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10. Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale Gabriele Iannàccaro 10.1. Introduzione Scopo di questo contributo è quello di proporre qualche riflessione, strutturale come sociolinguistica, sul rapporto fra le lingue naturali e il sistema di scrittura che queste adottano; per motivi che parranno evidenti ci concentreremo in particolare sui sistemi che in seguito definiremo ‘fonografici vocalici’, usati per la totalità delle lingue europee e per un gran numero delle lingue degli altri continenti. Le considerazioni che qui fa- remo non hanno, ovviamente, alcuna pretesa di completezza e neppure di organicità: rappresentano piuttosto una serie di spunti di riflessione e ricerca proposti innanzitutto a chi scrive – nello spirito appunto di dialogo che ha caratterizzato l’occasione che le ha fatte nascere 1 . In questa chiave vanno visti anche la grande parsimonia nei riferimenti e il procedere colloquiale e soprattutto per esemplificazione che caratterizza le pagine seguenti. Si partirà dunque da nozioni sul funzionamento strutturale di diversi sistemi di scrittura adottati dalle lingue del mondo – e questo soprattutto per discutere una serie di luoghi comuni che accompagnano le nozioni normalmente ricevute sulla scrittura, per mostrare poi come l’evoluzione delle abilità di scrittura e lettura ha portato a rapporti diversi da quelli che ci aspettiamo fra ‘grafia’ e ‘pronuncia’. In seguito si potrà far cenno ad alcuni dei rapporti sociali che soggiacciono alla percezione della lingua scritta e al valore della scrittura come marcatore identitario e di comunità 2 . 1 In effetti mi sto da tempo occupando di sistemi di scrittura e della loro sistematizzazione tipologica e sociale, e l’occasione di discuterne nell’ambito del ‘Dialoghi sulle lingue e i linguaggi’ organizzati da Nicola Grandi è stata una (benvenuta) tappa di un percorso di ricerca lungi dall’essere completato. Rimando al prossimo Iannàccaro / Guerini (in stampa) le discussioni accademiche e le questioni più teoriche e spe- culative, mentre una prima bozza di sistematizzazione di parte della materia è Iannàccaro (2005); in ogni caso si può indicare sin d’ora che riferimento scientifico costante di queste pagine saranno Cardona (1981), Coulmas (2003), Daniels / Bright (1996), Sampson (1985). Quanto alle convenzioni grafiche, uso come di consueto in questi studi le parentesi graffe {x} per indicare il simbolo grafico, le parentesi quadre [x] per indicare la pronuncia, espressa con i simboli dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, la cui conoscenza è qui data per scontata. La scrizione {x},[x], che riprendo da Sgall (1987) è da leggere ‘al simbolo {x} corrisponde il suono [x] (o viceversa)’. 2 Spunti su quest’ultimo argomento sono normalmente discussi negli studi sul paesaggio linguistico (Shohamy / Gorter, (2008), o sulla pianificazione linguistica (Dell’Aquila / Iannàccaro 2004). Grandi_linguistiche03-II.indd 151 06/03/13 16.28

Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale

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10. Per iscritto. Uno sguardo strutturale e socialeGabriele Iannàccaro

10.1. Introduzione

Scopo di questo contributo è quello di proporre qualche ri�essione, strutturale come sociolinguistica, sul rapporto fra le lingue naturali e il sistema di scrittura che queste adottano; per motivi che parranno evidenti ci concentreremo in particolare sui sistemi che in seguito de�niremo ‘fonogra�ci vocalici’, usati per la totalità delle lingue europee e per un gran numero delle lingue degli altri continenti. Le considerazioni che qui fa-remo non hanno, ovviamente, alcuna pretesa di completezza e neppure di organicità: rappresentano piuttosto una serie di spunti di ri�essione e ricerca proposti innanzitutto a chi scrive – nello spirito appunto di dialogo che ha caratterizzato l’occasione che le ha fatte nascere1. In questa chiave vanno visti anche la grande parsimonia nei riferimenti e il procedere colloquiale e soprattutto per esempli�cazione che caratterizza le pagine seguenti.

Si partirà dunque da nozioni sul funzionamento strutturale di diversi sistemi di scrittura adottati dalle lingue del mondo – e questo soprattutto per discutere una serie di luoghi comuni che accompagnano le nozioni normalmente ricevute sulla scrittura, per mostrare poi come l’evoluzione delle abilità di scrittura e lettura ha portato a rapporti diversi da quelli che ci aspettiamo fra ‘gra�a’ e ‘pronuncia’. In seguito si potrà far cenno ad alcuni dei rapporti sociali che soggiacciono alla percezione della lingua scritta e al valore della scrittura come marcatore identitario e di comunità2.

1 In e�etti mi sto da tempo occupando di sistemi di scrittura e della loro sistematizzazione tipologica e sociale, e l’occasione di discuterne nell’ambito del ‘Dialoghi sulle lingue e i linguaggi’ organizzati da Nicola Grandi è stata una (benvenuta) tappa di un percorso di ricerca lungi dall’essere completato. Rimando al prossimo Iannàccaro / Guerini (in stampa) le discussioni accademiche e le questioni più teoriche e spe-culative, mentre una prima bozza di sistematizzazione di parte della materia è Iannàccaro (2005); in ogni caso si può indicare sin d’ora che riferimento scienti�co costante di queste pagine saranno Cardona (1981), Coulmas (2003), Daniels / Bright (1996), Sampson (1985). Quanto alle convenzioni gra�che, uso come di consueto in questi studi le parentesi gra�e {x} per indicare il simbolo gra�co, le parentesi quadre [x] per indicare la pronuncia, espressa con i simboli dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, la cui conoscenza è qui data per scontata. La scrizione {x},[x], che riprendo da Sgall (1987) è da leggere ‘al simbolo {x} corrisponde il suono [x] (o viceversa)’.

2 Spunti su quest’ultimo argomento sono normalmente discussi negli studi sul paesaggio linguistico (Shohamy / Gorter, (2008), o sulla piani�cazione linguistica (Dell’Aquila / Iannàccaro 2004).

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10.2. ???

I sistemi di scrittura si possono ripartire in tre grandi classi, secondo l’estensione del segmento signi�cante cui principalmente si riferiscono. Distinguiamo così sistemi semasiogra�ci, logogra�ci e fonogra�ci. I primi, molto rari, possono essere esempli�cati dalla Fig. 1.

Fig. 1 - Lettera spedita da una ragazza juka-ghir al suo ex-�danzato (da Iannàccaro 2005: 7)

Per l’interpretazione del messaggio (pubblicato a stampa per la prima volta nel 1895)3 si tenga presente che le �gure a forma di pino rappresentano persone: chi scrive (riconoscibile come donna dalla ‘treccia’ che appare sulla destra) è la seconda �gura da destra, il destinatario la terza. Il messaggio dice più o meno: ‘Mi hai lasciato per accom-pagnarti ad una donna russa (identi�cata come tale per mezzo dei segmenti laterali a pois, che riproducono le tipiche gonne russe): lei ha spezzato l’unione che c’era fra noi (dalla testa della russa parte una linea che interrompe le due linee fra mittente e desti-natario). Abitate insieme (sopra le due �gure centrali c’è una struttura con un tetto), ma so che i vostri rapporti non sono paci�ci (le linee spezzate che li congiungono); d’altronde io sono sola in casa e sono triste (linee a croce dietro la scrivente). Ti penso ancora (linea superiore a ricciolo che parte dal mittente verso il destinatario), ma ho adesso un pretendente (�gura a destra, con linea a ricciolo verso il mittente): se vuoi tornare da me va bene, ma fallo prima di avere �gli (le due piccole �gure a sinistra, in procinto di entrare nella casa)’. Si tralasciano numerosi particolari minori.

3 La lettura del testo si basa su Sampson (1985: 28-29), che tuttavia non cita alcuna fonte. DeFrancis (1989: 24-35) ricostruisce il complesso iter ermeneutico dell’attestazione e contesta l’interpretazione che qui viene data, quella usuale negli studi relativi alla scrittura, argomentando che si tratta in realtà non di comunicazione a distanza ma di un gioco interpretativo di�uso un tempo presso le ragazze jukaghire. Propone anche una �gura leggermente diversa nei particolari, di cui quella qui pubblicata costituirebbe una sempli�cazione. Una presentazione del documento, basata su DeFrancis, è anche in Valeri (2001: 25-27). È possibile che questo esempio possa essere ridiscusso, in sedi più idonee; qui una tale discussione ci porte-rebbe troppo lontano dai nostri scopi, e in ogni caso non è fondamentale per l’uso che qui viene fatto del documento. Per qualche notizia sulla lingua jukaghir in italiano cfr. Iannàccaro (2008).

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Nota
I paragrafi non erano concepiti con un titolo, rappresentando solo ripartizioni del testo. È obbligatorio un titolo? se non lo è, preferirei non metterlo.Se invece fosse obbligatorio, mettere10.2. Semasiografie

Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale 153

Porremo la nostra attenzione su tre fenomeni in particolare, anche prescindendo dagli usi comunicativi in senso stretto che di questo testo possono essere fatti. Innanzi-tutto abbiamo potuto interpretare questo scritto senza far alcun riferimento alla lingua jukaghir, e questo è piuttosto insolito per le scritture cui siamo abituati: senza conoscere l’italiano, ma è persino ovvio ricordarlo, non si legge l’italiano. Poi osserveremo la grande complessità e ricchezza semantica del messaggio, che è argomentativo e fa appello alle capacità logiche del lettore (a di�erenza di altri possibili, per esempio veicolati da opere �gurative); la codi�ca dell’informazione avviene in modo molto convenzionale e arbi-trario: non è detto né ovvio che le persone debbano essere ra gurate da elementi che assomigliano (per un occidentale) ad abeti, o che le donne russe siano caratterizzate da fasce di pois che ricordano le loro gonne, e così via. Tuttavia i simboli non rappresentano alcun elemento di una lingua parlata: si può ‘tradurre’ – o meglio leggere – il messaggio in molti modi super�cialmente diversi. Però per interpretarlo dobbiamo conoscere, se non la lingua di chi lo ha codi�cato, le convenzioni scrittorie (e non artistiche o estetiche) che ha utilizzato; non siamo dunque in presenza di una �gura illustrativa.

La terza caratteristica importante deriva dalla prima, tramite la seconda: il messaggio che la lettera trasmette è univoco, ma la sua decodi�ca può cominciare da qualunque punto dello scritto, e saltare qua e là per arrivare in �ne alla sua completa comprensione. In una parola non è sequenziale, a di�erenza di tutti gli altri sistemi di scrittura, che hanno un inizio certo, un verso stabilito e che non possono essere letti se non rispet-tando l’ordine esatto nel quale sono tracciati i loro segni. La scrittura semasiogra�ca dunque rappresenterebbe direttamente il pensiero, senza passare da alcuna speci�ca codi�ca linguistica: è arbitraria e convenzionale (e ciò la distingue dalla pittogra�a), ma possiamo leggerla senza sapere la lingua in cui è stata codi�cata, di cui non segue lo sviluppo sequenziale e grammaticale.

È aperto il problema se la semasiogra�a debba essere considerata propriamente scrit-tura; in termini di semantica del prototipo ne ha molte caratteristiche, ma non tutte quelle costitutive, e si pone in ogni caso all’estrema periferia del prototipo ‘scrittura’. Anche del punto di vista funzionale la questione può essere dibattuta: in linea di prin-cipio non è detto che una società non possa aver a tal punto ra nato e migliorato il proprio sistema di scrittura semasiogra�co �no a renderlo così duttile e di tale poten-ziale espressivo da renderlo pari a quello della lingua parlata. In questo caso la lingua possederebbe due linguaggi completamente sviluppati e che tuttavia non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro: uno lineare e posizionale (l’orale) e uno sinottico (lo scritto). I messaggi semasiogra�ci potrebbero essere tradotti in quelli parlati, e forse anche con pochissima scelta da parte del ‘lettore’, se la semasiogra�a è abbastanza ra nata, ma non li si ‘leggerebbe’ nel senso che noi alfabetizzati diamo in genere a questa parola. Tuttavia un tale risultato presuppone un grande sforzo inutile di tutta la società, costretta ad utilizzare per comunicazioni comparabili due linguaggi strutturalmente diversi4; così la maggior parte delle culture considera l’alternativa di investire una quota di lavoro intel-

4 Altra è la presenza, normale nelle società che non abbiano subito la drastica riduzione linguistica succes-siva alla creazione ottocentesca degli stati nazionali, di diverse lingue nella comunità e nell’individuo: lingue naturali diverse utilizzano pur sempre sistemi semiotici basati sulle stesse regole. Il problema si pone invece in modo reale per la possibile scrittura e lettura della lingua italiana del segni, che può essere rappresentata dall’ortogra�a dell’italiano solo a patto di più di un’operazione di transcodi�ca; qualche indicazione (che tuttavia non è ancora una discussione sistematica) in Valeri (2004), Antinoro Pizzuto / Chiari / Rossini (2010).

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154 Scrivere le lingue, scrivere le culture

lettuale nella creazione di un sistema di scrittura più evidentemente legato al linguaggio, o in altri termini suo ‘parassita’5, che abbia tuttavia la fondamentale caratteristica di essere isocrono rispetto ai tempi della lingua, ossia sequenziale e non pancronico. È forse proprio questa di�erenza di progettazione che fa preferire una strategia unica, di sostanziale omologazione strutturale dello scritto al parlato: il pensiero consapevole è in qualche modo reso sequenziale dal linguaggio, ed è uno sforzo inutile esprimerlo nella scrittura in modo non sequenziale.

In regioni comunicative speci�che, scritture semasiogra�che compaiono però anche in società che posseggono sistemi di scrittura rigorosamente sequenziali; si ponga mente a messaggi come:

Fig. 2 - Istruzioni per il lavaggio.

in cui l’uso del triangolo per il candeggio è assolutamente arbitrario, e in cui i simboli possono essere giustapposti o sovrapposti senza ordine speci�co, senza che questo ne pregiudichi la comprensione. Ha forti elementi di semasiogra�a anche la matematica scritta, per esempio: come si scrivono le formule non ha nulla a che vedere a come le si legge o interpreta nelle diverse lingue – e spesso anche nella stessa lingua in momenti diversi. Una stringa come, poniamo, {62} può essere letta in modi sequenzialmente diversi, come ‘sei alla seconda’ o ‘sei al quadrato’ o ‘il quadrato di sei’ o ‘sei alla se-conda potenza’ e così via; ma, in maniera ancora più fondativa rispetto alla struttura del sistema, {10} è ‘pancronicamente’ e non sequenzialmente da leggere ‘dieci’ e non *’uno—zero’. E allo stesso modo, per esperienza comune, i numeri sono leggibili ‘in tutte le lingue’: l’informazione numerica arriva direttamente al nostro cervello, senza passare da una codi�ca diremmo fonica: {368} è ‘trecentosessantotto’, in qualunque lingua sia stato pensato da chi lo ha scritto (e, si noti, non ‘tre, sei, otto’); in nessun caso a un lettore di lingua madre italiana verrebbe di leggerlo, mettiamo, dreihunder-tachtundsechzig o třistýšedesátosum, neppure se lo trovasse in un testo tedesco o ceco. Per questo, leggendo a voce alta un testo in una lingua che pure conosciamo piuttosto bene, quando troviamo un numero rallentiamo sempre un poco: per pronunciarlo nella lingua originale dobbiamo tradurlo, non già leggerlo.

5 Accettare questa a�ermazione non signi�ca presupporre alcuna primazia cronologica del parlato ri-spetto allo scritto – problema di cui non ci possiamo qui occupare, anche se è ovviamente strettamente connesso alla possibilità teorica di esistenza delle semasiogra�e; inoltre, primazia cronologica non signi�ca necessariamente primazia logica. Cfr. almeno Sanga (2009b) e in questo volume.

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10.3. ???

Alle scritture semasiogra�che si oppongono tutte le altre, dette glottogra�che perché dipendenti, in forme diverse, dal sistema linguistico di chi le usa; possiamo fra queste operare una seconda distinzione, fondamentale, fra scritture logogra�che, ossia basate su unità minime di signi�cato (la prima articolazione di Martinet) – o se si preferisce, unità che dimorano sul piano del contenuto e fonogra�che, basate sulle unità fonolo-giche (la seconda articolazione, sul piano dell’espressione). Si ponga mente a questo esempio, per cui cfr. Sampson (1985: 33):

Fig. 3 - *‘Il gatto andò sul tappetino’.

Si noterà anzitutto che logogra�co non signi�ca necessariamente non arbitrario o non formale: il sistema qui usato è arbitrario, pur se presenta qualche traccia di ico-nismo: c’è apparentemente una ra gurazione del gatto che assomiglia, almeno per un occidentale abituato alla rappresentazione al tratto e in due dimensioni, a una parte di un gatto, l’ultimo simbolo sembra un tappetino, e così via. Senza dubbio il sistema di codi�ca dell’informazione deve essere già noto al lettore per interpretare correttamente il messaggio; e se proviamo a attribuirgli il signi�cato provvisorio di il gatto andò sul tappetino, allora in particolare sono arbitrari il modo di indicare la determinatezza del sintagma (l’indice puntato), il tempo perfetto (un orologio che scorre all’indietro) e la preposizione ‘su’ (la freccia sulla parte superiore di alcunché). Per impostare una possibile decodi�ca del signi�cato è poi necessario seguire una direzione di lettura ben precisa, nel nostro caso da sinistra a destra: non sarebbe interpretabile una sequenza di due manine, un tappetino, l’orologio, il gatto e così via. Una tale sequenzialità cor-risponde alla sequenzialità dell’informazione linguistica6.

È però fondamentale osservare il livello esatto della referenza dei simboli, che non è chiaramente quello delle parole; per esempio la parola ‘andò’ è rappresentata da due simboli, ‘andare’ (le gambine) e il tempo passato (l’orologio), e informazioni impor-tanti contenute nella parola italiana gatto, o il, o tappetino, come il genere o il numero grammaticale, mancano nella rappresentazione. D’altra parte un sistema di scrittura basato sulla parola sarebbe inusabile, nella pratica: si pensi solo al numero di simboli che servirebbero per esprimere un normale verbo italiano: occorrerebbero forme au-tonome per, poniamo, ‘vado’, ‘vai’, ‘va’, ‘andassimo’, ‘essendo andati’ e così via, per un totale di circa 95 simboli per ogni verbo da esprimere; o 4 per ogni aggettivo. Il livello di riferimento delle scritture logogra�che è evidentemente il morfema, il che permette di risparmiare una grande quantità d’informazione: basta, per esempio, un solo simbolo

6 Naturalmente questo non ha nulla a che fare con il ductus della gra�a, verticale, orizzontale, sinistror-so, destrorso o bustrofedico; è la direzionalità in sé che conta.

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Nota
Vedi sopra.10.3. Glottografie

156 Scrivere le lingue, scrivere le culture

da usare per maschile o per plurale o per i mor� derivazionali, da apporre al simbolo unico dell’unità lessicale che ci interessa (cfr. tab. 5 e 6).

Ma la logogra�a è un sistema glottogra�co anche perché, per leggerlo, occorre sapere la lingua in cui è scritto, a di�erenza delle semasiogra�e. La lettura della Fig. 3, per esem-pio, presuppone che sia noto l’ordine standard delle parole della lingua del messaggio: non c’è nessuna informazione che ci permetta di stabilire che il simbolo del gattino si riferisce a un nome (e non per esempio a un verbo come miagolare o ingattire / diventare gatto) e quello delle gambine a un verbo. Proprio per questo abbiamo posto un asterisco sulla didascalia della �gura: se teniamo presente il morfema come livello di riferimento, ci accorgiamo che la frase non è ‘scritta in italiano’, bensì in inglese (nell’originale di Sampson è the cat jumped over the mat): nel gattino, per esempio, anche ammettendo che il singolare possa essere espresso senza marca speci�ca, riservata eventualmente al il plurale, manca l’indicazione di genere, che infatti non è pertinente in inglese; e lo stesso per il verbo, dove il passato jump-ed è espresso da due mor�, come nella Fig. 3, e non da cinque come lo sarebbe in italiano ({-ò} ha infatti contemporaneamente i signi�cati di III ps, di sing, di per, di modo ind). Tuttavia è stato possibile pronunciare la frase letta senza sapere l’inglese, traducendola istantaneamente, nella lettura, nella nostra lingua; anzi, questo sistema di scrittura non ci fornisce alcuna indicazione di quale sia il suo reale aspetto super�ciale – il suo suono – in inglese7. L’eventuale pronuncia avviene mediante il richiamo, normale per un parlante nativo, delle unità di seconda articolazione tramite quelle della prima.

La conoscenza approfondita della lingua è un prerequisito ineliminabile per i siste-mi di scrittura fonogra�ci, basati cioè sulle unità di seconda articolazione, i fonemi; si consideri:

(1) Babička měla syna a dvě dcery. Nejstarši žila mnoho let ve Vídni u přátel, od nichž se vdala. Druhá dcera šla pak ne její místo. Syn, řemeslník, též byl již samostatný a přiženil se do městského domků.

dove appare il fenomeno inverso: conoscendo le convenzioni di scrittura (che sono so-stanzialmente quelle dell’italiano, con qualche piccola variante)8, si può ricostruire, anche nel dettaglio in questo caso, il suono della lingua, la sua pronuncia, ma non c’è modo di carpire il signi�cato di ciò che si vede, se non si conosce la lingua in cui il testo è scritto9.

7 Questo rende possibile il suo riutilizzo da parte di parlanti di lingue diverse; non ci so�ermeremo su questi casi, ma basterà ricordare il riuso della scrittura sumera da parte degli accadi e l’accoglimento nel giapponese dei 漢字 kanji, ossia i caratteri cinesi (Tollini in questo volume). La denominazione corrente per gli alfabeti logogra�ci è ‘ideogra�ci’, che è tuttavia imprecisa e fuorviante: ovviamente non si rappresen-tano le idee, ma i morfemi; inoltre il termine ‘ideogra�co’ suggerisce in qualche modo che si possa fare a meno della lingua, nella lettura, il che, come abbiamo visto, è del tutto falso. Allo stesso modo preferiremo ‘logogramma’ all’usuale ‘ideogramma’.

8 Per una corretta lettura, nella pronuncia u ciale {c} corrisponde a [ʦ], {č} a [ʧ], {š} a [ʃ], {ž} a [ʒ], {ř} a [ɽ], {ě} a [je]. Inoltre {s} è sempre [s], {z} è [z], {y} è [i]. Gli accenti sulle vocali e la {y} e il pallino sopra la {u} prolungano il suono. Lo standard parlato di Praga può essere leggermente diverso (in particolare {y, ý} è spesso [ə]), senza che questo pregiudichi il nostro ragionamento.

9 Il ceco, in questo caso. Il brano è l’inizio di uno dei classici della narrativa ottocentesca di quel paese, Babička (‘La nonnina’, 1853) di Božena Němcová; la sua traduzione è ‘La nonnina aveva un �glio e due �glie. La maggiore di queste visse molti anni a Vienna presso degli amici, che lasciò sposandosi. La seconda

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La decodi�ca dell’informazione in questo caso avviene – almeno in linea di principio – mediante il riconoscimento del primo livello di articolazione attraverso il secondo, come nella lingua orale.

Ora, se i sistemi logogra�ci lavorano su insiemi piuttosto grandi di simboli (le radici lessicali sono potenzialmente in�nite, e anche gli a ssi morfologici, per le lin-gue che li hanno, possono arrivare ad un numero rilevante), quelli fonogra�ci hanno a disposizione set di caratteri piuttosto ridotti: qualche centinaio nel caso di sistemi sillabici, poche decine in quelli alfabetici (o ‘segmentali’; 21 simboli nel caso tradizio-nale dell’alfabeto italiano, �no a circa 60 nelle ortogra�e più ricche, gli adattamenti caucasici o siberiani dell’alfabeto cirillico10). La riduzione dei simboli, possibile per i sistemi basati sulla seconda articolazione è però, come vedremo, controbilanciata da una minore trasparenza semantica ed e cienza di lettura. Sotto si trova una semplice tassonomia dei sistemi di scrittura, in cui sono evidenziati i tipi di cui abbiamo visto degli esempi11.

Fig. 4 - Tassonomia dei sistemi di scrittura

�glia andò poi a prendere il suo posto. Il �glio, un artigiano, era anche lui indipendente e aveva messo su una casetta in città’. Si è scelto il ceco perché la sua ortogra�a ri�ette piuttosto esattamente la pronuncia, almeno quella della lingua standard astratta; inoltre è relativamente ‘domestico’ – la sua grammatica è del tutto comparabile a quella dell’italiano, e a guardar bene un italiano di buona cultura ci ritrova un po’ di parole quasi comprensibili, o almeno somiglianti a altre che gli possono essere familiari, come syn (≈ ing. son ‘�glio’) o dcerá (≈ ing. daughter ‘�glia’), o domků, (≈ lat. domus ‘casa’) – ma dà comunque a prima vista un forte senso di straniamento.

10 Per un sistema di scrittura ‘mostruoso’ in questo senso, l’alfabeto abcaso di Marr, a 78 simboli, cfr. Iannàccaro (2006).

11 Per una presentazione completa e dettagli sui tipi qui non trattati cfr. Iannàccaro (2005), Iannàccaro / Guerini (in stampa). Sono ovviamente possibili classi�cazioni concorrenti, che tuttavia non alterano radi-calmente il quadro; ricordiamo almeno quelle di Daniels / Bright (1996) e di Coulmas (2003).

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I tipi qui individuati non si presentano quasi mai puri: oltre al citato sistema di no-tazione matematico, principalmente semasiogra�co con tracce di logogra�a, nei nostri sistemi fonogra�ci è presente una buona componente di logogra�a: sono logogra�ci per esempio i simboletti come {&}, o {*}, o {@}, di cui non è chiaro neppure il nome in italiano (‘chiocciolina’? ‘at’? ‘presso’?).

10.4. ???

Due parole sulle scrizioni concorrenti, fra quelli fonogra�ci, ai sistemi segmen-tali, sui quali ci concentreremo d’ora in poi: il primo livello, accessibile all’analisi linguistica anche dei non specialisti, è quello sillabico. In una scrizione sillabica ogni sillaba ha un suo proprio simbolo, completamente irrelato rispetto a quelli delle al-tre sillabe simili per onset o per rima; sistemi sillabici puri sono usati per codi�care lingue dalla struttura sillabica piuttosto semplice: oltre ai due sillabari giapponesi hiragana e katakana (per cui cfr. Tollini in questo volume), un buon esempio ne è il sillabario cherokee, messo a punto dal nativo (e analfabeta!) ᏍᏏᏉᏯ (Ssiquoya) negli anni 1815-2012.

Fig. 5 - Sillabario Cherokee.

12 Nella tabella si osservi che la colonna ‘v’ indica una vocale indistinta nasale. Le somiglianze con alcune lettere e numeri dell’alfabeto latino si devono alla fonte (una Bibbia inglese) utilizzata come fonte da Ssiquoya.

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Nota
10.4. Sistemi sillabici e 'trattali'

Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale 159

Diverso è il caso dei cosiddetti abugida13 o alfasillabari, sistemi in cui ad una con-sonante è associata una vocale inerente, spesso ă; il segno può essere modi�cato tramite diacritici o estensioni diverse per indicare le altre vocali o l’assenza di vocale. Un esempio è rappresentato dalla devanagarī, usata per il sanscrito, in cui appare chiaramente il legame fra le diverse serie vocaliche e consonantiche.

Fig. 6 - Abugida devanagarī.

I consonantari o abjad sono sistemi quasi alfabetici in cui tuttavia sono rappresentate solo le consonanti. La cosiddetta ‘invenzione’ dell’alfabeto, attribuita ai fenici, in realtà è la creazione di un consonantario (che, in origine, forse era da intendersi come una sorta di alfasillabario in cui la vocale inerente non era distinta), dal quale discendono tanto le scritture arabiche, ebraiche, aramaiche e indiane moderne (attraverso queste anche molte altre del Sud-Est asiatico), quanto probabilmente tutte o quasi le scritture alfabetiche. Si noti, tra l’altro, che tra una scrittura arabica od ebraica moderna scritta con i diacritici delle vocali ed un sistema alfasillabico non c’è una reale di�erenza di principio. L’alfabeto vocalico è un’invenzione, greca, avvenuta a partire dalla medesi-ma partenza del consonantario semitico; sulla sua caratteristica di quasi ‘trascrizione fonetica’, almeno nella sua fase arcaica, torneremo fra poco14.

Il sistema di scrittura più analitico potrebbe essere quello di codi�care le unità mi-nime, cioè i tratti fonologici distintivi, come accade nelle cosiddette ‘scritture trattali’ (feature scripts). Che è ciò che può avvenire in un metalinguaggio scienti�co linguistico scritto come, cfr. l’esempio della tavola seguente, quello della fonologia binarista di Jakobson. Nelle scritture naturali, però, sistemi di questo tipo non sono mai usati con l’unica – e abbastanza sbalorditiva – eccezione del hankul coreano15.

13 Dal nome delle prime quattro lettere dell’alfabeto etiopico, che è appunto un abugida; allo stesso modo sotto abjad dalle prime lettere dell’alfabeto arabo (e si noti che poi in sostanza sono A B Γ Δ, l’ordine normale di tutti gli alfabeti derivati dal fenicio.

14 Tralasciamo del tutto, come detto, ogni considerazione di carattere storico, facilmente reperibile nella vasta letteratura sull’argomento.

15 Del quale, al pari di molti altri argomenti interessanti, non ci possiamo qui occupare; cfr almeno Kim-Renaud (1996), King (1996).

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Nota
non in corsivo, a parte la parola 'abugida'
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Nota
sostituire 'od' con 'o'
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Nota
eliminare 'sotto'
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Nota
'allo stesso modo, il nome 'abjad' [in corsivo] viene dalle...'
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Nota
chiudere la parentesi
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Evidenziato

160 Scrivere le lingue, scrivere le culture

Fig. 7 - Scrittura ‘trattale’.

Se questa notazione potesse essere realmente letta sarebbe e�ettivamente assai eco-nomica, dal momento che accetta come simboli solo {+} e {-} (o, ed è la stessa cosa, {0}/{1}); a patto però di costruire lunghe stringhe assai complesse verticalmente. È da osservare che alcune stenogra�e (ora molto in disuso), fra cui per l’inglese quella di Pitman e per l’italiano il cosiddetto sistema Stenital-Mosciaro fanno uso di principi trattali nella loro composizione.

10.5. ???

Ci concentriamo ora sui sistemi fonogra�ci segmentali, ovvero quelli che ci sono più familiari, dacché sono usati per esprimere tutte le lingue europee e del Medio Orien-te, praticamente tutte quelle delle Americhe e dell’Oceania, molte in Asia, moltissime in Africa; partiremo in particolare da qualche caratteristica interessante dell’ortogra�a italiana, in modo da discuterne alcune proprietà strutturali. Possiamo iniziare commen-tando alcuni luoghi comuni del tempo della scuola; intanto, che l’italiano, a di�erenza dell’inglese e del francese, per esempio, si legge come si scrive, e che ci sono sequenze di lettere in un certo senso ‘naturali’. Per esempio a scuola ci insegnano a scrivere la {c} (pronunciata [ʧ], con l’a�ricata postalveolare) di cane (ossia [‘ka:ne], con l’occlusiva velare) e la {g} (pronunciata [ʤ]) di gatto ([‘gat:o]); sarebbe un po’ come insegnare a scrivere la {t} di sedia16. E allo stesso modo, ci sembra del tutto ovvio e persino naturale che si debba leggere come nella Tab. 1:

Tab. 1 - Pronuncia di alcune parole italiane.

cielo [ˈʧɛlo]cena [ˈʧena]schiene [ˈskjɛne]tru�e [ˈtru�e]regno [‘reɲ:o]

16 Dove almeno uno dei due parametri, il luogo di articolazione, rimane �sso, a di�erenza di quanto accade nella coppia [ʧ]/[k]; è evidente che considerazioni di fonetica storica, per le quali evidentemente si ricompone non solo la regolarità, ma anche la coerenza del trattamento, non sono qui pertinenti.

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Nota
10.5. Fonografie vocaliche
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Nota
qui e in seguito: non è un apostrofo, ma il segno di accento dell'IPA: ' ' '
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Nota
qui per esempio va bene
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qui no

Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale 161

e non, invece, come nella Tab. 2:

Tab. 2 - Pronuncia di alcune parole europee.

cielo [θi’elo] spagnolo ‘cielo’cena [ˈʦɛna] ceco ‘prezzo’Schiene [ˈʃiːnə] tedesco: ‘binario’tru�e [ˈtʁyf] francese: ‘tartufo’regno [‘rɛgnʊ] alemanno ‘pioggia’

Queste pronunce, dice l’alfabetizzato in italiano, sono in qualche modo innaturali: è evidente che {schie} va letto [skje], e sbagliano i tedeschi a volerlo leggere [ʃiː]; così come la {c} è quella di cena o al massimo di cane, ma non è per nulla quella di zampa17 o di azione. È però ovvio che non può esistere una ‘naturalità’ di rapporti fra piano gra�co e piano sonoro, nella rappresentazione della lingua, allo stesso modo in cui non ci può essere naturalità nel rapporto fra signi�cante e signi�cato in un segno linguistico: rapporti ne esistono, ma sono da cercare sul piano culturale e formale. Ugualmente, non c’è alcuna ragione strutturale per cui l’italiano debba impiegare due simboli {gn} per esprimere un solo suono, la [ɲ], come in {Spagna} [ˈspaɲːa]18, nella cui pronuncia, è bene rimarcarlo, non c’è nessuna [g] né nessuna [n]; lo stesso nome in spagnolo si scrive {(E)spaña}, o in portoghese {(E)spanha}, o in catalano {(E)spanya}, pur mantenendo dappertutto la stessa pronuncia.

Tuttavia è un bene che questa naturalità non ci sia: abbiamo già visto, a proposito di cielo, schiene o zampa, che anche all’interno dello stesso spazio ortogra�co italiano le letture, entrambe corrette (perché di fatto usate dalla comunità linguistica, e tali da assicurare comunque la comprensione), possono essere diverse. Una gra�a troppo rigida non permetterebbe a tutti gli italiani, per esempio, di riconoscersi in uno stesso scritto. Pensiamo alla scrizione {casa}, ad esempio, attualizzata al nord come [ˈkaˑza] e al centro e al sud come [ˈkaːsa]; ora, un’ipotetica norma che preveda solo la pronuncia [s] per {s} imporrebbe una gra�a diversa (poniamo *{s}) per una buona parte delle comunità parlanti dello spazio linguistico italiano, creando di fatto un dimor�smo gra�co che va a tutto discapito per l’unità culturale della lingua19.

E ancora, immaginiamo una norma ortogra�ca che, come pure vorrebbero molti, distingua coerentemente la {c}, da pronunciare sempre [ʧ], dalla {k}, da leggere solo [k]20; che scriva quindi, poniamo, {kane} cane, {poke} poche, {coè} cioè, {accaio} acciaio e così

17 Nella pronuncia standard; al nord è normale la pronuncia con la sonora [ˈʣampa].18 Nella pronuncia standard; al nord è normale la pronuncia con la scempia (che allunga in parte la

vocale precedente) [ˈspaˑɲa].19 Questo se, democraticamente, si vuole accostare la scrittura alla pronuncia; di fatto quello che è più

spesso successo, anche nella storia linguistica dell’italiano, è al contrario la convergenza delle pronunce regionali sulla norma scritta (si pensi ai casi di {e}, [e]/[ɛ], per esempio).

20 Una tale norma, insieme ad altre che non attecchirono, fu propugnata da una Società Ortogra�ca Italiana, attiva intorno al 1910, di cui hanno fatto parte anche insigni linguisti d’allora, come Pier Gabriele Goidanich. Oltre al Bollettino della società, di cui sono usciti quattro numeri sino al 1913, si può vedere almeno Frisoni (1910), Goidànich [sic] (1910).

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162 Scrivere le lingue, scrivere le culture

via. Dovremmo in questo caso scrivere parole comunissime come {amiko}/{amici} in modo diverso al singolare e al plurale, alterando così non solo la parte �essa (-o n sing masc, -i n pl masc), ma anche la radice lessicale {amik-, amic-} che è evidentemente assai più comodo e ‘naturale’ lasciare invariata. Questa è peraltro la scelta dell’alfabeto greco classico, molto attento a registrare, come già si notava, la pronuncia e�ettiva, anche a scapito dell’unità della ‘forma gra�ca’ della parola. Si ponga mente ad alcune forme della coniugazione del verbo πρασσω ‘io faccio’ (tralascio per semplicità gli ac-centi, di tradizione alessandrina; il morfo lessicale è scritto in neretto).

Tab. 3 - Forme della declinazione greca.

πρασσω / πραττω [ˈprasːo / ˈpratːo] ‘io faccio’πεπραγμαι [ˈpɛpraŋmai] ‘io ho fatto’πεπραξαι [ˈpɛpraksai] ‘tu hai fatto’πεπρακται [ˈpɛpraktai] ‘lei/lui ha fatto’πεπραχϑε [pɛˈpraxθe] ‘voi avete fatto’

Chi ha avuto a che fare con il greco classico conosce bene la seccatura di risalire alle radici verbali di moltissime forme �esse, che non sono mai quelle che ci aspetteremmo, tanto da consigliare l’uso, agli studenti tru�aldini, di manualetti appositi per la loro ri-cerca durante i compiti in classe al liceo. Come si notava, l’alfabeto greco classico, così come quello etrusco e quello latino arcaico, sono piuttosto trascrizioni fonetiche della lingua parlata che sistemi di scrittura nel senso moderno; questa è una loro caratteri-stica fondamentale, che spiega molte apparenti stranezze e idiosincrasie delle ortogra�e contemporanee (si pensi ai sistemi dell’inglese, o del francese, o del russo) e sulla quale bisognerà tornare. Al contrario, il sistema gra�co dell’italiano, e con esso quelli di molte lingue moderne, ha come riferimento – in casi come quello di amico, amici in cui ad una scrizione uguale corrisponde una lettura diversa – piuttosto la morfologia che la fonetica.

10.6. ???

Chiamiamo allora super�ciale un sistema di scrittura che abbia la sola pronuncia come livello di riferimento, e profondo un sistema che dia informazioni anche di altri livelli linguistici, come la morfologia di amico, amici. La caratteristica della profondità, nei siste-mi fonogra�ci vocalici (che nascono, ricordiamolo, come rappresentazione della seconda articolazione), è assai meno rara di quanto non si sarebbe indotti a pensare data la loro principale caratteristica strutturale. Prendiamo il caso, molto noto, dell’inglese, lingua per la quale periodicamente vengono proposte riforme ortogra�che, talora radicali21, e �ngiamo che una di queste abbia avuto successo, e che dunque l’ortogra�a inglese abbia

21 In questo caso la bibliogra�a è sterminata, a partire almeno dal De recta et emendata linguæ angliæ scriptione (1568) di �omas Smith; la riforma ha avuto propugnatori come Benjamin Franklin e George Bernard Shaw, che ha anche lasciato un consistente lascito a favore di un nuovo alfabeto per l’inglese, con-cretizzato nel 1950 da Ronald Read. Anche attualmente ci sono centinaia di pagine web dedicate alla English Spelling Reform; per un inquadramento teorico cfr. almeno Haas (1969); Carney (1994).

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Scritture profonde e superficiali
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un rapporto stretto con la pronuncia; avremmo così nella Tab. 4. a sinistra le forme ri-formate e a destra quelle reali:

Tab. 4 - Norme ortogra�che dell’inglese I22.

Ortogra�a riformata Signi�cato Ortogra�a

TradizionaleSigni�cato

*naïtnotte ? night notte !cavaliere ? knight cavaliere !

*dèrlà ?? there là !!loro (agg.) ?? their loro (agg.) !!essi sono ?? they’re essi sono !!

*pous

pausa ??? pause pausa !!!zampe ??? paws zampe !!!pori ??? pores pori !!!versa (3 pers. sing.) ??? pours versa (3 pers. sing.) !!!

*raït

giusto ??? right giusto !!!scrivere ??? write scrivere !!!rito ??? rite rito !!!(carpentiere) > cognome ??? wright (carpentiere) > cognome !!!

Come si vede, la colonna di sinistra non è leggibile. Non c’è modo, se non rifacendosi eventualmente al contesto, di stabilire dallo scritto il signi�cato di molte parole: in alcuni casi l’ambiguità è addirittura su quattro possibilità, in altri, forse più inquietanti, coin-volge mor� grammaticali di uso frequente – laddove l’alfabeto tradizionale in questi casi è evidente e non dà luogo ad ambiguità. Tuttavia la pronuncia non è ricostruibile dallo scritto: davvero {wright} e [ɻɑɪt] non hanno quasi più nulla in comune; per non parlare di altre tradizioni gra�che ancora più lontane: ricordiamo per esempio il francese {eaux} ‘acque’, letto [o]23, o l’irlandese {aghaidh} ‘faccia, aspetto’, che si deve leggere [əij].

È come se in questi casi la scrittura non fosse poi così fonogra�ca come ci aspette-remmo, ma avesse evidenti aspetti di logogra�a: ossia, {right} sarebbe il logogramma, il disegnino per così dire, che veicola in concetto di ‘giusto’, {paws} quello per ‘zampe’ o, in francese, {eaux} quello per ‘acque’ e così via24. Poi, esattamente come nelle logogra�e vere, una volta che abbiamo capito il signi�cato trasmesso possiamo, rifacendoci alla nostra competenza linguistica, dargli un suono nella lingua. In cinese, per esempio, 家 è il logogramma di ‘casa’ (nel senso dell’inglese home): quando lo incontriamo, capiamo

22 Il numero crescente di ‘?’ nella tabella indica soluzioni dall’utilità sempre più dubbia; al contrario le crescenti ‘!’ rilevano le disambiguazioni applicate dall’ortogra�a standard dell’inglese.

23 Il francese ha davvero una quantità di omofoni disambiguabili solo attraverso la scrittura: si pensi anche solo a [so], {saut, sauts, seau, seaux, sceau, sceaux, sot, sots} (‘salto/i, secchio/i, sigillo/i, stupido/i’).

24 Qui la gra�a è davvero fondamentale: il disegnino lungo, con la {x} ({eaux}) vale ‘acque’, quello breve, senza la {x} ({eau}) è il singolare ‘acqua’, mentre la pronuncia è identica ([o]).

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che nel testo è scritto ‘casa’; poi, se sappiamo il cinese possiamo anche pronunciarlo, come [ʨja]. La di�erenza sarebbe che mentre nel cinese i segni elementari che costitu-iscono i caratteri formano un quadrato, più o meno, nelle scritture che consideriamo qui formerebbero rettangoli più o meno lunghi.

Vale la pena di osservare la di�erente modalità di accesso al signi�cato: nelle scritture davvero fonogra�che, come quella del greco classico (e, per molti aspetti ma sappiamo non tutti, dell’italiano) il signi�cato arriva al lettore, almeno in teoria, attraverso la for-ma fonica riportata della parola: quindi, prima il suono e poi da questo il signi�cato25; per le logogra�e è il contrario: prima si ha accesso al signi�cato, e poi da questo al suono. Ora, esperimenti di lettura condotti su numerosissime lingue confermano che sempre più i lettori adottano una modalità non sequenziale di lettura, lettera/suono per lettera, ma una globale: si ‘guarda’ la parola nella sua interezza e si ‘indovina’ il suo signi�cato26. Pur nel loro intento scherzoso, consideriamo le righe qui sotto:

(2) Amaznig !!! Aoccdrnig to a rscheearch at Cmabrigde Uinervtisy, it deosn’t mttaer in waht oredr

the ltteers in a wrod are, the olny iprmoetnt thing is taht the frist and lsat ltteer be at the rghit pclae. �e rset can be a total mses and you can sitll raed it wouthit a porbelm. Tihs is bcuseae the huamn mnid deos not raed ervey lteter by istlef, but the wrod as a wlohe27.

Questo testo circola sul web dal 2003, e ha la singolare caratteristica di essere autoe-vidente: chiunque conosca anche solo un poco l’inglese riesce e�ettivamente a leggerlo senza quasi alcun problema, e veri�ca quello che sta appunto leggendo. Dopo la sua comparsa il dibattito informatico, anche non specialistico, è stato �orentissimo, ma qui lo tralasciamo, notando solo che la ‘ricerca dell’Università di Cambridge’ cui ci si riferi-sce non è chiara; tuttavia utili informazioni e studi si possono trovare in Norris (2006). Ciò che qui più ci interessa è l’aspetto culturale che da queste ricerche si può trarre: ossia che, nonostante l’opinione corrente che vede nell’alfabeto fonogra�co l’apice di una lunga catena evolutiva dell’ingegno umano (una testimonianza paradigmatica è per esempio il fortunato Moorhouse (1953), che signi�cativamente si intitola Il trionfo dell’alfabeto. Storia della scrittura), in verità i sistemi logogra�co e fonogra�co sono equivalenti, e forse, per gli usi moderni, il primo è superiore al secondo28.

L’e cienza del sistema logogra�co è soprattutto veri�cabile nella sua facilità di let-tura: oltre alle disambiguazioni degli omofoni viste sopra, e a casi come quelli delle

25 Gli alfabeti antichi funzionano davvero così; quelli moderni hanno ancora, o almeno la maggior parte di loro, una tale possibilità, ma la alternano – in proporzioni variabili – con una lettura di tipo più logogra�co.

26 Anche in questo caso la bibliogra�a è assai vasta e rami�cata; nel gran mare delle possibilità è an-cora valido, ancorché superato da una quantità di studi empirici successivi, Henderson (1984); cfr. anche Aitchinson (2003); per l’italiano o i suoi dialetti Flores d’Arcais (1993), Iannàccaro (1996), Tagliapietra / Fanari / Collina / Tabossi (2009), che contiene un’ampia bibliogra�a recente.

27 ‘Sensazionale!!! Secondo una ricerca dell’Università di Cambridge non importa in quale ordine le lettere siano disposte all’interno di una parola, l’unica cosa importante è che la prima e l’ultima lettera siano al posto giusto. Il resto può essere scritto a casaccio, e tuttavia si riesce a leggerlo senza problemi. Questo perché la mente umana non legge ogni lettera una per una, ma la parola nel suo insieme’.

28 La ‘dimostrazione’, per così dire, di questa a�ermazione non può essere a�rontata qui; rimando perciò a Iannàccaro (2005) e Iannàccaro / Guerini (in stampa).

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palatalizzazioni italiane, dovute, per esempio, alla vocale anteriore del morfo di plurale maschile, consideriamo un semplice contesto di derivazione in inglese:

Tab. 5 - Norme ortogra�che dell’inglese II.

Ortogra�a riformata Pronuncia Ortogra�a

Tradizionale Logogra�a Italiano

*optic [ˈɒptɪk] optic ‘ottico (agg)’

*optix [ˈɒptɪks] optic-s ‘ottica (n)’

*optishan [ɒpˈtɪʃən] optic-ian ‘ottico’

*optisist [ˈɒptɪsɪt] optic-ist ‘ottico’

La tabella è da comparare con la Tab. 3., perché mostra la strategia opposta rispetto a quella del greco classico; la prima colonna riporta una possibile ortogra�a super�ciale dell’inglese, simile a quella utilizzata per la Tab. 4., mentre la terza rispecchia la gra�a tradizionale di tale lingua (il trattino separa i mor�); è evidente, senza bisogno di troppa argomentazione, la maggiore trasparenza delle forme della terza colonna, che possono essere viste come logogrammi giustapposti (come, scherzosamente, è suggerito nella quarta colonna, che prende a prestito, usandoli arbitrariamente in modo logogra�co, caratteri del sillabario Afaka). Così, poniamo, uno statunitense, con il suo ra natissimo alfabeto inglese a base latina, utilizza modalità di lettura che in qualche modo sono più simili a quelle di un cinese con i suoi ideogrammi a ‘disegnino’ che a quelle che ci insegnano le nostre maestre alle elementari e che lui stesso crede di attuare.

Vediamone un celebre esempio, tratto appunto del cinese, lingua caratterizzata da una lunghissima serie di omofoni che sono disambiguati solo dallo scritto; a titolo esem-pli�cativo consideriamo un testo piuttosto famoso negli studi sulla scrittura, il “Poeta che mangiava i leoni”29. Innanzitutto la sua traslitterazione in pinyin:

(3) shí shì shī shì shī shì, shì shī, shì shí shí shī. shī shì shí shí shì shì shì shī, shí shí, shì shí shī shì shì. shì shí, shì shī shì shì shì. shī shì shì shì shí shī, shì shī shì, shı shì shí shī shì shī. shī shì shí shì shí shī shī, shì shí shì. shí shì shī, shī shì shı shì shì shí shì, shí shì shì, shī shì shı shì shí shì shí shī shī. shí shí, shı shí shì shí shī shī shì shí shí shī shī. shì shì shì shì.

29 Il testo si deve al linguista cinese Zhao Yuanren, che lo avrebbe composto per una serie di conferenze a Toronto nei primi anni ‘70: lo cito da Taylor / Taylor (1995: 147-48; la traduzione è �n dove possibile quella che si legge in Ban� (2011: 35-36), integrata nelle parti ivi non riportate).

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sostituire con 'dal'

166 Scrivere le lingue, scrivere le culture

che, come si vede, è assolutamente incomprensibile. Diventa interpretabile (anzitutto per un cinese) solo nello scritto:

(4) 石室诗士施氏, 嗜狮, 誓食十狮 施氏时时适市视狮, 十时, 适十狮适市 是时。适施氏适市 施氏视是十狮, 恃矢势, 使是十狮逝世 施氏拾是十狮尸。适石室 石室湿。施氏使侍拭石室 石室拭。施氏始试食是十狮尸 食时。始识是十狮尸是十石狮尸 试释是事

e dallo scritto infatti può essere tradotto:

(5) Ad un poeta di nome Shi, che vive in una casa di pietra, piace la carne di leone, e giura di mangiarne dieci. Il tale va spesso al mercato a guardare i leoni. Alle dieci in punto, dieci leoni erano appena arrivati al mercato. In quel momento, anche Shi era arrivato al mercato. Vede questi dieci leoni, e usando le sue �date frecce fa morire i dieci leoni. Porta i cadaveri dei dieci leoni nella sua casa di pietra. La casa è piena di vapori, e lui chiede ai suoi servi di dissiparli. Quando la casa è pulita, Shi cerca di mangiare quei dieci leoni. Mentre li mangia, comincia ad accorgersi che quei dieci leoni morti sono in e�etti i corpi di dieci leoni di pietra. Prova un po’ a spiegare questo racconto.

In casi come questi ‘scrivere come si legge’ può rivelarsi disastroso: varrebbe la pena di a�rontare una riforma ortogra�ca del cinese, per poi non poterlo leggere?

10.7. ???

Abbiamo accennato alla possibile diversa facilità di lettura dei sistemi di scrittura, ma nulla si è detto della facilità, appunto, di scrittura; è dunque utile vedere un poco la que-stione, premettendo che le osservazioni che qui potremo fare – ed è fondamentale il notarlo – si attagliano a parlanti nativi e alfabetizzati nelle lingue che stiamo trattando. Chiaramen-te il problema dell’apprendimento è molto diverso, e sistemi di scrittura che funzionano molto bene per chi li conosce, possono però essere di lunga e di cile acquisizione. Ora, per chi le lingue le sa già, le scritture tradizionali trasmettono a chi legge informazioni che vanno come sappiamo al di là della mera pronuncia delle parole scritte, e che aiutano la comprensione del testo dal punto di vista morfologico, semantico, lessicale e pragmatico30.

30 Sul livello pragmatico dei sistemi di scrittura, che non possiamo a�rontare qui ma per cui cfr. Iannàc-caro (2005) e Iannàccaro / Guerini (in stampa), sarà su ciente notare che le maiuscole, ad esempio, veico-lano signi�cati ben precisi, in opposizione alle minuscole: {alice} ‘tipo di pesce’ ~ {Alice} ‘nome di persona’; {monti} ‘montagne’ ~ {Monti} ‘Presidente del Consiglio dei Ministri, marzo 2012’ {stato} ‘stare, part pass’ ~ {Stato} ‘compagine politica’ e così via.

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10.7. Alfabeti da leggere, alfabeti da scrivere
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togliere la virgola

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Abbiamo visto il caso dell’inglese, in cui la scrittura indirizza il lettore verso una più immediata comprensione del testo; riprendiamo allora la nostra immaginaria ortogra�a sempli�cata e consideriamo:

Tab. 6 - Norme ortogra�che dell’inglese III.

Ortogra�a riformata

Ortogra�a Tradizionale Pronuncia Italiano

*Seitën Satan [ˈseɪtən] Satana*sëtænic satanic [səˈtænɪk] satanico*tëwtël total [ˈtəʊtəl] totale*towtaliti totality [təʊˈtælɪtɪ] totalità

Come appare evidente, non è privo di informazione il fatto di scrivere {Satan} e {satanic} invece che {Seitën} e {sëtænic}, o {total} e {totality} invece che {tëwtël} e {towtaliti} oppure, come abbiamo visto nella Tab. 4, {write, right, rite, wright} invece di {raït}. Nel primo caso, quello dell’ortogra�a tradizionale, si rendono evidenti i nessi morfologici e semantici che legano le parole, e perciò se anche il lettore non ha mai visto per esempio la parola scritta satanic può ricostruirla facilmente, nella lettura, conoscendo Satan e sapendo, come ogni nativo anglofono sa inconsciamente, che {-ic} è un comunissimo su sso che forma aggettivi da nomi. È una strategia che in qualche modo supplisce all’impossibilità di chiedere chiari�cazioni o riformulazioni, come avverrebbe invece nel parlato. Laddove chi non conosce la parola non ha molte possibilità, leggendo un {sëtænic}, di ricostruirne la parentela immediata con {Seitën}, che come si vede è di forma molto diversa. Anche qui la strategia è, la stessa, nella sostanza, di quella dei sistemi di scrittura (almeno in parte) logogra�ci: il giapponese usa, come spesso accede per l’informazione lessicale, due kanji, 悪魔 (akuma), per indicare ‘Satana [il grande diavolo]’; mentre l’informazione grammaticale è a data al kana の (no) ‘-ico’: la parentela gra�ca dunque fra 悪魔 e 悪魔の è assolutamente evidente, e ne rende chiara la parentela morfologica31.

Questo però per la lettura; nella scrittura il procedimento è un altro, e i problemi che si incontrano sono di�erenti: nel senso che non necessariamente – anzi quasi neces-sariamente no – ciò che rende facile la lettura facilita anche la scrittura. Il meccanismo della lettura, lo accennavamo, sembra essere in qualche modo di tipo globale: quando siamo di fronte a parole che conosciamo o delle quali possiamo ricostruire il signi�-cato, come satanic, l’informazione è acquisita senza necessariamente passare dal livello fonico, come appunto succede nelle logogra�e.

La lettura sembra così avere bisogno di forme compatte, sintetiche, mentre la scrit-tura, al contrario, si avvantaggia di forme analitiche: ora, in Satan vs. satanic, la compat-tezza della rappresentazione dei morfemi va in direzione dalla lettura, ma ne ostacola la scrittura. E in e�etti bisogna già sapere come si scrivono queste due parole, per poterle

31 Come accade nel titolo del più famoso libro di Salman Rushdie, 悪魔の 詩 “�e satanic verses”.

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scrivere correttamente: la semplice analisi di quello che sente chi scrive, del �usso fonico della lingua, non è per nulla di aiuto; chi scrive senza conoscere preventivamente le con-venzioni gra�che ha in verità a disposizione qualcosa come [ˈseɪtən] o [səˈtænɪk], ossia forme fonicamente molto di�erenti e deve ‘indovinare’, per così dire, che [eɪ] si scrive {a} in Satan, proprio come la [ə] (scritta {a}!) di satanic. Sarebbe molto più semplice, per chi scrive, non doversi porre sempre il problema, e poter scrivere in un alfabeto più attento al livello fonico, come quello inventato poco sopra, una cosa come *seitën e *sëtænic. Il che però irrita il lettore, che non riconosce più le parole.

Chi scrive allora è facilitato da un sistema il più super�ciale possibile, che lo autorizza a �ssare semplicemente sulla carta la forma che gli ‘ditta dentro’32; laddove un sistema che fa riferimento anche alla morfologia, come accade per Satan / satanic ma anche per amico / amici, implica appunto in chi scrive la conoscenza della morfologia della lingua e del particolare fenomeno morfologico della particolare parola che sta scrivendo: in sostanza chi scrive deve già sapere che in senso derivazionale, e per la semantica, satanic è il qualche modo legato a Satan.

La lettura funziona, lo abbiamo visto, in modo diverso, e si avvantaggia di forme compatte, evidenti gra�camente, e possibilmente piuttosto variate l’una dall’altra, in modo da poter essere colte immediatamente al primo sguardo. E l’indicazione della pronuncia, paradossalmente, non ha alcuna importanza per chi legge: se è parlante nativo della lingua, la sa già; ma è fondamentale per chi scrive, che avrebbe bisogno di un sistema con il minor numero di simboli possibile, per non confondersi e non ingombrare la memoria, e che rispecchiasse il più possibile il suono della lingua, la pronuncia: in sostanza, il problema di scrivere come si parla è un problema di chi scrive, non di chi legge.

Le logogra�e risolvono il problema in modo molto radicale, sbilanciandosi forte-mente a favore della lettura: è in e�etti assai lungo imparare a scrivere il cinese, per esempio, e questo comporta l’apprendimento mnemonico di migliaia di simboli; ma una volta imparato i sistema, la lettura è veloce e molto semplice, e permette di pas-sare sopra a inconvenienti come gli omofoni, o le diverse pronunce e dialetti locali; al contrario il sistema del greco antico, o del latino classico, è assai facile per chi scrive (basta ascoltare il suono della parola), ma comporta poi di coltà di lettura.

I sistemi tradizionali di scrittura sono così un compromesso fra esigenze della lettura ed esigenze della scrittura: il compromesso può essere in qualche modo equilibrato, ossia equidistante fra i due estremi, come negli alfabeti inglese e olandese, o sbilan-ciato a favore di uno dei due poli, la lettura in quelli logogra�ci, la scrittura in quelli super�ciali come il greco o, come vedremo fra poco, un alfabeto fonetico come l’IPA. Ora, il compromesso può essere più o meno ben riuscito. Non ci possiamo addentrare nella questione, ma è evidente, per esperienza comune, che alcuni sistemi funzionano peggio di altri: il rapporto fra gra�a e lingua in francese, ad esempio, è particolarmen-te e inutilmente complesso (ben diverso è, come abbiamo in parte accennato, il caso dell’inglese). Altri ‘cattivi esempi’ possono essere l’irlandese o il russo; italiano e tedesco, per esempio, sono invece compromessi assai migliori, così come lo spagnolo – e poi ci

32 Purg. XXIV, 52-54: I’ mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo signi�cando

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aggiungere un punto alla fine
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eliminare ', la pronuncia'

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sono alfabeti del tutto super�ciali che tuttavia funzionano benissimo, come quelli del turco, per esempio, o del �nlandese. Sarebbe molto interessante la discussione sulle ragioni di queste di�erenze, ragioni che tengono conto di fattori strutturali (proiezioni fonetiche super�ciali di livelli profondi) come storici o sociali, ma è operazione cui dobbiamo qui rinunciare; cfr. però Iannàccaro / Guerini (in stampa). Il compromesso migliore conosciuto in letteratura è quello del ricordato alfabeto coreano, un sistema di scrittura esplicitamente costruito (intorno al 1450) per essere semplice sia in lettura sia in scrittura.

Si è accennato alla trascrizione fonetica: e spesso si argomenta che il miglior sistema di scrittura di una lingua è costituito appunto dalla sua trascrizione fonetica33: ci sono ‘tutti i simboli che occorrono’, e, in e�etti, ‘si scrive come si parla’. Tuttavia sarà ormai evidente che una tale opinione è errata: il riferirsi soltanto ad uno dei livelli possibili della lingua, quello del suono (ossia la particolare super�cialità) è – per la lettura almeno – un grosso svantaggio. Si consideri questo esempio:

(6) ðə ˈnɔɹθ ˌwɪnd ən ə ˈsʌn wɚ dɪsˈpjuɾɪŋ ˈwɪtʃ wəz ðə ˈstɹɑŋgɚ, wɛn ə ˈtɹævlɚ ˌkem əˈlɑŋ ˈɹæpt ɪn ə ˈwɔɹm ˈklok. […] ən ˈso ðə ˈnɔɹθ ˌwɪnd wəz əˈblaɪʒ tɪ kənˈfɛs ðət ðə ˈsʌn wəz ðə ˈstɹɑŋgɚ əv ðə ˈtu.

(7) �e North Wind and the Sun were disputing which was the stronger, when a traveler came along wrapped in a warm cloak. […] And so the North Wind was obliged to confess that the Sun was the stronger of the two

(8) əˈblaɪʒ ~ ˌɒblɪˈɡeɪʃn / obliged ~ obligation

(9) tɪ / to

Le frasette sono tratte dalla favola di Esopo che è, �n dal momento della sua fonda-zione, usata dal consorzio per l’IPA al �ne di costituire specimina di trascrizione per il maggior numero possibile di varietà; (6) è la trascrizione della prima e dell’ultima frase dall’‘American English’; (7) ne è l’ortogra�a inglese. Come è evidente, al di là dell’ac-quisizione – peraltro piuttosto facile e veloce – delle abilità di lettura in IPA, è assai arduo riconoscere i nessi fra le parole (come in (8)), e le sovraspeci�cazione fonetica è piuttosto un impedimento che un vantaggio, come mostra l’incomprensibile (alla lettura) ‘tɪ’ per ‘to’ di (9). In IPA si possono ‘leggere’ le singole parole, ma per capire quello che si è letto bisogna in qualche modo ripensare il testo come se fosse scritto in una gra�a ortogra�ca. In compenso è stato probabilmente piuttosto facile scriverlo, il brano – come è normalmente il caso delle trascrizioni: basta ascoltare attentamente, e non porsi alcun problema di comprensione. È importante notarlo, e ci torneremo immediatamente, il modo di fruizione dell’alfabeto greco classico assomiglia molto a quello dell’IPA.

33 Ci sono numerosi sistemi di trascrizione fonetica, di maggiore o minore uso presso la comunità scienti�ca. Sono tutti equivalenti, a patto che rispettino il principio, per le trascrizioni fondamentale (ma non per le ortogra�e), di mantenere un rapporto 1:1 fra suono e simbolo. Come esempio per tutti di seguito si parlerà dell’IPA.

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togliere la doppia parentesi

170 Scrivere le lingue, scrivere le culture

10.8. ???

Dunque leggiamo, poniamo, l’inglese in modo diverso da come i greci dell’età di Pe-ricle leggevano il greco, pur essendo i due sistemi di scrittura basati teoricamente sullo stesso principio, quello fonogra�co. In particolare ci pare ormai piuttosto scomodo il funzionamento assai super�ciale dell’alfabeto greco, nel quale, è esperienza di molti, i nessi morfologici sono fastidiosamente oscurati. È questo un difetto dell’ortogra�a greca classica, o ci sono ragioni per cui è stato bene ad un certo punto che il sistema di scrit-tura funzionasse in quel modo? Possiamo solo qui accennare ad una spiegazione34, che parte considerando che la lettura, presso i popoli antichi del Mediterraneo (greci, latini, etruschi, fenici) è un’attività che si fa – solamente – ad alta voce: è molto noto un passo di Agostino nel quale si stupisce del fatto che Ambrogio poteva ‘leggere’ senza pronunciare le parole, cosa che lui stesso non era capace di fare35. Questo è evidentemente un punto di svolta. La lettura dei greci e dei latini è da considerare in qualche modo come una attività assolutamente meccanica, come quella dei bambini, che appunto quando leggono sono ‘macchine per leggere’, che semplicemente servono a riprodurre ad alta voce quello che è scritto nel momento in cui lo leggono, a prescindere totalmente da qualunque signi�cato.

Possiamo immaginare qualcosa di simile per i greci e i latini: prima dei fenici il tipo di rapporto fra lingua scritta e lingua parlata è più simile alla decifrazione: ossia il signi�cato è svincolato, come è evidente in un logogramma, dalla rappresentazione puramente fonica. Con l’invenzione dell’alfabeto, e soprattutto con in suo perfeziona-mento vocalico, il rapporto invece si fa molto stretto, e anzi, dato il fatto che la lettura era ad alta voce, diventa necessario. Questo è lo stadio dei greci e dei latini: a questo punto diventa utile possedere un alfabeto il più possibile simile alla parola parlata (nelle intenzioni almeno se non nei risultati): perché il signi�cato si recupera comunque attra-verso il suono, e chi legge raggiunge il signi�cato ascoltando la catena fonica-letterale che sta lui stesso leggendo.

34 Che si trova avanzata già in Iannàccaro (2005) e che viene ripresa e argomentata in Iannàccaro / Guerini (in stampa)

35 Augustinus Hipponensis Confessionum Libri XIII. Liber VI, 3. Nec iam ingemescebam orando, ut subvenires mihi, sed ad quaerendum intentus et ad disserendum inquietus erat animus meus, ipsumque Am-brosium felicem quemdam hominem secundum saeculum opinabar, quem sic tantae potestates honorarent: caelibatus tantum eius mihi laboriosus videbatur. Quid autem ille spei gereret, et adversus ipsius excellentiae temptamenta quid luctaminis haberet quidve solaminis in adversis, et occultum os eius, quod erat in corde eius, quam sapida gaudia de pane tuo ruminaret, nec conicere noveram nec expertus eram. Nec ille sciebat aestus meos nec foveam periculi mei. Non enim quaerere ab eo poteram quod volebam, sicut volebam, secludentibus me ab eius aure atque ore catervis negotiorum hominum, quorum in�rmitatibus serviebat; cum quibus quando non erat, quod perexiguum temporis erat, aut corpus re�ciebat necessariis sustentaculis aut lectione animum. Sed cum legebat, oculi ducebantur per paginas et cor intellectum rimabatur, vox autem et lingua quiescebant. Saepe cum adessemus (non enim vetabatur quisquam ingredi aut ei venientem nuntiari mos erat) sic eum legentem vidimus tacite et aliter numquam sedentesque in diuturno silentio (quis enim tam intento esse oneri auderet?) discedebamus et coniectabamus eum parvo ipso tempore, quod repa-randae menti suae nanciscebatur, feriatum ab strepitu causarum alienarum nolle in aliud avocari et cavere fortasse, ne auditore suspenso et intento, si qua obscurius posuisset ille quem legeret, etiam exponere esset necesse aut de aliquibus di cilioribus dissertare quaestionibus atque huic operi temporibus impensis minus quam vellet voluminum evolveret, quamquam et causa servandae vocis, quae illi facillime obtundebatur, poterat esse iustior tacite legendi. Quolibet tamen animo id ageret, bono utique ille vir agebat (enfasi mie; trad. della parte in grassetto: “ma quando leggeva, gli occhi erano condotti per le pagine, e il la sua intelli-genza esplorava la crepe del testo, mentre la voce e la lingua, invece, stavano a riposo”).

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10.8. Lettura a voce, lettura a mente
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non in grassetto

Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale 171

Ma con la lettura a mente, del cui avvento sappiamo ancora poco, ma che comunque si è a�ermata nel III-IV sec., le condizioni cambiano radicalmente. Anche, nei tempi moderni, l’enorme di�usione della lettura grazie alla stampa e all’istruzione generaliz-zata ha giocato un ruolo fondamentale. Adesso sì che le esigenze di chi scrive e di chi legge diventano di�erenti, e ora comincia a essere recuperato quel rapporto diretto col signi�cato che abbiamo visto caratteristico della nostra lettura globale. E tuttavia nostri alfabeti non erano ‘costruiti’ per avere un rapporto diretto col signi�cato; da qui la necessità delle ortogra�e moderne di trovare compromessi fra la lettura e la scrittura.

Queste considerazioni portano alla necessità di chiarire due concetti, cui abbiamo accennato talora senza de�nirli, che vengono spesso confusi nelle trattazioni sulla scrit-tura, e confusi rimangono nella percezione del parlante medio, ingenerando appunto le convinzioni sulla bontà del ‘leggere come si scrive’. Parliamo della di�erenza fra ortogra�a e trascrizione, che è in e�etti semplicemente la �ssazione su un altro sup-porto, quello visivo, della lingua parlata: chi trascrive, come già notavamo, non deve porsi alcun problema linguistico, per così dire, e può limitarsi a segnare sulla carta ciò che sente, al limite anche senza capirlo. La lingua sostanzialmente non cambia: rimane lingua parlata, pur essendo a data ad un supporto scrittorio.

L’ortogra�a è invece il cambio di medium comunicativo: un sistema ortogra�co con�gura una lingua scritta, e come abbiamo visto si riferisce a tutta la lingua nel suo complesso, non solo all’aspetto fonico; trovare un’ortogra�a per una lingua implica an-zitutto una presa di posizione sull’inventario fonologico di questa lingua, anche se non se ne è consapevoli: bisogna cioè sentirne i suoni pertinenti, astraendoli dal loro contesto semantico, individuarli, dar loro un nome e una forma gra�ca coerente con il resto del sistema; in più, ci sono le caratteristiche morfologiche e semantiche viste sopra36.

Allora un’ortogra�a troppo accurata nel riportare la fonetica è piuttosto uno svan-taggio che un’opportunità per una lingua, perché dà tutta una serie d’informazioni in realtà inutili, che appesantiscono la lettura e la decodi�ca, ostacolando al contempo il riconoscimento di forme comuni alle diverse pronunce regionali e �n personali. Pen-siamo alle diverse pronunce italiane regionali, medioalte o mediobasse, di {e}, {o}, e sorde o sonore di {s}, {z}, o al raddoppiamento sintattico (attuato al centro-sud nella pronuncia, ma non scritto): ogni variante orale si può ritrovare nella scrittura standard, che dà così un’impressione di unità, pur permettendo variazioni al suo interno, e tutti si possono rispecchiare in una gra�a come {a casa}, sia che la pronuncino [aˈkːasa] come a Firenze, sia [ˌa ˈkaza] come a Milano.

In quest’ottica è bene vedere anche una distinzione spesso trascurata e fonte di ambiguità: quella fra trascrizione e traslitterazione. Mentre la trascrizione, lo abbiamo visto, è, almeno idealmente, la �ssazione accurata della pronuncia di una lingua, ossia la transcodi�ca di un’espressione linguistica orale, la traslitterazione è la trasposizione di un sistema di scrittura in un altro, ossia la trasposizione di norme scritte. La lettura della trascrizione deve restituire il suono della lingua, quella della traslitterazione il suo sistema di scrittura, anche al di là dell’espressione fonica; la traslitterazione internazio-nale del cirillico russo, per esempio, rende il nome proprio Горбацёв [gɐrbaˈʧof] con Gorbačëv, rendendo evidente che la corrispondenza è fra le lettere dei due alfabeti (per

36 Per qualche indicazione sul lavoro di �ssazione ortogra�ca di una lingua parlata si più vedere Dell’A-quila / Iannàccaro (2004: 67-80) e Iannàccaro / Dell’Aquila (2008).

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172 Scrivere le lingue, scrivere le culture

esempio nella prima sillaba {Гор} ≈ {Gor}) e non con la pronuncia, che infatti è [gɐr]. Un caso particolarmente evidente, ancorché straniante, si ha nella traslitterazione di sistemi di scrittura fonogra�ci, ma molto diversi nell’impostazione da quello greco-latino cui siamo abituati.

Prendiamo la traslitterazione Wilye del tibetano, un particolare abugida ormai molto avanti nella sua trasformazione in logogra�a: བད་སད་ ‘tibetano’ è reso con ‘bod.skad’, che è esattamente quello che è scritto (ossia {བ}≈{b}, { }≈{o}, {ད}≈{d} / {ས}≈{s}, {ཀ}≈{ka}, {ད}≈{d}), e non quello che, nella varietà standard di Lhasa, è pronunciato ([bø’kɛː]). Altri esempi:

Tab. 7 - Traslitterazione del tibetano.

Abugida tibetano traslitterazione pronuncia italiano

དབ་ deb [thep] ‘libro’

གངས་ gangs [kha�ŋ] ‘neve’

ཡན་ཏན་ yon.tan [jøtɛ] ‘abilità, qualità’

བསབས་ bsgrubs [ɖrúp] ‘stabilito’

10.9. ???

C’è tuttavia ancora un altro aspetto da considerare, parlando di presunta naturalità della scrittura: l’ortogra�a è, a suo modo, un prodotto sociale – e non solo perché ov-viamente lo scritto rispecchia la società che lo ha prodotto, come vedremo meglio fra poco, ma anche da un punto di vista più interno e strutturale. L’ortogra�a dell’italiano, per esempio, è sensibile – beninteso entro certi limiti – al contesto sociale delle singole parole37: e se normalmente la [ʃ] viene espressa con {sc(i)}, in più di un’occasione ven-gono preferite altre gra�e.

Prendiamo come esempio un’indagine non esaustiva, ma di un certo interesse, ef-fettuata qualche anno fa su circa 1000 studenti di linguistica dell’Università di Torino e di Milano-Bicocca38: è stato loro sottoposto un insieme di gra�e possibili, trascrizioni del sanscrito शॊभ (śobha) ‘denominale da ‹splendore, brillantezza›’, speci�cando che si trattava di un nome di cane. Delle varie proposte (in ordine alfabetico choba, schoba, scioba, shoba, šoba) la gra�a di gran lunga preferita – anzi, forse l’unica pienamente accettabile – è risultata shoba, con una minima percentuale anche di scioba39; ultima, non scelta mai da alcuno, è šoba. La parola non è inglese, ma la gra�a, ricordiamolo,

37 È chiaro che la storia dalla parola è fondamentale, in questi casi: etimologie e provenienze geogra�che diverse giocano, in diacronia, un ruolo fondamentale; qui ci limitiamo a vederne i ri�essi nel sistema, in strettissima sincronia e azzerando, per così dire, qualunque conoscenza di tipo storico-culturale.

38 In verità si tratta di indagini del tutto informali, condotte nell’arco di anni durante le lezioni; i dati sono in mio possesso, a disposizione di chiunque ne abbia curiosità.

39 Dovuta probabilmente al fatto che il contesto era una lezione di linguistica in cui si discuteva di sistemi di scrittura; le forme proposte seguono le norme ortogra�che per [ʃ] di francese, tedesco, italiano, inglese, ceco.

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10.9. Scrittura e società
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Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale 173

proposta per un nome di cane, è anglicizzante. Lo stesso esperimento con il nome del poeta Пушкин ([ˈpuʃkʲɪn]) ha dato risultati meno netti, ma in cui la forma Puškin prevale abbastanza chiaramente sulle altre, seguita da Pushkin e, molto staccata, da Puskin, mentre non viene neppure presa in considerazione un’eventuale Puschin (gra�a utilizzata per esempio nelle prime edizioni italiane delle sue opere, alternata alla fran-cesizzante e parimenti ri�utata dagli studenti Pouchkine)40.

Ancora: l’unica gra�a accettabile per la città giapponese di 下関(市) [ˈʃɪmonoseˌki (ʃi)] è Shimonoseki, nonostante una sua discreta tradizione scrittoria italiana che risale alla metà del 1600 (per esempio “[…] all’entrar del nuovo anno […] Arimandono spedì una sua fusta armata, a condurre il Governator Sa�oie […] al Porto di Scimonosechi, e anch’egli, dopo alquanto, vi s’avviò […]” Bartoli 164941). Allo stesso modo ci si comporta per la penisola Камчaтка [kəmˈʧatka], il cui nome non è mai accettato nella trascrizione italianizzante Camciatca, ma solo come Kamchatka (complice forse anche la conoscenza del toponimo dovuta ad un famoso gioco da tavolo, che così la trascrive) o Kamčatka. Laddove shampo(o) (prestito dall’hindī chāmpo, imperativo di champnā ‘frizionare’, atte-stato con questa gra�a in italiano dal 1930) lotta alla pari con sciampo (attestato dal 1762), mentre sciopero (parola sentita comunque come ‘abbastanza strana’, anche se di regola-rissima etimologia latina, deverbale da ex-operare) è accettato solo con la gra�a {sci-}.

Dunque i nomi di cane vanno scritti con la {sh}, così come le città giapponesi, mentre i poeti russi con la {š}, le parole di incerta collocazione, commerciale e casalinga, vanno bene sia con {sh} sia con {sc(i)} (ma i derivati italiani solo con {sc(i)}, come sciampista) e le parole riconosciutamente italiane hanno solo {sc(i)}: è ‘naturale’ scrivere shoba, come è ‘naturale’ scrivere sciopero. E di più, {sch}/ {tsch} ‘fa tedesco’, e va quindi bene per personaggi europei un po’ antichi, la ‘pipa’ o haček {ˇ} è associata alle lingue slave e così via. Tutte gra�e che, a loro modo, veicolano portati culturali delle società cui vengono apparentate:42 e lo strapotere culturale del mondo anglosassone si vede anche dall’avanzare della naturalità delle scrizioni {sh} (è capitato recentemente di vedere in testi dialettali spontanei forme milanesi come {shura} (ossia sciura) ‘signora’43).

Arriviamo così ai valori culturali dei sistemi di scrittura: come è evidente, la scrit-tura è, socialmente, un’u cializzazione del parlato, una sua nobilitazione, un passaggio

40 In nota perché non relativo alla [ʃ], ma parimenti interessante: sulla gra�a accettabile del nome del compositore russo Пётр Ильич Чайковский [‘pjotr il’iʧ ʧəj’kofskij] non si è raggiunta una maggioranza, e l’incertezza ha costituito la norma; le opzioni tollerate sono risultate essere Tchaikovsky (all’inglese, ma con trattamento tedesco della [ʧ]) e Čaikovski (slavizzante con qualche tratto italiano), mentre è risultata impensabile una gra�a come Ciaicovschi, che, oltre a essere quella più spesso utilizzata in Italia �no alla II guerra mondiale, è anche quella standard del rumeno – fra l’altro un violinista rumeno contemporaneo si chiama proprio Petru Ciaicovschi.

41 Daniello Bartoli, “Dell’istoria della Compagnia di Gesù. Il Giappone. Seconda parte dell’Asia descritta dal P. Daniello Bartoli della medesima compagnia. Libro terzo dell’istoria”; cito dall’edizione di Torino curata da Giacinto Marietti nel 1825 (: 340). Il nome compare varie volte nel testo.

42 È piuttosto interessante la pubblicità della birra venduta da un locale pubblico a Magdeburgo (nella ex-DDR): la birra è di fabbricazione ceca (è la Staropramen, prodotta nella città di Praga), e i testi che la reclamizzano sono della forma, per esempio, {Šmekt wie bei echte Tšeché} (schmeckt wie bei echte Tsche-che ‘sa proprio di vero Ceco’), con cui si veicola, tramite opportune deformazioni ortogra�che, l’idea di ‘boemità’ [ottobre 2009].

43 Per una disamina di questi ed altri fenomeni nelle gra�e spontanee (come {ch} per [ʧ] in milanese) cfr. Iannàccaro / Dell’Aquila (2008).

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174 Scrivere le lingue, scrivere le culture

alla posterità potenziale, è l’a�che della lingua, e attraverso questa della comunità che la esprime44. L’investimento identitario nella scrittura è in genere molto alto, tanto da poter essere anche manipolato ad arte, ove questo venisse considerato utile o necessario. All’interno dei sistemi fonogra�ci segmentali è per esempio spesso piuttosto facile rico-noscere la lingua (meglio, l’ortogra�a) con la quale un testo è scritto da tutta una serie di segnali (o ‘caratteri bandiera’) – e a questi caratteri i parlanti sono molto a�ezionati (Dell’Aquila / Iannàccaro 2004: 76-77, modi�cato):

Allora si riconosce un testo romancio perché ha (fra gli altri) il {tg}, così come uno portoghese per {ão, ãe}, uno danese per {å, ø}, uno tedesco per {ä, ö, ß}, uno ungherese per {ő, ű}, uno ceco per {č, š, ř, ů}, uno polacco per {rz, sz}, il francese per {ç}, il rumeno per {ţ, ș}, il lettone per {ķ ņ}, l’islandese per {þ, ð}, il �nlandese per {ää, öö, yö}, il macedone (rispetto al cirillico comune) per {ѓ, ќ, ѕ}, l’ucraino per {i}, il serbo per {ћ, ђ} e così via. […] Dovendo esprimere la nasale palatale, il catalano sceglie di notarla {ny} e non {ñ} come il castigliano, così come si distingue, per la laterale palatale, l’occitano {lh} dal francese {il(l)}; molte lingue africane imparentate con il francese in regime di pidgin o creolo usano per esempio la scrizione ta per temps, che consente la stessa pronuncia, ma appare molto diversa. È dovuta a ciò, ad esempio, la di cilissima accet-tazione di {sc(i)} per esprimere, nelle varietà di ladino dolomitico, la fricativa palatale sorda [ʃ], che veniva trascritta spontaneamente di volta in volta {sh}, o {sch}, o {š}, o {ś} per evidenti ragioni di di�erenziazione rispetto all’italiano, e talora per apparentarsi esplicitamente con il tedesco.

A maggior ragione i parlanti sono a�ezionati e abituati al loro sistema di scrittura: e non per nulla il paesaggio linguistico, ossia la presenza �sica delle scritte e degli alfabeti nelle strade e per negozi e attività di città e paesi è uno dei tratti caratterizzanti la vita linguistica dei parlanti e la loro percezione della lingua45. Consideriamo ad esempio l’impressione, anche epidermica, che producono scritte di questo tipo:

Fig. 8 - Scritte murali.

44 Sulla sociolinguistica della scrittura la bibliogra�a è piuttosto cospicua, anche se meno di quanto si potrebbe pensare: un buon punto di partenza è Coulmas (2003: 223-243) e spunti interessanti si trovano in Daniels / Bright (1996: 763-784); una recente rassegna, anche bibliogra�ca, è Sebba (2009). C’è poi tutto il settore della creazione o della riforma dei sistemi di scrittura, il cui capostipite è Fishman (1977); secca segnalare continuamente i propri lavori, ma in italiano le uniche trattazioni disponibili sono Dell’Aquila / Iannàccaro (2004; particolarmente le pp. 71-80), Iannàccaro (2006), Iannàccaro / Guerini (in stampa).

45 Sul paesaggio linguistico cfr. almeno Shohamy / Gorter (2008).

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abbassare il segno di tilde

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La prima immagine viene, in maniera non prevedibile, da Toronto, in Canada (dal quartiere persiano, e ce ne si accorge subito); la seconda da Puducherry / (Pondicherry, India), e, nella sua doppia cartellonistica bilingue (tamil/francese, tamil/inglese) rende subito il forte multilinguismo della società indiana e le di�erenti sugges-tioni culturali che esprime46. Il terzo cartello è una sopravvivenza dell’amministrazione sovietica della Lettonia: si trova (almeno, al marzo 2012) a Rēzekne, capoluogo della regione orientale della Latgalia, abbastanza russi�cata; e, anche per il suo contenuto (in lettone e russo ‘via della Cooperativa’) restituisce una forte impressione da ex-Unione Sovietica.

L’alfabeto cirillico tende ormai in e�etti a veicolare, almeno in Occidente, un’im-magine da Russia Sovietica; ma all’inizio della Rivoluzione d’ottobre, al contrario, ne era stata proposta la sua sostituzione con quello latino, dal momento che “la maled-izione dell’oppressione zarista pesa ancora sulla forma gra�ca dell’alfabeto russo” e “l’abbadono del cirillico potrà per sempre liberare gli operai dal malevolo in�usso della stampa prerivoluzionaria” (Jakovlev e Lunačarski intorno al 1925, in Iannàccaro 2006: 290-91). Il cirillico era al momento assai connotato come alfabeto ‘zarista’ e ortodosso; così come l’alfabeto arabo è sempre stato fortemente associato all’Islām – non a caso la cattolica Malta, la cui lingua è una variante dell’arabo, adotta l’alfabeto latino; e infatti la prima opera di occidentalizzazione della nuova Turchia da parte di Mustafa Kemal Atatürk è stata l’adozione di un particolare alfabeto latino per il turco, �no ad allora scritto con adattamenti dei caratteri arabi47.

10.10. ???

In e�etti la presenza di un alfabeto o di un altro, in una società, è spesso determi-nata da motivi ideologici, e in particolar modo religiosi. L’alfabeto latino è, dal XIV sec. almeno, intrinsecamente legato alla religione cattolica e in seguito anche a quella riformata, e alla cosiddetta civiltà occidentale; laddove il greco e poi come abbiamo visto il cirillico hanno avuto una forte caratterizzazione in senso (greco)ortodosso. Ed è interessante notare come le comunità slave di religione cattolica hanno tutte alfabeti tradizionali basati sul latino (polacco, ceco, slovacco, sorabo, sloveno, croato e così via), mentre quelle ortodosse sono caratterizzate dalla scelta del cirillico, assai più legato alla sua matrice greca (russo, bielorusso, ucraino, serbo, macedone, bulgaro). Emblematico è il caso del serbocroato, considerato – almeno dal 1830 al 1990 – una sola lingua ma con due standard alfabetici, latino e cirillico, utilizzati a seconda delle religioni e degli apparentamenti culturali dominanti nell’area; dopo le guerre degli anni ‘90 le tradizioni alfabetiche diverse hanno �nito col prevalere, determinando la formazione, nella co-scienza comune e nell’u cialità, di lingue diverse48. Anche notevole è il riallineamento

46 Non sarà sfuggito che il sistema di scrittura del tamil è un abugida; anzi, alcune lettere sono molto simili a quelle che abbiamo incontrato per la devanagarī (Fig. 6.): si confronti la {p} iniziale e il trattamento della {i} �nale.

47 La riforma alfabetica di Atatürk, la cosiddetta dil devrimi (rivoluzione linguistica), del 1928, ha pro-dotto uno dei migliori sistemi di scrittura conosciuti, insieme a quello coreano.

48 Il problema è, naturalmente, assai più complesso di come viene qui per brevità presentato; per un’in-troduzione a tali questioni sociolinguistiche cfr., in italiano, Dell’Aquila / Iannàccaro 2004.

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10.10. Scrittura e ideologia

176 Scrivere le lingue, scrivere le culture

del rumeno verso l’alfabeto latino nel corso del XIX secolo, dovuto alla consapevole occidentalizzazione della cultura intrapresa in quel periodo e alla crescente importanza del francese nella vita culturale rumena.

Signi�cativo rimane al proposito il cambio d’alfabeto avvenuto nel territorio della Bes-sarabia, passata all’amministrazione sovietica negli anni successivi alla II guerra mondiale e inclusa nella Repubblica Socialista Moldava: ebbene, nel tentativo di creare negli abitanti un sentimento nazionale che non fosse rivolto verso l’esterno, ma verso l’Unione Sovie-tica, fu imposto l’alfabeto cirillico al rumeno, lingua u ciale e parlata nell’area e, gli fu dato un diverso nome, appunto moldavo; nei decenni seguenti si tentò poi di accreditarlo come lingua diversa. Beninteso, con il crollo dell’Unione Sovietica, la nuova Moldavia ha prontamente riabbracciato l’alfabeto latino, simbolo di continuità con il rumeno e l’Europa centrale. Ma anche una quantità di lingue asiatiche, turche, mongole o siberiane, che ricevettero forma scritta nel corso degli anni ‘20 e ‘30 ebbero all’inizio alfabeti basati sul latino, giudicato dalla Commissione sulla Riforma degli Alfabeti dell’epoca – che era sí sovietica, ma non ancora troppo scaltrita in tali questioni simboliche – piú di�uso e funzionale, e non ‘ammorbato’ da strascichi zaristi; solo poi, col cambiamento ideologico dell’età staliniana, tutti questi alfabeti furono sostituiti da altri basati sul cirillico49.

E, non sembri futile, i sistemi di scrittura sono belli; veicolano cioè per le culture che li esprimono importanti valori estetici, e �nanco artistici. Possiamo citare per l’a-rabo questo passaggio, in cui la preoccupazione per la resa estetica della scrittura porta persino a provvedimenti disciplinari nei confronti degli amanuensi:

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‘ʿAbdallāh ibn TÂāhir osservava il lavoro manoscritto di uno dei suoi segretari, ma non ne era soddisfatto. Allora disse «Bisogna allontanare costui dall’u cio ammi-nistrativo, perché so�re di una malattia nella scrittura a mano, e non si può essere sicuri che non contagerà gli altri’50

ma è cosa risaputa che, a causa anche della particolare temperie culturale iconoclasta che ha caratterizzato l’arte e il pensiero islamico, molte delle espressioni di arte �gurativa sono passate attraverso il lavoro gra�co sulle lettere dell’alfabeto e sulle sue legature. Vediamo solo, come esempio, qualche saggio di calligra�a araba, modellato sulla celebre prima sura del Corano:

(11)

49 In ogni caso le di�erenze alfabetiche non devono necessariamente essere molto evidenti, ossia com-portare un cambiamento completo di set di caratteri, per veicolare forti rivendicazioni identitarie: basterà pensare all’uso dei caratteri Fraktur (impropriamente conosciuti come ‘gotico’) che ha caratterizzato l’im-pero tedesco, anche come contrapposto all’epoca a quello asburgico, e che ora si ricopre di simbologie di volta in volta diverse, ma in qualche modo legate a interpretazioni del mito nordico (il suo uso aumentò vertiginosamente nella Germania degli anni ‘30, per poi scomparire di fatto durante la II Guerra Mondiale).

50 Dall’asÄ SÄūlī, citato da Bauer (1996: 563-564). La ‘malattia nella scrittura’ è semplicemente una brutta gra�a (cfr. oltre).

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Per iscritto. Uno sguardo strutturale e sociale 177

(bismi-llāhi ar-rahmāni ar-rahīmi) ‘nel nome di Dio, il più grazioso, il più misercordioso’:

Fig. 9 - Calligra�a araba.

Per la Cina possiamo confrontare il brano seguente, che è tratto dalla prefazione all’opera maggiore di Cài Xīyŏng, linguista e lessicografo cinese, la Chuanyin kuaizi ‘Forme gra�che veloci per trasmettere il suono’, scritta nel 1896 (da Mair 1996: 207, con ductus da sinistra a destra secondo l’uso moderno):

(12) 念中國文字最為美備亦最繁難倉史以降孳乳日多字典所收四萬餘字士人讀書畢生不能盡識

‘Ho sempre pensato che, mentre i caratteri cinesi sono di gran lunga i più belli e i più completi, tuttavia sono anche i più complessi e di cili. Dal tempo di Cang Jie [il mitico inventore dei caratteri cinesi], si sono accresciuti e moltiplicati giorno dopo giorno. I caratteri registrati nei dizionari sono oltre 40.000. Anche studiosi che leg-gono libri per tutta la loro vita possono non essere in grado di riconoscerli tutti’51.

Belli e completi e in e�etti, vari, veloci da leggere, estremamente e cienti nell’im-piego dello spazio (poco più di una riga contro le quattro della traduzione), ma anche, nel mito, complessi e di cili (che è titolo di vanto, beninteso); e da indagini informali compiute con studenti cinesi di Milano è risultato che trovano il nostro alfabeto latino noioso, triste, prolisso, troppo uniforme per essere interessante.

Per l’India il discorso è un poco diverso: l’oralità è sempre stata superiore, cultu-ralmente, alla scrittura; i più antichi documenti della lingue indiane (e indeuropee in genere), i Rgveda, risalgono �no al 1500 a.C., mentre i primi manoscritti conservati datano solo dal 1700 d.C. circa, più di 3000 anni dopo52. E, mentre il latino è scritto in genere con l’alfabeto latino, il greco con il greco e così via, il mondo indiano ha sempre conosciuto una grande �essibilità nell’uso dei sistemi di scrittura, sviluppati secondo criteri estetici che si accordavano ai gusti regionali: la stessa opera poteva così essere trascritta in molti modi anche decisamente diversi gli uni dagli altri, secondo la sensi-bilità estetica o le preferenze del momento (Pollock 2006: 273). Si è così formata una libertà, anche di gusti scrittòri, sconosciuta al mondo occidentale, e molto apprezzata.

51 Cito da Mair (1996: 207).52 Non che la scrittura sia comparsa in India così tardi, ovviamente, e anzi la letteratura indiana scritta

è imponente: ma è signi�cativo che per millenni non si sia sentita la necessità di �ssare sulla carta questi monumenti culturali.

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