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88. Jahrgang des Gutenberg-Jahrbuchs. Begründet 1926 von aloys ruppel

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo. Considerazioni sulla possibile applicazione dello spolvero nel libro medievale, in “Gutenberg-Jahrbuch”, 2013, pp. 86-100

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88. Jahrgang des Gutenberg-Jahrbuchs. Begründet 1926 von aloys ruppel

G u t e n B e r G - J a h r B u c h

Im auftrag der Gutenberg-Gesellschaft herausgegeben von stephan füssel

2013

i n h a l t 7

Buch-, Druck-, Papier- und Schriftmuseen

Gutenberg Award 2012

Druckforschung

gutenberg award 2012: Elizabeth L. Eisenstein 11

alan marshall Introduction to the series Book and Printing Museums by

the President of the Association of European printing museums 21Lyons Printing Museum 24

arnold und doris esch Aus der Frühgeschichte der Spielkarte. Der Import von carte da

giocare und trionfi nach Rom 1445–65 41

günter hägele Neue Quellen zum Druck der 30-zeiligen Mainzer Ablassbriefe

und zum Vertrieb des »Zypern-Ablasses« im Erzbistum Köln und in den umliegenden Gebieten 54

adolfo tura Di due incunaboli ignoti, di uno poco conosciuto e della

tipografia romana «in gymnasio Mediceo» 63

jonathan green and oliver duntze Johannes von Glogau and the Earliest German Practicas 68

daniele guernelli Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo. Considerazioni sulla possibile applicazione dello spolvero nel libro medievale 86

timoty leonardi Legature gotiche tedesche alla Newberry Library. Il caso di Anton Koberger 101

dieter wuttke Das Zierquadrangel. Formen, Funktionen, Geschichte,

Unsicherheiten der Deutung besonders im Hinblick auf Dürer 111

gisela möncke Hans Sachs’ Klagrede deutschen Landes und andere Drucke der

Geglerpresse mit irreführenden Erscheinungsvermerken 119

helmut claus »Gedruckt in Siebenbürgen durch Jernei Skuryaniz« 127

miquela forteza oliver Los Dos Libros de Cosmographia de Jerónimo Girava.

Imágenes ilustrativas 139

8 inhalt

andrás németh A Viennese Bibliophile in the Hungarian Royal Library in 1525 149

kirsten krumeich Fasciculus medicine 166

graham shaw English books around the world: The East India Company and the

globalization of the English book and book-trade 180

katrin wesenberg Die ausgegrabenen Bücher: Carl Maria Seyppels

»Ägyptische Trilogie« 204

hans altenhein Der Holle Verlag. Eine Spurensuche zwischen 1933 und 1988 209

roberto cicala Il carattere Tallone per Petrarca. Le lettere di un

progetto con Contini 246

mario derra Ein wieder aufgefundenes Dokument der Schöffer-Verehrung im

19. Jahrhundert 261

juliane schwoch Fest verankert – Erinnerungsort Gutenberg-Denkmal 269

Abkürzungsverzeichnisse 272Autorenanschriften 277

Ehrentafel der Gutenberg-Gesellschaft 278Präsidium und Vorstand der Gutenberg-Gesellschaft 279

Jahresbericht der Gutenberg-Gesellschaft 280Jahresbericht des Gutenberg-Museums 285

Jahresbericht des Instituts für Buchwissenschaft 292Tagungsbericht: xv i i i . Mainzer Kolloquium 300

Impressum

Bibliotheksgeschichte

Verlags- und Buchhandels- geschichte

Gutenberg- und Schöfferverehrung – heute und gestern

86

L’autore desidera ringraziare Lilian Armstrong, Teresa D’Urso, Massimo Baucia ed il personale della b Landi Passerini di Piacenza.1 mario ciGnoni: Bernardino

Cignoni. Maestro miniatore del Rinasci-mento (Casole d’Elsa 1448/49 – Siena 1496). Firenze 1996, p. 73. Sul miniatore si veda da ultimo daniele Guernelli: Un miniatore di sangue blu. Bernardino Cignoni. In: Alumina. Pagine miniate. 33 (2011), pp. 24–31, con bibliografia precedente.2 armando Petrucci: Copisti e libri

manoscritti dopo l’avvento della stampa. In: Scribi e colofoni. Le sottoscrizioni di

copisti dalle origini all’avvento della stampa. A cura di emma condello e GiuSePPe de GreGorio. (Atti del Semi­nario di Erice, X Colloquio del Comité International de Paléographie latine, 23.–28. 10. 1993). Spoleto 1995, pp. 507–25.3 FranceSca cenni: La penna e il

torchio: una questione di soldi. In: Dal libro manoscritto al libro stampato. (Atti del Convegno Internazionale di Studio, Roma, 10.–12. 12. 2009). Spoleto 2010, pp. 199–223, qui p. 199.4 lilian armStronG: The impact of

Printing on Miniaturists in Venice after 1469. In: Printing the Written Word.

The Social History of Books circa 1450–1520. A cura di Sandra l. hindman. Ithaca / Londra 1991, pp. 174–202; eadem: The Hand­Illumination of Printed Books in Italy 1465–1515. In: The Painted Page. Italian Renaissance Book Illumination 1450–1550 (catalogo della mostra, Londra, Royal Academy, 27. 10. 1994–22. 1. 1995; New York, The Pierpont Morgan l 15. 2.–7. 3. 1995). A cura di jonathan j. aleXander. New York / Monaco di Baviera 1995, pp. 35–47.5 lamberto donati: I fregi xilografici

stampati a mano negl’incunaboli italiani. In: La Bibliofilia. 74 (1972), pp. 157–64, 303–27, e 75 (1973),

daniele guernelli

un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo. considerazioni sulla possibile applicazione dello

spolvero nel libro medievale

la critica si è spesso soffermata sulle brevi note che il minia-tore senese Bernardino Cignoni lasciò nel 1491, quando affermò: «[per] l’arte mia non fa più niente per l’amore de’ libri, che si fano in forma che non si miniano più».1 Non molto diversa fu la constatazione del copista fiorentino Antonio Sinibaldi, il quale nel 1480 asseriva: «et lo exercitio mio è solo di scrivere a pretio. Quale è ridocto per mezzo della stampa in modo che appena ne trago il vestito».2 Nonostante tali dichiarazioni fossero messe nero su bianco in denuncie di beni catastali, occasioni che talvolta inducevano a qualche forma di sovradimensio-nata lamentela, rappresentano comunque una interessante finestra di opportunità in grado di misurare l’impatto che la produzione a stampa ebbe sul mercato tardo quattrocentesco e sugli oliati meccanismi che la precedettero ed affiancarono. Una produzione che generò addirittura anche un abbassamento del prezzo del libro manoscritto, come dimo-stra la testimonianza di Ser Ludovico di Messer Angiolo Martinozzi di Siena, che nel 1481 dichiarava di possedere: «una certa quantità di libri, che la buona anima di mio padre comprò e fece scrivere per più di 1500 fiorini, che oggi io non darei manco 1000, perché le forme hanno fatto che quello libro che valeva 10 fiorini non vale oggi due».3 Tuttavia, per quanto riguarda la miniatura, che visse in quei decenni la sua estate di San Martino, le cose non furono così lineari, e come giustamente notato da Lilian Armstrong, l’incremento della produzione incunabolistica rappresentò un’opportunità di lavoro in più, e non in meno, che gli stessi miniatori forse non seppero sfruttare.4 Infatti, benché il nuovo libro stampato ricalcasse quasi tutte le consuetudini di quello mano-scritto – nella stessa misura in cui le prime Benz Patent-Motorwagen

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 87

pp. 125–74; idem: I fregi xilografici stampati a mano negli incunaboli italiani. In: La Bibliofilia. 81 (1979), pp. 41–74; SuSy marcon: Esempi di xilominiatura nella Biblioteca di San Marco. In: Ateneo Veneto. 173 (1986), pp. 173–93; GeorGe abramS: Venetian Xylographic Update. In: Gj 1988, pp. 43–6; idem: Venetian Xylography at The John Rylands University Library. In: Gj 1995, pp. 66–70.6 domenico Fava Libri membranacei

stampati in Italia nel Quattrocento. In: Gj 1937, pp. 55–78, qui p. 76/7. Sulla questione della serialità decorativa si veda anche ulrike bauer-eberhardt:

Serienprodukt oder Unikat? Buchmalerei in Venezianischen Inkunabeln. In: Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte. 58 (2009), pp. 261–73.7 mary e richard rouSe: Cartolai,

Illuminators and Printers in Fifteenth- Century Italy. The Evidence of the Ripoli Press. Los Angeles 1988, p. 15.8 otto Pächt / jonathan j. aleX-

ander: Illuminated manuscripts in the Bodleian Library Oxford. Vol. ii: Italian School. Oxford 1970, p. 78 numero 747.9 albinia de la mare: Vespasiano da

Bisticci. In: Dictionary of Art. Londra 1996, vol. 32, pp. 384/5; eadem: Vespasiano da Bisticci as producer of classical

manuscripts in fifteenth­century Florence. In: Medieval manuscripts of the latin classics: production and use. A cura di claudine a. chavanneS maZel e marGaret m. Smith. Los Altos Hill / Londra 1996, pp. 167–207.10 veSPaSiano da biSticci: Vite.

A cura di aulo Greco. Firenze 1970, vol. i, p. 398.11 martin davieS: «Non ve n’è

ignuno a stampa»: The Printed Books of Federico da Montefeltro. In: Federico da Montefeltro and his Library (catalogo della mostra, New York, The Pierpont Morgan L and M, 8. 6.–30. 9. 2007). A cura di marcello Simonetta. →

altro non erano che carrozze addizionate di motore – gli spazi lasciati liberi per la decorazione miniata nei nuovi stampati spesso non vennero riempiti. Addirittura, per ridurre i tempi e velocizzare la produzione nel mercato veneziano si impose per qualche tempo la stampa dei fronte-spizi, aggiunti in un momento successivo a quella dell’incunabolo vero e proprio, e in seguito a volte colorati (xilominiatura).5 In un modo o nell’altro, le potenzialità – e talvolta, la necessità stessa – dell’ausilio tec-nico-seriale apparvero in quegli anni porsi in tutta la loro urgenza alla decorazione miniata, che di li a poco avrebbe perso definitivamente la partita per consegnarsi al dilettantismo. In questo senso, tra le eventua-lità che la critica ha vagliato negli ultimi decenni vi è anche la possibile applicazione ai manoscritti della tecnica dello spolvero, che in epoca quattro-cinquecentesca esplose con forza nella pittura monumentale, permettendo di replicare senza sforzo idee compositive grazie ad un procedimento in qualche modo «meccanico». Questo saggio cercherà di ripercorrere e vagliare ulteriormente tale suggestione, dalla difficile dimostrazione, partendo da un incunabolo che fino ad ora ha trovato opportuno spazio solo in queste pagine più di cinquant’anni fa: il Messale della Biblioteca Landi Passerini di Piacenza (Inc. H .̌ iii. 3).6

Stampa e apparato decorativo dell’incunabolo piacentinoSecondo Filippo da Strata, residente nel monastero benedettino di San Cipriano a Murano, la stampa era un abominio fonte dei maggiori pec-cati della sua epoca.7 Come conferma il ms. Canon Pat. Lat. 114 della Bod leian Library di Oxford, firmato e datato 1493, Filippo era copista, e va comprensibilmente annoverato tra coloro i quali sentirono la propria professione fortemente minacciata.8 Tra questi il più celebre fu senza dubbio Vespasiano da Bisticci, principale manager del libro fiorentino,9 che espresse la sua posizione, all’interno delle sue Vite di uomini illustri, in un famoso passo relativo alla biblioteca di Federico da Montefeltro: «In quella libraria i libri tutti sono belli in superlativo grado, tutti iscritti a penna, e non ve n’è ignuno a stampa, chè se ne sarebbe vergo-gnato, tutti miniati elegantissimamente, et non v’è ignuno che non sia scritto in cavretto».10 Al di la del fatto che, come di recente dimostrato da Martin Davies, nella biblioteca del Montefeltro gli incunaboli erano presenti,11 la stampa ebbe nella penisola anche accoglienze migliori

88 daniele guernelli

Milano 2007, pp. 62–79. Sulla b dei Montefeltro si veda anche marcell a PeruZZi: Cultura potere immagine: la Biblioteca di Federico da Montefeltro. Urbino 2004; Ornatissimo codice: la biblioteca di Federico da Montefeltro (catalogo della mostra, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 15. 3.–27. 7. 2008). A cura di marcella PeruZZi, con la collaborazione di claudia caldari e lorenZa mochi onori. Milano 2008; marcella PeruZZi: La biblioteca di Federico da Montefeltro. In: Principi e signori: le biblioteche nella seconda metà del Quattrocento. (Atti del convegno di Urbino, 5./6. 6. 2008). A cura di Guido arbiZZoni, concetta bianca e marcella PeruZZi. Urbino 2010, pp. 265–304.

12 Da ultimo, marco Santoro: Stampa e cultura: il contributo aragonese. In: Le carte aragonesi. (Atti del Convegno, Ravello, 3/4. 10. 2002). A cura di idem. Pisa / Roma 2004, pp. 191–205, qui p. 197.13 henri omont: Inventaire de la

Bibliothèque de Ferdinand ier d’Aragon, roi de Naples. In: Bibliothèque de l’Ecole des Chartres. lXX (1909), pp. 456–79; tammaro de mariniS: La biblioteca napoletana dei re d’Aragona. Milano 1952–57, vol. ii, pp. 187–92.14 urSula baurmeiSter: I libri a

stampa della Biblioteca Reale di Napoli. In: La Biblioteca Reale di Napoli al tempo della dinastia aragonese / La Biblioteca Real de Nápoles en tempo de la dinastía aragonesa (catalogo della mostra, Napoli, Castel Nuovo, 30. 9.–15. 12. 1998). A cura di Gennaro toScano. Valencia 1998, pp. 289–98, qui p. 289. Oltre ai sopra citati testi, sulla biblioteca degli

Aragona di Napoli si veda anche: tammaro de mariniS: La Biblioteca Napoletana dei Re d’Aragona. Supple-mento, col concorso di deniSe bloch, charleS aStruc, jacqueS morFin e joSé ruySSchaert. Verona 1969; Paolo cherchi / tereSa de robertiS: Un inventario della biblioteca aragonese. In: Italia Medioevale e Umanistica. XXXiii (1990), pp. 109–345; Gennaro toScano: La libraire des rois d’Aragon a Naples. In: Bulletin du Bibliophile. 2 (1993), pp. 265–83; GuiSePPa albaneSe: Tra Napoli e Roma. Lo scriptorium e la biblioteca dei re d’Aragona. In: Roma nel Rinascimento. (1997), pp. 72–86; emilia ambra: La «libraria» dei re d’Aragona. Note sul percorso costitutivo. In: Libri a corte. Testi e immagini nella Napoli arago-nese (catalogo della mostra, Napoli, b Nazionale, 23. 9. 1997–10. 1. 1998). A cura di eadem. Napoli 1997, pp. 41–53; armando Petrucci: Biblioteca, libri, scritture nella Napoli aragonese. In: Le biblioteche nel mondo antico e medievale. A cura di GuGlielmo cavallo. Bari 1998, pp. 187–202; La Biblioteca Real de Nápoles de Alfonso el Magnánimo al Duque de Calabria (catalogo della mostra, Valencia, b Valenciana, Antic Monestir de Sant Miquel dels Reis, 23. 4.–27. 6. 1999). A cura di maria cruZ cabeZa SáncheZ- albornoZ e Gennaro toScano. Valencia 1999; La biblioteca de Alfonso V de Aragon en Naples. A cura di joSé alcina Franch. Valencia 2000; SantiaGo lóPeZ - rioS: A new Inventory of the Royal Aragonese Library of Naples. In: Journal of the Warburg and Courtald Instituts. lXv (2002), pp. 201–43; marcello ciccuto:

La biblioteca degli Aragona di Napoli dagli esordi tardo­gotici alla maturità umanistica. In: Napoli nobilissima. 7 (2006) 5/6, pp. 179–88; Gennaro toScano: Le biblioteche dei sovrani aragonesi di Napoli. In: Principi e signori (vedi nota 11), pp. 163–216.15 Sulla stampa a Napoli si veda

mariano Fava / Giovanni breSciano: La stampa a Napoli nel 15. Secolo. Wiesbaden 1911–13; e marco Santoro: La stampa a Napoli nel Quattrocento. Napoli 1984.16 Santoro (vedi nota 15), pp. 34–7;

Pietro ScaPecchi: Mattia Moravo. In: Dizionario biografico degli italiani. Vol. 72 [Massimo–Mechetti]. Roma 2008 (Dizionario biografico degli italiani. 1960), pp. 284/5.17 Sottoscrizioni della sua attività di

copista si ritrovano nel Labirintus di Eberardo di Béthune della Národní­knihouna Ceské republiky di Praga (ms. 1638, c. 257v: »Frater Mathias de Germania alias de Olomucz sive de Cetkouitz«, con la data: »fer. 2 post epiphaniam a. d. 1453«), nell’Opera nonnulla di Sant’Agostino della b Apostolica Vaticana (ms. Vat. Lat. 465, c. 360v: »per me mathiam moravum finiunt feliciter. Secondo kal. Marci. Anno domini 1468«) e nelle Episto-lae di San Girolamo del Musée Condé di Chantilly (mss. 118–119, c. 308v del ms. 118: scritto per »Moyse episcopo Belunensi, locum tenente Vincentiae domino michi observantissimo atque generosissimo per me Matthiam Moravum de Olomuncz 1468«), bene-dectinS du bouveret: Colophons de manuscrits occidentaux des origines →

di quanto queste due testimonianze possano far pensare. Come noto, a patrocinarla vi furono spesso gli stessi signori degli stati italiani, e tra questi un ruolo di una certa importanza spettò alla Napoli aragonese. Introdotta da Sixtus Riessinger tra 1469 e 1470, la stampa trovò ben presto protezione nel mecenatismo degli Aragona, tanto che nella let-tera dedicatoria al re Ferrante del De priscorum proprietate verborum (1475) di Iuniano Maio, professore allo studium partenopeo dal 1465 al 1480, si esaltava il ruolo del processo meccanico e si istituiva un paral-lelismo tra questi e gli studi classici, che avrebbe facilitato e diffuso.12 Del resto, che la biblioteca aragonese alloggiasse incunaboli lo dimo-strano non solo il prestito di 38000 ducati ricevuto nel 1481 da Ferrante d’Aragona dalla famiglia fiorentina Pandolfini, che ottenne come pegno 266 libri, tra qui 40 stampati,13 ma anche l’inventario fatto stilare da Carlo viii di Francia (1498), il quale tra i 1140 libri che requisì a Napoli nel 1495, «tant en parchemin en papier, à la mai net en mosle», ne trovò più di un terzo a stampa.14 Dall’arrivo del Riessinger a fine secolo nella città partenopea si produssero più di trecento titoli.15

Tra i protagonisti di questa stagione vi fu senza dubbio Mattia Moravo, nato a Cetechowitz, presso Olomouc, in una data collocabile poco dopo il 1430.16 Il Moravo iniziò la sua carriera come copista,17 ed

[Fig. 1a] David orante. In: Messale. Napoli: Mattia Moravo 1477, c. 7r (Piacenza, B Landi Passerini, Inc. H .̌ i i i . 3)

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 89

90 daniele guernelli

in seguito, come diversi altri suoi colleghi, si convertì alla nuova tecno-logia.18 Dopo essersi spostato in Veneto, dove forse conobbe Nicolas Jenson,19 lo si ritrova a Genova, luogo in cui pubblicò (22 giugno 1474) un solo testo in collaborazione con il poco noto Mattia de Monaco, il Supplementum Summae Pisanellae di Nicolò da Osimo (igi 6869). Nel 1475 si trasferì a Napoli, dove lavorò fino al 1492 a un considerevole numero di edizioni, alcune delle quali prodotte in società. Sua fu la sopra citata editio princeps (1475) del De priscorum proprietate verbo-rum (igi 6036) di Giuniano Maio, curata insieme a Blasius Romerus, come anche dello stesso anno l’Opuscula philosophica di Seneca (igi 8867). Dell’anno dopo sono la Bibbia latina (igi 1645), e le Epistole di Plinio (igi 7898), mentre del 1477 il De civitate Dei di Sant’Agostino (igi 973). L’ultima edizione conosciuta fu l’Horae beatae Mariae Virgi-nis, sottoscritta il 10 febbraio 1492 (igi 4830), che corrisponde anche a l’ultima testimonianza nota del Moravo. Nella serie di testi liturgici che editò vi fu il Messale del 1477 (igi 6590), tra le cui copie all’oggi rintracciate quella della Biblioteca Landi-Passerini di Piacenza (Inc. H .̌ iii. 3) si presenta di particolare interesse, poiché miniata e stampata su pergamena,20 scelta che al contrario di Venezia, dove tale pratica ebbe un considerevole successo,21 nella città partenopea si riscontra solo in pochissimi casi.22

Il Messale si presenta come prodotto elegante e particolarmente curato oltreché finito in ogni sua parte, tanto che gli spazi per le ini-ziali – anche quelle minori – sono tutti riempiti. I due interventi più importanti sono ovviamente quelli dell’Introito della messa, corrispon-dente all’inizio del testo, e del Canone, che dall’epoca carolingia in poi prevedeva in corrispondenza delle parole iniziali del testo (Te igitur) la raffigurazione del Cristo crocefisso.23 Nel primo caso (c. 7r), all’inter-no di una decorazione marginale filigranata ospitante fiori e uccelli, campeggiano nel bas de page due putti reggi stemma, di cui si discuterà più oltre, e ad inizio testo un’iniziale con all’interno la figura di Davide orante [fig. 1b]. Nel secondo caso (c. 113v), la Crocifissione è racchiusa

au X VIe siècle. iv. Fribourg 1976, p. 183. Quest’ultimo manoscritto fu a suo tempo segnalato da tammaro de mariniS: Nota per Mattia Moravo. In: Gj 1930, pp. 115–8, ed è stato attribuibile a Franco dei Russi, cfr. Pier luiGi mul aS: I libri a stampa pergamenacei della collezione Melzi a Chantilly e alcune miniature di Benedetto Bordon. In: Rivista di Storia della Miniatura. 13 (2009), pp. 179–89, qui pp. 179/80.18 Il nome del Moravo deve andare a

completare la bella carrellata organiz­zata da Sheila edmundS: From Schoef­fer to Vérard: Concerning the scribes who became printers. In: Printing the Written Word (vedi nota 4), pp. 21–40.

19 Per cui vale sempre, martin lowry: Nicholas Jensen and the rise of Venetian pub lishing in Renaissance Europe. Oxford 1991.20 I libri membranacei italiani a

stampa del X V secolo esistenti nelle biblio -teche italiane (catalogo della mostra, Firenze, b Nazionale Centrale, ottobre – dicembre 1935). A cura di domenico Fava. Firenze 1935, p. 13 no 75.21 Per un buon numero di esemplari

si veda lilian armStronG: Renaissance Miniature Painters and Classical imagery: The Master of the Putti and his Venetian Workshop. Londra 1981.

22 baurmeiSter (vedi nota 14), p. 296.23 otto Pächt: La miniatura medie-

vale. Una introduzione. Torino 1987, pp. 33–44.24 Gennaro toScano: Rapicano, Cola.

In: Dizionario Biografico dei miniatori italiani. Secoli IX–X VI . A cura di milvia boll ati. Milano 2004, pp. 893–6.25 Gennaro toScano: En la otra

orilla del Mediterràneo: la miniatura en la corte napolitana de Alfonso el Magnánimo (1442–1458). In: Actas del

primer congreso de Historia del Arte Valenciano. Valencia 1993, pp. 189–95; idem: Miniatori al servizio di Alfonso il Magnanimo. In: La biblioteca reale di Napoli (vedi nota 14), pp. 329–82; idem: Napoles y el Mediterraneo: relacionse entre miniatura y pintura en la transi­cion de la casa de Anjou a la casa de Aragon. In: El Renacimiento Mediterra-neo. Viajes de artista e itinerarios de obras entre Italia, Francia y Espana en el siglo X V (catalogo della mostra, Madrid, m Thyssen­Bornemisza, 31. 1.–6. 3. 2001; Valencia, m de Bellas Artes, 18. 3.–2. 9. 2001). A cura di mauro natale. Madrid 2001, pp. 79–99.26 Guerriera Guerrieri: Il «Libro

d’Ore» di Alfonso d’Aragona. In: Accademie e Biblioteche d’Italia. XXiv (1956), pp. 3–17; antonella Putaturo murano: Miniature napoletane del Rinascimento. Napoli 1973, pp. 21–4,

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 91

in un riquadro che si dispone alla sinistra dell’intercolumnio, nella parte inferiore della pagina, presentando il Redentore affiancato da Maria e San Giovanni sulla collina del Golgota [fig. 2]. La temperatura stilistica che traspare da questi interventi miniati è perfettamente riconducibile all’ambiente napoletano, che nel terzo quarto del secolo e oltre aveva trovato nel calabrese Cola Rabicano di Amantea, meglio noto come Rapicano, una punto di riferimento fondamentale.24 Le prime testimonianze di questo artista sono del 1451, quando venne pagato in quanto scriptor, e si chiudono nel 1488, dopo un’onorata car-riera testimoniata dalle cedole della cancelleria aragonese. Rapicano seppe affiancarsi nello scriptorium regio ai miniatori di origine catala-na come Alfonso da Cordova, caratterizzante culturalmente i primi anni del dominio del Magnanimo,25 che si resero responsabili della decorazione del Libro d’Ore del re (Napoli, Biblioteca Nazionale, ms. i. b. 55), capolavoro della miniatura napoletana di metà del seco-lo.26 Il manoscritto che ha permesso alla critica di identificare lo stile del maestro è l’Obiurgatio in Platonis calumniatorem di Andrea Contrario della Bibliothèque Nationale di Parigi (ms. Lat. 12947), e da questo si è partiti per definire le sue coordinate stilistiche, che seppero acquisire il lessico umanistico nella decorazione libraria, con il corrispondente repertorio di animali, medaglie e putti. Il miniatore seppe inoltre organizzare una prolifica bottega,27 in cui furono anche attivi il figlio Filippo, la cui mano non è ancora stata identificata, ed il figlio – o fratello – Nardo, la cui cifra stilistica è stata invece ormai chiarita,28 fautore di un avvicinamento alla miniatura «all’antica».29

Lo strapotere della bottega del Rapicano è riscontrabile anche nel Memoriale inviato a Ferrante tra 1480/81 da Giovanni Brancati riguar-dante l’organizzazione di una grande biblioteca. Vi si esponevano i mezzi economicamente più convenienti per acquistare il materiale scrittorio (si suggeriva di farlo da Firenze, probabilmente perché la pergamena fiorentina era più bella ed economica, ed i cartolai napo-letani la vendevano a 2 o 3 volte il prezzo fiorentino),30 i metodi di

55/6; da ultimo El Renacimiento Medi-terraneo (vedi nota 25), pp. 401–5 scheda no 61 (Gennaro toScano). Per un tentativo di identificazione di Alfonso da Cordova con Alfonso Rodri­guez, cfr. joan molina: Las rutas mediterràneas de Alfonso Rodriguez, pintor y miniaturista e corte. In: Imàgenes y promotores en el arte medieval. Miscelànea en homenaje a Joaquin Yarza Luaces. A cura di maria luiSa melero moneo e FranceSca eSPañol bertàn. Barcellona 2001, pp. 521–9.27 Gennaro toScano: La

bottega di Cola e Nardo Rapicano. In: La biblioteca reale di Napoli (vedi nota 14), pp. 385–415.28 Gennaro toScano: À la gloire de

Ferdinand d’Aragon, roi de Naples: le De Maiestate de Iuniano Maio, enluminé par Nardo Rapicano. In: L’illustration: essais d’iconographie. A cura di maria

tereSa caracciolo e SèGoléne lemen. Parigi 1999, pp. 125–45; idem: Rapicano, Nardo (vedi nota 24), pp. 896–9; idem: Pour Nardo Rapicano enlumineur. Le Missel d’Alfonso Strozzi de la Bibliothèque universitaire de Leipzig. In: Quand la peinture était dans les livres. Mélanges en l’honneur de François Avril, à l’occasion de la remise du titre du docteur honoris causa de la Freie Universität Berlin. A cura di maria hoFmann e caroline Zöhl. Parigi 2007, pp. 353–65.29 Gennaro toScano: La miniatura

«all’antica» tra Roma e Napoli all’epoca di Sisto iv. In: Sisto IV . Le arti a Roma nel primo Rinascimento. (Atti del conve­gno internazionale di studi). A cura di Fabio benZi, in collaborazione con cl audio creScentini. Roma 2000, pp. 249–87; tereSa d’urSo: Giovanni Todeschino. La miniatura «all’antica»

tra Venezia, Napoli e Tours. Napoli 2007; Gennaro toScano: Libri umanistici e codici all’antica tra il Veneto, Roma e Napoli: note su Andrea Contrario e Bartolomeo Sanvito. In: Società, cultura e vita religiosa in età moderna. Studi in onore di Romeo De Maio. A cura di luiGi Gulia e inGo herklotZ. Sora 2009, pp. 497–526.30 anna meloGrani: Manuscript

Materials: Cost and the Market for Parchment in Renaissance Italy. In: Trade in artists’ materials. Markets and Commerce in Europe to 1700. A cura di jo kirby, SuSie naSh e joanna cannon. Londra 2010, pp. 199–219, qui p. 201. I cartolai a Napoli erano concentrati in via San Biagio dei Librai, cfr. Giovanni breSciano / mariano Fava: I librai ed i cartai di Napoli nel Rinascimento. In: Archivio storico per le provincie napole-tane. 4 (1918), pp. 89–104, 253–79.

92 daniele guernelli

remunerazione degli amanuensi ed i criteri di scelta dei miniatori. Infatti, pur ammettendo la sua poca dimestichezza nella materia, nel capitolo De miniatoribus l’autore consigliava di trovare maestri a prezzi più bassi, criticava il sistema del subappalto e proponeva una sorta di gara al ribasso per chi si impegnava a realizzare l’opera al prezzo migliore. Inoltre, dopo aver auspicato apparati decorativi più parchi, chiedeva addirittura di licenziare in blocco il personale stipendiato e comprare direttamente i manoscritti da Firenze, facendoli miniare al di fuori dello scrittorio del castello. In sostanza, una vibrante azione contro Cola Rapicano, che lavorava in Castel Nuovo subappaltando il lavoro a maestri indipendenti.31 Non sarà quindi un caso se proprio in quegli anni compare la prima testimonianza documentaria di Cristoforo Majorana, che nella bottega del Rapicano aveva probabil-mente mosso i primi passi.32 Tuttavia, ne a questi ne ad alcuno degli altri miniatori identificati al momento dalla critica ed attivi a Napoli in quegli anni, tra cui si ricordi almeno Matteo Felice e Gioacchino de Gigantibus,33 sembra essere riconoscibile la mano che realizzò il Mes-sale piacentino. Ciò nonostante, l’opera deve comunque essere inserita nell’ambito della bottega del Rapicano, o di un maestro esterno da lui profondamente influenzato,34 poiché i putti di Cola, «le cui teste tonde con palpebre gonfie hanno una costante, identica espressione attoni-ta»,35 e più in generale il suo standardizzato repertorio di volti e solu-zioni compositive, si riflettono marcatamente sulla sua facies artistica.

Non è dato sapere per chi l’opera piacentina fu originariamente approntata. Infatti, al contrario di quanto sostenuto a suo tempo da Tammaro de Marinis, che vi leggeva l’araldica di Alfonso Duca di Calabria,36 lo stemma originario venne sostituito in epoca cinquecen-tesca per volontà del nuovo possessore, Giulio Magnani di Piacenza [fig. 3].37 Dotato di fervido zelo e prudenza, il Magnani fu prima Provinciale, poi Procuratore e Vicario Apostolico, ed infine Maestro generale dell’ordine francescano. Fu anche teologo di fama, tanto che fu invitato al Concilio di Trento nel 1546,38 ritornandovi nel 1562 per

31 Gennaro toScano: La biblioteca di Ferrante. In: La biblioteca reale di Napoli (vedi nota 14), pp. 223–32, qui p. 228.32 Sul miniatore si veda da ultimo

Gennaro toScano: Majorana, Cristoforo. In: Dizionario Biografico dei miniatori italiani (vedi nota 24), pp. 718–21; idem: Cristoforo Majorana e la miniatura «all’antica»: a proposito di qualche manoscritto conservato a Cambridge. In: The Cambridge illumination: the conference papers. A cura di Stella PanayotPva. Londra 2007, pp. 245–54. Alla mano del miniatore deve essere ricondotta anche la decorazione di un Libro d’Ore passato da Sotheby’s nel 1977, lotto 66, di cui già veniva indicata la provenienza napoletana, Catalogue of Western Manuscripts and Miniatures. Londra 1977, p. 36.33 Per il primo si veda: Gennaro

toScano: Matteo Felice: un miniatore

al servizio dei re d’Aragona. In: Bollet-tino d’Arte. 93/4 (1995), pp. 87–118; da ultimo, idem: Felice, Matteo. In: Dizionario Biografico dei miniatori italiani (vedi nota 24), pp. 215–8; rowan watSon: Fit for a King? The Alfonso of Aragon Hours and Baronial Patronage in Late Fifteenth­Century Naples. In: Under the Influence. The Concept of Influence and the Study of Illuminated Manuscripts. A cura di john lowden e aliXe bovery. Turnhout 2007, pp. 151–60. Per il secondo: FranceSca PaSut: Gioacchino di Giovanni de’ Gigantibus. In: Dizionario biografico dei miniatori (vedi nota 24), pp. 265–7; Gennaro toScano: Gioacchino di Giovanni de’ Gigantibus. In: Saur Allgemeines Künstlerlexikon. Bd. 54. München 2007, pp. 382/3; FranceSca niutta: Il salterio di Gioacchino de Gigantibus per Sisto iv alla Biblioteca

Nazionale. In: Roma nel Rinascimento. (2009), pp. 281–8.34 I documenti rimastici elencano

diversi miniatori non ancora individuati in opere: Bernardino de Sardis; Mariano Volpe; Andrea di Castellamare (che peraltro venne pagato per un Messale nel giugno 1491); Mastro Thomas; Antonio Scariglia; e Don Giuliano Ferrillo. De Marinis (vedi nota 13), vol. i, p. 159.35 de mariniS (vedi nota 13), vol. i,

p. 148. Anche Putaturo Murano parlava dei «caratteristici puttini o cherubini dalle forme piene e dalle teste tonde, con le palpebre socchiuse, con la costante espressione attonita», Putaturo Murano (vedi nota 26), p. 26. 36 de mariniS: La biblioteca

napoletana dei re d’Aragona. Supplemento (vedi nota 14), vol. i, p. 95.37 Fava (vedi nota 6), p. 75. Al

[Fig. 1b] Dettaglio (vedi fig. 1)

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 93

essere nominato da papa Giulio iii vescovo di Calvi.39 La conferma dell’appartenenza dell’incunabolo all’alto prelato viene da una sotto-scrizione nel verso della seconda carta di guardia, che recita: «Iulius Magnanus Placentinus Secretioris Philosophiae Doctor totiusque or-dinis Minorum Conventualium Generalis Magister hunc librum suis impensis factum cultuique divino dicatum Placentiae Franciscanae familiae sacrario dono dedit. m.d.lvii». Evidentemente, il Magnani acquistò il Messale sul mercato in data precedente al 1557,40 quando ne fece dono alla biblioteca francescana,41 anno che funzionerà quindi come ante quem per l’intervento nel bas de page, in cui campeggia il suo stemma ed il suo nome: «f · iulius magnanus placent · generalis». Quello che però attrae l’attenzione in questo fronte-spizio è la presenza nel putto di destra di una serie di fori che ne seguono i contorni. Si tratta di fori di preparazione allo spolvero.

Spolvero e forature sospetteSconosciuta alla cultura classica occidentale, la tecnica dello spolvero è di origine orientale, ed è riscontrabile per la prima volta nella Cina del decimo secolo.42 La prima testimonianza nota della sua penetrazio-ne in Europa è ravvisabile nei frammentari cicli di affreschi di Santa Maria Novella e Santa Croce (ora nei rispettivi Musei dell’Opera) rea-lizzati da Andrea di Cione, detto l’Orcagna, e dalla sua bottega.43 Da quel momento, tale tecnica prese sempre più piede, fino a diventare un elemento imprescindibile della pratica artistica del Rinascimento maturo, sfruttata tra gli altri da Raffaello e Michelangelo. Si trattava di forare un foglio – o cartone – secondo i contorni di un disegno prece-dentemente tracciato, in modo da avere una sorta di matrice che, ada-giata su un supporto preparato (murario o ligneo), lasciasse passare dai suddetti fori il pigmento in polvere. A questo punto l’artista aveva a disposizione una facile traccia da elaborare, garantendosi in questo modo un notevole risparmio di tempo [fig. 4]. L’ipotesi che lo spolvero potesse essere stato utilizzato anche in manoscritti miniati si iniziò a

Magnani appartenne anche un altro incunabolo di una certa importanza, una copia del Brevarium Romanorum dell’edizione veneziana del 1478 di Nicolaus Jenson, miniata però nel 1555, cfr. lilian armStronG: Nicolaus Jenson’s “Breviarum Romanorum”, Venice 1478. Decoration and Distri­bution. In: Incunabula. Studies in Fifteenth-Century Printed Books presented to Lotte Hellinga. A cura di martin davieS. Londra 1999, pp. 421–67, qui pp. 454/5, 466. Non si tratta però dello stresso artista che restaurò l’incunabolo qui trattato.38 criStoForo PoGGiali: Memorie

per la storia letteraria di Piacenza. Piacenza 1789, p. 56.39 luiGi menSi: Dizionario Biografico

Piacentino. Piacenza 1899, p. 257.40 Sul commercio librario in Italia

del periodo si veda anGela nuovo: Il

commercio librario nell’Italia del Rinasci-mento. Milano 2003. Per lo specifico napoletano cfr. carlo de Felice: Il commercio dei libri a Napoli nella prima età della stampa. In: Bollettino dell’Istituto di patologia del libro Alfonso Gallo. Xiv (1955) 1/2, pp. 62–78.41 Il codice condividerà quindi le

vicende storico­conservative di questa raccolta libraria, poi confluita per soppressione alla b Landi­Passerini, cfr. carlo emanuele manFredi: La Biblioteca Comunale Passerini Landi di Piacenza. In: Le grandi biblioteche dell’Emilia-Romagna e del Montefeltro. A cura di Giancarlo roverSi e valerio montanari. Bologna 1991, pp. 101–13; La Biblioteca Comunale Passerini- Landi di Piacenza. Storia e percorsi culturali dell’antico Palazzo San Pietro. A cura di SteFano Pronti. Piacenza 2003.42 Caves of the Thousand Buddhas:

Chinese Art from the Silk Route (cata­logo della mostra, Londra, British m, 7. 4.–27. 8. 1990). A cura di roderick whitField e anne Farrer. Londra 1990, pp. 16/7, 88.43 carmen c. bambach: Drawing and

Painting in the Italian Renaissance Workshop. Theory and Practice, 1300–1600. Cambridge 1999, p. 12, testo di riferimento e vera e propria pietra miliare bibliografica della materia. Sull’argomento si veda anche rudolF hiller von GaertrinGen: The practice of erasing spolvero dots in Italian Renaissance Panel Paintings. A Hypo ­thesis. In: Jérôme Bosch et son entourage et autres études. (Atti del convegno internazionale, Bruges e Rotterdam, 13.–15. 9. 2001). A cura di hélène verouGStraete e roGer van Schoute. Lovanio / Parigi 2003, pp. 196–206.

[Fig. 2] Crocifissione. In: Messale, c. 113v (vedi fig. 1)

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formare nel 1941 negli uffici newyorchesi del grande antiquario Hans Peter Kraus, che in quell’anno trattò con il suo collega Ernst Dawson di Los Angeles l’acquisto di un piccolo Bestiario inglese del xiii secolo.44 Dopo un attento controllo del codice Kraus si rese conto che molte miniature erano state forate nel contorno, fatto che gli consentì di acqui-starlo a prezzo ridotto. Mostrato il manoscritto ad un sorpreso Hellmut Lehmann-Haupt, questi sentenziò: “These pin pricks are the unmis-takable evidence of a model book. The pictures were intended to be copied; it’s the oldest way of transferring draw ings”.45 Lo studioso si mise quindi subito a lavoro insieme a Samuel Ives su un commento al codi-ce, pubblicato l’anno dopo,46 che contribuì ad aumentare l’appeal del manoscritto, acquistato poi da Philip Hofer per l’Harvard University Library al prezzo di $ 3500.47 Lo stesso Lehmann-Haupt segnalò in seguito altri esempi di foratura, tratti dal repertorio di libri di modelli di Robert Sheller,48 come il Taccuino di Giovannino de Grassi (Bergamo, Biblioteca Angelo Mai, ms. cassaf. 1.21), e un Taccuino islandese del xv secolo (Reykjavik, Stofnun Árna Magnússonar à Islandi, ms. am 673°, iii, 4°).49 La possibilità che la pratica dello spolvero potesse aver interessato anche l’ambito della decorazione libraria miniata suscitò l’interesse di Dorothy Miner, che recensì il libro sul Bestiario nel 1943, e che da quel momento iniziò a ragionare sul tema.50 Tali riflessioni confluirono in un contributo pubblicato in occasione del sessantesimo compleanno di Kraus, dove si riaffermava l’utilizzo dello spolvero e lo si argomentava ulteriormente.51 In particolare, la studiosa allargava la gamma dei casi noti di foratura, come ad esempio nel caso – segnala-tole da Otto Pächt – della Vita Martyrium et Miracula Scncti Edmundi Regis Angliae della Pierpont Morgan Library di New York (ms. 736), scritta in Inghilterra attorno al 1130, e proponeva una possibile confer-ma alla pratica istituendo un confronto tra due codici provenienti dal monastero di Saint-Germain-des-Prés di Parigi. Comparando carta 59r del ms. lat. 11751 della Biblio thèque Nationale de France di Parigi (xi secolo), e carta 40 verso del ms. lat. 12610 della stessa biblioteca (xii secolo), la Miner riteneva di poter riscontrare un esempio evidente di copia tramite spolvero, date le similitudini tra la prima (con la figu-

44 Sull’affascinante figura di questo antiquario viennese si veda da ultimo daniele Guernelli: Il re degli antiquari. Hans Peter Kraus. In: Alumina. Pagine miniate. 37 (2012), pp. 58–65, con bibliografia precedente.45 hanS Peter krauS: A Rare Book

Saga. The Autobiography of H. P. Kraus. Londra 1979, pp. 329/30.46 Cfr. hellmut lehman-hauPt /

Samuel a. iveS: An English Thirteenth- Century Bestiary, a New Discovered in the Technique of Medieval Illumination. New York 1942.47 Il codice, ora segnato come

ms. Typ. 101 della Houghton l, fu anche esposto alla storica mostra Illuminated and Calligraphic Manuscripts (catalogo della mostra, Cambridge, inverno 1955).

A cura di hanS SwarZenSki. Cambridge 1955, p. 13 no 22.48 Cfr. robert w. Sheller: A Survey

of Medieval Model Books. Haarlem 1963, poi aggiornato in idem: Exemplum. Model-Book Drawings and the Practice of Artistic Transmission in the Middle Ages (ca. 900 – ca. 1470). Amsterdam 1995.49 hellmut lehman-hauPt: Guten-

berg and the Master of Playing Cards. New Haven 1966, pp. 70/1.50 dorothy miner: recensione a

lehman-hauPt / iveS (vedi nota 46). In: The Art Bulletin. 25 (1943), pp. 88/9.51 Cfr. dorothy miner: More about

Medieval Pouncing. In: Homage to a Bookman. Essays on Manuscripts, Books and Printing written for Hans P. Kraus on his 60th Birthday. Oct. 12, 1967. A cura di

hellmut lehman-hauPt. Berlino 1967, pp. 87–107.52 miner (vedi nota 51), pp. 93–101.53 jonathan j. aleXander: Medieval

Illuminators and Their Method of Works. New Haven / Londra 1992, p. 51; bambach (vedi nota 43), p. 402 nota 5.54 Ad esempio, marilena maniaci:

Terminologia del libro manoscritto. Roma 1998, p. 299; eadem: Archeologia del manoscritto. Metodi, problemi, biblio-grafia recente. Roma 2007, p. 65. Non se ne fa cenno invece nella recente bella panoramica sul disegno medievale Pen and Parchment. Drawing in the Middle Age. (catalogo della mostra, New York, The Metropolitan m of Art, 2. 6.–23. 8. 2009). A cura di melanie holcomb. New York 2009.

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 95

ra San Denis), che presenta la foratura dei contorni delle figure, e la seconda (con quella di San Germain), che ne sarebbe stata la copia.52

Tuttavia, la critica ha dimostrato prudenza sulla possibile derivazio-ne diretta di questi due manoscritti, che presentano nelle parti interes-sate alcune disuguaglianze e che sono peraltro anche di dimensioni differenti.53 Più in generale, sebbene sia talvolta prudentemente entrato anche nella manualistica più aggiornata,54 l’uso stesso dello spolvero nell’ambito librario risulta difficile da provare per il semplice fatto che non è possibile determinare quando in effetti tali manoscritti furono forati per trarne il disegno. Nel corpus di opere interessate da questo fenomeno, che supera appena la ventina,55 solo un esempio è finora databile, il bellissimo Alfabeto di Maria di Borgogna (Parigi, Louvre, Collezione Edmond de Rothschild, ms. ii, 134–58 dr), opera fiam-minga del terzo quarto del xv secolo forse di mano di Pierre Coustain [fig. 5],56 da cui venne tratta una copia ora a Bruxelles (Bibliothèque Royale Albert ier, inv. ii, 845), databile intorno al 1550.57 Ma quando e chi realizzò la foratura degli altri codici interessati dal fenomeno? Secondo i tardi Diálogos di Vincente Carducho (Madrid 1633) e L’Art du Brodeur di Charles Germain de Saint-Aubin (Parigi 1770), a provve-dere alla foratura erano gli assistenti di bottega, spesso i più giovani.58 In questo senso va rimarcato che talvolta i pochi casi di foratura di manoscritti mostrano una scarsa attenzione per le altre carte del codi-ce, che spesso vede i fori passare anche nei fogli sottostanti, indice di scarsa cura per il manufatto. Nondimeno, la pratica di bottega ed i più antichi trattati rimastici insistono sulla precisione e la delicatezza necessarie per realizzare l’operazione, tanto che Cennino Cennini consigliava di farlo gentilmente, «tenendo sotto la carta una tela o panno; o voi forare in su ’n un’asse d’albero o ver di tiglio; questo è migliore che la tela», tutti accorgimenti che non è possibile avere con un manoscritto, a meno di non sfascicolarlo.59 Lo stesso Alessandro Paganino, nel De rechami (1532 circa), avvertiva inoltre «che quando tu forerai, che basti solamente la ponta de lago passi», senza quindi esagerare.60 Tutte le testimonianze concordano quindi che fosse un lavoro di precisione, da fare con strumenti e accorgimenti appropriati.61

55 L’elenco seguente raccoglie tutti i casi di foratura finora rilevati dalla critica, in particolar modo quelli elencati da aleXander (vedi nota 53), pp. 162/3 nota 94, e bambach (vedi nota 43), p. 402 nota 7. Per comodità li si scala cronologicamente. – Xi secolo: Salterio. bnF ms. lat. 11751 (c. 59r). – Xii secolo: Vita Martyrium et Miracula Sancti Edmundi Regis Angliae. New York, Pierpont Morgan l ms. 736 (cc. 27, 74, 77, 95); Bestiario, bl ms. Add. 11283. – Xii–Xiii secolo: Sant ’aGoStino: Confessioni. New Haven, Beineke Rare Book l / Yale u ms. Marston 157; Bestiario. Cambridge, Fitzwilliam m ms. 379. – Xiii secolo: Apocalisse. Manchester, John Rylands ul ms. lat. 8 (cc. 3v, 5v, 49v, 149v); Bestiario. Cambridge, Harvard

College l ms. Typ 101; Bestiario. Aberdeen, ul ms. 24; Bestiario. Oxford, Bodlean l ms. Ashmole 1511. – Xiv secolo: Bestiario. Bruxelles, b Royale ms. 8340; Bibbia. Parigi, b de l’Arsenal ms. 588 (c. 153v); Libro d’Ore. bl ms. Harley 6563 (cc. 52, 86); niccolò da lyra: Postille. bnF ms. lat. 360, 402, 489; Taccuino. Bergamo, b Civica Angelo Mai cod. dvii, 14; Leggenda di Edipo. Venezia, b Marciana ms. ital. vi 7 6033; Petrarca: De Viris Illustribus. bnF ms. lat. 6069. – Xv secolo: Bestiario, bnF ms. ital. 450; Speculum. bl ms. Add. 38119 (c. 22r); Taccuino. Copenhagen, Arnamagnean Institute ms. am. 673a, 4; Libro d’Ore. L’Aia, Meermanno­Westreenianum ms. 10, E1; ulrich von PotterStein: Buch der natürlichen Wahrheit, bSb ms. Cgm 254.

56 Sandra hindman / FrançoiS avril: scheda 160. In: Les enluminures du Louvre. Moyen Âge et Renaissance (catalogo della mostra, Parigi, Louvre, 7. 7.–10. 10. 2011), a cura di FrançoiS avril, nicole reynaud e dominique cordellier, in collaborazione con laura anGelucci e roberta Serra. Parigi 2011, pp. 306–18.

57 Pierre dumon: L’Alphabet gothique du Marie dit de Bourgogne, reproduction du codex Bruxellensis II 845. Bruxelles 1972, pp. 2–8.58 bambach (vedi nota 43), p. 30.59 cennino cennini: Il libro

dell’arte. A cura di Franco brunello. Vicenza 1995, pp. 143/4.60 bambach (vedi nota 43), p. 57.61 bambach (vedi nota 43), pp. 76/7. →

[Fig. 3] Stemma Magnani. In: Messale, c. 7 r (vedi fig. 1)

96 daniele guernelli

Tornando agli esempi rimastici interessati dal fenomeno, spesso e volentieri solo alcune figure vengono fatte oggetto della foratura, lasciando le altre intatte, sintomo di un atteggiamento di copia seletti-va che svilisce il supporto manoscritto e ne certifica l’azione di una mano estranea alla sua realizzazione originaria. Del resto, è ovvio che il punto centrale della questione è l’estraneità dell’artista responsabile della miniatura, che non si vede per quale motivo avrebbe dovuto com-promettere la sua opera per trarne un disegno che già possedeva. Chi forò questi manoscritti lo fece successivamente per trarne liberamen-te modelli da riciclare. Il problema è sapere quando, tenendo presente che a livello monumentale la pratica dello spolvero durò di fatto fino al secolo scorso, come dimostrano gli affreschi di Amedeo Bocchi della Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Parma (1915/16) o i dise-gni per ceramica di William de Morgan.62 Senza contare che si cono-scono anche esempi di foratura realizzati per ragioni conservative o di restauro, come dimostra l’esempio di Pierre-Jean Mariette (1694–1774), collezionista e restauratore di disegni del Settecento, che rico-struì parti di un cartone di Raffaello (Louvre, inv. 3853) con l’Espulsione di Eliodoro, riforandolo in controparte per rifare la porzione di destra del fondo del disegno.63 Ben difficile, d’altro canto, trovare testimo-nianze utili nella storia e nella fortuna critica della produzione manoscritta miniata nei secoli successivi.64 Difficile sapere, ad esem-pio, se nel suo incarico di disegnatore da manoscritti presso la British Museum Reading Library, Joseph Strutt (1749–1802) abbia mai prati-cato lo spolvero.65 Noti sono alcuni casi documentati di ricalco – trac-ing –, tecnica di riproduzione che poteva alternarsi a quella dello spolvero nel processo di trasposizione di idee da un originale, che si riscontra per copie da manoscritti come nel caso delle nove miniature ottocentesche a grisaglia realizzate ricalcando un originale fiammingo del tardo xv secolo (Bibliothèque Nationale de France, ms. fr. 181) in occasione della sua edizione in facsimile del 1870 di George Hurtel.66 L’unico caso che mi è noto di foratura volontaria è relativo ad una riproduzione mimetica facsimilare da un originale, ed è connesso alla figura di Thomas Phillipps, il più grande collezionista della sua epoca.67 Come testimonia una sua lettera a John Camden Hotten, curatore delle sue collezioni:

I have received your […] facsimile this morning and fortunately I had the Book itself in my house so that I could immediately compare it. Your copy is wonderfully exact and without the original anybody might be deceived. […] Your worm holes are very neatly executed, but your

È ovvio che il procedimento di foratura per spolvero di cui si discute nel presente saggio non ha nulla a che vedere con quello utilizzato per la regolamentazione della pagina, che comportava proprio una foratura dei margini esterni delle carte, in modo da fornire riferimenti per la rigatura.62 Gioia Germani: La pittura murale

italiana del Novecento: tecniche e mate­

riali. In: Le pitture murali, tecniche, proble- mi, conservazione. A cura di criStina danti, mauro matteini e arcanGelo moleS. Firenze 1990, pp. 103–20. Draw -ing: technique and Purpose (catalogo della mostra, Londra, Victoria and Albert m, 28. 6.–26. 4. 1981). A cura di SuSan l ambert. Londra 1981, p. 19 nota 36.63 bambach (vedi nota 43), p. 32.64 Cfr. Simona moretti: La minia­

tura Medievale nel Seicento e nel Settecento: fra erudizione, filologia e storia dell’arte. In: Rivista di Storia della Miniatura. 12 (2008), pp. 137–48; michaela braeSel: Buchmalerei in der Kunstgeschichte. Zur Rezeption in England, Frankreich und Italien. Colonia 2009; andrea worm: The study of Medieval Illuminated Manuscripts in German Scholarship ca. 1750–1850. In: Medieval

[Fig. 4] Procedura di spolvero. In: aLessanDRo Paganino: Libro primo: De Rechami. Venezia [ca. 1532], c. 2v

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 97

rotten corner, if it is an imitation, is admirable. I have several printed books I should like to have perfect by imitation.68

Finti fori di vermi, insomma, che seppur di qualche interesse nella sto-ria della metodologia artistica poco chiariscono riguardo alla materia che ci interessa.

Una proposta interpretativaIl punto fondamentale che deve però contribuire a calibrare una scan-sione temporale è ovviamente la storia del gusto, che non è possibile trascurare nei suoi diktat capaci di far scemare l’interesse per interi periodi della storia artistica. Non sfuggirà l’importanza del fatto che molti manoscritti forati a noi noti siano di epoca romanica e gotica. In questo senso, la possibilità che tale foratura fosse usata per fornire mo-delli per ricami, già postulata da Francis Wormald,69 è stata rilanciata da Jonathan J. G. Alexander, che proponeva una possibile pratica in epoca Tudor e Stewart,70 contesto in cui il gusto ‹medievale› ebbe una coda molto più lunga rispetto all’Europa continentale, basti pensare alle parole dello storico Thomas Fuller:

Now as it follows not that the Usurping Tulip is better than the Rose, because preferred by some Foreign Fancies before it; so it is as inconsequent that Modish Italian Churches are better than this Reve-rend Magnificent Structure, because some humorous Travellers are so pleased to esteem them.71

Tuttavia le cose non sono così semplici, e a contribuire alla com-plessità del fenomeno concorre il Messale napoletano qui presentato, che non solo rappresenta stilisticamente la cultura rinascimentale, ma che deve a mio parere essere aggiunto all’Alfabeto di Maria di Borgogna quale elemento per calibrare cronologicamente il fenomeno. Infatti, come in precedenza detto, la risistemazione del bas de page del fronte-spizio con lo stemma del Magnani dovette avvenire in un momento precedente al 1557, quando il prelato donò i suoi libri ai francescani di Piacenza. Tuttavia, l’anonimo miniatore cinquecentesco non si limitò a riempire il clipeo con la sua araldica, che probabilmente sostituì quella di un altro possessore, ma si occupò anche di rifare il putto di destra (scelta non molto frequente e abbastanza radicale). Come si evince dalla superficie attuale la figura originaria – quasi certamente danneggiata – venne raschiata via, e il putto venne quindi ridipinto sulla base di quello vecchio. Vi è però un dettaglio importante che po-trebbe dimostrare che la foratura di questa figura sia precedente e non successiva al suo rifacimento. Se si osserva l’andamento dei fori si

Art and Architecture after the Middle Ages. A cura di janet t. marquard e alyce a. jordan. Cambridge 2009, pp. 246–73.65 michael camille / Sandra

hindman: Curiosities. In: Manuscript Illumination in the Modern Age. A cura di Sandra hindman e nina rowe. Evanston 2001, p. 3–45, qui p. 19.66 Cfr. roGer S. wieck: The Rosen­

wald Scribe Miniature and its Sister

Miniatures: A Case of Mistaken Identity. In: Our Holland. 95 (1981) 3, pp. 151–61.67 Cfr. alan munby: Phillipps

Studies. Londra 1950–61.68 michael camille / Sandra hind -

man / rowan watSon: Reproductions. In: Manuscript Illumination in the Modern Age (vedi nota 65), pp. 103–75, qui p. 107.69 Parere riferito in miner (vedi

nota 51), p. 103.

70 aleXander (vedi nota 53), p. 50.71 thomaS cocke: The Wheel

of Fortune: The Appreciation of Gothic since the Middle Ages. In: Age of Chiv-alry. Art in Plantagenet England 1200–1400 (catalogo della mostra, Londra, Royal Academy, 6. 11. 1987–6. 3. 1988). A cura di jonathan j. aleXander e Paul binSki. Londra 1987, pp. 183–91, qui p. 186.

[Fig. 5] L’abbreviazione ‹Com›. In: P i eRRe cousTa in (?): Alfabeto di Maria di Borgogna. Parigi, Louvre, Collezione Edmond de Rothschild, ms. i i , 134–158 DR, c. 24v

noterà che questi seguono sempre con buona precisione i contorni del putto, tranne in un punto: il suo braccio sinistro [fig. 6]. Qui la foratu-ra non ricalca l’attuale profilo cinquecentesco, ma risulta più abbassa-ta, nella stessa maniera in cui si presenta nel putto di sinistra. Se colui che forò l’incunabolo avesse agito in un momento successivo all’inter-vento cinquecentesco, si suppone che avrebbe seguito l’andamento del braccio realizzato dall’anonimo artista alle dipendenze del Magnani (che quindi si prese la licenza di aggiornarne l’anatomia). Al contrario, la foratura sembra seguire un disegno precedente, più vicino all’impo-stazione del putto di sinistra, lo si confronti – pur nelle debite diffe-renze – con il verso della foratura [fig. 7, 8]. In particolare, il braccio cinquecentesco appare più muscoloso, mentre quello originale del putto di sinistra, che la foratura sembra seguire, è più lineare e si rigon-fia in prossimità della spalla. Non posso nascondere che contro questa interpretazione parrebbe giocare il fatto che le ali del putto cinquecen-tesco sono realizzate con oro in conchiglia, che avrebbe dovuto ricoprire i fori, al contrario aperti e presentanti un minimo ripiegamento verso l’interno, proprio come se fossero stati trapassati da un ago. Tuttavia, rimane quella palese difformità tra l’attenzione e la precisione nella foratura della restante parte del putto rispetto all’evidente errore nel braccio. Nulla quindi impedisce di supporre che dopo un primo inter-vento ante 1557, qualcuno abbia poi riutilizzato i fori già fatti e visibili nei contorni della figura. A conferma di questo si noti il fatto che i fori del braccio sinistro sono o completamente coperti dal pigmento (par-te esterna), o appena visibili (parte interna), come se il miniatore cin-quecentesco non fosse riuscito del tutto a nascondere questi ultimi; e come se la successiva ‹tranche di lavori›, dalla mano pesante ed evidente, avesse evitato di interessarsene, non ripassandoli ed allargandoli nuovamente come nella restante parte dei contorni della figura. Se questa interpretazione fosse corretta, allora ci sarebbero i presupposti per datare la prima di tali azioni ad una momento precedente al 1557.

[Fig. 6] Putto di destra. In: Messale, c. 7 r (vedi fig. 1)[Fig. 7] Putto di destra visto dal verso della carta. In: Messale, c. 7 v (vedi fig. 1 ) [Fig. 8] Putto di sinistra. In: Messale, c. 7 r (vedi fig. 1 )

98 daniele guernelli

Un caso di foratura in un Messale di Mattia Moravo 99

72 armStronG (vedi nota 4), p. 37. Sullo specifico dell’opera, cfr. luciano borelli: Un incunabolo miniato del Maestro dei Putti nella Biblioteca Comunale di Trento. In: Per Giuseppe Sebesta: Scritti e nota bio-bibliografica per il settantesimo compleanno. Trento 1989, pp. 49–62.73 Per un approccio interdisciplinare

sul problema si veda ora Early modern medievalisms. The interplay between scholarly reflection and artistic produc-tion. A cura di alicia montoya e

mette birkedal bruum. Leida 2010.74 Seymour de ricci: English collec-

tors of books and manuscripts (1530–1930) and their marks of ownership: Sandars lectures, 1929–1930. Cambridge 1930; A Genius for Letters. Booksellers and Bookselling from the 16th to the 20th Century. A cura di robin myerS e michael harriS. Winchester 1995; Antiquaries, Book Collectors and the Circles of Learning. A cura di robin myerS e michael harriS. Winchester 1996.

75 chriStoPher de hamel: Cutting up Manuscripts for Pleasure and Profit. The 1995 Sol. M. Malkin Lecture in Bibliography. Charlottesville 1996; roGer S. wieck: Folia Fugitiva: The Pursuit of the Illuminated Manuscript Leaf. In: Journal of the Walters Art Gallery. 54 (1996), pp. 233–53; daniele Guernelli: Ritagli di memoria: cuttings, collages e miniatura italiana tra XiX e XX. In: Opus Incertum. 6/7 [Costruzioni e ricostruzionidell’identità italiana] (2011), pp. 30–41.

La presenza di una foratura all’interno di un incunabolo rinascimenta-le italiano non deve del resto stupire, poiché già Lilian Armsrtong aveva segnalato il caso delle Orationes di Cicerone stampate a Venezia nel 1471 da Cristoforo Valdarfer della Biblioteca Comunale di Trento (Inc. 408) miniate dal Maestro dei Putti.72 Questi due casi non solo forniscono un post quem alla foratura, per certo avvenuta dopo le rispettive date di pubblicazione (1471 e 1477), ma evidenziano il feno-meno anche in un contesto di gusto rinascimentale. Naturalmente, il campo delle ipotesi rimane ampio e aperto a numerosissime possibi-lità. Tuttavia, mi permetto di avanzare una interpretazione che al mo-mento non può essere nulla di più che una proposta di lavoro, e che ciò nonostante mi pare possa avere qualche elemento di ragionevolezza.

Tenendo presente che la prima testimonianza dell’uso dello spol-vero è quella suddetta dell’Orcagna, quindi di poco prima della metà del Quattordicesimo secolo, postularne la pratica in epoca precedente all’interno di codici miniati mi sembra – seppur legittimo – non neces-sario. Sebbene i manoscritti abbiano sempre avuto caratteristiche dif-ferenti rispetto all’arte monumentale, consentendo grazie alla loro «forza testuale» il non completamento dell’apparato decorativo, diffi-cile è pensare che manufatti dal costo all’epoca elevatissimo potessero essere facilmente passibili di tale trattamento, a meno di non postulare un’azione ‹furtiva› non a conoscenza del proprietario. Contemporane-amente, come si diceva, vi è un problema di gusto relativo all’interesse in epoca moderna per codici in gran parte di età romanica e gotica, che difficilmente potevano appassionare il pubblico barocco e classicista, a parte in Inghilterra (o forse in Germania).73 E non è certo possibile inferire un passaggio di tutti i casi noti dal mercato inglese, all’epoca ancora non comparabile a quello che diventerà nei secoli successivi.74 Un’altra possibilità è che l’interesse per il Medioevo espresso nel corso dell’Ottocento, secolo durante il quale non ci si fece certo problemi a sezionare e ritagliare le miniature dei codici,75 possa aver visto nella sua fervida attività di rielaborazione e di copia anche casi di spolvero (o meglio, di forature da cui trarre un «cartone» utile per lo spolvero). Tuttavia, come visto, le fonti non suggeriscono nulla di vincolante, senza contare che al momento non sono note edizioni dell’epoca tratte dalle forature a noi conosciute.

Una possibile soluzione potrebbe essere allora circoscrivere il feno-meno proprio agli anni in cui la tecnica dello spolvero ebbe il suo apogeo,

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ovvero tra xv e xvi secolo, epoca in cui nel contesto nordico poteva facilmente ancora sussistere un gusto ed una recettività per opere «medievali». Mi chiedo, inoltre, se non vi sia qualche possibilità che a suscitare l’interesse per le potenzialità delle immagini racchiuse nei manoscritti, e quindi la loro copia «meccanica», sia stato l’atteggiamento provocato dalla circolazione delle stampe quattrocentesche, che pre-cedettero ed affiancarono l’invenzione di Gutenberg, diventate facile repertorio aperto e condiviso pronto alla copia. Certo, anche prima i libri di modelli o i disegni sciolti avevano un potenziale di diffusione note-vole, basti pensare al clamoroso caso di ripresa dell’affresco di Taddeo Gaddi con la Presentazione al Tempio della Cappella Baroncelli (Firenze, Chiesa di Santa Croce), del 1328–38, da parte dei fratelli Limbourg nelle Très Riches Heures (Chantilly, Museo Condé, ms. 65, c. 54v), ante 1416.76 Tuttavia, è difficile negare che la nuova e montante circolazione di singole stampe mise a disposizione un repertorio alla facile portata di chi necessitasse di idee compositive,77 comodamente ottenibili trac-ciando l’incisione, o forandola. Non a caso, sono noti esempi di foratu-ra sia in disegni concepiti per stampe (Walden burg-Wolfegg, Kleiner Klebeband, c. 16),78 sia in celebri incisioni come l’Ercole ed Anteo di Andrea Mantegna (New York, The Metropo litan Museum of Art, Roger Funf, 1918; 18.65.3).79 È possibile che questo nuovo repertorio di fogli sciolti, spesso però uniti e rilegati a codici ed incunaboli (basti pensare, solo per citare un caso famoso, ad Hartman Schedel),80 si sia coniugato all’imperante successo dell’uso dello spolvero indirizzando l’attenzione degli «scavengers» di modelli artistici (come sono stati chiamati) anche al contesto librario? Arduo avere certezze. Tuttavia, questa interpreta-zione permetterebbe di far coincidere l’affermazione – tra quindicesimo e sedicesimo secolo – di due fenomeni di notevole importanza come la diffusione dello spolvero e delle stampe singole, ad un periodo durante il quale il gusto poteva ancora essere incline ad apprezzare prodotti arti-stici romanici e (specialmente) gotici. Difficile dire se questa ricostru-zione dei fatti – che mi sembra aver qualche logica – corrisponda a verità. Nulla vieta che il fenomeno possa essere stato generato dalla rapsodica curiosità di qualche maldestro dilettante, e che sia durato secoli. Di cer-to, la chiave per la sua lettura si dovrà trovare, a parte improbabili testi-monianze scritte, nello studio e nella datazione delle forature note e di quelle in futuro che non dubito emergeranno all’attenzione della cri-tica. Cosa per nulla facile.

76 timothy b. huSband: The Art of Illumination. The Limbourg Brothers and the Belles Heures of Jean de France, Duc de Berry. New York / New Haven / Londra 2008, p. 292.77 Basti pensare alla fortuna incredi­

bile che Dürer, pur ‹todesco›, ebbe nella classicissima Italia dei secoli Xvi–Xviii, cfr. Dürer e l’Italia (catalogo della mostra, Roma, Scuderie del Quirinale, 10. 3.–10. 6. 2007). A cura di kriStina hermann Fiore. Milano 2007; Dürer, l’Italia e l’Europa. A cura di Sybille

ebert-SchiFFerer e kriStina hermann Fiore. Milano 2011.78 Peter Schmidt: The Multiple

Image: The Beginnings of Printmaking, between Old Theories and New Approaches. In: Origins of European Printmaking. Fifteenth-Century Woodcuts and Their Public (catalogo della mostra, Washington dc, National Gallery, 4. 9.–27. 11. 2005; Gnm 13. 12. 2005–19. 3. 2006). A cura di Peter ParShall e rainer Schoch, con la collaborazione di david S. areFord, richard S. Field e

Peter Schmidt. Washington dc 2005, pp. 37–56, qui p. 48.79 bambach (vedi nota 43),

pp. 118–22.80 Cfr. Die Graphiksammlung des

Humanisten Hartmann Schedel (catalogo della mostra bSb 20. 6.–15. 9. 1990). A cura di béatrice hernad. Monaco di Baviera 1990.