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LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean Archaeology and archaeometry Comparison between western and eastern Mediterranean Edited by Simonetta Menchelli, Sara Santoro, Marinella Pasquinucci and Gabriella Guiducci Volume I BAR International Series 2185 (I) 2010

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LRCW3 Late Roman Coarse Wares,

Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean

Archaeology and archaeometry

Comparison between western and eastern Mediterranean

Edited by

Simonetta Menchelli, Sara Santoro, Marinella Pasquinucci and Gabriella Guiducci

Volume I

BAR International Series 2185 (I) 2010

Published by Archaeopress Publishers of British Archaeological Reports Gordon House 276 Banbury Road Oxford OX2 7ED England [email protected] www.archaeopress.com BAR S2185 (I) LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean: Archaeology and archaeometry. Comparison between western and eastern Mediterranean. Volume I. © Archaeopress and the individual authors 2010 Cover illustration : Eratosthenes map (drawing by Giulia Picchi, Pisa, after G. Dragoni, Eratostene e l'apogeo della scienza greca, Bologna 1979, p.110). Papers editing: Giulia Picchi, Pisa ISBN 978 1 4073 0736 7 (complete set of two volumes) 978 1 4073 0734 3 (this volume) 978 1 4073 0735 0 (volume II) Printed in England by Blenheim Colour Ltd All BAR titles are available from: Hadrian Books Ltd 122 Banbury Road Oxford OX2 7BP England www.hadrianbooks.co.uk The current BAR catalogue with details of all titles in print, prices and means of payment is available free from Hadrian Books or may be downloaded from www.archaeopress.com

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VADA VOLATERRANA (VADA, LIVORNO). MATERIALI TARDO-ANTICHI DAL POZZO DELLE GRANDI TERME

PAOLO SANGRISO,1 SILVIA MARINI2

1Dipartimento di Scienze Storiche del Mondo Antico-Università di Pisa, via Galvani 1, 56126 Italy ([email protected]) 2Scuola di Specializzazione in Archeologia-Università di Pisa, via Galvani 1, 56126 Italy ([email protected])

L’area archeologica messa in luce in loc. S. Gaetano di Vada (Rosignano M.mo, LI) costituisce l’estremità settentrionale di un quartiere commerciale attivo fra gli inizi del I sec. d.C. e gli inizi del VII sec. d.C. pertinente al sistema portuale dei Vada Volaterrana, dipendente da Volaterrae in epoca etrusca e romana. I materiali presentati provengono da un pozzo per acque chiare ubicato sul lato est delle Grandi Terme e sono costituiti da un insieme piuttosto eterogeneo formato da laterizi, terra sigillata italica e africana, ceramica comune, lucerne, anfore, marmi, reperti lignei. Una parte dei reperti è residuale e ascrivibile alla fase d’uso della struttura (I-V sec. d. C.), mentre la maggior parte del deposito si è formata fra l’inizio del VI e i primi decenni del VII sec. d. C., quando il pozzo fu usato come fossa di scarico.

KEYWORDS: VOLTERRA, I VADA VOLATERRANA, AREA ARCHEOLOGICA SAN GAETANO DI VADA, POZZO, FOSSA DI SCARICO, ATTIVITÀ POST DEPOSIZIONALI, ETÀ TARDO ANTICA, KEAY 62, LRA 2.

Le peculiarietà storico-topografiche dei Vada Volaterrana e del sistema portuale afferente a Volterra in epoca etrusca e romana, vengono delineate, con sempre maggiore ricchezza di dati, dalle ricerche in corso e dagli scavi effettuati in loc. S. Gaetano di Vada (Rosignano M.mo, Livorno) (Fig. 1) (Sintesi in Menchelli e Pasquinucci 2006; Menchelli e Sangriso 2008). Agli inizi del I sec. d.C. un quartiere a destinazione commerciale venne costruito nell'immediata periferia settentrionale della cittadina moderna: un settore di questo è stato portato in luce dagli scavi sopra citati in loc. San Gaetano. I Vada Volaterrana in età imperiale si presentano come un’area densamente insediata, gerarchicamente e amministrativamente dipendente da Volaterrae, ma con specificità molto importanti, dato che attraverso i diversi approdi del sistema portuale venivano gestite le intense attività di import-export dell'intero distretto. Se nei primi secoli dell'impero questo manifesta prove di grande vitalità economica, un probabile momento di crisi sembra registrarsi nella fase di passaggio all'età tardo-antica. Fra la fine del III e gli inizi del IV sec., infatti, nell'area di San Gaetano sepolture occuparono parte degli edifici, in particolare le Grandi Terme: si tratta di numerosi inumati, in gran parte di età infantile, senza corredo ed in tombe povere (fossa terragna, in anfora, alla cappuccina e in cassa litica). Uno degli scheletri, sottoposto ad analisi C 14 , ha restituito la datazione di 267-377 d.C. A questo probabile momento di crisi, segue una certa ripresa edilizia a partire dalla fine del IV sec., documentata nelle stratigrafie, ed in accordo con i dati dell'intera Etruria settentrionale, per la quale sono ben documentate le ristrutturazioni in edifici pubblici e privati nel corso del IV sec. ed oltre (Pasquinucci e Menchelli 1999). Nel V sec. d. C. il sistema portuale risulta ancora ben inserito nelle dinamiche commerciali mediterranee: come nei secoli precedenti qui giungevano merci dall'intero bacino del Mediterraneo e confluivano i prodotti locali destinati alla commercializzazione transmarina. La vitalità del sistema trova riscontro nella prosperità del territorio, nel quale ancora nel V secolo erano attivi fattorie e villae di grande estensione (per es . quella di San Vincezino a Cecina; Donati 2001) e centri manifatturieri specializzati per la produzione di anfore vinarie

(tipo Empoli), vasellame comune, laterizi e dolia. (Cherubini et al. 2006). Nei primi decenni del V sec. (fra il 415 ed il 417) l’approdo ai Vada Volaterrana è vivacemente descritto da Rutilio Namaziano (I, 465 ss), il quale ci informa che dalla villa del suo amico Albino Cecina, erano visibili impianti per la produzione del sale. Nel V sec. d. C. le attività di import-export risultano ancora particolarmente intense, con contatti con l’intero mondo mediterraneo, come provano i rinvenimenti ceramici e numismatici (Munzi 2004). Nell'avanzato VI sec., la crisi conseguente alla guerra Goto-Bizantina sembra riflettersi anche nell’area di San Gaetano di Vada: negli edifici sono evidenti processi di destrutturazione, cambi d'uso e parziale abbandono. Il sito comunque, come gli altri porti della Tuscia, fra gli ultimi decenni del VI ed il VII sec. d. C. conserva un'importante funzione strategica perché punto di contatto fra diverse realtà politiche: nonostante l'occupazione longobarda di gran parte della regione, nei centri costieri continuavano a giungere le merci veicolate dal commercio bizantino; è evidente che questi costituissero dei centri di redistribuzione intermedi attraverso i quali passavano anche i rifornimenti verso la Provincia maritima Italorum. Tale ruolo strategico delle coste alto-tirreniche venne meno nel 643 d. C. con la conquista della Liguria da parte del re Longobardo Rotari. Materiali fuori contesto (databili fra la seconda metà del VII e gli inizi dell’VIII sec.) provenienti dagli scavi compiuti dal Gruppo Archeologico locale negli anni ’70 documentano la presenza a San Gaetano di sepolture di genti locali influenzate da cultura longobarda (Ciccone Sturman e Consoli 1982).

[P.S.] I materiali presentati in questa sede provengono dal pozzo ubicato sul lato di servizio delle Grandi Terme: è assai probabile che questo venisse utilizzato soprattutto dal personale addetto al funzionamento dei vicini praefurnia; è inoltre probabile che il pozzo fosse funzionale anche alle esigenze di altri edifici, ad oggi non identificati, ubicati all’esterno dell’attuale area archeologica. Il pozzo (diametro esterno m 2,90; spalletta cm 30 ) era utilizzato per estrarre acqua chiara, come dimostra l’accuratezza della struttura, in bessales triangolari legati con malta, al cui

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interno si conservano tracce di intonaco; ad ovest due basi di pilastri, in ciottoli di panchina legati con malta, probabilmente sostenevano una copertura che lo riparava dagli agenti atmosferici. All'interno della muratura, a intervalli irregolari, si trovano le cavità atte alla discesa sul fondo per ispezioni e manutenzione. L’ampiezza della canna, inusitata se si considera che normalmente il diametro oscilla tra i 90 cm e i 2,20 m (Castoldi 1996; Benassi 2000), potrebbe essere dovuta a esigenze di stabilità, vista la matrice prevalentemente sabbiosa del terreno circostante. Il pozzo ha restituito numerosi materiali ceramici, molti dei quali sono stati esposti nel corso della pottery exibition tenutasi presso il Museo di Rosignano Marittimo (LI) nell’ambito del Convegno LRCW3. I reperti sono stati studiati dal punto di vista morfologico e tecnico. Alcuni dei corpi ceramici hanno trovato confronto, a livello macroscopico, con campioni analizzati nell'ambito della cooperazione in atto con C. Capelli del Dipartimento di Studio della Terra e delle sue Risorse dell’Università di Genova (qui abbreviato Dipteris). I materiali restituiti dal pozzo possono dividersi in due fasi cronologiche: un esiguo gruppo di frammenti, databili complessivamente fra I e V sec. d.C., di provenienza prevalentemente nord-africana, è da considerarsi residuale nel contesto esaminato; un secondo gruppo, di gran lunga più numeroso, è costituito da reperti riferibili a forme circolanti in area mediterranea fra l’inizio del VI e l’inizio del VII sec. d.C. I materiali pertinenti alle due fasi risultano mescolati e la loro collocazione poco affidabile dal punto di vista stratigrafico, probabilmente a causa della presenza dell’acqua e del ripetuto scarico degli oggetti che ha favorito processi post-deposizionali di difficile ricostruzione.

Laterizi Sono stati rinvenuti 83 frammenti di laterizi, nessuno dei quali reca tracce di bolli di fabbricazione. Nel materiale da copertura sono stati individuati quattro tipi di coppi (Fig. 2.1) e tre tipi di tegole (Fig. 2.2); il pozzo ha inoltre restituito tre mattoni, uno dei quali da colonna All’analisi macroscopica i corpi ceramici risultano tutti di produzione locale.

Terra sigillata italica Sono stati rinvenuti, evidentemente residui, due frammenti di terra sigillata italica, un orlo di coppa Conspectus 3.3.1 ed una parete con decorazione a palmette.

Ceramica a pareti sottili E’ stato rinvenuto un frammento di vaso, di forma non determinabile.

Terra sigillata africana La terra sigillata africana restituita dal pozzo delle Grandi Terme è costituita da una maggioranza di coppe e piatti di grandi dimensioni di produzione D, di forme databili tra il VI e i primi anni del VII sec. d.C. Merita particolare attenzione una coppa con orlo a tesa arrotondato inferiormente, corpo emisferico, alto piede ad anello, databile al 500-540 d.C. (Fig. 2.3). L'esemplare è assimilabile al tipo Atlante XLVII, 3, che nell'Atlante è esemplificato con la sola forma del piede. La forma dell'orlo trova confronto con il tipo Atlante XLVII, 1.

La presenza di un esemplare di forma Atlante XIII, 13, databile tra la fine del I e la prima metà del II sec. d.C. e di 4 coppe databili complessivamente fra la metà del IV e il V sec. d.C. sono da porsi nella fase più antica di formazione del deposito.

Lucerne Dagli strati più bassi del riempimento del pozzo provengono 7 lucerne complessivamente in buono stato di conservazione, tutte di forma cosiddetta “africana classica”, corrispondente alla forma X dell'Atlante delle forme ceramiche. Tale forma circola in ambito mediterraneo dal V al VII sec. d.C., e fino alla fine del V sec. d.C. è normalmente associata a lucerne di forma VIII dell’Atlante. Gli stampi che decorano il disco sono costituiti in prevalenza da motivi cristologici: uno stampo con pesce (Fig. 2.4) è databile fra la fine del V e il terzo quarto del VI sec. d.C. (Bonifay 2004, 403, fig. 225.18); una lucerna con cristogramma perlato (Fig. 2.5), databile all’inizio del VI sec. d.C. (Bonifay 2004, 379, fig. 212. 57) trova confronto puntuale con una lucerna del Museo Nazionale Romano, con alternanza dei motivi sulla spalla (Barbera e Petriaggi 1993, 253); due stampi, uno con croce monogrammata (Fig. 2.7, 2.8), l’altro con croce fiorita (Fig. 2.6) sono databili rispettivamente alla metà del VI sec. d.C. (Bonifay 2004, 281, fig. 213) e all’inizio del VII sec. d.C. (Bonifay 2004, 287, fig. 216.20). Si rileva la presenza di uno stampo con una scena dell’Iliade (Achille che trascina il cadavere di Ettore, Fig. 2.9) databile all’inizio del VI sec. d.C. (Bonifay 2004, 396, fig. 221.6) e di uno con palmetta (Fig. 2.10), la cui cronologia si pone alla metà del VI sec. d.C. (Bonifay 2004, 378, fig. 211.52). La mancanza di frammenti di lucerne di tipo VIII e la tipologia degli stampi usati sulla spalla e sul disco degli esemplari recuperati nel riempimento del pozzo sono elementi decisivi per una datazione tarda di questo piccolo gruppo di lucerne. Il fondo di due delle lucerne prese in esame presenta due cerchi concentrici impressi con uno stampo estremamente usurato all’interno del piede: questa caratteristica, non insolita nelle lucerne di produzione africana, non è ancora del tutto chiarita, ma è talvolta interpretata come marchio di fabbrica (Fioriello 2003, 91). Il corpo ceramico pertinente alla lucerna con croce monogrammata (Fig. 2.7), presenta forti affinità con le produzioni locali della ceramica comune. Si tratta di una pasta di colore beige rossastro (M.7.5YR 6/4) disomogeneo, più scuro in frattura; dura e secca, porosa, liscia al tatto, con inclusi neri molto piccoli e rossi piccoli, scarsi inclusi brillanti minuti; vernice opaca, coprente, a chiazze, sottile, di colore bianco rosato (M.5YR 8/2) molto disomogeneo. Inoltre sul fondo della medesima lucerna compare una M incisa prima della cottura che non trova confronti su esemplari di provenienza africana (Fig. 2.8). Questi due elementi autorizzano a ipotizzare che si tratti dell’imitazione di un tipo africano da parte di un atelier ceramico situato probabilmente nell’entroterra del porto. Questo esemplare si differenzia dagli altri anche per la maggior accuratezza della matrice: un tratto tipico delle lucerne di produzione africana fra VI e VII sec. è l'uso di matrici spesso usurate, da cui risultano motivi decorativi poco distinguibili.

Anfore Le anfore rappresentano la maggioranza dei materiali recuperati all'interno del pozzo (607 frr. su 1.102 frr. totali), e sono costituite da un buon numero di frammenti per i quali è stata

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possibile l'attribuzione a forme note, insieme a una grande quantità di pareti. Numerosi sono anche i corpi ceramici, gran parte dei quali risulta provenire dall'Africa Proconsolare, ma si riscontra anche la presenza di impasti locali, e di importazioni provenienti dalla Campania, dalla Sicilia, dalla penisola iberica e dalle province orientali. L'osservazione delle tipologie e degli impasti ha permesso di individuare le diverse fasi di riempimento della struttura. Un primo esiguo gruppo di frammenti riferibili a forme diffuse nel I sec. d. C. (due frr. di Dr. 2-4, uno di Dr. 7-11) è senz'altro da considerarsi residuale nel contesto esaminato. Un secondo gruppo, più corposo del precedente ma anch'esso da ritenersi residuale, è costituito da frammenti di anfore databili fra il II e il V sec. d.C. (24 frr). A questa fase è ascrivibile un’anfora Africana IA (Fig. 3.1), il cui corpo ceramico è assimilabile a livello macroscopico con il campione 6598 Dipteris, ritenuto forse di provenienza dall’area di Leptiminus (Capelli et al. c.s.). Assai scarse risultano le anfore di tipo Empoli (Fig. 3.2), delle quali sono attestate produzioni anche nel retroterra del porto (Cherubini e Del Rio 1997, 134). Tale carenza si giustifica se si considera che questo tipo di contenitori non viene prodotto oltre la fine del V-inizio del VI sec. d.C., mentre la maggior parte del materiale rinvenuto nel pozzo è posteriore a questa data. Il terzo gruppo, il più numericamente consistente (74 frammenti), è costituito da frammenti riferibili ad anfore la cui datazione oscilla fra l'inizio del VI e l'inizio del VII sec. d.C. In questa fase si osserva ancora la presenza di importazioni dal nord-Africa, prevalentemente anfore di tipo Keay LXII (Fig. 3.6, 3.7), ma anche anfore Keay LV B (Fig. 3.5) e anfore Globulari; tre esemplari di quest’ultimo tipo (Fig. 3.8), costituiti del medesimo corpo ceramico di colore giallo pallido (M.2.5Y 7/4) omogeneo con scarsi inclusi grigi di medie dimensioni e numerosi inclusi neri minuti, presentano anse a tortiglione. Per questi esemplari non si è trovato alcun confronto ed è possibile che non si tratti di contenitori da trasporto, vista la sproporzione fra la pesantezza delle anse e lo scarso spessore delle pareti; sulla base del contesto si può proporre una datazione tra la metà del VI e l’inizio del VII sec. d.C. Due corpi ceramici relativi ad alcuni esemplari di anfore Keay LXII sono stati identificati con buona probabilità come provenienti dall'atelier di Sidi Zahruni a Nabeul (Bonifay et al. 2005, 496; giudizio dato da M. Bonifay nel corso della pottery exibition al Convegno LRCW3). Ai contenitori africani si affiancano anfore di origine orientale di tipo LRA 1 (Fig. 3.10), LRA 2, LRA 5, LRA 8 e un frammento di anfora sud-italica (Crypta Balbi 2, Fig. 3.9). Il corpo ceramico di un contenitore di tipo LRA 8 (Fig. 3.11) ha trovato confronto, a livello macroscopico, con il campione 5659 Dipteris, considerato di provenienza egea o anatolica occidentale (Capelli et al. c.s.).

Ceramica comune Le forme da mensa e da dispensa, mortai (Fig. 4.9), vasi a listello (Fig. 4.10) e brocche (Fig. 4.4), presentano impasti abbastanza depurati, di colore rosato o bianco tendente al beige, in alcuni casi con una copertura rossa opaca e poco uniforme che interessa soltanto le parti visibili del manufatto (lasciando scoperto il fondo) e decorazioni a onde incise con una punta prima della cottura. Un esiguo numero di frammenti di produzione locale databili al VI-VII sec d.C., in maggioranza forme chiuse, è decorato con colature di vernice rossa: questo

tipo di decorazione risulta essere attestato nelle manifatture toscane fino al X sec. (Menchelli 2005; Cantini 2005, Cantini et al. 2007). Le forme da cucina, olle (Fig. 4.1, 4.2, 4.3), tegami e piatti coperchi (Fig. 4.7, 4.8) presentano impasti piuttosto grezzi ricchi di inclusi micacei o quarzosi, a volte cotti in atmosfera completamente riducente, che spesso recano tracce di bruciatura dovute all'uso e non presentano alcun tipo di copertura.Uno dei coperchi presenta una decorazione incisa raffigurante, probabilmente, lo scafo stilizzato di una nave (Fig. 4.8). Attraverso l’analisi macroscopica dei corpi ceramici sono state individuate numerose produzioni, la maggioranza dei quali è ascrivibile a ambito locale; sono inoltre isolabili poche importazioni campano-laziali e un tegame proveniente dall'isola di Pantelleria (Fig. 4.5). Fra la ceramica comune restituita dallo scavo del pozzo sorprende l'esigua quantità di ceramica comune africana, costituita da 2 esemplari di tipo Cartagine 1 (Bonifay 2004, 252, fig. 138) e Cartagine 2 (Bonifay 2004, 252-255, fig. 138) (Fig. 4.6), dato singolare se si considera che, come risulta dallo studio delle anfore, le importazioni dall'Africa costituiscono una parte considerevole dell'economia del porto fra III e VI sec. d.C. Di possibile produzione africana è anche un frammento di bottiglia con orlo svasato a tesa orizzontale con risalto interno, ansa a nastro impostata sull'orlo, collo cilindrico; all'altezza della spalla una sottile parete attraversata da quattro fori passanti divide il collo dal corpo del recipiente, con funzione di filtro per sostanze liquide (Fig. 4.11). L'esemplare è assimilabile a un tipo rinvenuto a Ostia, purtroppo fuori contesto: la tipologia viene ricondotta a precedenti di periodo punico attestati nel Maghreb, di cui si ipotizza la possibilità di un'imitazione molto posteriore (Pavolini 2000, 258-261, fig. 63. 135).

Altri materiali Dal pozzo delle Grandi Terme sono emersi numerose lastrine per rivestimento parietale in marmi d’importazione provenienti dall’Asia Minore (pavonazzetto brecciato, bigio antico, portasanta) e dall’Africa (greco scritto), una lastrina per opus sectile in porfido rosso egiziano e due frammenti pertinenti a un braccio e a una gamba di statua in marmo bianco di Campiglia. La presenza di acqua di falda all’interno del pozzo ha permesso anche la conservazione di reperti lignei fra cui diversi cunei su cui sono ben visibili le tracce di lavorazione, frammenti di tavole e una ruota dentata.

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

I dati emersi dai materiali esaminati confermano l'inserimento dei Vada Volaterrana in un contesto di scambi mediterranei. I materiali del pozzo registrano, a partire dal I sec. d. C. e in linea con quanto avviene in tutta l'area tirrenica, importazioni dall'area campano-laziale e dall'Iberia cui segue, dall’età antonina e fino alla fine del V sec. d. C., un incremento nel commercio di prodotti dall’area nord-africana, in particolare olio dalle regioni di Cartagine e di Hadrumetum, e relativo commercio di merci d’accompagno. Tali traffici sono attestati anche nel VI-VII sec. d.C.: nonostante la crisi e le distruzioni conseguenti alla guerra greco-gotica fra i materiali del pozzo si rinvengono numerosi frammenti di anfore tunisine accompagnate da vasellame da mensa e lucerne. In questo periodo si riscontra anche l’aumentata presenza di contenitori di origine orientale e sud-italica. La situazione descritta si allinea con quanto avviene nel restante occidente

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Mediterraneo, ove si registra un calo globale dell'importazione di prodotti africani, che però troviamo ancora abbondanti in Gallia, sulla cui rotta si inseriscono i Vada Volaterrana. Parallelamente aumentano le importazioni dall'Oriente, in accordo con quanto vediamo avvenire, su scala maggiore, a Roma (Saguì et al. 1997, 36). Situazione analoga per quanto riguarda le tipologie e le proporzioni dei materiali rinvenuti si può riscontrare nella discarica portuale tardo antica dell'Isola del Giglio (Rendini 1991) e sul relitto di La Palud, datato appunto alla metà del VI sec. d. C. (Long e Volpe 1998). I materiali pertinenti alla fase di I-V sec. d. C. sono con ogni probabilità caduti accidentalmente nel pozzo durante la sua fase d’uso; il gruppo più numeroso, quello costituito da esemplari databili complessivamente al VI-inizio del VII sec., si è formato nelle fasi di defunzionalizzazione della struttura, quando il pozzo cominciò a essere utilizzato come fossa di scarico, forse a causa di un peggioramento della qualità dell'acqua. Tale dato cronologico concorda con quanto emerso dallo studio di altri settori dei Vada Volterrana in base al quale l’insediamento risultava frequentato sino ai primi decenni del VII sec. d.C.

[S.M.]

Ricerche svolte con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmi, Livorno.

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Saguì, L., Ricci, M., e Romei, D., 1997, Nuovi dati ceramologici per la storia economica di Roma tra VII e VIII secolo, in VIè Congrès International sur la Céramique Médiévale en Méditerranée (Aix-en-Provence 1995), 35-48, Aix-en-Provence.

P. SANGRISO, S. MARINI:VADA VOLATERRANA (VADA, LIVORNO)

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Fig. 1. L’Etruria settentrionale costiera con la localizzazione di Volaterrae e Vada Volaterrana.

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Fig. 2. Laterizi (1, 2; scala 1:4), Terra sigillata africana (3; scala 1:3), lucerne (4-10; scala 1:2).

P. SANGRISO, S. MARINI:VADA VOLATERRANA (VADA, LIVORNO)

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Fig. 3. Anfora Africana IA(1), Keay XXXV (3), Keay XXVI (4), Keay LV (5), Keay LXII (6, 7), anfora globulare (8), anfora di Empoli (2), Cripta Balbi 2 (9), LRA 1 (10), LRA 8 (11). Scala 1:3.

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Fig. 4. Olle (1, 2, 3), brocca (4), tegame da Pantelleria (5), vaso a listello di produzione africana (6), piatti-coperchi (7, 8), mortaio (9), vaso a listello di produzione locale (10), colino (11). Scala 1:2.