire se un testimone stia dicendo il vero o meno (10).

Sarebbe ovviamente ingenuo prestare fideistica adesione alla scienza e credere che nelprocesso penale del futuro le prove ad alto contenuto tecnologico risolveranno ogni problemadi gnoseologia giudiziaria (11); non va però nemmeno negata la forte espansione già in atto, siasotto il profilo quantitativo, sia sotto quello qualitativo, di queste nuove attività, a tutto discapitodelle prove classiche, soprattutto di quella orale, che la tradizione accusatoria vede come laprova regina ma di cui un solido e risalente filone di studio mette a nudo – pur ovviamentesenza poterla e volerla sconfessare – le intrinseche fragilità (12).

2. FENOMENOLOGIA E CLASSIFICAZIONEDELLE VARIE “ATTIVITÀ” A CONTENUTO SCIENTIFICOL’esemplificazione – dal carattere volutamente giustappositivo e, se si vuole, celebrativo deifasti della scienza (13) – delle potenzialità tecnologiche applicate al processo penale, contenutaal precedente paragrafo, deve ora essere analizzata nel dettaglio per individuare delle lineeguida classificatorie delle attività che è possibile compiere.

Si ritiene utile a tali fini ridurre i rapporti tra scienza e processo penale a due binomi:l’attività è svolta in dibattimento oppure in indagini? Essa è normata od è sfornita di disciplinalegale?

La prima, importante distinzione riguarda quindi il momento in cui l’attività viene compiu-ta.

Temporalmente, essa può collocarsi all’interno del giudizio orale, ed allora si deve parlaredi mezzi di prova assunti all’ovvio fine del loro utilizzo per la decisione in ordine alla respon-sabilità dell’accusato. Si pensi ad un esperimento giudiziale, il cui svolgimento involga speci-fiche competenze scientifiche, tanto da spingere il giudice alla designazione di un esperto (art.219, comma 1, II° periodo c.p.p.) (14). Alle prove dibattimentali vanno accostate quelle assuntein incidente probatorio, essendo quest’ultimo, come noto, “uno spezzone” di dibattimentoincluso nelle indagini, sia quanto alle modalità di assunzione della prova (art. 401, comma 5,

(10) Per tutte, si veda CORSO L., Perché le neuroscienze attirano i giuristi e cosa invece i giuristi potrebberoinsegnare ai neuro-scienziati - Qualche osservazione preliminare, in Nuove autonomie, 2012, p. 469 ss., in specie p.481-484. Spunti sono offerti anche da DI CHIARA, Il canto delle sirene - Processo penale e modernità scientifico-tecnologica: prova dichiarativa e diagnostica della verità, in Criminalia, 2007, p. 19 ss., nonché, in un’ottica maggior-mente sostanzialista da FLICK, Neuroscienze (Diritto penale), in www.rivistaaic.it/neuroscienze-diritto-penale.html,da DI GIOVINE, Chi ha paura delle neuroscienze?, in Arch. pen., 2011, p. 837 ss. e da RONCO, Sulla “prova” neuroscien-tifica, ivi, p. 855 ss.

(11) Tra le molte voci che mettono in guardia cfr., ad es., LO RUSSO, Il contributo degli esperti alla formazione delconvincimento giudiziale, in Arch. pen., 2011, p. 809 ss. (che segnala il rischio che la prova scientifica divenga il «nuovototem di un facile efficientismo giudiziario che evoca ambigui scenari inquisitori di sapore tecnocratico»: p. 818).

(12) Cfr., almeno, MAZZONI, Psicologia della testimonianza, Carocci, 2011; MAZZONI, Si può credere ad un testimone?La testimonianza e le trappole della memoria, Il Mulino, 2003; DE CATALDO NEUBURGER, Psicologia della testimonianzae prova testimoniale, Giuffrè, 1988; GULOTTA, Psicologia della testimonianza, in AA.VV., Trattato di psicologiagiudiziaria nel sistema penale, a cura di G. Gulotta, Giuffrè, 1987, p. 494 ss.

(13) Ma che, si spera, nel lettore più avveduto susciterà anche, da subito, delle note di preoccupazione per lapervasività che certe forme di controllo hanno e per la correlativa, forte compressione del diritto alla riservatezza cheesse comportano.

(14) A giudicare dai repertori, l’istituto dell’esperimento giudiziale è a dir poco astenico. Un esperimento giudizialeera stato compiuto nel processo per l’omicidio della studentessa Marta Russo, del quale erano imputati GiovanniScattone e Salvatore Ferraro (cfr. Sez. I, 6 dicembre 2001, n. 2743, in DeJure on line).

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c.p.p.), sia quanto al regime di utilizzabilità (art. 403 c.p.p.): si consideri il medesimo esperi-mento di cui sopra, riguardante una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto amodificazione non evitabile (art. 392, comma 1, lett. f) c.p.p.). Si tratta di ipotesi in cui, inde-fettibilmente, i mezzi di prova vengono assunti nel contraddittorio e l’imputato (od almeno ilsuo difensore) ne è pienamente consapevole.

L’attività può invece essere compiuta prima del giudizio orale, ancora all’interno delleindagini. Qui i fattori che vengono in considerazione sono due. Una prima divisio viene adessere tra atti dei quali l’indagato è a conoscenza ed atti svolti a sua insaputa. Esempio delprimo caso è il prelievo coattivo di un campione biologico dall’indagato medesimo (art. 359-bisc.p.p.); esempio del secondo tipo è l’intercettazione di comunicazioni informatiche o telema-tiche (art. 266-bis c.p.p.), la cui fruttuosità presuppone all’evidenza che l’interessato ne siaall’oscuro. Il secondo fattore è quello della natura ripetibile o meno dell’attività compiuta: soloqualora possa dirsi irripetibile – in via originaria (art. 431, comma 1, lett. b) e c) c.p.p.) osopravvenuta (art. 512 c.p.p.) – l’atto filtrerà nel fascicolo per il dibattimento. Le intercettazionirappresentano la classica ipotesi di irripetibilità originaria; il prelievo ex art. 359-bis c.p.p.potrebbe invece rappresentare un caso di irripetibilità sopravvenuta, qualora l’imputato sirifiutasse in dibattimento di sottoporsi alla perizia ex art. 224-bis c.p.p.

La seconda, capitale distinzione è se l’attività di cui si discute sia disciplinata dalla leggeoppure no.

Se essa è disciplinata, il bilanciamento – sotteso ad ogni mezzo di prova – tra idoneitàaccertativa e rispetto dei diritti della difesa e di terze persone è già stato compiuto dal legisla-tore e filtrato nelle condizioni di ammissibilità e nelle modalità acquisitive descritte dallenorme (15). La perizia (artt. 220 ss. c.p.p.) ne è un esempio dibattimentale; il sequestro di datiinformatici (art. 254-bis c.p.p.) in indagini.

Può essere invece che l’attività che si intende compiere non trovi una disciplina legislativaespressa e sia quindi qualificabile come atipica.

Se ci si trova in dibattimento, soccorre l’art. 189 c.p.p., che demanda al giudice, nel con-traddittorio tra le parti, il compito (normalmente spettante al legislatore) di individuare lemodalità acquisitive della prova atipica che ne garantiscano l’idoneità accertativa nel rispettodei diritti della persona. È questo il noto tema della prova scientifica, su cui sia la dottrina sia lagiurisprudenza si sono lungamente intrattenute e che qui non interessa ripercorrere (16). Siasolo consentito osservare che non è un compito banale stabilire se ci si trovi di fronte ad unaprova tipica oppure atipica. Proprio il caso della BPA, il cui espletamento poggia sull’integra-zione di più saperi scientifici, ha portato la giurisprudenza italiana a chiedersi se essa rientri

(15) È ovviamente sempre possibile verificare se il bilanciamento operato dal legislatore sia ragionevole. Ciò, sivedrà, deve oggi essere fatto – con esiti radicalmente negativi – con riguardo all’art. 132 Codice privacy (cfr. infra, par.7).

(16) Poiché la bibliografia sul tema è sterminata, sia consentito rinviare unicamente ai più recenti contributi, ancheper gli ulteriori rinvii ed approfondimenti: RIVELLO, La prova scientifica, Giuffrè, 2014; DI SALVO, Prova scientifica (ingenerale), Prova scientifica (aspetti applicativi) e Prova scientifica (garanzie partecipative), in AA.VV., Digesto delprocesso penale on line, diretto da A. Scalfati, Giappichelli, 2012; FANUELE, Prova genetica, ivi; ESPOSITO, Provascientifica [aggiornamento-2009], in Dig. d. pen., t. II, Utet, 2009, p. 1230; DOMINIONI, Prova scientifica (dirittoprocessuale penale), in Enc. dir., Annali, vol. II, t. I, Giuffrè, 2008, p. 976 ss.

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nel mezzo tipico della perizia (al limite complessa) oppure debba essere catalogata comeatipica (17).

Qualora, invece, ci si trovi in indagini, manca – ed è questa una delle aporie che porta allaproposta che si avanza alla fine del presente lavoro (18) – una norma omologa all’art. 189 c.p.p.Come esempio di attività atipica collocata nella fase delle indagini, si consideri il pedinamento:quello tradizionale, in gergo noto anche come “OCP” (acronimo di “osservazione, controllo,pedinamento”), e quello, già citato, reso appunto possibile dalle nuove tecnologie, mediantecollocazione di un rilevatore GPS su oggetti nella disponibilità del soggetto da pedinare (soli-tamente, il suo veicolo) e monitoraggio satellitare dei suoi spostamenti.

L’individuazione del discrimine tra attività tipica ed attività atipica pone problemi non solodi tipo definitorio-sincronico (19), ma anche in prospettiva diacronica. Si consideri la tormen-tata vicenda delle indagini mediante prelievo coattivo di campione dall’accusato o da terzepersone: quasi si fosse di fronte ad un fenomeno di carsismo normativo, subito dopo l’entratain vigore del nuovo codice di rito, esse si ritenevano possibili (e quindi “tipiche”) all’ombradell’art. 224, comma 2, c.p.p.; intervenuta la C. cost., con sentenza n. 238 del 1996, a censurarel’indeterminatezza della norma, per tredici anni sono entrate in un periodo di latenza (di“atipicità”, in cui a rigore dovevano ritenersi vietate) (20), per riemergere e diventare nuova-mente tipiche, per effetto della legge n. 85 del 2009 che, mediante inserimento di due norme neltessuto codicistico (artt. 224-bis e 359-bis c.p.p.), ha finalmente inteso determinare con preci-sione casi e modi del prelievo coattivo.

La vicenda, solo brevemente riportata, dimostra che la stessa norma, che fornisce la basegiuridica per lo svolgimento di una certa attività investigativa, può essere sindacata: in certi casila tipicità può rivelarsi solo apparente e la legge può non soddisfare, sotto il profilo per così direqualitativo, i requisiti di tassatività e di chiarezza. Un abisso, in tal senso, separa l’art. 224,comma 2, c.p.p., quale pretesa base giuridica per disporre un prelievo coattivo, a ragionedichiarato incostituzionale, dagli attuali artt. 224-bis e 359-bis c.p.p., che prevedono con moltomaggior dettaglio i casi e le modalità per effettuare il detto prelievo.

(17) La Corte di cassazione, nel caso dell’infanticidio di Cogne, ha aderito alla prima tesi (riconducibilità allaperizia): cfr. SAVIO, Il processo di Cogne. Un esempio di approccio alla prova scientifica nel processo italiano, inAA.VV., Scienza e processo penale: linee guida per l’acquisizione della prova scientifica, a cura di L. De CataldoNeuburger, Cedam, 2010, p. 347-349.

(18) Cfr. infra, par. 10.(19) Nell’esempio fatto poco sopra nel testo, il valutare hic et nunc se la BPA sia una prova tipica, nella specie una

perizia, oppure una prova atipica.(20) L’intollerabile lentezza con cui il legislatore è intervenuto a sanare gli effetti della pronunzia costituzionale del

1996 ha favorito il consolidarsi di prassi inaccettabili: non potendosi procedere al prelievo coattivo, ma non potendosial tempo stesso rinunciare al contributo probatorio, non era raro che le forze di polizia usassero metodi clandestini perprocurarsi il materiale genetico necessario (la saliva da una sigaretta apparentemente offerta nel corso di un colloquio,etc.). La giurisprudenza ha sistematicamente avallato simili prassi. Prima del 2009 l’assunto era criticabile ma com-prensibile, nel vuoto normativo (cfr. Sez. I, 14 febbraio 2002, n. 11886, in questa rivista, 2003, p. 1966, nonché in Giur.it., 2003, c. 534, con nota di CESARI, sia pure con la precisazione che l’accertamento successivo alla raccolta del campionedoveva essere svolto nelle forme dell’art. 360 c.p.p.); dopo l’entrata in vigore della legge n. 85 del 2009, invece, l’assuntodeve essere fortemente criticato, perché occorre ritenere che gli unici casi e modi di prelievo legittimo del campionesiano quelli previsti dalle norme, ed ogni altro espediente si ponga fuori da quei casi e modi e sia pertanto inutilizzabile(ed invece, anche di recente, cfr. Sez. I, 20 novembre 2013, n. 48907, Costantino, in C.E.D. Cass., n. 258269, che ritienelegittima la prassi, in una fattispecie di convocazione di un detenuto presso l’ufficio del Comandante degli agentipenitenziari della Casa circondariale e successivo recupero del mozzicone di sigaretta lasciato sul posacenere dellascrivania).

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Un altro esempio, in cui il legislatore nazionale è intervenuto in modo assai discutibile, èdato dalla ratifica della Convenzione sulla criminalità informatica, elaborata in seno al Consi-glio d’Europa, aperta alla firma a Budapest il 23 novembre 2001 ed entrata in vigore il 1° luglio2004 (di seguito, Convenzione di Budapest) (21). Nella sezione II, dedicata al “diritto procedu-rale”, la Convenzione fa obbligo agli Stati sottoscrittori – e l’Italia è fra questi – di prevedere,nelle rispettive legislazioni interne, una serie di specifiche modalità di ricerca ed acquisizionedella prova: «conservazione rapida di dati informatici immagazzinati» (art. 16), «conservazionee divulgazione rapide di dati relativi al traffico» (art. 17), «ingiunzione di produrre» (art. 18),«perquisizione e sequestro di dati informatici immagazzinati» (art. 19), «raccolta in tempo realedi dati sul traffico» (art. 20), «intercettazione di dati relativi al contenuto» (art. 21). Lo Statoitaliano ha ratificato la Convenzione e introdotto le modifiche da questa imposte con la nota l.18 marzo 2008, n. 48, non creando nessun nuovo mezzo di ricerca della prova ma limitandosi,con una operazione di cinico pragmatismo che desta più di una perplessità, ad estendere,laddove serviva, all’oggetto informatico i tradizionali mezzi di ricerca già esistenti (ispezioni,perquisizioni e sequestri) (22). Se per taluni atti ciò si giustifica in ragione della effettiva pree-sistenza di una compiuta disciplina di diritto interno (23), la tecnica legislativa ha lasciatocompletamente al margine altre situazioni, come la “raccolta in tempo reale di dati sul traffico”,di cui all’art. 20 della Convenzione di Budapest, che non appare riconducibile ad alcun mezzodi ricerca tipico, ma al più accostabile al già cennato pedinamento satellitare. Tale modalitàinvestigativa, pertanto, benché “tipica” sul versante internazionale, perché descritta dallaConvenzione, resta “atipica”, sul versante interno, perché non prevista da nessuna norma, nonpotendosi certo valorizzare in tal senso la generica locuzione di piena ed intera esecuzione dataalla Convenzione, contenuta all’art. 2 della legge n. 48 del 2008 (24).

Incrociando e riassumendo ora i due piani di ricerca, con i relativi sotto-piani individuati, sihanno:

1) le attività svolte in dibattimento sulla base di una disciplina positiva espressa, vale a direi singoli mezzi di prova tipici;

2) le attività dibattimentali atipiche, svolte in forza dell’art. 189 c.p.p. (mezzi di prova atipici;prova scientifica strettamente intesa);

(21) Per il testo della Convenzione e lo stato di firme e ratifiche, si consulti il sito ufficiale del Consiglio d’Europa:http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?CL=ITA&NT=185.

(22) Sulla legge n. 48 del 2008 e sui suoi problematici contenuti cfr. AA.VV., Cybercrime, responsabilità degli enti,prova digitale - Commento alla l. 18 marzo 2008 n. 48, a cura di Corasaniti, Cedam, 2009; AA.VV., Sistema penale ecriminalità informatica - Profili sostanziali e processuali nella legge attuativa della Convenzione di Budapest sulcybercrime (l. 18 marzo 2008 n. 48), a cura di Luparia, Giuffrè, 2009; AA.VV., Ratifica ed esecuzione della Conven-zione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme diadeguamento dell’ordinamento interno (l. 18 marzo 2008 n. 49), in Leg. pen., 2008, p. 251 ss.; AA.VV., Ratifica edesecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre2001, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno (commento alla l. 18 marzo 2008 n. 48), in Guida dir., 2008,fasc. 16, p. 14 ss.

(23) Ad esempio, le «intercettazioni di dati relativi al contenuto», di cui all’art. 21 della Convenzione di Budapestsono già possibili, in Italia, in forza dell’art. 266-bis c.p.p.

(24) Data tale sfasatura tra piano internazionale e piano interno, la “raccolta in tempo reale di dati sul traffico” èpossibile o no nell’ordinamento italiano? Come per ogni altro atto di investigazione atipico a contenuto tecnologico siprenderà posizione sul punto al successivo par. 9.

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3) le attività svolte in indagini sulla base di una disciplina positiva espressa (ad esempio,l’art. 359-bis c.p.p.);

4) le attività svolte in indagini e sfornite di disciplina legale, cioè gli atti di investigazioneschiettamente atipici.

Senza voler nulla togliere alle questioni che si agitano per gli altri fenomeni, che però oconoscono una disciplina legale (punti 1 e 3) o sono già state da tempo oggetto di riflessione(punto 2), si ritiene che il vero nodo problematico, con i maggiori disorientamenti in giurispru-denza come in dottrina e con inaccettabile lesione dei diritti fondamentali dell’accusato, siaoggi costituito dagli atti descritti al punto 4.

3. GLI ATTI DI INVESTIGAZIONE ATIPICIA CONTENUTO TECNOLOGICO: UNO STATUTOIl presente lavoro intende concentrare l’attenzione sugli atti riconducibili al punto 4 del pre-cedente paragrafo. Poiché contraddistinti da una caratteristica “in negativo”, quella di nonessere normati, occorre prima descriverne meglio le caratteristiche positive, per profilarne unasorta di statuto definitorio.

Innanzitutto, gli atti di indagine qui in esame si contraddistinguono per il loro caratteretecnologico/scientifico. Tornando su una esemplificazione già fatta, che qui si ritiene utilerichiamare per la sua efficacia, il discorso non si incentra certo sul pedinamento tradizionale,effettuato dalla polizia giudiziaria mediante le tecniche dell’osservazione visiva a distanza, contutti i costi legati all’organizzazione materiale dell’attività (25) e con i ben noti rischi connessi allaperdita di contatto visivo con il soggetto pedinato. L’atto su cui si vuole richiamare l’attenzioneè il pedinamento effettuato mediante impiego della tecnologia GPS che, una volta collocato unripetitore ad esempio sulla vettura dell’indagato, consente di monitorarne in modo preciso tuttigli spostamenti, comodamente da un ufficio e senza dover impiegare ulteriori risorse umane omateriali. Si noti che lo stesso pedinamento tradizionale può essere ridisegnato ed integrarsicon quello satellitare, con reciproco giovamento ed incremento dell’efficacia complessivadell’azione investigativa: gli operanti possono seguire il soggetto tenendosi fuori dal suo campovisivo, in modo da azzerare il rischio di essere scoperti, ed avvicinarsi solo qualora le circo-stanze richiedano un più stretto contatto (ad es., perché il soggetto parcheggia la vettura su cuiè installato il ripetitore GPS e prosegue a piedi).

Volendo procedere ad una definizione di massima, che ne riprende una in uso nell’ordi-namento nordamericano (anche se da taluni ivi criticata), gli atti che qui interessano non sonoquelli che, attraverso l’uso della tecnologia, si limitano a potenziare le ordinarie capacitàpercettive degli operanti (sense-enhancing technologies), bensì quelli che attribuiscono lorofacoltà estranee alla dimensione umana (sense-replacing technologies) (26).

Nell’esempio che si porta innanzi, l’utilizzo di un binocolo rientra nella prima categoria e,pertanto, non muta la natura tradizionale di un pedinamento che ne faccia uso; viceversa, ilpedinamento subisce il decisivo upgrade alla seconda categoria laddove si serva della geolo-calizzazione satellitare connessa all’impiego del GPS.

(25) Ad es., predisposizione di più gruppi di pedinamento per non insospettire il soggetto.(26) Cfr. DI PAOLO, “Tecnologie del controllo” e prova penale. L’esperienza statunitense e spunti per la compara-

zione, Cedam, 2008, p. 18 (ed alla nota 56).

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Alla categoria delle sense-replacing technologies vanno poi equiparati quei processi diraccolta di dati, informazioni od immagini in forma totalmente automatizzata, senza cioè chedietro vi sia l’operare di alcun essere umano.

Secondo la proposta categorizzazione, e volendo passare in rassegna alcune delle ipotesipiù frequenti, rientrano nell’ambito di interesse del presente lavoro (a prescindere, per ilmomento, dal loro carattere tipico o atipico): tutte le tecnologie informatiche connesse all’uti-lizzo di calcolatori, di sistemi, di software, di internet; l’intercettazione di conversazioni, ancheambientali; la raccolta, l’impiego, l’estrazione di informazioni da banche dati; la videosorve-glianza, anche di luoghi pubblici (27).

Il carattere tecnologico, necessario, non è però sufficiente. Gli atti in questione si contrad-distinguono per le loro finalità probatorie: debbono servire quantomeno a fornire informazioniutili alla conduzione o prosecuzione delle indagini, con valutazione ex ante (28). Si tratta di unostandard minimo, perché l’attitudine probatoria può spingersi molto più in avanti: come sivedrà, alcuni tipi di atto, contraddistinti da irripetibilità originaria e carattere occulto (i.e. losvolgersi all’insaputa dell’interessato), si candidano ad un pieno utilizzo in dibattimento, esat-tamente come le intercettazioni di conversazioni. Va sin d’ora osservato che la possibilità dicompiere questi atti di indagine atipici a contenuto tecnologico sta comportando un sensibile –e preoccupante, in assenza di una correlativa riflessione sulle garanzie – slittamento delbaricentro del processo dal dibattimento alle indagini: il loro impiego consente sin da subito diappurare fatti e responsabilità, fondare misure cautelari e, considerata la possibilità di utilizzodibattimentale, sovente spingere l’accusato ad accedere a riti alternativi.

Il terzo aspetto, che si aggiunge al carattere tecnologico ed alla finalità probatoria, è quellodella incisione di un diritto fondamentale della persona. L’acquisizione di elementi di interesseprobatorio non può avvenire se non, allo stesso tempo, comportando l’intrusione nella sfera dilibertà propria dell’accusato, di una terza persona o di ambedue (29).

Finalità probatoria ed incisione di un diritto fondamentale, come rovesci della stessa me-daglia, consentono di recuperare ed attribuire agli atti di investigazione atipici a contenutotecnologico la qualifica, elaborata nell’esperienza processuale tedesca ed importata dalla dot-trina in Italia, degli atti a duplice funzione (30).

(27) Su quest’ultimo punto, taluno potrebbe obiettare che ciò che avviene in luogo pubblico può essere oggetto divisione o di registrazione “manuale” (non automatizzata) anche da parte di un essere umano. Non è però questa lacaptazione cui si allude nel testo, bensì quella volta ad un monitoraggio completo, attraverso la registrazione costanteed indiscriminata di tutto ciò che avviene ad opera della macchina, senza mediazione del fattore umano (che puòtrovarsi in una ipotetica sala controllo, a visionare in diretta quanto ripreso dalle telecamere, ma anche intervenire expost, in base ad una specifica necessità, per controllare le immagini relative ad un certo luogo ed una certa ora).

(28) Questo perché in concreto ben può essere che l’attività investigativa (il pedinamento satellitare, l’intercetta-zione) non porti a nessun apprezzabile risultato probatorio.

(29) Per una evenienza di quest’ultimo tipo, tutt’altro che infrequente, si pensi alla captazione di dati comunicativitra l’accusato ed appunto una persona del tutto estranea al procedimento.

(30) Cfr. RUGGIERI, La giurisdizione di garanzia nelle indagini preliminari, Giuffrè, 1996, p. 38 ss. La nozione di “attoa duplice funzione” viene ripresa ed impiegata nella proposta di legge allegata alla fine del presente lavoro.

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4. I DIRITTI FONDAMENTALI INCISI DAGLI ATTIDI INVESTIGAZIONE ATIPICI A CONTENUTO TECNOLOGICO.IN PARTICOLARE, IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZAED IL SUO RANGOEsorbitante, rispetto alle finalità del presente lavoro, sarebbe interrogarsi sulla definizione dei“diritti e libertà fondamentali” e sul carattere chiuso od aperto di una loro elencazione (31). Quici si può pragmaticamente limitare a prendere atto che nel processo penale ad essere incisesono, indefettibilmente, alcune ben precise libertà: quella personale (art. 13 Cost.), quelladomiciliare (art. 14 Cost.), la segretezza delle comunicazioni (art. 15 Cost.), nonché la riserva-tezza della vita privata.

Sulle prime tre libertà non vi sono particolari osservazioni da svolgere, se non che esse, inconformità alla loro tradizionale matrice liberale-ottocentesca, sono tutelate dalle intrusioni daparte dei poteri statuali nella forma più intensa che l’ordinamento italiano conosce, cioèmediante la c.d. doppia riserva: di legge e di atto motivato dell’autorità giudiziaria. La riserva-tezza della vita privata merita, invece, delle riflessioni maggiormente approfondite.

Sino a pochi anni fa sarebbe stato necessario prendere posizione intorno alla vexataquaestio del rango del diritto alla riservatezza, in particolare se esso potesse essere ricondottoall’art. 2 Cost. e se questa norma fosse in grado di fungere da adattatore permanente dell’or-dinamento all’emersione di nuove posizioni meritevoli di tutela. Ciò non è oggi più necessarioperché alla soluzione al problema si perviene attraverso nuovi, dirompenti percorsi.

Per effetto della giurisprudenza costituzionale che, a partire dalle c.d. sentenze gemelle del2007, ha attribuito in forza dell’art. 117 Cost. alla Convenzione per la salvaguardia dei dirittidell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito, CEDU) un rango interposto all’interno delsistema delle fonti italiano, al di sotto della Costituzione ma al di sopra della legge ordinaria (32),non vi è più dubbio che il diritto al rispetto della riservatezza trovi attualmente un chiaroriconoscimento nell’ordinamento interno in forza dell’art. 8 CEDU, norma che impone cheogni interferenza nella vita privata debba essere prevista dalla legge e debba – osservazionedella massima importanza, come si vedrà valorizzata anche dal diritto comunitario – rispettareil principio di proporzionalità (33). In tal modo il diritto alla riservatezza si vede riconoscere unaforza che, se non è pienamente equiparabile a quella degli altri diritti fondamentali richiamati

(31) Alcune suggestioni sono contenute in CARDONE, Diritti fondamentali (tutela multilivello dei), in Enc. dir.,Annali, vol. IV, Giuffrè, 2011, p. 335 ss.

(32) Dal 2007 le pronunce della Corte costituzionale in tema di rapporti tra ordinamento interno e CEDU sono statemolte e non è possibile enumerarle tutte. Per alcune considerazioni sul versante delle fonti, cfr. RUGGERI, Cedu, diritto«eurounitario» e diritto interno: alla ricerca del «sistema dei sistemi», in Giust. pen., 2014, I, p. 1 ss.; NEGRI C., La Cedunell’ordinamento italiano: rapporti tra fonti e tra giurisdizioni, Editoriale scientifica, 2013; PUSTORINO, Corte costitu-zionale, Cedu e controlimiti (Nota a Corte cost., 28 novembre 2012, n. 264, Inps c. Lorenzon), in Giur. it., 2013, p. 770;FAGA, Ancora sul rapporto tra diritto interno e Cedu: una «contaminazione virtuosa» delle due prospettive (Nota aCorte cost., 4 dicembre 2009, n. 317, F.V.), ivi, 2010, p. 1780; CONTI, Corte costituzionale e Cedu: qualcosa di nuovoall’orizzonte? (Nota a Corte cost., 26 novembre 2009, n. 311, N.P.), in Corr. giur., 2010, p. 624; CARTABIA, Le sentenze«gemelle»: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. cost., 2007, p. 3564; PETRI, Il valore e la posizione delle normeCedu nell’ordinamento interno (Nota a Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348, R.A. e Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349,Com. Avellino c. E.P.), in questa rivista, 2008, p. 2296 ss.

(33) Tale deve intendersi il riferimento al fatto che l’ingerenza nella vita privata del cittadino deve costituire «unamisura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per ilbenessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della saluteo della morale, o per la protezioni dei diritti e delle libertà altrui» (art. 8, par. 2, CEDU).

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in precedenza (che hanno pieno rango costituzionale), è comunque certamente superiore allalegislazione ordinaria.

L’ulteriore riconoscimento del diritto alla riservatezza si deve al circuito comunitario. Dopol’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, infatti, la Carta dei dirittifondamentali dell’Unione europea risulta avere la medesima forza giuridica dei Trattati isti-tutivi (così l’art. 6, par. 1 del Trattato sull’Unione europea, di seguito TUE). Secondo l’art. 8della Carta, «ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che loriguardano» (par. 1), tali «dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalitàdeterminate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimoprevisto dalla legge» (par. 2) ed infine «il rispetto di tali regole è soggetto al controllo diun’autorità indipendente» (par. 3).

In più di una occasione le norme della Carta sono state dichiarate di diretta applicabilità (34).Al tempo stesso, va riconosciuto che i precetti della Carta si possono applicare solamente allematerie che risultino già di diritto comunitario, perché la Carta non può certo avere l’effetto diampliare le competenze dell’Unione (35). Ma la tutela dei dati personali è materia da lungotempo comunitaria, in un contesto in cui i primi interventi risalgono agli anni ’90 dello scorsosecolo (36). Non vi è quindi alcun bisogno di ricorrere ad un’ulteriore osservazione, che potreb-be presentare caratteri di problematicità (37), secondo cui è la stessa materia processualepenale a risultare comunitarizzata, per effetto dell’art. 82, par. 2 del Trattato sul funzionamentodell’Unione europea (di seguito TFUE), entrato in vigore nel 2009. La norma, con la finalità di«facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la coope-razione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale», abilitail legislatore comunitario a stabilire «norme minime», relative tra l’altro ai «diritti della personanella procedura penale». Su tale base giuridica sono state già emanate non poche direttive, edaltre lo saranno presto (38).

Che anche il diritto alla riservatezza, al pari dei diritti di libertà di matrice liberale ottocen-

(34) Per due esempi su tutti, cfr. C. giust. UE, 11 settembre 2014, C-112/13 A c. B. (i nominativi delle parti sono statianonimizzati), in specie la prima questione pregiudiziale, nonché 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 (KaminoInternational Logistics BV) e C-130/13 (Datema Hellmann Worldwide Logistics BV), specialmente parr. 28-31.

(35) Così, espressamente, l’art. 51, par. 2 della Carta stessa.(36) Si vedano la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela

delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (inGUCE, L 281 del 23 novembre 1995), nonché la direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15dicembre 1997, sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni (inGUCE, L 24 del 30 gennaio 1998), poi sostituita dalla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazionielettroniche (in GUCE, L 201 del 31 luglio 2002). Che la materia sia comunitarizzata è confermato oggi dall’art. 16 delTrattato sul funzionamento dell’Unione europea, che recepisce il testo del precedente art. 286 Trattato CE.

(37) Per le ragioni di cui alla seguente nota.(38) Tra quelle emanate, si vedano almeno: la direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20

ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali; la direttiva 2011/99/UE delParlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, sull’ordine di protezione europeo; la direttiva 2012/13/UEdel Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali; ladirettiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime inmateria di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI; ladirettiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di undifensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto diinformare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà

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tesca, sia oggi innegabilmente protetto da una riserva di legge (39) – rinforzata inoltre dal vincolodi proporzionalità che, come si vedrà, pone pressanti vincoli al legislatore ordinario – è unaconclusione di notevole importanza ai fini del presente lavoro: gli atti a contenuto tecnologico,come in precedenza individuati, hanno il denominatore comune di comportare una pesanteintrusione nella vita privata del soggetto che colpiscono. Per effetto della definizione voluta-mente assai lata di “dato personale” e di suo “trattamento”, fornita sia dal diritto comunitario siada quello nazionale (40), si può davvero dire che non vi sia atto fra quelli in esame che noninterferisca con il diritto alla riservatezza.

La copia clandestina del contenuto del PC dell’indagato non si risolve in altro che nell’ap-prensione di una colossale quantità di dati personali; l’intercettazione di flussi informatici,costituenti conversazioni, rientra addirittura sotto l’egida dell’art. 15 Cost.; la raccolta di uncampione biologico consente di reperire dati qualificabili persino come sensibili; e così via.

Anche le attività che potrebbero essere in apparenza più neutre hanno comunque a chefare con dati personali. Si prenda quello che si è definito pedinamento mediante GPS, checonsiste nel collocare un trasmettitore su un oggetto nella disponibilità dell’indagato perconoscerne gli spostamenti; e si compia un parallelo – per nulla casuale (41) – con l’acquisizionedei dati esterni del traffico telefonico, attività per la quale non si dubita essersi in presenza diun “trattamento” avente ad oggetto “dati personali”: sovente anche tale seconda attività diindagine viene compiuta per sapere se l’utenza in uso ad un soggetto si trovava o meno in unacerta zona in un certo momento.

personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari; la direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e delConsiglio, del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo di indagine penale; la direttiva 2014/42/UE del Parlamentoeuropeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventida reato nell’Unione europea.

L’argomento potrebbe non essere scontato – rispetto a quello del carattere pacificamente comunitario della tuteladei dati personali – perché potrebbe sostenersi che la procedura penale da ritenersi comunitarizzata sia solo quella«nelle materie penali aventi dimensione transnazionale» (art. 82, par. 2, TFUE), e non la generalità dei procedimentipenali.

Sarebbe però un argomento fallace. Vi sono indubbiamente dei casi in cui il carattere transnazionale è innegabile:l’ordine europeo di indagine o il congelamento di beni prevedono necessariamente che l’autorità emittente e quella diesecuzione appartengano a Stati membri diversi. Ma in altri casi – quelli più significativi – le direttive attribuisconodiritti all’accusato od alla vittima, senza differenziare in alcun modo i procedimenti a contenuto transnazionale daiprocedimenti meramente nazionali: differenziazione che mancherebbe di ogni base definitoria e che sarebbe com-plicata da calare nella concreta prassi. Quando, ad es., la direttiva 2012/13/UE stabilisce dei diritti informativi in capoall’accusato, lo fa in totale generalità, senza distinzioni; e lo stesso dicasi per la direttiva 2012/29/UE con riguardo allaposizione della vittima.

(39) Per gli altri diritti tradizionali (libertà personale, domicilio, riservatezza delle comunicazioni), oltre alla riservadi legge, la Costituzione pone, agli artt. 13-15, anche quella di atto motivato dell’autorità giudiziaria. Per la riservatezza,occorre al momento accontentarsi, ai sensi dell’art. 8, par. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,dell’esigenza di prevedere il “controllo di un’autorità indipendente” (esigenza ribadita dalla sentenza della Corte di digiustizia dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12: cfr. infra, par. 6).

(40) Per il diritto comunitario, cfr. l’art. 2 della direttiva 95/46/CE; per il diritto interno, cfr. l’art. 4 d.lg. n. 196 del2003.

(41) Perché la materia dell’acquisizione dei dati esterni del traffico è stata oggetto della recente sentenza della Cortedi giustizia dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12, che sarà esaminata nel prosieguo del presentelavoro (cfr. infra, parr. 6-8). Per delle ulteriori considerazioni sul pedinamento mediante GPS, alla luce degli esiti ditale sentenza, cfr. anche infra, par. 9.

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5. LA POSIZIONE TRADIZIONALE, CHE SOSTIENELA POSSIBILITÀ DI SVOLGERE LIBERAMENTE ATTIVITÀDI INVESTIGAZIONE ATIPICA, E LA SUA INACCETTABILITÀPER GLI ATTI A CONTENUTO TECNOLOGICOLa risposta tradizionale alla domanda se sia possibile svolgere attività di investigazione atipicaè duplice.

Innanzitutto, dalla lettura della Relazione al Progetto preliminare del c.p.p., si apprendeche nel disegno del codice attualmente vigente varrebbero per la fase investigativa i principi diinformalità ed atipicità, che consentirebbero senz’altro il compimento di atti investigativiinnominati. La Relazione lo afferma con riguardo sia agli atti di polizia giudiziaria sia a quellidel p.m., fondando tale assunto sulla necessità di venire incontro alle esigenze di agilità efluidità proprie delle indagini preliminari (42).

Simile assunto era senz’altro pensato per gli atti endoprocedimentali, gli atti cioè mera-mente funzionali ad orientare l’attività degli organi pubblici all’interno di una fase, quellainvestigativa, che – secondo una felice espressione – non doveva contare e pesare (43), maservire solamente al p.m. per determinarsi in ordine all’esercizio o meno dell’azione; ed entrotali angusti ed originari limiti esso può senz’altro ritenersi ancora valido (44).

Viceversa, esso non può minimamente reggere se lo si applica agli atti di cui qui si discute,contraddistinti come si è visto dal contenuto tecnologico, dall’attitudine probatoria e dall’inge-renza quantomeno nel diritto fondamentale alla riservatezza.

A voler ritenere diversamente, infatti, con riguardo all’ultimo dei tre aspetti caratterizzantigli atti de quibus, un diritto sancito come fondamentale ed inviolabile dalla Costituzione, dallaConvenzione europea e dal diritto comunitario potrebbe subire una drammatica lesione:

– non solo ad opera di un giudice, ma anche da parte del pubblico ministero e financo dellapolizia;

– per qualsiasi ipotesi di reato per cui si proceda;– per un lasso di tempo e con una intensità non predeterminate ma abbandonate alla totale

discrezione dell’organo procedente.La violazione della riserva di legge, che dovrebbe stabilire i casi ed i modi di legittima

limitazione di quel diritto fondamentale, non potrebbe essere più flagrante.Se ciò non fosse abbastanza, con riguardo al secondo degli aspetti caratterizzanti gli atti in

esame si consentirebbe, nelle condizioni appena elencate, al pubblico ministero e/o alla poliziadi precostituire unilateralmente, spesso all’insaputa dell’interessato, materiale dalla spiccataattitudine probatoria, in una perversa ed incontrollata traslazione del baricentro del processodal dibattimento alla fase delle indagini.

Nondimeno, questo è quanto incredibilmente la giurisprudenza continua a sostenere,anche di recente, con riguardo ad esempio al pedinamento satellitare o mediante GPS. Da unlato si afferma che esso è un mezzo atipico di ricerca della prova, nella libera disponibilità della

(42) Cfr. Progetto preliminare del codice di procedura penale - Relazione, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,1988, 191 (per la polizia) e 198 (per il P.M.).

(43) NOBILI, Diritti per la fase che “non conta e non pesa”, in ID., Scenari e trasformazioni del processo penale,Cedam, 1998, 34 ss.

(44) E, per il principio di parità delle parti (art. 111, comma 2 Cost.), applicabile anche agli atti di investigazione deldifensore.

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polizia giudiziaria (45); dall’altro, che esso è perfettamente utilizzabile in dibattimento (46). Né,purtroppo, la dottrina che si è espressa sul punto pare in grado di arginare tali derive (47).

La seconda, tradizionale risposta che dottrina e giurisprudenza, giustamente – ma nonabbastanza – preoccupate da simili scenari, forniscono al problema muove dalla valorizzazionedell’art. 189 c.p.p. In quest’ottica, la norma non servirebbe solamente a regolare l’ammissionee l’assunzione in dibattimento della prova atipica in generale e di quella scientifica in partico-lare; essa sarebbe analogicamente applicabile anche alla fase delle indagini e quindi anche aimezzi di ricerca della prova ed agli atti di investigazione atipica (48), benché con una notevolelimitazione: il contraddittorio giudiziale previsto non potrebbe essere preventivo, ma solamen-te successivo al compimento dell’attività, e funzionale a stabilire l’utilizzabilità o meno ingiudizio del materiale probatorio.

Così intesa, però, la portata garantistica che si vorrebbe attribuire all’applicazione dell’art.189 c.p.p. in fase di indagini scema del tutto: se anche il prefigurato controllo giudiziale diutilizzabilità ex post fosse effettivo – ma la “bulimia conoscitiva” di stampo inquisitorio dellagiurisprudenza (49) porta legittimamente a dubitarne – si consente comunque che per mesi emesi gli organi dell’investigazione possano, al di fuori di qualsiasi cornice o limite preventivo,nonché di qualsiasi controllo giudiziale in itinere, conculcare un diritto che le fonti costituzio-nali e internazionali vorrebbero inviolabile. Ed è evidente che gli esiti dell’attività, destinatasolo a mesi od anni di distanza ad essere dichiarata inutilizzabile, nel frattempo possono offrireil destro per il compimento di ulteriore attività investigativa, possono consentire di otteneredelle dichiarazioni auto- od etero-accusatorie, possono persino spingere l’interessato a chie-dere un rito alternativo (eventualità, questa, che impedisce radicalmente ogni controllo expost).

(45) Cfr. Sez. II, 13 febbraio 2013, n. 21644, B., in C.E.D. Cass., n. 255542: «l’attività di indagine volta a seguire imovimenti di un soggetto ed a localizzarlo, controllando a distanza la sua presenza in un dato luogo in un determinatomomento attraverso il sistema di rilevamento satellitare (c.d. GPS) costituisce una forma di pedinamento eseguita construmenti tecnologici, non assimilabile in alcun modo all’attività di intercettazione prevista dagli artt. 266 ss. c.p.p.; essanon necessita, quindi, di alcuna autorizzazione preventiva da parte del g.i.p. poiché, costituendo mezzo atipico diricerca della prova, rientra nella competenza della polizia giudiziaria».

(46) Sez. IV, 27 novembre 2012, n. 48279, L., in C.E.D. Cass., n. 253953: «sono utilizzabili i risultati della localizza-zione mediante il sistema di rilevamento satellitare (c.d. GPS) degli spostamenti di una persona sul territorio, acquisitiattraverso le annotazioni di servizio della polizia giudiziaria circa le coordinate segnalate dal sistema di rilevamento, inquanto costituiscono il prodotto di un’attività di investigazione atipica assimilabile al pedinamento e non alle opera-zioni di intercettazione».

(47) Cfr. IOVENE, Pedinamento satellitare e diritti fondamentali della persona, in questa rivista, 2012, p. 3556 ss.;SIGNORATO, La localizzazione satellitare nel sistema degli atti investigativi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2012, p. 580 ss.;STRAMAGLIA, Il pedinamento satellitare: ricerca ed uso di una prova “atipica”, in Dir. pen. proc., 2011, p. 213 ss.; GENTILE,Tracking satellitare mediante GPS: attività atipica di indagine o intercettazione di dati?, ivi, 2010, p. 1465 ss.; DI PAOLO,Acquisizione dinamica dei dati relativi all’ubicazione del cellulare e altre forme di localizzazione tecnologicamenteassistita. Riflessioni a margine dell’esperienza statunitense, in questa rivista, 2008, p. 1219 ss.

(48) Per una recente ed autorevole presa di posizione in tal senso cfr. Sez. un., 26 giugno 2014, n. 32697, in C.E.D.Cass., n. 259777.

(49) Non si pensi solo alla nota querelle sulla utilizzabilità probatoria degli esiti di una perquisizione illegittima (sulpunto, si consideri la celebre Sez. un., 27 marzo 1996, Sala, in Foro it., 1996, II, c. 473). Si ricordi che la giurisprudenzaha talora utilizzato l’art. 189 c.p.p. quale strumento per recuperare l’esito di prove irritualmente assunte: si consideri ilcaso della c.d. ricognizione informale dell’imputato in udienza (Sez. I, 3 dicembre 2004, Izzo, in C.E.D. Cass., n.230781). Per delle osservazioni parimenti critiche si legga MAZZA, I diritti fondamentali dell’individuo come limite dellaprova nella fase di ricerca e in sede di assunzione, in Diritto penale contemporaneo - Rivista trimestrale, 2013, fasc.3, p. 8.

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La tesi che predica l’applicazione dell’art. 189 c.p.p. alla fase delle indagini, pur se animatadal condivisibile intento di recuperare delle forme di tutela per la persona sottoposta alleindagini, si rivela in definitiva totalmente inadeguata allo scopo, ed anzi soggetta al rischio diipocrite strumentalizzazioni (50).

Emblematica della necessità di ricercare nuove frontiere di protezione dei diritti fonda-mentali in indagini, di fronte alla sterilità delle visioni tradizionali appena riportate, ma anchedella timidezza e, in ultima analisi, della incapacità di darvi una risposta davvero soddisfacen-te, è la decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione nel noto caso “Prisco” (51). Difronte ad una attività di indagine atipica, quale l’effettuazione di videoriprese non comunica-tive, le Sezioni unite elaborano una bizantina distinzione di trattamento a seconda dei luoghi incui l’attività (che, ovviamente, è sempre la stessa!) viene condotta. Qualora ci si trovi neldomicilio costituzionalmente protetto, l’atto sarebbe radicalmente vietato perché in direttocontrasto con l’art. 14 Cost., fino a quando una legge ordinaria non si farà carico di precisarecasi e modi dell’intrusione. Qualora invece ci si trovi in luoghi c.d. “riservati”, inedita categoriaritagliata dalla suprema Corte, in cui si avrebbe una aspettativa di riservatezza inferiore aquella domiciliare ma superiore a quella di una semplice area pubblica (52), non verrebbe più inconsiderazione l’inviolabilità domiciliare ma la “sola” riservatezza della vita privata, ricondu-cibile all’art. 2 Cost., per vincere la quale basterebbe il provvedimento motivato dell’autoritàgiudiziaria, sub specie di previa autorizzazione (peraltro anche del solo pubblico ministero).

Non interessa qui criticare la pronuncia sotto il profilo della mancata valorizzazione del-l’art. 8 CEDU, anche in considerazione del fatto che essa risale al 2006 (53); interessa piuttostosottolineare che, attraverso l’artificiosa distinzione fra luoghi, si creano statuti di protezionedifferenziati nei confronti del medesimo atto di indagine. E se si può certamente plaudereall’affermazione secondo cui le videoriprese non comunicative in ambito domiciliare sarebbe-ro sempre vietate dall’art. 14 Cost. e, qualora effettuate in tale sede, inutilizzabili, a suscitare lepiù profonde riserve è invece l’affermazione secondo cui le videoriprese effettuate nei luoghisemplicemente “riservati” (come nel caso oggetto di attenzione), previo provvedimento del-l’autorità giudiziaria, costituirebbero invece attività di investigazione atipica, riconducibileall’art. 189 c.p.p., irripetibile e pertanto utilizzabile in dibattimento.

La pronuncia è animata da una evidente volontà compromissoria: nel consentire lo svol-gimento dell’attività investigativa nei luoghi c.d. “riservati”, si è voluto nel contempo recupe-rare un minimo di garanzie, consistenti nel previo provvedimento autorizzativo motivato delmagistrato (e quindi non lasciando l’atto nella libera disponibilità della polizia). Volontà com-promissoria che, pur comprensibile sul piano delle esigenze pratiche, si espone a decisiveobiezioni qualora, come sarebbe giusto attendersi dalla suprema Corte, si ragioni su un pianostrettamente giuridico: se si ritiene che la riservatezza, a differenza del bene domicilio, non siacoperta dalla riserva di legge, non si comprende davvero in forza di quale norma o principio di

(50) Cfr. anche MAZZA, I diritti fondamentali, cit., p. 9.(51) Cfr. Sez. un., 28 marzo 2006, Prisco, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1347, con nota di CONTI; in Riv. it. dir. e proc. pen.,

2006, p. 1550, con nota di CAMON; in questa rivista, 2006, p. 3945, con nota di RUGGIERI e DI BITONTO. Condivisibili lecritiche alla pronuncia mosse da MAZZA, I diritti fondamentali, cit., p. 10.

(52) Luogo “riservato” è il c.d. privé di un locale aperto al pubblico, come nel caso sottoposto all’attenzione dellaCorte nel caso “Prisco”. Si può pensare anche alla toilette, sempre di un locale aperto al pubblico; e così via.

(53) Mentre il nuovo orientamento costituzionale, volto ad attribuire alla CEDU la posizione di fonte interposta didiritto interno, risale alle “sentenze gemelle” del 2007. Cfr. supra, al richiamo della nota 32.

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diritto possa godere della protezione della riserva di atto motivato dell’autorità giudiziaria.Sarebbe stato intellettualmente più onesto privarla anche di questa foglia di fico.

6. INDIVIDUAZIONE DELLA SANZIONE PER L’ATTODI INVESTIGAZIONE ATIPICO SULLA BASEDELLA LEGISLAZIONE VIGENTE. DALL’INASCOLTATAINUTILIZZABILITÀ COSTITUZIONALE AI NUOVI PROFILIDI CONTRARIETÀ AL DIRITTO COMUNITARIO:LA VICENDA DEL DATA RETENTIONAffermare, su un piano schiettamente assiologico, che certe posizioni tradizionali si rivelanototalmente inadeguate a tutelare il diritto fondamentale alla riservatezza dalle nuove intrusionitecnologiche possibili nel corso delle indagini penali, come si è fatto nel paragrafo che precede,non significa però ancora in alcun modo pervenire a delle solide conclusioni in ordine alleconseguenze che si generano se e quando tali intrusioni vengano nondimeno compiute.

Alla presente indagine non interessa minimamente valutare possibili esiti sul piano penalesostanziale o su quello disciplinare per gli operanti autori dell’intrusione. La domanda cuiinteressa rispondere, invece, è se l’attività generata sia sul piano processuale legittima edutilizzabile oppure no.

Si è talora ipotizzato che, almeno ad alcune tra le attività di indagine tecnologica quiconsiderate, possa applicarsi analogicamente la disciplina prevista per le intercettazioni (artt.266 ss. c.p.p.), con i suoi presupposti, i suoi snodi procedimentali e soprattutto il suo affilatoregime sanzionatorio, ma una simile proposta, pur animata da intuibili intenzioni garantisti-che, risulta davvero apodittica (54).

In realtà, come si è altrove tentato di argomentare (55), si ritiene che la soluzione giuridica-mente più lineare e corretta sia la radicale inutilizzabilità costituzionale dell’attività investiga-tiva tecnologica atipica, per contrarietà con gli artt. 13-15 Cost. e l’art. 8 CEDU, perché tuttequeste norme di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo esigono il previo rispettodella riserva di legge; esigono cioè che il legislatore determini anticipatamente se e in che modoquel diritto può essere compresso, il che presuppone un delicato bilanciamento di oppostiinteressi – non certo delegabile alla prassi – che quantomeno comprende: l’individuazionedelle categorie di reati per cui quella certa modalità investigativa viene resa possibile; lapredeterminazione della legittimazione soggettiva (autorizzazione del giudice o del P.M. olibera iniziativa della polizia); la descrizione del tipo stesso di attività e la sua durata nel tempo;l’apparato sanzionatorio nel caso di inosservanza di queste regole. Fintantoché il legislatoreordinario non eserciti tale potere-dovere, delegato a lui solo dalla Costituzione, la qualifica di“inviolabile” attribuita al diritto fondamentale si traduce, per i pubblici poteri, in un divieto diintervenire, ai sensi dell’art. 191 c.p.p.

Si tratta del resto della stessa conclusione cui le Sezioni unite della Corte di cassazione sonogiunte nel caso “Prisco” con riguardo ai rapporti tra l’attività consistente nella videoripresa dicomportamenti non comunicativi ed il diritto fondamentale alla protezione del domicilio,benché l’assunto – che nell’economia della sentenza rimane una sorta di obiter dictum, essen-

(54) Cfr. MAZZA, I diritti fondamentali, cit., p.9.(55) Cfr. ancora, volendo, MARCOLINI, Regole di esclusione e nuove tecnologie, in Criminalia, 2006, p. 417 ss., nonché,

da ultimo, MAZZA, I diritti fondamentali, cit., p.9.

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do il caso scrutinato dalla Corte relativo, come visto, a dei privé di un locale aperto al pubblico,e quindi a porzioni di spazio che la Corte non qualifica come domicilio, bensì come luoghi “solo”riservati – non abbia trovato riscontro nella giurisprudenza successiva, chiamata a dirimerequestioni relative a nuovi e potenzialmente più invasivi mezzi di indagine (56), ed anche indottrina abbia trovato molti oppositori (57).

Assodata la refrattarietà della giurisprudenza e della dottrina dominanti a percorrere la viadell’inutilizzabilità costituzionale con riguardo agli atti di investigazione atipici a contenutotecnologico, occorre osservare che il diritto comunitario ha di recente offerto un nuovo, solidopercorso argomentativo per pervenire – si ritiene questa volta in via definitiva – ad un risultatodi uguale o superiore livello di tutela dei diritti fondamentali.

Il punto di partenza è costituito dalla banale osservazione secondo cui la protezione dei datipersonali è – da ormai molto tempo – materia pienamente rientrante nelle competenze deldiritto comunitario (sub specie di competenza strumentale a garantire il buon funzionamentodel mercato interno). Si consideri la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consigliodel 24 ottobre 1995, «relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento deidati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati», che aveva portato il legislatoreinterno ad emanare le note leggi n. 675 e 676 del 1996, in vigore per sette anni, fino ad esseretrasfuse nell’attuale d.lg. n. 196 del 2003, c.d. codice privacy, che recepisce anche il contenutodell’ulteriore direttiva 2002/58/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002,«relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore dellecomunicazioni elettroniche» (c.d. direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elet-troniche).

Si consideri ora la recentissima vicenda del c.d. data retention comunitario. Si allude allasentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 (Digital Rights Ireland LTD) e C-594/12 (Ka¨rntner Landesregierung) (58), con cui questa hadichiarato invalida («invalid» nella versione inglese) l’intera direttiva 2006/24/CE del Parla-mento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006, «riguardante la conservazione di datigenerati o trattati nell’ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibilial pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE» (nota

(56) Apprezzabile, ma isolata eccezione – almeno a quanto consta – in questo panorama, appare la posizione direcente assunta dal G.i.p. presso il Tribunale di Modena che, con ordinanza 3 novembre 2014 (inedita), ha dichiaratoinutilizzabile proprio «per violazione del precetto costituzionale della inviolabilità del domicilio dei destinatari delprovvedimento» (p. 7: deve supporsi domicilio informatico) il materiale probatorio ottenuto dal p.m. mediante con-trollo a distanza dei computer in uso agli indagati, ottenuto attraverso la «inoculazione di un programma spia cheopera la duplicazione e il trasferimento di tutti i dati memorizzati nel computer oggetto di osservazione ad altroterminale nella disponibilità degli inquirenti» (p. 3).

(57) Sul punto sia consentito rinviare, anche per ogni ulteriore indicazione a DANIELE, Indagini informatiche lesivedella riservatezza - Verso un’inutilizzabilità convenzionale?, in questa rivista, 2013, p. 367 ss.

(58) Per dei commenti alla pronunzia cfr. FLOR, Dalla data retention al diritto all’oblio. Dalle paure orwelliane allarecente giurisprudenza della Corte di giustizia. Quali effetti per il sistema di giustizia penale e quali prospettive dejure condendo?, in Dir. informaz. e inform., 2014, p. 775 ss.; ID., La Corte di giustizia considera la direttiva europea2006/24 sulla c.d. “data retention” contraria ai diritti fondamentali. Una lunga storia a lieto fine?, in Diritto penalecontemporaneo - Rivista trimestrale, 2014, fasc. 2, p. 178 ss.; ID., La Corte di giustizia considera la direttiva europea2006/24 sulla c.d. “data retention” contraria ai diritti fondamentali. Una lunga storia a lieto fine?, in www.penale-contemporaneo.it, 28 aprile 2014; COLOMBO, “Data retention” e Corte di giustizia: riflessioni a prima lettura sulladeclaratoria di invalidità della direttiva 2006/24/CE, in questa rivista, 2014, p. 2705 ss.; IOVENE, Data retention trapassato e futuro. Ma quale presente?, ivi, 2014, p. 4274 ss.

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come direttiva sul data retention), per contrarietà con il principio di proporzionalità ricavabiledagli artt. 7, 8 e 52, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali UE.

La direttiva, approvata all’indomani degli attentati alla metropolitana di Madrid e moltodiscussa, aveva già provocato una serie di decisioni in altri Stati, aventi ad oggetto le leggi diattuazione nazionali (59).

La decisione della Corte ne costituisce il coronamento.Con una perentorietà che dovrebbe far riflettere il giurista nazionale, la sentenza afferma:

che l’obbligo imposto ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica di conservare per uncerto periodo dati relativi alla vita privata di una persona e alle sue comunicazioni, nonché larelativa possibilità per le autorità nazionali competenti di accedervi costituiscono una ingeren-za nel diritto alla riservatezza dei cittadini protetto dagli artt. 7 ed 8 della Carta dei dirittifondamentali, da considerarsi «di vasta portata» e «particolarmente grave» (sentenza, par.37) (60); che l’ingerenza risponde certamente a degli obiettivi di interesse generale, consistentinella prevenzione dei reati e nella lotta al crimine organizzato (sentenza, par. 44), ma, stante ladelicatezza della materia, le scelte compiute dal legislatore comunitario debbono essere sin-dacate dalla Corte alla luce del principio contenutistico di proporzionalità (par. 46) (61) con uncontrollo stretto (par. 48); che la direttiva, riguardando in generale qualsiasi forma di comuni-cazione elettronica e qualsiasi persona, senza indicare limiti temporali, geografici o soggettivi,non contenendo alcuna elencazione dei reati «considerati sufficientemente gravi da giustifi-care siffatta ingerenza», ma anzi demandando ai singoli Stati membri tale individuazione (par.60), non regolando le procedure di accesso ai dati da parte delle pubbliche autorità, né preci-sando chi e come possa trattare quei dati, comporta una ingerenza nel diritto de quo grave-mente lesiva del principio di proporzionalità.

La pronuncia conferma con autorevolezza che, a livello comunitario, il bene della riserva-tezza è annoverato tra quelli più preziosi e, in conseguenza, protetto in modo particolarmenteintenso, perché non ci si ferma alla riserva di legge formale (“una qualunque legge, purché visia”); come il legislatore eserciti tale riserva è sindacabile nel prisma della proporzionalità,ovvero del minor sacrificio possibile del bene medesimo (62). Si osservi, inoltre, che in un altro,recente caso, la Corte di giustizia ha annullato un’intera direttiva, la 2011/82/UE in tema discambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni in materia di sicurezza stradale,

(59) Repubblica Ceca, Germania, Romania: cfr. FLOR, La Corte di Giustizia, cit., p. 179, nota 2; FLOR, Data retentione limiti al potere coercitivo dello stato in materia penale: le sentenze del Bundesverfassungsgericht e della CurteaConstitutionala, in questa rivista, 2011, p. 1952 ss.; FLOR, Investigazioni ad alto contenuto tecnologico e tutela dei dirittifondamentali della persona nella recente giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht: la decisione del 27 febbraio2008 sulla Online Durchsuchung e la sua portata alla luce della sentenza del 2 marzo 2010 sul data retention, inCiberspazio e dir., 2010, p. 359 ss.; DI MARTINO, Il Bundesverfassungsgericht dichiara l’incostituzionalità della dataretention e torna sul rapporto tra libertà e sicurezza, in Giur. cost., 2010, p. 4059 ss.

(60) A dimostrazione della gravità dell’ingerenza, la Corte riporta anche un’acuta osservazione dell’Avvocatogenerale: «il fatto che la conservazione dei dati e l’utilizzo ulteriore degli stessi siano effettuati senza che l’abbonato ol’utente registrato ne siano informati può ingenerare nelle persone interessate, come rilevato dall’avvocato generale aiparagrafi 52 e 72 delle sue conclusioni, la sensazione che la loro vita privata sia oggetto di costante sorveglianza»(sentenza, par. 37).

(61) Sul principio di proporzionalità, sulla sua genesi nell’ordinamento tedesco e sul suo successo come principioinformatore dei rapporti tra diritto comunitario e diritti nazionali cfr. GALETTA, Principio di proporzionalità [dir.amm.], in www.treccani.it/enciclopedia/principio-di-proporzionalita-dir-amm_(Diritto_on_line)/.

(62) Conclusione possibile già all’ombra dell’art. 8, par. 2, CEDU, contenente anch’esso una clausola di proporzio-nalità.

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facendosi però carico delle ricadute concrete dell’annullamento attraverso lo strumento dellaproduzione differita di effetti da parte della propria decisione (63); il fatto che, viceversa, nellavicenda qui in esame la Corte non abbia proceduto allo stesso modo, ma abbia voluto caducarela direttiva sin da subito, lascia trasparire chiaramente la volontà del giudice comunitario diproteggere in modo più intenso il diritto fondamentale interessato.

Ad oggi non risulta che dottrina e giurisprudenza abbiano ancora messo a fuoco con pienaconsapevolezza e sino in fondo tutte le possibili conseguenze della sentenza. Se ne possonointravedere alcune specifiche (parr. 7-8) ed altre di sistema (par. 9).

7. LE CONSEGUENZE SPECIFICHE DELLA VICENDADEL DATA RETENTION: CONTRARIETÀ AL DIRITTOCOMUNITARIO DELL’ART. 132 CODICE PRIVACYLe conseguenze specifiche della sentenza della Corte di giustizia dell’8 aprile 2014, nelle causeriunite C-293/12 e C-594/12 (Digital Rights Ireland LTD ed altri), riguardano direttamente ilmezzo di indagine dell’acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico: se ladirettiva 2006/24/CE è contraria agli artt. 7, 8 e 52, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali UEperché, in sostanza, troppo vaga nei suoi presupposti, quale deve essere il giudizio circa lacorrispondente norma di diritto italiano che regola il data retention?

Si tratta del noto art. 132 codice privacy, il cui comma 1 così esordisce: «(...) i dati relativi altraffico telefonico sono conservati dal fornitore per ventiquattro mesi dalla data della comuni-cazione, per finalità di accertamento e repressione dei reati, mentre, per le medesime finalità,i dati relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, sonoconservati dal fornitore per dodici mesi dalla data della comunicazione».

Potrebbero svolgersi molte riflessioni sulle manchevolezze di detta norma, ma – anche pereconomicità di argomentazione (64) – una appare dirimente. Poiché essa consente l’accesso aidati esterni del traffico «per finalità di accertamento e repressione dei reati», con ciò intenden-dosi genericamente qualunque reato, e non invece un catalogo di ben specifici delitti, indivi-duati tra quelli più gravi, la norma italiana sul data retention è in insanabile contrasto con gliartt. 7, 8 e 52, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali UE. Qualora oggetto di scrutinio avantila Corte di giustizia UE fosse stata non la direttiva 2006/24/CE, ma la normativa interna, ilperentorio giudizio sarebbe stato il medesimo: invalid.

Siccome contrario agli artt. 7, 8 e 52, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali UE, l’art. 132codice privacy va dunque disapplicato, tale essendo l’inevitabile conseguenza cui vanno in-contro gli atti normativi nazionali in contrasto con il diritto comunitario.

Chi scrive è persuaso della inevitabilità di una simile conclusione (65). Poiché, però, non visono precedenti diretti, è evidente che, ove il giudice nazionale abbia dei dubbi sulla compa-tibilità dell’art. 132 codice privacy con il diritto comunitario (66) e sulle conseguenze che ne

(63) Cfr. C. giust. UE, 6 maggio 2014, C-43/12, Commissione c. Parlamento e Consiglio. La citata «limitazione deglieffetti dell’annullamento» è disposta e giustificata ai parr. 52-56 della pronunzia.

(64) Gli altri momenti di frizione sono puntualmente elencati da FLOR, La Corte di Giustizia, cit., p. 188-189, e daIOVENE, Data retention, cit., p. 4280.

(65) Per spunti in tal senso cfr. anche FLOR, La Corte di Giustizia, cit., p. 188-190; TROGU, Sorveglianza e “perqui-sizioni” on-line, cit., p. 441-442 (alla nota 15); IOVENE, Data retention, cit., p. 4280.

(66) E la lettura delle motivazioni della sentenza della Corte di giustizia dell’8 aprile 2014 vale, lo si ripete, a gettaredelle pesantissime ombre su tale compatibilità.

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possono scaturire (67) resta aperta – ed è anzi doverosa per il giudice di ultima istanza – la via delrinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE ex art. 267 TFUE (68), che si auspica possa esserepresto effettuata.

8. (SEGUE) LA SORTE DELLE ATTIVITÀ DI ACQUISIZIONEDEI DATI ESTERNI DEL TRAFFICO TELEFONICOE TELEMATICO NEL VUOTO NORMATIVO

8.1. Inquadramento del problemaQuanto affermato in chiusura del precedente paragrafo costituisce la premessa per delleulteriori riflessioni.

Innanzitutto, come il legislatore comunitario è chiamato a colmare il vuoto creato dall’an-nullamento della direttiva 2006/24/CE (69), allo stesso modo il legislatore nazionale è chiamato,con ogni urgenza possibile, a intervenire per dettare una disciplina sostitutiva dell’attuale art.132 codice privacy, che possa dirsi in armonia con le fonti comunitarie.

Fino a quando la norma nazionale non sarà emendata, mancherà ogni base giuridica perconsentire agli organi dell’investigazione di richiedere ai fornitori di servizi le informazioni daquesti conservate. Ne consegue che simile attività non sarà, sino ad allora, più possibile: non inforza della norma da disapplicare, evidentemente, ma certo nemmeno in forza dell’assenza didisciplina. Sarebbe assurdo, infatti, che l’effetto della doverosa disapplicazione di una dispo-sizione interna (l’art. 132 codice privacy), illegittima perché non protegge in modo adeguato ildiritto alla riservatezza, fosse quello di creare un vuoto in cui è possibile ledere quel diritto inmodo incomparabilmente più grave, senza più alcuna regola o limite.

Si deve nondimeno esaminare l’ipotesi, che nella prassi potrebbe rivelarsi tutt’altro cheinfrequente, in cui gli organi dell’investigazione richiedano i dati ai fornitori di servizi e questili comunichino. Al percorso già sopra segnalato (70) – secondo cui in questo modo si incorre-rebbe in un divieto probatorio ex art. 191 c.p.p., la cui peculiarità è di essere contenuto inCostituzione od in un atto sostanzialmente equivalente, come la CEDU (perché si lederebbe undiritto definito inviolabile, senza la mediazione di una legge ordinaria che preveda casi e modidi quella lesione), e quindi si produrrebbe attività inutilizzabile in ogni stato e grado, rilevabileda qualunque giudice (quello della responsabilità ma anche, in indagini, quello delle cautele),percorso che peraltro, come si è già osservato, la giurisprudenza si è sempre dimostratarenitente ad imboccare – si affianca un nuovo argomento.

Come la norma di legge sottesa (l’art. 132 codice privacy) è contraria al diritto comunitario,così è contraria al diritto comunitario anche l’attività di interpello e di acquisizione di daticompiuta, nel vacuum di regole, dagli organi dell’investigazione.

Se questo dato non può essere negato, si ritiene che, nel ricercare quali possano essere leconseguenze della contrarietà dell’atto investigativo penale al diritto comunitario, questione

(67) Segnatamente, sulla sorte degli atti processuali penali compiuti sulla sua base: aspetto che verrà esaminatoinfra, par. 8.

(68) Pietre di confronto restano gli artt. 7, 8 e 52, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali UE.(69) Verosimilmente procedendo mediante un regolamento, la cui approvazione, peraltro, non appare per nulla

breve: cfr. COLOMBO, “Data retention”, cit., p. 2709.(70) Trattasi della inutilizzabilità costituzionale di cui si è discusso al precedente par. 6.

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che presenta degli innegabili tratti di novità, l’unica opzione che va energicamente esclusa apriori è quella dell’assenza di qualsiasi sanzione.

8.2. Dal diritto amministrativo al diritto processuale penaleDa tempo la dottrina amministrativistica, di cui qui non interessa ripercorrere in dettaglio ildibattito, si interroga su quale debba essere il trattamento dell’atto amministrativo contrario aldiritto comunitario, muovendo dal problema del termine decadenziale di impugnazione vigen-te nella giurisdizione generale di legittimità e variamente sostenendo le tesi della direttadisapplicazione, della nullità, dell’annullabilità (71).

Sul punto, la giurisprudenza della Corte di giustizia UE riconosce l’esistenza di uno spaziodi discrezionalità in capo agli Stati membri, cui si attribuisce il compito di fissare le modalità edi termini con cui i cittadini possono impugnare atti amministrativi che siano lesivi di situazionigiuridiche sorte sulla base del diritto comunitario, ma nel rispetto di due noti principi: quello diequivalenza, secondo cui le situazioni giuridiche di diritto comunitario devono trovare unatutela pari a quella riconosciuta alle analoghe situazioni giuridiche statali; quello di effettività,per il quale gli ordinamenti nazionali non devono rendere impossibile o eccessivamentedifficile l’esercizio delle situazioni giuridiche comunitarie (72).

Nel caso specifico in cui a risultare contraria al diritto comunitario sia una norma tributaria,il concreto atto impositivo deve essere travolto e sorge il diritto del contribuente alla ripetizionedi quanto pagato o comunque al risarcimento del danno; e lo stesso può dirsi nel caso dellasanzione amministrativa irrogata, qualora la norma sanzionatoria sia del pari dichiarata incontrasto con la disciplina comunitaria. Tutti casi in cui, venuta meno la base giuridica, ancheil provvedimento amministrativo che si radicava su di esso, sia pure dietro attivazione di chi vi

(71) GIULIANI F.M., L’atto amministrativo anticomunitario, in Il Fisco, 2014, fasc. 3, p. 253 ss.; RAMAJOLI e VILLATA,Contrasto di un atto con il diritto europeo, in Libro dell’anno del diritto-Enc. giur. Treccani, Roma, 2012, p. 283 ss.;BACCARI G., La «sorte» del provvedimento amministrativo viziato da illegittimità comunitaria (Nota a C. Stato, sez. V,19 maggio 2009, n. 3072, Pappalettera c. Com. Trani), in Riv. giur. Molise e Sannio, 2012, fasc. 1, p. 69 ss.; FRANCO,Violazione del diritto comunitario, disapplicazione, nullità e annullabilità (Nota a C. Stato, sez. V, 19 maggio 2009,n. 3072, Pappalettera c. Com. Trani), in Urbanistica e appalti, 2009, p. 1097 ss.; DELSIGNORE, La disapplicazionedell’atto in violazione del diritto comunitario non impugnato (Nota a T.a.r. Sardegna, sez. I, 27 marzo 2007, n. 549,Soc. Acquavitana c. Com. Sinnai), in Dir. proc. ammin., 2008, p. 271; PIGNATELLI, L’illegittimità “comunitaria” dell’attoamministrativo, in Giur. cost., 2008, p. 3635 ss.; MACCHIA, La violazione del diritto comunitario e l’«eccezione disap-plicatoria» (Nota a T.a.r. Sardegna, sez. I, 27 marzo 2007, n. 549, Soc. Acquavitana c. Com. Sinnai), in Giornale dir.amm., 2007, p. 859 ss.; MIDIRI, Nuovi fondamenti teorici per la disapplicazione dei provvedimenti anticomunitari?(Nota a T.a.r. Sardegna, 27 marzo 2007, n. 549, Soc. Acquavitana c. Com. Sinnai), in Urbanistica e appalti, 2007, p.1023 ss.; GRECO, Inoppugnabilità e disapplicazione dell′atto amministrativo nel quadro comunitario e nazionale (notea difesa della c.d. pregiudizialità amministrativa), in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2006, p. 513 ss.; STICCHI, L’attoamministrativo nell’ordinamento comunitario, Giappichelli, 2006; MARZULLO, L’atto amministrativo violativo di normecomunitarie, fra nullità, annullabilità e disapplicazione, in Toga picena, 2006, fasc. 1, p. 31 ss.; FERRARI, La Corte digiustizia indica al giudice amministrativo una terza via tra perentorietà del termine di impugnazione e disapplica-zione dei provvedimenti amministrativi (Nota a Corte giust. Comunità europee, 27 febbraio 2003, n. 327/00, Soc.Santex c. Usl 42, Pavia), in Foro it., 2003, IV, c. 477 ss.; FANTIGROSSI, Disapplicazione dell’atto amministrativo e dirittocomunitario, in Riv. dir. priv., 2002, p. 118 ss.

(72) C. giust. UE, 27 febbraio 2003, C-327/2000, Santex; 12 dicembre 2002, C-470/99, Universale-Bau; 1° settembre1999, C-126/1997, Echo Swiss Time; 14 dicembre 1995, C-312/93, Peterbroeck.

Dal secondo dei principi citati, quello di effettività, si riceve conferma di uno degli assunti di partenza: e cioè che unaqualche forma di sanzione, nel caso su cui ci si interroga nel testo (attività di data retention effettuata sulla base di unadisciplina contraria al diritto comunitario), debba esservi.

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abbia interesse, a certe condizioni e nel rispetto del citato principio di equivalenza, vieneeliminato nelle sue conseguenze (73).

La casistica comunitaria conosce anche il caso del provvedimento amministrativo, la cuiinottemperanza rappresenti l’elemento costitutivo di un reato (74). In questo caso il giudicecomunitario ha stabilito che, nonostante la mancata impugnativa dell’atto nella sede ammini-strativa propria, il giudice penale nazionale possa sindacarne la legittimità in funzione diescludere la punibilità penale (75).

Le sovrastanti riflessioni non possono essere ex abrupto importate nella sede processualepenale, perché l’atto processuale penale è sì una species di atto amministrativo ma, proprio inbase al principio di specialità, esso trova all’interno del libro II del codice di rito penale lapropria compiuta disciplina, con il relativo corredo di sanzioni.

D’altro canto, gli argomenti sopra sviluppati si impongono qui con maggior forza: si puòtollerare un accertamento di colpevolezza e l’irrogazione di una pena – che rappresenta larisposta sanzionatoria più grave prevista dall’ordinamento – poggianti su un atto processualea contenuto probatorio palesemente contrario al diritto comunitario? L’effetto sarebbe dop-piamente inaccettabile: oltre alla violazione del ricordato principio di effettività, si violerebbe ildiritto del cittadino ad un giusto processo, riconosciuto non solo dalla Convenzione europea deidiritti dell’uomo, ma ormai anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali UE (76).

La risposta, quindi, non può che essere che l’atto probatorio va disapplicato, non diversa-mente da come, sulla base della giurisprudenza comunitaria appena sopra vista (77), avverreb-be se si fosse in presenza di un presupposto della fattispecie penale sostanziale. Esso deverimanere privo di effetti ed il giudice penale, investito di qualsiasi domanda (cautelare o dimerito) dovrebbe espungere quell’atto dal materiale decisorio (78). Versandosi in materia diprova e ricordando che la sanzione tipica è l’inutilizzabilità, si potrebbe coniare l’espressione di“inutilizzabilità comunitaria”: ma a condizione che ciò non valga ad accostarla all’inutilizzabi-lità costituzionale, della cui scarsa fortuna nell’ordinamento italiano si è già detto.

Occorre farsi carico di una obiezione che potrebbe appannare il nitore della conclusioneappena raggiunta. Essa appare così riassumibile: la patologia dell’atto processuale penale e le

(73) Cfr. C. giust. UE, 26 gennaio 2010, C-118/08, Transportes Urbanos y Servicios Generales SAL; 19 settembre2006, C-392/04 (i-21 Germany GmbH) e C-422/04 (Arcor AG & Co. KG); 13 gennaio 2004, C-453/00, Ku¨hne & HeitzNV; 16 dicembre 1976, Rewe-Zentralfinanz EG. In dottrina cfr. almeno MARCHESELLI, Tutelato l’affidamento nella leggeinterna contraria al diritto Ue: la decadenza dal diritto al rimborso, in Corr. trib., 2013, p. 311 ss.; FONTANA, Certezzadel diritto ed effettività del primato del diritto europeo nelle procedure di recupero degli aiuti fiscali incompatibili: ilruolo del giudice nazionale, in Riv. dir. trib., 2011, IV, p. 118 ss.; DEL FEDERICO, Gli atti impositivi viziati per violazionedel diritto comunitario, in Giust. trib., 2010, p. 7 ss.

(74) Paradigma ben noto anche al giurista nazionale: cfr. la querelle intorno all’art. 650 c.p.(75) C. giust. UE, 29 aprile 1999, C-224/97, Ciola.Nell’ordinamento italiano i rapporti tra giudice amministrativo e giudice penale, nel prisma della disapplicazione

dell’atto, sono ovviamente molto più complessi e nella presente sede non interessa approfondirli. Sia consentito ilrinvio a BONTEMPELLI, L’accertamento amministrativo nel sistema processuale penale, Giuffrè, 2009.

(76) L’art. 47 della Carta pone sia il diritto ad un ricorso effettivo nel caso in cui siano violati i diritti e le libertàgarantiti dal diritto dell’Unione (e ciò si attaglia al caso di specie: quale rimedio effettivo si offre a chi lamenti,all’interno del processo penale, un trattamento di dati personali illegittimo e contrario al diritto comunitario?), sia ildiritto ad un processo equo (e per quest’ultimo aspetto vale il rinvio di cui all’art. 52, par. 3 della Carta: esso vainterpretato nello stesso modo del corrispondente diritto al giusto processo sancito dalla Convenzione europea).

(77) C. giust. UE, 29 aprile 1999, C-224/97, Ciola, cit.(78) Non si vuole qui affrontare l’ulteriore, complesso problema della sorte degli atti probatori successivi e dipen-

denti da quello colpito da sanzione.

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relative conseguenze non sono materia comunitaria e, quindi, la primazia del diritto comuni-tario non appare qui invocabile. Si tratta però di una obiezione che pecca di “strabismo”: non sista ragionando della patologia dell’atto in generale, ma delle conseguenze della lesione deldiritto alla riservatezza del cittadino – materia certamente comunitaria – in una specifica sede,quella processuale penale. E ciò precisato, il già sopra citato principio di effettività non puòtollerare che le situazioni giuridiche sorte dal diritto comunitario restino prive di adeguata edeffettiva protezione (79).

8.3. Il trattamento dell’attività di acquisizione compiuta prima dellasentenza della Corte di giustizia del 2014Sin qui si è esaminata l’ipotesi in cui gli organi dell’investigazione pongano in essere attività didata retention successivamente alla sentenza della Corte di giustizia UE dell’8 aprile 2014,nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12 (Digital Rights Ireland LTD ed altri). Ma quid nel casoin cui detta attività sia stata posta in essere prima di quella data?

Ci si trova in questo caso di fronte a quella che la dottrina amministrativistica ha isolatocome ipotesi di c.d. anticomunitarietà indiretta (80), cioè ad una situazione in cui l’atto vienelegittimamente compiuto sulla base di una normativa interna che solo in un secondo momentoè dichiarata contraria al diritto comunitario.

In casi come questo si potrebbe di primo acchito pensare che, in forza del principio “tempusregit actum”, ci si trovi di fronte ad attività probatoria che, siccome legittima al momento delsuo svolgimento, può ed anzi deve essere tenuta in considerazione. Ma sarebbe una conclu-sione errata: la fattispecie probatoria è, come noto, complessa, e consta delle distinte fasi diammissione, assunzione e, infine, valutazione. Se le prime due fasi avvengono nella vigenza diuna certa norma, ma la terza ed ultima deve svolgersi dopo che quella norma è mutata o ècaduta, è al quadro vigente al momento della valutazione che il giudice deve avere riguardo (81):egli pertanto è tenuto, ancora una volta, a espungere l’atto dal materiale utilizzabile per ladecisione.

Ciò vale anche nel caso di valutazione da parte del giudice del dibattimento rispetto adattività di data retention compiuta (prima della sentenza della Corte di giustizia UE) nel corso

(79) Un ulteriore argomento a breve si aggiungerà a quello, peraltro già dirimente, di cui al testo. Come noto, l’art.82 TFUE rende il processo penale materia comunitaria nella sua interezza: quando si afferma che l’Unione puòlegiferare in materia di «diritti della persona nella procedura penale», laddove «necessario per facilitare il riconosci-mento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materiepenali aventi dimensione transnazionale» (par. 2, lett. b), si legittima all’evidenza ogni sorta di intervento. Prova ne siache, inter alia, l’Unione intende approvare una direttiva sulla presunzione di innocenza. Quando questa sarà vigente(ed il termine per la sua attuazione scaduto), si avrà sia la norma che prevede la competenza comunitaria (l’art. 82TFUE, appunto), sia la norma attuativa (la direttiva) collegata direttamente alla disciplina nazionale interna. Non vi èchi non veda, infatti, che dichiarare la penale responsabilità di una persona sulla base di una prova che non deveessere valutata violerebbe la sua presunzione di innocenza.

Per delle precedenti riflessioni sul ruolo dell’art. 82 TFUE, cfr. anche supra, alla nota 38.(80) GIULIANI F.M., L’atto amministrativo, cit., p. 259.(81) Il problema dei rapporti tra lo scorrere del tempo e la vigenza delle norme processuali penali è complesso. In

dottrina sia sufficiente il rinvio a MAZZA, La norma processuale penale nel tempo, Giuffrè, 1999. La giurisprudenzaafferma la possibilità di inutilizzabilità derivante da ius superveniens, affermando appunto che tali profili debbonoessere valutati al momento della decisione e non solo al momento dell’acquisizione della prova: cfr. Sez. un., 13 luglio1998, n. 10086, in questa rivista, 1999, p. 112 (sul punto cfr. anche DINACCI, L’inutilizzabilità nel processo penale.Struttura e funzione del vizio, p. 26, al richiamo della nota 70 e nella nota stessa).

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delle indagini, nonché nel caso di valutazione da parte del giudice dell’impugnazione (82)

rispetto alla valutazione di utilizzabilità compiuta (prima della sentenza della Corte di giustiziaUE) dal giudice di primo grado.

8.4. Il limite del giudicato ed il suo possibile superamentoLa completezza di trattazione dello specifico aspetto della contrarietà al diritto comunitariodell’acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico impone da ultimo di inter-rogarsi circa la sorte delle situazioni giuridiche esaurite, cioè delle sentenze di condannadivenute esecutive.

Nella cornice di un prepotente ridimensionamento del mito del giudicato, cui oggi si assi-ste (83), occorre ricordare che, per effetto della nota sentenza della C. cost. n. 113 del 2011 (84),l’art. 630 c.p.p. consente un nuovo caso di revisione, attivabile quando sia «necessario ai sensidell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dellelibertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei dirittidell’uomo».

Ci si deve qui chiedere se e come questa via possa essere intrapresa da chi sia statocondannato sulla base di attività di data retention contraria al diritto comunitario.

Per rispondere alla domanda occorre innanzitutto individuare le violazioni della CEDUconfigurabili nel caso di specie.

Prima ancora del giusto processo, viene in considerazione il diritto alla riservatezza: la tesiche qui si vuole sostenere è che l’illegittimo ottenimento dei dati esterni del traffico presso ifornitori di servizi costituisce una intrusione nella vita privata del tutto sproporzionata in unasocietà democratica, in violazione dell’art. 8 CEDU. Gli argomenti che l’8 aprile 2014 hannocondotto la Corte di giustizia UE (Grande Sezione) a dichiarare l’illegittimità della direttiva2006/24/CE, facenti perno sulla violazione del principio di proporzionalità, dovrebbero esserecondivisi – non ratione imperii ma imperio rationis – anche dalla Corte EDU, considerato chel’art. 8, par. 2 CEDU contiene proprio una clausola di proporzionalità (85). L’assunto trovaconferma nell’unico, recente (2010) caso in cui la Corte EDU risulta essersi occupata dellacompatibilità del pedinamento satellitare (previsto dalla legislazione tedesca) con l’art. 8 CE-DU. Con tale pronuncia essa ha dichiarato non esservi stata violazione della norma conven-zionale, proprio perché vi era una disciplina legale interna, lacunosa ma completata dallagiurisprudenza e pertanto prevedibile, che limitava l’impiego del mezzo ai soli reati di estremagravità (nel caso di specie, terrorismo), di competenza del giudice istruttore, nel rispetto del

(82) Compreso quello di legittimità che, preso atto della “inutilizzabilità comunitaria” dell’atto, dovrebbe cassarecon rinvio la pronunzia impugnata, per dare modo al giudice del rinvio di verificare se, senza quella prova, la decisionepossa ancora giustificarsi sulla base del residuo materiale probatorio.

(83) Sia sul fronte legislativo (si veda l’introduzione, da ultimo, dell’art. 625-ter c.p.p.), sia sul versante giurispru-denziale (cfr. Sez. un., 29 maggio 2014, n. 42858, Gatto, in Guida dir., 2014, fasc. 45, p. 58, secondo cui «successivamentead una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversadalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena,che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione»).

(84) La pronuncia additiva sopraggiunge dopo che una precedente sentenza monito, la n. 129 del 2008, era statacompletamente ignorata dal legislatore che, in materia, pare affetto da un cronico ed invero non più tollerabile apaticodisinteresse. Si vedano anche le conclusioni del presente lavoro, al par. 10.

(85) Alla luce della quale le limitazioni del diritto alla riservatezza si giustificano non solo se previste dalla legge, mase necessarie in una società democratica a proteggere certe finalità generali.

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principio di proporzionalità (si era ricorsi al GPS solo dopo che altri mezzi meno invasivi sierano rivelati insufficienti) e per un lasso di tempo relativamente breve (86).

Il successivo, parimenti illegittimo utilizzo nel processo penale degli esiti dell’attività ac-quisitiva dei dati esterni è invece suscettibile di violare l’art. 6 CEDU, quantomeno sotto ilprofilo della presunzione di innocenza (vinta da attività probatoriamente inutilizzabile), masolo a due stringenti condizioni.

Innanzitutto, occorre aver – invano – esperito i mezzi di ricorso interni, volti a provocareall’interno del processo nazionale la declaratoria di inutilizzabilità dell’attività di data retention(art. 35, par. 1, CEDU). Se la questione non è mai stata posta in sede interna, vuoi perché ilgiudicato si è formato in epoca anteriore alla pronuncia della Corte di giustizia dell’8 aprile2014, nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12 (Digital Rights Ireland LTD ed altri), vuoi perché,pur avendone la possibilità, la parte ha negligentemente omesso di farlo, essa non può certoformare oggetto per la prima volta di doglianza avanti il giudice di Strasburgo.

In secondo luogo, appare necessario che la prova di responsabilità, alla base della condan-na, poggi in modo decisivo (87) sull’attività di illegittima acquisizione del traffico. Se, viceversa,pur eliminando tale attività, la sentenza nazionale di condanna può puntellarsi su altre prove,ad un tempo indipendenti da quella e decisive, la violazione dell’art. 6 CEDU non sussiste; e,salvo il doveroso esame caso per caso, l’attività di data retention non si presta ad assumere ilcarattere della decisività (88).

A queste due condizioni (il previo esaurimento dei mezzi di ricorso interni ed il caratteredecisivo del data retention illegittimo), si ritiene che la Corte EDU dovrebbe accogliere l’even-tuale ricorso propostole e dichiarare la violazione degli artt. 8 e 6 CEDU; conseguentemente, ilricorrente vittorioso potrebbe tornare nella sede nazionale ed attivare il rimedio straordinario.

Poiché però il percorso appena descritto, che prevede necessariamente una parabolaascendente (Italia - Strasburgo) ed una discendente (Strasburgo - Italia) non è né rapido néagevole, ci si deve chiedere se non sia ravvisabile un percorso più breve, incentrato sulparadigma comunitario, che possa portare alla disapplicazione del giudicato senza doverprima ottenere una pronunzia della Corte EDU.

Il tema del giudicato interno (peraltro non necessariamente penale) contrastante con ildiritto comunitario è da tempo oggetto di attenzione da parte della Corte di giustizia UE (89).Nella inevitabile tensione tra il principio di certezza del diritto nazionale, di cui quello dell’in-tangibilità del giudicato è espressione, ed i principi di primazia, certezza ed effettività del diritto

(86) Cfr. Corte EDU, Sez. V, 2 settembre 2010, Uzun c. Germania. Per la medesima esigenza, espressa con riguardoalle tecniche investigative speciali (operazioni sotto copertura e simili) cfr. Corte EDU, Sez. I, 24 aprile 2014, Lagutin c.Russia (in special modo l’opinione concorrente dei giudici Pinto de Albuquerque e Dedov).

(87) Il principio di cui al testo è proprio della giurisprudenza della Corte EDU ma è anche ricavabile dall’art. 631c.p.p., che richiede che gli elementi addotti alla base della richiesta di revisione siano tali da condure al proscioglimentodel condannato.

(88) La decisività potrebbe ricorrere nei casi in cui le prove successive sono state scoperte solo grazie al dataretention contrario al diritto comunitario, oppure qualora la condanna si basi su altre prove, peraltro tecnologiche, delpari da ritenersi contrarie alla disciplina comunitaria (cfr. infra, par. 9).

(89) Si segnalano innanzitutto tre importanti e recenti sentenze, da leggere congiuntamente, tutte rese su rinviopregiudiziale da parte di giudici italiani: 10 luglio 2014, C-213/13, Pizzarotti; 3 settembre 2009, C-2/08, FallimentoOlimpiclub S.r.l.; 18 luglio 2007, C-119/05, Lucchini S.p.a.

Altre pronunce da considerare sono, almeno: 20 ottobre 2011, C-396/09, Interedil S.r.l.; 6 ottobre 2009, C-40/08,Asturcom Telecomunicaciones SL; 12 febbraio 2008, C-2/06, Kempter KG; 13 gennaio 2004, C-453/00, Kühne & HeitzNV.

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comunitario, la Corte di giustizia UE compie un bilanciamento secondo il quale, salve limitateed eccezionali ipotesi di gross violation (90), la regola generale è che il diritto dell’Unione nonimpone al giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuisconoforza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale per porre rimedio ad una situazione nazio-nale contrastante con detto diritto (91) ed il legislatore interno resta libero di stabilire se ed inche misura apprestare rimedi straordinari che possano sancire la cedevolezza dell’autoritàdella res iudicata a favore della primauté del diritto dell’Unione (92). In tale contesto, la dottrinaprocessualcivilistica ha affermato l’urgenza di inserire nel codice di rito civile – mediantenovellazione legislativa o mediante intervento della Corte costituzionale – un nuovo caso direvocazione delle sentenze passate in giudicato, quando queste si rivelino contrarie al dirittocomunitario (93). Ovviamente, in tutti i casi in cui il giudicato resti fermo, per l’interessato si aprela via dell’azione di risarcimento del danno nei confronti dello Stato per violazione del dirittocomunitario (94).

Questo essendo l’approdo, che si sostanzia in un rinvio all’ordinamento interno, sembre-rebbe che colui che è condannato in via definitiva sulla base di un data retention illegittimo nonpossa invocare nessun rimedio fondato sul diritto comunitario (95), non essendo la sua situa-

In dottrina cfr. BARBIERI, Considerazioni sull’autorità del giudicato nazionale nel diritto comunitario dopo il casoInteredil, in Dir. proc. ammin., 2012, p. 354 ss.; TURRONI, Conflitto fra giudicato nazionale e diritto dell’Unione europea,in www.osservatoriogiustizia.re.it, 2012; AMOROSO, Diritto comunitario vs. giudicato interno - La sentenza Lucchini aun triennio dalla sua emanazione, in Rass. dir. pubbl. europeo, 2011, fasc. 1, p. 187 ss.; FRANSONI, Il caso Olimpiclub:crisi del giudicato?, in www.giurisprudenzaimposte.it, 2011; CAPONI, Corti europee e giudicati nazionali, in www.a-strid-online.it, 2010; CONSOLO, Il percorso della corte di giustizia, la sentenza “Olimpiclub” e gli eventuali limiti didiritto europeo all’efficacia esterna ultrannuale del giudicato tributario (davvero ridimensionato in funzione antie-lusiva IVA del divieto comunitario di abusi della libertà negoziale?), in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 1143 ss.; CONTI, C’erauna volta il ... giudicato, in Corr. giur., 2010, p. 173 ss.; POGGIO, Dopo Lucchini, il caso fallimento Olimpiclub: ilridimensionamento dell’efficacia del giudicato esterno “anticomunitario”, in Giur. it., 2010, p. 369 ss.; SALVI, Primatodel diritto comunitario e principi interni: “no” della Corte di giustizia al giudicato esterno in ipotesi di praticheabusive in materia di IVA, in Riv. dir. trib. internaz., 2010, p. 415 ss.; STILE, La pronuncia della Corte di giustizia comeevento sopravvenuto di interruzione dell’efficacia del giudicato nel tempo, in Dir. com. scambi intern., 2010, p. 661 ss.;DI SERI, Primauté del diritto comunitario e principio della res iudicata nazionale: un difficile equilibrio, in Giur. it.,2009, p. 2835 ss.; GALETTA, Riflessioni sulla più recente giurisprudenza comunitaria in materia di giudicato nazionale(ovvero sull’autonomia procedurale come competenza procedurale funzionalizzata), in Dir. Unione europea, 2009, p.961 ss.; AA.VV., Giudicato e funzione legislativa, in Giur. it., 2009, p. 2815 ss.; PRIMICERI e LEANZA, L’intangibilità delgiudicato e i limiti imposti dalla Corte di giustizia con la sentenza Lucchini - Osservazioni, in Dir. e pol. Unioneeuropea, 2008, fasc. 3, p. 69 ss.

Da ultimo, segnala l’esigenza di un ripensamento dello status quo, che si esporrà subito nel testo, KORNEZOV, Resjudicata of national judgments incompatible with EU law: Time for a major rethink?, in Common Market Law Review,vol. 51, 2014, n. 3, p. 809 ss.

(90) Si vedano le fattispecie esaminate dalla Corte di giustizia UE nei due casi Fallimento Olimpiclub S.r.l. (praticheabusive in materia di IVA) e Lucchini S.p.a. (competenza esclusiva dell’Unione europea) citati alla nota precedente.

(91) C. giust. UE, 10-07-2014, Pizzarotti, cit., par. 59.(92) C. giust. UE, 10-07-2014, Pizzarotti, cit., parr. 62 e 64.(93) Si vedano i riferimenti citati da DI SERI, Primauté del diritto, cit., p. 2838 (alla nota 22).(94) Su cui cfr., in tutta generalità, SCODITTI, Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giuri-

sdizionale: illecito dello Stato e non del giudice, in Foro it., 2006, IV, c. 418 ss.; SCODITTI, “Francovich” presa sul serio:la responsabilità dello Stato per violazione dei diritto comunitario derivante dal provvedimento giurisdizionale, ivi,2004, IV, p. 4 ss.

(95) Salvo, forse, quello risarcitorio.

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zione riconducibile ad alcuno dei – tassativi – casi di revisione attualmente previsti dallalegge (96) o introdotti dalla Corte costituzionale (97).

A voler così ritenere, però, si trascurano le conseguenze sistematiche scaturenti proprio dalcaso di revisione introdotto dal giudice delle leggi con la sentenza n. 113 del 2011, messo inconnessione con l’art. 52, par. 3 della Carta dei diritti dell’Unione europea (98). Il ragionamentoviene ad essere il seguente: il diritto alla riservatezza ed il diritto ad un equo processo trovanoriconoscimento sia nella CEDU (artt. 8 e 6), sia nella Carta dei diritti fondamentali UE (artt. 8 e47) ed in forza dell’art. 52, par. 3, della Carta, il significato e la portata attribuiti a tali due dirittidalla Corte EDU si impongono anche nel circuito comunitario; se l’attuale utilizzo nel processopenale del data retention è contrario agli artt. 8 e 6 CEDU ed a certe condizioni (quelleesplicitate dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 113 del 2011) può condurre allarevisione del giudicato penale interno di condanna, elementari esigenze di parità di trattamen-to esigono che esso sia considerato in contrasto anche con gli artt. 8 e 47 della Carta dei dirittifondamentali UE e che tale contrasto non possa restare privo di effetto.

Nessun risultato può, al momento, essere assicurato direttamente dall’interprete invocan-do il diritto comunitario che, come si è appena visto (99), lascia in mano ai legislatori nazionali ilcompito di disciplinare la materia. Ma l’asimmetria per cui la contrarietà alla CEDU, purchédichiarata dalla Corte EDU, può condurre a travolgere il giudicato penale interno di condanna,mentre la contrarietà al diritto dell’Unione europea non potrebbe conseguire tale effetto,costituisce una discriminazione rilevante non tanto sul piano comunitario o latamente inter-nazionale, ma interna all’ordinamento nazionale, in quanto viola irragionevolmente l’art. 3Cost. La bontà di tale approdo trova autorevole conferma nella recente pronunzia a Sezioniunite della suprema Corte nel caso “Gatto”, secondo cui sarebbe irragionevole ritenere cede-vole il giudicato penale fondato su norme che violino la CEDU e non ritenere altrettanto difronte ad un giudicato penale fondato su norme illegittime perché in contrasto con la Costitu-zione (100). A sanare la palese irragionevolezza dovrebbero essere, in alternativa, il legislatoreo, opportunamente sollecitata, la Corte costituzionale, mediante introduzione di un nuovo casodi revisione all’interno dell’art. 630 c.p.p. (il sesto, se si esclude la peculiare revisione in peiusprevista dalla legislazione speciale in materia di collaboratori di giustizia).

(96) Cfr. l’art. 630 c.p.p.(97) Il riferimento è ovviamente alla già citata sentenza n. 113 del 2011, che ha per oggetto unicamente il circuito

CEDU.(98) Secondo cui «laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione

europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sonouguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione».

(99) Cfr. supra, al richiamo delle note da 89 a 94.(100) Sez. un., 29 maggio 2014, n. 42858, cit., secondo cui «non esiste alcuna ragione per ritenere flessibile e cedevole

il giudicato (...) fondato su norme nazionali violatrici della CEDU e, per contro, intangibile quello fondato su normedichiarate illegittime per violazione della Costituzione (...). Sarebbe perciò paradossale far derivare dalle sentenze diStrasburgo effetti più incidenti e rilevanti rispetto a quelli derivanti da una sentenza della Corte costituzionale»(considerato in diritto, par. 10.1); «l’illegittimità dell’esecuzione in atto di una pena (...) non può avere incidenzadiversa a seconda che la dichiarazione di illegittimità costituzionale sia stata dichiarata per contrasto con l’art. 117 (...)o con gli articoli 3 o 25, secondo comma, o 27, terzo comma, della Costituzione» (ivi); «sarebbe del tutto irrazionaleconsentire la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione (come nel caso Ercolano) eritenere “intangibile” la porzione di pena applicata per effetto di norme che mai avrebbero dovuto vivere nell’ordina-mento» (considerato in diritto, par. 10.2).

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9. LE CONSEGUENZE GENERALI DELLA VICENDADEL DATA RETENTION: CONTRARIETÀ AL DIRITTOCOMUNITARIO DI OGNI ATTIVITÀ INNOMINATA DI INDAGINEA CONTENUTO TECNOLOGICOLe conseguenze specifiche, cioè aventi ad oggetto il singolo mezzo di indagine – il data reten-tion ex art. 132 codice privacy –, sin qui esaminate, non esauriscono gli effetti della sentenzadella Corte di giustizia dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12 (Digital RightsIreland LTD ed altri), che si collocano anche su di un piano più generale.

Dalla sentenza si estrae l’insegnamento, valido per ogni mezzo di indagine, secondo cui perincidere nella riservatezza della vita privata dei cittadini (che, lo si ricorda, costituisce bene dirango primario per il diritto comunitario e che tale rango mantiene anche nel diritto interno)occorre la previa fondamentale mediazione del legislatore, che stabilisca i contorni ed i limitidella nuova attività, nel cruciale rispetto del principio di proporzionalità.

Qualsiasi nuova modalità investigativa, che ad un tempo sia lesiva della riservatezza esfornita di base legale, a fortiori non può essere compiuta; se compiuta, essa è in contrasto congli artt. 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali UE ed i suoi esiti non possono essereutilizzati nel processo penale. Questa è la sorte che tocca a tutti gli atti di investigazione acontenuto tecnologico (101) che il legislatore non abbia ancora normato: essi sono infatti acco-munati dalla costante caratteristica di incidere quantomeno sul bene della riservatezza.

Emblematica appare la vicenda del pedinamento via GPS. Come si è già visto in preceden-za, secondo la giurisprudenza e gran parte della dottrina si sarebbe in presenza di un attosostanzialmente libero nelle forme ed eseguibile anche ad iniziativa della polizia o, al più,mediante semplice autorizzazione del pubblico ministero (102). Alla luce delle riflessioni sin quicondotte, invece, tale assunto va radicalmente sconfessato: se il pedinamento mediante GPSconsente – come in effetti innegabilmente consente – di ottenere le stesse informazioni che siricavano mediante attività di data retention, ed anzi con il vantaggio investigativo rappresen-tato dal poter controllare il soggetto in diretta, a sua totale insaputa e per un tempo potenzial-mente anche lungo (ciò dipendendo da dove il ricevitore è collocato), con una lesione sensi-bilmente più grave della riservatezza rispetto al mero data retention, non si può tollerare cheesso venga compiuto nell’assenza di qualsiasi disciplina.

L’insegnamento ricavabile dalla pronuncia europea è quindi che per incidere sul dirittoalla riservatezza dei cittadini, materia di diritto comunitario – che non cessa di essere talenemmeno qualora il trattamento avvenga nel contesto del processo penale (103) –, occorre lamediazione da parte dell’organo legislativo, che predetermini casi e modi di tale incisione, nelrispetto del principio di proporzionalità. In assenza del bilanciamento legislativo, l’incisionenon è possibile e, se compiuta, genera risultati probatori che non possono essere utilizzati.

In particolare, in obbedienza al principio di proporzionalità e con l’effetto di garantire unpuntuale controllo circa le scelte compiute, il legislatore deve aver cura di predeterminare: ilcatalogo dei reati per il cui accertamento è possibile compiere l’atto (che debbono essere gravi);la legittimazione a compierlo; le modalità di suo svolgimento, ivi compresa la durata delle

(101) Per la cui definizione si rinvia supra, par. 3.(102) Cfr. supra, al richiamo delle note da 45 a 47. Giustamente critico rispetto agli orientamenti dominanti è invece

MAZZA, I diritti fondamentali, cit., p. 10-11.(103) Processo penale che comunque, a sua volta, potrebbe dirsi attratto nell’orbita del diritto comunitario in forza

dell’art. 82 TFUE: cfr. supra, nota 38.

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operazioni; il regime di utilizzabilità; le forme di controllo ed il corredo sanzionatorio per il casodi inosservanza delle regole, che ha da essere adeguato ed effettivo. La disciplina interna delleintercettazioni (artt. 266 ss. c.p.p.) o quella del prelievo coattivo di campioni (art. 224-bis c.p.p.)sono esemplificative di quanto il legislatore dovrebbe fare anche con riguardo ad ogni altraattività probatoria.

Residua un interrogativo: quid nel caso in cui l’atto probatorio non sia lesivo del bene dellariservatezza, bensì di una delle libertà tradizionali di cui agli artt. 13-15 Cost.? Benché, in lineadi massima, destinata a rimanere sulla carta, perché gli atti di cui si discute non possono cheledere, anche se in misura variabile, la riservatezza di chi vi è sottoposto, eventualmente inaggiunta ad altri diritti fondamentali, l’ipotesi consente di esprimere una importante opzionedi principio: non sarebbe francamente accettabile che diritti fondamentali di rango almenopari a quello della riservatezza (rispettivamente libertà personale, domicilio, segretezza delleconversazioni) fossero tutelati in modo meno intenso di quella o, addirittura, per nulla tutelati.Segnatamente, sarebbe un assetto in contrasto con elementari esigenze di ragionevolezza eparità di trattamento radicate sull’art. 3 Cost. Per evitarlo, non resta che aderire alla tesidell’inutilizzabilità costituzionale (104) che, si ricorderà, le Sezioni unite della Corte di cassazio-ne avevano indicato per la libertà domiciliare nella vicenda Prisco (105).

10. CONCLUSIONI. PROPOSTA DI INTRODURRE UNA DISCIPLINALEGISLATIVA DELL’ATTO DI INVESTIGAZIONE ATIPICOA CONTENUTO TECNOLOGICOSi è perfettamente consapevoli che quella sin qui esposta è una tesi che, nel voler proteggerei diritti fondamentali mediante l’individuazione di limiti insuperabili, direttamente ricavabilidal diritto UE o dalla CEDU, si traduce per ciò stesso in una penalizzazione delle legittimeesigenze investigative così drastica da poter cagionare in giurisprudenza una prematura crisidi rigetto.

Lo scopo di questo scritto non è però quello di predicare la creazione di spazi liberi daldiritto per garantire l’impunità di chi delinque, o di fare sfoggio di misoneismo tecnologico.L’impiego della tecnologia nel processo penale – di questo si è certi e vale la pena ripeterlo –appare irrinunciabile; ma, in modo altrettanto certo, esso non può avvenire nella attuale, totaleassenza di regole, che legittima ogni lesione dei diritti fondamentali della persona.

Esemplifica bene i comportamenti, assai discutibili (106), che nel vacuum legislativo diven-gono possibili e che, invece, si intendono stigmatizzare con energia, la lettura di un recentearticolo, secondo cui in Germania si starebbe diffondendo (107) la subdola prassi di “pedinare”l’indagato mediante invio all’utenza mobile da lui in uso in quel momento di un sms “invisibi-le”, che non lascia traccia ma che consente di geolocalizzarlo. Sfruttando quella che nell’arti-colo viene indicata come una «zona grigia della legge», le forze di polizia in questo modo

(104) Illustrata al precedente par. 6.(105) E che una recente, ma a quanto consta isolata pronunzia di merito ha accolto con riguardo alle c.d. perquisi-

zioni on line: cfr. supra, nota 56.(106) Perché provenienti dalle forze dell’ordine, che dovrebbero essere le prime a rispettare rigorosamente la

legalità, anche processuale.(107) Lo strumento sarebbe stato impiegato 156.000 volte solo nel primo semestre del 2014.

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eviterebbero di chiedere l’autorizzazione al magistrato, che altrimenti sarebbe dovuta (108).Ebbene, zone grigie siffatte, in cui rappresentati dello Stato usano furbeschi stratagemmitecnologici per eludere primarie garanzie dei cittadini, come la riserva di giurisdizione, nondovrebbero (più) esistere.

Pertanto, una delle prime conclusioni che questo scritto vuole evidenziare con la massimaforza è che la latitanza del legislatore in una materia fondamentale, quale quella in esame –l’impiego delle tecnologie nell’investigazione penale –, divenuta ormai una abitudine perl’addetto ai lavori nazionale, non è invece più tollerabile in un’ottica di più ampio respirointernazionale.

D’altro canto, un ulteriore dato è emerso con prepotenza, e cioè il carattere freneticodell’evoluzione tecnologica. È impensabile che il legislatore italiano divenga d’un tratto cosìzelante da intervenire a normare in dettaglio tutte le nuove possibilità investigative, man manoche queste siano tecnologicamente accessibili: standard che in realtà nessun legislatore, nem-meno straniero, sarebbe in grado di rispettare con puntualità.

Abbandonando finalmente il filo di quella che nel presente lavoro è stata una lunga parsdestruens e venendo alla pars construens, ci si deve chiedere: quale potrebbe essere unintervento legislativo in materia, che possa essere duraturo, in modo da non dover sempreinseguire affannosamente il vorticoso progresso tecnologico, che consenta di bilanciare laprotezione dei diritti con le esigenze investigative e che, quindi, non chiuda aprioristicamentela porta del processo penale ai vantaggi delle nuove scoperte tecnologiche?

Si ritiene che il modello di partenza vada individuato nell’art. 189 c.p.p.: già esistendo unadisciplina del mezzo di prova atipico, la proposta è quella di introdurre, quale consapevolecontraltare, una disciplina per l’atto di investigazione atipico.

In allegato al presente lavoro è possibile leggere un articolato normativo, precisamentecomposto di sette disposizioni (271-bis - 271-octies c.p.p.), di cui si caldeggia l’inserimentoall’interno del codice di rito penale, precisamente in un introducendo Capo V del Titolo III delLibro III in materia di prove (subito dopo la disciplina delle intercettazioni telefoniche), su cuivalgano le seguenti osservazioni.

Innanzitutto, con l’introduzione di tale corpus sarà evidente che l’art. 189 c.p.p. ha unadimensione meramente dibattimentale e cesserà la sua sterile e fuorviante applicazione adipotesi di attività investigativa i cui esiti si vogliano introdurre in giudizio (109).

La disciplina di cui si suggerisce l’introduzione risulta con evidenza debitrice verso quelladelle intercettazioni, che costituisce un ottimo esempio di esercizio della riserva di legge perstabilire le modalità di intrusione nelle comunicazioni dei cittadini. Al pari di questa, l’artico-lato qui proposto vuole predeterminare – con formule come si vedrà assai stringenti – i casi edi modi di lesione dei diritti fondamentali, i controlli sull’attività e le sanzioni in caso di inosser-vanza, il tutto nel rispetto del principio di proporzionalità, come richiesto dalla giurisprudenzacomunitaria (110).

(108) Cfr. www.repubblica.it/tecnologia/2014/08/07/news/sms_muti_spia-93323600/?ref=HREC1-30. La notiziaè datata 7 agosto 2014 (sito da ultimo consultato il 3 dicembre 2014).

(109) Il fenomeno è descritto e stigmatizzato supra, al par. 5.(110) Il carattere restrittivo dell’introducenda disciplina si spiega perché essa, atteggiandosi appunto come base

giuridica generale, verrà utilizzata per tutti i futuri atti che la tecnologia consentirà e che al momento non risultanoprevedibili nelle loro modalità e conseguenze. Si ritiene quindi che il bilanciamento sotteso a tale disciplina debbanecessariamente essere a favore della tutela dei diritti fondamentali.

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A livello definitorio, l’atto probatorio atipico, oltre che ovviamente per non essere discipli-nato dalla legge, viene individuato mediante rinvio al concetto sopra esposto (111) di atto aduplice funzione, cioè caratterizzantesi per:

– il contenuto investigativo-probatorio, perché volto ad aumentare il patrimonio conosci-tivo degli organi di indagine;

– la sua ingerenza in un diritto fondamentale, per la cui definizione si ritiene opportuno unampio rinvio alle fonti nazionali od internazionali che tale definiscano una posizione giuridica.

Quanto, in particolare, al principio di proporzionalità, si osservi che l’ancoraggio ai proce-dimenti per i reati più gravi, effettuato mediante rinvio all’art. 51, commi 3-bis e 3-quaterc.p.p. (112), ha un preciso, duplice scopo.

Il primo è di venire incontro all’insegnamento imposto dalla Corte di giustizia nella piùvolte citata sentenza dell’8 aprile 2014, nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12 (Digital RightsIreland LTD ed altri): proteggere in modo efficace i diritti fondamentali, il cui primario rangoimpone di circoscriverne la possibilità di lesione solo nelle indagini per le forme più gravi dicriminalità.

Il secondo, collegato al primo, è di chiudere l’azione investigativa entro pastoie ben precise,in modo che ciò possa costituire un pungolo per il legislatore. Ove, cioè, un certo atto investi-gativo atipico si riveli particolarmente utile e, conseguentemente, se ne voglia fare impiegoanche per accertare forme meno gravi di criminalità, il legislatore può in qualunque momentofarlo emergere dall’atipicità, normandolo in modo specifico. Ove così non facesse, si noti, la suainerzia avrà un costo infinitamente inferiore rispetto al quadro attuale – in cui, mancandoqualunque disciplina legale, chi scrive sostiene che l’atto sia radicalmente vietato – perché ladisciplina sull’atto di investigazione atipico consentirà pur sempre di compierlo per accertarele forme più gravi di criminalità.

La determinazione giudiziale delle concrete modalità di svolgimento dell’atto (art. 271-quater, comma 2, c.p.p.), lungi dal rappresentare una breccia nella tassatività della formula-zione legale, è un logico corollario del carattere atipico dell’attività da svolgersi (113). Di più:come ormai dovrebbe essere chiaro, nella presente materia essa è una realistica presa d’attodell’incessante evolversi del progresso scientifico e dell’impossibilità di imbrigliarne le dimen-sioni più squisitamente tecniche in formule legali che sarebbero destinate ad una rapidissimaobsolescenza. Il rinvio, quindi, qui deve essere inteso alle best practices che saranno invocabilinel momento di svolgimento dell’attività investigativa. Un simile approccio, del resto, è giàemerso a seguito della legge n. 48 del 2008, di ratifica della Convenzione di Budapest sullacriminalità informatica, ad esempio laddove, nel novello art. 254-bis, comma 1, c.p.p., imponedi sequestrare i dati informatici «con una procedura che assicuri la conformità dei dati acquisitia quelli originali e la loro immodificabilità» e, ove si proceda a sequestro presso il fornitore,mediante ingiunzione di «conservare e proteggere adeguatamente i dati originali»: nell’uno enell’altro caso, il legislatore evita di indicare specificamente le procedure di acquisizione e

(111) Cfr. supra, par. 3, in fondo.(112) Si tratta, in sostanza dei reati di crimine organizzato e di terrorismo. Si sono volutamente lasciati fuori

dall’orbita i reati elencati dall’art. 51, comma 3-quinquies, c.p.p.(113) Se la compiuta descrizione dell’attività non può esigersi ex ante ed in astratto dal legislatore, essa invece viene

richiesta, in forma concreta e «dettagliata», sia nella fase autorizzativa che precede le operazioni (art. 271-quaterc.p.p.), sia nella verbalizzazione delle operazioni medesime, da redigersi evidentemente nell’immediatezza (art.271-quinquies, comma 2, c.p.p.).

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conservazione, che saranno quelle da adottarsi secondo le buone regole tecniche vigenti almomento del compimento dell’atto (114).

Svolgimento, durata delle operazioni, possibilità di proroga e procedure d’urgenza sonosostanzialmente modellate sulla disciplina già vigente per le procedure di intercettazione dicomunicazioni (artt. 271-quinquies - 271-septies c.p.p.).

Infine, l’apparato sanzionatorio, consistente nell’inutilizzabilità dei dati probatori reperiti(art. 271-octies c.p.p.), appare effettivo e volto a coprire ogni scostamento essenziale dalladisciplina descritta.

ALLEGATO - Proposta di inserimento, nel codice di procedura penale, degli artt. 271-bis -271-octies.

Capo V - Atto di indagine non disciplinato dalla leggeche incide su un diritto fondamentale della persona

Art. 271-bis. Divieto di compiere atti a duplice funzione innominati1. È vietato procedere ad un atto a duplice funzione innominato, ovvero ad un atto di investigazione non

disciplinato dalla legge che incide sui diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione, o daqualsiasi fonte di diritto internazionale, generale o convenzionale, in vigore per lo Stato, se non nei casidisciplinati dal presente capo.

Art. 271-ter. Limiti di ammissibilità1. Quando occorre compiere un atto a duplice funzione innominato nei procedimenti per taluno dei

delitti indicati all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, il pubblico ministero ne fa richiesta al giudice cheprocede. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.

Art. 271-quater. Presupposti e forme del provvedimento. Principio di proporzionalità1. La richiesta del pubblico ministero contiene:a) l’indicazione dei gravi indizi di esistenza del reato per cui si procede;b) le ragioni per cui l’atto appare indispensabile all’accertamento del reato;c) la descrizione dettagliata dell’atto che si intende espletare e delle relative modalità di svolgimento;d) l’individuazione dei diritti fondamentali interessati dall’atto e le relative norme di legge nazionali ed

internazionali di riferimento.2. Il giudice accoglie la richiesta, con decreto motivato, quando ritiene che sussistano i requisiti di cui al

comma 1 e, in ogni caso, solo allorché ritenga che l’atto d’indagine comporti una limitazione del dirittofondamentale della persona proporzionale agli scopi di accertamento del reato e il medesimo risultato nonpossa conseguirsi con un atto di investigazione tipico. A tal fine, il giudice può anche modificare le modalitàdi svolgimento dell’atto descritte dal pubblico ministero o prescriverne di ulteriori meno gravose per lelimitazioni del diritto fondamentale ma ugualmente efficaci ai fini dell’accertamento.

Art. 271-quinquies. Esecuzione delle operazioni1. Alle operazioni procede il pubblico ministero, personalmente o delegando un ufficiale di polizia

giudiziaria, anche con l’ausilio di uno o di più agenti di polizia giudiziaria.2. Delle operazioni svolte è redatto verbale dettagliato. Ove possibile, sono sempre indicate le norme e

gli standard tecnici cui si è data attuazione.

(114) Sul punto cfr. anche LORENZETTO, Le attività urgenti di investigazione informatica e telematica, in AA.VV.,Sistema penale e criminalità informatica: profili sostanziali e processuali nella Legge attuativa della Convenzione diBudapest sul cybercrime (l. 18 marzo 2008, n. 48), a cura di Luparia, Giuffrè, 2009, p. 135 ss.

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3. Se le circostanze lo richiedono, il pubblico ministero può anche avvalersi dell’ausilio di un consu-lente tecnico.

Art. 271-sexies. Durata delle operazioni e proroga del termine1. Se, per la natura dell’atto, le operazioni debbono protrarsi nel tempo, il pubblico ministero lo indica

nella richiesta ed il giudice provvede a determinarne la durata, in ogni caso non superiore a quindici giorni.2. Prima della scadenza del termine, il pubblico ministero può chiedere la proroga delle operazioni. La

richiesta presenta i contenuti di cui all’articolo 271-quater, comma 1 ed indica, altresì, le ragioni per cui ènecessario proseguire nelle operazioni.

3. Il giudice dispone la proroga per periodi di tempo non superiori a quindici giorni, con decreto anorma dell’articolo 271-quater, comma 2, specificamente motivato, a pena di inutilizzabilità delle opera-zioni svolte nel periodo oggetto di proroga, in ordine al permanere dei requisiti dell’atto ed alla necessitàdella proroga.

Art. 271-septies. Procedure d’urgenza1. Qualora, per l’urgenza di procedere all’atto, non sia possibile attendere l’intervento del giudice, il

pubblico ministero dispone l’esecuzione provvisoria delle operazioni con provvedimento motivato, conte-nente i requisiti di cui all’articolo 271-quater, comma 1, nonché, se trattasi di atto che si protrae nel tempo,l’indicazione della durata delle operazioni, ai sensi dell’articolo 271-sexies, comma 1.

2. Il pubblico ministero comunica il proprio provvedimento, entro ventiquattro ore dall’emissione, algiudice di cui all’articolo 271-ter, comma 1, chiedendone la convalida e allegando, a pena di inutilizzabilitàdelle operazioni svolte, le specifiche ragioni di urgenza.

3. Il giudice decide sulla convalida, a norma dell’articolo 271-quater, comma 2, entro quarantotto oredall’emissione del provvedimento. Il giudice motiva sempre, a pena di inutilizzabilità delle operazionisvolte, in ordine alla sussistenza delle ragioni di urgenza. Se il provvedimento del pubblico ministero nonviene convalidato nel termine stabilito, le operazioni non possono proseguire e i relativi risultati nonpossono essere utilizzati. Se il provvedimento del pubblico ministero viene convalidato con modifiche, leoperazioni possono proseguire, ma i risultati precedenti possono essere utilizzati solo se sarebbero statiottenuti anche in base alle nuove modalità stabilite dal giudice.

4. Qualora nel corso delle indagini preliminari, per l’urgenza di procedere all’atto, non sia possibileattendere l’intervento del pubblico ministero, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono procedere alleoperazioni, dandone avviso scritto al pubblico ministero entro dodici ore dal loro inizio. Questi, se nondispone l’immediata interruzione delle operazioni, emette il provvedimento indicato al comma 1 e lotrasmette al giudice per la convalida entro ventiquattro ore dall’inizio delle operazioni. Il giudice provvedeai sensi e per gli effetti di cui al comma 3.

Art. 271-octies. Inutilizzabilità dei risultati delle operazioni.1. I risultati delle operazioni svolte non possono essere utilizzati se:a) l’atto è stato compiuto fuori dai casi previsti;b) la richiesta, originaria o di proroga, oppure il provvedimento d’urgenza del pubblico ministero non

contengono i requisiti indicati dall’articolo 271-quater, comma 1;c) il decreto motivato, anche di proroga o di convalida, del giudice non contiene i requisiti indicati

dall’articolo 271-quater, comma 2 o non indica, nel caso di atto destinato a protrarsi nel tempo, la duratadelle operazioni;

d) delle operazioni svolte non è redatto verbale dettagliato;e) le operazioni si protraggono oltre il termine stabilito o prorogato, limitatamente ai risultati ottenuti

dopo la scadenza del termine;f) le operazioni si sono scostate dalle modalità operative descritte nel provvedimento autorizzativo,

limitatamente a quanto ottenuto per effetto di tale scostamento.

o s s e r v a t o r i

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