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Pirandello e Brecht: un incontro possibile?

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STUDICollana a cura di Anna Grazia D’Oria,Giovanni Invitto, Marcello Strazzeri

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GLI INTELLETTUALI ITALIANI

E L’EUROPA

(1903-1956)

a cura di Franco Petroni e Massimiliano Tortora

Manni

© 2007 Piero Manni s.r.l.Via Umberto I, 51 - San Cesario di [email protected]

In copertina: Giorgio De Chirico, Piazza d’Italia, 1915Progetto grafico di Vittorio Contaldo

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Indice

7 Introduzione di Franco Petroni e Massimiliano Tortora

PIETRO CATALDI13 I luoghi del disagio. Appunti su Leopardi,

Baudelaire e la lirica moderna

CRISTIANA BRUNELLI31 Cecchi e la cultura francese 1903-1920

(con appendice di lettere inedite di Thibaudet e Benda)

STEFANO GUERRIERO69 Gli spiriti burloni e la letteratura.

Appunti per una continuità tra Otto e Novecento

MARCO MAZZI87 Una parentesi benjaminiana:

Marinetti, la Francia, e il Giappone delle avanguardie

PAOLA SALATTO97 Federigo Tozzi nell’industria culturale capitolina:

il progetto di romanzo “nazionale” e le “seduzioni forestiere”

CRISTIANO SPILA143 Giorgio Vigolo “antimoderno”: scritti inediti sul Romanticismo

MASSIMO LUCARELLI169 Un’idea modernista di Barocco: note su alcune possibili

mediazioni europee della concezione ungarettiana del Barocco

DANIELE LO CASCIO195 Savinio, Breton e la strada interrotta dello humor nero

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CLAUDIO BRANCALEONI219 Ignazio Silone tra espressionismo italiano e Neue Sachlichkeit:

lettura di Viaggio a Parigi

L. MARIO RUBINO235 La Neue Sachlichkeit e il romanzo italiano degli anni Trenta

GILDA POLICASTRO275 Pirandello e Brecht: un incontro possibile?

FRANCESCA SCOLLO295 Pirandello e il Surrealismo.

Lettura delle novelle del quinquennio 1931-1936

BEATRICE SICA309 “Nel nome, sempre, della immensa unica vera Idea-Forza”:

il futurista Paolo Buzzi di fronte al surrealismo francese

TIZIANA DE ROGATIS347 La “Forma” di Clizia. Fonti anglosassoni e bibliche

in Personae separatae di Eugenio Montale

MARIANNA MARRUCCI373 Franco Fortini jeune bourgeois intellectuel

nell’Europa degli anni Quaranta

ANNA BALDINI393 Il Proust di Guido Morselli

GIANMARIA NERLI417 “Narrare è difficile”: il mal di romanzo di Italo Calvino

nella cultura europea degli anni Cinquanta

MASSIMILIANO TORTORA433 La letteratura italiana in “Botteghe Oscure.

International Review of New Literature”

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GILDA POLICASTRO

Pirandello e Brecht: un incontro possibile?

Die Bereitschaft des Lehrers zu lehren:die der Bruder nicht sieht, die Fremde sieht sie*.

B. Brecht, Suchenach dem neuen und alten, Theaterarbeit, 1952

1. Cronologia

Riaprire la questione, peraltro parcamente dibattuta, di un confrontotra i due maggiori drammaturghi di primo Novecento impone innanzitut-to un riesame dei dati disponibili. Radunando i non rari contributi dedi-cati al volontario esilio pirandelliano in Germania, quei pochi elementi ac-certati di un possibile contatto con Brecht non paiono incoraggiare ulte-riori indagini, lasciando affiorare la reciproca indifferenza dei due autori euna conclamata distanza delle rispettive poetiche1. Persino un generico av-vicinamento tende ad essere escluso, nell’impossibilità di accertare un ef-fettivo incontro biografico. Si è enfatizzata, finora, la vita non pienamen-te integrata, da parte di Pirandello, in una Berlino in cui egli avrebbe cer-cato piuttosto di procacciare contatti e contratti per sé e per Marta che dicarpire novità e fermenti culturali. L’epistolario ci consegna, in effetti, unuomo chiuso nel suo mondo e piuttosto impermeabile al contesto storico-politico: se nel 1929 Brecht, secondo la testimonianza dei biografi, vedevadalla finestra la polizia picchiare i manifestanti comunisti scesi in piazzaper il primo maggio, il mese dopo dello stesso anno Pirandello dalla suafinestra descriveva il paesaggio innevato2.

La biblioteca pirandelliana non lascia emergere alcun titolo brechtiano,pur conoscendo Pirandello perfettamente il tedesco sin dalla giovinezza,per aver svolto la sua tesi di laurea a Bonn3. Nemmeno Brecht nomina maiPirandello nei suoi scritti teatrali (né la cosa stupisce troppo, data la pro-gressiva elaborazione di un’idea di teatro sentita come troppo originaleper essere in qualunque modo ricondotta al fenomeno dilagante del “pi-randellismo”4). Eppure la pressoché concomitante presenza dei due auto-

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ri non sarà certo trascorsa inosservata, nella Berlino capitale culturaled’Europa degli anni di Weimar: suggestioni cronologiche, miste a qualchesparso dato memoriale, impediscono di rassegnarsi all’idea di una totaleestraneità. Pare infatti che proprio durante il suo primo soggiorno berli-nese Brecht abbia posto mano al dramma Mann ist Mann, coevo, dunque,alla messinscena tedesca dei Sei personaggi di Reinhardt (’24-’25), registacon il quale lo stesso Brecht avrà occasione di collaborare5. In una letteradel ’30 a Marta Abba, inoltre, Pirandello le rammenta il teatro in cuiavrebbero assistito insieme, l’anno prima, alla rappresentazione dell’Ope-ra da tre soldi (sbagliando, peraltro, l’indicazione del nome: Bauerschiff-damm Theater al posto di Theater am Schiffbauerdamm), e già in una let-tera precedente non mancava di compiacersi dell’insuccesso milanese cuiera andato incontro lo stesso testo brechtiano rivisitato da Bragaglia col ti-tolo de La veglia dei lestofanti6. Si sta parlando, tra l’altro, degli spettaco-li di maggior successo del tempo (i Sei personaggi a Berlino ebbero oltrecento repliche, e anche l’Opera brechtiana fu un grande successo).

Se l’ipotesi di un contatto diretto rimane effettivamente vaga e remota,si ritiene altrettanto inimmaginabile la totale mancanza di un dialogo o diun influsso reciproco, alla luce dell’appartenenza dei due autori a un oriz-zonte culturale comune, a partire proprio dalla concomitanza geografica.Del resto già Leone de Castris, nella nota monografia pirandelliana, auspi-cava una riapertura della questione quanto meno sul piano della pura teo-ria teatrale, analogamente problematica, nei due autori, riguardo alle poe-tiche naturalistiche:

Questo ci sembra il significato vero della tesi pirandelliana: o partescritta, realtà fissata per sempre, o improvvisazione assoluta, imme-desimazione ad oltranza, che non tollera intrusioni o regìa. Ma,mentre la prima soluzione “strania” l’attore in una koiné linguisti-ca e ideologica (la “forma” fissata dal poeta) che demistifica i livel-li naturalistici del dramma […], la seconda, gettando l’attore allosbaraglio dei sentimenti naturali, in una mimesis assolutamente na-turalistica ed essenzialistica, rischia di disanimarlo, di ucciderlo,senza peraltro rivelare i significati critici della rappresentazione (equesta tesi polemica potrebbe riproporre i rapporti tra Pirandello eBrecht […])7.

Proprio sul tema dell’impostazione naturalistica del teatro tradiziona-le, cui in quegli anni cercava di opporsi il nascente teatro di regia di Kai-

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ser e di Piscator, si innesta la possibilità di un raffronto di poetiche per idue autori in causa, a cui dovrà inevitabilmente affiancarsi il nome di Sta-nislavskij, il quale si pose, entro il medesimo arco temporale, gli stessiquesiti (sebbene risolvendoli diversamente) del metateatro pirandelliano edel teatro epico brechtiano8.

A questo punto conviene chiarire più nel dettaglio gli obiettivi del no-stro discorso, che qui si enucleano per maggior chiarezza espositiva in trepunti, i quali non andranno però a svilupparsi necessariamente nella se-quenza stabilita ma più spesso, invece, verranno a intersecarsi in un intrec-cio che si spera fecondo:

– anzitutto un allargamento del campo d’indagine alla maniera, si par-va licet, tenuta da Mazzacurati per il romanzo europeo di primo Nove-cento9: al di là dei rapporti diretti e filologicamente accertati, esiste infattiuna costellazione di poetiche e di temi affrontati in modo analogo da au-tori persino incompatibili, che vale evidentemente anche per l’estetica tea-trale. Sarà opportuno, allora, istituire un confronto basato non tanto sul-le risposte quanto sulle domande poste dalla nuova ricerca teatrale, e con-frontarsi estesamente coi problemi dibattuti al tempo (recuperando, inevi-tabilmente, le teorizzazioni coeve di Lukács e Benjamin): dall’impossibi-lità della tragedia nella modernità alla crisi del dramma borghese, dallaperdita di centralità del destino nella concezione scenica dei personaggi al-la loro definitiva demarcazione in senso psicologico, fino alla possibilità diuna coesistenza della totalità tragica col carattere singolare e intimo deldramma moderno (qui Lukács in particolare); anti-naturalismo, nellamaggior parte dei casi;

– in secondo luogo una messa a confronto delle poetiche, sulla base deirispettivi saggi teorici degli autori, con la conseguente ipotesi di una cono-scenza anche indiretta da parte di Pirandello dei fondamenti del teatro epi-co, a partire dall’elemento cardine dello straniamento10: si definiranno per-ciò più nel dettaglio i caratteri del metateatro pirandelliano considerati edello straniamento brechtiano;

– infine la messa in rilevo di reciproche interferenze (più che di effetti-vi contatti) in due testi campione, Mann ist Mann e i Sei personaggi para-gonabili anzitutto per contiguità cronologica, e scelti poi come emblemati-ci della comune poetica dell’isolamento e dell’identità in crisi (del restoMann ist Mann venne ricondotto a un generico “pirandellismo” sin daiprimi riscontri dei recensori11). Dai prelievi di alcuni momenti valutabilicome “straniati” nei Sei personaggi emergerà infine da sé la possibilità ef-

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fettiva di una conoscenza da parte di Pirandello della categoria brechtiana,problema già posto (e mai risolto) in sede critica persino in contesti di ge-nerale negazione di un rapporto diretto tra le due poetiche e i due autori12.

2. Crisi del dramma borghese e nuovo teatro

Secondo Peter Szondi, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà delNovecento, dopo la frattura segnata in epoca rinascimentale dall’abiuradei canoni aristotelici, il dramma sperimenta una nuova crisi. Ibsen, Ce-chov, Strindberg, Hauptmann, i drammaturghi cui Szondi affida le singo-le tappe del nuovo corso, mentre continuano a proporre ciascuno una di-versa declinazione del cosiddetto dramma borghese (analitico, esistenzia-le, individuale, sociologico), ne minano dall’interno la sopravvivenza. Pi-randello e Brecht, i cui massimi capolavori teatrali si rappresentano pro-prio nel periodo circoscritto da Szondi, in particolare negli anni Venti,rientrano, non casualmente, in quelli che il teorico definisce i “tentativi disoluzione”13.

Deposta l’aporia tragica per eccellenza, l’oscillazione dell’eroe tra volon-tà e destino (Oreste poteva rivendicare di aver compiuto il matricidio adopera “della sua propria mano” e, insieme, “per ordine del Lossia”14), il pro-blema filosofico dell’eroe moderno è la scissione fra soggetto e oggetto, ov-vero la grande questione dell’identità. Se nei drammi di Ibsen e diCechov ipersonaggi trovavano le risposte ai loro dissidi interiori nel ripiegamentoutopistico e nell’ostinata memoria di un passato irrecuperabile, coi Sei per-sonaggi Pirandello, affrontando per la prima volta nel suo teatro il proble-ma dell’identità, lo risolve in modo eminentemente scenico, e cioè portan-do a soluzione il dramma esistenziale all’interno della stessa rappresentazio-ne. A un esito diverso sarebbe invece dovuta approdare, secondo Szondi,una concezione realmente innovativa del tema dell’identità:

[in Pirandello] non è messo in questione ciò che nell’azione vera epropria è affatto problematico: l’attualità intersoggettiva. L’idea delteatro epico si realizzerebbe appieno solo se la situazione narrativanon fosse più tematica, e neppure dialogico-scenica. Ma finché co-sì non è, rimane sempre la tentazione di giungere a una soluzionepseudodrammatica15.

D’altro canto lo stesso Brecht potrebbe essere riannesso al naturali-

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smo, quando ribadisce l’opportunità di sottoporre il mondo rappresenta-to alle medesime leggi del mondo reale, se egli non correggesse poi con lapiù acuta consapevolezza del carattere parziale e non esemplare di ciò cheviene svolgendosi sulla scena. Ciò a beneficio di un pubblico che potesseevolversi in volontà partecipe e cosciente, evitando di assumere su di sé inmodo totalmente passivo, come la medicina aristotelica, il contenutodrammatico dell’azione proposta. Il dissidio brechtiano, inoltre, transitadal piano psicologico privilegiato da Pirandello (l’individuo che perde lafiducia nella propria unitarietà)16 a quello sociale, facendosi emblema del-la lotta di classe in senso propriamente marxista (ciò a partire dalla vera epropria conversione brechtiana, databile a partire dal ’28).

In Brecht, secondo Szondi, è giustappunto la problematicità dei rap-porti intersoggettivi a rendere problematico il dramma stesso: ne deriva la“sostituzione della fusione essenzialmente drammatica di soggetto e og-getto, con la loro contrapposizione, che è essenzialmente epica”17.

La riflessione di Szondi dichiaratamente prosegue l’indagine lukácsia-na e benjaminiana sul dramma moderno: per entrambi i predecessori, pe-rò, il fulcro della teorizzazione risiedeva nell’esistenza o meno di un lega-me diretto tra carattere e destino, espressamente negata dal secondo nelsaggio omonimo18, e inserita dal primo entro una visione del dramma ine-vitabilmente complicata dal mutamento storico:

Il centro più interno del carattere ed il punto di incontro tra uomoe destino non coincidono: essi possono entrare in una relazionedrammatica solo con l’ausilio di teorie aggiunte in un secondo tem-po. Potremmo dire che la conservazione dell’individualità è minac-ciata dalla totalità dei fatti. I fatti possono risucchiare la personali-tà: d’altra parte questa può, interiorizzandosi, sottrarsi ai fatti stes-si, evitare di incontrarli19.

Per Lukács l’evoluzione della tragedia in dramma prodottasi in senoalla società borghese, col porre in crescente rilievo l’individuo, ha deter-minato una sorta di romanzizzazione o epicizzazione dell’agire, nella vitacome nell’arte: laddove il dramma classico inscenava il conflitto interuma-no di un carattere eccezionale, immesso in un destino immodificabile matutto sommato ripetibile, il dramma moderno investe la vita interiore edesteriore dell’individuo in condizioni storiche concrete, perciò uniche ecomplesse. Lo statuto del dramma sembra con questo minato dall’interno:non è in gioco soltanto la possibilità di una nuova forma tragica ma la so-

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pravvivenza stessa del tragico, entro un contesto in cui la relativizzazionedei valori ha posto in discussione la stessa scissione fondativa tra uomo edestino, trasformando il páthos di quest’ultimo nel più prosaico milieu20.Che sia di impostazione più propriamente naturalista o che offra dell’am-biente una stilizzazione eminentemente funzionale all’azione drammatica,il nuovo teatro ha di fronte a sé un enorme, insormontabile problema: co-me avvicinare ciò che è infinitamente distante, ossia come inscrivere la to-talità entro il caso singolo (la “monumentalità nell’effetto intimo”, con ledirette parole di Lukács21). Il “paradosso della distanza” riguarda insiemeautori e spettatori:

anche la suggestionabilità e duttilità hanno i loro limiti. E giacchésia nel poeta che nel pubblico queste qualità risultano, in modosempre più imprevedibile, individuali e labili, sempre meno facile èprevedere a quale dramma possa essere rispondente un certo pub-blico e se ci sia un pubblico capace di rispondere ad esso22.

L’unità dell’orizzonte d’attesa si percepisce come ormai definitivamen-te infranta, e con essa la coincidenza di etica ed estetica: impossibile ipo-tizzare l’effetto prodotto sul pubblico dall’opera e quindi realmenteorientare le singole coscienze.

3. Anti-naturalismo

Negli anni della crisi del dramma borghese il fondamentale nodo dasciogliere resta il problema dell’adesione o meno all’orizzonte del natura-lismo, come si ricava con particolare forza persuasiva proprio dagli inter-venti di Pirandello e Brecht (tra l’altro autori degli spettacoli teatrali chefurono oggetto di più larghe attenzioni critiche, oltre che di più diffusoconsenso). Riguardo, più nello specifico, alla dibattuta questione del rap-porto sempre più problematico tra il piano della rappresentazione e il pia-no della realtà (concetto, quest’ultimo, già di per sé controverso, cometanta filosofia del passaggio di secolo ha mostrato in modo ormai irrever-sibile), torna utile recuperare la già citata terna Stanislavskij-Brecht-Piran-dello, arrivando a individuare in Pirandello una sorta di via di compro-messo tra un naturalismo assunto come via di immedesimazione totale neldramma da parte di attori e spettatori, e un teatro che invece questa imme-

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desimazione volesse programmaticamente bandire, attraverso le più variesoluzioni tecniche, anche col ricorso ad artifici ritenuti poco ortodossidall’estetica largamente dominante. Se Stanislavskij, cioè, pretende dagliattori e poi dagli spettatori la totale immersione (il sostantivo utilizzato,perezivanie, in russo sta per “esperienza” nel senso di “emozione vissu-ta”) nelle vicende rappresentate, in modo che queste possano apparire ilpiù possibile reali all’interno della rappresentazione stessa23, Brecht, al-l’opposto, sperimenta tutta una serie di espedienti attraverso i quali diven-ga evidente agli spettatori, così come era stato indispensabile agli attori,che l’acquisto di un maggior distacco critico dalla rappresentazione sceni-ca serve a meglio comprenderne il significato. Un teatro non più agito, macapito, come dice ancora Szondi. L’esempio più eclatante è quello dellaCourage brechtiana, un personaggio dotato di qualità negative le quali,fungendo da ostacolo all’adesione emotiva degli spettatori, agevolano, in-sieme, la loro consapevolezza dell’unicità di una situazione che si presen-terà con quelle stesse caratteristiche nel solo contesto definito dalla rap-presentazione. Lo spettatore, iuxta intentionem auctoris, non deve pensa-re, cioè, di quel personaggio (e del personaggio in generale) “anch’io misarei comportato allo stesso modo”, ma, viceversa, “ha agito così, io peròavrei fatto diversamente”24.

Un principio analogo agisce nella scelta di una metrica accidentata peri celebri songs brechtiani: una scansione cantabile e facile sarebbe scivola-ta addosso agli spettatori, senza realmente costituire veicolo di penetra-zione nelle coscienze delle idee espresse dall’autore, se dunque solo unamaggior difficoltà nella comprensione avrebbe potuto, secondo Brecht,indurre a una meditata rielaborazione personale da parte dello spettatore(considerazione, quest’ultima, legata a concomitanti intuizioni su modi,funzioni e scopi di un teatro “popolare”). E così anche per gli espedientipiù propriamente tecnici, dall’utilizzo dei famosi cartelli, agli spezzoni difilm mandati in onda durante la rappresentazione, a tutta una serie di mac-chinari adoperati in scena (fondamentale nella concezione brechtiana delteatro è difatti l’avvento del cinema, con le inedite possibilità di espressio-ne offerte dai nuovi ritrovati tecnici), fino alla provocatoria richiesta di fu-mare in sala, rivolta agli spettatori affinché conservassero intatta la consa-pevolezza di trovarsi una sera a teatro, e non nell’Aulide antica, né in Da-nimarca, qualche secolo prima.

È lo stesso Brecht a definire i termini del cambiamento, in particolarenel saggio quasi interamente dedicato (sia pur non intitolato, del resto co-

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me in nessun caso) allo straniamento, Neue Technik der Schauspielkunst(Nuova tecnica dell’arte drammatica), scritto nel ’40, in cui egli evidenziacome, di norma, il contatto tra il pubblico e la scena si fosse realizzato fi-no a quel momento attraverso “l’immedesimazione (Einfühlung)”. Il la-voro tecnico di stravolgimento di quell’abitudine fuorviante occorrevache partisse dall’attore:

rinunciato che abbia alla totale metamorfosi, l’attore recita il suo te-sto non come colui che improvvisa, ma come chi fa una citazione.[…]non tenta di nascondere di averla appresa [la vicenda come può es-sersi svolta nella realtà] con studio, allo stesso modo che l’acrobatanon nasconde di essersi esercitato; anzi, sottolinea che quella è lasua – di lui attore – testimonianza, opinione, versione in merito al-la vicenda25.

E, in modo ancora più esplicativo, nel Kleines Organon für das Thea-ter (Breviario di estetica teatrale, 1948):

straniare un personaggio così da farne “proprio quel personaggio”e “proprio quel personaggio in quel dato momento”, sarà possibilesolo qualora si eviti di creare l’illusione che l’attore si identifichi colpersonaggio e la rappresentazione con l’avvenimento26.

Rispetto a questi specifici elementi, la poetica di Pirandello (per nondire di Stanislavskij) si era posta in termini assolutamente antitetici, sin dalprimo saggio di argomento interamente teatrale, L’azione parlata (pubbli-cato sul “Marzocco”, 1899):

questo prodigio [l’azione animata] può avvenire a un solo patto:che si trovi cioè la parola che sia l’azione stessa parlata, la parola vi-va che muova, l’espressione immediata, connaturata con l’azione, lafrase unica, che non può esser che quella, propria a quel dato per-sonaggio in quella data situazione: parole, espressioni, frasi che nons’inventano, ma che nascono, quando l’autore si sia veramente im-medesimato con la sua creatura fino a sentirla com’essa si sente, avolerla com’essa si vuole27.

L’anti-Brecht, ossia l’esaltazione di una parola scenica che andasse a si-tuarsi, come nel saggio appena citato, “nel fuoco dell’azione”, si ripete

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pressoché identica e si rafforza nel successivo e capitale studio su Illustra-tori, attori e traduttori (apparso nel volume Arte e scienza, 1908):

come l’autore, per fare opera viva, deve immedesimarsi con la suacreatura, fino a sentirla com’essa sente se stessa, a volerla com’essavuole se stessa; così, e non altrimenti, se fosse possibile, dovrebbefare l’attore.

E, soprattutto:

la riflessione è per lo scrittore quasi una forma del sentimento: manmano che l’opera si fa, essa la critica, non freddamente come fareb-be un giudice spassionato, analizzandola, ma d’un tratto, mercél’impressione che ne riceve. L’opera, insomma, è nello scrittore unsentimento analogo a quello che essa sveglia nello spettatore: è pro-vata, cioè, più che non sia giudicata.Lo stesso avviene nell’attore, che non può essere affatto considera-to come uno strumento meccanico, o passivo di comunicazione. Seegli esaminasse a freddo l’opera che deve rappresentare, come fa-rebbe un giudice spassionato, analizzandola, e da questo esamefreddo, da quest’analisi spassionata volesse assurgere all’interpreta-zione della propria parte, non riuscirebbe mai a dar vita a un per-sonaggio su la scena.[…]Ora il carattere sarà tanto più determinato e superiore, quanto me-no sarà o si mostrerà soggetto alla intenzione o ai modi dell’autore,alle necessità dello sviluppo del fatto immaginato; quanto meno simostrerà strumento passivo d’una data azione, e quanto più invecefarà vedere in ogni suo atto quasi tutto un proprio essere e, insie-me, una concreta specialità28.

Lo iato esistente tra la riproposta scenica di una data realtà e quellastessa realtà considerata oltre i limiti in cui è dato riviverla sulla scena vie-ne da Pirandello rilevato più avanti (siamo ormai giunti ai fatidici anniVenti, data di compimento dei Sei personaggi, dopo l’incunabolo della no-vella Colloqui coi personaggi, del ’15), direttamente in forma drammatica,all’interno della cosiddetta trilogia del “teatro nel teatro”: tre diversi ap-procci alla questione della messinscena drammatica, veicolati dal rilievoassegnato alle singole specifiche funzioni29. In particolare:

– nei Sei personaggi a far problema è la verità dei personaggi sia rispet-

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to all’autore che li crea, dal quale essi si svincolano acquistando una loroautonomia di “realtà create” (piuttosto che di “fantasmi”, come si precisanella didascalia introduttiva sulla quale torneremo), sia rispetto agli atto-ri, da cui non riescono a sentirsi adeguatamente rappresentati;

– in Ciascuno a suo modo si pone in questione, più nello specifico, lapossibilità di una somiglianza, vicina alla piena coincidenza, tra quanto siviene rappresentando sulla scena e quanto finisce con l’accadere in platea;

– in Questa sera si recita a soggetto il regista irrompe di prepotenza inuna vicenda che invece, a partire da un soggetto a canovaccio, avrebbe po-tuto arrivare a rappresentarsi da sola, grazie alla necessaria e sufficientespinta creatrice dell’autore30.

La messinscena nella messinscena pirandelliana equipara così, trasfe-rendoli entrambi sul palcoscenico, due piani di realtà, ossia l’accaduto e lasua rappresentazione, come rileva uno studio di Vicentini:

In Pirandello’s experiments total involvement of actors and specta-tors in the event enacted and total awareness of the real circum-nstances in wich the performance was occurring were achievedthrough the device of “play within a play”31.

Vien posta una cornice, data dal contesto attuale (la recitazione degliattori in teatro, che prevede la presenza di spettatori a maggior ragionepercipientisi come tali), all’interno della quale si colloca il dramma, che ècosì un dramma nel dramma, cioè un’azione finta (nel senso etimologico)per i protagonisti della scena: nel caso dei Sei personaggi tale azione si è giàsvolta (o è come se) ma può continuare a svolgersi sotto gli occhi deglispettatori. Sarà perciò sempre diversa eppure sempre uguale a se stessa:particolarmente indicativa, a riguardo, la protesta della Figliastra circa lapoca aderenza a quello reale del parlatoio di madama Pace ricostruito dalregista32. La “soluzione” di Pirandello sta dunque nell’intersezione deidue piani: il Giovinetto si spara un colpo di pistola durante la messinsce-na, la Prima Attrice di Questa sera si immedesima nel personaggio diMommina al punto da svenire sulla scena. Il dramma, cioè, inizia nel plote si sviluppa nella cornice, il tutto col dilemma irrisolto se si tratti di fin-zione o di realtà, visto che “the enactment of that story vitally dependsupon its interaction with the real circumstances in wich the performanceoccurs”33.

Di parere opposto è invece Szondi, che nell’assimilare alla modalità

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“epica” il carattere metateatrale delle piéces pirandelliane, ravvisa proprionella risoluzione finale il limite di quelle. Ciò in particolare nei Sei perso-naggi, la cui vicenda renderebbe scopertamente evidente, col suicidio inscena del Giovinetto, la natura tutta artificiale della soluzione drammatica:

Nei Sei personaggi i due piani tematici, la cui dissociazione è il prin-cipio formale dell’opera, vengono – alla fine – a coincidere; il colpouccide il ragazzo sia nel passato raccontato dai sei personaggi, chenel presente scenico degli attori che provano; e il sipario, che – se-condo le norme del teatro epico – era già levato all’inizio per con-fondere la realtà della prova teatrale con quella degli spettatori, fi-nisce per calare davvero34.

Epica in senso stretto sarebbe apparsa, in effetti, una conclusione cheavesse conservato, a scopo didattico ed esplicativo, intatta la separazionedei piani, o meglio ancora, che avesse lasciato il dramma dei personaggi re-almente irrisolto, senza affatto approdare al tragico finale. Al contrario, laconvergenza dei piani di realtà e di rappresentazione esplicitata nella con-clusione e rimarcata dal calare del sipario, quindi dalla più tradizionaledelle convenzioni teatrali, pur rigettando (apparentemente) una effettivapossibilità di immedesimazione naturalistica degli spettatori, parrebbepoi, nel concreto della duplice mise en abyme, vanificare ogni distinzionetra “finzione” e “realtà”.

4. Mann ist Mann e i Sei personaggi in cerca d’autore:lo straniamento in fabula

Come si è visto, negli anni fra il ’24 e il ’26 cresceva la fortuna di Pi-randello in Germania: i Sei personaggi riscuotevano un grande successosoprattutto di pubblico (mentre la critica continuava a esprimersi conqualche riserva)35; nel frattempo Brecht portava a compimento la primastesura di Mann ist Mann, testo prodromo del teatro epico, e che ha benpiù di un tratto riconducibile a Pirandello, a partire dallo stesso titolo,evocativo, come poi appare più chiaramente dallo svolgimento della tramanel suo complesso, e segnatamente da uno dei suoi momenti risolutivi, deltema per eccellenza pirandelliano – perlomeno in questo scorcio di seco-lo – della scissione, o vera e propria frantumazione, dell’identità.

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In realtà se il tema è svolto da Pirandello in chiave eminentemente fi-losofica, l’oscillazione identitaria nel dramma brechtiano in esame parepoco più di un espediente concesso al personaggio per cacciarsi d’impac-cio. Così Galy Gay, scaricatore fattosi soldato, al momento della resa deiconti ribadisce la propria identità fittizia senza manifestare nessun intimotormento, anzi, arrivando persino a rinnegare sua moglie, in nome dellafinzione sdoppiante. A ristabilire un parallelo ideologicamente più solidocon l’ideologia pirandelliana soccorre, però, l’intermezzo metateatrale re-citato dalla vedova Leocadia Begbick, una sorta di “personaggio-osserva-tore” nelle cui parole il tema identitario riacquista la sua originaria valen-za epistemologica36:

Herr Bertolt Brecht behauptet: Mann ist Mann.Und das ist etwas, was jeder behaupten kann.Aber Herr Bertolt Brecht beweist auch dannDaß man mit einem Menschen beliebig viel

machen kann.Hier wird heute abend ein Mensch wie ein Auto

ummontiertOhne das er irgend etwas dabei verliert.[…]Und wozu auch immer er umgebaut wirdIn ihm hat man sich nicht geirrt.Man kann, wenn wir nicht über ihn wachenIhn uns über Nacht auch zum Schlächter

machen.Herr Bertolt Brecht hofft, Sie werden den Bo-

den, auf dem Sie stehenWie Schnee unter Ihren Füßen vergehen sehenUnd werden schon merken bei dem Packer

Galy GayDaß das Leben auf Erden gefährlich sei37.

Siamo qui ormai praticamente alla fine del dramma brechtiano, o, al-meno, al punto in cui il destino del personaggio di Galy Gay pare già in-teramente compiuto, e ciò accade ben prima che l’autore entri direttamen-te in scena con l’ammaestramento didascalico. Pirandello, invece, ancorain una fase incipitaria dell’azione drammatica, approfitta di un contrastometascenico tra l’attore e il capocomico per abbandonarsi ad una taglien-te allusione (in verità più polemica che autocelebrativa):

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Il primo attore (al Capocomico): Ma scusi, mi devo mettere proprioil berretto da cuoco in capo?Il capocomico (urtato dall’osservazione): Mi pare! Se sta scritto lì!

Indicherà il copioneIl primo attore: Ma è ridicolo, scusi! Il capocomico (balzando in piedi sulle furie): «Ridicolo! Ridicolo!»Che vuole che le faccia io se dalla Francia non ci viene più nessunabuona commedia, e ci siamo ridotti a mettere in iscena commediedi Pirandello, che chi l’intende è bravo, fatte apposta di maniera chené attori, né critici né pubblico restino mai contenti?38

La questione dell’identità del personaggio passa così in entrambi i casiattraverso una ridefinizione della funzione autoriale: in Brecht ribaditapedagogia, in Pirandello ironia sull’accusa più frequentemente rivolta allasua opera da Croce in poi, di aggrovigliarsi in modo tanto cervellotico darisultare, alla fin fine, incomprensibile ai più. Ma, intanto, nei Sei perso-naggi l’intreccio aggrovigliato resta un dramma a sé, un dramma ancora ir-risolto, destinato a compiersi sulla scena39. Inoltre la presunta oscurità delteatro pirandelliano costituirebbe un ulteriore elemento di vicinanza, sulpiano ideologico all’opzione didattica brechtiana, incline piuttosto allacomplessità retorica che al facile ammiccamento popolare.

Occorre fissare a questo punto più nel dettaglio gli elementi pre-bre-chtiani del testo pirandelliano, tenendo ferma anzitutto la crisi dell’iden-tità, fecondo motivo di interscambio cui si è appena accennato, con l’ulte-riore specificazione che in Pirandello essa si fa motivo scenico essenziale,a partire dal rifiuto dei personaggi della mediazione incarnata dagli attori:una funzione, questa, ritenuta inefficace a dar conto di una realtà che èscarsamente riducibile a una forma univocamente fissata dalla parola40.Andrà quindi posta in rilievo la valenza delle didascalie d’autore, a parti-re da quella, capitale, che introduce l’arrivo dei sei personaggi: proprio avoler rimarcare il carattere vitale anzi vivo di questi nuovi protagonistidella scena venuti a soppiantare i più classici Attori, Pirandello richiedeche si adottino nella rappresentazione una serie di espedienti dalla naturaspiccatamente teatrale, a partire dalla maschera, valevole a interpretare “ilsenso profondo della commedia”, fino all’abbigliamento, che, coerente-mente, dovrà conferire ai personaggi un innaturale volume “statuario”, ar-rivando all’attitudine statica dei volti, in particolare di quello della Madre,dal quale sgorgheranno delle lacrime “di cera […] come si vedono nelleimmagini scolpite e dipinte della Mater dolorosa nelle chiese”41. Da que-

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sto momento in poi le didascalie d’autore andranno sempre più a sottoli-neare, unitamente alle reazioni del capocomico al racconto dei personag-gi, l’effetto prevalentemente scenico del mythos. Se le didascalie fungono,così, insieme, da reali indicazioni di regia e da commento in fieri della vi-cenda dei personaggi, questa si colloca in una sfera di precarietà moraleche da un lato ricalca un copione ormai consueto della narrativa pirandel-liana, in particolare della novellistica, con l’istituto familiare continua-mente minato da una serie di accidenti fatali e passionali; e dall’altro lasciaintravedere, mutando quel che c’è da mutare, una concezione del perso-naggio che diremmo pre-brechtianamente “discutibile”, agendo in un mo-do che lo spettatore si senta inevitabilmente chiamato a deprecare. Giàprima che l’incontro incestuoso sia rivissuto sulla scena, quanto meno so-spetta appare, a questo riguardo, la ricorrente e quasi martellante ansia diriviverlo ostentata dalla Figliastra:

allora vedrà che io prenderò il volo! Sissignore! prenderò il volo! ilvolo! E non mi par l’ora, creda, non mi par l’ora!

Il personaggio, anzi, quasi non fa che ribadire la sua ossessione di rivi-vere la torbida vicenda familiare, destinata a culminare, nell’ambito dellarappresentazione, con una doppia morte, quella della bambina caduta nel-la vasca e quello del fratello suicida:

È la mia vendetta! Sto fremendo, signore, fremendo di vederla,quella scena! […]Ma sì, subito! subito! Mi muojo, le dico, dalla smania di viverla, diviverla questa scena! Se lui vuol essere subito pronto, io sono pron-tissima!42.

Sia pur entro un sistema teatrale dalla natura e dagli scopi differenti,esiste dunque un momento di consonanza in Pirandello con una concezio-ne straniata del teatro, “alla Brecht”, momento che si traduce drammatur-gicamente nella presa di coscienza da parte dei personaggi della deforma-zione che inevitabilmente la loro vicenda subisce, nel passaggio dalla veri-tà vissuta alla narrazione scenica. Ancora una volta sono il padre (una sor-ta di portavoce delle idee pirandelliane sull’identità in frantumi nel perso-naggio moderno) e il capocomico (altra figura chiave di mediazione) a far-si voce di tale acuta consapevolezza:

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Il capocomico: E va bene: «i personaggi»; ma qua, caro signore, nonrecitano i personaggi. Qua recitano gli attori. I personaggi stanno lìnel copione (indicherà la buca del Suggeritore) – quando c’è un co-pione! […]Il padre: Eh, dico, la rappresentazione che farà – anche forzandosicol trucco a somigliarmi… – dico, con quella statura… (tutti gli At-tori rideranno) difficilmente potrà essere una rappresentazione dime, com’io realmente sono. Sarà piuttosto – a parte la figura – saràpiuttosto com’egli interpreterà ch’io sia, com’egli mi sentirà – se misentirà – e non com’io dentro di me mi sento.43

Niente di più lontano, in questo caso, dal “mood” stanislavskiano, in-teso come impossessamento quasi mistico del personaggio da parte del-l’attore.

Infine, anche i momenti di “azione parlata” in cui Pirandello è solitoesprimere la propria poetica potrebbero in qualche misura venir ricondot-ti a un’esigenza di straniamento. Si tratta per i Sei personaggi di sequenzein parte già qui evidenziate, tra le quali spicca, entro uno dei frequenticontrasti tra padre e capocomico, il più acuto momento di consapevolez-za identitaria:

Il capocomico (rivolgendosi quasi strabiliato, e insieme irritato, agliAttori): Oh, ma guardate che ci vuole una bella faccia tosta! Unoche si spaccia per personaggio, venire a domandare a me, chi sono!Il Padre (con dignità, ma senza alterigia): Un personaggio, signore,può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio haveramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre«qualcuno». Mentre un uomo – non dico lei, adesso – un uomo co-sì in genere, può non esser «nessuno»44.

Il cerchio si chiude così con un ritorno alla sequenza brechtiana segna-lata in apertura di paragrafo: se è difficile ipotizzarne una discendenza ge-netica dal precedente pirandelliano, è altrettanto implausibile escluderedefinitivamente una qualche parentela. Allievi e maestri non si riconosce-ranno sempre reciproca influenza, ma possono ancora consentirsi di dia-logare, a distanza e nel reciproco silenzio.

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Note

* “La disposizione del maestro a insegnare: il fratello non la vede, gli estranei la vedo-no” (B. Brecht, Ricerca del nuovo e del vecchio, in Id., Theaterarbeit, Dresden Verlag, Dre-sden 1952, p. 349).

1 Il primo studio organico di confronto tra i due autori si deve a P. Chiarini, Pirandelloe Brecht, in Atti del Congresso internazionale di studi pirandelliani (Venezia, 2-5 ottobre1961), Le Monnier, Firenze 1967, pp. 317-341, che tende però a escludere un loro contattodiretto, data la circolazione solo tarda di Brecht in Italia e l’assenza di una menzione esplici-ta di Pirandello nella biografia brechtiana di maggior attendibilità: R. Grimm, Bertolt Brecht,Metzler, Stuttgart 1963. In quest’ultima, comunque, l’esperienza del teatro epico e la tecnicadello straniamento venivano accostate per analogia alla messa tipica in rilievo pirandellianadelle contraddizioni per il comune intento didascalico, formativo di un giudizio nuovo ne-gli spettatori. Da presupposti analoghi a quelli di Chiarini e con un riferimento alla conclu-sione negativa del suo studio muoveva C. Vigliero in Pirandello e Brecht: per un teatro nuo-vo, all’interno del volume miscellaneo su Pirandello e la Germania, a c. di G. Pennica (Attidel convegno del Centro Nazionale di Studi Pirandelliani di Agrigento), Palumbo, Palermo1984. Vigliero tende a considerare chiuso il discorso del confronto tra i due autori, o tutt’alpiù circoscrivibile a un generico accostamento di poetiche (peraltro limitato, nel suo caso, aQuesta sera si recita a soggetto e ai coevi scritti teatrali brechtiani). Si riferiscono, più in ge-nerale, al soggiorno berlinese, senza peraltro soffermarsi su Brecht, i saggi di N. Borsellino,Pirandello a Berlino, in “Nuova Antologia”, CXXXVI, aprile-giugno 2001, pp. 225-34; e ilvolume di O. Cerrato, La Berlino degli italiani. Percorsi letterari nella metropoli del primoNovecento, Le Lettere, Firenze 1997. Qualche ulteriore tassello (soprattutto nell’ambito del-la ricezione, con puntuali riferimenti alle analogie tra i due autori proposte dai giornali del-l’epoca) proviene invece dal ricco regesto presentato da M. Cometa nel volume Il teatro diPirandello in Germania, Novecento, Palermo 1986. Procedeva per via puramente compara-tiva, arrivando tutto sommato alle solite conclusioni negative, il capitolo di L. Ferrante su Lafinzione consapevole, disamina della riforma in senso anti-mimetico del teatro di primo No-vecento apparsa all’interno del volume su Pirandello e la riforma teatrale, Guanda, Parma1969, pp. 17-40. In particolare alle pp. 33-34, veniva ribadita la sostanziale distanza tra i dueautori: “I due maggiori riformatori del Novecento pervengono, per vie diverse, a nuove tec-niche della significazione teatrale, non interdipendenti; la finzione consapevole di Pirandel-lo appare fondata sul rapporto interiore io-tu, io-gli altri e nasce dal pensiero degli altri cheè in noi; il teatro epico di Brecht ha la sua matrice nella ‘terza persona’, nel distacco didasca-lico tra attore e personaggio; nello scrittore italiano sono presenti tutte le complicazioni del-la crisi; nel drammaturgo tedesco c’è la liberazione della persona alla quale viene chiesta unapartecipazione civile, oggettiva al fine di stabilire, con il pubblico, un piano di conoscenza ediscussione non emotiva. Pirandello interviene all’interno di una situazione di crisi; Brechtne è fuori”.

2 Cfr. M. Fazio, Berlino 1930. “Questa sera si recita a soggetto”: ragioni di un insuccesso,in Granteatro. Omaggio a Franca Angelini, a c. di B. Alfonzetti, D. Quarta e M. Saulini, Bul-zoni, Roma 2002, pp. 251-274, in particolare p. 263.

3 L’assenza di titoli brechtiani è attestata dal catalogo Barbina (La biblioteca di Luigi Pi-randello, con una premessa di U. Bosco, Bulzoni, Roma 1980), che però si presenta come unasilloge di testi. Valga come conferma ulteriore la testimonianza diretta di un’archivista del-

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l’Istituto di Studi Pirandelliani di via Bosio a Roma, Lucia Torsello, che qui si ringrazia del-la gentile collaborazione.

4 Cfr. W. Sahlfeld, Influssi pirandelliani nella drammaturgia tedesca, in “Campi immagi-nabili”, n. 26-27, 2002, pp. 102-131.

5 Ivi, p. 120. Lo stesso Chiarini già citato, peraltro, pur entro un quadro di generalicautele e scetticismi, si costringeva a riconoscere la possibilità occasionale di un accosta-mento di poetiche sulla base di quest’unico testo: “Forse soltanto in Mann ist Mann è ri-scontrabile una tematica genericamente pirandelliana, ben inteso profondamente umfun-ktioniert nel senso che si è visto e quindi caratterizzata da una connotazione semantica as-sai diversa. Per il resto si tratta di pure coincidenze, che non autorizzano in nessun modoa presupporre un ‘passaggio’ dall’uno all’altro autore, di esperienze linguistiche e ideolo-giche” (cfr. P. Chiarini, Pirandello e Brecht, cit., p. 340). Qui di seguito, le principali regie,sedi e città delle rappresentazioni dei Sei personaggi in area tedesca: Rudolf Beer, Rai-mund-Theater, Vienna, 1924; Fritz Peter Buch, Schauspielhaus, Francoforte, 1924; OttoFalckenberg, Kammerspiele, Monaco, 1924; Max Reinhardt, Die Komödie, Berlino, 1924;Kammerspiele, 1925; Georg Kieasu, Schauspielhaus, Dresda, 1925. Tournée del pirandellia-no Teatro d’Arte: Staatstheater, Berlino, regia di Leopold Jessner, 1925 (rappresentazionein italiano). Il successo in Germania di Pirandello, collocandosi dunque negli anni fra il1924-1925, viene a coincidere con una fase ancora “aperta” della maturazione brechtiana.È assai probabile che Brecht abbia assistito almeno alla messinscena di Falckenberg. Altraprestigiosa rappresentazione dei Sei personaggi fu poi quella del 1925 a Dresda, con il ruo-lo del capocomico affidato a Eric Ponto, attore che sarà uno degli acclamati protagonistidella scena tedesca proprio grazie all’Opera da tre soldi di Brecht (cfr. M. Cometa, Il tea-tro di Pirandello in Germania, cit., p. 94).

6 Nella prima lettera, datata 10 aprile 1930, Pirandello scrive: “sono qua trattenuto dalletrattative in corso per la rappresentazione a Berlino della stessa commedia [Questa sera si re-cita a soggetto], trattative che verranno a conclusione proprio in questi giorni. La commediaè contesa da due, e cioè dal Saltenburg, direttore del ‘Lessing Theater’, (dove ora si sta rap-presentando ‘Fiamma’ con la Dorsch) e dal Gerasch, impresario, che la vuol dare al ‘Bauer-schiffdamm Theater’ (dove, ti ricordi? Sentimmo insieme 3 Groschen Oper)”. Cfr. L. Piran-dello, Lettere a Marta Abba, a c. di B. Ortolani, Mondadori, Milano 1955, pp. 378-379. Unprimo riferimento era già nella lettera inviata a Marta il 12 marzo 1930 da Parigi: “Anche quasono arcistufi degli spettacoli americani tipo Za-Bum e di giuochi d’artificio dei régisseursmoderni. Baty è stato cacciato a vergogna dal Teatro Pialle. E la stagione parigina di quest’an-no è stata disastrosa. Il momento, dunque, è propizio, così per la Vita che ti diedi come perQuesta sera si recita a soggetto. Non bisogna lasciarselo sfuggire. Hai visto che a Milano Laveglia dei lestofanti di Bragaglia ha fatto fiasco? Ci ho provato un gusto!” (ivi, p. 328). CheLa veglia del lestofanti di Bragaglia (1930) fosse una rivisitazione dell’opera brechtiana si ri-cava proprio dalla nota al testo della lettera di Pirandello appena citata (ivi, p. 1440).

7 Con “tesi pirandelliana” il critico intende in questo caso l’impossibilità per il regista dirappresentare il dramma della vita nella sua funzione simbolica ed espressiva, come invecepuò fare lo scrittore. Cfr. A. Leone de Castris, Storia di Pirandello, Laterza, Bari 1971, p. 180,nota 1.

8 È la proposta di C. Vicentini, Pirandello and the “opposition principle”, in “ModernDrama”, n. 4, 1977, pp. 381-392.

9 G. Mazzacurati, Pirandello nel romanzo europeo, Il Mulino, Bologna 1987. 10 Nell’esaminare le possibili influenze ricevute dal teatro brechtiano, J. Willet dà parti-

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colare risalto al cosiddetto espressionismo di Büchner, un autore forse non ignoto allo stes-so Pirandello: si veda Bertolt Brecht e il suo teatro, Lerici, Milano 1966, pp. 152-155.

11 Cfr. Cometa, che riporta e commenta estratti di Die Kömodie. Pirandello: “Sechs Per-sonen suchen einen Autor”, recensione di Kurt Aram allo spettacolo, apparsa in “DeutscheReichszeitung”, 7 aprile, 1926: “Aram […] descrive con grande lucidità uno dei fenomeni piùimportanti della drammaturgia novecentesca; il capovolgimento del comico in tragico, o, piùesattamente, l’esito tragicomico della commedia ottocentesca. Anzi proprio il meccanismodrammatico del ribaltamento del tragico in comico mette in evidenza l’obiettivo drammatur-gico di Pirandello: strappare lo spettatore all’illusione, al ‘cerchio magico’ cui secoli di dram-maturgia dell’immedesimazione lo avevano abituato. E ciò avviene con la solare violenza delribaltamento. Non c’è chi non veda in queste parole di un critico occasionale una precisa teo-rizzazione dell’effetto di straniamento che proprio in quegli anni il giovane Brecht andavaformulando, probabilmente memore della lezione pirandelliana. Brecht avrebbe strappato glispettatori alla loro letargica illusione con la riflessione, mentre Pirandello – Aram cita ad hocil colpo di pistola alla fine del dramma – riuscirà con la violenza” (M. Cometa, Il teatro diPirandello in Germania, cit., p. 56).

12 È il caso, ad esempio, di P. Chiarini, in Pirandello e Brecht, cit.13 Cfr. P. Szondi, Teoria del dramma moderno [1956], Einaudi, Torino 20002, pp. 96-101

(sezione dedicata a Brecht); pp. 107-112 (su Pirandello). 14 Aesch., Ag., 1405-1406; Eum., vv. 465-467.15 P. Szondi, Teoria del dramma moderno, cit., p. 112.16 Si pensi ad una delle frequenti tirate metateatrali del Padre nei Sei personaggi, tra le più

citate del copione pirandelliano: “Il dramma per me è tutto qui […]: nella coscienza che ho,che ciascuno di noi – veda – si crede ‘uno’ ma non è vero: è ‘tanti’, signore, ‘tanti’, secondotutte le possibilità d’essere che sono in noi: ‘uno’ con questo, ‘uno’ con quello – diversissi-mi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre ‘uno per tutti’, e sempre ‘quest’uno’ che ci cre-diamo, in ogni nostro atto”. Si cita, qui e d’ora in poi, con la sigla SP, da L. Pirandello, Ma-schere nude, a c. di A. d’Amico, premessa di G. Macchia, II, Mondadori, Milano 1993, pp.619-758; p. 701.

17 P. Szondi, Teoria del dramma moderno, cit., p. 98.18 W. Benjamin, Destino e carattere, in Angelus Novus, a c. di R. Solmi, Einaudi, Torino

1962, pp. 29-36.19 G. Lukács, Per una sociologia del dramma moderno, in Id., Scritti di sociologia della

letteratura, Sugar, Milano 1964, pp. 295-333; 329-330. 20 Id., Il dramma moderno, prefazione di L. Squarzina, Sugar, Milano 1967, p. 157.21 Ivi, p. 170.22 Ivi, p. 169.23 Dalla traduzione inglese del memoriale redatto nel ’26: “For an actor, to perceive is to

feel”; più nello specifico, sulla natura del suo “sistema”, teso alla conquista della verità sce-nica: “The actor must first of all believe in everything that takes place on the stage, and mostof all he must believe in what he himself is doing. And one can believe only in the truth. The-refore it is necessary to feel this truth at all times, to know how to find it, and for this it isunescapable to develop one’s artistic sensitivity to truth”. Alla possibile obiezione sulla na-tura comunque menzognera della verità scenica, fatta di “imitation, scenary, cardboard, paintmake-up, properties, wooden goblets, swords and spears”, la replica è di natura quasi misti-ca: “I am interested in the truth that is within myself, the truth of my relation to this or thatevent on the stage, to the properties, the scenary, the other actors who play parts in the dra-

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ma with me, to their thoughts and emotions”. cfr. C. Stanislavsky, The beginning of my sy-stem, in Id. My Life in Art, traduzione di J.J. Robbins, Geoffrey Bles, London 1948, p. 461;pp. 465-466.

24 Lo scritto su Due diverse interpretazioni di “Madre Courage” (1951), nella silloge Ladialettica nel teatro (Die Dialektik auf dem Theater), si trova in B. Brecht, Scritti teatrali, Ei-naudi, Torino 1962, pp. 155-157. Da questa edizione si ricavano le indicazioni cronologiche,e ad essa si rimanda per altre notizie sulla destinazione originaria dei singoli testi di poeticateatrale.

25 Ivi, pp. 80, 81. 26 Ivi, p. 117. 27 Cfr. L. Pirandello, L’azione parlata, in “Il Marzocco”, 7 maggio 1899, ora in Id., Sag-

gi e interventi, a c. e con un saggio introduttivo di F. Taviani e una testimonianza di A. Pi-randello, Mondadori, Milano 2006, p. 448.

28 Ivi, pp. 643, 655-656, 657; più in generale cfr. pp. 635-678. 29 In una delle più recenti edizioni dei Sei personaggi, diretta e interpretata da Carlo Cec-

chi, era proprio intorno al termine “funzione” che si snodava uno dei momenti di più schiet-ta rivisitazione testuale, all’interno di una messinscena che per altri aspetti conservava inve-ce una sua fedeltà piuttosto osservante, perlomeno rispetto alla prima e già decisiva parte del-l’azione scenica.

30 “Hinkfuss: L’unica sarebbe se l’opera potesse rappresentarsi da sé, non più con gli at-tori, ma coi suoi stessi personaggi che, per prodigio, assumessero corpo e voce. In tal caso sì,direttamente potrebbe essere giudicata a teatro. Ma è mai possibile un tal prodigio? Nessu-no l’ha mai visto finora” (L. Pirandello, Questa sera si recita a soggetto, in Id., Maschere nu-de, I, con una prefazione di S. D’Amico, Mondadori, Milano 1958, p. 231).

31 Cfr. C. Vicentini, Pirandello and the “opposition principle”, cit., p. 385.32 Cfr. la seguente citazione: “[il capocomico alla Figliastra] Le pare che la scena stia be-

ne così? / La Figliastra: Mah! Io veramente non mi ci ritrovo / Il capocomico: E dàlli! Nonpretenderà che le si edifichi qua, tal quale, quel retrobottega che lei conosce di Madama Pa-ce!”, SP, pp. 714-715. E già il padre, entro lo stesso scambio di battute, aveva posto, tra le ri-sate della compagnia degli Attori, la questione della scarsa rappresentabilità dell’azione sce-nica.

33 C. Vicentini, Pirandello and the “opposition principle”, cit., pp. 391-92. 34 P. Szondi, Il dramma moderno, cit., p. 112. 35 M. Fazio nota infatti come il successo della prima berlinese fosse dovuto più al regista

che all’autore, dal momento che la successiva rappresentazione, affidata a Jessner, non godet-te di un analogo riscontro (cfr. M. Fazio, Granteatro, cit., p. 252).

36 W. Sahlfeld, Influssi pirandelliani nella drammaturgia tedesca, cit., p. 125.37 B. Brecht, Stücke, II (Leben Eduards des Zweiten von England, Mann ist Mann), Auf-

bau-Verlag, Berlin und Weimar 1967, pp. 229-230. Per la traduzione si è visto invece il vol.Teatro, a c. di E. Castellani, introduzione di H. Mayer, I, Torino, Einaudi, 1951, p. 349): “Unuomo è un uomo, dice il signor Bertolt Brecht. / E su questo, nessuno può eccepire alcunché./ Ma il signor Bertolt Brecht ora dimostrerà / Che, un uomo, lo si può rifare a volontà. / Sta-sera un uomo viene smontato e rimontato / Come un’auto, senza che nulla vada sprecato. /[…] E quest’uomo rifatto, a qualunque funzione / Si pensi di adibirlo, non darà delusione. /Se non lo si sorveglia dalla notte al mattino / Possiamo anche trovarlo mutato in assassino. /Il signor Bertolt Brecht spera che tutti vediate / Come neve squagliarsi la terra che calpestate/ e che la storia di Galy Gay vi ammaestri / quanto sono rischiosi i destini terrestri”.

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38 SP, p. 676.39 C’è chi, come Edoardo Sanguineti, ritiene invece che il vero dramma dei Personaggi

risieda proprio nell’incesto tra Padre e Figlia, movente drammatico da cui lo spettatore ver-rebbe distolto attraverso la pretestuosa cornice metateatrale. Non a caso nel travestimentopirandelliano dei Sei personaggi.com (2001) Sanguineti cambiando la Figliastra in vera e pro-pria Figlia fa della pulsione erotica del padre verso di lei il nucleo portante della vicendadrammatica. Cfr. E. Sanguineti, Sei personaggi.com, Il Melangolo, Genova 2001.

40 “Il Padre: Frasi! Frasi! Come se non fosse il conforto di tutti, davanti a un fatto chenon si spiega, davanti a un male che ci consuma, trovare una parola che non dice nulla, e incui ci si acquieta!” (SP, pp. 690-691).

41 Ivi, p. 678.42 Ivi, pp. 686, 691, 721.43 Ivi, pp. 710, 714.44 Ivi, p. 741.

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Stampato presso Piero Manni s.r.l. - San Cesario di Lecce

nel settembre 2007

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