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4XX1.HAJ 2/4/10 PIETRO MARANESI Regola e le costituzioni del primo secolo francescano: due testi giuridici per una identità in cammino

Regola e le costituzioni del primo secolo francescano: due testi giuridici per una identità in cammino, in La Regola dei frati minori. Atti del XXXVII convegno internazionale. Assisi,

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Regola e le costituzioni del primo secolo francescano:due testi giuridici per una identità in cammino

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Il rapporto tra la Regola di Francesco e le costituzioniemanate dai frati minori divenne, a partire da Bonaventura,una relazione tanto necessaria per la vita dell’Ordine france-scano quanto difficile nel suo continuo ripensamento e aggiu-stamento. Che la Regola non fosse sufficiente a regolamentarela vita dei frati e a dare ordine ad un gruppo ormai troppoesteso, sia nello spazio geografico che negli impegni pastoralie culturali, era diventata una chiara ed accettata evidenza. Iltesto fondativo dell’identità dell’Ordine doveva essere affianca-to da un documento giuridico ulteriore che potesse adeguarele richieste della Regola, tanto fondamentali per l’identità deifrati quanto, però, anche vaghe, alle diverse e urgenti esigenzecon le quali si stava confrontando la fraternità minoritica.

Il nostro intento è quello di indagare questo rapporto,sondando gli elementi di continuità e discontinuità che si evi-denziano nei testi costituzionali prodotti dall’Ordine tra glianni 1260 e 1354, cioè da Bonaventura al generale Farinier.L’abbondanza del materiale rende l’obiettivo della ricerca al-quanto impegnativo, facendo già prevedere che i risultati nonpotranno che essere considerati solo una premessa per un’ulte-riore e più accurata indagine. Ricordiamo un dato statisticofondamentale: dalle costituzioni di Bonaventura del 1260 allecostituzioni di Farinier del 1354 si susseguirono ben 15 costi-tuzioni generali, con la media di una nuova redazione ogni6,5 anni. È il caso di ricordarle nella loro successione tempo-

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rale legandole alla città dove si svolse il capitolo generale dacui furono emanate: Narbona (1260), Assisi (1279), Strasbur-go (1282), Milano (1285), Parigi (1292-5), Padova (1310) As-sisi (1316) Lione (1325), Perpignan (1331), Benedettine(1336), Quercy (1337), Assisi (1340), Venezia (1346), Lione(1351), Assisi (Farineriane) (1354). È chiaro che non è possi-bile operare una lettura globale e integrale di una quantitàcosì grande di documenti. Inoltre occorre tener presente ladifficoltà nel reperire i testi in questione. Solo recentemente, èstata pubblicata una edizione critica integrale delle prime 5costituzioni composte nel secolo XIII 1, mentre delle altre sihanno ancora solo delle edizioni parziali sparpagliate in diver-si lavori apparsi nella prima metà del ‘900 nella rivista “Ar-chivum Franciscanum Historicum” 2; tale situazione mette in

1 Cfr. Constitutiones generales ordinis fratrum minorum, I (Saeculum XIII), cura etstudio fratrum C. CENCI e R.G. MAILLEUX (Analecta Franciscana, XIII. Nova Series.Documenta et studia, I), Grottaferrata 2007, di essi ricordiamo le pagine: Narbo-na: pp. 69-104, Assisi: pp. 109-148, Strasburgo: pp. 157-217, Milano: pp. 225-275, Parigi: pp. 285-364.

2 Costituzioni di Padova (1310): C. CENCI, Le costituzioni padovane del 1310, inId. L’Ordine francescano e il diritto. Testi legislativi dei secoli XIII-XV, (Bibliothecaeruditorum, 14), Goldbach 1997, pp. 217-270; Costituzioni di Assisi (1316): A.CARLINI, Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum Anno 1316 Assisii conditae,in AFH, 4 (1911), pp. 276-302, pp. 508-526. Costituzioni di Lione (1325): A.CARLINI, Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum Anno 1316 Assisii conditae,in AFH, 4 (1911), pp. 526-536. Costituzioni di Perpignan / Perpiniane (1331): S.MENCHERINI, Constitutiones generales Ordinis Fratrum Minorum a capitulo Perpiniani an-no 1331 celebrato editae, in AFH, 2 (1909), pp. 276-292, pp. 412-430, pp. 575-598. Costituzioni di Assisi / Benedettine (1336): M. BIHL, Ordinationes a BenedictoXII pro Fratribus Minorum promulgatae per bullam 28 Novembris 1336, in AFH, 30(1937), pp. 332-390. Costituzioni di Quercy (1337): M. BIHL, Constitutiones Genera-les editae in capitulis generalibus Caturci an. 1337 et Lugduni an. 1351 celebratis, inAFH, 30 (1937), pp. 128-157. Costituzioni di Assisi (1340): F. DELORME, Acta etConstitutiones capituli generalis Assisiensis (1340), in AFH, 6 (1913), pp. 251-266.Costituzioni di Venezia (1346): F. DELORME, Acta capituli generalis anno 1346 Vene-tiis, in AFH, 5 (1912), pp. 699-708. Costituzioni di Lione (1351): M. BIHL, Consti-tutiones Generales editae in capitulis generalibus Caturci an. 1337 et Lugduni an. 1351

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evidenzia quale preziosità avrà il secondo volume in cui Cencie Mailleux, i due curatori del precedente, stanno riunendotutte le costituzioni del secolo XIV 3.

Cosciente dell’ampiezza del materiale, è necessario più chemai stabilire un preciso punto di osservazione intorno al qualeorganizzare la presente indagine. Esso si può sintetizzare inuna domanda che costituirà come il filo conduttore dell’inda-gine: se la Regola ha avuto bisogno delle costituzioni peresplicitare la sua forza normativa, quali sono stati gli elementicaratteristici della formulazione grazie ai quali queste hannoassolto alla loro funzione integrativa a vantaggio del testo le-gislativo di Francesco?

Come si è già osservato, il processo di riscrittura delle co-stituzioni minoritiche è stato segnato da una frequenza di ag-giornamento e trasformazione redazionale che rinvia ad un co-stante bisogno di ridire e ripuntualizzare la vita dei frati. Inparticolare, guardando ai macro processi editoriali che con-traddistinguono le 15 costituzioni prodotte dall’Ordine nelprimo secolo di storia, si nota la presenza di alcuni grandi on-de redazionali legate a significativi eventi storici vissuti dal-l’Ordine stesso nel suo travaglio identitario. Le costituzioni,in qualche modo, ripropongono il difficile processo evolutivodi una autocoscienza minoritica che, già nel primo secolo, èstata spesso chiamata a doversi ridire senza trovare mai unconsenso definitivo e stabile. In via generale, si potrebbero in-dividuare tre grandi blocchi di costituzioni quali passaggi di

celebratis, in AFH, 30 (1937), pp. 158-169. Costituzioni di Assisi / Farineriane(1354): M. BIHL, Statuta Generalia Ordinis edita in capitulo generali an. 1354 Assisiicelebrato communiter Farineriana appellata, in AFH, 35 (1942), pp. 35-112, pp.177-253.

3 Voglio cogliere l’occasione per ringraziare il p. Cesare Cenci del prezioso epuntuale aiuto che mi ha offerto nel mettermi a contatto con il suo lavoro, offren-domi non solo in anticipo l’introduzione al prossimo volume ma anche dandomipreziose indicazioni per la mia indagine.

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altrettanti travagli storici subiti dall’Ordine: il primo gruppo,composto dalle prime 8 costituzioni, è legato alla tradizionebonanventuriana delle narbonensi, di cui nelle successive co-stituzioni si riprenderà costantemente lo schema, conferman-do, sebbene con degli ampliamenti, le norme di quel testoiniziale. Tale linea durerà fino al 1331, quando vi sarà unaspecie di parentesi redazionale connessa al testo prodotto nelcapitolo di Perpignan, a cui farà seguito le costituzioni ema-nate dal papa Benedetto XII nel 1337: i due testi si distacca-no dalla tradizione giuridica bonaventuriana per assumere unnuovo schema di sviluppo e, in certi casi, nuove linee diretti-va. Le successive ultime 5 costituzioni, terminando con le Fa-rineriane del 1354, operano un progressivo e deciso ritorno al-la tradizione narbonense riprendendo quest’ultima strutturarivisitata, però, sulla base del nuovo materiale giuridico pro-dotto nelle due precedenti grandi costituzioni, quella di Per-pignan e di Benedetto XII. L’individuazione di tre gruppi nelprocesso evolutivo della tradizione giuridica minoritica dei se-coli XIII-XIV rinvia anche a delle novità concernenti il rap-porto tra testo costituzionale e Regola. L’indagine separata deitre blocchi redazionali tenterà, in fondo, di appurare ed evi-denziare il processo evolutivo e relazionale, per rintracciare ilflusso identitario realizzato dalle costituzioni nella loro diversariproposta della Regola.

1. LA TRADIZIONE BONAVENTURIANA FINO A MICHELE DA CESENA

La tradizione legislativa del primo secolo è caratterizzatadal testo redatto da Bonaventura e approvato nel 1260 nel ca-pitolo di Narbona. L’impostazione giuridica data dal Santodottore al suo documento resterà, infatti, di riferimento nelprocesso di sviluppo delle successive otto redazioni. L’analisipreliminare al suo testo offre, di conseguenza, la possibilità diavere un accesso generale al rapporto instaurato tra costituzio-ni e Regola minoritica nella grande tradizione giuridica degli

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inizi. Gli elementi peculiari del testo bonaventuriano varrannoin qualche modo anche per le costituzioni che si susseguiran-no fino al 1325 con il testo emanato al capitolo di Lione.

a. Le costituzioni di Bonaventura

Un’informazione succinta ma di grande valore per la rico-struzione del contesto storico da cui nascono le costituzionistilate da Bonaventura è fornita da Salimbene da Parma. Il fa-moso cronista, raccontando gli avvenimenti dell’importantecapitolo del 1239 svoltosi a Roma, quando cioè venne depostofrate Elia ed eletto Alberto da Pisa, riferisce quanto segue:

In quel capitolo si stilarono anche una grande moltitudine di costituzioni,ma piuttosto disordinate. Più tardi vi mise ordine frate Bonaventura, mi-nistro generale, e vi aggiunse poco di suo, ma determinò in qualche puntole penitenze 4.

Nel breve testo vengono offerte diverse notizie. La primariguarda la situazione “confusa” delle precedenti costituzionistilate nel 1239, che necessitavano di un riordinamento. Talestato durerà fino al 1257, quando nell’altro movimentato ca-pitolo generale di Roma, oltre la deposizione di Giovanni daParma e l’elezione a generale dell’Ordine del maestro Bona-ventura, si decide di mettere mano alle numerose e confusecostituzioni per dar loro ordine ed efficacia giuridica. L’incari-co viene di fatto affidato al neo eletto generale Bonaventurada Bagnoregio. Il suo lavoro, che verrà presentato e approvatonel capitolo successivo tenutosi a Narbona nel 1260, si quali-fica, secondo la descrizione di Salimbene, come un’opera reda-zionale, nella quale il giovane generale effettuerà un riordina-

4 Salimbene da Parma, Cronaca, 29, in Fonti francescane. Nuova edizione, a curadi E. CAROLI, Padova, 2004 (in seguito FF), n. 2623.

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mento del materiale precedente, senza aggiungere molto disuo. In un solo ambito, tiene a precisare il cronista, Bonaven-tura intervenne: in quello penale, stabilendo in alcuni casinuove e più dure “penitentias” per i frati che peccano.

Bonaventura, dunque, chiamato a dirigere un Ordine digrandi dimensioni e con una vitalità pastorale che lo aveva re-so uno dei gruppi religiosi più importanti della Chiesa deltempo, deve subito affrontare due gravi questioni 5. La primariguardava le dure e violente obiezioni che, proprio in queglianni, venivano mosse all’Ordine dall’esterno sulla sua legitti-mità ecclesiale; in particolare doppia era la critica: l’Ordinenon apparteneva alla struttura della Chiesa, ma costituiva, inqualche modo, una novitas in rapporto la compagine ternariadella Chiesa composta da monaci, chierici e laici; inoltre nonera accettabile la pretesa avanzata da quella novità religiosa divivere una vita più perfetta degli altri ordini a motivo dellascelta di povertà non solo personale ma anche comunitaria 6.La seconda, invece, era incentrata nell’altrettanto grave e ne-cessaria riforma della vita interna dell’Ordine; occorreva infattisuperare il rischio di una spaccatura tra i frati, divisi da modinon solo diversi ma anche opposti di vedere e vivere la fedeltàa Francesco e al suo ideale.

Il nostro interesse in questo caso si concentra solo sul se-condo ambito legato al servizio svolto da Bonaventura comeministro generale in favore dell’Ordine, impegno che lo occu-pò per il resto della sua vita. Che il giovane generale sentisseforte e urgente il bisogno di una “riforma” della vita condottadai frati è attestato dal contenuto programmatico da lui con-densato nella sua prima lettera circolare inviata a tutto l’Ordi-ne. In essa Bonaventura stilava gli obiettivi di rinnovamento

5 Sulla pluriforme attività di Bonaventura a favore del suo Ordine nel suo ruo-lo di ministro generale cfr. P. MARANESI, Bonaventura ministro generale di fronte al-l’Ordine francescano e alla Chiesa, in Doctor seraphicus, 55 (2008), pp. 17-65.

6 Cfr. ibid., pp. 18-32.

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dell’Ordine, elencando un’ampia serie di stili di vita assuntidai frati che « offuscavano lo splendore dell’Ordine » 7. L’im-pegno affidatogli dal capitolo del 1257 di redigere nuove co-stituzioni costituiva un’importante opportunità per ridaresplendore e lucentezza ad un organismo che si stava opaciz-zando con una vita sempre più distante dagli ideali iniziali. Inparticolare, attraverso la stesura di un nuovo testo giuridicoBonaventura poteva perseguire contemporaneamente dueobiettivi fondamentali del suo progetto di rilancio dell’Ordi-ne: dare continuità al processo evolutivo di tipo pastorale eculturale assunto fin dagli inizi dai frati, mantenendolo peròlegato ad una sostanziale adesione alla vocazione di povertà eminorità che doveva caratterizzare la fedeltà agli ideali fonda-tivi. Nella conciliazione dei due programmi risiedevano gliobiettivi del santo generale.

Da una parte, infatti, l’evoluzione dell’Ordine, assunta dopola morte di Francesco in direzione cultuale e pastorale, non dove-va essere giudicata un tradimento degli ideali iniziali, ma un so-stanziale sviluppo e progresso dei medesimi: l’organizzazione de-gli studi e l’espansione del potere missionario a favore della Chie-sa costituivano per Bonaventura un segno sicuro di una storiaguidata e voluta da Dio, alla stregua proprio dell’evoluzione av-venuta nella Chiesa che era nata da poveri pescatori e si era evo-

7 Cfr. Lettera I, in San Bonaventura, Opuscoli francescani/1 (Sancti BonaventuraeOpera, XIV/1), Roma 1993, pp. 111-117. Ricordiamo solo i più importanti aspettipresenti nella dura requisitoria fatta da Bonaventura nel richiamare i suoi frati aduna vita più coerente: maneggio e uso del denaro; l’ozio dei frati: « molti assopiti,scegliendo uno stato mostruoso, tra il contemplativo e l’attivo »; il vagabondaggiodei frati, che, spesso, dove vanno, « non lasciano dopo di sé un esempio di vita, mapiuttosto uno scandalo per le anime »; la questua « inopportuna che tutti coloroche sono in viaggio hanno tanta paura di incontrare un frate come temerebbero diimbattersi nei predoni »; le costruzioni sontuose e preziose degli edifici; le amicizieparticolari; l’avido assalto ai funerali e ai testamenti « il che non avviene senza ungrande turbamento del clero e in particolare dei sacerdoti delle parrocchie » (ibid.,n. 2, p. 115).

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luta verso grandi dottori 8. D’altra parte, però, tale sviluppo nondoveva contrapporsi o abbandonare i caratteri peculiari di unavocazione rivelata da Dio a Francesco fondata sulla povertà, scel-ta, appunto, che rendeva l’Ordine “più perfetto” degli altri per-ché più evangelico. La conciliazione di questi due aspetti costi-tuiva non solo il nucleo portante del programma pastorale di Bo-naventura ma anche una grande sfida di porre insieme due esi-genze tra loro non sempre armonizzabili.

GLI OBBIETTIVI IDEALI DELLE COSTITUZIONI: IL PROLOGO

Il prologo con il quale il santo Dottore apre le sue costi-tuzioni costituisce la sintesi degli obiettivi da lui perseguitinella stesura del suo testo giuridico. Dei tre paragrafi checompongono la breve introduzione programmatica, il primorappresenta quello essenziale per comprendere il valore asse-gnato da Bonaventura al documento che stava offrendo ai suoifrati in rapporto alla loro vocazione minoritica e dunque avantaggio della fedeltà verso la Regola.

Poiché, come dice il Sapiente, dove non c’è siepe, la proprietà viene saccheggiata,

8 Si sta alludendo al famoso e importante testo autobiografico posto da Bonaven-tura in chiusura della sua lettera inviata ad un maestro anonimo, dove, per aiutare ilsuo interlocutore a superare le sue perplessità nell’abbracciare la vita minoritica, il fu-turo generale dell’Ordine gli comunica la sua esperienza personale: « E non ti turbi ilfatto che all’inizio i frati furono uomini semplici e illetterati; anzi, ciò dovrebbe confer-mare la tua fede nell’Ordine. Confesso davanti a Dio che è questo che mi fece amaresopra ogni cosa la vita del beato Francesco: il fatto che corrisponde all’inizio e alla per-fezione della Chiesa, che cominciò da semplici pescatori e poi crebbe fino a dottorichiarissimi ed espertissimi; così vedrai nella Religione del beato Francesco affinché Diomostri che essa non fu inventata dalla prudenza degli uomini, ma da Cristo; e poichéle opere di Cristo non diminuiscono, ma crescono, si dimostra che questa fu un’impre-sa divina, al punto che neppure i sapienti hanno disdegnato di scendere a far parte delconsorzio di uomini semplici » (Lettera a un maestro non nominato su tre questioni, in Operedi San Bonaventura, XIV/1, Roma, 1993, pp. 94-109).

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per custodire illeso il prezioso possesso del regno dei cieli, dove si entraattraverso lo spirito di povertà è necessario circondarlo con la siepe delladisciplina. Le osservanze regolari, infatti, non costituiscono affatto un inu-tile criterio di comportamento, non solo per il fatto che favoriscono laconcordia, il decoro e la custodia della vita spirituale, ma, soprattutto, co-me avviene il più delle volte, in quanto si mantengono nell’alveo della so-stanziale perfezione e purezza della Regola professata. È necessario che que-ste osservanze si conoscano accuratamente, affinché per l’oscurità dell’igno-ranza, non si caschi nella fossa della trasgressione 9.

La prima preoccupazione di Bonaventura è quella di stabi-lire una precisa relazione tra osservanza della Regola e osser-vanza delle costituzioni. Le norme giuridiche non sono solofunzionali ad una vita ordinata e pacifica dei frati, ma soprat-tutto rappresentano, per chi le osserva fedelmente, la possibi-lità concreta di un’osservanza « sostanziale » della Regola. Stra-tegico, dunque, nel testo è il rapporto tra “regulares observan-tiae” e “perfectionis et puritatis Reguale promissae substan-tiam”: l’osservanza “accurata” (regolare) delle norme garantiscel’osservanza della “sostanza” della Regola.

Se si volesse tradurre in altre parole la stretta continuità traosservanza regolare e sostanziale fedeltà alla Regola si potrebbe di-re che per il ministro generale le norme delle costituzioni per-mettono al frate il giusto collocamento (la posizione media) tradue pericolosi estremi che serpeggiavano in seno all’Ordine: dauna parte lo spiritualismo contrario ad ogni evoluzione dell’Ordi-ne e, dunque, avverso alle scelte culturali e pastorali effettuatedalla grande comunità minoritica, dall’altra il lassismo teso aduna vita agiata e disimpegnata che trasformava quello che sareb-be dovuto essere un esempio di perfezione evangelica in scandaloper tutta la Chiesa 10. Le costituzioni volevano essere dunque la

9 Costituzioni generali dei Frati Minori, Prol. 2, in ibid., p. 127.10 È quanto richiama in un’altra lettera Bonaventura ai provinciali dell’Ordine

quando li invita a vegliare perché nell’Ordine « non si accrescano i rovi dei vizi, iquali, mentre rendono spregevole, molesto e odioso a molti questo sacro e veneran-

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giusta misura offerta alla vita del frate per conseguire con co-scienza retta e serena la fedeltà nell’osservanza della Regola: coloroche seguivano con attenzione e precisione quelle norme potevanoavere la certezza morale di essere « nell’alveo della sostanzialeperfezione e purezza della Regola professata ». Insomma, si tratta-va di conciliare il semplice ma fondativo dettato della Regola conla grande diversità di situazioni e impegni che gravavano sull’Or-dine; tale operazione avrebbe reso possibile stabilire una prassi si-cura nella quale le scelte pastorali e culturali dei frati sarebberostate garantite nella loro fedeltà all’ideale minoritico. Per Bona-ventura era dunque questo il valore risolutivo delle costituzioni :da esse dipendeva la possibilità di osservare sostanzialmente laRegola nonostante le diversità e le novità di scelte non contem-plate nel testo fondativo dell’identità dell’Ordine. Tramite esse ifrati dovevano ritrovare non solo la loro personale serenità ma an-che unità e pace nel leggere e vivere la Regola.

Nel secondo e terzo paragrafo del prologo Bonaventura sipreoccupa di offrire un ulteriore motivo per convincere i fratiad una osservanza regolare delle costituzioni.

2. Nessuno, pertanto, pensi di gloriarsi in cuor suo del possesso della virtùse col proprio comportamento si costituisce distruttore della siepe. Se qual-cuno, infatti, teste la Scrittura, pensa di essere religioso e ingannando il propriocuore, non frena la propria lingua, la sua religione è vana.

3. È necessario, pertanto, che la siepe costruita con la rettitudine di rego-lari statuti intorno alla bocca e agli altri sensi, intorno agli atti, ai gesti eai costumi, non venga distrutta, ma preservata dagli uomini retti, affinchè,mentre si distrugge la siepe, non si venga morsi dal serpente, secondo lasentenza della Scrittura. Non senza pericolo, infatti, può farsi oggetto didisprezzo ciò che attraverso tante difficoltà, fatiche e perplessità, viene sta-bilito per la salvezza delle anime con tante e tali delibere dal Capitolo ge-nerale, presso il quale risiede la più alta potestà di governo dell’Ordine. Sequalcuno, invero, reputa troppo gravosa l’osservanza di questi Statuti, ri-

do collegio, cambiano in scandalo ciò che per tutti avrebbe dovuto essere di esem-pio » (Lettera II, n. 1, in ibid., p. 119.)

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fletta tra sé e sé, che, secondo l’Apostolo ogni correzione sul momento non ècausa di gioia, bensì di tristezza, ma successivamente, arreca un frutto di pace edi giustizia a coloro che si sono lasciati trasformare.

Non solo le norme contenute nelle costituzioni assicurava-no ai frati l’osservanza sostanziale della Regola, ma erano ilfrutto di un comando venuto dal capitolo generale nel quale« residet auctoritas ordinis gubernandi ». Disprezzare quantoveniva ordinato in quel testo significava, dunque, porsi fuoridell’obbedienza oltre che cadere nel pericolo di distruggere lasiepe « regularium statutorum » costruita intorno « ori et ce-teris sensibus et actibus et gestibus et morius », disprezzare onon osservare quelle leggi significava perdere la vera e unicadifesa dei frati contro il morso del serpente antico.

Di fatto alla base ideale per la valutazione del testo giuri-dico vi era l’asserto secondo cui non era possibile dare ordinee sicurezza alla vita religiosa senza una legge chiara e ferma,da tutti osservata come guida sicura. In particolare, mi sem-bra di grande interesse il termine “statuti regolari” “regulariastatuta” che in qualche modo viene a porsi in parallelo e instretta continuità con la “Regula”: di fatto le costituzioni sonol’esplicitazione articolata di quel testo fondativo iniziale, perdare vita, insieme, all’unico testo normativo.

Nel prologo, dunque, Bonaventura determina dove risieda ilvalore principale delle costituzioni in rapporto all’ideale della vitaminoritica: esse offrono al frate la possibilità di realizzare l’osser-vanza “sostanziale” cioè regolare della Regola. Indubbiamente lecostituzioni sono a servizio della Regola e non la sostituiscono,tuttavia è anche vero che questa senza quelle non sarebbe suffi-ciente per la vita “regolare”. L’una ha bisogno delle altre e vice-versa. Nasce in questo contesto l’ideale della “vita regolare” odell’“osservanza regolare” quale sicura via alla santità: la Regola èla via alla perfezione evangelica, tuttavia quella non è osservabilepienamente e concordemente senza le costituzioni.

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LA LOGICA STRUTTURALE DELLE DODICI RUBRICHE

IN RAPPORTO ALLA REGOLA

La domanda che a questo punto sorge nella lettura dei do-dici capitoli componenti le costituzioni riguarda l’articolazio-ne concreta attraverso cui è realizzato il legame tra i due testi;in particolare sarà interessante appurare come Bonaventura or-ganizzi la stesura del suo testo legislativo mostrando la suacapacità di assicurare la “sostanziale” osservanza della Regola.

Senza voler effettuare un’analisi dettagliata sull’intero ma-teriale, cosa d’altronde difficile in poco spazio, è sufficiente amio avviso proporre alcuni rilievi generali che permetterannodi avere delle preliminari chiarificazioni sulla relazione instau-rata da Bonaventura tra la Regola e le costituzioni.

Il primo aspetto che salta agli occhi è la disconnessionetra le tematiche trattate nelle 12 rubriche delle costituzioni ei 12 capitoli della Regola. La lettura sinottica delle due seriepermette facilmente di cogliere questa particolarità:

Regula bullata Costitutiones narbonenses

I: Incipit vita Minorum fratrumII: De his qui volunt vitam istam accipere, et

qualiter recipi debeant;III: De divino officio et ieiuno, et quomodo fra-

tres debeant ire per mundum;IV: Quod fratres non recipiant pecuniam;V: De modo laborandi;VI Quod nihil approprient sibi fratres, et de ele-

mosyna petenda et de fratribus infirmis;VII: De penitentia fratribus peccantibus impo-

nendaVIII: De electione generalis ministri huius frater-

nitatis et de capitulo PentecostesIX: De praedicatoribusX: De admonitione et correctione fratrumXI: Quod fratres non ingrediantur monasteria

monacharum;XII: De euntibus inter saracenos et alios infideles.

I: De Religionis ingressu;II: De qualitate habitus;III: De observantia paupertatis;IV: De forma interius conversandi;V: De modo exterius exeundi;VI: De occupationibus fratrum;VII: De correctionibus delinquentium;VIII: De visitationibus provinciarum;IX: De electionibus ministrorum;X: De capitulo provinciali;XI: De capitulo generali;XII: De suffragiis defunctorum.

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I capitoli nei quali i due testi sembrano generalmente so-vrapporsi nella loro formulazione sono diversi: il II della Rego-la con il I delle costituzioni circa il modo di accogliere i nuo-vi candidati, il IV e parte del VI della Regola con il III dellacostituzioni riguardo alla povertà; in qualche modo anche il Vdella Regola con il VI delle costituzioni sul lavoro sono tra lo-ro relativi; combaciano perfettamente invece sia il VII capito-lo, che in ambedue i testi riguarda la penitenza da dare ai fra-ti peccatori, sia l’VIII sull’elezione dei ministri il quale, nellecostituzioni, si espande in quattro rubriche VIII-XI. Tra i duetesti, dunque, se da una parte non esiste uno sviluppo paralle-lo, in cui le costituzioni riprendono alla lettera la successionedei capitoli della Regola, permane tuttavia uno stesso contenu-to di fondo nelle grandi tematiche.

A questa prima osservazione va aggiunta una seconda,strettamente ad essa connessa, che potrebbe essere un’ipotesidi lettura generale del lavoro redazionale effettuato da Bona-ventura: nelle sue costituzioni il generale sembrerebbe volereffettuare una riorganizzazione del materiale presente nella Re-gola dando ad esso una logica di sviluppo assente nel testo diFrancesco. Sinteticamente sembrerebbe possibile individuarequattro grandi ambiti dentro i quali si organizzano i 12 capi-toli delle costituzioni:

1. Introduzione: L’inizio della vitaI: De Religionis ingressu;II: De qualitate habitus;

2. L’azione dei fratiIII: De observantia paupertatis;IV: De forma interius conversandi;V: De modo exterius exeundi;VI: De occupationibus fratrum;VII: De correctionibus delinquentium;

3. L’amministrazione dell’OrdineVIII: De visitationibus provinciarum;IX: De electionibus ministrorum;

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X: De capitulo provinciali;XI: De capitulo generali;

4. Conclusione: la fine della vitaXII: De suffragiis defunctorum.

Nelle prime due rubriche delle costituzioni si mantiene eviene specificato il II capitolo della Regola dedicato all’entratadei nuovi candidati. Quel materiale però è diviso in due ru-briche, la prima delle quali centrata sugli aspetti giuridici ge-nerali legati alle condizioni per l’accoglienza dei richiedenti (r.I), la seconda invece connessa con il problema specifico dell’a-bito e le sue caratteristiche esterne (r. II). Quest’ultimo aspet-to, in particolare, affrontato semplicemente e velocemente nelII capitolo della Regola, era invece diventato in seno all’Ordineun tema scottante, legato all’identità dei frati e all’unità del-l’Ordine stesso.

A questi primi due elementi viene fatta seguire una serie dirubriche (III-VII), tutte connesse all’attività dei frati, questionestrategica trattata secondo una logica progressiva. Il primo temariguarda il presupposto generale dell’agire dei frati che dovrà es-sere regolamentato da una scelta di fondo: la povertà (r. III). Laprima osservazione da fare circa questa rubrica riguarda l’opera-zione di riunificazione effettuata in essa di due grandi temi delpauperismo francescano presentati nella Regola in altrettanti capi-toli: il divieto di ricevere denaro (Rb IV) e il divieto di possederein comune (Rb VI). Oltre ciò le costituzioni effettuano, a mioavviso, un riposizionamento del tema della povertà per renderlostrategico per tutta l’attività dei frati. In qualche modo, cioè, lapovertà veniva posta da Bonaventura a base identitaria per misu-rare e gestire la questione affrontata nelle successive rubriche de-dicate appunto in modo diretto all’azione dei frati in favore delmondo. È a partire da questo presupposto ideale che si passa poiad affrontare l’attività dei frati in due blocchi complementari:IV-VI circa i diversi ambiti del lavoro dei frati e la rubrica VIIcentrata sulla questione penale qualora i frati non agissero incontinuità con il loro ideale di vita. Dunque, le prime tre rubri-

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che (IV-VI) si occupano di diversi ambiti di vita dei frati, distin-guendo la loro esistenza dentro al convento (r. IV: De forma inte-rius conversandi), il loro modo di comportarsi fuori delle muraconventuali, quando sono a contatto con la gente (r. V: De modoexterius exeundi), e, infine, la questione del lavoro (r. VI: De occu-pationibus fratrum). Nelle prime due rubriche si riuniscono e ri-combinano diversi passaggi sparsi soprattutto nel III capitolodella Regola, dove il digiuno era posto insieme alle indicazioniparticolari su come andare per il mondo. Alle due rubriche, comesi è già osservato, segue quella dedicata al lavoro (r. VI). In talmodo le costituzioni narbonensi effettuano un riposizionamentodi questo importante tema, spostandolo dal rapporto poco logicoin cui era collocato dalla Regola, tra i due capitoli legati alla po-vertà, per collocarlo, invece, molto più ordinatamente, come pas-saggio particolare delle due precedenti rubriche dedicate alle atti-vità dei frati. Le costituzioni, dunque, creano un blocco di tre ca-pitoli fondamentalmente omogenei tra loro e connessi alla propo-sta positiva del modo di comportarsi e di operare da parte deifrati sia in convento che nel mondo. Ai tre capitoli segue la ru-brica “negativa” con la quale si interviene sui comportamenti“delinquenziali” dei frati (r. VII: De correctionibus delinquentium),per correggere e impedire scelte che non facciano risplendere lasantità dell’Ordine. Il testo è parallelo al capitolo VII della Rego-la, però con una importante differenza strutturale: mentre nelcontesto della Regala il capitolo sulle colpe non sembra possedereun rapporto logico con quanto precede e con quanto segue, nellecostituzioni, avendo anticipato le tre rubriche sull’attività dei fra-ti, esso costituisce la chiusura logica del blocco testuale, stabilen-do pene per chi infrange quello stile di vita e quelle scelteoperative.

Le penultime quattro rubriche cambiano decisamente te-ma, per raggruppare in un ultimo blocco testuale la questioneburocratica e amministrativa dell’Ordine, sviluppando rispetti-vamente i seguenti aspetti: De visitationibus provinciarum (VIII),De electionibus ministrorum (IX), De capitulo provinciali (X), Decapitulo generali (XI). Di fatto le rubriche prendono in esame

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quanto stabilito in via preliminare nell’VIII capitolo della Re-gola e in parte del X , dove si affrontava il problema del go-verno generale dell’intera fraternità minoritica e la visita deiministri ai loro frati; tuttavia questo importante e complessoproblema nella Regola era affrontato in modo molto succinto einsufficiente per un Ordine che era diventato tanto ampio nel-la sua espansione geografica e complesso nelle sue pluriformiattività e condizioni di vita. Le costituzioni prendono atto chela qualità di vita dei frati e la loro possibilità di vivere unavita ordinata e fedele alla loro vocazione dipendeva anche dal-la forza e stabilità organizzativa dell’Ordine.

Nell’ultima rubrica viene affrontato un argomento nuovo,assente nella Regola: De suffragiis defunctorum (XII), un temaconnesso ad un Ordine che aveva già tanti fratelli da ricordarenella preghiera.

Questa ipotesi di rilettura strutturale delle costituzioni per-mette di giungere ad una conferma dell’ipotesi di partenza sulrapporto tra le 12 rubriche quando si supponeva che Bonaventu-ra avesse tentato un riordinamento di quanto nella Regola era sta-to detto effettivamente in modo disarmonico. Tuttavia, se questascelta, da una parte, guadagna in logica strutturale, perde, dall’al-tra, nel contatto con il testo della Regola stessa. Per superare, for-se, lo sviluppo disarmonico della Regola, le costituzioni mettonoin qualche modo tra parentesi il valore assoluto della Regola diFrancesco. E dunque si può ritenere che, alla base dell’organizza-zione delle costituzioni, non è posta direttamente e puramente laRegola, ma il principio della funzionalità espositiva per una mi-gliore intelligenza dei diversi e successivi rapporti tra i vari am-biti della vita del frate che il testo di Francesco, invece, pone in-sieme senza una precisa e chiara logica consequenziale.

Che la preoccupazione strutturale abbia guidato l’organiz-zazione del testo delle costituzioni è provato anche da un altroaspetto molto sorprendente. Nelle costituzioni sono del tuttoassenti due temi importanti della Regola: l’andare tra i sarace-ni (c. XII), cioè l’attività missionaria, e l’andare nei monasteridelle suore (c. XI). Un altro tema praticamente ignorato nelle

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costituzioni è quello dell’ufficio divino: di fatto nel testo diBonaventura solo una volta si accenna alla preghiera comuni-taria quando nella rubrica I si comanda ai novizi di non stu-diare, giustificando la richiesta con due motivi: per vivere me-glio e con più intensità quel particolare periodo e anche « addivinum officium addiscendum » (I, 8). A fianco delle assenzesi pongono anche alcune novità tematiche rappresentate, comesi è visto, dalle due rubriche “De qualitate habitus” (r. II) edalle norme per “i suffragi dei defunti” (r. XII). Tutto condu-ce a ritenere che nelle intenzioni del redattore le costituzioninon assumevano la Regola a guida strutturale nella formulazio-ne del suo testo, ma miravano in qualche modo rivisitare ereimpostare il testo fondativo così da offrire una logica piùchiara e facile da consultare e osservare.

RELAZIONE TRA COSTITUZIONI E TESTI DELLA REGOLA

Questa prima notazione generale è in qualche modo ulte-riormente specificata mediante una serie di considerazioni sul-l’impiego delle citazioni esplicite della Regola nello sviluppodelle 12 rubriche. In via preliminare occorre osservare un suouso molto limitato e, potremmo dire, tangenziale. In generele varie rubriche sono aperte da un riferimento diretto al capi-tolo della Regola citando di essa solo un breve passaggio, qualeintroduzione al tema affrontato nella serie di statuti che se-guono. Ma lungo lo sviluppo delle norme essa non è quasi piùriproposta. Per illustrare meglio quanto qui notato, riprendia-mo lo schema delle 12 rubriche affiancando ad esse le diversecitazioni esplicite tratte dalla Regola:

I: De Religionis ingressu: n. 5: Rb II 7; n. 6: Rb II 3II: De qualitate habitus: n. 1; Rb II 16III: De observantia paupertatis: n. 1: Rb IV 1; n. 24: Rb

VI 1

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IV: De forma interius conversandi: n. 1: Rb III 5-10; n.10: Rb X 8

V: De modo exterius exeundi: n. 1: Rb III 11; n. 18: RbIII 12

VI: De occupationibus fratrum: n. 1: Rb V 1; n. 10: RbIX 2

VII: De correctionibus delinquentium: n. 1: Rb VII 1; n.8: Rb XI 1

VIII: De visitationibus provinciarum: n. 1: Rb X 1IX: De electionibus ministrorum: n. 1: Rb VIII 2X: De capitulo provinciali: n. 1: Rb VIII 5XI: De capitulo generali: n. 1: Rb VIII 2XII: De suffragiis defunctorum.

Oltre al parziale utilizzo dei capitoli della Regola, non tuttipresenti tra quelli a cui le costituzioni si riferiscono, vi è un uti-lizzo di quei testi segnato, come si è già anticipato, da una formadi marginalizzazione del loro ruolo nell’organizzazione delle nor-me. Il dettato della Regola, infatti, non costituisce nell’impiantodelle varie rubriche la base organizzativa delle norme. Più in par-ticolare, si può osservare che lo sviluppo delle varie brevi norme,che si susseguono nelle dodici rubriche, non nasce da una preli-minare intelligenza del testo rispettivo della Regola, lavoro che al-lora avrebbero fatto di quelle norme un completamento o inte-grazione di quanto non detto nel testo fondamentale. Al contra-rio, la citazione di partenza costituisce una specie di introduzionegenerale ad una materia che, di fatto, deborda dal contenuto spe-cifico del riferimento di partenza tratto dalla Regola per espander-si su nuove direzioni e problematiche assenti nel testo di France-sco. In altre parole, si potrebbe ritenere che le norme delle costi-tuzioni non siano il risultato di una lettura dello “spirito” del te-sto fondativo, la cui logica e le cui esigenze avrebbero dovutoguidare le scelte particolari, ma il processo organizzativo giuridi-co di un Ordine che ha nella Regola solo un riferimento iniziale equasi occasionale.

In questo contesto si inserisce un altro elemento caratteristicodelle costituzioni, il quale, poi, offre un motivo in più per com-

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prendere il carattere giustapposto dei due testi fonativi. Il Santodottore nell’organizzazione delle sue norme non ha mai la preoc-cupazione di fondare spiritualmente o teologicamente quanto divolta in volta richiesto ai frati. Il perché teologico delle norme èsemplicemente presupposto; o meglio: mentre l’elemento fondati-vo del valore assoluto della fedeltà nell’osservanza regolare dellecostituzioni era già stato chiarito nel Prologo, non c’era bisognoinvece di motivare spiritualmente e francescanamente le variescelte assunte lungo il testo giuridico. Ciò che interessava il santolegislatore non era tanto la giustificazione “francescana” dellenorme, quanto la loro chiarezza e la loro capacità di regolare enormalizzare la vita dei frati.

Un ultimo aspetto che mi sembra rilevante circa la rela-zione tra Regola e costituzioni riguarda l’equiparazione giuri-dica che in alcuni (pochi) casi è proposta tra le due fonti . Ilprimo caso lo si trova alla Rubrica VII dove è presente unanorma alquanto interessante:

Et ne simplicioribus fratribus ignorantia sit occasio delinquendi, custos, cumvisitat, illis Regulam et Constitutionem in vulgari diligenter exponat 11.

Non solo vi è la notizia della difficoltà da parte dei frati“simpliciores” di comprendere il latino e, dunque, del bisognodel volgare, ma anche del pari valore attribuito ai due documentiper la vita dei frati. Il custode, tra gli altri impegni a cui erachiamato durante la sua visita nei conventi – servizio che pocoprima viene fissato con una scadenza “semel in anno” 12 –, avevaanche quello, appunto, della spiegazione in volgare dei due testi.In essi vi era la base essenziale della vita regolare dei frati.

È interessante notare la presenza di una richiesta similenella rubrica I in cui vengono precisati i criteri da utilizzarenell’accoglienza dei nuovi candidati, stabilendo quanto segue:« Tandem sibi regula et asperitates ordinis exponantur » 13. In

11 Narb., VII 21, in Contitutiones generales, p. 88.12 Ibidem.13 Narb. I, 6, in ibid., p. 71.

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questo caso le Costituzioni non sono affiancate, come nellanorma precedente, alla Regola quale testo da “esporre” a coluiche chiede di entrare. La cosa forse si spiega facendo attenzio-ne alla datazione della norma in questione: essa, infatti, è ri-presa alla lettera dalle costituzioni Prenarbonensi 14, quandocioè la Regola era ancora l’unico testo giuridico di riferimento.La ripresa della norma antica non è stata aggiornata da Bona-ventura aggiungendo, accanto alla Regola, anche le costituzio-ni, come invece sarà poi richiesto al custode nelle sue visiteannuali ai frati. I due testi, VII 21 e I 6, possono essere dun-que letti come stadi successivi di una evoluzione nella valuta-zione del rapporto tra Regola e costituzioni.

Simile alla richiesta della rubrica VII vi è l’altra, presentenella rubrica successiva, riguardante il metodo che i custodidebbono adottare, quando, andando in visita per le diversefraternità, sono chiamati ad indagare su crimini pubblici com-messi dai frati. Il procedimento si apre con la lettura pubblicadei due testi costitutivi della vita regolare:

« Procedatur ergo in hunc modum. Primo legatur regula in communi deindeconstitutiones » 15. I due testi offrivano dunque i riferimenti giuridici assolutida cui partire per procedere ad una correzione della vita della comunità.

Lo stesso valore paritario assegnato ai due testi risulta dauna norma in qualche modo parallela, sebbene inversa rispettoalle due precedenti, proposta nella Rubrica XI e rivolta al mi-nistro generale, al quale si chiede:

Quaeratur diligenter qualiter regula et statuta generalis capituli in singulisprovinciis fuerint custodita 16.

Se da una parte i due testi giuridici sono di riferimentoalla vita, ne consegue allora, dall’altra, che ambedue dovranno

14 Cfr. Prenarb. 31, in ibid., p. 23.15 Narb. VIII, 9, in ibid., p. 90.16 Narb. XI 26, in ibid., p. 101.

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essere “custoditi”. Non sono sicuro se il termine indichi sol-tanto l’osservanza giuridica dei testi o anche la loro conserva-zione fisica. In ogni caso i due documenti vanno valutati allastessa stregua nel loro valore per la vita dell’Ordine.

Proprio su quest’ultimo punto si hanno due ulteriori nor-me che permettono una qualche specificazione. La prima vieneancora dalla Rubrica VII dove si legge quanto segue:

Ordinamus insuper, quod generalis Minister nullum faciat generale Statu-tum, nisi in generali capitulo cum Definitorum assensu; et quod nullumprivilegium impetret, quod possit Regulae derogare 17.

La prima parte della norma elimina il pericolo della persona-lizzazione delle norme generali. Gli statuti, per la loro importanza,debbono essere il frutto del lavoro del capitolo generale e non il ri-sultato della decisione personale del generale. A ciò si aggiungeuna determinazione che deve guidare la loro formulazione: le co-stituzioni non possono contenere nessun privilegio « quod possitRegulae derogare ». Tale richiesta, di fatto, pone un preciso rap-porto di dipendenza delle costituzioni nei confronti del testo fon-dativo della Regola. La comprensione del verbo “derogare” mi sem-bra rinvii al doppio pericolo da evitare assolutamente nella formu-lazione delle Costituzioni: queste non solo non possono contraddi-re la Regola ma neanche abolire norme in essa comandate. Dunquele costituzioni, a livello giuridico, sono a fianco della Regola mamai al di sopra di essa. Non si potrà mai “derogare” a quanto inessa formalmente comandato: le costituzioni non svolgono se nonun compito di completamento e adattamento nei confronti diquanto nel testo di Francesco non è stato detto.

La stessa assolutezza e intangibilità non vale per le normecontenute nelle costituzioni. Il testo che segue immediata-mente la precedente norma, specifica proprio il diverso valoreobbligante del testo emanato dal capitolo:

17 Narb. VII 25, in ibid., p. 88.

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nec Statutum aliquod aliter solvat vel laxet, nisi forte in speciali, ex causanecessaria vel valde utili, viderit dispensandum 18.

Al divieto impartito al generale di dispensare da qualun-que statuto contenuto nelle costituzioni, è aggiunta subito do-po una interessante specificazione: la proibizione non è assolu-ta, in quanto si può intervenire sulla normativa generale « excausa necessaria vel valde utili », cioè secondo i due criteridella “necessità” e dell’“utilità” impiegati già ampiamentenelle bolle pontificie interpretative della Regola 19. Se dunque

18 Ibidem.19 Il processo evolutivo, che alle necessità aggiunge anche l’utilità nei criteri

valutativi delle scelte dei frati, è molto evidente nel confronto delle prime due bol-le pontificie interpretative della Regola. Per comodità del lettore proponiamo in si-nossi due passaggi strategici dei due testi papali riguardanti la questione centraledella vita minoritica sulla povertà. Nel testo di Innocenzo IV del 1245 sistemati-camente alla parola antica “necessitates” viene aggiunta il sostantivo “utilitas” ol’aggettivo/sostantivo ancora più chiaro “commodus”:

Quo elongati, n. 5 Ordinem vestrum, n. 3

Se i frati vogliono comprare una cosa neces-saria, oppure pagareuna cosa già comprata, possono presentare ol’incaricato di colui dal quale si compra lacosa, o qualche altro a coloro che voglionofare loro l’elemosina.Se poi fosse presentato per altre necessitàimminenti, può depositare l’elemosina a luiconsegnata, come lo stesso padrone, pressoqualche amico spirituale dei frati,

perché per mezzo di lui venga usata come glisembrerà bene, per le loro necessità in luogoe tempo opportuno (FF 2733).

Se i frati vogliono comprare una cosa neces-saria o utile (utilem), oppure pagareuna cosa già comprata, possono presentare ol’incaricato di colui dal quale si compra lacosa, o qualche altro a coloro che voglionofare loro l’elemosina.Se poi per altre necessità e utilità (commo-dis) dei frati venga nominato o presentatoqualcuno, può egli conservare come padrone,l’elemosina affidatagli, o depositarla pressoqualche amico spiritualeo famigliare dei frati nominato o anche nonnominato da loro,dal quale sia dispensata a tempo e luogo se-condo le necessità e le utilità (commodis)dei fraticome essi crederanno utile, o sia trasferita aun’altra persona o in altri luoghi: a costoroanche i frati potranno ricorrere con sicura co-scienza per tali esigenze necessarie o utili(commodis), specialmente se quelli sianostati negligenti o quelle loro necessità e disa-gi abbiano ignorato (FF 2739/4).

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la Regola non poteva mai essere “derogata” dagli statuti – taleopera interpretativa infatti era concessa solo al papa – essi in-vece potevano essere trasformati e aggiornati secondo i nuovibisogni che di volta in volta si presentavano nella vita del-l’Ordine e che avevano i caratteri della “necessità” e dell’“uti-lità”. La normativa della Regola era intangibile, quella deglistatuti no! Il loro aggiornamento di fatto rendeva possibileuna sostanziale osservanza dell’intangibilità della Regola.

A conclusione di questi rilievi generali sui due testi giuri-dici, si può ritenere che tra il testo bonaventuriano e la Regolavi sia un rapporto bifronte. Da una parte la Regola è sicura-mente posta alla base ideale della stesura del nuovo testo nor-mativo: l’obiettivo di fondo è permettere ai frati di osservarela Regola, possibilità connessa direttamente all’osservanza rego-lare delle costituzioni; esse costituiscono una guida sicura perrisolvere e connettere quel difficile rapporto tra esigenze iden-titarie fissate nella Regola e la nuova realtà in cui era inseritol’Ordine nel suo pluriforme impegno a favore della Chiesa. Lecostituzioni si pongono dunque in totale dipendenza e a totaleservizio della Regola.

D’altra parte, però, nel tessuto delle costituzioni la presenzadella Regola è alquanto marginale e in qualche modo giustappo-sta. Il testo di Francesco non solo non è assunto come riferimentotematico per lo sviluppo delle 12 rubriche delle costituzioni, manon rappresenta nemmeno il testo base a cui costantemente si èrinviati nel procedere alla stesura delle diverse norme. In ultimaanalisi, dunque, il rapporto tra i due testi appare più giustappo-sto che integrato: le norme degli statuti generali non cercano infondo la loro giustificazione nella Regola, ma si pongono in qual-che modo autonomamente in parallelo ad essa offrendone unariorganizzazione con la quale dare ordine e logica al materiale di-sarmonico della Regola.

Le costituzioni debbono riempire il vuoto normativo lasciatodalla Regola, troppo sintetica e ristretta per rispondere a tutte leistanze che erano sorte progressivamente in un Ordine così gran-de e complesso. E come era avvenuto per la Regola bollata, anche

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per le costituzioni il processo giuridico si compie mediante undoppio criterio: quello della conferma giuridica dell’evoluzioneclericale e pastorale avvenuta nell’Ordine e quello della modera-zione di un tale processo, per mantenerlo entro la sostanziale fe-deltà alla Regola. Nelle costituzioni narbonensi, di fatto, si con-ferma e si fissa il processo trasformativo dell’Ordine che, pur rife-rendosi alla Regola, deve stabilire nuove norme mediante le qualigestire l’evoluzione (involuzione?) della fraternità sotto la spintadel suo impegno pastorale e culturale e, nello stesso tempo, ga-rantire la sua fedeltà alla Regola.

b. Le costituzioni successive

Il testo di Bonaventura costituì il riferimento sicuro e in-superato per le successive sette costituzioni che si susseguiro-no fino al 1325. Della formulazione narbonense si riprendononon solo il prologo, ponendolo sempre come base ideale e pro-grammatica di tutte le nuove rielaborazioni, ma anche lo svi-luppo tematico dei 12 capitoli con l’integrale ripetizione dellesue norme alle quali si apportano solo delle aggiunte parzialie limitate. Non è possibile evidentemente ricostruire il conte-sto storico da cui sono nati i diversi testi. Per il nostro scopoè sufficiente notare i rapporti redazionali che legano questoabbondante materiale giuridico con il testo di partenza.

Come si è già brevemente notato, occorre rilevare che a livel-lo redazionale il testo delle Narbonensi non subisce grandi tra-sformazioni, ma solo brevi e parziali ampliamenti con l’aggiuntadi alcune norme nuove per specificare ulteriormente quanto giàstabilito. Inoltre, al processo di ampliamento non si affiancaun’operazione di soppressione di norme precedenti: tutte sonosempre confermate e, appunto in qualche caso, ampliate.

A questo rilievo generale si può aggiungere una considera-zione ulteriore, facendo attenzione ai capitoli che maggior-mente hanno subito ampliamenti e ritocchi redazionali, indi-zio testuale che lascia supporre di essere di fronte, in quei ca-

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pitoli, ad un tema importante nella vita dell’Ordine, un temache ha avuto bisogno di essere ripreso e ampliato più di altri,proprio per la sua rilevanza e forse problematicità. Gli inter-venti più numerosi si registrano nelle rubriche che erano giàle più ampie della stesura di Bonaventura: De observantiapaupertatis (III); De occupationibus fratrum (VI), De correc-tionibus delinquentium (VII) e infine anche nelle quattro ru-briche dedicate all’organizzazione burocratica dell’Ordine(VIII-XI). Come si può osservare, siamo di fronte in qualchemodo a temi centrali, che coinvolgono innanzitutto l’impegnopauperistico e poi le occupazioni dei frati, ambito quest’ulti-mo tanto importante quanto, a volte, difficilmente conciliabi-le con la scelta pauperistica; altrettanto significativi sono gliaspetti penali e burocratici da aggiornare costantemente perpoter dirigere un Ordine vasto e complesso.

2. LA NOVITÀ DELLE COSTITUZIONI DI PERPIGNAN E DELLE BENEDETTINE

Qualcosa di redazionalmente nuovo avvenne invece primacon le costituzioni del 1331, emanate dal capitolo riunito aPerpignan, e poi con quelle successive inviate nel 1336 dalPapa Benedetto XII all’Ordine minoritico e conosciute comele “costituzioni benedettine”. I due testi, per motivi diversitra loro, si distaccarono notevolmente dalla tradizione bona-venturiana, stabilendo un nuovo rapporto tra Regola e testocostituzionale dell’Ordine.

a. Le costituzioni perpinianensi di Gerardo Odonis (1331)

La grande polemica che contrappose l’Ordine francescano,guidato da Michele da Cesena (restato in carica dal 1316 al1328), al papa Giovanni XXII condusse l’intera fraternità mi-noritica ad una situazione di grave crisi giuridica ed istituzio-nale. All’accusa di eresia rivolta dalla dirigenza dell’Ordine al

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papa per le sue affermazioni sulla non povertà di Cristo, il pa-pa rispose con la scomunica del generale stesso e dei caporionidel movimento. Un tentativo di ricucire il pericoloso strapposarà effettuato con il capitolo di Parigi del 1329, quando èeletto un amico del papa Giovanni XXII, il frate francese Ge-rardo Eudes (Odonis), il quale volle assicurare l’unità nell’Or-dine e la sua sottomissione al papa legittimo.

Una delle prime operazioni effettuate dal nuovo generalesarà la stesura e la promulgazione nel capitolo di Perpignandel 1331 di nuove costituzioni, strumento importante per su-perare gli steccati che si erano creati dentro l’Ordine sia tra lediverse fazioni sia con la Chiesa di Roma. Nel prologo del te-sto (radicalmente nuovo rispetto a quello di Bonaventura), ol-tre a ribadire la necessità delle norme disciplinari per frenarel’inclinazione al male presente nell’uomo “ab adolescientiasua”, viene aggiunta una interessante notazione sul metodoche sarebbe stato adottato nella stesura del testo, elencandoanche le fonti di riferimento impiegate nella formulazionedella nuove costituzioni:

Divina nos docet auctoritas, frequensque tentationum molestia monstrat,quod « sensus et cogitatio cordis humani in malum prona sunt ab adole-scentia sua », ideoque religiosos animos honeste vivere, Deo devote servire,et ad perfectionis apicem pervenire volentes, oportet huiusmodi pronitatisalutaribus quidem remediis devotisque conatibus ac ingeniosis studiis ob-viare. Cuius rei gratia, nostrarum Constitutionum, iuxta titulos RegulaeBeato Francisco divinitus inspiratae, volumen, Deo praestante, compegi-mus, in quo sanctorum et Summorum Pontificum, nostrorumque praede-cessorum, et nostra monita, documenta, praecepta, consilia, exortationes,exempla, gratias, privilegia, indulgentias, promissiones, comminationes etstatuta secundum exigentiam materiae inseruimus: volentes omnia per noset per vos tam humiliter quam dociliter acceptari, ut hiis convenienter in-structi et id adimplere quod promisimus, et ad id pertingere, quod opta-mus, divina nobis opitulante gratia, mereamur 20.

20 Perp., prol., in AFH, 2 (1909), p. 276.

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Due aspetti colpiscono dalla premessa metodologica: in-nanzitutto l’intenzione di porre i capitoli della Regola a basedello sviluppo delle costituzioni e poi la varietà del materialeimpiegato nella composizione giuridica delle diverse norme. Idue elementi ci offriranno i punti di riferimento per altrettan-ti approfondimenti sul rapporto instaurato da queste costitu-zioni con la Regola di Francesco.

Il primo obiettivo programmatico, fissato nel prologo del-le Costituzioni di Perpinian, riguarda lo stretto legame strut-turale tra l’intera materia giuridica ivi trattata e la Regola delBeato Francesco, ponendo il testo di Francesco alla base dellosviluppo logico della trattazione. Nonostante l’impressioneiniziale di una disomogeneità tra i titoli dei 20 capitoli dellecostituzioni e i 12 della Regola, di fatto, ad un esame più at-tento, emerge con chiara evidenza la stretta relazione con laquale le costituzioni seguono il testo della Regola. Per facilita-re la comprensione di questo importante elemento strutturale,sarà utile proporre un confronto sinottico tra le nostre costitu-zioni e i testi della Regola utilizzati in apertura dei vari capi-toli; alle nuove costituzioni sarà opportuno, per comodità dellettore, porre a fianco anche i capitoli delle Narbonensi, indi-cando per ambedue i testi giuridici i numeri che compongonoi vari capitoli così da offrire una indicazione di massima dellaloro diversa ampiezza.

Narbona (1260) Perpignan (1331) Regola

Prologus Prologus

I: De vita et regula nostra (8 numeri)II: De reverentia exhibenda domino pa-pae et ecclesiae romanae (4)

I,1I, 2-3

I: De religionis ingressu (11 numeri) III: De volentibus vitam istam accipere (11) II, 1

II: De qualitate habitus (12) IV: De forma nostri habitus (10) II, 14-17

IV: De forma interius conversandi (23) V: De divino officio (16)VI: De ieiunio (6)

III, 1-4III, 5-9

V: De modo exterius exeundi (19) VII: De modo eundi per mundum (17) III, 10-14

III: De observantia paupertatis (24) VIII: De non recipienda pecunia (4) IV, 1-3

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Narbona (1260) Perpignan (1331) Regola

VI: De occupationibus fratrum (29) IX: De modo laborandi (21) V, 1-4

III: De observantia paupertatis (24) X: Quod fratres nihil sibi approprient (6) VI, 1

XI: De elemosina petenda (3) XII: De servitio infirmorum (4) VI, 2-5VI, 6-9

VII: De correctionibus delinquen-tium (26)

XIII: De poenitentia fratribus peccanti-bus imponenda (11)

VII,1-3

IX: De electionibus ministrorum (23)XI: De capitulo generali (28)

XIV: De electione generalis ministri etcapitulo pentecostes (29)

VIII, 1-4

X: De capitulo provinciali (27) XV: De provincialibus capitulis et mini-stris, aliisque praelatis et eorum vicariis (37)

VIII, 5

XVI: De modo predicandi (3) IX, 1-4

VIII: De visitationibus provinciarum(25)

XVII: De admonitione et correctioneFratrum (55)

X, 1-2X, 4-6

XVIII: Quod fratres non ingredianturmonasteria nec habeant suspecta consor-tia mulierum (7)

XI, 1-3

XIX: De euntibus inter Saracenos etalios infideles (2)

XII, 1-2

XX: De protectore ordinis et fidei stabi-litate (7)

XII, 3-4

XII: De suffragiis defunctorum (8).

Scorrendo i rinvii dei testi utilizzati della Regola, risultacon chiara evidenza il metodo seguito dalle Perpiniane: di ar-ticolare cioè lo sviluppo del testo seguendo strettamente ilcontenuto della Regola. In tal modo viene superato l’utilizzoframmentario e parziale di essa effettuato dalla tradizione giu-ridica narbonense. Occorrerà aspettare le costituzioni Capestra-nensi del 1454 e poi soprattutto quelle cappuccine del 1536per ritrovare la Regola alla base delle costituzioni, quando i 12titoli del testo costituzionale corrisponderanno a quelli del te-sto di Francesco. Di fatto, però, nelle Perpiane il legamestrutturale tra i due testi è già avvenuto.

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Fatta questa annotazione preliminare, procediamo ad alcu-ni rilievi anch’essi di carattere generale, tali però da evidenzia-re alcune specificità del rapporto tra i due testi.

La prima sottolineatura riguarda la novità di alcune tema-tiche assolutamente assenti nelle precedenti costituzioni. Inparticolare al capitolo V vengono proposti 16 numeri per svi-luppare il tema del divino ufficio; in essi le costituzioni diPerpinian di fatto riuniscono e completano quanto nelle pre-cedenti si era detto in modo limitato e sparpagliato. Interes-sante anche la presenza del tema dell’elemosina, assente prece-dentemente (c. XI), come anche la questione del servizio aimonasteri e l’andata tra i saraceni.

A questa prima serie di elementi vanno aggiunte alcunenotazioni sui temi già trattati nelle precedenti costituzioni,per osservare soprattutto la loro diversa estensione della tratta-zione effettuata nelle nuove costituzioni. In particolare balzanoagli occhi due dati. Il primo concerne la forte riduzione dellospazio dato al tema della povertà, che nelle costituzioni narbo-nensi era sviluppato in un unico capitolo di 24 numeri, men-tre nelle nuove costituzioni è affrontato in due capitoli secon-do i rispettivi passaggi della Regola, cioè trattando prima ildivieto dell’uso del denaro (c. VIII) e poi l’obbligo di vivere“sine proprio” (c. X). Tuttavia, nonostante lo sdoppiamentodei due temi, le costituzioni di Perpinian impiegano solo 10numeri per trattare la materia più delicata e dibattuta nellavita della fraternità. Altrettanto vale per la breve serie di nor-me delicate alla questione delle penitenze da infliggere ai fratipeccatori (c. XIII), tematica svolta dalle precedenti costituzio-ni in 26 numeri contro gli 11 delle ultime. Al contrario,molto alta resta la quantità di numeri impiegati per i temiburocratici e organizzativi dell’Ordine, cioè quelli riguardantisia l’elezione del generale e del provinciale sia la visita che isuperiori debbono fare ai loro frati (cc. XIV-XV e XVII).

Altrettanto interessante è il secondo criterio esposto nelPrologo nel quale si elencano in anticipo le diverse e plurifor-mi fonti giuridiche che verranno utilizzate per dar vita ai 20

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capitoli delle costituzioni. Riascoltiamo il testo programmati-co:

in quo sanctorum et Summorum Pontificum, nostrorumque praedecesso-rum, et nostra monita, documenta, praecepta, consilia, exortationes, exem-pla, gratias, privilegia, indulgentias, promissiones, comminationes et statu-ta secundum exigentiam materiae inseruimus.

In concreto, nello svolgersi dei diversi capitoli del testo sipuò constatare che il documento attinge ad una grande quantitàdi fonti che di fatto esulano dal genere letterario giudico. Il pri-mo gruppo di testi da mettere in evidenza riguarda quelli diret-tamente connessi a Francesco di Assisi, figura che in realtà nonera mai stata espressamente usata nelle precedenti costituzionicome riferimento per la fondazione delle diverse richieste norma-tive. In particolare colpisce l’utilizzo del suo Testamento, testo che,pur ricorrendo soli in tre casi (I 3, II 3, IX 3), costituisce unaspecie di sorpresa, vista l’operazione di emarginazione e dimenti-canza a cui era stato sottoposto subito dopo la morte del Santo.Un simile ritorno tra i testi di riferimento nella stesura delle co-stituzioni non avviene invece per la Regola non bollata, mai pur-troppo presente tra le fonti impiegate dalla perpinianensi. A que-sto primo testo “giuridico” relativo a Francesco si aggiungono lecitazioni di alcune opere biografiche sul Santo; così ad esempio siè rimandati diverse volte alla Leggenda maggiore di Bonaventura(IV 2, IX 4, IX 12, X 3) e anche alla Vita secunda di Tommasoda Celano (VII 9, IX 7, XIV 5, XIX 6), con una citazione puredello Speculum perfectionis (XVII 41). Ad essi si aggiungono, in al-cuni casi, anche dei testi biblici (VI 3, IX 6) e due rinvii a cita-zioni patristici (X 2, XVI 2). Siamo di fronte, dunque, all’inser-zione di un materiale assolutamente nuovo, mai utilizzato nelleprecedenti costituzioni. Un’altra serie di testi giuridici utilizzatidalle perpinianensi sono le bolle pontificie, sia quelle interpreta-tive della Regola (Nicolò III: I 4, XIX 2, Gregorio IX XIV 3,Clemente V XV 2 ), sia i vari documenti pontifici indirizzati al-l’Ordine (I 5, III 2.4.9, IV 3; V 2; VIII 2, XIII 2, XIV 2, XV 4,

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REGOLA E LE COSTITUZIONI DEL PRIMO SECOLO 33

XVI 3, XVII 2.40, XX 2). Tuttavia la parte principale del cor-pus delle Perpiniane è occupato da due altre serie di testi: la pri-ma riguarda i riferimenti alle costituzioni minoritiche antiche, inparticolare alle costituzioni di Narbona e Assisi, la seconda serieconcerne le nuove formulazioni emanate dal capitolo di Perpi-nian. Il nucleo portante della formulazione giuridica delle nuovecostituzioni costituisce il tentativo di combinare in modo armo-nico la tradizione precedente, confermando parte di quella nor-mativa antica e le nuove direttive strettamente connesse alla si-tuazione difficile in cui versava l’Ordine così da dare una pacifi-cazione alle tante tensioni interne.

Una semplice considerazione nasce da questi dati statistici:le costituzioni emanate a Perpinian, oltre a diversificare lefonti giuridiche utilizzate per stabilire le norme di vita per ifrati, introducono in qualche modo un elemento completa-mente assente nelle precedenti: le argomentazioni spiritualiper giustificare o fondare quanto richiesto. L’operazione è in-dubbiamente molto lieve e solo accennata mediante l’utilizzosoprattutto dei testi non direttamente giuridici come sono lebiografie su Francesco e i rinvii biblici e patristici. Alla fred-dezza giuridica delle precedenti si introduce dunque un ele-mento nuovo legato ai testi “spirituali” utilizzati nelle costi-tuzioni. Questo tentativo di allargare la base giuridica dellecostituzioni, appoggiandola anche a quella spirituale e teologi-ca, non avrà uno sviluppo; le successive costituzioni ritorne-ranno alla “freddezza” giuridica avviata con le Narbonensi; oc-correrà aspettare le costituzioni cappuccine del 1536 per ritro-vare nuovamente questo elemento, quando esso verrà in qual-che modo impiegato sistematicamente per introdurre le varienorme che si dettero i frati della nuova riforma 21.

21 Per una presentazione delle novità presenti nelle costituzioni cappuccine cfr.P. MARANESI, Le costituzioni minoritiche: un’identità in cammino, in Italia francescana,84 (2009), pp. 231-266.

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Sebbene nate come reazione alle posizioni estremiste delgenerale precedente Michele da Cesena e giudicate dalla sto-riografia come “rilassate” (Iriarte), a mio avviso, si può con-cludere, invece, che le costituzioni di Perpinian presentano deicaratteri di forte innovazione nella capacità di porre in più di-retta connessione la loro formulazione generale non solo con laRegola di Francesco ma anche con una testualità “francescana”precedentemente mai utilizzata nel contesto giuridico. A giu-dicare dai dati esterni e formali si potrebbe affermare che que-ste ultime costituzioni si presentano molto più “francescane”delle precedenti.

b) Le costituzioni di papa Benedetto XII (1336)

Un altro momento di grande rilievo nel travaglio dell’Or-dine furono le costituzioni emanate dal papa Benedetto XII.Eletto nel 1334 come successore di Giovanni XXII, il papacistercense, nel suo desiderio di riformare e riordinare il mon-do sia monastico sia dei nuovi ordini, sviluppò una politica dimonasticizzazione delle diverse esperienze religiose. Nel 1336,dopo un ampio e accurato lavoro, realizzato da una commis-sione nella quale furono coinvolti diversi cardinali, vescovi,abati e monaci con una dozzina di frati minori 22, venne in-viato ai frati minori un importante documento giuridico. Me-diante delle soluzioni a volte “monastico-benedettine”, si ten-tava di dare all’Ordine minoritico, fortemente lacerato e incrisi di identità, una nuova stabilità giuridica che ne salvassel’unità e la pace.

Riassuntivo delle intenzioni programmatiche delle benedet-tine è il prologo, dove sono anticipati gli obiettivi ideali per-seguiti dal testo: l’ufficio divino, il silenzio, l’astinenza e gli

22 L’elenco della commissione è fatto nel prologo stesso, così da dare autorità esolennità al documento (Bened., Prol. 3, in AFH, 30 [1937], pp. 333-334).

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studi scolastici, tipici temi del mondo monastico, mentre nonsono nominati con valore programmatico quelli francescani 23.In particolare colpisce l’assenza, non solo nel Prologo ma an-che nel prosieguo del documento, del tema identitario piùimportante dell’autocoscienza minoritica, quello cioè della po-vertà. Emblematica infatti è la scelta operata da queste costi-tuzioni di eliminare il capitolo III delle costituzioni narbo-nensi sulla povertà per sostituirlo con tre capitoli (I-III) neiquali, proprio all’inizio delle costituzioni, sono affrontati tretemi programmatici già annunciati nel Prologo: il divino offi-cio (I), il silenzio (II) e l’astinenza (III). Per comprendere beneperò questa scelta, senza tacciarla subito di invadenza curiale,desiderosa di trasformare surrettiziamente l’identità dell’Ordi-ne, occorre ricordare le intenzioni giuridiche del testo papale.Esso non voleva, infatti, sostituire le costituzioni minoritichema solo integrarle, ponendo in rilievo alcune tematiche nonsufficientemente sviluppate in quei testi o riformando quantoa giudizio del documento pontificio doveva essere cambiatonella legislazione minoritica. L’assenza del tema strategico del-la povertà non significava allora la sua soppressione, ma solola conferma, senza doverla trattare in modo diretto, di quantogià stabilito dalla legislazione precedente dell’Ordine.

Un elemento ulteriore che distingue e allontana il docu-mento papale dalle precedenti costituzioni è l’assenza totale diogni riferimento alla Regola di Francesco. Il testo del papa ci-stercense non voleva essere un prolungamento e una specifica-

23 « Ut igitur in sacro Fratrum Minorum Ordine quem ab olim gessimus etgerimus in visceribus caritatis, divinorum officiorum sacrificium debitumque silen-tium, ciborum abstinentiam, sanctimonia habitus observentur, studium quoque sa-crae paginae in dicto Ordine vigeat, et personis eiusdem Ordinis ad hoc aptis insi-stendi disciplinis scholasticis commoditas ministretur, ac caritas Dei ex qua virtutesceterae generantur, regnet et ferveat in cordibus eorumdem, ceteraeque laudabilesobservantiae regulares sic exemplariter luceant in eisdem, ut sint etiam aliis in rec-te vivendi speculum et imitandae sanctitatis exemplum » (Ordinationes a BenedictoXII, Prol., in AFH, 30 [1937], p. 333).

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zione del testo fondativo dell’Ordine minoritico; la costituzio-ne papale si poneva consapevolmente in parallelo (non in op-posizione) alla Regola per stabilire stili di vita nei quali venis-se assicurato l’”ordine” dell’Ordine mediante una improntasempre di più monastica e istituzionale. Abbandonato ognirinvio al testo di Francesco, le fonti di riferimento del docu-mento pontificio sono innanzitutto i testi papali già emanatiin favore dell’Ordine, affiancati dalla legislazione minoriticaprecedente, e tra questa, in prima fila, le costituzioni diPerpinian.

Il ruolo e il posto che il documento del papa BenedettoXII occuperà nei secoli successivi all’interno della legislazioneminoritica e, dunque, della prassi quotidiana dei frati è stabi-lito alla fine del testo stesso, quando al capitolo XXX vienefissata la sua modalità di applicazione. Non solo il testo dove-va essere approvato nel prossimo capitolo generale ma anchepubblicamente letto a tutti i frati (n.1), inoltre ogni provinciae ogni convento avrebbe dovuto possederne una copia (n. 2)che doveva essere letta in pubblico almeno una volta al mese(n. 3). A queste norme riguardanti l’uso frequente del testoper assicurare la sua conoscenza da parte dei frati, fa seguitoanche la determinazione del suo rapporto sostanziale con il re-sto della legislazione minoritica. Non solo tutto ciò che erastato stabilito nelle precedenti costituzioni generali emanatedai frati e discordante con le norme papali avrebbe perso “om-ne robore” (n. 4), ma viene stabilito che per il futuro all’Ordi-ne sarebbe stato assolutamente proibito « contra ordinationeset statuta nostra huiusmodi quidquam statuere vel etiam ordi-nare aut observantiam aliquam introducere » (n. 5) 24.

Il testo pontificio con la sua impostazione “monastica” siaffiancherà dunque alla legislazione propria dei minori, misu-randola e stabilendo i confini giuridici dentro i quali essa do-vrà in seguito muoversi. D’altro canto le Benedettine, come si

24 Ibid., p. 386.

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è detto, non volevano eliminare i caratteri specifici della vitadell’Ordine ma solo connetterli a dei parametri legislativi chevalevano in qualche modo anche per gli altri ordini religiosi.Come l’anima francescana e i caratteri monastici delle bene-dettine si sono rapportati e integrati sarebbe un interessantelavoro di approfondimento da effettuare, soprattutto nell’anali-si della legislazione particolare delle singole provincie. La cosatuttavia esula dai nostri intenti. In ogni caso, a partire daquesto testo pontificio le successive costituzioni generali deiminori dovranno confrontarsi con due testi fissi e obbliganti:da una parte la Regola di Francesco e dall’altra il testo papale.Quale sarà il frutto giuridico a cui giungerà l’Ordine, quando,subito dopo, dovrà emanare delle nuove costituzioni? E so-prattutto ci domandiamo: di fronte al testo papale così ampioe obbligante non si rischiava di far perdere ulteriormente ter-reno alla Regola nel suo valore di riferimento per la vitadell’Ordine?

3. IL RITORNO ALLA TRADIZIONE BONAVENTURIANA

L’emanazione del testo papale obbligò subito l’Ordine astilare delle nuove costituzioni, operazione che doveva muo-versi dentro due riferimenti giuridici di tipo obbliganti. Oltrela Regola, infatti, il nuovo testo doveva tener presente e rece-pire sia la materia stabilita dalla costituzioni papali, sia quan-to fissato nelle ultime di Perpinian emanate dallo stesso gene-rale che era ancora in carica, ossia Gerardo Odonis. L’opera diriscrittura di nuove costituzioni venne realizzata l’anno succes-sivo alle Benedettine, cioè nel 1337 nel capitolo di Quercy 25.

25 Le motivazioni di una tale operazione di aggiornamento sono esplicitate nelPrologo: « Quia generalium Statutorum Ordinis nostri quidam sunt in effectu perOrdinaciones apostolicas santissimi in Christo patris et domini Benedicti, divinaprovidencia pape XII, revocata, quedam autem cum nonnnullis correctionibus, Or-

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Il primo elemento che colpisce nelle nuove costituzioni èil ritorno al modello delle narbonensi. Si abbandona la sceltadelle costituzioni di Perpinian di porre la Regola a base dellosviluppo del testo, per riprendere le tematiche della tradizionenata con Bonaventura. Di fatto i capitoli non ritornano ancoraad essere 12 come lo era appunto nel teso narbonense, mapassano da 20, come erano nelle costituzioni di Perpinian del1331, a 16; tuttavia, sebbene non si riprenda ancora la stessascansione in 12 capitoli, vengono di fatto utilizzati gli stessititoli delle narbonensi, con quattro eccezioni che spiegano iln. 16 dei capitoli: la prima riguarda il capitolo VII sulle pu-nizioni dei delinquenti al quale si aggiungono altri due capi-toli strettamente connessi con quel tema: De accusationibusexcessuum (VIII), e De puniendis ac recipiendis apostatis(IX)) e poi vi è un capitolo (XII) dedicato all’elezione dei mi-nistri provinciali, direttamente connesso all’XI centrato sull’e-lezione dei ministri generali; infine vi è l’aggiunta di un nuo-vo tema circa l’attività dei frati nel campo dell’inquisizionecontro l’eresia (XIII).

La struttura delle narbonensi, dunque, ritorna ad essere labase delle nuove costituzioni, scelta confermata nelle successi-ve e compiuta definitivamente nel 1354 quando le costituzio-ni emanate dal generale Farinier assumeranno di nuovo i 12capitoli delle narbonensi quale struttura base del testo. Per

dinacionibus ipsis inserta, quedam vero manere noscuntur intacta, definitum estper generale capitulum apud Caturcum anno domini MCCCXXXVII celebratum,quod Statuta que sunt, ut predicitur, revocata et que dictis Ordinacionibus aposto-licis sunt inserta, debent a priori generalium Statutorum volumine resecari, et Sta-tuta intacta, regimini nostri Ordinis oportuna, cum quibusdam addicionibus etcorrectionibus et cum aliquibus declaracionum Regule nostre et privilegiorum Or-dini nostro a Sede apostolica indultorum capitulis, in unum novum volumen serio-sius ordinari. Quod et factum est in forma, in presenti volumine annotata; quareuniversi fratres nostri salubri observancie horum Statutorum intenti, noverint que-cumque Statuta generalia per nostrum Ordinem edita, hic volumini non inserta,esse viribus vacuata » (AFH, 30 [1937], p. 128).

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una visione d’insieme degli sviluppi testuali delle cinque co-stituzioni che vanno dal 1137 al 1354 offriamo una tavola si-nottica dei documenti.

Quercy (1337) Assisi(1340)

Venezia(1346)

Lione(1351)

Farineriane(1354)

Prologus (nuovo) Prologus(dalle nar-bonensi)

Prologus Prologus

I: De religionis ingressu I: = I: = I: =

II: De qualitate nostri habitus II: = I: = II: = II: =

III: De observantia paupertatis et nonrecipienda pecunia

III: = VI: = III: = III: =

IV: De forma interius conversandi IV: = II: = IV: = IV: =

V: De modo exterius exeundi V: = III: = V: = V: =

VI: De occupationibus fratrum VI: = IV: = VI: = VI: =

VII: De correctione delinquentiumVIII: De accusationibus excessuumIX: De puniendis ac recipiendis aposta-tis

VII: = V: = VII: =IX: =

VII: =

X: De visitacionibus provinciarum VIII: = VIII: = VIII: =

XI: De electione generalis ministriXII: De electionibus ministrorum pro-vincialium et institutionibus aliorumofficiariorum

IX: = X: =XI: De institutioni-bus aliorum officia-lium

IX: =

XIII: De inquisitoribus heretice pravita-tis

XIV: De capitulo provinciali X: = XII: De capitulo pro-vinciali et institutio-nibus ministrorum

X: De capituloprovinciali

XV: De capitulo generali XI: = XIII: = XI: =

XVI: De suffragis defunctorum XII: = XIV: = XII: =

La prima conclusione da tirare di fronte a questa sinossi èuna semplice constatazione: la relazione “giustapposta” tra Re-gola e costituzioni adottata da Bonaventura è preferita alla so-luzione “francescana” assunta invece dalle perpinianensi. Di

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quel testo precedente si rifiuta anche il metodo compilatoriodelle fonti utilizzate, cioè scompaiono i testi extragiuridiciutilizzati nelle precedenti, come ad esempio i testi di France-sco (Testamento) e su Francesco (le biografie antiche).

Tuttavia, se nella forma le costituzioni farineriane assumonodi nuovo la tradizione narbonense, nel contenuto invece operanouna complessa elaborazione redazionale delle costituzioni che l’a-vevano preceduta. Si può dire, infatti, che nella storia redazionaledelle costituzioni minoritiche le Farineriane rappresentano ilpunto di arrivo di una evoluzione per alcuni versi travagliata ecomplessa, ma anche ricca e fruttuosa, del testo nato con Bona-ventura. Di fatto il lavoro redazionale dei padri, riuniti nel 1354al capitolo di Assisi, si concentrò sulla ripresa e riunificazionedelle costituzioni precedenti, con particolare attenzione a quelleemanate a Quarcy nel 1337, le quali, come si è già accennato,erano in qualche modo il punto di snodo nel rapporto tra la tra-dizione narbonenese precedente a Perpinian e gli sviluppi succes-sivi alle benedettine 26. Il testo emanato ad Assisi sotto il genera-le Farinier rappresenta, dunque, una specie di riunificazione ditutta la legislazione minoritica, riordinata seguendo la strutturagenerale della tradizione nata con le Narbonensi. Ne nasce un te-sto di grandi dimensioni con ben trecento numeri suddivisi nei12 capitoli che riempiono ben 80 pagine dell’edizione offerta daBihl nel 1942.

La longevità di queste costituzioni, che in pratica restaro-no in vigore fino alla fine del secolo XV, costituiscono la pro-va migliore della loro qualità giuridica 27. Grazie ad esse in-

26 Cfr. le considerazioni di dipendenza redazionale proposte da M. Bihl nellasua ampia e interessante introduzione fatta al testo delle costituzioni in AFH, 35(1942) p. 46.

27 Tale è l’apprezzamento fatto da M. Bihl di questo testo giuridico: « StatutaFarineria, si aequo animo in universum considerentur, si mens et integra condito-rum recte ponderetur, si verborum tenor et vis aestimentur, utique animo obsequiosinceroque fideliter in praxim deducenda, laudes amplas sibi certo merentur »(AFH, 35 [1942], pp. 48-49).

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fatti l’Ordine riuscì in certi casi a trovare un’armonia tra lediverse anime che oramai contraddistinguevano una fraternitàminoritica di grandi proporzioni, impegnata in una enormequantità di attività pastorali e culturali, ma anche sempre piùscossa dal desiderio di un ritorno ad un’osservanza più strettadella Regola.

Fatte queste osservazioni generali torniamo al nostro pun-to di osservazione particolare riguardo al rapporto instauratodalle costituzioni con la Regola. Concretamente, si deve direche le Farineriane, per il loro legame con la tradizione Bona-venturiana, confermano gli elementi generali già individuati asuo tempo nelle narbonensi. Da una parte viene ribadita quel-la logica compositiva con la quale i 12 capitoli della Regolaera stata ricomposta da Bonaventura mediante un ordine inqualche modo più logico e consequenziale. A questa primaoperazione generale si affianca un utilizzo marginale delle ci-tazioni della Regola; anzi si deve osservare che i rinvii al testodi Francesco, già limitati nella tradizione bonaventuriana, di-ventano ancora più rari nelle ultime costituzioni. La ripresadello schema sopra utilizzato per individuare i luoghi delle ci-tazioni della Regola nelle costituzioni narbonensi ci aiuterà averificare questo dato statistico:

Titoli delle rubriche Bonaventuriane Farineriane

I: De Religionis ingressu n. 5: Rb II 7n. 6: Rb II 3

n. 1: Rb II 3n. 3: Rb II 10

II: De qualitate habitus n. 1: Rb II 16n. 8: Rb II 15

n. 1: Rb II 16n. 17: Rb II 15

III: De observantia paupertatis n. 1: Rb IV 1n. 24: Rb VI 1

n. 1: Rb IV 1

IV: De forma interius conversandi n. 1: Rb III 5-10

n. 10: Rb X 8

n. 1: Rb III 5-10n. 3: Rb III 7

V: De modo exterius exeundi n. 1: Rb III 10n. 18: Rb III 12

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Titoli delle rubriche Bonaventuriane Farineriane

VI: De occupationibus fratrum n. 1: Rb V 1n. 10: Rb IX 2

n. 1: Rb V 1

VII: De correctionibus delinquentium n. 1: Rb VII 1n. 8: Rb XI 1

n. 41: Rb XI 1

VIII: De visitationibus provinciarum n. 1: Rb X 1 n. 1: Rb X 1

IX: De electionibus ministrorum n. 1: Rb VIII 2 n. 1: Rb VIII 2

X: De capitulo provinciali n. 1: Rb VIII 5 n. 1: Rb VIII 5

XI: De capitulo generali n. 1: Rb VIII 2 n. 1: Rb VIII 2

XII: De suffragiis defunctorum

L’utilizzo dei testi della Regola resta pressoché uguale, ec-cetto qualche piccola sostituzione e soprattutto qualche aboli-zione. Tuttavia uguale è il metodo di impiego dei testi dellaRegola e la loro marginalizzazione all’interno dello sviluppo edella fondazione delle norme.

Un altro elemento della tradizione bonaventuriana che ri-torna sono i testi individuati nelle Narbonensi nei quali le co-stituzioni erano rapportate alla Regola nella loro paritaria fun-zione giuridica a vantaggio della vita della fraternità. Quellenormative, in parte, sono riprese ancora nelle Farineriane conqualche trasformazione legata al processo redazionale vissutonei quasi 100 anni che separano le due costituzioni. Riportia-mo in forma sinottica i testi in questione:

Narbonensi Farineriane

VII 21: Et ne simplicioribus fratribus igno-rantia sit occasio delinquendi, custos, cumvisitat, illis Regulam et Constitutionem invulgari diligenter exponat.

Far. VII 54: Et ne simplicioribus fratribusignorantia sit occasio delinquendi, custos,eum visitat, illis Regulam et Constitutionemin vulgari diligenter exponat.

VII 25: Ordinamus insuper, quod generalisMinister nullum faciat generale Statutum,nisi in generali capitulo cum Definitorumassensu; et quod nullum privilegium impe-tret, quod possit Regulae derogare.

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Narbonensi Farineriane

VIII 9: Procedatur ergo in hunc modum.Primo legatur regula in communi deindeconstitutiones.

Cat. X 9, Far. VIII 9: Ingressis visitatoribuslocum visitandum, legantur et Regula et Co-stitutiones Domni Benedicti Papa XII et ge-nerales Constitutiones ordinis nostri, quan-tum ipsis visitatoribus pro suae visitationisofficio utiliter exsequendo visum fuerit expe-dire.

XI 6: Quaeratur diligenter qualiter regula etstatuta generalis capituli in singulis provin-ciis fuerint custodita.

Il primo aspetto da rilevare riguarda l’eliminazione di duetesti dei quattro presenti nelle narbonensi, nei quali avevamointravisto presente un chiaro parallelismo giuridico tra le co-stituzioni e la Regola. Nei due passaggi confermati (Narb. VII21 – Far VII 54 e Narb. VIII 9 – Far VIII 9) la formulazionerisulta praticamente la stessa, con una sola interessante novitàposta nel secondo testo, corrispondente alla rubrica VIII n. 9,dove viene ribadito il procedimento da adottare dai visitatorinell’indagare sui peccati pubblici dei frati. Nel testo, oltre adessere riaffermato il dovere di premettere la lettura della Rego-la e delle costituzioni prima di indagare, si aggiunge un terzotesto legislativo da unire ai precedenti: le costituzioni bene-dettine, le quali, dunque, appartenevano alla base giuridicadell’identità francescana.

L’ultimo elemento sul quale vorremo soffermarci prima digiungere a dei rilievi conclusivi permette di ritornare allaquestione centrale del rapporto tra costituzioni e Regola. Ci ri-feriamo a quella connessione posta da Bonaventura nel Prolo-go del suo testo tra “osservanza regolare” delle costituzioni econseguente “fedeltà sostanziale” alla Regola. In qualche modola questione ritorna ed è affrontata nei nn. 23-26 che chiudo-no la rubrica III dedicata al grave impegno della povertà. Neiquattro numeri le Farineriane riprendono alla lettera quantogià stilato otto anni prima nel capitolo di Venezia del 1346 e

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poi ribadito qualche anno dopo nel capitolo di Lione. Nel1342 il generale Gerardo Odonis, dopo 13 anni di governo,era stato nominato vescovo; a lui succede Fortenario Vassalli,un uomo con il quale riparte il confronto interno tra le diver-se anime dell’Ordine. Tale novità nella dirigenza dell’Ordinespiega forse l’inserzione dell’ampio e impegnativo testo stilatonel capitolo veneziano e ripreso alla lettera, come si è detto,da tutte le costituzioni successive fino alle Farineriane.

Nei quattro numeri finali del capitolo III si vuole porre indialogo i due gruppi contrapposti nell’Ordine, riconoscendoad ognuno di essi la propria identità minoritica: la loro diver-sità nell’interpretare e realizzare la povertà francescana, oltre anon essere in contraddizione con la Regola, doveva essere ri-spettato dall’altra fazione.

Nel primo caso si richiama fortemente la grande comunitàcontraria a coloro che desideravano vivere negli eremi. Lasciareil grande convento per ritirarsi negli eremi, considerando ilconvento inadatto a una vita veramente minoritica, era perce-pito dalla maggioranza dei frati non solo come un rimproveroallo stile conventuale, ma anche come un attentato all’unitàdell’Ordine. Il testo delle costituzioni invece conferma la le-gittimità di quella aspirazione, svincolando così l’esigenza divivere « in observantia scrictiore » da un attentato all’unitàdell’Ordine; l’esigenza non era né nuova né pericolosa per lavita dell’intera fraternità minoritica:

Ceterum cum in nostro Ordine aliqui fratres fuerint et sint excellentes indevotione et observantia scrictiore nostrae professionis, vult ipse Ministercum generali capitulo universo, quod sic viventes per praelatos bene trac-tentur et favorabiliter in suis devotionibus nutriantur, sicut semper in no-stro Ordine fieri consuevit 28.

28 Far. III 23, in ibid., p. 95.

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Il principio di forza da cui parte il testo riguarda l’anti-chità della richiesta: da sempre ci sono stati frati che hannodesiderato un’“observantia scrictiore”. Essa non solo è legitti-ma ma appartiene alla storia dell’Ordine. Ad essa si deve peròlegare il grande valore dell’unità dell’Ordine riproposto subitodopo mediante il testo biblico che proclama « bonum et io-cundum habitare fratres in unum » 29: chi lascia il conventoper l’eremo non deve rinunciare o negare il valore supremo eirrinunciabile dell’unità. Tenendo presenti questi due principi(legittimità della richiesta e irrinunciabilità dell’unità dell’Or-dine), il ministro generale deve concedere a chi lo desidera dipoter vivere negli eremi, dove però debbono essere inviati soloi frati « solidos et probatos in observantia regulari » 30. Conquesta norma inizia la storia delle case di ricollezione, dove sitenta di rispondere alle esigenze del gruppo desideroso di po-vertà e minorità, per salvare nello stesso tempo l’unità del-l’Ordine messa a dura prova da queste tensioni centripete inseno alla comunità minoritica.

A questo primo ambito segue la difesa dello stile “osser-vante” della grande comunità contro gli attacchi degli spiri-tuali, che rifiutavano le interpretazioni papali della Regola,giudicandole contrarie al dettato della volontà di Francesco. Idue numeri successivi sono dedicati a questa grave e dolorosaquestione, per rispondere a quei frati che ritenevano « suae re-gulae transgressores » 31 coloro che usavano il denaro per« rem sibi necessariam emere » 32 o non vivevano più di pura

29 Ibidem.30 Ibid., p. 96.31 Far., III 24, in ibid., p. 96.32 « Item quicumque frater nostri ordinis professor asserere praesumpserit pu-

blice vel occulte, quod fratres rem sibi necessariam non possint emere, vel solutio-nem facere pro re iam empta, de eleemosyna pecuniaria per nuntium illius a quores emitur, vel illius a quo eisdem fratribus eleemosyna datur, vel per aliquemalium volenti facere eleemosynam praesentatum, aut pro imminentibus necessitati-bus ad spiritualem vel familiarem amicum, apud quem per dominum pecuniae vel

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elemosina accumulando invece vino e grano 33. Nei grandiconventi era di fatto diventato difficile, se non impossibile vi-vere senza utilizzare denaro o senza accumulo dei beni di pri-ma necessità, scelte e novità economiche che di fatto eranostate permesse dalle bolle pontificie. E dunque la condanna daparte di alcuni frati dei due stili di vita economici assuntidalla grande comunità, ritenuti inconvenienti « secundum no-strae Regulae puritatem » 34, era giudicato un pericoloso e ar-rogante giudizio di illegittimità espresso nei confronti delledichiarazioni papali sia di Gregorio IX, definito dalle costitu-zioni « specialis protectoris et familiaris consiliarii b. Franci-sci » 35, sia di Giovanni XXII. Tale posizione interpretativadegli spirituali, nella quale si valutavano le bolle papali insuf-ficienti o addirittura pericolose per una retta osservanza dellaRegola, costituiva, invece, secondo le costituzioni, il vero peri-colo per l’osservanza “sostanziale” della Regola. La durezza concui veniva condannato chi “publice vel occulte” sosteneva unaposizione pregiudiziale nei confronti delle bolle pontificie ma-nifesta quanto gravi per la vita dell’Ordine fossero ritenutequeste posizioni estremiste nel valutare il rapporto tra Regolae sue interpretazioni ufficiali emanate dai papi.

nuntium auctoritate eiusdem domini deposita fuerit pecunia pro necessitatibus fra-trum dispensanda, recurrere absque hoc quod censeantur suae Regulae transgresso-res, ipso facto sententiam excomunicationis incurrat; cum haec assertio contraria sitdeterminationi, et declarationi domini Gregorii Papae IX, specialis protectoris etfamiliaris consiliarii b. Francisci, manifestissime contradicat » (ibidem).

33 « Eidem autem poenae subiaceant qui temerarie asseruerint, quod ex arbitrioMinistrorum et custodum fratribus, quando viderint et certa scientia et experientiaprobaverint, quod in re necessaria pro communitate conventuum vel locorum, demendicatis quotidie vel procuratis non possent vivere absque congregatione graniet vini in granariis et cellariis, praedicta congregatio grani et vini nobis minimeconveniat secundum nostrae Regulae puritatem. Quae assertio declarationi dominiIohannis Papae XXII contradicit expresse » (Far. III 25, in ibid., p. 97).

34 Ibidem.35 Far., III 24, in ibid., p. 96

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Si vero contra duas constitutiones praedictas pertinaces exstiterint, eis op-posita asserendo in praedicatione vel disputatione vel privata informatione,si per testes idoneos de hiis convicti fuerint, poena carceris puniantur; necliberari debeant nisi a suis assertionibus, cum protestatione, quod num-quam recidivabunt, desistant 36.

Le costituzioni Farineriane dunque tentano di trovare unavia media attraverso la quale assicurare sia la possibilità diuna “observantia strictior” sia la legittimità degli sviluppi or-ganizzativi legati alla grande comunità e alle sue esigenze pa-storali ed economiche. I due gruppi, gli “spirituali” e i “con-ventuali” dovevano giungere ad un rispetto reciproco nellacertezza che in ambedue le scelte vi fosse l’osservanza “sostan-ziale” della Regola. Le forme esterne, tra loro diverse, della vi-ta dei due gruppi non dovevano mettere in questione la mu-tua stima e il riconoscimento che in ambedue ci fosse una rea-le adesione alla Regola nella sua purità. La vita negli eremi equella condotta nei grandi conventi non erano una contro l’al-tra, ma rappresentavano modalità diverse e complementari diaderire all’unica Regola la cui fedeltà era garantita proprio dal-la stretta osservanza del testo delle costituzioni.

4. CONCLUSIONE

Una elaborazione precisa del rapporto tra Regola e costitu-zioni, cioè del bisogno e del ruolo di esse per una sostanzialeosservanza del testo di Francesco, non è mai effettuata né dallecostituzioni stesse né dalla letteratura francescana del primotempo. L’unico testo in cui la questione viene affrontata è ilPrologo di Bonaventura alle sue costituzioni, soluzione poi co-stantemente ripresa nelle diverse costituzioni legate a quellatradizione. Indirettamente dalla breve elaborazione iniziale

36 Far. III 26, in ibid., p. 97.

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delle Narbonensi si percepisce la coscienza dell’insufficienzadella Regola nel rispondere alla molteplice varietà e costantemodificazione della vita dei frati. L’unico strumento concreto,che permetteva ai frati di “osservare sostanzialmente” la Rego-la, era rappresentato dal testo delle costituzioni, le quali offri-vano i parametri precisi e uguali per tutti i frati nella concre-tizzazione di un ideale evangelico sommariamente contenutonella Regola ma che necessitava di ulteriori articolazioni nellavita quotidiana ed apostolica dell’Ordine.

A questo principio di fondo, però, non corrisponde, a mioavviso, una precisa e costante preoccupazione, come ci sarem-mo aspettati, di un confronto tra le norme delle costituzioni eil dettato della Regola. Tra i due testi si avverte invece unaspecie di giustapposizione, dove le costituzioni si rifanno soloin modo generale alla Regola senza utilizzarla come tessutoconnettivo e trama delle scelte giuridiche. Nello sviluppo re-dazionale dell’ampia e ricca serie di costituzioni abbiamo no-tato una linea dominante segnata dal testo di Bonaventura,elaborazione che di fatto, attraverso le costituzioni di Farinierdel 1354, resterà in vigore nella sua struttura di fondo finoalla fine del XV secolo. L’unica eccezione, che interrompequesta tradizione è il testo emanato a Perpinian. Queste ulti-me, pur essendo il frutto di una “reazione” al movimento“spirituale”, che era entrato in forte contrasto con il papa Gio-vanni XXII, si sono rivelate le più “francescane”, cioè le piùvicine ad un tentativo di porre sia il testo della Regola che lafigura di Francesco a base del loro prodotto giuridico. Tutta-via, tale linea redazionale resterà un episodio isolato, fino aquando, in parte con Giovanni da Capestrano e pienamentecon le costituzioni cappuccine del 1536, verrà ripresa e siste-matizzata mediante un diretto rapporto tra i temi dei dodicicapitoli della Regola e lo sviluppo di altrettanti capitoli delleCostituzioni.

In conclusione, mi sembra di poter affermare che nella lo-gica dominante le costituzioni del XIII e XIV secolo la Regoladiventi in qualche modo superflua o meglio, essa, una volta

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inglobata e risolta nella serie delle norme costituzionali, vengaad identificarsi “sostanzialmente” con le costituzioni. Di fattotale operazione è dipesa da un doppio fattore. Innanzitutto oc-corre ricordare che nell’interpretazione generale data dai fratialla Regola, essa è stata vista e letta essenzialmente ed esclusi-vamente come testo “giuridico”: stabiliva cosa si dovesse fare enon fare, secondo diversi gradi di gravità morale, per viverecon fedeltà la vita abbracciata con quel testo. Nello stessotempo i frati riconobbero subito che essa non era sempre chia-ra e non riusciva a regolare tutti gli aspetti della vita quoti-diana e degli sviluppi che avevano caratterizzato l’identità del-l’Ordine. Per superare la prima difficoltà, quella interpretativae giuridica della Regola, interverranno i papi con le loro bollechiarificatrici; per il secondo aspetto, quello giuridico norma-tivo del quotidiano, l’Ordine capisce di aver bisogno di costi-tuzioni che amplino e attualizzino la Regola alle situazioniparticolari della vita. Di qui l’identificazione e quasi sostitu-zione che viene operata tra Regola e costituzioni: osservandofedelmente queste si osserva sostanzialmente quella.

Un ultima considerazione mi sembra importante effettua-re. Nel processo giuridico accaduto nel passaggio dalla Regolaalle costituzioni sembrerebbe essersi realizzato una specie disganciamento tra vita e testi giuridici. Mi sembra infatti chein esse si sia perso il riferimento alla fonte ispirativa di cuivogliono mantenere viva la presenza nello stile di vita dei fra-ti. E sarà proprio la grande novità proposta dalle prime costi-tuzioni cappuccine. Il riferimento conclusivo a questo testonel nostro contesto è necessario. In quelle costituzioni emana-te dalla giovane riforma a Roma nel 1536 si porrà in evidenzainfatti un elemento essenziale della natura evangelica dellalegge giuridica, una novità che può essere ritenuta una speciedi rivoluzione nel modo di concepire e proporre la legge. Inesse il comando o il divieto nascono sempre dalla coscienza difede e dalla memoria storica di una vicenda, quella di France-sco, ambiti costitutivi e fondativi della propria identità cap-puccina-minoritica. Mentre in tutte le costituzioni precedenti

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la formulazione, di natura strettamente giuridica, non era ac-compagnata da una fondazione spirituale che ne spiegasse imotivi, nelle costituzioni cappuccine il legislatore è, invece,sempre preoccupato di offrire i riferimenti teologici-cristologi-ci, francescani e anche antropologici con i quali rendere ragio-ne delle diverse decisione normative. In qualche modo le co-stituzioni cappuccine sembrerebbero ricordare ai frati che lalegge non è altro che lo strumento umano per realizzare unaeffettiva relazione esistenziale e teologica con il mistero diDio manifestatosi in Cristo e vissuto poi da Francesco. La leg-ge non è la vita, ma da essa emana e ad essa conduce. Ricor-dare costantemente il mistero da cui scaturisce e a cui rinviarappresenterà per la legislazione cappuccina la possibilità diconferire alla legge la sua efficacia per una vera osservanza spi-rituale, per una osservanza, cioè, autentica e responsabile delVangelo e della Regola