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Recensione di: Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto. Catalogo della mostra (Pisa, 25 marzo 2005-25 giugno 2005) [2006]

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Officina pisana: il XIII secolo

Mikl6s Boskovits, Ada Labriola, Valentino Pace, Angelo Tartuferi

"Officina pisana: il XIII secolo" pote­va, forse, essere un titolo più appro­priato per ciò che intendeva proporre la recente mostra, aperta tra il 25 marzo e il 25 giugno 2005 presso il Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, che invece s'intitolava "Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto" 1•

L'iniziativa assai ambiziosa inten­deva presentare «in tutta la sua splen­dida sequenza la storia di una civiltà pittorica come quella di Pisa alla fine del secolo XII e per tutto il Duecento, che aveva visto agire alcuni dei prota­gonisti dell' assimilazione occidentale della civiltà pittorica dell'oriente cri­stiano, da Alberto da Volterra a Giun­ta Pisano, da Ugolino di Tedice (alias Maestro di San Martino) e dal suo fra­tello Enrico al fiorentino Cimabue, fino al grande cambiamento dovuto alla presenza di Giotto»2

• Come ben si comprende già da queste parole introduttive al catalogo, l'obiettivo era assai più ampio di quello preannun­ciato dal titolo, e il visitatore se ne poteva rendere conto percorrendo le sale, dove oltre ai numerosi, rari esempi della pittura duecentesca s'in­contravano anche sculture, codici miniati e opere d'oreficeria. Della cul­tura figurativa pisana, quanto mai fio­rente, cercava di offrire infatti le infor­mazioni essenziali il catalogo, arricchi­to da saggi relativi ai vari aspetti della storia, dell'economia, e della produ­zione artistica e letteraria della città.

La mostra rappresenta dunque un'impresa indubbiamente importan­te dove, in luogo del più consueto taglio monografico o della presenta­zione di un gruppo più o meno esteso di opere di un determinato ambito artistico, si cercava di proporre lo spaccato della vita artistica della città, di quanto vi giungeva o vi era stato realizzato nel corso di un secolo o poco più. La circostanza poi che si trattava, per la maggior parte dei casi,

di lavori di artisti anonimi, raffiguran­ti quasi sempre i medesimi soggetti, owero Madonne o Crocifissi, poteva far nascere timori riguardo all'affluenza del pubblico: il quale invece ha pre­miato la scelta coraggiosa degli orga­nizzatori affollando le sale dell'esposi­zione, pur senza rendersi conto, con ogni probabilità, di visitare la più ampia mostra italiana di dipinti del XIII secolo dopo la memorabile Mostra Giottesca tenuta a Firenze nel lontano 1937 3.

Le opere esposte offrivano in ab­bondanza preziose occasioni di studio anche agli specialisti del settore, i quali potevano eaminare finalmente con agio pezzi di non facile accessibi­lità, quali il frammento di Croce del Museo di Rio de Janeiro (Cat. n. 50) o il Crocifisso dipinto del Cleveland Museum of Art (Cat. n. 40), oppure dipinti di chiese e musei di Calci (Cat. n. 47), di Ghezzano (Cat. n. 52), diPeccioli (Cat. n. 26), di Oristano (Cat.n. 83). Un'occasione probabilmenteirripetibile è stata inoltre la presenta­zione, uno accanto all'altro, dei duecelebri frammenti di un altarolo diCimabue, oggi divisi tra la NationalGallery di Londra e la Frick Collec­tion di New York (Cat. n. 77).

Certo mancavano molte opere importanti che avrebbero potuto inte­grare utilmente il panorama, ma trat­tandosi di dipinti di questo periodo, fragili e spesso in stato di conservazio­ne precario, ciò era ampiamente pre­vedibile. Motivo di critica più giustifi­cata potrebbe essere, d'altra parte, la scelta di quanto era presentato alla mostra. Se appare naturale e persino ovviq che ogni studioso abbia i propri criteri e le proprie preferenze da far valere nel prospettare un così- ampio panorama storico-artistico, dovrebbe essere altrettanto scontato che tali cri­teri vengano illustrati e giustificati nel catalogo della mostra. Ma così pur­troppo non è awenuto. Il catalogo,

An important exhibition, "Cimabue a Pisa", was held in the latter city from March to May 2005, off ering visitors both less and more than was promised in its title. Less, because the great Fio­rentine master was represented only lry two minuscule panels, one belonging to the Frick collection in New York and the other recently acquired lry the National Gallery in London; more, because the rich choice of pane! paintings, book illuminations, sculptures and gold­smithery gathered for the show, gave a good genera! view of artistic production in Pisa in the 13'" century. This is why the present review of the exhibition and of its catalogue, edited lry Mariagiulia Burresi and Antonino Caleca, bears the title "Officina pisana": in the opi­nion of the four authors (Angelo Tartu­feri and Miklòs Boskovits for the pain­tings, Ada Labriola for the book illumi­nations, Valentino Pace for the question of artistic relations of Pisa with the Byzantium), the Pisa exhibition repre­sented a unique, but sadly missed opportunity to consider as a whole the artistic production of this Mediterra­nean seafaring power during the Midd­le Ages. The authors try to complete the inf ormation that, in their opinion, the catalogue f ails to give. They examine the various critica! problems, suggest ways of filling the gaps in the biblio­graphy for the single items on show, discuss the frequent attributions which do not seem sufficiently founded and offer comparative materia! in support of alternative proposals f or authorship, as well as some significant comparisons with works of Byzantine art.

che non solo doveva essere un aiuto al visitatore, ma un documento che tra­smette la memoria dell'esposizione, illustra lo stato attuale delle ricerche e inserisce le opere esposte nel loro più appropriato ambito storico culturale e diventa quindi strumento di ricerca per gli studi futuri, non soddisfa affat-

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to tali esigenze. Forse per la fretta o per l'inadeguato coordinamento tra curatori e catalogatori, le schede risultano poco informate e poco informative, denunciando vistose lacune nella bibliografia. E bisogna dire che il saggio introduttivo di Mariagiulia Burresi e Antonino Cale­ca, meritori curatori della mostra, espone pareri spesso molto persona­li, e in genere non accenna al dibat­tito critico sui problemi trattati.

E' per questo motivo che gli scri­venti hanno ritenuto opportuno riu­nire in un'unica sede le loro rifles­sioni critiche, richiamando i necessa­ri riferimenti bibliografici sulle prin­cipali opere esposte, nonché alcuni confronti che aiutano a comprende­re meglio il percorso dei singoli arti­sti e il momento storico in cui furo­no realizzati i lavori presentati.

M.B., A.L., V.P., A.T.***

La sezione dedicata alla pittura è introdotta da un denso saggio di

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Michele Bacci (Pisa e l'icona, pp. 59-64), nel quale è ribadita l'importan­za fondante delle icone prodotte nel mondo bizantino per la pittura pisa­na dei secoli XII e XIII, che presen­ta in molti esemplari una dipenden­za assai stretta da esse, sia sul piano iconografico che morfologico.

L'intreccio complesso e articolato di tale rapporto è fonte molto spes­so, com'è noto, di non poco imba­razzo nel definire la matrice d' origi­ne di alcuni dei dipinti più alti fra quelli riferibili a Pisa tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. Questo è il caso della celebre e veneratissi­ma Madonna di sotto gli organi della Cattedrale pisana, che il Bacci pro­pone eseguita a Cipro, ad opera di uµ artista di cultura greca intorno all'anno 1200 (pp. 59-60). Nel cata­logo (n. 16) sono già in effetti indi­cati, sul piano stilistico, i rimandi alla cultura berlinghieresca, difficili tuttavia da precisare per i sensibili rimaneggiamenti subiti dal dipinto: in ogni caso l'opera sembrerebbe

accreditarsi come uno degli elemen­ti costitutivi dell'arte di Berlinghie­ro, ipotesi questa che appare da pre­ferire rispetto a quella alternativa secondo cui essa sia davvero da ricollegare alla fase più antica e inco­gnita dell'artista lucchese. Il dubbio circa l'origine pisana od orientale riguarda anche il maestro autore della splendida Croce n. 20, così generalmente nota in base al vec­chio numero d'inventario ( oggi n. 5724) del Museo di Pisa, la cui bel­lezza rifulge in sommo grado (fig. 1) - è il caso di sottolinearlo - nel conte­sto di questa mostra.

A proposito di quest'opera crucia­le per tutta la cultura pittorica dell'I­talia centrale a cavallo fra XII e XIII secolo, sarebbe stato utile forse ri­chiamare la proposta del Boskovits di riconoscere allo stesso artista raffi­nato ed eletto la Madonna col Bambi­no (n. 60. 173) del Metropolitan Museum di New York, che ha oltre­tutto il merito di stornare da un iso­lamento splendido, ma al tempo stes­so inquietante, questo superbo capo­lavoro4. Di questa attribuzione non si discute invece né nel saggio firmato da entrambi i curatori della mostra (pp. 69, 71), né nella scheda relativa all'opera (Cat. n. 7). Molto meno importante sul piano critico appare francamente l'indicazione della pos­sibile identità esecutiva con la Croceproveniente dal monastero di San Matteo per il nimbo frammentario di un'analoga, oggi perduta opera ( Cat. n. 8), in origine nella chiesa pisana di Santa Cecilia, secondo un'ipotesi praticamente inverificabi­le a causa del disastroso stato conser­vativo e peraltro già proposta in pre­cedenza da altri5

Anche la discussione critica della figura chiave di Giunta di Capitino è affrontata nel complesso in maniera abbastanza sommaria e disorganica, sia nel saggio (pp. 71-75), sia nelle schede (Cat. nn. 10-14). Rammarica davvero di dover porre in evidenza l'insufficienza dell'analisi critica e degli apparati bibliografici in un' oc­casione così importante e in relazio­ne a questa personalità artistica di primissimo piano, che è stata in anni assai recenti al centro dell'interesse della critica6

. La notizia del rinveni­mento di un documento del 1265, nel quale sono menzionati alcuni terreni confinanti con le proprietà di Giunta pittore, è certamente mol­to importante anche perchè suggeri­sce un probabile prolungamento del suo arco di attività (pp. 71, 73); tut-

1. Pittore pisano, c.1200, Crocifissodipinto (part. ), Pisa, Museo Nazionaledi San Matteo.

2. Giunta Pisano, Madonna con il Bam­bino, Pisa, Museo Nazionale di SanMatteo.

tavia sarebbe stato non meno impor­tante, credo, discutere in dettaglio di alcune proposte attributive. Non è certo per soddisfare una questione personale se mi pare opportuno rimarcare il fatto che nella scheda relativa alla purtroppo rovinata Madonna col Bambino (n. 1574) del Museo di San Matteo (Cat. n. 58) non è ricordata la mia 'antica' resti­tuzione del dipinto a Giunta, accolta ora anche dal Bellosi. Il malriuscito restauro cui è stata assoggettata tempo addietro l'opera, che si tra­duce tra l'altro in uno strano e fuor­viante effetto Jlou, soprattutto nel braccio e nella mano destra della Madonna, non rende davvero giusti­zia a questa che è da ritenere in assoluto una delle più belle Madonnedella pittura pisana intorno alla metà del secolo, non a caso la sola riferibile sin qui a Giunta in perso­na, come ben documentato da que­sta vecchia foto precedente il restau­ro (fig. 2). La proposta di Bellosi (2000 [a], p. 206) d'inserire nel per­corso giuntesco la nota Madonna colBambino della collezione Acton a Firenze (fig. 5) mi lascia perplesso; continuo infatti ancora a ritenerla opera del cosiddetto Maestro del Crocifisso di San Paolo a Ripa d'Ar­no - autore anche del bel Crocifissodipinto (figg. 3-4) della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo -, l'artista pisano più prossi­mo a Giunta: l'immagine della rac­colta Acton si rivela, credo, troppo 'metallica' e risentita sul piano pla­stico per ammettere un'identità ese­cutiva con il bellissimo esemplare pisano, affascinante per la sua sciol­tezza pittorica e il pathos davvero respirante, a proposito del quale uno dei pochissimi confronti possi­bili mi appare quello con il San Cri­santo in uno dei due preziosi fram­menti in pergamena della Pinacote­ca Civica di Gubbio, opera più che

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probabile di Cimabue, per molti ver­si il più importante continuatore del grande maestro pisano7 •

Purtroppo non è questo l'unico caso in cui emerge dalle schede del catalogo una sostanziale incomple­tezza nel restituire la vicenda critica dei singoli dipinti. A proposito della Madonna col Bambino (fig. 7) già nell'Oratorio della Madonna di Villa Saletta, trafugata alla metà di giugno del 1997 e finora non recu­perata, nella 'concentratissima' scheqa (Cat. n. 37), redatta perfino a due mani, si propone con grande disinvoltura un'attribuzione niente­meno che al Maestro di San Marti­no, ripresa evidentemente dal sag­gio di apertura (p. 78) - priva di qualsiasi fondamento stilistico a nostro modo di vedere -, peraltro

ignorando del tutto il recente inter­vento critico ad essa specificatamen­te dedicato. Mi riferisco ad un breve articolo, nel quale la tavola è attri­buita al cosiddetto Maestro del Cro­cifisso di San Miniato al Monte, sulla base di raffronti stilistici che anche ad altri, come si vedrà oltre, sono parsi assai stringenti8

Ma per riprendere il discorso in­torno a Giunta Pisano, dopo aver rimarcato «l'audace riproposta» (Burresi-Caleca, p. 74) del Bosko­vits, formulata ormai trent'anni fa, nel riferire al maestro lo splendido dipinto cuspidato con San Francesco esei storie (Cat. n. 13) e gli altri dossali francescani del Museo del Tesoro di Assisi e della Pinacoteca Vaticana (Cat. n. 14), si torna a prospettare più o meno velatamente la paternità

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3. Maestro di San Paolo a Ripa d'Arno,Crocifisso dipinto (verso), Pisa, MuseoNazionale di San Matteo.

giuntesca per i Crocifissi eseguiti per i francescani di Umbria, Marche, Bologna e la Romagna, nonché per gli affreschi della chiesa inferiore di San Francesco in Assisi (pp. 73-75), cosa che appare invero di un'auda­cia di gran lunga superiore sul piano critico. In pratica, viene sug­gerito infatti di ritornare di colpo alle posizioni della cri tic a di cent'anni or sono9

• Peraltro, come ho già avuto modo di spiegare in un mio precedente intervento, ritengo stilisticamente inconciliabili i dossali francescani del Museo del Tesoro di Assisi, sfortunatamente non presen­te alla mostra, e della Pinacoteca Vaticana (figg. 15-16; cat. n. 14). L'e­semplare di Assisi, uno dei vertici dell'arte di Giunta, è una delle opere più impressionanti e strug­genti del Duecento italiano, che an­che alla luce dell'importante docu­mento che suggerisce il prolunga­mento dell'attività giuntesca, po­tremmo ora tranquillamente ricolle­gare in via diretta alla consacrazione dell'altare della chiesa inferiore san­francescana nel 1253, altare che, com'è noto, è raffigurato nelle due storie di destra. Pur sapendo che questo mio convincimento non è condiviso da Mikl6s Boskovits, il rin­novato esame della tavola vaticana mi induce a confermarne il livello qualitativo sensibilmente inferiore, soprattutto nell'impaginazione delle storie laterali e per la minore tensio­ne espressiva. Ancora oggi mi sem­bra che l'autore del dipinto, presu­mibilmente un artista di formazione

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pisana attivo nel sesto decennio, sia in grado di riassumere molto bene i fermenti culturali derivanti dai reci­proci e intensi rapporti fra pittura pisana e pittura fiorentina lungo il terzo decennio del secolo. Anche nel caso di questo dipinto la scheda di catalogo trascura parte conside­revole degli interventi critici più recenti 1°.

Nell'ambito della pittura pisana della prima metà del secolo uno dei protagonisti principali appare il cosidqetto Maestro di Calci, indivi­duato per primo da Ragghianti, così denominato dal bel frammento di un Crocifisso con la testa del Cristo(Cat. n. 47), inserito entro un pila­stro della Pieve dei Santi Giovanni ed Ermolao a Calci (Pisa). Questo artista era davvero ben rappresenta-

to alla mostra, dove pero e stato inserito in maniera fuorviante tra i maestri attivi nella seconda metà del secolo. Si tratta invece di una delle personalità più in vista della pittura locale, che dovette iniziare la sua carriera probabilmente tra il primo e il secondo quarto del secolo e che si pone maggiormente in rapporto di proficuo interscambio con Berlin­ghiero e la sua cerchia. Importante è l'inserimento nel corpus dei suoi dipinti del noto dossale del Museo Nazionale di San Matteo (inv. 1583) con Santa Caterina d'Alessandria e ottostorie (fig. 8; cat. n. 51), su cui inter­viene anche Boskovits in questa stes­sa sede. In ambito prossimo al Mae­stro di Calci sembrerebbe da ripor­tare il frammento d'affresco con il Sacrificio d'Isacco (fig. 9; cat. n. 4) proveniente dalla chiesa pisana di San Michele degli Scalzi, come sug­gerito proprio dal confronto con la or ora citata Pala di Santa Caterinad'Alessandria, in origine nella chiesa di San Silvestro a Pisa, la cui datazio­ne però non può che essere circo­scritta in base allo stile intorno al 1230 circa11

• A mio modo di vedere non sembrano invece potersi acco­stare al Maestro di Calci i brani di affresco superstiti (Cat. n. 52), recu­perati nel vano dell'altare principale della chiesa di San Giovanni a Ghez­zano, alle porte di Pisa, di matrice cronologicamente e culturalmente più avanzata rispetto a quell'anoni­mo, che appaiono ricollegabili dal punto di vista stilistico - per quanto mi sembra di poter giudicare attra-

verso le sole riproduzioni fotografi­che - ad un artista prossimo all'im­portante Maestro della Croce di Castelfiorentino, cui spetta ( come già ben vide il Garrison) il Crocifisso n. 5721 del Museo di San Matteo(Cat. n. 45), datato anch'esso inmaniera poco plausibile nella secon­da metà del secolo. In realtà, la suacollocazione cronologica calibratanel quadro della pittura pisana e inrapporto allo svolgimento artisticodi Giunta non dovrebbe oltrepassa­re il quarto decennio del XIII seco­lo.

Nell'ambito della mostra, questa interessante personalità operante nel secondo quarto del secolo, avvi­stata dal Garrison e così designata in base al Crocifisso frammentario oggi nel Museo d'Arte Sacra di Volterra, proveniente dal monastero di Santa Chiara a Castelfiorentino, viene fatta confluire in un ampio ed etero­geneo raggruppamento intorno al bel Crocifisso (fig. 10) del Museo di Cleveland (Cat. n. 40). L'opera, resa nota per la prima volta da Stubblebi­ne 12, reca un'iscrizione lacunosa ai piedi della croce, sciolta tout-court nella firma di un peraltro sconosciu­to "Michele di Baldovino". La pro­posta appare discutibile, anche per­ché i documenti non ricordano un pittore con un nome simile e la firma frammentaria permette diver­se alternative di integrazione: Michele o Raffaele, per quanto riguarda il nome; Baldovino, Bidui­no, Ansuino, Pasquino, Salvino per il patronimico. Non era il caso, credo, d'introdurre nella letteratura critica un 'indicazione anagrafica

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così incerta e, personalmente, pre­ferisco riferirmi ancora alla vecchia denominazione di Maestro della Croce di Castelfiorentino.

Tuttavia, nel gruppo non sembra in alcun modo lecito inserire pro­prio la croce americana, opera d'in­dubbia suggestione di un'autonoma personalità della pittura pisana, che nelle finissime figure dei terminali è in grado d'interpretare ancora fruttuosamente la lezione del Mae­stro della Croce n. 20. Si tratta di un artista di notevole levatura, atti­vo con ogni probabilità nel quinto decennio del secolo, che tuttavia rispetto al Maestro della Croce di Castelfiorentino sembra di gran

4. Maestro di San Paolo a Ripa d'Ar­no, Crocifisso dipinto, Palermo, Galle­ria Nazionale.

lunga meno interessato ad appro­fondire e a confrontarsi con gli aspetti narrativi e patetici tipici del­l'universo figurativo giuntesco. Egli predilige invece, soprattutto nelle Storie della Passione (fig. 11) del tabellone centrale, un linguaggio più corsivo e accattivante che riman­da alla coeva tendenza della pittura pisana capeggiata da Enrico di Tedi­ce. Ma si veda quanto osserva in pro­posito qui di seguito il Boskovits, che individua la stessa mano dell'au­tore del Crocifisso, nel fine dipinto con la Deposizione di Croce (Cat. n. 22) del Muse o Nazionale di SanMatteo a Pisa (inv. n. 5726).

Poco o niente con il fantomatico 'Michele di Baldovino' hanno a che vedere, a parere di chi scrive, la grande Croce dipinta della chiesa pisana di San Pietro in Vinculis (Cat. n. 41) e il piccolo Crocifisso (Cat. n. 42) dell'altra chiesa di San Martino, che possono inserirsi pie­namente nel gruppo del Maestro della Croce di Castelfiorentino, insieme al San Verano e storie (Cat. n. 44) della Pinacoteca di Brera - la cuileggibilità è fortemente compromes­sa da vecchi restauri - e alla Madon­na col Bambino (cat. n. 26) della Pre­positura di San Verano a Peccioli(Pisa), indicate dal Boskovits13.

Poco meno che fantasioso appare poi sul piano della coerenza stilistica il coinvolgimento con il cosiddetto 'Michele di Baldovino' del Crocifisso (Cat. n. 46) della chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano a Riglione (Pi­sa), frutto di un'autonoma persona­lità, assai originale per la riproposi­zione nel settimo decennio di temi

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formali derivanti dal versante luc­chese dell'ambito di Bonaventura Berlinghieri, tramite un linguaggio di raffinata eleganza lineare.

Per quanto riguarda invece la no­ta Croce dipinta della chiesa di Santa Marta a Pisa (fig. 32; cat. n. 55), l'at­tribuzione proposta ad un apposito 'Maestro di Santa Marta' si risolve, anche in questo caso, in un'inutile complicazione. Ho già suggerito anni fa che essa è stilisticamente as­sai prossima alla grande Croce della basilica di San Miniato al Monte a Firenze, che oggi ritengo prodotto della stessa bottega del Maestro del Crocifisso di San Miniato al Monte, una personalità artistica di notevole levatura, coinvolta anche nella deco­razione musiva della volta del Batti­stero fiorentino 14. L'esemplare fio­rentino è stato esposto, dopo un lieve restauro di manutenzione, alla recente mostra su L'arte a Firenze nel­l'età di Dante 1250-1300 15, dove è stato agevole poterne constatare l'al­ta e raffinata esecuzione. La stesura pittorica del dipinto pisano mi sem­bra più 'povera', anche aldilà dello stato di conservazione meno soddi­sfacente, al punto da insinuare il

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dubbio che persino nel XIII secolo si possa contemplare il tema affasci­nante della "qualità e industria", che attraversa tutta la pittura fioren­tina del XIV secolo e fino al primo Quattrocento, da Taddeo Caddi a Lorenzo Monaco.

Alla luce dell'importanza crucia­le di attribuire più o meno corretta­mente un'opera ad una personalità, piuttosto che ad un'altra, nella pro­spettiva della ricostruzione storica della sua attività, occorre precisare che non pare proprio sussistere al­cun rapporto di stile fra la croce di Santa Marta e il dossale del Museo di San Matteo (inv. 1582) prove­niente dalla chiesa pisana di San Sil­vestro (Cat. n. 56). Il suo compìto e tuttavia un po' spento autore (figg. 12-13) non ha niente a che spartire,come avevo erroneamente immagi­nato in passato, con il bel maestroçui si deve la Madonna col Bambinodel Museo Pushkin (inv. n. 240) aMosca 16

• Oggi mi pare di poterosservare che il dipinto pisano, nonesente da qualche riflesso della coe­va cultura guidesca senese, comegià awertito a suo tempo dal Vigni,presenta alcuni elementi stilistici -

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disegnare netto e non privo di ele­ganza, spiccata tendenza alla regola­rizzazione delle forme - che prelu­dono alla cultura pittorica pisano­lucchese di Deodato Orlandi.

Parimenti insostenibile appare un qualsivoglia legame diretto di stile fra la croce di Santa Marta e la bella Madonna col Bambino frammentaria della chiesa di San Frediano a Pisa (fig. 31; cat. n. 57, p. 204), espressio­ne relativamente rara in Pisa stessa a questa data, vale a dire verso il 1260 o poco oltre, dell'adesione ad unbizantinismo aulico, ancora piùfedele di quella, peraltro ben con­frontabile, del fiorentino Maestrodella Sant'Agata17 •

Il punto di forza della mostra e, soprattutto, un'occasione assoluta­mente da non perdere per ogni stu­dioso di storia dell'arte, è consistita nel confronto diretto (Cat. n. 77) tra la tavoletta di Cimabue con la Madonna col Bambino in trono e due angeli , riemersa in anni assai recenti sul mercato inglese e acquistata dalla N ational Gallery di Londra (inv. NG 6583), e la già celebre tavo­letta compagna della Frick Collec­tion di New York (inv. 50.1.159), la

5. Maestro di San Paolo a Ripa d'Ar­no, Madonna con il Bambino, Firenze,collezione Acton.

6. Maestro di San Paolo a Ripa d'Ar­no, Madonna con il Bambino, La Spe­zia, Museo Civico A. Lia.

7. Maestro del Crocifisso di San Mi­niato (Francesco da Pisa? ), Madonnacon il Bambino, già Villa Saletta (Pisa),Oratorio della Madonna.

cui attribuzione a Cimabue o a Duc­cio è stata assai dibattuta in passato. Non meno preziosa anche l'altra opportunità offerta dalla mostra pisana di vedere, dopo il restauro, il dossale di Memmo di Filippuccio conser vato nell'Arcivescovado di Oristano, uno degli esemplari più interessanti - e rari - della cultura paragiottesca in ambito senese, cui si deve aggiungere ora la frammen­taria Madonna col Bambino delle Due Porte a Siena, che forse potrebbe spettare ad un momento un po' più antico e di stampo 'duecentesco' dello stesso artista, come a suo tempo riteneva Carlo Volpe18

Devo dire invece che conservavo un ricordo di gran lunga migliore, dal punto di vista della conservazio­ne, dei due Santi della chiesa di San Jacopo in Acquaviva a Livorno (fig. 41; Cat. n. 87), quando li vidi molti anni or sono appesi in alto, al termi­ne della navata della chiesa affaccia­ta sul mare. Il rimando alla cultura giottesca e all'epoca del polittico di Santa Reparata (Cat. n. 86) appare

Volendo esporre in ordine crono-1 o gi c o le mie osser vazioni sulle opere esposte, tornerei brevemente ancora all'opera del Maestro della Croce di Calci (Cat. nn. 47-51), arti­sta già trattato da Tartuferi. Quando, un mezzo secolo fa, Carlo Ludovico Ragghianti tentò di ricostruirne il catalogo, lo definì "un elevato scola­ro di Berlinghiero attivo a Pisa", awertendo nella sua attività analogie stilistiche con il fiorentino Maestro del Bigallo19 • Sebbene le considera­zioni espresse dallo studioso in pro­posito fossero molto brevi, risulta chiaro che egli riteneva la produzio­ne dell'anonimo risalente alla prima metà del XIII secolo. In seguito En­zo Carli ha messo in dubbio l'omo-

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senz'altro condivisibile, tuttavia l'at- stro della Santa Cecilia nella sua fase tribuzione al cosiddetto ' Maestro tarda, resta per noi un punto fermo. del trittico Horne', come già soste-nuto da Richard Offner, alias Mae- Angelo Tartuferi

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geneità delle opere riunite dal Rag­ghianti, senza tuttavia prevedere per esse una diversa collocazione crono­logica20. E anche la critica successiva, che ha ulteriormente accresciuto il catalogo dell'anonimo pittore, lo considera quasi unanimemente atti­vo nel periodo sopra indicatc21

• Sor­prende pertanto che alla mostra la produzione del pittore venga asse­gnata alla seconda metà del Duecen­to. L'errore deriva forse dalle pre­sunte affinità tra la Croce oggi in San Michele degli Scalzi (fig. 1 7) e la Croce di Enrico di Tedice (rispettiva­mente Cat. nn. 49 e 20), segnalate nella scheda del Catalogo; in realtà però le due opere - a parte il sogget­to - non hanno molto in comune.

Che la Croce di San Michele degli Scalzi sia già stata pubblicata da Patrizia Ferretti con l'attribuzione corretta al Maestro di Calci, non è ricordato nel catalogo; ed è un pec­cato perché la conoscenza di quel saggio ben informato avrebbe potu­to far evitare la datazione fuorviante dell'intero gruppo. Si segnala poi un'altra dimenticanza bibliografica, a proposito della bella tavola di S. Caterina e storie della sua vita, apparte­nente al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa (fig. 8; Cat. n. 51) la quale, dalla scheda del catalogo, risulta assegnata al Maestro di Calci in occasione della mostra, mentre il dipinto è stato riconosciuto a questo pittore già da tempo.

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Scrivendone nel 1948, nella sua celebre stroncatura della pittura duecentesca, Roberto Longhi lo definì lavoro di "un ... speditivo arti­giano 'asiatico-pisano', attivo poco dopo la metà del secolo "22, e si può ammettere che, se fossero eseguite dawero nella seconda metà del '200, come vuole il catalogo della Mostra, i vivacissimi ma indubbiamente inge­nui racconti del pittore avrebbero un 'importanza storico-artistica molto modesta. Sarebbero cioè testi-

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monianza di un artista ritardatario, incapace di comprendere le novità proposte in opere quali la tavola con San Francesco e quattro suoi miracoli nella Pinacoteca Vaticana (Cat. n. 14), con i suoi elaborati scenari architettonici e con i suoi personag­gi dall'elegante ed espressiva gestua­lità (cfr. figg. 14-15). In realtà però la Pala di S. Caterina, come ben vide il Ragghianti, spetta ad un pittore del­la generazione del lucchese Berlin­ghiero e del fiorentino Maestro del

8. Maestro di Calci, Santa Caterinad'Alessandria e storie della sua leggenda, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

9. Attr. al Maestro di Calci, Abramo inprocinto di sacrificare Isacco (frammen­to d'affresco), Pisa, Museo Nazionaledi San Matteo.

Bigallo. È curioso poi che la scheda del Catalogo, che si attarda a raccon­tare la leggenda del miracoloso ripe­scaggio della tavola dall'Arno nel 1235 (episodi del genere, come si sa, frequentemente si raccontano a pro­posito di immagini molto venerate), non accenni neanche all'eventualità che quella data ricordi un qualche fatto storico. Siamo d'accordo, l'in­formazione è di dubbia attendibilità, ma l'anno riportato nella leggenda non dovrebbe essere troppo lontano dal tempo dell'esecuzione dell'ope­ra23.

Allo stesso giro di anni risale pro­babilmente anche il frammento d'af­fresco già ricordato dal Tartuferi, che proviene da San Michele degli Scalzi e che nel catalogo (fig. 9; Cat. n. 4) figura come eseguito nel­l"'ambito di Alberto" nella secondametà del XII secolo24. Può anchedarsi che l'accostamento da me pro­posto di questa rara testimonianza dipittura murale del Medioevo al Mae­stro di Calci ( che il catalogo ignora) non colga nel giusto. Sarebbero stati necessari però commenti ben più cir­costanziati di quelli delle schede dicatalogo per spiegare i motivi per cuiil brano di pittura staccato da SanMichele, nonostante il contornarefluente e il modellato rawivato dalumeggiature a tocco che rivelano laricerca di raffinati effetti di plasticità, spetti non già al secondo quarto del Duecento, bensì ad un momento disessanta o settant'anni precedente.

Una tappa successiva della pittura pisana, da situare comunque entro la prima metà del XIII secolo, è illu­strata dalla Croce dipinta del Museo Nazionale di Pisa (Cat. n. 45) già inclusa dal Ragghianti nel catalogo del Maestro di Calci. In realtà rispet­to alla produzione tipica di quest'au­tore (fig. 17; Cat. n. 49), l'opera denuncia una visione più moderna, non solo perché rappresenta il Cri-

sto morto con gli occhi chiusi e con il volto dall'espressione sofferente25, ma anche per il carattere del dise­gno incisivo dai ritmi inquieti, e per il modellato che dà maggiore evi­denza plastica alle forme con le sue lumeggiature estese e con i raffinati passaggi chiaroscurali. A questa tavo­la già il Garrison aveva accostata la Croce oggi nel Museo d'Arte Sacra a Volterra (fig. 66) 26, e la Ferretti, con prudenza, ha aggiunto al catalogo pure la Croce di San Pietro in Vincu­lis (San Pierino) di Pisa (fig. 1 8) 27. Nel catalogo non sono state prese in considerazione queste proposte, né l'attribuzione al Maestro di Castelfio­rentino della tavola con San Verano e storie della sua vita, oggi nella Pinaco­teca di Brera (Cat. n. 44) e della Madonna di San Verano a Peccioli, che figura alla Mostra (Cat. n. 26) ma con una classificazione diversa28. All'autore della Croce di San Pierino vengono riferite alcune opere, in parte già assegnategli in passato (fig. 19) 29, sostituendo però il nome con­venzionale, coniato dal Garrison eaccolto anche dal Carli30, con quellodel fantomatico "Michele di Baldovi­no".

Chi è questo personaggio nuovo alla storiografia artistica? Secondo quanto sostenuto nel Catalogo, sa­rebbe il firmatario del Crocifisso dipinto, pubblicato in tempi abba­stanza recenti e oggi appartenente al Cleveland Museum of Art, opera che - e questo è indubbio merito di Bur­resi e Caleca - è stato possibile studia­re direttamente alla Mostra (fig. 10;cat. n. 40)31 . Nel pubblicarlo per laprima volta Stubblebine, stranamen-

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te ignorando la firma frammenta­ria32, propose la comune paternità dell'opera e delle due Croci attribui­te dal Garrison al suo "San Pierino Cross Master". Sulla base delle affi­nità avvertite dallo studioso tra la tavola oggi a Cleveland e la Croce già firmata da Enrico di Tedice (Pisa, San Martino), egli riteneva che l' o­pera spettasse al fratello di Enrico, Ugolino di Tedice. A dire il vero, l'u­nico dipinto firmato da Ugolino, oggi all'Ermitage, è stilisticamente molto diverso dalla tavola di Cleve­land: tale ostacolo veniva però aggi­rato dallo studioso con la dichiara­zione che si trattava dell'opera di un modesto pittore omonimo33 .

Credo si possa concordare con Stubblebine sulla parentela della Cro­ce del presunto Michele con quella di San Pierino, la quale è in effetti realizzata da un artista che per il suo

1 O. "Michael", Crocifisso dipinto, Cle­veland, Cleveland Museum of Art.

orientamento stilistico si colloca a mezza strada tra Enrico di Tedice e l'autore del dipinto di Cleveland. Quest'ultimo si avvicina ai modi di Enrico nella condotta pittorica spi­gliata, a tocco, ma non certo nella disarmante ingenuità dei suoi rac­conti; d'altronde presenta un dise­gno fluente e curato nei dettagli e attento agli effetti realistici in modo non dissimile dalla Croce di San Pieri­no. Dunque, il riferimento della Croce di Cleveland alla stessa mano, non convince. Già nella sua opera forse più antica, cioè nella Croce pro­veniente da San Giovannino (Cat. n. 45), il pittore di San Pierino ( che io continuo a chiamare Maestro di Castelfiorentino), nonostante le piuttosto rustiche caratterizzazioni fisionomiche, manifesta una certa ricerca di eleganze lineari, in parti­colare nella resa del perizoma, che non si ritrova nel dipinto firmato da " . . . HAEL". Mi sembra particolar­mente eloquente al riguardo il con­fronto di tre brani tra loro molto simili, con l'Ascensione di Cristo, rispettivamente nella Croce di San Pierino, nella tavola del Cleveland Museum of Art e in quella di Enrico, oggi nel Museo Nazionale di Pisa (figg. 20-22). La scena proposta nella prima sembra esser servita di model­lo per la seconda la quale, pur essen­do somigliantissima nell'impostazio­ne della composizione e nella gestua­lità dei personaggi (si veda in partico­lare l'apostolo all'estremità sinistra del gruppo), è più impacciata nel disegno e corsiva nella condotta pitto­rica. Quanto alla terza, questa appare ancora più incerta nella resa delle

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forme e sommaria nel raccontare, sebbene la brillantezza vibrante della stesura pittorica a tocchi rapidi la ren­dano indubbiamente accattivante.

Mi sembra dunque giustificato, allo stato attuale delle conoscenze, staccare la Croce di Cleveland sia dal-1' uno che dall'altro dei due Crocifissi. Al presunto Michele (fig. 23) si po­trebbe riferire, semmai, la tavola con la Deposizione di Cristo dalla Croce del Museo Nazionale di Pisa (fig. 24), opera in genere accostata alla produ­zione di Enrico di Tedice ed esposta anche nella Mostra (Cat. n. 22) sotto il nome di quest'ultimo. In realtà già in passato vari studiosi hanno awer­ti to nella piccola Deposizione una tenuta stilistica ben superiore alle altre opere di Enrico, e non avrei alcuna remora ad escluderla dal suo cataloga34.

L'autore della Croce di Cleveland emerge dunque come personalità autonoma della pittura pisana degli anni centrali del secolo, appartenen­te a quella corrente che, eccitata dalle possibilità espressive che un tessuto pittorico vibrante, creato con pennellate libere e veloci può offri-

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re, si mostra meno sensibile all'influs­so dei modelli provenienti da Bisan­zia35. Un esito relativamente tardo di questa stessa tendenza, forse già del penultimo decennio del Duecento, potrebbe essere una piccola Madon­na del Museo Nazionale di Pisa (fig. 25) che, dopo attribuzioni piuttostodisparate, in occasione della Mostrapisana (Cat. n. 34) viene indebita­mente riferita al Maestro di S. Marti­no. Il dipinto è caratterizzato da figu­re meno solenni e da umori piùinquieti rispetto alla produzione delcaposcuola pisano del secondo Due­cento, il disegno è piuttosto aspro ele forme non denunciano un interes­se altrettanto intenso nella ricercadel rilievo plastico. Mi domando sel 'autore di questa immagine costruitacon l 'accostamento di zone di coloredi tonalità diversa, senza dense fasced'ombra a contornare le forme, nonpossa essere lo stesso che qualchetempo dopo esegue le miniature divivacità effervescente e quasi brutaledi un Antifonario nel Museo Diocesa­no di Volterra (fig. 26; cat. n. 75),che reca la data significativa del129936

1 1 . Particolare della fig. 10 .

1 2. Pittore pisano, ultimo quarto del XIII secolo , Deesis con due santi (paliotto ), Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

13 . Particolare della fig. 12 .

Giunti a parlare di fatti pittorici ormai della seconda metà del secolo, sarà giusto soffermarsi brevemente anche sul Crocifisso proveniente da San Salvatore a Fucecchio (fig. 27; cat. n. 15). L'importante opera, in prece­denza illeggibile per i rifacimenti erelegata nei depositi del Museo diPisa, fu resa nota da Antonino Caleca, dopo il restauro nel 1981. Durantel ' intervento, nella parte inferioredella tavola è tornata alla luce unafirma frammentaria, decifrata dallostudioso come "BERLINGERIVSVULTERRANVS ME PINXIT"37 •

Ammetto di non essere riuscito a leg­gere l'iscrizione, ma siccome personedotate di occhi più esperti dei mieinon hanno fatto, per quanto mi risul­ta, obiezioni di sorta, non mi permet­to di dubitare della correttezza dellalettura proposta. Il nome di per sénon crea problemi: ma si chiamasse omeno Berlinghiero, l ' autore dellaCroce già a Fucecchio non mi sembra identificabile, come vorrebbe il Cale­ca e come afferma anche il catalogodella Mostra, con il Berlingerius Mela­nese; artista citato in documenti luc­chesi e firmatario di una Croce dipinta, oggi nel Museo Nazionale di VillaGuinigi a Lucca (fig. 28)38 • Trovoperaltro molto curioso che né in occa­sione della sua prima pubblicazionené dopo, il Caleca abbia ritenutoopportuno fornire un confronto pun­tuale dell'unica opera accertata delBerlinghiero con questa, assai diversa, nonostante la tipologia compositivasimile, dal punto di vista dello stile. Sela Croce di Lucca fosse stata presentealla mostra - e ciò sarebbe stato assolu­tamente necessario per awalorare laproposta identità di mano - sarebbero emerse con molta evidenza tali diffe­renze, sia nelle proporzioni e nelmodellato del corpo di Gesù che nel-1 ' uso del l ' elemento lineare nellacostruzione delle forme, nella resa del panneggio e nella caratterizzazione

fisionomica. Sfortunatamente nessu­na delle due tavole è sicuramente databile ma se, come mi sembra ragio­nevole supporre, la prima risale ad una data non lontana dal 1220-123039

,

la seconda deve essere stata dipinta alla distanza di almeno quattro decen­ni ( cfr. figg. 29-30), owero in anni nei quali era ormai attivo il personaggio indicato dalla critica come Maestro della Maddalena e il Berlinghiero cita­to nei documenti lucchesi era scom­parso da tempo40

La Croce oggi a Pisa proviene dal-1' abbazia di San Salvatore a Fucec­chio, ma non è detto che fosse vera­mente destinata per quella chiesa. A quanto si sa delle vicende della co­munità di Vallombrosani ospitati fino alla metà del XIII secolo in quella sede, il forte declino econo­mico e morale verificatosi negli ulti­mi decenni della loro permanenza rende improbabile una loro com­missione di simile impegno. Peral­tro già il Garrison si domandava se il dipinto non fosse stato eseguito per la chiesa di Sant'Andrea a Fucec­chio, perché riconosceva l'apostolo Andrea nel Santo anziano raffigura­to nella tabella destra ritagliata dalla Croce, oggi appartenente ad una rac­colta privata4 1

• La circostanza poi che la tavola, piuttosto che con la cultura figurativa pisana o lucchese, sembra rivelare affinità con quella fiorentina, fa pensare che l'opera giungesse a Fucecchio solo qualche tempo dopo la sua esecuzione, por­tata dai francescani che si stabiliro­no nel monastero nel 129942

Ampio materiale per la discussio­ne offre anche il problema del Mae­stro di Santa Marta, l'autore cioè

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della bella Croce (Cat. n. 55) della omonima chiesa pisana, al quale in questa occasione vengono attribuite due altre opere, in passato mai poste in rapporto con questo notevole pit­tore: il Paliotto del Museo Nazionale di Pisa (figg. 12-13; Cat. n. 56), pro­veniente dalla locale chiesa di San Silvestro, e la Madonna col Bambino(fig. 31; Cat. n. 57) della chiesa di San Frediano a Pisa. La prima di queste tavole, raffigurante il gruppo della Deesis e due santi in mezza figu­ra, è stata varie volte avvicinata ai modi di Enrico di Tedice, ma non è mancato nemmeno chi, dubitando delle affinità tra la tavola e i caratteri di stile di Enrico, vedeva nel paliotto pisano una certa vicinanza con l'am­bito fiorentino di Meliore43

• Si tratta

certo di un'opera singolare, dove la solennità delle pose e il disegno clas­sicamente controllato rivelano sim­patie verso gli orientamenti dell'arte paleologa, ma dove sono presenti anche ricordi dell'arte giuntesca. La terminazione ad arco ogivale dell'in­corniciatura delle singole figure e i sottili motivi di racemi incisi delle aureole fanno pensare comunque ad una data piuttosto avanzata, proba­bilmente non precedente al penulti­mo decennio del XIII secolo. Quan­to alle fisionomie, in particolare quelle femminili, esse sembrano discendere direttamente dalle for­mule del Maestro dei Santi Cosma e Damiano, suggerendo che si tratti di un artista formatosi ancora nella prima metà del secolo. Mi riesce dif­ficile trovare punti di contatto stilisti­co tra la condotta pittorica della Croce di Santa Marta e il Paliotto del Museo pisano, e non mi meraviglie­rei se si scoprisse che quest'ultimo, esito di un ulteriore sviluppo del lin­guaggio dell'autore della Madonnaproveniente dalla chiesa dei Santi Cosma e Damiano44

, è in realtà una testimonianza tarda della sua attività.

Quanto alla Madonna col Bambinodi San Frediano, pervenutaci ritaglia­ta in forma ovale, essa è caratterizzata non solo dal comportamento partico­larmente solenne dei personaggi, ma anche dall'impegno del pittore di conferire nobiltà ai tratti fisionomici e di rifinire con cura ogni particolare dell'immagine. La sottigliezza del modellato, reso con trapassi tonali sapientemente graduati, distingue questo dipinto da tutto il resto del materiale della Mostra: sono convinto infatti che esso non sia esito della

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mano di un artista locale, ma rap­presenti un innesto proveniente da altra zona. I parenti più stretti della visione raffinatamente aulica della tavola di San Frediano si rintraccia­no tra i prodotti più nobili della pit­tura del secondo Duecento in Italia meridionale, come la Madonna di Santa Maria de Flumine oggi nella Pinacoteca di Napoli45

, o meglio, in alcune testimonianze siciliane del-1' arte paleologa come la Madonnadella Ciambretta del Museo Regionale di Messina46

, o il mosaico frammen­tario proveniente da Calatamauro, oggi nella Galleria di Palazzo Abatel­lis a Palermo47 • Come queste ultime, anche la tavola di San Frediano deve esser stata realizzata da un maestro bizantino, probabilmente verso il 1260-70, e arrivata a Pisa forse anco­ra nel corso del Duecento.

Riguardo alla Croce di Santa Marta, resa più luminosa e meglio leggibile dopo il recente restauro (fig. 32)48

, la critica aveva espresso al riguardo pareri discordanti, ma anche molte valide osservazioni che aiutano all'inquadramento criticq dell'opera. Mi sembra, ad esempio, che Pietro Toesca abbia colpito nel segno, collegando stilisticamente il dipinto con il seguito fiorentino di

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Cimabue e accostandolo, anche se forse soprattutto per l'iconografia, al Crocifisso della chiesa . di San Miniato al Monte (fig. 33)49

• Altri hanno ritenuto che la tavola si rial­lacci soprattutto alla tradizione figu­rativa pisana della metà del Duecen­to o dopo, e riveli un influsso bizan­tino, ma essa è stata avvicinata anche all'arte del Maestro di San Martino, e tale avvicinamento viene riproposto nella scheda del catalogo della Mostra pisana50

• Qualche stu­dioso avverte nel dipinto soprattutto influssi fiorentini e non manca chi vede nell'autore un "seguace di stretta osser vanza" del fiorentino Maestro di San Gaggio5 1

• Mariagiulia Burresi, infine, nota invece nell'ope­ra un'attenzione particolare alla pit­tura romana del tempa52

Per giungere ad una più precisa collocazione cronologica e geografi­ca del dipinto, potrà essere utile ri­cordare però tre contributi sfuggiti

' ai curatori del catalogo. È stato Luciano Bellosi a tentare per la prima volta di ricostruire il profilo del Maestro di Santa Marta, sottoli­neando la grandiosità di certe invenzioni del pittore, nonchè il carattere corsivo, quasi impaziente, della sua condotta pittorica53 . Nel

suo saggio Bellosi analizza in modo assai efficace il "colore fondo, a macchia, sul quale [nella Croce di Santa Marta] si rialzano graficamen­te le luci come fili di un tessuto, più fitto, ma anche meno strutturante, che nel Maestro di San Martino". A suo avviso si tratterebbe di un pitto­re pisano, culturalmente legato alla tradizione del Maestro di San Marti­n o, di Ugolino di Tedice (artista questo, di cui in un secondo momento Bellosi proporrà l'identi­ficazione con il Maestro di San Mar­tin o) e di Ranieri d'Ugolino, ma attivo ormai verso la fine del secolo. Alessio Monciatti nel suo intervento dedicato a problemi stilistici di mosaici monumentali del tardo Duecento in Toscana, rima_ne in sostanza nella carreggiata della tra­dizione critica degli studiosi pisani, ma collega la Croce di Santa Marta con il Redentore benedicente, eseguito a mosaico nell'abside del Duomo di Pisa (figg. 34-35). Quest'ultimo, come ben si sa, è lavoro documenta­to di un "magister Franciscus pictor" attivo, oltre che a Pisa, anche nel cantiere del Battistero di Firenze. Se la proposta è, come mi sembra, giu­sta, l'attività di Francesco si sarebbe dunque estesa anche alla pittura su

14. Maestro di Calci, Santa Caterinadiscute con i filosofi (part. della fig. 8)

1 5. Attr.a Giunta Pisano, Guarigionedella bambina dal collo torto e dell 'inde­moniata (part. ), Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana.

16. Giunta Pisano, Guarigione dell'in­demoniata (part. ), Assisi, Tesoro delSacro Convento di San Francesco.

tavola54• Tornando sull'argomento,

Angelo Tartuferi ribadisce infine le affinità stilistiche tra la tavola di Santa Marta e la Croce di San Minia­to al Monte a Firenze, con osserva­zioni che stimolano a meglio approfondire l'argomenta55

Per quanto riguarda il confronto tra la Croce e la Maestà del Duomo di Pisa, seppure a prima vista l'idea possa lasciare perplessi, mi sembra colpisca nel segno. Non solo il volto oblungo dalla carnagione tenera del protagonista, il suo naso breve, lab­bra piene e mento tondeggiante, oppure i baffetti radi e le lunghe ciocche della foltissima capigliatura del protagonista del dipinto di Santa Marta ricordano il Cristo del mosaico di Francesco, ma lo richia­mano anche le delicatissime ombreggiature del modellato e la peculiare preferenza dell'artista per l'uso di un colore verde salvia per contornare gli incarnati.

D'altronde, la parentela stilistica osservata tra le Croci di Santa Marta e di San Miniato (figg. 36-37)56

andrà valutata tenendo presente che, almeno nella parte a noi nota, il percorso del pittore s'inizia molti anni prima dell'esecuzione della tavola pisana, almeno nel terz'ulti­mo decennio del Duecento. A quel periodo dovrebbero risalire, infatti, i mosaici dei due registri inferiori dello spicchio Nord della cupola del Battistero fiorentino (fig. 38) 57

, da tempo riconosciuti al Maestro della Croce di San Miniato, mentre testi­monianze della produzione degli anni '80 e '90 dovrebbero essere alcune tavole di origine in parte fio­rentina e in parte pisana, tra cui la Madonna dell'Oratorio di Villa Salet­ta presso Palaia, n. 37 nel catalogo della mostra pisana, riconosciuta da Tartuferi, come si è visto, alla mano dell'autore della Croce di San Minia­to (fig. 7)ss.

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Questi s i forma probabilmente nella bottega del fiorentino Maestro di Sant'Agata59

, dal quale deriva la sua preferenza per l'uso di dense zone d'ombra di sagoma regolar­mente geometrica nel modellato degli incarnati, frequente soprattut­to nelle opere della fase più antica della sua attività. Ma anche la sinte­ticità e la fluenza del disegno di Francesco, che nel corso degli anni tende poi ad un'esecuzione sempre più rapida se non addirittura fretto­losa, possono ricordare i modi del Maes,tro di Sant'Agata. Sono invece aspetti del tutto personali della sua pittura l'estrema sinteticità nella resa plastica delle forme e la stringa­tezza del racconto, molto evidente in particolare nelle Storie di Cristo nella Croce di Santa Marta, dove l'ar­caismo dell'ambientazione scenica

degli episodi rivela chiaramente trattarsi di un artista qui giunto ormai alla fine de Ila carriera 6 0 •

Eppure, sia nell'impaginazione com­positiva della Croce di Santa Marta che nel Cristo in maestà del mosaico del Duomo pisano, non mancano di sorprendere invenzioni di grande originalità e vivacità; penso ad esem­pio alle figurine cariatidi che sorreg­gono con grazia il piano intermedio del trono nel mosaico, oppure alla posizione dei dolenti della Croce di Santa Marta che sovrapponendosi sulla cornice che delimita il fondo oro, sembrano voler avvicinarsi allo spettatore, sporgendosi dall'angusta zona rettangolare loro assegnata. Certamente non più al passo con i tempi negli anni a cavallo tra il XIII e XIV secolo, ma in grado di anima­re le proprie opere con brani di

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1 7. Maestro di Calci, Crocifisso dipinto, Pisa, San Michele degli Scalzi.

1 8. Maestro di Castelfiorentino, Croci­fisso dipinto, Pisa, San Pietro in Vincu­lis.

inattesa modernità, la produzione di Francesco chiarisce alcuni impor­tanti aspetti della storia della pittura fiorentina e pisana nell'ultimo quar­to del Duecento.

Un problema di interrelazioni di tipo diverso propongono le belle miniature del codice (Ms. 536) della Biblioteca Universitaria di Pisa, con­tenente una scelta di citazioni tratte dal Nuovo Testamento (fig. 39). Il codice, già ritenuto manufatto pisa­no (in questa città, infatti si conser­va almeno dal XVI secolo) è stato studiato approfonditamente da Gigetta Dalli Regoli, che confronta la sua decorazione con i Leggendari I.II. 17 della Biblioteca Nazionale diTorino e Lat. 375 della BibliotecaVaticana, nonché con altre cosegeneralmente riconosciute comeminiate da artisti siciliani ( cfr. fig.40). Nel suo saggio, pubblicato piùdi tre decenni or sono, la studiosaammette sia la possibilità che si trat­ti di un manoscritto "composto aPisa con l'eventuale apporto di per­sonalità provenienti dall'Italia meri­dionale", sia l'eventualità di un lavo­ro "acquistato dai pisani fuori diToscana "61

• Antonino Caleca, nelcatalogo della mostra ( Cat. n. 72),propende per la prima ipotesi, con­frontando le miniature con la picco­la icona di San Michele (Cat. n. 71) del Museo Nazionale di Pisa, operaa mio avviso di ambito paleologo edi data ormai trecentesca, che nonrivela affinità specifiche con la deco­razione del Ms. 536 della BibliotecaUniversitaria. Né saprei indicarealcun dipinto o miniatura eseguito aPisa stilisticamente simile alle raffi­natissime miniature di questo codi­ce, mentre il linguaggio sapien­temente classicheggiante, numerosiparticolari morfologici e la stessacondotta pittorica sicura e spigliatale collegano alla decorazione dei

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due Leggendari sopra citati, e ad altre miniature, da tempo riconosciute come opere di produzione siciliana62

Sono convinto infatti che il mano­scritto oggi a Pisa fosse miniato nella stessa officina dove furono confezio­nati anche i manoscritti di New York, di Torino e della Biblioteca Vaticana.

Sotto il nome del Maestro di San Martino, artista davvero proteiforme nell'interpretazione datane nella Mostra, era esposto pure un Busto di Cristo (Cat. n. 33), già cimasa di un Crocifisso dipinto. Nel contesto del-1' esposizione, dove fin dal titolo si assegpava un ruolo particolare a Cimabue, sarebbe stato opportuno, io credo, sottolineare meglio gli strettissimi contatti stilistici di questa tavola con l'ultima fase del grande maestro fiorentino, seguendo anche le indicazioni degli studi recenti63

Non avrei da fare commenti

19. Pittore umbro (?) , metà del XIIIsecolo, San Nicola e storie della sua leg­genda, Peccioli (Pisa), San Verano.

riguardo alla serie forse perfino troppo ampia di opere di Deodato Orlandi, artista certo non eccelso, esposte alla mostra (Cat. nn. 88 -94), se non l'appunto che accanto a tavole di qualità sostenuta come i dipinti provenienti dai musei di Altenburg e di Berlino, sfigurava la mediocrissima e molto malridotta Madonna col Bambino, conservata nei depositi della Soprintendenza di Pisa (Cat. n. 93), indebitamente rife­rita al pittore lucchese.

Meritano ancora almeno un breve cenno le due tavole raffiguranti Mezze figure di Santi, provenienti dalla chie­sa di San Jacopo in Acquaviva a Livorno. Si sono visti volentieri questi dipinti di fine qualità, riconosciuti da Offner fin dal 1952 al Maestro del Trittico Horne64 e come opera di questo anonimo varie volte illustrati nella letteratura artistica (fig. 41). Sorprendeva pertanto un poco che venissero presentati sotto il nome di Giotto in Mostra ( o come bottega dell'artista nella scheda del Catalogo; n. 87). Il saggio introduttivo (p. 89) parla in proposito un po' iperbolica­mente di "un ritrovamento del tuttoinatteso" delle due tavole, che inrealtà da un secolo a questa partesono citate nella loro sede attuale esono ben note a tutti gli studiosi delTrecento fiorentino. Effettivamenteinattesa è la loro presenza a Livorno,che non implica necessariamente,come suggerisce il Catalogo senzaperaltro offrire spiegazioni, una pro­venienza da una chiesa fiorentina.Per quanto riguarda invece la nuova proposta attributiva, la scheda relati­va parla di "qualche somiglianzad'impostazione" con il San Lorenzo diGiotto del Museo Jacquemart-Andrédi Chalis, e l'affermazione puòanche essere condivisa, pur trattan­dosi invero di analogie abbastanzavaghe. E' da valutare piuttosto con

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molta prudenza l'osservazione su una "sorprendente corrispondenza fisio­gnomica" con l'immagine di S. Euge­nio nel polittico di Santa Reparata; e non solo perché quest'ultima opera è molto diminuita dalle vicende subite, ed è leggibile oggi attraverso la rico­struzione proposta nell'ultimo restau­ro, che ha cercato di ricucire un tes­suto pittorico abraso e lacerato (figg. 42-43)65

, ma perché le tavole del polit­tico giottesco mostrano comunqueben diversa eleganza e sottigliezza

Tra i codici miniati esposti alla mostra pisana nella sezione dedicata ai manoscritti, è stato possibile am­mirare un'opera del famoso Maestro della Bibbia di Baltimora (Cat. n. 73), uno dei più affascinanti e misteriosi artisti attivi nel Duecento nel campo dell'illustrazione libraria. Altrettanto elusive sono - come si sa - le vicende della Bibbia eponima, oggi conservata nella Walters Art Gallery di Baltimora (ms. W 152), appartenente all'inizio dell'Ottocento al conte Auguste De Bastard d'Estang e all'epoca recante una nota, oggi perduta, che ne indica­va l'antica destinazione quale dono inviato dalla Sicilia all'ultimo regnan­te svevo, Corradino, la cui tragica fine

poetica rispetto alle immagini livor­nesi. Manca del resto nel testo qual­siasi spiegazione dei motivi che sugge­rirebbero una smentita della propo­sta attributiva di Offner in favore del Maestro del Trittico Horne, né si accenna all'opinione oggi da vari stu­diosi condivisa che identifica il catalo­go riunito sotto tale nome convenzio­nale come la fase tarda dell'attività del Maestro di Santa Cecilia. Chi scri­ve deve ammettere poi di trovare sempre più convincente la proposta

* * *

fu segnata dalla morte per decapita­zione a Napoli nel 1268. E' merito di Antonino Caleca aver portato all'at­tenzione degli studi, sin dal 197967

,

l 'Antifonario Santorale del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, e di averne proposto l'attribuzione all'a­nonimo artista: un riferimento che le precarie condizioni conservative di molte miniature potrebbero rendere probl�matico accettare in pieno, ma che i brani ben leggibili, come l'im­magine di San Michele Arcangelo ( c. 45v) (fig. 44), confermano in pieno, benché la decorazione del codice non raggiunga - va osservato - il vertice creativo rappresentato dalla Bibbia eponima. Il corale proviene dalla

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che in questo anonimo si debba rico­noscere Gaddo Gaddi66

, già collabora­tore (nell'impresa del ciclo francesca­no di Assisi) e quindi compare di Giotto, il quale intorno al 1310 o poco oltre, quando le tavole livornesi furono eseguite, era ormai artista pie­namente autonomo. La classificazio­ne con l'etichetta della "bottega di Giotto" è dunque fuorviante e ha il sapore di un rassegnato ritorno allo stato degli studi di cent'anni fa.

Mikl6s Boskovits

chiesa di San Nicola a Pisa, di cui gli agostiniani presero possesso nel 1295: una data che Caleca assume quale postquem per l'esecuzione delle miniature. Ma una collocazione del codice negli ultimi anni del secolo non sembra accordarsi al linguaggio figurativo espresso dall'artista, fortemente lega­to - come si dirà anche più avanti - alla circolazione di cultura paleologa di metà Duecento; inoltre, nonostante la probabile pertinenza agostiniana (a c. l lr troviamo la figura di Sant'Agosti­no venerato da due frati dell'ordine), nulla indica che l'Antifonario apparte­nesse sin dall'origine al convento pisa­no, e che non vi fosse giunto invece inepoca successiva, insieme alla dotazio-

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ne di libri di un priore forestiero , come quel fra Girolamo da Perugia, durante il cui priorato si provvide ad integrare il codice con nuove aggiun­te (1604) .

Caleca parte dalla linea interpre­tativa già avanzata da Carlo Ludovico Ragghianti, che metteva in rapporto la Bibbia di Baltimora con un etero­geneo gruppo di tavole e codici miniati (la tavola-reliquiario con la Madonna e il Bambino, la Pentecoste e Storie di Sant 'Agata della chiesa di San t' Agata a Cremona, il Crocifisso n. l dd Museo Civico di San Gimi­gnana68 , il Graduale datato 1 299 nelMuseo Diocesano di Volterra) . Egliconsidera le vicende della Bibbiadella Walters Art Gallery similmenteintrecciate a quelle del Graduale vol­terrana69 (Cat. n. 75) : il suo 'Maestrominiatore di Volterra' sarebbe cosìun seguace del grande ' Maestrodella Bibbia di Corradino' , probabil­mente in base a comuni (ma, nelcaso del codice toscano, ormai lonta­ne) inflessioni di gusto paleologo. Inproposito , mi permetto di precisareche questi due artisti mi appaionoprofondamen te distanti tra loro .

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L'autore della rutilante e icastica de­corazione miniata del Graduale in due volumi (figg. 26 e 45 ) , scritto nel 1 299 da fra Agostino da San Gimignano per la cattedrale di Vol­terra, rivela una cultura schiettamen­te pisana, e arcaizzante , che attinge ancora a piene mani alla grande tra­dizione della pittura di Giunta. Le pennellate dense e costruttive , la stessa tipologia 'eccentrica' dei volti segnati da profonde orbite oculari , rimandano a consuetudini formali che risalgono al tempo del Crocifisso di San Ranierino di Giunta (Cat . n . 1 0) ; in particolar modo , il miniatore è avvicinato in questa sede da Miklos Boskovits agli esiti della Madonna con il Bambino n. 5725 del Museo Nazio­nale di San Matteo (fig. 25 e cat. n. 34 ) , un dipinto presumibilmente realizzato da un pittore che , pur ,operando nel solco del Maestro di San Martino (ovvero Ugolino di Te­dice) , ci appare al contempo pronto a cogliere i primi riflessi della pre­senza a Pisa di Cimabue , intorno al 1 280 .

Caleca concorda con l'ipotesi rag­ghiantiana del catalogo del Maestro

della Bibbia di Baltimora, e propone al riguardo ulteriori, ma difficilmen­te condivisibili , aggiunte: il Crocifisso n . 1 3 della Pinacoteca di Volterra70

,

l ' affresco frammentario con l ' An­nunciazione nella chiesa di San Pietro a San Piero a Grado presso Pisa ( Cat. n. 74) , e, infine , l ' affresco staccatocollocato nella Casa dell'Opera dellaPrimaziale di Pisa, raffigurante laMadonna in trono con il Bambino tra iSanti Giovanni Battista e qiovanniEvangelista (illustrato a p . 84 delCatalogo ) . A quest'ultimo affrescoegli accosta due documenti pubbli­cati sin dal 1 897 da Tanfani Cento­fanti 7 ' , che ricordano Vincino diVanni da Pistoia e Giovanni d'Appa­recchiato da Lucca quali autori diun ' immagine dipinta, di analogosoggetto, nella chiesa del Camposan­to pisano. Da qui, a suggerire l ' iden­tificazione del Maestro della Bibbiadi Baltimora con Giovanni d' Appa­recchiato , il passo è breve. Ma la pro­posta si complica in virtù del conco­mitante suggerimento , nel saggiointroduttivo al Catalogo firmatodallo studioso insieme a MariagiuliaBurresi, di riconoscere all'artista un

20. Maestro di Castelfiorentino, Ascen­sione (part. della fig. 1 8).

2 1 . "Michael", Ascensione (part. dellafig. 1 0).

2�. Enrico di Tedice, Ascensione (part. di Crocifisso dipinto), Pisa, San Marti­no.

più tortuoso percorso, che dall'Italia meridionale, culla della sua educa­zione artistica, lo avrebbe quindi portato ad essere a lungo attivo in Toscana, dal 1270 al 1300 circa.

L'idea di un'origine meridionale del miniatore è - com'è noto - una delle molteplici varianti in un venta­glio d� opinioni critiche riguardo al­la sua effettiva patria culturale, che dalla Sicilia e da Napoli nel regno svevo, si estende sino all'Italia del Nord-Est, al Veneto e all'Emilia, pas­sando attraverso Roma e l'Italia cen­trale. Non è questa la sede per riper­correre le complesse vicende criti-

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che di cui il Maestro della Bibbia diBaltimora è 1protagonista, insieme alsuo catalogo, e in proposito rimando volentieri alla recente voce dedicata all'artista da Giovanni Valagussa72

Ma, in relazione all'Antifonario con­servato a Pisa, che credo realizzato non oltre il settimo decennio del Duecento, va perlomeno ricordata la bella serie di miniature pubblicate da Ilaria Toesca nel 1969, cui si può aggiungere il foglio con la Presenta­zione al Tempio presso la Fondazione Cini di Venezia, forse provenienti da un corale compagno di quello pisa­no, e ritenuti di ambito centro-italia-

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no, tra Bologna e la Toscana: una proposta in un certo senso colliman­te con la celebre identificazione del miniatore, da parte di Roberto Lon­ghi, con il dantesco Oderisi da Gub­bio73. Se gli studi più attuali sottoli­neano ora la sua prevalente attività per i centri del Nord- Est, in rappor­to con episodi di area veneziana (Epistolario di Giovanni da Gaiba­na)74, vorrei brevemente notare che l'adesione del miniatore a formule bizantine attraverso l'interpretazione dei pittori dell'Italia centrale e la ricerca espressiva di un "ton dramati­que" dell'immagine (per seguire le considerazioni a lui dedicate da Hélène Toubert) 75 mi sembrano, ancora una volta, rimandare ad un contesto artistico che potrebbe avere in Umbria il suo epicentro, rappre­sentando un episodio preliminare per la bella Crocifissione miniata dal Maestro di San Francesco non oltre il 1280 (collezione Robert e Kathari­ne States Burke)76•

Diversamente, le implicazioni sug­gerite dall'improbabile identificazio­ne con il lucchese Giovanni d'Appa­recchiato non trovano riscontro in quello che conosciamo della minia­tura, a Lucca, nel terzo quarto del Duecento. All'attività del protagoni­sta della miniatura cittadina negli anni settanta, il Maestro degli Antifo­nari di San Romano (Lucca, Biblio­teca Statale, nn.2648 e 2654) 77 , si può piuttosto restituire un piccolo codice della Biblioteca Medicea Lau­renziana di Firenze (San Marco

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481), con la Summa del domenicano Raimondo de Peiiafort (figg. 46 e 47). Il riferimento di queste miniatu­re al maestro trova un valido suppor­to nella notizia di un'antica prove­nienza del codice da Lucca, dove esso fu acquistato nel dicembre del 1445 per conto di Cosimo de' Medi­ci78, per essere così destinato al pri­mo nucleo della celebre biblioteca di San Marco a Firenze.

Nonostante il lusinghiero apprez­zamento di Antonino Caleca sin dal 1994, nel saggio introduttivo al cata­logo dei manoscritti e incunaboli appartenenti alla Biblioteca di Santa Caterina79, è rimasto sostanzialmente sconosciuto agli studi il bel Salterio di questa interessante collezione pisana (Cat. n. 79), proveniente dall'omoni­mo convento domenicano, dove la presenza del codice è attestata a par­tire dal XVII secolo.

Di pertinenza domenicana sotto il profilo liturgico, il volume è stato quindi identificato con l'unico Salte­rio soprawissuto al disastroso incen­dio che nel 1651 devastò la chiesa e il convento di Santa Caterina. Tanto più significativa risulta dunque la sua importanza storica, in considerazio­ne della totale perdita, nell'incen­çlio, del corredo di Antifonari e di Graduali in uso presso il coro della chiesa, e che possiamo immaginare poderoso nonché - secondo la con­suetudine delle più antiche fonda­zioni domenicane - riccamente miniato. Nel giudizio di Caleca, il codice assurge quindi a preziosa

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23. "Michael", Santi (part. della fig.10 )

24 . " Michae l " , Deposizione, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

testimonianza della produzione miniata pisana di fine Du�cento, e i riferimenti culturali proposti si irra­diano a coinvolgere alcune tra le maggiori personalità artistiche del-1' epoca, nel prevalente binomio tra Pisa e Firenze: dal Maestro di San Martino e da Coppo di Marcovaldo a Cimabue. Numerose miniature risul­tano asportate dal codice; a docu­mentare la raffinata qualità della sua decorazione istoriata ne rimangono solo due, con David (c. 70r) e con la figura dello Stolto (c. 107v) (figg. 48-49). Secondo Caleca, l'autore sareb­be lo stesso artista che illustrò un altro Salterio, il Ms. 528 oggi nella Biblioteca Universitaria di Pisa cui è pervenuto dalla chiesa di San Fran­cesco: un miniatore pisano denomi­nato - per l'occorrenza - 'Maestro dei Salteri'. Non è facile, tuttavia, segui­re la proposta dello studioso: due linguaggi a mio avviso molto distanti tra loro parlano le immagini dipinte su queste antiche pagine, poiché, innanzi tutto, più moderno, ma an-

25. "Miniatore di Volterra" (? ), Ma­donna con il Bambino, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

26. "Miniatore di Volterra", Iniziale G, Volterra, Museo Diocesano, Graduale ( 1299 ).

che maggiormente legato a fermenti della pittura locale, rivela di essere l'artista che miniò il Salterio della Biblioteca Universitaria (si veda più avanti Cat. n. 80).

Una cultura ricca di sfaccettature sottendono le figure di David e dello Stolto del manoscritto cateriniano, rea­lizzate - come credo - intorno al 1280 da un miniatore toscano, probabil­mente fiorentino, che mostra contatti con la produzione illustrativa umbro­romana dell'epoca, tali da presuppor­re una diretta conoscenza di alcuni degli episodi salienti di quell'ambito e, plausibilmente, una personale fre­quentazione degli artisti che ne furo­no protagonisti.

A illustrare il Salmo 26 è - come di consueto - l'immagine di David con l'indice della mano sinistra che punta verso gli occhi; l'elegante figu­ra è seduta con le gambe accavallate, secondo l'iconografia che connota, nell ' arte del tempo, i personaggi potenti, giudici e re. La conduzione pittorica è sottile ed estremamente accurata, precisa nei più minuti par­ticolari, e così appaiono delineati quasi in punta di pennello i gentili lineamenti del volto reclinato del personaggio. Con spiccata libertà creativa l'artista interpreta la tradi­zione iconografica nella raffigurazio­ne dello Stolto (a illustrazione del Salmo 52, il cui protagonista è l' insi­piens, colui che, per aver negato l'esi­stenza di Dio, è assimilato alla figura del pazzo) 80

, rappresentato calvo e nudo , coperto solo da un manto avvolto disordinatamente intorno alle gambe incrociate, con in mano lo scettro-bastone, allusione caricatu­rale al potere temporale. La scelta cromatica è affidata a tonalità pastel­lo, dall'azzurro al grigio cinereo e al rosa.

Lo straordinario naturalismo che caratterizza le miniature del Salterio si accorda a istanze classicheggianti,

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27. "Berlingerius Vulterranus", Croci­fisso dipinto, Pisa, Museo Nazionale diSan Matteo.

di gusto neo-ellenistico, in una con­giuntura che trova nell'arte di Cima­bue un punto di riferimento centra­le. Il rimando è alla fase più antica del maestro fiorentino, precedente l'impresa di Assisi del 1288-1290 circa, e, in particolar modo, a quei dipinti connotati da un modellato vibrante e leggero, schiarito nei colori e interessato a effetti di tra­sparenza, come ad esempio il Croci­fisso di Santa Croce a Firenze, forse ancora prima del 1280, o la di poco successiva tavoletta con la Flagellazio­ne della collezione Frick a New York (Cat. n. 77). Com'è noto, il più anti­co documento esistente riguardante Cimabue lo ricorda a Roma, in rap­porto con alti esponenti della curia, nel giugno del 1272, e alla matura­zione della sua arte - nel passaggio tra il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo a quello fiorentino - dovette contribuire non poco la riflessione sulla tradizione classica e tardo-anti­ca, in parallelo con l'esperienza romana di un altro grande toscano, Arnolfo di Cambio8 1

• Un analogo percorso culturale si può forse sug­gerire per l'anonimo miniatore del Salterio di Pisa.

Significative analogie si riscontra­no infatti tra queste immagini e la produzione del Maestro del Messale di Deruta, uno dei maggiori espo­nenti della miniatura, tra l'Umbria e Roma, nel corso degli anni settanta del Duecento. Di quest'ultimo, che unisce alla componente classicheg­giante delle sue composizioni cali-

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brate la conoscenza dell'opera di Cimabue, è prospettata - con con­vincenti argomentazioni - l'origine romana82 • La figura di David (fig. 48) nel Salterio di Santa Caterinaricorda da vicino, ad esempio, i per­sonaggi a colloquio con Giobbe piaga­to (fig. 50) in una delle quattro ini­ziali ritagliate del Maestro del Mes­sale di Deruta oggi conservate nelGermanisches Nationalmuseum diNorimberga (Graphische Samm­lung, Bredt 32)83

• Affinità che pre­suppongono - mi sembra - la cono-

scenza diretta, da parte dell'artista del Salterio, di esemplari di cultura romana quali quelli appena menzio­nati, anche se, va notato, una diver­sa gentilezza figurativa con traddi­stingue il suo linguaggio, al confron­to con l'espressività più corrusca ricercata dal Maestro del Messale di Deruta, ed il modellato appare più compatto e sottile nella definizione pittorica, rispetto al cromatismo pastoso, segnato negli incarnati da bianche lumeggiature, delle minia­ture del collega romano. Anche nella decorazione delle iniziali, l'ar­tista del Salterio conferma le sue doti di misura compositiva, rivelando piuttosto un gusto ornamentale (i riquadri delle lettere bordati da una sottile fascia azzurra, il fregio vegeta­le dallo sviluppo contenuto, la sin­golare cornice quadrilobata entro cui si affaccia la figura dello Stolto)praticamente coincidente con quel­lo di un'altra serie - questa volta fio­rentina - di miniature. Si tratta di un gruppo di sei iniziali dell 'AntifonarioE della chiesa domenicana di Santa Maria Novella a Firenze, il cui auto­re ho proposto di denominare Mae­stro di San Paolo, in uno studio recente84

, da una delle sue miniatu­re più note ( San Paolo, c. 109r), in rapporto stringente con l'arte di Cimabue, ma anche con le tenerez­ze cromatiche ed espressive della pittura di Duccio di Buoninsegna. Seppure attivo in un momento leg­germente precedente, il miniatore del manoscritto pisano mi sembra

riveli strette tangenze con il linguag­gio gentile e accostante del Maestro di San Paolo (fig. 51), e, quel suo interesse precipuo per il disegno niti­do e preciso, per le pennellate sottili, trova confronti in altri codici d'origi­ne fiorentina, quali ad esempio il Mes­sale di Santa Felicita, e, in particolar modo, l 'Evangeliario di Santa Maria Nuova, anch'esso - com'è stato pun­tualizzato da Enrica Neri Lusanna - in rapporto con esemplari miniati di cultura romana85

Infine, la proposta di riconosce l'origine fiorentina del Salteriopotrebbe suggerirne l'antica desti­nazione per una comunità domeni­cana di questa città. Il codice può essere pervenuto a Pisa in epoca successiva alla sua realizzazione, ed essere stato oggetto di dono o di scambio tra i frati predicatori delle due città toscane. In proposito, va ricordato che tra il 1323 e il 1342 fu arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli, in precedenza priore del convento di Santa Maria Novella a Firenze86

, e che durante il ventennio la presenza in quest'ultima città di miniatori d'origine pisana, attivi per istituzio­ni religiose fiorentine ( tra cui lo stesso insediamento domenicano) sembra aver conosciuto un partico­lare impulso.

Miniatore di particolare origina­lità espressiva è l'autore della deco­razione del Salterio e Innario Ms. 528 della Biblioteca Universitaria di Pisa (Cat. n. 80) (figg. 52-55). Il codice proviene dal convento di San Fran-

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cesco, dove la sua presenza è co­munque accertabile solo a partire dalla fine del Cinquecento. I pochi accermi dedicati in sede critica alle sue miniature ne hanno opportuna­mente sottolineato la pertinenza pisana87

• Il riferimento è ora ribadito da Antonino Caleca, ma, come ho già osservato, riesce difficile seguire l'idea di un'identità dell'autore -denominato 'Maestro dei Salteri' -

28. Berlinghiero (Berlingerius Mela­nese ), Crocifisso dipinto, Lucca, MuseoNazionale di Villa Giungi.

con il miniatore che decorò il Salte­rio di Santa Caterina, così come pro­pone lo studioso (figg. 48-49; Cat. n. 79).

L'artista del Ms. 528 opera in un momento leggermente successivo, intorno al 1300, e, nelle sue minia­ture, i ricordi dell'arte di Cimabue passano attraverso il vaglio di una cultura aggiornata su più moderni fermenti di gusto gotico. I personag­gi da lui miniati hanno proporzioni sottili e allungate, gesti nervosi e volti curiosamente espressivi, con fronti aggrottate ( San Francesco, c. 23v) (fig. 52) e capigliature arruffa­te (David, c. 82v) (fig. 53); il model­lato è delineato da pennellate legge­re, quasi acquose, e la cromia dai toni bassi è affidata a pochi, raffina­ti, accostamenti di colore: marrone, grigio-cinereo, rosa, bianco-avorio. Nulla di simile si ritrova, all'epoca, nella più nota produzione dei miniatori di Firenze o di Siena. Al gotico elegante e sinuoso dei colle­ghi senesi, affinato sui prototipi della miniatura e dell'oreficeria oltremontana, il maestro del Salteriopisano contrappone un'espressività più tesa e drammatica, un lineari­smo angoloso, in maggiore sintonia - se si acconsente ad accostare operecosì distanti tra loro per tecnica edimensioni - con la scultura di Gio­vanni Pisano.

Le grandi perdite e dispersioni subite dalla produzione libraria pisa­na del Duecento non consentono, del resto, di ravvisare puntuali con-

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fronti in altri codici conservati pres­so conventi o istituzioni cittadine. La decorazione delle iniziali, molto sobria nel limitato svolgimento dei fregi fogliacei di un colore pastello sfumato nelle diverse gradazioni del rosa, entro riquadri dal profilo spes­so modanato (fig. 54) e dalla preva­lente bicromia blu-rosso vinaccia, mi sembra che trovi consonanze nella produzione di alcune botteghe attive a Lucca, in particolar modo nel gruppo di corali presso a poco coevi della chiesa di San Frediano, opera di un artista cui è oggi riconosciuto un più consistente corpus di miniatu­re, e che da quest'impresa è denomi­nato appunto 'Maestro dei corali di San Frediano'88

• Si tratta di conso­nanze prettamente ornamentali (le scene miniate dal maestro lucchese rivelano aspetti diversi di compostez­za formale, in sintonia con la pittura di Deodato Orlandi), ma forse indi­cative dell'ambito di scambi in cui operava l'autore del Salterio pisano.

Ai pittori di Pisa e di Pistoia, il miniatore del Ms. 528 sembra aver guardato con particolare attenzione. La Madonna con il Bambino a c. l 97r (fig. 55) ricorda molto da vicino le più antiche Madonne del Maestro di

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San Torpè ( quella affrescata nel Duomo di Pisa e l'altra conservata nella prepositura di San Lorenzo a Campiglia Marittima)89

, poco oltre il 1300, mentre la singolare tipolo­gia degli edifici alti e stretti si ritro­va simile nell'interessante, e poco noto, dipinto con la Maestà e storiedella Vergine conservato nel Museo dell'Ermitage a San Pietroburgo, per cui credo di poter condividere il riferimento, proposto con alcune riserve da Tatiana Kustodieva90, ad un artista pisano, intorno al 1300, in epoca di poco precedente rispet­to a quella indicata dalla studiosa. In ambito pistoiese, i rimandi vanno da Manfredino d'Alberto (il suo Cristo Benedicente, affrescato nel catino absidale di San Bartolomeo in Pantano negli anni ottanta del Duecento, ci appare il più conge­niale precedente del Dio Padreminiato a c . 197r) (fig. 55) all'aguz­za espressività del Maestro del 1310. Di mano di un artista estremamente affine al Maestro del 1310, ma da questi distinto, il ciclo frammenta­rio con storie della Passione affrescato nella chiesa di San Giovanni Fuorci­vi tas a Pistoia 9 1 presenta con le nostre miniature convergenze

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molto precise nell'analogo modo di ombreggiare i volti solo per metà, lasciando in piena luce la canna na­sale, che una linea continua unisce alle sopracciglia (fig. 52).

Non è dunque improbabile che l'origine del miniatore, o per lo meno, la sua sfera d'influenza, siano da individuare nella stessa Pistoia, città in cui, dopo il 1300, potette avere scambi di idee con un pittore dalla vena ugualmente eccentrica, il fiorentino Lippo di Benivieni, che qui lasciò, nella chiesa di Santa Maria dell'Umiltà, il bel dossale con il Compianto su Cristo morto, oggi con­ser vato nel Museo Civico 92. Mi domando quindi se questa congiun­tura 'pistoiese' non possa aver avuto un ruolo significativo nella forma­zione del miniatore più affine a Lippo, il Maestro del Laudario, che nelle prove più antiche giunte sino a noi, intorno al 1300, rivela un'e­spressività tagliente, senza confronti nella tendenza classicheggiante della miniatura fiorentina dell' epo­ca93. A supportare l'ipotesi di contat­ti instaurati dal Maestro del Lauda­rio con l'attività di botteghe operose lungo la direttrice Pistoia-Pisa-Lucca è la circostanza di ritrovarlo accanto

29. "Berlingerius Vulterranus", Mariae San Giovanni dolenti (part. della fig. 27).

30. Maestro della Maddalena, Madonnacon il Bambino, Annunciazione e santi(tavola centrale di un trittichetto ), New York, Metropolitan Musewn.

31 . Pittore di cultura bizantina, metà del XIII secolo, Madonna odighitria, Pisa, San Frediano.

al lucchese Maestro dei corali di San Frediano, nella sua più celebre impresa illustrativa: la decorazione dell'eponimo Laudario per la Com­pagnia dei Laudesi della chiesa di Santo Spirito a Firenze, tra il 1310 e il 1315 (Firenze, Biblioteca Naziona­le Centrale, B.R.18)94.

Del resto, la sicurezza espressiva mostrata dal Maestro del Salterio di San Francesco a Pisa, la stessa qua­lità della sue iniziali istoriate, fanno presupporre che il codice pisano non dovette costituire un caso isola­to, e che più ampia sia stata la sua produzione. Un piccolo gruppo di tre fogli miniati, provenienti plausi­bilmente da un medesimo codice (un altro Salterio) , rivela caratteri estremamente affini a quelli delle miniature pisane, tanto da consenti­re - come credo - un'attribuzione allo stesso artista. Di uno di essi non conosco l'ubicazione attuale; è appartenuto, dal 1966 al 1978, alla famosa collezione Abbey di Lon­dra95, e rappresenta un gruppo di figure davanti a un edificio nell'ini­ziale N: una scena che si ritrova quasi identica nel Salterio di Pisa ( c. 185r). Presso la Houghton Library della Harvard University si conserva il foglio con la figura di David nell'ini­ziale L (Ms.Typ 271) (fig. 56)96

, una miniatura in cui si ravvisa quell'aspet­to di linearismo tagliente, accompa­gnato da morbidezza nella resa delle forme, tipico del nostro artista; infine, si trovava fino a poco tempo fa presso la collezione Lehman di New York il foglio con la bella miniatura raffigu­rante Dio Padre Benedicente e la Madon­na con il Bambino entro la lettera B (fig. 57), praticamente sovrapponibile all'analoga immagine del codice pisa­no (fig. 55). Studiosi acuti hanno rife­rito la miniatura già Lehman da un lato a Duccio (Pia Palladino) e dall'al­tro a un pittore fiorentino in rapporto con Cimabue ( Gaudenz Freuler) 97.

Due artisti questi che dovettero rap­presentare i più significativi punti di riferimento per il miniatore pisano ( o pistoiese) qui considerato, il quale mi sembra possa essere qualificato come una delle personalità più interessanti nel panorama della miniatura toscana tra Due e Trecento.

La serie dei cinque Graduali M, N, O, P, Q conser vati nel Museo Nazionale di San Matteo (Cat. n. 84) (figg. 58-59) rappresenta uno dei più importanti cicli di corali miniati realizzati in Toscana nel primo quar­to del Trecento. Ad eccezione del Graduale Q illustrato da sole iniziali decorate; i volumi dispiegano sulle grandi pagine splendide scene isto­riate, in uno stile elegante, di alta tenuta qualitativa. Si tratta di una serie di libri ben nota agli studi, sin da quando, nel 1930 e ancora nel 1951, ne fece menzione Pietro Toe-

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sca98, che la accostò ad alcune inizia­li ritagliate della Fondazione Gior­gio Cini a Venezia, nonché ad alcuni codici conservati a Siena, nel Museo dell'Opera del Duomo e nella Bi­blioteca Comunale degli Intronati, riconoscendovi l 'opera di un note­vole miniatore senese, "tra bizantino e gotico", attivo agli inizi del Trecen­to. L'artista è uscito dall'anonimato quando, nel 1964, Giovanni Previta­li99 ne ha proposto l'identificazione con Memmo di Filippuccio, il pitto­re senese a lungo impegnato in San Gimignano ( dove è documentato tra il 1303 e il 1317), in imprese destinate a chiese cittadine ma anche di carattere civico, tra cui si annovera la decorazione di alcuni libri oggi perduti, per i quali ricevet­te pagamenti nell'agosto del 1303. Previtali considerava i Graduali di Pisa realizzati ancora entro la fine del

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32. Maestro del Crocifisso di San Mi­niato (Francesco da Pisa? ), Crocifissodipinto, Pisa, Santa Marta.

Duecento, ma nuove indagini hanno fornito dei chiarimenti riguardo alla committenza e alla cronologia: Giget­ta Dalli Regoli e Marco Paoli hanno infatti indicato l'originaria provenien­za della serie dalla chiesa di San Fran­cesco, mentre Anna Rosa Calderoni Masetti ne ha precisato la datazione intorno al 1316-1317100 • Questi studi concordano con l'attribuzione a Memmo, ribadita ora con rinnovata convinzione anche da Antonino Cale­ca. Diversamente, Alessandro Bagnoli e, più recentemente, Pierluigi Leone De Castris101 hanno proposto di risol­vere il problema sollevato dalla distan­za ( che mi sembra in primo luogo qualitativa) tra il gruppo di dipinti e affreschi di Memmo, e la straordina­ria produzione illustrativa a lui acco­stata, suggerendo per quest'ultima un riferimento alla bottega familiare del­l'artista, e chiamando in causa l'altri­men ti sconosciuto fratello Mino, anch'egli documentato come pittore.

Una proposta interessante, che mi sembra comunque difficile condivide­re a pieno, soprattutto in considera­zione della necessità di sottoporre il profilo artistico di Memmo ed il suo tradizionale catalogo di pitture ad una nuova e attenta riconsiderazione criti­ca102. In ogni caso, sorprende constata­re che Caleca trascuri del tutto lo stato degli studi su questo artista, e così tralasci di ricordare, in proposito, gli argomenti che ormai più di un ventennio fa 103 hanno suggerito di

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distinguere da Memmo e dal suo gruppo di affreschi e dipinti, impron­tato da un vigoroso linguaggio giotte­sco, le miniature, connotate da orien­tamenti di elegante lirismo, squisita­mente naturalistici, e dunque da rife­rire ad un diverso, al momento anoni­mo ,artista. Il suo più diretto e strin­gente referente è da riconoscere nel­l'arte di Duccio. Così il miniatore affianca a Siena, tra l'ultimo decennio del Duecento e i primi vent'anni del Trecento, il percorso del grande pitto­re e ne ripropone, nel campo dell'illu­strazione libraria, il modello dell'arti-

sta di successo, richiesto anche al di fuori delle mura cittadine, in centri che vedono attivo lo stesso Duccio, come Firenze e Massa Marittima. A Firenze si conserva il suo unico codice datato, l 'Antifonario della chiesa di Santo Stefano in Pane (1302); in un momento successivo della sua carrie­ra, intorno al 1320, il miniatore illu­strò per il duomo di San Cerbone e la chiesa di Sant'Agostino a Massa Ma­rittima un'importante serie di corali, che ho già proposto quale name­piece04. In questa fase avanzata, il Mae­stro dei corali di Massa Marittima rive­la piena padronanza delle rarefatte eleganze gotiche della pittura di Simone Martini, un aspetto che del resto si coglie anche in alcune delle miniature pisane (Adorazione dei Magi a c. 8lr del corale M) (fig. 58), conno­tate da un gusto narrativo più prezio­so e, credo si possa affermare, più moderno 1ispetto alle storie cristologiche dipinte da Duccio sul retro della Mae­stà per il Duomo di Siena ( 1308-1311). La stessa fisionomia naturalisti­ca dei protagonisti di queste pagine (nell'iniziale con Ognissanti del corale P, c. 97v) (fig. 59) rivela non poche affinità con la galleria di personaggi affrescati da Simone nei clipei che incorniciano la Maestà del Palazzo Pubblico di Siena, completata nel 1315.

L'impresa del miniatore per San Francesco a Pisa si affianca infatti alla presenza in città, forse sin dal 1315-

1317, della bottega di Simone Marti­ni, in grado di determinare importan­ti mutazioni culturali tra i pittori loca­li, dal maturo Maestro di San Torpè all'emergente Francesco Traini. L'in­fluenza di Simone segna inoltre l'atti­vità di quegli artisti pisani, quale il Maestro della Carità 1 05, impegnati anche nel campo della miniatura. In questa direzione si collocano, del resto, anche altri episodi, come la pre­senza nel territorio di Pistoia di un Antifonario ( da San Pietro a Vitolini) miniato intorno al 1320 da un artista d'origine senese incline a soluzioni di accentuato espressionismo gotico, e che credo autore, in un momento successivo della sua attività, anche della decorazione dello Statuto del 1337 oggi presso l'Archivio di Stato di Siena 105•

Conclusa ormai da tempo l'impre­sa del Maestro dei corali di Massa Marittima, i frati francescani di Pisa affidarono a una bottega cittadina, quella del 'Maestro di Eufrasia dei Lanfranchi', la realizzazione degli

Sono diversi i saggi che, nel cata­logo di questa mostra, fanno riferi­mento all'arte bizantina. E' un'im­postazione di metodo corretta, che svincola giustamente la pittura pisa­na da una visione troppo locale

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* * *

(come mi sembra sia avvenuto nellapur splendida mostra sul "senese"Duccio) e che rende ragione dell'a­pertura mediterranea della città aitempi che la mostra mette a fuoco. Isaggi che trattano di Bisanzio sono i

3 3 . Maestro del Cro cifisso di S an Miniato (Francesco da Pisa? ), Crocifis­so dipinto, Firenze, San Miniato al Monte.

Antifonari per la loro chiesa, non prima del quarto decennio del seco­lo (Mss. A, B, D, E, F del Museo Nazionale di San Matteo, cui si ag­giunge il Ms. 23460 della Leigh Uni­versity Library di Bethlhem, PA) 107•

Da alcuni identificato con lo stesso Francesco Traini, il miniatore ( che io ritengo sia una personalità diver­sa, seppure molto vicina nei suoi orientamenti espressivi al Traini) mostra nelle sue iniziali istoriate una caratteristica vena icastica per­corsa dal vibrante linearismo di tra­dizione martiniana, come si coglie ad esempio nel profilo serpeggiante del manto di questo Santo inginoc­chiato in preghiera (fig. 60). L'iniziale ritagliata, oggi conservata a Fran­coforte (Historisches Museum, C 16755) 1 08

, mi sembra possa essere restituita alla mano del maestro pisano in un momento estremamen­te vicino a quello degli Antifonarifrancescani, da uno dei cui mutilati volumi il frammento potrebbe forse provenire.

Ada Labriola

tre della sezione sulla "Pittura", che doverosamente segue le altre due, sulla "Storia" e sulla "Cultura", che invece ne tacciono. E' un'assenza di rilievo, perché in tal modo questo tema cruciale della pittura ( e storia)

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34

pisana manca qui di una sua adeguata contestualizzazione storica, informati­va delle presenze pisane a Costantino­poli o di quant'altro utilmente atten­ga alla documentazione dei rapporti fra le due città109 • Solo nel saggio di Michele Bacci si legge un riferimento alle "speciali concessioni di Alessio Comneno ai Pisani" fin dal 1111.

La prima opera "pisana" citata dal Bacci, nel saggio iniziale della sezione, è la "Madonna di sotto gliorgani" (Cat. n. 16) (fig. 61) che, per ovvie ragioni di culto, non è stata prestata alla mostra. Resta comun­que il rimpianto di quest'assenza perché questa "icona" segna con straordinaria evidenza l'importanza dei modelli "bizantini", che avrebbe­ro normativamente condizionato la pittura pisana ( e di altri territori). Diverso il caso della Madonna diSanta Chiara che Bacci definisce "uno dei più antichi esempi di icona prodotta in occidente" (p. 60) e che, malgrado ciò, non è stata fatta discendere dal piano di sopra del museo, di conseguenza segnalando forse un'imperfetta coordinazione nell'attività del comitato scientifico. Ancora in tema di rapporti, di debiti e crediti, fra Pisa e Bisanzio, lo stu­dioso ricorda il caso delle icone "bio­grafiche", suggerendone la possibile presenza in contesti devozionali del-

1 86

l'ortodossia in indipendenza dal vei­colo occidentale di marca francesca­na, secondo quanto suggerito dall'i­cona lignea a rilievo di S. Giorgio (XII secolo) oggi nel Museo nazio-nale Ucraino di Kiev 1 10•

È a firma degli organizzatori del­la mostra, Mariagiulia Burresi e An­tonino Caleca, il denso e lungo sag­gio sulla pittura pisana del Duecen­to, condotto con un tono discorsivo piacevole, ma assertivo e purtroppo ( questo come gli altri) privo di note e referenze bibliografiche adeguate. Bisanzio comunque, anzi Costanti­nopoli stessa, vi appare con ruolo privilegiato. A fronte della diffiden­za che ancora ispira in Italia, ancora di recente visto da autorevoli studio­si in una perpetua immobilità, non può che far piacere questa attenzio­ne alla sua grande civiltà, anche figurativa, ma si resta tuttavia per­plessi dall'utilità storica di quei rife­rimenti, se non sono incardinati su fatti concreti e su opere ben precise. Penso così al caso della straordina­ria Deesis della galleria sud di Santa Sofia (fig. 62) che da sola dovrebbe bastare a far capire la grandezza della Costantinopoli post 1261 11 ]. Forse osservazioni di dettaglio sulla sua rilevanza, o di modelli affini, non sarebbero dovute essere neces­sariamente esposte in un saggio in-

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troduttivo, ma di certo sarebbe stato utile, vista anche questa sua menzio­ne nel saggio introduttivo, che si fosse tenuto presente il suo ma­gnifico Cristo nella scheda del "Dos­sale da San Silvestro" (Cat. n. 56) (fig. 12), la cui immagine di Cristo risale, pur nelle varianti interpretati­ve, a quel modello1 1 2 •

Laddove invece il caso concreto è stato posto, il riferimento mi è parso rischioso, se non addirittura inaccet­tabile: per le miniature della Bibbia di Calci, "prodotta nel 1168 per la chiesa pisana di San Vito" (fig. 63) è anacronistico supporre che si trovi­no "in una situazione paragonabile" (p. 68) a quella dello splendido codice degli Atti degli Apostoli (Vat. gr. 1208), ormai universalmente riconosciuto fra i protagonisti degli albori protopaleologhi1 13• È, semmai, nel frantumato luminismo della co­stan tinopoli tana Nerezi, del 1 164 (fig. 64), che qualche spunto di tan­genza lo si può cogliere con la deco­razione della Bibbia; dovette essere comunque la Bisanzio di metà XII a offrire i modelli tanto ai miniatori di Calci quanto ai pittori di Kurbinovo a fine secolo114.

Quanto d'altronde i modelli di Bisanzio, costantinopolitani o non, fossero stati influenti sull'ambiente pisano, lo si può esplicitamente

36

34. Particolare della fig. 32.

35. Francesco da Pisa, Cristo in Maestà(part. ), Pisa, Duomo.

36. Particolare della fig. 32.

37. Particolare della fig. 33.

38. Maestro del Crocifisso di SanMiniato (Francesco da Pisa? ), Annun­zio a Zaccaria (part. ), Firenze, Batti­stero.

cogliere da un confronto, da me già formulato in altra sede, fra quest'ico­na greca del Museo di Kastoria (fig. 65) e un Crocifisso di Volterra (fig. 66),attribuito a quel Maestro di Castelfio­rentino di cui in mostra si espone,sotto il nome di "Michele di Baldovi­no" (fig. 10), la Croce da San Giovan­nino dei Cavalieri (Cat. n. 45) 1 1 5;oppure, volendosi estendere il feno­meno fino a comprendere Cimabue(la cui presenza pisana peraltro è sot­tolineata fin dal titolo della mostra),fra questi personaggi veterotestamen­tari: l'uno a Sopoéani (fig. 67), glialtri sulla pala di Santa Trinita oggiagli Uffizi (fig. 68) 1 16 •

Nel saggio, di Lorenzo Carletti,

37

1 87

dla dtùlum1Tu1no 1ittt.qncao rpm. ouata,un1 m unmtnouttros�1m iim1mmt,qmaonm o.mallsro11f1l1 um qucnmr.uo1t11? 1llum111ano11é�nnnt� (L aro1�-rducrtir_ nntnrue c.nuhttnmuum nma aluntro confu

39

che si indirizza alla "Fortuna e sfor­tuna della pittura del Duecento", mi ha fatto molto piacere leggere quella citazione di Della Valle, che critica il Vasari e la sua idea che "da Cimabue e dalla scuola fiorentina deriva il risor­gimento dell'arte in Italia". Certo, il Della Valle non intendeva contrappor­re Costantinopoli a Firenze, ma Pisa, restando in una prospettiva per così dire "locale"; tuttavia alla validità del suo dissenso avrebbero dato ragione secoli dopo quegli studi che conte­stualizzarono icone e pittura su tavo­la toscana duecentesca al più vasto fenomeno della bizan tinizzazione e del bizantinismo mediterraneo. Mi limito, in proposito, a ricordare sol­tanto il saggio di James Stubblebine al simposio di Dumbarton Oaks del 1965, il libro di Demus sull'Arte bizantina e l'Occidente, pubblicato nel 1970, l'articolo del 1973 su Giun­ta Pisano di Boskovits, unica voce che, a mia conoscenza, si sia levata dalla Toscana a tentare una com­prensione di questo fenomeno in un quadro di possibili referenze medi­terranee117.

Nel catalogo stesso queste neces­sarie ed essenziali embricazioni ven­gono tuttavia spesso dimenticate, anche per colpa, duole dirlo, di una ricerca bibliografica troppo frettolo­sa. E' questo il caso della cd. Croce n. 20 (Cat. n. 7) (fig. 1) , sulla quale infatti non viene registrato, tanto

188

meno viene discusso, l'essenziale confronto con Studenica, proposto da Demus (fig. 69). Non modifica la sostanza del debito "a oriente" l' e­ventuale anticipazione cronologica della croce, proposta da Angelelli, per diretta dipendenza dalla Costan­tinopoli di fine XII, evitandosene la cogenza cronologica della mediazio­ne serba 1 1 8

• Per la provenienza costantinopolitana del pittore di Stu­denica l'ipotesi è assolutamente verosimile, purché si escluda ogni relazione con quei monumenti più espressivamente "tardo-comneni", da Kastoria a Kurbinovo, con i quali il pittore "pisano" e il suo ideale ascen­dente attivo in Serbia non spartisco­no nulla 1 19

• Non riesco invece a cre­dere verosimile l'appartenenza del pittore della Croce alla "civiltà del­l'Oriente cristiano", come si scrive nel saggio di apertura del catalogo (p. 71), proprio perché mi pare che siano i modelli, non la sua qualità pittorica, a condizionarne l'aspetto "orientale".

A proposito di Giunta, emergenza massima dei rapporti fra Pisa e Bi­sanzio, mi limito qui a ribadire l'im­portanza dei suoi debiti con la pittu­ra costantinopolitana, che aldilà del riferimento dello Stubblebine all'i­cona sinaitica di tardo XII secolo della Crocefissione, o dell'ampio arco di ideali referenze "neo-elleni­stiche" di Boskovits, dall'età macedo-

39. Miniatore di cultura bizantina, se­conda metà del XIII secolo, Iniziale V,Pisa, Biblioteca Universitaria, Ms.536.

40. Miniatore di cultura bizantina, se­conda metà del XIII secolo. Visione di Zaccaria (miniatura ritagliata), LosAngeles, J. Paul Getty Museum.

ne fino ai prodotti dello scriptori.um di San Giovanni d'Acri, deve, per ragioni di cronologia, indirizzarsi sul monumento più significativo di esportazione costantinopolitana di immediata precedenza: la campagna di affreschi della chiesa del monaste­ro di Mileseva, anteriore al 12281 20

Con tutte le riserve che impone sia la suprema qualità dei pittori attivi in Serbia, sia pure la pressocché certa constatazione che nessun pisa­no raggiunse mai il monastero serbo, non è affatto improbabile che il Giunta di Pisa abbia conosciuto modelli pittorici che riflettessero quella loro grandezza e, con qualche sgarbo disegnativo, ne abbia recepi­to le istanze pittoriche. Se tuttavia Giunta è dawero lo stesso pittore del dossale di San Francesco (Cat. n. 13), va comunque detto .che lì resta più ancorato all'intenso luminismo e alle sigle disegnative tardo-comnene, sulla scia di Nerezi, con alcune delle cui figure l'angelo superstite (fig. 70) ha piena consonanza pittoricamentre la figura stessa di San Fran­cesco per sigla espressiva sembraapparentarsi piuttosto con la "fase"di Kurbinovo121

• E' comunque rile­vante quanto si ponga in ideale con­tinuità con le eccelse immagini diMiles eva - che si tratti del famoso"angelo bianco" o della Vergine del­l'Annunciazione (fig. 71) - un'iconacome quella da San Biagio a Cisanel­lo ( Cat. n. 35) (fig. 72), che eviden­te men te tentava di replicare nellaVergine, non diversamente dal Mae­stro di San Martino nella sua palaeponima ( Cat. n. 31), un modellod'importazione122

Al quesito della formazione giun­tesca è stato contestualizzata da Boskovits, come ho ricordato, l'atti­vità dello scriptorium di Acri. Dalla critica, come ben noto, è stata peral­tro vista una sua stretta attinenza con i pochi, residui frammenti pittorici

della Costantinopoli latina, quelli ritrovati nella chiesa divenuta in seguito la moschea di Kalenderha­ne123. Nel saggio di apertura di Burre­si e Caleca si legge che le "caratteri­stiche stilistiche di queste scene sono compatibili con un'origine pisana del loro autore, da collocare nella scia dello stesso Giunta" e che "la presenza di un maestro pisano, o comunque di cultura giuntesca, in Costantinopoli, è in questo caso incontrovertibile, e dà testimonianza del fatto che gli scambi tra Odente e Occidente esistevano nelle due dire­zioni" (p. 74). Quest'ultima asserzio­ne non può che essere in linea di principio condivisibile; ma non me la sento di concordare sui toni di certezza riguardo quei frammenti costan tinopolitani, coinvolgendo essi una circolazione pittorica di ben più complesse congiunture, nelle quali Venezia/Padova e l'Umbria entrano anch'esse in gioco 124. Per quel che concerne invece l'ipotizza­ta presenza di latini nell'ampio arco delle terre d'oltremare (aldilà della specifica questione della Terrasan­ta) ricordo qui che di recente è sta­to proposto, da una studiosa di sicu­ra competenza, che un'icona della Vergine col Bambino, del Museo Bizan­tino di Atene, finora ritenuta "bizan­tina" debba invece essere considerata dipinta "by a Latin painter, probably living and working in Cyprus in the early years of the Lusignan rule"125. È il problema che, a livelli qualitativi ben più alti e dunque di conseguen­ze storiografiche ben più decisive, si ripropone per le celebri MadonneKahn e Mellon di Washington, su cui qui naturalmente non c'è spazio per intervenire 126.

Fra le altre opere esposte su cui, a mio avviso, si sarebbe potuto dire

qualcosa di più in direzione del nor­mativo ascendente bizantino, ricor­do la Madonna del possibile "Asinel­lus" (Cat. n. 39) che ricolloca il Fi­glio nella Sua giusta "posizione" sul braccio sinistro ( dunque ignorando il modello della Madonna di "sotto gli organi") e ripropone esplicita­mente il presentimento materno della passione del Figlio, verso il quale indirizza il Suo sguardo dolen­te, secondo le note istanze devozio­nali sottolineate dallo scritto d'aper­tura di Bacci.

Lo sguardo della Madre è invece fisso sul fedele nell"'icona" da San Giovannino dei Cavalieri (Cat. n. 54) (fig. 73), cui si può accostare questa icona sinaitica (fig. 74) per il suo sistema di lumeggiature, ma ancor più per la sua valenza di esempio della stretta correlazione fra le icone sul Sinai e la "maniera graeca" in Toscana, di cui ho discusso altrove127• Nello specifico ambito di nostro in­teresse la questione investe la Ma­donna dei mantellini, già ritenuta del medesimo Maestro, detto dei Santi Cosma e Damiano per la sua opera conservata nell'omonima chiesa pisa­na (Cat. n. 53) 128. Quanto d'altronde la circolazione fosse ampia lo si deduce da quest'altro confronto di impostazione iconografica, dunque di modello, fra l'icona da San Miche­le in Borgo (Cat. n. 28) (fig. 75) e questa russa (fig. 76), già pubblicata da Vladimir Sarabianov129.

Poiché ne ho parlato altrove, discutendo alcune di queste icone (mi duole dirlo, senza essere citato), non sto qui a dilungarmi su altri nessi fondamentali con l'Oriente bizantino, come i fondi architettoni­ci, per struttura e per colore, delle pale biografiche, che si tratti di quella di Santa Caterina (Cat. n. 51)

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o quella assisiate di San Francesco( Cat. n. 14) 130. Vorrei però ancoraricordare il grande interesse, nellaprospettiva di questa recensione, del bel frammento della Madonna colBambino della chiesa di San Frediano(Cat. n. 57) (fig. 31), nel quale misembra si riflettano accenti di etàpaleologa, che si innestano ambigua­mente su sostrati tipologici "fiorenti­ni". Credo infatti che sia proponibileun suo accostamento ideale, per com­posizione e monumentalità, a iconedella Macedonia nella traiettoria da quella di San Clemente di Ocrida( differentissima peraltro nel ductuspittorico) a quella già trecentesca daBanjani oggi nel Museo di Skoplije(fig. 77), mentre le soluzioni formalidi particolari come la calotta cranicae la capigliatura del Cristo Bambinovariano modelli usati nell'area diMeliore, p.e. nella Madonna all'ArtInstitute di Chicago'31 •

Nella mostra era prevista anche la presenza di un'opera pur esplicita­men te dichiarata "non pisana", clas­sificata nell' Index di Garrison come eseguita "under strong Pisan influen­ce": la Madonna delle V ittorie di Piazza Armerina (Cat. n. 19). Non pervenu­ta per le esigenze devozionali, ne resta tuttavia la memoria in catalogo, dove essa appare piuttosto isolata, iconograficamente e stilisticamente. Di non primissima qualità, soprattut­to nella figura del Bambino, di indu­rita traduzione dall'acrobatico modello della cd. "Kykkotissa", mi domando se essa possa sostenere davvero l'alta data di fine XII secolo ed essere esito della stagione bizanti­na "tardo-comnena", di cui in Sicilia Monreale è esponente esemplare132. Aldilà di altre osservazioni di caratte­re stilistico, il dubbio è dettato anche dalla presenza dei nimbi a pastiglia -

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allora ancora inediti oppure di pre­cocissima apparizione nella stessa Cipro, dove pare abbiano iniziato ad essere usati' 33

• Dalla Sicilia sarebbe stato forse più utile il tentare l' espo­sizione di altre opere, che con Pisa o con la Toscana hanno ben più stret­te tangenze, anche se forse soltanto trasversali per le comuni dipendenze dalla "maniera greca": così nel caso della bella "icona" di Madonna colBambino del Museo Regionale di Palermo, conosciuta con il pur dubi­tativo riferimento a "pittore pisano", oppure dello splendido Crocefisso di Santa Lucia a Siracusa'34 (fig. 78).

Non mi è facile comprendere la ragione della presenza di un'altra opera, peraltro assai interessante: l'i­cona dell'orfanotrofio femminile col Cristo in trono fra i Santi Pietro e Paolo(Cat. n. 96). Come nel caso del cele­bre epistilio del Battistero, anche qui, in tutt'altro contesto cronologico, si è infatti di fronte a una ricezione, o rea­zione, in terre latine a modelli greci, circoscritti peraltro alla sola figura dell' "attore" principale, della cui icona si voleva evidentemente ripro­porsi la prestigiosa immagine, affian­candola ai ritratti apostolici dipinti ormai secondo i moduli stilistici del gotico occidentale. Poiché l'opera non ha un sicuro contesto di prove­nienza pisana, mi parrebbe comun­que più che giustificato l'avanzare dubbi sulla sua originaria pertinenza alla città o alla sua regione. La presen­za della scritta in greco mi fa a sua volta propendere per un ambiente d'origine che potrebbe situarsi in un'area linguistica e devozionale di stretta inerenza greca, come potrebbe essere stata l'Italia meridionale; a una data a mio avviso un pochino poste­riore a quanto proposto in catalogo e già dentro la II metà del XIV secolo135

Valentino Pace

( 1 ) Cimabue a Pisa. La pittura pisana clel Duecento cla Giunta a Giotto, catalogo della mostra a cura di M. BURRESI E A. CALE­CA, Ospedaletto (Pisa) 2005 .

(2) Ibidem, p. 1 1 .

( 3 ) Mostra Giottesca. Catalogo, Bergamo 1937. Rispetto agli ottanta dipinti discussi con schede critiche nell'esposizione pisana, quella giottesca presentava ben centottanta­nove opere.

( 4) M. BOSKOVITS, The Origins of Fio­rentine Painting, 1 100-12 70. A Criticai ancl Historical Corpus of Fiorentine Painting, Sec. I,

190

41

Vol. I, Florence 1993, p. 53 fig. 32 e p. 54 n. 103.

(5 ) Cfr. W. ANGELELLI, Studenica andthe Byzantine Elements in Cross No. 20 in Pisa, in Studenica et l ' art byzantin autour de l ' année 1200, Atti del Convegno del 1986, a cura di V. Koraé, Belgrad 1988, pp. 32 1-327.

(6) Mi permetto di ricordare almenoalcuni contributi recenti relativi a Giunta, del tutto ignorati nel catalogo: Boskovits, 1993, pp. 76-81 ; L. BELLOSI, Giunta Pisano, in Duecento. Forme e colori del Medioevo a Bolo­gna, Catalogo della mostra di Bologna a cura di M. Medica e S. Tumidei, Venezia

2000 (a ) , pp. 203-2 07 ; A. TARTUFERI , Giunta cli Capitino, detto Giunta Pisano, in Dizionario biografico clegli italiani, LVII, Roma 2001 , pp. 67-74.

(7 ) Cfr. Bellosi, 2000 (a ) , p. 206 e L . BELLOSI , Approfondimenti in margine a Cimabue, in "Mitteilungen des Kunsthistori­schen Institutes in Florenz", XLIV, 1, 2000 (b) , pp. 45-46 e 62 n . 3 . Per la Madonnadella raccolta Acton, attribuita da Boskovitsall ' autore della croce dipinta del Museo diSan Matteo a Pisa - proveniente dalla chiesadi San Paolo a Ripa d'Arno (Cat. n. 1 2) - ,insieme al Crocifisso della Galleria Regionaledi Palermo, cfr. A. TARTUFERI , Giunta

41. Maestro di Santa Cecilia ( GaddoGaddi? ), San Nicola da Tolentino,Livorno, San Jacopo in Acquaviva.

42. Giotto e bottega, Sant 'Eugenio(part. di polittico, prima del restau­ro), Firenze, Santa Maria del Fiore.

43. Giotto e bottega, Sant'Eugenio (par­ticolare di polittico, dopo il restauro),Firenze, Santa Maria del Fiore.

Pisano, Soncino (Cremona) 1991 , pp. 78-79 e qui sotto la nota 44. Per i frammenti in pergamena della Pinacoteca di Gubbio rife­ribili a Cimabue, cfr. L. BELLOSI, Cimabue, Milano 1998, pp. 236-239.

(8) A. TARTUFERI , Una Madonna colBambino e alcune note di pittura fiorentina del Duecento, in "Arte Cristiana", LXXXVIII, 2000, pp. 1 3-18 .

(9) H. THODE, Studien zur Geschichte der italienischen Kunst im XIII Jahrhundert, in "Repertorium fiir Kunstwissenschaft", XIII, 1890, p . 1 6, attribuiva un gruppo di Crocifissi dipinti, oggi in genere riconosciuti al 'Mae­stro dei crocifissi francescani' , al seguito di Giunta, mentre L. VENTURI (Storia dell'Arte italiana, V, Milano 1907, p. 18) li riconosce­va a Giunta stesso. Per un aggiornato punto critico sull' importante personalità del pitto­re, cfr. M. BOSKOVlTS, Sul 'Maestro dei ero-

cifissi francescani ', in Duecento. Forme e co­lori . . . , Venezia 2000, p. 1 86.

( 10) Mi riferisco, ad esempio, ai testi diK. KRÙGER, Der friihe Bildkult des Franziskus in Italien: Gestalt- und Funktionswandel des Tafelbildes im 13. und 14. jahrhunderts, Berlin1992, pp. 206-209; Boskovits, 1 993, p. 1 03 n .197; C. FRUGONI, Francesco e l 'invenzionedelle stimmate, Torino 1993, pp. 335-345 epassim; E. LUNGHI, Il Crocifisso di GiuntaPisano, Assisi 1995, pp. 77-78 n. 1 56 ; L. B.KANTER - P. PALLADINO, in The Treasury of Saint Fran cis of Assisi, catalogo del lamostra a cura di G . Morello-L .B . Kanter(New York) , Milano 1999, pp. 55-58.

( 1 1 ) Già Boskovits ( 1993, p. 84 n. 158) aveva accostato il frammento al Maestro di Calci, suggerendo una datazione da circo­scrivere tra il 1 203/04, quando si cominciò ad eseguire la decorazione della facciata di San Michele degli Scalzi e il 1 252, quando un visitatore dell'ordine pulsanese ritiene l ' arredo artistico della chiesa troppo son­tuoso.

( 1 2) J . H. STUBBLEBINE, A Crucifix for Santa Bona, in "Apollo", CXXV, 1 987, pp. 1 60-165 .

( 13j Boskovits, 1993, pp . 87-88 e n . 1 62 .

( 14) Questa personalità fu awistata per la prima volta da E.B. GARRISON, Addenda ad Inclicem, I, in "Bollettino d'Arte", XXXVI, 1 95 1 , pp. 206-208. L' identificazione con l 'autore della croce di San Miniato al Mon­te fu operata indipendentemente da A.

TARTUFERI, Un libro e alcune considerazioni sulla pittura del Duecento in Italia centrale, in "Arte Cristiana", LXXVI, 1 988, pp. 433-434 e 439-440 nn. 22-24 e L. BELLOSI, Umbri e toscani fra Due e Trecento, catalogo della mostra, Torino 1988, pp. 40, 42-43 e n . 2 . Cfr. inoltre A. TARTUFERI, La pittura a Firenze nel Duecento, Firenze 1990, pp. 41-42, 99; Tartuferi, 2000, pp. 1 3-18. Di recente è stato sottolineato che il ruolo dell' artista nel fornire i disegni per la decorazione musiva del Battistero di Firenze dovette essere in realtà molto più importante di quanto ritenuto finora, cfr. M. BOSKO­VlTS, Visti da vicino. Appunti da un ' ispezione dei mosaici del Battistero fiorentino, in "Arte Cristiana", LXXXIX, 200 1 , p. 192 n. 38.

( 15) A. TARTUFERI, in L' arte a Firenze nell'età cli Dante 1250-1300, catalogo della mostra a cura di A. Tartuferi e M. Scalini, Firenze 2004, pp. 57-59 e 1 06.

( 16 ) Cfr. A. TARTUFERI, I ''primitivi " ita­liani della National Gallery a Londra: un nuovo catalogo e a lcune considerazioni, in "Arte-Documento", n. 3 , 1 989, pp. 54 e 57 n . 50; Tartuferi, 1990, pp. 39 e 53 n . 1 3. Peril riconoscimento della matrice culturaleveneziana del dipinto, cfr. Boskovits, 1993,p . 1 34 n. 284.

( 1 7) Per il Maestro della Sant'Agata e labibliografia relativa, cfr. A. TARTUFERI , Riflessioni, conferme e proposte ulteriori sulla pit ­tura fiorentina del Duecento, in L' arte a Firen­ze . . . , cit., 2004, pp. 56-57 e p. 88.

(18) Su questo singolare innesto cultu-

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44 45

44. Maestro della Bibbia di Corradi­n o, San Michele Arcangelo, Pisa,Museo Nazionale di San Matteo,Antifonario, c.45v.

45. "Miniatore di Volterra", Presenta­zione al Tempio, Volterra, Museo Dio­cesano, Graduale, I, c.36v (1299).

46. Maestro degli Antifonari di SanRomano a Lucca, Ritratto dell'autore(Raimondo de Peiiafort) , Firenze,

46

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. .,.. ' /. . • tt r nimuf.di' lwtn mnruu( "��a Otucrtif auctaUI · tlu1'to �llLl

Biblioteca Medicea Laurenziana, San Marco 481, c. lr.

4 7. Maestro degli Antifonari di San Romano a Lucca, Figura con corona, Firenze, Biblioteca Medicea Lauren­ziana, San Marco 481, c. 69v.

48. Miniatore fiorentino del 1280 cir­ca, David, Pisa, Biblioteca di SantaCaterina, Ms. 190, c. 70r.

49. Miniatore fiorentino del 1280 cir-

J ·,

ca, lo Stolto, Pisa, Biblioteca di Santa Caterina, Ms. 190, c. 107v.

50. Maestro del Messale di Deruta,Giobbe piagato, Norimberga, Germa­nisches N ationalmuseum, GraphischeSammlung, Bredt 32.

51. Maestro di San Paolo, Cristo Benedi­cente e santo apostolo, Firenze, Archivio del Convento di Santa Maria Novella,Antifonario E, n. 1354, c. 34v.

48 49

50 51

__ npn

193

52

rale fiorentino si veda C . VOLPE, Sulla Mostra clei dipinti senesi clel contado e della Maremma, in "Paragone", VII , 1 956, n. 73, p . 52 e L. BELLOSI, Il percorso cli Duccio, in Duccio. Alle origini della pittura senese, catalo­go della mostra di Siena a cura di A. Bagno­li e al. , Cinisello Balsamo (Milano) 2003, p. 132 e figg. 32 , 34.

( 1 9 ) C . L . RAGGHIANTI , Pittura clel Dugenta a Firenze, Supplemento a Sele Arte n. 20 , 1 955, p . 1 2.

( 20) E. CARLI, Pittura medievale pisana.Milano 1958, pp. 43-44.

( 2 1 ) P. FERRETTI, (in Problemi della jJit­tura jJisana clel Duecento: un Crocifisso inedito a Pisa e il 'Nlaestro della Croce cli Calci ', in "Arte Cristiana", LXXV, 1 987, pp. 307-3 1 6) stacca dalle opere del Maestro di Calci le tavole oggi a Pisa e Volterra e vi aggiunge la Croce di S. Michele degli Scalzi attribuitagli dal Ragghianti, mentre Boskovits ( 1 993, pp. 82-84 e 9 1 ) aggiunge al catalogo la tavola di S. Caterina nel Museo Nazionale di Pisa, ipotiz­zando inoltre, seppure con prudenza, l 'ap­partenenza al medesimo autore del fram­mento d'affresco raffigurante Abramo che si avvia con il figlio per compiere il sacrificio, pro­veniente da San Michele degli Scalzi e oggi pure nel Museo Nazionale (n. 4 del Catalo­go della Mostra) . Nel frattempo Tartuferi ( 1990, p. 21 n. 34 e p. 22 n. 40) aveva messe in dubbio le attribuzioni, ma non le data­zioni suggerite nel lavoro della Ferre tti . Successivamente M. BURRESI ( Le Croci dijJinte, Pisa 1 993, pp. 32, 83, 84) e M. BUR­RESI, L. CARLETTI e C. GIOMETTI (I jJit­tori dell 'oro. Alla scoperta della pittura a Pisa nel Medioevo, Pisa 2002, pp. 34, 40) si limita-

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no a r icordare alcune componenti de l gruppo di opere in questione, lasciandole nell'anonimato e senza far riferimento alla precedente vicenda critica. Tace sul Mae­stro di Calci anche E. CARLI (La pittura a Pisa dalle origini alla 'bella maniera ', Pisa 1 994, p . 20) che considera la tavola di S. Caterina (n . 51 del Catalogo della Mostra) opera anonima del secondo Duecento.

(22) R. LONGHI, Giudizio sul Duecento( 1 948) , rist. in Edizione delle opere complete di R. Longhi, VII, Firenze 1974, p. 29.

(23) Chi scrive (Boskovits, 1993, p. 82 n .1 85 ) ne aveva suggerita una dataz ione intorno al 1 230, ipotizzando che in origine l 'opera fosse destinata alla chiesa dei dome­nicani di Pisa, dedicata appunto a S. Cateri­na , e p ervenuta so lo in un secondo momento alle monache del medesimo ordi­ne. Che la data contenuta nella leggenda possa essere vicina a quella effettiva dell'e­secuzione è stato proposto invece da Tartu­feri ( 1991 , p. 18) . Entrambi i suggerimenti sono evidentemente sfuggiti ai compilatori del catalogo.

(24) Un' ipotesi interessante, ma difficileda sostanziare, è quella proposta da Antoni­no CALECA ( in Momenti dell'arte a Volterra, catalogo a cura di M. Burresi e A. Caleca, Volterra 1 98 1 , pp. 7-8 e in interventi succes­sivi) , secondo cui Alberto sarebbe identico con Adalberto, entrambi qualificati come "scriptor" nella lista di spese redatta nel 1 1 68, relativamente alla monumentale Bib­bia Atlantica detta di Calci, oggi conservata nel Museo Nazionale di Pisa. Non mi è chia­ro perché lo studioso attribuisca la respon­sabilità della splendida decorazione miniata

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del manoscritto in quattro volumi ad Alber­to (od Adalberto) e non piuttosto a Vivia­no , l 'unico indicato con la qualifica ma­gister. In ogni modo la proposta, registrata nel catalogo della mostra come dato di fatto, non risulta recepita dalla critica; cfr. G. VALAGUSSA, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, a cura di M. Bollati, Mila­no 2004, pp. 3-4.

(25) Come osservato da E. SANDBERGVAVALÀ (La croce dipinta italiana e l 'iconogra­fia della Passione, Verona 1929, pp. 79-93) , i crocifissi con il Cristo morto cominciano a diffondersi in I talia centrale intorno al quarto decennio del Duecento, e in anni non tropo lontani, comunque entro la metà del secolo , deve essere stata realizzata anche la Croce di San Giovannino dei Cava­lieri, oggi nel Museo Nazionale pisano (n. 45 della Mostra) . La sua esecuzione è pro­babilmente preceduta dall ' altro Crocifisso (n . 42 della Mostra) , dal disegno più forte­mente stilizzato, proveniente da Sant'An­drea in Chinseca e oggi in San Martino. Nel catalogo della mostra entrambi vengono riferiti , erroneamente a mio avviso, alla seconda metà del secolo. Giova ricordare comunque che l ' iconografia del Christus patiens era nota in Italia anche prima, e non dipende necessariamente da influssi bizan­tini. Ne è esempio la stupenda Croce di San Matteo (Cat. n. 7) , a proposito della quale non so per quale motivo il catalogo affermi che "compare qui per la prima volta in Occidente la figura del Christus patiens" . Esempi di questa iconografia compaiono in Occidente già fin dal IX secolo (cfr. G. SCHILLER, Ikonographie cler christlichen Kunst, II, Gutersloh 1968, p . 1 18) e almeno dal XII secolo ne esistevano esempi anche a

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52. Miniatore pisano ( o pistoiese) del1300 circa, San Francesco, Pisa, Biblio­teca Universitaria, Ms. 528, c. 23v.

53. Miniatore pisano ( o pistoiese) del1 300 circa, David, Pisa, BibliotecaUniversitaria, Ms. 528, c. 82v.

54. Miniatore pisano ( o pistoiese) del1300 circa, David salvato dalle acque,Pisa, Biblioteca Universitaria, Ms.528, c. 1 13r.

55. Miniatore pisano ( o pistoiese) del 1300 circa, Dio Padre e Madonna con ilBambino, Pisa, Biblioteca Universita­ria, Ms. 528, c. 197r.

Pisa, come dimostra uno dei rilievi della porta bronzea di Bonanno nel Duomo.

(26) E .B . GARRISON, Italian Romane­sque Panel Painting, Firenze 1949, pp. 1 88, 203, dove le due tavole figurano sotto il nome convenzionale di Castelfiorentino Cross Master.

(27) Ferretti, 1 987, pp. 309-315 . Garri­son ( 1949, p. 1 79) aveva riferito la tavola di San Pietro in Vinculis ad un "San Pierino Master". Allo stesso artista lo studioso ascri­ve , correttamente a mio avviso, anche la Croce oggi in San Martino, citata nella nota 25. Curiosamente la critica fino a tempi

recenti ignorava il fatto che la tavola dalle proporzioni insolitamente massicce inclu­desse un'altra croce più sottile ed evidente­mente più antica, con le tabelle laterali di forma circolare, della tipologia dunque che è nota da alcuni esempi dell 'XI e XII seco­lo. Cfr. E .B . GARRISON, Post War Discove­ries, Early Italian Paintings - V, in "Gazette des Beaux-Arts", Ser. VI, XXXIV, 1 948, pp. 6-14 . Il catalogo informa che la Croce piùpiccola, inserita ad intarsio nell'altra, è incastagno, diversamente dalla consuetudineitaliana di usare il pioppo come supportoper dipinti su tavola. L' informazione nonviene però integrata da un disegno schema­tico sulla costruzione del peculiare insieme,né si danno indicazioni sulla presenza dieventuali tracce di colore sulla tavola piùantica. Questa, infatti, potrebbe essere statasolo "restaurata" dal Maestro di Castelfio­rentino perché danneggiata, e in quel casosarebbe importante sapere quanto rimanedell'immagine più antica. Né si può esclu­dere d'altronde che il legno di castagnofosse inserito nella tavola più grande per­ché proveniente da un venerato oggetto diculto, come ad esempio nel caso della Paladi San Zanobi nel Museo del Duomo diFirenze che si riteneva fosse costruita nellegno di un albero miracoloso ( cfr. Bosko­vits, 19

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93, pp. 292-303) .

(28) Il dipinto fu esposto a Firenze nel1937 (cfr. Mostra giottesca . . . , 1 937, p. 32 n. 64) come opera di anonimo fiorentinodella seconda metà del XIII secolo , persegnalazione di Ugo Procacci. Venne rico­nosciuto poi di origine pisana e affine allostile di Enrico di Tedice dal Ragghianti

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( 1955, p. 10 ) , mentre Carli ( 1 958, p . 47) lo considera lavoro influenzato da Berlinghie­ro e Tartuferi ( 1 990, pp. 14 e 22 n. 41 ) , ten e n do presente anche u n ' op in ione manoscri tta d i Richard Offner, torna a riproporre l 'origine fiorentina della tavola. Dopo tali precedenti non è facile compren­dere perché il catalogo della mostra pisana sostenga la paternità di Enrico "in una fase particolarmente solenne", tra il 1 240 e il 1 250. In realtà la data sembra plausibile; resta invece difficile da accettare il riferi­mento ad Enrico, il quale negli anni indica­ti doveva eseguire opere come la Croce fir­mata di San Martino a Pisa, diversissima dalla tavola di Peccioli. Quanto a quest'ulti­ma, di orientamento ormai giuntesco nella salda costruzione delle forme, soprattutto tramite il confronto dei busti di angeli con le parti meglio conservate della tavola di S. Verano a Brera, si rivela lavoro della fase tarda del Maestro di Castelfiorentino.

( 29 ) A proposito del l ' altro pannello della Propositura di San Verano a Peccioli (Cat. n. 43) , che alla mostra è attribuito, seppure con riserva di dubbio, a Michele di Baldovino, viene opportunamente chiarito che non si tratta, come per molto tempo sostenuto dalla critica, di un'immagine di S. Verano e le sue storie, bensì di S . Nicola. Si precisa inoltre che l'opera giunse alla sede attuale solo nel 1881 , come dono del colle­zionista Giuseppe Toscanelli: viene da pen­sare che con tale dono si volesse risarcire la comunità di Peccioli della perdita della vera immagine di S. Verano, alienato qualche tempo prima e pervenuto in tempi recenti a Brera. In ogni modo la Pala raffigurante

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S. Nicola e quattro episodi della sua leggendanon ha nulla a che fare né con la pittura fir­mata dal presunto Michele ( su cui si vedaoltre la nota 3 1 ) né con le tavole attribuibiliall'autore della Croce di San Pierino. Non soper quali motivi il catalogo della mostra lodica proveniente dalla chiesa di San Nicoladi Pisa, ma c'è da dubitare fortemente dellasua origine pisana. Infatti Gaetano Milanesi(in G. VASARI, Vite, ed. a cura di G. Milane­si, I, Firenze 1878, p. 365, n. 3 ) , che aveva visto questa tavola ancora prima che venissein possesso del Toscanelli, presso gli anti­quari Lombardi e Baldi di Firenze, lo dicedi provenienza aretina e i caratteri stilisticidell'opera (in realtà piuttosto mal leggibileper le consunzioni della superficie dipintae per le invasive integrazioni pittoriche )non sembrano contraddire agli orienta­menti di un pittore che, proveniente dal­l 'Umbria, poteva lasciare l 'opera ad Arezzoverso la metà del XIII secolo. Un'altra delletavole attribuite a "Michele di Baldovino"nel catalogo della mostra pisana (n . 46) è ilCrocifisso della chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano a Rigl ione . La scheda relativalamenta lo scarso interesse della critica perquesto dipinto, anch ' esso pervenutoci inassai precarie condiz ioni conservative ,mostrando di non conoscere l ' intervento diL.C. MARQUES (La peinture du Duecento enltalie centrale, Paris 1987, p. 295) che lo defi­nisce lavoro di anonimo artista pisano del 1275 circa, e soprattutto quello del Bellosi (L. BELLOSI, Su alcuni disegni italiani tra la fine del Due e la metà del Quattrocento, in "Bol­lettino d'Arte " , LXX, 1 985, pp. 3 e 40 n . 1 6) che attribuisce i l dipinto alla mano del­l 'autore della Croce di Santa Marta a Pisa, artista su cui si veda oltre questo stesso

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intervento e l e nn . 48-53. Comunque, indi­pendentemente dal giudizio sulla paternità, la grande delicatezza del modellato della Croce di Riglione, e il motivo del perizoma trasparente, rivelano qui un pittore che lavora ormai sotto l' influenza del Cimabue della piena maturità, probabilmente verso il penultimo decennio del XIII secolo. Si trat­ta dunque di un artista più giovane di alme­no una generazione dal cosiddetto "Miche­le di Baldovino" e del Maestro di Castelfio­rentino.

(30) Cfr. Carli, 1958, pp. 46-47 e Carli,1994, pp. 19-20.

( 3 1 ) Cleveland Museum of Art, n . 1995.5 . Cfr. Stubblebine, 1987, pp. 1 60-1 65 .

(32 ) Nella parte più bassa della Croce, dove si trova l ' iscriz ione frammentaria, secondo Stubblebine ( 1 987, p . 1 65 n . 1 ) "not enough remains to read any message".

(33) lbid. , p . 1 65 n . 1 6. Si tratta di unragionamento davvero singolare: dalla cir­costanza che il dipinto somiglia ad opere di Enrico di Tedice, viene in sostanza dedotto che esso deve spettare al fratello di questi, Ugolino. Dal momento poi che nell 'unico dipinto firmato da Ugolino non sembra rjconoscibile la mano dell'autore della tavo­la oggi a Cleveland, lo Stubblebine conclu­de che la Croce firmata sia opera di un omo­nimo. In proposito mi sembra però dovero­so ricordare che James Stubblebine morì prima della pubblicazione dell'articolo, che forse non potè vedere in bozze. Quanto alla Croce oggi a San P ietroburgo, cfr. V.N . LAZAREV, Un Crocifisso firmato di Ugolino di

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Tedice, in "Paragone", VI , 1955, n . 67 pp . 3-13 .

(34) L'attribuzione ad Enrico d i Tedice,proposta a suo tempo da O. SIRÉN ( Toska­nische Maler im XIII]ahrhundert, Berlin 1 922, pp. 19 1-192) è stata accolta da diversi stu­diosi , ma messa in dubbio, a partire dal catalogo di G. SINIBALDI e G. BRUNETTI (Pittura italiana del Duecento e Trecento, Firen­ze 1943, pp. 68-69) da altri, che vi avvertiro­no differenze stilistiche e un più sostenuto livello di qualità rispetto alla produzione accertata di Enrico. A quest'ultimo possono essere effettivamente riconosciute, delle opere citate nel Catalogo della mostra, la Croce di Vicopisano (n. 2 1 ) , la Madonna del Museo Nazionale del Bargello (n. 23) , la Madonna oggi nella chiesa di Santa Maria Madre della Chiesa a Pisa (n. 27) e quella ad affresco proveniente da San Sebastiano, attualmente nel Museo Nazionale della stes­sa città (n . 24) . Mi sembrano invece estra­nei al suo catalogo gli affreschi con Storie di Cristo nella Pieve di Vicopisano (n. 25) e la Jvladonna proveniente da San Michele in Borgo, oggi nel Museo Nazionale di Pisa (n. 28) .

(35) Opera di un artista che non sembravoler aderire né al gruppo dei seguaci di Giunta, sempre molto attenti ai dettami di composta eleganza suggeriti dal l 'arte del neoellenismo paleologo, né a quelli che seguivano tendenze più liberamente pittori­che, è la Madonna del Museo di Pisa prove­niente da San Giovannino dei Cavalieri (fig. 73; cat. n. 54) in cui in passato sono stati avvertiti influssi sia giunteschi che berlin­ghiereschi-lucchesi o fiorentin i . A mio

56, Miniatore pisano ( o pistoiese) del 58

1300 circa, David, Harvard CollegeLibrary, Houghton Library, Depart-ment of Printing and Graphic Arts, Ms.Typ 271 .

57. Miniatore pisano ( o pistoiese) del1300 circa, Dio Padre e Madonna con ilBambino, Amburgo, Jorn Giinther.

58. Maestro dei corali di Massa Maritti­ma, Adorazione dei Magi, Pisa, MuseoNazionale di San Matteo, Ms. M, c. 81r.

59. Maestro dei corali di Massa Marit­tima, Ognissanti, Pisa, Museo N aziona­le di San Matteo, Ms. P, c. 97v.

modo di vedere il gruppo principale effet­tivamente si avvicina a soluzioni care alla corrente giuntesca, esemplificate dalla Croce bifronte, proveniente da San Paolo a Ripa d 'Arno (fig. 3; cat. n. 1 2 ) , ma con un 'esasperazione della ricerca di regola­rità geometriche nelle forme dei volti che lo allontana sia dall'autore di questa tavola che dal Maestro dei Santi Cosma e Damia­no, sotto il nome del quale la Madonna di San Giovannino figurava alla Mostra. Potrà contribuire ad una più precisa classifica­zione dell ' opera un elemento che non mi sembra sia stato notato finora, che cioè le figure di angeli nei pennacchi rivelano una freschezza e l ibertà p i ttorica che richiama i modi d i Enrico d i Tedice e di Michele.

( 36) In un primo momento A. CALE­CA ( Un codice pisano di fine Duecento, in La miniatura italiana in età romanica e gotica, Atti del I Congresso di Storia della Minia­tura Italiana, Cortona 26-28 maggio 1978; Firenze 1979, pp. 207-208) collegava que­ste miniature con una serie di opere, tra cui la celebre "Bibbia di Corradino" (ms. 1 52 della Walters Art Gallery di Baltimo­ra) , ipotizzando la paternità di Giovanni d'Apparecchiato. Dopo un ripensamento (in A. CALECA - F.A. LESSI, MCCLXXXIX. L'antifonario della Cattedrale di Volterra, Vol­terra 1 993) lo studioso preferì indicare l 'autore delle miniature volterrane come "Maestro miniatore di Volterra". Questi sarebbe stato un aiutante dell'autore della decorazione del Codice oggi a Baltimora, responsabile anche del l ' e secuzione di alcune tavole (a mio modo di vedere di ben diversa matrice stilistica) quali la Croce

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C. -1675S

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del Museo Civico di San Gimignano, che oggi in genere viene riferita a Rinaldo da Siena, quella della Pinacoteca di Volterra (appartenente al medesimo artista) , non­ché la tavola reliquiario ( di origine lombar­da) della chiesa di Sant'Agata a Cremona, e altre cose. Personalmente vedo le miniature del Museo diocesano di Volterra di cultura fiorentino-pisana, vicina soprattutto alla pic­cola Madonna esposta col n. 34 alla Mostra. A proposito di questa tavola va tenuto pre­sente il parere del Bellosi ( 1 985, p. 3) che non condivido, ma che aiuta nell' inquadra­mento critico del dipinto: a suo avviso la tavola spetterebbe al Maestro della Croce di Santa Marta (n. 55 della Mostra) .

( 3 7 ) Cfr. Cale ca , i n Momenti . . . , c i t . , 1 98 1 , pp. 7-19 . La proposta di lettura del Caleca e la identificazione del firmatario da lui indicata con il Berlinghiero dei docu­menti lucchesi è stata accolta da Tartuferi ( 1 990, p. 13 ) e da Enzo Carli ( 1 994, p. 13) , e ribadita in diverse pubblicazioni degli stessi organizzatori della recente Mostra. Parere contrario esprime invece L. BELLO­SI (Per un contesto cimabuesco senese: b) Rinal­do da Siena e Guido di Graziano, in "Prospetti­va", 1 99 1 , n. 62, pp. 27-28, n. 1 8) , che avver­te nel dipinto ormai riflessi dell'arte cima­buesca e l ' avvicina ai senesi Dietisalvi di Speme e Guido di Graziano. Lo studioso precisa anche di non essere riuscito a legge­re la firma della Croce, e la medesima cosa confessava anche lo scrivente in un inter­vento che evidentemente è sfuggito ai cata­logatori della mostra pisana ( Boskovits , 1993, p. 138 n. 295) . Già in quell 'occasione

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ipotizzavo la probabile paternità fiorentina del dipinto, che "in several aspects reveals affinities with the Master of the Magdalen [ and] could hardly have been executed before the seventh decade of the thirteenth century". Per completezza segnalo la "voce" Berlinghiero, a cura di R.P. NOVELLO (in Allgemeines Kunstlerlexikon, IX, 1994, pp. 469-470) che si limita a registrare le posizioni cri­tiche, senza esprimere un proprio giudizio.

(38) Museo di Villa Guinigi, Lucca. Lavilla, le collezioni, catalogo a cura di L. Berto­lini Campetti e S. Trkulja Meloni, Firenze 1968, pp. 137-1 39.

(39) La datazione 1 2 1 0-20 viene suggeri­ta da Garrison ( 1 949, p. 1 87) ed è accolta da I. BELLI BARSALI (Berlinghiero, in Dizio­nario Biografico degli Italiani, IX, Roma, 1 967, p. 1 26) e da Marques ( 1 987, p. 281 ) . Personalmente sarei più propenso a porre l 'esecuzione più vicina al 1230 (cfr. Bosko­vits, 1993, p. 40 n. 68 e pp. 73-74, n. 1 46) .

( 40) Per la data della scomparsa di Ber­linghiero tra 1 234 e 1 236 cfr. E.M. ANGIO­LA, Nuovi documenti su Bonaventura e Marco di Berlinghiero, in "Prospettiva", 1980, n. 2 1 , pp . 82-84'. Già E .B . GARRISON (Addenda ad Indicem, II, in "Bollettino d'Arte ", XXXVI, 1 95 1 , pp. 293-296) , pur conoscendo solo una delle tabelle della Croce raffigurante Due Santi oggi appartenente al Museo di Fucecchio, si era reso conto che né l 'attri­buzione a Giunta né la data 1238, sostenute da un ' iscrizione leggibile sul tergo della tavola, erano attendibili. Leggendone cor-

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rettamente i dati d i stile, l o studioso non esitava a definire l 'opera eseguita da un pit­tore toscano intorno al 1 260. Ignorato nel catalogo della Mostra (Boskovits, 1 993, p. 1 38 n. 295) , ho già messo in dubbio l ' attri­buzione a Berlinghiero proponendo che la Croce di Pisa fosse "probably of Florentine origin", risalente al 1 260-1270 c. Sono ben note le difficoltà della datazione di opere fiorentine della prima metà del XIII secolo a causa della mancanza di sicuri punti di riferimento cronologici. In questo ambito ci resta l 'unico dipinto documentato degli anni 1 274-76, la Croce di Salerno di Coppo nel Duomo di Pistoia . Si tratta evidente­mente di un'opera troppo tarda per metter­la in relazione con la tavola pisana, ma la sua data, e qualche indizio di carattere sto­rico, permettono di porre verso la metà degli anni ' 60 l ' esecuzione della tavola di soggetto analogo di Coppo di Marcovaldo oggi conservata nel Museo Civico di San Gimignano ( cfr. Boskovits, 1 993, p . 1 20) . Quest'ultimo dipinto a sua volta mostra, con l 'abbandono graduale delle forme sti­lizzate di regolarità geometrica, con la ricer­ca sempre più accentuata del rilievo plasti­co e di complessità ritmico-lineari nella resa dei panneggi, tendenze simili a quelle che si notano in diversi altri Crocifissi toscani. È su tale base che possono essere considerate eseguite nei decenni centrali del XIII seco­lo le opere analoghe del Maestro della Croce 434 degli Uffizi e del Maestro di Cagliano, come pure il Crocifisso provenien­te da Fucecchio. Particolari vicinanze vedo poi nella tavola del Museo pisano con le figure dei dolenti in alcune opere del Mae-

60. Maestro di Eufrasia dei Lanfran­chi, Santo inginocchiato in preghiera,Francoforte, Historisches Musemn, C16755.

61 . Pittore bizantino, "Madonna di sot­to gli organi", Pisa, Duomo.

62. Mosaicista bizantino, Cristo (part.della Deesis della Galleria sud), Istan­bul, Santa Sofia.

stro della Maddalena . Quelle maschere fisionomiche dominate dalle forme carno­se, dal naso aquilino fortemente prominen­te, quei visi affilati e con una depressione della guancia, il mento sfuggente e la fron­te quasi interamente nascosta dai capelli o dalla cuffia, ricordano da vicino le formule proposte da questo prolifico esponente della pittura fiorentina del secondo Due­cento. Le somiglianze con il Trittichetto del Metropolitan Museum (fig. 30) o con la Madonna già in collezione Albrighi a Firen­ze (cfr. Tartuferi, 1 990, tav. 1 47) , certo non indicano una comune paternità, ma sono comunque utili per determinare la data di esecuzione della Croce di Fucecchio in anni che ritengo non lontani dal sesto e settimo decennio del XIII secolo.

(41 ) Garrison ( 1 95 1 , p . 296) conosceva questo frammento della Croce solo da una vecchia incisione . Dopo il ritrovamento della tavoletta da parte di Tartuferi, sappia­mo che il Santo porta manto rosa invece che di color verde, e ciò sembra smentire la sua identificazione con l ' apostolo ( cfr. M. LISNER, Die Gewandjarben der Apostel . . . , in "Zeitschrift for Kunstgeschichte", LV, 1990, pp. 309-375) .

( 42) Si sa che, dopo un periodo di pre­caria stabilità nei primi decenni del Due­cento, la situazione economica e morale del monastero di San Salvatore si aggrava fino al punto che nel 1258 i monaci della comu­nità vengono espulsi dall'abbazia fucecchie­se e il complesso affidato all ' ordine delle Clarisse . Favoriti anche dalle circostanze politiche, alcuni monaci riescono a rientra­re nel monastero nel 1 2 6 1 , rimanendovi fino alla loro definitiva cacciata nel 1 293 (cfr. A. MALVOLTI, L'abbazia di San Salvato­re e la comunità di Fucecchio nel Dugenta, in L'Abbazia di San Salvatore cli Fucecchio . . . , Atti del Convegno [ 1 986] , Fucecchio 1987, pp. 57-95) . Si potrebbe pensare che la Crocefosse eseguita al tempo della presenza dellemonache nell 'Abbazia, ma l ' ipotesi nonregge, perché queste tentano quasi subitouna permuta della proprietà con il vescovodi Lucca e forse non vi s'insediano affatto.Che la Croce risalga al momento del tempo­raneo ritorno dei Vallombrosani è pureimprobabile, considerando la loro scarsitànumerica e le condizioni economiche sicu­rame nte non migl ior i di pr ima . U nmomento più favorevole per l 'arricchimen­to della chiesa con il dipinto qui discussopoteva verificarsi dopo il 1 284, quando

Fucecchio si sottomette al governo fiorenti­no, e in particolare dopo il 1 299, quando nell'abbazia si insediano dei frati francesca­ni ( cfr. E. LOTTI, Medioevo in un castello fio­renti no, Fucecch io 1 980 e M . MASAN I , Fucecchio. Storia dalle origini a i giorni nostri, Firenze 1977, p. 76) . Mi sembra probabile infatti che la Croce non fosse stata dipinta per la chiesa abbaziale, ma ivi portata da qualche altra sede.

(43) L'avvicinamento ad Enrico di Tedi­ce , proposto da Sirén ( 1 922 , p. 192 ) ha avuto ampio seguito; è rimasto isolato inve­ce l 'accostamento a Meliore suggerito da Carli ( 1 958 , pp . 42-43 ) . V.N . LASAREFF (New Light on the Problem of the Pisan School, in "The Burlington Magaz ine" , LXVII I , 1936, pp . 62 , 68 n . 29) , seguito da Tartuferi ( 1990, p. 53 n. 1 3) pensano che il dipinto spetti all' autore della grande Maestà (no.

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240) del Museo Pushkin di Mosca. Quest'o­pera, ritenuta dai due studiosi di originepisana, a mio parere è lavoro di un artistavenez iano , forte men te in fluenzato damodell i bizantin i . È appunto l ' influssobizantineggiante che l ' avvicina alla tavoladel Museo di Pisa, che non a caso è stataautorevolmente confrontata con l ' episti­lion, pure raffigurante la Deesis e Santi, di unpittore crociato, appartenente al monasterodi S. Caterina a Monte Sinai (cfr. K. WEITZ­MANN, Crusacler Jeans ancl la 'Nianiera greca ', in Il Medio Oriente e l 'Occidente nell'arte delXIII secolo, Atti del XXIV Congresso interna­zionale di Storia dell'Arte, a cura di H. Bel­ting, Bologna 1982, p. 75) .

( 44) Come è noto , è stato il Garrison( 1 949 , p. 29) a riconoscere la paternità comune della Niadonna pisana proveniente dalla chiesa dei Santi Cosma e Damiano e

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di quella detta Madonna dei Mantellini nella chiesa del Carmine a Siena, avvicinando ad esse anche una terza tavola del medesimo soggetto, quella oggi nel Fogg Art Museum a Cambridge (Mass . ) . Il Bellosi (2000 -b, pp. 44-52) riconosce tutte e tre le opere alla stes­sa mano e collega il gruppo con il nome di Gilio di Pietro, autore di una tavola di bic­cherna (Siena, Archivio di Stato) eseguita nel 1 258 . Alle due tavole senesi forse si potrebbe aggiungere anche un'opera cultu­ralmente imparentata che è stranamente tra­scurata dalla critica recente, cioè la Pala del Battista (n. 14) della Pinacoteca di Siena. I dipinti senesi dovrebbero collocarsi tutti intorno al 1 260, mentre le Madonne di Cam­bridge e del Museo di Pisa mi sembrano appartenenti ad un momento precedente. La Pala qui discussa del medesimo Museo, se sua, dovrebbe illustrare invece la fase conclu­siva dell'attività di Gilio, dopo il suo ritorno a Pisa. La Madonna della raccolta Acton, erroneamente attribuita al Maestro dei Santi Cosma e Damiano nel Catalogo della Mostra pisana (pp. 78 e 82) credo spetti all'autore giuntesco di un'altra Madonna oggi a La Spe­zia (fig. 6) (cfr. F. ZERI - A.G. DE MARCHI, La Spezia. Museo Civico A. Lia. Dipinti, Cinisel­lo Balsamo 1997, pp. 388-389) e della Croce di San Paolo a Ripa d'Arno, oggi nel Museo Nazionale di San Matteo , che alla mostra figura addirittura tra le opere di Giunta Pisa­no.

( 45) Cfr. P. LEONE DE CASTRIS, Museo eGallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti dal XIII al XVI secow, Napoli 1999, pp. 3 1-32, dove si propone una datazione a mio parere trop­po tarda, all'ultimo quarto del XIII secolo.

( 4 6 ) Cfr. F. ZERI - F. CAMPAGNA CICALA, Messina, Museo regionale, Palermo

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1992, pp. 46-47, dove il mosaico viene defini­to lavoro di "bottega italo-greca" del XIII secolo. Penso che si tratti di opera, peraltro assai fine, di artista di formazione probabil­mente costantinopolitana, del 1 300 circa, dunque di un lavoro culturalmente imparen­tato, ma di data sicuramente più tarda rispet� to alla tavola pisana.

(47) Cfr. G.C. ARGAN, V. ABBATE, E .BATTISTI, Palermo. Palazzo Abatellis, Palermo 199 1 , pp. 47-48, dove si parla di opera di "mosaicista bizantino della seconda metà del XIII secolo". Il mosaico, forse leggermente più antico di quello di Messina, mi sembra comunque databile non prima dell'ultimo decennio del Duecento, quindi sempre suc­cessivo di una ventina di anni rispetto alla Madonna di San Frediano.

( 48) Nel saggio introduttivo al catalogoBurresi e Caleca (p. 82) spiegano che la tavo­la è stata restaurata in occasione della mostra; lo stato precedente, con la superficie offusca­ta dalla sporcizia ma in sostanza abbastanza ben leggibile, è illustrato nel volumetto di P. FERRETTI (Il Crocifisso nella chiesa di Santa Marta a Pisa, Pisa 1 992) , non citato nella scheda relativa al l ' opera. Nel corso del restauro è stata ricostruita la cimasa perduta della tavola, inserendovi il busto del Cristo benedicente che, ritagliato, si trovava incastona­to nel legno della Croce, sopra l'aureola del Cristo. La decisione di restituire al brano la posizione che dovette occupare in origine è sicuramente condivisibile; è un peccato, sem­mai, che la sagoma attuale della cimasa risulti troppo grande rispetto al minuscolo fram­mento di dipinto inseritovi.

( 49) P. TOESCA, Storia dell'arte italiana.Il Medioevo, Torino 1 927 , p. 1 042 n. 49 .

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63 . Miniatore pisano, Profeta Mala­chia, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, Bibbia di Calci, IV, c. 33 (1168).

64. Pittore bizantino della fine del XII secolo, Compianto su Cristo (particola­re), Nerezi, chiesa di San Pantaleimon.

(50) Sirén ( 1 922, pp. 1 78 e 230 n. 42)datava la tavola verso la metà del secolo, i n siste ndo sul l ' autonomia del p i t tore rispetto alla tradizione figurativa giuntesca, mentre R. VAN MARLE ( The Development oj the Italian Schools oj Painting, I, The Hague, 1 923, p. 292) la definì "a most beautiful work of art . . . comple tely under the influence of Bizantine style," collocandola ad un momento più avanzato. Evelyn Sand­berg Vavalà ( 1 929, pp. 606-609) propose la datazione al terzo quarto del Duecento, osservando che il pittore, pur conoscendo "certune delle innovazioni introdotte da Giunta . . . si discostava da lui per lo spirito intimo, sostituendo alla sua forza tragica una mitezza e una tranquillità contenuta". Giudizi poco favorevoli sono stati espressi invece da G. COOR ACHENBACH ( A Visual Basis Jor the Documents Relating to Coppo di Marcovaldo and His Son Salerno, in

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65. Pittore bizantino, Icona del Cri.sto de lla Passione, Kastoria (Grecia ) ,Museo bizantino.

66. Maestro di Castelfiorentino, Croci­fisso, Volterra, Museo diocesano diArte Sacra.

''The Art Bulletin", XXVIII, 1 946, p. 244 n. 79 ) che scrive in proposito: "probably of the 1 270s; late provincia! example" e da Carli ( 1 958, p . 63) che lo considerava un "rustico Crocifisso", collegandolo con la tradizione figurativa "lucchese e protopisa­na".

( 5 1 ) Secondo Garrison ( 1949, p . 201 ) la Croce di Santa Marta, databile verso 1 280-1285, sarebbe stata eseguita sotto l ' influsso del Crocifisso pistoiese di Coppo e di Saler­no. Pareri simili esprimono anche D. CAM­PINI ( Giunta Pisano Capitini e le croci dipinte romaniche, Milano 1966 , pp . 1 88-1 89 ) e Tartuferi ( 1 990, p. 41 ) ; quest'ultimo ribadi­sce che si tratta di un'opera "importante" vicina alla Croce di San Miniato al Monte . Da parte sua Marques ( 1 987, pp . 208-2 12 ) awerte affinità tra l a tavola pisana e l 'opera del Maestro di San Gaggia.

(52 ) Cfr. M. BURRESI - A. CALECA, Affreschi medievali a Pisa, Pisa 2003, p. 1 20.

(53) Bellosi ( 1985, p. 3) include nel cata­logo del Maestro di S. Marta la Madonna n. 5725 (già n.11.20) del Museo Nazionale di Pisa, opera su cui si veda anche qui sopra la n. 18; la Croce dei Santi Ippolito e Cassiano aRigliano , a proposito della quale vedi lanostra n. 12, e soprattutto la decorazione del­l'Exultet III del Museo di San Matteo, in pre­cedenza riferita ad un anonimo pisano dimetà secolo da A.R. CALDERONI MASEITI (L 'Exultet duecentesco del Museo Nazionale di Pisa, in Studi di storia dell 'arte in memoria di Mario Rotili, Napoli 1984, pp. 21 1-220) . Nonconcorda con nessuna di queste proposte ilCarli ( 1994, p. 23) che crede le miniature delrotolo eseguite da due mani, una delle qualisarebbe identificabile con il Maestro di SanMartino.

(54 ) La proposta di A. MONCIATTI (L1ncoronazione della Vergine nella controfacciata della Cattedrale di Santa Maria del Fiore e altri mosaici monumentali in Toscana, in "Mitteilun­gen des Kunsthistorischen Institutes in Flo­renz", XLIII, 1999, pp. 31-32) parte in sostan­za dalla vecchia ipotesi del Milanesi (in Vasa­ri, 1878, p. 343 n. 2) sull'identità di France­sco, autore della parte centrale del mosaico absidale del Duomo di Pisa, e del mosaicista omonimo al quale i consoli dell 'Arte di Cali­mala nel maggio del 1298 vietano di lavorare nel cantiere del Battistero. Tale ipotesi in pas­sato è stata sviluppata da Antonino Caleca, il

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quale riteneva d i poter ricostruire i l catalogo di "magister Franciscus" assegnandogli una serie di mosaici fiorentini. Si tratta del grup­po già riunito sotto il nome di Gaddo Gaddi da Carlo Ludovico RAGGHIANTI, (in L'Arte in Italia, III, Roma 1969, pp. 992-997) , che at­tribuisce a Gaddo le scene con La missione dei discepoli del Battista a Gesù, la Cattura di Gesù, le Marie al sepolcro e alcuni altri brani della deco­razione della cupola del Battistero, nonché l 'Incoronazione della Vergine della controfaccia­ta del Duomo di Firenze. A questi il Caleca aggiunge il mosaico documentato di France­sco a Pisa e, con dubbio, i rifacimenti, datati 1297, del mosaico absidale di San Miniato al Monte a Firenze (in M. BURRESI, Andrea, Nino e Tommaso scultori pisani, Milano 1983, p. 1 2) . Nell ' introduzione del Catalogo della Mostra (p. 84) quest'ultima ipotesi viene ribadita con piena decisione. Chi scrive ritie­ne le opere fiorentine qui citate diverse per cultura e per carattere dal mosaico del Duomo di Pisa, e si è già espresso in proposi­to nel volume più volte citato (Boskovits, 1 993, pp. 1 42-145 ) . Le storie del ciclo del Battistero chiamate in causa sono, sì, dell'au­tore dell 'Incoronazione di Santa Maria del Fiore, ma difficilmente riferibili alla mano di Francesco. Quanto al tentativo del Monciatti di collegare invece la Croce di Santa Maria con alcuni mosaici del Battistero di Firenze, esso è stato parzialmente anticipato da A.M. GIUSTI (in Il Battistero di San Giovanni a Firenze, a cura di A. Paolucci, Modena 1994, p. 342 n. 73 e p. 506) , che awertiva affinità inparticolare tra la scena delle Pie donne al Sepol-

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67. Pittore bizantino, Profeta, Sopo­é ani, chiesa del monastero della Tri­nità.

68. Cimabue, Abramo e Davide (par-

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ticolare della Maestà), Firenze, Galle­ria degli Uffizi.

69. Pittore bizantino, Crocifisso, Stude­nica, chiesa del monastero.

ero e la Croce pisana, datata dalla studiosa tra 1 280 e '90.

(55) Cfr. L'arte a Firenze . . . , cit. , 2004, p.106 .

(56) Benché i l volto di Cristo nella Croce di San Miniato sia stato parzialmente cancel-

68 lato da una caduta del colore, mi sembra si possano confrontare utilmente con la tavola di Santa Marta, le forme fortemente stilizzate del corpo quasi fanciullesco, oppure la resa del perizoma con le sue pieghe fitte e angolo­se. Molto simili mi sembrano pure nelle due tavole le versioni del volto di S. Giovanni dolente. Occorre comunque tener presente che nella Croce pisana, che è di data più tarda, la corsività della condotta pittorica si accentua, sfociando in una resa quasi impres­sionistica nelle piccole Storie di Cristo.

(57) Per i mosaici in questione cfr. Il Battistero . . . , cit . , 1994, tav. 778-780 e 798-799. Delineando il profilo del maestro dellaCroce di San Miniato al Monte ; Bel losi( 1 988, p. 42) collegava il "name-piece" delgruppo con due tavole raffiguranti laMadonna col Bambino (sulle quali vedi lanota seguente) e il mosaico con la scenadel l ' Annuncio a Zaccaria nel lo spicchioNord del Battistero. A sua volta Anna MariaGiusti ( in L 'arte a Firenze . . . , cit. , 2004, p .1 54) collega questa scena con la Madonnacol Bambino della chiesa di S. Remigio aFirenze. Confesso che quest'ultima propo­sta mi lascia perplesso; penso comunqueche l ' intervento dell'artista nei mosaici delBattistero non dovette limitarsi ad un'unicascena, dal momento che erano in generepiù estese le porzioni del lavoro assegnateai mosaicisti impegnati in questa impresa. Ilpanneggio abbondante, mosso da pieghe

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70. Giunta Pisano, Angelo (part. dellatavola con San Francesco e sue storie),Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

71. Pittore serbo-bizantino, L'Angelo bianco (part. delle Pie Donne al se­polcro), Mileseva, chiesa della Madredi Dio.

vorticose e dall'andamento del tutto impro­babile che caratterizza la storia dell' Annun­cio a Zaccaria, ma anche i capelli gonfi che sembrano parrucche , l ' uso di ombre di color verde salvia nel modellato degli incar­nati, oppure il cromatismo con la prepon­deranza di colori lividi , si ritrovano pure nella Visitazione del registro sovrastante della cupola e nell 'Annunciazione. Va tenuto presente comunque che i dati di stile origi­nali appaiono in parte adulterati in questi mosaici da vecchi interventi di restauro. Ancora più fortemente compromesso è l 'a­spetto originale della Storia della Natività di Gesù, in cui tuttavia la zona inferiore ( e in particolare la figura di S. Giuseppe) mi sembra lasci intravedere ancora la mano del Maestro della Croce di San Miniato, owero di Francesco. Questi dovrebbe avere eseguito inoltre la Natività del Battista, scena gravemente dan neggiata e varie volte restaurata a causa delle crepe della superfi­cie parie tale e delle conseguenti cadute delle tessere musive . Anche qui, tuttavia, almeno ne l panneggio di S. El isabetta , credo di poter riconoscere tracce consisten­ti dei modi di Francesco. Nella parte destra di quest ' ultimo episodio , come è noto , compare per l a prima volta nel ciclo fioren­tino la mano di Cimabue, che eseguì inol­tre la pure molto restaurata scena di S. Gio­vanni che si ritira nel deserto. Forse, per moti­vi che oggi ci sfuggono, il maestro fiorenti­no subentrava al collega pisano già nel regi­stro inferiore dello spicchio Nord. Ritengo più probabile però che egli intervenisse

qualche tempo più tardi in qualità di restau­ratore, dopo aver eseguito i mosaici dei due registri con Storie veterotestamentarie nello spic­chio Nord-est della cupola. In altre parole, nello spicchio Nord egli probabilmente si limitò a riparare il lavoro di Francesco, gua­stato dalla caduta di tessere.

(58) La Madonna di Villa Saletta (no. 37del catalogo) che, essendo stata rubata nel 1997, non poteva essere esposta alla Mostra, è discussa comunque in una scheda del catalo­go, che la considera opera del Maestro di San Martino. Si vedano in proposito le osservazio­ni di Tartuferi (qui sopra e la n. 5) . Altre due tavole di soggetto analogo, rispettivamente nel Musée du Palais Carnoles a Mentone e già in collezione Heimann a Los Angeles, riconosciute al medesimo artista dal Garri­son, sono state inserite nel catalogo del Mae­stro della Croce di San Miniato indipenden­temente dal Bellosi ( 1 988, pp. 40-43) e da Tartuferi ( 1988, pp. 433-434) . Queste tavole probabilmente appartengono già all'ultimo decennio del XIII secolo, mentre la Croce di Riglione , se sua ( cfr. sopra la nota 29) , dovrebbe risalire all'inizio del percorso del­l 'artista.

(59) Già nel mio volume del 1993 (Bosko­vits, 1993, pp. 142-143) avevo notato la paren­tela culturale del Maestro della Croce di San Miniato con la produzione del Maestro di Sant'Agata, autore, tra le altre cose, della ste­sura originaria del mosaico absidale della chiesa di San Miniato al Monte, all'esecuzio­ne del quale Francesco aveva forse collabora­to. Il suo eventuale intervento nel mosaico avrebbe potuto realizzarsi nella prima fase dei lavori, negli anni '70, e non al tempo del restauro del mosaico di San Miniato intrapre­so nel 1 297, come suggeriscono Burresi e Caleca (2005, p. 84) . Le immagini dei Quattro viventi, tJ:he sono riferibili ad anni vicini al 1300, riflettono lo stile quasi impressionisti­co del cosiddetto "Penultimo maestro" del Battistero.

(60) Le incongruenze prospettiche deltrono di Anna e Caifa nella scena dell'Interro­gatorio di Gesù, oppure di quello di Gesù nella Derisione, dipinti nella Croce di Santa Marta,

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sono simili agli "errori prospettici" che carat­terizzano il disegno dell'altare nella scena dell'Annuncio a Zaccaria nel mosaico del Bat­tistero. Anche la tipologia degli edifici che si vedono nel fondo delle storie nel dipinto pisano, piatti e, più che articolati, decorati da aperture rettangolari e romboidali, richiama­no soluzioni come quella del fondale archi­tettonico del mosaico con il Sogno di Giuseppe, una delle scene più arcaiche del ciclo di Storie bibliche illustrate nella cupola di San Giovanni a Firenze.

( 6 1 ) G. DALLI REGOLI, Un Florilegio medievale illustrato, Firenze 1972, p. 23.

(62) Sul tema cfr. A DANEU LATTANZI,Lineamenti di storia della miniatura in Sicilia, Firenze 1968, pp . 66-67, H . BUCHTHAL, Some Sicilian Miniatures of the Thirteenth Cen­tu ry, in Miscellanea Pro Arte, Dusseldorf 1 965 , pp. 1 85- 190 e recentemente R.W. CORRIE , in Byzantium, Faith and Power, 1261 - 1557, catalogo della mostra a cura di H.C. EVANS, New York 2004, pp. 473-475.

(63) Cfr. A. LABRIOLA, Lo stato degli studi su Cimabue e un libro recente, in "Arte Cristiana", LXXXVIII, 2000, p. 347; riferi­mento che manca nella scheda di catalogo.

(64) La tavola con il Santo agostiniano èstata riconosciuta dall'Offner al Maestro del Trittico Horne fin dal 1952. Cfr. G. KAFTAL, Iconography of the Saints in Tuscan Painting, Firenze 1952, coll. 1 049-1050: riferimento bibliografico apparentemente sfuggito ai catalogatori della mostra i quali, non so per quali motivi, dichiarano erronea la plausibile identificazione del santo agostiniano con Nicola da Tolentino, suggerita da R. OFF­NER (A Critica[ and Historical Corpus of Floren­tine Painting, Sec. III, Vol. VI, New York 1956, p . 1 10) . In realtà, a questa altezza cronologi­ca, l 'ordine degli Eremitani agostiniani (latonaca nera dei quali indossa il personaggio in questione) non poteva vantare ancoraalcun Santo, ma la fama e il culto di Nicola,morto in odore di santità nel 1 306, erano giàmolto diffusi, e pertanto la sua raffigurazionecon aureola in una chiesa agostiniana nonsarebbe inattesa. Peraltro il dipinto è accolto

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come una delle prime raffigurazioni del santo anche nel repertorio San Nicola da Tol,entino nell'arte. Corpus iconografico (a cura di V. PACE, Tolentino 2003, p . 233) , dove siricorda un'attribuzione (che non mi convin­ce) dell 'opera al Maestro delle ImmaginiDomenicane, proposta da Andrea De Marchi.

(65 ) Come è noto, il polittico di Santa Reparata è stato presentato nell' ambito di una esposizione dopo il difficile intervento di restauro eseguito da Alfio Del Serra nel 1 98 6 . Le fo tografi e de l vecch io stato mostrano chiaramente che non si trattava di semplice pulitura. Le condizioni dell 'o­pera erano estremamente precarie, come spiega lo stesso restauratore (A. DEL SER­RA, in Capolavori e restauri. Catalogo della mostra a cura di S. Salvi, Firenze 1986, p. · 356) , poiché "il dipinto aveva subito un tre­mendo traumatico dissesto". Tale danno, a suo avviso, potrebbe essersi verificato nelcorso del XV secolo, ma io sospetto che si

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trattasse del l 'alluvione del 1 333, e che il conseguente radicale rifacimento fosse ese­guito nella bottega dello stesso Giotto. In ogni modo la lettura stilistica dell ' opera deve tener conto della situazione e richiede molta prudenza.

(66) Sulla proposta, da me in seguito varie volte ribadita, di identificare le opere riunite nel catalogo del Maestro del Trittico Horne come la produzione tarda del Mae­stro di S. Cecil ia , cfr. BOSKOVITS, The Painters of the Miniaturist Tendency. A Critica[ and Historical Corpus of Florentine Painting, Sec. I I I , Val . IX, Florence , 1 984, p . 1 7 e , recentemente, Cataloghi della Galleria dell'Ac­cademia di Firenze. Dipinti - I, a cura di M. BOSKOVITS E A. TARTUFERI, Firenze 2003, pp. 1 66-168. Per l ' identificazione con Gaddo Caddi, cfr. M. BIETTI, Gaddo Caddi: un 'ipotesi, in "Arte Cristiana", LXXI, 1983, pp. 49-52 e M. BOSKOVITS, Un nome per il Maestro del Trittico Horne, in "Saggi e memo-

7 2 . Pittore pisano del XIII secolo, Madonna con il Bambino, Pisa, San Bia­gio in Cisanello.

rie di Storia dell ' arte " , n. 27 , 2003 [ma. 2005] , pp. 57-70.

(67) Caleca, 1979, pp. 207-221 .

(68) L'opinione di Ragghianti è stata ri­portata da G.L. MELLINI, in L'arte in Italia, III, Roma 1969, coll. 872-876. Risulta diffi­cile riconoscere coesione stilistica al nucleo di opere così raggruppato. Per la tavola di Cremona, riferita ad un ambito veneto di fine Duecento: G. VOLTINI, Dal secolo Xl agli inizi del Trecento, in Pittura a Cremona dal Romanico al Settecento, a cura di M. Gregari, Milano 1 990, pp. 5-6 . Il Crocifisso di San Gimignano è entrato a far parte del catalo­go di Rinaldo da Siena, prima del 1 280: Bellosi, 199 1 , pp. 1 5- 17 (si veda anche la nota 70) .

(69) Il corale del Museo Diocesano diVolterra è oggetto di uno studio monografi­co di Caleca e di Franco Lessi, 1993. Si veda anche qui sopra l ' in tervento di Mikl6s Boskovits.

(70) In proposito, si veda anche Caleca,in Momenti . . . , cit., 198 1 , pp. 20-2 1 . La Croce della Pinacoteca di Volterra è anch'essa accostata (si veda la nota 68) al catalogo di Rinaldo da Siena, seppure con qualche riserva: Bellosi, 1 99 1 , p. 17.

(71 ) L. TANFANI CENTOFANTI, Noti­zie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1 897, pp. 491-494.

(72) G. VALAGUSSA, Maestro della Bibbiadi Corradina, in Dizionario Biografico dei Miniatori Italiani, a cura di M. Bollati, Mila­no 2004, pp. 5 1 8-520. Per la più recente riconsiderazione delle origini meridionali del miniatore, si veda Corrie, 2004, pp. 467-468.

(73) R. LONGHI, Apertura sui trecentistiumbri, in "Paragone", 1966, n. 19 1 , pp. 1 2-1 5 ; R. LONGHI, Postilla all 'apertura sugli umbri, in "Paragone", 1966, n. 195, pp. 3-8. Il foglio Cini è stato pubblicato da Pietro TOESCA (Miniature di una collezione venezia­na, Venezia 1958, p. 25 n. LXXVII) con un riferimento ad artista dell ' I talia centrale, forse di Pisa, della fine del XIII secolo. Per la serie di fogli all 'epoca divisi tra la colle­zione Wildenstein a New York ( oggi nel Musée Marmottan di Parigi) e una collezio­ne privata: I. TOESCA, Qualche foglio del Maestro 'di Corradina ', in "Paragone", XX, 1 969, n. 235, pp. 68-72.

73, Pittore pisano del XIII secolo , Madonna con il Bambino da San Gio­vannino dei Cavalieri, Pisa, Museo Nazionale di San Matteo.

(74) In proposito: A. RUSSO, Su alcunenovità per la Bibbia di Corradina, in "Rivista di Storia della Miniatura", 5, 2000, pp. 51-64.

(75) H. TOUBERT, Autour de la Bible deConradin: trois noveaux manuscrits enluminés, in "Mélanges de l ' Éco le Franç aise de Rome", XCI, 1 979, in particolare pp . 777-780.

(76) In proposito: Kanter-Palladino, inThe Treasury of Saint Francis . . . , cit. , 1 999, pp. 140-141 .

( 77) M. PAOLI, I corali della BibliotecaStatale di Lucca, Firenze 1977, pp. 7-15 .

(78) Non mi risulta che la decorazionedel codice sia stata oggetto di studi, dopo la classificazione di Paolo D 'Ancona come opera fiorentina della fine del XIII secolo: P. D'ANCONA, La miniatura fiorentina (secoli XI­XVI), II, Firenze 1914, p. 2 1 . Sull'acquisto del volume da parte di Cosimo de' Medici: A.C. DE LA MARE, Cosimo and his books, in Cosimo 'il vecchio' de' Medici, 1389-1464, a cura di F. Ames-Lewis, Oxford 1992, p. 1 34 n. 69. Oltre a queste due iniziali isto1iate, la Summa pre­senta due iniziali decorate ( c. lv e c. l 28v) .

(79) A. CALECA, Le miniature nei mano­scri tti e negli incunabuli della Bibliotheca Cathariniana di Pisa, in O. BANTI-A. PETRUCCI-F. PETRUCCI NARDELLI-A. CALECA, Libraria Nostra Communis. Mano­scritti e incunaboli della Bibliotheca Catharinia­na di Pisa, Pisa 1 994, pp. 30-3 1 .

(80) I n proposito: M . ASSIRELLI, L'im­magine dello 'stolto ' nel Salmo 5 2, in Il codice miniato (Atti del III Congresso di Storia della Miniatura, Cortona 20-23 ottobre 1988) , Firenze 1992, pp. 1 9-34.

( 8 1 ) Su questa importante congiuntu­ra: Bellosi, 1998, pp. 66-67, 80, 290.

(82) M. BOSKOVITS, Il gotico senese rivi­sitato: proposte e commenti su una mostra, in "Arte Cristiana", LXXI, 1983, pp. 260-261 .

(83) E.W. BREDT, Katalog der mittelalter­lichen Miniaturen des Germanischen National­museums, Nurnberg 1 903, nn. 32 , 32a, 34. Per le altre miniature di questa serie: Kan­ter-Palladino, in The Treasury of Saint Fran­cis . . . , cit. , 1 999, pp. 1 44-147 (dove viene discussa la diversa proposta attributiva in favore del Maestro dei corali di Assisi ) .

( 84) A. LABRI O LA, Aspetti della miniaturaa Firenze nella seconda metà del Duecento, in L 'ar­te a Firenze . . . , cit., 2004, pp. 185, 196-198.

( 85 ) Anche questi due codic i , oggi rispettivamente conservati presso la Biblio­teca M e d i c e a Laurenz iana ( Conv. Soppr. 233) e la Biblioteca Nazionale Cen­trale (Fondo Nazionale 11.1 . 1 67) di Firenze, sono stati esposti alla mostra fiorentina del 2004 (per cui si veda la nota precedente) : Labriola, 2004, pp. 186, 202-206. Inoltre: E . NERI LUSANNA, in C. DE BENEDICTIS­E. NERI LUSANNA, Miniatura umbra del Duecento: diffusione e influenze a Roma e nell1-talia meridionale, in "Studi di Storia dell'Ar­te ", I, 1 990, pp. 1 1- 12 .

(86) In proposito: C. BALBARINI, Mi­niatura a Pisa nel Trecento dal "Maestro di Eufrasia dei Lanfranchi " a Francesco Traini, Pisa 2003, p. 35.

( 8 7 ) B. DEGENHART-A. SCHMITT, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1450, I, Berlin 1 968, p. 6; G. DALLI REGO-

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LI, Miniatura a Pisa tra i secoli XIII e XIV: ele­menti di continuità e divergenze, in La miniatu­ra italiana in età romanica e gotica, Atti del I Congresso di Storia della Miniatura Italia­na (Cortona, 26-28 maggio 1978) , Firenze 1979, p. 41 e nota 47.

(88) R. SILVA, La basilica di San Fredianoin Lucca. Urbanistica architettura arredo, Lucca 1985, pp. 9 1-93.

(89) C. MARTELLI, Per il Maestro di San Torpé e la pittura a Pisa nel primo Trecento, in "Paragone", XLVII , 1996, nn. 5-6-7-, pp. 20-2 1 , 24-25, taw. 1 5, 1 8 .

(90) T. KUSTODIEVA, Un 'icona scono­sciuta dalla collezione Lichaciov, in "Parago­ne", XLV, 1994, nn. 535-537, pp. 3-10 .

(91) A. BACCHI, Pittura del Duecento edel Trecento nel pistoiese, in La pittura in Ita­lia. Il Duecento e il Trecento, I, Milano 1986, p. 324.

(92) Boskovits, 1984, pp. 1 74-1 75.

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74

(93) In proposito: A. LABRIOLA, Alcuneproposte per la miniatura fiorentina del Trecento, in "Arte Cristiana", XCIII, 2005, pp. 1 6-18 .

( 94 ) G . CHELAZZI D I N I , Miniatori toscani e miniatori umbri: il caso del Laudario B.R. 18 della Biblioteca Nazionale di Firenze, in "Prospettiva", 1979, 1 9 , pp. 1 4-35. La stu­diosa ritiene umbro il collaboratore del Maestro del Laudario in questo codice, ma mi sembra invece convincente la proposta di Marco PAOLI (in Il secolo di Castruccio. Fonti e documenti di storia lucchese, catalogo della mostra a cura di C. Baracchini, Lucca 1983, pp. 220-222) , che riconosce nella tra­dizione pittorica lucchese l 'origine del suo linguaggio.

( 95 ) J .J .G . ALEXANDER, The Italian Manuscripts in the Library of Major J.R. Abbey, London 1969, pp. 9-1 1 , tav. VIa. Il foglio, di cui non conosco le misure, è inserito in un più antico Sacramentario del XII secolo, e illustra il Salmo 1 26 (Nisi dominus edificavit domum) . E ' stato venduto a Londra ne l 1978: London, Sotheby Parke Bernet & Co. The celebrated Library of the La te Major

J.R.Abbey, 20 June 1978, pp. 21 -24 n. 2977. Le affinità con il Ms. 528 di Pisa sono state già notate da Gigetta Dalli Regoli nel 1979 (vedi la nota 87) .

(96) P. HOFER, Harvard College Library. Illuminated & Calligraphic Manuscripts. An Exhibition held at the Fogg Art Museum & Hou-

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ghton Library, (February 14-April 1 1 955) , Cambridge 1955, p. 1 6 n. 37. Qui la minia­tura è c lassificata come "Italy (Siena ?) , 1 4th Century", mentre nel saggio introdut­tivo al catalogo Hans Swarzenski la dice "reminiscent of the style of Cimabue ". Il suo accostamento al foglio già in collezione Abbey si deve ad Alexander nel 1 969 (vedi la nota 95) .

Le misure del foglio presso la Houghton Library sono mm. 370 x 270; presenta 20 righe di scrittura su due colonne (si veda anche la nota successiva) .

(97) P. PALLADINO, Treasures of a LostArt. Italian Manuscript Painting of the Middle Ages and Renaissance, catalogo della mostra, New Haven and London 2003, pp. 48-50; G. FREULER, Studi recenti sulla miniatura medie­vale: Emilia, Veneto e Toscana. Appunti su una mostra americana (Parte 11), in "Arte Cristia­na", XCII, 2004, pp. 1 64-1 66.

Le misure del foglio sono praticamente coincidenti con quelle dell'esemplare pres­so la Houghton Library (mm. 367 x 270; 20 righe di scrittura su due colonne) , mentre non mi sono note le dimensioni del foglio già Abbey, che pure è verosimile apparte­nesse in origine al medesimo codice (vedi le note 95 e 96) .

(98) P. TOESCA, Monumenti e studi per la storia della miniatura italiana. La collezione di Ulrico Hoepli, Milano 1930, pp. 60-62; P. TOESCA, Il Trecento, Torino 195 1 , p. 812 .

75

7 4. Pittore bizantino, Madonna con il Bambino, Santa Caterina del Sinai, mo­nastero.

75. Pittore pisano della metà del XIIIsecolo, Madonna con il Bambino, Pisa,Museo Nazionale di San Matteo.

(99) G. PREVITALI, Miniature di Memmo di Filippuccio, in "Paragone" , XV, 1 964, n . 1 69, pp. 3-1 1 . Su questa linea interpretativa si pone l ' importante contributo di A.M. GIUSTI, in Il Gotico a Siena, catalogo della mostra (Siena) , Firenze 1982, pp. 65-74.

( 1 00) G. DALLI REGOLI-M. PAOLI, I corali miniati da San Francesco a Pisa, in "Cri­tica d 'Arte", XXXII, 1 985, pp. 47-5 1 ; A.R. CALDERONI MASETTI, Sulla datazione dei corali di Memmo di Filippuccio a Pisa, in Settan­ta studiosi italiani. Scritti per l 'Istituto Germani­co di Storia dell'Arte di Firenze, Firenze 1997, pp. 47-50.

( 1 0 1 ) A. BAGNOLI, in Simone Martini e "chompagni ", catalogo della mostra a cura di A. Bagnoli e L. Bellosi ( Siena) , Firenze

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76. Pittore russo, Madonna con il Bam­bino, Tver (Mosca), Tver Art Gallery.

77. Pittore bizantino, Madonna con ilBambino, Skoplije (Macedonia), Mu­seo.

1985 , pp. 34-39; P.LEONE DE CASTRIS, Simone Martini, Milano 2003, pp. 38-40, 69 n. 53 , 70 n . 74.

( 102) Interessanti osservazioni ha espres­so in proposito A. DE MARCHI (Le Maitre de San Tofpè, in G. SARTI, Trente-trois Primitifs Italiens de 131 0 à 1500: du Sacré au Profan, Paris 1998, p. 23) .

( 1 03) Boskovits, 1 983, p. 261 .

( 1 04) A . LABRIOLA, La miniatura senese degli anni 1270-1330, in La miniatura senese 1270-1420, a cura di C. De Benedictis, Mila­no 2002, pp. 1 1- 12 , 40-42, 45-52, 281-288. Non vedo, in proposito, perché l'anonima­to comporti una svalutazione di questo grande artista (che, nel campo della minia­tura, appare un vero e proprio alter-ego di

Duccio ) , come invece ritiene Leone De Castris ( s i veda la nota 1 O 1 ) . In realtà, non sempre l 'allettante identificazione con un nome documentato contribuisce a fare chiarezza storica sui problemi attributivi.

( 105) L. BELLOSI, Miniature del "Mae­stro della Carità ", in "Prospettiva", 1992, 65, pp. 24-30.

( 1 06) Labriola, 2002, pp. 52-57, 291 -295 . Nella personalità del Maestro dello Sta­tuto del 1 337 ho proposto di riconoscere lapresenza, a Siena, di un ' atelier portavocedella tendenza più espressiva della miniatu­ra cittadina nella prima metà del Trecento.In questo ambito, mi sembra che possarientrare anche la decorazione del famosocodice con le Collazioni delle vite dei SantiPadri (Siena, Biblioteca Comunale degliIntronati, Ms.l.V.8) , di cui, peraltro, è sino­ra sfuggita in sede critica la precedenteattribuzione di Boskovits ( 1 983, p. 271 n .1 3) in favore di quell'anonimo ora chiama­to Maestro dei corali di Massa Marittima.Leone De Castris (2003, pp. 70 n. 74, 1 1 8,1 20 ) 1:ife risce l ' A ntifonario di Pistoia a"Tederico" Me mmi, ma la sua proposta dienucleare dal catalogo del fratello Lippoquei dipinti connotati da una maggiore"verve gotica" non mi sembra pienamenteaccettabile.

( 1 07 ) Si veda Balbarini , 2003, pp. 57-1 1 2 .

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( 1 08) G. SWARZENSKI-R. SCHILLING, Die Illuminierte Handschriften und Enzelminia­turen des Mittelalters und der Renaissance in Frankfurt Besitz, Frankfurt 1929, p. 1 1 0 n . 1 04. L' iniziale è qui ritenuta "Italienische, vie l le icht toskanische Arbeit , nach der Mitte des XN. Jahrhunderts". Le sue misu­re sono: mm. 90 x 65 .

Per un riesame delle vicende critiche relative al miniatore, e alle proposte di identificazione con Francesco Traini : S . GIORGI, Maestro di Eufrasia de ' Lanfranchi; Traini, Francesco, in Dizionario Biografico dei Miniatori Italiani, a cura di M. Bollati, Mila­no 2004, pp. 681-684, 960-962.

( 1 09 ) In proposito, cfr. S. BORSARI , Pisani a Bisanzio nel XII secolo, in "Bollettino Storico Pisano", LX, 1 99 1 , pp. 59-75. Cfr. anche, per un'agile e informativa sintesi: M. BALARD, Pisa e l 'Oriente bizantino, in Pisa e il Mediterraneo: uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, catalogo della mostra (Pisa 2003) , a cura di M. Tangheroni, Milano 2003, pp. 228-233.

( 1 10) E ' forse il caso di ricordare comela struttura della "pala biografica" risalisse in ultima istanza a modelli antichi e non possa dunque escludersi che "l'invenzione" (o "reinvenzione") francescana non abbiapotuto trovare, per l'appunto, casi simili eindipendenti. Al proposito cfr. R. BIANCHIBANDINELLI, Osservazioni sulla forma arti­stica in Oriente e in Occidente ( 1 967) , in Tardo

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78

antico e alto medioevo. La forma aristica nel pas ­saggi,o dall 'antichità al medioevo, Atti del con­vegno (Roma, Accademia dei Lincei, 1 967) ristampato in Dall 'Ellenismo al Medioevo,Roma 1 978, pp. 97-120.

( 1 1 1 ) Della Deesis costantinopolitana, una volta di dibattuta cronologia, viene ormai 1iconosciuta la datazione all'indoma­ni della riconquista paleologa di Costanti­nopoli . Per il più recente intervento in merito: R. CORMACK, The Mother of God inthe Mosaics of Haghia Sophia at Constantinople, in Mother of God. R.epresentations of the Virgi,n in Byzantine Art, c atalogo del la mostra (Atene 2000-2001 ) a cura di M. Vassilaki, Milano, pp. 1 07-1 23 . Fondamentale resta in proposito il pionieristico saggio di O . DEMUS, Die Entstehung des Palaologenstils inder Malerei, in Berichte zum Xl. Int. Byzantini­sten-Kongress, IV, 2, Monaco di Baviera 1958, pp. 1-63, ripreso nelle sue linee portanti nel capitolo conclusivo del suo Byzantine Artand the West, Londra 1970.

( 1 1 2) Per la pionieristica importanza di

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quel saggio non sarebbe dovuta mancare, al proposito del dossale, la citazione di Lasa­reff, 1 936 (vedi sopra nota 43) , pp. 61-73. Ad esso fa anche riferimento ]. POLZER, Some Byzantine and Byzantinising Madonnas painted during the later Middle Ages, in "Arte Cristiana", LXXXVII , 1 999, pp. 83-90.

( 1 1 3) Del Vat. gr. 1 208 non occorre qui ripercorrere la storia critica, essendo suffi­ciente il rinvio a V. LAZAREV, Storia della pittura bizantina, Torino 1 967, p. 282, inte­grandolo con la recente scheda ( di M . Della Valle) sul "Tetraevangelo d i Innocen­zo VIII", ovvero il Vat. gr. 1 158, di sua stret­ta inerenza, per cui cfr. I Vangeli dei Popoli, catalogo della mostra a cura di F. D 'Aiuto, G. Morello e A.M. Piazzoni, Città del Vatica­�o 2000, n. 79, pp. 3 18-320.

( 1 1 4) Su Nerezi si veda adesso I . SINKE­VIL'i, The Church of St. Panteleimon at Nerezi, Wiesbaden 2000; su Kurbinovo: L. HADER­MANN MISGUICH, Kurbinovo, Bruxelles 1975; Cv. GROZDANOV, L. HADERMANN MISGUICH, Kurbinovo, Skopje 1992, mante-

78. Pittore siciliano del XIII secolo,Crocifisso (particolare), Siracusa, SantaLucia.

nendo peraltro il riferimento a V.J . DJU­Rié, Byzantinische Fresken in Jugoslawien, Bel­grado 1976 e a R. HAMANN McLEAN, H. HALLENSLEBEN, Die Monumentalmalerei inSerbien und Makedonien, Giessen 1 963 I 1976.

( 1 1 5 ) Per il mio confronto , V. PACE, Modelli da oriente nella pittura duecentesca su tavola in Italia centrale, in "Mitteilungen des kunsthistorischen Institutes in Florenz", XLIV, 2000, pp. 1 9-43. In quella sede ne avevo omesso le segnalazioni critiche di Garrison, 1949 (vedi sopra nota 26) , p . 203 e n . 529 e di Boskovits, 1 993 (vedi sopra nota 4) , pp. 86-88. Mi duole dire che in catalogo il mio saggio risulta conosciuto dal solo Bacci.

( 1 1 6) VJ. DJURié, Sopoéani, Belgrado 1 99 1 ( Il ed . [in serbo, con riassunto in inglese] ) . Si vedano altrimenti le opere già ci tate , di più ampio raggio , di Dj uri é , Hamann M c Lean e Hallensleben, Lazarev o Demus. D evianti invece , per assoluta incomprensione del mondo bizantino, le caustiche note ( con espliciti riferimenti alla pittura in Serbia) di Roberto LONGHI,scritte nel suo Giudizio sul Duecento ( 1948) , 1 974, pp. 1-53. Sulle reazioni della storio­grafia, in Italia e altrove, a questa inqualifi­cabile condanna rinvio al mio V. PACE,Aquileia, Parma, Venezia e Ferrara: i l ruolo della Serbia (e della Macedonia) in quattro casi di "maniera greca" nel Veneto e in Emilia, in "Zograf', n. 30, 2004-2005, pp. 63-78.

( 1 1 7) J . H . STUBBLEBINE, ByzantineInfluence in Thirteenth-Century Italian Panel Painting, in "Dumbarton Oaks Papers", XX, 1966, pp. 8 -101 ; Demus, 1 970; M. BOSKO­VITS, Giunta Pisano: una svolta nella pittura italiana del Duecento, in "Arte Illustrata", VI, 1973, pp. 339-352.

( 1 1 8 ) Angelelli, 1988 (vedi sopra nota 5 ) , pp. 321-327. Ricordo, per inciso, chenel saggio dell'Angelelli , non citato in cata­logo, veniva anche menzionato "il nimbo dicroce" (Cat. n. 8) .

( 1 1 9 ) D evo fare questa osservazione , perché n o n condivido i confronti in tal senso proposti dall' Angelelli.

( 1 20) Stubblebine, 1 966, in part. pp. 90-91 e figg. 7-8; Boskovits, 1 973, in part.pp . 348-349 e figg. 1 8- 1 9 . Su Mileseva,oltre alla letteratura citata alla nota 1 14, cfr.

Mileseva dans l 'histoire du peuple serbe, Atti del Convegno ( 1 985) , a cura di V. ]. Djurié, Belgrado 1987 (Academie Serbe des scien­ces et des arts. Coll. Scientifiques , XXX­VIII; classe des sciences historiques, 6) .

( 1 2 1 ) Per il pittoricismo dell' angelo che fiancheggia San Francesco penso al detta­glio degli astanti dell'Ingresso a Gerusalemme di Nerezi (per belle foto a colori cfr. Dju­rié, 1976, tav. VIII, oppure: T. VELMANS, V. KORAé, M. SUPUT, Bisanzio. Lo splendore dell'arte monumentale, Milano 1999, fig. 59) .La sigla grafica che tanto caratteristicamen­te disegna il volto del santo venne utilizzataubiquamente nella Bisanzio "tardo-comne­na", come evidenziano diversi esempi per iquali cfr. Hadermann Misguich, 1 992, Il ,figg. 1 70-1 73 .

( 1 22 ) Ad evitare equivoci , sottolineo che evito di proposito i riferimenti attribu­tivi, per non entrare in un'arena che "qui" mi è estranea e irrilevante.

( 1 23) Kalenderhane in Istanbul. The buil­dings, their history, architecture and decoration, a cura di C .L. STRIKER e Y.D . KUBAN, Magonza 1997, pp. 128-142 .

( 1 24) Per la complessità della situazio­ne figurativa e storiografica in merito , ancora oggi tale, cfr. V. PACE, Italy and theHoly Land: Import - Export. I. The Case of Venice, in The Meeting of Two Worlds, a cura di V. Goss e Chr. Verzar Bornstein, Kala­mazoo I Mi ( U SA) , 1 9 8 6 ( S tudies inMedieval Culture, XXI) , pp . 331-345.

( 1 25) Mother of God . . . , cit., 2000-2001 , n. 63 , p . 408 ( scheda di C . Baltoyanni ) . Si tratta dell ' icona anche da me pubblicata (2000) e confrontata sia con la Madonna di

sotto gli organi sia pure con altra fiorentina (Uffizi n. 921 3) per la quale cfr. Boskovits, 1 993, pp. 734-737.

( 1 26) Per una sintetica scheda informa­tiva, di R. Corrie, si veda adesso il catalogo della mostra di New York, 2004 (vedi sopra nota 62) , n. 286, pp. 476-477.

( 1 27 ) Pace , 2000, pp . 26-30. Ricordo che, assai significativamente, questa tavola sinaitica reca un' iscrizione in latino.

( 1 28) Un importante articolo sui pro­cedimenti compositivi delle tavole toscane nell ' ambito del "Maestro dei SS. Cosma e Damiano", dunque inclusivo della Niadon­na dei mantellini è que l lo , purtroppo anch ' e sso ignorato in ca talogo , d i W. AN GELELLI, Trasmissione cli modelli e proces­si esecutivi nella pittura su tavola del Duecento, in Medioevo: i modelli, Atti del Convegno Internazionale (Parma 1999) , a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2002, pp. 688-698.

( 1 29) V. SARABIANOV, Bogomater Strast­naja iz Dmitrovskogo monasteriav Kashine (in russo; "L'icona della Madre di Dio della passio­ne" dal monastero di San Demetrio a Kashin) , in Drevnerusskoie iskusstvo. Rus. Vizantija.Balkany. XIII vek., a cura di D . Bulanin, San P ie troburgo 1 99 7 , p p . 3 1 1 - 325 . P iù d i recente : E . SMIRN OVA, Jeans of NorthEastern Rus ' . i'v1id-Thirteenth to Mid-Fourteenth Century, Mosca 2004 ( in russo) , p p. 1 8 7-190. L'icona è adesso esposta nella Tver Art Gallery, vicino Mosca.

( 1 30) Pace, 2000.

( 1 3 1 ) Per le icone macedoni cfr. Tesori Medioevali della Repubblica di Macedonia, catalogo della mostra (Roma 1999) , Roma 1 999. Per l ' area fiorentina cfr. Boskovits, 1993, in part. tav. LV. Il modello del volto del Bambino è quello assunto anche dalla cosidetta Madonna Altieri, per la quale cfr. Dipinti romani tra Giotto e Cavallini, catalogo della mostra (Roma 2004) , a cura di T. Stri­nati e A. Tartuferi, Milano 2004, pp. 74-77 (scheda di A. Tartuferi) .

( 132) A nostra conoscenza l ' immagine­prototipo della cd. "Kyklwtissa" (appellativo seriore ! ) è costituita dall ' icona del Sinai per cui cfr. di recente The Glory of Byzan­tium, catalogo del la mostra ( N ew York 1997) , a c . di H.C. Evans e W.D . Wixom, New York 1997, p. 372 , n . 244 (scheda di A.W. Carr ) oppure Mother of God . . . cit . , 2000-2001 , n. 28, pp. 314-31 6 (scheda di di T. Papamastoraki s ) . All ' icona di Piazza

Armerina e al suo contesto siciliano ho accennato anch'io di recente: V. PACE, DaBisanzio a lla Sicilia: la "Madonna col bambino" del Sacramentario cli Madrid ( ms. 52della Biblioteca Nazionale), in "Zograf", 27, 1 998-99 [ma 2000] , pp. 47-52 . Su questa " immagine " d i culto cfr. ade sso : A.W. CARR, Reflections on the life of an icon: theEleousa of Kyklws, in "Epetirida kentrou meleton ieras monis Kykkou", 6, 2004, pp. 1 03-1 24 (testo inglese) e pp. 1 25-1 50 (testo greco ) , figg. 1 - 1 8 . Per l ' inquadramento "tardo-comneno" di Monreale resta insupe­rata l 'analisi di E. KITZINGER, I mosaici diMonreale, Palermo 1960.

( 1 33) Per l 'uso della pastiglia nelle au­reole cfr. D.T. RICE, Cypriot Jeans with Plaster Relief Background, in 'Jahrbuch der òsterr. Byzantinistik" , XXI , 1 972 (Festschrift fiir Otto Demus) , pp. 269-278; M.S. FRINTA, Raisecl Gilclecl Adornment of the Cypriote Jeans, ancl the Occurrence of the Technique in the West, in "Gesta", XX, 198 1 , pp. 333-347. Conside­rando la specificità di questo scritto mi asten­go da osservazioni su questa icona.

( 134) Per la prima, cfr. W. ANGELELLI, Dipinti e ridipinti siciliani. Metam01Josi cli gusto e restauri cli alcune tavole del Duecento, in "Arte cristiana", XC, 2002, pp. 79-88. Per la seconda, cfr. Federico e la Sicilia. Dallaterra alla corona. Arti figurative e arti suntua­rie, catalogo della mostra (Palermo 1994-1995) a cura di M. ANDALORO, Palermo 1 995, pp. 474-480 (scheda di M. Andalo­ro) . Che sia "siciliana" ( come non mi pare per assoluta assenza di confronti) oppure "toscana" (ovvero, specificamente "pisana") mi preme sottolinearne la pertinenza della Vergine a un arco di modelli esemplabili da opere che dall ' inizio del XIII secolo (Studenica, citata dalla Andaloro) giungo­no agli anni ' 60 (Peé) , dunque anche oltre la sua verosimile data di esecuzione . Per questi riferimenti comparativi cfr. Djuris , 1 976, tav. XVII (Studenica) ; G. SUBOTIC, Terra sacra. L 'arte del Cossovo, Milano 1997, figg. 1 3-15 (per Peé) . Il riferimento pisano (ma a una data troppo tarda, di fine ' 200) , venne formulato da V. SCUDERI, in XI catalogo cli opere d 'arte restaurate (1 976-1 978) , Palermo 1980, scheda n. 2, pp. 25-32.

( 1 35 ) L'assoluta ipoteticità della mia proposta è misurata dall'assenza di qualsia­si cogente confronto , in trovabile né in Icone cli Puglia e Basilicata dal medioevo al set ­tecento, catalogo della mostra (Bari 1988) a cura di P. Belli D 'Elia, Milano 1988, né in Calabria bizantina, a cura di V. Pace , Roma 2003.

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