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Unâattribuzione a Donatello del âCrocifissoâ ligneo dei Servi di PadovaMarco Ruffini
Alla Beinecke Library della Yale Univer-sity si conserva il primo volume di unesemplare della prima edizione delle Vitedi Giorgio Vasari (1550) contenenteannotazioni manoscritte finora scono-sciute. 1 Scritte da due anonimi lettori nelsedicesimo secolo, queste postille sono leprime mai apposte alle Vite fra quellefinora note. Seppur concentrate su di unnumero ridotto di biografie, e per lo piĂčredatte al fine di indicizzare il testo astampa, le annotazioni offrono alcunepreziose informazioni inedite sullâarteveneta del Quattro e Cinquecento. Fraqueste Ăš lâattribuzione a Donatello di unâCrocifissoâ nella chiesa padovana diSanta Maria dei Servi, in unâannotazionealla biografia dedicata allo scultore fio-rentino: âHa [Donatello] ancor fato ilCrucifixo quale hora Ăš in chiesa di Servidi Padoaâ. 2 Redatta al margine dellamenzione della scultura lignea di un âSanSebastianoâ, quasi al termine del reso-conto sul soggiorno dellâartista a Padova,la postilla integra il breve catalogo vasa-riano delle opere eseguite dallo scultorenella cittĂ veneta (figg. 2-3).Il âCrocifissoâ segnalato dalla postilla sitrova tuttora allâinterno della chiesa ser-vita (figg. 4-5), nella cappella a sinistradel coro guardando verso lâaltare mag-giore, fissato a parete dietro e al di sopradi un suo proprio altare (figg. 6, 1). Ă unascultura monumentale, di 183 centimetridi altezza, in legno di pioppo, di qualitĂ straordinaria solo parzialmente compro-messa da elementi spuri, primo fra tuttiuna pesante verniciatura passata a piĂčriprese per simulare lâeffetto del bronzo(figg. 1, 27). 3
Nonostante la qualitĂ dellâopera, le suedimensioni e la sua continuata presenzanella chiesa (almeno a partire dallaseconda decade del sedicesimo secolo),essa Ăš quasi un inedito per la storia del-lâarte. Il âCrocifissoâ Ăš straordinariamen-
te assente dagli studi sulla scultura pado-vana del Quattrocento e da quelli specia-listici sul maestro fiorentino, con lâunicaeccezione a me nota di una breve men-zione da parte di Hans Kauffmann nellasua monografia donatelliana del 1935. 4
Assente anche dalle âguide rosseâ delTouring Club Italiano, lâopera si ritrovainvece nelle fonti ecclesiastiche, nellecompilazioni storiche locali, e in un bre-ve articolo del 2002 nel periodico âPado-va e il suo territorioâ (autrice Silvia Gul-lĂŹ), che ne offre unâanalisi storico-docu-mentaria senza tuttavia entrare nel meritodella sua paternitĂ . 5 Quei pochi, fra glistorici locali, che hanno invece affrontatola questione si sono limitati a segnalare lastraordinaria somiglianza della sculturaservita col âCrocifissoâ bronzeo eseguitoda Donatello per la basilica del Santo frail 1443-44 e il 1449. Sulla base di questoconfronto essi hanno attribuito lâimmagi-ne, in modo generico e senzâaltro provvi-sorio, ad un anonimo scultore quattro-centesco emulo del fiorentino. Questovale anche per Kauffmann, che conside-rava lâopera una copia del celebre bron-zo eseguita nella seconda metĂ del Quat-trocento.CiĂČ detto, puĂČ forse sembrare superfluointrodurre ulteriormente lâargomento diquesto articolo, e forse anche anticipareil conclusivo convincimento che lâattri-buzione del âCrocifissoâ servita a Dona-tello sia degna di fede. Ă invece impor-tante far presente sin da ora che a questoarticolo segue unâanalisi tecnico-stilisticadellâopera condotta da Francesco Caglio-ti, il quale giunge per tale via e con ulte-riori materiali e argomenti a una pienarestituzione al grande maestro. Devoanche rilevare che tenterĂČ di limitare quile mie osservazioni sul documento aquelle necessarie per affrontare la que-stione donatelliana. Per una trascrizionedelle postille e una dimostrazione dellaloro importanza, sia per la prima ricezio-ne delle Vite in Veneto, sia per le altrenovitĂ che esse contengono, specialmen-te una nota biografica su Tiziano redattasul recto del primo foglio del duernointerposto fra lâedizione e la copertaposteriore del volume, rimando a un miosecondo articolo che uscirĂ in altra sede.
Le Vite di Yale
La paternitĂ , datazione e provenienzadelle postille non sono determinabili conprecisione, ma definibili con diversi gra-di di approssimazione attraverso unâana-lisi formale e contestuale del documento.Le caratteristiche grafiche della scrittura
indicano la presenza di uno scriventeprincipale, responsabile della quasi tota-litĂ delle annotazioni, e di un secondoscrivente, riconoscibile in una postillaalla biografia di Carpaccio e nella parteconclusiva della nota biografica su Tizia-no, lasciata incompiuta dal primo. Vi Ăšanche un terzo scrivente, individuabile inun solo intervento al margine della bio-grafia di Spinello Aretino. 6
Solo le scritture del primo e del secondoannotatore si possono datare con signifi-cativa approssimazione. Verosimilmenteil primo scrisse intorno alla metĂ dellasettima decade del secolo, poichĂ© diverseannotazioni attribuibili alla sua manodescrivono opere o eventi riferibili a que-sto periodo. La menzione di unâopera diDomenico Campagnola, la monumentaletela che ritrae il podestĂ Marino Cavalli,che sappiamo realizzata nei primi mesidel 1563, comunque non prima del 12aprile 1562, costituisce un importanteriferimento post quem che, seppur nonautomaticamente estendibile allâinterocorpo, trova riscontro nellâunica indica-zione puntuale offerta dallâannotatore: ladatazione di un giudizio su di una paladâaltare veneziana allâanno 1563 (fig.16). 7 Sulla base di una valutazione dellecaratteristiche grafiche della scrittura, leaggiunte del secondo scrivente dovrebbe-ro invece cadere allâinterno degli ultimidue decenni del secolo. Sono comunqueposteriori al 1581, data di un documentoveneziano che si riferisce ad unâoperaancora da realizzare ma che lâannotatoresegnala come giĂ esistente. 8
Fra i due annotatori Ăš forse un divariogenerazionale. Una certa continuitĂ fra leloro scritture, tanto discorsiva (il secondoscrivente continua la nota biografica suTiziano principiando con un âetâ) quantofisica (innanzitutto lâuso dello stessoinchiostro, anche se diversamente dilui-to), fa inoltre pensare che essi apparte-nessero ad una stessa famiglia o bottegaartistica.Il contenuto delle annotazioni rimandaunivocamente allâambiente artisticoveneto-padano. Non solo le integrazionie i commenti (escludendo alcune ecce-zioni nella nota biografica su Tiziano) siriferiscono esclusivamente ad opere visi-bili a Padova, Venezia e Ferrara, ma lebiografie piĂč copiosamente annotatesono quelle di artisti che in queste cittĂ avevano vissuto, come i Bellini, Carpac-cio ed Ercole deâ Roberti, o che vi aveva-no lasciato significativa testimonianzacon la loro opera, come Francesco Fran-cia e Donatello. Alla stessa area geogra-fica rimandano anche gli elementi lingui-stici delle postille, tipicamente veneti,22 [Saggi]
cui il primo scrivente critica duramenteun dipinto di Francesco Francia per ilDuomo di Ferrara, la Pala di Ognissanti,tuttora in loco: âPer questa tavola delDomo di Ferara mi son partito da Padoaper vederla, et ho veduto una gran scar-ponaria a parangon de le moderne fate inLombardia et daâ lombardiâ (figg. 7-8). 9
Ulteriore indizio Ăš il riferimento puntua-le e ricorrente al pittore residente a Pado-va Domenico Campagnola, un artistaignorato da Vasari, anche nella Giuntina,ma che nelle postille assume una posizio-ne di primo piano. Campagnola, per cui ilprimo annotatore esprime unâammirazio-ne senza riserve, Ăš incluso in una lista deimigliori artisti moderni e viene citato,con gli epiteti di âeccellenteâ ed âegre-gioâ (che invero ritroviamo anche nelladocumentazione coeva sullâartista), in
come lâocclusiva velare sonora g in luogodella sorda corrispondente c (âDomene-go, fondegoâ), lâevoluzione di l seguitada j semiconsonantica (âogioâ), lâesitopalatale del nesso scl (âsciavoâ) e il mi infunzione di soggetto (âmi son partitoâ).Allâinterno di questâarea geografica,Padova Ăš il centro rispetto al quale ruotalâintero sistema di informazioni fornitedal documento. Lâindizio piĂč significati-vo in tal senso Ăš un riferimento direttoalla cittĂ , contenuto in unâannotazione in
merito a due opere veneziane come auto-revole esperto dâarte (anche in questocaso un ruolo effettivamente svolto daCampagnola almeno in unâoccasione,come attesta un documento notarilepadovano). 10 Il pittore sembra essere laprincipale fonte di informazioni dellâano-nimo, o almeno lâunica riconosciuta (inun solo caso lo scrivente esprime un giu-dizio critico in prima persona e nei rima-nenti casi omette di citare le fonti). Infi-ne, il nome di Campagnola (âDominicoCampagnola pictorâ), cassato ma ancoraleggibile, appare sullâultima pagina delvolume, al termine di un commento con-clusivo sulle Vite (fig. 9).Non Ăš dato capire perchĂ© il nome di Cam-pagnola sia stato prima scritto e poi bif-fato: Ăš probabile che lâannotatore abbiaconsiderato la possibilitĂ che ivi ubicato,forse allo scopo iniziale di attribuireallâartista la paternitĂ del commentosoprascritto, potesse essere erroneamenteinterpretato come unâindicazione di pos-sesso del codice. Si potrebbero sollevarealtre ipotesi. Va comunque esclusa la pos-sibilitĂ che la scrittura sia una sottoscri-zione e che lâannotatore principale dellepostille sia lo stesso Campagnola. Questoper via di due riferimenti allâartista in ter-za persona nelle postille e per il confron-to con un documento notarile padovanodatato 1° agosto 1542, che presenta unbreve brano certamente autografo dellâar-tista (figg. 10-12). 11 Ă certo comunqueche, seppur non autografo, il nome del-lâartista, scritto secondo una formula fir-mataria alla fine del volume, centratosulla pagina, rimane un dato emblemati-co della funzione saliente che Campa-gnola svolge nella narrativa delle postil-le, tanto da indurci a identificare il prin-cipale annotatore di queste Vite con unanonimo vicinissimo allâartista. QuestoâAnonimo di Yaleâ â o comunque si24 [Saggi]
2. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Le vite deâ piĂč eccellenti architetti, pittori, et scultoriitaliani, da Cimabue insino aâ tempi nostri, descritte inlingua toscana, da Giorgio Vasari pittore aretino. Con unasua utile e necessaria introduzzione a le arti loro, LorenzoTorrentino, Firenze 1550. Yale University, Beinecke RareBook and Manuscript Library, 1987 441 1-2, p. 344.
3. Anonimo di Yale, postilla manoscritta (particolaredella fig. 2).
voglia appellarlo, per distinguerlo dalsecondo annotatore â doveva appartenerealla cerchia di artisti e amatori dâarte chenella prima metĂ della settima decade delCinquecento ruotava attorno a Campa-gnola.Nato intorno al 1500 a Venezia, orfano diun ciabattino tedesco ivi emigrato,Domenico era il figlio adottivo del pado-vano Giulio Campagnola. 12 Documentatoper la prima volta a Padova nel 1523,lâartista acquistĂČ presto una posizione diprimo piano nellâambiente artistico citta-dino, assicurandosi le maggiori commis-sioni pubbliche e private nel corso di cir-ca quarantâanni di fortunata carriera.Dovette anche godere del favore dei cir-coli dotti padovani, vista la documentatapreferenza accordatagli dagli umanistiMarco Mantova Benavides, che conser-vava suoi dipinti e disegni nella propriacollezione, e Alvise Cornaro, il quale, sediamo credito alla testimonianza di Mar-cantonio Michiel, gli aveva affidato ladecorazione della propria dimora. 13
CollaborĂČ coi maggiori artisti della cittĂ :inizialmente con il fonditore Guido Liz-zaro, in sĂ©guito con lo scultore e pittoreTiziano Minio, figlio di Guido, e con ilpittore Stefano dellâArzere, di pochi annipiĂč giovane e forse inizialmente suo allie-vo. 14 Sono inoltre note le sue relazionicon il pittore e scultore Gualtieri dellâAr-zere, che aveva sposato la figlia di GuidoLizzaro, con lo scultore Agostino Zoppo,con cui si ritiene abbia collaborato alMonumento a Tito Livio nel Palazzo del-la Ragione, con lâantiquario Giovanni delCavino, noto soprattutto per la sua produ-zione di falsi di monete antiche, e coi pit-tori Francesco Corona e GiambattistaMaganza. 15 Campagnola dovette ancheessere vicino a Parrasio Michiel, pittoreveneziano, dedicatario di una ballatacomposta da Maganza, in cui appareanche il nome del nostro Domenico. Lostesso Michiel fu incaricato di portare atermine lâultimo lavoro di Campagnola,commissionatogli dai canonici della Cat-tedrale e forse neanche mai iniziato acausa dellâimprovvisa morte del pittoreallâetĂ di sessantaquattro anni, il 10dicembre 1564. 16
Quale fosse la posizione dellâAnonimo inrapporto a tale ambiente non Ăš dato sape-re. Oltre al riferimento puntuale e conti-nuato a Campagnola non troviamo nellepostille informazioni che permettono ditentarne lâindividuazione, anche solo pervia ipotetica. Si puĂČ solo supporre unlegame speciale fra lâannotatore e alcuniordini religiosi, per via dellâindicizzazio-ne della venerazione di Taddeo Gaddi perSan Girolamo, al margine della biografia
dellâartista (p. 183), e di altre informa-zioni di carattere religioso e devozionalecontenute nella biografia di LorenzoMonaco: lâordine di appartenenza del-lâartista; la presunta venerazione dellesue mani, tenute come reliquie dai con-fratelli (p. 215); la speciale dispensa daidoveri dellâordine che egli ottenne permeriti speciali da papa Eugenio IV; ladecorazione di un messale ancora in usoa Roma al tempo di Vasari (p. 216).Ancora piĂč sfumati sono gli indizi di unlegame col mondo delle lettere (un datoche dâaltronde trova immediato riscontronella scrittura dei marginalia, la qualerivela un grado di alfabetizzazione supe-riore a quello medio di un artista del Cin-
quecento): lâinteresse per la formazioneletteraria di Cimabue (p. 126), e per lâat-tivitĂ poetica dellâOrcagna (p. 185); lâin-dicizzazione dei nomi degli umanistiLeonardo Bruni (p. 140) e Angelo Poli-ziano (p. 149), e dei ritratti di Dante ePetrarca (pp. 140, 216).Ă probabile che gli annotatori delle Vitedi Yale siano destinati a rimanere anoni-mi. Ma a questo proposito bisogna ricor-dare come il determinarne con precisionelâidentitĂ non sia questione veramentecentrale: il valore documentario dellepostille risiede soprattutto nel loro riferi-mento coerente allâambiente artisticopadovano di metĂ Cinquecento. In questosenso, la figura di Campagnola, per il suoruolo catalizzatore in tale ambiente,rimane il principale riferimento prosopo-
[Saggi] 25
4. Incisore anonimo, su disegno di Vincenzo Dotto:Padova circondata dalle muraglie vecchie (vista da nord verso sud), in Angelo Portenari, Della felicitĂ di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Padova 1623, tav. tra le pp. 84-85 (particolare).
Influente doveva essere stata anche la let-tera a Tomeo, non tanto come modello(probabilmente inaccessibile allâAnoni-mo, che dimostra di non conoscere il lati-no), quanto come autorevole precedentescrittorio della tradizione artistica muni-cipale patavina.Esemplare del campanilismo delle postil-le Ăš la nota integrativa che appare al ter-mine della biografia di Cimabue, doveVasari accenna âa coloro che hanno ridot-to tal mestiero a lo stupore, et a la mara-viglia, che veggiamo nel secol nostroâ.Qui lâAnonimo scrive:
âMichielanzolo Bonaroti, Raphael dâUrbino
commo Titiano, Jacomo Tentoreto, PauloVeroneze, el Salviati, Bonifacio, LorenzoLoto, Rocho Marchonio [segue il Paraziodepennato], Domenego Campagnola, qual hafato molte opere, fra le altre una tavola inSantâAgostin di Padoa et in la Sala del Pode-stĂ , unâaltra Stephano padoano ancora, et fraâMarcho maraveglia commo in piĂč lochi sivegono le sue opere divineâ (fig. 13). 19
La nota include Campagnola e StefanodellâArzere, i migliori artisti padovanicontemporanei (celebrati come tali, eassieme, anche dai contemporanei PaoloPino e Bernardino Scardeone), nel gran-de quadro dellâarte contemporanea,dominato, oltre che dagli indiscussi mae-stri Michelangelo, Raffaello e Tiziano,dai veneti Tintoretto, Veronese, Bonifaciodeâ Pitati, Lorenzo Lotto e Rocco Marco-ni (il nome di Parrasio Michiel, dapprimaincluso, viene poi cassato). La postillaannovera fra questi anche Giuseppe Sal-viati, artista toscano ma che aveva trova-to grande sĂ©guito in Veneto, specialmen-
grafico che il documento produce.Lâimportanza di Campagnola derivavaanche dal prestigio della sua famigliaadottiva, contraddistinta da interessi let-terari inusuali per un artista. Il padreadottivo Giulio, enfant prodige celebra-tissimo nellâambiente dotto padovano,era noto per le sue doti di incisore, calli-grafo e suonatore di liuto, per le sueconoscenze del latino, del greco e dellâe-braico e per la sua produzione poetica.Anche Vasari si unĂŹ al coro degli elogi,ma solo nella Giuntina, ricordando cheegli fu anche pittore e miniatore: âdipin-se, miniĂČ e intagliĂČ in rame molte belle
cose cosĂŹ in Padova come in altri luoghiâ.17 Il padre di Giulio, Girolamo Campa-gnola, era un notaio e amatore dâarte(creduto anche artista), soprattutto notoper una lettera sullâarte scritta in latino eindirizzata al filosofo NiccolĂČ LeonicoTomeo. La lettera Ăš andata perduta, maera nota ai contemporanei e venne usatacome fonte sullâarte padovana da alcuniscrittori del Cinquecento, fra cui Michielper la Notizia dâopere del disegno e Vasa-ri per la Giuntina. 18
Domenico Campagnola era dunque lâul-timo esponente di una famiglia che dove-va apparire allâAnonimo come deposita-ria delle conoscenze sullâarte della cittĂ .Da ciĂČ si comprende lo speciale riguardoriservatogli nelle postille, con le qualilâannotatore si sforza di contrastare lamarginalitĂ dellâarte padovana nelle Vite.
te a Padova (dove Ăš documentato nel1541). Notevole Ăš la menzione del dome-nicano veronese Marco deâ Medici (cosĂŹalmeno identifico quel âfraâ Marchoâ,estimatore dellâopera di dellâArzere), let-terato e architetto dilettante, importanteper le sue conoscenze sullâarte norditalia-na ma pochissimo documentato. Il Medi-ci Ăš soprattutto noto per la sua collabora-zione con Vasari, a cui fornĂŹ informazio-ni sugli artisti veronesi per la secondaedizione delle Vite. 20
Solo per i padovani lâAnonimo includeriferimenti a opere. Di Campagnola men-ziona due dipinti: uno nella chiesa diSantâAgostino, lâaltro nel Palazzo delPodestĂ . Il primo corrisponde allaâResurrezione di Cristo con vari santiâ,ora al Museo Civico (inv. 2321), databilefra il 1547 e il 1554, allora inserita in unacornice monumentale sullâaltare maggio-re della chiesa, e celebrata dai contempo-ranei come una delle piĂč importanti ope-re della cittĂ . Il secondo Ăš invece identifi-cabile con lâultimo dipinto conosciutodellâartista, il giĂ citato âSan Marco con ilpodestĂ Marino Cavalliâ, databile fra il 12aprile 1562 e il principio del marzo 1563(termini cronologici dellâufficio podesta-rile di Cavalli). Ă forse questo lo stessodipinto cui si riferisce un pagamento aCampagnola del 26 febbraio 1563 âpermercede di haver dipinto il quadro grandenuovamente posto nella Camera dellâAu-dientia nel palazzo del cl[arissim]o Pode-stĂ â registrato il 2 marzo dello stessoanno. 21 LâAnonimo non offre invece rife-rimenti specifici per le opere di dellâAr-zere, di cui si limita a sottolineare nume-ro e qualitĂ stupefacenti riportando il giu-dizio di Marco deâ Medici.Questo elenco dei migliori artisti moder-ni che include, assieme ai padovani, figu-re controcorrente, criticate o trascuratenella scrittura dâarte coeva, come Loren-zo Lotto e Rocco Marconi, esprime inmodo sintetico una visione storico-arti-stica del territorio veneto incentrata suPadova, integrativa e alternativa rispettoa quella vasariana, verso la quale lâAno-nimo mostra un crescente atteggiamentocritico.Forse le pagine piĂč interessanti delle Vitedi Yale in questo senso sono quelle dellabiografia di Francesco Francia, una fra lepiĂč postillate. Qui lâAnonimo scrive unanota polemica sul trattamento pregiudi-ziale che Vasari riserva agli artisti lom-bardi, e in difesa di questi:
âNota chommo che questo [G]iorgio aretino Ăšmolto apassionato contro lombardi, ma faciquanto che lui vole, bisongnia che lui habipacienzia, che ancor in queste parti sonnohomeni excelentiâ (fig. 14). 2226 [Saggi]
5. Padova, Santa Maria dei Servi, esterno, latoorientale, visto da nord.
Lombardi nel Cinquecento sono anchegli emiliani come Francia. Ma la postillanon puĂČ essere una difesa del bolognese.Non solo sarebbe ingiustificato prenderele parti di un artista che gode nella Tor-rentiniana di un trattamento privilegiato,ma abbiamo anche visto che lâannotatore,in contrasto con Vasari e i precedenti let-terari sul pittore, ne considera lâoperamediocre, non paragonabile alle altrelombarde o in Lombardia. 23
Gli âhomeni excelentiâ sono, dunque,quegli artisti norditaliani taciuti o sotto-valutati nelle Vite â ma ben noti nellâam-biente artistico padovano â che, secondolâAnonimo, Francia non rappresentadegnamente: i locali Campagnola e del-lâArzere (certamente sopravvalutati dal-lâanonimo lettore), e quei forestieri cheavevano lasciato traccia profonda del loropassaggio nella cittĂ , come GirolamoRomanino a Santa Giustina (lââUltimacenaâ nel refettorio del monastero e laceleberrima pala della âMadonna colBambino in trono e santiâ [1513; oraentrambe al Museo Civico: inv. 663 e669]), o gli scultori Lombardo al Santo
(il sepolcro di Antonio Roselli, opera diPietro, e la monumentale Cappella delSanto, ornata coi rilievi dei âMiracoli diSantâAntonioâ dello stesso Tullio e delfratello Antonio). 24 La postilla evoca dun-que, forse non senza il senso di un ormaiavvenuto declino, una tradizione di pre-stiti e scambi fra artisti norditaliani cheproprio a Padova aveva trovato straordi-naria espressione e continuitĂ , fin dalleesperienze mantegnesche e quindi innan-zi per quasi un secolo. Una tradizioneche, a detta dellâAnonimo, Vasari inten-zionalmente trascura nelle Vite. 25
Secondo lâannotatore, Vasari bistrattalâarte norditaliana usando una doppiamalizia: tacendo degli artisti migliori edeleggendo al loro posto un campione ina-deguato. Si comprende cosĂŹ perchĂ© lapostilla sia stata apposta al margine delfamoso aneddoto sulla morte di Francia:rappresentazione di un confronto impari,fra lâarte provinciale del bolognese equella somma di Raffaello, che in man-canza di altri, nelle pagine delle Vite,diventa esemplare di quello piĂč vasto eimportante fra lâarte lombarda e quella
fiorentino-romana. Narra infatti Vasariche il bolognese, celebratissimo in patria,comprese i propri gravi limiti solo dopoaver visto la âSanta Ceciliaâ di Raffaello;sopraffatto dalla sublime perfezione deldipinto, sarebbe infine morto di dolore. 26
Vale la pena anche notare, volendo esse-re precisi, che lâannotatore scrive lapostilla sui âlombardiâ ben prima dellaconclusione dellâepisodio, che cade nellapagina seguente. CiĂČ Ăš riprova del fattoche il succo dellâaneddoto gli era giĂ noto. Vasari lo aveva anticipato sei pagi-ne addietro ed egli lo aveva puntualmen-te indicizzato: âNota chommo il FranzaabandonĂČ lâarte et la vita vedendo lâopredi Raphaelo di Urbinoâ (p. 530). Indub-biamente lâAnonimo fu colpito dal rac-conto â della cui veridicitĂ non sembradubitare â tanto da farlo suo e ripeterlonella nota biografica dedicata a Tiziano:
âEt credo chommo che la tavola di SantaCecilia, fata da Raphael dâUrbino, posseextasi al Franza tal me[nte] che, commo sidice, lui morĂŹ, cosĂŹ parimente questa[lââAnnunciazioneâ di Napoli] et altre opereche lui ha fato, non solamente ha[nno] parto-
[Saggi] 276. Padova, Santa Maria dei Servi. Padova, interno (stato intorno al 1930).
In un senso piĂč ampio, le postille suilombardi mostrano anche come lâantago-nismo culturale fra le due principali areegeografiche della Penisola, la Toscana ela Lombardia, con le quali si intendevanoil Centro e il Nord, giĂ stigmatizzato nel-la questione della lingua da una secolaretradizione di esempi, da Dante a Trissino(e poi fino a Manzoni), si era esteso allearti figurative, certamente con granderesponsabilitĂ da parte di Vasari. 27
La rappresentazione lacunosa che le Viteriservano al Norditalia, e soprattutto alVeneto, viene rilevata dallâAnonimo sin
rito terore neli moderni pictori, ma ancordemostrano che li antichi non sapeano nientede la picturaâ.
Compreso, dunque, il valore esemplaredellâaneddoto e la sua nevralgica impor-tanza nella rappresentazione dellâartenorditaliana nelle Vite, lâannotatore loriutilizza per uno scopo diametralmenteopposto, ovvero come termine di parago-ne per rimarcare enfaticamente la supe-rioritĂ assoluta dellâopera di Tiziano, ilcampione norditaliano, combattendo cosĂŹVasari, o per scaltrezza o per scarsitĂ dimezzi, con le sue stesse armi.
dalle prime pagine e criticata con incisivachiarezza nel commento conclusivo delvolume. 28 Qui lâannotatore denuncia ilsoverchiante fiorentinismo delle Vite,accusando Vasari di non avere compresoche il valore fondamentale della pittura Ăšil colorire ad olio e che questo Ăš unâin-venzione veneta:
âNota chommo questo bon homo de Giorgioaretino nara in queste sue vite alcune cose sueche non le direbono la boca del forno, et lecose necessarie lui pone da banda; ove si haveduto mai lodar tanto un paese et biasmarlâaltro, chommo fa questo ravanelo, il qualexalta tanto li soi fiorentini et biasma tanto lialtri et non vede, el poverelo, che la vera vir-tĂč et il spirito de la pictura, che Ăš il colorito aogio, Ăš venuto da queste bande?â (fig. 9). 29
Seppur con un linguaggio semplice, que-sta nota conclusiva, sottolineando lâim-portanza del colore, costituisce una testi-monianza precoce di quel dibattito, desti-nato ad avere larghissima fortuna, sul pri-mato del disegno o del colore nella pittu-ra, che avrebbe trovato radici proprio nel-la contrapposizione fra le tradizioni arti-stiche fiorentina e veneziana. 30 Il riferi-mento allâinvenzione della pittura ad olio,ascrivibile tanto al Veneto (come rivendi-ca lâAnonimo), quanto alle Fiandre (comescrive Vasari), ma comunque non fioren-tina, mira anchâesso a ridimensionare ilruolo svolto dalla Toscana nello sviluppodellâarte moderna (secondo la periodizza-zione dettata dallo stesso Vasari).
In questa prospettiva filo-veneta vannoanche lette le postille che rimarcano lâim-portanza del mosaico veneziano. Sottoli-neando nelle Vite i passi sullâattivitĂ deimosaicisti greci provenienti da Venezia aFirenze, precedente, come scrive Vasari,a quella di Cimabue, lâAnonimo rivendi-ca il primato veneziano nella rinascitadelle arti. Ă anche questo un argomentoanti-fiorentino divenuto poi canoniconella letteratura artistica veneta. 31 LâAno-nimo rimarca inoltre la continuitĂ di taleprimato fino al presente richiamandolâattenzione verso la contemporaneadecorazione musiva della basilica vene-ziana di San Marco: al margine dellâac-cenno di Vasari alle âmeravigliose opereche si possono vedere oggiâ egli annotaâcommo Ăš hogi in San Marcho le mara-vilgiose [sic] opere dei Zuchati; et ancorin Santa Maria Nova la tavola di SanVetorâ (fig. 18). 32 La postilla celebra leopere di Francesco e Valerio Zuccati,quei mosaicisti legatissimi a Tiziano che,proprio negli anni in cui lâAnonimo scri-ve, stavano completando la decorazionemusiva dellâatrio di San Marco e cheintorno al 1560 avevano mostrato lepotenzialitĂ pittoriche del micromosaico28 [Saggi]
7. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le ViteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, 1987 441 1-2, p. 534.
nella monumentale pala con âSan Vittoreadorato da alcuni confratelliâ nella chiesadi Santa Maria Nova (ora nei depositidella basilica di San Marco). 33
LâAnonimo non manca di elogiare la pit-tura veneziana esaltando due opere diVittore Carpaccio, un artista che Vasarisenzâaltro sottovaluta nella Torrentiniana:il ciclo di teleri delle âStorie di SantâOr-solaâ giĂ nellâomonima Scuola e la tavoladel âMartirio e apoteosi dei diecimilasanti del Monte Araratâ (ricordata solonella Giuntina), giĂ nella chiesa di San-tâAntonio (ora entrambe nelle GalleriedellâAccademia). 34 Critica invece la paladi Cima da Conegliano che raffiguraâSan Pietro Martire tra San NiccolĂČ, SanBenedetto e un angelo musicanteâ (lâuni-ca opera di Cima ricordata nelle Vite), giĂ nella chiesa veneziana del Corpus Domi-ni (ora a Brera). 35
Giunti a questo punto dellâanalisi deldocumento, non saranno passate inosser-vate alcune caratteristiche delle postille,le quali suggeriscono che lâAnonimopossedeva solo il primo dei due volumidella Torrentiniana. Non sarebbe altri-menti comprensibile perchĂ© egli abbiariportato osservazioni su opere e artistirecenti nel primo volume, dove Vasaritratta di una o piĂč generazioni preceden-ti. Il secondo, dedicato allâetĂ moderna,in cui lâaretino ricorda quasi la metĂ degliartisti menzionati nelle postille, sarebbestato piĂč appropriato per accogliere leintegrazioni. Similmente, la nota biogra-fica su Tiziano, lâesempio vivente del pri-mato veneziano, avrebbe trovato la suacollocazione ideale alla fine dello stessovolume, contrapposta alla biografia diMichelangelo, il campione del primatofiorentino. La stessa considerazione valeper il commento conclusivo sulle Vite, ilquale appare alla fine del primo volume(fig. 9), ma che sarebbe stato piĂč logicotrovare alla fine dellâintera opera. Infine,la stessa indicizzazione del testo, motivoprincipale per cui lâAnonimo impugna lapenna, sarebbe stata inutile se egli avesseposseduto anche il secondo volume, cor-redato di un completissimo indice astampa. Si puĂČ dunque concludere che laconoscenza delle Vite da parte dellâanno-tatore doveva essere parziale, limitata aiprimi due dei tre periodi artistici delinea-ti da Vasari; un dato che, implicandolâimpossibilitĂ di un intervento sistemati-co ed organico sul testo, si accorda colcarattere estemporaneo della scritturadelle postille.Si ha inoltre lâimpressione che anche lalettura del testo sia stata discontinua. Nonsi spiega altrimenti lâassenza di annota-zioni laddove ci si aspetta di trovarne,
soprattutto considerando il campanilismodellâAnonimo. La biografia di Mantegna,ad esempio, contiene inesattezze degnedi nota ma che sembrano invece esserepassate inosservate, prime fra tutte lâaf-fermazione che lâartista era mantovanoanzichĂ© padovano e lâerrata ubicazionedella Cappella Ovetari nella chiesa deiServi, anzichĂ© agli Eremitani. Similmen-te la biografia di Bellano, lâunico pado-vano che riceve significativa attenzionenelle Vite (ad eccezione, appunto, diMantegna), Ăš rimasta intonsa. LâAnonimonon si sofferma neppure sulla menzione
di Donatello nella biografia di PaoloUccello nĂ© sui due passi che trattano del-lâinvenzione della pittura a olio (nellâin-troduzione teorica alla pittura: âDeldipingere a olio in tavola e su le teleâ; enella biografia di Antonello da Messina):un soggetto, questâultimo, verso il qualeegli esprime invece, come abbiamo visto,un vivo interesse nella nota conclusivasullâultima pagina. 36 Saltuaria ed estem-poranea, dunque, la lettura delle Vite daparte dellâAnonimo sembra limitata aquelle pagine del volume dove compaio-no le annotazioni. Queste, escludendo
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8. Francesco Francia: âPala di Ognissantiâ (1506).Ferrara, Duomo.
tro Perugino, lâultima biografia del volu-me (pp. 530-552). Dal documento nonemerge alcun interesse da parte dellâA-nonimo (o degli altri scriventi) per leintroduzioni teoriche (âProemioâ dellâo-pera e delle tre arti; âProemio delle viteâ;âProemio della seconda parte delle viteâ),dove non vi Ăš traccia di penna.Rimane infine da osservare unâulteriorecaratteristica del documento, ovvero lapresenza di alcuni errori e imprecisioni,che obbliga ad una verifica puntuale del-le informazioni, caso per caso. In unanota alla biografia di Carpaccio, adesempio, lâAnonimo riporta un giudiziodi Domenico Campagnola sulla pala diSan Giobbe di Giovanni Bellini, in cuilâartista esprime riserve sullâindumento
quelle al margine della lettera dedicatoriaal duca Cosimo I (p. 3) e la nota biogra-fica su Tiziano, che per scopi e dimensio-ni costituiscono un caso a parte, si posso-no raggruppare in cinque distinte sezionidel testo: 1) da Cimabue a Giotto (pp.126-149); 2) da Taddeo Gaddi a LorenzoMonaco (pp. 177-218); 3) da Brunelle-schi al Filarete (pp. 305-359); 4) da Gen-tile da Fabriano (e Pisanello) a FrancescodâAngelo di Giovanni, detto il Cecca (pp.417-460); 5) da Francesco Francia a Pie-
del San Sebastiano, descritto come unaâbraca da schiavoâ:
âIn questa tavola fata in San Job Ăš una figurade un san Sebastiano molto lodata daâ pictorimoderni: solum ha un difeto, che ha una bra-ga da sciavo, per iuditio de lâexcelente pictormesser Domenego Campagnola; 1563â (fig.16). 37
Ma delle brache non vi Ăš traccia neldipinto. ComâĂš noto, la figura del santoindossa un convenzionale perizoma. Ăprobabile, dunque, che lâAnonimo quiriporti un giudizio che Campagnola ave-va espresso in merito a unâaltra opera oche questâultimo conservasse un ricordoimpreciso della stessa. Allâorigine del-lâerrore doveva comunque essere unequivoco fra la pala di San Giobbe e unaltro dipinto contemporaneo forse perdu-to. Non va perĂČ trascurata lâeventualitĂ (come mi suggerisce Francesco Caglioti)che tale dipinto sia lâantonelliana pala diSan Cassiano, che per tipologia, dimen-sioni, soggetto, affinitĂ di stile, nonchĂ©fama, potrebbe essere stata facilmentescambiata dallâannotatore (meno, invece,da un esperto come Campagnola) colcapolavoro di Giovanni Bellini, compliceil ricordo a distanza. Ă vero che rimanedifficile appurare con certezza quale spe-cifico indumento il San Sebastianoindossasse: documentata nella chiesa diSan Cassiano fino al 1581, la pala era giĂ smembrata in cinque frammenti neglianni â30 del Seicento, e fra i tre soprav-vissuti (ora al Kunsthistorisches Museumdi Vienna) non si trova quello raffiguran-te il santo. Tuttavia, della figura abbianouna copia eseguita da David Teniers ilGiovane nei primi anni â50 del Seicento,quando cinque frammenti, significativa-mente allora attribuiti a Giovanni Bellini,si trovavano a Bruxelles nella collezionedi Leopoldo Guglielmo dâAsburgo (poitradotta a stampa per quel Theatrum Pic-torium, 1660, che illustra i capolavori del-la raccolta). Essa mostra chiaramente ilsanto coperto da un panno che potrebbecorrispondere allâindumento descritto dalvecchio Campagnola: corto e ampiamen-te rimboccato (e forse un poâ gonfiato, sipuĂČ pensare, dal pennello secentesco del-lâillustre copista), a metĂ fra le mutandecorte e aderenti che ricorrono in altre ope-re di Giovanni Bellini e Antonello, e unperizoma di foggia tradizionale. 38
Un secondo caso di errore riguarda lacorrezione da parte dellâAnonimo di unrigo della nota biografica manoscritta suTiziano che recita: âha depinto in SanSalvator unâaltra tavola dela Transfigura-tion [corretto sopra Nunziata] moltohonoratamente fata, onde li ha posto ilsuo nomeâ. LâAnonimo qui soprascrive30 [Saggi]
9. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 552.
âTransfigurationâ, da riferirsi alla âTra-sfigurazioneâ che Tiziano aveva eseguitoper lâaltare maggiore della chiesa di SanSalvador, fra il 1562 e il 1565, in luogo diâNunziataâ, riferibile allââAnnunciazio-neâ anchâessa eseguita dal pittore fra il1563 e il 1566 per la stessa chiesa (e col-locata nella cappella del mercante Anto-nio CornovĂŹ della Vecchia). 39 Dalla corre-zione si evince che lâAnonimo non era aconoscenza del fatto che entrambe leopere erano nella stessa chiesa e che sololââAnnunciazioneâ, cosĂŹ come egli avevainizialmente e correttamente riportato,reca la firma dellâartista. 40 Questo doppiofraintendimento suggerisce che egliabbia utilizzato in tempi diversi almenodue fonti, una delle quali, precedente eaccurata a tal punto da ricordare il detta-glio della firma, non era piĂč disponibileal momento della correzione.Un terzo caso degno di interesse Ăšanchâesso contenuto nella nota biografi-ca su Tiziano ed Ăš imputabile a unâimpre-cisa trascrizione di informazioni ottenuteattraverso fonti orali. LâAnonimo segnalalââAnnunciazioneâ napoletana di Tizianonella chiesa di Santa Maria MaggioreanzichĂ© in quella di San Domenico Mag-giore, dove si Ăš sempre trovata sino alsuo moderno trasferimento a Capodi-monte, e ne attribuisce la commissione aFilippo II anzichĂ© a Cosimo Pinelli,come documentato da una lettera dedica-ta al dipinto composta dal botanicovenosino Bartolomeo Maranta, protettodi Cosimo e mentore del figlio GiovanniVincenzo Pinelli. 41 Ma per questa anno-tazione va innanzitutto rilevato che lospeciale rilievo dato alla pala napoletana,la prima fra le opere di Tiziano ad esseremenzionata nella nota, si spiega per il fat-to che lâidea della commissione, comeriporta lo stesso Maranta, venne al giova-ne Pinelli in sĂ©guito al suo arrivo a Pado-va da Napoli nel 1558. 42 La notizia dellacommissione doveva dunque avere avutonotevole risonanza nellâambiente artisti-co patavino.Va anche notato che, se lâindicazione del-lâubicazione della pala Ăš certamente unerrore imputabile alla distanza geografi-ca, quella del committente rimane que-stione da indagare a fronte del doppiofilo che legava Tiziano e i Pinelli almonarca spagnolo. Negli anni vicini allacommissione del dipinto, Cosimo Pinelliera infatti beneficiario di un incondizio-nato appoggio da parte di Filippo II, dacui aveva ottenuto il titolo di Gran Can-celliere del Regno di Napoli nel 1557,lâinvestitura del ducato di Acerenza nel1563, e il marchesato di Tursi, per ilfiglio Galeazzo, nel 1570. 43
In generale, si ha lâimpressione che laricchezza di informazioni delle postille ela loro affidabilitĂ siano direttamenteproporzionali alla vicinanza che esse sta-biliscono con Padova. La cittĂ Ăš il centroda cui lo sguardo dellâannotatore si irra-dia e rispetto al quale, allontanandosi,perde precisione e fuoco. Lâunico erroreriguardante direttamente la cittĂ che mi Ăšstato dato di riscontrare con certezza Ăš aproposito dello scultore di terracotte Gui-do Mazzoni, detto Modanino, che lâAno-nimo crede essere sepolto nel portico del-
lâantica chiesa di San Lorenzo: âquestoModonino Ăš sepolto in Padua in SanLorenzo fori de la chiesaâ (fig. 17). 44 Sap-piamo con sicurezza che, contrariamentea quanto afferma la postilla, lo scultore fusepolto nella chiesa dei Carmelitani nellasua cittĂ natale di Modena il 12 settembre1518. 45 LâAnonimo Ăš stato fuorviato daunâepigrafe funeraria murata nellâatriodella chiesa padovana, ora perduta, laquale commemorava un musicistaanchâegli denominato âModaninoâ,appellativo che doveva essere comune fra
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10. Domenico Campagnola, autografo. Padova,Archivio di Stato, Notarile, 3229, c. 530r.
naâ (ora in collezione privata), ricordatada Bernardino Scardeone come una dellemigliori della cittĂ e successivamentecelebrata dai maggiori storici padovani, ela âVergine col Bambino e i Santi Girola-mo e Sebastianoâ per lâaltare Serravalle,ora appesa alla parete occidentale oltrelâingresso della sacrestia, in prossimitĂ della Cappella del Sacro Cuore (che Ăš ilsacello alla destra del coro). 48 Sempre aStefano spetterebbe, secondo unâipotesidi Alessandro Ballarin, la decorazionegiĂ nel soffitto dellâoratorio di SantaMaria del Parto, adiacente alla chiesa,con formelle lignee dipinte con busti diâSantiâ (in una di queste Pietro Brandole-se leggeva nel Settecento la data 1531),tradizionalmente assegnata a Campagno-la. 49
Per ciĂČ che riguarda lâattribuzione delâCrocifissoâ a Donatello (questione affat-to diversa rispetto alla conoscenza direttao meno dellâopera), non Ăš trascurabile lapossibilitĂ che essa sia stata ricordataallâAnonimo proprio da Campagnola eche questi ne avesse a sua volta ricevutonotizia dal nonno adottivo, quel Girola-mo Campagnola noto proprio per le sueconoscenze sullâarte padovana, il qualeaveva avuto rapporti di amicizia con imaggiori artisti residenti a Padova, fracui Squarcione e Mantegna, e che al tem-po della partenza di Donatello dalla cittĂ doveva avere tra i diciotto e i venti annidâetĂ . 50 Come abbiamo ricordato, Girola-mo aveva lasciato testimonianza di que-ste conoscenze in una lettera sullâarteindirizzata al filosofo NiccolĂČ LeonicoTomeo, perduta, ma ben nota ai contem-poranei.Tuttavia, al di lĂ di come lâattribuzionesia giunta fino allâannotatore, ciĂČ cheulteriormente la avvalora Ăš un nuovoriscontro filologico, il quale confermache a Padova Donatello doveva avere ese-guito, oltre a quello bronzeo, uno o piĂčâCrocifissiâ. Si tratta anche in questocaso di una postilla, redatta al marginedel celebre codice fiorentino manoscrittonoto come âAnonimo Gaddianoâ (oâMagliabechianoâ), compilazione di bre-vi biografie di artisti databile tra il 1542e il 1548. 51 LâAnonimo Gaddiano, in unsecondo momento rispetto alla redazionedella nota biografica su Donatello, anno-ta al margine del breve resoconto sul sog-giorno padovano del maestro (c. 66v):âsonvi anchora due Crucifissi et unaNostra Donna, che lo sa L(orenz)o tor-niaioâ (figg. 18-19). 52 Nonostante lâim-portanza e la notorietĂ della compilazio-ne che la contiene, edita piĂč volte a parti-re dalle pubblicazioni di Karl Frey e Cor-nel von Fabriczy che si susseguirono a
gli emigrati modenesi di bassa statura. 46
La svista mostra quali erano i limiti lin-guistici dellâannotatore (ulteriore confer-ma del fatto che egli non doveva essereun letterato di professione), ma allo stes-so tempo testimonia della sua sostanzialebuona fede nellâusare lo strumento dellepostille per trasmettere, seppur in modoestemporaneo e disorganizzato, informa-zioni sulla storia e lâarte di Padova nonriportate da Vasari.
Il âCrocifissoâ dei Servi
Allâorigine della postilla sul âCrocifissoâservita (figg. 1, 27) doveva esservi unaconoscenza diretta dellâopera. Negli annidellâAnonimo di Yale, la decorazione del-la chiesa padovana dei Servi era fastosa,riguardando un considerevole corpo didodici altari e gran parte della superficiemuraria interna (fig. 6). Vestigia e docu-menti indicano che la decorazione delcomplesso ecclesiastico, comprensivo âoltre che della chiesa â di convento e ora-tori, aveva impegnato, se non Campagno-la direttamente, artisti appartenenti allasua cerchia, a partire dalla quarta decadedel Cinquecento.Degli affreschi cinquecenteschi, realizza-ti in almeno due fasi distinte, rimangonosoprattutto visibili i frammenti delleâMarie piangentiâ nella Cappella del Cro-cifisso, sopravvivenza di un affrescovoluto da Bartolomeo Campolongo nel1512 (fig. 26); tre episodi di un ciclo del-la âPassioneâ in prossimitĂ della medesi-ma cappella sulla parete orientale, di cuisi legge solo il dettaglio dei soldati chegiocano ai dadi; angeli musicanti che reg-gono spartiti musicali (i cui pentagrammisono ancora chiaramente leggibili) nellaparte occidentale della controfacciata;una âMadonna col Bambino e i SantiAntonio e Roccoâ nella parte orientaledella stessa parete; una monumentalecornice di un soggetto perduto nella pare-te orientale del coro (proiezione ingigan-tita della cornice dello scomparto lateraledellâancona lombardesca di Jacopo Mon-tagnana nella Cappella vescovile, 1495);e una âMeridianaâ dipinta sulla pareteorientale in alto, in prossimitĂ dellâoculo,simile a quella realizzata da Campagnolanel salone del Palazzo della Ragione(1556). 47
Delle opere mobili perdute o esistenti,tuttora in loco o rimosse, Stefano del-lâArzere aveva realizzato la pala dellâal-tare maggiore, la âVergine coi Santi Pao-lo, Agostino, Maria Maddalena e Cateri-
ruota fra il 1892 e il 1893, la postilla Ăšstata finora sorprendentemente trascuratada tutti gli studi sullâattivitĂ padovana diDonatello.Ă vero che la segnalazione, basata su diuna comunicazione a voce da parte di unartigiano di nome Lorenzo, personaggionon altrimenti identificabile, rimane in sĂ©piuttosto generica. La âNostra Donnaâpotrebbe riferirsi al rilievo di una âmoltobella Nostra Donnaâ menzionato daVasari, oppure, piĂč probabilmente, allastatua bronzea della âMadonna col Bam-binoâ eseguita per lâAltare del Santo. Maper ciĂČ che riguarda i due âCrocifissiâ, seuno Ăš certamente il celeberrimo bronzodel Santo, per lâaltro rimangono princi-palmente due possibilitĂ : la sculturalignea di Santa Maria dei Servi e quella,sempre lignea, giĂ nella chiesa di San-tâAgostino, perduta ma attribuita a Dona-tello a partire dalla seconda metĂ del Sei-cento.Lâattribuzione donatelliana del âCrocifis-soâ di SantâAgostino dovette nascere nel-lâambiente domenicano. La prima men-zione a me nota Ăš nel diario di viaggio diDaniel Papebroch, in visita a Padova perdue giorni nellâottobre 1660 sotto la gui-da del gesuita ferrarese Carlo AlbertoPallavicino. 53 Si ritrova pochi anni dopoin una descrizione manoscritta della chie-sa conservata presso lâArchivio di Statodi Padova, databile agli ultimi anni dellasettima decade del secolo, e nella raccol-ta epigrafica patavina di Giacomo Salo-monio, stampata nel 1701. 54 Questâulti-ma menzione non sfuggĂŹ a GiuseppeFiocco, che la segnalĂČ in occasione delconvegno donatelliano del 1966. 55
Sarebbe dunque possible riferire lapostilla fiorentina dellâAnonimo Gaddia-no sia al âCrocifissoâ servita sia a quellodei domenicani. Ma Ăš importante aggiun-gere che, se dovessimo procedere peresclusione, sarebbe il secondo a tornaredubbio. CiĂČ non solo per via dellâimpos-sibilitĂ di un confronto diretto con lâope-ra (dispersa in sĂ©guito alla demolizionedella chiesa nel 1818), 56 ma anche perchĂ©lâattribuzione rimane tarda e circoscrittanel tempo, non trovando riferimenti pri-ma dellâappunto del bollandista e sĂ©guitodopo Salomonio. La guida di Giovambat-tista Rossetti, stampata nel 1765, giĂ ricorda il âCrocifissoâ come âopera dirozzo artefice, e non giĂ di Donatello,come fu pubblicato colle stampeâ. 57
Per tornare alla postilla fiorentina, Ăšimportante chiarire in che modo lâinfor-mazione sullâesistenza di ben due âCroci-fissiâ donatelliani a Padova, circolante aFirenze negli anni â40 del Cinquecento,possa essere sfuggita a Vasari.32 [Saggi]
Per la biografia di Donatello sia lâAnoni-mo Gaddiano sia Vasari si servirono delcosiddetto âLibro di Antonio Billiâ, uncodice manoscritto contenente notiziesugli artisti moderni redatto tra il 1481 e il1530, e oggi noto attraverso due copie. 58
CiĂČ spiega la sostanziale uniformitĂ fra itre testi (il âLibro di Antonio Billiâ, lâA-nonimo Gaddiano e le Vite) per ciĂČ cheriguarda lâattivitĂ del fiorentino a Padova(questo vale, nel caso delle Vite, per i pri-mi diciotto righi del resoconto che necostituiscono il primo nucleo). I tre reso-conti menzionano le stesse opere: il âGat-tamelataâ, il rilievo lapideo della âPietĂ â ei rilievi bronzei del Santo. Unica eccezio-ne Ăš appunto lâinserimento marginaledella nota sui âCrocifissiâ nellâAnonimoGaddiano. Ma a questo proposito, come Ăšdimostrato dallâanalisi comparata fra ilcodice e le Vite condotta da Fabriczy,nonostante lâAnonimo Gaddiano e Vasariscrivessero a pochi anni lâuno dallâaltro,e nonostante si conoscessero personal-mente (lâAnonimo Gaddiano menzionaun tale Giorgio come possibile fontedâinformazione per la sua compilazione,identificato con lâaretino), nessuno deidue ebbe modo di leggere lâopera dellâal-tro. 59 Ă alquanto probabile, dunque, chelâannotazione sui due âCrocifissiâ,aggiunta in sĂ©guito ad un occasionalesuggerimento, sia rimasta sconosciuta aVasari.Tutto ciĂČ che lâaretino aggiunse nellaTorrentiniana alle essenziali informazio-ni tratte dal âLibro di Antonio Billiâ sul-lâattivitĂ padovana di Donatello dovevabasarsi su fonti orali poco o male infor-mate o su ricordi risalenti ad un brevesoggiorno nella cittĂ veneta, forse nel1541 o nel 1542, comunque diversi anniprima che lâidea stessa di scrivere le Vitefosse nata. 60 LâattivitĂ padovana delloscultore, che pure prese un intero decen-nio, dal 1444 (o forse giĂ dalla fine del-lâanno precedente) al 1454, viene dunqueriassunta da Vasari nella Torrentiniana indue paragrafi e in poco piĂč di una pagina.Il primo paragrafo, oltre alle opere giĂ menzionate nel âBilliâ (le due principalicommissioni padovane, allogategli dalSenato veneziano e dai frati minori: ilâGattamelataâ e i rilievi per lâAltare delSanto), aggiunge solamente una brevedescrizione del modello ligneo di uncavallo eseguito per la famiglia Capodili-sta. Il secondo paragrafo Ăš invece quasiinteramente dedicato allâaneddoto sullastatua lignea di un âSan Sebastianoâ ese-guita per un monastero femminile adistanza di un incolto prete fiorentino resi-dente a Padova, cui seguono la menzionedi diverse figure in terracotta e in stucco,
priva di riferimenti ad opere specifiche, eun rapido accenno al rilievo di unaâMadonnaâ scolpito in un marmo cheriposava da tempo nellâorto di alcunemonache (le stesse per cui fu fatto il âSanSebastianoâ). Conclude la narrazione unvago riferimento a numerose altre operenon ricordate: âe similmente per tuttaquella cittĂ sono opre di lui infinitissi-meâ. 61
Il resoconto vasariano rimane dunquegenerico, ma anche inaffidabile e lacuno-so. Lâunica opera identificabile fra quelleaggiunte alle informazioni tratte dal âBil-liâ, lâimponente âCavalloâ ligneo di circasei metri di altezza ora nel Palazzo dellaRagione, Ăš unanimamente ritenuto lavorodi altro scultore. Scardeone ricorda infat-ti la commissione da parte di AnnibaleCapodilista di un cavallo ligneo, da iden-
tificarsi con la scultura segnalata daVasari, per una giostra del 1466, ovverododici anni dopo la partenza di Donatel-lo dalla cittĂ e lo stesso anno in cui eglimorĂŹ ottantenne a Firenze. 62 Oltre a ciĂČrisalta nelle Vite lâimportante omissionedelle sette statue in bronzo eseguite dalloscultore per lâAltare del Santo e termina-te nel 1450 (di cui abbiamo giĂ ricordatola statua centrale della âMadonna colBambinoâ), e soprattutto del celeberrimoâCrocifissoâ bronzeo, il cui primo paga-mento, datato 24 gennaio 1444, ben treanni prima del primo pagamento ricevutoda Donatello per il âGattamelataâ (anchese si riferisce ad una fase avanzata dellascultura) e della documentata commis-sione dei rilievi per il Santo, costituiscela prima testimonianza della presenzadello scultore in cittĂ . 63 Donatello era
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11. Domenico Campagnola, autografo. Padova,Archivio di Stato, Notarile, 3229, c. 530r (particolaredella fig. 10).
12. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in fondo a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 552 (particolare).
Donnaâ si Ăš giĂ scritto sopra, e per ilresto le indicazioni sono talmente generi-che da non consentire alcuna ipotesi.Nella seconda edizione delle Vite (1568),Vasari e i suoi collaboratori si adoperaro-no per colmare le numerose lacune dellaprima, soprattutto a proposito dellâartedelle Venezie, recuperando fonti scritte etessendo una rete di corrispondenza coninformatori residenti nella regione. PerPadova Vasari utilizzĂČ la lettera di Giro-lamo Campagnola a Leonico Tomeo. Aquesto proposito non deve sorprendereche lâaretino, pur attingendo alla lettera,e dunque, indirettamente, alla stessa
dunque a Padova tre anni prima di quan-to Vasari non faccia intendere. Vacilla diconseguenza anche la ragione che lâareti-no adduce per giustificare la partenzadello scultore per il Norditalia, ossia lachiamata da parte del Senato venezianoper erigere la statua equestre del condot-tiero. A questo proposito, Fiocco hasostenuto che lo scultore fosse stato chia-mato dagli stessi francescani che avevanocommissionato allâartista il âCrocifissoâbronzeo. 64 Per ciĂČ che riguarda le altreopere, vi Ăš pochissimo da osservare: ilâSan Sebastianoâ ligneo non Ăš mai statoidentificato, del rilievo della âNostra
potenziale fonte dellâAnonimo di Yale,non riporti alcuna notizia del âCrocifis-soâ. I riferimenti alla lettera nella Giunti-na e nelle note manoscritte di Michielindicano infatti che essa era esclusiva-mente dedicata ai pittori. In particolare,doveva trattare di coloro che avevanolavorato a Padova dai tempi dei Carrare-si, signori dal 1338 al 1388, fino ad unpresente che doveva coincidere con glianni del lettorato padovano del destinata-rio della lettera, tra il 1497 e il 1505 o1507, comunque prima del 1522, annodella sua morte. 65 Nella lettera non pote-va dunque esservi alcuna menzione delâCrocifissoâ cosĂŹ come di nessunâaltraopera donatelliana.Ugualmente privi di informazioni sullâat-tivitĂ di Donatello a Padova, e comunquetroppo tardi rispetto alla scrittura dellabiografia dellâartista nella Giuntina, giĂ redatta nel 1564 e stampata prima delgennaio 1565 (tre anni prima dellâuscitadi tutta lâopera), dovevano essere i reso-conti redatti dai potenziali informatorisulla scultura padovana utilizzati daVasari: il giĂ ricordato Marco deâ Medicie lo scultore e poeta carrarese emigrato aVenezia Danese Cataneo. La Giuntinaindica che il Medici fornĂŹ soprattuttonotizie sugli architetti e pittori veronesi,rintracciabili nel testo a stampa a partiredalla doppia biografia di Gentile daFabriano e Pisanello: un dato confermatoda due lettere autografe del domenicano.Cataneo dovette invece inviare a Vasariinformazioni sulla scultura padovana masolo a proposito di opere recenti, da inse-rire nella terza e ultima parte dellâopera. 66
Valga come esempio lâaddizione dellaDescrizione dellâopere di Iacopo Sansa-vino, scultore fiorentino, in cui si legge,in una sezione probabilmente redatta daCataneo (con qualche evidente interventodi Vasari e collaboratori), di opere cheSansovino e i suoi allievi Iacopo Colon-na, Tiziano Aspetti, Pietro da SalĂČ, Ales-sandro Vittoria e lo stesso Cataneo aveva-no eseguito a Padova solo pochi anni pri-ma dellâuscita a stampa del volume. 67
Fu cosĂŹ, dunque, per buone ragioni e permancanza di ulteriori informazioni, chelâinadeguato resoconto sul soggiornopadovano di Donatello rimase invariatonel passaggio dalla prima alla secondaedizione delle Vite. Un dato che acquistaancor piĂč rilievo se confrontato con lâac-curata revisione stilistica di cui la biogra-fia donatelliana fu comunque oggetto.Vasari riuscĂŹ invero anche ad aggiornareil catalogo complessivo dello scultoreaggiungendovi circa dieci opere, ma sitratta di un gruppo di sculture che neglianni â60 del Cinquecento si trovavano34 [Saggi]
13. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 130.
nella Guardaroba medicea e nelle mag-giori collezioni di Firenze cui lâaretinoaveva accesso. 68 Significativamente,anche le aggiunte alla biografia delloscultore Bellano, discepolo padovano diDonatello, riguardano opere non padova-ne, eseguite dallo scultore a Roma e aPerugia. 69
Queste osservazioni sui limiti delle cono-scenze vasariane invitano a considerareun ulteriore elemento critico di piĂč gene-rale importanza, espresso in modo impli-cito dal contenuto esclusivamente pittori-co della lettera di Campagnola a Tomeo,ovvero la sostanziale mancanza di fontiscritte sulla scultura padovana del Quat-trocento a disposizione degli scrittoridâarte del secolo successivo.Il precedente di Michele Savonarola, ilLibellus de magnificis ornamentis regiecivitatis Padue (circa 1448), un brevetrattato panegirico storico-letterario sul-lâorigine della cittĂ , i suoi illustri cittadi-ni e le sue bellezze artistiche, eraanchâesso principalmente dedicato allapittura; e comunque era troppo precoceper lâopera donatelliana (se Ăš vero, comesuggerisce Arnaldo Segarizzi, che lamenzione del âGattamelataâ, ultimatosolo nel 1453, fu inclusa in un secondomomento rispetto alla redazione delmanoscritto). 70
Il dialogo di Pomponio Gaurico, DeSculptura, pubblicato a Firenze nel 1504ma composto a Padova entro lâanno pre-decente allâinterno degli stessi circoli fre-quentati da Girolamo Campagnola e Nic-colĂČ Leonico Tomeo (proprio questâulti-mo figura tra i personaggi del dialogo),non rappresenta unâeccezione. Gauricoconserva un approccio distintamenteumanistico verso le arti figurative, scar-samente interessato alla geografia e alladescrizione delle opere dâarte. Dedicaampio spazio a Donatello, lo celebra intermini eroici, ma della sua opera ricordasolo il âGattamelataâ. 71
Nella terza decade del Cinquecento, lamancanza di informazioni scritte sullascultura padovana doveva indurre Mar-cantonio Michiel a ricorrere alla testimo-nianza diretta dello scultore Andrea Brio-sco, detto il Riccio. Ma anche in questocaso, come la Notizia mostra chiaramen-te, lâutilizzo di fonti orali doveva produr-re informazioni soprattutto a proposito diopere recenti, eseguite in anni vicini allaredazione del manoscritto. 72
Sempre a fonti orali, scarsamente infor-mate sulla scultura quattrocentesca,ricorse anche il piĂč volte ricordato cano-nico padovano Bernardino Scardeone nelDe antiquitate urbis Patavii et claris civi-bus Patavinis (1560), principale compila-
zione storiografica padovana del Cinque-cento, il cui ultimo libro Ăš dedicato agliartisti illustri della cittĂ . Tuttavia nel casodi Scardeone la scarsitĂ di informazionisullâattivitĂ di Donatello, di cui vienericordato, ancora una volta, solamente ilâGattamelataâ, se da una parte Ăš com-prensibile in unâopera dedicata esclusiva-mente a padovani, dallâaltra pone in rilie-vo un ulteriore elemento critico dellâese-gesi donatelliana: il rapporto ambiguoche doveva esistere fra la celebrazionedello scultore fiorentino e lâorgoglio civi-co dei padovani. Se per alcuni autoricome Gaurico (che infatti padovano non
era) la celebrazione di Donatello implica-va il riconoscimento che Padova, piĂč diFirenze, ne avesse favorito il genio, perScardeone essa minacciava di oscurare imeriti di coloro che nella cittĂ veneta era-no nati. Ne Ăš un esempio il caso di Bella-no, esaltato in termini entusiastici(âmirus artifexâ) da Scardeone, ma deni-grato come incapace (âineptus artifexâ)da Gaurico, proprio a paragone degliscultori fiorentini. 73
In conclusione, Ăš dunque possibile cheVasari e gli altri scrittori dâarte del Cin-quecento non fossero affatto informatisulla paternitĂ donatelliana del âCrocifis-
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14. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 536.
VenerdĂŹ Santo successivo. Il miracolo,riconosciuto dal vescovo vicario PaoloZabarella, fu seguito da speciali devozio-ni e processioni, e assunse una vastissimapopolaritĂ . Lâentusiasmo popolare, unitoad unâefficace propaganda da parte delleautoritĂ ecclesiastiche, condusse in tempistraordinariamente brevi allâistituzionedella Confraternita del Crocifisso, il 18maggio dello stesso anno.Connesse alla memoria del miracolo edella confraternita sono alcune testimo-nianze secentesche sul âCrocifissoâ: unamedaglia commemorativa che ritrae ilvescovo vicario nellâatto di raccogliere il
soâ servita, o non avessero comunquevoluto, per diverse ragioni, riportarnenotizia.Tuttavia, i problemi esegetici posti dalâCrocifissoâ servita non finiscono qui.Ho giĂ sottolineato come lâopera sia pas-sata quasi inosservata fino ad oggi, manon ho ancora detto come tale dimenti-canza sia imputabile, almeno in parte,allâaccadimento di un evento eccezionaledi cui si conserva particolareggiato ricor-do. A partire dal 5 febbraio 1512 il âCro-cifissoâ traspirĂČ sangue dal volto e dalcostato continuatamente per quindicigiorni, riprendendo a traspirare anche il
sangue in un calice, di cui rimangono leriproduzioni a stampa contenute nel volu-me panegirico Aula Zabarella di Giovan-ni Cavaccia (figg. 20-22); e una tela attri-buita a Matteo Ghidoni, detto deâ Pitoc-chi, oggi collocata sulla parete orientaledi Santa Maria dei Servi in prossimitĂ della Cappella del Crocifisso. La telaritrae sette confratelli attorno al âCroci-fissoâ abbracciato dalla figura di un ser-vita â con ogni verosimiglianza il fonda-tore della confraternita, Domenico Dottoâ sollevata oltre lâorizzonte di una vedu-ta di Padova, mentre intride una spugnadi sangue miracoloso (fig. 23). 74 La com-missione del dipinto va forse collegata aLe glorie del miracoloso Crocifisso che siritrova nella chiesa deâ venerandi padrideâ Servi in Padova (1637), opuscolopanegirico commissionato dai confratelliad un allora giovanissimo Ferrante Palla-vicino. Lâopuscolo venne dedicato aMichele e Paolo Dotto, pronipoti diDomenico, con lâintenzione di restaurareil prestigio della confraternita, che alloraattraversava una fase di decadimento(fig. 24). 75
In sĂ©guito al miracolo il âCrocifissoâ ven-ne collocato nella cappella a sinistra diquella maggiore (figg. 25-26), dovâĂšancora oggi visibile, rimosso dalla suaubicazione originaria, che fonti tardericordano sullâaltare principale, ma chedoveva essere, come chiarirĂ FrancescoCaglioti, sul tramezzo della navata (inluogo di una Croce preesistente segnalatada due documenti del 1421). 76 Questasistemazione fu voluta da BartolomeoCampolongo, lo stesso benefattore cheaveva finanziato la costruzione del porti-co monumentale lungo il lato orientaledella chiesa (fig. 5). 77 La cappella fudecorata con affreschi (di cui ho giĂ ricordato il frammento visibile delleâMarie piangentiâ) che dovevano include-re anche la figura del Campolongo ingi-nocchiata di fronte al miracolo. 78 I rilieviche circondano attualmente il âCrocifis-soâ, raffiguranti una gloria di cherubinituttâintorno, e in basso un angelo ingi-nocchiato e il vescovo vicario Zabarellache, anchâegli genuflesso, sostiene uncalice col sangue prezioso (figg. 1, 27),sono invece unâopera recente, comme-morativa del quarto centenario del mira-colo nel 1912 (autore lo scultore padova-no Renzo Canella). 79
Della cappella voluta da BartolomeoCampolongo possiamo solo dedurre chelo spazio sulla pianta era pressoché dop-pio rispetto a quello attuale: di due cam-pate anziché una, in simmetrica corri-spondenza con le due campate sul latooccidentale comprensive della Cappella36 [Saggi]
15. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 132.
del Sacro Cuore e del campanile (fig.25). 80 La struttura venne modificata nellaforma attuale in data imprecisata, ma cer-tamente dopo il 1764, anno di un Diariosacro che riporta una descrizione dellacappella da cui si evince che il muro divi-sorio (lo stesso su cui ora poggiano ilâCrocifissoâ e il suo altare) non era anco-ra stato eretto:
â[La cappella] viene illuminata da due fene-stre verso lâoriente e ornata nelle parti latera-li da sedili e spalliere di noce, e da pitture del-la scuola del Mantegna. La mensa sta soprauno scalino rosso ed ha nel mezzo un piccolotabernacolo di bianco marmo. Dietro di luivâĂš una grande ferrata a oro, per cui collâa-prirsi di una cortina si vede alquanto piĂčaddentro, sotto tersi cristalli, il prodigiosoCrocifisso di antica manifattura, a rimirare ilquale piĂč da vicino sâentra per due porticellein un sito angusto, dovâĂš un altare dorato conlavori e cornici ad ornamento della sacraimmagine, data con lâaltare in custodia allaConfraternita, che da lui dicesi la Scuola delCrocifisso, dalla quale sono stati fatti i can-celli di ferro dorato che sâaprono nel mezzo echiudono la cappellaâ. 81
La menzione di due finestre ad oriente(anzichĂ© dellâunica attuale) e di due alta-ri allineati, il primo in una posizione chedoveva corrispondere a quella dellâaltareattuale e il secondo arretrato, presumibil-mente a parete, fa supporre che la cap-pella conservasse ancora nel 1764 lâori-ginale profonditĂ di due campate. 82 Dalladescrizione si puĂČ inoltre dedurre che lacappella, arredata con una panca di legnoche correva lungo i muri laterali, erainternamente divisa da una tenda e daunâinferriata dorata poste dietro il primoaltare (in corrispondenza del punto diincontro delle campate, dove in sĂ©guito Ăšstata eretta la parete di fondo odierna).Lâinferriata fissa tra le campate era dota-ta al centro di due battenti sempre di fer-ro dorato, forgiati a spese della confrater-nita. Allâaltare del Crocifisso si accedevaforse anche mediante lâangusto passag-gio che conserva unâapertura sul coro, eche Ăš ora ridotto a ripostiglio.Anche dellâodierna sistemazione dellacappella ho discusso con FrancescoCaglioti, giungendo insieme a lui alleseguenti conclusioni. Contestualmenteallâerezione del muro divisorio, i duealtari citati nel 1764 furono distrutti. Alloro posto venne collocato il monumenta-le altare di forme secentesche mature chefa da pendant a quello nella Cappella delSacro Cuore (figg. 1, 6, 26). Verosimil-mente tutto ciĂČ avvenne nel corso deipesanti rimaneggiamenti di gusto neogo-tico che stravolsero lâinterno della chiesadurante lâOttocento. Ă immediato pensa-re, infatti, che la coppia di altari barocchi
provenga, piĂč che da una chiesa padova-na soppressa, dalla stessa chiesa servita,visto che nel corso di quei lavori i dodicialtari che erano nella navata, documenta-ti dal Diario sacro del 1764, vennerorimossi e quattro di essi soppressi. Deirestauri ottocenteschi rimangono inbibliografia utili tracce visive grazie adue fotografie pubblicate dal sacerdoteAntonio Barzon nel 1933, una che ritraela navata verso la controfacciata primadel completo âde-restauroâ avviato nel1926, e una che mostra il fianco orienta-le verso la Cappella del Crocifisso duran-te tale campagna. 83
Due brevi colonne allungate da un siste-ma multiplo di zoccoli, dadi e cimase,sostengono un complesso timpano adarco ribassato e spezzato. Completanotale coronamento tre acroteri: due angelisemisdraiati e uno in piedi al centro, conle mani congiunte. Al di sotto di que-stâultimo, alla sporgenza centrale del cor-nicione inferiore dellâarco, sono affissidue volatili putti reggicartiglio in legno,sopravvivenza dellâaltare settecentescoâdorato con lavori e cornici ad ornamen-to della sacra immagineâ menzionato dalDiario sacro in fondo alla cappella dop-pia. Della semplice mensa isolata ricor-
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16. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 448.
abbiano contribuito a oscurare lâidentitĂ del suo artefice. Non sorprende dunqueche la prima osservazione sul âCrocifis-soâ servita come oggetto dâarte non pro-venga dalla letteratura e dalla storiogra-fia ecclesiastiche, ma dalla scrittura pri-vata di un anonimo lettore delle Vitevasariane, un amatore dâarte o artista,che, seppur devoto alla religione (comesuggeriscono le stesse postille), mostra diprivilegiare le qualitĂ formali dellâoperarispetto al suo valore cultuale.Rimane infine da osservare che il nomedi Donatello, se non col âCrocifissoâ,continuĂČ a rimanere associato con lachiesa di Santa Maria dei Servi. Gli sto-rici padovani e autori di guide artistichedella cittĂ ricordano del fiorentino unrilievo in marmo di un âSan Girolamoscriventeâ dipinto âal naturaleâ, docu-mentato fino al Settecento sullâaltare deiCampolongo, presso la parete occidenta-le della chiesa in prossimitĂ della portadella sacrestia, e la âMadonna col Bambi-noâ in pietra colombina, tuttâora allâinter-no della chiesa, collocata entro la fastosamostra tardobarocca dellâaltare dellâAd-dolorata, sempre sul lato destro dellanavata (figg. 28, 26). Nonostante lâattri-buzione del âSan Girolamoâ abbia dasempre ricevuto scarso credito e quelladella âMadonna col Bambinoâ, giĂ messain dubbio da Giannantonio Moschini nel1817, sia stata definitivamente scartatanel 1937 da Oliviero Ronchi, non Ăš maistato finora ipotizzato, per ciĂČ che Ăš amia conoscenza, che lo scultore fiorenti-no potesse avere realizzato per la stessachiesa la scultura maggiore, se non perlâaltissima qualitĂ formale, finora mairiconosciuta, senzâaltro per dimensioni eimportanza cultuale. 85
Giunti al termine di questa proposta attri-butiva, rimane il difficile compito di col-locare lâopera allâinterno dellâattivitĂ padovana di Donatello; difficile non per-chĂ© il âCrocifissoâ ligneo non trovi spazioin un periodo che certamente fu piĂč pro-duttivo di quanto sia stato finora accerta-to, ma, al contrario, perchĂ© troppo poco siconosce al di fuori dei capolavori in mar-mo e in bronzo del maestro. Per ciĂČ cheriguarda la documentazione padovana,sappiamo che fra gli assistenti di Dona-tello era un Giovanni da Feltre falegna-me, detto âcompatreâ dello scultore (âquiest compater suusâ), e che la bottegaavviata dallo scultore a Bovolenta nelchiostro del convento di San Francesco,legato allâomonima chiesuola campestre,eseguiva a volte modelli in legno, comeper il documentato caso del 1447 cheriguarda la commissione da parte di unaconfraternita veneziana di una cappella o
data dallo stesso Diario non rimane inve-ce nulla se non forse lo scalino rosso sucui poggiava (al quale ne sono statiaggiunti due) e il grazioso tabernacolo inmarmo bianco a grandi volute. Ottocen-tesco sembra invece in gran parte ilpaliotto, elemento mediatore e di sintesiâ per quanto Ăš possibile â fra lo stilesecentesco dellâaltare, di cui imita ladecorazione a marmi policromi, e quelloneogotico della nuova veste data allâin-terno della chiesa, di cui ripete i motivigeometrici a compassi spezzati e intrec-ciati. Non Ăš dato sapere come fosse alle-stito prima dellâintervento del 1912 ilvano arcuato a tutto tondo che ospita ilâCrocifissoâ (e che doveva originaria-mente contenere un dipinto centinato),ma si puĂČ immaginare un rivestimento intessuto pregiato, come consueto nelleedicole ottocentesche ospitanti reliquie eimmagini miracolose. Come il suo prece-dente settecentesco, era forse anchâessochiuso con un cristallo.Dellâallestimento anteriore al 1764, chepotrĂ essere ricostruito con maggior sicu-rezza sulla base di ulteriori documenti eun esame delle strutture murarie, importaqui soprattutto sottolineare come la spe-ciale venerazione del âCrocifissoâ abbiain parte compromesso, per un periodoindeterminato, ma che potrebbe coprirelâarco di piĂč di due secoli, la visibilitĂ della scultura; un dato che va interpretatoin un senso non solo e semplicementefisico.Come abbiamo visto, il miracolo Ăš bendocumentato. Viene anche ripetutamentericordato allâinterno della chiesa: da uncartiglio settecentesco sorretto da putti aldi sopra del âCrocifissoâ (âNellâanno 1512in febb(raio) questo SS. Crocefis(s)osudĂČ sangue per 15 giorni e dal VenerdĂŹSanto sino il giorno di Pasqua dello stes-so annoâ); da unâepigrafe ottocentesca,murata sulla parete orientale della cap-pella; e dal foglio, Narrazione del prodi-gioso miracolo di questo SS. Crocifisso,stampato di sĂ©guito al programma difesteggiamenti per il quattrocentocin-quantesimo anniversario del miracolo(1937). 84 Quasi nulla invece, abbiamo giĂ appurato, Ăš noto del âCrocifissoâ comeopera dâarte.In generale, la letteratura ecclesiasticadescrive il miracolo come una combina-zione fra fenomeni naturali e soprannatu-rali, ma Ăš sempre univoca nellâescludereogni umana agenzia. Ă dunque plausibileche proprio la costruzione del miracolo ela conseguente trasformazione del âCro-cifissoâ in un oggetto di speciale culto
un altare mai portato a termine. 86
Queste informazioni, seppur isolate e dipoco conto per unâinterpretazione delâCrocifissoâ servita, invitano a riconside-rare come accanto alla celebratissimaattivitĂ toreutica e alla produzione semi-seriale di sculture in terracotta, lo sculto-re avesse continuato a produrre sculturelignee. Il âCrocifissoâ va cosĂŹ riletto afronte del documento orvietano del 1424che riconosce il magistero dello scultoresia nel marmo sia nel legno (â[magister]lapidum ac etiam [magister intagliator]figurarum in lignoâ), del ricordo delloscultore redatto dal medico GiovanniChellini nel 1456, âsingulare et precipuomaestro di fare figure di bronzo e dilegno e di terraâ, delle menzioni vasaria-ne di quel âSan Sebastianoâ, mai identifi-cato, eseguito a Padova per una chiesa dimonache, e del âSan Giovanni Battistaâligneo donato dallâartista alla colonia fio-rentina a Venezia, con ogni probabilitĂ pochi anni prima del soggiorno padovano(1438). 87
La scultura dei Servi rimanda infine alfamoso aneddoto, narrato da Vasari, sullacompetizione nata fra Donatello e Bru-nelleschi in merito alla scultura di âCro-cifissiâ lignei. 88 Mi riferisco con questonon solo alle opere che sono state attri-buite allo scultore sulla base dellâaneddo-to, cioĂš al âCrocifissoâ di Santa Croce e aquello scoperto da Alessandro Parronchinella chiesa del convento del Bosco aiFrati nel Mugello, ma anche al suggesti-vo contrasto che il racconto vasarianosottolinea fra lâimmediato naturalismodella scultura lignea donatelliana e lamisura di quella brunelleschiana. Proprioquesta caratteristica dellâarte di Donatel-lo ci riporta al bronzo, al corpo saldo epesante del âCrocifissoâ eseguito per ilSanto, con cui il âCrocifissoâ servitainstaura uno strettissimo dialogo. 89 E conquestâultimo confronto, principale chiavedi lettura dellâopera, si giunge al punto incui solo unâanalisi tecnico-stilistica,magari accompagnata in futuro da unrestauro, puĂČ confortare il valore dellâa-nonimo veneto, annotatore delle Vite.
Un ringraziamento speciale va a FrancescoCaglioti, Claudia Cieri Via, Charles Hope, Arman-do Petrucci e Franca Nardelli Petrucci. Desideroinoltre ringraziare Francesco Bruni, GiovannaCapitelli, Bernadette Fort, Augusto Gentili, LorenPartridge, Stefano Pierguidi, Guido Rebecchini,Emanuel Rota e Randolph Starn; per la gentilecollaborazione a Padova, don Alberto Fanton(Biblioteca del Seminario Vescovile), AndreaNante (Museo Diocesano), Elisabetta Favaron(Ufficio Beni Culturali della Diocesi), don LinoBacelle (Santa Maria dei Servi), Francesca Fanti-ni DâOnofrio (Archivio di Stato), Gilda Mantova-38 [Saggi]
ni, Mariella Magliani e Marco Callegari (Bibliote-ca Civica); alla Beinecke Library, Robert Bab-cock, June Can e Clifford Johnson.
1) Le vite deâ piĂč eccellenti architetti, pittori, etscultori italiani, da Cimabue insino aâ tempinostri, descritte in lingua toscana, da GiorgioVasari pittore aretino. Con una sua utile e neces-saria introduzzione a le arti loro, Lorenzo Torren-tino, Firenze 1550, Beinecke Rare Book andManuscript Library, Yale University, 1987 441 1-2(da ora in avanti âVite, Beineckeâ). Il volume Ăšstato donato alla Beinecke Library da FrederickWhiley Hilles il 10 dicembre 1975. Hilles lo ave-va ricevuto dal suocero William Inglis Morse, chelo aveva acquistato a Firenze il 26 marzo 1931(vedi la dedica di Morse a Hilles). Il volume pre-senta le marche di Matthew Dixon e Leo SamueleOlschki e il timbro della libreria romana di Gio-vanni Gallarini, dove si trovava nel 1856 (vedi lamenzione dellâesemplare nel Catalogo delle opereantiche e moderne italiane e forestiere che sonovendibili nella libreria di Giovanni Gallarinilibraio bibliografo in Roma. Parte prima, conte-nente molte edizioni ra re o rarissime dei due pri-mi secoli della stampa e deâ seguenti, Bertinelli,Roma 1856, n. 14739 [Supplemento]).2) Vite, Beinecke, p. 344.3) Per ulteriori informazioni tecniche sullâopera,provvisorie in attesa di un restauro, vedi, oltreallâanalisi di Francesco Caglioti, la scheda inven-tariale diocesana compilata da Chiara Brescacin(scheda OA, n. 3490, Diocesi di Padova â Inventa-rio dei beni culturali mobili) e la breve nota tecni-ca di Francesca Cappelli che segue lâarticolo diSilvia GullĂŹ, Il Crocifisso âmiracolosoâ di S.Maria dei Servi, in âPadova e il suo territorioâ,XVII, 2002, 98, pp. 22-25 (pp. 24-25). Il perizomasostituisce quello documentato da una foto dellâo-pera pubblicata piĂč volte a partire dallâopuscolocommemorativo IV centenario del miracolosoCrocifisso di S. Maria dei Servi in Padova, Tipo-grafia del Seminario, Padova 1912, frontespizio ep. 3 (e simile alla mia fig. 27, del 1931). Su taleperizoma e su quello originario vedi lâampiadiscussione nel contributo di Caglioti qui accanto.4) La menzione da parte di Hans Kauffmann Ăš inDonatello. Eine EinfĂŒhrung in sein Bilden undDenken, Grote, Berlin 1935, p. 234 nota 387(Francesco Caglioti mi segnala che essa non Ăšcomunque sfuggita a Margrit Lisner: vedi oltrenella sua parte, testo e nota 7).5) Per le guide TCI, Veneto, vedi le principali edi-zioni: Milano 1954 e 1992. Solo una guida a fir-ma di Ferruccio Canali, per quel che so, menzionae riproduce il âCrocifissoâ (Padova. Storia e capo-lavori, Bonechi Edizioni âIl Turismoâ, Firenze1996, p. 69). Per lâesigua bibliografia sullâopera,vedi Wart Arslan, Inventario degli oggetti dâartedâItalia. Provincia di Padova. Comune di Padova,Libreria dello Stato, Roma 1936, p. 154 (con ill.);lâopuscolo IV centenario del miracoloso Crocifis-so di S. Maria dei Servi cit.; le numerose pubbli-cazioni del parroco dei Servi Antonio Barzon, Lachiesa dei Servi. Cenni storici, artistici, religiosi,Tipografia del Seminario, Padova 1926; Il S. Cro-cifisso di S. Maria dei Servi in Padova, in âI san-tuari dâItalia illustratiâ, IV, 1931, pp. 50-64; Il S.Crocifisso di S. M. dei Servi in Padova. Memoriee preghiere, Tipografia del Seminario, Padova1932; âIl SS. Crocifisso e lâAddolorataâ, I, 1933,n. 5, suppl. (contenente la campagna fotograficadei restauri strutturali della chiesa); La chiesa deiServi, in âIl SS. Crocifisso e lâAddolorataâ, I,1933, n. 9, suppl. (I Servi di Maria in Padova.Commemorazione centenaria, 13-22 ottobre1933), pp. 10-15; La Chiesa e il convento di San-ta Maria dei Servi di Padova. Memorie pubblica-te nellâanno XXV sul IV centenario dal miracolodel SS. Crocifisso, Tipografia del Seminario,Padova 1937, pp. 3-7; Il Crocifisso miracoloso diS. Maria dei Servi, Padova. Celebrazioni, com-
menti, memorie nel 450° anniversario del miraco-lo, 1-9 aprile 1962, Tipografia del Seminario,Padova 1962 (spec. p. 11); e infine S. GullĂŹ, IlCrocifisso âmiracolosoâ cit. Va notato che GullĂŹidentifica il âCrocifissoâ servita con quello men-zionato in un documento del 1421 segnalato daLucia Mulato. Ma non Ăš possibile pensare che lachiesa non contenesse giĂ un âCrocifissoâ primache il nostro vi venisse collocato. Vedi infatti lecaute considerazioni sullo stesso documento daparte di L. Mulato e Franco A. Dal Pino, SantaMaria dei Servi di Padova: storia, in Padova. LaChiesa di S. Maria dei Servi. Restauro del portico,Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1996, pp.12-34 (p. 26 e nota 30). Vedi anche quelle estesedi Caglioti, conclusive del suo contributo, in part.il testo e le note 117-119.
In generale, sulla chiesa servita, vedi RuggeroMaschio, S. Maria dei Servi, in Padova, basilichee chiese. Le chiese dal IV al XVIII secolo, a curadi Claudio Bellinati e Lionello Puppi, I, Neri Poz-za, Vicenza 1975, pp. 235-246; Padova. La Chie-sa di S. Maria dei Servi. Restauro del portico cit.,e lâesaustiva bibliografia ivi segnalata.6) Dove Vasari ricorda la straordinaria immagina-zione di Spinello, lâanonimo riporta lâespressioneproverbiale âinmaginatio [sic] facit casumâ (Vite,Beinecke, p. 208).7) Vite, Beinecke, p. 448.8) Per questo documento, che sposterebbe ladiscussione sul secondo scrivente e sulla nota bio-grafica dedicata a Tiziano, devo rimandare al miostudio monografico sulle postille.
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17. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le viteâŠ, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 357.
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lature dâarchivio. I. La tonsura di Giulio Campa-gnola, ragazzo prodigio, e un nuovo documentoper Domenico Campagnola, in âMemorie dellâAc-cademia Patavina di Scienze, Lettere e Artiâ,LXXXVI, 1973-74, pp. 381-388; L. Puppi, Com-mittenza e ideologia urbana nella pittura padova-na del â500: lâanno quaranta e lâipotesi di unaâscuolaâ, in Dopo Mantegna. Arte a Padova e nelterritorio nei secoli XV e XVI, catalogo dellamostra a cura di C. Bellinati et all., Padova, Palaz-zo della Ragione 26 giugno - 14 novembre 1976,Electa, Milano 1976, pp. 69-72; Vincenzo Manci-ni, Lamberto Sustris a Padova. La Villa Bigolin aSelvazzano, Biblioteca Pubblica Comunale - Cen-tro Culturale di Selvazzano Dentro, Padova 1993,pp. 23-52. Infine, la serie di studi di ElisabettaSaccomani: Alcune proposte per il catalogo deidisegni di Domenico Campagnola, in âArte vene-taâ, XXXII, 1978, pp. 106-111; Ancora su Dome-nico Campagnola: una questione controversa, ivi,XXXIII, 1979, pp. 43-49; Domenico Campagno-la: gli anni della maturitĂ , ivi, XXXIV, 1980, pp.63-77; Domenico Campagnola disegnatore diâpaesiâ: dagli esordi alla prima maturitĂ , ivi,XXXVI, 1982, pp. 81-99; Note sulla pittura pado-vana intorno al 1540, in Marco Mantova Benavi-des. Il suo museo e la cultura padovana del Cin-quecento, atti della giornata di studio del 12novembre 1983, a cura di Irene Favaretto, Accade-mia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti, Padova1984, pp. 241-252; Padova 1450-1570, in La Pit-tura in Veneto. Il Cinquecento, II, a cura di MauroLucco, Electa, Milano 1998, pp. 555-616.13) Per le opere di Campagnola nella collezioneMantova Benavides, vedi I. Favaretto, AndreaMantova Benavides: Inventario delle antichitĂ dicasa Mantova Benavides, in âBollettino del MuseoCivico di Padovaâ, LXI, 1972 [1978], pp. 35-64(pp. 52-54); Loredana Olivato, Il testamento diMarco Mantova Benavides, in Marco MantovaBenavides cit., pp. 221-239 (p. 225). Sui rapportifra Mantova Benavides e gli artisti padovani, vedisoprattutto V. Mancini, Antiquari, âvertuosiâ eartisti. Saggi sul collezionismo tra Padova e Vene-zia alla metĂ del Cinquecento, Ars Patavina, Pado-va 1995 (spec. le pp. 115-137). Campagnola ave-va anche eseguito due ritratti dei Mantova Benavi-des, Marco e il padre Gian Pietro. Questâultimo,dapprima identificato da Charles Davis con undipinto noto come di mano di Francesco Torbido,piĂč volte sul mercato londinese (Aspects of Imita-tion in Cavinoâs Medals, in âJournal of the War-burg and Courtauld Institutesâ, XLI, 1978, pp.331-334), Ăš stato in sĂ©guito individuato da Vin-cenzo Mancini in un pannello giĂ nella collezioneGrasse di Berlino (Antiquari, âvertuosiâ e artisticit., pp. 123-132). Sui rapporti fra Campagnola eAlvise Cornaro, oltre al principale riferimentodocumentario costituito dal passo di MarcantonioMichiel, dedicato alla descrizione dellâabitazionedellâumanista (âteste dipinte nel soffittado dellacamera, et li quadri in la lettiera, ritratti da carte diRaphaello, furono di mano de Dominico Venitianoallevato da Julio Campagnuolaâ), in parte giĂ cita-to alla nota 12, vedi le considerazioni di L. Puppiin Committenza e ideologia urbana cit., e il cata-logo della mostra Alvise Cornaro e il suo tempo, acura di L. Puppi, Padova, Loggia e Odeon Corna-ro, Sala del Palazzo della Ragione, 7 settembre - 9novembre 1980, Comune di Padova, Padova 1980,in part. i saggi di Giulio Bresciani Alvarez, Le fab-briche di Alvise Cornaro, pp. 36-57 (pp. 48 e 52),e di L. Olivato, Il mito di Roma come rivendica-zione di un primato. La patavinitas di Alvise Cor-naro collezionista e promotore delle arti figurati-ve, pp. 106-115. Lâidentificazione del palazzo chedoveva ospitare la decorazione Ăš questione tuttâal-tro che risolta nel catalogo della mostra sul Cor-naro (identificato con quello non piĂč esistente inVia del Bersaglio da Bresciani Alvarez [p. 48] econ lâOdeon da Olivato [p. 107]). Convincente Ăšinvece lâipotesi di Monika Schmitter, che identifi-ca lâedificio con quello che doveva affacciarsi sul
9) Vite, Beinecke, p. 534. Per la tavola, vedi pertutti Emilio Negro e Nicosetta Roio, FrancescoFrancia e la sua scuola, Artioli, Modena 1998,cat. 85, p. 207.10) Vite, Beinecke, pp. 448, 539. Che Campagno-la fosse un pittore âeccellenteâ era anche lâopinio-ne dei canonici della Cattedrale, fra cui era Ber-nardino Scardeone (Rosita Colpi, Domenico Cam-pagnola. Nuove notizie biografiche e artistiche, inâBollettino del Museo Civico di Padovaâ, XXXI-XLIII, 1942-54 [1955], pp. 81-106 [p. 96]). Comeesperto, Campagnola fu chiamato a valutare unâo-pera di Gualtieri dellâArzere. Sul relativo docu-mento, lo stesso che presenta un brano autografodi Campagnola, vedi la nota seguente.11) Per lâautografo (Archivio di Stato di Padova,Notarile, 3229, c. 530r) vedi Antonio Sartori,Documenti per la storia dellâarte a Padova, a curadi Clemente Fillarini, Neri Pozza, Vicenza 1976,p. 54. Per lâinterpretazione del documento sonostati fondamentali i pareri di Franca NardelliPetrucci, Armando Petrucci e Charles Hope.Ritengo ugualmente non autografe di Campagno-la, sulla base dello stesso documento padovano, lescritture spesso ritenute firme dellâartista appostesu quattro disegni, due al British Museum di Lon-dra (âTirsi e Coridone in un paesaggioâ, inv.1895.9.15.836; âPaesaggioâ, inv. 1848.11.25.10),uno alla National Gallery of Art di Washington(âGiovane pescatoreâ, c. 1520, Rosenwald Collec-tion, inv. B-17.722) e uno nelle Staatliche Kun-stammlungen di Weimar (âSan Francesco che rice-ve le stimmateâ). PiĂč convincente Ăš invece il con-fronto con la scrittura nel disegno a penna di unâPaesaggio con figuraâ attribuito a DomenicoCampagnola giĂ sul mercato antiquario (âThe Bur-lington Magazineâ, CXXXIX, 1997, n. 1137,[inserzione pubblicitaria di Arturo Cuellar, Zuri-go]). Non autografa Ăš invece lâiscrizione âCampa-gniola f.â apposta sul margine inferiore destro del-lo stesso disegno.12) Non sappiamo se Campagnola fosse venezia-no, come sostiene la maggioranza degli studiosi, opadovano, come sarebbe piĂč logico supporre con-siderando la provenienza della sua famiglia adotti-va. La determinazione della venezianitĂ dellâarti-sta si basa principalmente su due documenti pado-vani del 1527 e del 1529, in cui appare un Dome-nico pittore detto âde Venetiisâ e âdi Veneziaâ(ASP, Notarile, 1162, c. 362r, e 3046, c. 456v, inA. Sartori, Documenti cit., p. 52) e sulla segnala-zione da parte di Marcantonio Michiel di unâDomenico veneziano allevato da Iulio Campa-gnolaâ (Der Anonimo Morelliano. MarcantonMichielâs Notizia dâopere del disegno, a cura diTheodor Frimmel, Verlag von Carl Graeser, Wien1888, p. 12). Anton Maria Zanetti sostenne invece,sulla base di una fonte a noi sconosciuta, lâoriginepadovana del pittore (Della pittura veneziana edelle opere pubbliche deâ veneziani maestri. LibriV, Giambattista Albizzi, Venezia 1771, I, p. 220).Effettivamente, come ha notato Rosita Colpi, lâe-sistenza di diverse scritture apposte su disegni edocumenti cinquecenteschi in cui lâartista vienedetto âPatavinusâ, se non contraddice, almenocontrobilancia le indicazioni della supposta vene-zianitĂ dellâartista (Domenico Campagnola cit.,pp. 83 e 84). Per i dati biografici sui Campagnola(Domenico, Giulio, Girolamo) mi sono servitodelle voci del Dizionario biografico degli italiani,Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani,Roma, 17, 1975, rispettivamene pp. 312-317 (afirma di Lionello Puppi); pp. 317 e 318 (a firmadi Eduard SafarĂk); pp. 318-321 (Idem), e del-lâAllgemeines KĂŒnstler-Lexikon, Saur, MĂŒnchen-Leipzig, XVI, 1997, pp. 1-3 (a firma di Antonio J.Molina). In part. per Domenico: R. Colpi, Dome-nico Campagnola cit.; Lucio Grossato, Affreschidel Cinquecento in Padova, Silvana Editoriale,Milano 1966 (pp. 151-198); Paolo Sambin, Spigo-
cortile dellâOdeon di fronte alla Loggia (TheDating of Marcantonio Michielâs âNotiziaâ onWorks of Art in Padua, in âThe Burlington Maga-zineâ, CXLV, 2003, pp. 564-571).14) Sulla cerchia di artisti che orbitava attorno aCampagnola, vedi la bibliografia sul pittore giĂ segnalata (in part. gli studi di Lionello Puppi). SuStefano dellâArzere Ăš ormai doveroso rifarsi allâi-potetica ricostruzione di Alessandro Ballarin, inDa Bellini a Tintoretto: dipinti dei Musei Civici diPadova dalla metĂ del Quattrocento ai primi delSeicento, a cura dello stesso e Davide Banzato, DeLuca, Roma 1991, cat. 79 e 80, pp. 159-164; rico-struzione ripresa da V. Mancini, in Appunti su Ste-fano DallâArzere, in âBollettino del Museo Civicodi Padovaâ, LXXIX, 1990, pp. 281-299.15) Lâaffermazione di Scardeone che Campagnolae Gualtieri dellâArzere erano consanguinei (Deantiquitate urbis Patavii et claris civibus Patavi-nis, Nicolaus Episcopius, Basel 1560, p. 373) Ăšprobabilmente una svista dovuta al fatto che il fra-tello del secondo, anchâegli pittore, si chiamavaDomenico. Come nota Vincenzo Mancini, anchesulla supposta parentela fra Stefano e Gualtierinon si hanno testimonianze certe (Schede di pittu-ra padovana del Cinquecento, in âAtti dellâIstitutoVeneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe diScienze morali, Lettere ed Artiâ, CLV, 1996-97,pp. 185-231 [p. 209]). Sulla collaborazione conZoppo, vedi L. Grossato, Affreschi del Cinquecen-to cit., pp. 181-184; Alvise Cornaro e il suo tempocit., pp. 282 e 283 (scheda di Giulio BrescianiAlvarez); Giulio Bodon, Studi antiquari fra XV eXVII secolo. La famiglia Maggi da Bassano e lasua collezione di antichitĂ , in âBollettino delMuseo Civico di Padovaâ, LXXX, 1991, pp. 23-172 (pp. 82-86).16) La ballata di Maganza Ăš trascritta in R. Colpi,Domenico Campagnola cit., p. 97. Sullâultimacommissione a Campagnola, vedi L. Olivato, Pa r-rasio Michiel a Padova in âArte venetaâ, XXX,1976, pp. 225-227; Eadem, in Dopo Mantegnacit., cat. 53, pp. 87 e 88.17) G. Vasari, Le vite deâ piĂč eccellenti pittoriscultori e architettori nelle redazioni del 1550 e1568, testo a cura di Rosanna Bettarini, commen-to secolare a cura di Paola Barocchi, Sansoni, poiS.P.E.S., Firenze 1966-87, III, 1971, p. 621. Sullafortuna letteraria di Giulio Campagnola vedi, oltrealla bibliografia sui Campagnola giĂ segnalata,Giovanni Agosti, Su Mantegna. La storia dellâar-te libera la mente, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 94e 95 nota 31. Per lâopera grafica di Giulio, cherappresenta un campionario dei temi allora invoga nei circoli culturali padovani, vedi WilliamR. Rearick, Il disegno veneziano del Cinquecento,Electa, Milano 2001, pp. 48-50; Mark J. Zucker,Early Italian Masters (Commentary), The Illustra-ted Bartsch, 25, Abaris Book, New York (NY)1984, pp. 463-495 (Giulio Campagnola col âMae-stro II CAâ). Giulio Campagnola morĂŹ precoce-mente, poco dopo avere preso i voti, forse giĂ nel1515, anno a cui risalgono le ultime menzioni del-lâartista nei documenti. Mi riferisco al testamentodi Aldo Manuzio, del 16 gennaio, che ricorda dicommissionare a Giulio il disegno di certi caratte-ri tipografici; allâelogio dellâartista da parte diGiovanni Aurelio Augurelli (E. SafarĂk, in Dizio-nario biografico degli italiani cit., p. 319); eallâultima menzione del suo nome, assiemeallâAugurelli, in una lettera di Pietro Bembo a Tri-fon Gabriele del 26 gennaio 1515 (Pietro Bembo,Lettere, a cura di Ernesto Travi, II, Commissioneper i Testi di Lingua, Bologna 1990, p. 107).18) Da ultimo Giovanni Agosti nega la possibilitĂ che il vecchio Campagnola sia stato anche un arti-sta (Su Mantegna cit., pp. 303-305). Sulla lettera aTomeo, vedi ancora lo stesso Agosti nonchĂ©Ronald Lightbown, Mantegna. With a CompleteCatalogue of the Paintings, Drawings, and Prints,University of California Press, Berkeley-Los
Angeles 1986, pp. 16, 393. Ă verosimile, comesostiene Lightbown, che anche Scardeone utiliz-zasse la lettera per il De antiquitate urbis Patavii;di parere contrario Ăš invece Agosti. Per una com-parazione dei riferimenti alla lettera da parte diVasari e Michiel, vedi Wolfgang Kallab, Vasari-studien, Graeser und Teubner, Wien-Leipzig 1908,pp. 343-351. Su Leonico Tomeo e la sua attivitĂ dicollezionista dâarte, vedi Jonathan Woolfson eAndrew Gregory, Aspects of Collecting in Renais-sance Padua: A Bust of Socrates for NiccolĂČ Leo-nico Tomeo, in âJournal of the Warburg and Cour-tauld Institutesâ, LVIII, 1995, pp. 252-265.19) Vite, Beinecke, p. 130.20) Sulla coppia Campagnola - dellâArzere, vediPaolo Pino, Dialogo di pittura (1548), a cura diAnna e Rodolfo Pallucchini, Guarnati, Venezia1946, p. 129; B. Scardeone, De antiquitate urbisPatavii cit., p. 373. Per lâinfluenza di Salviati suidue artisti, vedi la bibliografia segnalata perDomenico Campagnola. Su Marco deâ Medici,vedi oltre la nota 66.
21) Sulla pala dâaltare giĂ in SantâAgostino, vediMonica Merotto Ghedini, La chiesa di SantâAgo-stino in Padova. Storia e ricostruzione di unmonumento scomparso, ITI, Padova 1995 (pp. 78-79); E. Saccomani, in Da Bellini a Tintoretto cit.,cat. 75, pp. 153-154. Per la datazione della telache raffigura il podestĂ Cavalli, oggi nellâAulaMagna del monastero di Santa Giustina, va tenutapresente lâiscrizione nel dipinto, âMD[...] [sul pri-mo gradino del trono] Marinus de Caballis equesad fines cum Germanis dirimendos dimidia [v]ixexacta praetura [...] [lungo il margine inferiore]â,che celebra Cavalli come commissario per la deli-mitazione dei confini con la Germania, un incari-co che egli ottenne solo alla fine del febbraio1563. Mentre Colpi e Olivato si attengono al datodocumentario fornito dallâiscrizione, datandodunque la commissione del dipinto dopo il feb-braio 1563, Saccomani ritiene invece, a ragione,che il dipinto potrebbe essere stato eseguito acavallo di quella data e commissionato o a ridossodel nuovo incarico ottenuto da Cavalli, probabil-mente dalla CittĂ per commemorarne il breve
mandato, o precedentemente, durante lâufficiopodestarile, direttamente da Cavalli (R. Colpi,Domenico Campagnola cit., p. 95; L. Olivato, inDopo Mantegna cit., cat. 52, p. 86; E. Saccomani,Da Bellini a Tintoretto cit., cat. 78, p. 158). Vediancora la scheda di Elisabetta Saccomani per ilcollegamento fra il dipinto e la ricevuta di paga-mento. Ă forse opportuno ricordare che la postilladi Yale non puĂČ invece riferisi alla âMadonna coni santi protettori di Padovaâ del Museo Civico diPadova (inv. 633), eseguita nel 1537 per la Loggiadel Consiglio ma collocata oggi nella Sala delPodestĂ , ed erroneamente attribuita a Campagnolafino al 1980 (Alvise Cornaro e il suo tempo cit.,scheda n. 19, p. 246). La tela Ăš stata successiva-mente assegnata a Paris Bordone da Mauro Lucco(in Cento opere restaurate del Museo Civico diPadova, catalogo della mostra, Padova, NuovoMuseo Civico degli Eremitani, 15 aprile - 12 giu-gno 1981, SocietĂ Cooperativa Tipografica, Pado-va 1981, cat. 36, pp. 115-122) e a Ludovico Fiu-micelli da Alessandro Ballarin (in Da Bellini aTintoretto cit., cat. 71, pp. 147-150). Sulla tela,vedi anche E. Saccomani, Domenico Campagno-la: gli anni della maturitĂ cit., pp. 64-65, e V.Mancini, Schede di pittura padovana cit., p. 195 enota 25, poco convinto dellâattribuzione a Fiumi-celli. Di Campagnola, allâinterno del PalazzoPodestarile, nella Cappella dei Notai, era anche laâMadonna con il Bambino e i Santi Luca, Andreae Antonio da Padovaâ del Museo Civico (inv. 1603;E. Saccomani, in Da Bellini a Tintoretto cit., cat.73, p. 151).22) Vite, Beinecke, p. 536.23) Su questi precedenti, dallâEpithalamium(1487) di Angelo Michele Salimbeni al TractatusAstrologicus di Luca Gaurico (1552), vedi E.Negro, N. Roio, Francesco Francia cit., pp. 61-67;G. Agosti, Mantegna, 5 (intorno a Vasari), in âPro-spettivaâ, 80, 1995, pp. 61-89; e Idem, Su Mante-gna cit., p. 95 e nota 33.24) Su Romanino e Padova, vedi AlessandroNova, Girolamo Romanino, Allemandi, Torino1994 (pp. 217-221); Stefania Buganza, Romaninotra Zenale e Bramantino: lâincontro con la culturaartistica milanese, in Romanino. Un pittore inrivolta nel Rinascimento italiano, catalogo dellamostra a cura di Lia Camerlengo, Trento, Castellodel Buonconsiglio, 29 luglio - 29 ottobre 2006,Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2006, pp.68-85 (pp. 78-81). Per i Lombardo al Santo, vediSarah Blake McHam, The Chapel of St. Antony ofthe Santo and the Development of VenetianRenaissance Sculpture, Cambridge UniversityPress, Cambridge 1994; I Lombardo. Architetturae scultura a Venezia tra â400 e â500, a cura di
18. Anonimo Gaddiano, Codice Magliabechiano XVII,17, c. 66v. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.
19. Anonimo Gaddiano, Codice Magliabechiano XVII,17, c. 66v (particolare). Firenze, Biblioteca NazionaleCentrale.
Fifteenth-Century Art of the Adriatic Rim, atti delcolloquio, Villa Spelman, Firenze, giugno 1994, acura di Charles Dempsey, Nuova Alfa Editoriale,Bologna 1996, pp. 57-79; G. Agosti, Su Mantegnacit., capitolo VI. Sulle ripercussioni storiografichedel trattamento dei lombardi nelle Vite: LauraDamiani Cabrini, Per la fortuna critica della pit-tura lombarda del Quattrocento, in La Pittura inLombardia. Il Quattrocento, a cura di Valerio Ter-raroli, Electa, Milano 1993, pp. 419-426; GianAlberto DellâAcqua, introduzione a Franco Maz-zini, Affreschi lombardi del Quattrocento, SilvanaEditoriale, Milano 1965, pp. VII-XXVIII.Devo anche ricordare almeno quattro testimonian-ze, vicine alle postille, di lettori che denuncianolâinadeguato apprezzamento dei lombardi anchenella Giuntina: lâimmediata reazione del reggianoGabriele Bombace in una lettera a Vasari (purrimanendo da comprovare lâautenticitĂ del docu-mento, come sottolinea Andrea Bacchi, in P rospe-
Andrea Guerra, Manuela Morresi e Richard Scho-field, Marsilio, Venezia 2006. Vale qui la penaricordare anche lâipotesi di Roger Rearick sullaconoscenza diretta da parte di Campagnola delleopere ferraresi di Antonio Lombardo (in Tiziano eil disegno veneziano del suo tempo, GabinettoDisegni e Stampe degli Uffizi - Olschki, Firenze1976, p. 104).25) Sul ruolo catalizzatore di Padova, vedi MarioSalmi, Riflessioni sulla civiltĂ figurativa di Ferra-ra nei suoi rapporti con Padova durante il primoRinascimento, in âRivista dâarteâ, XXXIV, 1959,pp. 19-48; L. Grossato, Padova. Guida ai monu-menti e alle opere dâarte, Neri Pozza, Vicenza1961, pp. CCLXI-CCLXXXVI (Lâarte a Padovada Giotto ai nostri giorni); Andrea De Marchi,CentralitĂ di Padova: alcuni esempi di interferen-za tra scultura e pittura nellâarea adriatica allametĂ del Quattrocento, in Quattrocento adriatico.
ro Clemente. Uno scultore manierista nella Reg-gio del â500, Federico Motta, Milano 2001, pp.11-14); le postille di El Greco (Xavier de Salas eFernando MarĂas, El Greco y el arte de su tiempo.Las notas de el Greco a Vasari, Real FundaciĂłn deToledo, Madrid 1992; Maddalena Spagnolo, Cor-reggio. Geografia e storia della fortuna (1528-1657), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo2005, pp. 157-162); le postille di Lelio Guidiccio-ni (Michel Hochmann, Les annotations margina-les de Federico Zuccari Ă un exemplaire des Viesde Vasari. La reaction anti-vasarienne Ă la fin duXVIe siĂšcle, in âRevue de lâartâ, 80, 1988, pp. 64-75 [p. 65]); e infine le postille di Vincenzo Sca-mozzi, recentemente ritrovate da Lucia Collavo(Lâesemplare dellâedizione giuntina de Le Vite let-to e annotato da Vincenzo Scamozzi, in âSaggi ememorie di storia dellâarteâ, XXIX, 2005, pp. 1-213; Di Vincenzo Scamozzi lettore e critico diGiorgio Vasari scrittore e architetto: dallâespe-rienza di analisi del postillato H.P.K., in Arezzo eVasari. Vite e postille, atti del convegno di Arez-zo, 16-17 giugno 2005, a cura di Antonino Caleca,Cartei e Bianchi, Foligno-Campi Bisenzio 2007,pp. 199-250).26) Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., III,1971, pp. 590-591.27) Per il contesto linguistico, vedi FrancescoBruni, Fra âLombardiâ, âTusciâ, e âApuliâ:osservazioni sulle aree linguistico-culturali, inIdem, Testi e chierici del Medioevo, Marietti,Genova 1991, pp. 11-41; Lâitaliano nelle regioni.Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni,Garzanti, Milano 1996, I, pp. XXV-LXXIII (Intro-duzione, spec. le pp. XXXIX-XLVIII); M. Hoch-mann, Venise et Rome 1500-1600. Deux Ă©coles depeinture et leurs Ă©changes, Droz, GenĂšve 2004,spec. pp. 23-41.28) Sulle Vite e il Veneto, vedi Ettore Merkel,Giorgio Vasari e gli artisti del Cinquecento aVenezia: limiti e aporie di un critico moderno, inVasari storiografo e artista, atti del congressointernazionale nel IV centenario della morte,Arezzo-Firenze, 2-8 settembre 1974, IstitutoNazionale di Studi sul Rinascimento - Grafistam-pa, Firenze 1976, pp. 457-467; L. Puppi, La fortu-na delle Vite nel Veneto dal Ridolfi al Temanza, ivi,pp. 405-437; Franco Bernabei, Cultura artistica ecritica dâarte. Marco Boschini, in Storia della cul-tura veneta. Il Seicento, a cura di Girolamo Arnal-di e Manlio Pastore Stocchi, Neri Pozza, Vicenza1983, pp. 549-574.29) Vite, Beinecke, p. 552. Segue, la scritturaâDominico Campagnola pictorâ depennata.
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20. Giovanni Cavaccia, Aula Zabarella sive elogiaillustrium Patavinorum conditorisque urbis, Iacobus de Cadorinis, Padova 1670, incisione a p. 125.
21. Giovanni Cavaccia, Aula ZabarellaâŠ, Iacobus deCadorinis, Padova 1670, incisione a p. 125 (particolaredella fig. 20).
30) Della vastissima letteratura sul dibattito,rimangono ancora fondamentali: Lionello Venturi,Storia della critica dâarte, Edizioni U, Roma-Firenze-Milano 1945: Luigi Grassi, Teorici e sto-ria della critica dâarte, Multigrafica, Roma 1970-79 (DallâantichitĂ a tutto il Cinquecento, I, 1970);Sidney J. Freedberg, Disegno versus Colore inFlorentine and Venetian Painting of the Cinque-cento, in Florence and Venice: Comparisons andRelations, atti delle due giornate di studio allaâVilla I Tattiâ, 1976-77, a cura di Sergio Bertelli,Nicolai Rubinstein, Craig Hugh Smyth, La NuovaItalia, Firenze 1980, II, pp. 309-322; DavidRosand, Titian and the Critical Tradition, inTitian: His World and Legacy, a cura di D. Rosand,Columbia University Press, New York 1982, pp. 1-39. Per gli studi piĂč recenti, vedi Maurice Poirier,The Disegno-Colore Controversy Reconsidered, inâExplorations in Renaissance Cultureâ, XIII, 1987,pp. 52-86; Thomas Puttfarken, The Dispute AboutDisegno and Colorito in Venice: Paolo Pino,Lodovico Dolce, and Titian, in Kunst und Kunst-theorie 1400-1900, a cura di Peter Ganz, Harras-sowitz, Wiesbaden 1991, pp. 75-99; M. Hoch-mann, Venise et Rome 1500-1600 cit. Per la fortu-na del dibattito nellâetĂ moderna a partire da Vasa-ri, Steffi Roettgen, Venedig oder Rom â Disegno eColore: ein Topos der Kunstkritik und seine Fol-gen, in âZeitenblickeâ, II, 2003, n. 3 [10.12.2003],<http://www.zeitenblicke. historicum.net/2003/03/roettgen.html>.31) Vite, Beinecke, pp. 126 e 127. Sui âpittori gre-ciâ nella prima letteratura artistica veneta, vediancora L. Puppi, La fortuna delle Vite nel Venetocit., p. 425.32) Vite, Beinecke, p. 132.33) Sugli Zuccati, giĂ celebrati da Lodovico Dol-ce come âunici maestri nellâarte del musaicoâ(LâAretino ovvero dialogo della pittura, ed. Daelli,Milano 1863, p. 63), vedi le voci anonime inUlrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikonder bildenden KĂŒnstler von der Antike bis zurGegenwart, Seemann, Leipzig, XXXVI, 1947, pp.575 e 576. Sui mosaici di San Marco: E. Merkel, Imosaici del Cinquecento veneziano (1a parte), inâSaggi e memorie di storia dellâarteâ, XIX, 1994,pp. 73-140 (pp. 124-140); Idem, I mosaici rina-scimentali di San Marco, in âArte venetaâ XLI,1987 [1988], pp. 20-30; Stefania Mason, âPitturemarmoreeâ della maniera moderna in San Marco,ivi, XLVIII, 1996, pp. 26-41; Ottavia Niccoli, LaDonna e il dragone nella Basilica di San Marco:iconografie apocalittiche del tardo Cinquecento,in Storia e figure dellâApocalisse fra â500 e â600,a cura di Roberto Rusconi, Viella, Roma 1996, pp.37-48. La pala di San Vittore Ăš ricordata anche daFrancesco Sansovino: âquella [pala] di San Vitto-rio tutta di mosaico, et perciĂČ notabile et rara, fuopera di Francesco et Valerio Zuccattiâ (VenetiacittĂ nobilissima et singolare, Iacomo Sansovino,Venezia 1581, c. 56v). La pala recava lâiscrizione,trascritta da Anton Maria Zanetti, âquod arte etcoloribus pictor hoc Zuchati fratres ingenio, etnatura saxis, 1559â (Della pittura veneziana cit., I,p. 230). Cicogna riporta un documento che attestainvece il compimento della pala il primo agosto1560 (Emmanuele Antonio Cicogna, Delle inscri-zioni veneziane, Giuseppe Molinari, Venezia1824-53, V, 1842, p. 581). Vasari menziona gliZuccati nella Giuntina, nella biografia di Tiziano(Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., VI, 1987,pp. 173-174), ma come âZuccariâ; imprecisionesu cui intervenne puntualmente Vincenzo Sca-mozzi (L. Collavo, Lâesemplare dellâedizionegiuntina de Le Vite cit., p. 154).34) Vite, Beinecke, p. 539. Per le postille e lâam-biente padovano Ăš forse opportuno ricordare lâat-tribuzione a Campagnola, suggerita da Peter Dre-yer, del disegno di una xilografĂa di Lucantoniodegli Uberti che riprende il âMartirioâ (discussa inTiziano e la silografia veneziana del Cinquecento,a cura di M. Muraro e D. Rosand, Neri Pozza,
Vicenza 1976, cat. 18, pp. 90 e 91). Si noti anchela corrispondenza fra lâindicizzazione di ritratti diDante e Petrarca nelle postille e il riferimento aritratti dei poeti (a penna o chiaroscuro) di manodi Campagnola nellâinventario della collezioneMantova Benavides (I. Favaretto, Andrea MantovaBenavides: Inventario delle antichitĂ cit., p. 54; V.Mancini, Antiquari, âvertuosiâ e artisti cit., p.119).35) Vite, Beinecke, p. 539. Sulla pala, vedi LuigiMenegazzi, Cima da Conegliano, Canova, Treviso1981, figg. 115-117; Peter Humfrey, Cima daConegliano, Cambridge University Press, Cam-bridge - New York 1983, cat. 82, pp. 121 e 122.36) Per i riferimenti al testo vasariano vedi le Vite,ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., rispettivamenteIII, 1971, pp. 62 e 63; I, 1966, p. 132; III, 1971,pp. 301-308.37) Vite, Beinecke, p. 448.
38) Sulla pala antonelliana e la sua bibliografiavedi da ultimo M. Lucco in Antonello da Messina.Lâopera completa, a cura di M. Lucco, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2006, cat. 34, pp.226-229. Per le brache corte e aderenti, vedi il SanSebastiano nellââAllegoria sacraâ di Bellini, quellodi Dresda di Antonello da Messina (StaatlicheKunstsammlungen, GemĂ€ldegalerie Alte Meister)e i due ladroni della âCrocifissioneâ di Anversa,sempre di Antonello (Koninklijk Museum voorSchone Kunsten). Per lo stesso tipo di indumentonella scultura, vedi Caglioti di sĂ©guito, nel testo ealle note 60 e 53.39) Per i termini cronologici della âTrasfigurazio-neâ ci si avvale soprattutto della traduzione a stam-pa del dipinto eseguita da Nicolas Beatrizet, certa-mente dopo la sua partenza da Roma nel 1562 eprima della sua morte nel 1565. Per lââAnnuncia-zioneâ si considerano invece i termini posti daDaniela Bohde (Titianâs Three-altar Project in theVenetian Church of San Salvador: Strategies ofSelf-representation by Members of the ScuolaGrande di San Rocco, in âRenaissance Studiesâ,XV, 2001, pp. 450-472 [p. 460]), sulla base di duedati: lâassenza sia del dipinto in un elenco dellepale dâaltare della chiesa redatto il 12 agosto1563, sia del privilegio, concesso dal Senato vene-ziano a Tiziano sui diritti dâautore il 22 gennaio1567 (1566 more Veneto), nella traduzione a stam-pa eseguita da Cornelis Cort. Sul privilegio, vediChristopher Witcombe, Copyright in the Renais-sance. Prints and the Privilegio in Sixteenth Cen-tury Venice and Rome, Brill, Leiden-Boston 2004,pp. XIX-XXI.40) Rilevata da analisi radiografica, la firma ori-ginale legge âTitianus faciebatâ (Giovanna NepiScirĂš, Recent Conservation of Titianâs Paintings in
Venice, in Titian. Prince of Painters, catalogo del-la mostra a cura di Susanna Biadene, Venezia,Palazzo Ducale - Washington, National Gallery ofArt, 2 giugno 1990 - 27 gennaio 1991, Prestel,MĂŒnchen 1990, p. 126).41) Bartolomeo Maranta, Discorso allâIll.moSignor Ferrante Carafa Marchese di Santo Lucidoin materia di pittura, nel quale si difende il quadrodella cappella del Sig. Cosimo Pinelli, fatto perTiziano, da alcune opposizioni fattegli da alcunepersone, in Scritti dâarte del Cinquecento, a curadi P. Barocchi, Ricciardi, Milano-Napoli, I, 1971,pp. 863-900 (p. 863).42) B. Maranta, Discorso cit., pp. 898 e 899. Ladata dâarrivo di Pinelli a Padova si ricava da unâul-teriore lettera del naturalista a Ulisse Aldrovandi,citata in Marsel Grosso, La fama di Tiziano nellacultura artistica meridionale (tra letteratura escienza), in Dal Viceregno a Napoli. Arti e lettere
in Calabria tra Cinque e Seicento, a cura di Ippo-lita di Majo, Paparo Edizioni, Napoli 2004, pp.71-111 (p. 76).43) Sui Pinelli, vedi le brevi informazioni in Uber-to Foglietta, Clarorum Ligurum elogia, VincenzoCanepa, Genova 1863, pp. 226 e 227; Carlo deLellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno diNapoli, Savio, poi Paci, poi Roncagliolo, Napoli1654-1671, II, 1663, pp. 165 e 166; Vittorio Spre-ti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Ed.Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano1928-36, V, pp. 371-373.44) Vite, Beinecke, p. 357.45) Girolamo Tiraboschi, Notizie deâ pittori, scul-tori, incisori e architetti nati negli stati del sere-nissimo signor duca di Modena, con una appendi-ce deâ professori di musica, SocietĂ Tipografica,Modena 1786, p. 260.46) Lâepigrafe recitava: âOssa MODENINI clau-duntur marmore tanto / Quem tulit Amutina prolesMalatignia quondam / Musicus ipse fuit patriaesplendorque decusque / atque suis patriam meritisad sydera duxitâ (Iacopo Filippo Tommasini,Urbis Patavinae inscriptiones sacrae et propha-nae, Sebastiano Sardo, Padova 1649, p. 213). Perlâubicazione dellâepigrafe, vedi Giacomo Ferretto,Memorie storiche intorno le chiese, gli oratori, ipalazzi, i ponti e luoghi pubblici e privati dellacittĂ , ms., 5 voll., Padova, Biblioteca Civica (BP156 1-5), IV, pp. 218 e 219.47) La âMadonna col Bambino e i Santi Antonio eRoccoâ, affrescata sulla parete di controfacciata, egiĂ in parte riscoperta nel 1834 (A. Barzon, Lachiesa di Santa Maria dei Servi cit., p. 37), Ăš tor-nata del tutto alla luce solo coi restauri delle pare-ti interne della chiesa nel 1932 o 1936, come
[Saggi] 43
22. Giovanni Cavaccia, Aula ZabarellaâŠ, Iacobus deCadorinis, Padova 1670, tav. 10.
a del Santo (Padova. Guida ai monumenti e alleopere dâarte cit., pp. 141-146 [p. 143]; Affreschidel Cinquecento cit., p. 236). Lâaffresco vieneerroneamente attribuito a Campagnola nelle guide(TCI, Veneto, le principali edizioni: Milano 1954 e1992; Guide Skira. Le cittĂ dâarte. Padova, Skira,Milano 2004, p. 47). Lâancona di Jacopo Monta-gnana Ăš illustrata in Dopo Mantegna cit., cat. 18,pp. 38 e 39 (scheda di Caterina Furlan). SullaâMeridianaâ del Palazzo della Ragione, vedi inve-ce L. Grossato, Affreschi del Cinquecento cit., pp.193-196. Delle opere giĂ nella chiesa e poi perdu-te, Antonio Barzon ricorda di Campagnola unaâMadonna col Bambino e i Santi Omobono e Bar-
ricorda Antonio Barzon (La chiesa e il convento diS. Maria dei Servi cit., pp. 17-18). Pochi anni pri-ma Wart Arslan la credeva invece distrutta (Inven-tario degli oggetti dâarte dâItalia cit., p. 151). Talirestauri seguirono quello maggiore delle strutturemurarie e del tetto della navata, iniziato il 1926 eterminato il 13 febbraio 1929, giorno in cui siriaprĂŹ la chiesa al culto (A. Barzon, Il S. Crocifis-so di S. Maria dei Servi cit., 1931, pp. 62-64).Barzon ha attribuito lâaffresco alla scuola di Gio-vanni Bellini (La chiesa e il convento di S. Mariadei Servi cit., p. 18), mentre Lucio Grossato vi havisto prima la mano di Girolamo del Santo e poiquella di un seguace di Stefano dellâArzere vicino
baraâ (La chiesa dei Servi cit., 1926, p. 35). Ma seil dipinto corrisponde, come sembra, a quello giĂ nellâadiacente oratorio di SantâOmobono su cuiBrandolese aveva letto la data 1581 (Pitture, scul-ture, architetture ed altre cose notabili di Padova,Pietro Brandolese, Padova 1795, p. 67), lâattribu-zione a Campagnola viene automaticamente acadere per ovvi motivi cronologici. Barzon ricor-da anche di Campagnola una âMadonna col Bam-bino e i Santi Girolamo e Cristoforoâ ceduta alMuseo Civico nel 1868 a titolo di deposito, solle-vando perĂČ alcuni dubbi anche in questo caso.Descrivendo il dipinto come unââancona dipinta atre scompartimentiâ (La chiesa dei Servi cit.,1926, p. 36), Barzon sembra unire due dipintidistinti di uguale soggetto: lâancona quattrocente-sca del Museo Civico giĂ nella chiesa servita (inv.385; vedi la scheda di C. Furlan in Da Bellini aTintoretto cit., cat. 7, pp. 70-72 [come opera dianonimo padovano del terzo quarto del Quattro-cento]) e la pala cinquecentesca giĂ nellâattiguooratorio di Santa Maria del Parto, che Brandolesemenziona alla fine del Settecento ma come operadi Stefano (Pitture, sculture, architetture cit., p.68).48) Sulla pala dellâaltare maggiore, oltre a Scar-deone (De antiquitate urbis Patavii cit., p. 373),vedi V. Mancini, Schede di pittura padovana cit.pp. 185-208. Sulla pala Serravalle, Brandoleseaveva letto la firma âStephanus patavinus F.â (Pit-ture, sculture, architetture cit., p. 66). Lâattribuzio-ne di Brandolese a dellâArzere venne ripresa daGiannantonio Moschini, Girolamo Ferrari, PietroEstense Selvatico e Wart Arslan, ma non da Gio-vambattista Rossetti, che la riteneva opera diCampagnola, e da Giacomo Ferretto, che la asse-gnava agli allievi di Campagnola. Le attribuzionidi Moschini, Selvatico e Rossetti sono segnalate inA. Barzon, La chiesa dei Servi cit., 1926, pp. 35,49; per Ferrari e Ferretto, vedi rispettivamente:Istoria compendiosa della cittĂ di Padova, [BP3209 11], c. 185r, e Memorie storiche cit.,V, p. 94;per Arslan: Inventario degli oggetti dâarte dâItaliacit., p. 151. Lucio Grossato, Lionello Puppi e Giu-seppe Toffanin concordano con lâattribuzione adellâArzere, ma per via dellâiscrizione âSanctiFabiane et Sebastiane orate pro nobisâ (che sem-bra invece posticcia) ritengono che la figura diSan Girolamo sia quella di un San Fabiano (L.Grossato, Padova. Guida ai monumenti e alle ope-re dâarte cit., p. 145; L. Puppi, G. Toffanin, Guidadi Padova. Arte e storia tra vie e piazze, EdizioniLint, Trieste 1983, p. 140).49) Sulle formelle, ora nelle Gallerie dellâAccade-mia di Venezia, tranne due conservate nella chiesadi Santa Maria della Pieve di Castelfranco Veneto,vedi Gallerie dellâAccademia di Venezia, catalogoa cura di Sandra Moschini Marconi, II, IstitutoPoligrafico dello Stato, Roma 1962, pp. 101-104;e Francesco Frangi, Un recupero per DomenicoCampagnola, in âArte venetaâ, XLIII, 1989-90,pp. 20-29. La descrizione di Pietro Brandolese Ăš inPitture, sculture, architetture cit. p. 67. Per lâipo-tesi di Alessandro Ballarin, vedi la nota 14.50) Sui rapporti fra Girolamo Campagnola e gliartisti padovani, specialmente Squarcione e Man-tegna, oltre alla bibliografia giĂ segnalata suiCampagnola, vedi R. Lightbown, Mantegna cit.,p. 6; G. Agosti, Su Mantegna cit., pp. 304 e 305.Si possono inoltre ricordare, a testimonianza del-lâinteresse per lâopera di Donatello condiviso fragli artisti vicini a Campagnola, due documentidatati 9 luglio 1541 e 14 luglio 1573 riguardanti loscambio di rilievi in gesso attribuiti allo scultorefiorentino fra Gualtieri dellâArzere, il figlio Pom-peo e il pittore Bartolomeo (A. Sartori, Documen-ti cit., pp. 78 e 79). Sui documenti, vedi le consi-derazioni di Giuseppe Fiocco sia nellâarticoloTracce di Donatello a Padova, in Donatello e ilsuo tempo, atti dellâVIII convegno internazionaledi studi sul Rinascimento, Firenze-Padova, 25 set-tembre - 1 ottobre 1966, Firenze 1968, pp. 399-44 [Saggi]
bianco e nero
controllare che non siastato raddrizzato il dipinto
23. Matteo Ghidoni detto deâ Pitocchi (?): âIl Crocifisso miracoloso di Padova adorato dai membridella sua confraternitaâ. Padova, Santa Maria dei Servi.
404 (pp. 401-402), sia nella âPresentazioneâ delvolume di L. Grossato, Affreschi del Cinquecentocit., pp. 5-20.51) Cornel von Fabriczy, Il codice dellâAnonimoGaddiano (Cod. Magliabechiano XVII, 17) nellaBiblioteca Nazionale di Firenze, in âArchivio Sto-rico Italianoâ, s. V, XII, 1893, pp. 15-94, 275-334;per la datazione vedi p. 31. Arretrata al 1537-42 Ăšinvece la datazione della composizione del codiceproposta da Julius von Schlosser (La letteraturaartistica, La Nuova Italia, Firenze 1964, p. 190[Die Kunstliteratur: ein Handbuch zur Quellen-kunde der neueren Kunstgeschichte, Schroll, Wien1924]).52) C. von Fabriczy, Il codice dellâAnonimo Gad-diano cit., p. 67. Errata Ăš invece la trascrizione diKarl Frey: âSonvi anchora due crucifissi et unaNostra Donna, châĂš Lorenzo Torniaioâ (Karl Frey,Il codice Magliabechiano, cl. XVII. 17, contenen-te notizie sopra lâarte degli antichi e quella deâfiorentini da Cimabue a Michelangelo Buonarroti,scritte da Anonimo Fiorentino, Grote, Berlin1892, p. 79).53) Sulle vicende del âCrocifissoâ vedi M. Merot-to Ghedini, La chiesa di SantâAgostino cit., pp. 61e 70. Per la visita di Papebroch a Padova, vediinvece Guido Beltrame, Un seicentesco itinerariopadovano, in âPadova e il suo territorioâ, IV, 1989,22, pp. 15-19. Lâannotazione del bollandista legge:âIuxta chorum duo utriumque sacella sunt, deindein hemicyclum curvantur alae suaque habent alta-ria, et sinistra quidem grandem habet crucifixiimaginem celebre Donatelli opus, eiusdem quiequestrem ad D(ivi) Antonii statuam fecit, sub quaSanctorum aliquot inauratae imaginesâ (Udo Kin-dermann, Zwei Tage in Padua. Eine lateinischeBeschreibung der KunstdenkmĂ€ler der Stadt durchden Jesuiten Daniel Papebroch, in KontinuitĂ€t undWandel. Lateinische Poesie von Naevius bis Bau-delaire. Franco Munari zum 65. Geburtstag, acura di Ulrich Justus Stache, Wolfgang Maaz eFritz Wagner, Weidmann, Hildesheim 1986, pp.633-670 [654]. Sulla nota vedi anche le pp. 636-637 e Maria Papke, Kunsthistorische Anmerkun-gen zu Papebrochs Reisebericht, ivi, pp. 670-690[682]; su Carlo Alberto Pallavicino lâessenzialebibliografia a p. 671).54) Padova, Archivio di Stato, Corporazioni sop-presse, Monasteri padovani, S. Agostino, b. 7, c.158r (cui rimanda M. Merotto Ghedini, La chiesadi SantâAgostino cit., p. 116 nota 30, in una formache ha perĂČ reso necessaria una verifica dellâori-ginale); Giacomo Salomonio, Urbis Patavinaeinscriptiones sacrae et prophanae, Giovanni Bat-tista Cesari, Padova 1701, p. 57.55) G. Fiocco, Tracce di Donatello a Padova cit.,p. 400. Lo studioso non sembra conoscere, e dun-que non collega alla testimonianza di Salomonio,la nota sui âCrocifissiâ dellâAnonimo Gaddiano.56) Sulla dispersione dellâarredo della chiesa,vedi Cesira Gasparotto, Il convento e la chiesa diS. Agostino dei domenicani in Padova, MemorieDomenicane, Padova 1967, pp. 91-95. Sullâipote-si di Guido Beltrame che identifica il âCrocifissoâquattrocentesco di San Tommaso Cantauriensecon quello dei domenicani giĂ attribuito a Dona-tello (Storia e arte in S. Tomaso M., TipografiaAntoniana, Padova 1966, p. 226, fig. 17) vediCaglioti in questo stesso fascicolo, nota 132.57) G. Rossetti, Descrizione delle pitture, scultu-re, ed architetture di Padova. Con alcune osserva-zioni intorno ad esse, ed altre curiose notizie,Stamperia del Seminario, Padova 1765, p. 6. Ilgiudizio di Rossetti si attenua nella riedizione del-la guida per Conzati del 1786, Il forastiere illumi-nato per le pitture, sculture ed architetture dellacittĂ di Padova, ovvero descrizione delle cose piĂčra re della stessa cittĂ con altre curiose notizie (p.8). Va perĂČ ricordato, come nota GiannantonioMoschini (Guida per la cittĂ di Padova: allâamicodelle belle arti, Tipografia di Alvisopoli, Venezia
1817, pp. VII e VIII), che Rossetti non mise maimano a questa edizione postuma, e ciĂČ a dispettodi quanto si legge nel frontespizio dellâopera. Latestimonianza di Rossetti va comunque controbi-lanciata ricordando, fra le imprecisioni che laDescrizione contiene, lâinsostenibile attribuzionea Donatello della statua della âMadonna col Bam-binoâ nella chiesa dei Servi (ibidem, p. 256). Nel-le sue Memorie storiche manoscritte, GiacomoFerretto riprende alla lettera la Descrizione rosset-tiana sorvolando sulla revisione per Conzati (BP156, II, p. 154). Ă anche opportuno ricordare chela raccolta epigrafica di Desiderio dal Legname,1561, come segnala Merotto Ghedini (La chiesa diSantâAgostino cit., p. 116 nota 30), menziona unâCrocifissoâ sul tramezzo della chiesa, probabil-mente lo stesso poi attribuito a Donatello (Inscrip-tiones et epigrammata omnia quae visuntur Pata-vii in celeberrimo D. Augustini Templo collecta etnon nulla etiam conscripta, ms., BP 1102, c. 7r-v).58) C. von Fabriczy, Il libro di Antonio Billi e lesue copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, inâArchivio Storico Italianoâ, s. V, VII, 1891, pp.299-368. Fabio Benedettucci ha ulteriormente cir-coscritto la datazione del âLibroâ agli anni 1506-30, seppur con argomenti non sempre condivisibi-li (Il libro di Antonio Billi, De Rubeis, Anzio 1991,pp. 15-18).Per la letteratura donatelliana precedente alla Tor-rentiniana, vedi [Gaetano Milanesi], Catalogo del-le opere di Donatello e bibliografia degli autoriche ne hanno scritto, Arte della Stampa, Firenze1887, pp. 35-52; Marco Collareta, Testimonianzeletterarie su Donatello 1450-1600, in MuseoNazionale del Bargello. Omaggio a Donatello1386-1986. Donatello e la storia del Museo,S.P.E.S., Firenze 1985; e il regesto piĂč recente inUlrich Pfisterer, Donatello und die Entdeckungder Stile (1430-1445), Hirmer, MĂŒnchen 2002, pp.488-529 (Appendice A); cui va perĂČ aggiunta latestimonianza di viaggio del fiorentino GiovanniRidolfi (1480) in cui si ricordano a Padova, nellabasilica del Santo, figure âdi bronzo grande etpichole di mano di Donatello: et in su la piazza didecta chiesa Ăš un cavallo di bronzo suvi uno huo-mo armato posto in su una colonna di mano etian-di di dicto Donatelloâ (P.J. Jones, Travel Notes ofan Apprentice Florentine Statesman, Giovanni diTommaso Ridolfi, in Florence and Italy. Renais-
sance Studies in Honour of Nicolai Rubinstein, acura di Peter Denley e Caroline Elam, WestfieldCollege, University of London, London 1988, pp.263-280 [p. 278]).59) C. von Fabriczy, Il codice dellâAnonimo Gad-diano cit., spec. pp. 21, 33 e 43.60) Sul presunto soggiorno padovano di Vasari,vedi W. Kallab, Vasaristudien cit., p. 252; ThomasS.R. Boase, Giorgio Vasari: The Man and theBook, Princeton University Press, Washington-Princeton 1979, p. 340; Patricia Lee Rubin, Gior-gio Vasari. Art and History, Yale University Press,New Haven-London 1995, p. 322. Sulla biografiavasariana di Donatello, vedi Luigi Grassi, Dona-tello nella critica di Giorgio Vasari, in Donatelloe il suo tempo cit., pp. 59-68.61) Recita la Torrentiniana: âAvvenne che in queltempo la Signoria di Vinegia, sentendo la famasua, mandĂČ per lui [Donatello] acciĂČ che facessela memoria di Gattamelata nella cittĂ di Padova,che fu il cavallo di bronzo su la piazza di SantoAntonio; nel quale si dimostra lo sbuffamento et ilfremito del cavallo, et il grande animo e la fierez-za vivacissimamente espressa dalla arte nella figu-ra che lo cavalca. E dimostrossi Donato tantomirabile nella grandezza del getto, in proporzioniet in bontĂ che veramente si puĂČ aguagliare a ogniantico artefice in movenzia, in disegno, in arte, inproporzione et in diligenza; per che non solo fecestupire allora queâ che loro videro, ma ogni perso-na che al presente lo puĂČ vedere. Per la qual cosacercarono i Padovani con ogni via di farlo lor cit-tadino e con ogni sorte di carezze fermarlo; e perintrattenerlo gli allogarono a la chiesa deâ FratiMinori, nella predella dello altar maggiore, le isto-rie di Santo Antonio da Padova, le quali sono dibasso rilievo e talmente con giudicio condotte chegli uomini eccellenti di quella arte ne restanomaravigliati e stupiti, considerando in esse i bellie variati componimenti con tanta copia di strava-ganti figure e prospettive diminuite. Similmentenel dossale dello altare fece bellissime le Marieche piangono il Cristo morto. E in casa dâun deâconti Capo di Lista lavorĂČ una ossatura dâun caval-lo di legname â che senza collo ancora oggi sivede â per lo quale le commettiture sono con tan-to ordine fabbricate, che chi considera il modo ditale opera giudica il capriccio del suo cervello e lagrandezza dello animo di quello. In un monasterodi monache fece un San Sebastiano di legno aâpreghi dâun capellano loro, amico e domesticosuo, che era fiorentino; il quale gliene portĂČ unoche elle avevano vecchio e goffo, pregandolo cheeâ lo dovessi fare come quello. Per la qual cosasforzandosi Donato di imitarlo per contentare ilcapellano e le monache, non potĂ© far sĂŹ che, anco-ra che quello che goffo era imitato avesse, nonfacesse nel suo la bontĂ e lâartificio usato. In com-pagnia di questo molte altre figure di terra e distucco fece; et in un cantone di un pezzo di mar-mo vecchio che le monache in un loro orto aveva-no, ricavĂČ una molto bella Nostra Donna. E simil-mente per tutta quella cittĂ sono opre di lui infini-tissimeâ (Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit.,III, 1971, pp. 214-215).62) B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii cit.,p. 107.63) A. Sartori, Documenti riguardanti Donatello eil suo altare a Padova, in âIl Santoâ, n.s., I, 1961,pp. 37-99.64) G. Fiocco, Donatello al âSantoâ, EdizioniMessaggero, Padova 1965; e ancora Idem, Traccedi Donatello a Padova cit., p. 400. Fra coloro cheaccolgono la versione vasariana sono AlessandroParronchi (Donatello, Neri Pozza, Vicenza 1998,pp. 98 e 99) e Artur Rosenauer (Donatello, Electa,Milano 1993, p. 194).65) Scrive Vasari nella biografia di Mantegna:
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24. Ferrante Pallavicino, Le glorie del miracolosoCrocifisso che si ritrova nella chiesa deâ venerandipadri deâ Servi in Padova, Giulio Crivellari e GiacomoBortoli, Padova 1637, frontespizio.
bianco nero
morĂŹ nel 1572. Su Cataneo, vedi MassimilianoRossi, La poesia scolpita. Danese Cataneo nellaVenezia del Cinquecento, Maria Pacini Fazzi, Luc-ca 1995 e, dello stesso, la sezione dedicata al car-rarese in âLa bellissima manieraâ. Alessandro Vit-toria e la scultura veneta del Cinquecento, catalo-go della mostra a cura di A. Bacchi, Lia Camer-lengo, Manfred Leithe-Jasper, Trento, Castello delBuonconsiglio, 25 giugno - 26 settembre 1999,Temi, Trento 1999, pp. 236-247. Sui contributi delMedici e di Cataneo alle Vite, vedi anche C. Davisin Giorgio Vasari. Principi, letterati e artisti nellecarte di Giorgio Vasari, Casa Vasari. Pittura vasa-riana dal 1532 al 1554, Sottochiesa di San Fran-cesco, catalogo delle mostre vasariane, Arezzo, 26settembre - 29 novembre 1981, Edam, Firenze1981, pp. 230 e 231.67) G. Vasari, Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchicit., VI, 1987, pp. 177-198. Questa attribuzionedel passo sugli allievi del Sansovino a Cataneo(escludendo lâinserto su Ammannati che sembrainvece essere un appunto vasariano) si basa prin-cipalmente sullâanalisi del testo. Tuttavia, giĂ Giu-seppe Campori aveva attribuito al carrarese la pre-cisa ed esaustiva descrizione del monumentofunebre di Giano II Fregoso in SantâAnastasia aVerona (G. Campori, Danese Cataneo. Scultore epoeta del XVI secolo, in âIl Buonarrotiâ, ser. II, VI,1871, pp. 149-162 [p. 152]). Sulla genesi dellabiografia di Sansovino, vedi Giorgio Vasari. Prin-cipi, letterati e artisti cit., pp. 234 e 235; C. Davis,La grande âVeneziaâ a Londra, in âAntichitĂ vivaâ,XXIII, 1984, 6, pp. 32-44 (pp. 40 e 41); R. Wil-liams, Vincenzio Borghini cit., pp. 261-265 eappendice n. 14. Davis attribuisce al figlio diJacopo, Francesco Sansovino, sia il manoscrittofiorentino che dovette servire come base della Vita(Firenze, Biblioteca della Galleria degli Uffizi,ms. 60, misc., I, ins. 23), sia le aggiunte alla stes-sa nella riedizione veneziana del 1570.68) Su queste aggiunte, vedi M. Collareta, Testi-monianze letterarie su Donatello cit., pp. 7-47(pp. 36-38). Leggi anche le considerazioni diCaglioti su una di queste opere, il perduto âCroci-fissoâ bronzeo, nella parte che segue, alla nota 49.69) G. Vasari, Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchicit., III, 1971, pp. 321-324.70) Libellus de magnificis ornamentis regie civi-tatis Padue Michaelis Savonarolae, a cura di A.Segarizzi, Lapi, CittĂ di Castello 1902, p. VIII; perla menzione del âGattamelataâ, pp. 32 e 33.71) Pomponio Gaurico, De sculptura: (1504), acura di AndrĂ© Chastel e Robert Klein, Droz, GenĂš-ve 1969. Sul trattato, vedi anche lâapparato criticodellâedizione a cura di Paolo Cutolo (EdizioniScientifiche Italiane, Napoli 1999). Sul trattato eDonatello, ancora A. Chastel, Le traitĂ© de Gauri-cus et la critique donatellienne, in Donatello e ilsuo tempo cit., pp. 291-305.72) Der Anonimo Morelliano cit. La stesura prin-cipale della âNotiziaâ sullâarte padovana (giĂ com-prensiva dei riferimenti puntuali alle opere diAndrea Riccio e Antonio Minello) viene datata daMonika Schmitter fra il 1525 e il 1528 (TheDating of Marcantonio Michielâs âNotiziaâ cit.).Sulla Notizia, vedi anche i due saggi di JenniferFletcher, Marcantonio Michiel: His Friends andCollection, in âThe Burlington Magazineâ,CXXIII, 1981, pp. 453-467, e MarcantonioMichiel, âche ha veduto assaiâ, ivi, pp. 602-608.73) B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii cit.,p. 374. P. Gaurico, De Sculptura cit., p. 261.74) Giovanni Cavaccia, Aula Zabarella sive elogiaillustrium Patavinorum conditorisque urbis, Iaco-bus de Cadorinis, Padova 1670, incisioni n. 10 e ap. 125. La medaglia faceva forse parte di una col-lezione dinastica commissionata da GiacomoZabarella il Giovane nella terza decade del Sei-cento. Alle medaglie segnalate da Roberta Parise(Gli Zabarella di Padova: tre medaglie a loro
âsecondo che scrive in una sua epistola latina mes-ser Girolamo Campagnuola a messer LeonicoTimeo filosofo greco, nella quale gli dĂ notiziadâalcuni pittori vecchi che servirono quei da Car-rara, signori di Padovaâ (Vite, ed. R. Bettarini e P.Barocchi cit., III, 1971, p. 548). Lâindicazione tro-va conferma nelle altre menzioni della lettera daparte di Vasari e Michiel, sempre e solamente inrapporto a pitture e a pittori. Invero, da un passovasariano si deduce che la lettera menzionavaanche Donatello, ma per il fatto che lo scultoreaveva condotto a Padova Paolo Uccello: âFu con-dotto Paulo da Donato a Padova quando vi lavorĂČ,e vi dipinse nellâentrata della casa deâ Vitali diverde-terra alcuni giganti che, secondo ho trovatoin una lettera latina che scrive Girolamo Campa-gnola a messer Leonico Tomeo filosofo, sono tan-to belli che Andrea Mantegna ne faceva grandissi-mo contoâ (p. 69). Sulla lettera vedi la nota 18.66) In una lettera del 20 gennaio 1565, Vasariinforma Cosimo I deâ Medici che la seconda partedelle Vite era stampata. Ma la stampa doveva giĂ essere iniziata prima dellâ11 agosto 1564, se Vin-cenzio Borghini, a questa data, comunica a Vasaridi aver ricevuto le prime bozze e di essere giĂ intento a stenderne gli indici (K. Frey, Der Litera-rische Nachlass Giorgio Vasaris, Georg MĂŒller,MĂŒnchen 1930, II, n. CDLXXXIII, pp. 143-145;n. DXLIII, pp. 268-270). Sulla stampa della Giun-tina, vedi Charles Hope, Le Vite vasariane: unesempio di autore multiplo, in Lâautore multiplo,atti del convegno del 18 ottobre 2002, a cura diAnna Santoni, Scuola Normale Superiore, Pisa2005, pp. 59-74 (p. 68). Nella Giuntina, Vasariricorda il contributo di Marco deâ Medici in dueluoghi: nella âVita di Gentile da Fabriano e di Vit-tore Pisanello veroneseâ (ed. R. Bettarini e P.Barocchi cit., III, 1971, p. 367) e nelle âVite di fraâIocondo e di Liberale e dâaltri veronesiâ assieme aDanese Cataneo (IV, 1976, p. 599). Il domenicanoviene anche ricordato come architetto dilettante eamico di Michele Sanmicheli (V, 1984, pp. 370 e375) e di Francesco Torbido (IV, 1976, pp. 577 e578). Sulla sua collaborazione alla Giuntina, vedianche due lettere autografe: la prima del 21 feb-braio 1563 a Jacopo Guidi, da cui si deduce cheVasari aveva chiesto al Medici, attraverso Guidi,di emendare la Torrentiniana e colmarne le lacune(Vittoria Palli dâAddario, Documenti vasarianinellâArchivio Guidi, in Giorgio Vasari tra decora-zione ambientale e storiografia artistica, atti delconvegno di studi, Arezzo 8-10 ottobre 1981, acura di Gian Carlo Garfagnini, Olschki, Firenze1985, pp. 363-389 [pp. 388 e 389]); la seconda del7 settembre 1564 a Onofrio Panvinio, in cui ilMedici chiede al padre agostiniano, allora resi-dente a Roma, informazioni su fraâ Giocondo(Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6412, c.139r, trascritta in Robert Williams, Vincenzo Bor-ghini and Vasariâs âLivesâ, Ph.D. Dissertation,Princeton University 1988 [UMI 1989], pp. 258-261 e in appendice [n. 13]).Le conoscenze di Marco deâ Medici sullâartepadovana sono finora solo documentate dallapostilla che lo ricorda come estimatore dellâoperadi Stefano dellâArzere (Vite, Beinecke, p. 130). Lastessa postilla suggerisce che il domenicano visi-tasse la cittĂ in un periodo, intorno al 1563, chebene si accorda con le indicazioni cronologichefornite dalle due lettere autografe sopracitate.Sono dunque forse da attribuire al Medici le breviinformazioni sullâarte della cittĂ (piĂč un elenco dipunti da stendere che un testo elaborato) frettolo-samente incluse nella biografia di Carpaccio;aggiunte difficilmente attribuibili a Vasari (Vite,ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., III, pp. 621-622).Cataneo aveva risieduto a Padova tra il 1543 e il1548, lavorandovi come scultore e frequentando icircoli di Pietro Bembo e di Alvise Cornaro, e vi
dedicate, in âBollettino del Museo Civico di Pado-vaâ, LXXVI, 1987, pp. 297-303) va aggiunta quel-la piĂč antica dedicata a Paolo Zabarella nel MĂŒnz-kabinett al Bode-Museum di Berlino che mi vienesegnalata da Francesco Caglioti (Die italienischenMedaillen der Renaissance und des Barock [1450bis 1750], a cura di Lore Börner, Gebr. Mann Ver-lag, Berlin 1997, n. 446). Sulla tela, attribuita aGhidoni da Giannantonio Moschini (Guida per lacittĂ di Padova cit., p. 161), vedi W. Arslan, Inven-tario degli oggetti dâarte dâItalia cit., pp. 151 e152; L. Grossato, Padova. Guida ai monumenti ealle opere dâarte cit., p. 146.75) Del rarissimo opuscolo, per i tipi di GiulioCrivellari e Giacomo Bortoli, Padova 1637, segna-lato da Wart Arslan (Inventario degli oggetti dâar-te dâItalia cit., p. 154), si trovano esemplari nellaCivica di Padova e nella Marucelliana di Firenze.Per una descrizione dellâopuscolo vedi Bibliogra-fia dellâOrdine dei Servi. III. Edizioni del secoloXVII (1601-1700), a cura di Pacifico Maria Bran-chesi, Centro di Studi O.S.M., Bologna 1973, p.303; Laura Coci, Bibliografia di Ferrante Pallavi-cino, in âStudi secenteschiâ, XXIV, 1983, pp. 221-306 (p. 233); Raffaello Urbinati, Ferrante Pallavi-cino. Il flagello dei Barberini, Salerno Editrice,Roma 2004, p. 50 e nota 5. Il quadro di Ghidoniva anche collegato alla commissione di due tele daparte dei serviti a Luca Ferrari, perdute ma ricor-date da Pietro Brandolese sui lati del coro. Suquella raffigurante âArdingo vescovo di Firenzeche veste con lâabito nero i sette fondatori dellâor-dine dei servitiâ Brandolese aveva letto la data1637 (Massimo Pirondini, Luca Ferrari, CreditoEmiliano, Merigo Art Books, Manerba - ReggioEmilia 1999, p. 222, cat. 19-20).76) Per la presunta collocazione sullâaltare mag-giore, vedi il Diario o sia giornale per lâanno
46 [Saggi] 25. Padova, Santa Maria dei Servi, pianta.
82) Elena Urbani e Silvia GullĂŹ sostengono inveceche la cappella sia stata dimezzata in sĂ©guito ailavori cinquecenteschi finanziati dal Campolongo.Si noti tuttavia che solo la seconda autrice mostradi conoscere la descrizione settecentesca dellacappella (S. GullĂŹ, Il Crocifisso âmiracolosoâ cit.,p. 23; E. Urbani, Santa Maria dei Servi di Padova:a rchitettura e arte, in Padova. La Chiesa di S.Maria dei Servi. Restauro del portico cit., pp. 35-47 [p. 43]). Per il dettaglio delle finestre sullaparete orientale della chiesa va detto che, nono-stante le originali trecentesche fossero murate nel1511 in sĂ©guito alla costruzione del portico (sosti-tuite da altre quadrangolari aperte piĂč in alto inprossimitĂ del tetto) e ripristinate solo nel 1929,non risulta essere mai stato alterato il rapportointero fra finestre e campate. Durante i lavori cin-quecenteschi erano invece state chiuse le due fine-stre ogivali trecentesche, che dovevano essere,come suppone Elena Urbani, nella parete di fondodella cappella (Santa Maria dedi Servi di Padova:a rchitettura e arte cit., p. 43).83) A. Barzon, âIl SS. Crocifisso e lâAddolorataâcit., figg. a p. 5.
bisestile 1764, Conzati, Padova 1764, p. 242; G.Ferretto, Memorie storiche cit., V, p. 104. Per unodei due documenti del 1421 vedi la nota 5; e perentrambi Caglioti qui accanto, testo e note 117-119.77) Padova. La Chiesa di S. Maria dei Servi.Restauro del portico cit.78) L. Grossato, Padova. Guida ai monumenti ealle opere dâarte cit., p. 146.79) IV centenario del miracoloso Crocifisso di S.Maria dei Servi cit., p. 3.80) In mancanza di una pianta esatta del santuario,ne riproduco una approssimativa tratta dallacopertina di A. Barzon, La Chiesa e il convento diSanta Maria dei Servi cit.81) Diario o sia giornale cit., p. 239. La descri-zione della cappella Ăš in gran parte trascritta da S.GullĂŹ, Il Crocifisso âmiracolosoâ cit., p. 23.
84) Lâiscrizione nel cartiglio sopra il âCrocifissoâĂš trascritta in S. GullĂŹ, Il Crocifisso âmiracolosoâcit., p. 24. Lâepigrafe ottocentesca, commemorati-va dellâaggregazione della Confraternita allâArci-confraternita del Crocifisso della chiesa romana diSan Marcello nel 1615, legge: âHac Iesu ChristiIcone / anno ab eius ortu MDXII / humorem san-guineum ex vultu et latere / bis effundente / moxsub sanctissimae effigies et prodigiosi cruoris /invocatione / extitit sodalitium / anno MDCXVindulgentiis S. Marcelli Romae / auctum / dein totiservorum B. M. V. familiae / in meritorum com-munionem / adscitum / ut tot beneficiorum recor-dation(is) / magis perennet et posteros cieat idemsodalium coetus / memor et venerabundus / monu-mentum hoc / P. C. / anno MDCCCLIXâ. Unaseconda epigrafe ottocentesca commemora inveceil rinnovo del privilegio da parte di papa Pio VII dicelebrare una messa speciale nel GiovedĂŹ Santoallâaltare della cappella: âPio VII Pont. Max. /redonatori / privilegii vetustate obliterati / quoliceat feria V. In coena Domini / sacrum ad aramhuius aediculae facere / semel ante solemne inperpetuum / Sanctissimi Crucifixi / sodalitas /monumentum / P. C. / MDCCCIIâ (trascritta in A.Barzon, La chiesa dei Servi cit., 1926, p. 43).85) Il bassorilievo del âSan Girolamoâ viene asse-gnato a Donatello nel Diario sacro del 1764: ânelsecondo [altare] della nobile famiglia Campolon-go entro quadrata cornice siede la statua di SanGirolamo formata dal suddetto Donatello di gran-dezza umana in atto di scrivere, e dipinta al natu-raleâ (Diario o sia giornale cit., p. 237). PietroBrandolese, fonte senzâaltro piĂč affidabile, ricor-da invece che la scultura era tradizionalmenteattribuita, e a suo parere senza fondamento, adAndrea Riccio (Pitture, sculture, architetture cit.,p. 65). Del rilievo e del suo altare non vi Ăš traccianella chiesa; probabilmente asportati in sĂ©guito airadicali riallestimenti della parete, gli stessi chehanno comportato la distruzione del Mausoleo diPaolo e Angelo da Castro di cui oggi rimane sola-mente il rilievo in bronzo (sul monumento e i DaCastro, famiglia da tenere presente se si seguonole possibili vie che mettono in contatto Donatellocoi Servi di Padova, vedi qui accanto Caglioti allanota 116). Ă forse da collegare al perduto rilievoservita il âSan Girolamoâ in terracotta attribuito aBellano (The Age of Titian. Venetian RenaissanceArt from Scottish Collections, catalogo dellamostra, 5 agosto - 5 dicembre 2004, a cura diAidan Weston-Lewis, National Galleries of Scot-land, Edinburgh 2004, cat. 179). Per la letteraturache pone fine allâattribuzione donatelliana dellastatua della âMadonna col Bambinoâ, oltre allâar-gomentazione su base documentaria di Ronchi,non del tutto persuasiva (Notizie di documenti ine-diti del secolo XV intorno alla chiesa di S. Mariadei Servi, in A. Barzon, La chiesa e il convento diS. Maria dei Servi cit., pp. 20-28 [pp. 25 e 26]),vedi le osservazioni di H. Kauffmann, Donatellocit., p. 234 (nota 389); e di F. A. Dal Pino e L.Mulato, Santa Maria dei Servi di Padova: storiacit., pp. 25, 26 e nota 29. Per la longeva attribu-zione donatelliana, vedi invece Angelo Portenari,Della felicitĂ di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Pado-va 1623, p. 460 (un riassunto di notizie tratte daPortenari, che include lâattribuzione a Donatellodella statua della Vergine, Ăš nel manoscritto ano-nimo, anchâesso datato 1623 ma pubblicato nel1839, Antichi e moderni pregi e onori della R. cit-tĂ di Padova, Tipografia Penada, Padova); G. Ros-setti, Descrizione delle pitture, sculture, ed archi-tetture di Padova cit., 1780, pp. 264 e 265; G.Moschini, Guida per la cittĂ di Padova cit., pp.158 e 159; G. Ferretto, Memorie storiche cit., V,pp. 80 e 81. La statua, come rammenta Cagliotialla nota 17, Ăš ora attribuita a Rainaldino di Fran-cia. A inspessire ulteriormente il sentimento diuna presenza donatelliana nella chiesa sono il put-to reggiscudo in rilievo sul protiro (illustrato inPadova. La Chiesa di S. Maria dei Servi. Restau-
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27. âCrocifisso miracolosoâ. Padova, Santa Maria dei Servi (stato fra il 1912 e il Secondo Dopoguerra).
ro del portico cit., p. 38) e il tondo in terracottapolicroma di una âMadonna col Bambinoâ, che miha fatto notare Francesco Caglioti, murato sullaparete occidentale in prossimitĂ della Cappella delSacro Cuore. Il tondo viene solo brevemente men-zionato da Lionello Puppi e Giuseppe Toffanin(Guida di Padova cit., p. 145) e da Elena Urbani(Santa Maria dei Servi di Padova: architettura earte cit., p. 43) come di dubbia attribuzione dona-telliana.86) Erice Rigoni, Notizie di scultori toscani aPadova nella prima metĂ del Quattrocento, inâArchivio Venetoâ, s. V, VI, 1929, pp. 118-136; perla citazione di Giovanni da Feltre, vedi p. 126(nota 4). Allargando il raggio di questa conclusio-ne si potrebbero includere anche i documenti del-
lâArca del Santo relativi a un âCrocifissoâ nellabasilica al cui basamento lo scultore GiovanniNanni lavora negli anni a ridosso della realizza-zione del âCrocifissoâ bronzeo (A. Sartori, Archi-vio Sartori. Documenti di storia e arte francesca-na. I. Basilica e Convento del Santo, a cura di Gio-vanni Luisetto, Biblioteca Antoniana, Basilica delSanto, Padova 1983, pp. 213-214; e sulle contro-verse interpretazioni del documento, lo stesso Sar-tori e Geraldine A. Johnson, The Original Place-ment of Donatelloâs Bronze Crucifix in the Santoin Padua, in âThe Burlington Magazineâ,CXXXIX, 1997, pp. 860-862), e infine il âCroci-fissoâ ligneo della chiesa di Santa Margherita diVigonza, recentemente restaurato, associato a undocumento del 27 aprile 1434 che ricorda un
âCrocifixo magnoâ eseguito da NiccolĂČ Baroncel-li (E. Rigoni, Notizie di scultori toscani a Padovacit., p. 132; DallâAdige alle Alpi. Tesori ritrovatidella Chiesa di Padova, catalogo della mostra acura di Andrea Nante, Padova, Museo Diocesano ePalazzo Vescovile, 15 marzo - 1 giugno 2003,Museo Diocesano di Padova, Padova 2003, cat. 5,pp. 48-52 [scheda di Giuliana Ericani]; e Cagliotiqui accanto, passim, con ulteriori notizie sui âCro-cifissiâ baroncelliani di Padova e di Ferrara).87) Per il documento orvietano e il ricordo di Gio-vanni Chellini, e per la loro bibliografia, vedi daultimo U. Pfisterer, Donatello cit., pp. 488 n. 1 e493 n. 15 (Appendice A); per Vasari, Vite, ed. R.Bettarini e P. Barocchi cit., III, 1971, p. 216. SulâBattistaâ, Francesco Valcanover, Lorenzo Lazza-rini, Il San Giovanni Battista di Donatello ai Fra-ri, in âQuaderni della Soprintendenza ai Beni Arti-stici e Storici di Veneziaâ, 8, 1979, pp. 23-32; eCaglioti qui accanto, passim.88) G. Vasari, Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchicit., III, 1971, pp. 204-206.89) Sui Crocifissi di Santa Croce e di Santa MariaNovella, vedi in part. Margrit Lisner, Holzkruzifi-xe in Florenz und in der Toskana von der Zeit um1300 bis zum frĂŒhen Cinquecento, Bruckmann,MĂŒnchen 1970, spec. pp. 54-57, figg. 105-108,111-113; e ora Caglioti qui a fianco, passim. SulâCrocifissoâ del Bosco ai Frati, vedi AlessandroParronchi, Il Crocifisso del Bosco, in Scritti di sto-ria dellâarte in onore di Mario Salmi, De Luca,Roma 1962, II, pp. 233-262. Riferendo lâaneddo-to vasariano al âCrocifissoâ di San Bonaventura alBosco, Parronchi proponeva con nuovi argomentilâattribuzione del âCrocifissoâ di Santa Croce aNanni di Banco (Lâautore del âCrocifissoâ di SantaCroce: Nanni di Banco, in âProspettivaâ, 6, 1976,pp. 50-55), giĂ avanzata da Jenö Lanyi (Zur Prag-matik der Florentiner Quattrocentoplastik, inâKritische Berichte zur kunstgeschichtlichen Lite-raturâ, VI, 1937, pp. 126-131). Di diverso parere,Lisner restituiva il âCrocifissoâ di Santa Croce aDonatello e proponeva il nome di Desiderio daSettignano per il âCrocifissoâ del Bosco (Intornoal Crocifisso di Donatello in Santa Croce, inDonatello e il suo tempo cit., pp. 115-129; Holz-kruzifixe in Florenz cit., pp. 73 e 74, e figg. 146-150). Ma anche su tale opera vedi ora ampiamen-te Caglioti qui di sĂ©guito.
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28. Rainaldino di Francia: âMadonna col Bambinoâ(1400 circa). Padova, Santa Maria dei Servi, AltaredellâAddolorata.