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Le strategie di Framing nella dinamica/dialettica del conflitto: Il rapporto tra Matteo Renzi e i Sindacati

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INDICE

PARTE PRIMA

Uno sguardo sulla liquidità Renziana

PARTE SECONDA

Dinamica e dialettica del conflitto tra Governo e rappresentanze sindacali.

PARTE TERZA

Il Framing Strategico di Matteo Renzi

CONCLUSIONI

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PARTE PRIMA

Uno sguardo sulla liquidità Renziana

La situazione politica italiana ha da tempo consolidato il suo punto focale sulla figura controversa di Matteo Renzi, la quale immagine, se posta in un continuum di classificabilità potrebbe andare da un’iniziale idiosincrasia per le liturgie politiche interne ed esterne del partito democratico a una vera e propria Leaderizzazione a tutt’oggi ancora in fase di assestamento. È oramai un’opinione più che inflazionata, infatti, quella che sottolinea come fin dalle prime uscite in pubblico dell’odierno Presidente del Consiglio sia stato possibile notare la sua volontà di mostrare un velo di avversione ai corollari della rappresentanza politica che facevano (fanno) da contesto agli albori della sua ascesa politica, esibita anche in alcuni degli hashtag così tanto evocativi che facevano da contorno alle prime uscite sul popolare social network Twitter, del quale Renzi è assiduo frequentatore, come ad esempio: #rottamare o #cambiaverso. Questa strategia iniziale dal mostrarlo come privilegiato enunciatore di problemi, però, è finita col generare quell’immagine di Leader dalle cadenze populiste, il più delle volte autoreferenziali. È bastato poco perciò per far sì che Renzi si presentasse come l’ultima tappa del percorso dialettico del conflitto all’interno della politica italiana, la negazione della negazione, la “Sintesi”, dove soggiacciono sia gli elementi che gli avevano garantito, e che a tutt’oggi continuano bene o male a garantirglielo per inerzia, quel minimo di successo: La giovane età, la modernità e l’estraneità rispetto a un contesto gerontocratico e ascrittivo; sia l’incapacità della politica - mediatizzata, personalizzata e svuotata di tutto - di avvicinarsi solo lontanamente a una regolazione propositiva. A fare i conti con questa situazione in primis è stato senza dubbio il Partito Democratico, da sempre caratterizzato da un amalgama di correnti, il quale ha osservato questa volta, in maniera anche abbastanza disarmata, la penetrazione della postmodernità all’interno del suo apparato, con tutte le conseguenze che questa implica.

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Prima tra tutte il Partito democratico ha dovuto fare i conti con una forte personalizzazione, devianza del sistema partitico dalla quale non si era mai sentito percosso. Fin dalla sua creazione nel 2007, infatti, i quadri del partito nato dall’unione tra DS e Margherita hanno sempre utilizzato meccanismi alquanto plebiscitari per la selezione del Segretario, celando scelte già accuratamente pianificate dietro la prassi delle Primarie; meccanismo che questa volta tuttavia non ha funzionato lasciando spazio alla logica che potremmo definire Mediatica, ovvero, “la preferenza per i personaggi telegenici, abili nella dialettica, pronti alla battuta” [Mazzoleni 2012]. Ed ecco allora che la macchina PD si è trovata, e si trova tuttora, di fronte a quella che Van Zoonen definiva “costruzione del politico come persona con le proprie peculiarità individuali piuttosto che come rappresentate di un partito o di un’ideologia” [Van Zoonen 1998], o ancora come emerge in Pasquino:

Il candidato fa aggio sulla sua organizzazione di appartenenza. Il suo nome diventa più significativo del nome della sua organizzazione e da essa svincolato. Ciò che dice assume più rilevanza del programma del suo partito [Pasquino 1990].

È palese come la fattività di facciata e l'attenzione data al Marketing politico 2.0, espletato soprattutto in TV e sui social network, siano stati per Matteo Renzi dei forti coadiuvanti alla deriva verso la Personalizzazione e la Leaderizzazione. Potremmo dire che entrambi i fenomeni, che stanno caratterizzando la sua azione politica, si accentuino ulteriormente all’interno di spazi informali caratterizzati dalle ridotte distanze, quali sono appunto le piattaforme sociali e le trasmissioni televisive che verranno analizzate successivamente. Lo stile delle pubblicazioni, come quello delle sue apparizioni televisive è sempre informale, con un pragmatismo opinabile e con l’ausilio di un citazionismo e delle analogie spesso banali, Renzi vuole che le persone – ascoltatori, utenti o followers che siano - lo considerino come il leader della porta accanto e che si possano immedesimare nei suoi modi disinvolti, nel suo linguaggio semplice e allo stesso tempo enfatico ed evocativo.

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Va da sé che questa forma di Ibridazione tra social network e Televisione non ancora fortemente sperimentata in Italia, se non nella campagna elettorale delle elezioni politiche del 2013, abbia progressivamente sostituito la sezione (o il circolo) come luogo di confronto diretto tra rappresentanti istituzionali e cittadini, ponendo il Partito Democratico di fronte a un altro effetto della Postmodernità Renziana, ovvero il crollo del numero dei tesserati che tra il 2013 e il 2014 è sceso da 500mila a 100mila. Nella politica 2.0 del nuovo Presidente del Consiglio perciò si è palesato come lui stesso allo spazio fisico, seguito da un bacino di utenze ristretto, preferisca lo spazio mediatico, che gli conferisce una più ampia e istantanea visibilità. Anche il tempo dunque, considerato come istantaneità dei messaggi trasmessi, è un fattore così importante da essere descritto come un catalizzatore di questa nuova politica immediata, flessibile, e incerta. È chiaro come, nel momento in cui l’incertezza investe i contenuti delle proposte di una parte politica, la necessità imprescindibile sia quella di colpire il cognitivismo di chi osserva effettuando delle categorizzazioni retoriche nei confronti della realtà sociale e delle raffigurazioni di altri soggetti politici, soprattutto tramite l’ausilio di metafore, di frasi a effetto e di analogie. Ed è proprio da qui che le successive parti di questo lavoro si svilupperanno, cercando di fare chiarezza su quanto il rapporto tra Governo e altre parti sociali, specialmente i Sindacati, sia distorto dalle strategie comunicative poste in essere da Matteo Renzi. Il Lavoro prende in considerazione alcune sue interviste, apparizioni televisive, conferenze stampa e pubblicazioni “social”, cercando di mostrare quanto le strategie di Framing stiano influenzando la composizione del conflitto tra i Soggetti succitati.

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PARTE SECONDA

Dinamica e dialettica del conflitto tra Governo e rappresentanze sindacali. Nonostante le continue parabole Del Primo Ministro sulla necessità di lasciare i conflitti fuori dall’arena politica si può ben concepire, pur senza andare a scomodare la legge della compenetrazione degli opposti, come interessi contrapposti siano riscontrabili in tutti i campi sociali caratterizzati dalla compresenza di gruppi, organizzazioni o entità politiche diverse.

“C’è un disegno che vuole dividere il mondo del lavoro, c’è l’idea di fare del lavoro il mondo dello scontro (…) C’è una parte del Sindacato che pensa di fare del lavoro il terreno dello scontro, secondo me questo è un errore (…) Io non ho problemi con il sindacato, io ho un problema con il sindacato che fa politica”. [Matteo Renzi, Intervista del 4 Novembre 2014 a “Ballarò” in onda su Rai 3]

Oltre la volontà di congegnare una suggestiva immagine che vada contro lo stereotipo di una politica costruita su di una divergenza di interessi, quello che è necessario sottolineare è come in ogni suo intervento Matteo Renzi confini il conflitto in una gabbia di incongruenze. Da una parte questo viene considerato come una condizione irrazionale nella relazione di gruppi tra loro posti in una naturale condizione antinomica - naturale perché connessa alla loro essenza ontologica - mentre dall’altra parte tenta di estraniare una parte degli attori che nei processi democratici sono per natura coinvolti all’interno del processo di Dialogo/Conflitto, come i Sindacati per l’appunto.

“Quando si parla di lavoro noi non siamo impegnati in uno scontro del passato, ideologico, noi non siamo preoccupati di Margaret Thatcher (…) noi quando pensiamo al mondo del lavoro non pensiamo a Margaret Thatcher, noi pensiamo a quelli a cui non ha pensato mai nessuno in questi anni, a quelli che vivono di co.co.co e co.co.pro e sono condannati a un precariato a cui il Sindacato ha contribuito”. [Matteo Renzi Videoconferenza da Palazzo Chigi pubblicata su Twitter il giorno 19 settembre 2014].

Considerando la natura del conflitto, a maggior ragione quello politico, una natura soggettiva-percettiva; è facilmente comprensibile quanto da questa possa derivare il ruolo essenziale della rappresentazione data delle parti in causa.

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All’interno di quest’ultimo estratto della videoconferenza è possibile notare diversi fattori in grado di viziare il modo stesso di percepire lo scontro. Questi fattori sono in linea con quelli rilevati da Ury e Smoke nell’articolo “Anatomy of a crisis” pubblicato nel testo Negotiation theory and practies del 1991. Accrescere la sensazione di incertezza nei confronti dell’operato della controparte; Ridurre la disponibilità temporale percepita e sottolineare l’urgenza ad agire; Limitare la percezione delle opzioni percorribili; Alimentare l’aspettativa sulla posta in gioco. Questi fattori possono così fungere da “leve strategiche” azionabili intenzionalmente (Ury e Smoke 1991). Da quanto emerso si evince che la dinamica del conflitto trova nella strategia comunicativa Renziana un andamento bi-direzionale, da un lato vorrebbe far trapelare lo scopo di stemperamento della contesa, mentre dall’altro non riesce a discernere correttamente l’escalation del conflitto perché considerate semplicisticamente tutte le potenziali conseguenze dell’esclusione di una possibile negoziazione. Quello che Renzi predispone è una relazione di interdipendenza a somma zero con le rappresentanze dei lavoratori, confluibile nella dinamica win-lose, attraverso la quale ogni guadagno - sempre che di guadagno si possa parlare - avviene solamente a spese della controparte. La strategia perpetrata da Renzi sottostà alla generalizzazione della controparte, generalizzazione che ne rimarca i fini e i risultati, più o meno reali, di quel conflitto ideologico (limitandosi solo a questo), che viene aprioristicamente considerato negativo. Renzi, infatti, argomenta utilizzando una linguistica di assolutizzazione negativa, come in questo caso tramite opinioni e pregiudizi fondati su una base informativa limitata, o anche distorta, e su schemi cognitivi parziali non sempre dotati di una propria coerenza interna. “A quei Sindacati che vogliono contestarci, chiedo, dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia che ha l’Italia? L’ingiustizia tra chi il lavoro ce l’ha e chi il lavoro non ce l’ha, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi è precario e soprattutto a chi non può pensare a costruirsi un progetto di vita perché si è pensato soltanto a difendere le battaglie ideologiche e non ai problemi della gente”.[ Matteo Renzi, Videoconferenza da Palazzo Chigi pubblicata su Twitter il giorno 19 settembre 2014].

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Ora se in termini di conflitto, quello positivo e fisiologico definito anche come una “contraddizione motrice”, viene assolutizzata in maniera negativa una delle due parti, è chiaro che l’esito è la preclusione di qualsiasi rapporto di negoziazione reciproca e simmetrica all’interno del contesto considerato. Come evidenzia anche Castells:

“Se le probabilità di riuscita di un’azione politica dipendono dalle qualità percepite di una persona, una campagna efficace deve esaltare le qualità del candidato gettando al tempo stesso un’ombra sull’avversario (…) il killeraggio politico diviene l’arma più potente nella politica mediatica” [Castells 2009].

Di fronte a quanto già detto è interessante vedere come ci sia anche un annullamento emotivo dell’avversario, che però non avviene tramite una contrapposizione diretta e totalizzante. È uso del Premier, infatti, esibire anche in maniera ostentata il sentimento di “rispetto” che nutre nei riguardi delle rappresentanze sindacali: “Io quando penso al sindacato penso alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici. Il sindacato sta facendo una campagna politica, io lo rispetto, ma credo che abbia una responsabilità storica perché in questi 20 anni ha perduto l’occasione di rappresentare la mia generazione o la generazione dei precari”. [Matteo Renzi, Intervista a “In ½ ora” del 30 Novembre 2014 in onda su Rai 3] O ancora “Quelle come quella di ieri sono manifestazioni politiche, e io le rispetto e non ho paura che si crei a sinistra qualcosa di diverso – dice Renzi – Sarà bello capire se è più di sinistra restare aggrappati alla nostalgia o provare a cambiare il futuro“. [Matteo Renzi, Intervento conclusivo alla Leopolda del 26 Ottobre 2014 ] “Il governo deve parlare con il Sindacato e ascoltarlo, è ovvio che si rispetta”. [Matteo Renzi, Intervista del 27 Ottobre nella trasmissione “Otto e mezzo” in onda su La7]

Al di là delle reiterate dichiarazioni di rispetto elargite da Renzi verso le rappresentanze dei lavoratori, si capisce come questa strategia non sia altro che il palesarsi dell’ininfluenza del Sindacato all’interno di un quadro politico sempre più impermeabilizzato alle necessità del versante lavorativo subordinato. Per il Presidente del consiglio, come espresso in maniera echeggiante nei suoi interventi non conta nulla che la stragrande maggioranza di quelli che si oppongono alle sue scelte politiche siano soggetti coinvolti nelle dinamiche lavorative, elettori e persino militanti del suo partito; la loro idea va sì “rispettata”, ma puntualmente il

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Premier tende sempre verso una generalizzazione negativizzante con l’effetto di annullare la controparte. L’annullamento, prima di tutto emotivo, deriva dalla dicotomizzazione dell’oggetto: precari ai quali mai nessuno ha pensato e non precari; ideologia e problemi della gente; passato e futuro; manifestazioni e proposte concrete ecc., e successivamente vi è l’immedesimazione della sua figura con il versante nobile dell’oggetto dicotomizzato, indentifica la sua figura con il futuro, la speranza, la cura dei più deboli mentre dalla parte opposta appaiono l’ideologia, il trapassato, il precariato, i conflitti e le manifestazioni. Ora non richiede sforzo eccessivo intuire come il prodotto della retorica Renziana possa generare un effetto persuasivo e fuorviante sull’oggetto del lavoro e tutti i suoi corollari. Ora per introdurre un discorso, il quale troverà ampio sviluppo nella parte successiva, si può asserire che la proiezione che Matteo Renzi fa dei Sindacati all’interno del mondo del lavoro è caratterizzata da questa definizione sintetica che contiene uno schema interpretativo ben implicito e strumentale al modellamento della realtà, che viene quindi orientata dal comunicatore, definibile frame (incorniciamento). C’è da dire che tra i processi di modellamento del contesto, il frame è oggigiorno tra i più studiati, come chiarisce Robert Entman attraverso di esso:

“si selezionano alcuni aspetti della realtà percepita, gli si da importanza in un determinato contenuto informativo in modo da evidenziare una particolare definizione di un problema, di un’interpretazione causale, una valutazione morale, e/o una proposta di soluzione” [Entman 1993].

Si cercherà ora di capire in maniera più specifica come questo processo si sia strutturato nella dinamica rapportuale Tra Matteo Renzi e i corpi intermedi sindacali.

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PARTE TERZA

Il Framing strategico di Matteo Renzi Le esternazioni del Presidente del Consiglio sono una delle dimostrazioni di come una precisa scelta dei termini possa condurre alla definizione di un dilemma sociale entro una cornice di senso sfavorevole a certe parti in causa e che simultaneamente va a rispecchiare gli interessi di altre. Essendo il processo Framing un incorniciamento narrativo degli eventi politici e dei loro protagonisti, a questo segue una significativa influenza sulle percezioni di coloro i quali seguono il dibattito, “rimanda dunque a dinamiche di natura psicologica e sociologica che governano il meccanismo più generale dell’influenza sociale e politica” [Mazzoleni 2012]. I messaggi politici che il Presidente del Consiglio indirizza alle persone che seguono la vicenda tra Governo e Sindacati fanno parte di una strategia linguistica volta ad attivare determinati tipi di significati nella memoria semantica dell’audience. Queste strategie perciò vengono usate non solo per comunicare certi significati, ma anche per delimitare le possibili attività di discernimento che una persona potrebbe svolgere. L'obiettivo del comunicatore Renzi è di attivare in maniera delimitata e incorniciata quella che può essere la percezione dello spettatore, naturalmente essendo però la codificazione dell’individuo influenzata dai propri frame culturali le probabilità di successo aumentano quando la saturazione dal frame è elevata. Ora alla luce di quanto esposto è possibile notare che nelle sue strategie di Framing si possono trovare varie tipologie di “incorniciamento” che hanno preceduto la promulgazione della riforma del lavoro. Se si volessero elencare tassonomicamente i punti sui quali si focalizza il processo di framing ne risulterebbero tre, i quali rappresentano le issues sulle quali le dichiarazioni effettuate dallo stesso Matteo Renzi hanno cercato di produrre una costruzione interpretativa deviante, questi sono:

• Rapporto tra Governo e Sindacati sulla regolazione del mercato del lavoro.

• Compiti del Sindacato e operato nel corso degli anni.

• Regolazione degli Istituti del mercato del lavoro.

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Andiamo ora ad analizzare nei paragrafi successivi i punti appena esposti. 3.1 Rapporto tra Governo e Sindacati sulla regolazione del mercato del lavoro.

“il Sindacato fa trattative con gli imprenditori per salvare i posti di lavoro, per creare un’azienda, per l’accordo integrativo, il sindacato non fa trattative con il Governo”. “Le leggi il Governo non le scrive trattando con i Sindacati (…) Se per anni si è pensato che per fare una legge si dovesse chiedere il permesso al Sindacato, si è sbagliato”. [Matteo Renzi, Intervista del 27 Ottobre nella trasmissione “Otto e mezzo” in onda su La7]. Risulta evidente da quanto riportato come fin dagli inizi della diatriba mediatica in materia di riforma del lavoro le posizioni del Capo dei Ministri escludessero qualsiasi possibilità di negoziazione tra Governo e le parti sociali rappresentative dei lavoratori.

“Io ho sempre detto che il dialogo con i corpi intermedi va benissimo, ma io non faccio trattative con il Sindacato sulle leggi”. [Matteo Renzi, Intervista del 4 Novembre a “Ballarò” in onda su Rai 3]. In questo caso richiamando «l’effetto framing» creato attraverso la reiterazione del “non fare

trattative” si fa riferimento alla volontà di trascurare che la disciplina legislativa può anche essere il frutto di un’attività di concertazione tra tutte le parti sociali, e che le differenze dei rapporti fra la legge e le pratiche concertative si riflettono in larga misura nel trattamento degli istituti del mercato del lavoro es. in tema di flessibilità. Facendo riferimento altre riforme del mercato del lavoro, si può notare come tutta la legislazione che fosse di orientamento pro labour è stata il risultato di un accordo concertativo (vd. Legge 196/1997 e 247/2007), mentre tutti i decreti poi tramutati in legge che sono conseguiti a una concertazione asimmetrica o addirittura del tutto assente erano rivolti a una de-regolazione maggiore e ad una non considerazione di politiche attive del lavoro. La volontà di incorniciare il discorso su un’assoluta autonomia del Governo nel redigere decreti, che come nel caso del Jobs Act sono poi diventati leggi, e sull’autosufficienza governativa e ministeriale nel trattamento di materie riguardanti la regolazione del mercato del lavoro - tralasciano l’importanza di dare la possibilità alle parti sociali di far valere e

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mettere al servizio dell’interesse generale le competenze in tali temi – influisce notevolmente su un’eventuale interpretazione soggettiva delle informazioni. Il metodo concertativo, che consentirebbe perciò il coinvolgimento dei sindacati nelle decisioni del Governo e delle Camere sui temi del lavoro, viene liquidato apriori dalla retorica del Premier, all’interno dell’immagine “framed” quindi non viene svolto alcun riferimento in relazione a quanto il ridimensionamento o l’annullamento del ruolo della concertazione “costituisca un contesto sia economico che politico istituzionale meno favorevole all’azione sindacale, specie nei settori nuovi dell’economia e per le nuove forme di lavoro” [Cella, Treu 2009].

3.2 Compiti del Sindacato e operato nel corso degli anni.

Essendo compito del frame dare orientamento, coerenza e significato alle argomentazioni esposte in modo tale da costruirne una visione, più o meno reale, ed essendo importante anche come queste incorniciature vengano rielaborate a livello cognitivo dai singoli individui che fungono da pubblico, è molto importante che la presentazione delle rappresentanze dei lavoratori suggerisca un particolare tracciato di storia, che ne chiarisca l’essenza e le causali del loro operato, corredando così le argomentazioni di un criterio strumentale per consentire una comprensione distorta della natura stessa del Sindacato. È perciò chiaro che il Presidente del Consiglio riferendosi all’operato del Sindacato si soffermi su certi punti negativizzanti tralasciandone altri. “Il Sindacato tratta con gli imprenditori le condizioni di lavoro di chi sta in fabbrica, in azienda o in un call center… quando se lo ricorda”. “il ruolo del Sindacato è occuparsi di chi non si occupa”. “Sa perché io sono colpito dalla piazza, perché se si riuscisse a entrare nel merito si capirebbe che il Jobs Act è una riforma che toglie gli alibi (…) al sindacato che in questi anni si è occupato di altro”.[Matteo Renzi, Intervista del 4 Novembre a “Ballarò” in onda su Rai 3]. “Cercare di annullare quello che è stato fatto sul Jobs Act, per aprire l’ennesimo dibattito ideologico, che capisco tra i tanti professionisti che per anni hanno studiato questa materia qua, li capisco e li rispetto, solo che noi mentre loro discutevano, noi in 10 mesi l’abbiamo fatto”

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“io credo che la lettura della società che danno alcuni, convinti che la società sia il mondo delle categorie, sia una lettura fuorviante che andava bene 30 anni fa”. [Matteo Renzi, Conferenza di fine anno a Palazzo Chigi 24 Dicembre 2014]. “Sbloccare l’incantesimo sul mondo del lavoro a mio giudizio è la più grande campagna culturale dentro la sinistra. Noi ci siamo divisi in modo profondo tra quelli che volevano cambiare il precariato organizzando le manifestazioni e chi voleva farlo organizzando convegni, noi pensiamo che il precariato si combatta cambiando la mentalità delle nostre imprese, dei nostri giovani. C’è bisogno di passione, entusiasmo e determinazione”. Naturalmente la retorica Renziana tenta come sempre di percuotere i criteri di giudizio del pubblico andando a rivangare l’oramai inflazionato sentimento di diffidenza e scetticismo su qualsiasi forma di rappresentatività - in questo è possibile riconoscere il frame in affermazioni come: “sindacato che in questi anni si è occupato di altro”; “occuparsi di chi non si occupa”; “Il Sindacato tratta le condizioni di lavoro quando se lo ricorda” – e sull’anacronismo il quale secondo il suo parere si riscontra in alcune istituzioni del lavoro – “mondo delle categorie”; “quelli che volevano cambiare il precariato organizzando le manifestazioni e chi voleva farlo organizzando convegni”; “tanti professionisti che per anni hanno studiato questa materia  mentre loro discutevano, noi in 10 mesi l’abbiamo fatto”. Gli  Individual Framimg Effects, ovvero le rielaborazioni cognitive delle persone verso le quali è rivolto il messaggio, risentono di questa impostazione, vale a dire del peso rilevante che le informazioni negative assumono in ogni processo di giudizio. Come evidenzia anche Mazzoleni:

“questi effetti sono l’eventuale cambiamento di opinione su un tema politico (…) l’acquisizione di nuove conoscenze e di determinati modi di vedere la realtà, e la possibile conseguente condotta o decisione” [Mazzoleni 2012].

 

In questo caso la parte puntualmente dissimulata dai vari messaggi corrisponde alle reali cause di scarsa sindacalizzazione e rappresentatività riscontrabili nel dualismo del sistema produttivo, nell’aumento della flessibilità e della conseguente frammentazione del mercato del lavoro unite alle perpetrate politiche di esclusione attuate già in passato. Quello attuato in questo caso non è altro che un “frame episodico” [Iyengar 1991] il quale altro non concerne che la considerazione di circostanze immediate e facilmente assimilabili,

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tralasciando per l’appunto considerazione di più ampio respiro che vanno a evidenziare le reali causalità. 3.3 Regolazione degli Istituti del mercato del lavoro

Chiaramente la discussione sugli istituti del mercato del lavoro rappresenta il punto di approdo sia del discorso intrapreso in questa sede, sia del processo dialettico/linguistico di Matteo Renzi. Con questo ultimo punto si vede completata la sua operazione di inquadramento attuata nella rappresentazione della situazione lavorativa, nei confronti di rappresentanze dei lavoratori e nei rapporti istituzionali che con loro si intrattengono. La successione logica dei punti consente di comprendere in maniera più chiarificatrice la dinamica del processo di Framing e su come questo dia il senso voluto agli argomenti descritti intessendo collegamenti tra i punti succitati creando una saturazione della cornice. Il Frame, quindi:

• definisce i problemi: determinano ciò che un agente causale sta compiendo con costi e benefici che esso comporta, in genere misurati in termini di valori culturali comuni;

• diagnostica le cause: identificando gli agenti causali che creano il problema

• formula giudizi morali: sugli agenti causali e i loro effetti

• suggerisce i rimedi: offre e giustifica trattamenti per i problemi e predice i loro possibili effetti. [Entman 1993].

Basandosi su quanto sostiene Entman si può riuscire a estrinsecare gli elementi filtranti dalle inquadrature svolte dal Presidente del Consiglio, i quali ritraggono le problematiche della precarietà utilizzando termini come: “Cittadini di Serie A e Serie B”, “i più deboli”, “quelli a cui non ha mai pensato nessuno” ecc. Questa impostazione, oltretutto, ne diagnostica gli agenti causali che in questo caso vengono ridotti alle sole politiche sindacali e al loro solo interesse nel difendere l’ideologia,

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tralasciando direttamente i reali fattori macro-economici del mercato del lavoro, formulando poi giudizi morali negativizzanti sulla stessa natura sindacale. Infine ne suggerisce i rimedi, prescrivendoli quasi in maniera taumaturgica da come si potrà notare di seguito. Si passerà ora in rassegna dell’ultima parte di estratti corrispondenti alle considerazioni sulla riforma del lavoro additata per l’appunto come rimedio necessario. “Io non ho mai visto una manovra più di sinistra del Jobs Act. Noi andiamo a combattere i co.co.co e i co.co.pro per fare i contratti di lavoro a tempo indeterminato”. [Matteo Renzi, Intervista del 4 Novembre a “Ballarò” in onda su Rai 3]. “Chi vuole andare a fare sciopero ha tutti i diritti per farlo, certo! Fanno sciopero però che per la prima ho dato 80 € a 10 milioni di persone che erano sotto i 1500 € e contro il Jobs Act che cancella i co.co.co e i co.co.pro, dando più incentivi al lavoro a tempo indeterminato.” [Matteo Renzi, Intervista a “In ½ ora” del 30 Novembre 2014 in onda su Rai 3]. “Sul dibattito del mondo del lavoro siamo al derby ideologico costante, in 10 mesi abbiamo fato una riforma del mondo del lavoro che è più flessibile, ma che è anche molto più forte, chi è sostenitore della garanzia vede maggiore tutela per il lavoratore, è un dato di fatto oggettivo”. [Matteo Renzi, Conferenza di fine anno a Palazzo Chigi 24 Dicembre 2014].

Anche in questo caso si ripropone una rappresentazione dicotomica del contesto che puntualmente contrappone il passato perverso alle future prospettive sensazionalistiche. La reiterata rimarcazione enfatica del “lavoro a tempo indeterminato” all’interno del prospetto proposto si presenta come una semplificazione che fisiologicamente cela quella che è la reale portata della riforma, la quale secondo l’impostazione strutturale concorre all’aumento della possibilità di demansionamento del lavoratore e potrà incidere anche sull’aumento ulteriore della precarizzazione del mercato del lavoro, non ridimensionando neppure la possibilità di usufruire del lavoro accessorio. Non entrando nel merito delle possibili conseguenze socio-economiche, si può comunque notare dagli estratti che la preoccupazione principale è quella non di cercare argomentazioni su come in realtà queste proposte andranno a influire positivamente sulle relazioni industriali, cosa tra l’altro euristicamente impossibile, ma di evidenziarne continuamente le

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perdite. Naturalmente la situazione prospettata da Matteo Renzi non si differenzierà dalla situazione di frammentarietà, dalla deregolamentazione e dalla bipolarità del mercato del lavoro. Pur essendo oggettiva l’equivalenza sostanziale di quanto posto nel prospetto, e cioè l’assenza di una soluzione di continuità nel graduale deterioramento del mercato del lavoro, la rappresentazione discriminata del passato e del futuro ambisce chiaramente a creare un frame enfatico che riesca a decantare una sua parte, quella della prospettiva futura, la quale altro non è che la riproduzione speculare di quel passato considerato deleterio. Nel frammento della conferenza di fine anno si può notare come il Presidente del Consiglio abbia ravvicinato parole come “flessibilità” e “tutela” le quali se già prese per la loro natura e se associate già rappresentano una contraddizione in termini. Proprio la necessità di avvicinare figure, affondando sempre nella contraddittorietà, fa emergere l’uso strumentale dell’incorniciamento rivolto a consolidare e rafforzare il modello narrativo adottato dal Premier che si centra sia sulla dequalificazione delle critiche mosse dai vari gruppi sociali facendole passare sempre come totalmente incoerenti, sia sul suggerimento di un senso complessivo che ne evidenzi la posta in gioco.

È interessante, invece, notare come rivolgendosi all’Articolo 18 Matteo Renzi faccia un uso frequente di metafore e analogie. “Il posto fisso non c’è più (…) perché è cambiato tutto ciò che circonda il mondo del lavoro, il modello fordista non c’è più, la monogamia aziendale è dovunque in crisi, cosa fa un partito di sinistra? Fa un dibattito ideologico sulla coperta di Linus (riferendosi all’art.18) o crea le condizioni per cui chi perde il posto di lavoro abbia lo Stato che gli si fa vicino e si prenda cura di lui?” “Nel 2014 aggrapparsi ad una norma del 1970 è come prendere un iPhone e dire dove metto il gettone del telefono? È come prendere un giradischi e dire dove la metto la chiavetta USB? O una macchina digitale e metterci il rullino. E’ finita l’Italia del rullino!” “Mi domando questi anni abbiamo discusso su cosa ci sia dietro al mondo del lavoro, o ci siamo limitati a un dibattito ideologico per cui l’articolo 18 è diventata la madre di tutte le nostre preoccupazioni?”

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Qual è in questo caso l’utilità della metafora? Si potrebbe sostenere che una delle funzioni riservategli sia quella di attenuare i toni dell’opposizione a questa norma e di sminuirne i contenuti da sempre fortemente difesi. Il calo di solennità da sempre riservata alla trattazione dello Statuto dei Lavoratori ribalta naturalmente l’approccio attuato dalle rappresentanze dei lavoratori, che fino ad ora hanno mostrato l’Articolo 18 come l’esito di grandi conquiste lavorative; questo favorisce l’interiorizzazione da parte dell’ascoltatore di una non importanza rispetto a un depotenziamento della norma stessa. L’utilizzo di questi artefici argomentativi era stato già rilevato da uno dei più importanti rappresentanti della linguistica cognitiva, George Lakoff, mostrando come i politici li impiegassero per persuadere i cittadini sulla giustezza di una scelta politica. Come emerge anche dalla descrizione di metafora che Norman Fairclough, riferendosi a Lakoff, da nel testo Political Discours Analysis:

La metafora è una definizione persuasiva, e dovrebbe essere vista come parte dell’argomentazione per definizione o per analogia (…) con l’intento di descrivere qualche aspetto della realtà (…) Se si vede come parte della definizione persuasiva si può comprendere come il framing funzioni: dire che un argomento è framed in un certo modo è riconoscere che la formulazione linguistica di certe affermazioni favorisce o implica certe conclusioni e non altre [N. Fairclough I. Fairclough, in Mazzoleni 2012].

Riferendosi all’articolo 18 utilizzando definizioni come “rullino”, ”gettone”, “Coperta di

Linus”, “Madre di tutte le preoccupazioni” l’immagine che ne viene fuori è un’immagine fragile e non sufficientemente esplicativa del reale valore che porta con sé l’oggetto trattato. Le sembianze riduzionistiche sono però necessarie nel caso in cui si voglia tematizzare lo Statuto dei Lavoratori come uno strumento anacronistico e di scarsa consistenza, che perciò lo connotano in contrasto con il panorama soave assiduamente incitato.

Alla luce di quanto mostrato e dei risultati politici ottenuti dal Jobs Act, al Senato e alla Camera, sembra evidente che il dibattito “Framed” altro non è stato che un espediente per nascondere l’oggettività di un argomento, ovvero la continuata deregolamentazione del lavoro, esprimendo il proprio modo di concepirlo e contemporaneamente presentarlo con l’ausilio di un riduzionismo esclusivamente referenziale.

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Mutuando le parole di Entman per l’argomento trattato, potremmo dire che la realtà sociale del lavoro con tutti i suoi corollari è “un caleidoscopio di potenziali realtà, ciascuna delle quali può essere prontamente evocata alterando il modo in cui le osservazioni sono incorniciate e classificate” [Entman 1993].

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CONCLUSIONI

Riallacciando ora le parti del lavoro sviluppato si riesce a concepire come il Framing svolga un ruolo fondamentale nella creazione e nella discussione su dei problemi sociali, e come gli attori politici, nel nostro caso Matteo Renzi, identifichino in base alla loro necessità condizioni e problematiche di contesti economico-sociali-politici e le incornicino in modo da predisporre una struttura informativa maggiormente desiderabile. Come già più volte ricordato, gli attori politici impegnati in attività di agenda possono utilizzare frame per diversi scopi come trovare sostegno, costruire coalizioni, manipolare figure, fare affermazioni e tipizzare problemi. Il fatto che questa strategia retorica venga messa in atto al fine di attivare frame interpretativi che considerano normale la deriva liberale e demolitrice del mercato del lavoro e al contempo l’esclusione di un attore politico come il Sindacato dalla discussione e negoziazione all’interno del dibattito della riforma del lavoro -pur trovandosi in una situazione nella quale l’evoluzione dei contesti economici e sociali evidenzia una progressiva incapacità dell’organo esecutivo di disciplinare, da solo, le relazioni socioeconomiche di una realtà sempre più complessa- mostra la necessita di dissimulare la permeabilità della sfera pubblica alla sfera privata. L’esclusione ovviamente necessita di una motivazione, e allora ecco che i Frame di responsabilità (framing of responsibility) divengono necessari. L’auto-attribuzione dei compiti di risollevamento dalla situazione creata da altri è rivolta esclusivamente alla necessità di garantirsi un certo livello di consensi, è chiaro poi che a seconda del modo in cui un problema viene indicato si possano distorcere drammaticamente le attribuzioni circa la colpevolezza sui problemi stessi, con tutte le conseguenze negative che questa distorsione comporta. In questo senso si comprende che le strategie retoriche di framing siano poste in essere per far fronte a quella condizione che Bauman, mutuando un termine dalla psicologia, definisce di “Double Bind” [Bauman 2012], ovvero quella circostanza nella quale si ha una contrapposizione tra due forze che premono bilateralmente sulla classe di Governo che

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corrispondono all’esigenza di assicurarsi consensi da un lato, e agli interessi privati che, entrati nella sfera pubblica, pretendono profitti dall’altro. Il senso delle parole e degli atteggiamenti di Matteo Renzi “inquadra” il significato degli argomenti di cui si sta parlando, rimuovendo da essi certe loro prerogative e contraffacendo sofisticamente la realtà con il fine di preservare un certo livello di consensi e di edulcorare mediaticamente la forte interdipendenza tra la politica e gli interessi privati. Oggi ciò che appare necessario è la capacità di saper costruire un re-framing, ovvero l’andare a costruire  una  prospettiva  più  ampia  che  vada  ad  allargare   la   “cornice”  data  dal  Presidente  del   Consiglio   e   che   dunque   non   si   limiti   alla   rappresentazione   della   realtà   come   semplice    

controversia   tra   “passato   e   futuro”   tra   “conservazione   e   innovazione”   tra   “ideologia   e  

speranza”.  

Il re-framing necessario dovrebbe reimpostare il discorso, che a causa di un effetto a cascata, oggi è divenuto il discorso sovrastante; questo dovrebbe trascendere l’impostazione strategica non solo negandola, poiché “negare un frame è evocare un frame” [Lakoff], ma dovrebbe andare ad arricchire con nuovi elementi la catena di pensiero che oggi si sta cercando di immagliare. Affermare esclusivamente che il “Jobs Act non è di sinistra”, che il “Jobs Act è la nuova Apartheid”, che “maggiore flessibilità crea precariato” e che “Non si creeranno nuovi posti di lavoro” non attribuisce un valore negativo allo schema pronunciato fino ad ora da Matteo Renzi, all'opposto non fa che rievocarlo. Se oggi la Comunicazione nel bilancio dei soggetti politici sta acquistando sempre maggiore valore, è fondamentale che si sappia utilizzare una linguistica cognitiva meritevole di essere definita tale, disgraziatamente questo è un elemento che non tutti hanno ancora compreso.

BIBLIOGRAFIA

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C. Ryan, W. A. Gamson; “The art of reframing political debates”, 2006. A. Florida; “Contro la democrazia immediata”, 2009. S. Bentivegna; “La politica in 140 caratteri”, 2014 Franco Angeli. G.P. Cella, T. Treu; “Relazioni industriali e contrattazione collettiva”, 2009 Il Mulino. W. Ury, R. Smoke; “Anatomy of a crisis”, 1991. G. Mazzoleni; “La comunicazione politica”, 2012 Il Mulino. R. M. Entman; “Framing: Towards Clarification of a Fractured Paradigm”, Journal of Communication n. 43, 1993. Z. Bauman; “Modernità liquida”, 2006 Laterza. K. Hallahan; “Strategic Framing”, International Encyclopedia of Communication 2008

SITOGRAFIA

www.rai.it www.la7.it www.twitter.com www.governo.it www.academia.edu