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Un’attribuzione a Donatello del ‘Crocifisso’ ligneo dei Servi di Padova Marco Ruffini Alla Beinecke Library della Yale Univer- sity si conserva il primo volume di un esemplare della prima edizione delle Vite di Giorgio Vasari (1550) contenente annotazioni manoscritte finora scono- sciute. 1 Scritte da due anonimi lettori nel sedicesimo secolo, queste postille sono le prime mai apposte alle Vite fra quelle finora note. Seppur concentrate su di un numero ridotto di biografie, e per lo piĂč redatte al fine di indicizzare il testo a stampa, le annotazioni offrono alcune preziose informazioni inedite sull’arte veneta del Quattro e Cinquecento. Fra queste Ăš l’attribuzione a Donatello di un ‘Crocifisso’ nella chiesa padovana di Santa Maria dei Servi, in un’annotazione alla biografia dedicata allo scultore fio- rentino: “Ha [Donatello] ancor fato il Crucifixo quale hora Ăš in chiesa di Servi di Padoa”. 2 Redatta al margine della menzione della scultura lignea di un ‘San Sebastiano’, quasi al termine del reso- conto sul soggiorno dell’artista a Padova, la postilla integra il breve catalogo vasa- riano delle opere eseguite dallo scultore nella cittĂ  veneta (figg. 2-3). Il ‘Crocifisso’ segnalato dalla postilla si trova tuttora all’interno della chiesa ser- vita (figg. 4-5), nella cappella a sinistra del coro guardando verso l’altare mag- giore, fissato a parete dietro e al di sopra di un suo proprio altare (figg. 6, 1). È una scultura monumentale, di 183 centimetri di altezza, in legno di pioppo, di qualitĂ  straordinaria solo parzialmente compro- messa da elementi spuri, primo fra tutti una pesante verniciatura passata a piĂč riprese per simulare l’effetto del bronzo (figg. 1, 27). 3 Nonostante la qualitĂ  dell’opera, le sue dimensioni e la sua continuata presenza nella chiesa (almeno a partire dalla seconda decade del sedicesimo secolo), essa Ăš quasi un inedito per la storia del- l’arte. Il ‘Crocifisso’ Ăš straordinariamen- te assente dagli studi sulla scultura pado- vana del Quattrocento e da quelli specia- listici sul maestro fiorentino, con l’unica eccezione a me nota di una breve men- zione da parte di Hans Kauffmann nella sua monografia donatelliana del 1935. 4 Assente anche dalle “guide rosse” del Touring Club Italiano, l’opera si ritrova invece nelle fonti ecclesiastiche, nelle compilazioni storiche locali, e in un bre- ve articolo del 2002 nel periodico ‘Pado- va e il suo territorio’ (autrice Silvia Gul- lĂŹ), che ne offre un’analisi storico-docu- mentaria senza tuttavia entrare nel merito della sua paternitĂ . 5 Quei pochi, fra gli storici locali, che hanno invece affrontato la questione si sono limitati a segnalare la straordinaria somiglianza della scultura servita col ‘Crocifisso’ bronzeo eseguito da Donatello per la basilica del Santo fra il 1443-44 e il 1449. Sulla base di questo confronto essi hanno attribuito l’immagi- ne, in modo generico e senz’altro provvi- sorio, ad un anonimo scultore quattro- centesco emulo del fiorentino. Questo vale anche per Kauffmann, che conside- rava l’opera una copia del celebre bron- zo eseguita nella seconda metĂ  del Quat- trocento. CiĂČ detto, puĂČ forse sembrare superfluo introdurre ulteriormente l’argomento di questo articolo, e forse anche anticipare il conclusivo convincimento che l’attri- buzione del ‘Crocifisso’ servita a Dona- tello sia degna di fede. È invece impor- tante far presente sin da ora che a questo articolo segue un’analisi tecnico-stilistica dell’opera condotta da Francesco Caglio- ti, il quale giunge per tale via e con ulte- riori materiali e argomenti a una piena restituzione al grande maestro. Devo anche rilevare che tenterĂČ di limitare qui le mie osservazioni sul documento a quelle necessarie per affrontare la que- stione donatelliana. Per una trascrizione delle postille e una dimostrazione della loro importanza, sia per la prima ricezio- ne delle Vite in Veneto, sia per le altre novitĂ  che esse contengono, specialmen- te una nota biografica su Tiziano redatta sul recto del primo foglio del duerno interposto fra l’edizione e la coperta posteriore del volume, rimando a un mio secondo articolo che uscirĂ  in altra sede. Le Vite di Yale La paternitĂ , datazione e provenienza delle postille non sono determinabili con precisione, ma definibili con diversi gra- di di approssimazione attraverso un’ana- lisi formale e contestuale del documento. Le caratteristiche grafiche della scrittura indicano la presenza di uno scrivente principale, responsabile della quasi tota- litĂ  delle annotazioni, e di un secondo scrivente, riconoscibile in una postilla alla biografia di Carpaccio e nella parte conclusiva della nota biografica su Tizia- no, lasciata incompiuta dal primo. Vi Ăš anche un terzo scrivente, individuabile in un solo intervento al margine della bio- grafia di Spinello Aretino. 6 Solo le scritture del primo e del secondo annotatore si possono datare con signifi- cativa approssimazione. Verosimilmente il primo scrisse intorno alla metĂ  della settima decade del secolo, poichĂ© diverse annotazioni attribuibili alla sua mano descrivono opere o eventi riferibili a que- sto periodo. La menzione di un’opera di Domenico Campagnola, la monumentale tela che ritrae il podestĂ  Marino Cavalli, che sappiamo realizzata nei primi mesi del 1563, comunque non prima del 12 aprile 1562, costituisce un importante riferimento post quem che, seppur non automaticamente estendibile all’intero corpo, trova riscontro nell’unica indica- zione puntuale offerta dall’annotatore: la datazione di un giudizio su di una pala d’altare veneziana all’anno 1563 (fig. 16). 7 Sulla base di una valutazione delle caratteristiche grafiche della scrittura, le aggiunte del secondo scrivente dovrebbe- ro invece cadere all’interno degli ultimi due decenni del secolo. Sono comunque posteriori al 1581, data di un documento veneziano che si riferisce ad un’opera ancora da realizzare ma che l’annotatore segnala come giĂ  esistente. 8 Fra i due annotatori Ăš forse un divario generazionale. Una certa continuitĂ  fra le loro scritture, tanto discorsiva (il secondo scrivente continua la nota biografica su Tiziano principiando con un “et”) quanto fisica (innanzitutto l’uso dello stesso inchiostro, anche se diversamente dilui- to), fa inoltre pensare che essi apparte- nessero ad una stessa famiglia o bottega artistica. Il contenuto delle annotazioni rimanda univocamente all’ambiente artistico veneto-padano. Non solo le integrazioni e i commenti (escludendo alcune ecce- zioni nella nota biografica su Tiziano) si riferiscono esclusivamente ad opere visi- bili a Padova, Venezia e Ferrara, ma le biografie piĂč copiosamente annotate sono quelle di artisti che in queste cittĂ  avevano vissuto, come i Bellini, Carpac- cio ed Ercole de’ Roberti, o che vi aveva- no lasciato significativa testimonianza con la loro opera, come Francesco Fran- cia e Donatello. Alla stessa area geogra- fica rimandano anche gli elementi lingui- stici delle postille, tipicamente veneti, 22 [Saggi]

Un'attribuzione a Donatello del 'Crocifisso' ligneo dei Servi di Padova

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Un’attribuzione a Donatello del ‘Crocifisso’ ligneo dei Servi di PadovaMarco Ruffini

Alla Beinecke Library della Yale Univer-sity si conserva il primo volume di unesemplare della prima edizione delle Vitedi Giorgio Vasari (1550) contenenteannotazioni manoscritte finora scono-sciute. 1 Scritte da due anonimi lettori nelsedicesimo secolo, queste postille sono leprime mai apposte alle Vite fra quellefinora note. Seppur concentrate su di unnumero ridotto di biografie, e per lo piĂčredatte al fine di indicizzare il testo astampa, le annotazioni offrono alcunepreziose informazioni inedite sull’arteveneta del Quattro e Cinquecento. Fraqueste Ăš l’attribuzione a Donatello di un‘Crocifisso’ nella chiesa padovana diSanta Maria dei Servi, in un’annotazionealla biografia dedicata allo scultore fio-rentino: “Ha [Donatello] ancor fato ilCrucifixo quale hora Ăš in chiesa di Servidi Padoa”. 2 Redatta al margine dellamenzione della scultura lignea di un ‘SanSebastiano’, quasi al termine del reso-conto sul soggiorno dell’artista a Padova,la postilla integra il breve catalogo vasa-riano delle opere eseguite dallo scultorenella cittĂ  veneta (figg. 2-3).Il ‘Crocifisso’ segnalato dalla postilla sitrova tuttora all’interno della chiesa ser-vita (figg. 4-5), nella cappella a sinistradel coro guardando verso l’altare mag-giore, fissato a parete dietro e al di sopradi un suo proprio altare (figg. 6, 1). È unascultura monumentale, di 183 centimetridi altezza, in legno di pioppo, di qualitĂ straordinaria solo parzialmente compro-messa da elementi spuri, primo fra tuttiuna pesante verniciatura passata a piĂčriprese per simulare l’effetto del bronzo(figg. 1, 27). 3

Nonostante la qualità dell’opera, le suedimensioni e la sua continuata presenzanella chiesa (almeno a partire dallaseconda decade del sedicesimo secolo),essa ù quasi un inedito per la storia del-l’arte. Il ‘Crocifisso’ ù straordinariamen-

te assente dagli studi sulla scultura pado-vana del Quattrocento e da quelli specia-listici sul maestro fiorentino, con l’unicaeccezione a me nota di una breve men-zione da parte di Hans Kauffmann nellasua monografia donatelliana del 1935. 4

Assente anche dalle “guide rosse” delTouring Club Italiano, l’opera si ritrovainvece nelle fonti ecclesiastiche, nellecompilazioni storiche locali, e in un bre-ve articolo del 2002 nel periodico ‘Pado-va e il suo territorio’ (autrice Silvia Gul-lĂŹ), che ne offre un’analisi storico-docu-mentaria senza tuttavia entrare nel meritodella sua paternitĂ . 5 Quei pochi, fra glistorici locali, che hanno invece affrontatola questione si sono limitati a segnalare lastraordinaria somiglianza della sculturaservita col ‘Crocifisso’ bronzeo eseguitoda Donatello per la basilica del Santo frail 1443-44 e il 1449. Sulla base di questoconfronto essi hanno attribuito l’immagi-ne, in modo generico e senz’altro provvi-sorio, ad un anonimo scultore quattro-centesco emulo del fiorentino. Questovale anche per Kauffmann, che conside-rava l’opera una copia del celebre bron-zo eseguita nella seconda metĂ  del Quat-trocento.CiĂČ detto, puĂČ forse sembrare superfluointrodurre ulteriormente l’argomento diquesto articolo, e forse anche anticipareil conclusivo convincimento che l’attri-buzione del ‘Crocifisso’ servita a Dona-tello sia degna di fede. È invece impor-tante far presente sin da ora che a questoarticolo segue un’analisi tecnico-stilisticadell’opera condotta da Francesco Caglio-ti, il quale giunge per tale via e con ulte-riori materiali e argomenti a una pienarestituzione al grande maestro. Devoanche rilevare che tenterĂČ di limitare quile mie osservazioni sul documento aquelle necessarie per affrontare la que-stione donatelliana. Per una trascrizionedelle postille e una dimostrazione dellaloro importanza, sia per la prima ricezio-ne delle Vite in Veneto, sia per le altrenovitĂ  che esse contengono, specialmen-te una nota biografica su Tiziano redattasul recto del primo foglio del duernointerposto fra l’edizione e la copertaposteriore del volume, rimando a un miosecondo articolo che uscirĂ  in altra sede.

Le Vite di Yale

La paternità, datazione e provenienzadelle postille non sono determinabili conprecisione, ma definibili con diversi gra-di di approssimazione attraverso un’ana-lisi formale e contestuale del documento.Le caratteristiche grafiche della scrittura

indicano la presenza di uno scriventeprincipale, responsabile della quasi tota-litĂ  delle annotazioni, e di un secondoscrivente, riconoscibile in una postillaalla biografia di Carpaccio e nella parteconclusiva della nota biografica su Tizia-no, lasciata incompiuta dal primo. Vi Ăšanche un terzo scrivente, individuabile inun solo intervento al margine della bio-grafia di Spinello Aretino. 6

Solo le scritture del primo e del secondoannotatore si possono datare con signifi-cativa approssimazione. Verosimilmenteil primo scrisse intorno alla metĂ  dellasettima decade del secolo, poichĂ© diverseannotazioni attribuibili alla sua manodescrivono opere o eventi riferibili a que-sto periodo. La menzione di un’opera diDomenico Campagnola, la monumentaletela che ritrae il podestĂ  Marino Cavalli,che sappiamo realizzata nei primi mesidel 1563, comunque non prima del 12aprile 1562, costituisce un importanteriferimento post quem che, seppur nonautomaticamente estendibile all’interocorpo, trova riscontro nell’unica indica-zione puntuale offerta dall’annotatore: ladatazione di un giudizio su di una palad’altare veneziana all’anno 1563 (fig.16). 7 Sulla base di una valutazione dellecaratteristiche grafiche della scrittura, leaggiunte del secondo scrivente dovrebbe-ro invece cadere all’interno degli ultimidue decenni del secolo. Sono comunqueposteriori al 1581, data di un documentoveneziano che si riferisce ad un’operaancora da realizzare ma che l’annotatoresegnala come giĂ  esistente. 8

Fra i due annotatori Ăš forse un divariogenerazionale. Una certa continuitĂ  fra leloro scritture, tanto discorsiva (il secondoscrivente continua la nota biografica suTiziano principiando con un “et”) quantofisica (innanzitutto l’uso dello stessoinchiostro, anche se diversamente dilui-to), fa inoltre pensare che essi apparte-nessero ad una stessa famiglia o bottegaartistica.Il contenuto delle annotazioni rimandaunivocamente all’ambiente artisticoveneto-padano. Non solo le integrazionie i commenti (escludendo alcune ecce-zioni nella nota biografica su Tiziano) siriferiscono esclusivamente ad opere visi-bili a Padova, Venezia e Ferrara, ma lebiografie piĂč copiosamente annotatesono quelle di artisti che in queste cittĂ avevano vissuto, come i Bellini, Carpac-cio ed Ercole de’ Roberti, o che vi aveva-no lasciato significativa testimonianzacon la loro opera, come Francesco Fran-cia e Donatello. Alla stessa area geogra-fica rimandano anche gli elementi lingui-stici delle postille, tipicamente veneti,22 [Saggi]

[Saggi] 231. Altare del Crocifisso (secoli XVII-XX). Padova,Santa Maria dei Servi.

cui il primo scrivente critica duramenteun dipinto di Francesco Francia per ilDuomo di Ferrara, la Pala di Ognissanti,tuttora in loco: “Per questa tavola delDomo di Ferara mi son partito da Padoaper vederla, et ho veduto una gran scar-ponaria a parangon de le moderne fate inLombardia et da’ lombardi” (figg. 7-8). 9

Ulteriore indizio ù il riferimento puntua-le e ricorrente al pittore residente a Pado-va Domenico Campagnola, un artistaignorato da Vasari, anche nella Giuntina,ma che nelle postille assume una posizio-ne di primo piano. Campagnola, per cui ilprimo annotatore esprime un’ammirazio-ne senza riserve, ù incluso in una lista deimigliori artisti moderni e viene citato,con gli epiteti di “eccellente” ed “egre-gio” (che invero ritroviamo anche nelladocumentazione coeva sull’artista), in

come l’occlusiva velare sonora g in luogodella sorda corrispondente c (“Domene-go, fondego”), l’evoluzione di l seguitada j semiconsonantica (“ogio”), l’esitopalatale del nesso scl (“sciavo”) e il mi infunzione di soggetto (“mi son partito”).All’interno di quest’area geografica,Padova Ăš il centro rispetto al quale ruotal’intero sistema di informazioni fornitedal documento. L’indizio piĂč significati-vo in tal senso Ăš un riferimento direttoalla cittĂ , contenuto in un’annotazione in

merito a due opere veneziane come auto-revole esperto d’arte (anche in questocaso un ruolo effettivamente svolto daCampagnola almeno in un’occasione,come attesta un documento notarilepadovano). 10 Il pittore sembra essere laprincipale fonte di informazioni dell’ano-nimo, o almeno l’unica riconosciuta (inun solo caso lo scrivente esprime un giu-dizio critico in prima persona e nei rima-nenti casi omette di citare le fonti). Infi-ne, il nome di Campagnola (“DominicoCampagnola pictor”), cassato ma ancoraleggibile, appare sull’ultima pagina delvolume, al termine di un commento con-clusivo sulle Vite (fig. 9).Non Ăš dato capire perchĂ© il nome di Cam-pagnola sia stato prima scritto e poi bif-fato: Ăš probabile che l’annotatore abbiaconsiderato la possibilitĂ  che ivi ubicato,forse allo scopo iniziale di attribuireall’artista la paternitĂ  del commentosoprascritto, potesse essere erroneamenteinterpretato come un’indicazione di pos-sesso del codice. Si potrebbero sollevarealtre ipotesi. Va comunque esclusa la pos-sibilitĂ  che la scrittura sia una sottoscri-zione e che l’annotatore principale dellepostille sia lo stesso Campagnola. Questoper via di due riferimenti all’artista in ter-za persona nelle postille e per il confron-to con un documento notarile padovanodatato 1° agosto 1542, che presenta unbreve brano certamente autografo dell’ar-tista (figg. 10-12). 11 È certo comunqueche, seppur non autografo, il nome del-l’artista, scritto secondo una formula fir-mataria alla fine del volume, centratosulla pagina, rimane un dato emblemati-co della funzione saliente che Campa-gnola svolge nella narrativa delle postil-le, tanto da indurci a identificare il prin-cipale annotatore di queste Vite con unanonimo vicinissimo all’artista. Questo“Anonimo di Yale” – o comunque si24 [Saggi]

2. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Le vite de’ piĂč eccellenti architetti, pittori, et scultoriitaliani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, descritte inlingua toscana, da Giorgio Vasari pittore aretino. Con unasua utile e necessaria introduzzione a le arti loro, LorenzoTorrentino, Firenze 1550. Yale University, Beinecke RareBook and Manuscript Library, 1987 441 1-2, p. 344.

3. Anonimo di Yale, postilla manoscritta (particolaredella fig. 2).

voglia appellarlo, per distinguerlo dalsecondo annotatore – doveva appartenerealla cerchia di artisti e amatori d’arte chenella prima metĂ  della settima decade delCinquecento ruotava attorno a Campa-gnola.Nato intorno al 1500 a Venezia, orfano diun ciabattino tedesco ivi emigrato,Domenico era il figlio adottivo del pado-vano Giulio Campagnola. 12 Documentatoper la prima volta a Padova nel 1523,l’artista acquistĂČ presto una posizione diprimo piano nell’ambiente artistico citta-dino, assicurandosi le maggiori commis-sioni pubbliche e private nel corso di cir-ca quarant’anni di fortunata carriera.Dovette anche godere del favore dei cir-coli dotti padovani, vista la documentatapreferenza accordatagli dagli umanistiMarco Mantova Benavides, che conser-vava suoi dipinti e disegni nella propriacollezione, e Alvise Cornaro, il quale, sediamo credito alla testimonianza di Mar-cantonio Michiel, gli aveva affidato ladecorazione della propria dimora. 13

CollaborĂČ coi maggiori artisti della cittĂ :inizialmente con il fonditore Guido Liz-zaro, in sĂ©guito con lo scultore e pittoreTiziano Minio, figlio di Guido, e con ilpittore Stefano dell’Arzere, di pochi annipiĂč giovane e forse inizialmente suo allie-vo. 14 Sono inoltre note le sue relazionicon il pittore e scultore Gualtieri dell’Ar-zere, che aveva sposato la figlia di GuidoLizzaro, con lo scultore Agostino Zoppo,con cui si ritiene abbia collaborato alMonumento a Tito Livio nel Palazzo del-la Ragione, con l’antiquario Giovanni delCavino, noto soprattutto per la sua produ-zione di falsi di monete antiche, e coi pit-tori Francesco Corona e GiambattistaMaganza. 15 Campagnola dovette ancheessere vicino a Parrasio Michiel, pittoreveneziano, dedicatario di una ballatacomposta da Maganza, in cui appareanche il nome del nostro Domenico. Lostesso Michiel fu incaricato di portare atermine l’ultimo lavoro di Campagnola,commissionatogli dai canonici della Cat-tedrale e forse neanche mai iniziato acausa dell’improvvisa morte del pittoreall’etĂ  di sessantaquattro anni, il 10dicembre 1564. 16

Quale fosse la posizione dell’Anonimo inrapporto a tale ambiente non Ăš dato sape-re. Oltre al riferimento puntuale e conti-nuato a Campagnola non troviamo nellepostille informazioni che permettono ditentarne l’individuazione, anche solo pervia ipotetica. Si puĂČ solo supporre unlegame speciale fra l’annotatore e alcuniordini religiosi, per via dell’indicizzazio-ne della venerazione di Taddeo Gaddi perSan Girolamo, al margine della biografia

dell’artista (p. 183), e di altre informa-zioni di carattere religioso e devozionalecontenute nella biografia di LorenzoMonaco: l’ordine di appartenenza del-l’artista; la presunta venerazione dellesue mani, tenute come reliquie dai con-fratelli (p. 215); la speciale dispensa daidoveri dell’ordine che egli ottenne permeriti speciali da papa Eugenio IV; ladecorazione di un messale ancora in usoa Roma al tempo di Vasari (p. 216).Ancora piĂč sfumati sono gli indizi di unlegame col mondo delle lettere (un datoche d’altronde trova immediato riscontronella scrittura dei marginalia, la qualerivela un grado di alfabetizzazione supe-riore a quello medio di un artista del Cin-

quecento): l’interesse per la formazioneletteraria di Cimabue (p. 126), e per l’at-tività poetica dell’Orcagna (p. 185); l’in-dicizzazione dei nomi degli umanistiLeonardo Bruni (p. 140) e Angelo Poli-ziano (p. 149), e dei ritratti di Dante ePetrarca (pp. 140, 216).È probabile che gli annotatori delle Vitedi Yale siano destinati a rimanere anoni-mi. Ma a questo proposito bisogna ricor-dare come il determinarne con precisionel’identità non sia questione veramentecentrale: il valore documentario dellepostille risiede soprattutto nel loro riferi-mento coerente all’ambiente artisticopadovano di metà Cinquecento. In questosenso, la figura di Campagnola, per il suoruolo catalizzatore in tale ambiente,rimane il principale riferimento prosopo-

[Saggi] 25

4. Incisore anonimo, su disegno di Vincenzo Dotto:Padova circondata dalle muraglie vecchie (vista da nord verso sud), in Angelo Portenari, Della felicitĂ di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Padova 1623, tav. tra le pp. 84-85 (particolare).

Influente doveva essere stata anche la let-tera a Tomeo, non tanto come modello(probabilmente inaccessibile all’Anoni-mo, che dimostra di non conoscere il lati-no), quanto come autorevole precedentescrittorio della tradizione artistica muni-cipale patavina.Esemplare del campanilismo delle postil-le ù la nota integrativa che appare al ter-mine della biografia di Cimabue, doveVasari accenna “a coloro che hanno ridot-to tal mestiero a lo stupore, et a la mara-viglia, che veggiamo nel secol nostro”.Qui l’Anonimo scrive:

“Michielanzolo Bonaroti, Raphael d’Urbino

commo Titiano, Jacomo Tentoreto, PauloVeroneze, el Salviati, Bonifacio, LorenzoLoto, Rocho Marchonio [segue il Paraziodepennato], Domenego Campagnola, qual hafato molte opere, fra le altre una tavola inSant’Agostin di Padoa et in la Sala del Pode-stĂ , un’altra Stephano padoano ancora, et fra’Marcho maraveglia commo in piĂč lochi sivegono le sue opere divine” (fig. 13). 19

La nota include Campagnola e Stefanodell’Arzere, i migliori artisti padovanicontemporanei (celebrati come tali, eassieme, anche dai contemporanei PaoloPino e Bernardino Scardeone), nel gran-de quadro dell’arte contemporanea,dominato, oltre che dagli indiscussi mae-stri Michelangelo, Raffaello e Tiziano,dai veneti Tintoretto, Veronese, Bonifaciode’ Pitati, Lorenzo Lotto e Rocco Marco-ni (il nome di Parrasio Michiel, dapprimaincluso, viene poi cassato). La postillaannovera fra questi anche Giuseppe Sal-viati, artista toscano ma che aveva trova-to grande sĂ©guito in Veneto, specialmen-

grafico che il documento produce.L’importanza di Campagnola derivavaanche dal prestigio della sua famigliaadottiva, contraddistinta da interessi let-terari inusuali per un artista. Il padreadottivo Giulio, enfant prodige celebra-tissimo nell’ambiente dotto padovano,era noto per le sue doti di incisore, calli-grafo e suonatore di liuto, per le sueconoscenze del latino, del greco e dell’e-braico e per la sua produzione poetica.Anche Vasari si unĂŹ al coro degli elogi,ma solo nella Giuntina, ricordando cheegli fu anche pittore e miniatore: “dipin-se, miniĂČ e intagliĂČ in rame molte belle

cose cosĂŹ in Padova come in altri luoghi”.17 Il padre di Giulio, Girolamo Campa-gnola, era un notaio e amatore d’arte(creduto anche artista), soprattutto notoper una lettera sull’arte scritta in latino eindirizzata al filosofo NiccolĂČ LeonicoTomeo. La lettera Ăš andata perduta, maera nota ai contemporanei e venne usatacome fonte sull’arte padovana da alcuniscrittori del Cinquecento, fra cui Michielper la Notizia d’opere del disegno e Vasa-ri per la Giuntina. 18

Domenico Campagnola era dunque l’ul-timo esponente di una famiglia che dove-va apparire all’Anonimo come deposita-ria delle conoscenze sull’arte della cittĂ .Da ciĂČ si comprende lo speciale riguardoriservatogli nelle postille, con le qualil’annotatore si sforza di contrastare lamarginalitĂ  dell’arte padovana nelle Vite.

te a Padova (dove ù documentato nel1541). Notevole ù la menzione del dome-nicano veronese Marco de’ Medici (cosìalmeno identifico quel “fra’ Marcho”,estimatore dell’opera di dell’Arzere), let-terato e architetto dilettante, importanteper le sue conoscenze sull’arte norditalia-na ma pochissimo documentato. Il Medi-ci ù soprattutto noto per la sua collabora-zione con Vasari, a cui fornì informazio-ni sugli artisti veronesi per la secondaedizione delle Vite. 20

Solo per i padovani l’Anonimo includeriferimenti a opere. Di Campagnola men-ziona due dipinti: uno nella chiesa diSant’Agostino, l’altro nel Palazzo delPodestĂ . Il primo corrisponde alla‘Resurrezione di Cristo con vari santi’,ora al Museo Civico (inv. 2321), databilefra il 1547 e il 1554, allora inserita in unacornice monumentale sull’altare maggio-re della chiesa, e celebrata dai contempo-ranei come una delle piĂč importanti ope-re della cittĂ . Il secondo Ăš invece identifi-cabile con l’ultimo dipinto conosciutodell’artista, il giĂ  citato ‘San Marco con ilpodestĂ  Marino Cavalli’, databile fra il 12aprile 1562 e il principio del marzo 1563(termini cronologici dell’ufficio podesta-rile di Cavalli). È forse questo lo stessodipinto cui si riferisce un pagamento aCampagnola del 26 febbraio 1563 “permercede di haver dipinto il quadro grandenuovamente posto nella Camera dell’Au-dientia nel palazzo del cl[arissim]o Pode-stà” registrato il 2 marzo dello stessoanno. 21 L’Anonimo non offre invece rife-rimenti specifici per le opere di dell’Ar-zere, di cui si limita a sottolineare nume-ro e qualitĂ  stupefacenti riportando il giu-dizio di Marco de’ Medici.Questo elenco dei migliori artisti moder-ni che include, assieme ai padovani, figu-re controcorrente, criticate o trascuratenella scrittura d’arte coeva, come Loren-zo Lotto e Rocco Marconi, esprime inmodo sintetico una visione storico-arti-stica del territorio veneto incentrata suPadova, integrativa e alternativa rispettoa quella vasariana, verso la quale l’Ano-nimo mostra un crescente atteggiamentocritico.Forse le pagine piĂč interessanti delle Vitedi Yale in questo senso sono quelle dellabiografia di Francesco Francia, una fra lepiĂč postillate. Qui l’Anonimo scrive unanota polemica sul trattamento pregiudi-ziale che Vasari riserva agli artisti lom-bardi, e in difesa di questi:

“Nota chommo che questo [G]iorgio aretino ùmolto apassionato contro lombardi, ma faciquanto che lui vole, bisongnia che lui habipacienzia, che ancor in queste parti sonnohomeni excelenti” (fig. 14). 2226 [Saggi]

5. Padova, Santa Maria dei Servi, esterno, latoorientale, visto da nord.

Lombardi nel Cinquecento sono anchegli emiliani come Francia. Ma la postillanon puĂČ essere una difesa del bolognese.Non solo sarebbe ingiustificato prenderele parti di un artista che gode nella Tor-rentiniana di un trattamento privilegiato,ma abbiamo anche visto che l’annotatore,in contrasto con Vasari e i precedenti let-terari sul pittore, ne considera l’operamediocre, non paragonabile alle altrelombarde o in Lombardia. 23

Gli “homeni excelenti” sono, dunque,quegli artisti norditaliani taciuti o sotto-valutati nelle Vite – ma ben noti nell’am-biente artistico padovano – che, secondol’Anonimo, Francia non rappresentadegnamente: i locali Campagnola e del-l’Arzere (certamente sopravvalutati dal-l’anonimo lettore), e quei forestieri cheavevano lasciato traccia profonda del loropassaggio nella città, come GirolamoRomanino a Santa Giustina (l’‘Ultimacena’ nel refettorio del monastero e laceleberrima pala della ‘Madonna colBambino in trono e santi’ [1513; oraentrambe al Museo Civico: inv. 663 e669]), o gli scultori Lombardo al Santo

(il sepolcro di Antonio Roselli, opera diPietro, e la monumentale Cappella delSanto, ornata coi rilievi dei ‘Miracoli diSant’Antonio’ dello stesso Tullio e delfratello Antonio). 24 La postilla evoca dun-que, forse non senza il senso di un ormaiavvenuto declino, una tradizione di pre-stiti e scambi fra artisti norditaliani cheproprio a Padova aveva trovato straordi-naria espressione e continuità, fin dalleesperienze mantegnesche e quindi innan-zi per quasi un secolo. Una tradizioneche, a detta dell’Anonimo, Vasari inten-zionalmente trascura nelle Vite. 25

Secondo l’annotatore, Vasari bistrattal’arte norditaliana usando una doppiamalizia: tacendo degli artisti migliori edeleggendo al loro posto un campione ina-deguato. Si comprende cosĂŹ perchĂ© lapostilla sia stata apposta al margine delfamoso aneddoto sulla morte di Francia:rappresentazione di un confronto impari,fra l’arte provinciale del bolognese equella somma di Raffaello, che in man-canza di altri, nelle pagine delle Vite,diventa esemplare di quello piĂč vasto eimportante fra l’arte lombarda e quella

fiorentino-romana. Narra infatti Vasariche il bolognese, celebratissimo in patria,comprese i propri gravi limiti solo dopoaver visto la ‘Santa Cecilia’ di Raffaello;sopraffatto dalla sublime perfezione deldipinto, sarebbe infine morto di dolore. 26

Vale la pena anche notare, volendo esse-re precisi, che l’annotatore scrive lapostilla sui “lombardi” ben prima dellaconclusione dell’episodio, che cade nellapagina seguente. CiĂČ Ăš riprova del fattoche il succo dell’aneddoto gli era giĂ noto. Vasari lo aveva anticipato sei pagi-ne addietro ed egli lo aveva puntualmen-te indicizzato: “Nota chommo il FranzaabandonĂČ l’arte et la vita vedendo l’opredi Raphaelo di Urbino” (p. 530). Indub-biamente l’Anonimo fu colpito dal rac-conto – della cui veridicitĂ  non sembradubitare – tanto da farlo suo e ripeterlonella nota biografica dedicata a Tiziano:

“Et credo chommo che la tavola di SantaCecilia, fata da Raphael d’Urbino, posseextasi al Franza tal me[nte] che, commo sidice, lui morì, così parimente questa[l’‘Annunciazione’ di Napoli] et altre opereche lui ha fato, non solamente ha[nno] parto-

[Saggi] 276. Padova, Santa Maria dei Servi. Padova, interno (stato intorno al 1930).

In un senso piĂč ampio, le postille suilombardi mostrano anche come l’antago-nismo culturale fra le due principali areegeografiche della Penisola, la Toscana ela Lombardia, con le quali si intendevanoil Centro e il Nord, giĂ  stigmatizzato nel-la questione della lingua da una secolaretradizione di esempi, da Dante a Trissino(e poi fino a Manzoni), si era esteso allearti figurative, certamente con granderesponsabilitĂ  da parte di Vasari. 27

La rappresentazione lacunosa che le Viteriservano al Norditalia, e soprattutto alVeneto, viene rilevata dall’Anonimo sin

rito terore neli moderni pictori, ma ancordemostrano che li antichi non sapeano nientede la pictura”.

Compreso, dunque, il valore esemplaredell’aneddoto e la sua nevralgica impor-tanza nella rappresentazione dell’artenorditaliana nelle Vite, l’annotatore loriutilizza per uno scopo diametralmenteopposto, ovvero come termine di parago-ne per rimarcare enfaticamente la supe-riorità assoluta dell’opera di Tiziano, ilcampione norditaliano, combattendo cosìVasari, o per scaltrezza o per scarsità dimezzi, con le sue stesse armi.

dalle prime pagine e criticata con incisivachiarezza nel commento conclusivo delvolume. 28 Qui l’annotatore denuncia ilsoverchiante fiorentinismo delle Vite,accusando Vasari di non avere compresoche il valore fondamentale della pittura ùil colorire ad olio e che questo ù un’in-venzione veneta:

“Nota chommo questo bon homo de Giorgioaretino nara in queste sue vite alcune cose sueche non le direbono la boca del forno, et lecose necessarie lui pone da banda; ove si haveduto mai lodar tanto un paese et biasmarl’altro, chommo fa questo ravanelo, il qualexalta tanto li soi fiorentini et biasma tanto lialtri et non vede, el poverelo, che la vera vir-tĂč et il spirito de la pictura, che Ăš il colorito aogio, Ăš venuto da queste bande?” (fig. 9). 29

Seppur con un linguaggio semplice, que-sta nota conclusiva, sottolineando l’im-portanza del colore, costituisce una testi-monianza precoce di quel dibattito, desti-nato ad avere larghissima fortuna, sul pri-mato del disegno o del colore nella pittu-ra, che avrebbe trovato radici proprio nel-la contrapposizione fra le tradizioni arti-stiche fiorentina e veneziana. 30 Il riferi-mento all’invenzione della pittura ad olio,ascrivibile tanto al Veneto (come rivendi-ca l’Anonimo), quanto alle Fiandre (comescrive Vasari), ma comunque non fioren-tina, mira anch’esso a ridimensionare ilruolo svolto dalla Toscana nello sviluppodell’arte moderna (secondo la periodizza-zione dettata dallo stesso Vasari).

In questa prospettiva filo-veneta vannoanche lette le postille che rimarcano l’im-portanza del mosaico veneziano. Sottoli-neando nelle Vite i passi sull’attività deimosaicisti greci provenienti da Venezia aFirenze, precedente, come scrive Vasari,a quella di Cimabue, l’Anonimo rivendi-ca il primato veneziano nella rinascitadelle arti. È anche questo un argomentoanti-fiorentino divenuto poi canoniconella letteratura artistica veneta. 31 L’Ano-nimo rimarca inoltre la continuità di taleprimato fino al presente richiamandol’attenzione verso la contemporaneadecorazione musiva della basilica vene-ziana di San Marco: al margine dell’ac-cenno di Vasari alle “meravigliose opereche si possono vedere oggi” egli annota“commo ù hogi in San Marcho le mara-vilgiose [sic] opere dei Zuchati; et ancorin Santa Maria Nova la tavola di SanVetor” (fig. 18). 32 La postilla celebra leopere di Francesco e Valerio Zuccati,quei mosaicisti legatissimi a Tiziano che,proprio negli anni in cui l’Anonimo scri-ve, stavano completando la decorazionemusiva dell’atrio di San Marco e cheintorno al 1560 avevano mostrato lepotenzialità pittoriche del micromosaico28 [Saggi]

7. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le Vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, 1987 441 1-2, p. 534.

nella monumentale pala con ‘San Vittoreadorato da alcuni confratelli’ nella chiesadi Santa Maria Nova (ora nei depositidella basilica di San Marco). 33

L’Anonimo non manca di elogiare la pit-tura veneziana esaltando due opere diVittore Carpaccio, un artista che Vasarisenz’altro sottovaluta nella Torrentiniana:il ciclo di teleri delle ‘Storie di Sant’Or-sola’ giĂ  nell’omonima Scuola e la tavoladel ‘Martirio e apoteosi dei diecimilasanti del Monte Ararat’ (ricordata solonella Giuntina), giĂ  nella chiesa di San-t’Antonio (ora entrambe nelle Galleriedell’Accademia). 34 Critica invece la paladi Cima da Conegliano che raffigura‘San Pietro Martire tra San NiccolĂČ, SanBenedetto e un angelo musicante’ (l’uni-ca opera di Cima ricordata nelle Vite), giĂ nella chiesa veneziana del Corpus Domi-ni (ora a Brera). 35

Giunti a questo punto dell’analisi deldocumento, non saranno passate inosser-vate alcune caratteristiche delle postille,le quali suggeriscono che l’Anonimopossedeva solo il primo dei due volumidella Torrentiniana. Non sarebbe altri-menti comprensibile perchĂ© egli abbiariportato osservazioni su opere e artistirecenti nel primo volume, dove Vasaritratta di una o piĂč generazioni preceden-ti. Il secondo, dedicato all’etĂ  moderna,in cui l’aretino ricorda quasi la metĂ  degliartisti menzionati nelle postille, sarebbestato piĂč appropriato per accogliere leintegrazioni. Similmente, la nota biogra-fica su Tiziano, l’esempio vivente del pri-mato veneziano, avrebbe trovato la suacollocazione ideale alla fine dello stessovolume, contrapposta alla biografia diMichelangelo, il campione del primatofiorentino. La stessa considerazione valeper il commento conclusivo sulle Vite, ilquale appare alla fine del primo volume(fig. 9), ma che sarebbe stato piĂč logicotrovare alla fine dell’intera opera. Infine,la stessa indicizzazione del testo, motivoprincipale per cui l’Anonimo impugna lapenna, sarebbe stata inutile se egli avesseposseduto anche il secondo volume, cor-redato di un completissimo indice astampa. Si puĂČ dunque concludere che laconoscenza delle Vite da parte dell’anno-tatore doveva essere parziale, limitata aiprimi due dei tre periodi artistici delinea-ti da Vasari; un dato che, implicandol’impossibilitĂ  di un intervento sistemati-co ed organico sul testo, si accorda colcarattere estemporaneo della scritturadelle postille.Si ha inoltre l’impressione che anche lalettura del testo sia stata discontinua. Nonsi spiega altrimenti l’assenza di annota-zioni laddove ci si aspetta di trovarne,

soprattutto considerando il campanilismodell’Anonimo. La biografia di Mantegna,ad esempio, contiene inesattezze degnedi nota ma che sembrano invece esserepassate inosservate, prime fra tutte l’af-fermazione che l’artista era mantovanoanzichĂ© padovano e l’errata ubicazionedella Cappella Ovetari nella chiesa deiServi, anzichĂ© agli Eremitani. Similmen-te la biografia di Bellano, l’unico pado-vano che riceve significativa attenzionenelle Vite (ad eccezione, appunto, diMantegna), Ăš rimasta intonsa. L’Anonimonon si sofferma neppure sulla menzione

di Donatello nella biografia di PaoloUccello nĂ© sui due passi che trattano del-l’invenzione della pittura a olio (nell’in-troduzione teorica alla pittura: “Deldipingere a olio in tavola e su le tele”; enella biografia di Antonello da Messina):un soggetto, quest’ultimo, verso il qualeegli esprime invece, come abbiamo visto,un vivo interesse nella nota conclusivasull’ultima pagina. 36 Saltuaria ed estem-poranea, dunque, la lettura delle Vite daparte dell’Anonimo sembra limitata aquelle pagine del volume dove compaio-no le annotazioni. Queste, escludendo

[Saggi] 29

8. Francesco Francia: ‘Pala di Ognissanti’ (1506).Ferrara, Duomo.

tro Perugino, l’ultima biografia del volu-me (pp. 530-552). Dal documento nonemerge alcun interesse da parte dell’A-nonimo (o degli altri scriventi) per leintroduzioni teoriche (‘Proemio’ dell’o-pera e delle tre arti; ‘Proemio delle vite’;‘Proemio della seconda parte delle vite’),dove non vi ù traccia di penna.Rimane infine da osservare un’ulteriorecaratteristica del documento, ovvero lapresenza di alcuni errori e imprecisioni,che obbliga ad una verifica puntuale del-le informazioni, caso per caso. In unanota alla biografia di Carpaccio, adesempio, l’Anonimo riporta un giudiziodi Domenico Campagnola sulla pala diSan Giobbe di Giovanni Bellini, in cuil’artista esprime riserve sull’indumento

quelle al margine della lettera dedicatoriaal duca Cosimo I (p. 3) e la nota biogra-fica su Tiziano, che per scopi e dimensio-ni costituiscono un caso a parte, si posso-no raggruppare in cinque distinte sezionidel testo: 1) da Cimabue a Giotto (pp.126-149); 2) da Taddeo Gaddi a LorenzoMonaco (pp. 177-218); 3) da Brunelle-schi al Filarete (pp. 305-359); 4) da Gen-tile da Fabriano (e Pisanello) a Francescod’Angelo di Giovanni, detto il Cecca (pp.417-460); 5) da Francesco Francia a Pie-

del San Sebastiano, descritto come una“braca da schiavo”:

“In questa tavola fata in San Job ù una figurade un san Sebastiano molto lodata da’ pictorimoderni: solum ha un difeto, che ha una bra-ga da sciavo, per iuditio de l’excelente pictormesser Domenego Campagnola; 1563” (fig.16). 37

Ma delle brache non vi Ăš traccia neldipinto. Com’ù noto, la figura del santoindossa un convenzionale perizoma. Èprobabile, dunque, che l’Anonimo quiriporti un giudizio che Campagnola ave-va espresso in merito a un’altra opera oche quest’ultimo conservasse un ricordoimpreciso della stessa. All’origine del-l’errore doveva comunque essere unequivoco fra la pala di San Giobbe e unaltro dipinto contemporaneo forse perdu-to. Non va perĂČ trascurata l’eventualitĂ (come mi suggerisce Francesco Caglioti)che tale dipinto sia l’antonelliana pala diSan Cassiano, che per tipologia, dimen-sioni, soggetto, affinitĂ  di stile, nonchĂ©fama, potrebbe essere stata facilmentescambiata dall’annotatore (meno, invece,da un esperto come Campagnola) colcapolavoro di Giovanni Bellini, compliceil ricordo a distanza. È vero che rimanedifficile appurare con certezza quale spe-cifico indumento il San Sebastianoindossasse: documentata nella chiesa diSan Cassiano fino al 1581, la pala era giĂ smembrata in cinque frammenti neglianni ’30 del Seicento, e fra i tre soprav-vissuti (ora al Kunsthistorisches Museumdi Vienna) non si trova quello raffiguran-te il santo. Tuttavia, della figura abbianouna copia eseguita da David Teniers ilGiovane nei primi anni ’50 del Seicento,quando cinque frammenti, significativa-mente allora attribuiti a Giovanni Bellini,si trovavano a Bruxelles nella collezionedi Leopoldo Guglielmo d’Asburgo (poitradotta a stampa per quel Theatrum Pic-torium, 1660, che illustra i capolavori del-la raccolta). Essa mostra chiaramente ilsanto coperto da un panno che potrebbecorrispondere all’indumento descritto dalvecchio Campagnola: corto e ampiamen-te rimboccato (e forse un po’ gonfiato, sipuĂČ pensare, dal pennello secentesco del-l’illustre copista), a metĂ  fra le mutandecorte e aderenti che ricorrono in altre ope-re di Giovanni Bellini e Antonello, e unperizoma di foggia tradizionale. 38

Un secondo caso di errore riguarda lacorrezione da parte dell’Anonimo di unrigo della nota biografica manoscritta suTiziano che recita: “ha depinto in SanSalvator un’altra tavola dela Transfigura-tion [corretto sopra Nunziata] moltohonoratamente fata, onde li ha posto ilsuo nome”. L’Anonimo qui soprascrive30 [Saggi]

9. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 552.

“Transfiguration”, da riferirsi alla ‘Tra-sfigurazione’ che Tiziano aveva eseguitoper l’altare maggiore della chiesa di SanSalvador, fra il 1562 e il 1565, in luogo di“Nunziata”, riferibile all’‘Annunciazio-ne’ anch’essa eseguita dal pittore fra il1563 e il 1566 per la stessa chiesa (e col-locata nella cappella del mercante Anto-nio CornovĂŹ della Vecchia). 39 Dalla corre-zione si evince che l’Anonimo non era aconoscenza del fatto che entrambe leopere erano nella stessa chiesa e che solol’‘Annunciazione’, cosĂŹ come egli avevainizialmente e correttamente riportato,reca la firma dell’artista. 40 Questo doppiofraintendimento suggerisce che egliabbia utilizzato in tempi diversi almenodue fonti, una delle quali, precedente eaccurata a tal punto da ricordare il detta-glio della firma, non era piĂč disponibileal momento della correzione.Un terzo caso degno di interesse Ăšanch’esso contenuto nella nota biografi-ca su Tiziano ed Ăš imputabile a un’impre-cisa trascrizione di informazioni ottenuteattraverso fonti orali. L’Anonimo segnalal’‘Annunciazione’ napoletana di Tizianonella chiesa di Santa Maria MaggioreanzichĂ© in quella di San Domenico Mag-giore, dove si Ăš sempre trovata sino alsuo moderno trasferimento a Capodi-monte, e ne attribuisce la commissione aFilippo II anzichĂ© a Cosimo Pinelli,come documentato da una lettera dedica-ta al dipinto composta dal botanicovenosino Bartolomeo Maranta, protettodi Cosimo e mentore del figlio GiovanniVincenzo Pinelli. 41 Ma per questa anno-tazione va innanzitutto rilevato che lospeciale rilievo dato alla pala napoletana,la prima fra le opere di Tiziano ad esseremenzionata nella nota, si spiega per il fat-to che l’idea della commissione, comeriporta lo stesso Maranta, venne al giova-ne Pinelli in sĂ©guito al suo arrivo a Pado-va da Napoli nel 1558. 42 La notizia dellacommissione doveva dunque avere avutonotevole risonanza nell’ambiente artisti-co patavino.Va anche notato che, se l’indicazione del-l’ubicazione della pala Ăš certamente unerrore imputabile alla distanza geografi-ca, quella del committente rimane que-stione da indagare a fronte del doppiofilo che legava Tiziano e i Pinelli almonarca spagnolo. Negli anni vicini allacommissione del dipinto, Cosimo Pinelliera infatti beneficiario di un incondizio-nato appoggio da parte di Filippo II, dacui aveva ottenuto il titolo di Gran Can-celliere del Regno di Napoli nel 1557,l’investitura del ducato di Acerenza nel1563, e il marchesato di Tursi, per ilfiglio Galeazzo, nel 1570. 43

In generale, si ha l’impressione che laricchezza di informazioni delle postille ela loro affidabilità siano direttamenteproporzionali alla vicinanza che esse sta-biliscono con Padova. La città ù il centroda cui lo sguardo dell’annotatore si irra-dia e rispetto al quale, allontanandosi,perde precisione e fuoco. L’unico erroreriguardante direttamente la città che mi ùstato dato di riscontrare con certezza ù aproposito dello scultore di terracotte Gui-do Mazzoni, detto Modanino, che l’Ano-nimo crede essere sepolto nel portico del-

l’antica chiesa di San Lorenzo: “questoModonino ù sepolto in Padua in SanLorenzo fori de la chiesa” (fig. 17). 44 Sap-piamo con sicurezza che, contrariamentea quanto afferma la postilla, lo scultore fusepolto nella chiesa dei Carmelitani nellasua città natale di Modena il 12 settembre1518. 45 L’Anonimo ù stato fuorviato daun’epigrafe funeraria murata nell’atriodella chiesa padovana, ora perduta, laquale commemorava un musicistaanch’egli denominato “Modanino”,appellativo che doveva essere comune fra

[Saggi] 31

10. Domenico Campagnola, autografo. Padova,Archivio di Stato, Notarile, 3229, c. 530r.

na’ (ora in collezione privata), ricordatada Bernardino Scardeone come una dellemigliori della città e successivamentecelebrata dai maggiori storici padovani, ela ‘Vergine col Bambino e i Santi Girola-mo e Sebastiano’ per l’altare Serravalle,ora appesa alla parete occidentale oltrel’ingresso della sacrestia, in prossimitàdella Cappella del Sacro Cuore (che ù ilsacello alla destra del coro). 48 Sempre aStefano spetterebbe, secondo un’ipotesidi Alessandro Ballarin, la decorazionegià nel soffitto dell’oratorio di SantaMaria del Parto, adiacente alla chiesa,con formelle lignee dipinte con busti di‘Santi’ (in una di queste Pietro Brandole-se leggeva nel Settecento la data 1531),tradizionalmente assegnata a Campagno-la. 49

Per ciĂČ che riguarda l’attribuzione del‘Crocifisso’ a Donatello (questione affat-to diversa rispetto alla conoscenza direttao meno dell’opera), non Ăš trascurabile lapossibilitĂ  che essa sia stata ricordataall’Anonimo proprio da Campagnola eche questi ne avesse a sua volta ricevutonotizia dal nonno adottivo, quel Girola-mo Campagnola noto proprio per le sueconoscenze sull’arte padovana, il qualeaveva avuto rapporti di amicizia con imaggiori artisti residenti a Padova, fracui Squarcione e Mantegna, e che al tem-po della partenza di Donatello dalla cittĂ doveva avere tra i diciotto e i venti annid’etĂ . 50 Come abbiamo ricordato, Girola-mo aveva lasciato testimonianza di que-ste conoscenze in una lettera sull’arteindirizzata al filosofo NiccolĂČ LeonicoTomeo, perduta, ma ben nota ai contem-poranei.Tuttavia, al di lĂ  di come l’attribuzionesia giunta fino all’annotatore, ciĂČ cheulteriormente la avvalora Ăš un nuovoriscontro filologico, il quale confermache a Padova Donatello doveva avere ese-guito, oltre a quello bronzeo, uno o piĂč‘Crocifissi’. Si tratta anche in questocaso di una postilla, redatta al marginedel celebre codice fiorentino manoscrittonoto come “Anonimo Gaddiano” (o“Magliabechiano”), compilazione di bre-vi biografie di artisti databile tra il 1542e il 1548. 51 L’Anonimo Gaddiano, in unsecondo momento rispetto alla redazionedella nota biografica su Donatello, anno-ta al margine del breve resoconto sul sog-giorno padovano del maestro (c. 66v):“sonvi anchora due Crucifissi et unaNostra Donna, che lo sa L(orenz)o tor-niaio” (figg. 18-19). 52 Nonostante l’im-portanza e la notorietĂ  della compilazio-ne che la contiene, edita piĂč volte a parti-re dalle pubblicazioni di Karl Frey e Cor-nel von Fabriczy che si susseguirono a

gli emigrati modenesi di bassa statura. 46

La svista mostra quali erano i limiti lin-guistici dell’annotatore (ulteriore confer-ma del fatto che egli non doveva essereun letterato di professione), ma allo stes-so tempo testimonia della sua sostanzialebuona fede nell’usare lo strumento dellepostille per trasmettere, seppur in modoestemporaneo e disorganizzato, informa-zioni sulla storia e l’arte di Padova nonriportate da Vasari.

Il ‘Crocifisso’ dei Servi

All’origine della postilla sul ‘Crocifisso’servita (figg. 1, 27) doveva esservi unaconoscenza diretta dell’opera. Negli annidell’Anonimo di Yale, la decorazione del-la chiesa padovana dei Servi era fastosa,riguardando un considerevole corpo didodici altari e gran parte della superficiemuraria interna (fig. 6). Vestigia e docu-menti indicano che la decorazione delcomplesso ecclesiastico, comprensivo –oltre che della chiesa – di convento e ora-tori, aveva impegnato, se non Campagno-la direttamente, artisti appartenenti allasua cerchia, a partire dalla quarta decadedel Cinquecento.Degli affreschi cinquecenteschi, realizza-ti in almeno due fasi distinte, rimangonosoprattutto visibili i frammenti delle‘Marie piangenti’ nella Cappella del Cro-cifisso, sopravvivenza di un affrescovoluto da Bartolomeo Campolongo nel1512 (fig. 26); tre episodi di un ciclo del-la ‘Passione’ in prossimità della medesi-ma cappella sulla parete orientale, di cuisi legge solo il dettaglio dei soldati chegiocano ai dadi; angeli musicanti che reg-gono spartiti musicali (i cui pentagrammisono ancora chiaramente leggibili) nellaparte occidentale della controfacciata;una ‘Madonna col Bambino e i SantiAntonio e Rocco’ nella parte orientaledella stessa parete; una monumentalecornice di un soggetto perduto nella pare-te orientale del coro (proiezione ingigan-tita della cornice dello scomparto lateraledell’ancona lombardesca di Jacopo Mon-tagnana nella Cappella vescovile, 1495);e una ‘Meridiana’ dipinta sulla pareteorientale in alto, in prossimità dell’oculo,simile a quella realizzata da Campagnolanel salone del Palazzo della Ragione(1556). 47

Delle opere mobili perdute o esistenti,tuttora in loco o rimosse, Stefano del-l’Arzere aveva realizzato la pala dell’al-tare maggiore, la ‘Vergine coi Santi Pao-lo, Agostino, Maria Maddalena e Cateri-

ruota fra il 1892 e il 1893, la postilla Ăšstata finora sorprendentemente trascuratada tutti gli studi sull’attivitĂ  padovana diDonatello.È vero che la segnalazione, basata su diuna comunicazione a voce da parte di unartigiano di nome Lorenzo, personaggionon altrimenti identificabile, rimane in sĂ©piuttosto generica. La “Nostra Donna”potrebbe riferirsi al rilievo di una “moltobella Nostra Donna” menzionato daVasari, oppure, piĂč probabilmente, allastatua bronzea della ‘Madonna col Bam-bino’ eseguita per l’Altare del Santo. Maper ciĂČ che riguarda i due ‘Crocifissi’, seuno Ăš certamente il celeberrimo bronzodel Santo, per l’altro rimangono princi-palmente due possibilitĂ : la sculturalignea di Santa Maria dei Servi e quella,sempre lignea, giĂ  nella chiesa di San-t’Agostino, perduta ma attribuita a Dona-tello a partire dalla seconda metĂ  del Sei-cento.L’attribuzione donatelliana del ‘Crocifis-so’ di Sant’Agostino dovette nascere nel-l’ambiente domenicano. La prima men-zione a me nota Ăš nel diario di viaggio diDaniel Papebroch, in visita a Padova perdue giorni nell’ottobre 1660 sotto la gui-da del gesuita ferrarese Carlo AlbertoPallavicino. 53 Si ritrova pochi anni dopoin una descrizione manoscritta della chie-sa conservata presso l’Archivio di Statodi Padova, databile agli ultimi anni dellasettima decade del secolo, e nella raccol-ta epigrafica patavina di Giacomo Salo-monio, stampata nel 1701. 54 Quest’ulti-ma menzione non sfuggĂŹ a GiuseppeFiocco, che la segnalĂČ in occasione delconvegno donatelliano del 1966. 55

Sarebbe dunque possible riferire lapostilla fiorentina dell’Anonimo Gaddia-no sia al ‘Crocifisso’ servita sia a quellodei domenicani. Ma Ăš importante aggiun-gere che, se dovessimo procedere peresclusione, sarebbe il secondo a tornaredubbio. CiĂČ non solo per via dell’impos-sibilitĂ  di un confronto diretto con l’ope-ra (dispersa in sĂ©guito alla demolizionedella chiesa nel 1818), 56 ma anche perchĂ©l’attribuzione rimane tarda e circoscrittanel tempo, non trovando riferimenti pri-ma dell’appunto del bollandista e sĂ©guitodopo Salomonio. La guida di Giovambat-tista Rossetti, stampata nel 1765, giĂ ricorda il ‘Crocifisso’ come “opera dirozzo artefice, e non giĂ  di Donatello,come fu pubblicato colle stampe”. 57

Per tornare alla postilla fiorentina, ùimportante chiarire in che modo l’infor-mazione sull’esistenza di ben due ‘Croci-fissi’ donatelliani a Padova, circolante aFirenze negli anni ’40 del Cinquecento,possa essere sfuggita a Vasari.32 [Saggi]

Per la biografia di Donatello sia l’Anoni-mo Gaddiano sia Vasari si servirono delcosiddetto “Libro di Antonio Billi”, uncodice manoscritto contenente notiziesugli artisti moderni redatto tra il 1481 e il1530, e oggi noto attraverso due copie. 58

CiĂČ spiega la sostanziale uniformitĂ  fra itre testi (il “Libro di Antonio Billi”, l’A-nonimo Gaddiano e le Vite) per ciĂČ cheriguarda l’attivitĂ  del fiorentino a Padova(questo vale, nel caso delle Vite, per i pri-mi diciotto righi del resoconto che necostituiscono il primo nucleo). I tre reso-conti menzionano le stesse opere: il ‘Gat-tamelata’, il rilievo lapideo della ‘Pietà’ ei rilievi bronzei del Santo. Unica eccezio-ne Ăš appunto l’inserimento marginaledella nota sui ‘Crocifissi’ nell’AnonimoGaddiano. Ma a questo proposito, come Ăšdimostrato dall’analisi comparata fra ilcodice e le Vite condotta da Fabriczy,nonostante l’Anonimo Gaddiano e Vasariscrivessero a pochi anni l’uno dall’altro,e nonostante si conoscessero personal-mente (l’Anonimo Gaddiano menzionaun tale Giorgio come possibile fonted’informazione per la sua compilazione,identificato con l’aretino), nessuno deidue ebbe modo di leggere l’opera dell’al-tro. 59 È alquanto probabile, dunque, chel’annotazione sui due ‘Crocifissi’,aggiunta in sĂ©guito ad un occasionalesuggerimento, sia rimasta sconosciuta aVasari.Tutto ciĂČ che l’aretino aggiunse nellaTorrentiniana alle essenziali informazio-ni tratte dal “Libro di Antonio Billi” sul-l’attivitĂ  padovana di Donatello dovevabasarsi su fonti orali poco o male infor-mate o su ricordi risalenti ad un brevesoggiorno nella cittĂ  veneta, forse nel1541 o nel 1542, comunque diversi anniprima che l’idea stessa di scrivere le Vitefosse nata. 60 L’attivitĂ  padovana delloscultore, che pure prese un intero decen-nio, dal 1444 (o forse giĂ  dalla fine del-l’anno precedente) al 1454, viene dunqueriassunta da Vasari nella Torrentiniana indue paragrafi e in poco piĂč di una pagina.Il primo paragrafo, oltre alle opere giĂ menzionate nel “Billi” (le due principalicommissioni padovane, allogategli dalSenato veneziano e dai frati minori: il‘Gattamelata’ e i rilievi per l’Altare delSanto), aggiunge solamente una brevedescrizione del modello ligneo di uncavallo eseguito per la famiglia Capodili-sta. Il secondo paragrafo Ăš invece quasiinteramente dedicato all’aneddoto sullastatua lignea di un ‘San Sebastiano’ ese-guita per un monastero femminile adistanza di un incolto prete fiorentino resi-dente a Padova, cui seguono la menzionedi diverse figure in terracotta e in stucco,

priva di riferimenti ad opere specifiche, eun rapido accenno al rilievo di una‘Madonna’ scolpito in un marmo cheriposava da tempo nell’orto di alcunemonache (le stesse per cui fu fatto il ‘SanSebastiano’). Conclude la narrazione unvago riferimento a numerose altre operenon ricordate: “e similmente per tuttaquella città sono opre di lui infinitissi-me”. 61

Il resoconto vasariano rimane dunquegenerico, ma anche inaffidabile e lacuno-so. L’unica opera identificabile fra quelleaggiunte alle informazioni tratte dal “Bil-li”, l’imponente ‘Cavallo’ ligneo di circasei metri di altezza ora nel Palazzo dellaRagione, ù unanimamente ritenuto lavorodi altro scultore. Scardeone ricorda infat-ti la commissione da parte di AnnibaleCapodilista di un cavallo ligneo, da iden-

tificarsi con la scultura segnalata daVasari, per una giostra del 1466, ovverododici anni dopo la partenza di Donatel-lo dalla cittĂ  e lo stesso anno in cui eglimorĂŹ ottantenne a Firenze. 62 Oltre a ciĂČrisalta nelle Vite l’importante omissionedelle sette statue in bronzo eseguite dalloscultore per l’Altare del Santo e termina-te nel 1450 (di cui abbiamo giĂ  ricordatola statua centrale della ‘Madonna colBambino’), e soprattutto del celeberrimo‘Crocifisso’ bronzeo, il cui primo paga-mento, datato 24 gennaio 1444, ben treanni prima del primo pagamento ricevutoda Donatello per il ‘Gattamelata’ (anchese si riferisce ad una fase avanzata dellascultura) e della documentata commis-sione dei rilievi per il Santo, costituiscela prima testimonianza della presenzadello scultore in cittĂ . 63 Donatello era

[Saggi] 33

11. Domenico Campagnola, autografo. Padova,Archivio di Stato, Notarile, 3229, c. 530r (particolaredella fig. 10).

12. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in fondo a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 552 (particolare).

Donna” si Ăš giĂ  scritto sopra, e per ilresto le indicazioni sono talmente generi-che da non consentire alcuna ipotesi.Nella seconda edizione delle Vite (1568),Vasari e i suoi collaboratori si adoperaro-no per colmare le numerose lacune dellaprima, soprattutto a proposito dell’artedelle Venezie, recuperando fonti scritte etessendo una rete di corrispondenza coninformatori residenti nella regione. PerPadova Vasari utilizzĂČ la lettera di Giro-lamo Campagnola a Leonico Tomeo. Aquesto proposito non deve sorprendereche l’aretino, pur attingendo alla lettera,e dunque, indirettamente, alla stessa

dunque a Padova tre anni prima di quan-to Vasari non faccia intendere. Vacilla diconseguenza anche la ragione che l’areti-no adduce per giustificare la partenzadello scultore per il Norditalia, ossia lachiamata da parte del Senato venezianoper erigere la statua equestre del condot-tiero. A questo proposito, Fiocco hasostenuto che lo scultore fosse stato chia-mato dagli stessi francescani che avevanocommissionato all’artista il ‘Crocifisso’bronzeo. 64 Per ciĂČ che riguarda le altreopere, vi Ăš pochissimo da osservare: il‘San Sebastiano’ ligneo non Ăš mai statoidentificato, del rilievo della “Nostra

potenziale fonte dell’Anonimo di Yale,non riporti alcuna notizia del ‘Crocifis-so’. I riferimenti alla lettera nella Giunti-na e nelle note manoscritte di Michielindicano infatti che essa era esclusiva-mente dedicata ai pittori. In particolare,doveva trattare di coloro che avevanolavorato a Padova dai tempi dei Carrare-si, signori dal 1338 al 1388, fino ad unpresente che doveva coincidere con glianni del lettorato padovano del destinata-rio della lettera, tra il 1497 e il 1505 o1507, comunque prima del 1522, annodella sua morte. 65 Nella lettera non pote-va dunque esservi alcuna menzione del‘Crocifisso’ così come di nessun’altraopera donatelliana.Ugualmente privi di informazioni sull’at-tività di Donatello a Padova, e comunquetroppo tardi rispetto alla scrittura dellabiografia dell’artista nella Giuntina, giàredatta nel 1564 e stampata prima delgennaio 1565 (tre anni prima dell’uscitadi tutta l’opera), dovevano essere i reso-conti redatti dai potenziali informatorisulla scultura padovana utilizzati daVasari: il già ricordato Marco de’ Medicie lo scultore e poeta carrarese emigrato aVenezia Danese Cataneo. La Giuntinaindica che il Medici fornì soprattuttonotizie sugli architetti e pittori veronesi,rintracciabili nel testo a stampa a partiredalla doppia biografia di Gentile daFabriano e Pisanello: un dato confermatoda due lettere autografe del domenicano.Cataneo dovette invece inviare a Vasariinformazioni sulla scultura padovana masolo a proposito di opere recenti, da inse-rire nella terza e ultima parte dell’opera. 66

Valga come esempio l’addizione dellaDescrizione dell’opere di Iacopo Sansa-vino, scultore fiorentino, in cui si legge,in una sezione probabilmente redatta daCataneo (con qualche evidente interventodi Vasari e collaboratori), di opere cheSansovino e i suoi allievi Iacopo Colon-na, Tiziano Aspetti, Pietro da SalĂČ, Ales-sandro Vittoria e lo stesso Cataneo aveva-no eseguito a Padova solo pochi anni pri-ma dell’uscita a stampa del volume. 67

Fu cosĂŹ, dunque, per buone ragioni e permancanza di ulteriori informazioni, chel’inadeguato resoconto sul soggiornopadovano di Donatello rimase invariatonel passaggio dalla prima alla secondaedizione delle Vite. Un dato che acquistaancor piĂč rilievo se confrontato con l’ac-curata revisione stilistica di cui la biogra-fia donatelliana fu comunque oggetto.Vasari riuscĂŹ invero anche ad aggiornareil catalogo complessivo dello scultoreaggiungendovi circa dieci opere, ma sitratta di un gruppo di sculture che neglianni ’60 del Cinquecento si trovavano34 [Saggi]

13. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 130.

nella Guardaroba medicea e nelle mag-giori collezioni di Firenze cui l’aretinoaveva accesso. 68 Significativamente,anche le aggiunte alla biografia delloscultore Bellano, discepolo padovano diDonatello, riguardano opere non padova-ne, eseguite dallo scultore a Roma e aPerugia. 69

Queste osservazioni sui limiti delle cono-scenze vasariane invitano a considerareun ulteriore elemento critico di piĂč gene-rale importanza, espresso in modo impli-cito dal contenuto esclusivamente pittori-co della lettera di Campagnola a Tomeo,ovvero la sostanziale mancanza di fontiscritte sulla scultura padovana del Quat-trocento a disposizione degli scrittorid’arte del secolo successivo.Il precedente di Michele Savonarola, ilLibellus de magnificis ornamentis regiecivitatis Padue (circa 1448), un brevetrattato panegirico storico-letterario sul-l’origine della cittĂ , i suoi illustri cittadi-ni e le sue bellezze artistiche, eraanch’esso principalmente dedicato allapittura; e comunque era troppo precoceper l’opera donatelliana (se Ăš vero, comesuggerisce Arnaldo Segarizzi, che lamenzione del ‘Gattamelata’, ultimatosolo nel 1453, fu inclusa in un secondomomento rispetto alla redazione delmanoscritto). 70

Il dialogo di Pomponio Gaurico, DeSculptura, pubblicato a Firenze nel 1504ma composto a Padova entro l’anno pre-decente all’interno degli stessi circoli fre-quentati da Girolamo Campagnola e Nic-colĂČ Leonico Tomeo (proprio quest’ulti-mo figura tra i personaggi del dialogo),non rappresenta un’eccezione. Gauricoconserva un approccio distintamenteumanistico verso le arti figurative, scar-samente interessato alla geografia e alladescrizione delle opere d’arte. Dedicaampio spazio a Donatello, lo celebra intermini eroici, ma della sua opera ricordasolo il ‘Gattamelata’. 71

Nella terza decade del Cinquecento, lamancanza di informazioni scritte sullascultura padovana doveva indurre Mar-cantonio Michiel a ricorrere alla testimo-nianza diretta dello scultore Andrea Brio-sco, detto il Riccio. Ma anche in questocaso, come la Notizia mostra chiaramen-te, l’utilizzo di fonti orali doveva produr-re informazioni soprattutto a proposito diopere recenti, eseguite in anni vicini allaredazione del manoscritto. 72

Sempre a fonti orali, scarsamente infor-mate sulla scultura quattrocentesca,ricorse anche il piĂč volte ricordato cano-nico padovano Bernardino Scardeone nelDe antiquitate urbis Patavii et claris civi-bus Patavinis (1560), principale compila-

zione storiografica padovana del Cinque-cento, il cui ultimo libro ù dedicato agliartisti illustri della città. Tuttavia nel casodi Scardeone la scarsità di informazionisull’attività di Donatello, di cui vienericordato, ancora una volta, solamente il‘Gattamelata’, se da una parte ù com-prensibile in un’opera dedicata esclusiva-mente a padovani, dall’altra pone in rilie-vo un ulteriore elemento critico dell’ese-gesi donatelliana: il rapporto ambiguoche doveva esistere fra la celebrazionedello scultore fiorentino e l’orgoglio civi-co dei padovani. Se per alcuni autoricome Gaurico (che infatti padovano non

era) la celebrazione di Donatello implica-va il riconoscimento che Padova, piĂč diFirenze, ne avesse favorito il genio, perScardeone essa minacciava di oscurare imeriti di coloro che nella cittĂ  veneta era-no nati. Ne Ăš un esempio il caso di Bella-no, esaltato in termini entusiastici(“mirus artifex”) da Scardeone, ma deni-grato come incapace (“ineptus artifex”)da Gaurico, proprio a paragone degliscultori fiorentini. 73

In conclusione, ù dunque possibile cheVasari e gli altri scrittori d’arte del Cin-quecento non fossero affatto informatisulla paternità donatelliana del ‘Crocifis-

[Saggi] 35

14. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 536.

Venerdì Santo successivo. Il miracolo,riconosciuto dal vescovo vicario PaoloZabarella, fu seguito da speciali devozio-ni e processioni, e assunse una vastissimapopolarità. L’entusiasmo popolare, unitoad un’efficace propaganda da parte delleautorità ecclesiastiche, condusse in tempistraordinariamente brevi all’istituzionedella Confraternita del Crocifisso, il 18maggio dello stesso anno.Connesse alla memoria del miracolo edella confraternita sono alcune testimo-nianze secentesche sul ‘Crocifisso’: unamedaglia commemorativa che ritrae ilvescovo vicario nell’atto di raccogliere il

so’ servita, o non avessero comunquevoluto, per diverse ragioni, riportarnenotizia.Tuttavia, i problemi esegetici posti dal‘Crocifisso’ servita non finiscono qui.Ho giĂ  sottolineato come l’opera sia pas-sata quasi inosservata fino ad oggi, manon ho ancora detto come tale dimenti-canza sia imputabile, almeno in parte,all’accadimento di un evento eccezionaledi cui si conserva particolareggiato ricor-do. A partire dal 5 febbraio 1512 il ‘Cro-cifisso’ traspirĂČ sangue dal volto e dalcostato continuatamente per quindicigiorni, riprendendo a traspirare anche il

sangue in un calice, di cui rimangono leriproduzioni a stampa contenute nel volu-me panegirico Aula Zabarella di Giovan-ni Cavaccia (figg. 20-22); e una tela attri-buita a Matteo Ghidoni, detto de’ Pitoc-chi, oggi collocata sulla parete orientaledi Santa Maria dei Servi in prossimitàdella Cappella del Crocifisso. La telaritrae sette confratelli attorno al ‘Croci-fisso’ abbracciato dalla figura di un ser-vita – con ogni verosimiglianza il fonda-tore della confraternita, Domenico Dotto– sollevata oltre l’orizzonte di una vedu-ta di Padova, mentre intride una spugnadi sangue miracoloso (fig. 23). 74 La com-missione del dipinto va forse collegata aLe glorie del miracoloso Crocifisso che siritrova nella chiesa de’ venerandi padride’ Servi in Padova (1637), opuscolopanegirico commissionato dai confratelliad un allora giovanissimo Ferrante Palla-vicino. L’opuscolo venne dedicato aMichele e Paolo Dotto, pronipoti diDomenico, con l’intenzione di restaurareil prestigio della confraternita, che alloraattraversava una fase di decadimento(fig. 24). 75

In sĂ©guito al miracolo il ‘Crocifisso’ ven-ne collocato nella cappella a sinistra diquella maggiore (figg. 25-26), dov’ùancora oggi visibile, rimosso dalla suaubicazione originaria, che fonti tardericordano sull’altare principale, ma chedoveva essere, come chiarirĂ  FrancescoCaglioti, sul tramezzo della navata (inluogo di una Croce preesistente segnalatada due documenti del 1421). 76 Questasistemazione fu voluta da BartolomeoCampolongo, lo stesso benefattore cheaveva finanziato la costruzione del porti-co monumentale lungo il lato orientaledella chiesa (fig. 5). 77 La cappella fudecorata con affreschi (di cui ho giĂ ricordato il frammento visibile delle‘Marie piangenti’) che dovevano include-re anche la figura del Campolongo ingi-nocchiata di fronte al miracolo. 78 I rilieviche circondano attualmente il ‘Crocifis-so’, raffiguranti una gloria di cherubinitutt’intorno, e in basso un angelo ingi-nocchiato e il vescovo vicario Zabarellache, anch’egli genuflesso, sostiene uncalice col sangue prezioso (figg. 1, 27),sono invece un’opera recente, comme-morativa del quarto centenario del mira-colo nel 1912 (autore lo scultore padova-no Renzo Canella). 79

Della cappella voluta da BartolomeoCampolongo possiamo solo dedurre chelo spazio sulla pianta era pressoché dop-pio rispetto a quello attuale: di due cam-pate anziché una, in simmetrica corri-spondenza con le due campate sul latooccidentale comprensive della Cappella36 [Saggi]

15. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 132.

del Sacro Cuore e del campanile (fig.25). 80 La struttura venne modificata nellaforma attuale in data imprecisata, ma cer-tamente dopo il 1764, anno di un Diariosacro che riporta una descrizione dellacappella da cui si evince che il muro divi-sorio (lo stesso su cui ora poggiano il‘Crocifisso’ e il suo altare) non era anco-ra stato eretto:

“[La cappella] viene illuminata da due fene-stre verso l’oriente e ornata nelle parti latera-li da sedili e spalliere di noce, e da pitture del-la scuola del Mantegna. La mensa sta soprauno scalino rosso ed ha nel mezzo un piccolotabernacolo di bianco marmo. Dietro di luiv’ù una grande ferrata a oro, per cui coll’a-prirsi di una cortina si vede alquanto piĂčaddentro, sotto tersi cristalli, il prodigiosoCrocifisso di antica manifattura, a rimirare ilquale piĂč da vicino s’entra per due porticellein un sito angusto, dov’ù un altare dorato conlavori e cornici ad ornamento della sacraimmagine, data con l’altare in custodia allaConfraternita, che da lui dicesi la Scuola delCrocifisso, dalla quale sono stati fatti i can-celli di ferro dorato che s’aprono nel mezzo echiudono la cappella”. 81

La menzione di due finestre ad oriente(anzichĂ© dell’unica attuale) e di due alta-ri allineati, il primo in una posizione chedoveva corrispondere a quella dell’altareattuale e il secondo arretrato, presumibil-mente a parete, fa supporre che la cap-pella conservasse ancora nel 1764 l’ori-ginale profonditĂ  di due campate. 82 Dalladescrizione si puĂČ inoltre dedurre che lacappella, arredata con una panca di legnoche correva lungo i muri laterali, erainternamente divisa da una tenda e daun’inferriata dorata poste dietro il primoaltare (in corrispondenza del punto diincontro delle campate, dove in sĂ©guito Ăšstata eretta la parete di fondo odierna).L’inferriata fissa tra le campate era dota-ta al centro di due battenti sempre di fer-ro dorato, forgiati a spese della confrater-nita. All’altare del Crocifisso si accedevaforse anche mediante l’angusto passag-gio che conserva un’apertura sul coro, eche Ăš ora ridotto a ripostiglio.Anche dell’odierna sistemazione dellacappella ho discusso con FrancescoCaglioti, giungendo insieme a lui alleseguenti conclusioni. Contestualmenteall’erezione del muro divisorio, i duealtari citati nel 1764 furono distrutti. Alloro posto venne collocato il monumenta-le altare di forme secentesche mature chefa da pendant a quello nella Cappella delSacro Cuore (figg. 1, 6, 26). Verosimil-mente tutto ciĂČ avvenne nel corso deipesanti rimaneggiamenti di gusto neogo-tico che stravolsero l’interno della chiesadurante l’Ottocento. È immediato pensa-re, infatti, che la coppia di altari barocchi

provenga, piĂč che da una chiesa padova-na soppressa, dalla stessa chiesa servita,visto che nel corso di quei lavori i dodicialtari che erano nella navata, documenta-ti dal Diario sacro del 1764, vennerorimossi e quattro di essi soppressi. Deirestauri ottocenteschi rimangono inbibliografia utili tracce visive grazie adue fotografie pubblicate dal sacerdoteAntonio Barzon nel 1933, una che ritraela navata verso la controfacciata primadel completo ‘de-restauro’ avviato nel1926, e una che mostra il fianco orienta-le verso la Cappella del Crocifisso duran-te tale campagna. 83

Due brevi colonne allungate da un siste-ma multiplo di zoccoli, dadi e cimase,sostengono un complesso timpano adarco ribassato e spezzato. Completanotale coronamento tre acroteri: due angelisemisdraiati e uno in piedi al centro, conle mani congiunte. Al di sotto di que-st’ultimo, alla sporgenza centrale del cor-nicione inferiore dell’arco, sono affissidue volatili putti reggicartiglio in legno,sopravvivenza dell’altare settecentesco“dorato con lavori e cornici ad ornamen-to della sacra immagine” menzionato dalDiario sacro in fondo alla cappella dop-pia. Della semplice mensa isolata ricor-

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16. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 448.

abbiano contribuito a oscurare l’identitĂ del suo artefice. Non sorprende dunqueche la prima osservazione sul ‘Crocifis-so’ servita come oggetto d’arte non pro-venga dalla letteratura e dalla storiogra-fia ecclesiastiche, ma dalla scrittura pri-vata di un anonimo lettore delle Vitevasariane, un amatore d’arte o artista,che, seppur devoto alla religione (comesuggeriscono le stesse postille), mostra diprivilegiare le qualitĂ  formali dell’operarispetto al suo valore cultuale.Rimane infine da osservare che il nomedi Donatello, se non col ‘Crocifisso’,continuĂČ a rimanere associato con lachiesa di Santa Maria dei Servi. Gli sto-rici padovani e autori di guide artistichedella cittĂ  ricordano del fiorentino unrilievo in marmo di un ‘San Girolamoscrivente’ dipinto “al naturale”, docu-mentato fino al Settecento sull’altare deiCampolongo, presso la parete occidenta-le della chiesa in prossimitĂ  della portadella sacrestia, e la ‘Madonna col Bambi-no’ in pietra colombina, tutt’ora all’inter-no della chiesa, collocata entro la fastosamostra tardobarocca dell’altare dell’Ad-dolorata, sempre sul lato destro dellanavata (figg. 28, 26). Nonostante l’attri-buzione del ‘San Girolamo’ abbia dasempre ricevuto scarso credito e quelladella ‘Madonna col Bambino’, giĂ  messain dubbio da Giannantonio Moschini nel1817, sia stata definitivamente scartatanel 1937 da Oliviero Ronchi, non Ăš maistato finora ipotizzato, per ciĂČ che Ăš amia conoscenza, che lo scultore fiorenti-no potesse avere realizzato per la stessachiesa la scultura maggiore, se non perl’altissima qualitĂ  formale, finora mairiconosciuta, senz’altro per dimensioni eimportanza cultuale. 85

Giunti al termine di questa proposta attri-butiva, rimane il difficile compito di col-locare l’opera all’interno dell’attivitĂ padovana di Donatello; difficile non per-chĂ© il ‘Crocifisso’ ligneo non trovi spazioin un periodo che certamente fu piĂč pro-duttivo di quanto sia stato finora accerta-to, ma, al contrario, perchĂ© troppo poco siconosce al di fuori dei capolavori in mar-mo e in bronzo del maestro. Per ciĂČ cheriguarda la documentazione padovana,sappiamo che fra gli assistenti di Dona-tello era un Giovanni da Feltre falegna-me, detto “compatre” dello scultore (“quiest compater suus”), e che la bottegaavviata dallo scultore a Bovolenta nelchiostro del convento di San Francesco,legato all’omonima chiesuola campestre,eseguiva a volte modelli in legno, comeper il documentato caso del 1447 cheriguarda la commissione da parte di unaconfraternita veneziana di una cappella o

data dallo stesso Diario non rimane inve-ce nulla se non forse lo scalino rosso sucui poggiava (al quale ne sono statiaggiunti due) e il grazioso tabernacolo inmarmo bianco a grandi volute. Ottocen-tesco sembra invece in gran parte ilpaliotto, elemento mediatore e di sintesi– per quanto Ăš possibile – fra lo stilesecentesco dell’altare, di cui imita ladecorazione a marmi policromi, e quelloneogotico della nuova veste data all’in-terno della chiesa, di cui ripete i motivigeometrici a compassi spezzati e intrec-ciati. Non Ăš dato sapere come fosse alle-stito prima dell’intervento del 1912 ilvano arcuato a tutto tondo che ospita il‘Crocifisso’ (e che doveva originaria-mente contenere un dipinto centinato),ma si puĂČ immaginare un rivestimento intessuto pregiato, come consueto nelleedicole ottocentesche ospitanti reliquie eimmagini miracolose. Come il suo prece-dente settecentesco, era forse anch’essochiuso con un cristallo.Dell’allestimento anteriore al 1764, chepotrĂ  essere ricostruito con maggior sicu-rezza sulla base di ulteriori documenti eun esame delle strutture murarie, importaqui soprattutto sottolineare come la spe-ciale venerazione del ‘Crocifisso’ abbiain parte compromesso, per un periodoindeterminato, ma che potrebbe coprirel’arco di piĂč di due secoli, la visibilitĂ della scultura; un dato che va interpretatoin un senso non solo e semplicementefisico.Come abbiamo visto, il miracolo Ăš bendocumentato. Viene anche ripetutamentericordato all’interno della chiesa: da uncartiglio settecentesco sorretto da putti aldi sopra del ‘Crocifisso’ (“Nell’anno 1512in febb(raio) questo SS. Crocefis(s)osudĂČ sangue per 15 giorni e dal VenerdĂŹSanto sino il giorno di Pasqua dello stes-so anno”); da un’epigrafe ottocentesca,murata sulla parete orientale della cap-pella; e dal foglio, Narrazione del prodi-gioso miracolo di questo SS. Crocifisso,stampato di sĂ©guito al programma difesteggiamenti per il quattrocentocin-quantesimo anniversario del miracolo(1937). 84 Quasi nulla invece, abbiamo giĂ appurato, Ăš noto del ‘Crocifisso’ comeopera d’arte.In generale, la letteratura ecclesiasticadescrive il miracolo come una combina-zione fra fenomeni naturali e soprannatu-rali, ma Ăš sempre univoca nell’escludereogni umana agenzia. È dunque plausibileche proprio la costruzione del miracolo ela conseguente trasformazione del ‘Cro-cifisso’ in un oggetto di speciale culto

un altare mai portato a termine. 86

Queste informazioni, seppur isolate e dipoco conto per un’interpretazione del‘Crocifisso’ servita, invitano a riconside-rare come accanto alla celebratissimaattività toreutica e alla produzione semi-seriale di sculture in terracotta, lo sculto-re avesse continuato a produrre sculturelignee. Il ‘Crocifisso’ va così riletto afronte del documento orvietano del 1424che riconosce il magistero dello scultoresia nel marmo sia nel legno (“[magister]lapidum ac etiam [magister intagliator]figurarum in ligno”), del ricordo delloscultore redatto dal medico GiovanniChellini nel 1456, “singulare et precipuomaestro di fare figure di bronzo e dilegno e di terra”, delle menzioni vasaria-ne di quel ‘San Sebastiano’, mai identifi-cato, eseguito a Padova per una chiesa dimonache, e del ‘San Giovanni Battista’ligneo donato dall’artista alla colonia fio-rentina a Venezia, con ogni probabilitàpochi anni prima del soggiorno padovano(1438). 87

La scultura dei Servi rimanda infine alfamoso aneddoto, narrato da Vasari, sullacompetizione nata fra Donatello e Bru-nelleschi in merito alla scultura di ‘Cro-cifissi’ lignei. 88 Mi riferisco con questonon solo alle opere che sono state attri-buite allo scultore sulla base dell’aneddo-to, cioĂš al ‘Crocifisso’ di Santa Croce e aquello scoperto da Alessandro Parronchinella chiesa del convento del Bosco aiFrati nel Mugello, ma anche al suggesti-vo contrasto che il racconto vasarianosottolinea fra l’immediato naturalismodella scultura lignea donatelliana e lamisura di quella brunelleschiana. Proprioquesta caratteristica dell’arte di Donatel-lo ci riporta al bronzo, al corpo saldo epesante del ‘Crocifisso’ eseguito per ilSanto, con cui il ‘Crocifisso’ servitainstaura uno strettissimo dialogo. 89 E conquest’ultimo confronto, principale chiavedi lettura dell’opera, si giunge al punto incui solo un’analisi tecnico-stilistica,magari accompagnata in futuro da unrestauro, puĂČ confortare il valore dell’a-nonimo veneto, annotatore delle Vite.

Un ringraziamento speciale va a FrancescoCaglioti, Claudia Cieri Via, Charles Hope, Arman-do Petrucci e Franca Nardelli Petrucci. Desideroinoltre ringraziare Francesco Bruni, GiovannaCapitelli, Bernadette Fort, Augusto Gentili, LorenPartridge, Stefano Pierguidi, Guido Rebecchini,Emanuel Rota e Randolph Starn; per la gentilecollaborazione a Padova, don Alberto Fanton(Biblioteca del Seminario Vescovile), AndreaNante (Museo Diocesano), Elisabetta Favaron(Ufficio Beni Culturali della Diocesi), don LinoBacelle (Santa Maria dei Servi), Francesca Fanti-ni D’Onofrio (Archivio di Stato), Gilda Mantova-38 [Saggi]

ni, Mariella Magliani e Marco Callegari (Bibliote-ca Civica); alla Beinecke Library, Robert Bab-cock, June Can e Clifford Johnson.

1) Le vite de’ piĂč eccellenti architetti, pittori, etscultori italiani, da Cimabue insino a’ tempinostri, descritte in lingua toscana, da GiorgioVasari pittore aretino. Con una sua utile e neces-saria introduzzione a le arti loro, Lorenzo Torren-tino, Firenze 1550, Beinecke Rare Book andManuscript Library, Yale University, 1987 441 1-2(da ora in avanti “Vite, Beinecke”). Il volume Ăšstato donato alla Beinecke Library da FrederickWhiley Hilles il 10 dicembre 1975. Hilles lo ave-va ricevuto dal suocero William Inglis Morse, chelo aveva acquistato a Firenze il 26 marzo 1931(vedi la dedica di Morse a Hilles). Il volume pre-senta le marche di Matthew Dixon e Leo SamueleOlschki e il timbro della libreria romana di Gio-vanni Gallarini, dove si trovava nel 1856 (vedi lamenzione dell’esemplare nel Catalogo delle opereantiche e moderne italiane e forestiere che sonovendibili nella libreria di Giovanni Gallarinilibraio bibliografo in Roma. Parte prima, conte-nente molte edizioni ra re o rarissime dei due pri-mi secoli della stampa e de’ seguenti, Bertinelli,Roma 1856, n. 14739 [Supplemento]).2) Vite, Beinecke, p. 344.3) Per ulteriori informazioni tecniche sull’opera,provvisorie in attesa di un restauro, vedi, oltreall’analisi di Francesco Caglioti, la scheda inven-tariale diocesana compilata da Chiara Brescacin(scheda OA, n. 3490, Diocesi di Padova – Inventa-rio dei beni culturali mobili) e la breve nota tecni-ca di Francesca Cappelli che segue l’articolo diSilvia GullĂŹ, Il Crocifisso “miracoloso” di S.Maria dei Servi, in ‘Padova e il suo territorio’,XVII, 2002, 98, pp. 22-25 (pp. 24-25). Il perizomasostituisce quello documentato da una foto dell’o-pera pubblicata piĂč volte a partire dall’opuscolocommemorativo IV centenario del miracolosoCrocifisso di S. Maria dei Servi in Padova, Tipo-grafia del Seminario, Padova 1912, frontespizio ep. 3 (e simile alla mia fig. 27, del 1931). Su taleperizoma e su quello originario vedi l’ampiadiscussione nel contributo di Caglioti qui accanto.4) La menzione da parte di Hans Kauffmann Ăš inDonatello. Eine EinfĂŒhrung in sein Bilden undDenken, Grote, Berlin 1935, p. 234 nota 387(Francesco Caglioti mi segnala che essa non Ăšcomunque sfuggita a Margrit Lisner: vedi oltrenella sua parte, testo e nota 7).5) Per le guide TCI, Veneto, vedi le principali edi-zioni: Milano 1954 e 1992. Solo una guida a fir-ma di Ferruccio Canali, per quel che so, menzionae riproduce il ‘Crocifisso’ (Padova. Storia e capo-lavori, Bonechi Edizioni “Il Turismo”, Firenze1996, p. 69). Per l’esigua bibliografia sull’opera,vedi Wart Arslan, Inventario degli oggetti d’arted’Italia. Provincia di Padova. Comune di Padova,Libreria dello Stato, Roma 1936, p. 154 (con ill.);l’opuscolo IV centenario del miracoloso Crocifis-so di S. Maria dei Servi cit.; le numerose pubbli-cazioni del parroco dei Servi Antonio Barzon, Lachiesa dei Servi. Cenni storici, artistici, religiosi,Tipografia del Seminario, Padova 1926; Il S. Cro-cifisso di S. Maria dei Servi in Padova, in ‘I san-tuari d’Italia illustrati’, IV, 1931, pp. 50-64; Il S.Crocifisso di S. M. dei Servi in Padova. Memoriee preghiere, Tipografia del Seminario, Padova1932; ‘Il SS. Crocifisso e l’Addolorata’, I, 1933,n. 5, suppl. (contenente la campagna fotograficadei restauri strutturali della chiesa); La chiesa deiServi, in ‘Il SS. Crocifisso e l’Addolorata’, I,1933, n. 9, suppl. (I Servi di Maria in Padova.Commemorazione centenaria, 13-22 ottobre1933), pp. 10-15; La Chiesa e il convento di San-ta Maria dei Servi di Padova. Memorie pubblica-te nell’anno XXV sul IV centenario dal miracolodel SS. Crocifisso, Tipografia del Seminario,Padova 1937, pp. 3-7; Il Crocifisso miracoloso diS. Maria dei Servi, Padova. Celebrazioni, com-

menti, memorie nel 450° anniversario del miraco-lo, 1-9 aprile 1962, Tipografia del Seminario,Padova 1962 (spec. p. 11); e infine S. Gullì, IlCrocifisso “miracoloso” cit. Va notato che Gullìidentifica il ‘Crocifisso’ servita con quello men-zionato in un documento del 1421 segnalato daLucia Mulato. Ma non ù possibile pensare che lachiesa non contenesse già un ‘Crocifisso’ primache il nostro vi venisse collocato. Vedi infatti lecaute considerazioni sullo stesso documento daparte di L. Mulato e Franco A. Dal Pino, SantaMaria dei Servi di Padova: storia, in Padova. LaChiesa di S. Maria dei Servi. Restauro del portico,Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1996, pp.12-34 (p. 26 e nota 30). Vedi anche quelle estesedi Caglioti, conclusive del suo contributo, in part.il testo e le note 117-119.

In generale, sulla chiesa servita, vedi RuggeroMaschio, S. Maria dei Servi, in Padova, basilichee chiese. Le chiese dal IV al XVIII secolo, a curadi Claudio Bellinati e Lionello Puppi, I, Neri Poz-za, Vicenza 1975, pp. 235-246; Padova. La Chie-sa di S. Maria dei Servi. Restauro del portico cit.,e l’esaustiva bibliografia ivi segnalata.6) Dove Vasari ricorda la straordinaria immagina-zione di Spinello, l’anonimo riporta l’espressioneproverbiale “inmaginatio [sic] facit casum” (Vite,Beinecke, p. 208).7) Vite, Beinecke, p. 448.8) Per questo documento, che sposterebbe ladiscussione sul secondo scrivente e sulla nota bio-grafica dedicata a Tiziano, devo rimandare al miostudio monografico sulle postille.

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17. Anonimo di Yale, postilla manoscritta in margine a Giorgio Vasari, Le vite
, Lorenzo Torrentino, Firenze1550. Yale University, Beinecke Rare Book andManuscript Library, 1987 441 1-2, p. 357.

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lature d’archivio. I. La tonsura di Giulio Campa-gnola, ragazzo prodigio, e un nuovo documentoper Domenico Campagnola, in ‘Memorie dell’Ac-cademia Patavina di Scienze, Lettere e Arti’,LXXXVI, 1973-74, pp. 381-388; L. Puppi, Com-mittenza e ideologia urbana nella pittura padova-na del ’500: l’anno quaranta e l’ipotesi di una“scuola”, in Dopo Mantegna. Arte a Padova e nelterritorio nei secoli XV e XVI, catalogo dellamostra a cura di C. Bellinati et all., Padova, Palaz-zo della Ragione 26 giugno - 14 novembre 1976,Electa, Milano 1976, pp. 69-72; Vincenzo Manci-ni, Lamberto Sustris a Padova. La Villa Bigolin aSelvazzano, Biblioteca Pubblica Comunale - Cen-tro Culturale di Selvazzano Dentro, Padova 1993,pp. 23-52. Infine, la serie di studi di ElisabettaSaccomani: Alcune proposte per il catalogo deidisegni di Domenico Campagnola, in ‘Arte vene-ta’, XXXII, 1978, pp. 106-111; Ancora su Dome-nico Campagnola: una questione controversa, ivi,XXXIII, 1979, pp. 43-49; Domenico Campagno-la: gli anni della maturitĂ , ivi, XXXIV, 1980, pp.63-77; Domenico Campagnola disegnatore di‘paesi’: dagli esordi alla prima maturitĂ , ivi,XXXVI, 1982, pp. 81-99; Note sulla pittura pado-vana intorno al 1540, in Marco Mantova Benavi-des. Il suo museo e la cultura padovana del Cin-quecento, atti della giornata di studio del 12novembre 1983, a cura di Irene Favaretto, Accade-mia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti, Padova1984, pp. 241-252; Padova 1450-1570, in La Pit-tura in Veneto. Il Cinquecento, II, a cura di MauroLucco, Electa, Milano 1998, pp. 555-616.13) Per le opere di Campagnola nella collezioneMantova Benavides, vedi I. Favaretto, AndreaMantova Benavides: Inventario delle antichitĂ  dicasa Mantova Benavides, in ‘Bollettino del MuseoCivico di Padova’, LXI, 1972 [1978], pp. 35-64(pp. 52-54); Loredana Olivato, Il testamento diMarco Mantova Benavides, in Marco MantovaBenavides cit., pp. 221-239 (p. 225). Sui rapportifra Mantova Benavides e gli artisti padovani, vedisoprattutto V. Mancini, Antiquari, “vertuosi” eartisti. Saggi sul collezionismo tra Padova e Vene-zia alla metĂ  del Cinquecento, Ars Patavina, Pado-va 1995 (spec. le pp. 115-137). Campagnola ave-va anche eseguito due ritratti dei Mantova Benavi-des, Marco e il padre Gian Pietro. Quest’ultimo,dapprima identificato da Charles Davis con undipinto noto come di mano di Francesco Torbido,piĂč volte sul mercato londinese (Aspects of Imita-tion in Cavino’s Medals, in ‘Journal of the War-burg and Courtauld Institutes’, XLI, 1978, pp.331-334), Ăš stato in sĂ©guito individuato da Vin-cenzo Mancini in un pannello giĂ  nella collezioneGrasse di Berlino (Antiquari, “vertuosi” e artisticit., pp. 123-132). Sui rapporti fra Campagnola eAlvise Cornaro, oltre al principale riferimentodocumentario costituito dal passo di MarcantonioMichiel, dedicato alla descrizione dell’abitazionedell’umanista (“teste dipinte nel soffittado dellacamera, et li quadri in la lettiera, ritratti da carte diRaphaello, furono di mano de Dominico Venitianoallevato da Julio Campagnuola”), in parte giĂ  cita-to alla nota 12, vedi le considerazioni di L. Puppiin Committenza e ideologia urbana cit., e il cata-logo della mostra Alvise Cornaro e il suo tempo, acura di L. Puppi, Padova, Loggia e Odeon Corna-ro, Sala del Palazzo della Ragione, 7 settembre - 9novembre 1980, Comune di Padova, Padova 1980,in part. i saggi di Giulio Bresciani Alvarez, Le fab-briche di Alvise Cornaro, pp. 36-57 (pp. 48 e 52),e di L. Olivato, Il mito di Roma come rivendica-zione di un primato. La patavinitas di Alvise Cor-naro collezionista e promotore delle arti figurati-ve, pp. 106-115. L’identificazione del palazzo chedoveva ospitare la decorazione Ăš questione tutt’al-tro che risolta nel catalogo della mostra sul Cor-naro (identificato con quello non piĂč esistente inVia del Bersaglio da Bresciani Alvarez [p. 48] econ l’Odeon da Olivato [p. 107]). Convincente Ăšinvece l’ipotesi di Monika Schmitter, che identifi-ca l’edificio con quello che doveva affacciarsi sul

9) Vite, Beinecke, p. 534. Per la tavola, vedi pertutti Emilio Negro e Nicosetta Roio, FrancescoFrancia e la sua scuola, Artioli, Modena 1998,cat. 85, p. 207.10) Vite, Beinecke, pp. 448, 539. Che Campagno-la fosse un pittore “eccellente” era anche l’opinio-ne dei canonici della Cattedrale, fra cui era Ber-nardino Scardeone (Rosita Colpi, Domenico Cam-pagnola. Nuove notizie biografiche e artistiche, in‘Bollettino del Museo Civico di Padova’, XXXI-XLIII, 1942-54 [1955], pp. 81-106 [p. 96]). Comeesperto, Campagnola fu chiamato a valutare un’o-pera di Gualtieri dell’Arzere. Sul relativo docu-mento, lo stesso che presenta un brano autografodi Campagnola, vedi la nota seguente.11) Per l’autografo (Archivio di Stato di Padova,Notarile, 3229, c. 530r) vedi Antonio Sartori,Documenti per la storia dell’arte a Padova, a curadi Clemente Fillarini, Neri Pozza, Vicenza 1976,p. 54. Per l’interpretazione del documento sonostati fondamentali i pareri di Franca NardelliPetrucci, Armando Petrucci e Charles Hope.Ritengo ugualmente non autografe di Campagno-la, sulla base dello stesso documento padovano, lescritture spesso ritenute firme dell’artista appostesu quattro disegni, due al British Museum di Lon-dra (‘Tirsi e Coridone in un paesaggio’, inv.1895.9.15.836; ‘Paesaggio’, inv. 1848.11.25.10),uno alla National Gallery of Art di Washington(‘Giovane pescatore’, c. 1520, Rosenwald Collec-tion, inv. B-17.722) e uno nelle Staatliche Kun-stammlungen di Weimar (‘San Francesco che rice-ve le stimmate’). PiĂč convincente Ăš invece il con-fronto con la scrittura nel disegno a penna di un‘Paesaggio con figura’ attribuito a DomenicoCampagnola giĂ  sul mercato antiquario (‘The Bur-lington Magazine’, CXXXIX, 1997, n. 1137,[inserzione pubblicitaria di Arturo Cuellar, Zuri-go]). Non autografa Ăš invece l’iscrizione “Campa-gniola f.” apposta sul margine inferiore destro del-lo stesso disegno.12) Non sappiamo se Campagnola fosse venezia-no, come sostiene la maggioranza degli studiosi, opadovano, come sarebbe piĂč logico supporre con-siderando la provenienza della sua famiglia adotti-va. La determinazione della venezianitĂ  dell’arti-sta si basa principalmente su due documenti pado-vani del 1527 e del 1529, in cui appare un Dome-nico pittore detto “de Venetiis” e “di Venezia”(ASP, Notarile, 1162, c. 362r, e 3046, c. 456v, inA. Sartori, Documenti cit., p. 52) e sulla segnala-zione da parte di Marcantonio Michiel di un“Domenico veneziano allevato da Iulio Campa-gnola” (Der Anonimo Morelliano. MarcantonMichiel’s Notizia d’opere del disegno, a cura diTheodor Frimmel, Verlag von Carl Graeser, Wien1888, p. 12). Anton Maria Zanetti sostenne invece,sulla base di una fonte a noi sconosciuta, l’originepadovana del pittore (Della pittura veneziana edelle opere pubbliche de’ veneziani maestri. LibriV, Giambattista Albizzi, Venezia 1771, I, p. 220).Effettivamente, come ha notato Rosita Colpi, l’e-sistenza di diverse scritture apposte su disegni edocumenti cinquecenteschi in cui l’artista vienedetto “Patavinus”, se non contraddice, almenocontrobilancia le indicazioni della supposta vene-zianitĂ  dell’artista (Domenico Campagnola cit.,pp. 83 e 84). Per i dati biografici sui Campagnola(Domenico, Giulio, Girolamo) mi sono servitodelle voci del Dizionario biografico degli italiani,Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani,Roma, 17, 1975, rispettivamene pp. 312-317 (afirma di Lionello Puppi); pp. 317 e 318 (a firmadi Eduard SafarĂ­k); pp. 318-321 (Idem), e del-l’Allgemeines KĂŒnstler-Lexikon, Saur, MĂŒnchen-Leipzig, XVI, 1997, pp. 1-3 (a firma di Antonio J.Molina). In part. per Domenico: R. Colpi, Dome-nico Campagnola cit.; Lucio Grossato, Affreschidel Cinquecento in Padova, Silvana Editoriale,Milano 1966 (pp. 151-198); Paolo Sambin, Spigo-

cortile dell’Odeon di fronte alla Loggia (TheDating of Marcantonio Michiel’s ‘Notizia’ onWorks of Art in Padua, in ‘The Burlington Maga-zine’, CXLV, 2003, pp. 564-571).14) Sulla cerchia di artisti che orbitava attorno aCampagnola, vedi la bibliografia sul pittore giĂ segnalata (in part. gli studi di Lionello Puppi). SuStefano dell’Arzere Ăš ormai doveroso rifarsi all’i-potetica ricostruzione di Alessandro Ballarin, inDa Bellini a Tintoretto: dipinti dei Musei Civici diPadova dalla metĂ  del Quattrocento ai primi delSeicento, a cura dello stesso e Davide Banzato, DeLuca, Roma 1991, cat. 79 e 80, pp. 159-164; rico-struzione ripresa da V. Mancini, in Appunti su Ste-fano Dall’Arzere, in ‘Bollettino del Museo Civicodi Padova’, LXXIX, 1990, pp. 281-299.15) L’affermazione di Scardeone che Campagnolae Gualtieri dell’Arzere erano consanguinei (Deantiquitate urbis Patavii et claris civibus Patavi-nis, Nicolaus Episcopius, Basel 1560, p. 373) Ăšprobabilmente una svista dovuta al fatto che il fra-tello del secondo, anch’egli pittore, si chiamavaDomenico. Come nota Vincenzo Mancini, anchesulla supposta parentela fra Stefano e Gualtierinon si hanno testimonianze certe (Schede di pittu-ra padovana del Cinquecento, in ‘Atti dell’IstitutoVeneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe diScienze morali, Lettere ed Arti’, CLV, 1996-97,pp. 185-231 [p. 209]). Sulla collaborazione conZoppo, vedi L. Grossato, Affreschi del Cinquecen-to cit., pp. 181-184; Alvise Cornaro e il suo tempocit., pp. 282 e 283 (scheda di Giulio BrescianiAlvarez); Giulio Bodon, Studi antiquari fra XV eXVII secolo. La famiglia Maggi da Bassano e lasua collezione di antichitĂ , in ‘Bollettino delMuseo Civico di Padova’, LXXX, 1991, pp. 23-172 (pp. 82-86).16) La ballata di Maganza Ăš trascritta in R. Colpi,Domenico Campagnola cit., p. 97. Sull’ultimacommissione a Campagnola, vedi L. Olivato, Pa r-rasio Michiel a Padova in ‘Arte veneta’, XXX,1976, pp. 225-227; Eadem, in Dopo Mantegnacit., cat. 53, pp. 87 e 88.17) G. Vasari, Le vite de’ piĂč eccellenti pittoriscultori e architettori nelle redazioni del 1550 e1568, testo a cura di Rosanna Bettarini, commen-to secolare a cura di Paola Barocchi, Sansoni, poiS.P.E.S., Firenze 1966-87, III, 1971, p. 621. Sullafortuna letteraria di Giulio Campagnola vedi, oltrealla bibliografia sui Campagnola giĂ  segnalata,Giovanni Agosti, Su Mantegna. La storia dell’ar-te libera la mente, Feltrinelli, Milano 2005, pp. 94e 95 nota 31. Per l’opera grafica di Giulio, cherappresenta un campionario dei temi allora invoga nei circoli culturali padovani, vedi WilliamR. Rearick, Il disegno veneziano del Cinquecento,Electa, Milano 2001, pp. 48-50; Mark J. Zucker,Early Italian Masters (Commentary), The Illustra-ted Bartsch, 25, Abaris Book, New York (NY)1984, pp. 463-495 (Giulio Campagnola col “Mae-stro II CA”). Giulio Campagnola morĂŹ precoce-mente, poco dopo avere preso i voti, forse giĂ  nel1515, anno a cui risalgono le ultime menzioni del-l’artista nei documenti. Mi riferisco al testamentodi Aldo Manuzio, del 16 gennaio, che ricorda dicommissionare a Giulio il disegno di certi caratte-ri tipografici; all’elogio dell’artista da parte diGiovanni Aurelio Augurelli (E. SafarĂ­k, in Dizio-nario biografico degli italiani cit., p. 319); eall’ultima menzione del suo nome, assiemeall’Augurelli, in una lettera di Pietro Bembo a Tri-fon Gabriele del 26 gennaio 1515 (Pietro Bembo,Lettere, a cura di Ernesto Travi, II, Commissioneper i Testi di Lingua, Bologna 1990, p. 107).18) Da ultimo Giovanni Agosti nega la possibilitĂ che il vecchio Campagnola sia stato anche un arti-sta (Su Mantegna cit., pp. 303-305). Sulla lettera aTomeo, vedi ancora lo stesso Agosti nonchĂ©Ronald Lightbown, Mantegna. With a CompleteCatalogue of the Paintings, Drawings, and Prints,University of California Press, Berkeley-Los

Angeles 1986, pp. 16, 393. È verosimile, comesostiene Lightbown, che anche Scardeone utiliz-zasse la lettera per il De antiquitate urbis Patavii;di parere contrario Ăš invece Agosti. Per una com-parazione dei riferimenti alla lettera da parte diVasari e Michiel, vedi Wolfgang Kallab, Vasari-studien, Graeser und Teubner, Wien-Leipzig 1908,pp. 343-351. Su Leonico Tomeo e la sua attivitĂ  dicollezionista d’arte, vedi Jonathan Woolfson eAndrew Gregory, Aspects of Collecting in Renais-sance Padua: A Bust of Socrates for NiccolĂČ Leo-nico Tomeo, in ‘Journal of the Warburg and Cour-tauld Institutes’, LVIII, 1995, pp. 252-265.19) Vite, Beinecke, p. 130.20) Sulla coppia Campagnola - dell’Arzere, vediPaolo Pino, Dialogo di pittura (1548), a cura diAnna e Rodolfo Pallucchini, Guarnati, Venezia1946, p. 129; B. Scardeone, De antiquitate urbisPatavii cit., p. 373. Per l’influenza di Salviati suidue artisti, vedi la bibliografia segnalata perDomenico Campagnola. Su Marco de’ Medici,vedi oltre la nota 66.

21) Sulla pala d’altare già in Sant’Agostino, vediMonica Merotto Ghedini, La chiesa di Sant’Ago-stino in Padova. Storia e ricostruzione di unmonumento scomparso, ITI, Padova 1995 (pp. 78-79); E. Saccomani, in Da Bellini a Tintoretto cit.,cat. 75, pp. 153-154. Per la datazione della telache raffigura il podestà Cavalli, oggi nell’AulaMagna del monastero di Santa Giustina, va tenutapresente l’iscrizione nel dipinto, “MD[...] [sul pri-mo gradino del trono] Marinus de Caballis equesad fines cum Germanis dirimendos dimidia [v]ixexacta praetura [...] [lungo il margine inferiore]”,che celebra Cavalli come commissario per la deli-mitazione dei confini con la Germania, un incari-co che egli ottenne solo alla fine del febbraio1563. Mentre Colpi e Olivato si attengono al datodocumentario fornito dall’iscrizione, datandodunque la commissione del dipinto dopo il feb-braio 1563, Saccomani ritiene invece, a ragione,che il dipinto potrebbe essere stato eseguito acavallo di quella data e commissionato o a ridossodel nuovo incarico ottenuto da Cavalli, probabil-mente dalla Città per commemorarne il breve

mandato, o precedentemente, durante l’ufficiopodestarile, direttamente da Cavalli (R. Colpi,Domenico Campagnola cit., p. 95; L. Olivato, inDopo Mantegna cit., cat. 52, p. 86; E. Saccomani,Da Bellini a Tintoretto cit., cat. 78, p. 158). Vediancora la scheda di Elisabetta Saccomani per ilcollegamento fra il dipinto e la ricevuta di paga-mento. È forse opportuno ricordare che la postilladi Yale non puĂČ invece riferisi alla ‘Madonna coni santi protettori di Padova’ del Museo Civico diPadova (inv. 633), eseguita nel 1537 per la Loggiadel Consiglio ma collocata oggi nella Sala delPodestĂ , ed erroneamente attribuita a Campagnolafino al 1980 (Alvise Cornaro e il suo tempo cit.,scheda n. 19, p. 246). La tela Ăš stata successiva-mente assegnata a Paris Bordone da Mauro Lucco(in Cento opere restaurate del Museo Civico diPadova, catalogo della mostra, Padova, NuovoMuseo Civico degli Eremitani, 15 aprile - 12 giu-gno 1981, SocietĂ  Cooperativa Tipografica, Pado-va 1981, cat. 36, pp. 115-122) e a Ludovico Fiu-micelli da Alessandro Ballarin (in Da Bellini aTintoretto cit., cat. 71, pp. 147-150). Sulla tela,vedi anche E. Saccomani, Domenico Campagno-la: gli anni della maturitĂ  cit., pp. 64-65, e V.Mancini, Schede di pittura padovana cit., p. 195 enota 25, poco convinto dell’attribuzione a Fiumi-celli. Di Campagnola, all’interno del PalazzoPodestarile, nella Cappella dei Notai, era anche la‘Madonna con il Bambino e i Santi Luca, Andreae Antonio da Padova’ del Museo Civico (inv. 1603;E. Saccomani, in Da Bellini a Tintoretto cit., cat.73, p. 151).22) Vite, Beinecke, p. 536.23) Su questi precedenti, dall’Epithalamium(1487) di Angelo Michele Salimbeni al TractatusAstrologicus di Luca Gaurico (1552), vedi E.Negro, N. Roio, Francesco Francia cit., pp. 61-67;G. Agosti, Mantegna, 5 (intorno a Vasari), in ‘Pro-spettiva’, 80, 1995, pp. 61-89; e Idem, Su Mante-gna cit., p. 95 e nota 33.24) Su Romanino e Padova, vedi AlessandroNova, Girolamo Romanino, Allemandi, Torino1994 (pp. 217-221); Stefania Buganza, Romaninotra Zenale e Bramantino: l’incontro con la culturaartistica milanese, in Romanino. Un pittore inrivolta nel Rinascimento italiano, catalogo dellamostra a cura di Lia Camerlengo, Trento, Castellodel Buonconsiglio, 29 luglio - 29 ottobre 2006,Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2006, pp.68-85 (pp. 78-81). Per i Lombardo al Santo, vediSarah Blake McHam, The Chapel of St. Antony ofthe Santo and the Development of VenetianRenaissance Sculpture, Cambridge UniversityPress, Cambridge 1994; I Lombardo. Architetturae scultura a Venezia tra ’400 e ’500, a cura di

18. Anonimo Gaddiano, Codice Magliabechiano XVII,17, c. 66v. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

19. Anonimo Gaddiano, Codice Magliabechiano XVII,17, c. 66v (particolare). Firenze, Biblioteca NazionaleCentrale.

Fifteenth-Century Art of the Adriatic Rim, atti delcolloquio, Villa Spelman, Firenze, giugno 1994, acura di Charles Dempsey, Nuova Alfa Editoriale,Bologna 1996, pp. 57-79; G. Agosti, Su Mantegnacit., capitolo VI. Sulle ripercussioni storiografichedel trattamento dei lombardi nelle Vite: LauraDamiani Cabrini, Per la fortuna critica della pit-tura lombarda del Quattrocento, in La Pittura inLombardia. Il Quattrocento, a cura di Valerio Ter-raroli, Electa, Milano 1993, pp. 419-426; GianAlberto Dell’Acqua, introduzione a Franco Maz-zini, Affreschi lombardi del Quattrocento, SilvanaEditoriale, Milano 1965, pp. VII-XXVIII.Devo anche ricordare almeno quattro testimonian-ze, vicine alle postille, di lettori che denuncianol’inadeguato apprezzamento dei lombardi anchenella Giuntina: l’immediata reazione del reggianoGabriele Bombace in una lettera a Vasari (purrimanendo da comprovare l’autenticità del docu-mento, come sottolinea Andrea Bacchi, in P rospe-

Andrea Guerra, Manuela Morresi e Richard Scho-field, Marsilio, Venezia 2006. Vale qui la penaricordare anche l’ipotesi di Roger Rearick sullaconoscenza diretta da parte di Campagnola delleopere ferraresi di Antonio Lombardo (in Tiziano eil disegno veneziano del suo tempo, GabinettoDisegni e Stampe degli Uffizi - Olschki, Firenze1976, p. 104).25) Sul ruolo catalizzatore di Padova, vedi MarioSalmi, Riflessioni sulla civiltà figurativa di Ferra-ra nei suoi rapporti con Padova durante il primoRinascimento, in ‘Rivista d’arte’, XXXIV, 1959,pp. 19-48; L. Grossato, Padova. Guida ai monu-menti e alle opere d’arte, Neri Pozza, Vicenza1961, pp. CCLXI-CCLXXXVI (L’arte a Padovada Giotto ai nostri giorni); Andrea De Marchi,Centralità di Padova: alcuni esempi di interferen-za tra scultura e pittura nell’area adriatica allametà del Quattrocento, in Quattrocento adriatico.

ro Clemente. Uno scultore manierista nella Reg-gio del ’500, Federico Motta, Milano 2001, pp.11-14); le postille di El Greco (Xavier de Salas eFernando MarĂ­as, El Greco y el arte de su tiempo.Las notas de el Greco a Vasari, Real FundaciĂłn deToledo, Madrid 1992; Maddalena Spagnolo, Cor-reggio. Geografia e storia della fortuna (1528-1657), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo2005, pp. 157-162); le postille di Lelio Guidiccio-ni (Michel Hochmann, Les annotations margina-les de Federico Zuccari Ă  un exemplaire des Viesde Vasari. La reaction anti-vasarienne Ă  la fin duXVIe siĂšcle, in ‘Revue de l’art’, 80, 1988, pp. 64-75 [p. 65]); e infine le postille di Vincenzo Sca-mozzi, recentemente ritrovate da Lucia Collavo(L’esemplare dell’edizione giuntina de Le Vite let-to e annotato da Vincenzo Scamozzi, in ‘Saggi ememorie di storia dell’arte’, XXIX, 2005, pp. 1-213; Di Vincenzo Scamozzi lettore e critico diGiorgio Vasari scrittore e architetto: dall’espe-rienza di analisi del postillato H.P.K., in Arezzo eVasari. Vite e postille, atti del convegno di Arez-zo, 16-17 giugno 2005, a cura di Antonino Caleca,Cartei e Bianchi, Foligno-Campi Bisenzio 2007,pp. 199-250).26) Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., III,1971, pp. 590-591.27) Per il contesto linguistico, vedi FrancescoBruni, Fra “Lombardi”, “Tusci”, e “Apuli”:osservazioni sulle aree linguistico-culturali, inIdem, Testi e chierici del Medioevo, Marietti,Genova 1991, pp. 11-41; L’italiano nelle regioni.Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni,Garzanti, Milano 1996, I, pp. XXV-LXXIII (Intro-duzione, spec. le pp. XXXIX-XLVIII); M. Hoch-mann, Venise et Rome 1500-1600. Deux Ă©coles depeinture et leurs Ă©changes, Droz, GenĂšve 2004,spec. pp. 23-41.28) Sulle Vite e il Veneto, vedi Ettore Merkel,Giorgio Vasari e gli artisti del Cinquecento aVenezia: limiti e aporie di un critico moderno, inVasari storiografo e artista, atti del congressointernazionale nel IV centenario della morte,Arezzo-Firenze, 2-8 settembre 1974, IstitutoNazionale di Studi sul Rinascimento - Grafistam-pa, Firenze 1976, pp. 457-467; L. Puppi, La fortu-na delle Vite nel Veneto dal Ridolfi al Temanza, ivi,pp. 405-437; Franco Bernabei, Cultura artistica ecritica d’arte. Marco Boschini, in Storia della cul-tura veneta. Il Seicento, a cura di Girolamo Arnal-di e Manlio Pastore Stocchi, Neri Pozza, Vicenza1983, pp. 549-574.29) Vite, Beinecke, p. 552. Segue, la scrittura“Dominico Campagnola pictor” depennata.

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20. Giovanni Cavaccia, Aula Zabarella sive elogiaillustrium Patavinorum conditorisque urbis, Iacobus de Cadorinis, Padova 1670, incisione a p. 125.

21. Giovanni Cavaccia, Aula Zabarella
, Iacobus deCadorinis, Padova 1670, incisione a p. 125 (particolaredella fig. 20).

30) Della vastissima letteratura sul dibattito,rimangono ancora fondamentali: Lionello Venturi,Storia della critica d’arte, Edizioni U, Roma-Firenze-Milano 1945: Luigi Grassi, Teorici e sto-ria della critica d’arte, Multigrafica, Roma 1970-79 (Dall’antichitĂ  a tutto il Cinquecento, I, 1970);Sidney J. Freedberg, Disegno versus Colore inFlorentine and Venetian Painting of the Cinque-cento, in Florence and Venice: Comparisons andRelations, atti delle due giornate di studio alla‘Villa I Tatti’, 1976-77, a cura di Sergio Bertelli,Nicolai Rubinstein, Craig Hugh Smyth, La NuovaItalia, Firenze 1980, II, pp. 309-322; DavidRosand, Titian and the Critical Tradition, inTitian: His World and Legacy, a cura di D. Rosand,Columbia University Press, New York 1982, pp. 1-39. Per gli studi piĂč recenti, vedi Maurice Poirier,The Disegno-Colore Controversy Reconsidered, in‘Explorations in Renaissance Culture’, XIII, 1987,pp. 52-86; Thomas Puttfarken, The Dispute AboutDisegno and Colorito in Venice: Paolo Pino,Lodovico Dolce, and Titian, in Kunst und Kunst-theorie 1400-1900, a cura di Peter Ganz, Harras-sowitz, Wiesbaden 1991, pp. 75-99; M. Hoch-mann, Venise et Rome 1500-1600 cit. Per la fortu-na del dibattito nell’etĂ  moderna a partire da Vasa-ri, Steffi Roettgen, Venedig oder Rom – Disegno eColore: ein Topos der Kunstkritik und seine Fol-gen, in ‘Zeitenblicke’, II, 2003, n. 3 [10.12.2003],<http://www.zeitenblicke. historicum.net/2003/03/roettgen.html>.31) Vite, Beinecke, pp. 126 e 127. Sui “pittori gre-ci” nella prima letteratura artistica veneta, vediancora L. Puppi, La fortuna delle Vite nel Venetocit., p. 425.32) Vite, Beinecke, p. 132.33) Sugli Zuccati, giĂ  celebrati da Lodovico Dol-ce come “unici maestri nell’arte del musaico”(L’Aretino ovvero dialogo della pittura, ed. Daelli,Milano 1863, p. 63), vedi le voci anonime inUlrich Thieme, Felix Becker, Allgemeines Lexikonder bildenden KĂŒnstler von der Antike bis zurGegenwart, Seemann, Leipzig, XXXVI, 1947, pp.575 e 576. Sui mosaici di San Marco: E. Merkel, Imosaici del Cinquecento veneziano (1a parte), in‘Saggi e memorie di storia dell’arte’, XIX, 1994,pp. 73-140 (pp. 124-140); Idem, I mosaici rina-scimentali di San Marco, in ‘Arte veneta’ XLI,1987 [1988], pp. 20-30; Stefania Mason, “Pitturemarmoree” della maniera moderna in San Marco,ivi, XLVIII, 1996, pp. 26-41; Ottavia Niccoli, LaDonna e il dragone nella Basilica di San Marco:iconografie apocalittiche del tardo Cinquecento,in Storia e figure dell’Apocalisse fra ’500 e ’600,a cura di Roberto Rusconi, Viella, Roma 1996, pp.37-48. La pala di San Vittore Ăš ricordata anche daFrancesco Sansovino: “quella [pala] di San Vitto-rio tutta di mosaico, et perciĂČ notabile et rara, fuopera di Francesco et Valerio Zuccatti” (VenetiacittĂ  nobilissima et singolare, Iacomo Sansovino,Venezia 1581, c. 56v). La pala recava l’iscrizione,trascritta da Anton Maria Zanetti, “quod arte etcoloribus pictor hoc Zuchati fratres ingenio, etnatura saxis, 1559” (Della pittura veneziana cit., I,p. 230). Cicogna riporta un documento che attestainvece il compimento della pala il primo agosto1560 (Emmanuele Antonio Cicogna, Delle inscri-zioni veneziane, Giuseppe Molinari, Venezia1824-53, V, 1842, p. 581). Vasari menziona gliZuccati nella Giuntina, nella biografia di Tiziano(Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., VI, 1987,pp. 173-174), ma come “Zuccari”; imprecisionesu cui intervenne puntualmente Vincenzo Sca-mozzi (L. Collavo, L’esemplare dell’edizionegiuntina de Le Vite cit., p. 154).34) Vite, Beinecke, p. 539. Per le postille e l’am-biente padovano Ăš forse opportuno ricordare l’at-tribuzione a Campagnola, suggerita da Peter Dre-yer, del disegno di una xilografĂ­a di Lucantoniodegli Uberti che riprende il ‘Martirio’ (discussa inTiziano e la silografia veneziana del Cinquecento,a cura di M. Muraro e D. Rosand, Neri Pozza,

Vicenza 1976, cat. 18, pp. 90 e 91). Si noti anchela corrispondenza fra l’indicizzazione di ritratti diDante e Petrarca nelle postille e il riferimento aritratti dei poeti (a penna o chiaroscuro) di manodi Campagnola nell’inventario della collezioneMantova Benavides (I. Favaretto, Andrea MantovaBenavides: Inventario delle antichità cit., p. 54; V.Mancini, Antiquari, “vertuosi” e artisti cit., p.119).35) Vite, Beinecke, p. 539. Sulla pala, vedi LuigiMenegazzi, Cima da Conegliano, Canova, Treviso1981, figg. 115-117; Peter Humfrey, Cima daConegliano, Cambridge University Press, Cam-bridge - New York 1983, cat. 82, pp. 121 e 122.36) Per i riferimenti al testo vasariano vedi le Vite,ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., rispettivamenteIII, 1971, pp. 62 e 63; I, 1966, p. 132; III, 1971,pp. 301-308.37) Vite, Beinecke, p. 448.

38) Sulla pala antonelliana e la sua bibliografiavedi da ultimo M. Lucco in Antonello da Messina.L’opera completa, a cura di M. Lucco, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2006, cat. 34, pp.226-229. Per le brache corte e aderenti, vedi il SanSebastiano nell’‘Allegoria sacra’ di Bellini, quellodi Dresda di Antonello da Messina (StaatlicheKunstsammlungen, GemĂ€ldegalerie Alte Meister)e i due ladroni della ‘Crocifissione’ di Anversa,sempre di Antonello (Koninklijk Museum voorSchone Kunsten). Per lo stesso tipo di indumentonella scultura, vedi Caglioti di sĂ©guito, nel testo ealle note 60 e 53.39) Per i termini cronologici della ‘Trasfigurazio-ne’ ci si avvale soprattutto della traduzione a stam-pa del dipinto eseguita da Nicolas Beatrizet, certa-mente dopo la sua partenza da Roma nel 1562 eprima della sua morte nel 1565. Per l’‘Annuncia-zione’ si considerano invece i termini posti daDaniela Bohde (Titian’s Three-altar Project in theVenetian Church of San Salvador: Strategies ofSelf-representation by Members of the ScuolaGrande di San Rocco, in ‘Renaissance Studies’,XV, 2001, pp. 450-472 [p. 460]), sulla base di duedati: l’assenza sia del dipinto in un elenco dellepale d’altare della chiesa redatto il 12 agosto1563, sia del privilegio, concesso dal Senato vene-ziano a Tiziano sui diritti d’autore il 22 gennaio1567 (1566 more Veneto), nella traduzione a stam-pa eseguita da Cornelis Cort. Sul privilegio, vediChristopher Witcombe, Copyright in the Renais-sance. Prints and the Privilegio in Sixteenth Cen-tury Venice and Rome, Brill, Leiden-Boston 2004,pp. XIX-XXI.40) Rilevata da analisi radiografica, la firma ori-ginale legge “Titianus faciebat” (Giovanna NepiScirĂš, Recent Conservation of Titian’s Paintings in

Venice, in Titian. Prince of Painters, catalogo del-la mostra a cura di Susanna Biadene, Venezia,Palazzo Ducale - Washington, National Gallery ofArt, 2 giugno 1990 - 27 gennaio 1991, Prestel,MĂŒnchen 1990, p. 126).41) Bartolomeo Maranta, Discorso all’Ill.moSignor Ferrante Carafa Marchese di Santo Lucidoin materia di pittura, nel quale si difende il quadrodella cappella del Sig. Cosimo Pinelli, fatto perTiziano, da alcune opposizioni fattegli da alcunepersone, in Scritti d’arte del Cinquecento, a curadi P. Barocchi, Ricciardi, Milano-Napoli, I, 1971,pp. 863-900 (p. 863).42) B. Maranta, Discorso cit., pp. 898 e 899. Ladata d’arrivo di Pinelli a Padova si ricava da un’ul-teriore lettera del naturalista a Ulisse Aldrovandi,citata in Marsel Grosso, La fama di Tiziano nellacultura artistica meridionale (tra letteratura escienza), in Dal Viceregno a Napoli. Arti e lettere

in Calabria tra Cinque e Seicento, a cura di Ippo-lita di Majo, Paparo Edizioni, Napoli 2004, pp.71-111 (p. 76).43) Sui Pinelli, vedi le brevi informazioni in Uber-to Foglietta, Clarorum Ligurum elogia, VincenzoCanepa, Genova 1863, pp. 226 e 227; Carlo deLellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno diNapoli, Savio, poi Paci, poi Roncagliolo, Napoli1654-1671, II, 1663, pp. 165 e 166; Vittorio Spre-ti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Ed.Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano1928-36, V, pp. 371-373.44) Vite, Beinecke, p. 357.45) Girolamo Tiraboschi, Notizie de’ pittori, scul-tori, incisori e architetti nati negli stati del sere-nissimo signor duca di Modena, con una appendi-ce de’ professori di musica, Società Tipografica,Modena 1786, p. 260.46) L’epigrafe recitava: “Ossa MODENINI clau-duntur marmore tanto / Quem tulit Amutina prolesMalatignia quondam / Musicus ipse fuit patriaesplendorque decusque / atque suis patriam meritisad sydera duxit” (Iacopo Filippo Tommasini,Urbis Patavinae inscriptiones sacrae et propha-nae, Sebastiano Sardo, Padova 1649, p. 213). Perl’ubicazione dell’epigrafe, vedi Giacomo Ferretto,Memorie storiche intorno le chiese, gli oratori, ipalazzi, i ponti e luoghi pubblici e privati dellacittà, ms., 5 voll., Padova, Biblioteca Civica (BP156 1-5), IV, pp. 218 e 219.47) La ‘Madonna col Bambino e i Santi Antonio eRocco’, affrescata sulla parete di controfacciata, egià in parte riscoperta nel 1834 (A. Barzon, Lachiesa di Santa Maria dei Servi cit., p. 37), ù tor-nata del tutto alla luce solo coi restauri delle pare-ti interne della chiesa nel 1932 o 1936, come

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22. Giovanni Cavaccia, Aula Zabarella
, Iacobus deCadorinis, Padova 1670, tav. 10.

a del Santo (Padova. Guida ai monumenti e alleopere d’arte cit., pp. 141-146 [p. 143]; Affreschidel Cinquecento cit., p. 236). L’affresco vieneerroneamente attribuito a Campagnola nelle guide(TCI, Veneto, le principali edizioni: Milano 1954 e1992; Guide Skira. Le città d’arte. Padova, Skira,Milano 2004, p. 47). L’ancona di Jacopo Monta-gnana ù illustrata in Dopo Mantegna cit., cat. 18,pp. 38 e 39 (scheda di Caterina Furlan). Sulla‘Meridiana’ del Palazzo della Ragione, vedi inve-ce L. Grossato, Affreschi del Cinquecento cit., pp.193-196. Delle opere già nella chiesa e poi perdu-te, Antonio Barzon ricorda di Campagnola una‘Madonna col Bambino e i Santi Omobono e Bar-

ricorda Antonio Barzon (La chiesa e il convento diS. Maria dei Servi cit., pp. 17-18). Pochi anni pri-ma Wart Arslan la credeva invece distrutta (Inven-tario degli oggetti d’arte d’Italia cit., p. 151). Talirestauri seguirono quello maggiore delle strutturemurarie e del tetto della navata, iniziato il 1926 eterminato il 13 febbraio 1929, giorno in cui siriaprì la chiesa al culto (A. Barzon, Il S. Crocifis-so di S. Maria dei Servi cit., 1931, pp. 62-64).Barzon ha attribuito l’affresco alla scuola di Gio-vanni Bellini (La chiesa e il convento di S. Mariadei Servi cit., p. 18), mentre Lucio Grossato vi havisto prima la mano di Girolamo del Santo e poiquella di un seguace di Stefano dell’Arzere vicino

bara’ (La chiesa dei Servi cit., 1926, p. 35). Ma seil dipinto corrisponde, come sembra, a quello giĂ nell’adiacente oratorio di Sant’Omobono su cuiBrandolese aveva letto la data 1581 (Pitture, scul-ture, architetture ed altre cose notabili di Padova,Pietro Brandolese, Padova 1795, p. 67), l’attribu-zione a Campagnola viene automaticamente acadere per ovvi motivi cronologici. Barzon ricor-da anche di Campagnola una ‘Madonna col Bam-bino e i Santi Girolamo e Cristoforo’ ceduta alMuseo Civico nel 1868 a titolo di deposito, solle-vando perĂČ alcuni dubbi anche in questo caso.Descrivendo il dipinto come un’“ancona dipinta atre scompartimenti” (La chiesa dei Servi cit.,1926, p. 36), Barzon sembra unire due dipintidistinti di uguale soggetto: l’ancona quattrocente-sca del Museo Civico giĂ  nella chiesa servita (inv.385; vedi la scheda di C. Furlan in Da Bellini aTintoretto cit., cat. 7, pp. 70-72 [come opera dianonimo padovano del terzo quarto del Quattro-cento]) e la pala cinquecentesca giĂ  nell’attiguooratorio di Santa Maria del Parto, che Brandolesemenziona alla fine del Settecento ma come operadi Stefano (Pitture, sculture, architetture cit., p.68).48) Sulla pala dell’altare maggiore, oltre a Scar-deone (De antiquitate urbis Patavii cit., p. 373),vedi V. Mancini, Schede di pittura padovana cit.pp. 185-208. Sulla pala Serravalle, Brandoleseaveva letto la firma “Stephanus patavinus F.” (Pit-ture, sculture, architetture cit., p. 66). L’attribuzio-ne di Brandolese a dell’Arzere venne ripresa daGiannantonio Moschini, Girolamo Ferrari, PietroEstense Selvatico e Wart Arslan, ma non da Gio-vambattista Rossetti, che la riteneva opera diCampagnola, e da Giacomo Ferretto, che la asse-gnava agli allievi di Campagnola. Le attribuzionidi Moschini, Selvatico e Rossetti sono segnalate inA. Barzon, La chiesa dei Servi cit., 1926, pp. 35,49; per Ferrari e Ferretto, vedi rispettivamente:Istoria compendiosa della cittĂ  di Padova, [BP3209 11], c. 185r, e Memorie storiche cit.,V, p. 94;per Arslan: Inventario degli oggetti d’arte d’Italiacit., p. 151. Lucio Grossato, Lionello Puppi e Giu-seppe Toffanin concordano con l’attribuzione adell’Arzere, ma per via dell’iscrizione “SanctiFabiane et Sebastiane orate pro nobis” (che sem-bra invece posticcia) ritengono che la figura diSan Girolamo sia quella di un San Fabiano (L.Grossato, Padova. Guida ai monumenti e alle ope-re d’arte cit., p. 145; L. Puppi, G. Toffanin, Guidadi Padova. Arte e storia tra vie e piazze, EdizioniLint, Trieste 1983, p. 140).49) Sulle formelle, ora nelle Gallerie dell’Accade-mia di Venezia, tranne due conservate nella chiesadi Santa Maria della Pieve di Castelfranco Veneto,vedi Gallerie dell’Accademia di Venezia, catalogoa cura di Sandra Moschini Marconi, II, IstitutoPoligrafico dello Stato, Roma 1962, pp. 101-104;e Francesco Frangi, Un recupero per DomenicoCampagnola, in ‘Arte veneta’, XLIII, 1989-90,pp. 20-29. La descrizione di Pietro Brandolese Ăš inPitture, sculture, architetture cit. p. 67. Per l’ipo-tesi di Alessandro Ballarin, vedi la nota 14.50) Sui rapporti fra Girolamo Campagnola e gliartisti padovani, specialmente Squarcione e Man-tegna, oltre alla bibliografia giĂ  segnalata suiCampagnola, vedi R. Lightbown, Mantegna cit.,p. 6; G. Agosti, Su Mantegna cit., pp. 304 e 305.Si possono inoltre ricordare, a testimonianza del-l’interesse per l’opera di Donatello condiviso fragli artisti vicini a Campagnola, due documentidatati 9 luglio 1541 e 14 luglio 1573 riguardanti loscambio di rilievi in gesso attribuiti allo scultorefiorentino fra Gualtieri dell’Arzere, il figlio Pom-peo e il pittore Bartolomeo (A. Sartori, Documen-ti cit., pp. 78 e 79). Sui documenti, vedi le consi-derazioni di Giuseppe Fiocco sia nell’articoloTracce di Donatello a Padova, in Donatello e ilsuo tempo, atti dell’VIII convegno internazionaledi studi sul Rinascimento, Firenze-Padova, 25 set-tembre - 1 ottobre 1966, Firenze 1968, pp. 399-44 [Saggi]

bianco e nero

controllare che non siastato raddrizzato il dipinto

23. Matteo Ghidoni detto de’ Pitocchi (?): ‘Il Crocifisso miracoloso di Padova adorato dai membridella sua confraternita’. Padova, Santa Maria dei Servi.

404 (pp. 401-402), sia nella “Presentazione” delvolume di L. Grossato, Affreschi del Cinquecentocit., pp. 5-20.51) Cornel von Fabriczy, Il codice dell’AnonimoGaddiano (Cod. Magliabechiano XVII, 17) nellaBiblioteca Nazionale di Firenze, in ‘Archivio Sto-rico Italiano’, s. V, XII, 1893, pp. 15-94, 275-334;per la datazione vedi p. 31. Arretrata al 1537-42 Ăšinvece la datazione della composizione del codiceproposta da Julius von Schlosser (La letteraturaartistica, La Nuova Italia, Firenze 1964, p. 190[Die Kunstliteratur: ein Handbuch zur Quellen-kunde der neueren Kunstgeschichte, Schroll, Wien1924]).52) C. von Fabriczy, Il codice dell’Anonimo Gad-diano cit., p. 67. Errata Ăš invece la trascrizione diKarl Frey: “Sonvi anchora due crucifissi et unaNostra Donna, ch’ù Lorenzo Torniaio” (Karl Frey,Il codice Magliabechiano, cl. XVII. 17, contenen-te notizie sopra l’arte degli antichi e quella de’fiorentini da Cimabue a Michelangelo Buonarroti,scritte da Anonimo Fiorentino, Grote, Berlin1892, p. 79).53) Sulle vicende del ‘Crocifisso’ vedi M. Merot-to Ghedini, La chiesa di Sant’Agostino cit., pp. 61e 70. Per la visita di Papebroch a Padova, vediinvece Guido Beltrame, Un seicentesco itinerariopadovano, in ‘Padova e il suo territorio’, IV, 1989,22, pp. 15-19. L’annotazione del bollandista legge:“Iuxta chorum duo utriumque sacella sunt, deindein hemicyclum curvantur alae suaque habent alta-ria, et sinistra quidem grandem habet crucifixiimaginem celebre Donatelli opus, eiusdem quiequestrem ad D(ivi) Antonii statuam fecit, sub quaSanctorum aliquot inauratae imagines” (Udo Kin-dermann, Zwei Tage in Padua. Eine lateinischeBeschreibung der KunstdenkmĂ€ler der Stadt durchden Jesuiten Daniel Papebroch, in KontinuitĂ€t undWandel. Lateinische Poesie von Naevius bis Bau-delaire. Franco Munari zum 65. Geburtstag, acura di Ulrich Justus Stache, Wolfgang Maaz eFritz Wagner, Weidmann, Hildesheim 1986, pp.633-670 [654]. Sulla nota vedi anche le pp. 636-637 e Maria Papke, Kunsthistorische Anmerkun-gen zu Papebrochs Reisebericht, ivi, pp. 670-690[682]; su Carlo Alberto Pallavicino l’essenzialebibliografia a p. 671).54) Padova, Archivio di Stato, Corporazioni sop-presse, Monasteri padovani, S. Agostino, b. 7, c.158r (cui rimanda M. Merotto Ghedini, La chiesadi Sant’Agostino cit., p. 116 nota 30, in una formache ha perĂČ reso necessaria una verifica dell’ori-ginale); Giacomo Salomonio, Urbis Patavinaeinscriptiones sacrae et prophanae, Giovanni Bat-tista Cesari, Padova 1701, p. 57.55) G. Fiocco, Tracce di Donatello a Padova cit.,p. 400. Lo studioso non sembra conoscere, e dun-que non collega alla testimonianza di Salomonio,la nota sui ‘Crocifissi’ dell’Anonimo Gaddiano.56) Sulla dispersione dell’arredo della chiesa,vedi Cesira Gasparotto, Il convento e la chiesa diS. Agostino dei domenicani in Padova, MemorieDomenicane, Padova 1967, pp. 91-95. Sull’ipote-si di Guido Beltrame che identifica il ‘Crocifisso’quattrocentesco di San Tommaso Cantauriensecon quello dei domenicani giĂ  attribuito a Dona-tello (Storia e arte in S. Tomaso M., TipografiaAntoniana, Padova 1966, p. 226, fig. 17) vediCaglioti in questo stesso fascicolo, nota 132.57) G. Rossetti, Descrizione delle pitture, scultu-re, ed architetture di Padova. Con alcune osserva-zioni intorno ad esse, ed altre curiose notizie,Stamperia del Seminario, Padova 1765, p. 6. Ilgiudizio di Rossetti si attenua nella riedizione del-la guida per Conzati del 1786, Il forastiere illumi-nato per le pitture, sculture ed architetture dellacittĂ  di Padova, ovvero descrizione delle cose piĂčra re della stessa cittĂ  con altre curiose notizie (p.8). Va perĂČ ricordato, come nota GiannantonioMoschini (Guida per la cittĂ  di Padova: all’amicodelle belle arti, Tipografia di Alvisopoli, Venezia

1817, pp. VII e VIII), che Rossetti non mise maimano a questa edizione postuma, e ciĂČ a dispettodi quanto si legge nel frontespizio dell’opera. Latestimonianza di Rossetti va comunque controbi-lanciata ricordando, fra le imprecisioni che laDescrizione contiene, l’insostenibile attribuzionea Donatello della statua della ‘Madonna col Bam-bino’ nella chiesa dei Servi (ibidem, p. 256). Nel-le sue Memorie storiche manoscritte, GiacomoFerretto riprende alla lettera la Descrizione rosset-tiana sorvolando sulla revisione per Conzati (BP156, II, p. 154). È anche opportuno ricordare chela raccolta epigrafica di Desiderio dal Legname,1561, come segnala Merotto Ghedini (La chiesa diSant’Agostino cit., p. 116 nota 30), menziona un‘Crocifisso’ sul tramezzo della chiesa, probabil-mente lo stesso poi attribuito a Donatello (Inscrip-tiones et epigrammata omnia quae visuntur Pata-vii in celeberrimo D. Augustini Templo collecta etnon nulla etiam conscripta, ms., BP 1102, c. 7r-v).58) C. von Fabriczy, Il libro di Antonio Billi e lesue copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, in‘Archivio Storico Italiano’, s. V, VII, 1891, pp.299-368. Fabio Benedettucci ha ulteriormente cir-coscritto la datazione del ‘Libro’ agli anni 1506-30, seppur con argomenti non sempre condivisibi-li (Il libro di Antonio Billi, De Rubeis, Anzio 1991,pp. 15-18).Per la letteratura donatelliana precedente alla Tor-rentiniana, vedi [Gaetano Milanesi], Catalogo del-le opere di Donatello e bibliografia degli autoriche ne hanno scritto, Arte della Stampa, Firenze1887, pp. 35-52; Marco Collareta, Testimonianzeletterarie su Donatello 1450-1600, in MuseoNazionale del Bargello. Omaggio a Donatello1386-1986. Donatello e la storia del Museo,S.P.E.S., Firenze 1985; e il regesto piĂč recente inUlrich Pfisterer, Donatello und die Entdeckungder Stile (1430-1445), Hirmer, MĂŒnchen 2002, pp.488-529 (Appendice A); cui va perĂČ aggiunta latestimonianza di viaggio del fiorentino GiovanniRidolfi (1480) in cui si ricordano a Padova, nellabasilica del Santo, figure “di bronzo grande etpichole di mano di Donatello: et in su la piazza didecta chiesa Ăš un cavallo di bronzo suvi uno huo-mo armato posto in su una colonna di mano etian-di di dicto Donatello” (P.J. Jones, Travel Notes ofan Apprentice Florentine Statesman, Giovanni diTommaso Ridolfi, in Florence and Italy. Renais-

sance Studies in Honour of Nicolai Rubinstein, acura di Peter Denley e Caroline Elam, WestfieldCollege, University of London, London 1988, pp.263-280 [p. 278]).59) C. von Fabriczy, Il codice dell’Anonimo Gad-diano cit., spec. pp. 21, 33 e 43.60) Sul presunto soggiorno padovano di Vasari,vedi W. Kallab, Vasaristudien cit., p. 252; ThomasS.R. Boase, Giorgio Vasari: The Man and theBook, Princeton University Press, Washington-Princeton 1979, p. 340; Patricia Lee Rubin, Gior-gio Vasari. Art and History, Yale University Press,New Haven-London 1995, p. 322. Sulla biografiavasariana di Donatello, vedi Luigi Grassi, Dona-tello nella critica di Giorgio Vasari, in Donatelloe il suo tempo cit., pp. 59-68.61) Recita la Torrentiniana: “Avvenne che in queltempo la Signoria di Vinegia, sentendo la famasua, mandĂČ per lui [Donatello] acciĂČ che facessela memoria di Gattamelata nella cittĂ  di Padova,che fu il cavallo di bronzo su la piazza di SantoAntonio; nel quale si dimostra lo sbuffamento et ilfremito del cavallo, et il grande animo e la fierez-za vivacissimamente espressa dalla arte nella figu-ra che lo cavalca. E dimostrossi Donato tantomirabile nella grandezza del getto, in proporzioniet in bontĂ  che veramente si puĂČ aguagliare a ogniantico artefice in movenzia, in disegno, in arte, inproporzione et in diligenza; per che non solo fecestupire allora que’ che loro videro, ma ogni perso-na che al presente lo puĂČ vedere. Per la qual cosacercarono i Padovani con ogni via di farlo lor cit-tadino e con ogni sorte di carezze fermarlo; e perintrattenerlo gli allogarono a la chiesa de’ FratiMinori, nella predella dello altar maggiore, le isto-rie di Santo Antonio da Padova, le quali sono dibasso rilievo e talmente con giudicio condotte chegli uomini eccellenti di quella arte ne restanomaravigliati e stupiti, considerando in esse i bellie variati componimenti con tanta copia di strava-ganti figure e prospettive diminuite. Similmentenel dossale dello altare fece bellissime le Marieche piangono il Cristo morto. E in casa d’un de’conti Capo di Lista lavorĂČ una ossatura d’un caval-lo di legname – che senza collo ancora oggi sivede – per lo quale le commettiture sono con tan-to ordine fabbricate, che chi considera il modo ditale opera giudica il capriccio del suo cervello e lagrandezza dello animo di quello. In un monasterodi monache fece un San Sebastiano di legno a’preghi d’un capellano loro, amico e domesticosuo, che era fiorentino; il quale gliene portĂČ unoche elle avevano vecchio e goffo, pregandolo chee’ lo dovessi fare come quello. Per la qual cosasforzandosi Donato di imitarlo per contentare ilcapellano e le monache, non potĂ© far sĂŹ che, anco-ra che quello che goffo era imitato avesse, nonfacesse nel suo la bontĂ  e l’artificio usato. In com-pagnia di questo molte altre figure di terra e distucco fece; et in un cantone di un pezzo di mar-mo vecchio che le monache in un loro orto aveva-no, ricavĂČ una molto bella Nostra Donna. E simil-mente per tutta quella cittĂ  sono opre di lui infini-tissime” (Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit.,III, 1971, pp. 214-215).62) B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii cit.,p. 107.63) A. Sartori, Documenti riguardanti Donatello eil suo altare a Padova, in ‘Il Santo’, n.s., I, 1961,pp. 37-99.64) G. Fiocco, Donatello al ‘Santo’, EdizioniMessaggero, Padova 1965; e ancora Idem, Traccedi Donatello a Padova cit., p. 400. Fra coloro cheaccolgono la versione vasariana sono AlessandroParronchi (Donatello, Neri Pozza, Vicenza 1998,pp. 98 e 99) e Artur Rosenauer (Donatello, Electa,Milano 1993, p. 194).65) Scrive Vasari nella biografia di Mantegna:

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24. Ferrante Pallavicino, Le glorie del miracolosoCrocifisso che si ritrova nella chiesa de’ venerandipadri de’ Servi in Padova, Giulio Crivellari e GiacomoBortoli, Padova 1637, frontespizio.

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morĂŹ nel 1572. Su Cataneo, vedi MassimilianoRossi, La poesia scolpita. Danese Cataneo nellaVenezia del Cinquecento, Maria Pacini Fazzi, Luc-ca 1995 e, dello stesso, la sezione dedicata al car-rarese in “La bellissima maniera”. Alessandro Vit-toria e la scultura veneta del Cinquecento, catalo-go della mostra a cura di A. Bacchi, Lia Camer-lengo, Manfred Leithe-Jasper, Trento, Castello delBuonconsiglio, 25 giugno - 26 settembre 1999,Temi, Trento 1999, pp. 236-247. Sui contributi delMedici e di Cataneo alle Vite, vedi anche C. Davisin Giorgio Vasari. Principi, letterati e artisti nellecarte di Giorgio Vasari, Casa Vasari. Pittura vasa-riana dal 1532 al 1554, Sottochiesa di San Fran-cesco, catalogo delle mostre vasariane, Arezzo, 26settembre - 29 novembre 1981, Edam, Firenze1981, pp. 230 e 231.67) G. Vasari, Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchicit., VI, 1987, pp. 177-198. Questa attribuzionedel passo sugli allievi del Sansovino a Cataneo(escludendo l’inserto su Ammannati che sembrainvece essere un appunto vasariano) si basa prin-cipalmente sull’analisi del testo. Tuttavia, giĂ  Giu-seppe Campori aveva attribuito al carrarese la pre-cisa ed esaustiva descrizione del monumentofunebre di Giano II Fregoso in Sant’Anastasia aVerona (G. Campori, Danese Cataneo. Scultore epoeta del XVI secolo, in ‘Il Buonarroti’, ser. II, VI,1871, pp. 149-162 [p. 152]). Sulla genesi dellabiografia di Sansovino, vedi Giorgio Vasari. Prin-cipi, letterati e artisti cit., pp. 234 e 235; C. Davis,La grande ‘Venezia’ a Londra, in ‘AntichitĂ  viva’,XXIII, 1984, 6, pp. 32-44 (pp. 40 e 41); R. Wil-liams, Vincenzio Borghini cit., pp. 261-265 eappendice n. 14. Davis attribuisce al figlio diJacopo, Francesco Sansovino, sia il manoscrittofiorentino che dovette servire come base della Vita(Firenze, Biblioteca della Galleria degli Uffizi,ms. 60, misc., I, ins. 23), sia le aggiunte alla stes-sa nella riedizione veneziana del 1570.68) Su queste aggiunte, vedi M. Collareta, Testi-monianze letterarie su Donatello cit., pp. 7-47(pp. 36-38). Leggi anche le considerazioni diCaglioti su una di queste opere, il perduto ‘Croci-fisso’ bronzeo, nella parte che segue, alla nota 49.69) G. Vasari, Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchicit., III, 1971, pp. 321-324.70) Libellus de magnificis ornamentis regie civi-tatis Padue Michaelis Savonarolae, a cura di A.Segarizzi, Lapi, CittĂ  di Castello 1902, p. VIII; perla menzione del ‘Gattamelata’, pp. 32 e 33.71) Pomponio Gaurico, De sculptura: (1504), acura di AndrĂ© Chastel e Robert Klein, Droz, GenĂš-ve 1969. Sul trattato, vedi anche l’apparato criticodell’edizione a cura di Paolo Cutolo (EdizioniScientifiche Italiane, Napoli 1999). Sul trattato eDonatello, ancora A. Chastel, Le traitĂ© de Gauri-cus et la critique donatellienne, in Donatello e ilsuo tempo cit., pp. 291-305.72) Der Anonimo Morelliano cit. La stesura prin-cipale della ‘Notizia’ sull’arte padovana (giĂ  com-prensiva dei riferimenti puntuali alle opere diAndrea Riccio e Antonio Minello) viene datata daMonika Schmitter fra il 1525 e il 1528 (TheDating of Marcantonio Michiel’s ‘Notizia’ cit.).Sulla Notizia, vedi anche i due saggi di JenniferFletcher, Marcantonio Michiel: His Friends andCollection, in ‘The Burlington Magazine’,CXXIII, 1981, pp. 453-467, e MarcantonioMichiel, ‘che ha veduto assai’, ivi, pp. 602-608.73) B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii cit.,p. 374. P. Gaurico, De Sculptura cit., p. 261.74) Giovanni Cavaccia, Aula Zabarella sive elogiaillustrium Patavinorum conditorisque urbis, Iaco-bus de Cadorinis, Padova 1670, incisioni n. 10 e ap. 125. La medaglia faceva forse parte di una col-lezione dinastica commissionata da GiacomoZabarella il Giovane nella terza decade del Sei-cento. Alle medaglie segnalate da Roberta Parise(Gli Zabarella di Padova: tre medaglie a loro

“secondo che scrive in una sua epistola latina mes-ser Girolamo Campagnuola a messer LeonicoTimeo filosofo greco, nella quale gli dĂ  notiziad’alcuni pittori vecchi che servirono quei da Car-rara, signori di Padova” (Vite, ed. R. Bettarini e P.Barocchi cit., III, 1971, p. 548). L’indicazione tro-va conferma nelle altre menzioni della lettera daparte di Vasari e Michiel, sempre e solamente inrapporto a pitture e a pittori. Invero, da un passovasariano si deduce che la lettera menzionavaanche Donatello, ma per il fatto che lo scultoreaveva condotto a Padova Paolo Uccello: “Fu con-dotto Paulo da Donato a Padova quando vi lavorĂČ,e vi dipinse nell’entrata della casa de’ Vitali diverde-terra alcuni giganti che, secondo ho trovatoin una lettera latina che scrive Girolamo Campa-gnola a messer Leonico Tomeo filosofo, sono tan-to belli che Andrea Mantegna ne faceva grandissi-mo conto” (p. 69). Sulla lettera vedi la nota 18.66) In una lettera del 20 gennaio 1565, Vasariinforma Cosimo I de’ Medici che la seconda partedelle Vite era stampata. Ma la stampa doveva giĂ essere iniziata prima dell’11 agosto 1564, se Vin-cenzio Borghini, a questa data, comunica a Vasaridi aver ricevuto le prime bozze e di essere giĂ intento a stenderne gli indici (K. Frey, Der Litera-rische Nachlass Giorgio Vasaris, Georg MĂŒller,MĂŒnchen 1930, II, n. CDLXXXIII, pp. 143-145;n. DXLIII, pp. 268-270). Sulla stampa della Giun-tina, vedi Charles Hope, Le Vite vasariane: unesempio di autore multiplo, in L’autore multiplo,atti del convegno del 18 ottobre 2002, a cura diAnna Santoni, Scuola Normale Superiore, Pisa2005, pp. 59-74 (p. 68). Nella Giuntina, Vasariricorda il contributo di Marco de’ Medici in dueluoghi: nella ‘Vita di Gentile da Fabriano e di Vit-tore Pisanello veronese’ (ed. R. Bettarini e P.Barocchi cit., III, 1971, p. 367) e nelle ‘Vite di fra’Iocondo e di Liberale e d’altri veronesi’ assieme aDanese Cataneo (IV, 1976, p. 599). Il domenicanoviene anche ricordato come architetto dilettante eamico di Michele Sanmicheli (V, 1984, pp. 370 e375) e di Francesco Torbido (IV, 1976, pp. 577 e578). Sulla sua collaborazione alla Giuntina, vedianche due lettere autografe: la prima del 21 feb-braio 1563 a Jacopo Guidi, da cui si deduce cheVasari aveva chiesto al Medici, attraverso Guidi,di emendare la Torrentiniana e colmarne le lacune(Vittoria Palli d’Addario, Documenti vasarianinell’Archivio Guidi, in Giorgio Vasari tra decora-zione ambientale e storiografia artistica, atti delconvegno di studi, Arezzo 8-10 ottobre 1981, acura di Gian Carlo Garfagnini, Olschki, Firenze1985, pp. 363-389 [pp. 388 e 389]); la seconda del7 settembre 1564 a Onofrio Panvinio, in cui ilMedici chiede al padre agostiniano, allora resi-dente a Roma, informazioni su fra’ Giocondo(Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 6412, c.139r, trascritta in Robert Williams, Vincenzo Bor-ghini and Vasari’s “Lives”, Ph.D. Dissertation,Princeton University 1988 [UMI 1989], pp. 258-261 e in appendice [n. 13]).Le conoscenze di Marco de’ Medici sull’artepadovana sono finora solo documentate dallapostilla che lo ricorda come estimatore dell’operadi Stefano dell’Arzere (Vite, Beinecke, p. 130). Lastessa postilla suggerisce che il domenicano visi-tasse la cittĂ  in un periodo, intorno al 1563, chebene si accorda con le indicazioni cronologichefornite dalle due lettere autografe sopracitate.Sono dunque forse da attribuire al Medici le breviinformazioni sull’arte della cittĂ  (piĂč un elenco dipunti da stendere che un testo elaborato) frettolo-samente incluse nella biografia di Carpaccio;aggiunte difficilmente attribuibili a Vasari (Vite,ed. R. Bettarini e P. Barocchi cit., III, pp. 621-622).Cataneo aveva risieduto a Padova tra il 1543 e il1548, lavorandovi come scultore e frequentando icircoli di Pietro Bembo e di Alvise Cornaro, e vi

dedicate, in ‘Bollettino del Museo Civico di Pado-va’, LXXVI, 1987, pp. 297-303) va aggiunta quel-la piĂč antica dedicata a Paolo Zabarella nel MĂŒnz-kabinett al Bode-Museum di Berlino che mi vienesegnalata da Francesco Caglioti (Die italienischenMedaillen der Renaissance und des Barock [1450bis 1750], a cura di Lore Börner, Gebr. Mann Ver-lag, Berlin 1997, n. 446). Sulla tela, attribuita aGhidoni da Giannantonio Moschini (Guida per lacittĂ  di Padova cit., p. 161), vedi W. Arslan, Inven-tario degli oggetti d’arte d’Italia cit., pp. 151 e152; L. Grossato, Padova. Guida ai monumenti ealle opere d’arte cit., p. 146.75) Del rarissimo opuscolo, per i tipi di GiulioCrivellari e Giacomo Bortoli, Padova 1637, segna-lato da Wart Arslan (Inventario degli oggetti d’ar-te d’Italia cit., p. 154), si trovano esemplari nellaCivica di Padova e nella Marucelliana di Firenze.Per una descrizione dell’opuscolo vedi Bibliogra-fia dell’Ordine dei Servi. III. Edizioni del secoloXVII (1601-1700), a cura di Pacifico Maria Bran-chesi, Centro di Studi O.S.M., Bologna 1973, p.303; Laura Coci, Bibliografia di Ferrante Pallavi-cino, in ‘Studi secenteschi’, XXIV, 1983, pp. 221-306 (p. 233); Raffaello Urbinati, Ferrante Pallavi-cino. Il flagello dei Barberini, Salerno Editrice,Roma 2004, p. 50 e nota 5. Il quadro di Ghidoniva anche collegato alla commissione di due tele daparte dei serviti a Luca Ferrari, perdute ma ricor-date da Pietro Brandolese sui lati del coro. Suquella raffigurante ‘Ardingo vescovo di Firenzeche veste con l’abito nero i sette fondatori dell’or-dine dei serviti’ Brandolese aveva letto la data1637 (Massimo Pirondini, Luca Ferrari, CreditoEmiliano, Merigo Art Books, Manerba - ReggioEmilia 1999, p. 222, cat. 19-20).76) Per la presunta collocazione sull’altare mag-giore, vedi il Diario o sia giornale per l’anno

46 [Saggi] 25. Padova, Santa Maria dei Servi, pianta.

[Saggi] 4726. Cappella del Crocifisso. Padova, Santa Maria dei Servi.

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82) Elena Urbani e Silvia GullĂŹ sostengono inveceche la cappella sia stata dimezzata in sĂ©guito ailavori cinquecenteschi finanziati dal Campolongo.Si noti tuttavia che solo la seconda autrice mostradi conoscere la descrizione settecentesca dellacappella (S. GullĂŹ, Il Crocifisso “miracoloso” cit.,p. 23; E. Urbani, Santa Maria dei Servi di Padova:a rchitettura e arte, in Padova. La Chiesa di S.Maria dei Servi. Restauro del portico cit., pp. 35-47 [p. 43]). Per il dettaglio delle finestre sullaparete orientale della chiesa va detto che, nono-stante le originali trecentesche fossero murate nel1511 in sĂ©guito alla costruzione del portico (sosti-tuite da altre quadrangolari aperte piĂč in alto inprossimitĂ  del tetto) e ripristinate solo nel 1929,non risulta essere mai stato alterato il rapportointero fra finestre e campate. Durante i lavori cin-quecenteschi erano invece state chiuse le due fine-stre ogivali trecentesche, che dovevano essere,come suppone Elena Urbani, nella parete di fondodella cappella (Santa Maria dedi Servi di Padova:a rchitettura e arte cit., p. 43).83) A. Barzon, ‘Il SS. Crocifisso e l’Addolorata’cit., figg. a p. 5.

bisestile 1764, Conzati, Padova 1764, p. 242; G.Ferretto, Memorie storiche cit., V, p. 104. Per unodei due documenti del 1421 vedi la nota 5; e perentrambi Caglioti qui accanto, testo e note 117-119.77) Padova. La Chiesa di S. Maria dei Servi.Restauro del portico cit.78) L. Grossato, Padova. Guida ai monumenti ealle opere d’arte cit., p. 146.79) IV centenario del miracoloso Crocifisso di S.Maria dei Servi cit., p. 3.80) In mancanza di una pianta esatta del santuario,ne riproduco una approssimativa tratta dallacopertina di A. Barzon, La Chiesa e il convento diSanta Maria dei Servi cit.81) Diario o sia giornale cit., p. 239. La descri-zione della cappella ù in gran parte trascritta da S.Gullì, Il Crocifisso “miracoloso” cit., p. 23.

84) L’iscrizione nel cartiglio sopra il ‘Crocifisso’ù trascritta in S. GullĂŹ, Il Crocifisso “miracoloso”cit., p. 24. L’epigrafe ottocentesca, commemorati-va dell’aggregazione della Confraternita all’Arci-confraternita del Crocifisso della chiesa romana diSan Marcello nel 1615, legge: “Hac Iesu ChristiIcone / anno ab eius ortu MDXII / humorem san-guineum ex vultu et latere / bis effundente / moxsub sanctissimae effigies et prodigiosi cruoris /invocatione / extitit sodalitium / anno MDCXVindulgentiis S. Marcelli Romae / auctum / dein totiservorum B. M. V. familiae / in meritorum com-munionem / adscitum / ut tot beneficiorum recor-dation(is) / magis perennet et posteros cieat idemsodalium coetus / memor et venerabundus / monu-mentum hoc / P. C. / anno MDCCCLIX”. Unaseconda epigrafe ottocentesca commemora inveceil rinnovo del privilegio da parte di papa Pio VII dicelebrare una messa speciale nel GiovedĂŹ Santoall’altare della cappella: “Pio VII Pont. Max. /redonatori / privilegii vetustate obliterati / quoliceat feria V. In coena Domini / sacrum ad aramhuius aediculae facere / semel ante solemne inperpetuum / Sanctissimi Crucifixi / sodalitas /monumentum / P. C. / MDCCCII” (trascritta in A.Barzon, La chiesa dei Servi cit., 1926, p. 43).85) Il bassorilievo del ‘San Girolamo’ viene asse-gnato a Donatello nel Diario sacro del 1764: “nelsecondo [altare] della nobile famiglia Campolon-go entro quadrata cornice siede la statua di SanGirolamo formata dal suddetto Donatello di gran-dezza umana in atto di scrivere, e dipinta al natu-rale” (Diario o sia giornale cit., p. 237). PietroBrandolese, fonte senz’altro piĂč affidabile, ricor-da invece che la scultura era tradizionalmenteattribuita, e a suo parere senza fondamento, adAndrea Riccio (Pitture, sculture, architetture cit.,p. 65). Del rilievo e del suo altare non vi Ăš traccianella chiesa; probabilmente asportati in sĂ©guito airadicali riallestimenti della parete, gli stessi chehanno comportato la distruzione del Mausoleo diPaolo e Angelo da Castro di cui oggi rimane sola-mente il rilievo in bronzo (sul monumento e i DaCastro, famiglia da tenere presente se si seguonole possibili vie che mettono in contatto Donatellocoi Servi di Padova, vedi qui accanto Caglioti allanota 116). È forse da collegare al perduto rilievoservita il ‘San Girolamo’ in terracotta attribuito aBellano (The Age of Titian. Venetian RenaissanceArt from Scottish Collections, catalogo dellamostra, 5 agosto - 5 dicembre 2004, a cura diAidan Weston-Lewis, National Galleries of Scot-land, Edinburgh 2004, cat. 179). Per la letteraturache pone fine all’attribuzione donatelliana dellastatua della ‘Madonna col Bambino’, oltre all’ar-gomentazione su base documentaria di Ronchi,non del tutto persuasiva (Notizie di documenti ine-diti del secolo XV intorno alla chiesa di S. Mariadei Servi, in A. Barzon, La chiesa e il convento diS. Maria dei Servi cit., pp. 20-28 [pp. 25 e 26]),vedi le osservazioni di H. Kauffmann, Donatellocit., p. 234 (nota 389); e di F. A. Dal Pino e L.Mulato, Santa Maria dei Servi di Padova: storiacit., pp. 25, 26 e nota 29. Per la longeva attribu-zione donatelliana, vedi invece Angelo Portenari,Della felicitĂ  di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Pado-va 1623, p. 460 (un riassunto di notizie tratte daPortenari, che include l’attribuzione a Donatellodella statua della Vergine, Ăš nel manoscritto ano-nimo, anch’esso datato 1623 ma pubblicato nel1839, Antichi e moderni pregi e onori della R. cit-tĂ  di Padova, Tipografia Penada, Padova); G. Ros-setti, Descrizione delle pitture, sculture, ed archi-tetture di Padova cit., 1780, pp. 264 e 265; G.Moschini, Guida per la cittĂ  di Padova cit., pp.158 e 159; G. Ferretto, Memorie storiche cit., V,pp. 80 e 81. La statua, come rammenta Cagliotialla nota 17, Ăš ora attribuita a Rainaldino di Fran-cia. A inspessire ulteriormente il sentimento diuna presenza donatelliana nella chiesa sono il put-to reggiscudo in rilievo sul protiro (illustrato inPadova. La Chiesa di S. Maria dei Servi. Restau-

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27. ‘Crocifisso miracoloso’. Padova, Santa Maria dei Servi (stato fra il 1912 e il Secondo Dopoguerra).

ro del portico cit., p. 38) e il tondo in terracottapolicroma di una ‘Madonna col Bambino’, che miha fatto notare Francesco Caglioti, murato sullaparete occidentale in prossimità della Cappella delSacro Cuore. Il tondo viene solo brevemente men-zionato da Lionello Puppi e Giuseppe Toffanin(Guida di Padova cit., p. 145) e da Elena Urbani(Santa Maria dei Servi di Padova: architettura earte cit., p. 43) come di dubbia attribuzione dona-telliana.86) Erice Rigoni, Notizie di scultori toscani aPadova nella prima metà del Quattrocento, in‘Archivio Veneto’, s. V, VI, 1929, pp. 118-136; perla citazione di Giovanni da Feltre, vedi p. 126(nota 4). Allargando il raggio di questa conclusio-ne si potrebbero includere anche i documenti del-

l’Arca del Santo relativi a un ‘Crocifisso’ nellabasilica al cui basamento lo scultore GiovanniNanni lavora negli anni a ridosso della realizza-zione del ‘Crocifisso’ bronzeo (A. Sartori, Archi-vio Sartori. Documenti di storia e arte francesca-na. I. Basilica e Convento del Santo, a cura di Gio-vanni Luisetto, Biblioteca Antoniana, Basilica delSanto, Padova 1983, pp. 213-214; e sulle contro-verse interpretazioni del documento, lo stesso Sar-tori e Geraldine A. Johnson, The Original Place-ment of Donatello’s Bronze Crucifix in the Santoin Padua, in ‘The Burlington Magazine’,CXXXIX, 1997, pp. 860-862), e infine il ‘Croci-fisso’ ligneo della chiesa di Santa Margherita diVigonza, recentemente restaurato, associato a undocumento del 27 aprile 1434 che ricorda un

“Crocifixo magno” eseguito da NiccolĂČ Baroncel-li (E. Rigoni, Notizie di scultori toscani a Padovacit., p. 132; Dall’Adige alle Alpi. Tesori ritrovatidella Chiesa di Padova, catalogo della mostra acura di Andrea Nante, Padova, Museo Diocesano ePalazzo Vescovile, 15 marzo - 1 giugno 2003,Museo Diocesano di Padova, Padova 2003, cat. 5,pp. 48-52 [scheda di Giuliana Ericani]; e Cagliotiqui accanto, passim, con ulteriori notizie sui ‘Cro-cifissi’ baroncelliani di Padova e di Ferrara).87) Per il documento orvietano e il ricordo di Gio-vanni Chellini, e per la loro bibliografia, vedi daultimo U. Pfisterer, Donatello cit., pp. 488 n. 1 e493 n. 15 (Appendice A); per Vasari, Vite, ed. R.Bettarini e P. Barocchi cit., III, 1971, p. 216. Sul‘Battista’, Francesco Valcanover, Lorenzo Lazza-rini, Il San Giovanni Battista di Donatello ai Fra-ri, in ‘Quaderni della Soprintendenza ai Beni Arti-stici e Storici di Venezia’, 8, 1979, pp. 23-32; eCaglioti qui accanto, passim.88) G. Vasari, Vite, ed. R. Bettarini e P. Barocchicit., III, 1971, pp. 204-206.89) Sui Crocifissi di Santa Croce e di Santa MariaNovella, vedi in part. Margrit Lisner, Holzkruzifi-xe in Florenz und in der Toskana von der Zeit um1300 bis zum frĂŒhen Cinquecento, Bruckmann,MĂŒnchen 1970, spec. pp. 54-57, figg. 105-108,111-113; e ora Caglioti qui a fianco, passim. Sul‘Crocifisso’ del Bosco ai Frati, vedi AlessandroParronchi, Il Crocifisso del Bosco, in Scritti di sto-ria dell’arte in onore di Mario Salmi, De Luca,Roma 1962, II, pp. 233-262. Riferendo l’aneddo-to vasariano al ‘Crocifisso’ di San Bonaventura alBosco, Parronchi proponeva con nuovi argomentil’attribuzione del ‘Crocifisso’ di Santa Croce aNanni di Banco (L’autore del ‘Crocifisso’ di SantaCroce: Nanni di Banco, in ‘Prospettiva’, 6, 1976,pp. 50-55), giĂ  avanzata da Jenö Lanyi (Zur Prag-matik der Florentiner Quattrocentoplastik, in‘Kritische Berichte zur kunstgeschichtlichen Lite-ratur’, VI, 1937, pp. 126-131). Di diverso parere,Lisner restituiva il ‘Crocifisso’ di Santa Croce aDonatello e proponeva il nome di Desiderio daSettignano per il ‘Crocifisso’ del Bosco (Intornoal Crocifisso di Donatello in Santa Croce, inDonatello e il suo tempo cit., pp. 115-129; Holz-kruzifixe in Florenz cit., pp. 73 e 74, e figg. 146-150). Ma anche su tale opera vedi ora ampiamen-te Caglioti qui di sĂ©guito.

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28. Rainaldino di Francia: ‘Madonna col Bambino’(1400 circa). Padova, Santa Maria dei Servi, Altaredell’Addolorata.