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PPE.Atti XI PREISTORIA E PROTOSTORIA IN ETRURIA Paesaggi cerimoniali Ricerche e scavi ATTI DELL’UNDICESIMO INCONTRO DI STUDI CENTRO STUDI DI PREISTORIA E ARCHEOLOGIA Milano

Paesaggio culturale e senso di appartenenza. Il " complesso monumentale" di Tarquinia,

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PPE.Atti XI

PREISTORIA E PROTOSTORIA IN ETRURIA

Paesaggi cerimonialiRicerche e scavi

ATTI DELL’UNDICESIMO INCONTRO DI STUDI

CENTRO STUDI DI PREISTORIA E ARCHEOLOGIAMilano

Atti dell’Undicesimo Incontro di StudiValentano (VT) – Pitigliano (GR), 14-16 Settembre 2012

Paesaggi cerimonialiRicerche e scavi

a cura di Nuccia Negroni Catacchio

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Il tema dell’Incontro ci porta all’interno del “paesaggio ceri­moniale” nelle sue varie sfaccettature; queste, a loro volta, si incrociano con diversi aspetti insiti nella definizione di ogni “paesaggio”.

Il mio contributo prende in esame, in maniera molto concen­trata dato il tempo a disposizione, due realtà: il “paesaggio ceri­moniale” di cui un esempio tipico è fornito da una cerimonia che ebbe luogo sul pianoro della Civita in epoca orientalizzante, peral­tro già largamente nota, e il senso di appartenenza che fu proprio degli abitanti della città, senso di appartenenza che nasceva dalla loro specifica cultura materiale e immateriale.

Ciò posto, prima di entrare nel merito del “paesaggio cerimo­niale” tarquiniese, mi sembra opportuna una breve premessa. Com’è noto, in precedenti Incontri a cura di Nuccia Negroni, è già stata rivolta attenzione ai “paesaggi d’acque”, ai “paesaggi rea­li” e ai “paesaggi mentali”. Quanto ai “paesaggi mentali” riman­derei anche a un recente contributo di Guglielmo Scaramellini “La geografia culturale tra mondo materiale e costrutti della men­te. Alla ricerca di una realtà complessa e profonda” del 2006 (Sca­ramellini 2006, pp. 363­458).

Il termine di “paesaggio” in letteratura è stato inteso in vario modo sotto il profilo fisico, antropologico, aggiungerei come ‘pae­saggio degli dei’, come ‘paesaggio degli uomini’, come ‘paesaggio culturale’. Va da sé che i vari aspetti si fondono in una unità pla­stica e prismatica nella quale prende corpo anche il “paesaggio cerimoniale”. Ma c’è dell’altro.

La domanda è: come ci si può accostare alla comprensione del “paesaggio”?

A questa domanda ha dato una risposta convincente e appro­priata il geografo Eugenio Turri nel volume Il paesaggio e il silen-zio edito a Venezia nel 2004: “Tutto ciò che il paesaggio racconta è il risultato di una sommersione continua di paesaggi anteriori e che ogni loro forma assume una carica semeiotica che ne fa un’or­ma, un ricordo del passato”. Il paesaggio è dunque tante cose, apre prospettive diverse e definisce l’appartenenza a un popolo. E Turri aggiunge: “Solo nel silenzio, in quanto consente un distacca­mento temporale dal presente, si coglie ciò che gli uomini di oggi e di ieri, nella loro dimenticanza della legge degli accadimenti,

* Università degli Studi di Milano (già professore ordinario di Etruscologia e Archeologia Italica).

Maria Bonghi Jovino*

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hanno voluto esprimere …” e ancora “…il senso del tempo, attra­verso il momento del silenzio, come sospensione della vita, con­trapposto al momento del rumore, anche se entrambi, silenzio e rumore, sono emanazioni del paesaggio …” (Turri 2004, pp. 12, 15). Ecco una iniziale chiave di lettura.

Non è un caso che tra gli studiosi sono stati soprattutto i geo­grafi quelli più sensibili a queste tematiche. Mi riferisco, ad esem­pio, ai contributi di Armand Frémont in Francia (Frémont 1976). In Italia notevoli spunti sono presenti negli studi medievali di Ri­naldo Comba (Comba 1981, p. 1 e sgg.), già ricordati da Nuccia Negroni nell’Incontro del 2006 (Negroni Catacchio 2008, p. 22, nota 2). Illuminanti sono anche le ricerche di Giacomo Corna Pel­legrini (ad es.: Corna Pellegrini 1998, p. 300) il cui pensiero è sta­to riassunto in poche righe: “Delle diverse componenti (o parame­tri) di regionalizzazione ‘culturale’ (noi potremmo dire di popoli) occorre sottolineare le relazioni tra le singole comunità umane e il rispettivo territorio per quanto concerne la cultura ‘materiale’ ... nonché quelle che attengono alla cultura ‘immateriale’ …” (Scara­mellini 2006, p. 363).

Per gli abitanti di Tarquinia, cardine era dunque il paesaggio naturale, fisico, nel quale si trovavano a vivere, quel paesaggio che

1. Tarquinia. Il pianoro della Civita e, sullo sfondo, il mare.

2. Tarquinia. Il fiume Marta.

3. Tarquinia. La macchia mediterranea.

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fu, allo stesso tempo, spettatore e attore prescelto per il cerimo­niale: grandi e ridenti vallate che accentuavano i pianori mentre il fiume Marta correva verso il Tirreno, la macchia mediterranea adagiata sulle acque (figg. 1­3).

Gli antichi con ogni verosimiglianza percepirono il paesaggio a seconda dei momenti e delle situazioni, del giorno e della notte, dei loro stessi stati d’animo e della loro capacità di ascoltarlo e ascoltarsi.

Al di là del tempo, un aspetto percettivo si può ricavare dalle Bucoliche virgiliane quando l’infanzia agreste del poeta si intreccia con il paesaggio, nelle sue voci, nella sua musica, nel ronzio delle api sulle siepi, nel tubare dei piccioni selvatici, nei gemiti delle tortore.

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2 Liv., Ab Urbe condita libri, a cura di G. Vitali, XXX, p. 83: Hac fiducia vi-rum Tullus Sabinis bellum indicit, gen-ti ea tempestate, secundum Etruscos, opulentissimae viris armisque (Fidan­do in queste forze Tullo dichiarò guerra ai Sabini, il popolo allora più potente, dopo gli Etruschi, di uomini e di armi).

1 Tityre, tu patulae recubans sub tegmi-ne fagi / silvestrem tenui musam medi-taris avena … (Titiro, riposando all’ombra d’un ampio faggio / studi su un esule flauto una canzone silve­stre …), Ecloga prima, 1­2 Melibeo; Bucoliche, introduzione A. La Penna, traduzione e note di L. Canali, Milano 1998.

In sostanza un paesaggio dolce, tranquillizzante e nostalgico.Chi non ricorda i versi della famosa prima Ecloga virgiliana?1.Ma per gli antichi abitanti esisteva anche un altro modo di per­

cepire il paesaggio riportandosi alle esperienze degli avi che vede­vano uno spazio oscuro e indistinto costituito dalla natura selvag­gia e pericolosa che si estendeva anche oltre i limiti protetti dalle divinità. L’uomo si è trovato da sempre immerso in un mondo che non aveva creato e che non riusciva a dominare, che anzi gli si presentava come una grandezza incomprensibile. Così per il mare in un’alba buia. Così per le selve austere e oscure.

In epoca orientalizzante, superato il livello primordiale di reli­giosità quando i fenomeni del mondo circostante erano attribuiti a potenze buone, cattive e ambivalenti, il pianoro della Civita, dove avvenne la cerimonia, si configurava come il “paesaggio degli dei”.

Questo lo scenario naturale ma va ricordato contestualmente lo scenario storico, almeno per porre mente alla annotazione di Livio che registra come all’epoca di Tullo Ostilio (cronologia tradizio­nale 694­641 a.C., epoca nella quale avvenne la cerimonia sul pia­noro tarquiniese) il popolo allora ritenuto più potente, di uomini e di armi, fossero gli Etruschi2.

Guardiamo ora al “paesaggio cerimoniale” ove le azioni svolte potremmo anche definire generatrici di un “paesaggio progettua­le”. La lettura si è basata sui dati stratigrafici e ha consentito di valutare, nei modi e nei metodi adoperati nelle valutazioni della

4. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. Ricostruzione grafica dell’edificio beta e dei cortili.

5. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. Ricostruzione plastica dell’edificio beta con i cortili.

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3 Massa Pairault 1996, p. 41 a propo­sito dell’edificio beta: “... et qu’il est tentant d’identifier au siège d’une cu­rie (une autre hypothèse conduirait a penser qu’il s’agit d’une regia) en rai­son des inscriptions à la deesse Uni ... Un cas à notre avis identique est con­

nu sur le plateau de l’habitat de Ve­rucchio: on a découvert non loin d’u­ne cabane des bucliers en bronze qui pourraient constituer un nouveau témoignage de la consécrations des armes sur les lieux mêmes d’un culte de curie”.

realtà documentaria fornita dagli scavi, le forme delle azioni ele­mentari e, quindi i contenuti, i significanti e i significati. Propongo le azioni in sequenza.

All’interno di una natura molto articolata il re-sacerdote, con i principes e gli addetti al culto, si portò sul grande pianoro della Civita ove si erano installati gruppi umani già a partire dal Bronzo Finale (Bonghi Jovino 1997, in part. p. 151). Egli scelse e selezio­nò il luogo. Nella scelta è implicita la volontà di sacralizzare quel­la parte di territorio che doveva restare nel tempo come espressio­ne di devozione agli dei e come modello istituzionale della comu­nità di cui era rappresentante.

Ivi, nel punto più elevato, fece erigere un edificio (edificio beta) con un altare che venne collegato con una canaletta per il deflusso dei liquidi del sacrificio in una fossa (mundus). L’edificio beta, edi­ficio sacrificale, quasi un altare monumentalizzato, fu affiancato ben presto da cortili dando luogo a un vero e proprio “complesso monumentale” definito anche ‘complesso sacro­istituzionale’ (figg. 4­5) (Bonghi Jovino 2005, pp. 309­318).

Françoise­Hélène Massa Pairault, in un discorso a carattere storico concernente le strutture politiche e la genesi della città in Etruria, ha ipotizzato che si trattasse della sede di una curia sulla base delle iscrizioni alle dea Uni oppure di una regia istituendo un parallelo con il rinvenimento dei bronzi di Verucchio3.

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6. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. Pianta dell’edificio beta con i cortili.

7. Tarquinia. Santuario dell’Ara della Regina, pianta del Tempio I.

È stata proposta anche una similitudine tra l’edificio beta e quella che è stata indicata come “casa del re” a Populonia (Barto­loni 2011, p. 104) ma la situazione documentale è diversa (cfr. Bonghi Jovino 2005, pp. 315­318). A suo tempo ho ipotizzato di identificare il personaggio offerente come un re­sacerdote e l’edi-ficio beta come un monumento in un sito pubblico di grande im­portanza sociale e la lettura è stata ripresa con buone argomenta­zioni (Rathje 2006, pp. 115­118).

Tuttavia la testimonianza archeologica non conferma l’ipotesi della regia per varie ragioni (figg. 6­7):

­ la canaletta che dall’altare riversa i liquidi nella fossa porta a escludere ogni funzione di altro genere come potrebbero essere, ad esempio, impianti pratici;

­ la pianta a oikos, mutatis mutandis, è ripresa nel santuario dell’Ara della Regina nel Tempio I del periodo arcaico (Bonghi Jovino 2000, pp. 265­267; Bonghi Jovino 2012, pp. 55­67);

­ le iscrizioni relative a Uni sono della seconda metà del VII secolo, quindi posteriori (Bagnasco Gianni 1996, pp. 163­165);

­ difficilmente in una regia l’insieme della scure, dello scudo e del lituo sarebbe stato sotterrato e non ostentato; il rex non avreb­be defunzionalizzato le insegne che, al contrario e secondo quanto vediamo anche nelle tombe principesche, avrebbe esposto nell’am­biente più idoneo a sottolineare il suo prestigio e quello della sua comunità;

­ il riferimento ai bronzi di Verucchio presenta delle difficoltà dovute, non tanto al contesto generale che può rientrare nell’ambi­to del sacro, quanto alla documentazione archeologica perché gli scudi sono stati rinvenuti a più livelli e alcuni in giacitura seconda­ria (von Eles 2002, in part. pp. 320­321 e ivi bibl. precedente).

Così ragionando, la definizione di ‘complesso sacro­istituziona­le’ riflette quel momento storico in cui il rex sommava in sé sia le

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prerogative civili che quelle religiose (Bonghi Jovino 2005, pp. 309­318). La cerimonia, sulla base dei collegamenti stratigrafi­ci, fu effettuata al momento dell’inaugurazione dell’edificio beta.

La dinamica potrebbe essere stata la seguente.Dapprima venne espletato il sacrificio cruento di un animale

come attesta la canaletta dell’altare.Dopo il sacrificio ebbe luogo un banchetto secondo i dati

provenienti dalle due grandi fosse che contenevano, in impasto e in bucchero antico, olle, tazze, calici/kantharoi/kyathoi, un grande vassoio, un foculum, piccoli vassoi­presentatoi, olle e ol­lette di varia foggia e dimensioni, alcuni bacini, ventiquattro piatti e alcune ciotole sia in impasto sia in bucchero. Si richiama l’attenzione sui due kantharoi di fine fattura in bucchero transi­zionale (fig. 8).

I ventiquattro piatti e i due kantharoi hanno indicato l’esistenza di un sistema binario e dunque la presenza di due individui: oltre la presenza del re-sacerdote. Coerentemente ho ritenuto verosimile, alla luce della più generale situazione documentaria, pensare alla partecipazione di una figura femminile, sia pure in filigrana, come la consorte del rex. In effetti, riprendendo la questione dello status della presenza femminile, Federica Pitzalis si è espressa favorevol­mente sulla possibilità che una prassi, forse ancora non puntual­

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8. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. Parte della suppellettile della cerimonia dedicatoria.

9. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. Svolgimento della decorazione dello scudo.

10. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. La scure.

11. Tarquinia. ‘Complesso monumentale’. Il lituo.

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mente codificata, potesse concedere tale possibilità a singole perso­ne femminili di eccezionale carisma (Pitzalis 2011, p. 267)4.

Ritorniamo al banchetto. Il materiale impiegato all’occasione è senza dubbio relativamente povero se pensiamo alla ricche tombe orientalizzanti di Tarquinia (fig. 10). Ma questa povertà si rivela una indicazione preziosa per i rituali e la concezione reli­giosa degli Etruschi, come dire che si poteva esaltare il proprio status nelle tombe, non nelle cerimonie religiose anche alla pre­senza della massima autorità. Terminata la cerimonia nello spa­zio antistante all’altare­tempio vennero scavate due grandi fosse, in una delle quali il re-sacerdote appose il suo sigillo con il seppel­limento delle insegne: lo scudo, il lituo e la scure che, come anti­cipato, vennero tutti defunzionalizzati. La lettura filologica do­cumenta, in buona sostanza, un cerimoniale che acquisisce per la funzione e le caratteristiche degli oggetti deposti, una valenza dedicatoria (figg. 9­11) (v. diverse considerazioni: Rathje 2006, pp. 106­113).

L’altro aspetto, quello da cui scaturiscono i sentimenti di ap­partenenza, è insito nella stessa cerimonia. Il senso dell’apparte­nenza è come dire quel “sentire” che lega l’uomo a un preciso “paesaggio culturale” sul quale recentemente si è appuntata l’at­tenzione (Bonghi Jovino 2012, in part. pp. 55­56), tema ancora una volta ben presente in Corna Pellegrini: “La cultura di un gruppo umano – scrive – è una sorta di profilo essenziale del suo essere e del suo vivere, del suo rapportarsi all’interno e verso il mondo esterno” (Corna Pellegrini 1998, p. 300). La questione dell’appartenenza è stata ancora recentemente ripresa in un Semi­nario di studio a cura di Giovanna Greco, tenutosi a Napoli nello scorso mese di luglio “Segni di appartenenza e identità di comuni­tà nel mondo indigeno”.

Concludo con due ultime considerazioni: la prima è che il “pae­saggio cerimoniale” tarquiniese si mostra entro i confini liminari tra “paesaggio degli dei” e “paesaggio degli uomini”, la seconda è la conferma che la definizione­concetto di “paesaggio” è irriduci­bile entro una unica e semplice versione semantica.

4 Tra l’altro, se volgiamo lo sguardo all’indietro, al mondo omerico, si sta­glia l’immagine di Penelope. “Dalle stanze di sopra intese quel canto divi­no / la figlia d’Icario, la saggia Penelo­pe / e l’alta scala del suo palazzo di­scese, / non sola, con lei andavano

anche due ancelle (Hom., Libro pri­mo, 328­331). Penelope, che in virtù del matrimonio con Odisseo diviene regina con un processo irreversibile, che anche in mancanza del consorte la rende degna di rispetto e di conside­razione.

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