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SCUOLA DI SCIENZE UMANE E DEL PATRIMONIO CULTURALE Corso di Laurea in Filosofia Dipartimento di Scienze Umanistiche SOGGETTIVITÀ E TEMPO NELLE MEDITAZIONI CARTESIANE DI HUSSERL TESI DI LAUREA DI Giulia Merlo Matricola n° 0591811 RELATORE Prof.ssa Alice Pugliese ANNO ACCADEMICO 2013 - 2014

Soggettività e tempo nelle meditazioni cartesiane di Edmund Husserl

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SCUOLA DI SCIENZE UMANE E DEL PATRIMONIO CULTURALE

Corso di Laurea in Filosofia

Dipartimento di Scienze Umanistiche

SOGGETTIVITÀ E TEMPO NELLE MEDITAZIONI CARTESIANE DI HUSSERL

TESI DI LAUREA DI

Giulia Merlo

Matricola n° 0591811

RELATORE

Prof.ssa Alice Pugliese

ANNO ACCADEMICO 2013 - 2014

1

INDICE

Introduzione ....................................................................................................................... 2

I. Il soggetto fenomenologico ............................................................................................ 5

1.1 Genesi e struttura delle Meditazioni cartesiane ................................................. 5

1.2 Il Cogito tra Cartesio e Husserl .......................................................................... 8

1.3 Evidenza e mondo ............................................................................................ 12

1.4 Il tempo nella relazione cogito-cogitatum ....................................................... 15

1.5 Ragione ed evidenza ........................................................................................ 21

1.6 Il soggetto tra fenomenologia eidetica e fenomenologia genetica ................... 24

1.7 Genesi attiva e genesi passiva .......................................................................... 28

II. Il soggetto e l’alterità .................................................................................................. 31

2.1. Il problema degli altri ..................................................................................... 31

2.2 Riduzione alla sfera d’appartenenza e corpo proprio ...................................... 33

2.3. Mondo, alterità e tempo .................................................................................. 35

Conclusione ..................................................................................................................... 38

Bibliografia ...................................................................................................................... 42

2

INTRODUZIONE

Il percorso che svolgeremo in questa tesi ci permetterà di mettere in luce il continuo

nesso tra la dimensione della temporalità e la soggettività, sia nella dimensione del

tempo interno della coscienza, sia nella dimensione relativa alla costituzione del mondo

delle oggettualità e degli altri. Ricostruendo la storia del soggetto, verrà analizzato il

cogito, il quale può essere inteso come evidenza in relazione alla dimensione temporale

della presenza. Il cogito è evidente come presenza in quanto è ciò che rimane presente

dopo l’epochè.

All’interno della corrente di coscienza, l’ego è coscienza di sé come presenzialità e

permanenza nel tempo. Diventa però problematico sostenere ciò se ci si attiene al

concetto di evidenza apodittica, la quale non sembrerebbe avere una connessione con la

dimensione intuitiva della presenzialità. Possiamo quindi pensare l’evidenza come una

sorta di auto-intuizione del soggetto, il quale si intuisce come esistente nell’immediata

certezza della sua presenza nel tempo.

Il cogito è presente a se stesso come intuizione di sé nel tempo, ma anche come

presenza concreta, leibhaft (fisica). È permanenza di sé, non solo nel fatto di aver

coscienza, ma anche come forma residuale dopo l’epoché. Il cogito è ciò che non si può

negare una volta negato tutto, è un residuo del mio mondo passato, che permane come

attualità nel presente. La tematica della riduzione trascendentale ci condurrà all’analisi

della sfera dei vissuti coscienziali dell’ego, ed in particolar modo permetterà di rendere

ancora più esplicito il nesso che lega la soggettività al tempo.

Il soggetto trascendentale è inteso come presenza che vive nella forma temporale del

suo flusso di coscienza, nel suo Erlebnisstrom (flusso dei vissuti) ed ogni singolo

Erlebnis (vissuto) ha una sua specifica temporalità. Il costituirsi del soggetto è quindi un

espandersi e comprimersi continuo della coscienza all’interno della dimensione

trascendente del tempo. La vita di coscienza del soggetto, è capacità di riportarsi

intenzionalmente indietro a se stesso, di rimemorare un passato che non è più, ma è

anche la possibilità di immaginare nell’atto della protensione il futuro. Quindi, la

coscienza, se intesa come soggetto concreto, è espressione di finitezza rispetto alla

trascendenza del tempo universale. Eppure essa è in grado di vivere in una continua

3

apertura alla dimensione trascendente del tempo, muovendosi attraverso le tre estasi

temporali di passato, presente e futuro.

Questo passaggio permetterà di chiarire come la forma temporale, la Zeitform, sia il

terreno sul quale poggia ogni possibile azione e ogni possibile sviluppo del soggetto

stesso.

Tramite la connessione del tempo e della soggettività è possibile comprendere anche

la dinamica costitutiva relativa al mondo esterno, la relazione tra cogito e cogitatum.

Questo permette di individuare un filo che lega insieme il soggetto, il tempo e ciò che è

a lui esterno, in qualche modo anticipando l’importanza che rivestirà l’alterità per la

costituzione del soggetto stesso.

Nell’esperienza trascendentale, nel vivere intenzionale, l’ego stesso costituisce la sua

storia tramite la realizzazione o meno delle infinite potenzialità contenute nelle datità

che esso stesso esperisce. La relazione del soggetto alla potenzialità, permette alla

coscienza di essere aperta ad una temporalità potenzialmente infinita, di accogliere

infiniti orizzonti e compiti, tutti in sé conclusi e immanenti. Il soggetto procede nella

sua vita in una continua dialettica tra attualità e possibilità: descrivere ed analizzare

queste dinamiche consente una maggiore comprensione del soggetto stesso. La

dinamica tra attuale e potenziale verrà approfondita relativamente all’intreccio tra

fenomenologia eidetica e fenomenologia genetica, e verrà evidenziato il fatto che sarà

proprio l’esistenza della forma universale del tempo a permettere questa dinamica.

Il passo successivo sarà l’apertura alla dinamica dell’alterità, che è sempre stata

presente implicitamente nella costituzione del soggetto. L’ego, per diventare

consapevole di se stesso, ha bisogno di ritornare al campo della proprietà, attraverso la

riduzione alla sfera appartentiva e tramite l’esperienza di propriocezione del suo stesso

corpo. Nella sua sfera d’appartenenza però si annuncia implicitamente l’alterità. È

possibile mostrare ciò facendo riferimento al mondo oggettivo, estraneo ma in me

vivente come alter ego. L’ego vive come estraneo qualcosa che invece vive in lui,

trasfigurato come proprio, ma nello stesso tempo intuisce che il mondo, così come gli

altri, non possono essere ridotti alla sfera di proprietà. Notiamo, quindi, come la

scoperta del proprio sia possibile solo tramite una continua dialettica con ciò che è altro,

l’esperienza del non-io sembra chiarire ciò che invece è io, ma nello stesso tempo il

non-io vive trasfigurato nel soggetto. Ciò permetterà di comprendere il nesso tra corpo-

4

proprio, inteso come esperienza concreta di ciò che è proprio del soggetto, e il costituirsi

del soggetto tra proprietà ed alterità.

L’ulteriore passaggio, nonché ulteriore nesso, è relativo al ruolo del tempo all’interno

di questa dialettica tra proprio ed estraneo. Il mondo, composto da altri soggetti come

me, ma che non sono me, poggia su una dimensione trascendente del tempo, mentre i

soggetti sono espressioni dell’immanenza e della finitezza. Ogni soggetto vive una sua

dimensione temporale, così il mondo si evolve in un infinito intrecciarsi di tempi

individuali finiti. Ciò comporta che il soggetto si costituisce in un tempo che non è solo

qualcosa di chiuso in una sfera di presenzialità, ma è qualcosa che è influenzato e

delimitato dalla presenza di altre monadi e dalla presenza del mondo come trascendenza

temporale. Affinché il soggetto si evolva nel suo cammino personale, è necessaria

l’esistenza di una continua dialettica nel tempo, tra immanenza e trascendenza, tra

attualità e potenzialità, tra ciò che è proprio e ciò che è altro.

5

I. IL SOGGETTO FENOMENOLOGICO

1.1 Genesi e struttura delle Meditazioni cartesiane

Le Méditations cartésiennes di Husserl sono una rielaborazione accresciuta di due

precedenti conferenze tenute nell’Amphithéâtre Descartes alla Sorbonne di Parigi dallo

stesso autore il 23 e il 25 febbraio 1929 su invito dell’Institut d’Études germaniques e

della Société française de Philosophie, cui seguirono altre due conferenze, tenute a

Strasburgo il 9 e il 10 marzo 1929. L’occasione di tali conferenze permise ad Husserl di

esporre le basi del suo pensiero, poco conosciuto presso il pubblico francese, e fu

un’introduzione alla fenomenologia, come indica il sottotitolo redazionale, Einleitung in

die transzdentale Phänomenologie. L’intervento fu tenuto in lingua tedesca, venne poi

rielaborato dallo stesso Husserl e trascritto in francese da G. Pfeiffer ed E. Lévinas,

sotto la guida del filosofo russo Alexandre Koyré e pubblicato nel 1931. La versione

francese fu l’unico testo disponibile delle conferenze fino alla pubblicazione postuma,

nel 1950, dell’edizione tedesca, Cartesianische Meditationem und Pariser Vorträge a

cura di S. Strasser all’interno dell’edizione critica delle Gesammelte Werke di Husserl,

nell’ Husserliana vol. I, voluta dal poeta e scrittore olandese Martinus Nijhoff. Husserl

non riuscì mai a completare la versione tedesca. Insoddisfatto in parte di quella

francese, intendeva ampliare il suo lavoro con ulteriori manoscritti e aggiungere almeno

altre due meditazioni.

Nel corso delle sue elaborazioni furono numerosi i confronti, specie con i suoi ex

allievi, Roman Ingarden e Dietrich Mahnke, entrambi coinvolti in una continua attività

di rielaborazione critica di quanto veniva scritto; rilevante fu soprattutto l’apporto

teorico del suo assistente Eugen Fink, il quale elaborò, su invito di Husserl, una

ulteriore riflessione sulle tematiche fenomenologiche. La riflessione finkiana, redatta tra

il 1931 -1932, divenne poi la VI. Cartesianische Meditation, pubblicata nel 1988 e

divisa in due volumi, il primo Die Idee einer traszendentalen Methodenlehre e il

secondo Ergänzungsband. L’opera di Fink servì per chiarire la relazione di continuità

tra le conferenze parigine e le conferenze di Vienna e di Praga del 1935, preludio

6

dell’ultimo libro di Husserl, anch’esso pubblicato postumo, Die Krisis der europäischen

Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, e la relazione tra gli studi

sulla soggettività e sulla scienza della Lebenswelt. Le Cartesianische Meditationen

constano di cinque meditazioni, nella prima delle quali Husserl tenta di delineare la

portata filosofica del cogito cartesiano, il quale emerge dall’esercizio del dubbio

radicale. Come scrive Piana, «il dubbio deve essere approfondito fino al punto in cui fa

emergere come nuovo terreno della certezza la soggettività degli atti della conoscenza.

Certo non è l’oggetto che io vedo, ma il fatto che io vedo questo oggetto»1. Per Husserl

il cogito è inteso come un terreno di evidenza apodittica, come impossibilità della non

esistenza del cogito stesso. Ciò è possibile poiché il cogito nel suo atto di dubitare di

tutto non può dubitare di sé stesso che dubita. Il metodo del dubbio conduce

all’evidenza «di quell’io che è cosciente di sé, dopo che esso ha messo fuori valore il

mondo dell’esperienza perché suscettibile di dubbio dubbio»2.

Occorre per Husserl prendere come modello il percorso cartesiano, ritornare all’ego

delle cogitationes pure tramite l’epoché, l’esercizio che consiste nel sospendere la

propria adesione al mondo così come noi lo conosciamo. L’ego cartesiano «si interdice

di far valere come esistenza ciò che non resti garantito contro ogni ogni ammissibile

possibilità di dubbio»3.

La fenomenologia husserliana segue il modello cartesiano dell’esercizio del dubbio,

ne riconosce la portata radicale, il merito di aver sottoposto a critica metodica le nostre

conoscenze sul mondo e di aver fatto emergere il terreno della soggettività

trascendentale, l’ego cogito certo di sé come campo giudicativo apodittico. Ciò che

invece Husserl rimprovera a Cartesio, è di non essere stato realmente radicale, di non

aver davvero messo in dubbio tutte le sue conoscenze teoriche, di non avere messo tra

parentesi anche tutte le scienze esistenti.

A partire dalla seconda meditazione, viene sviluppato l’io trascendentale quale

residuo della riduzione all’intenzionalità pura, intendendo con ciò l’operazione

1 G. Piana, I problemi della fenomenologia, Seconda edizione online con aggiornamenti bibliografici e

integrazioni a cura di Vincenzo Costa, Mondadori, Milano 1966, p. 65.

2 E. Husserl, Cartesianische Meditation und Pariser Vorträge, a cura di Stephan Strasser, Nijhoff,

Den Haag 1950; tr. it. a cura di Filippo Costa, Bompiani, Milano 2009, p.55 (d'ora in poi abbreviato MC).

3 MC, p. 38.

7

successiva all’epoché, ovvero la riduzione dell’ego a ego puro delle sue cogitationes.

L’ego ridotto ha in sé il suo cogitatum, ha coscienza di qualcosa come suo pensato. Ciò

di cui l’io ha esperienza in quanto suo cogitatum, viene studiato attraverso l’analisi

dell’esperienza trascendentale e della correlazione tra cogito e cogitatum. Tramite

l’epoché, il mondo emerge come fenomeno della coscienza intenzionale, la quale è

sintetica o più precisamente, la sintesi è la forma originaria della coscienza. Grazie alla

capacità sintetica della coscienza è possibile l’identità dell’oggetto, ovvero è possibile

nel fluire dei modi di coscienza la permanenza dell’oggetto identico a se stesso. Nella

correlazione cogito-cogitatum (qua cogitatum) gli oggetti sono i correlati intenzionali

dei diversi modi di coscienza. Un tavolo può essere intenzionato dall’atto del vedere o

dall’atto del toccare, questi sono i diversi modi di coscienza e ad essi si riferiscono più

cogitationes diverse, le quali sono poi unificate sinteticamente dalla coscienza.

Nella terza meditazione viene trattata la problematica della costituzione

trascendentale, mostrando come l’oggettualità si dia all’ego come Einseitigkeit, come

unilateralità, e come spetti all’ego determinare il senso oggettuale nel continuo e infinito

fluire di evidenze potenziali. La tematica della costituzione anticipa la questione della

corporeità, la quale verrà trattata nella quinta meditazione, mostrando come il Cogito

non sia un’entità soggettiva astratta, ma sia invece strettamente connesso alla sua

corporeità. Il fatto che il soggetto sia un soggetto incarnato in un corpo, un Leib, un

corpo proprio, un’unità psico-fisica, permette di chiarire la dinamica dell’esperienza

dell’alterità in relazione alla percezione di sé e sarà un elemento importante all’interno

della riduzione sfera d’appartenenza.

Introducendo la dinamica costitutiva, viene messo in evidenza anche il problema

della temporalità, che ricoprirà un ruolo decisivo per molte tematiche presenti

all’interno delle meditazioni, come avremo modo di mostrare in seguito.

Nella quarta meditazione viene sviluppato il polo soggettivo, non più il cogitatum, ma il

cogito nella dinamica costitutiva. Il soggetto ha una sua personale storia, così come il

mondo ne ha una, tutto è posto all’interno della dimensione temporale, intesa come

forma universale delle genesi egologiche relative alla costituzione trascendentale. Sarà

approfondita la struttura della genesi costitutiva, identificando una genesi attiva, nella

8

quale l’io «funge come costitutivo e produttivo secondo specifici atti d’io»4 ed una

passiva, che permette l’emergere della datità tramite la sintesi nell’esperienza passiva. Il

soggetto, prima inteso come Ich-Pol, polarità soggettiva, sostrato di abitualità, verrà poi

inteso come soggetto concreto che vive nel mondo, come suo mondo-ambiente

(Umwelt) e verrà indicato con il termine leibniziano monade. Questo rappresenterà un

ulteriore passaggio verso la dimensione intermonadica e quindi verso il tema

dell’intersoggettività. Della quinta meditazione saranno sviluppate la dinamica relativa

all’esperienza dell’estraneo in relazione alla sfera di proprietà o appartenenza, la

tematica relativa alla corporeità e il mondo oggettivo in quanto mondo che è anche degli

altri, mondo condiviso. La tematica dell’intersoggettività era già stata presentata nel

secondo volume di Ideen, laddove Husserl introduce il tema della corporeità, come è

stato mostrato da Elio Franzini, «il soggetto isolato appare, a quel punto, come un’utile

astrazione metodologica che, tuttavia, nel momento in cui «gira intorno» alle cose,

afferrandone variazioni e circostanze apprensionali, deve presentarsi in quanto corpo. E

il corpo non è una realtà astratta bensì esteticità in movimento, corpo tra altri corpi,

comunicazione ed espressione intersoggettiva»5. L’ultima meditazione cartesiana

completa la dinamica costitutiva del soggetto, ricordando che nel momento in cui io mi

rapporto con l’oggettualità, sebbene io sia stato inteso come soggetto isolato, la cosa «è

sempre aperta ad una pluralità di soggetti, che sono tra loro d’accordo»6 e che il mondo

in cui io vivo è un mondo in cui sono presenti gli altri, è un mondo intersoggettivo.

1.2 Il Cogito tra Cartesio e Husserl

Fin dalle prime righe della prima meditazione appare chiaro che il percorso intrapreso

dalla fenomenologia non è semplicemente una via teorica verso l’idea-fine di una

scienza che possa dirsi fondata, evidente e che abbia quindi la funzione di scienza

universale. Il cammino delle meditazioni, come scrive Husserl, è «il modello delle

meditazioni necessarie per ogni filosofo che ricomincia da capo, poiché la filosofia può

4 MC, p. 102.

5 V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, Einaudi, Torino 2002, p. 185.

6 Ivi, p. 187.

9

sorgere originariamente solo da queste meditazioni»7. La scelta di Husserl, così come

quella di Cartesio, è lo sforzo di rinunciare alla certezza del mondo, rinunciare a tutte le

attuali conoscenze ed iniziare un nuovo percorso, percorrere il cammino del dubbio.

Scrive Cartesio, «Suppongo dunque che tutte le cose che vedo siano false, credo che

non sia mai esistito nulla di ciò che la memoria menzognera mi rappresenta; non ho

alcun senso; il corpo, la figura, l’estensione, il moto e il luogo sono chimere. Che cosa

dunque sarà vero? Forse solo ciò, che non v’è nulla di certo»8.

Se accetto che anche i sensi possano ingannarmi, che ciò che vedo possa non essere

quello che appare, se l’unica cosa che rimane nella mia solitudine è il mio dubitare,

allora nel mio vivere questo dubbio io esisto.

L’esistenza del cogito cartesiano è frutto di una scelta sia morale che filosofica, è

l’aver deciso che solo ciò di cui posso ottenere l’evidenza, ciò che si pone come

indubitabile, può avere il mio assenso, posso considerarlo filosoficamente. Eppure

Cartesio, il quale aveva scoperto il campo del soggetto trascendentale, commise

secondo Husserl un errore: «Lo stesso Cartesio si era premunito di un ideale scientifico,

quello della geometria, o meglio della scienza matematica della natura»9, portando

avanti un pregiudizio che Husserl considera fatale, il quale condizionò il modo di fare

filosofia. Egli presuppone che esista una matematica pura, basata su un sistema

assiomatico che permetta l’elaborazione di un sistema deduttivo da applicare al mondo

della natura. Ciò conduce, secondo Husserl, a una idealizzazione delle scienze e a una

svalutazione di tutto ciò che è visto come apparenza, come realtà corporea e percepibile.

Se, seguendo il cammino cartesiano, la realtà sensibile può ingannarmi, io non posso

più considerarla come una conoscenza stabile. Ciò che invece, Cartesio continua a

considerare come valido, è l’idea di un mondo che può essere reso intelligibile tramite

l’applicazione dei principi apodittici delle scienze matematiche e della geometria,

ovvero che una parte del mondo possa permanere poiché intelligibile. L’idea che

all’interno dell’io siano presenti, come principi innati, gli assiomi delle scienze

geometriche e della matematica è per Cartesio qualcosa che non ricade all’interno del

dubbio. Questo mancato radicalismo cartesiano, secondo Husserl, termina con la

7 MC, p. 38.

8 R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Bompiani, Milano 2001, p. 161.

9 MC, p. 43.

10

separazione tra res extensa e res cogitans, con la svalutazione di tutto ciò che è inteso

come sensibile, considerando come valido solo ciò che è intelligibile. L’ego di Cartesio

è inteso come substantia cogitans, qualcosa di nettamente separato dal corporeo, dal

mondo reale.

Ciò comporta, come scrive Husserl nella sua ultima opera La crisi della scienze

europee e la fenomenologia trascendentale (1954)10

, una scissione interna alla stesso

soggetto:

Infatti, stupito di fronte a quest’ego scoperto nell’epochè, egli si chiede di quale io

si tratti, se sia per esempio l’io dell’uomo, dell’uomo sensibilmente intuitivo della

vita comune. Poi esclude il corpo proprio (Leib) in quanto come il mondo sensibile

in generale, soggiace all’epoché; e l’io viene così a determinarsi per Cartesio come

mens sive animus sive intellectus11

.

Quello che Husserl intende chiarire è che l’ego trascendentale è un ego che è stato

trovato grazie all’epoché, la quale ha solo sospeso il valore d’essere dell’esistenza del

mondo e delle mie conoscenza relative ad esso. Nella prima delle meditazioni, l’ego si

10 L'occasione per l'elaborazione scritta della Crisi si dà nel 1935 dalle conferenze di Vienna e di

Praga. L'elaborazione delle tematiche di queste conferenza porterà a pubblicare nel 1936 la prima e

seconda parte della Crisi (§1-27) sulla rivista Philosophia di Belgrado diretta da Arthur Liebert. La

riflessione husserliana si muove in un periodo storico molto complesso per la Germania, infatti il 30

gennaio 1933 Adolf Hitler veniva eletto legalmente cancelliere e nel febbraio dello stesso anno seguiva

l'incendio del Reichstag e l'inizio del regime mono-partitico dei nazisti. La politica antisemita nazista,

iniziata fin dal 1933, si andrà intensificando con le leggi di Norimberga del 1935 e continuerà per tutto il

governo hitleriano. Husserl stesso, figlio di ebrei tedeschi, verrà allontanato nell'aprile del 1933 e radiato

dal corpo accademico dell'Università di Friburgo dove insegnava come successore alla cattedra di

Rickert. Gli ultimi anni della vita di Husserl, rimasto in Germania nonostante la politica repressiva del

regime nazista, sono gli anni in cui rielaborerà molte tematiche della Crisi. La terza parte della Crisi (§28-

72) scritta da Husserl in maniera non sistematica tra il 1936-37 e sarebbe dovuta comparire sempre sulla

rivista di Belgrado nella prima metà del '37, ma Husserl non portò mai a termine il manoscritto e morì

nell'agosto dello stesso anno. I manoscritti degli ultimi anni, principalmente manoscritti di ricerca non

destinati alla pubblicazione, furono raccolti nel gruppo K III, ad opera degli allievi di Husserl, tra questi

Eugen Fink. L'edizione del '54 comprende la prima e la seconda parte della Crisi, quella pubblicata nel

1936, insieme alla terza parte, ricostruita in base ai manoscritti di ricerca e contiene diverse appendici

integrative. La terza parte della Crisi comprende anche il paragrafo §73 aggiunto dal curatore, tratto dal

manoscritto KIII 6, poiché nella versione originaria la terza parte termina con il paragrafo §72.

11 E. Husserl, La crisi della scienze europee e la fenomenologia trascendentale, a cura di E. Filippini,

Il Saggiatore, Milano 1961, p. 107.

11

pone nel suo campo di evidenza da cui deve avere origine l’analisi di ogni possibile

conoscenza di qualcosa, a prescindere dall’esistenza o meno del mondo.

Ciò che preme ad Husserl è la fondazione di questo campo di evidenza, ove i giudizi

sul mondo siano adeguati: «la fondazione è cioè la convenienza del giudizio con il

contesto del suo stesso oggetto (una cosa o un contesto oggettivo)»12

. Perciò è

assolutamente necessario che anche le scienze, in quanto esse sono comunque fatti del

mondo, e più precisamente, fatti culturali, e constano di giudizi sul mondo, vengano

esse stesse poste tra parentesi tramite l’epoché: «Detto più propriamente: il giudicare è

un intendere [Meinen] e in generale un pretendere [Vermeinen] che la cosa stia così e

così»13

. Se quindi il giudicare è in qualche modo un pretendere, è necessario che questa

pretesa sia fondata affinché possa valere come una conoscenza scientifica. Un giudizio è

basato su un’esperienza che è antepredicativa, ciò significa che essa viene prima di

qualsiasi teoria, indica un rapportarsi diretto alla cosa. L’esperienza è la base per

qualsiasi giudizio successivo che porti ad espressione la cosa stessa nella sua evidenza:

«Il giudizio fondato è il giudizio nel quale la cosa si rivela come evidente, come

cogitatum intenzionato dal Cogito e vissuto nel Cogito. Il giudizio è un atto (in realtà si

tratta d’ un susseguirsi di giudizi e di atti) con il quale io cerco di accordare ciò che dico

con ciò che è la viva cosa stessa»14

. Il concetto di evidenza è di grande importanza

nell’indagine husserliana, egli la definisce come «esperienza dell’ente, dell’ente così

determinato, anzi essa è il pervenire da sé dell’ente alla vista spirituale [ein Es-selbst-

geistig-zu-Gesicht-bekommen]»15

. L’evidenza nell’esperienza può raggiungere una più o

meno completa espressione nel riempimento dell’intenzione mirante all’oggetto o un

qualsiasi campo oggettivo. Si può quindi dire che il correlato dell’evidenza sia la verità

pura e assoluta che vada ricercata nello sforzo conoscitivo.

Viene quindi chiarito un primo principio metodico: «È manifesto che io, come

filosofo principiante, in conseguenza del fatto che ho di mira il fine presuntivo della

scienza autentica, non posso dare o lasciar valere alcun giudizio che non abbia attinto

12 MC, p. 45.

13 MC, p. 45.

14 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961, p. 64.

15 MC, p. 47.

12

all’evidenza, o alle esperienze in cui le cose e i contesti correlativi al giudizio mi siano

presenti essi stessi»16

.

1.3 Evidenza e mondo

È indubbio che nella vita esperienziale noi ci imbattiamo in esperienze più o meno

distinte, talvolta incomplete. Molto spesso la datità della cosa è ottenuta tramite una

sintesi di più esperienze concordanti che ci permettono di giungere ad un

perfezionamento dell’esperienza precedente, di giungere ad una evidenza adeguata.

Se le cose stanno così emerge come esistano gradi infiniti di evidenza e come il

raggiungimento di quest’ultima sia un processo privo di una conclusione definitiva:

«non sarà mai possibile il darsi totale della cosa: anche la realtà della cosa è un infinito

approssimarsi di varie manifestazioni della cosa»17

. Ciò vale solo quando si parla di una

evidenza adeguata. Infatti esiste un genere diverso di perfezione dell’evidenza che è

l’apoditticità. Il carattere dell’apoditticità è da Husserl descritto come:

la comprensione autentica di un ente o determinazione, nel modo del se stesso e

nella piena certezza di questo essere, sì da escludere quindi ogni dubbio […] Ma

l’evidenza apodittica possiede il carattere notato di non essere solo in generale

certezza d’essere delle cose o dei contesti oggettivi in essa evidenti, ma di scoprirsi

nello stesso tempo, mediante una riflessione critica, come assoluta inconcepibilità

del non-essere, in modo da escludere già pregiudizialmente ogni dubbio

immaginabile perché privo di contenuto18

.

Se volessimo attenerci al concetto logico di apoditticità, ossia di necessità logica,

potrebbero insorgere difficoltà nell’applicare questa categoria al soggetto. Per Cartesio

la conoscenza necessita di un suo fondamento apodittico, esente da dubbi. Il cogito

cartesiano è il terreno dell’evidenza apodittica solo considerando la prassi dell’epoché.

Come scrive Husserl in un passo della Krisis,

Se io sospendo le prese di posizione rispetto all’essere o al non-essere del mondo,

se mi astengo da qualsiasi validità d’essere che si riferisca al mondo, con

quest’epoché non mi è negata qualsiasi validità d’essere. Io, io che opero l’epochè,

non rientro tra i suoi oggetti, piuttosto se la opero in modo realmente radicale ed

16 MC, p. 48.

17 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 65.

18 MC, p. 50.

13

universale sono escluso di principio dal suo ambito. Io sono necessariamente,

perché sono colui che la opera. 19

Ciò mi permette di trovare un terreno apodittico che permane all’epoché. Il mio

permanere e nello stesso tempo il mio non rientrare nell’epoché poiché sono io il sum

cogitans, mi fornisce l’evidenza apodittica come fondamento di ogni possibile

conoscenza ulteriore. L’apoditticità sembra essere questa permanenza nel dubbio e ciò

potrebbe condurre al concetto di tempo e di presenza. L’epoché è attuata nel tempo e

sempre nel tempo si sviluppano le nostre potenzialità circa la conoscenza del mondo. Il

concetto di apodissi sembra indicare una via differente dalla necessità logica, sembra

suggerire una certezza intuitiva della permanenza nel tempo. Evidenza ed apoditticità

sono relative al soggetto in quanto presenza nel tempo. Io sono perché in un momento

preciso nella mia vita temporale scelgo di attuare l’epoché, e nel mio perdurare

nell’epoché sono certo della mia esistenza.

Appare comprensibile come il mondo, in questo senso, non può essere considerato

come un’evidenza apodittica, ma deve essere indagato criticamente una volta attuata

l’epoché.

Tramite l’epoché il mondo, presente in quanto frutto di un’esperienza continua, in

quanto substrato da cui si distaccano tutte le possibili oggettualità, potrebbe rivelarsi

solo un sogno coerente. Il mondo potrebbe essere semplicemente composto dal

susseguirsi di un flusso unico di esperienza di oggettualità, unificate sinteticamente.

Bisogna indagare l’oggettualità così come il mondo stesso. Per risolvere questo

problema, il mondo dell’esperienza deve essere ridotto a indice di una mia esperienza

possibile: «invece di essere senz’altro esistente, ossia invece di valere nella credenza

esistenziale [Seinsglauben] dell’esperienza in modo naturale, è per noi solo una

semplice pretesa all’essere [Seinsanspruch]»20

.

Se il mondo si riduce a un fenomeno d’essere anziché ad un essere già dato una volta

e per tutte, allora anche l’esistenza di tutti gli altri uomini è messa in discussione. Ed è

qui che si fa sentire la gravità dell’epoché che non implica solo la perdita del mondo,

ma è anche la perdita della comunità, del Miteinanderleben, della vita comune, come

verrà esplicitato nella quinta meditazione relativa all’intersoggettività.

19 E. Husserl, La crisi della scienze europee e la fenomenologia trascendentale cit., p. 105.

20 MC, p. 52.

14

Ma l’esercizio dell’epoché fenomenologica, della messa tra parentesi del mondo

oggettivo, non è in realtà una perdita, ma è una conquista radicale. Essa ci conduce più

profondamente a noi stessi, alla nostra vita nell’esperienza trascendentale, dischiudendo

l’universo dei fenomeni: «L’epoché, come può anche dirsi, è il metodo radicale e

universale con il quale io colgo me stesso come io puro ossia alla mia propria vita di

coscienza pura, nella quale e per la quale è per me l’intero mondo oggettivo, nel modo

appunto in cui esso è per me»21

. L’epoché trascendentale non è quindi solo messa tra

parentesi del mondo oggettivo, ma è anche riduzione al piano trascendentale. Essa

consiste nel ridurre il cogito al piano del puro ego nella corrente delle sue cogitationes.

In questo caso, il mondo esiste per me nel flusso delle mie cogitationes, ed è solo in

base a quelle che esso acquisisce il suo valore d’essere. Come scrive Husserl riferendosi

alle cogitationes: «In queste scorre il mio intero vivere-il-mondo, cui appartiene pure il

vivere come ricerca e come fondazione scientifica»22

. Per non perdere davvero il mondo

io devo considerarlo solo nel modo delle mie cogitationes, nel suo essere per me,

dirigendo il mio sguardo sul mio vivere coscienziale:

Se io mi pongo al d sopra di tutta questa vita intera e mi astengo da ogni atto di

qualsiasi credenza d’esistenza che colga direttamente il mondo come esistente, se

dirigo esclusivamente il mio sguardo su questo vivere stesso, come consapevolezza

del mondo, allora io ritrovo me stesso come puro delle mie cogitationes23

.

La capacità dell’ego di dirigere il suo sguardo sulla vita, nel fluire del vivere stesso,

può suggerire una lettura del cogito come ciò che secondo Paci «arresta il dubbio, il non

dubitabile, ciò che resta dopo la sospensione, il residuo fenomenologico, l’Erlebnis

della vita come vita»24

.

Il Cogito nel suo vivere intenziona i suoi vissuti, i suoi cogitata, i quali intenzionano

il suo mondo ed il mondo stesso è il suo cogitatum, ogni elemento del mondo è vissuto

nel modo soggettivo, nel modo in cui si presenta al Cogito, nel suo apparire come

fenomeno. Secondo Husserl, questo io naturale che è stato ridotto non è una pura res

cogitans come credeva Cartesio, né è un io psichico nel senso della psicologia che lo

intende come un io che vive nel mondo, è un io che vive dopo l’epoché.

21 MC, p. 54.

22 MC, p. 54.

23 MC, p. 54

.

24 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 61.

15

Come spiega Paci, «L’Ego in quanto trascendenza è nel mondo ma non è del mondo.

Io vivo come prima, ho tutta la mia vita psichica, fisica, percettiva, ma questa vita non è

più del mondo perché l’Ego come vita della trascendenza non è parte del mondo»25

.

1.4 Il tempo nella relazione cogito-cogitatum

Per comprendere appieno quanto è stato appena detto, occorre ricordare che il cogito è

presenza nel tempo, è ciò che permane del passato una volta attuata l’epoché, è una vita

nella presenzialità del tempo presente che vive nell’intenzionalità, che si è scoperto

tramite la riflessione, che può vivere come trascendenza nel tempo. Grazie alla scoperta

dell’ego trascendentale, l’esistenza nel cogito si trasforma da vita artificiale in un

mondo precostituito ad esistenza viva in un mondo da costituire. Grazie all’epoché

fenomenologica è sorta una nuova sfera di esperienza, quella trascendentale.

Come scrive Paci, il cogito qui considerato è un soggetto concreto che vive nel suo

flusso esperienziale, «nell’immanente forma temporale della corrente di coscienza

(immanente Zeitform des Erlebnisstromes)»26

. Nella corrente di coscienza del cogito si

presenta il mondo, il quale non è una parte del soggetto, ma rivive nel soggetto in un

modo trasfigurato, in quanto cogitatum intenzionato dalle cogitationes.

Una volta portata alla luce la tematica dell’esperienza trascendentale, come lo stesso

Husserl sottolinea, è necessario procedere per gradi. Prima occorre percorrere il campo

dell’esperienza trascendentale di sé, ovvero descrivere la vita di coscienza dell’ego e,

successivamente, attuare un’indagine critica dell’esperienza trascendentale, e quindi una

critica della conoscenza trascendentale nella sua forma generale. Sorge qui una prima

differenza nell’intendere l’esperienza: essa può essere esperienza interna al soggetto,

capacità dell’io di tematizzarsi e di tematizzare i suoi atti di coscienza, ed esperienza

esterna, relativa alla possibilità di tematizzare oggetti del mondo ed intendere il mondo

stesso. Il primo passo sarà quindi quello di analizzare la corrente delle cogitationes di

un io che rimane identico nel variare di esse. Possiamo prendere in esame l’io che

medita e che può rivolgere il suo sguardo riflettente sulle sue rappresentazioni,

25 Ivi, p. 68.

26 Ivi, p. 77.

16

percezioni, volizioni, sui suoi atti in generale. Sebbene sia stata attuata l’epoché, questa

non ha alterato la percezione degli oggetti del mondo, essi rimangono tali anche dopo,

l’unica cosa che muta è il nostro modo di considerare l’esperienza che ne abbiamo, i

riferimenti oggettuali, le datità. Come scrive Husserl, «Ogni vissuto di coscienza è in se

stesso coscienza di questo o quest’altro, comunque stia la cosa riguardo al giusto valore

di realtà di quest’ente oggettivo e per quanto io possa, nel mio atteggiamento

trascendentale, astenermi da questo o quest’altro atto di valutazione naturale»27

.

La coscienza è intenzionale poiché è coscienza di qualcosa, ogni esperienza

coscienziale è relativa ad un cogitatum che è presente nell’ego come suo cogito. Nella

nostra vita esperienziale noi possiamo percepire direttamente l’oggetto che abbiamo

davanti, ad esempio il tavolo che vedo, ma non possiamo percepire il nostro percepire.

Nella riflessione invece, noi possiamo ritornare su quanto abbiamo percepito e sul

nostro stesso atto percettivo di essere-diretti verso il tavolo. Sul piano della riflessione

naturale, noi viviamo in un mondo che è già dato come realtà, un mondo che non è stato

ridotto a fenomeno di realtà per noi, mentre nella riflessione trascendentale noi viviamo

nel campo dell’esperienza trascendentale, nella quale abbiamo operato la riduzione e

sospeso la nostra adesione al mondo:

L’esperienza così modificata, l’esperienza trascendentale, consiste allora,

potremmo anzi dire, nel rimirare il cogito già trascendentalmente ridotto e nel

descriverlo, ma senza con ciò compiere, da soggetti riflettenti, la posizione naturale

di esistenza, contenuta nella percezione originariamente compiuta in modo diretto

o in qualche altro cogito, posizione naturale effettivamente compiuta dell’io

vivente nel mondo in maniera diretta28

.

È importante sottolineare come ogni riflessione alteri una qualsiasi precedente

esperienza e come la temporalità debba essere intesa come temporalità nell’esperienza

del soggetto. Nella riflessione l’esperienza diretta perde la sua immediatezza e diventa

oggetto di una tematizzazione mediata. La capacità del soggetto di riflettere comporta

anche la possibilità di portare a coscienza esperienze precedenti, di riviverle nel ricordo,

nella rimemorazione, senza prendere una posizione d’esistenza, ma vivendo

riflessivamente il percepire, in un atteggiamento disinteressato rispetto all’oggetto

dell’esperienza diretta.

27 MC, p. 64.

28 MC, pp. 64-65.

17

L’atteggiamento che mira all’oggetto nella disposizione naturale si dice interessato,

poiché l’oggetto, ad esempio, viene considerato nei suoi modi d’uso, connesso ad un

bisogno del soggetto stesso. Mentre la disposizione dell’io fenomenologico, che si

innalza al di sopra dell’esperienza diretta tramite la riflessione, è detta disinteressata.

Nella purezza dell’esperienza trascendentale gli eventi si danno alla coscienza, la quale

ridotta trascendentalmente ha inibito il pregiudizio universale dell’esistenza del mondo,

ossia la sua adesione ad un mondo precostituito, ed essa mira solo alla sfera egologica

pura, la sfera delle cogitationes ridotte a pura mancanza di presupposti29

.

Ricordiamo che è il tempo che permette la relazione tra cogito e cogitatum e quindi

una qualsiasi esperienza della coscienza e che è nel tempo che dobbiamo considerare

qualsiasi forma di relazione.

Il metodo della fenomenologia si pone come una descrizione che si occupa degli atti

dell’ego, i quali possono essere relativi ai cogitata, al lato dell’oggetto che viene

intenzionato come cogitatum, oppure relativa agli stessi atti tematizzanti dell’io. Nel

primo caso l’analisi descrittiva sarà detta noematica, nel secondo invece, si dice noetica,

quando ciò si riferisce al modo del cogito stesso, alla maniera in cui intendiamo la cosa.

Il modo in cui una qualsiasi oggettualità può essere intesa è detta forma intenzionale.

Possiamo avere, ad esempio, la forma intenzionale della percezione o della memoria,

nei gradi modali di chiarezza o distinzione.

È importante chiarire, come scrive Vincenzo Costa, che

il noema non è l’oggetto, ma la maniera in cui l’oggetto entra nel nostro campo di

esperienza e proprio per questo, cercando di conoscere un oggetto, dirigendosi

l’intenzionalità su di esso, il corso dell’esperienza può esigere che una maniera di

intenderlo venga abbandonata, come accade per esempio quando prima ci sembra

di vedere un uomo e poi, avvicinandoci, abbandoniamo il senso «uomo» e

intendiamo l’oggetto in un altro senso: «non uomo ma manichino»30

.

Nella mia sfera trascendentale intendo il mondo solo come qua cogitatum, come

sfondo di tutto il mio vivere, di tutte le mie cogitationes, di un vivere che è anche un

vivere naturale, ma che è stato ridotto alla dimensione trascendentale. In tal modo il

significato attribuito al mondo è quello di essere lo sfondo del mio vivere intenzionale

29 Cfr. MC, p. 66.

30 V. Costa, E. Franzini, P. Spinicci, La fenomenologia, pp. 170-171.

18

in cui gli oggetti sono per me in quanto sono i correlati intenzionali dei miei diversi e

sempre variabili modi di coscienza.

A questo punto occorre introdurre un’altra importante nozione, quella della sintesi, la

capacità propria della coscienza, che permette, nel variare dei modi fenomenici in cui si

dà un oggetto, una costruzione noetico-noematica dell’oggetto, mantenendolo come

questo oggetto qui. La sintesi è l’agire della coscienza nella temporalità, è la possibilità

di comprendere e costruire i nessi, interni ed esterni, all’interno dell’esperienza.

Supponiamo di assumere come tema di una nostra riflessione la percezione del tavolo

che abbiamo davanti a noi, il quale ci è dato in molteplici e mutevoli modi, esso è

questo tavolo, possiede un suo nucleo fenomenico, eppure può essere intenzionato da

differenti atti noematici. Noi vediamo il tavolo nel modo della percezione e lo vediamo

in quanto cogitatum della stessa, lo cogliamo con le sue differenti proprietà, ad esempio

come un tavolo di colore marrone, come un tavolo che ha una determinata forma e

ottenuto da un determinato materiale. Possiamo considerare il tavolo come composto da

più componenti, ad esempio i cassetti, come un tavolo sul quale è possibile scrivere,

quindi con i suoi valori d’uso. Nell’esperienza del tavolo è rilevante anche la nostra

differente posizione nella stanza, il nostro poter modificare il punto d’osservazione. Se

giriamo intorno al tavolo lo cogliamo nei modi della distanza o delle vicinanza, come

dice Husserl, noi percepiamo un dato oggetto nei modi del «qua» e «là». Queste

differenti possibilità nell’esperire il tavolo sono relative, non soltanto alla dimensione

intenzionale della coscienza, ma anche alla dimensione della corporeità: «al mio corpo

ascrivo il campo dell’esperienza sensibile, sebbene in modi diversi di appartenenza

(campo delle sensazioni tattili, campo delle sensazioni termiche ecc.)»31

. Sulla tematica

della corporeità dovremo tornare in seguito, per ora basti dire i modi in cui possiamo

intenzionare l’oggetto dipendono anche dal nostro essere dotati di un Leib, corpo

proprio e dalle molteplici sensazioni ad esso connesse, siano queste tattili, cinestetiche,

etc.

Ritornando alla nostra percezione del tavolo, noi avvertiamo tutto questo in un fluire

di Erlebnisse interconnessi tra loro, in una unità sintetica che ci permette di cogliere

31 MC, p. 119.

19

questo tavolo, consaputo nelle sue differenti modalità di apparizione nella nostra

coscienza.

Scrive Husserl, «Ora, lo stesso cubo, ossia lo stesso secondo coscienza, può nello

stesso tempo o in momenti successivi essere consaputo in modi distinti di coscienza, in

modi di diverso genere, come percezioni, rimemorazioni, aspettazioni, valutazioni ecc.,

tutte separate. Ma di nuovo è sempre una sintesi, quella che stabilisce la coscienza

dell’identità come coscienza unitaria e che rende con ciò possibile ogni sapere di

identità»32

.

Ogni Erlebnis, reale o possibile emerge da una coscienza unitaria. Il cogitatum è il

vivere intenzionale dell’ego, è la sua forma come atto di tematizzazione, la forma

sintetica dell’identificazione, la quale è possibile poiché è possibile una coscienza

interna del tempo. Per chiarire questo ulteriore passaggio occorre ritornare alla tematica

della temporalità, ricordando che ogni nostro vissuto è nel tempo. Quando percepiamo

un oggetto, ad esempio il tavolo di cui abbiamo precedentemente parlato, dobbiamo

distinguere tra la temporalità relativa all’apparire dell’oggetto e una temporalità interna

connessa al nostro vivere la percezione del tavolo. L’oggetto-tavolo appare

continuamente alla coscienza, in uno scorrere temporale fatto di attimi via via differenti,

ma esso è immanente alla coscienza nel suo senso oggettivo, esso permane identico nel

tempo nonostante il mutamento, come contenuto descrittivo, come cogitatum. Il tavolo

è sempre lo stesso per la coscienza, sia che si dia nel modo della percezione, sia che si

dia nel modo dell’attesa o della rimemorazione, questa correlazione tra il cogito e il

cogitatum ci fornisce la struttura generale di ogni possibile sapere di identità.

La vita della coscienza è una vita sintetica, la vita nel tempo della coscienza è

unificata sinteticamente, ogni singolo Erlebnis è un emergere alla coscienza che viene

presupposta in sé come unitaria33

. Il vivere stesso si potrebbe intendere come la

direzione infinita e sempre aperta che dalla coscienza si dirige verso un qualsiasi

cogitatum, o per utilizzare la parole di Husserl riguardo alla coscienza, «L’universale

cogitatum è lo stesso vivere universale nella sua unità e completezza aperta

all’infinito»34

. La coscienza interna del tempo esprime una temporalità che ingloba il

32 MC, p. 72.

33 Cfr. MC, p. 72.

34 MC, p.72.

20

rapporto cogito-cogitatum, relazionata ad una temporalità immanente, quella dell’«ora»

del suo cogitatum, ed è proprio in virtù di questa che è possibile una vita degli

Erlebnisse secondo un prima e un dopo, secondo un ordine di successione, che permette

inoltre di riflettere e di ritornare su un momento di coscienza precedente,

contemporaneo o successivo. La vita di coscienza dell’ego è Auf-sich-selbst-intentional-

zurüchbezogen-sein, è la capacità di riportarsi-intenzionalmente-indietro-a-se-stesso35

,

di rivivere momenti precedentemente intenzionati nella riflessione, è la capacità di

incarnarsi nel tempo dell’esperienza temporale mantenendo la propria trascendenza.

Come scrive Paci «il Cogito che ha in sé la vita infinita del tempo intenziona un

cogitatum come universo infinito temporale.

La coscienza del tempo è la presenza dell’infinità del tempo nel Cogito e

l’uguaglianza della forma del tempo con se stessa è il modo con il quale si rivela

l’infinito limitato in ogni momento particolare, in ogni periodo, in ogni «epoca» del suo

scorrere»36

. In ogni nostra percezione presente di un oggetto c’è sempre un orizzonte

passato, una potenzialità di suscitare una rimemorazione, che può realizzarsi come non

realizzarsi. Lo stesso vale per una possibile percezione di un oggetto, il nostro sguardo

può intenzionare una porzione di esso, ma ci sarà un «lato» non ancora visto, un non

ancora percepito, che è stato anticipato nel modo della protensione. In essa noi

anticipiamo un aspetto dell’oggetto, sebbene non sia stata ancora visto, e ciò ci permette

di averne una immagine sintetica.

In conclusione, è la Zeitform, la forma temporale che permette il costituirsi di una

esperienza trascendentale, nella forma cogito-cogitatum, ma ancor prima, il tempo è il

modo stesso, presente nella negli atti che costituiscono la vita stessa del cogito, con cui

l’ego si costituisce.

Il tempo gioca un ruolo fondamentale nella fenomenologia, è un tempo inteso come

apertura alla vita della coscienza, è il fondamento che permette il vivere soggettivo.

L’ego intenziona forme finite, intese come precisi vissuti temporali, in un

determinato momento temporale, ma nello stesso tempo, l’ego stesso vive infinite forme

temporali relative all’infinito succedersi di queste stesse forme. Il flusso di coscienza

dell’ego è infinito, perché infiniti possono essere gli Erlebnisse.

35 Cfr. MC, p. 73.

36 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, pp. 82-83.

21

La vita della coscienza è un continuo dipanarsi di orizzonti, di compiti conoscitivi, di

potenzialità, in questo modo ogni cogitatum, ogni oggetto pensato, è in sé concluso, ma

il cogitatum qua cogitatum non è un dato definitivo, è qualcosa di ancora aperto, di non

definitivamente realizzato.

1.5 Ragione ed evidenza

L’analisi relativamente al cogitatum prosegue nella terza meditazione cartesiana,

relativamente ai differenti modi della cogitationes. Un oggetto, un cogitatum, può

essere intenzionato da differenti tipi di cogitationes, in modi possibili in cui un oggetto

potrebbe essere consaputo, dopo la percezione diretta. Se assumiamo l’oggetto in

quanto cogitatum, assunto nella sua generalità, vediamo sorgere tipi particolari noetico-

noematici ad esso connessi, ad esempio la percezione o la rimemorazione, i quali sono

modi dell’intenzionalità che appartengono a qualsiasi oggetto pensabile. Addentrandosi

in questa struttura noetico-noematica, appaiono le prime importanti distinzioni tra le

oggettività reali e quelle categoriali. Le oggettività categoriali «rimandano alla loro

origine da operazioni, da attività-dell’io che costituisce e produce queste oggettività

categoriali in modo graduale, mentre le oggettività reali derivano dai risultati delle

operazioni di sintesi meramente passive»37

.

Una volta che il cogitatum, è stato costituito nel suo senso intenzionale, come noema,

come oggetto che è per noi, è possibile domandarsi se a esso possano essere connessi i

predicati di esistenza o di non esistenza, di possibilità o di non-possibilità.

Per poter connettere ad una oggettualità il predicato di esistenza o di non esistenza,

bisogna introdurre la nozione di ragione. L’atto intenzionale di conferma o di

eliminazione di un oggetto è un atto della ragione dell’io trascendentale, la quale è

indicata da Husserl come universale forma strutturale essenziale della soggettività

trascendentale in generale. Essa rimanda alla possibilità della conferma e di

conseguenza, al rendere evidente e all’avere-in-evidenza38

. Ai modi di coscienza

connessi sinteticamente, relativi ad un qualsiasi oggetto, appartengono ora le sintesi

37 MC, p. 79.

38 Cfr. MC, p. 84.

22

successive, attuate dalla ragione, che confermano, verificano o infirmano l’oggetto

stesso.

La realtà e l’irrealtà sono delle modalità strettamente connesse alla nostra coscienza.

Rimandare alla costruzione soggettiva il predicato di realtà o di irrealtà non significa

relativizzare l’esperienza, ma significa illuminare la portata conoscitiva del soggetto e

nello stesso tempo, attenuare le pretese conoscitive riguardo al mondo e all’oggettualità.

Evidenziare l’importanza dell’attività soggettiva significa anche sottolineare la

dimensione di responsabilità entro cui si muove il soggetto, il quale deve sempre e di

nuovo ritornare sulle sue elaborazioni. D’altra parte, ciò porta ad attenuare possibili

derive dogmatiche circa i risultati conoscitivi.

A questo punto Husserl introduce una tematica che avevamo già accennato

precedentemente, quella dell’evidenza, la quale è strettamente connessa agli atti della

ragione. L’evidenza è la condizione in cui ogni presunzione circa l’oggetto trova la sua

giustificazione razionale, il suo riempimento. Come scrive Husserl in un passo della

Krisis, «L’evidenza non è altro che la coscienza di cogliere un essente nella sua

presenza-in-persona originale»39

. Questo concetto di evidenza rimanda all’idea di un

fenomeno originario della vita intenzionale, un essere intuito pienamente nel suo

nucleo, nel Kern autentico. Essa è un aspetto fondamentale del vivere intenzionale in

generale poiché è il realizzarsi della cosa per la coscienza.

Ogni coscienza intenzionale è impegnata, nella sua vita coscienziale ed intenzionale,

a raggiungere l’evidenza del suo oggetto, domandandosi se esso sia quello che

realmente è nell’intenzione, o se non sia, ad esempio, un altro, al posto di quello che si

credeva essere. Viene ulteriormente alla luce l’importanza del vivere coscienziale,

l’essere per la coscienza nella prassi conoscitiva. Si potrebbe dire, secondo il

suggerimento di Paci, che la ragione è una ragione dialettica, la quale è talmente ampia

da poter essere sia ragione, che costituisce l’essere, sia non ragione, che costituisce il

non essere40

. Posto ciò, occorre evidenziare un’altra differenza interna alla sfera della

vita di coscienza, quella relativa alla differenza tra realtà effettiva e realtà come-se,

ovvero la fantasia. La fantasia ha la peculiarità di far emergere il concetto di possibilità,

il quale opera nei modi della non-realtà effettiva che permette di pensare la cosa come-

39 E. Husserl, La crisi della scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 383.

40 Cfr. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 105.

23

se, nel modo della mera immaginazione. Ciò che è importante sottolineare è che tramite

la fantasia noi creiamo un essere che non ha una realtà effettiva, ma che non per questo

risulta irrazionale.

Relativamente alla dimensione dell’esistenza, occorre ricordare che sebbene

l’evidenza costituisca un acquisto durevole per noi, essa non è qualcosa di definitivo,

poiché una qualsiasi realtà effettiva, un oggetto nella sua evidenza, nel suo Kern, non

esaurisce mai tutto l’oggetto, bensì ne mostra la modalità del suo essere presente, ma

non le potenzialità contenute in ulteriori nuclei da portare ad espressione nel mio

ritornare sull’oggetto. L’evidenza ci fornisce un’idea regolativa dell’oggetto, questa

idea è qualcosa di finito e circoscritto, ma è posta in un processo potenzialmente infinito

di future apprensioni. Come spiega bene Paci, essa è una visione connessa alla dialettica

tra finito e infinito, tra l’attualità e la possibilità41

.

Secondo quanto abbiamo detto, è possibile intendere l’infinito non più come infinito

metafisico, bensì come infinito potenziale.

L’Ich kann immer wieder, cioè la capacità del cogito di poter far permanere una

realtà rinnovandola sempre, costituisce un orizzonte di potenzialità, di evidenze

potenziali, fondate sulla vita dell’io trascendentale. La realtà stabile, presente, si

costituisce nel momento in cui io trasformo ciò che è presente in modo potenziale in ciò

che è attualmente presente, e ciò non è frutto di una sola azione fatta e conclusa, ma è il

continuo presentificare ciò che potrei aver perduto, obliato, riportandolo all’attualità:

«La permanenza come realtà evidente è il «di nuovo», l’immer wieder»42

. Un oggetto si

dà essenzialmente come unilateralità (Einseitigkeit), o come aggiunge Husserl «in un

multiforme orizzonte di anticipazioni non riempite ma bisognose di riempimento»43

.

Ciò vuol dire, ad esempio, che ciò che io non vedo dell’oggetto posso immaginarlo,

presumerlo e la mia intenzione presuntiva va a costituire una evidenza potenziale. Se

quindi ci riferiamo all’esistenza di oggetti esterni, all’esperienza esterna, ci accorgiamo

che il mondo stesso, in questo oggetto esterno, sfondo di ogni oggettualità, sì dà in una

serie infinita di evidenze. Il mondo può quindi essere inteso come infinito in quanto

infinite sono le esperienze di evidenza: «l’oggetto reale del mondo, anzi proprio il

41 Cfr. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 106.

42 Ivi, p. 108.

43 Cfr. MC, p. 88.

24

mondo stesso, costituisce un’idea infinita riferita all’infinità di esperienze che si

debbono concepire come concordemente unificate»44

. Il mondo si pone quindi come

un’idea correlativa di una evidenza di esperienze evidenti, di tutte le possibili esperienze

di evidenza.

1.6 Il soggetto tra fenomenologia eidetica e fenomenologia genetica

Se fino ad ora ci eravamo focalizzati sul rapporto tra cogito e cogitatum, occorre adesso

ritornare sul soggetto, sull’ego trascendentale e sulla sua costituzione sulla base delle

analisi svolte nella quarta meditazione. L’ego trascendentale è per se stesso un’evidenza

poiché la sua vita intenzionale, di coscienza, è il continuo intuirsi come presenzialità. La

sua apertura al mondo, la sua capacità di intendere gli oggetti tramite diversi sistemi

intenzionali, permettono all’ego di cogliersi come un io che permane nelle sue

cogitationes: «in quanto costituente continuamente se stesso come esistente»45

. Se prima

ci eravamo occupati dell’oggetto polarizzato che rimaneva lo stesso oggetto, ora ci

occupiamo dell’io che rimane lo stesso io per se stesso, un io stabile.

Per Husserl l’io stabile è l’Ich-Pol, il quale si costituisce attraverso i suoi atti, le sue

decisioni, i suoi giudizi che in lui permangono una volta compiuti formandone la

personalità: «Io mi decido – il momento dell’atto scorre, ma la decisione permane – sia

che, divenuto passivo, m’immerga in un sonno profondo o che viva nel compimento di

altri atti – la mia decisione continua ad avere valore»46

. Ciò che in me permane di

quanto ho deciso costituisce la trama interna della mia persona, e sebbene io continui ad

agire, a trasformarmi, permango in quanto persona, con una mia peculiare identità. Per

Husserl v’è un’ulteriore determinazione dell’ego, egli la intende con il termine

leibniziano monade, il quale sta per un ego ancora più concreto poiché inteso nel suo

ambito di appartenenza, nel suo ambiente (Umwelt): «L’Io si costituisce non solo come

la storia delle proprie abitualità, ma come storia di sé nel proprio mondo ambientale che,

così come l’Io ha uno stile ed una permanenza, ha anch’esso uno stile ed una

44 MC, pp. 88-89.

45 MC, p. 92.

46 MC, p. 93.

25

permanenza»47

. Se il cogito aveva come suo correlato il mondo dei cogitata, l’Ich-Pol

quello degli oggetti polarizzati, la monade ha come suo correlato la sua Umwelt, il

mondo-ambiente. Se la storia personale di ogni individuo si è svolta nel tempo, è stata

soggetta ad un processo di sedimentazione, dalla prima infanzia fino al momento

presente, ciò comporta che per studiare la vita di un io è necessaria un’analisi genetica,

che parta dagli inizi, dalla genesi, e ciò ci conduce alla fenomenologia genetica. Essa è

relativa al divenire nel tempo che riguarda sia l’Io che il mondo come Umwelt, i quali si

costituiscono secondo forme tipiche o ideali, che Husserl intende con il termine essenza

o anche, eide. Rispetto all’analisi della vita esperienziale dell’io, vengono presentate da

Husserl due possibili strade metodologiche tra loro connesse, la prima, come abbiamo

detto, è quella della fenomenologia genetica, la seconda è la fenomenologia eidetica, la

quale, a differenza della prima, non riguarda la dimensione concreta del soggetto o

dell’oggetto, ma opere sul piano delle essenza, degli eide.

Quando parliamo di visione o di descrizione eidetica noi ci riferiamo alla visione-di-

qualcosa, alla descrizione di un modello di oggettualità:

Partendo dall’esempio della percezione di questo tavolo, variamo ora il tavolo

come oggetto di percezione, in modo completamente libero, in modo quindi da

mantenere la percezione solo in quanto percezione-di-qualcosa, non importa quale,

quasi cominciando dal fatto che noi a nostro piacimento ci fingiamo il colore, la

forma ecc. del tavolo, mantenendolo solo come identico carattere dell’apparire

conforme a percezione. In altre parole, noi cambiamo il fatto di questa percezione,

astenendoci da ogni affermazione circa il suo valor d’essere, in una possibilità pura

fra tante altre che, pur essendo delle possibilità pure qualunque, restano sempre

possibilità pure di percezione48

.

Tramite questo procedimento, la percezione diviene un tipo particolare di percezione,

un eidos, che racchiude tutte le potenziali percezioni, che ha una sua particolare

struttura tipica senza la quale non potrebbe dirsi percezione. Muovendoci sul campo

della fenomenologia eidetica, abbiamo a che fare con essenze, come scrive Husserl,

«L’eidos stesso è un universale puro, veduto o visibile, incondizionato cioè non

condizionato da alcun fatto, come vuole il suo proprio senso intuitivo».49

Con ciò egli

47 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 119.

48 MC, p. 95.

49 MC, p. 96.

26

intende dire che un tipo eidetico, ad esempio nel caso della percezione, è ciò che fa sì,

ancor prima che sorga il concetto di percezione, che essa sia possibile così come è.

Può essere utile aggiungere che, nel momento in cui operiamo sul piano eidetico,

anche lo stesso ego può essere inteso come un eidos ego, come un ego che non è il mio

esistente con la sua storia personale, ma è ciò che rende possibile il sussistere stesso del

soggetto. Scrive Husserl: «Noi potremmo anche, in via preliminare, pensar questo io di

fatto come liberamente variabile e proporre il compito di una ricerca (che ha la natura

della ricerca d’essenze) dell’esplicita costituzione di un ego trascendentale in

generale»50

. Husserl qui intende suggerire che il nostro ego empirico concreto, sebbene

composto da specifici elementi personali, altro non è che una variazione rispetto ad una

forma tipica che garantisce la stessa esistenza dell’ego in generale. Si potrebbe

esplicitare quest’idea immaginando l’azione che compie il compasso nel suo tracciare il

cerchio. Se teniamo fermo il nostro nucleo eidetico, il punto in cui poggia l’ago del

compasso, il cerchio che viene tracciato rappresenta la sfera di possibilità relative

all’ego, l’estensione del centro eidetico dei raggi soggettivi all’interno di una sfera che

ha comunque sempre la stessa origine.

La fenomenologia eidetica permette di portare alla luce la struttura invariabile senza

la quale non è possibile pensare alcun io, né trascendentale, né alcun ego trascendentale

in generale.

Possiamo aggiungere un’altra peculiarità dell’analisi eidetica, la quale, come nota

Piana «ricostruisce così quell’ordine tra gli oggetti che la riduzione fenomenologica

aveva, per così dire, temporaneamente sospeso»51

. Per comprendere questo bisogna

ricordare che, tramite la riduzione trascendentale, sebbene avessimo raggiunto l’ego

cogito nel campo delle sue cogitationes e dischiuso così il campo dell’esperienza

trascendentale, avevamo nello stesso tempo sospeso la validità d’essere della datità

esterna. Una volta dischiuso il terreno eidetico, attraverso un’indagine descrittiva o una

scienza descrittiva di essenze, possiamo nuovamente ricondurre i fatti ai loro

fondamenti razionali, che sono quelli della pura possibilità52

, nella variazione rispetto ad

un eidos.

50 MC, p. 97.

51 G. Piana, I problemi della fenomenologia, p. 85.

52 MC, p. 98.

27

Introdotta la tematica relativa all’infinità di forme o tipi ideali, gli eide, Husserl ci

avvisa riguardo al fatto che non tutti i tipi sono compossibili in un ego concreto, come

non sono compossibili in uno stesso tempo e in uno stesso spazio: «Poiché, qualunque

cosa compaia nel mio ego ed eideticamente nell’ego in generale – siano momenti di

coscienza intenzionali, unità costituite, abitualità dell’io – ha la sua temporalità e

partecipa sotto quest’aspetto al sistema di forme dell’universale temporalità, per il quale

ogni ego immaginabile si costituisce per se stesso»53

.

Ogni Erlebnis relativo ad una oggettualità esterna, reale o possibile, rispetta una

precisa forma temporale ed il fascio universale di tutti i miei Erlebnisse deve costituirsi

in una forma unitaria. Il fluire di una datità si sviluppa attraverso le tre estasi temporali

del passato, presente e futuro e secondo le regole causali relative alla successione. Ogni

particolarità rappresenta un nucleo temporale all’interno di una temporalità universale,

un nucleo che può essere nel tempo e può co-esistere nel tempo con ciò che è altro.

Sulla base di quanto abbiamo detto relativamente alla dimensione eidetica, è possibile

affiancare una costituzione genetica che ci permette di leggere attraverso una lente

diversa i nostri precedenti assunti. Tramite la forma del tempo, fenomenologia eidetica

e fenomenologia genetica possono convivere ed integrarsi reciprocamente. Per chiarire

questo bisogna aggiungere che il nostro universo egologico è possibile solo come

universo temporale, come scrive Paci, «La forma del tempo è la "legge formale di

delimitazione della genesi universale" nella quale, immer wieder, secondo la relazione

soggetto-oggetto, noesi-noema, si costituiscono il passato, presente e l’avvenire»54

.

All’interno della forma del tempo si costituisce la storia personale di ogni Ego, si

aprono per lui possibilità esperienziali correlate a dei poli che possono essere semplici

datità, così come Umwelt, come mondi-ambiente ben precisi. Husserl nota come ogni

civiltà abbia un suo senso del tempo e dello spazio, un suo stile che segue la legge

universale del tempo:

L’ego si costituisce per se stesso, per così dire, nell’unità della storia; e se noi

abbiamo detto che nella costituzione dell’ego sono incluse le costituzioni di tutti gli

oggetti che sono per lui, sia immanente che trascendenti, ideali che reali, è ora da

aggiungere che i sistemi costitutivi, per i quali sono nell’ego quei certi oggetti e

53 MC, pp. 99 1̠00.

54 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 124.

28

quelle certe categorie di oggetti, hanno la loro possibilità pur solo entro i limiti di

una genesi secondo leggi55

.

Il tempo è quindi la forma universale di qualsiasi genesi, ogni ego vive la sua storia

personale nel tempo e costituisce se stesso e il mondo circostante, può costituirlo

proprio perché ha affrontato un determinato percorso, egli ha scoperto il mondo della

possibilità nel tempo, ha rivelato il tessuto eidetico di un mondo che sembrava porsi

come già-costituito, chiuso in se stesso. L’eidetico è, secondo Paci, la visione, oltre che

di forme già date, di forme possibili56

. Grazie alla riduzione, la vista dell’ego supera la

mera fattualità, riesce a vedere oltre ciò che appare statico, e a comprendere che egli è

libero poiché è capace di perdere il mondo familiare, di oltrepassare il già dato e di

vivere nel potenziale. L’ego può risvegliare il senso profondo ed originario della datità,

conferendole una nuova vitalità.

1.7 Genesi attiva e genesi passiva

Grazie alla connessione tra fenomenologia eidetica e fenomenologia genetica possiamo

considerare un particolare aspetto interno al concetto di genesi. Noi possiamo

considerare l’io come attività che produce nuove oggettività le quali hanno il loro

fondamento su oggettività già esistenti e già date, e quindi introdurre il campo della

genesi attiva. L’io che opera nella genesi attiva, è un io attivo che si pone come

costitutivo nei suoi atti intenzionali Questa coscienza operante che ha in sé gli oggetti

come suoi prodotti, l’io razionale che istituisce nuove forme di oggettività, è però

vincolato nella sua libertà da una passività ineliminabile, da ciò che è così come è, da

ciò che: «è dato nell’originarietà del se stesso nella sintesi dell’esperienza passiva»57

.

Questo grado inferiore che è presupposto all’apprensione dell’io riguarda la genesi

passiva. L’oggetto si dà sensibilmente nell’intuizione passiva, viene appreso e costituito

come oggetto determinato attraverso l’appercezione attiva, e sebbene essa possa essere

modificata in una forma ulteriore, la dimensione della cosa permane come Sosein.

Ancora una volta occorre ribadire che la coscienza fenomenologica è una coscienza che

55 MC, p. 100.

56 Cfr. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 125.

57 MC, p. 103.

29

si rapporta al mondo, all’oggettività, in una dimensione intuitiva, strettamente connessa

alla capacità della coscienza di una autorappresentazione intenzionale degli oggetti.

L’io deve quindi sempre confrontarsi con ciò che lo rende libero, con la sua

possibilità di portare alla luce l’inespresso, penetrando nel mondo eidetico delle pure

possibilità. Quindi con un presente che preannuncia un avvenire, e con un passato che

non può essere rivissuto poiché non è in nostro potere, è il passato di datità già formate

che precedono il nostro agire e che in parte lo guidano, lo condizionano. Scrive Husserl,

In virtù di questa sintesi passiva, in cui entrano anche le operazioni dell’attività,

l’io ha sempre d’intorno un campo di oggetti. Ed è oggetti. Ed è appunto per ciò

che tutto quel che affetta il mio ego come sviluppato è appercepito come oggetto,

come sostrato di predicati che si debbono ancora conoscere. Si tratta infatti di una

forma finale possibile, già precedentemente nota, di possibilità di esplicitazione[...]

e questa forma finale ci è già nota in avanzo come sorta di genesi. Essa rimanda

indietro alla sua stessa fondazione originaria58

.

L’io nella sua vita si imbatte continuamente in ciò che è a lui ignoto, eppure questo

ignoto è qualcosa che è già stato conosciuto una prima volta in maniera originaria, una

forma strutturale che può intendersi come oggetto e che nel suo esistere in un fascio di

possibili esplicitazioni, si annuncia come forma che esiste, ma che potrebbe essere

portata ad ulteriori esistenze, ad ulteriori sviluppi. Le pre-datità che si offrono nella

genesi passiva all’attività dell’io vengono costituite tramite il principio di associazione,

inteso da Husserl come un’espressione dell’intenzionalità nel tempo come coesistenza e

successione59

. Ciò che viene costituito nella genesi passiva non è del tutto compreso

dall’ego in quanto Sosein, in quanto pura fatticità, ma occorre l’agire intenzionale

dell’ego affinché ne venga espresso un senso. La storia personale di ogni Ego è

composta da un rapporto dialettico tra la genesi passiva e quella attiva, tra un Sosein che

non potrà essere compreso mai del tutto, ed una potenzialità che non verrà mai del tutto

realizzata, un passato che non si esaurirà mai del tutto ed un futuro anch’esso

inesauribile. Da tutto questo l’Io emerge in quanto attività intenzionale, come capacità

di trasformare il fattuale in attualità vivente.

Una volta compresa la dinamica di genesi attiva e genesi passiva, possiamo meglio

comprendere come l’ego possa costituirsi in sé e per sé e come possa costituire ciò che

58 MC, p. 104.

59 Cfr. MC, p. 104.

30

fuori di lui, sempre partendo dal campo della sua esperienza trascendentale. Il passo

successivo è di intendere l’ego come punto di partenza per ogni possibile conoscenza. Il

soggetto fenomenologico, inteso come sforzo di ripresentificare l’essere secondo una

direzione intenzionale, costituisce per Husserl la fenomenologia come idealismo

trascendentale:

un’autoesplicazione del mio ego come soggetto di ogni possibile conoscere,

condotta nella forma di una scienza egologica sistematica, avendo ciò di mira ogni

senso dell’oggetto esistente che deve appunto poter aver senso per me come

ego.[...] Esso è l’esplicazione di senso realmente condotta su ogni tipo pensabile di

essere per me, come ego, e specialmente sulla trascendenza (che mi si presenta

realmente data sperimentalmente) della natura, della cultura e del mondo in

generale60

.

60 MC, p. 109.

31

II. IL SOGGETTO E L’ALTERITÀ

2.1. Il problema degli altri

Quanto abbiamo detto finora necessita di essere ulteriormente approfondito attraverso

l’ultima importante tematica relativa all’intersoggettivà. Husserl introduce quest’ultima

nella quinta meditazione, domandandosi se il soggetto finora considerato non sia altro

che un solus ipse, un soggetto isolato nella sua sfera personale. Le conseguenze del

solipsismo comprometterebbero la pretesa delle fenomenologia di essere una scienza in

grado di risolvere i problemi trascendentali del mondo oggettivo.61

Il soggetto

trascendentale, ridotto tramite l’epoché, è un soggetto che costituisce il mondo e gli

oggetti del mondo partendo dalle sue cogitationes. Nell’esperienza trascendentale egli

ha costituito le oggettività del mondo, ma queste, così come il mondo stesso, non sono

qualcosa di relativo solo ad un unico soggetto. Il soggetto nel suo esperire si imbatte in

delle oggettività che non sono da lui intuite come delle mere cose, bensì come delle

oggettività psico-fisiche. Queste oggettività sono altri ego, i quali non posso essere

costituiti solo come dei cogitata del soggetto, ma sono anch’essi soggetti che hanno

esperienza del mondo e delle oggettualità in esso presenti. Scrive Husserl,

io ho esperienza degli altri come altri che sono, in molteplicità d’esperienze

concordanti e variabili; da un canto, io ne ho esperienza come di oggetti mondani,

ma non come mere cose naturali(sebbene sotto un certo aspetto anche come

tali).Essi sono esperiti anche come esseri psichici che vivono nei rispettivi corpi

naturali. Intrecciati quindi, in modo tutto proprio ai corpi, come oggetti psico-fisici,

gli altri sono nel mondo. D’altro canto io lo esperisco come soggetti per questo

mondo, che hanno di esso esperienza, come dello stesso mondo che io esperisco e

che per ciò hanno esperienza di me pure, di me appunto in quanto esperisco il

mondo e gli altri che vi stanno62

.

Nel mio vivere coscienziale io esperisco gli altri sia come realtà che sono nel mondo,

sia come altri ego, soggetti come me. In quanto sono soggetti come me, hanno anche

loro la le mie stesse possibilità di percepire e di avere un mondo come loro mondo-

ambiente.

61 Cfr. MC, p. 113.

62 MC, p. 115.

32

Nelle nostre analisi precedenti è stato messo in luce come la fenomenologia si basi

sulla dimensione soggettiva delle conoscenza, sull’essere per la coscienza di ogni

oggettualità, cosicché l’esperienza di ogni soggetto risiede proprio nel fatto di essere per

lui. Il mondo è il mondo così come è per me nel mio farne esperienza, nella mia

corrente di Erlebnisse. Se così stanno le cose, allora ogni soggetto ha la sua esperienza

del mondo e degli altri. Come nota Paci, «La Quinta meditazione tende quindi a

esplicitare il senso dell’esperienza naturale sociale e culturale in quanto senso

dell’esperienza che è per ognuno»63

.

Dobbiamo ora considerare che il soggetto esperisce il mondo sia come suo cogitatum

sia come sfondo di tutte le possibili oggettualità, e tra queste oggettualità vi sono gli

altri soggetti, i quali a loro volta hanno il mondo come sfondo dei loro possibili atti

intenzionali64

. Bisogna inoltre aggiungere che il mondo, prima della riduzione, era una

mondo in cui il soggetto si rapportava a prodotti spirituali, opera dell’uomo stesso. Ci

accorgiamo allora, che il problema relativo all’esistenza di altri ego coinvolge l’intera

vita intenzionale del soggetto trascendentale, «Questo problema si presenta dunque a

tutta prima come un problema speciale, quello dell’esserci-per-me degli altri ed è quindi

il tema della teoria trascendentale della esperienza dell’estraneo, ossia della cosiddetta

empatia. Ma subito si vede che l’importanza di tale teoria è molto maggiore di quel che

sembra a prima vista, in quanto essa parimenti fonda una teoria trascendentale del

mondo oggettivo e anzi in modo completo, specialmente riguardo alla natura

oggettiva»65

.

La problematica dell’alterità rimette in discussione in maniera critica il cammino

finora svolto, mostrando come il mondo in quanto cogitatum sia solo una modalità in sé

parziale in cui è possibile intendere il mondo. Affinché il soggetto possa avere

coscienza del mondo nel suo essere concreto, è necessario che si apra alla dimensione

intersoggettiva. Inoltre, se vogliamo parlare di un soggetto concreto, occorre che esso

sia relazionato ad un mondo che è anche un mondo intersoggettivo. La mia sfera di

Erlebnisse è relativa ad un mondo che contiene in sé oggettività con una loro storia

63 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 130.

64 La tematica relativa al mondo è stata affrontata da Husserl, in modo ancor più dettagliato, nella

terza parte della Krisis, a partire dal paragrafo §28.

65 MC, p. 115.

33

intersoggettiva, prodotti culturali, sociali etc. La mia esperienza trascendentale è anche

esperienza di altri soggetti, che non posso costituire privatamente, come meri cogitatum,

poiché essi sono a loro volta simili a me. Nel rapportarmi agli altri io non sono

unicamente il soggetto conoscente, ma sono nello stesso, un soggetto che viene

conosciuto. Se voglio costituirmi in quanto soggetto concreto, che vive nel mondo e che

agisce in esso, non posso fare a meno di considerare gli altri. Essi sono per me soggetti

con i quali condivido un mondo, i quali inevitabilmente, tramite il loro agire,

modificano il mondo stesso. Inoltre, se la fenomenologia non vuole subire l’accusa di

non essere altro che un solipsismo trascendentale, una dimensione privata della

conoscenza, occorre che essa dischiuda il campo intersoggettivo.

2.2 Riduzione alla sfera d’appartenenza e corpo proprio

Il problema dell’altro per Husserl si costituisce partendo dalla nozione di alter ego. La

strada che Husserl indica richiede di partire proprio dal soggetto, dalla riduzione alla

sfera d’appartenenza, (Eigenheitsphäre).

Come scrive Paci, «all’interno dell’Ego cogito si presenta qualcosa che pur essendo

in me, mi trascende. Trovo in me l’esperienza di qualcosa che, pur presentandosi, è

assente. Questo qualcosa, se io sono nel mondo dell’Ego, non posso definirlo se non

come qualcosa che non è l’Ego»66

. Ciò che non è l’ego quindi, è ciò che è altro da lui,

un alter ego. Per delineare cosa sia ciò che non mi appartiene, occorre compiere

nuovamente un’epoché la quale consiste in una riduzione alla sfera trascendentale

dell’appartenenza. Questa epoché comporta un’astrazione «da tutti i prodotti costitutivi

dell’intenzionalità riferita mediatamente o immediatamente alla soggettività estranea»67

.

Questa sfera è stata ottenuta mettendo tra parentesi le percezioni dell’ego relative a ciò

che è sentito come estraneo e mantenendo solo ciò che è vissuto come proprio. Il

soggetto rimane sul piano trascendentale nel quale tutto ciò che prima era dato esistente

viene ora posto come fenomeno, «come senso presunto che si verifica, puramente nel

modo in cui ha ottenuto per noi senso d’essere come correlato dei sistemi costitutivi da

66 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 129.

67 MC, p. 116.

34

scoprire»68

. Il passo successivo comporta una epoché tematica, la quale delimita

all’interno della mia esperienza trascendentale ciò che io posso considerare come mio-

proprio. Questa è la sfera della non-estraneità, da cui posso scindere tramite astrazione

ciò che fa parte dell’esperienza dell’estraneità.

Per chiarire questo passaggio potrebbe essere utile fare un esempio concreto,

partendo da una qualsiasi esperienza percettiva. Quando l’ego percepisce un oggetto, ad

esempio un libro, esso è sentito da lui come suo cogitatum e nello stesso tempo si dà in

un fluire di sensazioni. Le sensazioni relative al libro sono qualcosa di mio solo nella

misura in cui mie sono, ad esempio, le mani con le quali sfoglio le pagine. Le sensazioni

relative al libro si riferiscono a qualcosa che è a me estraneo, ma ciò che io sento

nell’atto del toccare il libro, è qualcosa che mi appartiene. Possiamo quindi dire che ciò

che fa parte della sfera d’appartenenza è il mio corpo, inteso come corpo-proprio (Leib),

mentre ciò che è estraneo è il libro. Quando parliamo dell’estraneità del libro, ad

esempio, intendiamo non solo l’oggetto in quanto oggetto a me esterno, ma anche tutto

ciò che ad esso è connesso. L’estraneità è relativa anche al fatto che questo libro sia un

prodotto spirituale e materiale dell’operare umano, che esso abbia una suo valore

culturale per altri soggetti, una sua funzione etc.

Il corpo che viene ritrovato nella riduzione alla sfera appartentiva è il Leib, il corpo-

proprio o vivo, che differisce dal corpo fisico o organico, il Körper. Il corpo appartiene

alla natura, precisamente alla eigenheitliche Natur (natura appartentiva), ed è grazie ad

esso che è possibile l’esperienza sensibile. Tramite il corpo io posso percepire gli

oggetti, posso provare differenti tipi di sensazioni, posso agire. Scrive Husserl:

Questo corpo è la sola e unica cosa in cui io direttamente governo e impero,

dominando singolarmente in ciascuno dei suoi organi. Io percepisco, posso sempre

percepire, con le mani sensazioni tattili e cinestetiche, con gli occhi sensazioni

visive ecc.; i fenomeni cinestetici degli organi scorrono nell’io faccio e sottostanno

al mio io posso. […] Nella mia attività percettiva percepisco (o posso percepire)

tutta la natura e in essa la mia corporeità propria che in quest’atto è perciò riferita a

se stessa69

.

Grazie alla capacità di sentire il mio corpo nell’azione percettiva, di toccarmi e

sentire la mano con cui compio il gesto, il corpo permette di mettere in luce la sfera

68 MC, p. 118.

69 MC, p. 119.

35

appartentiva. In virtù dell’esperienza che posso sempre e di nuovo avere del mio corpo,

io mi costituisco come unità psicofisica.

2.3. Mondo, alterità e tempo

L’analisi finora svolta ci ha condotti a determinare cosa rientra nella sfera dell’a-me-

proprio, ciò è stato possibile nella relazione con il concetto di altro. Quello che mi

appartiene come componente concreta delle mia monade non è qualcosa di realmente

separato da ciò che sembrerebbe non appartenermi. Ciò che mi è proprio mi appartiene

come primo strato non estraneo, ma attraverso di me si costituisce il mondo oggettivo,

che viene inteso come ciò che è estraneo, l’estraneo nel modo dell’alter ego che vive in

me. La dimensione dell’alterità è qualcosa di non separabile dalla dimensione dell’ego,

il mondo che è estraneo è anche il mondo che vive trasfigurato nel soggetto. Scrive

Enzo Paci,

Prima il mondo non era nella mia sfera propria: ora che l’ho scoperto estraneo al

mio proprio, lo ritrovo nel mio proprio che lo vive, e lo vive, appunto, come

estraneo nel proprio, fino al punto che io posso dire che la vita mia propria è

caratterizzata dal fatto di vivere in sé come propria l’estraneità senza ridurla a

"proprietà".70

La scoperta del proprio è possibile solo tramite la scoperta dell’alterità, il soggetto

stesso può identificare ciò che gli appartiene grazie alla relazione con ciò che non fa

parte della sua sfera di proprietà. Il mondo oggettivo è ciò che viene intenzionato dal

soggetto come qualcosa di esterno, ma nello stesso tempo è presente all’interno del

soggetto trasfigurato nei suoi vissuti. L’esperienza dell’estraneità si presenta come

l’esperienza di qualcosa che non è l’io, ma nello stesso tempo che esiste nell’io come

estraneità. Per Husserl, l’aver esperienza dell’alterità come «esperienza di un mondo

oggettivo e perciò dell’altro (il non-io nella forma di un altro io)»71

comporta che l’io si

relazioni con una trascendenza che poggia inizialmente su un’esperienza primordiale

del mondo. Ciò vuol dire che nel percorso costitutivo di un mondo che è estraneo all’io

70 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 134.

71 MC, p. 127.

36

ogni soggetto si relaziona con un mondo che viene prima di ogni oggettivazione, che

esiste come unità sintetica, indice di tutte possibili azioni del soggetto.

Il mondo oggettivo è e si presenta come grado ulteriore dell’intenzionalità, è

l’elevazione di senso al di sopra della sfera primordiale dell’io: il mondo inteso come

fenomeno di un determinato mondo oggettivo che è per me e per gli altri. Come scrive

Husserl, «ciò che prima era in sé estraneo (il primo non-io) è ora l’altro io»72

.

L’estraneità diviene una nuova alterità, quella del mondo oggettivo e degli altri, intesi

nel senso della pura generalità. Questi altri, non ancora declinati nel mondano, non sono

separati gli uni dagli altri, ma sono una comunità di monadi. Questa comunità,

composta da altri io, esperisce un mondo che è unico, che funge da fondamento per tutti

e che ospita tutte le monadi. Quello che ora occorre dire è che, ogni monade ha una sua

sfera temporale interna, e nello stesso tempo partecipa ad una temporalità non

determinata che è trascendente rispetto a lei. Ogni monade, così come ogni individuo

concreto, è una porzione immanente in un più ampio orizzonte di trascendenza che è il

mondo degli altri. Il soggetto, come abbiamo più volte detto, è una evidenza nella

dimensione della presenzialità. Una volta dischiuso un mondo intermonadico, bisogna

considerare che esisteranno altri soggetti, altri nuclei di presenzialità. Esiste una

temporalità primordiale, data dall’intuizione della propria presenza, o ancora, dal vivere

la presenzialità in quanto Kern, in quanto nucleo.

Il mondo, poiché è anche un mondo per altri, si sviluppa ed esiste in una dimensione

temporale trascendente rispetto al nucleo di presenzialità inteso come Kern. Nel

momento in cui si costituisce il mondo oggettivo, si costituisce una nuova dimensione

di temporalità, che non mi appartiene, che è altro da me. Possiamo quindi aggiungere,

utilizzando le parole di Paci, che la trascendenza temporale del mondo rispetto al

soggetto «apre le porte alla presenza dell’altro nella mia presenza»73

. Ritornando a

quanto avevamo detto rispetto alla presenza del mondo nel soggetto, possiamo

aggiungere che ciò comporta anche l’esperienza di una trascendenza all’interno del

soggetto. Una volta scoperta la trascendenza, scopriamo una dimensione temporale

diversa da noi, ma che vive in noi, scopriamo il tempo della comunità. Questa

trascendenza non può essere ridotta alla mia sfera di appartenenza, è una temporalità

72 MC, p. 127.

73 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 140.

37

che vive in ogni soggetto ed in ognuno in un modo peculiare. Quando io esperisco il

mondo intenzionalmente e costituisco gli oggetti in esso presenti, lo faccio vivendo

diverse dimensioni temporali, quella della mia immanenza e quella della trascendenza

del mondo. Il mio atto di presentificazione, i miei atti intenzionali, fanno parte della mia

sfera propria, ciò significa che un altro soggetto avrà una sua sfera peculiare. Come

scrive Paci, «la monade non può presentificare tutto: il suo stesso limite lascia la

possibilità di esistenza di altre monadi»74

. Io posso esplicitare i miei contenuti

intenzionali, posso passare dalla percezione all’appercezione, posso costituire oggetti

del mondo che abbiano un senso per me. Il mondo obbiettivo come è per tutti si

costituisce come una sintesi concordante delle mie esperienze e di quelle degli altri. Il

mondo intersoggettivo è il risultato di una infinita concordanza di intenzionalità,

ognuna presa nella sua immanenza, all’interno dell’esperienza comune della

trascendenza temporale del mondo.

Affinché esista un mondo oggettivo ed un soggetto concreto è fondamentale che

esista l’alterità, poiché essa permette la creazione di un mondo concreto condiviso da

tutti e nello stesso tempo, permette l’esistenza concreta del singolo soggetto.

74 E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, p. 141.

38

CONCLUSIONE

L’analisi delle Meditazioni cartesiane ci ha permesso di descrivere lo sviluppo della

soggettività, soffermandoci sul ruolo che la temporalità ricopre nel corso di questo

costituzione soggettiva. Partendo dal cogito cartesiano, delineato come presenza

evidente nel tempo, ho sviluppato il concetto di evidenza. L’evidenza, come è stato

mostrato, è relativa al soggetto, ma investe anche l’oggettualità stessa. Sviluppando

l’analisi relativa al cogito, è stato possibile mostrare il nesso che lega evidenza, tempo e

presenza.

Esemplificare questo nesso significa descrivere il percorso di intuizione del soggetto

come un’autointuizione che avviene nel tempo. Questa intuizione permette al soggetto

stesso di relazionarsi con un prima e con un dopo, ma nel farlo egli si rende conto di

intuirsi come un’attualità che permane nel flusso del tempo. Ho cercato di chiarire

ulteriormente questo passaggio facendo riferimento all’epoché, la messa tra parentesi

del mondo e della sua certezza d’essere, definendo il cogito come ciò che sopravvive al

dubbio. Il soggetto, in quanto residuo fenomenologico, si coglie come l’unica parte del

passato, cioè di quello che v’era prima di compiere l’epoché, che permane in quanto

presenza presente. Il cogito emerge così come terreno di evidenza apodittica, che si

pone come punto di partenza per ogni possibile conoscenza. L’elemento

dell’apoditticità rimane però problematico, perché se il cogito è evidente per se stesso in

un’intuizione e in un’esperienza della sua presenza temporale, questo si dimostrerebbe

non coincidente con il concetto stesso di necessità logica che l’apoditticità impone. Ho

provato a mostrare che il cogito è necessariamente certo di sé, ma quanto è emerso è che

non lo è in virtù di una evidenza logica. L’evidenza richiederebbe una torsione

relativamente al campo di appartenenza, intendendola non più su un piano logico, bensì

su un piano intuitivo.

Una volta determinato il significato di evidenza, ho sviluppato la tematica relativa

alla relazione tra cogito e cogitatum, anch’essa profondamente connessa alla

dimensione temporale. Il cogito, dopo la riduzione alla sfera trascendentale, ha il mondo

come suo cogitatum, come fenomeno d’esistenza per lui, e lo stesso è possibile dire di

tutte le oggettualità con cui il soggetto si relazione.

39

Il punto sul quale mi sono focalizzata è stato quello relativo alla temporalità della

vita di coscienza, quella relativa al flusso degli Erlebnisse, dei vissuti.

Nell’esperienza trascendentale, il soggetto opera all’interno di differenti momenti

temporali: nell’immanenza di ciò che è a lui presente come cogitatum nel flusso delle

cogitationes e nella trascendenza del tempo del mondo che sempre fluisce.

Tramite la capacità sintetica, la coscienza è in grado di connettere tra loro i vari

vissuti, e di unificarli in una concatenazione coerente nel tempo universale della vita del

mondo.

Ho evidenziato le peculiarità della coscienza, quelle relative alla sua capacità di

tornare riflessivamente sui suoi vissuti, di rimemorare qualcosa di passato, di farlo

riviere nel presente presentificandolo, e la capacità di immaginare ed anticipare

qualcosa di futuro. Tutto questo è possibile grazie al fatto che la coscienza è coscienza

del tempo che vive nel tempo, la quale agisce, come ho detto precedentemente, su più

piani temporali. La Zeitform, la forma temporale, che esercita un ruolo fondamentale

per la costituzione del soggetto e dell’esperienza trascendentale.

Relativamente al cogitatum, ho poi sottolineato come la sua evidenza sia relativa alla

dimensione soggettiva, all’essere per la coscienza. Il mondo è in quanto cogitatum della

coscienza, e si pone come sfondo di ogni oggettualità, mentre le datità sono dei nuclei di

evidenza da portare ad espressione. Per comprendere come intendere l’evidenza della

cosa, è stato necessario tornare sul tema del tempo, che in questo caso si presenta come

sfondo per il movimento dialettico tra attualità e potenzialità. L’evidenza della cosa è il

nucleo di presenzialità in cui si dà, ma non è qualcosa di definitivo. La cosa infatti,

oscilla per il soggetto tra il suo darsi come Einseitigkeit (unilateralità) e il suo essere

indice di potenzialità di riempimento, che la ragione soggettiva può immer wieder

(ancora e di nuovo) sviluppare e ripresentificare, costituendo la cosa sotto nuovi aspetti.

Quanto è stato finora detto, permette di porre l’accento su un fatto rilevante per la

soggettività, ossia la dimensione di apertura che è possibile solo grazie alla capacità

della coscienza di vivere nell’universalità del tempo. Il soggetto è indice di immanenza,

eppure attraverso il tempo può muoversi in una dialettica tra immanenza e trascendenza,

tra finito ed infinito.

40

Lo stesso concetto di infinito, inteso come polo di potenzialità per la coscienza nel

tempo, non è più l’infinito della metafisica, ma diventa un elemento fondante, interno

all’agire della coscienza.

Il passaggio ulteriore, per comprendere le dinamiche costitutive del soggetto, è stato

quello di introdurre la dialettica tra fenomenologia eidetica e fenomenologia genetica.

Questa chiarisce ulteriormente il concetto di evidenza relativamente al cogitatum, e si

connette con la dimensione temporale. La fenomenologia eidetica ci permette di

individuare il nucleo dell’oggettualità, il centro della cosa, la quale poi si dipana in

molteplici periferie. La fenomenologia genetica ci permette di descrive i fasci potenziali

che dal nucleo o centro si estendono. La dialettica tra questi due modi descrittivi è

possibile grazie alla dimensione temporale, la quale permette l’integrazione tra

l’attualità del nucleo e la potenzialità dei raggi.

Un ulteriore passo è stato quello di considerare il soggetto nel suo operare

intenzionale che produce nuovi oggetti, ed in questo caso si è parlato di genesi attiva e,

nell’aspetto relativo all’intuizione della cosa, relativo alla genesi passiva. Se da una

parte il soggetto è libero, in quanto costituisce prodotti intenzionali sviluppando i raggi

potenziali delle datità, dall’altro è vincolato all’aspetto fattuale della cosa. Il tempo è

quindi la forma dove avviene il continuo sforzo tra il tentativo di sviluppare ed

esprimere il potenziale, e il limite che lo stesso potenziale pone al soggetto. L’ego non

potrà mai comprendere del tutto il Sosein, la fatticità immanente, né potrà mai realizzare

interamente la potenzialità che il tempo gli offre.

Quest’ultimo punto ci permette nuovamente di mettere in luce l’importanza della

dialettica temporale, interna alla coscienza, ed esterna ad essa, la quale determina il

nostro agire nel mondo, e la dimensione di apertura nella quale il soggetto vive

costantemente.

Per completare l’analisi relativa alla soggettività, ho fatto riferimento alla dimensione

relativa alla corporeità e alla sfera d’appartenenza. L’io, prima inteso come cogito, poi

analizzato come coscienza, è un soggetto che manca di concretezza, e se tale dovesse

rimanere sarebbe una semplicemente un’astrazione. Husserl invece comincia a parlare

di soggetto concreto a partire dalla quinta meditazione, riferendosi al soggetto come

monade, come unità psicofisica. Una volta introdotto il tema del corpo proprio, del Leib,

ho mostrato come, tramite la riduzione alla sfera di appartenenza, la monade porti alla

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luce la sfera del proprio in rapporto alla sfera di ciò che è vissuto come non-proprio. Il

passo successivo è il riconoscimento di ciò che non è proprio, non semplicemente come

altro, ma come altro che in parte appartiene al soggetto stesso.

Questo mi ha permesso di chiarire l’importanza che la sfera dell’alterità riveste per la

costituzione del soggetto. Essa permette al soggetto di cogliere se stesso in una

dinamica dialettica tra il proprio e l’estraneo, ma nello stesso tempo l’estraneo che

definisce il proprio, vive nel soggetto come alterità. Il mondo che è per il soggetto in

quanto cogitatum è il mondo oggettivo nel quale egli vive come monade. In questo

mondo vivono altre monadi, anch’esse cifra di alterità per il soggetto, ma nello stesso

tempo riconosciute come simili. Quello che ho mostrato è che il mondo poggia su una

forma temporale trascendente rispetto alla monade, ma nello stesso tempo questa

trascendenza è il risultato dell’intreccio di ogni immanenza individuale di ogni monade.

Il tempo vissuto dalla singola monade, quello della pura presenzialità, è un tempo

che esiste compresente al tempo di ogni altra monade, e l’esperienza del mondo è

l’esperienza di una trascendenza temporale che in parte vive già nello stesso soggetto e

che è intrecciata con altri soggetti. Ne risulta che ogni soggetto è una parte immanente-

trascendente all’interno dell’esperienza comune della trascendenza temporale del

mondo.

In conclusione, il percorso che ho svolto mi ha permesso di sviluppare il soggetto

attraverso la dialettica interna al tempo, fino a giungere alla dimensione della

concretezza del mondo oggettivo. La monade che vive nel mondo intersoggettivo è il

risultato di una dinamica temporale condivisa, che prima sembrava essere solo quella

della relazione cogito-cogitatum, ed ora è invece l’intreccio del tempo soggettivo

immanente-trascendente con quello degli atri.

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