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LO STATO PETROLIERE. L’AZIENDA GENERALE ITALIANA PETROLI TRA NASCITA E RINASCITA, 1920-1928 1. L’intervento pubblico prima della costituzione dell’Azienda Generale Italiana Petroli La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 12 aprile 1926 del RDL 3 aprile 1926 n. 556 rese ufficiale la costituzione della Azienda Generale Italiana Petroli 1 . Ad essa seguirono la fondazione ufficiale dell’AGIP in data 19 maggio, nel Gabinetto del Ministro delle Finanze Giuseppe Volpi 2 , la prima seduta del Consiglio d’Amministrazione in medesima data, e la conversione con la Legge 25 giugno 1926 n. 1262. Il provvedimento giungeva a suggello di un crescente interessamento dei poteri pubblici nelle questioni petrolifere e segnava un punto di svolta quanto alle modalità di intervento dello Stato. Rimando, per una trattazione più dettagliata della storia dell’industria petrolifera italiana e della legislazione a riguardo, ai lavori di Squarzina, di Magnini, di Pozzi e di Pizzigallo 3 , e mi limito a richiamarne gli elementi più tipici: il protezionismo e i sussidi alla ricerca in una prima fase, sostituiti poi da una contraddittoria coesistenza di attivismo ministeriale e soluzioni privatistiche e commerciali a partire dagli anni ’20. Le imprese italiane, numerose ma di piccole dimensioni e di breve esistenza a causa delle difficoltà che venivano immancabilmente riscontrate nella ricerca, godettero dell’alta protezione doganale nei decenni tra fine Ottocento e inizio Novecento: il dazio di confine, 7 lire al quintale nel 1870, venne fissato a 47 lire nel 1887 e venne ritoccato a 48 nel 1891, per essere abbassato soltanto nel 1907 a 24 lire, con la Legge 24 marzo n. 86. Nello stesso anno un patto di commercio con la Russia stabilì la riduzione a 16 lire a quintale a partire dal 1° gennaio 1911 per i prodotti importati dall’impero zarista 4 , segnando una chiara inversione di marcia rispetto al protezionismo. Il 19 marzo 1911 venne varata la Legge n. 250, che prevedeva premi di 30 lire per ogni metro trivellato oltre i 300 metri di profondità, nel tentativo di dare un impulso alle imprese private che si erano consolidate nel primo decennio del secolo, in particolare la Società Petrolifera Italiana (SPI) e la Società Petroli d’Italia (SPDI). Ben nota è l’opposizione di Luigi Einaudi a tale provvedimento, che, scrisse l’economista, creava “trivellatori di Stato” che avrebbero trivellato l’erario e avrebbero danneggiato i consumatori 5 . La legge istituiva inoltre un fondo non superiore alle 300.000 lire all’anno per 15 anni, a disposizione del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio per erogare i premi di scavo. Non si ottenne un risultato apprezzabile neanche in questo secondo modo e, anzi, la produzione crollò a causa dell’esaurimento delle miniere già scoperte. Ettore Morelli. Scuola Normale Superiore. Seminario di storia delle istituzioni politiche, 2013 1 1 Una versione dattiloscritta del Decreto è conservata nell’Archivio Storico ENI: ad essa vanno tutti i miei rifermenti nel presente testo. AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, documento accluso al testo del discorso del Ministro Volpi in Parlamento per la conversione del RDL. 2 Atto costitutivo della Azienda Generale Italiana Petroli (A. G. I. P.) Anonima con Sede in ROMA. AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 90A. 3 Concentrati sugli aspetti tecnici e industriali sono sia SQUARZINA Federico, Le ricerche di petrolio in Italia. Cenni storici dal 1860 e cronache dell’ultimo decennio, Jandi Sapi editori, Roma, 1958, sia MAGINI Manlio, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Mondadori, Milano, 1976; di taglio diverso, da “storia d’impresa”, e basato sulla più recente ricerca documentaria, è POZZI Daniele, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe. Tecnologia, conoscenza e organizzazione nell’Agip e nell’Eni di Enrico Mattei, Marsilio, 2009; un ottimo studio monografico, forse ancora il più completo, è PIZZIGALLO Matteo, Alle origini della politica petrolifera italiana, 1920-1925, Giuffrè Editore, Milano, 1981. 4 SQUARZINA, op.cit., pp. 12-13. Ernesto Cianci scrive di “una protezione doganale fortissima, del 100% e in alcuni periodi del 200%”, vedi CIANCI Ernesto, La nascita dello Stato imprenditore in Italia, Mursia, Milano, 1977. 5 EINAUDI Luigi, I trivellatori di Stato, in “La riforma sociale”, 1911, vol. XVIII, pp. 1 ss., riportato da MAGINI M., L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Mondadori, Milano, 1976, pp. 21-23.

Lo stato petroliere. L'Azienda Generale Italiana Petroli tra nascita e rinascita, 1920-1928

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LO STATO PETROLIERE. L’AZIENDA GENERALE ITALIANA PETROLI TRA NASCITA E RINASCITA, 1920-1928

1. L’intervento pubblico prima della costituzione dell’Azienda Generale Italiana Petroli

La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 12 aprile 1926 del RDL 3 aprile 1926 n. 556 rese ufficiale la costituzione della Azienda Generale Italiana Petroli1. Ad essa seguirono la fondazione ufficiale dell’AGIP in data 19 maggio, nel Gabinetto del Ministro delle Finanze Giuseppe Volpi2, la prima seduta del Consiglio d’Amministrazione in medesima data, e la conversione con la Legge 25 giugno 1926 n. 1262. Il provvedimento giungeva a suggello di un crescente interessamento dei poteri pubblici nelle questioni petrolifere e segnava un punto di svolta quanto alle modalità di intervento dello Stato. Rimando, per una trattazione più dettagliata della storia dell’industria petrolifera italiana e della legislazione a riguardo, ai lavori di Squarzina, di Magnini, di Pozzi e di Pizzigallo3, e mi limito a richiamarne gli elementi più tipici: il protezionismo e i sussidi alla ricerca in una prima fase, sostituiti poi da una contraddittoria coesistenza di attivismo ministeriale e soluzioni privatistiche e commerciali a partire dagli anni ’20.

Le imprese italiane, numerose ma di piccole dimensioni e di breve esistenza a causa delle difficoltà che venivano immancabilmente riscontrate nella ricerca, godettero dell’alta protezione doganale nei decenni tra fine Ottocento e inizio Novecento: il dazio di confine, 7 lire al quintale nel 1870, venne fissato a 47 lire nel 1887 e venne ritoccato a 48 nel 1891, per essere abbassato soltanto nel 1907 a 24 lire, con la Legge 24 marzo n. 86. Nello stesso anno un patto di commercio con la Russia stabilì la riduzione a 16 lire a quintale a partire dal 1° gennaio 1911 per i prodotti importati dall’impero zarista4, segnando una chiara inversione di marcia rispetto al protezionismo. Il 19 marzo 1911 venne varata la Legge n. 250, che prevedeva premi di 30 lire per ogni metro trivellato oltre i 300 metri di profondità, nel tentativo di dare un impulso alle imprese private che si erano consolidate nel primo decennio del secolo, in particolare la Società Petrolifera Italiana (SPI) e la Società Petroli d’Italia (SPDI). Ben nota è l’opposizione di Luigi Einaudi a tale provvedimento, che, scrisse l’economista, creava “trivellatori di Stato” che avrebbero trivellato l’erario e avrebbero danneggiato i consumatori5. La legge istituiva inoltre un fondo non superiore alle 300.000 lire all’anno per 15 anni, a disposizione del Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio per erogare i premi di scavo. Non si ottenne un risultato apprezzabile neanche in questo secondo modo e, anzi, la produzione crollò a causa dell’esaurimento delle miniere già scoperte.

Ettore Morelli. Scuola Normale Superiore. Seminario di storia delle istituzioni politiche, 2013

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1 Una versione dattiloscritta del Decreto è conservata nell’Archivio Storico ENI: ad essa vanno tutti i miei rifermenti nel presente testo. AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, documento accluso al testo del discorso del Ministro Volpi in Parlamento per la conversione del RDL. 2 Atto costitutivo della Azienda Generale Italiana Petroli (A. G. I. P.) Anonima con Sede in ROMA. AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 90A.3 Concentrati sugli aspetti tecnici e industriali sono sia SQUARZINA Federico, Le ricerche di petrolio in Italia. Cenni storici dal 1860 e cronache dell’ultimo decennio, Jandi Sapi editori, Roma, 1958, sia MAGINI Manlio, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Mondadori, Milano, 1976; di taglio diverso, da “storia d’impresa”, e basato sulla più recente ricerca documentaria, è POZZI Daniele, Dai gatti selvaggi al cane a sei zampe. Tecnologia, conoscenza e organizzazione nell’Agip e nell’Eni di Enrico Mattei, Marsilio, 2009; un ottimo studio monografico, forse ancora il più completo, è PIZZIGALLO Matteo, Alle origini della politica petrolifera italiana, 1920-1925, Giuffrè Editore, Milano, 1981.4 SQUARZINA, op.cit., pp. 12-13. Ernesto Cianci scrive di “una protezione doganale fortissima, del 100% e in alcuni periodi del 200%”, vedi CIANCI Ernesto, La nascita dello Stato imprenditore in Italia, Mursia, Milano, 1977.5 EINAUDI Luigi, I trivellatori di Stato, in “La riforma sociale”, 1911, vol. XVIII, pp. 1 ss., riportato da MAGINI M., L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, Mondadori, Milano, 1976, pp. 21-23.

Durante la guerra mondiale si consolidò la concezione della demanialità del sottosuolo racchiusa nella forma giuridica della concessione e nel 1917 si formò un Commissariato generale dei combustibili nazionali, di composizione interministeriale, cui venne assegnato l’anno seguente l’esercizio delle coltivazioni petrolifere in forma diretta o consortile. I primi tentativi in questa forma furono insoddisfacenti e alla fine della guerra il Governo sciolse i consorzi, che erano già costati allo Stato 4,5 milioni di lire6. Il distacco dalla pratica dei premi e dei sussidi era ormai maturo e l’iniziativa ministeriale proseguì sulla via dell’intervento diretto. Nel 1921 il RDL 19 novembre n. 1605 stabilì per la prima volta in tempo di pace la demanialità del sottosuolo, poi confermata dalla riforma della legislazione mineraria del 19277, segnando un passaggio importante nella concezione giuridica della questione petrolifera, e permise anche al Ministero dell’Agricoltura di intervenire direttamente nell’attività di ricerca e sfruttamento. In linea teorica questo decreto, insieme alla disponibilità di materiale tecnico per ricerche petrolifere ottenuto in conto riparazioni dalla Germania8, avrebbe permesso al Ministero di condurre un’attività di carattere industriale. Come scrisse dieci anni più tardi l’allora Presidente dell’AGIP Vittorio Giarratana “il principio legislativo dell’articolo 3 della legge del 1921, cioè quello dell’attività diretta dello Stato per i lavori di indagine, ebbe esecuzione tarda ed incerta. Fu tentata la istituzione dei consorzi fra lo Stato e ditte private per l’esecuzione dei lavori di ricerca petrolifera in zone limtrofe alla zona piacentina”, ma “i risultati furono effimeri, malgrado questi tentativi costassero soldi e amarezze”9.

Contemporanea all’intervento legislativo fu la riorganizzazione interna che dotò il Ministero dell’Agricoltura di un ufficio competente, la Direzione generale dei Combustibili e Servizi Diversi10. Diretta da Arnaldo Petretti, magistrato e funzionario “di area giolittiana” secondo la definizione di Daniele Pozzi11, essa completò il trasferimento del controllo sulla questione petrolifera ai Ministeri “economici”; nel 1922 passò al Ministero dell’Economia Nazionale alla sua istituzione e assunse la denominazione di Direzione generale delle miniere. L’ufficio conobbe subito anni travagliati: fu insidiato dal Comitato interministeriale petroli creato il 17 febbraio 1923 e presieduto da Mussolini; in seguito sostituito dall’Ispettorato generale delle miniere e dei combustibili, creato nel 1924 per porre fine alle gestioni dirette dello Stato e ai consorzi con privati; infine ristabilito nel gennaio 1926 come Direzione generale dell’industria e delle miniere presso il Ministero dell’Economia Nazionale, con la soppressione sia del Comitato sia dell’Ispettorato. Petretti, tra il 1924 e il 1926 all’INA, si insediò nuovamente a capo del massimo ufficio ministeriale impegnato nella questione petrolifera.

Infine, nei primi anni Venti iniziò ad essere pronunciato il nome di “ente nazionale dei petroli” da parte di chi, all’interno del Ministero dell’Agricoltura, riteneva indispensabile un soggetto che unificasse tutti gli interventi e le iniziative nel campo petrolifero. Tale progetto acquisì

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6 La legge che introdusse il ruolo attivo del Commissariato fu il Decreto luogotenenziale 24 febbraio 1918 n. 284, vedi SQUARZINA, op.cit., p. 14. Anche in questo caso la salacia einaudiana colpì i tentativi interventisti, coniando per il consorzio maggiore l’espressione “consorte di Stato”. Vedi MAGNINI, op.cit., p. 32.7 POZZI, op.cit., pp. 25-26 e MAGNINI, op.cit., p. 37.8 Cfr. PIZZIGALLO, op.cit., p. 89.9 GIARRATANA Alfredo, Il problema del petrolio in Italia, in “Gerarchia”, 1931, n. 3, marzo. L’articolo viene ripreso alla lettera in alcuni brani, ma di cui solo uno citato, da ALIMENTI Cesare, La questione petrolifera italiana, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1937, pp. 89-90. Ciò induce un rimando errato in MAGNINI, op.cit., p. 37 e 47n, che lo attribuisce erroneamente ad Alimenti.10 Istituita con RDL 19 dicembre 1920 n. 1780, vedi PIZZIGALLO, op.cit., p. 65. 11 POZZI, op.cit., p. 25. Tale giudizio nasce probabilmente in PIZZIGALLO, op.cit., p. 83. Mi soffermerò più avanti sulla figura di Petretti.

forza negli ambienti ministeriali fino ad essere sostenuto dal Ministro De Capitani in persona, in una relazione presentata al Consiglio dei Ministri il 5 febbraio 192312.

Gli ultimi interventi pubblici, prima del Decreto 556 da cui abbiamo preso le mosse, furono di segno opposto tra loro. Nel 1924 si consumò la vicenda della “convenzione Sinclair”, siglata il 1° maggio dal Governo fascista, rappresentato dal Ministro dell’Economia Nazionale Corbino, con una società petrolifera statunitense, la Sinclair, per rompere il dominio sul mercato esercitato da SIAP e da NAFTA, società italiane della statunitense Standard Oil New Jersey di Rockefeller l’una, della britannico-olandese Royal Dutch Shell l’altra, e al contempo per risolvere i dubbi sulla presenza di giacimenti petroliferi nel sottosuolo italiano. La convenzione prevedeva diritti di esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento delle risorse petrolifere, interessava ampi territori dell’Emilia e della Sicilia, vincolava la Sinclair ad un programma decennale e alla creazione di una società italiana il cui capitale sociale sarebbe stato per il 40% riservato a sottoscrizioni nazionali13. La durata complessiva era di 50 anni, per gran parte dei quali la società non avrebbe avuto quindi alcun vincolo verso lo Stato, con cui, si fece notare, non aveva siglato una concessione ma una convenzione, una contrattazione ordinaria e non un atto di governo. Di fronte a simili obiezioni e ad una dura campagna stampa nazionalistica proveniente dall’interno del PNF, il Governo decise di rescindere la convenzione il 25 gennaio 1925, con r. d. n. 42.

L’esito della vicenda Sinclair ebbe delle conseguenze anche sull’avvicendamento degli uffici ministeriali che si è tratteggiato, segnando un ritorno all’intervento pubblico dopo un breve interludio in cui il Governo aveva scelto di affidarsi ad una grande impresa privata, per quanto straniera. Gli effetti si materializzarono a pochi mesi di distanza, quando fu necessario trovare una collocazione per una concessione petrolifera che le Ferrovie dello Stato, all’interno di complesse trattative commerciali e diplomatiche, avevano ottenuto dal Governo albanese nel marzo 1925. L’8 luglio il RDL n. 1301 autorizzò il Ministero delle Comunicazioni a istituire una “gestione speciale per lo studio, le ricerche, e le opere necessarie per lo sfruttamento di terreni petroliferi albanesi, secondo gli accordi esistenti fra il Regno d’Italia e la Repubblica Albanese”14. Nacque così la Azienda Italiana Petroli Albanesi (AIPA), con una dotazione di 30 milioni di lire stanziati dal Ministero delle Finanze e sotto il controllo del Servizio approvvigionamenti della Direzione generale delle Ferrovie dello Stato, cui spettava l’invio di una relazione annuale alle Finanze e l’inserimento dei conti della “gestione petroli albanesi” nel bilancio consuntivo dell’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato. Non sfuggirà la natura particolare di tale “azienda”, che rimaneva una gestione speciale ministeriale e soltanto dopo qualche tempo fu dotata di un Amminstratore Generale15: fu una soluzione che si discostava tanto dall’ipotesi “interventista” di un “ente nazionale dei petroli”, quanto dalla forma “ibrida” dei consorzi, e tanto più dalla pratica “liberista” delle convenzioni. Tale eccentricità si spiega senza dubbio con la natura contingente della sua istituzione, diretta conseguenza di un’iniziativa di un Ministero come quello delle

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12 Pizzigallo traccia l’origine del progetto per un “ente nazionale dei petroli” al settembre 1920, all’interno della relazione stilata dal Sottosegretario dell’Agricoltura Sitta, a capo del Comitato Centrale per l’approvvigionamento e assegnazioni combustibili, poi ripresa dai tecnici della Direzione Generale dei Combustibili, di cui faceva parte anche Arnaldo Petretti, ed riformulata in modo efficace dal Ministro De Capitani in una relazione datata 19 luglio 1923 e pubblicata in appendice. Vedi PIZZIGALLO, op.cit., pp. 49-59, 120-121, 285-309; per il RDL 19 novembre 1921 n. 1605 vedi ivi, pp. 85-91. La relazione, su cui tornerò più avanti, è alle pp. 292-309.13 Per una trattazione articolata, che si sofferma anche sui rapporti con la questione Matteotti, vedi PIZZIGALLO, op.cit., pp. 115-157. Vedi anche SQUARZINA, op.cit., pp. 15-19, che fornisce una ricostruzione più clemente verso la convenzione. Infine CIANCI, op.cit., pp. 75-77, dà voce in modo prevalente alle critiche di cui la convenzione fu bersaglio.14 Estratto dal “Bollettino Ufficiale delle Ferrovie dello Stato”, n. 34 – 20 Agosto 1925, dove è riportato il testo del RDL 8 agosto n. 1301. La copia che ho consultato è conservata in AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908.15 PIZZIGALLO, op.cit., p. 216.

Comunicazioni che non aveva ancora partecipato all’elaborazione della questione petrolifera. Si comprende come ciò complicasse il quadro degli interventi pubblici in materia, che nel corso di quindici anni avevano assunto, come si è visto, le forme più varie, non esclusa la convenzione tra un ministero e una società privata estera per lo sfruttamento di giacimenti in terra straniera16. L’AIPA riuscì a conservare la sua posizione particolare fino al 1940, quando fu finalmente inglobata nell’AGIP17.

2. Un’azienda “per lo svolgimento di ogni attività relativa alla industria ed al commercio dei prodotti petroliferi”

È opportuno ora soffermarsi sul Decreto 556 con cui il 3 aprile 1926 si istituì l’AGIP. Il testo era suddiviso in 7 articoli: il primo stabiliva la partecipazione dell’Amministrazione dello Stato al capitale azionario della costituenda Società anonima per una somma di 60 milioni di lire; il secondo autorizzava l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali a partecipare con 20 milioni di lire ciascuno, raggiungendo quindi un capitale sociale di 100 milioni di lire; il terzo autorizzava l’Amministrazione dello Stato “a partecipare ad eventuali aumenti di capitale della suddetta società, anche mediante apporti di singole attività mobiliari od immobiliari in possesso dell’Amministrazione stessa”; il quarto stabiliva che “le modalità delle partecipazioni [agli aumenti di capitale, ndr] su indicate saranno stabilite dal Ministro per le Finanze”; il quinto autorizzava la partecipazione di funzionari dello Stato al Consiglio di Amminisitrazione e al Collegio Sindacale della Società; il settimo indicava la sistemazione amministrativa dello stanziamento della somma da parte del Ministero delle Finanze, inserita nella categoria “Movimento di capitali”. Il sesto articolo, per l’importanza che ebbe nei primi mesi di vita dell’Azienda, deve essere osservato integralmente:

Alla costituenda Società anonima potrà essere affidato l’incarico di eseguire ricerche petrolifere in Italia e nelle Colonie in base a programmi quinquennali da approvarsi di concerto fra i Ministri per l’economia nazionale e per le finanze. All’uopo saranno stanziati annualmente sul bilancio del Ministero dell’Economia Nazionale, gli appositi fondi in aumento di quelli già stabiliti con il R. decreto-legge 19 novembre 1921, n.1605.

L’intestazione del Decreto destinava la costituenda Società allo “svolgimento di ogni attività relativa all’industria ed al commercio dei prodotti petroliferi”, un’espressione che veniva ripresa in modo identico sia nella motivazione anteposta agli articoli, sia, come si è visto, nell’Articolo 1 in stretta relazione con la partecipazione azionaria dell’Amministrazione dello Stato. L’Articolo 6 prevedeva, tuttavia, una procedura particolare per un’attività specifica, quella di ricerca di fonti petrolifere in Italia e nelle Colonie, per effettuare la quale quindi non era destinato il capitale sociale versato dallo Stato e dagli Enti parastatali. Una tale disposizione creava un doppio binario tra le attività principali dell’Azienda, qualificate genericamente come “industriali e commerciali”, e un’attività di ricerca collocata ai margini, per di più con l’utilizzo di un “potrà” che permise in seguito esegesi estremamente discordanti tra loro, da un lato chi riteneva che l’Azienda potesse decidere di non dedicarvisi, dall’altro chi sosteneva che non potesse sottrarvisi.

Non si trattava soltanto di due attività distinte, ma anche di due distinti punti di riferimento all’interno della Pubblica Amministrazione. Si era giunti al Decreto, come si leggeva nella

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16 Si tratta della convenzione siglata il 19 marzo 1919 tra il Ministero della Marina e la Società Italiana per le Miniere di Selenitza-Albania (SIMSA). Vedi PIZZIGALLO, op.cit., pp. 218-227.17 Con RDL 27 maggio 1940 n. 580.

prefazione, “sulla proposta del Ministro Segretario di Stato per le Finanze di concerto con quelli per l’Economia Nazionale e per le Comunicazioni”, ma era soltanto il Ministero delle Finanze a gestire gli aumenti di capitale, come indicato all’Art. 4. Ad esso, nuovamente di concerto con quello dell’Economia Nazionale, spettava anche l’approvazione dei programmi quinquennali per le ricerche petrolifere, mentre lo stanziamento dei fondi necessari a tale scopo era un onere gravante interamente sul bilancio dell’Economia Nazionale, un punto che deve fare riflettere per lo stretto legame che creava tra tale specifica attività dell’AGIP ed uno specifico ministero. Come si può vedere, inoltre, si cercava di mantenere la legislazione precedente rispetto alle ricerche petrolifere, utilizzando lo strumento dei fondi che la legge del 1921 aveva introdotto per l’attività diretta che avrebbe dovuto svolgere lo Stato. Il controllo delle Finanze veniva invece esercitato sul capitale versato dall’Amministrazione pubblica e investiva l’Azienda nella sua struttura complessiva, quali che fossero le attività svolte.

La doppia asimmetria contenuta nel testo del Decreto era la manifestazione di quelle tensioni interministeriali che si erano create nei mesi precedenti allorchè era iniziato il percorso di elaborazione della nuova forma di intervento pubblico nel settore petrolifero, con il coinvolgimento dei Ministeri delle Finanze, dell’Economia Nazionale e delle Comunicazioni. Una spia precoce di queste tensioni si può forse trovare in una minuta del futuro Decreto n. 556, risalente agli ultimi giorni di marzo 192618. Il testo compare già nella sua interezza, ma contiene alcune cancellature di cui una di un certo interesse: all’Art. 4, che definisce la pertinenza sulle modalità delle partecipazioni agli aumenti di capitale, si legge ancora che esse “saranno stabilite dal Ministero delle Finanze di concerto con quelli per l’Economia Nazionale e per le Comunicazioni”, con dicitura identica, quindi, a quell’Art. 6 definitivo in cui si stabilisce il controllo congiunto sui programmi quinquennali di ricerca. I due Ministeri figuravano al fianco di quello delle Finanze anche in un’altra minuta, peraltro ancora incompleta rispetto alla versione definitiva del decreto e certamente precedente a quella appena citata19. Ciò significa che la preminenza del Ministro Volpi sugli altri dicasteri interessati, le Comunicazioni e l’Economia Nazionale, non fu che un risultato tardivo, di poco precedente alla formalizzazione del Decreto, del quale peraltro il Ministro fu effettivamente il promotore in seno al Consiglio dei Ministri il 1° marzo e, più tardi, in Parlamento per la conversione.

Nella prima occasione, in marzo, il Minisitro delle Finanze si era soffermato sulla necessità di intervenire nello scenario petrolifero italiano e aveva presentato alcune cifre che dimostravano, da un lato, la crescita continua del fabbisogno nazionale, e, dall’altro, l’inconsistenza della parte dei prodotti petroliferi estratta in Italia cui si abbinava il dominio dei “trusts” americani e inglesi20. In

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18 AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 909. Si tratta di una minuta dattiloscritta con annotazioni e cancellature a penna, e una breve annotazione in calce a matita in cui si legge che una copia venne mandata alla Direzione Generale del Tesoro il 27-3-1926. Da un paragone con altri documenti autografi conservati nello stesso fascicolo, si può ritenere che la grafia fosse del Conte Ettore Carafa d’Andria, futuro Segretario del CdA AGIP.19 AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 909. Questa minuta dattiloscritta non contiente annotazioni nè cancellature, presenta soltanto quattro articoli e può essere fatta risalire ad una fase relativamente precedente perchè, pur essendo stata già decisa l’entità della partecipazione azionaria del Tesoro a 60 milioni di lire, manca ancora l’indicazione del nome dell’Azienda, citata come “Società Anonima ...”. Ciò peraltro indica anche un accordo sulla forma della Società per Azioni. Da due appunti conservati nella medesima busta, uno manoscritto e uno dattiloscritto, si conoscono le ipotesi di nome per la nuova Azienda: oltre a quello scelto, figuravano “CIP-Commercio industria petroli”, “ANCIP o AICIP-Anonima nazionale/italiana commercio industria petroli”, “ICOM-Industria commercio olii minerali”, “SAIP-Società anonima italiana petroli”, “SANP-Società anonima nazionale petroli”, “P-Petrolio”, “API-Azienda petroli italiana”. Dove non era già contenuto nel nome, si specificava sempre che si trattava di una “società anonima”. AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 909, doc. 24.20 Copia della relazione del Ministro delle Finanze Volpi al CdM, 1° marzo 1926. Tale copia della relazione è conservata in AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908. Vi si possono leggere le parole preoccupate di Volpi circa le aziende estere: “In fatto di commercio, la potente organizzazione delle Società Americane ed Inglesi hanno una libertà quasi incontrastata di agire nel nostro Paese”.

tale relazione venivano richiamati brevemente gli insuccessi dell’intervento pubblico precedente, in particolare il RDL 19 novembre 1921 che aveva destato aspettative poi deluse nell’attuazione. La responsabilità tuttavia veniva attribuita anche all’industria privata, che se “troppo scarsamente sussidiata rifugge dall’impegnarsi a fondo in ricerche nel sottosuolo che implicano gravissime alee finanziarie”. Il giudizio era l’esatto opposto di quello espresso da Einaudi sulla legge del 1911 già richiamata. Ciò che per l’economista liberale era stato un grave danno al settore, per quanto ancora di lieve entità, l’intervento pubblico, per il Ministro fascista necessitava di essere rafforzato per venire incontro alle necessità contestuali al settore petrolifero, che non poteva prosperare senza di esso a causa dell’instabilità societaria e della mancanza di capitali.

Il nuovo “Ente petroli”, come da alcuni mesi era stata denominata in via informale la nascitura AGIP, avrebbe dovuto porsi in aperta collaborazione con le società private italiane e in concorrenza con i “trusts”, la Società Italo-Americana Petroli e la Nafta Co., come spiegava Volpi:

I Ministri delle Finanze, dell’Economia Nazionale, e delle Comunicazioni sono concordi nel giudicare la costituzione di un organismo che senza intralciare menomamente l’iniziativa e l’azione privata italiana, sia in fatto di ricerche petrolifere che di commercio, contrapponga all’azione delle Società monopolizzatrici del mercato dei petroli, una valida tutela degli interessi generali della Economia Nazionale.Una organizzazione siffatta cui si affidi un compito che interessa l’economia di tutte le industrie italiane e dei pubblici servizi, può avere naturale e razionale sviluppo in una istituzione di carattere parastatale che tragga dall’Erario e da altri istituti parastatali i mezzi potenti di cui abbisogna nel suo impianto e nel suo funzionamento, ma che sia messa in condizione di operare con la snellezza e con la fattività caratteristiche della buona pratica industriale e commerciale.21

La creazione del nuovo ente non era quindi soltanto un’iniziativa antimonopolistica contro i due giganti del mercato, ma si configurava coscientemente come un tentativo di influire positivamente sull’economia italiana andando a favorire le industrie e alcuni pubblici servizi, in primo luogo le Ferrovie dello Stato, la Marina e l’Esercito, con prezzi bassi sulle forniture di prodotti petroliferi. Il carattere “nazionale” degli interessi tutelati e la rilevanza della parte “pubblica” di essi, stimata ad un settimo del totale22, giustificavano agli occhi di Volpi l’intervento diretto dello Stato e la scelta della forma dell’ente. Il rapporto con l’iniziativa privata, tuttavia, si prefigurava complesso: l’ente non avrebbe dovuto sostituirla, ma affiancarla e, per quanto possibile, imitarla quanto a “snellezza” e “fattività”, implicitamente contrapposte alla mole e all’inconcludenza della burocrazia tradizionale. Si può vedere, in questa complicata formulazione, il segno di una tendenza individuata da Guido Melis alla base del fenomeno dell’entificazione: la volontà di allontanarsi dal “sapere amministrativo” dei funzionari in cerca di un “sapere nuovo”, tecnico-burocratico o tecnocratico, per espletare le nuove funzioni che lo Stato andava a ricoprire23. La risposta di Volpi era, si noti, di rivolgersi al milieu dell’imprenditoria privata piuttosto che di affidarsi ai giovani funzionari che avrebbero costituito il bacino di reclutamento degli enti pubblici.

Ciò non esaurisce tuttavia la questione del rapporto tra pubblico e privato per come viene definita dal Ministro. Più precisamente, si può dire che l’ente nasceva da una situazione di iniziativa privata debole o assente, quanto al settore petrolifero, e che si inserisse in una rete di rapporti

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21 Copia della relazione di Volpi al Consiglio dei Ministri, 1° marzo 1926, AS ENI, Fondo AGIP - Ricerche e Produzione, b. 1, f. 908.22 Secondo le cifre fornite da Volpi, le importazioni per il 1925 erano ammontate a circa 800.000 tonnellate di prodotti petroliferi per un valore di circa 760.000.000 milioni di lire, cui andavano aggiunte circa 120.000 tonnellate distribuite direttamente al naviglio commerciale e da guerra per un totale di 900.000 tonnellate. Su queste, i consumi delle Amministrazioni statali pesavano per circa 130.000 tonnellate, mentre la produzione interna non portava che 5000 tonnellate di prodotti petroliferi. Tali dati trovano conferma in SQUARZINA, Le ricerche di petrolio in Italia. Cenni storici dal 1860 e cronache dell’ultimo decennio, Jandi Sapi editori, Roma, 1958, p. 23.23 MELIS Guido, Amministrazione e dirigismo economico: una storia lunga, in FELISINI D. (a cura di), Inseparabili: lo Stato, il mercato e l’ombra di Colbert, Rubettino, Soveria Mannelli, 2010, pp. 175-187, p.179.

economici con iniziative private più consolidate negli altri settori industriali. Supplenza, rispetto al settore petrolifero, e ausilio, rispetto alle industrie nazionali, sembrano essere le due funzioni cardinali che l’intervento pubblico nel settore petrolifero era chiamato a svolgere.

Così configurato, l’ente petroli si distingueva dagli altri enti pubblici di natura eminentemente finanziaria, l’INA e la CNAS. Il modello dell’intervento finanziario pubblico attraverso enti di previdenza trovò applicazione, come si è visto, anche nella formazione dell’AGIP, a riprova della lucidità con cui Giolitti aveva inteso le potenzialità del costituendo Istituto Nazionale delle Assicurazioni24. È chiara nelle parole di Volpi la convinzione che solo lo Stato fosse in grado di fornire il capitale necessario, i “mezzi potenti” di cui parla nella relazione al Consiglio dei Ministri, per organizzare un settore caratterizzato da alti costi iniziali e “alee” in grado di annientare le deboli iniziative private. Tale necessità fu risolta traendo una parte del totale proprio dalla CNAS e dall’INA, due enti ausiliari del Tesoro che parteciparono alla creazione di un ente che, invece, si può definire “ausiliario dell’industria”. Tale compito di “ausilio” non avrebbe dovuto concretarsi nelle forme dell’intervento finanziario, tipico degli enti succitati, ma piuttosto nelle attività “industriali e commerciali” della costituenda AGIP. La sua natura di ente industriale lo pone pertanto in una posizione eccentrica rispetto al “modello tipico” degli enti di Beneduce, come viene definito nel già citato articolo di Melis: “tutti autonomi dallo Stato, tutti dotati di personalità giuridica di diritto pubblico, tutti a struttura associativa o consortile, tutti partecipanti al capitale costitutivo dei successivi, tutti autoalimentati da risorse proprie e non dipendenti dal Tesoro”25. Il legame di dipendenza dal Tesoro si manifestava nella importante partecipazione azionaria al capitale sociale, i cui periodici aumenti videro sempre riproporsi la medesima ripartizione del contributo da parte dei tre azionisti. I testi del Decreto e della relazione di Volpi permettono invece di riconoscere una maggiore adesione dell’AGIP alle forme privatistiche che caratterizzavano i frutti dell’entificazione, ma con una interessante variazione rappresentata dalla scelta della forma della Società per Azioni. Volpi non lasciava spazio ad altre soluzioni:

La forma più adatta ai fini ed al funzionamento di tale organizzazione parastatale, apparisce quella di una Società Anonima per azioni il cui capitale, costituito dalla somma di 100 milioni, sia versato dal Tesoro per il 60% e per il restante 40% dagli Enti parastatali Istituto Nazionale delle Assicurazioni e Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali.26

Tale scelta veniva motivata dalle attività che l’ente avrebbe dovuto svolgere, ora specificate nei due rami “produzione” e “commerciale”. Il primo riguardava “la ricerca, ed eventualmente lo sfruttamento di campi petroliferi ovunque situati per i quali le alee di successo possano apparire le più favorevoli”, sia in Italia sia all’estero, fermo restando che “nessuna esclusione aprioristica di territori sarebbe giustificata”. Il fine da perseguire in questo ramo di attività sarebbe stato la “radicale e conclusiva soluzione al problema assillante della esistenza o meno di importanti giacimenti di petrolio in Italia”, vera ossessione per un periodo in cui ancora scarsissime erano le nozioni sul sottosuolo italiano. L’ente avrebbe rappresentato un “mezzo più potente di quelli finora impiegati”, i premi di perforazione, inadatti a raggiungere la soluzione e a superare “l’alea

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24 Mi riferisco qui al brano del dibattito parlamentare sul disegno di legge sui cui richiamò l’attenzione Sabino Cassese nel convegno celebrativo di Beneduce nel 1983, citato da MELIS, ivi, p. 181. A sostegno della formazione dell’INA, Giolitti affermò che “la forza finanziaria dello Stato che si verrebbe creando con questi enti, che concentrino in sua mano grandissimi capitali, è elemento di solidità per le industrie e i commerci, perchè uno Stato debole non può, nei momenti più difficili, trovare modo di evitare le grandi crisi”, cfr. CASSESE Sabino, Gli aspetti unitari degli statuti degli enti di Beneduce, in IRI, Alberto Beneduce e i problemi dell’economia italiana del suo tempo. Atti della giornata di studio per la celebrazione del 50° anniversario dell’istituzione dell’IRI. Caserta, 11 novembre 1983, Edindustria, Roma 1985, pp. 105 e ss.25 MELIS, op.cit., pp. 181-182.26 Copia della relazione di Volpi al Consiglio dei Ministri, 1° marzo 1926, AS ENI, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908.

dell’insuccesso”. Si può vedere come questo ramo d’attività ricadesse successivamente all’interno delle prerogative stabilite dall’articolo 6 per l’AGIP

Il secondo ramo, quello commerciale, avrebbe compreso eventualmente anche l’esercizio delle raffinerie e quindi si sarebbe caratterizzato anche per attività industriali, oltre che per un funzionamento “tutt’affatto commerciale ma secondo le direttive di procurare al consumo i maggiori benefici compatibili col bilancio della organizzazione parastatale”. Questa definizione fa emergere più chiaramente, pare, il compito di ausilio all’industria privata, oltre che ai servizi pubblici, che avrebbe dovuto svolgere l’ente petroli, un’evidente espansione del ruolo dello Stato nell’iniziativa economica.

Oltre alla “supplenza” e all’“ausilio”, quindi, un terzo elemento caratteristico era l’“imitazione” dell’impresa privata nella forma della SpA, con la convinzione essa fosse la più adatta a svolgere attività commerciali e industriali variegate. Riemergeva così, come già si è notato rispetto al passo sulla “snellezza e fattività della buona pratica commerciale”, l’idea di allontanarsi dall’ambiente dell’Amministrazione pubblica, e perfino dagli enti precedenti, in una “fuga dallo Stato”, ma non dalla “funzione pubblica”, tipica dell’entificazione, per citare ancora una volta l’articolo di Melis.

Propongo ora di fare un passo indietro e di ricercare questi tre elementi nei i tre documenti portati alla luce da Pizzigallo menzionati in precedenza, che mi permetto qui di richiamare estensivamente: la relazione del Sottosegretario di Stato per la marina mercantile Sitta del 1920, la relazione del Ministro delle Finanze De Stefani al Consiglio dei Ministri del febbraio 1923 e la relazione del Ministro dell’Agricoltura De Capitani del luglio dello stesso anno. Nella prima si leggeva, dopo una disamina sulla precarietà dei rifornimenti di prodotti petroliferi:

Tutto ciò esige però che si inauguri anche in Italia una politica del petrolio, la quale non deve consistere soltanto come ora nel contrattare mese per mese i rifornimenti dalle due Ditte monopolizzatrici «Siap» e «Nafta», ma occorre che si faccia capo ad un Ente soldiamente costituito, il quale, mantenendosi al corrente delle esplorazioni petrolifere all’estero e dei risultati delle relative ricerche, dell’andamento della produzione mondiale del petrolio, del commercio e del fabbisogno interno, concreti i provvedimenti necessari affinché il paese possa avere assicurata l’indipendenza industriale e commerciale per la somministrazione dei medesimi con una propria flotta di trasporto e con depositi costieri propri27.

Frutto del lavoro del Comitato Centrale dei combustibili, la relazione delineava un “Ente” dai compiti principalmente commerciali il cui fine ultimo sarebbe stato affrancare l’Italia dal dominio delle società petrolifere straniere, garantendole l’“indipendenza”. Del tutto consequente appare pertanto la dotazione di una flotta e di depositi propri dell’Ente, che avrebbe dovuto operare in autonomia. Fin da subito si era individuata la dimensione strategica della questione petrolifera, un tassello dello sviluppo industriale e commerciale e quindi della potenza di una nazione moderna. Traspare una venatura di nazionalismo economico che da questo momento sembra aver caratterizzato gli ambienti ministeriali interessati alla soluzione del “problema dei petroli”.

Ad esso il primo governo Mussolini si accostò nella persona del Ministro delle Finanze De Stefani, che il 16 febbraio trasmise al Consiglio un appunto su “La Politica del Petrolio28” in cui prospettava due vie percorribili: l’accordo con uno dei due trusts, cui concedere il monopolio in cambio di una gestione orchestrata con lo Stato dei prezzi e degli approvvigionamenti; viceversa, la costituzione di “una potente società italiana che provveda al fabbisogno nazionale, in concorrenza

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27 Relazione Sitta, 16 settembre 1920, vedi PIZZIGALLO, op.cit., pp. 287-288. La relazione venne trasmessa ai Ministeri degli Esteri, della Marina, dei Lavori Pubblici, dell’Agricoltura, del Tesoro, e alla Direzione delle Ferrovie dello Stato. La collocazione originaria è nell’Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, Archivio degli Affari Commerciali, 4 RG.28 Relazione del Ministro De Stefani al Consiglio dei Ministri del 16 febbraio 1923, da un appunto datato 5 febbraio “La Politica del Petrolio”. Anche in questo caso il testo è riportato integralmente in PIZZIGALLO, op.cit., pp. 292-296. La collocazione originaria è nell’Archivio dell’Ufficio Storico dela Marina Militare, cartella 1674.

coi due trust, ai quali dovrebbe gradualmente sostituirsi nel rifornimento del mercato italiano”. In questo secondo caso la Società avrebbe dovuto disporre di un capitale di 180/200 milioni e comprendere: “lo Stato, che conferirebbe i vagoni-cisterna ed i serbatoi della R. Marina; la raffineria di Fiume, dopo effettuata la sua nazionalizzazione; il Consorzio Utenti Nafta, coi suoi impianti, le sue navi-cisterna ed i vagoni serbatoi, oltre al capitale circolante di cui potrebbe disporre (10 milioni di lire); uno o più gruppi finanziari, che porterebbero il capitale liquido necessario per l’acquisto e lo sfruttamento dei bacini petroliferi e per il funzionamento dell’Azienda”. Il Ministero delle Finanze recepiva il discorso inaugurato da Sitta quanto alla necessità di assicurare l’indipendenza petrolifera dell’Italia, ma trasformava l’“Ente” prettamente statale in una “Società” composita in cui lo Stato avrebbe figurato come fornitore dei macchinari di trasporto e stoccaggio, mentre il capitale sarebbe provenuto dalla grande finanza privata, in particolare la Banca Commerciale Italiana29 . Veniva inoltre richiamata per la prima volta l’attenzione su una Società commerciale, il Consorzio Utenti Nafta, suggerendo l’inclusione di un’impresa privata nel nuovo organismo. La relazione di De Stefani, in definitiva, conteneva elementi interessanti, ma si distingueva dalle altre per la sua ambivalenza. Il Ministro, pur non prendendo posizione sulla scelta da seguire, lasciava trapelare una certa preferenza per la prima soluzione:

Se l’alleanza col trust è realizzabile a condizioni che garantiscano all’Italia un prezzo sensibilmente inferiore a quello del mercato, esso può costituire una soluzione proficua, poiché arreca un beneficio economico alla Nazione ed un maggior provento alla finanza, senza portare nuovi oneri né far correre alee.Il corrispettivo statale è semplicemente il riconoscimento giuridico di uno stato di fatto, purtroppo esistente. D’altra parte è probabile che la costituzione di una potente società italiana rappresenti un buon affare anche economicamente; la sua eventuale portata politica non ha bisogno di essere illustrata.30

Arriviamo infine alla relazione del Ministro dell’Agricoltura De Capitani D’Arzago del 19 luglio 1923, trasmessa pochi giorni prima del suo avvicendamento con Corbino, di lì a poco responsabile della convenzione Sinclair e chiaramente propenso a soluzioni diverse dal suo predecessore. De Capitani suddivideva la “politica del petrolio in Italia” in tre filoni, le ricerche all’interno, gli approvvigionamenti dall’estero e lo studio dei surrogati, ed assegnava le prime all’intervento dello Stato in diretta continuità con il Decreto n. 1605 del 1921, mentre proponeva per i secondi la creazione di un “Ente Nazionale dei Petroli”. Questo aspetto sembra essere di massima importanza e getta luce sull’impostazione che l’AGIP ricevette a distanza di tre anni, come si è visto analizzando il decreto istitutivo, n. 556. De Capitani, diversamente dai lavori che si sono consultati, tracciava un bilancio positivo della legge del 1921 e si limitava a lamentare la lentezza con cui si erano acquisite le numerose sonde necessarie alle ricerche dirette dello Stato, un problema che si diceva peraltro ormai superato. A difesa della prerogativa esclusiva dello Stato sull’attività di ricerca De Capitani proponeva una lettura che si è già incontrata nel discorso di Volpi al Consiglio dei Ministri del 1° marzo 1926:

La perforazione si svolgerà, comunque, sotto il controllo dello Stato. L’intervento diretto del quale si dimostra inevitabile:a) per l’alto costo delle trivellazioni e per l’alea che esse presentano;

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29 La Comit stava investendo da qualche anno in giacimenti petroliferi messicani e sembrava quindi ipotizzabile un suo interessamento alla costituizione di una grande società petrolifera italiana. 30 PIZZIGALLO, op.cit., p. 296.

b) per l’insufficienza dei premi previsti dalla legge 19 marzo 1911 n. 250, che non è possibile né conveniente aumentare. Non è possibile, per ragioni di bilancio. Non è conveniente, perché le ricerche verrebbero limitate, come avvenne sempre in passato, alle zone già conosciute ed in coltivazione.31

La questione delle perforazioni veniva inquadrata in entrambi i casi come eccessivamente onerosa per un’impresa e demandata per questo motivo allo Stato. Non si trattava tuttavia di un’apertura verso un’impresa pubblica che si occupasse delle ricerche: De Capitani, come ancora più chiaramente Volpi, credeva che la forma stessa dell’impresa fosse inadatta per svolgere attività che sembravano non offrire successo immediato e che non avrebbero potuto essere affidate ai calcoli di profitto di una realtà imprenditoriale, privata o pubblica che fosse. Questo aspetto getta maggior luce sulla scelta, contenuta nel decreto fondativo dell’AGIP, di collocare le attività di ricerca in una posizione particolare.

Si citavano inoltre “lo scarso affidamento che offrono le compagnie private”, responsabili di simulazioni e frodi frequenti, e l’inadeguatezza degli appalti alle imprese, anche se nazionali, per gestire trivellazioni che non avrebbero seguito criteri di opportunità tecnica, economica e politica. Andava consolidandosi pertanto l’associazione tra l’attività di ricerca di nuovi giacimenti e il ruolo di direzione del Ministero dell’Agricoltura, dove ancora esisteva la Direzione generale delle miniere presieduta da Petretti, un ruolo che come si è visto passò al Ministero dell’Economia Nazionale di Belluzzo. Lo Stato non avrebbe avocato a sè il monopolio delle ricerche, ma sarebbe intervenuto “nei punti più delicati, ove cioè occorra, per l’importanza della zona da esplorare, circondarsi delle maggiori guarentigie, ovvero, dove, per la gravità dell’alea, non sia sia agevole promuovere le private iniziative”; restava, per l’intervento privato, la grande maggioranza delle zone di ricerca.

De Capitani continuava esponendo “le linee programmatiche fondamentali cui dovrà ispirarsi l’azione dell’ente nazionale dei petroli”: poiché le importazioni avrebbero avuto ancora un peso preminente sulla produzione interna, era opportuno estendere il controllo sugli approvvigionamenti esteri. Il passo è di grande interesse:

Fra le diverse soluzioni, la più conveniente appare quella, già altre volte accennata, di un forte organismo industriale e commerciale, che, sotto il controllo dello Stato, possa coordinare le sparse iniziative private, dirigendole verso il fine desiderato. Un organismo statale sarebbe pesante, dispendioso, privo della libertà di movimento indispensabile per lanciarsi nella lotta che ferve nel mercato internazionale. Pregiudizievolmente del pari sarebbe, siccome lo fu in passato, il disinteressamento da parte dell’autorità pubblica. Lo Stato, invece, potrebbe e dovrebbe compartecipare all’impresa, come in altri Paesi, primo tra tutti l’Inghilterra. È noto infatti che il tesoro britannico è largamente interessato nell’Anglo Persian. E tale intervento si dimostra presso di noi indispensabile. [...] Occorre che lo Stato concorra con una vera e propria somministrazione di capitale liquido. [...]Il detto organismo centrale potrebbe assumere la forma di una anonima. La quale, senza sopprimere la individualità delle imprese già esistenti, ed anzi favorendone lo sviluppo e promuovendo la formazione di imprese nuove, dovrebbe, tanto per la produzione quanto per il trasporto, la raffinazione e la distribuzione degli olii minerali, procedere ad una organica divisione del lavoro, evitando i tentativi individuali e gli insuccessi che facilmente ne conseguono. Funzione precipua del nuovo ente sarebbe pertanto quella del coordinamento delle attività diverse che si rivolgono allo sfruttamento di campi petroliferi, al trasporto nel Regno degli olii minerali estratti, alla loro successiva elaborazione ed alla conseguente distribuzione.

Si nota, rispetto alla relazione di Sitta, uno spostamento dall’idea di un organismo statale, come sembrava essere l’ “Ente nazionale dei petroli” nella sua prima formulazione, verso quella di un organismo industriale commerciale, in linea con la proposta della “Società” avanzata da De Stefani. Per tracciare immediatamente il paragone con il discorso Volpi, si ricordi che il Ministro delle Finanze nel 1926 fece riferimento alla “snellezza” e alla “fattività” caratteristiche “di ogni buona pratica industriale e commerciale, e che sostenne la creazione dell’AGIP affermando che non

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31 Relazione “La politica del petrolio in Italia” del Ministro dell’Agricoltura De Capitani, 19 luglio 1923, citata in PIZZIGALLO, op.cit., pp. 297-309. La collocazione originaria è ACS, Presidenza del Consiglio, Gabinetto, 1923, fasc. 3.

avrebbe intralciato “menomamente” l’iniziativa e l’azione privata italiana, là dove in De Capitani si legge “senza sopprimere la individualità delle imprese esistenti”. Come De Stefani, infine, De Capitani proponeva un capitale sociale di 200 milioni di lire, ma a differenza della “potente società italiana” del primo, l’“Ente nazionale dei petroli” del secondo era in modo più esplicito posto “sotto il controllo vigile dello Stato”, il cui concorso non avrebbe potuto limitarsi all’apporto di materiali, ma avrebbe dovuto comprendere anche la compartecipazione nel capitale. In modo prevedibile, il Ministero dell’Agricoltura si proponeva come l’ufficio statale più competente. Le differenze più vistose tra le due relazioni del 1923 riguardano proprio la ripartizione tra componenti private e componenti pubbliche all’interno del nuovo organismo, che nella proposta di De Stefani avrebbe potuto essere anche una società privata, con finalità “pubbliche” di interesse nazionale, ma finanziata principalmente dai privati, mentre secondo le linee guida di De Capitani si sarebbe costituituito come Ente pubblico in cui le società nazionali sarebbero rientrate secondo un sistema definito “a catena”:

L’organismo centrale disporrebbe della maggioranza delle azioni emesse dalle diverse società operatrici, controllandone in tal modo l’azione in conformità di una direttiva generale unica. [...] Con tale sistema si raggiungerebbero gli scopi seguenti:– mantenimento delle iniziative individuali per i singoli affari, i quali proseguirebbero come pel passato, pur perdendo l’assoluta indipendenza (poiché la maggioranza delle loro azioni sarebbe posseduta dall’Ente Nazionale); i gruppi esistenti non perderebbero ma guadagnerebbero importanza, poiché essi stessi farebbero parte (e probabilmente anzi parte importante) dell’Ente Nazionale, nel quale potrebbero entrare, con l’apporto delle loro azioni; acquisterebbero, in cambio, una possibilità di sviluppo che oggi non hanno;– maggior facilità di raccogliere capitali, poiché singoli capitalisti possono preferire l’una o l’altra delle diverse funzioni da esercitare, tutte diverse per rischio e per rendimento;– possibilità di accordi con altri organismi italiani o stranieri per singole funzioni, pur mantenendo le direttive generali dell’impresa;– in conseguenza di tutto ciò, maggior facilità di sviluppo dell’affare che, come tutte le iniziative del petrolio, ha la possibilità di notevoli ampliamenti.

È questa forse la riflessione più articolata sul rapporto con le società private che si possa trovare in tutto il dibattito sulla formazione dell’“Ente nazionale dei petroli”32 . Secondo De Capitani, sarebbe stato lecito, anzi dovuto, compiere un’azione “indiretta” per unificare l’attività nazionale nel campo petrolifero attraverso il controllo delle società private operanti nei vari settori della produzione, della raffinazione, del trasporto, della distribuzione. Il “sistema a catena” delineato ricorda molto la struttura di una holding, con una società di gestione cui dipendono le controllate, in una prospettiva di diversificazione e di tutela dal rischio d’impresa. L’azione “indiretta” avrebbe dovuto inoltre essere affiancata da un’azione diretta, compiuta dall’Ente in quanto tale, nei vari settori dell’attività commerciale e industriale – escluso, come si è visto, quello della ricerca – in modo da raccogliere in un centro di comando tutte le iniziative economiche petrolifere nazionali. La forma della Società per Azioni era evidentemente ritenuta la più connaturata ad un organismo che avrebbe dovuto distinguersi per capacità operativa e quindi alta disponibilità di capitali. Anche questa sistemazione, tuttavia, appare complessa e poco lineare nella coesistenza di due anime, una simile alla holding e una strettamente operativa, segno della difficoltà insita nella questione del rapporto tra un’iniziativa pubblica nella forma di Ente economico e le preesistenti iniziative private nazionali. Per quanto riguarda le società straniere, come ormai si è compreso, si era unanimemente accettata l’idea che l’Ente nascesse in loro diretta concorrenza e che dovesse progressivamente marginalizzarle. Nel campo delle ricerche, in secondo luogo, vigeva il diritto incontestato del Ministero dell’Agricoltura, attraverso la Direzione generale delle miniere, a condurre attività dirette; escludendo questo campo dall’attività del futuro Ente, si escludevano anche da rapporti con esso le poche società italiane che operavano ricerche e sfruttamento di

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32 Questo è anche il giudizio di PIZZIGALLO, op.cit., p. 120.

giacimenti all’interno dei confini nazionali, in particolare le già citate SPDI e SPI. Erano invece le società italiane del campo della raffinazione, del trasporto e della distribuzione rappresentare un problema, perchè sarebbero state dirette concorrenti dell’Ente.

Si possono ora trarre alcune conclusioni sull’istituzione dell’Azienda Generale Italiana Petroli. Il valore di supplenza di un settore che stentava a nascere, il ruolo di ausilio ad alcuni settori industriali in particolare e all’intera economia nazionale in generale, e la scelta di imitare forme privatistiche di organizzazione, i tre elementi individuati nella relazione di Volpi del 1° marzo, si intrecciarono l’uno con l’altro all’interno del discorso sulla costituzione dell’“Ente nazionale dei petroli” tra il 1920 e il 1926. Il primo, si può dire, fu sempre presente anche dove l’accento veniva messo su altri aspetti perchè, come diceva De Stefani nel 1923, era “uno stato di fatto, purtroppo esistente”. Fino alla relazione di De Capitani, tuttavia, non si propose risolutamente l’Ente come risposta pubblica ad una assenza di iniziativa privata in un dato settore dell’economia. Il secondo, accostabile più degli altri ad un programma di nazionalismo economico, emerse sin dalla relazione di Sitta e sembra essere intimamente legato agli ambienti ministeriali che durante la guerra si erano occupati del Commissariato nazionale dei combustibili e avevano inquadrato la questione petrolifera in una prospettiva strategica e militare. Tipica di questa prospettiva era la natura “nazionale” della soluzione che veniva invocata al problema della “indipendenza industriale e commerciale”33: la società o l’ente avrebbero dovuto essere italiani. In secondo luogo, il ruolo di ausilio all’industrializzazione rientra pienamente nella definizione di oil nationalism che alcuni studiosi adottano in riferimento ad un fenomeno sovra-nazionale tipico, negli anni Venti e Trenta, di “quei paesi europei a basse risorse energetiche carbonifere [...] che pur volevano lanciarsi nell’agone dell’industrializzazione superando i vincoli che a essi potevano derivare dall’esistente collocazione nella divisione internazionale del lavoro”34.

Quanto alla scelta di forme privatistiche, si è visto come la relazione De Stefani abbia introdotto per primo la possibilità di ricorrere a capitali e a società private per costituire una “Società” che, si deve credere, avrebbe avuto un capitale suddiviso in azioni, e come De Capitani abbia iniziato ad associare tale proposta alla forma dell’ente di gestione. In entrambi i casi, tuttavia, si erano separate radicalmente le attività di ricerca dalle attività di approvvigionamento dall’estero e di distribuzione, prevedendo soltanto per le seconde la possibilità di imitare con successo forme di imprenditorialità privata. Il dato più interessante che emerge dalle varie fonti analizzate è forse proprio la persistente convinzione che la ricerca di nuovi giacimenti in Italia o nei territori italiani oltremare, per le difficoltà insite in tali attività, potesse essere condotta soltanto dallo Stato in modo diretto, senza mediazioni private o parastatali.

Il Decreto n. 556 fu effettivamente la sintesi di questo lungo percorso, che potrebbe essere simboleggiato proprio dalla scelta di istituire un Ente pubblico nella forma di una Società per Azioni, ma bisogna tenere conto anche delle novità apportate: la scelta di una proprietà interamente pubblica e l’inclusione dell’attività di ricerca nel suo campo d’azione. Quanto a quest’ultima, la collocazione al di fuori dalle attività finanziate dal capitale sociale non deve nascondere la trasformazione cui vennero sottoposte le norme del Decreto n. 1605 del 1921, i cui fondi predisposti per l’attività diretta del Ministero venivano dirottati sul nuovo protagonista pubblico della politica petrolifera. In riferimento alla proprietà, invece, si può riprendere Mortara, il quale, introducendo la raccolta di saggi sui protagonisti dell’intervento pubblico, cita l’AGIP come un “antecedente settoriale” delle imprese a partecipazione statale dipendenti dall’IRI e la accosta alla Sudbähn e

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33 L’espressione è quella, già incontrata, di Sitta nella relazione del 1920. 34 Ciò peraltro porta gli autori ad affermare che “ben poco contribuì alla decisione di fondare l’AGIP nel 1926 la natura fascista del regime politico che allora dominava il nostro paese”, vedi SAPELLI G. (a cura di), Nascita e trasformazione d’impresa: storia dell’AGIP petroli, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 24.

all’Ansaldo-Cogne35. Il paragone non è esatto, perchè l’Azienda Generale non era una società mista a partecipazione pubblica e privata. Tale forma appartenne effettivamente alla Ansaldo-Cogne e alla Sudbähn, così come alle società controllate dall’IRI, perchè si trattava di rilevamenti di società esistenti. Come ha scritto Sabino Cassese, invece, va notato che “l’AGIP è una delle poche imprese a cui lo Stato italiano, nel periodo tra le due guerre mondiali, ha dato vita non per sanare delle situazioni di crisi, ma per sviluppare un determinato settore produttivo, quello delle fonti di energia, in cui si rilevava una carenza di iniziativa privata”36. Lo Stato non entrava nel capitale sociale di una società esistente con una propria partecipazione, ma piuttosto forniva la dotazione finanziaria totale della nuova società. Non si trattò, comunque, di un’azione puramente creativa e, forse, il paragone proposto da Mortara andrebbe riformulato tra l’IRI nel suo complesso e l’AGIP alla luce del “sistema a catena” che essa assunse nei primi anni di attività.

3. Tra Finanze ed Economia Nazionale

Le tensioni interministeriali che si sono riscontrate anche nel testo del Decreto, animato dalla doppia asimmetria tra ministeri finanziatori e tra ministeri supervisori, si manifestarono a partire dall’intervento pubblico del 10 aprile in cui, come riporta Pizzigallo nel suo lavoro sui primi anni di attività dell’AGIP37, Volpi parlò per la prima volta pubblicamente della nuova Azienda assumendosi la paternità dell’iniziativa. Pochi giorni passarono prima che Belluzzo diramasse una nota ai quotidiani nazionali in cui si leggeva che “soltanto con l’on. Belluzzo si è energicamente ripresa la politica nazionale dei petroli sboccata nella creazione dell’AGIP”. Veniva riconosciuto il grande merito del Minisitro delle Finanze di essersi distinto dai suoi predecessori per la sua determinazione ad occuparsi della questione, ma si ribadiva infine che si sarebbe proceduto “alla definitiva stipulazione e costituzione della nuova Azienda che sarà controllata dal Ministero dell’Economia Nazionale”. La contrapposizione tra i due Ministeri, per la quale rimando ai lavori suddetti, si protrasse fino ai primi mesi del 1927 intorno a varie questioni, tra cui la nomina di Ettore Conti alla Presidenza dell’AGIP, la creazione di un Comitato tecnico interno all’Azienda e di una Commissione ministeriale per le ricerche minerarie, suo doppione nelle mani di Belluzzo38, il potere conferito ai prefetti di bloccare le concessioni per stazioni di rifornimento e depositi alle aziende petrolifere concorrenti39, rispetto al quale Belluzzo si oppose rivendicando per il suo Ministero la pertinenza della gestione delle concessioni. All’origine di tale scontro era la diversa concezione del ruolo dell’AGIP nel campo delle ricerche e la forma della holding che aveva assunto, entrambe frutto di decisioni prese senza l’approvazione del Ministero dell’Economia Nazionale.

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35 MORTARA A. (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, Franco Angeli, Milano, 1984, p. 22.36 S. Cassese, Aspetti giuridici dello sviluppo economico, in “Studi in memoria di Angelo Gualandi”, Urbino, Argalia, 1969, pp. 110-141, citazione da pp. 130-131.37 PIZZIGALLO M., L’AGIP degli anni ruggenti, 1926-1932, Giuffrè, Milano, 1984, p. 8. L’intera vicenda del conflitto tra Volpi e Belluzzo è trattata alle pp. 7-39, sullo sfondo della formazione e dei primi mesi d’attività dell’AGIP. Incentrato sulla figura del Ministro dell’Economia Nazionale è MINESSO Michela, Giuseppe Belluzzo. Tecnico e politico nella storia d’Italia, 1872-1952, Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 111-149.38 RDL 1 luglio 1926 n. 1248; la Commissione era presieduta dall’onorevole Martelli e formata da alcuni degli esperti che già componevano il Comitato tecnico dell’AGIP. 39 “Prego V. S. curare che nessuna concessione ad Enti Pubbblici e privati di aree demaniali sia accordata per impianti serbatoi, apparecchi custodia e distribuzione benzina, senza previo consenso Azienda Generale Italiana Petroli (AGIP). Anche per terreni non demaniali permessi d’impianto dovranno essere concessi soltanto dopo ottenuto consenso AGIP.” Telegramma di Mussolini “A tutti i Prefetti del Regno”, 7/8/1926, AS ENI, fondo AGIP, b. 1, f. 908.

La dipendenza dai fondi del Ministero decretata dall’Art. 6 potrebbe spingere a vedere l’AGIP come il braccio tecnico di cui veniva dotata l’Economia Nazionale per attuare più efficacemente le ricerche, una sorta di presa d’atto dell’incongruenza tra attività economiche complesse e uffici ministeriali, ma nei fatti non si materializzò mai questa situazione. Fin dai mesi preparatori, al contrario, si può riscontrare la diffidenza di Belluzzo verso un progetto che sembrava gravitare ormai nell’orbita di Volpi, come si evince da un appunto “Per S. E. il Ministro” delle Finanze in cui il Conte Ettore Carafa d’Andria, chiamato da Volpi nel gabinetto ministeriale per occuparsi della costituzione dell’“Ente petroli”40 , riportava le posizioni dei titolari delle Comunicazioni e dell’Economia Nazionale rispetto alla questione delle ricerche:

S. E. il Ministro dell’Economia Nazionale è d’accordo sulle aggiunte da apportare al Decreto per il nuovo Ente “Petroli”, proposte da S. E. il Ministro delle Comunicazioni, eccezion fatta per l’articolo riguardante le ricerche.Infatti S. E. il Ministro delle Comunicazioni propone un articolo che riflette specificamente il nuovo Ente “Petroli” al quale verrebbe affidato l’incarico per le ricerche di prodotti petroliferi, mentre S. E. il Ministro dell’Economia Nazionale propone un articolo di indole generale con il quale lo stesso Ministro dell’Economia Nazionale è autorizzato a far ricerche di minerali in genere. 41

Belluzzo non intendeva rinunciare alla possibilità di condurre ricerche garantita al Ministero dal decreto del 1921, tanto più una volta divenuto evidente il controllo esercitato da Volpi sulla neocostituita AGIP: Presidente della Società era Ettore Conti, grande nome dell’industria elettrica italiana oltre che amico personale del Ministro; Vicepresidenti Alberto Pirelli, al contempo Presidente della Società Nazionale Olii Minerali (SNOM), e Gelasio Caetani, ingegnere minerario ed ambasciatore a Washington implicato nella vicenda della “convenzione Sinclair”; Segretario il Conte Ettore Carafa d’Andria che, come si è visto, era uno stretto collaboratore del Ministro delle Finanze; Amministratore Delegato l’ingegnere Laviosa, responsabile dei petroli albanesi presso il Ministero delle Comunicazioni e referente di Carafa d’Andria nei precedenti mesi di trattativa. Il vertice dell’Azienda era quindi composto da uomini in stretto contatto con Volpi, mentre i Consiglieri rappresentavano uno ad uno gli enti e gli uffici pubbici interessati dalle attività dell’AGIP42. Sembra aver influito notevolmente sulla scelta di attribuire all’AGIP il compito delle ricerche, sottraendolo al Ministero, il parere di Laviosa, rintracciabile in una serie di documenti indirizzati a Carafa d’Andria perchè li mostrasse a Volpi. In un memorandum non datato, ma conservato tra le carte preparatorie dal futuro Segretario dell’Azienda, il funzionario del Ministero delle Comunicazioni sollecitava la fusione tra l’Azienda Italiana Petroli Albanesi e l’Ente che si andava costituendo, al quale era da riservare il compito delle ricerche in Italia43. Più chiara era l’indicazione fornita in una lettera per Carafa d’Andria, datata 24 marzo 1926, in cui si sosteneva la “necessità della unificazione effettiva e definitiva della competenza e della attività in un Ente solo al quale siano affidate in modo esclusivo tutte le iniziative e le funzioni ufficiali nel campo del petrolio”44, elencando poi le attività di ricerca, di intervento su giacimenti esteri, di raffinazione, di trasporto e di distribuzione. Gli “organismi statali competenti già esistenti”, un chiaro riferimento

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40 Lo si evince dalle lettere di presentazione che introdussero il Conte nei Ministeri delle Comunicazioni e dell’Aeronautica, conservate nell’archivio dell’ENI. Lettera di Brocchi a Mario Berenghi, 11 marzo 1926, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, doc. 17; Lettera senza nome a Ruzza, 18 marzo 1926, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, doc. 18.41 Appunto “Per S. E. il Ministro”, senza data ma precedente al 3 aprile 1926, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, doc. 19.42 Per un elenco più dettagliato rimando a POZZI, op.cit., pp. 34-36.43 “Parere dell’Ing. Laviosa su alcune questioni relative ai petroli”, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, doc. 9.44 Lettera di Laviosa a Carafa d’Andria, 24 marzo 1926, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 908, doc. 21.

alla Direzione generale dell’industria e delle miniere in seno al Ministero dell’Economia Nazionale, avrebbero dovuto limitarsi alla “consulenza” e alla “collaborazione sperimentale”. Alla luce di questo comune indirizzo per una Società autonoma e “completa”, proveniente dal Ministero delle Comunicazioni e dal Ministero delle Finanze, si deve concludere che l’Art. 6 del decreto n. 556 non era volto a marginalizzare le attività di ricerca rispetto al core business dell’impresa, ma, al contrario, conferendo per la prima volta ad un impresa pubblica una prerogativa tipica del Ministero dell’Economia Nazionale, e di quello dell’Agricoltura in precedenza, intendeva limitare e marginalizzare il controllo di questo sulla politica petrolifera. L’AGIP si costituiva come superamento non solo del sistema dei premi e delle sovvenzioni, criticato da Volpi nella relazione del 1° marzo, ma anche dell’intervento diretto ministeriale nelle ricerche e nell’estrazione45.

La scelta della holding fu sostenuta invece da Ettore Conti in persona all’interno della prima seduta del Consiglio di Amministrazione: “Il Presidente è del parere che la A. G. I. P. dovrà avere il carattere di una «Holding Company». Essa dovrà quindi esplicare le sue diverse attività attraverso altrettante Aziende delle quali naturalmente la A. G. I. P. dovrà avere l’assoluto controllo”46. Scompariva la “doppia anima” della formulazione di De Capitani del 1923 e si prediligeva la forma della società di gestione, che avrebbe permesso di conservare intatte tutte le imprese che si fosse deciso di includere nell’AGIP. Se nel progetto di De Capitani il sistema “a catena” sarebbe servito ad associare le varie imprese private sotto il controllo e la proprietà di un ente pubblico forte anche di un comparto di attività interamente proprie, la volontà di Conti sembra essere stata essere piuttosto quella di promuovere direttamente tali imprese ad un ruolo pubblico: secondo la proposta del 1923 si sarebbe proceduto “dall’alto”, mentre ora si procedeva “dal basso”. Si capisce che tale soluzione si allineava con gli interessi dei loro amministratori, che potevano ritenere di conservare il proprio posto alla guida delle “controllate”. Alberto Pirelli, in particolare, finiva per trovarsi in una posizione estremamente favorevole, Presidente della controllata più importante, la SNOM, e Vicepresidente della holding in stretti contatti con il suo Presidente. Ettore Conti, sul suo “Taccuino”, annota alla data del 14 marzo 1926 il resoconto del suo colloquio in cui Mussolini e Volpi offrirono a lui e Pirelli di occuparsi di due problemi “interessantissimi per la nostra economia”, quello dell’esportazione e quello dei combustibili liquidi47. Conti scrive di aver scelto il secondo dopo che gli fu concessa la libertà di scegliere Pirelli come Vicepresidente e, alla data del 30 maggio 1928 ritorna su quei giorni affermando che “fino dalla sua costituzione, per evitare complicazioni amministrative di pesanti organismi accentrati, abbiamo dato all’AGIP la forma di una Holding, con la funzione di organo direttivo di enti distaccati materialmente da essa, ed operanti con relativa autonomia”48. Questa seconda definizione di holding, si noti, non coincide con le parole spese da Conti durante la prima seduta dell’AGIP, in cui aveva parlato di “assoluto controllo”, e sembra piuttosto descrivere a posteriore la situazione che si creò tra la casa madre e le controllate, che continuarono ad avere i propri Consigli d’Amministrazione, le proprie sedi centrali in città diverse da Roma, e perfino gli stessi amministratori: oltre a Pirelli, vennero riconfermati sia gli amministratori della ROMSA di Fiume quando si scelse di acquistarne le azioni, sia numerosi

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45 Di fatto questo risultato non venne ottenuto e il Ministero continuò a condurre ricerche in autonomia fino alla sua dissoluzione nel 1929. 46 Seduta del 9 maggio 1926, Verbali del CdA AGIP, vol. 1, pp. 1-2, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 11. 47 CONTI Ettore, Dal taccuino di un borghese, Il Mulino, Bologna, 1987, nota del 14 marzo 126, pp. 227-228. Sull’attendiblità dell’opera in questione segnalo questo giudizio: “Il Taccuino agisce come potente megafono nella autorappresentazione del «tecnico» sopra le parti e dell’arbitro imparziale coinvolto – quasi sempre suo malgrado, sembra suggerire Conti – in alcuni passaggi chiave della storia finanziaria e industriale del nostro paese.” ARMANNI V., Ettore Conti tra industria elettrica e banca mista (1895-1933), in BIGAZZI D. (a cura di), Storie di imprenditori, Il Mulino, Bologna, 1996, pp. 329-356. La citazione è a p. 330.48 CONTI, op.cit., nota del 30 maggio 1928, p. 275.

consiglieri romeni della Prahova e della Petrolul, società di estrazione e raffinazione di Bucarest in cui l’AGIP acquistò una partecipazione a fine 1926. La “snellezza”, una qualità già invocata a suo tempo da Volpi, si era concretizzata in quella che Pozzi ha definito “una holding pubblica molto privata”49.

4. “L’Azienda che sognai organo potente della politica petrolifera italiana”

La prima rinunione del Consiglio d’Amministrazione dell’AGIP del 9 maggio 1926 fu dedicata all’esposizione delle linee guida da parte del Presidente Conti, il quale oltre alla forma della holding propose il rilievo delle azioni della SNOM, riprese la questione delle ricerche per come formulata nell’Art.6 del Decreto n. 556 e introdusse la possibilità di un intervento in Romania per rilevare qualche società locale. Oltre a Conti, l’unico a parlare fu Arnaldo Petretti, che affermò di concordare pienamente con il programma del Presidente, ottenendo l’adesione degli altri Consiglieri. Occorre adesso soffermarsi brevemente sulla sua figura, su cui peraltro mancano studi completi e ci si deve limitare ad una sintesi biografica contenuta nel lavoro sulle vite dei Consiglieri di Stato50. Nato a Orbetello nel 1878, Petretti si era laureato in giurisprudenza nel 1901 a Pisa e nel 1904 aveva vinto un concorso per entrare nel Ministero dell’Interno. Passato l’anno successivo per concorso al Tesoro, raggiunse il grado di capo sezione nell’ottobre 1919, quando passò al Ministero dell’Agricoltura come direttore capo di divisione. Come si è visto, in questo frangente assunse la Direzione generale dei comustibili, che dovette abbandonare nel 1923 per la soppressione dell’ufficio. Fu volontario durante la guerra e venne insignito con la Croce di guerra al valore militare e la Croce al merito di guerra51. La sua iscrizione al PNF risale al marzo 1926, anche se venne retrodatata al marzo 1925 e, dopo la guerra, postdatata al giugno 1928. Petretti fu senza dubbio uno dei funzionari dello Stato italiano con più esperienza in campo petrolifero, sebbene non di formazione tecnica. Il RDL 19 novembre 1921 n. 1605 venne elaborato e promosso nel 1920, durante il governo Giolitti, dalla Direzione generale dei combustibili di cui faceva parte, per essere poi accolto sotto il governo Bonomi. La riforma del regime minerario italiano del 1927, attuata con RD 29 luglio 1927 n. 1443, venne pensata con un suo contributo “rilevantissimo”52. In base ad essa si affermò rigidamente il principio della demanialità del sottosuolo che la legge del 1921 non aveva ancora stabilito con chiarezza: in sostituzione di una coesistenza tra sistema legislativo demaniale, fondiario e misto, si rese il Ministero unica autorità in potere di autorizzare ricerche e coltivazioni minerarie, attraverso una concessione, esclusivamente ad aziende che avessero dimostrato “il possesso dell’idoneità tecnica ed economica”53. Se quindi si può trovare una linea comune nell’attività di Petretti come funzionario dedito alle questioni petrolifere, è certamente quella del sostegno al Ministero come massima autorità per ogni attività economica, pubblica o privata. Ciò avvicinava senza dubbio Petretti ad una lettura in chiave nazionalistica dello sviluppo economico

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49 POZZI, op.cit., p. 34. Si sofferma più brevemente sulla struttura ad holding in SAPELLI, op.cit., p. 38.50 GIORGI Chiara, voce Petretti, Arnaldo, in MELIS G. (a cura di), Il Consiglio di Stato nella Storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), 2 voll., Giuffrè, Milano, 2006, tomo II, pp. 1480-1485.51 Ho tratto questa informazione dalla scheda biografica consultabile sul sito del Senato della Repubblica, all’indirizzo http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/1dbf7f5088956bebc125703d004d5ffb/cc33a4da07a874fb4125646f005e6c9d?OpenDocument, ultimo accesso il 13 giugno 2013. Sono le medesime schede consultabili nella raccolta edita GENTILE Emilio, CAMPOCHIARO Emilia, (a cura di), Repertorio Biografico dei senatori dell’Italia fascista, 5 voll., Bibliopolis, Napoli, 2003, vol. 4.52 PIZZIGALLO, Alle origini, p. 83. 53 L’impatto della legge del 1927 viene affrontato da MAGINI, op.cit., pp. 71-72.

nazionale e ad una piena consapevolezza del ruolo strategico del settore petrolifero, che doveva essere saldamente nelle mani dello Stato, ma partiva dall’idea che solo all’interno del Ministero esistessero le competenze tecniche, la volontà e i mezzi necessari per risolvere il problema delle ricerche in Italia54.

Ettore Conti era un personaggio di tutt’altro tipo: nato a Milano nel 1871, si laureò in ingegneria civile al Politecnico nel 1894 e seguì subito la sua “vocazione industriale”, fondando l’anno seguente una società in accomandita per la distribuzione di energia elettrica, la Clerici-Conti55. Armanni distingue nella sua vita un periodo prettamente “industriale”, in cui si comportò verso le proprie imprese con il forte personalismo tipico dell’imprenditoria dell’epoca, e un periodo da “finanziere” in cui assunse atteggiamenti super partes, o almeno questo volle trasmettere nelle pagine del Taccuino. Nei suoi rapporti con la politica cercò di definirsi sempre come figura “tecnica”, un ingegnere, e accettò soltanto incarichi governativi o statali in cui una preparazione tecnica era preferibile. Fu questo senza dubbio il caso della sua nomina alla Presidenza dell’AGIP, dove portò la sua esperienza nel campo dell’energia elettrica e nel campo della grande finanza, competenze “tecniche” e “privatistiche” prive di un grande disegno pubblico in cui inscrivere la sua attività imprenditoriale56. Per Conti, l’AGIP era un’altra impresa da fondare su solide basi e da avviare verso la prosperità, e può darsi che egli abbia sentito la prossimità con un altra impresa del comparto energetico, ma del settore elettrico, la Società Idroelettrica Piemontese che sotto la guida di Gian Giacomo Ponti aveva assunto la forma di una holding e si era lanciata nell’acquisizione, tra il 1920 e il 1922, di imprese produttrici e distributrici di energia elettrica. Conti era entrato nel 1905 nel Consiglio d’Amministrazione della Società industriale elettrochimica Pont Saint Martin, l’antesignana della SIP, e tra il 1915 e il 1918 ne era stato presidente, dimettendosi alla vigilia della trasformazione in Società Idroelettrica Piemontese per un posto nel CdA della Banca Commerciale Italiana. La Comit era stata da subito determinante per la spregiudicata espansione della SIP, che tra il 1918 e il 1927 accrebbe il proprio capitale sociale da 13 a 600 milioni grazie a sostanziose sottoscrizioni da parte della banca milanese57. Nel 1927 Conti tornò a fare parte del Cda della SIP.

In veste di presidente dell’AGIP, si è visto in precedenza, Conti pose fin da subito la questione dell’acquisizione della SNOM come controllata per il settore commerciale, seguita dalla ROMSA di Fiume per quello industriale e dalle romene Prahova e Petrolul per le attività di estrazione e raffinazione all’estero58. Dopo pochi mesi, nel dicembre, la sua gestione venne duramente criticata dai membri del Cda più distanti dal Ministro delle Finanze Volpi, Arnaldo Petretti e Giuseppe Mastromattei, questi in quota INA. Fu proprio il Direttore generale dell’industria e delle miniere a dare il via a quella che rapidamente si trasformò in una crisi interna del CdA e rischiò di spazzare via il gruppo dirigente dell’AGIP. Il 7 dicembre 1926 Petretti inviò una relazione “A S. E. il Ministro” dell’Economia Nazionale, forse una pratica che si ripeteva da alcuni mesi, rimasta

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54 Pizzigallo riporta un ricordo di Ernesto Cianci, cui Petretti era solito ripetere “Per me, l’importante è che la ricerca sia ben fatta. Il risultato non conta” Vedi PIZZIGALLO, Alle origini, p. 84.55 DECLEVA Enrico, voce “Ettore Conti” del Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 28, pp. 389-400; ARMANNI V., Ettore Conti tra industria elettrica e banca mista (1895-1933), in BIGAZZI D. (a cura di), Storie di imprenditori, Il Mulino, Bologna, 1996, pp. 329-356.56 Sul Taccuino annota, sempre alla data 14 marzo 1926: “Ho preferito il primo [l’AGIP, ndr] per varie ragioni: per quanto esso abbia un’importanza limitata è più concreto, più vicino alle mie attitudini di organizzatore industriale”. Poco oltre si parla di generici “sacrifici” per “l’interesse del Paese”. CONTI, op.cit., p. 228. 57 Le informazioni sul ruolo di Conti nella Comit e sui suoi rapporti con Ponti e la SPI sono tratte da ARMANNI, op.cit., pp. 338-342. Il capitale sociale dell’AGIP venne accresciuto da 100 milioni a 140 con RDL 2 marzo 1927 n. 299, a 200 milioni con RDL 30 giugno 1932 n. 893, a 300 milioni con RDL 24 ottobre 1935 n. 1932, a 500 milioni con RDL 29 marzo 1940 n. 294, a 1 miliardo con RDL 18 ottobre 1942 n. 1291, 58 Per le vicende del Consorzio Utenti Nafta/SNOM e delle acquisizioni delle partecipate rimando a POZZI, op.cit., pp. 27-48.

parzialmente indedita59. Da un’annotazione a margine di Carafa d’Andria si apprende che il documento fu “presentato dal Cav. Petretti a S. E. Belluzzo, che lo ha consegnato a S .E. Mussolini senza informare S. E. Volpi”. La copia che ho avuto modo di consultare venne trasmessa il 22 dicembre da Volpi, presumibilmente informato da Mussolini in persona, al vicepresidente Caetani, che la portò alla riunione del Comitato di Presidenza tenuta il 23 dicembre a Milano insieme al “memoriale Mastromattei”, di cui parlerò tra breve. La medesima annotazione riporta che una terza lettera accusatoria, a firma del consigliere AGIP in quota Ferrovie dello Stato, Gualdi, fu indirizzata al Ministro delle Comunicazioni Ciano, che tutttavia “l’ha fatta chiudere in cassaforte e non ha dato corso”60.

Nella relazione di Petretti si leggeva che l’attività dell’AGIP “mal corrisponde al fine che il Governo si propone”, sia per l’aspetto commerciale, sia per la ricerca all’interno e all’estero.

Sostanzialmente, l’azione dell’Azienda Generale si esaurì nel rilievo di imprese nazionali già esistenti. Con l’acquisto della maggioranza azionaria della Società Nazionale Olii Minerali e con l’altro più recente fatto per conseguire un interessamento petrolifero in Rumania; il capitale sociale, versato dallo Stato e dagli enti parastatali, fu pressochè interamente immobilizzato. Ma non per questo il nostro Paese fece un avanzamento apprezzabile sulla via che dobbiamo pur sempre percorrere. Per quanto non fiorenti, per quanto tecnicamente ed amministrativamente mal condotte, le aziende accennate erano in possesso di italiani. E più che sostituire alle private imprese un’azienda di carattere semi pubblico, sembrava preferibile per l’economia nazionale perseguire le finalità complesse per le quali si erano dimostrate impari le iniziative particolari. L’Azienda fu istituita per fare ciò che ancora non era stato fatto.61

Benchè non venga citata esplicitamente, è la scelta della forma di holding ad essere posta sotto accusa. Il capitale sociale venne effettivamente esaurito per costituire il primo gruppo di controllate e si iniziò a parlare di un aumento da parte dello Stato per immettere nuove risorse nell’Azienda62, accostandola anche su questo piano alla dinamica di crescita della SIP di Ponti. Il fine del Governo, nelle parole di Petretti, era ricondurre le attività del settore petrolifero al controllo italiano, motivo per cui appariva del tutto ingiustificata la scelta di acquisire soltanto aziende già italiane. In secondo luogo, dotantosi di una società commerciale, una raffineria, una società di estrazione, l’AGIP non produceva alcun cambiamento sensibile in ciascuno di questi settori, dove, per fare un esempio, la ROMSA continuava ad essere una soltanto tra le raffinerie attive in Italia in mano ad altri gruppi. La critica diveniva ancora più incisiva riguardo alle ricerche:

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59 Relazione di Petretti a Belluzzo, 7 dicembre 1926 AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), busta 1, fascicolo 90 B. Petretti scriveva di aver già avuto modo di dichiarare “più volte” il suo dissenso rispetto alla gestione dell’AGIP. Questo documento e i tre successivi, il promemoria riservatissimo “L’attività dell’AGIP” di Mastromattei del 12 dicembre 1926, la lettera di Conti e Pirelli a Volpi del 24 dicembre 1926 e il “Promemoria” di Pirelli del 29 dicembre 1926, non vengono citati da Pizzigallo nei suoi lavori sull’AGIP e vengono soltanto menzionati da Pozzi, che apprende della loro esistenza dal dibattito che scoppiò durante la riunione del Consiglio d’Amministrazione del 17 gennaio 1927, cfr POZZI, op.cit., p. 45-48. Non sono però del tutto inediti: il recente lavoro di Michela Minesso su Giuseppe Belluzzo ne pubblica alcuni brani all’interno dello scontro di questi con il Ministro delle Finanze, cfr. MINESSO, op.cit., pp. 146-149. In questo caso è presente un errore, forse indotto dalla posizione che queste carte hanno nel fondo “Volpi”, o dalla forma in cui pervennero al Ministro: i testi del 7 e del 12 dicembre vengono citati come un’unico memoriale di Petretti datato 12 dicembre, inviato da questi al Ministro delle Finanze. Come si è detto, la relazione di Petretti del 7 dicembre era indirizzata a Belluzzo e non a Volpi, mentre il memoriale di Mastromattei venne inviato direttamente a Mussolini.60 Questo terzo atto d’accusa fu opportunamente ignorato anche da Volpi, Conti e Pirelli e non emerse durante la discussione del 17 gennaio nel CdA AGIP, restando pertanto nell’ombra anche rispetto ai più recenti lavori storiografici. A differenza degli altri, non è conservato nell’Archivio dell’ENI e non sono riuscito a rintracciarlo; rimane, tuttavia, indispensabile per avere un quadro completo dello scontro per la dirigenza dell’Azienda del dicembre 1926. 61 Corsivo mio, relazione di Petretti a Belluzzo, 7 dicembre 1926, pp. 1-2, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 90 B62 L’aumento venne effettivamente concesso con RD 2 marzo 1927 n. 299.

Nel Regno, si attende a tre sole trivellazioni. In confronto delle possibilità, è ben poca cosa. Si aggiunge che, con ogni probabilità, nemmanco a tali indagini si sarebbe posto mano, ove V. E. non avesse ripetutamente ed energicamente insistito perchè si troncasse ogni indugio.Anzicchè spiegare la propria attività nel senso e nei limiti segnati dalla legge che la costituì, l’Azienda spese i primi mesi di vita in questioni di competenza, sforzandosi di sostenere una autonomia che nessuno intese conferirle e che contrasterebbe perfino con il suo beninteso interesse. Dimostrò, in seguito, di possedere una ben scarsa preparazione per gli studi ed i lavori che doveva intraprendere. Esagerò manifestatamente l’importanza dell’investigazione geologica, senza tenere nel debito conto il risultato dei lavori compiuti in tal senso per iniziativa della Direzione Generale dei combustibili.63

La Direzione generale delle industrie e delle miniere era stato l’ufficio che aveva gelosamente difeso la prerogativa del Ministero di condurre direttamente ricerche di idrocarburi, ma le critiche mosse alla scarsa attività dell’AGIP in quel settore fanno ritenere che ormai anche Petretti ritenesse preferibile lasciare che fosse il nuovo ente ad occuparsene. Il Ministero avrebbe dovuto tuttavia dovuto continuare ad essere l’unico in grado di concedere autorizzazoni e di dirigere le ricerche verso fini non immediatamente commerciali. Si è visto infatti come fino dal 1920 si fosse individuata l’assenza di profitto economico come una delle motivazioni della scarsa iniziativa privata nel campo delle nuove ricerche; Petretti non voleva che prevalesse anche nell’AGIP una concezione “privatistica”, che avrebbe dilazionato la vasta campagna di ricerche che era nei suoi progetti. Di fronte a tali difetti, prodotti da un gruppo dirigente su cui non era riuscito ad esercitare la minima influenza, il Direttore generale delle industrie e delle miniere prefigurava al Ministro l’opportunità di abbandonare il CdA dell’AGIP e di scindere così i legami tra essa e il Ministero dell’Economia Nazionale: un gesto così clamoroso, scrive Petretti, avrebbe potuto tornare a vantaggio “degli interessi dell’Azienda, che sognai organo potente della politica petrolifera italiana”.

Di pochi giorni successivo è il lungo promemoria “L’attività dell’A. G. I. P.” stilato da Giuseppe Mastromattei, il quale era entrato anche nel Consiglio d’Amministrazione della SNOM e aveva accesso quindi a dati più dettagliati rispetto a Petretti. Si tratta di una nota riservatissima che venne indirizzata al Capo del Governo Mussolini64 in cui venivano elencati gli aggravi che la gestione di Conti aveva apportato al bilancio dell’Azienda, le spese sostenute per ciascuna partecipazione azionaria, le “provvigioni” pagate ad alcuni faccendieri stranieri ed italiani per facilitare l’ottenimento di contratti di fornitura, la marginalità delle risorse destinate alla ricerca.

L’AGIP è sorta nel maggio scorso per volontà del Duce e allo scopo di sottarre, seguendo le vie più opportune, per sempre ed il più rapidamente possibile l’Italia all’arbitrio dei Trust stranieri del petrolio. Sette mesi di attività del nuovo Ente parastatale sono già più che sufficienti per rilevare come esso sia stato avviato su una strada che non è più facile abbandonare e che ad un sereno esame non può non essere oggetto di giuste critiche.Infatti fin’oggi l’AGIP si è limitata a fare alcune operazioni di carattere spiccatamente finanziario e commerciale di ben dubbio risultato pratico dando rapidamente fondo al relativamente piccolo capitale iniziale di 100 milioni di lire.65

Rispetto alla relazione di Petretti, le critiche alla forma della holding erano più aperte e si basavano sul tema del carattere “finanziario e commerciale” e non industriale dell’attività dell’AGIP. Nelle parole di Mastromattei, essa funzionava come un “organismo centrale finanziario” che operava negli interessi degli azionisti delle controllate e non dello Stato. L’acquisizione della SNOM, per citare l’esempio maggiore, era descritta come un vero e proprio salvataggio di

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63 Relazione di Petretti a Belluzzo, p. 3.64 Lo si evince dalla discussione durante la riunione del CdA AGIP del 13 gennaio 1927. A differenza del documento precedente, nella relazione di Mastromattei manca l’intestazione e il destinatario. Il documento è “L’attività dell’AGIP”, promemoria “riservatissimo” di Mastromattei, 12 dicembre 1926, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 90 B.65 Ivi, p. 1

un’azienda mal gestita e sulla via del fallimento, deciso per di più in seno all’AGIP da Pirelli, che era il maggiore azionista della futura controllata con lire 7.380.000 sul capitale sociale di lire 31.500.00066. Dopo aver acquistato 82.000 azioni su 90.000 per un totale di lire 29.035.650, anche se di questi un terzo vennero pagati in obbligazioni, l’AGIP dovette “salvare la SNOM dal fallimento” acquistando tutti i beni patrimoniali per 35 milioni, di cui al dicembre 1926 erano già state pagate lire 26.513.549. Si può vedere come ciò creasse una situazione poco chiara, in cui la holding AGIP operava nel settore commerciale attraverso la controllata SNOM, la quale però doveva ricorrere a macchinari e strutture di proprietà dell’AGIP stessa. Venivano poi citate le tangenti per 2 milioni pagate ad Aslanoff, un russo, per il contratto con il Sindacato russo della nafta, e alcuni milioni di “crediti inestinguibili”, tra cui uno di 4 milioni con un concessionario SNOM di Genova. Riguardo alla ROMSA di Fiume si criticava la scelta di acquistare l’intero pacchetto azionario, quando il Tesoro aveva già conferito all’AGIP il 51% bastevole ad esercitare il controllo, per poi riconfermare i medesimi Amministratori Delegati, che si erano già dimostrati ostili allo Stato. L’iniziativa romena veniva ampiamente esaminata, a partire dal prestito concesso dal Governo italiano al Governo romeno proprio attraverso l’AGIP67, ma la critica più convincente era racchiusa nelle righe introduttive, in cui si rilevava che la legge romena vietava l’esportazione di petrolio greggio e che quindi l’intera operazione si presentava come di dubbia convenienza, perchè avrebbe prodotto i maggiori profitti in Romania e non in Italia. In aggiunta, l’AGIP aveva acquistato le azioni della società prescelta, la Prahova, ad un valore doppio della loro quotazione alla borsa di Bucarest68.

Mastromattei concludeva affermando che, anche facendo “le più rosee previsioni”, “il problema del petrolio rimane sempre insoluto nel nostro Paese”.

Era evidente infatti che, creando l’AGIP, la volontà precisa del Capo del Governo non fosse quella di fare una speculazione finanziaria, ma di assicurare all’Italia fonti sicure ed indistruttibili di combustibile liquido, ciò soprattutto ai fini bellici. Il problema lo si risolve radicalmente soltanto con la produzione interna: era questa la via che l’AGIP avrebbe dovuto PRINCIPALMENTE battere. Invece nel campo delle ricerche è poco quanto si vuol fare, nulla quanto è stato fatto dall’AGIP.È ben vero che il capitale iniziale di 100.000.000 è assolutamente insufficiente per ottenere anche una piccola vittoria nella grande battaglia del petrolio, ma (e diciamo questo per finire) si confrontino le somme già spese dall’AGIP per rilevare società che, in fondo, erano già tutte interamente od in maggior parte controllate da italiani (L. 29.035.650 per la SNOM, L. 12.888.072 per la ROMSA, L. 17.850.000 per la PRAHOVA, L. 2.969.600 per l’ATLAS PETROLI, L. 980.000 per la PETROLI BUCURESTI, più gli impegni presi per la “PRAHOVA” e quello di circa 35 milioni per il rilievo dei beni patrimoniali della SNOM) con la somma di sole L. 4.262,50 lire quattromiladuecentosessantadue e centesimi cinquanta, anticipate per le ricerche in Italia!69

Le due relazioni vennero recapitate a Volpi e da questi trasmesse a Conti e a Pirelli, i quali risposero immediatamente per lettera il 22 dicembre ricordando di aver accettato l’incarico esclusivamente per senso del dovere e all’esplicita condizione che non venisse commisurato loro alcun compenso, di aver scelto in pieno accordo con il Consigliere Delegato un “indirizzo prettamente pratico e industriale”, di aver agito “con rapidità e responsabilità personali alle quali

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66 Gli altri grandi azionisti erano Agnelli con lire 6.733.300 e il Credito Italiano con lire 4.975.600. Cfr. Ibidem.67 Il prestito appariva in realtà come un mutuo concesso dal Tesoro all’AGIP per sostenere le attività iniziali, come si legge sul RDL 13 agosto 1926 n. 1453. Sulla vicenda rimando a PIZZIGALLO, L’AGIP degli anni ruggenti, pp. 41-68, e POZZI, op.cit., pp. 40-49. 68 Ivi, p. 5.69 Corsivo mio, Ivi, pp. 7-8.

non si sarebbero forse esposte persone legate da tradizioni burocratiche”70, di non avere ottenuto sempre l’unanime sostegno in seno al CdA. Il giorno stesso Caetani si recò a Milano per raccogliere i dati sulla SNOM con ci controbattere alle accuse di Mastromattei. Ne sortì il lungo promemoria del 29 dicembre71, in cui si affrontavano i due aspetti che componevano il “problema del petrolio in Italia”, che l’AGIP era chiamata a risolvere, la riduzione dei prezzi di vendita e l’accertamento della presenza di giacimenti nel sottosuolo italiano. I due aspetti, si sottolineava, erano separati gerarchicamente per quanto riguardava le priorità dell’Azienda: “produzione, lavorazione, commercio di olii minerali” erano l’obbiettivo primario, raggiunto con l’acquisto di “importanti nuclei” da cui potrà partire “con rapidità la nostra azione in più grande stile”. Si poteva affermare, continuava il promemoria, che fosse stato “rigorosamente attuato” il programma della prima seduta del CdA AGIP, sul quale anche Petretti aveva espresso parere favorevole. Rispetto alla questione delle ricerche, si arrivava infine alla interpretazione restrittiva dell’Art. 6 che ho anticipato durante l’analisi del testo del Decreto.

Affermare che fu errore quello di dare la precedenza alla azione commerciale su quella delle ricerche in Italia significa che l’estensore non ha capito ancora, dopo sette mesi, che le ricerche in Italia non erano il compito fondamentale affidato alla nostra Società dal R. D. L. 556, ma potevano, diciamo “potevano” a norma dell’art. 6 del Decreto stesso, costituire un incarico complementare da affidare alla AGIP completamente all’infuori del movimento del suo capitale azionario e cioè a semplice rimborso di spesa.72

In questo modo si cercava di allontanare da sè la responsabilità di un’attività che era oggettivamente al di sotto di qualsiasi aspettativa. Il punto di contrasto, in realtà, non era sulla opportunità o meno di compiere le ricerche, ma sulla modalità con cui esse avrebbero dovuto essere condotte. Emergeva chiaramente la volontà del Ministero di continuare ad esercitare il ruolo di guida di tali attività, trovando nell’AGIP lo strumento pubblico per quell’azione diretta che, dalla legge istitutiva del 1921, non si era ancora riusciti ad esplicare in modo soddisfacente.

Il Ministero dell’Economia Nazionale pretendeva che la AGIP facesse null’altro che le parti d’impresario per i sondaggi sotto il suo controllo mentre, è ovvio che, se la AGIP assume l’incarico delle ricerche deve averne, nei limiti soltanto degli stanziamenti fatti, tutta la responsabilità e, conseguentemente, la completa direttiva, dalla organizzazione degli studi geologici alla scelta dei punti da perforare ed alla esecuzione dei sondaggi.73

Mussolini, che era al corrente dell’intera vicenda, non rimosse Conti e Pirelli dall’incarico e questi poterono mettere sotto accusa Petretti e Mastomattei durante la riunione straordinaria del CdA AGIP del 13 gennaio 192774. I due consiglieri compresero di non avere sostegni esterni e ritrattarono le loro accuse, permettendo che si giungesse ad un ordine del giorno “costruttivo” in cui il Consiglio esprimeva la sua fiducia nella Presidenza e nel suo operato, che avrebbe tenuto conto “degli elementi emersi nella discussione odierna”. Quanto alla questione delle ricerche, lo scontro si concluse con una ridefinizione dei rapporti di forza tra i due ministeri in favore delle Finanze: con il RDL 10 febbraio 1927 n. 300 si creò uno stanziamento di 7 milioni per tre anni sul bilancio del

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70 Lettera di Conti e Pirelli a Volpi, 22 dicembre 1926, p. 1, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 90 B. In questo momento Conti e Pirelli non conoscevano ancora l’identità di uno dei loro accusatori, Mastromattei, ma ipotizzavano correttamente che fosse un membro del CdA SNOM.71 Lo si capisce dall’annotazione a matita, sempre di Carafa d’Andria, sul primo foglio di una copia della “Riservatissima” di Mastromattei, che venne consegnata da Volpi a Caetani perchè lo portasse al Comitato di presidenza della SNOM il 22 dicembre 1926. Su alcune minute di quello che diventò poi il promemoria Conti-Pirelli, si legge a matita “Appunti dati da S. E. Pirelli”, AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 90 B.72 Ivi, p. 17.73 Ivi, p. 13.74 Seduta del 13 gennaio 1927, Verbali del CdA AGIP, vol. 1, pp. 83-91. AS ENI, Fondo Divisione exploration & production (ex AGIP), b. 1, f. 11. Per una trattazione dettagliata, rimando a POZZI, op.cit., pp. 47-49.

Ministero delle Finanze esplicitamente destinato alle ricerche in Italia e nelle Colonie, ma la somma era interamente trasferita dai fondi analoghi in dotazione al Ministero dell’Economia Nazionale fin dal 192175.

Non si è a conoscenza delle motivazioni che spinsero il Capo del Governo a manifestare il suo appoggio agli amministratori dell’AGIP. I due erano sicuramente protetti da Volpi, che godeva ancora di una posizione stabile nel Governo, quindi si può ritenere che Mussolini non abbia voluto mettersi contro il suo Ministro delle Finanze. In secondo luogo, sebbene il regime non attraversasse nell’inverno del 1926 la crisi che invece aveva vissuto durante la vicenda della “convenzione Sinclair”, svoltasi tra l’estate 1924 e il gennaio 1925 in parallelo all’omicidio di Matteotti e all’Aventino, l’istituzione dell’AGIP era stata fortemente propagandata come il primo frutto veramente fascista della politica petrolifera del nuovo governo. Rimuovere i suoi amministratori dopo appena sette mesi, e per di più amministratori della levatura di Conti e Pirelli, sarebbe apparso come una sconfessione totale di quanto fatto finora e avrebbe mostrato che, a ben vedere, il fascismo non aveva ancora elaborato un approccio organico alla questione petrolifera. Se prendiamo in considerazione i personaggi incontrati finora ci rendiamo conto che nessuno di essi può essere considerato fascista prima della marcia su Roma; molti, per la verità, non aderirono al fascismo che a metà anni Venti. Per Pirelli e Conti l’avvicinamento iniziò leggermente prima, ma solo allora si concretizzò in una collaborazione tecnica in linea con le loro figure di imprenditori76. Belluzzo, anch’egli ingegnere di formazione, aderì al fascismo nel 1923, prima delle elezioni cui si presentò nel PNF77, precedendo di qualche anno un altro tecnico dal taglio nazionalista, Petretti. Sembra pertanto del tutto valida l’indicazione già citata a considerare l’AGIP non tanto un prodotto del fascismo quanto l’esempio italiano di del fenomeno “sovranazionale e metapolitico” dell’oil nationalism78. Ricondotta al contesto italiano, la nascita dell’Azienda Generale Italiana Petroli si può collocare a metà del ventennio che andò dallo scoppio della guerra mondiale alla istituzione dell’IRI, due momenti importanti per la storia dell’intervento dello Stato nell’economia. Il progetto dell’“Ente nazionale dei petroli” nasceva dall’esperienza dell’economia di guerra e si concretizzò come Società per Azioni pubblica con il ruolo di holding in un determinato settore dell’economia nazionale. Tale impostazione, così fortemente difesa da Conti e Pirelli, venne rifiutata quando si concluse l’eperienza di Volpi al Ministero dell’Economia, coincisa con risultati deludenti nell’abbassamento dei prezzi e il fallimento di un accordo con una impresa britannica per rompere il trust79. Il 26 settembre 1928 si dimisero Conti, Pirelli, Caetani e Indri, rappresentante della CNAS, mentre Laviosa non venne riconfermato direttore generale. Presidente fu nominato Alfredo Giarratana, ingegnere bresciano non ancora quarantenne presidente della Società servizi municipalizzati di Brescia e direttore del bollettino della Federazione nazionale delle municipalizzate. Arnaldo Petretti divenne vicepresidente, una carica che tenne fino al 1933 e che gli permise di trasformare l’AGIP da holding in società operativa, con il pieno consenso del gruppo dirigente. Il progetto venne esposto durante l’Assemblea generale degli azionisti del 14 marzo 1929, in cui si presentò il bilancio al 31 dicembre 1928.

Da un attento esame delle condizioni generali in cui ci troviamo, era già da tempo apparsa evidente l’opportunità di togliere all’AGIP il carattere esclusivo di una “Holding Company” che in un primo tempo era sembrato il più conveniente – e di darle invece anche gli attributi e le responsabilità di una vera e

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75 RDL 10 febbraio 1927 n. 300, 17 marzo 1927 Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 63.76 Michela Minesso riprende dai Taccuini di Pirelli la notizia dell’offerta del Ministero delle Finanze nel 1925, da lui rifiutata. MINESSO, op.cit., p. 112. 77 MINESSO, op.cit., p. 88. Il passaggio di Belluzzo dal nazionalismo al fascismo è trattato ampiamente nelle pagine precedenti e successive. 78 SAPELLI, op.cit., pp. 23-24.79 POZZI, op.cit., pp. 53-62.

propria Azienda commerciale ed industriale, incorporando ad essa le Società Italiane da noi controllate. [...] Abbiamo poi ritenuto più opportuno limitarci per il momento a proporVi l’assorbimento della sola SNOM, in quantochè le azioni costituenti il suo capitale sono già, ad eccezione di una infima minoranza, di nostra proprietà, e già ci appartengono tutte quelle attività – come le navi, i depositi costieri, i carri-cisterna, i distributori – senza delle quali l’azione commerciale non può efficacemente svolgersi.80

Le fusioni con le partecipate fecero scomparire l’impostazione orginaria dell’Azienda, impacciata dalla contraddittoria tensione tra le attività industriali e commerciali per le quali era destinata e la funzione puramente finanziaria che si era trovata a svolgere sotto la presidenza Conti. Nel 1928 l’AGIP rinacque come società petrolifera integrata pubblica, un carattere che conservò attraverso i restanti anni del fascismo e le vicende della guerra mondiale.

Archivi consultati

Archivio Storico ENI, Pomezia

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