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Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”. Origini e varianti della parabola dei tre anelli, in "Le Tre Anella. Al crocevia spirituale tra Ebraismo, Cristianesimo e Islam",

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Quaderni di Studi Indo-Mediterranei

Direttore responsabile: Carlo Saccone

Comitato di redazione: Alessandro Grossato (vicedirettore), Daniela Boccassini(responsabile per il Nord America), Carlo Saccone

Comitato dei consulenti scientifici: Alberto Ambrosio (Uni-Paris Sorbonne, mi-stica comparata), Adone Brandalise (Uni-Padova, studi interculturali), France-sco Benozzo (Uni-Bologna, studi celtici), Daniela Boccassini (UBC Vancouver,filologia romanza), Johann Christoph Buergel (Uni-Berna, islamistica), PatriziaCaraffi (Uni-Bologna, iberistica), Carlo Donà (Uni-Messina, letterature compa-rate), Patrick Francke (Uni-Bamberg, arabistica), Alessandro Grossato (FacoltàTeologica del Triveneto, indologia), Giancarlo Lacerenza (Uni-Napoli, giudai-stica), Mario Mancini (Uni-Bologna, francesistica), Roberto Mulinacci (Uni-Bologna, lusitanistica), Carla Corradi Musi (Uni-Bologna, studi sciamanistici),Giangiacomo Pasqualotto (Uni-Padova, filosofie orientali),Tito Saronne (Uni-Bologna, slavistica), Mauro Scorretti (Uni-Amsterdam, linguistica), Giulio So-ravia (Uni-Bologna, maleo-indonesistica), Kamran Talattof (Uni-Arizona, irani-stica), Carlo Saccone (storia del pensiero islamico), Ermanno Visintainer(ASTREA, filologia delle lingue turco-mongole)

La rivista “Quaderni di Studi Indo-Mediterranei” (QSIM) ha sede presso il Dipartimen-to di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bologna, Via Cartoleria 5, 40124Bologna, ed è sostenuta da amici e studiosi riuniti in ASTREA (Associazione di Studi eRicerche Euro-Asiatiche). La posta cartacea può essere inviata a Carlo Saccone, all’in-dirizzo qui sopra indicato. Sito web ufficiale della rivista:http://www2.lingue.unibo.it/studi%20indo-mediterranei/sito in inglese: http://qusim.arts.ubc.ca/Ulteriori materiali e informazioni sul sito parallelo di “Archivi di Studi Indo-Mediterra-nei” (ASIM)http://www.archivindomed.altervista.org/Per contatti, informazioni e proposte di contributi e recensioni, si prega di utilizzare unodei seguenti indirizzi:<[email protected]>, <[email protected]>, <[email protected]>Per l’abbonamento alla rivista, e per gli arretrati, si prega di contattare l’Editore:www.ediorso.it

Edizioni dell’OrsoAlessandria

Quaderni di StudiIndo-Mediterranei

VI(2013)

Le Tre AnellaAl crocevia spirituale tra Ebraismo,

Cristianesimo e Islam

a cura di

Alessandro Grossato

© 2014Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.via Rattazzi, 47 15121 Alessandriatel. 0131.252349 fax 0131.257567e-mail: [email protected]://www.ediorso.it

Realizzazione editoriale a cura di ARUN MALTESE ([email protected])

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente persegui-bile a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41

ISBN 978-88-6274-521-5

INTRODUZIONE 1

Al crocevia spirituale tra Ebraismo, Cristianesimo e Islamdi Alessandro Grossato 3

CONTRIBUTI 17

Abraham und die abrahamitischen Religionen Judentum, Christentum und Islam

di Edmund Weber 19

Prospettive iranologiche su Ebraismo, Cristianesimo e Islamdi Andrea Piras 35

Il Testamento di Salomone: dall’ambiente giudaico (o giudeo-cristiano) alla riscrittura araba

di Augusto Cosentino 53

Juifs et musulmans dans la littérature médiévale allemande. Tolérance ou intolérance ? Quelques aspects

di Danielle Buschinger 71

La verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”: varianti medievali della parabola dei tre anelli

di Alessandro La Monica 87

The Pearl, the Son and the Servants, in Abraham Abulafia’s Parabledi Moshe Idel 103

Mobilità ebraica nell’Adriatico meridionale tra Tre e Quattrocento: il caso degli Ibn Šoham

di Fabrizio Lelli 137

Indice

Beatificatio, Baraka, Contractio, Tzimtzum. Nicola Cusano e Le Tre Anelladi Cesare Catà 161

Geografie dell’invisibile: Sulla dottrina del Paradiso nel pensiero di Giovanni Pico della Mirandola

di Raphael Ebgi 181

Catholic Madonna in a Muslim village: Sharing the Sacra in a Bosnian Waydi Mario Katić 203

I pilastri del mondo: gerarchie occulte nelle religioni abramitichedi Stefano Salzani 219

Elijah, al-Khidr, St George, and St Nicholas: On Some Jewish, Christian and Muslim Traditions

di Ephraim Nissan 237

UNA LETTURA TRA ORIENTE E OCCIDENTE 277

La Stella e l’Arconte. Per un’iconologia dei Magi evangelicidi Ezio Albrile 279

L’INTERVISTA 301

Intervista del regista italiano Louis Nero a Carlo Saccone (Padova, Cappella degli Scrovegni, 19 settembre 2012) in vista della preparazione di un film-documentario su Dante l’Islam e l’Ebraismo(“Il Mistero di Dante”, L’Altrofilm) 303

RECENSIONI 315

BIOGRAFIE E ABSTRACTS 345

VI

Indice

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”: varianti medievalidella parabola dei tre anelli*

di Alessandro La Monica

O celato nel celato…Aṭṭār

Rispetto alle precedenti versioni in latino, i testimoni italiani due-trecenteschidella parabola dei tre anelli (il racconto LXXIII del Novellino, la terza novelladella prima giornata del Decameron e l’episodio dell’Avventuroso siciliano diBosone da Gubbio), sembrano caratterizzarsi a livello strutturale per la presenzadi elementi di origine orientale come, in primo luogo, la cornice che contienel’apologo. In tale cornice, com’è noto, uno dei personaggi, l’ebreo, risponde alquesito sulla vera fede postogli dal Saladino raccontandogli la vicenda del padremorente che, fatte realizzare due copie di un suo prezioso anello, le lascia, assiemeall’originale, a ciascuno dei tre figli, senza che questi riescano, però, a individuarel’esemplare autentico. Si tratta dunque di una cornice-dialogo1, che si fa veicolodi insegnamenti di carattere morale o filosofico e si riscontra in opere diprovenienza orientale quali ad esempio il Calila e Dimna. Un altro espedienteformale che denuncia la medesima origine è, nel Decameron, il sistema a scatolecinesi per cui uno dei personaggi, l’ebreo, si fa a sua volta narratore di una storia,replicando in piccolo il racconto dei dieci novellatori.

Lasciando per il momento la dibattuta questione sulle origini orientalidell’apologo e venendo ai numerosi testimoni latini2 della parabola dei tre anelli,si nota come l’exemplum LXXXIX dei Gesta Romanorum (fine secolo XIII) e ilCCCXXXI del Tractatus de diversis materiis predicabilibus di Étienne deBourbon condividano due importanti elementi comuni: la virtù terapeutica di unodegli anelli e la predilezione del padre per uno dei tre figli (figlie nel Tractatus di

«Quaderni di Studi Indo-Mediterranei», VI (2013), pp. 87-102.

* Quando non altrimenti indicato le traduzioni dei brani citati in nota sono mie. Ringrazio per i lorosuggerimenti i Professori Carlo Ginzburg, Johannes Bartuschat, Georges Güntert e Tatiana Crivelli. Uncaloroso ringraziamento anche agli amici Maxime Chapuis, Francesco Ronco e Nikoloz Shamugia.

1 M. Picone, Preistoria della cornice nel Decameron, in Studi di Italianistica in onore di GiovanniCecchetti, a cura di P. Cherchi e M. Picone, Longo, Ravenna, 1988, p. 95, n.14.

2 Sulla distinzione tra versioni confessionali e aconfessionali vedi M. Penna, La parabola dei tre anellie la tolleranza nel Medio Evo, Torino, Gheroni, 1952.

Étienne). È noto, grazie alle ricerche di Marc Bloch, che gli anuli medicinales,usati fin dall’antichità come strumenti di magia medica, assunsero nel Medioevouna valenza religiosa di cui i sovrani europei si servirono per legittimare il loropotere. A questo proposito Bloch cita la leggenda secondo cui i re inglesi, inpossesso di speciali anelli realizzati attraverso la fusione delle monete che ognisovrano offriva durante la cerimonia del venerdì santo, sarebbero stati in grado diguarire i malati di epilessia. Tale fenomeno, tuttavia, non era proprio della solaInghilterra, se in uno scritto di Bernardino da Siena si lamenta la presenza di anellifusi proprio durante il venerdì santo («Contra malum gramphii portant anulosfusos dum legitur Passio Christi»)3. Non pare dubbio, perciò, che quando neitestimoni menzionati sopra si legge di anelli che hanno “efficaciam contrainfermitatem” (Étienne) o che possono “varias infirmitates et languores animecurare” (Gesta Romanorum) ci si ricolleghi a una tradizione in cui l’anello agivain qualità di signaculum fidei.

Se ora confrontiamo questi testi apologetici con i tre racconti italiani siamo ingrado di apprezzare tutta la novità di questi ultimi.

È innanzitutto con il primo esempio italiano, cioè con il racconto LXXIII delNovellino, che scompare la superiorità di una fede sulle altre e che la storia vieneincorniciata dal dialogo fra un sultano orientale, il Soldano (che diventerà“Saladino” negli altri due testi italiani), e un ebreo il quale, intuendo l’inganno daparte del re, si sottrae all’insidia narrando l’apologo degli anelli. Questo, comesappiamo, è lo schema che accomuna tutti i testi italiani, quando si prescinda,però, da importanti differenze.

Da una veloce comparazione testuale emerge come sia Boccaccio che Bosoneabbiano letto il Novellino. Boccaccio tuttavia si servì anche di altre fonti, oltre alNovellino, come mostra ad esempio il motivo della largesse del Saladino (presentein testi tedeschi4): un tratto, questo, che modifica alquanto la caratterizzazione ditale personaggio rispetto al Novellino e all’Avventuroso.

Un altro degli elementi più innovativi e polemici che emergono dal testo dellaterza novella del Decameron è la sfiducia totale nella capacità dell’uomo di

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3 M. BLOCH, I re taumaturghi, Torino, Einaudi, 1989, p. 126, n. 7 [ed. or.: M. BLOCH., Les roisthaumaturges, Strasbourg, Publications de la Faculté des Lettres, 1924]. Cfr. anche H. BIEDERMANN, KnaursLexicon der Symbole, München, Droemer Knaur, 1989, pp. 361-2 alla voce Ring.

4 Si vedano ad esempio alcuni testi del poeta austriaco Jans Enikel (Weltchronik, vv. 26652-26654: «voneinem künigwil ich iu sagen,/ der was geheizen Salatîn./ zwâr der kund niht milter gesîn») [voglio parlarvi diunre,/ che era chiamato Saladino./ Veramente non poteva essere più generoso»] e di Walther von der Vogelweide(«denk an den milten Salatin:/ der jach daz küneges hende dürkel solten sîn» [«pensa al generoso Saladino,/che ha spiegato che le mani di un re dovrebbero essere bucate»; c. n.], citato in E. Lommatzsch, Beiträge zurälteren italienischen Volksdichtung, vol. IV, 3, p. 119, in «Zeitschrift für Romanische Philologie», LXV, 1949,p. 119.

Alessandro La Monica

decifrare la realtà trascendente. Si legga come Neifile introduce la novellaprecedente: «Mostrato n’ha Panfilo nel suo novellare la benignità di Dio nonguardare a’ nostri errori quando da cosa che per noi veder non si possaprocedano» (Dec. I, 2, 3; c. n.). Gli “errori”, qui, sono quelli di chi crede nellasantità del Ciappelletto della prima novella; ma il termine ritorna, con altrosignificato, anche nel prosieguo del racconto, a proposito dei tentativi di Giannottodi convertire Abraam: «lo ’ncominciò a pregare che egli lasciasse gli errori dellafede giudaica e ritornassesi alla verità cristiana» (Dec., I, 2, 6; c. n.). Ora, ciò chenelle prime tre novelle non appare più funzionare come misura della “verità” diuna fede è proprio il criterio vero/falso. Come prima in Decameron, I, 1 la fededei credenti veniva alimentata dagli inganni di Ciappelletto, così nella novellasuccessiva Abraam si converte al cristianesimo dopo aver visto la corruzione dellaChiesa, che invece avrebbe dovuto tenerlo lontano. Al criterio di verità Boccacciosostituisce quello implicito nell’avverbio “dirittamente” leggibile nella con clu -sione di Decameron I, 3: «ciascun la sua eredità, la sua vera legge e i suoicomandamenti dirittamente si crede avere e fare […]» (par. 16). L’avverbio èsignificativo, e può valere sia “a buon diritto”, che “dato direttamente da Dio,senza mediazioni”. Probabilmente Boccaccio allude al primo significato, che èanche quello più dirompente: ognuno crede a buon diritto, a ragione, di possederela vera fede, in quanto ciò che veramente importa non è la mediazione della lex,cioè l’aspetto legalitario dei singoli culti, ma ciò che li accomuna tutti, ossial’amore per Dio (che in Dec., I, 3 corrisponde all’eguale amore dei tre figli,ricambiato impar zialmente dal padre).

Il principio della doppia verità5, elaborato dalla filosofia araba eterodossa,intendeva la religione o come insieme di norme particolari finalizzate a mantenerel’ordine sociale (interpretazione destinata alla maggior parte dei credenti) o,filosoficamente, come tensione-amore verso un Essere trascendente, al di là deiculti particolari (la cui “verità” non può essere dimostrata razionalmente). Se leargomentazioni razionali non sono più sufficienti a individuare la vera fede (comesosteneva Tommaso), tanto più inadeguati saranno i miracoli dell’anello, narratidalla tradizione apologetica e assenti, non a caso, nella novella di Boccaccio: giàin Decameron, I, 1 il lettore ha constatato quanto potessero essere ingannevoli i“miracoli” di Ciappelletto.

Non è escluso che la portata ideologica del racconto del Boccaccio sia dovuta,

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5 M. CAMPANINI, Il Profeta Giuseppe. Monoteismo e storia nel Corano, Brescia, Morcelliana, 2007, pp.30-1, l’attribuisce a Maimonide: «Di fatto, è possibile che Maimonide sia stato la vera fonte della costruzionee della diffusione nella filosofia latina medievale della cosiddetta dottrina della “doppia verità”».

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

come sostiene Muscetta,6 a un moderato occamismo dell’autore. Guglielmo diOckham, infatti, non nutriva molta fiducia nella capacità percettiva dell’uomo:persino i santi in Paradiso, egli scrive, potrebbero ingannarsi quando credono divedere Dio. Per Guglielmo, quindi, si può avere conoscenza solo di ciò di cui sipuò fare esperienza; non si può argomentare in termini razionali di Dio, come sefosse un ente sensibile, ma ci si deve semplicemente affidare alla fede che, comeaveva sostenuto Duns Scoto, ha una finalità pratica: il suo scopo non è sollecitareil raziocinio, ma agire sui comportamenti umani. Se i miracoli possono essereun’ottima via alla conversione religiosa, essi restano comunque del tuttoinverosimili per la scienza:

Et sic articuli fidei nec sunt principia demonstrationis nec conclusiones, nec suntprobabiles, quia omnibus vel pluribus vel maxime sapientibus apparent falsi. Et hocaccipiendo sapientes pro sapientibus mundi et praecise innitentibus rationi naturali,quia illo modo accipitur ‘sapiens’ in descriptione probabilis7.

È un argomentazione che potrebbe fare da commento alla conclusione di Dec.I, 3, dove si esclude la soluzione miracolistica e si considera implicitamente lafacoltà percettiva dell’uomo del tutto insufficiente, ormai, a dirimere la questionesulla vera religione: lo stesso padre distingue a stento il vero anello dopo avernericevute le copie dal “buon maestro”.

Se neppure l’occhio del teologo è in grado di penetrare nelle verità eterne, amaggior ragione tale limite segna la vita quotidiana dell’uomo comune. Sel’essenza delle cose si nasconde dietro la loro apparenza, l’uomo deve limitarsi aconoscere quest’ultima, come precisa Panfilo sia all’inizio che alla fine del suoracconto8.

La comparazione fra le novelle italiane ci permette, a questo punto, grazie auna diversa interpretazione del racconto di Bosone, di complicare la divisionetroppo netta fra redazioni confessionali e aconfessionali proposta da Mario Penna.Ci sembra infatti che tale racconto, a causa della predilezione del padre per uno

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6 C. MUSCETTA, Boccaccio, Roma-Bari, Laterza, 1981, p. 183.7 G. OCKHAM, Summa totius logicae, III, 1: «Gli articoli di fede non sono principi di dimostrazione né

conclusioni e non sono neppure probabili, giacché appaiono falsi a tutti o ai più o ai più sapienti: intendendoper sapienti quelli che si affidano alla ragione naturale, giacché solo in tal modo s’intende il sapiente nellascienza e nella filosofia». Cfr. anche Dante, Par., XIX, vv. 52 ss.

8 G. BOCCACCIO, Decameron, I, 1, 5: «non potendo l’acume dell’occhio mortale nel segreto della divinamente trapassare in alcun modo, avvien forse tal volta che, da oppinione ingannati, tale dinanzi alla sua maestàfacciamo procuratore che da quella con eterno essilio è iscacciato»; Decameron, I, 1, 89: «secondo quello chene può apparire ragiono».

Alessandro La Monica

solo dei figli, rappresenti una via di mezzo tra i due filoni: una versione semi-tollerante, potremmo dire. Forse si può fare ancora un passo avanti e ipotizzareche il testo di Bosone presupponga una prospettiva ebraica. In questo senso nellafrase iniziale, spesso ricondotta alla tradizione antisemita, potrebbe al contrariorintracciarsi in trasparenza una filigrana filo-ebraica o in ogni caso non ostile agliebrei: “E dovete sapere che per tutto lo universo i Giudei sono odiati, né luogo,né signoria non hanno”. Non mancano altri elementi che vanno nella stessadirezione, come la qualifica di “savissimo” data all’ebreo e soprattutto – elementopresente nel solo Bosone – la preferenza, ricordata sopra, per il figlio maggiore,cioè, secondo alcune interpretazioni,9 per la religione più antica fra la tre, quellaebraica. Se i due anelli realizzati dal buon maestro sono copie, contraffazionidell’anello autentico, solo la prima religione, quella di Abramo, rivelata attraversola lingua del Libro, è vera, mentre le altre non sono che falsificazioni.

La saviezza dell’ebreo è sottolineata, come abbiamo visto, anche nella novelladecameroniana, che termina lasciando irrisolta la questione sulla vera fede erimanda la risposta a un altrove spaziale o temporale. Si tratta di un finale che siallontana dall’ortodossia cristiana, la quale non prevede incertezze in materia direligioni da salvare e ricorda, semmai, la conclusione aperta di due testi ebraicicome l’Or ha-sechel di Abulafia e lo Shevet Jehudah di Salomon ibn Verga, in ciòrivelandosi segretamente coerente, si direbbe, alla cultura di chi, nella novelladecameroniana, lo pronuncia, cioè l’ebreo Melchisedech. In Boccaccio,comunque, non si tratta certo di apologia per la fede ebraica (come abbiamoipotizzato, con molta cautela, per Bosone), ma di apertura a una convivenzapacifica tra le fedi: l’anello autentico è uno solo, ma l’amore del padre per i figliè imparziale («parimente tutti gli amava né sapeva esso medesimo eleggere aquale più tosto lasciar lo [l’anello] volesse»: par. 14).

Forse l’autore del Novellino ambientò la vicenda in Oriente affinché la distanzarendesse accettabile un testo che conteneva gravi implicazioni filosofiche ereligiose. Ma tale distanza è insieme incarnata e neutralizzata nella figura delMelchisedech boccacciano. Già la scelta di un nome così raro per un ebreo delXIII secolo può essere indicativa del vero scopo dell’autore, cioè quello dirichiamare la vicenda del personaggio biblico di Melchisedek (Genesi, 14, 18-20), il re di Salem (Gerusalemme) che benedice il patriarca Abramo ricevendonela decima in segno di sottomissione. Ciò che costituì subito un problema nella

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9 Vd. P. STEWART, Narrazione e ideologia nella novella di Melchisedech, in Omaggio a GianfrancoFolena, Padova, Programma, 1993, vol. 1, p. 617: «la preferenza per il maggiore significherebbe preferenzaper l’ebraismo» [ed. or.: ID., The Tale of the Three Rings (I. 3), in The Decameron. First Day in Perspective,ed. by E. WEAVER, Toronto, University of Toronto Press, 2004, pp. 89-112].

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

letteratura rabbinica fu spiegare come questo re-sacerdote, privo di genealogia(Lettera agli Ebrei, 7, 3), pur non essendo ebreo potesse esercitare la suasuperiorità sul primo patriarca ebreo, Abramo, al punto da benedirlo e ricevere dalui la decima. L’esegesi ebraica, dopo alcuni tentativi di identificarlo ora nelMessia ora in Sem (uno dei tre figli di Noé), di fronte all’offensiva cristiana chegià nella citata Lettera agli Ebrei lo rivendicava quale figura Christi, cedette, percosì dire, tale misterioso personaggio al culto cristiano. Melchisedek, dunque, “redi giustizia” e “re di pace”, non collegato ad alcuna razza né ad alcunadiscendenza, benedice la religione di Israele.

Secondo noi Boccaccio, facendo del suo Melchisedech un ebreo, soloapparentemente restituisce questa figura alla cultura ebraica: in realtàMelchisedech in Dec., I, 3 è, secondo noi, (anche) una figura cristologica.Rileggiamo:

E [il Saladino] fattolsi chiamare e familiarmente ricevutolo, seco il fece vedere eappresso gli disse: «Valente uomo, io ho da più persone inteso che tu se’ savissimo enelle cose di Dio senti molto avanti […]». Il giudeo, il quale era veramente savio uomo,s’avisò troppo bene che il Saladino guardava di pigliarlo nelle parole [c. n.].

Un suggerimento di Gaston Paris10 ci ha spinti a cercare una possibile fonte diqueste parole. Abbiamo individuato in effetti in Matteo, 22, 15 la rara espressioneboccacciana messa da noi in corsivo: «Tunc abeuntes Pharisaei consilium inieruntut caperent eum in sermone et mittunt ei discipulos suos cum Herodianis dicentes:“Magister, scimus quia verax es et viam Dei in veritate doces”». Ma anche iversetti precedenti di Matteo 21, 25-6, che riferiscono il dibattito fra i sacerdotidel tempio ai quali Gesù aveva chiesto da dove venisse il battesimo di Giovanni,ricordano il dibattito interiore del Soldano-Saladino presente nel Novellino enell’Avventuroso di Bosone, ma assente nel Decameron:

”Baptismum Ioannis unde erat? A caelo an ex hominibus?”. At illi cogitabant inter sedicentes: “Si dixerimus: ‘E caelo’, dicet nobis: ‘Quare ergo non credidistis illi?’; siautem dixerimus: ‘Ex hominibus’, timemus turbam; omnes enim habent Ioannem sicutprophetam”.

Questo monologo, richiamato dalla lettura del Novellino, può aver attivato

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10 G. PARIS, La parabole des trois anneaux, cit., p. 138: “Rien n’est plus familier à la finesse que cettemanière d’éluder une question par une autre question, et d’embarrasser le questionneur par la réponse qu’onlui arrache et dont il ne comprend pas d’abord la portée. La repartie de Jésus aux Pharisiens qui l’interrogeaientau sujet de l’impôt payé à César en offre un exemple accompli.”

Alessandro La Monica

nella memoria di Boccaccio il brano evangelico contestuale e l’espressione caperein sermone. Boccaccio, che lo aveva espunto, rivedendo in un secondo momentoquesto brano11, inserì la frase «guardava di pigliarlo nelle parole», rendendo cosìnuovamente visibile la filigrana cristologica. Il suo intento, tuttavia, non era tantoquello di presentare una figura Christi vincente sul Saladino oppressore, ma quellodi far pronunciare da una voce cristiana il messaggio eretico della sospensionedel giudizio in materia di religione.

Le perle e gli anelli

Perché il motivo degli anelli in funzione religiosa ebbe tanta fortuna inOccidente? Se può aver giocato un ruolo la sua presenza in molti testi europeid’invenzione letteraria in cui l’elemento magico era molto presente12, non bisognadimenticare d’altra parte che l’anello dei vescovi cattolici fu la naturaleprosecuzione, in altro contesto, dell’anello concesso a Roma ad alcune categoriedi persone, quali gli inviati in missione, i senatori o gli equites. Con i primiapologeti cristiani esso assunse il significato simbolico di “vera fede”: siaTertulliano che Ambrogio, ad esempio, individuarono nell’anello della paraboladel figliol prodigo il significato di signaculum fidei. Scrive il primo in Depudicitia, 9: «Anulum quoque accipit tunc primum, quo fidei pactioneminterrogatus obsignat atque exinde opimitate dominici corporis vescitur,eucharistia scilicet»;13 e Ambrogio in De poenitentia II, 3, 18, commenta:«Annulus quid est aliud nisi sincerae fidei signaculum et expressio veritatis?» e«annulum in manu ejus, quod est fidei pignus, et sancti spiritus signaculum».

Per quanto riguarda invece gli anelli con perla, di cui si ha un esempio nelTractatus di Étienne e nel racconto del Novellino, Mario Penna ha notato che ilsignificato allegorico della gemma si trova già nella storia di Barlaam e Josafat.Nella parte centrale del racconto, l’eremita Barlaam, travestito da mercante,raggiunge il giovane Josafat e lo converte al cristianesimo. Egli dice di avere consé una pietra preziosa che dà la vita ai ciechi e risana gli infermi: Josafat capiscesubito che l’oggetto simboleggia la fede salvifica. Dice Barlaam a un ministro

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11 Vd. G. Güntert, Tre premesse e una dichiarazione d’amore, Modena, Mucchi, 1997, p. 100.12 L’area semantica a cui gli anelli si rifacevano in questi testi altomedievali era quella magica: i testi epici

di matrice germanica, soprattutto scandinava, ad esempio, narrano di personaggi che grazie all’anello di cuisono in possesso si rendono invisibili e scacciano le potenze del male.

13 «Riceve allora per prima cosa l’anello con il quale, dopo esser stato interrogato, suggella il patto dellafede e quindi si nutre della ricchezza del corpo del Signore, cioè dell’eucarestia».

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

fidato di Josaphat (si noti l’uso dell’espressione lapis preciosum usata già daÉtienne):

[…] et habeo mecum lapidem preciosum cuius similis inveniri non potest […] lapis isteest omnibus bonis virtutibus adornatus, restituens cecis visum, surdis auditum, mutisloquelam, infirmis sanitatem, stultis sapientiam et fugat demones et omne bonum estin lapide isto.14

Per spiegare il passaggio dalla pietra all’anello, Penna cita un testo diriferimento della lapidaria medievale, il Liber de gemmis del vescovo Marbodo(vissuto tra il 1035 e il 1123), in cui l’autore, risalendo a Prometeo, sostiene chel’anello è il modo più adatto di portare una gemma e che talvolta è arduodistinguere le vere gemme dalle false. Non sappiamo dire quanto sia pertinente ilriferimento all’opera del vescovo Marbodo; nel seguito, in ogni caso, proveremoa dare un’altra spiegazione di questo passaggio.

La presenza della pietra preziosa si trova anche nello Shevet Jehudah diSalomon ibn Verga, pubblicato nel 1550 in Turchia come traduzione di unaraccolta di aneddoti composta in arabo da un antenato di Salomon, Juda ibn Verga,probabilmente verso la fine del XIII secolo.15 Anche qui, come nelle redazionitolleranti, abbiamo una cornice-dialogo fra l’ebreo Ephraim ben Sancho e Pietrol’Anziano (dietro cui si cela il re Pietro I d’Aragona, morto nel 1104). Questi persaggiare l’attendibilità di un suo consigliere che gli aveva parlato male degli Ebrei,chiede a Ephraim quale fosse la migliore religione fra l’ebraica e la cristiana16.Dopo aver meditato per tre giorni, l’ebreo racconta al re un fatto capitatogli: unuomo, per consolare i suoi due figli della sua partenza improvvisa per terrelontane, lascia ad ognuno una pietra preziosa. I due figli, allora, che conosconola saggezza di Ephraim, lo interrogano per sapere quale sia la pietra autentica equando questi risponde che solo il padre, esperto gioielliere, potrebbe risolvere ilquesito, i due se la prendono con l’Ebreo. Finito il racconto, il re deploral’accaduto, ma Ephraim l’interrompe paragonando i due fratelli a Esaù eGiacobbe, ai quali pure fu consegnata una gemma; quale delle due abbia maggiorvalore lo sa però solo Dio, il grande Gioielliere, per cui al re non resta cherivolgersi a Lui.

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14 Citato in M. PENNA, La parabola dei tre anelli, cit., p. 37.15 S. IBN VERGA, Das Buch Schevet Jehuda, übers. von Meir Wiener, Hannover, Carl Rümpler Verlag,

1856. Su quest’opera vd. M. NICOLAS, Le conte des trois anneaux, in “La Correspondance littéraire”, 1/9,1857, p. 232 (poi in ID., Essais de philosophie et d’histoire religieuse, 1863, pp. 225-45).

16 F. NIEWÖHNER, Veritas sive varietas. Lessing Toleranzparabel und das Buch von den Drei Betrügern,Heidelberg, Lambert Schneider, 1988, p. 107: «[…] man Dich nur desshalb vor mich geführt hat, damit Duangebest, welche von den beiden Religionen die bessere sei: die christliche oder die Deinige?».

Alessandro La Monica

Il riferimento dello Shevet a Esaù e Giacobbe potrebbe suggerire che nelracconto dei tre anelli dietro la lite tra fratelli (o sorelle) scoppiata all’indomanidella morte del padre, ci possa essere il ricordo della contesa fra i due famosifratelli dell’Antico Testamento: gli sviluppi di questo tema nella tradizioneebraica, in particolare, che descrivono le pretese arroganti di Esaù al momentodella spartizione dell’eredità paterna, potrebbero aver ispirato la conclusione dellaparabola.

Per quanto, comunque, si dichiari una preferenza per la fede ebraica, anchequi si ritrova il motivo del dio nascosto, proprio delle versioni tolleranti. Lapreferenza ci ricorda invece il testo di Bosone, dove il padre, come abbiamo visto,opta per uno dei figli: “Quelli [il figlio] che ’l padre volle fu di ciò sua reda”.

Il cuento e l’eguaglianza delle prove

Un racconto di matrice ebraica citato solo dalla bibliografia spagnola, ci riportaalla Spagna della convivencia fra le tre fedi. In questi studi17, infatti, si parla di unCuento de los tres anillos, di cui purtroppo non siamo riusciti a rintracciare iltesto originale. Si tratta di un racconto anonimo, risalente al XII secolo, cioèprecedente tutte le versioni finora ricordate. Alcuni studiosi, come Maria AntoniaDel Bravo18, lo attribuiscono addirittura a Yĕhūdāh ha-Lēwī, per il messaggioapologetico, stavolta a favore dell’ebraismo. Riferiamo il racconto secondo laversione datane da Luis Suarez Fernandez19:

Un Rey tenìa tres hijas a las que querìa mucho, si bien como es frecuente en tales casos,una de ellas era su preferida. Al mismo tiempo era propietario de un anillo de muchovalor. Querìa que este pasara a poder de la predilecta, sin que por ello se disgustasensus hermanas. Llamò a un orfebre, muy diestro, y le encargò que fabricara dos anillostan semejantes al primero que nadie pudiera descubrir la diferencia: de este modo solola poseedora del secreto podrìa saber que el suyo era el anillo legìtimo. La esplicaciònde la paràbola es que los anillos son las tres religiones pero tambièn que el pueblopredilecto disfruta del privilegio de la legitimidad. [c. n.]

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17 Cfr. M. A. DEL BRAVO, Sefarad: los judios de España, Madrid, Silex Ediciones, 2006, p. 130; J.PEREZ, Los judios en España, Madrid, Marcial Pons, 2005, pp. 50-1; M. TEDESCHI, Polemica y convivenciade las tres religiones, Madrid, Mapfre, 1992, p. 24.

18 M. A. DEL BRAVO, Safarad: los judios de España, cit., p. 130: «Es posible que [Halevi] fuese elinventor del cuento de los tres anillos, que el difundió…».

19 L. SUAREZ FERNANDEZ, A. M. LÓPEZ ALVAREZ, et alii (a c. di), El legado material hispanojudío: VIICurso de Cultura Hispanojudía y Sefardí de la Universidad de Castilla-La Mancha organizado por laAsociación de Amigos del Museo Sefardí y el Museo Sefardí de Toledo, Cuenca, Universidad de Castilla-LaMancha, 1998, pp. 19-20.

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

È probabile, come spesso viene ripetuto, che la parabola si diffondesse nelcontesto della convivencia spagnola tra le tre fedi. I contatti reciproci e il contestoplurale, anche se non pluralista, della Spagna del XII secolo, costituirono unterreno fertile per le controversie e i dialoghi tra le confessioni. La lingua volgarein cui fu redatto il Cuento de los tres anillos testimonia, inoltre, di una precedentediffusione orale della vicenda, ribadita anche da Boccaccio, due secoli dopo: «Seio non erro, io mi ricordo aver molte volte udito dire…», frase proferita attraversola voce dell’ebreo, con segreta allusione, si potrebbe supporre, alla fortuna dellaparabola presso il mondo ebraico.

Ma alla Spagna ci riconnette anche il motivo centrale della novella: lasostanziale eguaglianza delle fedi, o meglio l’indimostrabilità della veritàposseduta da una di esse. Quest’aspetto rimanda infatti al dibattito, in corso inquel paese presso alcune correnti filosofiche di matrice araba, sulla cosiddettatākāfu al-adyān, cioè sull’equivalenza delle religioni, fondata a sua volta sullaequivalenza delle prove (tākāfu al-adilla), principio escluso, dalle scienzematematiche, le quali non possono ammettere la coesistenza di provecontraddittorie. Tale concetto sembrava reagire in modo eterodosso al tema deicosiddetti “segni della profezia” (“signs of profecy”, nella critica anglosassone),sorto anch’esso in ambito musulmano nel IX secolo, ma pian piano estesosi allacultura ebraica e, in misura minore, a quella cristiana di lingua araba: ognireligione doveva dimostrare la sua “veridicità” attraverso alcuni elementi ricavatidalle Scritture, dalle tradizioni, dai miracoli e dal consenso dei fedeli. Ma se iltema dell’equivalenza, nato nell’ambito delle correnti eterodosse arabe, interessòanche la letteratura ebraica, la cultura cristiana parve interessarsene molto meno.Per quanto riguarda la prima, infatti, sono proprio due medici ebrei, sostenitoridell’equivalenza, a costituire il bersaglio di Ibn Ḥazm (994-1064), grande teologoe letterato andaluso20. Nel V libro del suo trattato storico-religioso, il Fiṣal, scrittoattorno al 1030, Ibn Ḥazm confuta le opinioni dei due medici ebrei, altrimentisconosciuti, Ismail ben Yunus e Ismail ben al-Qarrād. Quest’ultimo non accettavané rifiutava le diverse religioni, asserendo: «Una di queste opinioni è fondatasenza dubbio, ma non si può sapere quale, e Dio non l’ha resa obbligatoria pernessuno».21

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20 Suggeriscono un contatto A. CASTRO, op. cit., p. 52 e P. HENRIET, Cluny, système chrétien (XIe-XIIe

siècles). A propos d’un ouvrage récent, in “Le Moyen Âge”, t. 108, 2002, n. s. 3-4, p. 590. Sulla questione vd.M. PERLMANN, Ibn Ḥazm on the equivalence of proofs, in «Jewish Quarterly Review», 40, 1949-50, pp. 279-91; A. M. TURKI, La réfutation di scepticisme et la théorie de la connaissance dans les Fiṣal d’Ibn Ḥazm, in“Studia Islamica”, L, 1979, pp. 37-76; M. FIERRO, Ibn Ḥazm et le zindīq juif, in «Revue du monde musulmanet de la Méditerranée», 63-4, 1992, 81-9.

21 Ibidem, pp. 281.

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Il motivo dell’equivalenza delle prove sembra quindi rappresentare lo sfondoideologico della parabola nella versione tollerante, anche se come ha notato SarahStroumsa,22 l’equivalenza delle religioni potrebbe anche essere una rispostaelusiva scelta dagli Ebrei in un contesto delicato quale quello spagnolo all’epocadella dominazione islamica, caratterizzato sì dalla convivenza pacifica, ma noncerto da una piena tolleranza.

Turki cita, tra i detrattori della tākāfu al-adilla, anche due grandi pensatoricome Al-Ġazālī e Ibn al-‘Arabī. Agli scettici che metteranno in dubbio lareciproca comunicabilità dei contenuti astratti del pensiero e sosterranno chepersino le facoltà sensoriali falliscono nell’intento di intuire fedelmente il reale –tant’è che se si ordinasse a un calzolaio di copiare per sette volte un paio di scarpeche funga da modello non si troverebbe più alcuna somiglianza tra il primo e ilsettimo paio23 – Ibn al-‘Arabī risponde che il calzolaio non deve basarsi sulla solasomiglianza (cioè sulle proprie facoltà sensoriali), ma deve scrupolosamenteattenersi a un piano di lavoro preparato con minuzia prima del lavoro manuale(facoltà intellettive).

L’imitazione di un modello e la somiglianza mancata ci fanno pensare, percontrasto, alla somiglianza riuscita degli anelli, esito dell’arte del “buon mastro”delle novelle italiane. Ma la sfiducia nella percezione sensoriale dell’uomocaratterizza anche la novella di Boccaccio, sebbene riguardi non più l’artefice delprodotto ma i suoi destinatari, i tre fratelli. L’eccezione del padre è spiegabile conil suo essere imago Dei: solo il padre-Dio (nello Shevet Jehudah chiamato dergrösste Juwelier,24 il più grande Gioielliere, con allusione alla professione delpadre) sa distinguere tra gli anelli quello autentico, anche se in Boccaccio il padredà anche gli altri anelli senza rivelarne il minor pregio («segretamente diede il suoa ciascun de’ figliuoli»), come Dio dà tutte le religioni ai popoli della terra («Ecosì vi dico […] tre leggi alli tre popoli date da Dio Padre») [c. n.].

Gli antecedenti persiani

La designazione di Dio quale “grande Gioielliere” che si riscontra nello Shevet

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22 S. STROUMSA, Freethinkers of Medieval Islam: Ibn al-Rawandi, Abu Bakr al-Razi and Their Impact onIslamic Thought, Leiden/Boston/Koln, Brill, 1999, p. 210.

23 A. M. TURKI, op. cit., p. 63.24 Singolare analogia con l’opera del poeta mistico persiano F. UD-DIN ’AṬṬĀR, Il verbo degli Uccelli,

[Manṭiqaṭ-Ṭayr], a c. di C. SACCONE, Milano, Se, 1986, p. 47: «O cercatore di gioielli, distogli il cuore dallepietre preziose e cerca piuttosto, instancabile, il Gioielliere». Vd. il paragrafo seguente.

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

coincide singolarmente con quella riscontrabile ne Il verbo degli Uccelli del poetamistico persiano Farid ud-Din ’Aṭṭār, nato a Nishapur, nel nord-est della Persia,nel 1142: «O cercatore di gioielli, distogli il cuore dalle pietre preziose e cercapiuttosto, instancabile, il Gioielliere»25. Non si tratta di una coincidenza casualedal momento che altri testi persiani presentano analogie sorprendenti con iracconti occidentali che abbiamo esaminato fin qui.

La formula dei tre anelli, priva del simbolismo religioso, si ritrova già, comescrive Niewöhner,26 in una Storia dei re persiani,27 scritta in arabo dallo storicopersiano al-Tha‘ālibī, vissuto tra XI e XII secolo: il principe Djaudharz, richiestodalle sue tre concubine di rivelare chi fosse la preferita, dopo aver regalato aciascuna un anello identico agli altri con l’ingiunzione di non farne parola alledue rivali, risponde di preferire la donna a cui ha donato l’anello: «Quand elles luidemandèrent de tenir sa promesse et de dire laquelle lui était la plus chère, ilrépondit: “Celle qui a l’anneau”. Chacune croyant que c’était elle-même, ellesétaient toutes satisfaites et il passait sa vie agréablement avec elles».

Una storia simile a questa (ma di stampo religioso) riguardante due donneinvece di tre, ci ha lasciato però anche il poeta’Aṭṭār, che abbiamo citato sopra.La storia è stata pubblicata da Idries Shah nel suo volume The Way of the Sufi enella traduzione inglese s’intitola “The Two Rings”:28

The Two Rings

A man loved two women equally.They asked him to tell themwhich one was his favourite.

He asked them to wait for a timeuntil his decision should be known.

Then he had two rings made,each exactly resembling the other.

To each of the women, separately, he gave one ring.Then he called them together and said:

‘The one whom I love best is she who has the ring.’

Accanto a questi due testi, infine, va ricordata un’altra parabola, pubblicata

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25 F.UD-DIN’AṬṬĀR, Il verbo degli Uccelli, cit., p. 47.26 F. NIEWÖHNER, op. cit., pp. 278-80; il primo a far riferimento a questo testo è però V. CHAUVIN,

Documents pour la Parabole des Trois Anneaux, in “Wallonia”, VIII, n. 11, 1900, pp. 197-200.27 AL-THA‘ĀLIBĪ, L’Histoire des rois des Perses, a cura di H. Zotenberg, Paris, Imprimerie nationale, 1900,

pp. 465-66.28 I. SHAH, The Way of the Sufi, London, Cape, 1968, p. 80.

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sempre da I. Shah29 e intitolata “The Three Jewelled Rings”, ancora più vicina allenovelle italiane:

There was once a wise and very rich man who had a son. He said to him: ‘My son,here is a jewelled ring. Keep it as a sign that you are a successor of mine, and pass itdown to your posterity. It is of value, of fine appearance, and it has the added capac-ity of opening a certain door to wealth.’ Some years later he had another son. Whenhe was old enough, the wise man gave him another ring, with the same advice. Thesame thing happened in the case of his third and last son.When the Ancient had died and the sons grew up, one after the other, each claimedprimacy for himself because of his possession of one of the rings. Nobody could tellfor certain which was the most valuable. Each son gained his adherents, all claiminga greater value or beauty for his own ring. But the curious thing was that the ‘door towealth’ remained shut for the possessors of the keys and even their closest support-ers. They were all too preoccupied with the problem of precedence, the possessionof the ring, its value and appearance. Only a few looked for the door to the treasuryof the Ancient. But the rings had a magical quality, too. Although they were keys,they were not used directly in opening the door to the treasury. It was sufficient tolook upon them without contention or too much attachment to one or the other oftheir qualities. When this had been done, the people who had looked were able totell where the treasury was, and could open it merely by reproducing the outline ofthe ring. The treasuries had another quality, too: they were inexhaustible. Meanwhilethe partisans of the three rings repeated the tale of their ancestor about the merits ofthe rings, each in a slightly different way30.

Purtroppo Shah non cita le fonti da cui ha attinto. Le informazioni che cifornisce, tuttavia, assieme al testo dell’apologo, bastano per ritenere che la Persiadei secoli XII e XIII fosse uno snodo cronologicamente e geograficamenterilevante per la ricostruzione della genealogia del nostro motivo. L’Orientegenerico, sempre citato a proposito delle origini dell’apologo, assumerebbe quindii tratti dell’antico Iran dei secoli XI-XII.

Ora, poiché il Cuento e l’exemplum di Étienne rappresentano le più antichetestimonianze della parabola in Europa e la Storia dei persiani di al-Tha‘ālibī

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29 I. SHAH, The tales of the dervishes, London, Cape, 1967, p. 153-4. Non sappiamo, però, se tale raccontosia precedente o successivo rispetto alle versioni occidentali.

30 Importante la nota a commento di I. SHAH, The tales of the dervishes, cit., p. 154: «This tale, supposedby some to refer to the three religions of Judaism, Christianity and Islam, appears in slightly differing formsboth in the Gesta Romanorum and in the Decameron of Boccaccio. The above version is said to be the answerof one of the Suhrawardi Sufi masters, when asked about the relative merits of various religions. Somecommentators have found in it the origin of Swift’s Tale of a Tub. It is also known as the Declaration of theGuide of the Royal Secret».

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

(prima testimonianza in assoluto) risale addirittura all’inizio dell’XI secolo,seguito dai versi molto simili di ’Aṭṭār (morto nel 1220), si può ragionevolmentesupporre che nella versione originaria dell’apologo (forse identificabile propriocon l’episodio di Djaudarz tramandatoci da al-Tha‘ālibī) si trattasse – come inquesti tre testi – non di uomini, ma di donne. Non di figli, ma di amanti. Non devestupire in ’Aṭṭār l’uso di un linguaggio mistico-erotico, poiché l’uso delle metaforeamorose nella poesia mistica dei sufi, di cui ’Aṭṭār, assieme e Rūmi e Sanā’ī fuinsigne rappresentante, era molto diffuso e andava nel senso della valorizzazionedelle “ragioni del cuore” a scapito dei metodi razionalistici usati, ad esempio,dalla scuola mutazilita. L’ambiguità del linguaggio di ’Aṭṭār, è in continuità conl’elemento estatico della mistica sufi, nel momento in cui costringe il lettore alsuperamento della logica dualistica che vede contrapposti bene e male, empietàe santità, spirito e materia, ecc. In questa luce, forse, dovrebbe essere letta lapoesia di ’Aṭṭār sui due (e non sui tre) anelli: le donne qui non rappresenterebberodue diverse religioni o sette, come nelle versioni successive, ma probabilmentedue grandi polarità quali bene/male, terra/cielo, spirito/materia, ecc. Il dualismoproprio della logica razionale è superato dalla convinzione che l’Uno è ovunque,è il Tutto; di qui l’invito al lettore: «da “due” trasformati in Uno!».31

La nostra ipotesi è che una volta importati in Occidente questi racconti, chehanno per protagoniste delle donne amanti, subirono un processo di“normalizzazione”: le amanti diventano figlie o addirittura figli, l’eros si sublimain tenero amore filiale e il Dio-Amante si muta in “Dio padre” (Dec., I, 3, 16).32

L’ipotesi che possiamo formulare in conclusione, se riteniamo fondate le notedi Shah, è che in Persia l’apologo dovette avere una certa diffusione orale, datala sua origine non letteraria; in seguito esso migrò in Occidente attraverso alcunitesti come i Gesta Romanorum, opera che accolse la parabola assieme al suosignificato religioso, mutandone però il valore sincretistico a favore di unaversione apologetica in senso cattolico. Ma come arrivarono i testimoni persianiin mano all’autore (o agli autori) dei Gesta Romanorum?

Abbiamo visto come molti degli autori delle versioni orientali citate fossero deimistici sufi (questo varrebbe anche per la presunta origine orale dei “ThreeJewelled Rings”): ciò non sembra essere casuale, dato che la Persia fece da tramiteper molte storie che provenivano dall’antica India,33 come avvenne nel caso piùnoto, quello della raccolta narrativa Panchatantra. Importando dall’Oriente

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31 F. UD-DIN ’AṬṬĀR, Il verbo degli Uccelli, cit., p. 11. Le considerazioni qui svolte devono molto allapostfazione di Saccone.

32 Analogo appellativo, “Padre”, si ha nel Novellino.33 Vd. G. PARIS, op. cit., p. 160: “les contes arabes viennent presque tous de l’Inde, en passant par la

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l’apologo degli anelli, gli autori delle versioni confessionali dovevano averpresente l’interpretazione simbolica degli anelli accreditata da tempo nell’esegesicristiana. Gli anelli delle storie orientali attivarono probabilmente nel loroimmaginario tale significato che però, in occasione del riuso occidentaledell’apologo, subì due modifiche: la disparità di valore degli anelli el’introduzione del tema della rivalità tra fratelli (in sostituzione di quelle tradonne): tema, questo, molto presente nella Bibbia e, in particolare, nel Genesi,come abbiamo visto. Tuttavia, accanto a un’ipotesi di diffusione in Italia delnostro apologo “da Nord” – che dalle fonti persiane, attraverso la Germania ol’Inghilterra dei Gesta Romanorum avrebbe raggiunto la Francia, la Spagna el’Italia – è possibile ipotizzare una diffusione “da Sud”, attraverso il Mediterraneoaperto alle influenze sufi, influenze che non comportarono un’alterazionedell’originario significato pluralistico.

In tale quadro, gli esiti italiani sembrano quindi il frutto di una contaminazio-ne fra un motivo persiano di matrice non religiosa (i tre anelli di Djaudharz), poiallegorizzato nei versi di ‘Aṭṭār e nei “Three Jewelled Rings”, e quello, anch’es-so orientale, mediato forse dalla cultura ebraica (si pensi allo Shevet), del dialo-go tra sovrano e saggio. Tale “dialogo” si configura piuttosto come un esame, unaprova capitale. La domanda non apre verso il sapere, ma spinge verso la capito-lazione dell’interrogato, mentre la risposta, con mossa elusiva, è costretta a proiet-tare la contesa nella finzione della “novelletta”, dove alla disparità di potere si re-plica per contrasto con l’amore reciproco tra un padre e la sua prole.34 La presenzadella figura del Soldano-Saladino si potrebbe attribuire, privilegiando l’ipotesi del-la diffusione orale, ai racconti che i Crociati delle Repubbliche marinare (comePisa ad esempio, per restare a un luogo non lontano da quello cui probabilmenteappartenne l’autore del Novellino) facevano intorno alle gesta del grande sultanoislamico. Attraverso questo stesso canale passò probabilmente anche molto del-la cultura sufi che dalla Persia, attraverso la Siria, approdò in Occidente.35

È in Boccaccio, però, nella cui novella sembrano trovare eco le diverse istanzeideologiche dei testimoni antecedenti, che ha luogo il vero scarto: tutti e tre i figlisono ugualmente devoti e il padre «parimente tutti gli amava». Il Saladino nonesce scornato dalla risposta, ma anzi riacquista umanità nel momento in cui

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Perse” . Cfr. anche E. PALTRINIERI, La Spagna letteraria. Dalle origini al XIV secolo, Roma, Carocci, 2002,pp. 108-9.

34 A. JOLLES, Legende, Sage, Mythe, Rätsel, Spruch, Kasus, Memorabile, Märchen, Witz, Tübingen, MaxNiemeyer Verlag, 1968, p. 145.

35 Cfr. L. VALLI, Il linguaggio segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore», Milano, Luni Editrice, 1994[prima edizione, Optima, 1928].

Le verità nascoste tra parrêsia e “saviezza”

riconosce il valore intellettuale dell’ebreo e fonda su tali basi la sua amicizia conlui.

Tale esito della novella di Boccaccio non significa, come dicevamo, assenzadi fede o scetticismo e le dichiarazioni di fedeltà al cristianesimo nella partestrutturale dell’opera – a prescindere dalla loro sincerità o meno – nonrappresentano una contraddizione. Semmai, è lo sguardo in tralice con cui siosserva la propria fede, introdotto dal Certaldese, che è inusuale: il punto di vistaesterno, gli occhi degli infedeli, diventano l’unico tramite per riapprendere e ri-conoscere la propria religione.36

In questo quadro potrebbe collocarsi la figura dell’ebreo-Cristo della novellaboccaccesca: le parole di Cristo in bocca a un ebreo si spiegherebbero con questaprospettiva straniata. All’interno del testo, le parole dell’ebreo sono rivolteesplicitamente al Saladino, ma i loro echi evangelici fanno sì che esse fuoriescanodal testo e coinvolgano implicitamente i lettori cristiani.

Adottando una categoria foucaultiana, la condotta di Melchisedech si puòaccostare a quella del saggio: egli non interpella l’altro per comunicargli la verità,lo fa solo dopo che gli è stata posta una domanda. Rispondendo, egli si espone aun rischio: decide perciò di farlo con cautela, in forma indiretta. All’escogitazionedi tale modo indiretto di esprimersi si riferisce l’espressione “aguzzato lo’ngegno” nella novella decameroniana, non all’invenzione di una falsa risposta.In quanto saggio, però, egli non allude direttamente al Saladino o alla situazionepresente, ma parla in generale, usando la forma traslata della parabola. Per questosi distingue dal parrèsiaste il quale, quand’è necessario, si rivolge direttamenteall’interlocutore e ne condanna l’agire.37

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36 In questa direzione va U. FISCHER, La storia dei tre anelli: dal mito all’utopia, in “Annali della ScuolaNormale Superiore di Pisa. Classe di Lettere”, 1973, pp. 957.

37 Vd. M. FOUCAULT, Le courage de la vérité. Le gouvernement de soi et des autres. II: Cours au Collegede France, 1984, Paris, Gallimard, Seuil, 2009, pp. 3-22.

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