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Il presente contributo costituisce un’analisi del mondo funerario tar- doantico in Toscana basata sugli elementi più salienti che contraddi- stinguono le tombe di questo periodo, vale a dire i corredi e le epigrafi, intesi come gli indicatori maggiormente ‘visibili’ e forse i più adatti ad evidenziare i mutamenti in atto nella tarda antichità e a rimarcare il passaggio tra la piena età classica e l’altomedioevo. Ci si è dunque concentrati sui secoli compresi tra il III e il VI d.C., mantenendo come termine finale la conquista longobarda della Toscana 1 . La scelta del III secolo quale momento iniziale (per il quale non si può parlare ancora di tarda antichità) è giustificata da alcuni importanti cam- biamenti che in ambito funerario paiono definirsi e prendere piede, in ma- niera generale, proprio al passaggio tra II e III secolo d.C. (sia in ambito urbano che rurale), nonostante essi avvengano con tempi e modi differenti tra un contesto e l’altro. Nello specifico, tra questi mutamenti si conta la definitiva affermazione dell’inumazione sull’incinerazione, lo spostamen- to o la creazione di nuove aree sepolcrali nel suburbio delle città, con l’in- vasione in alcuni casi di quartieri extraurbani non più abitati, la sensibile diminuzione delle tombe con corredo e la variazione nelle associazioni degli oggetti, la comparsa delle catacombe. Questi elementi, un tempo collegati all’affermarsi del Cristianesimo, sembrano in realtà non avere rapporto con la nuova religione, la cui influenza in ambito funerario di- verrà invece sempre più massiccia a partire dal IV secolo. Cionondimeno, queste significative variazioni del costume appaiono già come l’indizio di tendenze che troveranno piena manifestazione nei secoli successivi; per questo si è prediletto un’ottica di lungo periodo che tenesse conto anche della situazione precedente la tarda antichità vera e propria. Per quanto riguarda la Toscana, le sepolture di questo periodo non hanno ancora ricevuto uno sguardo d’insieme approfondito che ne pon- ga in luce i caratteri salienti, nonostante l’esistenza di contributi su sin- goli siti ed insediamenti. Il tentativo di colmare questa lacuna sembra 1 Questo articolo costituisce parte della mia Tesi di Dottorato di Ricerca in Ar- cheologia (Università di Pisa, XXIII Ciclo, Curriculum Classico) dal titolo: Necropoli e sepolture tardoantiche in Toscana (III-VI secolo d.C.), discussa nel dicembre 2011. ALESSANDRO COSTANTINI SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.): I CORREDI E LE EPIGRAFI SCO 60 (2014), 99-161 · DOI 10.12871/97888674149947

Sepolture tardoantiche in Toscana (III - VI d.C.): i corredi e le epigrafi

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Il presente contributo costituisce un’analisi del mondo funerario tar-doantico in Toscana basata sugli elementi più salienti che contraddi-stinguono le tombe di questo periodo, vale a dire i corredi e le epigrafi, intesi come gli indicatori maggiormente ‘visibili’ e forse i più adatti ad evidenziare i mutamenti in atto nella tarda antichità e a rimarcare il passaggio tra la piena età classica e l’altomedioevo. Ci si è dunque concentrati sui secoli compresi tra il III e il VI d.C., mantenendo come termine finale la conquista longobarda della Toscana1.

La scelta del III secolo quale momento iniziale (per il quale non si può parlare ancora di tarda antichità) è giustificata da alcuni importanti cam-biamenti che in ambito funerario paiono definirsi e prendere piede, in ma-niera generale, proprio al passaggio tra II e III secolo d.C. (sia in ambito urbano che rurale), nonostante essi avvengano con tempi e modi differenti tra un contesto e l’altro. Nello specifico, tra questi mutamenti si conta la definitiva affermazione dell’inumazione sull’incinerazione, lo spostamen-to o la creazione di nuove aree sepolcrali nel suburbio delle città, con l’in-vasione in alcuni casi di quartieri extraurbani non più abitati, la sensibile diminuzione delle tombe con corredo e la variazione nelle associazioni degli oggetti, la comparsa delle catacombe. Questi elementi, un tempo collegati all’affermarsi del Cristianesimo, sembrano in realtà non avere rapporto con la nuova religione, la cui influenza in ambito funerario di-verrà invece sempre più massiccia a partire dal IV secolo. Cionondimeno, queste significative variazioni del costume appaiono già come l’indizio di tendenze che troveranno piena manifestazione nei secoli successivi; per questo si è prediletto un’ottica di lungo periodo che tenesse conto anche della situazione precedente la tarda antichità vera e propria.

Per quanto riguarda la Toscana, le sepolture di questo periodo non hanno ancora ricevuto uno sguardo d’insieme approfondito che ne pon-ga in luce i caratteri salienti, nonostante l’esistenza di contributi su sin-goli siti ed insediamenti. Il tentativo di colmare questa lacuna sembra

1 Questo articolo costituisce parte della mia Tesi di Dottorato di Ricerca in Ar-cheologia (Università di Pisa, XXIII Ciclo, Curriculum Classico) dal titolo: Necropoli e sepolture tardoantiche in Toscana (III-VI secolo d.C.), discussa nel dicembre 2011.

AlessAndro CostAntini

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.):I CORREDI E LE EPIGRAFI

SCO 60 (2014), 99-161 · DOI 10.12871/97888674149947

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tanto più necessario in considerazione della comparsa di ricerche di questo tipo per altri contesti territoriali, che permettono di comprende-re le potenzialità di indagini di questo tipo in vista di una sintesi sulle caratteristiche insediative, sociali, economiche – in una parola storiche – delle aree considerate. In questo senso, è necessario ricordare i fon-damentali contributi di Cantino Wataghin e Lambert per l’Italia setten-trionale, gli studi di Giuntella, Borghetti e Stiaffini per la Sardegna, le ricerche concernenti l’area ligure in «RSL» 54 (1988), il recente con-tributo di Papparella per la Calabria e la Basilicata; per quanto riguarda le aree al di fuori dell’Italia, vanno menzionati, tra i tanti, gli studi di Chavarría Arnau sulle ville della penisola iberica e le recenti sintesi di Raynaud e Blaizot sulla Gallia meridionale2.

Per ricavare conclusioni attendibili in merito ai corredi e alle epigrafi di questo periodo è stato necessario disporre di un campione quanto più completo delle evidenze disponibili. A questo scopo ci si è dunque ba-sati su ogni dato disponibile in letteratura: sono state prese in conside-razione le testimonianze relative alla dislocazione delle tombe, ai cor-redi, alle epigrafi, cercando di non trascurare il minimo indizio da cui ricavare informazioni utili. Tale approccio ha determinato la raccolta di documenti notevolmente eterogenei, dalle relazioni dettagliate di scavi eseguiti in anni recenti, fino alle notizie sintetiche risalenti alla fine del XIX o agli inizi del secolo successivo in cui si fanno fugaci menzioni di tombe ‘barbariche’ o ‘cristiane’, sulla cui affidabilità permangono purtroppo fortissimi dubbi. Tuttavia, si è scelto a priori di non scartare nessuna testimonianza relativa alla tarda antichità.

I corrediPer quanto riguarda i corredi, gli esempi toscani consentono di ap-

prezzare la progressiva diminuzione della loro incidenza nelle sepolture a partire dal III secolo, oltre al graduale passaggio da oggetti afferenti alla sfera rituale a quelli relativi all’ornamento personale, che giunge a com-pimento nel V secolo. Questi fenomeni appaiono perfettamente in linea con quanto constatato per altri ambiti geografici in ricerche analoghe.

Fine del II secolo d.C.L’analisi complessiva dei corredi funerari rinvenuti nelle tombe tar-

doantiche e le considerazioni in merito all’evoluzione avvenuta nei se-coli, non possono prescindere dalle importanti testimonianze relative al

2 CAntino WAtAghin, lAmbert, Sepolture; LAmbert, Spazi; GiuntellA et al., Mensae; PAPPArellA, Calabria; ChAvArríA ArnAu, El final; RAynAud, Le monde; blAizot, Image.

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II secolo d.C. inoltrato, che in Toscana appaiono numerose e significati-ve. Queste si collocano in gran parte in linea con la tradizione preceden-te, di età tardorepubblicana e primo-imperiale, epoca in cui il corredo è di norma composto da monete, vasellame di vario tipo (tra cui spiccano le produzioni in sigillata italica), balsamari di vetro, lucerne3, pur non mancando tombe con suppellettili più pregiate.

Associazioni di ceramiche e monete si rinvengono sia in ambito ur-bano che negli insediamenti rurali; al primo quarto del II secolo si da-tano ad esempio incinerazioni con vasellame in sigillata tardo italica (17 fra coppe e piattelli) e una Firmalampe bollata AGILIS scoperte a Santa Maria a Bagnano (Certaldo - FI)4. Tale rinvenimento è del resto assimilabile a quello effettuato in località Tignanello (Mercatale val di Pesa - FI), dove si trovano una Firmalampe ancora con marchio AGI-LIS e due monete in bronzo di Traiano e Adriano5.

Sempre dal territorio di Certaldo proviene una inumazione il cui cor-redo è composto da una moneta bronzea illeggibile, un’anfora Dressel 19, una Firmalampe bollata FORTIS e un balsamario di vetro frammen-tario: la tomba si data genericamente al II secolo d.C.6. Questa sepoltura trova un interessante parallelo in una incinerazione in fossa terragna da Montespertoli (FI), rinvenuta nel 1938; essa conteneva un’anfora posta in verticale, oltre a due Firmalampen con bolli FORTIS e APRIO, e ad una moneta di Faustina, datata all’avanzato II d.C.7

Ancora in Valdelsa, nel territorio di Colle di val d’Elsa (SI) e di Ca-stelfiorentino (FI) sono attestate tombe che hanno restituito Firmalam-pen bollate FORTIS, in alcuni casi associate ad altro materiale fittile; non si hanno purtroppo notizie più precise8.

Il momento estremo in cui la deposizione del vasellame ceramico in associazione con altri oggetti appare ancora ben diffusa si colloca al passaggio tra II e III secolo d.C., come si ricava, in molti casi, dalle monete associate alle suppellettili.

A questo periodo risalgono infatti numerosi ritrovamenti da cui tra-spare ancora una profonda omogeneità nelle associazioni, in linea con la tradizione più antica.

3 Cfr. alcuni esempi in CiAmPoltrini, Riti.4 Chellini, Insediamento, 128-129.5 Chellini Insediamento, 129.6 de mArinis, Topografia, 189-190, tav. XXI.7 CiAmPoltrini, Urna, 292-297.8 de mArinis, Topografia, 91-92, 97, località Casale, Casone, Cabbiavoli; trattan-

do quest’ultimo contesto, Chellini sottolinea la possibile pertinenza delle Firmalampen bollate FORTIS anche al I secolo d.C., momento in cui prende avvio la produzione di questa officina: Chellini, Insediamento, 146-147.

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Di questi fa parte il corredo di un’inumazione da Montecchio Vespo-ni, località Osteria (Castiglion Fiorentino - AR): esso era composto da 5 vasi di terracotta sistemati ai piedi del defunto, sette monete di bronzo, con emissioni di Marco Aurelio e di Commodo, e una «lucerna sepol-crale di color nero»9.

Allo stesso gruppo appartengono una tomba di Volterra, con olle, ce-ramica sigillata, balsamari in vetro, una Firmalampe con bollo APRIO e 4 monete, emesse da Traiano, Antonino Pio, Marco Aurelio10, e una di Maglianella (SI), con boccale a pareti sottili e Firmalampe tipo Buchi X b11. A queste si aggiungono, inoltre, le tombe di Pantano (Pitiglia-no - GR), consistenti in una cappuccina bisoma (già violata) di fine II - inizio III, contenente una lucerna e una scodella, e in tre sepolture di infanti accompagnate da boccalini biansati e vasi in «terra rossa»12. Bisogna poi ricordare le tombe a cappuccina contenenti Firmalampen e boccalini a pareti sottili, databili tra II e III secolo d.C., scoperte nel 1979 a ridosso dell’ipogeo di Santa Caterina a Chiusi13. Allo stesso am-bito cronologico è da riferire l’unica tomba con corredo del sepolcreto di Campo ai Ciottoli, presso Cecina14, e una da Chiarentana (Chiancia-no Terme - SI), ancora con boccale a pareti sottili monoansato e una Firmalampe tipo Buchi X c15 (fig. 1). Di maggior interesse per l’omoge-neità dei rinvenimenti e per l’approfondito studio delle associazioni che è stato effettuato in anni recenti appare inoltre il nucleo di 8 sepolture di Falda della Guardiola, presso Populonia, datate tra fine II e prima metà III secolo d.C.: qui spicca la presenza costante nei corredi del boccalino monoansato (quasi sempre con più esemplari per tomba) e della lucer-na (oggetto presente in tutte le sepolture), talvolta accompagnati dalla moneta o, con minor frequenza, da bottiglie in vetro e chiodi di ferro16. Sempre a Populonia, associazioni simili pertinenti allo stesso arco cro-nologico compaiono di nuovo in una tomba alle pendici di Poggio del Castello e in quella a cassone scoperta negli ultimi anni presso la spiag-gia di Baratti, dove i boccalini si accompagnano a due bottiglie, un bal-

9 CheriCi, Materiali, 157.10 Fiumi, Scoperte, 263-268.11 meniChetti, Montepulciano, 350.12 Pellegrini, Pitigliano, 57.13 PAoluCCi, Nuove ricerche, 38.14 PArrA, Museo, 434.15 PAoluCCi, Chianciano, 120; più genericamente, allo stesso ambito vanno riferite

le sepolture venute in luce a Montaione (FI), di II-III secolo, che hanno restituito oggetti in ceramica e vetro: CAstiglioni, PizzigAti, Preliminare, 31.

16 bertone, Considerazioni, 59-66.

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samario di vetro e una moneta di Marco Aurelio17. Ancora nel distretto costiero si collocano le due sepolture di Pianosa, dove compaiono di nuovo i boccali a pareti sottili, la lucerna e il balsamario di vetro, asso-ciati in un caso ad una moneta di Commodo18. A queste si aggiungono le inumazioni del lago di Burano (GR), con monete di Antonino Pio e di Commodo deposte insieme a ceramiche: in almeno un caso si tratta sicuramente di un boccale a pareti sottili19.

Non mancano inoltre inumazioni di maggior prestigio, come la fan-ciulla populoniese accompagnata da un insieme di prestigiose orefice-rie, da interpretare forse come la deposizione di una giovane innupta20.

Gli esempi citati mostrano come, al passaggio tra II e III secolo d.C., l’uso di deporre corredi composti prevalentemente da vasellame fittile accomuni ancora vari distretti dell’Etruria, con attestazioni sia in città che in centri secondari, nelle aree interne e lungo la costa, segno del mantenimento in vita di questa tradizione. Nel cospicuo insieme di evi-denze, si possono rilevare alcune particolarità che sembrano tipiche di questo periodo, come la presenza frequente dei boccalini a pareti sottili associati alla lucerna e alle monete21.

17 bertone, Considerazioni, 54-56; CAmbi et al., Baratti, 317-325.18 duCCi et al., Pianosa, 272-273.19 levi, Escursione, 479-480: per il boccale a pareti sottili, cfr. la descrizione di

uno dei «due graziosi vasetti» riportata nel testo di Levi.20 Per questa tomba, cfr. CAmbi et al., Baratti, 317-325; per le defunte immaturae et

innuptae, cfr. MArtin-KilCher, Mors. da ricordare una sepoltura con un ricco corredo avvicinabile a quella populoniese, scoperta a Firenze presso la Fortezza da Basso e databile al I secolo d.C.: mensi, Fortezza, 72-73; CiAmPoltrini, Riti, 11-12.

21 Per le somiglianze tra le tombe di una stessa necropoli, consistenti in ‘variazioni sul tema’ locali all’interno di tradizioni più diffuse, cfr. gAstAldo, Corredi, 17.

Fig. 1 - Corredo di tomba da Chiarentana (da de mArinis, Topografia)

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III-IV secoloTabella dei rinvenimentiN. SITO OGGETTI1 Cafaggio di Ripa (LU)22 1 tomba con coppa e 3 ollette. 1 tomba con brocca monoansata e coppa. 1 tomba con olletta2 Pisa - via Galluppi23 Firmalampe, bracciale in bronzo3 Pisa - via Marche24 monete, chiodi; 1 tomba con scodella in sigillata africana; 1 tomba con balsamario in vetro4 Pisa - porta a Lucca25 frammento di vetro inciso5 Cornazzano (PI)26 resti di armature e moneta di Costantino6 Fiesole (FI) - via Matteotti27 18 monete trovate intorno alle teste di 2 defunti, tra cui se ne riconoscono di Gordiano Pio e Massimo, oltre a 20 ammucchiate tra le due teste: l’unica riconoscibile si data alla seconda metà del III7 Fiesole (FI) - piazza Garibaldi28 1 tomba con 12 monete di bronzo dell’età di Teodosio; 1 tomba con 250 monete dello stesso tipo, oltre a punta di lancia e giavellotto8 Firenze - Fortezza da Basso29 moneta di Barbia Orbiana9 villa di Vaiano (PT)30 moneta di Costanzo II10 Volterra (PI)31 15 monete «del basso impero»11 Arezzo - via Cassia32 1 tomba con monete di Filippo l’Arabo e di Otacilia Severa, 1 Firmalampe, 1 anello d’argento

22 menChelli, Materiali, 396-399; AA.VV., Pietrasanta, 144-146.23 AniChini, bertelli, via Galluppi.24 CostAntini, via Marche.25 KisA, Glas, 567, 648, 657; CIL XI, 8125, 1.26 bAnti, Pisae, 99.27 mAetzKe, Fiesole.28 de mArCo, Fiesole, 214.29 mensi, Fortezza, 66, 73.30 CiAmPoltrini et al., Paesaggi, 305-307.31 Fiumi, Volterrano, 349-351; mAggiAni, Ulimeto, 83.32 mAetzKe, Necropoli, 16.

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12 Arezzo - S. Lorentino33 monete di Alessandro Severo e Gallieno13 Arezzo - Pionta34 frammento di vetro dorato con raffigurazione di Giona14 Quota (AR)35 monete in bronzo di Teodosio, Valentiniano, Magno Massimo e Onorio15 Lattarino (AR)36 bicchiere di vetro con cristogramma16 villa dell’Ossaia (AR)37 Firmalampen, monete di Aureliano, Carino, Diocleziano17 Portus Pisanus (LI)38 monete e lucerne18 Rosignano Solvay - 2 tombe con vasellame fittile via Dante (LI)39

19 Case Nuove (LI)40 moneta di Gordiano Pio20 Piano Ulceratico (LI)41 monete di Settimio Severo21 Populonia (LI)42 fiaschetta di vetro inciso22 Pianosa (LI) - catacomba43 Monete23 Siena44 1 tomba con moneta di Filippo l’Arabo e bottiglia di vetro24 Santo (SI)45 moneta di Filippo l’Arabo25 Scorgiano (SI)46 (tomba a camera con sarcofagi) frammenti di ferro, suppellettile in vetro e ceramica26 Campo Malacena (SI)47 32 monete: Gallieno, Aureliano, Magnenzio, Decenzio, legenda CONSTANTINOPOLIS27 Molinello (SI)48 vasellame ceramico

33 CheriCi, Insediamento, 60.34 vAnni, Vetro.35 gAmurrini, Loro Ciuffenna.36 CheriCi, Materiali, 193.37 FrACChiA, guAltieri, Ossaia.38 CiAmPoltrini et al., Portus Pisanus.39 mAssA, Rosignano.40 loPes PegnA, Castiglioncello, 27-29.41 meniChetti, Massa Marittima, 287.42 de tommAso, Fiaschetta.43 bArtolozzi CAsti, Catacomba.44 CArPellini, Origini, 132-133.45 CristoFAni, Siena, 210.46 CAsini, Apricula.47 de mArinis, Topografia, 92.48 mAetzKe, Asciano, 222-223.

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28 Poggio al Sole (SI)49 3 astragali ovini, moneta bronzea illeggibile29 Bagni San Filippo (SI)50 1 tomba con chiodo in bronzo, chiodi in ferro, puntale di lancia in ferro, anforetta monoansata; erratiche nell’area sepolcrale 15 monete, in maggioranza di Costantino e suoi successori30 Chiusi (SI) - catacomba Firmalampen, 2 vasi in ceramica di S. Caterina51 (uno con resti di ossa), ampolla di vetro31 Chiusi (SI) - catacomba vasi di vetro e oggetti fittili di S. Mustiola; sopraterra52

32 Chiusi (SI) - catacomba Firmalampen, monete di Diocleziano di S. Mustiola53 e Licinio; in una tomba una bottiglia di vetro di forma Isings 133 e un piccolo balsamario Isings 10133 Scoglietto (GR)54 moneta di Costanzo II34 Talamone (GR)55 armilla in filo di bronzo e balsamario di vetro (simile Isings 101)35 Camporegio (GR)56 follis di Massenzio, 2 monete in bronzo36 La Polverosa (GR)57 collana d’oro e pasta vitrea, brocche, piatti, balsamari in vetro, bottiglia in sigillata africana di Navigius37 San Donato (GR)58 1 tomba con brocchetta, olletta, lucerna africana con 2 palme stilizzate38 Torrettina (GR)59 frammenti di spade in ferro, moneta di Claudio II39 villa di Torre Tagliata (GR)60 vasellame ceramico, 1 Firmalampe, 1 balsamario in vetro

49 Pistoi, Amiata, 44.50 Pellegrini, Bagni, 489-490; Pistoi, Amiata, 34-36.51 PAoluCCi, Nuove ricerche.52 CiPollone, Santa Mustiola, 101-102.53 CiPollone, Santa Mustiola; CiPollone, Primi dati.54 CygielmAn et al., Scoglietto, 51-52.55 CiAmPoltrini, Contributi.56 CiAmPoltrini, Camporegio, 423-428.57 mAetzKe, Orbetello; CiAmPoltrini, Contributi.58 mAetzKe, Orbetello, 48-49.59 mAetzKe Orbetello, 48.60 rAveggi, Ritrovamenti, 206-210.

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40 Pian di Palma (GR)61 vasellame e monete di Costantino41 Semproniano (GR)62 collana, orecchini, anello in oro, monete di Graziano e Valentiniano I42 Castell’Azzara (GR)63 suppellettile ceramica, moneta in bronzo

lA CerAmiCA

A partire dal III secolo, si assiste alla forte diminuzione del vasel-lame all’interno delle sepolture, come testimoniano i dati disponibili. Tra le poche attestazioni, compaiono i contesti di Poggio Pinzo (Ca-stell’Azzara - GR) e di Molinello (Asciano - SI), la cui datazione non è purtroppo verificabile con precisione, in quanto indagati negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, senza riferimenti agli oggetti rinvenuti. Og-getti in vetro e ceramica sono ricordati anche all’interno della tomba a camera di Scorgiano (SI), da cui proviene il sarcofago di fine III-inizio IV secolo di Pestinia Apricula, mentre due olle (una delle quali conte-nente ossa) provengono dal sepolcro di Nerania Iuliana nella catacomba chiusina di Santa Caterina64. Un vasetto monoansato è ricordato in una delle 22 tombe di Bagni San Filippo (SI), associato ad altri materiali65: Oggetti in ceramica sono inoltre stati rinvenuti in Versilia, a Cafaggio di Ripa (LU), con olle, brocche e coppe in ceramica comune di III-IV secolo, e nelle tombe della Polverosa, di San Donato e di Torre Tagliata, in area grossetana. A queste testimonianze si aggiungono le due tombe contenenti vasellame fittile dalla necropoli di Rosignano Solvay - via Dante (LI) e la scodella in sigillata africana della necropoli pisana di via Marche. In totale, si tratterebbe dunque di 11 casi su 42 totali (26,2%).

Riguardo ai rinvenimenti di area maremmana (Polverosa, San Do-nato, Torre Tagliata), gli studi di Ciampoltrini hanno opportunamente messo in evidenza come in questo territorio risulti ancora particolar-mente vitale l’usanza di deporre nelle sepolture vasellame ceramico, databile nel complesso alla prima metà del IV secolo66. In questo in-

61 milAni, Saturnia, 481.62 CiAmPoltrini, Luni.63 nieri, Carta, 509.64 CIL XI, 2543.65 Pellegrini, Bagni, 489-490; Pistoi, Amiata, 34-36; la presenza di monete di

Costantino e dei suoi successori rinvenute sporadiche nell’area fa propendere per una datazione del contesto al IV secolo d.C.

66 mAetzKe, Orbetello; CiAmPoltrini, Contributi, 693-695. A) Polverosa: tomba 1: collana in oro e pasta vitrea associata a due boccalini (datati tra II e IV d.C.) e ad una brocca; tomba 2: scodella di forma Hayes 196, due brocchette, un vasetto e una lucer-na; tomba 3: balsamario in vetro, coppa di forma Hayes 17A, una brocca e un fondo

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sieme spicca la presenza nella tomba 6 della Polverosa di una bottiglia in sigillata africana realizzata a matrice (forse con funzione di portaun-guenti) e decorata con scene di caccia (fig. 2), attribuibile all’officina di Navigius, attiva in Tunisia centrale tra il 290 e il 320 d.C.67. Non stu-pisce, dunque, che questi sepolcri che mostrano tali similitudini nelle associazioni del corredo evidenzino anche una significativa omogeneità tipologica, come l’uso particolare di rivestire le cappuccine con uno strato di cementizio ad ulteriore protezione dell’inumato, riscontrato esclusivamente in questo territorio68.

le luCerne

Nelle sepolture di III - inizio IV secolo, la lucerna sembra godere anco-ra di un certo successo. Tra i rinvenimenti riferibili a questi arco cronolo-gico si conta la Firmalampe bollata VIBIANI da una tomba aretina lungo la via Cassia con monete di Filippo l’Arabo e Otacilia Severa, l’esempla-

frammentario; tomba 4-6: brocca, una scodella di forma Hayes 67 e un’olletta, senza possibilità di maggiore precisione nell’attribuzione. B) San Donato: da una delle tombe venute in luce provengono una brocchetta e un’olletta in ceramica comune, una lucerna africana con due palme stilizzate sulla spalla (mAetzKe, Orbetello, 48-49).

67 mAetzKe, Orbetello, 45-46, fig. 16; CiAmPoltrini, Albegna, 46; AtlAnte, 180, tav. XCI, n. 3; su questa produzione, cfr. FleCKer, Die Werkstatt.

68 CiAmPoltrini, Contributi, 693-694.

Fig. 2 - Bottiglia in sigillata africana dall’officina di Navigius (da mAetzKe, Orbetello)

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re con marchio CRESCES, datato dopo la metà del III secolo, da Pisa-via Galluppi69, l’esemplare ancora con bollo VIBIANI dal sepolcreto della villa della Tagliata (GR), le tre lucerne dello stesso tipo (di cui due con marchio VIBIANI) dalle tombe di bambini della villa dell’Ossaia (Cor-tona - AR), databili alla fine del III - inizio IV secolo, associate anche in questo caso a monete. Per quanto riguarda l’analisi dei nomi attestati sulle Firmalampen, si osserva la frequenza in questo periodo dei manu-fatti bollati CRESCES e VIBIANI (quest’ultimo particolarmente diffuso a Chiusi), che ne indica una produzione ancora considerevole in epoca tarda70. Al contrario, in tombe toscane di II secolo avanzato compaiono più spesso i marchi FORTIS e APRIO, la cui diffusione sembra dunque raggiungere l’apice in un momento anteriore al III secolo71.

Tra le più tarde attestazioni nelle necropoli toscane si colloca la lu-cerna di produzione africana con due palme stilizzate da San Donato (GR), associata a recipienti ceramici; un analogo esemplare, decorato però da una sola palma, è stato rinvenuto a Portus Pisanus, per il quale però la provenienza da una sepoltura – per quanto probabile – non è determinabile. Da questo insieme sono state escluse le lucerne rinvenute in gran numero all’interno delle catacombe chiusine, poiché alloggiate sempre in nicchie all’esterno dei loculi, funzionali dunque ad assicurare l’illuminazione in occasione delle feste e dei riti in onore dei defunti. Di particolare interesse sono quelle con simboli cristiani, la cui scelta non è forse casuale, ma è connessa al credo dei congiunti. Solo in un caso, dal-la catacomba di Santa Caterina, sembra certa la provenienza dall’interno di una tomba72. In totale, la lucerna è dunque presente nel 17% dei casi.

le monete

Tra III e IV secolo l’oggetto che predomina nei corredi sepolcrali toscani è la moneta, prevalentemente attestata in esemplari singoli: essa appare diffusa in tutto il territorio preso in esame. Su 42 casi totali di contesti con corredo assegnabili a questa quota cronologica, 28 hanno infatti restituito monete (66,6%). In questa sede, sono stati considerati non solo i rinvenimenti all’interno del sepolcro, ma anche i casi in cui le monete sono state recuperate genericamente in area di necropoli. Nei

69 Per la lucerna di Pisa - via Galluppi, cfr. il sito Web http://www.mappaproject.org/mod/files/relazioni/pigal09_relazione_scavo.pdf

70 Per quanto riguarda CRESCES, già Fabbri aveva proposto la continuità della produzione nel III e IV secolo, sulla base dei rinvenimenti: cfr. FAbbri, Lucerna, anche per la diffusione del marchio in Toscana.

71 Per il bollo FORTIS, Buchi ipotizza un periodo di diffusione compreso tra il I e la fine del II secolo d.C., con poche attestazioni successive: buChi, Aquileia, 65-67.

72 CIL XI, 2535.

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casi in cui siano leggibili, le emissioni documentano il complesso di imperatori di III e IV secolo, con poche eccezioni, ad indicare la conti-nuità dell’usanza di deporre circolante nelle tombe. Sembra tuttavia di assistere ad un leggero incremento delle attestazioni nel IV secolo: su 22 contesti che presentano monete leggibili, 13 appartengono a questo orizzonte cronologico, mentre in due casi le monete attestano l’utiliz-zo della necropoli sia nel III secolo che nel successivo. Nella maggior parte dei casi le monete sono deposte con un solo esemplare per tomba (come mostrano i contesti ben documentati): tra essi si contano 5 tombe del cimitero di Pisa - via Marche, quella di Scoglietto (Alberese - GR), di Monticiano (SI), della villa di Vaiano (Monsummano Terme - PT), alcune sepolture delle catacombe di Chiusi e da tombe di Firenze. In tutti questi casi, la moneta costituisce l’unico elemento di accompagno. Non mancano tuttavia esempi con un maggior numero di esemplari. In questo panorama spiccano i gruzzoli monetali rinvenuti a Fiesole, sia nella tomba a camera di via Matteotti che in piazza Garibaldi: nel primo caso si tratta di due gruppi di 18-20 monete di III secolo, men-tre nell’altro va evidenziata l’inumazione con 250 esemplari, riferibili all’epoca di Teodosio. La presenza di gruzzoli è attestata anche a Quota (AR), dove un sepolcreto databile al IV-V secolo costituito da tombe a cappuccina presentava insiemi di monete presso la testa dei defunti73. Gli studi di D’Angela mostrano come la presenza di gruzzoli sia do-cumentata in numerosi contesti di età tardoantica, tra cui la catacom-ba dell’ex Vigna Cassia di Siracusa, dove una tomba ha restituito 114 monete databili tra 260 e 275 d.C.74. Il fenomeno appare più frequente (o meglio documentato) in Italia settentrionale, soprattutto in contesti della Lombardia, relativi sia a città che a siti rurali: l’uso si mantiene anche dopo la cristianizzazione, come attestano ad esempio le tombe di Piazza Sant’Ambrogio a Milano75 e quelle di Albano Laziale (Roma)76.

oggetti in vetro

Rispetto ai secoli precedenti, spicca l’alta percentuale di recipien-ti in vetro, presenti in 13 contesti (31%). Ovviamente la tipologia di questi manufatti appare estremamente variabile ed induce ad alcune va-lutazioni sul significato della loro presenza all’interno delle sepolture. Nella maggior parte dei casi sembra proseguire l’impiego di balsamari

73 gAmurrini, Loro Ciuffenna; degAsPeri, Moneta, 338.74 D’AngelA, Contesti, 322, con bibliografia; altri esempi in degAsPeri, Moneta, 338.75 gAstAldo, Corredi, 28-30. Si tratta in prevalenza di necropoli dove i gruzzoli sono

documentati in più tombe, senza distinzione tra sepolture di prestigio o inumazioni modeste.76 giuntellA, Note, 70, con bibliografia.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 111

portaunguenti (tra cui i singoli esemplari rinvenuti a Pisa - via Marche, Orbetello (GR), Talamone (GR), villa della Tagliata (GR), Siena, Chiu-si (nell’arcosolio di Ulpia Victoria nella catacomba di Santa Caterina e nella sepoltura t A 11 in quella di Santa Mustiola)77. Una particolare attenzione merita il balsamario da Siena per la presenza del bollo su tre righe FIRM. HILARI. ET. YLA, con due palme impresse ai lati78. Il bollo compare sempre su bottiglie di piccole dimensioni di forma Isings 84, che recano spesso sulle pareti dei rami o delle palmette impresse, come nel nostro esemplare: si tratta di un contenitore diffuso per un lungo periodo, dalla seconda metà del I secolo d.C. al II-III secolo d.C., momento di maggior diffusione della forma: la sua presenza in contesti di fine III-IV secolo sarebbe imputabile al reimpiego dei manufatti79.

Per i balsamari, che sono tra gli oggetti più comuni nelle sepolture di prima e media età imperiale, si assiste tuttavia in età tardoantica ad una brusca diminuzione delle attestazioni. Stiaffini attribuisce questo calo ad un mutamento nei riti funerari, che prende avvio a partire dal IV secolo: ciò sarebbe da attribuire alla progressiva scomparsa dell’uso di cospargere i defunti con essenze profumate o di depositare tali sostan-ze all’interno delle tombe80. Un significato diverso sembra assumere la bottiglia della sepoltura t A 11 (fig. 3), che, considerata l’appartenenza ad una catacomba, potrebbe essere collegata al rito del refrigerium o, meno probabilmente, a quello del battesimo81. La connessione col pasto funebre risulta in realtà più convincente, in base anche ai rinvenimenti

77 Per alcuni balsami ed unguenti testimoniati dalle fonti antiche, cfr. tAborelli, Bolli, 28-29, nota 13.

78 CArPellini, Origini, 132-133: la moneta fu trovata in tombe che hanno restituito anche una moneta di Filippo l’Arabo; ad esclusione della prima menzione di Carpellini, il reperto non sembra edito in altre pubblicazioni più recenti, dal momento che non vi fanno riferimento gli studi su questa particolare produzione e sulle bottiglie Isings 84: tAborelli, Bolli; sternini et al., Unguentari.

79 sternini et al., Unguentari, 57, 63-64, 99, figg. 1-3 per gli esemplari del Museo Nazionale Romano; tAborelli, Bolli, 39-41, figg. 5-6 per quelli da Sentino e Amiternum. L’unica differenza rispetto agli esemplari pubblicati emerge all’ultima riga, dove in tutti i casi si legge ET YLAE, con la E finale, assente nel reperto senese. Ciò va imputato forse ad un errore di lettura o di trascrizione, considerata la sostanziale omogeneità riscontrabile nella redazione dei bolli pubblicati (sebbene si noti l’esistenza di più matrici). Il bollo è ben attestato a Roma, dove va collocata la produzione di questi contenitori, oltre che nell’Italia centrale interna (Nemi, Torrita, Volsinii, Perugia, Sentino, Amiternum), nella Cisalpina, lungo le valli del Reno e del Rodano; considerata l’area di diffusione, il reperto da Siena ben si inserirebbe tra le attestazioni centroitaliche: tAborelli, Bolli, 52-53.

80 stiAFFini, Glass, 179.81 Una delle ipotesi, sostenuta da Peduto, ritiene infatti che tali recipienti funges-

sero da contenitori per l’acqua del battesimo, conservati per tutta la vita dal defunto: Peduto, Rito, 312-313; cfr. infra.

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di bottiglie e fiaschette all’in-terno e all’esterno dei loculi nelle catacombe romane, e agli espliciti richiami nelle epigrafi a tale costume82.

Di maggior rilievo appa-iono i recipienti decorati ad incisione, quali la nota fia-schetta con la raffigurazio-ne di Baia da Populonia e il piatto con scene di circo, ormai disperso, da Pisa. Ap-pare sempre più evidente dal progredire degli studi come questi oggetti siano realizzati per una committenza elevata, principalmente l’aristocrazia senatoria che li utilizza come doni dal significato analogo alle largitiones imperiali83. Il rango e la cultura dei desti-natari sono all’origine del re-pertorio iconografico di questi

oggetti, dal momento che ne celebrano i valori e lo stile di vita, senza rinunciare a rimandi colti alla letteratura e al mito84. La fiaschetta di Po-pulonia (fig. 4), realizzata tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C. da officine urbane o puteolane, fa parte di una serie di 13 esemplari dalla de-corazione analoga, che però si differenziano tra loro per particolari mini-mi. Sulla spalla reca l’iscrizione: ANIMA FELIX VIVAS, affiancata dal ramo di palma, che connota questo oggetto come un dono beneaugurale. L’immagine di Baia celebrerebbe dunque uno dei luoghi d’otium più am-biti dall’aristocrazia dell’epoca, e fungerebbe da status symbol con cui un ricco esponente populoniese di questa classe sociale si è fatto seppellire: l’uso di tali manufatti come corredo funebre non è del resto raro85. La fia-

82 de sAntis, Glass Vessels; cfr. CArletti, FioCChi niColAi, Bolsena, 26, per analo-ghi rinvenimenti nella catacomba di Santa Cristina di Bolsena.

83 de tommAso, Fiaschetta, 181-184. Per la diffusione di oggetti simili nella Tu-scia Annonaria, cfr. de tommAso, Vetri.

84 sAguì, Officine; de tommAso, Fiaschetta.85 Il ritrovamento in sepolture è attestato per 5 delle 13 fiaschette rinvenute: de

tommAso, Fiaschetta, 181-184. Gianfrotta ipotizza la loro funzione di ricordi di viag-gio: giAnFrottA, Topografia, 16.

Fig. 3 - Bottiglia in vetro da Chiusi - S. Cate-rina (da CiPollone, Primi dati)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 113

schetta conteneva proba-bilmente vino: per questo De Tommaso non esclude di poterla accostare ai riti connessi ai Vinalia, e dun-que a Venere e alla sfera pagana86. Un significato analogo rivestiva il fram-mento di piatto inciso da Pisa, rinvenuto alla metà del ’700 in una sepoltura presso Porta a Lucca, con la raffigurazione di una corsa di quadrighe nel circo, provvista anch’es-sa di iscrizione augurale: Claudia(…) zeses (fig. 5): il piatto si data al IV d.C.87. Appare di notevo-le interesse l’esistenza di una fiaschetta, rinvenuta in una sepoltura di Pesa-ro nel 1749 e datata post 320 d.C., decorata con analoga scena di circo dove compare la medesi-ma formula, ma soprattutto lo stesso nome, Claudia(nus), riportato sul frammento pisano88. Anche in questo caso si tratta probabilmente di un dono ad un personaggio in vista di Pisa, che ha scelto di farsi seppelli-re con esso proprio per il prestigio legato al suo possesso. D’altronde, manufatti in vetro decorato a incisione non sono infrequenti all’interno delle sepolture, come testimoniano i rinvenimenti in numerose località dell’Impero89.

86 de tommAso, Fiaschetta, 193; de sAntis, Glass Vessels, 239. Secondo Gianfrot-ta le fiaschette contenevano l’acqua sorgiva di Baia, dalle note proprietà terapeutiche: giAnFrottA, Topografia, 16.

87 KisA, Glas, 567, fig. 251; CIL XI, 8125, 1.88 de tommAso, Fiaschetta, 185; SAguì, Officine, 352, n. 23. La corsa delle qua-

drighe è raffigurata anche in un piatto da Colonia, sempre da un contesto sepolcrale, datato alla prima metà del IV secolo: cfr. il contributo di H. Hellenkemper in hArden, Cesari, 210-212: il piatto proviene da una tomba femminile in sarcofago. Nel cimitero di Braumsfeld (Colonia), in cui è stato rinvenuto il manufatto, è attestato l’uso di depor-re nelle sepolture un oggetto in vetro di particolare valore.

89 Cfr. l’elenco dei rinvenimenti in sAguì, Officine, 350-354; in alcuni casi, la connessione dei temi iconografici con la sfera funeraria e con la speranza di una vita

Fig. 4 - Fiaschetta in vetro da Populonia (da hAr-den, Cesari)

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Per quanto riguarda il bicchiere decorato con cristogramma rinvenu-to a Lattarino presso Cortona (AR) (fig. 6), si può pensare ancora al col-legamento col refrigerium e alla volontà di sottolineare l’appartenenza alla nuova religione. Un recupero analogo è stato effettuato non lonta-no, a Borghetto (Tuoro sul Trasimeno - PG), sempre in territorio corto-nese: qui una sepoltura ha restituito una coppa di vetro bianco (rinvenu-ta «fra le tibie di uno scheletro»), databile al IV secolo d.C., recante un cristogramma e un’invocazione di augurio incisa sulla parte superiore. L’iscrizione, dal formulario consueto, recita Vivas cum tuis, pie, zeses90. I due rinvenimenti mostrano la predilezione per questi particolari og-

ultraterrena appare evidente, ad esempio nel caso dell’episodio della resurrezione di Lazzaro, da una tomba di Sambuca (AG) (n. 63 del catalogo in sAguì, Officine), o dagli eroti disposti ai lati del dolio.

90 donAti, Epigrafia, 202-203; per l’iscrizione, cfr. Cil Xi, 8125, 2. L’augurio pie zeses, una traslitterazione in caratteri latini dal greco, è tra i più frequenti sui manufatti in vetro dorato, connesso con la pratica del refrigerium (pie sarebbe imperativo del verbo greco pino) o coll’auspicio di vivere una vita ‘pia’ (pie inteso come avverbio la-tino), dunque con un significato più strettamente connesso alla fede cristiana: PAoluCCi, Bargello, 35, con bibliografia.

Fig. 5 - Frammento di piatto in vetro da Pisa, decorato con scene di circo (da KisA, Glas)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 115

getti (non attestati in altre località toscane) in area cortonese.

Di tutt’altra natura appare il frammento di vetro dorato con raffigu-razione di Giona rigetta-to dalla balena, rinvenuto presso il Pionta di Arez-zo. Il piccolo frammen-to (cm 2 x 2) è di forma ottagonale, ritagliato in-tenzionalmente lungo i bordi a foglia d’oro che inquadrano l’immagine (fig. 7); in origine essa doveva far parte di una coppa in cui compari-vano altre scene figura-te91. Per quanto non si abbiano notizie in merito alle circostanze del recupero e all’originaria collocazione dell’oggetto, pare ragionevole supporre che fosse collo-cato all’esterno di un sepolcro, in analogia con quanto avviene nelle catacombe romane, dove tale impiego è consueto92. Questo utilizzo ne rende impropria la definizione come oggetto di corredo. Gli oggetti in vetro dorato erano probabilmente prodotti per essere donati in occa-sione di anniversari, festività, cerimonie o ricorrenze religiose93. Dai recipienti integri erano appositamente ritagliati alcuni frammenti per isolare le scene che interessavano, da inserire poi nella calce di chiu-sura dei loculi. L’ubicazione all’esterno dei sepolcri li qualifica come elementi di distinzione e di ornamento della sepoltura, ma anche come amuleti, in ogni caso veicolo di messaggi particolari. Nel caso della raf-

91 vAnni, Vetro; un vetro dorato con motivo analogo proviene da Colonia: si tratta di un frammento di patena conservato al British Museum. Dal punto di vista iconografi-co, la raffigurazione di Giona e della balena sul vetro aretino è molto simile ad uno dei medaglioni della coppa S. Severin, ancora da Colonia, datata alla seconda metà del IV secolo d.C. Vanni propone per il manufatto aretino una datazione simile. Dal IV secolo i soggetti scelti per questi manufatti di pregio (prodotti tra III e VI secolo, con una mas-sima fioritura nel IV), destinati ad una committenza alta, iniziano a rifarsi a temi biblici od evangelici: zAnChi roPPo, Vetri paleocristiani, 4.

92 PAoluCCi, Bargello, 32-33; Felle et al., Tiburtina.93 PAoluCCi, Bargello, 33.

Fig. 6 - Bicchiere in vetro da Lattarino (da CheriCi, Materiali)

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figurazione di Giona del frammento aretino, non sfugge la connessione con la fede cristiana e con la speranza della resurrezione, idea che sta forse all’origine della scelta del soggetto per un sepolcro. La presenza di questo frammento di vetro dorato assume particolare rilievo se si pensa che si tratta di un caso isolato nell’insieme dei contesti presi in considerazione, oltre alle forti influenze da Roma che denota tale uso.

In conclusione, è utile sottolineare che nei contesti toscani i reperti in vetro da Lattarino e da Arezzo costituiscono gli oggetti di corredo più antichi a recare espliciti rimandi alla nuova religione, in un panorama in cui resta in generale assai difficile (se non impossibile) risalire al credo dei defunti sulla base degli elementi deposti nel sepolcro e delle loro caratteristiche.

Fig. 7 - Frammento di vetro dorato con scena di Giona da Arezzo - Pionta (da vAnni, Vetro)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 117

l’ornAmento PersonAle

Gli oggetti di ornamento personale sembrano per questa fase scar-samente attestati, dal momento che sono presenti solamente in 5 casi (12%): a Pisa - via Galluppi (bracciale in bronzo), ad Arezzo (anello in argento con castone e iscrizione94), alla Polverosa (collana d’oro), a Talamone (armilla in bronzo), mentre il contesto più tardo della serie è probabilmente quello di Semproniano (GR), nella valle dell’Albegna, databile grazie alle monete di Valentiniano I e di Graziano alla fine del IV - inizio del V secolo d.C. (una collana, un anello e un orecchino, tutti in oro) (fig. 8); la collana trova un parallelo puntuale in un esemplare siciliano datato allo stesso periodo95. Nel caso di Semproniano, l’unico con più di un monile, la composizione del corredo non si differenzia troppo dalle tombe più antiche caratterizzate da un certo lusso, quali la tomba fiorentina della Fortezza da Basso, di I d.C. e la sepoltura della spiaggia di Baratti (Populonia - LI), di seconda metà II d.C.96, cui segue nel tempo quella della vicina località della Polverosa di Orbetello: esso si inserisce dunque nel solco di una tradizione non molto diffusa ma comunque viva. La frequenza di elementi di ornamento personale in tombe del territorio maremmano (Orbetello, Talamone, valle dell’Al-begna), in cui si trovano gli unici monili in oro rinvenuti per il III-IV secolo nelle sepolture toscane, indica di nuovo la specificità locale di quest’area, già in precedenza rimarcata per la presenza di recipienti ce-ramici e per la struttura del sepolcro97.

Nel complesso è da segnalare anche la presenza di armi: a Bagni San Filippo (SI), alla Torrettina (GR), a San Giuliano (PI)98. Si tratta in ogni caso di rinvenimenti piuttosto datati, la cui reale natura andrebbe verificata con maggior precisione: tali oggetti appaiono infatti piuttosto inconsueti in contesti di III-IV secolo d.C.99.

94 In base alla testimonianza di Gamurrini, l’anello recava incise su tre righe le lettere OM/INM/OIM: gAmurrini, Arezzo, 440.

95 Cfr. CiAmPoltrini, Luni, 739-740, con bibliografia.96 Per la tomba di Firenze: CiAmPoltrini, Riti; per quella di Baratti: CAmbi et al.,

Baratti, 317-325.97 Cfr. supra.98 Le armi rinvenute nella tomba con gruzzolo monetale di Piazza Mino a Fiesole

(fine IV - inizi V d.C.), sembrano quasi sicuramente da riferire a tombe più tarde, i cui corredi sono stati confusi: de mArCo, Fiesole, 214.

99 Tra la fine del III e il IV secolo le armi sono presenti nel 2% delle sepolture dell’Italia settentrionale: gAstAldo, Corredi, 20. Sulla scarsa incidenza delle armi nei corredi di questo periodo in un campione di necropoli dell’Italia settentrionale (con valori minimi proprio tra metà III e IV d.C.), cfr. BArbierA, Memorie, 37-40.

118 ALESSANDRO COSTANTINI

AlCune ConsiderAzioni di sintesi

Per concludere la sezione relativa al III-IV secolo, è necessario porre in rilievo alcune caratteristiche salienti che riguardano i contesti toscani.

Rispetto al periodo precedente, pur non potendo stabilire con esattez-za l’effettivo aumento o la diminuzione delle tombe con corredo, sembra tuttavia palese un profondo mutamento nel tipo di evidenze. Osservando nel complesso i corredi di III-IV secolo d.C., spicca infatti, tra i feno-meni principali, la presenza generalizzata della moneta e il brusco calo dei recipienti in ceramica. La tradizione di porre vasellame nel sepolcro sembra dunque ormai limitata a ristretti ambiti territoriali, in particola-

Fig. 8 - Corredo da Semproniano (da CiAmPoltrini, Luni)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 119

re l’area maremmana; in tal senso, l’eccezionalità di tale distretto co-stituisce un ottimo esempio di quelle varianti tramite cui si esprimono le tradizioni del luogo (al di là della tendenza generale), che hanno un ruolo primario nel rafforzare la coesione del gruppo sociale e nel mo-strare l’importanza delle influenze locali in ambito funerario100. Queste significative ‘variazioni sul tema’ si pongono dunque in controtendenza rispetto alla pratica comune, mostrando la complessità e l’eterogeneità dell’insieme di riferimento. In questo quadro deve essere inserita anche Fiesole, che si distingue per la presenza di gruzzoli monetali all’interno delle tombe tardoantiche. Proprio la frequenza della moneta, unita ai casi sporadici in cui è attestato il chiodo, segnala come il corredo ‘rituale’ si sia ormai ridotto in molti casi a quegli elementi che sembrano garantire la protezione del defunto, fungendo da amuleti la cui particolare natura può scongiurare la violazione della tomba, l’interferenza di forze mali-gne e (nel caso del chiodo) il ritorno dell’inumato. Questo mutamento nella dotazione del defunto riflette probabilmente, a livello più generale, una nuova concezione della morte e del modo di intendere la sepoltura, che non è più necessario dotare di suppellettili e di offerte utili al morto, ma va munita semplicemente degli elementi atti a proteggerlo101. È pro-babile inoltre che la diminuzione delle ceramiche sia legata al declino della pratica del refrigerium e dell’offerta di cibo al morto (che però non scompaiono del tutto), di cui le ceramiche possono essere il segno, riflet-tendo così anche variazioni significative del rito di commiato.

Infine, la presenza di pregevoli oggetti di vetro inciso testimonia l’uso del corredo anche per individui delle classi elevate, che intendono così celebrare il loro status.

Paragonati con quelli di altri ambiti territoriali, i dati toscani appaio-no in tutta la loro peculiarità, a conferma dell’alta variabilità in merito

100 Cfr. gAstAldo, Corredi, 30-32.101 Tradizionalmente, la moneta nella tomba è stata interpretata come obolo necessa-

rio per pagare al nocchiero Caronte il trasporto verso l’Aldilà attraverso il fiume infernale, un’immagine sicuramente efficace in cui si riflette l’idea del ‘passaggio’ del defunto verso una nuova condizione: in questi termini ne parlano numerosi testi greci e latini. Questa lettura non rende tuttavia giustizia di una realtà sicuramente più complessa, che traspare anche dalla varietà nel tipo di monete, nel loro numero, nella loro posizione, tutti elemen-ti che riflettono la molteplicità di situazioni possibili. La moneta, deposta in uno o più esemplari, può infatti costituire una sorta di talismano o amuleto contro la violazione del sepolcro e l’influenza degli spiriti maligni, in virtù della sua forma rotonda e della natura metallica, senza sottovalutare il carattere beneaugurante ad essa collegata. Sul tema cfr. stevens, Charon’s Obol; CAntilenA, Caronte; CeCi, Chiodi; degAsPeri, Moneta. Per il chiodo come oggetto utilizzato per scongiurare il ritorno del defunto e fissarlo simbolica-mente (ma in alcuni casi anche fisicamente) nel sepolcro, cfr. AlFAyé, Restless Dead, oltre ad alcuni esempi emiliani di ‘sepolture anomale’ editi in CesAri, neri, Sepolture anomale.

120 ALESSANDRO COSTANTINI

alle pratiche funerarie che emerge da numerosi studi sull’argomento. Per l’Italia settentrionale, Gastaldo sottolinea ad esempio come, tra la fine del III e il IV secolo, il vasellame sia ancora il materiale più diffuso nei corredi (62%), a cui seguono monete (45%), gioielli (33%), oggetti di abbigliamento (20%), strumenti (19%), vasellame vitreo (18%), lu-cerne (9%), chiodi (8%), infine armi, offerte alimentari, vasi metallici (2%)102. Per questo ambito si nota dunque la differenza rispetto a quanto emerso per la Toscana, tra cui, in maniera significativa, il mantenimento dell’uso di deporre recipienti ceramici e la maggiore frequenza di ele-menti di abbigliamento.

V-VI secoloTabella dei rinvenimentiN. SITO OGGETTI1 Sant’Ippolito di Anniano (PI)103 1 tomba con armilla in bronzo, bracciale in vaghi d’ambra2 San Genesio (PI)104 monete, pettini in osso3 Firenze - basilica boccale in impasto grossolano di Santa Felicita105

4 Sollicciano (FI)106 bracciale con vago in pasta vitrea5 Scarperia (FI)107 aureo di Libio Severo6 Monte alla Rena (LI)108 vasellame ceramico, moneta di Onorio7 villa di Poggio moneta illeggibile del Molino (LI)109

8 Populonia (LI)110 1 tomba con aghi crinali in bronzo9 villa di Capraia (LI)111 1 tomba con 2 fibbie con alta placca, decorate, spada in ferro con elsa decorata, coltello10 Pianosa (LI) - catacomba112 Monete

102 gAstAldo, Corredi, 20-21.103 CiAmPoltrini, mAnFredini, Anniano.104 CAntini, San Genesio.105 mAetzKe, Santa Felicita, 307-308, fig. 24.106 AA.VV., Scandicci.107 tondo, Mugello.108 loPes PegnA, Castiglioncello.109 shePherd, Villa, 284.110 CAmbi et al., Baratti, 314-315.111 duCCi, CiAmPoltrini, Capraia.112 bArtolozzi CAsti, Catacomba.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 121

11 Case S. Biagio (AR)113 2 orecchini d’oro a poliedro12 Quota (AR)114 monete di Onorio13 San Donato in Perano (SI)115 coppia di orecchini a poliedro in argento14 Podere Cerretellini (SI)116 scodella in sigillata africana D15 Sarteano (SI)117 armille in bronzo e un ago con terminazione a croce sormontata da una colomba16 Chiusi (SI) - catacomba olla, lucerne di S. Mustiola118

17 Chiusi (SI) - via Arunte119 1 tomba con anello d’oro con castone; 1 tomba con orecchini a filigrana d’oro con terminazione a bottone, 2 armille in bronzo e argento, ago crinale in argento con castone, due spille in argento, contenitore in vetro frammentario18 Chiusi (SI) - Foro Boario120 orecchini in bronzo19 Chiusi (SI) - I Forti121 1 tomba con bracciale composto da monete forate e vaghi in vetro; un coltello e un portaunguenti in ferro20 Poggio Cuculo (GR)122 armi in ferro e monete romane, tra cui un solido aureo di Leone I21 San Martino (GR)123 1 tomba con 2 orecchini d’oro, 4 lamine, 3 spilloni in bronzo, collana con 7 vaghi d’ambra, bracciale con 2 vaghi d’ambra, 100 perline in pasta vitrea, 70 frammenti di fili d’oro.22 Roselle (GR) - cattedrale124 Monete

113 CheriCi, Materiali.114 gAmurrini, Loro Ciuffenna; degAsPeri, Moneta.115 vAlenti, Chianti, 252.116 meniChetti, Montepulciano, 339.117 PAoluCCi, Archeologia gota, 24-26.118 CiPollone, Santa Mustiola.119 nArdi dei, Chiusi; borghi, Chiusi, 78.120 PAoluCCi, Archeologia gota, 22-24.121 Cfr. i contributi di Martelli, Pacciani e Citter in sAlvini, Goti e Longobardi.122 Pistoi, Amiata, 509.123 CygielmAn et al., Braccagni.124 CeluzzA, Maremma, 92-93.

122 ALESSANDRO COSTANTINI

L’insieme riferibile a questo periodo appare quantitativamente più modesto: sono stati infatti isolati solo 22 contesti pertinenti a questa fase, in cui le associazioni di oggetti si differenziano nettamente da quelle dei secoli precedenti. Spicca infatti l’alta percentuale di sepoltu-re che presentano oreficerie e oggetti di ornamento del defunto, per un totale di 15 siti (62,5%).

In questo momento continua ad essere molto bassa la quantità di tombe con vasellame ceramico: tra queste si contano una deposizione da Podere Cerretellini (SI), contenente una scodella in sigillata africana D, 6-7 tombe di Monte alla Rena presso Rosignano (LI) con recipienti in ceramica non meglio specificati, la forma di Santa Felicita a Firenze con un boccale in ceramica comune. Scompaiono pressoché del tutto le lucerne e calano in maniera drastica i recipienti in vetro, presenti con un singolo esemplare proveniente da una delle tre ricche sepolture di via Arunte a Chiusi.

le monete

In questo periodo si assiste anche alla significativa riduzione delle monete, che costituivano invece una presenza costante nelle tombe di III e IV secolo. Tra i rinvenimenti vanno ricordati quelli di Pog-gio Cuculo (GR), alcune delle monete da Quota (AR) (emissioni di Onorio), il singolo bronzo dalla villa di Poggio del Molino (LI), gli esemplari illeggibili dalle tombe di VI secolo presso la Cattedrale di Roselle, i gruzzoli monetali attestati nelle tombe di fine V - metà VI secolo da San Genesio (PI), forse alcuni esemplari della necropoli di Pisa – via Marche e i minimi bronzei illeggibili dalla villa di Pieve a Nievole (PT).

Il reimpiego di circolante anche piuttosto antico è ben evidente nelle sei monete forate e reimpiegate come elementi di un bracciale della tomba femminile de ‘I Forti’ a Chiusi, cinque delle quali di epoca primo e medio imperiale, con una sola emissione bizantina di VI, che per il loro particolare riutilizzo saranno considerate nella parte dedicata agli oggetti di ornamento personale. In questo caso, infatti, la moneta non compare nel corredo come oggetto in sé, ma come elemento di un mo-nile, perdendo dunque (pur se probabilmente non del tutto) le valenze simboliche che la contraddistinguono.

Un fenomeno specifico del V secolo è l’introduzione di monete in oro all’interno delle sepolture, mai attestate nelle fasi precedenti. Un aureo di Onorio è presente nei pressi delle sepolture di Monte alla Rena presso Rosignano (LI), forse pertinente ad una di esse, uno di Libio Se-vero (461-465) in una tomba di Scarperia (FI) (unica superstite, in virtù del suo valore, dell’insieme di monete rinvenute in loco, di cui offre te-

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 123

stimonianza il racconto del Brocchi125), uno di Leone I (457-474) da Poggio Cuculo (GR) (fig. 9). Questo feno-meno appare strettamente collegato al mondo germa-nico, dal momento che i personaggi di rango di que-ste comunità erano soliti farsi seppellire con monete in metallo prezioso per sot-tolineare il proprio status126. In tal senso, è di particolare interesse la disposizione in-viata da Teodorico a Duda tra il 507 e il 511, in cui il re si raccomanda affinché non siano deposti nelle tombe oggetti preziosi o monete, perché più utili ai vivi che ai morti127. Non bisogna inoltre dimenticare che l’o-ro è un metallo nobile cui si attribuiva un forte potere di scongiuro128. Nelle nume-rose tombe longobarde che hanno restituito monete d’oro dell’Impero romano d’Oriente (spesso forate e montate in collane e bracciali), di solito molto ricche e munite di altri oggetti di corredo, esse risultano molto più antiche rispetto alla sepoltura, e sono dunque poco utili ai fini della datazione129.

Questo costume sembra dunque abbastanza radicato tra tarda anti-chità e altomedioevo, anche se bisogna notare che gli aurei rinvenuti in tombe toscane non oltrepassano il V secolo (si deve comunque stare in guardia al momento di ipotizzare la contemporaneità tra deposizione e moneta, come suggerisce il caso delle tombe longobarde prima citate: si tratta di emissioni che dovevano avere una lunga circolazione)130.

125 tondo, Mugello.126 young, Paganisme, 42; d’AngelA, Contesti, 321.127 d’AngelA, Contesti, p. 321, con bibliografia.128 PerA, Talismano, 356.129 brozzi, Collane, 127.130 Non mancano in Toscana ripostigli con monete d’oro di V secolo: merita di

Fig. 9 - Aureo da Poggio Cuculo (da Pistoi, Amiata)

124 ALESSANDRO COSTANTINI

L’uso di farsi seppellire con monete d’oro può essere attribuito o a sog-getti allogeni stanziati nelle aree dei rinvenimenti oppure, più probabil-mente, a militari di origine germanica arruolati nell’esercito romano, rimasti legati al costume funerario della patria di origine. Erano infatti soprattutto i militari a disporre di buone quantità di circolante, anche di valore131: bisogna inoltre considerare che due dei tre rinvenimenti citati (Poggio Cuculo e Scarperia) si collocano in zone strategiche per i col-legamenti dell’Italia centrale. Il secondo, in particolare, si situa vicino a vitali itinerari appenninici, dove evidentemente erano dislocate alcune guarnigioni durante le turbolente vicende del V secolo132; va infatti rile-vato che sia a Poggio Cuculo che a Scarperia le tombe hanno restituito anche armi in ferro. Per quanto riguarda il rinvenimento di Rosignano, sarebbe suggestivo proporre una connessione col 412 d.C., anno in cui la costa dell’Etruria fu attraversata dai Visigoti; a tal proposito, è degno di nota il ripostiglio composto da oltre un migliaio di emissioni in bron-zo databili tra Costantino e Onorio, rinvenuto nel 1778 nella località di Lecciaglia, presso Rosignano133.

gli oggetti di ornAmento PersonAle

Per quanto riguarda questo tipo di oggetti, l’ampio numero di esempi racchiude una estrema varietà di situazioni. Per tentare di mettere or-dine in questo insieme di testimonianze, si propone in questa sede una classificazione basata sulla cronologia, nonostante la difficoltà di datare alcune tombe di questo gruppo.

Tra i corredi più antichi figura la panoplia del militare sepolto a Ca-praia (LI), che rimanda al pieno V secolo. Questa era composta da due fibbie in bronzo dorato decorate a cloisonné, una lunga spatha con fo-dero bordato da un fregio in bronzo argentato e da un coltello. Grazie a questi oggetti il defunto è identificabile come un militare franco o alamanno coinvolto nelle turbolente vicende belliche del periodo134.

essere citato quello recentemente scoperto a Sovana (GR), occultato alla fine del V secolo, che presenta emissioni degli stessi imperatori attestati dagli aurei delle sepoltu-re: bArbieri et al., San Mamiliano, 36-38; cfr. inoltre CiAmPoltrini, Tesoro. Un solido aureo di Teodosio II è stato inoltre rinvenuto a Brolio (Castiglion Fiorentino - AR): CheriCi, Materiali, 151, 219.

131 I militari e i funzionari di alto livello, così come i tributi alle popolazioni barba-riche, venivano di norma pagati in solidi: bArbieri et al., San Mamiliano, 36; ArslAn, Pava, 30.

132 Per gli itinerari appenninici in area mugellana, e per un tesoretto ad essi asso-ciabile da Firenzuola (FI), cfr. CiAmPoltrini, Tesoro, 266.

133 CiAmPoltrini, Tesoro, 265-266.134 duCCi, CiAmPoltrini, Capraia.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 125

Ad un orizzonte cronologico più tardo appartengono con buona pro-babilità gli orecchini a poliedro in argento da San Donato in Perano (SI) e quelli in oro «lavorati a cerchiello, che si innestava ad un poliedro di grossi fili d’oro a guisa di rete»135 da Case San Biagio (AR), oltre a quelli di bronzo terminanti con una piccola sfera dal Foro Boario di Chiusi (fig. 10), che sono forse una versione più corrente degli esem-plari in oro e perle rinvenuti nel tesoro di Reggio Emilia, databile alla fine del V secolo136. A questo rinvenimento è avvicinabile l’ago crinale con terminazione a croce sormontata da una colomba da Sarteano (SI) (fig. 11): una fibula cruciforme con appendice in forma di volatile, pro-veniente dall’insediamento di Belmonte (VE), richiama tale oggetto137, diffuso in ambito romano fin dal V secolo ma che viene adottato in se-guito anche dai Goti, restando in uso fino al VII secolo.

Meglio definibili grazie alla presenza di oggetti che non apparten-gono alla tradizione romana e tardoantica, rappresentando quindi delle novità nel panorama degli ornamenti personali, sono le tombe di San

135 Citazione di Gamurrini in CheriCi, Materiali, 179, con bibliografia.136 Cfr. bierbruAer, Ostrogoti, 204-206, nn. i-k: le ultime monete del tesoro di

Reggio Emilia si datano al 493 d.C.137 miCheletto, PejrAni bAriCCo, Piemonte, 323-324, fig. 10, 1.

Fig. 10 - Orecchini in bronzo da Chiusi - Foro Boario (da PAoluCCi, Archeologia gota)

126 ALESSANDRO COSTANTINI

Martino (GR) e di Sant’Ippolito di An-niano (PI). In queste tombe spicca la presenza della collana o del bracciale realizzati con vaghi d’ambra poliedrici (fig. 12), un tipo di monile che sembra diffondersi a partire dal VI secolo e che permane ancora in età longobarda; nelle tombe ricordate, questo elemen-to si accompagna ad altri ornamenti, specialmente in quella di San Martino, dove è presente un ricco corredo in cui si rileva la presenza di elementi che contraddistinguono le donne di un cer-to rango, quale ad esempio la reticella d’oro come copricapo. Sebbene di na-tura molto più modesta, appartiene alla medesima tradizione anche il bracciale della tomba di Sollicciano (FI), che in-dica la volontà di farsi seppellire con qualche oggetto personale.

Sicuramente al VI-VII secolo è da riferire la tomba 1 de ‘I Forti’ di Chiu-si, poiché tra le monete forate che com-pongono il bracciale indossato dalla defunta, si riconosce una emissione bizantina del 518-527 d.C., la più tarda tra quelle rinvenute (fig. 13). L’uso di realizzare collane o bracciali utilizzan-do monete romane più antiche è tipico del mondo barbarico, dove gode di un certo successo a partire dal IV seco-lo nei Balcani e nell’Europa centrale, in una sorta di rivisitazione in chiave ornamentale della moneta138. Collane con emissioni di V e VI secolo sono

138 brozzi, Collane, 128-129; la presenza di monete e materiali preziosi nelle tom-be, più che indice di ricchezza, è segno della relativa disponibilità di materiale prezioso che non veniva impiegato: sono cioè il riflesso di un’economia ristagnante, rappresen-tando un fenomeno in negativo rispetto all’offerta (al contrario dei tesoretti e ripostigli, che sono invece un segno positivo in rapporto alla domanda). In genere, le società più ricche o in via di arricchimento tendono a divenire più riluttanti a disperdere i propri beni: lA roCCA, Morte e società, 241-242, con bibliografia.

Fig. 11 - Ago con terminazione a croce da Sarteano (da PAoluCCi, Archeologia gota)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 127

attestate anche in Sicilia, ma esse sono diffuse soprattutto nelle tombe longobarde più antiche, a Cividale del Friuli, Nocera Umbra, Castel Trosino139. Considerata la cronologia della moneta più tarda della tom-

139 brozzi, Collane, 129-130.

Fig. 12 - Vaghi in ambra di bracciale a poliedro da Braccagni (da CygielmAn et al., Braccagni)

Fig. 13 - Bracciale con monete forate reimpiegate da Chiusi - I Forti (da sAlvini, Goti e Longobardi)

128 ALESSANDRO COSTANTINI

ba chiusina, è arduo stabilire l’ethnos della defunta, tanto più che a dirimere la questione non contribuiscono gli altri elementi del corredo, un coltello e un piccolo portaunguenti, entrambi in ferro: il secondo elemento trova numerosi confronti in area mediterranea fino all’età lon-gobarda, come testimoniano i rinvenimenti di Castel Trosino140. Anche per gli oggetti di accompagno di questa sepoltura bisogna comunque sottolineare la profonda differenza con quelli di tradizione romana.

A partire dal VI secolo inizia inoltre ad affermarsi anche in Toscana l’uso di deporre pettini in osso all’interno delle sepolture, uso attestato a Roselle, a San Genesio, a Firenze – da una tomba rinvenuta di fron-te alla Loggia dei Lanzi –, a Lucca – via Fillungo –, a Pisa – Piazza Duomo –, questi ultimi tre casi sicuramente già di età longobarda. La tradizione di collocare questo oggetto nella tomba sembra diffonder-si proprio a partire dal VI secolo d.C., come mostrano le necropoli di Santa Maria in Pado Vetere a Comacchio (dove rappresenta l’oggetto maggiormente attestato)141, di Nocera Umbra e Castel Trosino142.

le diFFerenze di genere nell’uso del Corredo ‘PersonAle’L’analisi complessiva dei dati esposti mostra immediatamente una

peculiarità interessante: ad eccezione del militare di stirpe barbarica di Capraia, la totalità degli oggetti di ornamento personale rinvenuti è riferibile al mondo muliebre. Questa particolarità è già stata notata sia da Elisa Possenti in merito alle testimonianze di età ostrogota in Italia, dove sono quasi del tutto assenti i corredi maschili, sia da Irene Barbie-ra, che evidenzia la maggiore visibilità delle donne nei cimiteri a partire dal V e VI secolo143. D’altronde, questo costume non sembra discostarsi troppo da quello tipicamente romano, poiché i casi noti di tombe con oreficerie di età romano-imperiale sono tutti relativi ad oggetti perti-nenti alla sfera femminile, per cui potrebbe semplicemente trattarsi del mantenimento (seppur con una diffusione più capillare conseguente al diffondersi dell’inhumation habillée) di un’usanza comunque già radi-cata nella mentalità romana e tardoantica.

La composizione dei corredi di tipo ‘personale’ mostra una estrema varietà, passando da oggetti singoli, di maggior o minor pregio (monili d’oro o semplici armille in osso), fino alla deposizione di intere parures di valore, composte da più elementi. Nelle sepolture tali oggetti non sono associati a materiali di altro tipo, ad eccezione della tomba da via

140 Cfr. il contributo di C. Citter in sAlvini, Goti e Longobardi, 32-33, con bibliografia.141 PAtituCCi, Comacchio, 73.142 Rispettivamente PAsqui, PAribeni, Nocera; mengArelli, Castel Trosino.143 Possenti, Abbigliamento, 289; bArbierA, Memorie, 175.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 129

Arunte di Chiusi, che reca anche un contenitore in vetro, e di quella de ‘I Forti’ dalla stessa città, dove sono presenti un coltello e un portaun-guenti in ferro. Se, come sottolineato in precedenza, la deposizione di ornamenti personali non è estranea al mondo romano, si nota tuttavia un marcato incremento rispetto al III e IV secolo, allorché tali reperti sono presenti solo in 4 contesti su 42, ognuna con un singolo oggetto ad eccezione di quella di Semproniano, che non a caso è la più tarda del gruppo. A partire dal V secolo, dunque, si assiste ad una ripresa di tale uso, che, per quanto mai cessato del tutto, pareva essersi notevolmente affievolito nei due secoli precedenti.

l’inCidenzA delle sePolture Con Corredo

Come per i secoli precedenti, anche per il V e VI secolo è difficile risalire alla proporzione tra le sepolture con corredo e quelle che ne sono prive, a causa, ancora una volta, dell’impossibilità di proporre una stima numerica di queste ultime.

In Italia settentrionale le sepolture munite di corredo calano da 307 tra fine III e IV secolo, a 35 tra V e metà VI; risalgono infine a 47 tra la metà del VI e l’inizio del VII secolo. Per quanto si debba tener conto dell’occasionalità dei rinvenimenti e della qualità della documentazio-ne, il dato indica chiaramente il brusco calo avvenuto a partire dal V secolo144. A Milano, le tombe di IV - inizio V secolo con corredo corri-spondono al 50% circa del totale relativo a tale periodo, mentre scendo-no al 17% per quelle dal V secolo in poi145.

Nella Gallia del Sud non si apprezza in generale una diminuzione delle tombe con corredo nella tarda antichità rispetto al periodo prece-dente: quello che va sottolineato è invece la scomparsa di vasellame, lucerne e resti animali nelle tombe di questa regione intorno alla metà del V secolo146.

Le epigrafiLe iscrizioni funerarie rappresentano una fonte di fondamentale im-

portanza per la ricostruzione della società, del rango dei defunti e dei riti funerari, avvicinandoci in maniera più diretta alla sensibilità degli antichi nei confronti della morte. In questa sezione si è cercato di com-prendere l’evoluzione stilistica e formale delle iscrizioni, facendo atten-

144 gAstAldo, Corredi, 18.145 sAnnAzAro, Cronologia, 50: nel V secolo persiste ancora l’usanza di deporre

vasellame all’interno delle sepolture.146 blAizot, Image, 338.

130 ALESSANDRO COSTANTINI

zione ai mutamenti nel formulario e ai fenomeni sociali e culturali che essi riflettono. In particolare proprio l’epigrafia consente di avere uno sguardo privilegiato sull’impatto e sulla diffusione del Cristianesimo e sui mutamenti nella composizione della società; ciò che soprattutto emerge è la diminuzione e la fine della produzione ‘di massa’ dell’epi-taffio, che torna progressivamente ad essere un elemento che contraddi-stingue solo le élites. Si è inoltre tentato di tenere conto sia dei testi che dei supporti utilizzati, e soprattutto dei luoghi in cui le iscrizioni (e le relative tombe) erano collocate, tutti elementi che concorrono a fornire importanti informazioni su molti aspetti: la classe sociale di apparte-nenza degli inumati, il loro ruolo all’interno della comunità, il credo religioso, i rapporti familiari, i mutamenti nel corso dei secoli sia nello stile che nel formulario degli epitaffi.

III secolole CArAtteristiChe PrinCiPAli

Ciò che balza all’attenzione nell’analisi del patrimonio epigrafico re-lativo al III secolo è la marcata rarefazione delle iscrizioni rispetto ai secoli precedenti e la quasi totale assenza di testimonianze per le grandi città dell’Etruria (Pisa, Firenze, Arezzo, Lucca, Roselle), da cui invece proviene un cospicuo insieme di testi di prima e media età imperiale. Questo mutamento sembra riflettere la progressiva scomparsa del ceto di liberti e di individui liberi coinvolti nei commerci, nelle professioni, nell’amministrazione e infine nella politica, protagonista delle vicende di queste città e della loro vitalità. Come evidenziato da Ciampoltri-ni, a questi personaggi si deve gran parte della produzione epigrafica dell’Etruria nel periodo compreso tra il I a.C. e il II d.C., dal momento che essi trovano nelle stele funerarie (di vario tipo e fattura) un mezzo di autocelebrazione più economico rispetto ai grandi monumenti riser-vati all’aristocrazia e alle famiglie più in vista, comunque ugualmente efficace per tramandare il loro ruolo e vantare l’ascesa sociale di cui sono stati artefici.

Più in generale, in accordo ancora con quanto proposto da Ciampol-trini, si assiste nell’Etruria settentrionale e costiera alla scomparsa della stele iscritta al volgere tra II e III secolo d.C.147. L’uso di questo tipo di supporto prosegue invece nella parte meridionale, come indicano i rinvenimenti dell’area maremmana (di cui si tratterà più nello specifico in seguito) e soprattutto di Chiusi: da questo centro proviene infatti un buon numero di epitaffi di III secolo, tra cui spiccano, per l’eccellente

147 CiAmPoltrini, Stele, 8.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 131

qualità, quelli dell’ipogeo di Santa Caterina148. Tale situazione riflette probabilmente la sostanziale tenuta di questo centro anche in un pe-riodo in cui il resto dell’Etruria sembra vivere una fase di stagnazione, forse in virtù della maggiore vicinanza a Roma e soprattutto della sua posizione lungo importanti itinerari terrestri e fluviali, non ultimo il nuovo tracciato della via Cassia.

Relativamente alle iscrizioni più antiche prese in esame, è neces-sario puntualizzare che risulta impossibile (oltre che inutile) stabilire una linea di confine netta tra quelle di II secolo inoltrato e quelle di III, dal momento che non si apprezzano variazioni di sorta al momento di passaggio tra i due secoli.

In generale, le epigrafi di questo periodo si presentano quasi sempre anticipate dalla sigla D(is) M(anibus), un uso che si afferma già nel cor-so del II secolo d.C. Inoltre, riportano molto spesso la durata della vita del defunto, i nomi dei dedicanti, le qualifiche di benemerenza oltre ad aggettivi che esaltano le qualità del defunto e il dolore per la perdita: queste ultime sono ben evidenti nel nucleo di iscrizioni chiusine CIL XI, 2327-2334, che Cipollone ritiene di II-III secolo d.C., pertinenti proba-bilmente ad un unico gruppo familiare149. Talvolta si specifica la durata del matrimonio, ad esempio nella stele da Riparossa (GR), in quelle di Caesia Benibola e di Nerania Iulianena dalla catacomba di Santa Cateri-na di Chiusi150. Alcune epigrafi recano un formulario più accurato e una maggiore originalità nell’enumerazione delle qualità del defunto, come in quella di Fonteia Concordia, sempre da Santa Caterina151.

Dalla fine del II secolo d.C., nelle stele dell’Etruria cessa la menzio-ne delle cariche pubbliche; spesso risulta dunque molto arduo risalire al ceto sociale dei defunti ricordati negli epitaffi. Le uniche eccezioni sono rappresentate dai militari arruolati nelle coorti pretorie, che riportano con precisione il corpo di appartenenza e gli anni di servizio: ciò è ben evidente nelle epigrafi da Sinalunga, dalle Sassaie (Manciano - GR), da Poggio al Sole (Castiglione d’Orcia - SI)152. È nota la provenienza dall’Etruria di un ampio numero di pretoriani153: dal II secolo d.C., è probabile che la strada dell’arruolamento rappresentasse ormai la via

148 Cfr. infra.149 Cfr. CIL XI, ad loc.; CiPollone, Clusium, 74, nota 44.150 Riparossa: jACques, Inscriptions, 219-227; Chiusi: CIL XI, 2536, 2543.151 CIL XI, 2538: cfr. infra.152 Sinalunga: CIL XI, 2594; Le Sassaie: mAetzKe, Magliano, 39-40; Poggio al

Sole: CIL XI, 7243.153 Per i militari provenienti dalla zona compresa tra il lago di Bolsena, il Monte

Amiata e la costa tirrenica (ambito geografico a cui appartengono del resto anche le attestazioni qui riportate), cfr. sAlAdino, Didii, 180, nota 11.

132 ALESSANDRO COSTANTINI

più rapida (se non l’unica), per affermarsi e per ottene-re, una volta congedati, un ruolo di primo piano nelle comunità di origine. Un ottimo esempio in tal sen-so è fornito da Didius Sa-turninus di Saturnia, che, alla fine del II secolo d.C., dopo una brillante carriera militare, divenne patronus della città154.

Sicuramente alcuni per-sonaggi sepolti nella cata-comba chiusina di Santa Caterina appartenevano alle classi più in vista della città, ad esempio la Fon-teia Concordia ricordata in CIL XI, 2538, in cui si pone l’accento sulla stima

dei concittadini nei suoi confronti. In essa ci si sofferma inoltre sulla descrizione di alcuni aspetti del corteo funebre, che coinvolge l’intera comunità. L’appartenenza di queste sepolture ad individui agiati è ul-teriormente testimoniata dal pregio del supporto su cui sono realizzate e dall’accuratezza del ductus che alcune di esse evidenziano, ad esem-pio quella di Caesia Benibola155 (fig. 14). Un potente cavaliere è da identificare nell’Anaenius Pharianus a cui il liberto Autumnalis dedica l’epitaffio rinvenuto al Puntone di Bolgheri (LI)156. Ad una condizione servile del dedicante e del defunto rimanda invece il nome Ianuarius, che compare nell’ara dalla Polverosa (GR)157.

Di particolare interesse è infine la menzione della professione di pinctor nella lapide chiusina di Aurelius Felicianus158, l’unico caso, per questa epoca, del ricordo dell’attività svolta in vita dal defunto, ad esclusione di quelle dei militari.

154 sAlAdino, Ager Caletranus; cfr. CIL XI, 7264, dove sono enumerate le campa-gne militari sostenute e le decorazioni ottenute.

155 CIL XI, 2536.156 PACK, Anaenius.157 sAlAdino, Didii, 187.158 CIL XI, 7126.

Fig. 14 - Epigrafe di Caesia Benibola da Chiusi (da CiPollone, Clusium)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 133

le ePigrAFi dell’AreA mAremmAnA

Nel complesso di testimonianze riferibili alla fine del II-III secolo d.C., spicca la presenza di un cospicuo nucleo di epigrafi dall’area di Sa-turnia (GR) e dalla valle del Fiora, in un distretto territoriale in cui l’uso delle iscrizioni sembra conoscere in questo periodo una discreta fortuna, in controtendenza rispetto a quanto accade in gran parte della Toscana. A cavallo tra i due secoli si possono evidenziare anche alcune caratteri-stiche stilistiche e paleografiche che accomunano questo gruppo di testi.

L’ara dalla Polverosa (Orbetello - GR) e quella di Ritinia Iustina consentono di apprezzare la fortuna di cui ancora gode questo tipo di monumento funerario, a cui si ispirano indubbiamente anche le stele di Pantano e di Riparossa (fig. 15), come suggeriscono i frontoni se-micircolari decorati da volatili ai lati di un kantharos e di una rosetta, affiancati da acroteri laterali; a queste si aggiunge quella a Sabina, che reca un ritratto stilizzato al centro del frontone159. Inoltre, forti analogie si riscontrano anche nella grafia, con lettere costituite da sottili incisio-ni, che Jacques interpreta come «capitales rustiques influencées par la cursive»160. La N e la M appaiono fortemente oblique, mentre E, F, T, hanno tratti orizzontali molto corti161.

Al momento iniziale della serie di Saturnia, probabilmente nei decen-ni finali del II secolo d.C., si pongono le epigrafi di Tallonia Iusta e C. Amerius Proculus, dove gli acroteri laterali e il frontone, decorato con una rosa a otto petali molto schematica, appaiono tra loro ben distinti, e il testo è opportunamente riquadrato162. Alla fase finale, secondo Ciam-poltrini, si collocano l’epigrafe di Pantalla e quella di Honeratus (a cui si può aggiungere anche l’iscrizione di C. Tallonius Silvinus), poiché il frontone triangolare e gli acroteri laterali sono ormai estremamente stilizzati, distinti da semplici linee incise163.

CArAtteristiChe FormAli e motivi deCorAtivi

In base agli esempi riportati, si possono tentare alcune valutazioni sull’aspetto delle stele di fine II - III secolo d.C., che costituiscono l’ul-tima evoluzione della vivace produzione di lapidi della prima età impe-riale164. Questa fase tarda sembra caratterizzata da una realizzazione nel

159 CIL XI, 2657; jACques, Inscriptions; CiAmPoltrini, rendini, Fiora, 491-493.160 jACques, Inscriptions, 212.161 CiAmPoltrini, rendini, Fiora, 491.162 gunnellA, Saturnia, 243-244, 247-248.163 CiAmPoltrini, rendini, Fiora, 492-493.164 Cfr. al riguardo le stele CIL XI, 1736 e il monumento a C. Salfeius Clemens da

Sesto Fiorentino: CiAmPoltrini, Riti, 20.

134 ALESSANDRO COSTANTINI

complesso più sommaria, con scarsi elementi decora-tivi e una distribuzione del testo meno accurata. Tra i caratteri distintivi si nota il frontone triangolare o semi-circolare affiancato da acro-teri, che nelle redazioni più tarde (o più modeste) non è più a rilievo ma viene sem-plicemente abbozzato con linee incise, indizio dunque di un’ulteriore semplifica-zione della stele. È questa l’ultima versione del monu-mento, concentrata in parti-colare in area maremmana e chiusina, ma presente anche nel settore costiero165. Nel complesso, non mancano tuttavia esemplari di discre-

ta fattura, tra cui numerose lapidi da Santa Caterina a Chiusi, che sono da collocare ormai nel III secolo avanzato. In dieci lastre marmoree su undici totali, destinate a coprire gli arcosoli di questo sepolcreto ipogeo, sono infatti riprodotti gli stessi motivi delle stele e dei cippi realizzati per i cimiteri all’aperto, a riprova della forte tradizione in ambito locale di tale tipo di segnacolo funerario166.

Al centro del frontone si trovano di solito alcuni motivi decorativi, come la corona o il fiore, resi sempre in maniera sommaria: solo nelle epigrafi di Riparossa e di Pantano essi sono sostituiti dai volatili affron-tati e dal kantharos (con forti valenze connesse alla rinascita dopo la morte e al refrigerium)167. Le stele chiusine di Santa Caterina presen-

165 Per Chiusi, cfr. CIL XI, 2327-2334; per l’area litoranea cfr. la stele di M. Anae-nius Pharianus (PACK, Anaenius) e quella da Salviano (cfr. infra).

166 Cfr. CiAmPoltrini, Appunti, 235, dove le lapidi di Santa Caterina sono defi-nite ‘pseudostele’; CiPollone, Clusium, 71-72; all’inizio del IV viene tuttavia riferita dall’autrice la lapide CIL XI, 2552, da Santa Mustiola (forse dal cimitero sopraterra, come indicherebbe la forma della stele): in questo caso gli acroteri e il frontone sono a rilievo e il testo denota ancora una grafia piuttosto accurata. Essa testimonierebbe l’esistenza di botteghe di lapicidi, ancora per questa fase tarda, che mantengono l’uso di decorare la stele in maniera tradizionale: 33-34.

167 Cfr. bruun, Symboles, 90-91.

Fig. 15 - Epigrafe da Riparossa (da jACques, Inscriptions)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 135

tano invece all’interno del frontone la foglia cuoriforme168, o la croce uncinata169. Si tratta nel complesso della ripetizione e semplificazione di motivi già presenti (con ben altra qualità) negli esemplari più anti-chi170. Allo stesso insieme sembra assegnabile anche l’epigrafe da Sal-viano (LI)171, dove è inciso un frontone triangolare molto schematico, riempito con i ritratti appena abbozzati dei defunti: un esempio di poco antecedente che reca un motivo analogo è l’epigrafe di Sabina da Satur-nia, della fine del II secolo d.C., dove il ritratto della donna, per quanto stilizzato, è reso con una maggiore profondità172.

Sopravvive ancora, nelle lapidi destinate ad individui femminili, l’uso di rappresentare oggetti dell’instrumentum muliebre, seppure in maniera molto schematica e sommaria, che si ritrova nelle epigrafi da Pietrasanta (LU) e in quella di Pyramis da Sinalunga (SI)173. Si tratta della prosecuzione di un uso ben diffuso in età precedente nelle iscrizio-ni dell’Etruria settentrionale, destinate sia ad uomini che a donne, dove si mostrano (con un certo orgoglio) gli oggetti rappresentativi della pro-pria professione e delle cariche pubbliche ricoperte in vita, talvolta con una resa piuttosto accurata174. Le testimonianze di Pietrasanta appaiono come l’estrema manifestazione di un motivo decorativo che sembra go-dere di una certa fortuna in area pisana e lunense nel I e II secolo. È qui infatti che il repertorio afferente alla sfera femminile appare piuttosto diffuso175. Tra gli esempi più significativi si conta la stele di Gabinia Procula da Castelnuovo della Misericordia (PI), oltre alle iscrizioni di Torano e Vezzala (MS), databili tra I e II secolo d.C.176. Nelle prime due la grafia del testo e i motivi decorativi (specchio, pettine e patera) sono resi in maniera molto accurata: nelle altre epigrafi, invece, sembra trat-tarsi di una stanca ripetizione di una consuetudine non più viva.

In alcuni casi, tra gli oggetti compare anche l’ascia, ben evidenziata in CIL XI, 1474 (da Pietrasanta) e 1780 (da Volterra). Essa è raffigurata

168 CIL XI, 2533-3536, 2543.169 CIL XI, 2547; CiPollone, Clusium, 72, nota 32.170 Per le stele con kantharos di I secolo d.C., cfr. le iscrizioni citate alla nota 138.

Per la corona, cfr. la stele di Q. Vibius Maximus Sminthius: CIL XI, 1616: CiAmPoltri-ni, Riti, 14. Per la foglia d’edera, cfr. bruun, Symboles, 100-102.

171 CIL XI, 1522.172 CIL XI, 2657; cfr. supra.173 Pietrasanta: CIL XI, 1474-1475; Sinalunga: mAroni, Prime comunità, 31-32.174 Cfr. la stele fiorentina del bronzista Q. Vibius Maximus Sminthius (CIL XI, 1616;

cfr. supra) e quella dei Laronii da Capannori (LU), di I d.C.: CiAmPoltrini, Riti, 14, 21.175 CiAmPoltrini, Monumenti, 134.176 Gabinia Procula: CIL XI, 1524b; nePPi modonA, Pisae, 66-67; per le stele di

Torano e Vezzala: CIL XI, 6994, 6998: CiAmPoltrini, Stele, 5, 10, nn. 6, 11; CiAmPol-trini, Monumenti.

136 ALESSANDRO COSTANTINI

costantemente su iscrizioni e soprattutto su monumenti funerari, con una particolare prevalenza sulle cupae monolitiche. L’ascia si ricollega ai termini asciare e exacisclare, menzionati spesso sulle iscrizioni fune-rarie: secondo Panciera (sulla scorta di De Visscher), questi verbi met-terebbero in guardia dal demolire o modificare i monumenti sui quali sono apposti177. Qualche problema in più comporta la sua raffigurazione tra gli oggetti tipici del mondo femminile, anche se la sua presenza può essere legata alla medesima necessità di tutelare l’epitaffio e la decora-zione. Non si può tuttavia escludere che all’ascia siano da collegare altri significati che al momento ci sfuggono, come sembrerebbe indicare la sua presenza tra gli oggetti di corredo di alcune tombe della necropoli di Nave (BS)178. Tuttavia essa compare in maniera piuttosto sporadica nelle iscrizioni prese in esame, e, più in generale, in Toscana per tutto il periodo imperiale179.

lA ComPArsA dellA dAtA di dEpositio

Nella seconda metà del III secolo si situano tre epigrafi dell’ipogeo chiusino di Santa Caterina, di estremo interesse per la menzione della data di depositio: si tratta degli epitaffi di Caesia Benibola, di Capelio e di Philonicentius, che Pack e Cipollone ritengono di religione cristiana proprio per la presenza di questo elemento. La depositio assume però un particolare significato non tanto per il legame con la nuova religio-ne, proposto in passato da numerosi studiosi e smentito dalle recenti ricerche di Carletti, ma per la necessità di commemorare il giorno della morte dei congiunti, in cui si svolgevano i riti sulla tomba e il pasto funebre180.

Proprio Carletti ha infatti evidenziato come l’uso di depositus / depo-sitio risalga in realtà ad età repubblicana, con un incremento sensibile fra fine II - inizio III secolo d.C., radicandosi nel corso del III e del IV181. L’esempio più antico di età imperiale si data al 214, cui segue un epitaffio del 272, entrambi da Roma182. La presenza a Chiusi di tale formula già nel III secolo riveste un certo interesse in quanto si tratta di

177 PAnCierA, Deasciare, 705-706, con bibliografia; romAnò, Cupa, 181.178 PAssi PitCher, Necropoli.179 Cfr. le attestazioni dal territorio pisano, probabilmente di II secolo d.C.: CIL

XI, 1436, 1444.180 CArletti, Dies, in particolare 21-23 per i termini della questione e 37-39.181 CArletti, Dies, 28: come nota lo studioso, l’uso si afferma in concomitanza con

l’estinguersi della pratica dell’incinerazione e l’imporsi di quella dell’inumazione, che implica l’uso di un verbo di tale tipo: cfr. 36-37.

182 Per la prima, cfr. CIL VI, 3428; per la seconda, cfr. CArletti, Dies, 43, n. 9, con bibliografia.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 137

testimonianze piuttosto precoci al di fuori di Roma, dove l’uso sembra alquanto radicato, mentre in altri contesti le attestazioni risultano più sporadiche183: saremmo dunque di fronte ad un ulteriore indizio degli stretti legami che intercorrono tra Chiusi e l’Urbe. Le tre epigrafi chiu-sine testimoniano sia l’uso di depositus + data della morte, come in quella di Caesia Benibola, sia quello del termine depositio col signifi-cato di sepulchrum, nelle altre due184.

Se la data di depositio non si collega automaticamente a defunti di re-ligione cristiana, all’opposto le iniziali D(is) M(anibus) non sono sem-pre riservate a pagani. La formula ricorre infatti in più occasioni in epi-taffi sicuramente cristiani: la presenza di questo ‘relitto’ della tradizione (con esempi ancora in età altomedievale), è stata collegata alla sua fun-zione di indicatore dello status di res religiosa della tomba, a monito della sua inviolabilità185. Ancora in Toscana, un confronto interessante è rappresentato dalla lapide di Iulius Clemens di Arezzo, databile al IV secolo, introdotta da D(is) M(anibus) s(acrum)186.

In definitiva, sulla base dei dati disponibili, ancora per il III secolo avanzato mancano per la Toscana tracce esplicitamente riferibili alla religione cristiana.

IV secoloPer il IV secolo, prosegue in Toscana la rarefazione delle epigrafi,

ancora con la significativa eccezione di Chiusi. Scompaiono quasi to-talmente le menzioni di pretoriani o altri militari, la cui presenza nel secolo precedente appariva invece consistente187. Questo fenomeno può essere il segno del progressivo circoscriversi della pratica epigrafica ai ceti più in vista della società, trasformandosi in un elemento riservato alle élites. L’uso della scrittura inizia dunque a perdere terreno presso i rappresentanti della cosiddetta ‘classe media’, la cui affermazione so-ciale era passata, nei secoli precedenti, anche tramite l’utilizzo delle

183 CArletti, Dies, 34: cfr. infra.184 CArletti, Dies, 34-351: per lo studioso il secondo uso si diffonderebbe tra fine

IV - inizio V secolo, convivendo con la ripetizione dell’aggettivo depositus nello stesso testo al momento di specificare la data della morte.

185 CAldelli, Nota; CArletti, Ideologia, 72-73, con esempi da Roma e dall’Africa: 193-194 (n. 80), 244-245 (nn. 149-150); per gli esempi di età altomedievale cfr. mAz-zoleni, Ricerche, 2296-2297.

186 MAzzoleni, Duomo vecchio, 57-59.187 Per quanto riguarda i militari attestati ancora nel IV secolo da iscrizioni fune-

rarie in aree limitrofe, va citata l’epigrafe del miles Valerius Saturnianus da Otricoli (CIL XI, 4085) e quella di Flavius Baudio da Spoleto (CIL XI, 4787), entrambe di età costantiniana: cfr. Augenti, munzi, Scrivere, 25, nota 19.

138 ALESSANDRO COSTANTINI

iscrizioni. Come nota De Rubeis, si assiste ad «una flessione della scrit-tura come fattore di rappresentatività sociale»188.

CArAtteristiChe FormAli

In generale, nel IV secolo prosegue nella prassi epigrafica sia la menzione dell’età del defunto, sia l’uso della struttura dedicatoria, con i nomi dei congiunti che promuovono la realizzazione del sepolcro e dell’epitaffio, in linea con i secoli precedenti189. Per quanto riguarda il territorio toscano, trattando le epigrafi di Portus Pisanus, Ciampoltrini ha enucleato alcuni caratteri specifici delle iscrizioni di questa regione databili in età tardoantica190. Tra questi, si nota la permanenza degli aggettivi che esaltano le qualità morali del defunto e l’affetto dei con-giunti nei suoi confronti. Specifica di questo periodo sembra la qualifica di benemerenza, che si generalizza in Etruria settentrionale nel corso del IV secolo191. Nello stesso distretto, già dal III (ma soprattutto nel IV secolo) si diffonde inoltre la formula titulum posuit, con le diverse varianti192. Ciampoltrini si sofferma anche sulle forme del latino tardo impiegate nelle iscrizioni, quali il termine oxor dell’epigrafe CIL XI, 521 e di quella aretina di Iulius Clemens193. Frequente risulta anche la grafia -e per -ae in sillaba finale e l’uso di k per c in inizio di parola (es. karissime), che però non sono assenti anche in epigrafi di III secolo194.

Per quanto riguarda Chiusi, i tituli di IV presentano un formulario tipi-co, con il nome dei dedicanti seguito da posuit / posuerunt, conclusi in al-cuni casi dalla data di tumulazione; più raro l’uso della formula depositus est / depositio / depossio all’inizio del testo195. Riferibili ad ambito cristia-no sono le espressioni in pace, che chiude l’epitaffio di Ulpia Faustina, e dormis in somno pacis di un graffito anonimo, entrambe dalla catacomba di Santa Mustiola196, databili forse alla fine del IV secolo.

In merito ai supporti litici utilizzati, nel panorama generale si nota una grande varietà di soluzioni. Nella catacomba di Santa Mustiola a

188 de rubeis, Rappresentatività, 391.189 CArletti, Ideologia, 118-120.190 CiAmPoltrini et al., Portus Pisanus.191 CiAmPoltrini et al., Portus Pisanus.192 CiAmPoltrini et al., Portus Pisanus. Tra le più antiche attestazioni, si collocano

le epigrafi volterrane CIL XI, 1780, 1790, di III secolo.193 Per oxor, cfr. CiAmPoltrini et al., Portus Pisanus.194 Per il primo fenomeno, cfr. ColAFrAnCesCo, Lingua, 114; la versione karissima

(insieme alla forma bixit per vixit) è attestata ad esempio nell’epigrafe del pinctor Au-relius Felicianus di Chiusi (CIL XI, 7126), di III d.C.

195 CiPollone, Clusium, l-li.196 Rispettivamente CIL XI, 2563, 2579.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 139

Chiusi, ad esempio, sono riservati alle lastre lapidee i testi maggior-mente elaborati, mentre quelli graffiti direttamente sulla roccia degli arcosoli appaiono molto brevi e sintetici, di fattura grossolana, limitati al ricordo del nome del defunto e della data di depositio197.

Tra le lapidi di miglior fattura si contano quelle dedicate agli uomini del clero, tra cui il vescovo Petronius198. Il suo epitaffio, inscritto in una tabula ansata, mostra ancora l’intenzione di organizzare e decorare il campo epigrafico (fig. 16).

Da questo momento si diffonde l’uso di riutilizzare lapidi più antiche o materiale architettonico di spoglio: il fenomeno è evidente a San-ta Mustiola, dove si trovano supporti eterogenei. Un caso evidente di reimpiego è riconoscibile nell’epitaffio del piccolo Caius Petisius dalle Sassaie (Magliano - GR) (fig. 17), di IV secolo, scritta sul retro della lapide dedicata da Aurelianus nel secolo precedente199. Questo reperto è utile a percepire i mutamenti nello stile e nell’esecuzione delle iscrizio-ni grazie al confronto tra i due testi.

Si estingue inoltre l’uso della partizione architettonica della stele, con frontoni e acroteri: l’interesse appare limitato al testo dell’iscrizio-ne, che si dispone nel supporto con un’ampia gamma di soluzioni; in

197 CiPollone, Clusium.198 Tra quelle di laici, appaiono di buona qualità quelle di Geminus (CIL XI, 2554),

decorata con un’ascia (su cui Cipollone avanza dubbi in merito all’originaria colloca-zione nella catacomba di Santa Mustiola), di Gellia Gurianena (CIL XI, 2553), appar-tenente ad una eminente famiglia della Chiusi romana, e del piccolo Aurelius Melitius (CIL XI, 2551): cfr. CiPollone, Clusium, 29, 37, 39.

199 Cfr. supra.

Fig. 16 - Epigrafe di Petronius da Chiusi (da CiPollone, Clusium)

140 ALESSANDRO COSTANTINI

generale, si assiste ad uno sca-dimento riflesso dalla grafia, più sommaria e grossolana, e dalla scomparsa di schemi or-dinati di impaginazione200.

lA ComPArsA del CristiAnesimo

In linea generale, le prime te-stimonianze epigrafiche ricon-ducibili sicuramente a defunti cristiani risalgono alla fine del II - metà del III secolo; questa fase iniziale si caratterizza per il formulario ridotto all’essen-ziale, diversamente da quan-to riscontrato nelle iscrizioni funerarie coeve. Al di fuori di Roma, sono poche le realtà in cui si hanno tracce così precoci di epigrafi associabili al nuovo credo: in Italia, si riscontrano

solo alcuni esempi dalle catacombe di San Gennaro a Napoli e da Sira-cusa201. Solo in seguito, tra la seconda metà del III e l’età costantiniana, i Cristiani adottano progressivamente testi più ricchi, allineandosi alle tendenze generali della società: iniziano dunque a comparire i dati relativi alla lunghezza della vita, al giorno della morte, ai congiunti che dedicano il sepolcro, ai consueti elogi per i defunti202.

In Toscana le prime tracce della diffusione della nuova religione ri-salgono al IV secolo. Tra le iscrizioni più antiche si collocano quel-le chiusine di Santa Caterina e Santa Mustiola: esse mostrano già un formulario piuttosto articolato, che si discosta poco dall’uso consueto dell’epoca. Questa caratteristica indica dunque che la volontà di uti-lizzare formule e simboli cristiani si diffonde e prende piede in questo territorio quando ormai il Cristianesimo non è più allo stato embrionale e ha perso i caratteri di specificità e di arcaicità degli esordi. Questo pro-cesso è favorito senza dubbio dall’influenza delle élites locali, promo-trici e destinatarie, in maniera sempre più esclusiva, della produzione epigrafica, che tendono dunque ad uniformare e ad elevare il linguaggio

200 Cfr. CArletti, Ideologia, 113-116.201 CArletti, Ideologia, 42.202 CArletti, Ideologia, 39-40.

Fig. 17 - Epigrafe (reimpiegata) di Petisius da Magliano (da mAetzKe, Magliano)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 141

degli epitaffi al di là del credo religioso di appartenenza203. Dal IV seco-lo compaiono per la prima volta negli epitaffi chiusini anche i membri del clero, appartenenti agli strati sociali più elevati. Dalla menzione di un episcopus, un exorcista e un diaconus si evince già per quest’epoca l’esistenza a Chiusi di una gerarchia ecclesiastica ben strutturata e arti-colata. Per quanto riguarda l’epigrafe del vescovo chiusino Petronius, morto nel 322204, la sua antichità si riflette anche nella totale aderenza agli schemi epigrafici classici di tradizione pagana, non presentando ancora gli elementi che, a partire dalla fine del IV secolo, arricchiranno il formulario riservato agli alti prelati, con elogia, riepilogo della car-riera e riferimenti ai predecessori. In tal senso, l’epitaffio di Petronius trova maggiori punti di contatto con le più antiche iscrizioni dedicate a vescovi di Roma, risalenti al III secolo d.C.205.

Gli indizi della diffusione del Cristianesimo si colgono non solo dal-la menzione dei prelati, ma anche dalle prime evidenze connesse alla volontà di indicare la propria appartenenza religiosa: tra queste figura il cristogramma sulla lapide del 347 d.C. da Castelnuovo dell’Abate (SI), di cui si tratterà più ampiamente in seguito206, e la definizione di infans cristaeanus del piccolo Aurelius Melitius, da Santa Mustiola207. Un certo interesse riveste anche l’elaborato epitaffio di Macrothymia da Cecina (LI), che associa la menzione delle virtù classiche della ma-trona romana (esprimendo il dolore per la perdita tramite alcuni versi ripresi dall’Eneide, indizio dell’alto livello culturale dell’ambiente di provenienza), all’augurio di riposare in pace eterna, tipica formula di ambito cristiano, in una significativa commistione di elementi nuovi e tradizionali. Questa iscrizione costituisce un esempio delle laudationes funebri, ampiamente diffuse in età tardoantica208.

È necessario tuttavia rimarcare che molto spesso il formulario ‘neu-tro’ delle epigrafi non permette di ricavare indizi sul credo dei defunti, anche nei casi in cui la loro posizione in cimiteri di tipo cristiano, o addirittura l’appartenenza ad uomini di Chiesa (come i prelati chiusini), ne renda evidente l’adesione alla nuova religione209.

203 CArletti, Ideologia, 51-53, con interessanti esempi.204 CIL XI, 2548.205 CArletti, Ideologia, 62-63.206 CIL XI, 2599.207 CIL XI, 2551.208 CIL XI, 1800; cfr. contributo di Paoletti in donAti et al., San Vicenzino, 443-

444. Sulle laudationes cfr. ILCV 4697-4741.209 Come osserva Carletti, si nota «l’assenza di uno specifico cristiano nella rievo-

cazione degli elementi della vita vissuta», quali i vari aggettivi con cui sono qualificati i defunti (carissimus, benemerens…): CArletti, Ideologia, 58.

142 ALESSANDRO COSTANTINI

i motivi deCorAtivi

Dal IV secolo scompaiono nelle epigrafi toscane le raffigurazioni dell’in-strumentum, ultimo relitto, ancora nel secolo precedente, delle riproduzioni degli utensili che caratterizzavano in vita il defunto. L’ascia è rappresentata in un unico caso, in un’epigrafe di Santa Mustiola a Chiusi210. Allo stesso significato dell’ascia si ricollega (più che alludere all’attività svolta in vita dal defunto), secondo Ciampoltrini, anche la trulla caementaria raffigurata in una iscrizione di Portus Pisanus211. Nelle lapidi cristiane compaiono da questo momento alcune raffigurazioni di animali, in particolare i volatili che, per quanto già attestati in iscrizioni di prima e media età imperiale (ad esempio nelle epigrafi di Riparossa e di Pantano, di fine II-III secolo)212, si caricano da questo momento di un messaggio specifico, legato alla nuo-va religione. Ad esempio una colomba è raffigurata nell’atto di beccare un grappolo d’uva, negli epitaffi di Petronius e Sulpicius Felicissimus213, membri del clero chiusino, oppure di sostenere un ramoscello d’ulivo nel becco, in una delle epigrafi recentemente rinvenute a Populonia214. In que-sti casi, la colomba, uno dei soggetti preferiti nella decorazione delle chie-se e delle catacombe, diviene messaggera di salvezza, identificandosi con Cristo o lo Spirito Santo215, e non è forse casuale che essa compaia in due lapidi dedicate a prelati. In particolare, quando rappresentata nell’atto di mangiare l’uva, essa sarebbe metafora dell’anima del defunto che gode dei frutti del Paradiso, senza dimenticare le evidenti connessioni col rito del refrigerium216, mentre quando sostiene il ramoscello di ulivo, costituisce forse una trasposizione in immagini della formula in pace217. Altro simbolo presente nelle epigrafi analizzate è il ramo di palma, attestato a Chiusi, a Portus Pisanus, a Volterra, alle Sassaie (Magliano - GR)218. Il motivo ha una lunga tradizione, già di ambito pagano, e può costituire sia un semplice elemento decorativo dell’iscrizione, sia rimandare all’idea della vittoria – in questo caso sopra la morte – al pari della corona219.

210 CIL XI, 2554.211 CIL XI, 1521.212 Cfr. supra.213 CIL XI, 2548, 2561 (ILCV 1208).214 A questi si aggiunge l’uccello di difficile identificazione raffigurato su un la-

certo di epigrafe dalla villa dell’Ossaia (AR): FrACChiA, guAltieri, Ossaia, 421-422.215 testini 1985, pp. 1164-1168, con numerosi esempi.216 bruun 1963, p. 154, con l’analisi delle diverse interpretazioni proposte dagli

studiosi.217 bruun 1963, p. 87: nelle epigrafi di Roma, in 108 casi sono presenti sia la for-

mula in pace che la colomba, mentre in 161 è presente solo il volatile.218 Chiusi: CiPollone, Clusium, 112, n. 60; Portus Pisanus: CIL XI, 1521; Volterra:

CIL XI, 1780; Le Sassaie: cfr. supra.219 bruun, Symboles, 142-143.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 143

A partire dal IV secolo si diffondono nelle epigrafi i segni di contenuto cristologico, da cui traspare esplicitamente l’appartenenza religiosa dei defunti: si tratta dei cristogrammi, simboli in cui sono integrate le lettere iniziali del nome di Cristo in greco (XP). Essi si distinguono sostanzial-mente in due varianti: il cristogramma decussato, forse il più antico, ri-produzione del segno apparso a Costantino prima della battaglia di Ponte Milvio, e la croce monogrammatica, dove l’asta della lettera P costituisce l’elemento verticale della croce220. Questi simboli, già in uso nei secoli precedenti come monogrammi per indicare nomi propri greci, si diffon-dono a partire dall’età costantiniana, con un progressivo incremento di attestazioni nel corso del IV secolo: a Roma, questi simboli sono presenti nel 10% circa delle iscrizioni di questo periodo221. In Toscana figura tra le attestazioni più antiche l’epigrafe da Castelnuovo dell’Abate (SI), del 347, che reca sia la formula in pace che il cristogramma222. Tra le iscri-zioni databili dove sono presenti entrambi gli elementi, la testimonianza più antica sembra costituita da un epitaffio anonimo, del 323, dal cimitero romano di Ciriaca223, a cui si aggiungono altre epigrafi di IV secolo, tut-te rinvenute a Roma e dedicate a donne224. Considerata la sua posizione lontano da grandi centri, e la sua pertinenza dunque ad un abitato secon-dario di dimensioni probabilmente modeste, risalta la presenza, in questa epigrafe, di chiari segni legati al Cristianesimo. Nei centri secondari del Lazio sono invece numerosi i cimiteri che già nel IV secolo (se non addi-rittura in precedenza) sono contraddistinti da elementi cristiani225.

A partire dalla seconda metà del secolo, i cristogrammi si arricchi-scono di ulteriori elementi, come le lettere apocalittiche (alpha e ome-ga), cerchi, corone, colombe226. Essi compaiono di solito come simbolo avulso dal testo, in funzione apotropaica e come segno di devozione: talvolta si trovano non associati ad un testo scritto, ad esempio sulla parete o sulla volta di due arcosoli della catacomba di Santa Mustiola227, o, insieme alle lettere apocalittiche, in un sarcofago da Chiusi.

220 CArletti, Ideologia, 68-69.221 CArletti, Ideologia, 69, con punte che arrivano al 24% nella catacomba di

Commodilla; mAzzoleni, Origine: il secondo tipo appare meno attestato.222 CIL XI, 2599.223 ICVR 17425; CArletti, Dies, 48, n. 50.224 Epitaffi di Navigia, del 336 (ILCV 3252), Aurelia Candidiana, del 339 (ILCV

4225), Privata, del 352 (ILCV 3252 A), Agapena, del 366 (ILCV 3252 B), Iulia, del 367 (ILCV 3253), Muscula e Galatea, del 371 (ILCV 3253 A).

225 CAntino WAtAghin et al., Aspetti, 94: «è evidente che non è confrontabile la documentazione che risulta dalla pratica della sepoltura in catacomba dell’area centroi-talica con quella fornita dai cimiteri subdiali dell’Italia settentrionale e meridionale».

226 CArletti, Ideologia, 69-70.227 CiPollone, Clusium, 63: il n. 40 è costituito da una croce monogrammatica con

occhiello retroverso.

144 ALESSANDRO COSTANTINI

V-VI secoloPer quanto riguarda il V e il VI d.C. si notano due tendenze già in atto

nel secolo precedente, che però ora sembrano giungere a compimento: il carattere di esclusività nell’uso delle iscrizioni, ormai riservato ad una ristretta élite composta da militari, alti funzionari, aristocratici e clero, e la scomparsa della pratica epigrafica al di fuori delle grandi città228. La grande maggioranza delle attestazioni proviene infatti dai centri di Firenze, Chiusi, Arezzo, a cui si sommano le scarse attestazioni di Pisa e i singoli esemplari di Lucca, Volterra, Pistoia229.

Tale dato mostra indirettamente che le città più vitali, che ancora ospitano importanti istituzioni e famiglie di rango, sono quelle di mag-gior interesse strategico lungo gli itinerari dell’Italia centrale: esse sono anche quelle più ricettive nei confronti delle nuove tendenze, anche in campo epigrafico. La prassi di dedicare iscrizioni sembra dunque estin-guersi nei centri periferici e rurali.

Tra i contesti più interessanti figurano le lapidi dalla basilica fiorentina di Santa Felicita – da dove proviene un nucleo di epigrafi databili tra il 405 e il 547 d.C., dove sono ricordati membri dell’aristocrazia, del clero e militari della Schola Gentilium di stanza in città, oltre ad esponenti della comunità di mercanti siriani stabilitasi a Firenze, che utilizza il greco per i propri epitaffi230 (fig. 18) – e le iscrizioni aretine del colle del Pionta, tra cui l’epigrafe di Valeria, moglie di un militare della Schola Tertia Scuta-riorum, del 407 d.C. (fig. 19), quella della piccola Candidilla del 408 e l’iscrizione di Carterio (agnus sine macula) del 447 d.C.231.

Le iscrizioni per le quali è noto il contesto di rinvenimento provengono da basiliche extraurbane al cui interno o nelle cui vicinanze sorgono se-

228 Per la commissione di epigrafi da parte dei personaggi più importanti della so-cietà di V secolo, merita attenzione un passo di una lettera di Sidonio Apollinare in cui il vescovo si fa promotore di una lapide per la tomba del nonno, chiedendo al destinatario di vigilare affinché il lapicida non commetta errori di scrittura: sid. AP., Ep., III, 12: cfr. rAynAud, Monde, 138-139. È interessante notare la percentuale di epigrafi sul totale delle sepolture in alcuni cimiteri suburbani di Roma databili tra IV e V secolo, che, per quanto variabile da sito a sito, rimane sempre esigua: si va infatti dal 3% del cimitero di Panfilo al 29,7% di quello dei SS. Felice e Adautto, passando dal 14% di S. Agnese e il 10% dei SS. Marcellino e Pietro, due cimiteri di grandi dimensioni con migliaia di sepolture: CArletti, Mondo nuovo, 44-46.

229 Per Pisa, CIL XI, 1511 (iscrizione del 531 di Palladius, vir clarissimus), 1512 (Cirra), 1513 (Silvana); per Lucca, CIL XI, 1540 (Antoninus, del 536); per Pistoia, FerrAli 1962, pp. 16-17; per Volterra, CIL VI 32057a; Augenti, munzi, Scrivere, 41-43 (epigrafe del militare […]esteo).

230 CIL XI, 1689-1723; MAetzKe, Santa Felicita; CiAmPoltrini, Epigrafia; gun-nellA, Complesso.

231 mAzzoleni, Iscrizione, 59-62; meluCCo vACCAro, Iscrizioni, 171-173.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 145

polcreti (Firenze, Arezzo, Vol-terra), o da catacombe e – più probabilmente – il loro sopra-terra (Chiusi). Questo elemento ci fornisce informazioni inte-ressanti sui cimiteri o gli edifici maggiormente ambiti dai ceti più elevati della società per la propria sepoltura232. Le tenden-ze poste in evidenza trovano un preciso parallelo a Roma, dove la maggioranza delle circa 720 epigrafi di V-VI secolo provie-ne dall’area delle basiliche fu-nerarie suburbane ed è dedicata a personaggi di rilievo233.

Al riguardo, De Rubeis sot-tolinea come in questo periodo giunga a compimento il pro-cesso di concentrazione delle testimonianze epigrafiche dai cimiteri aperti ai luoghi ‘chiu-si’, in particolare gli edifici ecclesiastici. Del resto, se si pensa che l’obiettivo rimane quello di assicurare maggiore visibilità e prestigio all’epitaffio, ubicando la tomba in spazi significativi per la co-munità, la tendenza si situa ancora nel solco della tradizione più antica: la collocazione delle epigrafi (e quindi delle sepolture) all’interno o nei pressi degli edifici ecclesiastici coincide con la trasformazione di questi ultimi nei nuovi luoghi di ostentazione del potere da parte delle élites laiche e religiose234.

232 Su questa tendenza e sulla scomparsa delle iscrizioni in ambito rurale, cfr. rey-nAud, jAnnet-vAllAt, Inhumations, 99, per l’analogo fenomeno nella zona di Lione e Vienne.

233 nieddu, Utilizzazione, 547-550: a San Paolo fuori le mura ricorrono le stesse categorie sociali riscontrate nelle città toscane: membri della chiesa, militari, senatori e funzionari.

234 de rubeis, Rappresentatività, 389-391: citando uno studio di Carletti, la studiosa evidenzia il fatto che tra IV e VI secolo, in aree cimiteriali extraurbane di Roma di no-tevole estensione (ad esempio quella dei santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana o quella di Sant’Agnese sulla Nomentana), il rapporto tra il numero delle sepolture e quello delle epigrafi è rispettivamente del 10% e del 14%. Presso le grandi basiliche circiformi, ad esempio la basilica Apostolorum sulla via Appia, la percentuale sale invece al 60%.

Fig. 18 - Epigrafe in greco da Firenze - S. Felicita (da mAetzKe, Santa Felicita)

146 ALESSANDRO COSTANTINI

il FormulArio

Contrariamente a quanto notato per questo periodo da Carletti nelle sue considerazioni generali sulla prassi epigrafica di ambito cristia-no, le iscrizioni toscane di V secolo mostrano una forte standardiz-zazione del formulario utilizzato. A partire dalla fine del IV secolo avviene il passaggio alla formula segnaletica locativa, con espressioni come hic requiescit, hic iacet, hic requiescit in pace235, che tendono ulteriormente a cristallizzarsi dalla seconda metà del V secolo. Con esse si afferma la preminenza accordata al defunto e al luogo della sua tumulazione, mentre scompaiono progressivamente i nomi dei dedicanti, salvo poche eccezioni236. Oltre a proseguire la pratica di ricordare l’età del defunto, diviene prassi consueta la menzione del giorno di depositio; si intensifica inoltre l’uso di apporre la data con-solare. Tendono invece a scomparire le espressioni di dolore da par-te dei congiunti237, mentre si generalizza la menzione del suo rango, qualora provenga dall’ambito militare o dal clero: nel primo caso, si ricorda con orgoglio anche il reparto di appartenenza. Gli esponenti

235 L’acclamazione in pace è posta in posizione finale in alcune epigrafi fiorentine di Santa Felicita, mentre a Chiusi è attestata solo in CIL XI, 2563: CiPollone, Clusium, 56.

236 CArletti, Ideologia, 118-120.237 Con l’eccezione, in alcuni casi, dei bambini (cfr. le epigrafi di Candidilla e

Carterius da Arezzo, oltre a CIL XI, 1729) e delle mogli (CIL XI, 1695, 1728, 1731).

Fig. 19 - Epigrafe di Valeria da Arezzo - Pionta (da meluCCo vACCAro, Iscrizioni)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 147

dei ceti più in vista sono spesso qualificati da aggettivi o titoli che ne celebrano il prestigio: è il caso ad esempio delle defunte definite lau-dabiles, aggettivo proprio dei magistrati municipali238, mentre per gli uomini si afferma il titolo di vir clarissimus, solitamente riferito a chi ricopriva le più alte cariche politiche, ma che, in senso celebrativo, è attribuito ad uomini illustri della comunità a Chiusi, Firenze, Arezzo, Lucca, Pisa239. In questi ultimi due casi, le iscrizioni si datano rispet-tivamente al 536 e al 531 d.C., testimoniandone l’uso in un periodo piuttosto tardo, che si potrebbe collegare ad una consuetudine diffusa prevalentemente in ambito bizantino.

Al V-VI secolo risalgono anche alcune formule da cui traspare la devozione dei defunti, quali l’ancilla dei e il serbus dei, rispettivamente dalle chiese di San Lorenzo e di Santa Felicita di Firenze240: la prima, per il tono generale del testo e il cristogramma iniziale, trova confronti con iscrizioni della prima metà del VI secolo241, la seconda ha un in-teressante parallelo nella lapide di Proiectus dalla catacomba di Santa Cristina a Bolsena (VT)242. Sono attestati inoltre riferimenti alle cre-denze dei defunti, come il credidit resurrectionem di CIL XI, 2585, da Chiusi243.

Rimanendo in tale ambito, non mancano testi più elaborati connessi al nuovo credo, da cui traspare il buon livello culturale dell’ambiente che li produce: è questo il caso del carme funerario in esametri di un devoto chiusino, in cui si fa riferimento al martire Lorenzo244. Il com-ponimento, ricco di reminiscenze letterarie, è probabilmente legato ad ambienti ecclesiastici, sulla base di espressioni come famulando iussu beati Laurenti e lecvitae; l’epigrafe si data intorno alla fine del V seco-lo245. Un altro testo con numerosi termini ricercati, sempre da Chiusi, è quello dedicato ad una anonima defunta, a cui si augura che vita refri-gerat tibi Deos, in virtù dei meriti terreni246.

Per quanto riguarda la collocazione delle sepolture, la menzione in hunc loco s(an)c(t)o di CIL XI, 1540 da Lucca suggerisce la provenien-

238 Cfr. CIL XI, 1691, 2585; CiPollone, Clusium, 98.239 Cfr. CIL XI, 1511, 1540, 1707, 2586, 2588; per Arezzo, cfr. l’epigrafe di Mar-

cello e Capsia riportata nel deposito di San Satiro: meluCCo vACCAro, Colle, 30-31; per Luni, cfr. CIL XI, 1412.

240 CIL XI, 1725 = ILCV 1466A, 1699 = ILCV 1455A.241 ILCV 1466 (548 d.C.), ILCV 1469 (525 d.C.).242 CIL XI, 2846.243 Su questa formula, con ulteriori varianti, cfr. ILCV 3460-3461.244 CIL XI, 2589.245 Cfr. CiPollone, Clusium, 106-108.246 CIL XI, 2590; CiPollone, Clusium, 103-104.

148 ALESSANDRO COSTANTINI

za da un luogo particolarmente venerato, probabilmente una chiesa che ospitava sepolture o reliquie importanti. L’uso di questa formula gode di una certa fortuna a Luni247.

i motivi deCorAtivi

Le lapidi di questa fase sono quasi del tutto prive di motivi decora-tivi, limitati solo a foglie di edera e rami di palma su alcune epigrafi da Santa Felicita di Firenze248 e su una dal Pionta di Arezzo. Prosegue l’utilizzo dei cristogrammi (talvolta affiancati dalle lettere apocalit-tiche) o di semplici croci, che in alcuni casi si trovano all’inizio o in chiusura del testo249. L’uso di anteporre la croce all’epitaffio viene introdotto alla fine del V secolo250: una conferma in tal senso è forni-ta dall’iscrizione chiusina di Laurentia, risalente al 493 d.C., mentre quelle fiorentine databili rimandano agli anni 536 e 547251. In un caso, nell’epigrafe da Volterra CIL VI 32057a, il cristogramma è utilizzato all’interno del testo in funzione di compendium scripturae, in sosti-tuzione del nome Christus252. Nel titulus di Valeria di Arezzo, esso è invece iscritto all’interno di una corona molto stilizzata253. Di un certo interesse appare, nel corso del V secolo, la reiterazione del cristogram-ma o della croce sulle lapidi, come in quella della civis alamanna dal territorio fiorentino, del 423 d.C.254, conclusa nella porzione inferiore da tre croci monogrammatiche, e in quella già ricordata di Laurentia da Chiusi255, che invece è introdotta da tre croci. Per tale caratteristica, essa trova confronti con due epigrafi da Capua, datate rispettivamente al 522 e al 560256. La ripetizione della croce o del cristogramma è de-

247 La formula iniziale trova confronti puntuali in due epigrafi da Luni (CIL XI, 1409, 1412, 7019), con la stessa abbreviazione del termine sancto: la seconda appartie-ne ad un vir clarissimus: CiAmPoltrini, Luni, 738-739, nota 15. Nell’iscrizione lucchese l’aggettivo hunc costituisce evidentemente un errore del lapicida in luogo di hoc.

248 Foglie d’edera in CIL XI, 1691, 1692, 1700, 1701, 1712, 1717; a queste si ag-giunge CIL XI, 1729; ramo di palma in CIL XI, 1693, 1705, 1722, sempre in chiusura del testo, talvolta affiancato dalla croce (1693, 1722).

249 Da Firenze CIL XI; 1692, 1693, 1704, 1707, 1722, 1725 (in 1693 e 1704 la croce è sia all’inizio che alla fine); dal territorio fiorentino, CIL XI, 1731; da Arezzo, cfr. supra l’epigrafe di Valeria; da Chiusi, CIL XI, 2585.

250 CiPollone, Ideologia, 98.251 CIL XI, 2585, 1692-1693.252 Su questo utilizzo, cfr. CArletti, Ideologia, 70.253 mAzzoleni, iscrizione; nell’epigrafe pisana di Cirra, il cristogramma si trova

invece a fianco del testo: CIL XI, 1512; nePPi modonA, Pisae, 47, n. 79.254 CIL XI, 1731.255 Cfr. supra.256 CIL X, 4496 = ILCV 4254, con formulario molto simile; CIL X, 4506 = ILCV

3549.

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 149

terminata dalla volontà di rafforzarne la potenza in chiave profilattico-apotropaica di protezione del sepolcro257.

Per quanto riguarda le caratteristiche grafiche, si apprezza un’am-pia varietà nell’esecuzione, che, a dispetto del rango dei committenti, risulta talvolta di livello modesto. In linea con quanto già notato per il secolo precedente, si rileva l’assenza di una norma generale in merito alla realizzazione e all’organizzazione del testo.

gli elementi Allogeni

È interessante constatare la presenza, tra i soggetti più in vista delle comunità cittadine, di personaggi di origine straniera, molto spesso in qualità di soldati e ufficiali dell’esercito (Firenze, Volterra, Arezzo)258, o di mercanti (Firenze). Nel caso dei militari, il cospicuo numero di epi-grafi (non solo funerarie) rinvenute in Toscana e in Umbria ci informa indirettamente sul massiccio impiego, durante le turbolente vicende del V e VI secolo, di contingenti militari in questa zona strategica.

L’origine allogena può essere talvolta indicata in maniera esplicita, come nel caso dell’alamanna del territorio fiorentino, del galata Anasta-sio da Santa Felicita e dell’ignoto defunto di Ciconia della catacomba di Santa Mustiola259, oppure è ricavabile dall’onomastica, ad esempio dai nomi di tradizione non latina. Tra questi si ricordano l’Erpa di Santa Fe-licita, o il militare volterrano il cui nome termina in [- - -]esteo260 (fig. 20). Indicatori ancora più chiari dell’arrivo di nuove genti dall’Oriente sono le epigrafi di Santa Felicita scritte in greco261, e l’unica proveniente da Chiusi, dove è ricordato il pneumatikòs Frankios, seguace dell’eresia montanista262; essa non deve far pensare ad una presenza isolata, dal mo-mento che l’uso stesso della lingua e di un formulario consueto per i tituli in greco presuppone l’esistenza di una comunità più o meno strutturata263.

257 CArletti, Ideologia, 71.258 Per un elenco delle attestazioni epigrafiche di militari in Tuscia et Umbria tra V

e VI secolo, cfr. Augenti, munzi, Scrivere, 24-25, nota 17.259 CIL XI, 1731; GunnellA, Complesso, 20-21; CiPollone, Santa Mustiola, 137:

Ciconia era una località situata in Gallia o in Tracia.260 Rispettivamente CIL XI, 1695, CIL VI, 32057a; per l’epigrafe volterrana cfr.

Augenti, munzi, Scrivere, 41-43.261 Una folta comunità di Orientali, e in particolare di Siriani, ricordati dagli epi-

taffi in greco, è testimoniata ovviamente a Roma, dove essi sono presenti in gran parte dei cimiteri subdiali, ma risultano particolarmente concentrati in quelli di S. Paolo, S. Pancrazio, S. Ciriaca, SS. Marco e Marcelliano: nuzzo, Presenze, 705-706. Per defunti originari dall’Oriente nelle catacombe siracusane, cfr. sgArlAtA, Morti, 1188-1193.

262 PACK, Clusium, 65-66, con brevi cenni sull’eresia montanista.263 Si tratta dell’unica epigrafe in greco di tutto il territorio chiusino: Cipollone

ricorda opportunamente l’esistenza della località Ad Graecos, che la Tabula Peutinge-

150 ALESSANDRO COSTANTINI

L’uso del greco, secondo Gunnella, sarebbe indice del basso livello di integrazione di questi nuclei all’interno della nuova realtà di appartenen-za264. La presenza di Greci od Orientali a Firenze e nel territorio di Chiusi tra la fine del IV e il V secolo, conferma ulteriormente il ruolo assunto da questi centri urbani all’interno delle reti commerciali ed insediative dell’Italia centrale, capaci di attirare anche comunità di stranieri (seppure in misura minore rispetto ad altre città da sempre in stretto contatto col resto del Mediterraneo).

lA Fine dellA PrAtiCA ePigrAFiCA

L’iscrizione più tarda tra quelle databili appartiene a Macrobis, sepolto a Santa Felicita, risalente al 547: di poco più antiche sono quelle di Ana-stasius, dalla stessa basilica, del 536265, e dei viri clarissimi Antoninus e Palladius, da Lucca e Pisa, del 536 e 531266 (fig. 21). Per l’area geografica in questione, si tratta delle ultime evidenze di epigrafi funerarie tardoan-tiche, che testimoniano l’appartenenza dei defunti o all’esercito bizantino (come indica anche l’onomastica di matrice orientale dei militari) o ai ceti più elevati delle città. Le ultime testimonianze epigrafiche si colloca-no dunque nei turbolenti anni della guerra greco-gotica: dalla metà del VI

riana situa a 18 miglia da Chiusi, dove forse erano stanziati gruppi di Orientali dediti ad attività mercantili: CiPollone, Clvsivm, 110.

264 gunnellA, Complesso, 32.265 CIL XI, 1692.266 Cfr. supra.

Fig. 20 - Epigrafe di [- - -]esteo da Volterra (da Augenti, munzi, Scrivere)

SEPOLTURE TARDOANTICHE IN TOSCANA (III-VI D.C.) 151

secolo sembra cessare la pratica di dotare di epigrafi le sepolture, il cui tramonto definitivo coincide probabilmente con la fine del dominio bi-zantino e l’arrivo dei Longobardi (i quali peraltro assimilano rapidamente questo mezzo di autorappresentazione, dal momento che, almeno in Italia settentrionale, le tombe dei personaggi di spicco sono talvolta munite di iscrizioni)267. Non è forse un caso che a Luni, che resta più a lungo e in maniera più stretta sotto il controllo bizantino, si trovi un’iscrizione del 573-574, in anni in cui in Toscana la pratica epigrafica sembra ormai caduta in disuso268.

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nucci. Pietrasanta, Viareggio 1995AA.VV., Scandicci = AA.VV., Ritrovamenti archeologici nel territorio di

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267 nieddu, Utilizzazione, 550; de rubeis, Rappresentatività, 393.268 CIL XI, 1409.

Fig. 21 - Epigrafe del vir clarissimus Palladius da Pisa (CIL XI, 1511)

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Manuela Baretta, Filone, il De vita Mosis e le sue fonti (pp. 73-97)Philo, De vita Mosis and its sourcesThis paper focuses on Philo of Alexandria’s De vita Mosis, one of the most controversial works of the prolific philosopher. In particular, the research is centred on the sources from which Philo derives his knowledge, and which the author himself specifies in the introduction and conclusion: that is, the written ones, and especially the Scrip-tures, and the oral ones. While the connections with the Bible are quite easy to identify, the same cannot be said about the oral sources, about which little is known. However, the influence of the Greek tra-dition, both in the choice of the sources and in the way the episodes are introduced, is undeniable; in addition, there is a degree of original contribution from Philo, who went beyond the mere quoting of the pre-existing [email protected]

Vincenzo Bellino, L’esercito di Ducezio. Guerra e influenze culturali durante il periodo della synteleia (pp. 53-71)Ducetius’ army. War and cultural influences in the age of the synteleiaThis article is an attempt to reconstruct the armament, the tactics and the strategies used by the army of the Sicel leader Ducetius between 460 and 450 B. C. Following the path of other tribal leaders, Ducetius transformed the Sicel guerrillas in a real regular army, able to fight in pitched battles. The study of the creation of the Sicel army allows us to observe the deep and mutual cultural influences active in Sicily dur-ing the fifth century, which, especially in military context, pushed the Sicels and the Greeks to tactical choices that, even if based on Hellenic models, were original in many aspects and specific of the historical and cultural context in which they [email protected]

ABSTRACTS

SCO 60 (2014), 413-420

414 ABSTRACTS

alBerto Borghini, Dante, Inf. III 113-114. Un ulteriore modello virgi-liano? (pp. 411-412)Dante, Inf. III 113-114: a further vergilian model?In this Dante’s passage the leaves comparison echoes not only Verg. Aen. VI 309 ff., but also Aen. IV [email protected]

DoMitilla caMpanile, Una tragedia d’antico regime: The King’s Whore (Axel Corti, 1990) (pp. 235-274)An ‘ancien régime’ tragedy: The King’s Whore (Axel Corti, 1990)This contribution aims at analysing the film The King’s Whore (Axel Corti, 1990). Firstly, the author discusses the quantity and the variety of films set in the early modern period; afterwards she devotes atten-tion to the plot of The King’s Whore and to the existence of different versions of this film. The author investigates also the actual story in the Duchy of Savoy at the end of the XVII century. Specific attention is dedicated to the scenic and pictorial values of the movie, particularly to the baroque setting and to the symbolic message of one painting. Some choices are very successful in enhancing the plot, such as the disquieting masquerade ball, the peculiar function of the mirrors and the special role attributed to the courtiers. However, it is the dramatic switch of the narrative which elevates this movie and deserves con-sideration and a careful analysis, in particular from classical scholars. Credit has to be given to the screenwriter Frederic Raphael for a clever use of the Greek tragedy as a powerful tool to resolve and conclude the [email protected]

Marcella chelotti, La proprietà imperiale nella Calabria della regio secunda augustea: alcune considerazioni (pp. 295-305)The imperial property in the Calabria of the second Augustan regio: some considerationsIn this paper, the Author proposes some reflections on the origin of the Imperial properties in the Roman Calabria, on the basis of epigraphical and literary evidence. The result of this analysis shows that an unit of these properties is likely to have had origin from Mark Antony’s estates, inherited by his son, Iullus Antonius, and daughters, Antonia maior and Antonia minor, as Dio reports. From the properties of Antonia maior the estates of Domitia Lepida might also derive, as Tacitus tells in An-

ABSTRACTS 415

nales 12, 65. Subsequently these land properties, for various reasons, passed to the imperial patrimony, as epigraphical documents of impe-rial liberti and servi [email protected]

alessanDro costantini, Sepolture tardoantiche in Toscana (III-VI sec. d.C.): corredi ed epigrafi (pp. 99-161)Late antique burials in Tuscany (III-VI cent. AD): objects and inscrip-tionsThis paper deals with the evidence relating to the funerary world in Tuscany in Late Antiquity (especially between 3rd and 6th century AD), focusing on grave goods and inscriptions that accompany the dead. These elements allow us to assess the profound changes occurred in the practices which relate to the funerary sphere between the Imperial period and the Early Middle Ages and which reflect broader changes in the social and cultural [email protected]

alBerto Dalla rosa, Prolegomeni allo studio della proprietà imperiale in Asia Minore: la questione dell’imperatore come acquirente (pp. 329-348)Prolegomena to the study of imperial property in Asia Minor: the Em-peror as a buyerThe first part of this paper takes inspiration from Fergus Millar’s judge-ment about the impossibility of writing a history of the property of the Roman Emperor in order to assess the progresses of research in this im-portant field. Except for the recent monograph of Marco Maiuro, very few studies of general character have been dedicated to the issue in over a century. Despite that, significant advancements in our knowledge of the ancient economy as well as the growing number of epigraphic and papyrologic sources can now provide the historian of the required means to reverse Millar’s pessimism. The second section of the paper tries to verify the hypothesis that the Roman Emperor (i.e. the fiscus) never acted as buyer of landed estates on the free market. As a mat-ter of fact, the present evidence shows that the owners were always compelled to sell and that the purchased goods were used for public purposes (i.e donated to temples, given as gifts to others) and not kept for the ruler’s sake. The Emperor acted like any other senator probably only in the acquisition of luxury [email protected]

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DaViDe Faoro, Osservazioni sugli inizi della proprietà imperiale nelle province del Nord (pp. 381-401)Some observations on the beginnings of imperial property in the North-ern provincesThe discovery of Plumbum Germanicum has offered in recent years a new picture on the beginnings of Res Caesaris. In particular it is the short life of the provincia Germania (7 BC - 9 AD) which helps us to understand the forms and the rapidity of the incorporation of the mines into the patrimonium of Augustus, Livia and amici principis. This mod-el can be effectively extended to Raetia, Noricum and the Alpine prov-inces in general, so as to conclude that imperial property in the northern provinces of Augustan conquest is since the beginning a structural part of the provincial [email protected]

Marco Maiuro, Regionalismo del Patrimonio del fisco e sue implica-zioni teoriche e pratiche (pp. 279-293)Regionalism of landed properties of the imperial fiscus and its theoreti-cal and practical implicationsIn this article, I review the recent trends in the study of ancient econ-omy. With regard to the role of the imperial financial administration, I argue that a highly promising field of application of modern economic theories such as the ‘New Institutional Econonomics’, is indeed the study of the economic role of the imperial landed properties. By taking as case studies the creation of local offices for the financial manage-ment of imperial domains, and the refusal of the Flavian Emperors to encroach upon the economic interests of the propertied classes of Italy, I have tried to prove the case that the imperial fiscus managed its landed properties proactively; we may indeed speak of an ‘imperial economic policy’ with reference to the imperial [email protected]

giuseppe Marcellino, Lo studio delle antichità romane e la propagan-da antiturca nella Roma triumphans di Flavio Biondo (pp. 163-186)The study of Roman antiquities and anti-turkish propaganda in Flavio Biondo’s Roma triumphansRoma triumphans, the last great work of the Italian humanist Flavio Biondo, was composed after the Fall of Constantinople at the hands of Mahomet II (1453) and was completed during the Congress of Mantua

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convoked by Pope Pius II in order to set up a crusade against the Turks. In some passages of Roma triumphans, which is actually a thematic en-cyclopedia of Roman antiquities, Biondo focuses on the problem of the Turkish threat. The aim of this paper is to analyze both these passages within the discussion of Roman antiquities, as well Biondo’s propagan-dist intent, which is particularly present in the latter part of the [email protected]

eManuela pariBeni, siMonetta segenni, Le cave di Carrara e la pro-prietà imperiale (pp. 307-328)The Marble Quarries of Carrara and the Imperial Property.The A. examine the development of the marble quarries of Carrara (Luni). In the first part of the paper, the history of the use and exploitation of the marble quarries located in Luna territory is reconstructed. The A. under-line the questions raised by the examination of the archaeological and epi-graphical material from the quarries. Particularly important are the notae lapicidinarum, which is subject of a research project. In the second part, the paper deals with the problem of the acquisition of the quarries by the Emperor examined within the framework of the quarry management by the colonia of Luna and of the active presence of private [email protected], [email protected]

luDoVico portuese, Alcune ipotesi sulla ‘stele del banchetto’ di Assur-nasirpal II (pp. 9-20)Some hypothesis on the ‘Banquet Stele’ of Ashurnasirpal IIThis article offers a new iconographic and textual perspective about the Banquet Stele, one of the most famous and peculiar Neo-Assyrian monu-ments, erected by King Ashurnasirpal II. Through a synoptic and com-parative study of the iconography and of the text of this stele, it is possible to put forward a new interpretation: the long sceptre/rod, represented on the monument, was used by the king in situations of non-belligerency, to promote his own image of pacific sovereign and ‘marvellous shepherd’[email protected]

siMone renDina, La ‘malattia sacra’ di Cambise: una diagnosi erodo-tea? (pp. 21-51)Cambyse’s ‘sacred disease’: a herodotean diagnosis?The author analyses Herodotus’ choice of his sources in order to ‘strike

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a balance’ between two recent publications which define Herodotus’ text as almost exclusively ‘religious’ or ‘scientific’. The case study is the description of the figure of Cambyses in the third book of the Histories. There are historical grounds for the narrative of Cambyses’ infamous deeds in Egypt. The traditional thesis of the deprivation of economic privileges for the Egyptian temples by Cambyses as the only cause of his negative fame in ancient historiography should be rejected. It is likely that at least the first part of Cambyses’ reign in Egypt was marked by violent and dramatic changes – which anyway do not in-clude Cambyses’ alleged murder of the bull-god Apis. The influence of Hippocratic medicine on Herodotus’ depiction of Cambyses’ madness should not be overestimated. Although Herodotus is familiar with some ideas and notions shared by contemporary physicians, his narrative of Cambyses’ actions is not strongly conditioned by them, and certainly has no connection with the main thesis of the author of the Hippocratic work named On the sacred disease. The sources and opinions collected by Herodotus do not aim at a ‘scientific’ narrative of a madman’s deeds, but rather at a moral vision of a Persian monarchic [email protected]

alessanDro russo, Il Pascoli latino e la Roma prima di Roma (pp. 221-234)Latin Pascoli and Rome before RomeIn two of his Latin poems (Sosii fratres bibliopolae and Ultima linea), set respectively in 29 and 8 BC, Giovanni Pascoli establishes a contrast between the new monumental Rome, which was growing in those years under the urge of Octavian, and the early Rome, made of bare and sim-ple huts. In Pascoli’s representation the great monuments of imperial Rome are not the symbol of a glorious progress, but the symbol of a social and moral degeneration.In this respect on the one hand Pascoli follows an older literary tra-dition (in particular the description of the kingdom of Evander in the eighth book of Virgil’s Aeneid – the ‘Rome before Rome’, according to Pascoli’s definition) that nostalgically recalled the peaceful, simple early Rome; on the other hand, Pascoli refuses (although not without inconsistencies) a later literary tradition (also represented by his teacher G. Carducci), which exhibited the monumental remains of Rome as an evidence of the greatness of Roman civilization.In his representation of monumental Rome, however, Pascoli not only reworked such a twofold literary tradition, but he also expressed all the concerns of the modern age related to the overwhelming growth of the

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imperialist metropolises in the late nineteenth [email protected] struFFolino, Proprietà imperiali in Cirenaica? Alcune consi-derazioni (pp. 349-380)Imperial domains in Cyrenaica? Some considerationsAcknowledging the existence of imperial domains in Cyrenaica means first of all coming to terms with the lack of historical evidence at our disposal and with the fact that our evidence is all dating back to the Severan period. This has led to the hypothesis that the procurators men-tioned in the documents acted as governors, rather than as administra-tors of the princeps’ assets. Nevertheless, a survey of the vicissitudes of the land in Cyrenaica, with support from other sources, suggests the beginning of a process of transformation of the χώρα βασιλική into ager publicus. This process followed the usual methods of land dispos-al, the entrusting to the publicans of the management of the finances, cadastral revision and revaluation, resulting in the simultaneous pres-ence of parcels of land with a different legal status. Most probably, part of this land gradually formed the first properties of the princeps, administered by members of the familia Caesaris. At the same time, the increasing interference of the fiscal authority meant that state land must have been gradually taken away from the Roman populus (and the incomes from the aerarium) and slowly incorporated into the patri-monium fisci. It is very likely that a crucial change took place after the Jewish Revolt, with the renewed interest of the emperors in this region from Hadrian onwards. The imperial interest reached its climax when the Libyan Septimius Severus entrusted his procurators from the eques-trian order with the administrative and financial management of the lands acquired, which he included in the newly established res privata. Documents dating back to Late Antiquity seem to confirm this [email protected]

chiara oMBretta toMMasi, Il nome segreto di Roma tra antiquaria ed esoterismo. Una riconsiderazione delle fonti (pp. 187-219)The secret name of Rome between antiquarianism and exoterismusStarting from a well known passage in the Saturnalia (3,9), where Mac-robius describes the ancient, and probably cognate rituals of evocatio and devotio hostium, this paper scrutinizes some other Greco-Roman sources that deal either with the notion of a secret name or with a tutelary deity of Rome, whose knowledge and utterance was strictly prohibited, in order to forestall the danger of an enemy’s evocatio.

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Besides an obviously implied Redetabu, it is possible to argue for a po-litical use of this motif – namely in the famous episode of Valerius Sora-nus, allegedly accused to have divulged the secret during the Social War or, later, of Stilicho, proditor arcani imperii. Finally, the discussion of Lydus’ De Mensibus 4,73, which apparently reveals the sacred and the mysteric names of Rome (stating that the city was also called Flora and Amor) allows us to examine in detail some more esoteric interpretations, concerning the probably bisexual nature of the tutelary deity, and offers a hint to present a little known Italian theatrical text about the Sacred Origins of Rome. Originally written in 1914 by a Sicilian nobleman, the representation of this work was made possible ten years later thanks to some neopagan and traditionalist intellectuals, in an attempt at reviving Roman traditions under the newly established Fascist [email protected]