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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO Dottorato di Ricerca in Letterature euro-americane XXIV ciclo Tesi di Dottorato di Ricerca “I think, therefore I connect” Database, connessionismo ed esopoiesi nel romanzo anglo-americano (1995-2011) Supervisore: prof. Valeria Gennero Dottorando: Ugo Panzani Matr. n° 1008680 Settore scientifico-disciplinare: L-LIN/11 - Lingue e letterature anglo-americane Anno accademico 2010/2011 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO

Dottorato di Ricerca in Letterature euro-americane

XXIV ciclo

Tesi di Dottorato di Ricerca

“I think, therefore I connect”

Database, connessionismo ed esopoiesi nel romanzo anglo-americano (1995-2011)

Supervisore: prof. Valeria Gennero

Dottorando: Ugo Panzani

Matr. n° 1008680

Settore scientifico-disciplinare: L-LIN/11 - Lingue e letterature anglo-americane

Anno accademico 2010/2011

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Indice0 Introduzione 4

1 Il lettore “assoluto” e il regime computazionale 26

2 Database e narrazione 452.1 Infinite Jest - Narrazione, enciclopedia e database 472.2 The Unknown - “Database and narrative are natural enemies” 642.3 Pattern Recognition - Dal database alla narrazione 772.4 Flight Paths e Only Revolutions - Narrazione, database e

transletteratura89

3 Network culture, connessionismo e narrazione 1123.1 Reti e personaggi mediali 1123.2 Romanzo e novum 1313.3 Romanzo e complessità 1473.4 Romanzo e connessionismo 1613.4.1 Infinite Jest e The Unknown 1613.4.2 Connessionismo: nozioni teoriche 1643.4.3 Iterazione 1683.4.4 Narrazione distribuita 1853.4.5 Il subsimbolismo di Only Revolutions 193

4 Il romanzo fuori da se stesso: autopoiesi ed esopoiesi 201

Bibliografia 226

3

§ 0 - Introduzione

Hans Bertens, nel capitolo conclusivo della sua storia del concetto di postmoderno,

traccia un parallelismo tra la trama di Ratner’s Star di Don DeLillo e lo stato attuale delle

teorie sulla postmodernità. DeLillo descrive un pianeta terra minacciato da un suo

pericoloso ingresso in una zona del cosmo denominata «Mohole», dal nome dello

scienziato che l’ha teorizzata. In questa zona le usuali leggi universali della fisica non

vengono applicate, di conseguenza, quando la Terra vi entra, tutte le forme di

rappresentazione cessano di funzionare. Come spiega Bertens:

A good many theoretizations of the postmodern suggest that for some time now we have been finding ourselves in the middle of a moral, political and cognitive mohole and, indeed, may never get out on the other side. At the surface there is much to support that proposition. As in DeLillo’s novel, the end of representation – the postmodern mohole – has sent us scrambling in various directions.1

La teoria appare confusa, «scrambling in various directions», consapevole di essere

entrata in una “zona” in cui non soltanto la natura opprimente del linguaggio genera una

crisi della validità di ogni forma di rappresentazione artistica e critica, ma anche in cui

l’unica possibilità appare quella di riflettere costantemente su tale crisi. Parallelamente,

nel corso degli anni Novanta, anche gli scrittori di narrativa appaiono affannarsi in varie

direzioni, influenzati da un lato dalla narrativa postmoderna degli anni Ottanta e al

contempo desiderosi di evadere da una crisi dichiarata come insopprimibile dai propri

predecessori. In Galatea 2.2 (1996), romanzo di Richard Powers sospeso tra fiction ed

autobiografia, il protagonista Rick2, romanziere di successo con un passato da ricercatore

universitario, torna a frequentare i corridoi del dipartimento di inglese dopo un lungo

periodo sabbatico, manifestando tuttavia un profondo senso di timore nei confronti

dell’evoluzione teorica del postmodernismo e del poststrutturalismo:

1 Hans Bertens, The Idea of the Postmodern. A History, London - New York: Routledge, 1995, p. 239. Corsivo aggiunto.

2 Richard Powers, Galatea 2.2 (GL), London: Abacus, c1995. Galatea 2.2 rappresenta un usuale esempio di autofiction, in cui espliciti elementi autobiografici si mescolano alla natura fittizia della trama. Il protagonista si chiama «Richard Powers», esattamente come l’autore del romanzo. Al fine di evitare confusioni, si seguirà l’esempio di alcuni studiosi che si sono occupati di Galatea 2.2, citando il protagonista con il soprannome Rick, attribuitogli da altri personaggi, e con “Richard Powers” l’autore del libro.

4

Criticism had gotten more involuted while I was away. The author was dead, the text-function a plot to preserve illicit privilege, and meaning an ambiguous social construction of no more than sardonic interest. Theory had grown too difficult for me, too subtle. It out-Heroded Herod. […].The halls rippled with an intellectual energy steeped in aggression. It took me a long time to see what that energy was. It was fear. Fear that everything theory professed might be true. Pure panic that the world didn't need them anymore. (GL, 242).

L’autoconsapevolezza dei limiti dell’arte può essere interpretata come un sintomo

della compresenza di indeterminatezza ed immanenza, due aspetti complementari (e non

opposti tra loro) della cultura contemporanea che secondo lo studioso Ihab Hassan

definiscono esaurientemente il concetto di postmodernismo. In particolar modo, la prima

nozione è per certi versi un aggiornamento di determinate idee di disordine e

d’irrazionalità dionisiaca:

By indeterminacy, or better still, indeterminacies, I mean a complex referent that these diverse concepts help to delineate: ambiguity, discontinuity, heterodoxy, pluralism, randomness, revolt, perversion, deformation. The latter alone subsumes a dozen current terms of unmaking: decreation, disintegration, deconstruction, decenterment, displacement, difference, discontinuity, disjunction, disappearance, decomposition, de-definition, demystification, detotalization, delegitimization––let alone more technical terms referring to the rhetoric of irony, rupture, silence. Through all these signs moves a vast will to unmaking, affecting the body politic, the body cognitive, the erotic body, the individual psyche-the entire realm of discourse in the West. […]3

Affine all’idea di un disordine generico ed indeterminato è il concetto di sublime

postmoderno teorizzato da Fredric Jameson. Come spiega il filosofo americano, già

Edmund Burke aveva teorizzato un concetto di sublime come esperienza di qualcosa di

talmente grande da provocare stupore, meraviglia e terrore. Kant successivamente

elaborò una teoria del sublime basata sull’incapacità della mente umana di percepire e di

rappresentare l’incommensurabilità delle forze naturali, suscitando da un lato un senso di

scoramento emotivo dovuto alla limitatezza delle potenzialità percettive umane e

dall’altro un paradossale piacere intellettuale dovuto alla capacità della propria mente di

compiere in ogni caso delle speculazioni razionali in merito all’incommensurabile.

Jameson contrappone al sublime di Burke e Kant, relativo ad un’immensità di carattere

divino o naturale, un sublime tardocapitalista, materiale ed ineffabile al contempo:

3 Ihab Hassan, “Toward a Concept of Postmodernism,” in The Dismemberment of Orpheus. Toward a Postmodern Literature, 2nd ed., Wisconsin: Madison, 1982, ristampato in The Postmodern Turn. Essays in Postmodern Literature and Culture, 2nd ed., Christchurch (NZL): Cybereditions, 2001, pp. 122-123. Hassan conia il neologismo «indetermanence», univerbando le due nozioni.

5

I want to suggest that our faulty representations of some immense communicational and computer network are themselves but a distorted figuration of something even deeper, namely, the whole world system of a present-day multinational capitalism. The technology of contemporary society is therefore mesmerizing and fascinating not so much in its own right but because it seems to offer some privileged representational shorthand for grasping a network of power and control even more difficult for our minds and imaginations to grasp: the whole new de-centered global network of the third stage of capital itself. […] It is in terms of that enormous and threatening, yet only dimly perceivable, other reality of economic and social institutions that, in my opinion, the postmodern sublime can alone be theorized.4

È possibile riscontrare come Jameson, negando che il concetto di sublime isterico

coincida meramente con la raffigurazione di un contesto occidentale dominato dalla

tecnologia telematica e da un senso di cospirazione e di paranoia (o, come scrive

Jameson, di «high-tech paranoia»5), in altre parole da un sistema di connessioni

inafferrabili dall’intelletto individuale, espliciti il fatto che i nuovi media informatici e

telematici degli ultimi decenni siano penetrati all’interno dell’immaginario comune come

una componente rilevante dell’indeterminatezza e del disordine che caratterizza il

contesto culturale occidentale. La diagnosi di tale congiuntura è in particolar modo tipica

del romanzo della postmodernità, a partire dal filone cyberpunk caratterizzato da opere

come Neuromancer (1984) di William Gibson sino ad arrivare a romanzi maggiormente

incentrati su scenari sociali verosimili. Ancora in Underworld (1997) di DeLillo

compaiono descrizioni decisamente assimilabili a un’idea di sublime postmoderno:

There is no space or time out here, or in here, or wherever she is. There are only connections. Everything is connected. All human knowledge gathered and linked, hyperlinked, this site leading to that, this fact referenced to that, a keystroke, a mouse-click, a password— world without end, amen. 6

But she is in cyberspace, not heaven, and she feels the grip of systems. This is why she's so uneasy. There is a presence here, a thing implied, something vast and bright. She senses the paranoia of the web, the net. There's the perennial threat of virus of course. […] it's a glow, a lustrous rushing force that seems to flow from a billion distant net nodes. 7

Questa descrizione del cyberspazio, inserita da Don DeLillo all’interno dell’epilogo di

Underworld (1997), racchiude sentimenti contrastanti. Da un lato l’insieme delle

connessioni che compongono la rete viene considerato come una miracolosa iperbole

dell’interconnessione umana, uno spazio astratto dove tutti i temi e tutti i personaggi del

4 Fredric Jameson, Postmodernism or The Cultural Logic of Late Capitalism, Durham: Duke University Press, 1992, p. 38.

5 Ibidem.6 Don DeLillo, Underworld, New York: Scribner, 1997, p. 825.7 Ibidem.

6

romanzo convergono; dall’altro il cyberspazio appare come un universo parallelo e

minaccioso, in grado di consumare l’integrità ontologica del soggetto che vi penetra al

fine di collegarsi con una mole indefinita di dati e di altri soggetti. Questa compresenza

di desiderio e timore nei confronti di una condivisione degli spazi e delle conoscenze ha

portato nel tempo ad una complicazione del concetto d’indeterminatezza, il quale, nel

momento in cui viene correlato alla presenza di nuovi mezzi di comunicazione,

sembrerebbe assumere nuove peculiarità, che vanno al di là di una disorientamento del

soggetto dinnanzi alla gran mole di dati ricevuti.

Come spiegano ad esempio Jay David Bolter e Richard Grusin, stiamo assistendo ad

una sostanziale rimediazione (remediation) dei mezzi di comunicazione: «Our culture

wants both to multiply its media and to erase all traces of mediation: ideally, it wants to

erase its media in the very act of multiplying them».8 Secondo la studiosa di nuovi media

Katherine Hayles, la rimediazione prevede delle caratteristiche quasi biologiche di

imitazione, cooperazione, competizione e parassitismo: gli schermi dei computer

assomigliano a quelli dei televisori, che a loro volta vengono realizzati con differenti

finestre per richiamare le interfacce dei computer; leggiamo al computer utilizzando dei

programmi che imitano i testi stampati e, allo stesso tempo, alcuni libri stanno

cominciando a diventare ipertestuali e frammentari come i siti Internet.9 Hayles espande

il concetto di rimediazione, ritenendo che gli esseri umani e i nuovi media siano

approdati ad una fase di intermediazione (intermediation):

Complex feedback loops connect humans and machines, old technologies and new, language and code, analog processes and digital fragmentations. Although these feedback loops evolve over time and thus have a historical trajectory that arcs from one point to another, it is important not to make the mistake of privileging any one point as the primary locus of attention, which can easily result in flattening complex interactions back into linear causal chains.10

L'intermediazione porta al rischio di trascurare la coevoluzione dei vari fattori e di

conseguenza di privilegiare un punto di vista rispetto a un altro, ma causa anche una

frequente condivisione di forme, materiali e contenuti, che subiscono un continuo

processo di ricontestualizzazione. A tal proposito, Mark Poster nel suo saggio What’s the

matter with the Internet?, spiega come determinati oggetti culturali – come i testi

stampati, le immagini o le trasmissioni televisive – siano usualmente caratterizzati da un

processo di sovradeterminazione (overdetermination), nel momento in cui un solo

8 Jay David Bolter e Richard Grusin, Remediation. Understanding New Media, Cambridge (MA) - London: The MIT Press, 2000, p. 5.

9 N. Katherine Hayles, Writing Machines, Cambridge (MA) - London: The MIT Press, 2002, p. 5.10 Hayles 2005, 31.

7

oggetto è rivestito di molteplici significati e richiami a contesti culturali

cronologicamente e geograficamente differenti. Diversamente, la crescente utilizzazione

di Internet provoca una trasgressione dei limiti dei media “ordinari” nel momento in cui

favorisce una sottodeterminazione (underdetermination) di alcuni oggetti, che sono aperti

ad una libera rielaborazione da parte di fruitori/autori che agiscono in contesti

completamente diversi. Ad esempio, è possibile scaricare un'immagine dalla rete e

successivamente ritoccarla tramite applicazioni specifiche, inserirla all'interno di un

testo, combinarla con immagini e suoni ed infine pubblicarla su un sito internet:

Not only are these objects formed by distinct practices, discourses, and institutional frames, each of which participates in and exemplifies the contradictions of capitalism and the nation-state, but they are also open to practice; they do not direct agents into clear paths; they solicit instead social construction and cultural creation.11

Se gli oggetti e i messaggi diventano sempre meno definiti e immodificabili e sempre

più sottodeterminati e aperti a nuove modificazioni e reinterpretazioni, allo stesso tempo i

soggetti contribuiscono alla creazione di soggetti collettivi in cui le conoscenze e gli atti

interpretativi vengono condivisi, suscitando una diminuzione del disorientamento

dell’individuo dinnanzi all’overload informativo. Come scrive ad esempio Pierre Levy:

Le point capital est ici l'objectivation partielle du monde virtuel de significations livré au partage et à la réinterprétation des participants dans les dispositifs de communication tous-tous. Cette objectivation dynamique d'un contexte collectif est un opérateur d'intelligence collective, une sorte de lien vivant tenant lieu de mémoire, ou de conscience commune. Une subjectivation vivante renvoie à une objectivation dynamique. L'objet commun suscite dialectiquement un sujet collectif.12

L’idea di un’indeterminatezza sempre meno “subita” e sempre più “potenziale” in

quanto caratterizzata dall’espansione delle intelligenze collettive e dal crescente grado di

sottodeterminazione degli oggetti culturali, è alla base di una cultura della convergenza

che si sta sviluppando nel corso degli ultimi decenni grazie alla rimediazione e

all'intermediazione dei mezzi di comunicazione. Come spiega Henry Jenkins, questa

convergenza sta lentamente gettando le basi di una crescente partecipazione culturale che

tuttavia necessita ancora di essere compresa appieno: «The term, participatory culture,

11 Mark Poster, What’s the matter with the Internet?, Minneapolis: University of Minnesota Press, 2001, pp. 17-18.

12 Pierre Levy, L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace (1994), [trad. it. di D. Feroldi – M. Colò, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano: Feltrinelli, 2002, pp. 64-68].

8

contrasts with older notions of passive media spectatorship. Rather than talking about

media producers and consumers as occupying separate roles, we might now see them as

participants who interact with each other according to a new set of rules that none of us

fully understands».13

Una prospettiva interessante è quella di Harold J. Morowitz, che propone un’ontologia

dinamica basata su un aumento della complessità attraverso una serie di emergenze

(emergences), vale a dire di proprietà non inerenti alle componenti di un determinato

sistema, bensì alle interazioni tra le componenti medesime.14 Per Morowitz, è possibile

riscontrare tre grandi emergenze nella Storia: la nascita del cosmo, quella della vita e

quella della mente umana. In particolare, sicuramente a partire dal 3000 a.C. o anche

prima, il terzo stadio passò attraverso un’ulteriore fase di complessità in virtù della

nascita della filosofia in seno alle varie culture: «There was reflexive turning back on

some of the earlier emergences in an effort at self-understanding. The ongoing search for

fundamentals in all domains that we designate as philosophy and natural philosophy

emerged».15 Secondo N. Katherine Hayles, questo «reflexive turning back» coincide con

la sistematizzazione della capacità della mente umana di riflettere sulla mente stessa.16

Morowitz identifica un’ulteriore aumento di complessità del terzo stadio con la presenza

della noosfera, un concetto introdotto dal pensatore Teilhard de Chardin.

Teilhard de Chardin argues that the emergence of mind along the evolutionary pathway of mind along the evolutionary pathway of the hominids was as globally significant as had been the origin of life. Our epistemological discussion certainly reinforces this point. And just as life has spread out and covered the planet, he reasoned that mind also was globalized; just as life gave rise to the biosphere as its planetary embodiment, mind gave rise to the “noosphere,” the collective mental activity of Homo sapiens.I once regarded noosphere as a rather poetic term of the French savant, but now I see the World Wide Web as a reification or instantiation of the noosphere […].17

13 Henry Jenkins, Convergence Culture, New York - London : New York University Press, 2006, p. 3. Affine all’idea di una «cultura partecipativa», è la nozione di «prosumption» suggerita da Don Tapscott. Cfr. Don Tapscott, Grown Up Digital, New York: McGraw-Hill, 2009, pp. 89-91. Sul versante politico, è possibile ricordare il concetto introdotto da Doris Teske di Internet come un «third space», un luogo alternativo all’opposizione binaria che si articola in un primo spazio dominato dai poteri politici e in un secondo spazio coincidente con la controcultura. Cfr. Doris Teske, “Beyond Postmodernist Thirdspace? – The Internet in a Post-Postmodern World,” in Klaus Stierstorfer (a cura di), Beyond Postmodernism. Reassessments in Literature, Theory and Culture, Berlin – New York: Walter de Gruyter, 2003, pp. 101-117; p. 102.

14 Harold J. Morowitz, The Emergence of Everything. How The World became Complex, Oxford: Oxford University Press, 2002, pp. 1-15.

15 Ibidem, p. 37.16 N. Katherine Hayles, My Mother Was a Computer. Digital Subjects and Literary Texts, Chicago: The

University of Chicago Press, 2005, pp. 25-26.17 Morowitz, 2002, p. 175.

9

Da uno stadio di acuta consapevolezza, e di grande capacità dell’uomo nel riflettere su

stesso, si passerebbe di conseguenza ad una fase d’intelligenza collettiva. Tralasciando le

prospettive utopiche contenute nell’ontologia dinamica di Morowitz, è interessante

rilevare come l’idea di partecipazione condivisa dell’informazione e della conoscenza (e

la sua reificazione nelle pratiche favorite dall’utilizzazione di Internet) venga interpretata

come un passaggio immediatamente successivo ad un contesto culturale caratterizzato

dalla riflessività e da un elevato livello di autoconsapevolezza, ben testimoniato ad

esempio da una riflessione effettuata da Rick in Galatea 2.2:

Every era mints its trademark desolation. Mine lay in how much my time had come to see and hear. We seemed to be on the verge of a new evolution in consciousness. We'd hit upon collective awareness. Then, awareness of awareness. Now we were taking one giant step back from vantage, wrecked by how smoky the portal was, how clouded over.The mind was one of those spy-in-the-sky satellites capable of reading license plates from outer space. Only now it was learning how to pan back. To see the assault tank the plate belonged to. To notice that tanks were everywhere. That space was deeper than any satellite supposed. (GL, 242).

In tal senso è opportuno tenere in considerazione il secondo concetto che, secondo

Hassan, ben descrive il clima culturale postmodernista.

Immanence, a term that I employ without religious echo to designate the capacity of mind to generalize itself in symbols, intervene more and more into nature, act upon itself through its own abstractions and so become, increasingly, immediately, by its own environment. This noetic tendency may be evoked further by such sundry concepts as diffusion, dissemination, pulsion, interplay, communication, interdependence, which all derive from the emergence of human beings as language animals, homo pictor or homo significans, gnostic creatures constituting themselves, and determinedly their universe, by symbols of their own making.18

L’uomo postmoderno è a tutti gli effetti un homo significans che deve destreggiarsi tra

simulacri sempre più complessi, all’interno di una gabbia creata dal linguaggio dalla

quale non si pensa più di evadere per spiccare il volo nei cieli astratti della trascendenza e

della metafisica. L’individuo prende coscienza del proprio inesorabile status di “creatura

gnostica”, ma allo stesso tempo rimane silenzioso nei confronti dell’«indeterminatezza»,

sommerso dal “rumore bianco” generato da un’eccessiva mole di dati, significazioni e

differenze. L’immanenza può essere considerata una sorta di umbrella concept all’interno

del quale possono ragionevolmente rientrare molte delle proposte teoriche

tradizionalmente associate al postmoderno, quali, ad esempio, l’incredulità nei confronti

delle grandi narrazioni diagnosticata da Jean François Lyotard, lo smarrimento del

18 Hassan, 2001, pp. 122-123.

10

significato e l’iperrealtà caratterizzata dalla proliferazione dei simulacri denunciati da

Jean Baudrillard od il concetto di différance introdotto da Jacques Derrida.19

Se l’individuo sembra disperso in un mare indecifrabile di connessioni, incapace di

elaborare una coerente interpretazione del mondo circostante, ed appare sovente impedito

a utilizzare il linguaggio in maniera “sociale” al fine di stabilire un effettivo dialogo con

gli altri individui e con l’ambiente che lo circonda, anche i romanzieri postmoderni

nutrono dei forti dubbi in merito alle possibilità di rappresentare il mondo. Questa epoca

del disincanto coinvolge anche la narrativa ed in particolare il genere romanzesco. A

partire dagli anni Sessanta, la narrativa postmodernista è stata profondamente segnata da

un senso di inabilità a descrivere le complesse connessioni che caratterizzano lo scenario

culturale e mediatico delle società occidentali. Sono innumerevoli gli esempi di narrativa

postmoderna statunitense che ritraggono questo senso di disordine e incomunicabilità. In

questa sede, al fine di ricordare al lettore degli esempi concreti, è possibile citare alcuni

titoli molto diversi tra loro, come The Crying of Lot 49 (1966) o Gravity’s Rainbow

(1973) di Thomas Pynchon, American Psycho (1991) di Bret Easton Ellis o New York

Trilogy (1987) di Paul Auster. Ad esempio, in quest’ultima opera, è possibile ritrovare

brani in cui viene diagnosticata una crescente e consapevole incapacità del linguaggio di

riferirsi validamente agli oggetti del mondo circostante:

Yes. A language that will at last say what we have to say. For our words no longer correspond to the world. When things were whole, we felt confident that our words could express them. But little by little these things have broken apart, shattered, collapsed into chaos. And yet our words have remained the same. They have not adapted themselves to the new reality. Hence, every time we try to speak of what we see, we speak falsely, distorting the very thing we are trying to represent. It's made a mess of everything.20

L’individuo si ritrova impossibilitato ad utilizzare il linguaggio al fine di comunicare

coerentemente con gli altri membri della propria comunità, a causa della relazione

arbitraria che intercorre tra significanti e significato; inoltre i processi epistemologici

vengono costantemente sabotati da una rete di connessioni indecifrabili. Ancora nel 2003,

all’interno di Pattern Recognition, primo romanzo ambientato nell’attualità

contemporanea dal capostipite del filone cyberpunk William Gibson, possiamo trovare

una rielaborazione di questo senso di spaesamento sotto l’esauriente etichetta di

«apofenia», «the spontaneous perception of connections and meaningfulness in unrelated

19 Cfr. Jean-François Lyotard, La condition postmoderne. Rapport sur le savoir, Paris: Les Editions de Minuit, 1979. Jean Baudrillard, Simulacres et Simulation, Paris: Editions Galilée, 1981. Jacques Derrida, De la grammatologie, Paris: Les Éditions de Minuit, 1967.

20 Paul Auster, New York Trilogy, London: Penguin, 1987, p. 121. Corsivo aggiunto.

11

things».21

Apophenia. She stares blankly into the cold, beautifully illuminated interior of Damien's German fridge. What if the sense of nascent meaning they all perceive in the footage is simply that: an illusion of meaningfulness, faulty pattern recognition? She's been over this with Parkaboy and he's taken it places (the neuromechanics of hallucination, August Strindberg's personal account of his psychotic break, and a peak drug experience during his teens in which he, Parkaboy, had felt himself to be channeling some kind of Linear B angelic machine language"), none of which have really helped.22

In questo brano, la protagonista ritiene illusoria la propria capacità di comprendere i

legami di significato, come se si trattasse unicamente di un processo errato di «pattern

recognition», un termine – preso in prestito dalle teorie concernenti il funzionamento

delle reti neurali e delle intelligenze artificiali – che indica la facoltà dell’intelligenza di

classificare diverse strutture (patterns) sulla base delle loro differenze o somiglianze e

quindi di saperli riconoscere e distinguere.23 L’incapacità di cogliere un'obiettiva

relazione di senso tra i vari oggetti che vengono percepiti, l’inadeguatezza del linguaggio

nel comunicare e descrivere lo stato delle cose, vengono singolarmente posti in

opposizione dai due protagonisti del romanzo di Gibson ad una sorta di “angelico

linguaggio macchina” con cui sono scritti i programmi eseguibili per i computer, come se

le potenzialità cognitive e descrittive fossero ormai un esclusivo appannaggio delle

intelligenze non umane.

In un’altra sede, Hayles sostiene inoltre che vi sia un cambio di dominante (che non

implica logicamente l’annullamento dell’impostazione precedente) da una dialettica

impostata sull’opposizione tra presenza ed assenza ad una dialettica basata

sull’opposizione tra pattern e randomness.24 Questi ultimi due termini possono

21 William Gibson, Pattern Recognition, London: Penguin, 2003, p. 77. Corsivo aggiunto.22 Ibidem.23 Cfr. Paul Cilliers, Complexity & Postmodernism. Understanding Complex Systems, London - New

York: Routledge, 1998, p. 29: «An example of [pattern recognition] would be a network that can recognise different types of vehicles by the noise they make. By training the network with, for example, the noise-spectrum produced by a group of motorbikes, motorcars and trucks, the network will learn to distinguish between them.If the training examples were representative of each class, the network will afterwards be able to classify a specific type of motorcar as motorcar, even if it has not encountered that specific type before. The network does not develop a specific algorithm for performing the recognition task; it merely multiplies the input information through the network.».

24 N. Katherine Hayles, How We Became Posthuman. Virtual Bodies in Cybernetics, Literature, and Informatics, Chicago: The University of Chicago Press, 1999, p. 39. Hayles traccia tale distinzione per avallare la sua tesi relativa alla necessità di considerare come una grande narrazione il senso diffuso di perdita della materialità da parte dell'essere umano, che viene sempre più spesso raffigurato e interpretato come una coscienza e un'intellligenza disincarnata. Per questo motivo, ha a cuore il concetto di presenza in quanto presenza materiale. Nondimeno, il breve accenno da lei proposto in merito a un progressivo cambio di dominante tra la dialettica che intercorre tra presenza e assenza e la dialettica che intercorre tra pattern e randomness è utile al fine di considerare il concetto di costituzione del pattern come rappresentativo di una modalità di approccio al mondo esteriore da parte degli

12

preliminarmente essere considerati come sinonimi di “informazione” e di “non-

informazione”. Il pattern è in pratica una combinazione di elementi che costituiscono un

messaggio, che successivamente può essere trasmesso tramite un segnale (dotato o meno

di un significato per il ricevente). La randomness indica – in base ad una prima

definizione – un massimo possibile di segnali presente nel sistema e di conseguenza può

essere paragonata ad uno stato di entropia o disordine. Ad esempio il pattern potrebbe

essere considerato come un organismo vivente, in opposizione ad una randomness

equivalente ad una totale assenza di vita all’interno del sistema; similmente il pattern può

essere paragonato ad una melodia mentre la randomness ad uno stato di rumore assoluto.

Attraverso l’apporto teorico fornito da Derrida e da altri studiosi, il decostruzionismo ha

elaborato una disincantata diagnosi dell’assenza e dell’instabilità di ogni modello

scientifico, discorso ideologico, principio metafisico o addirittura di ogni linguaggio

tramite cui l’individuo è solitamente in grado di articolare una stabilità del proprio Io,

traendo un significato da un’origine ben precisa (una religione, un’ideologia o dei

modelli scientifici).

It is now a familiar story how deconstruction exposed the inability of systems to posit their own origins, thus ungrounding signification and rendering meaning indeterminate. As the presence/absence hierarchy was destabilized and as absence was privileged over presence, lack displaced plenitude, and desire usurped certitude. […] Just as the metaphysics of presence required an originary plenitude to articulate the self, deconstruction required a metaphysics of presence [sic] to articulate the destabilization of that self.By contrast pattern/randomness is underlaid by a very different set of assumptions. In this dialectic, meaning is not front-loaded into the system, and the origin does not act to ground signification. 25

La dialettica che intercorre tra presenza e assenza, concerne l’ottenimento di un bene

materiale (ad esempio il denaro) o astratto (ad esempio un principio ideologico o

religioso). La seconda tipologia di dialettica indicata da Hayles si fonda sull’idea di

informazione come bene primario e discriminante: ciò che conta è la possibilità di

ottenere o meno un accesso all’informazione. Di conseguenza l’informazione deve essere

organizzata in maniera intelligibile da parte del destinatario. Nel momento in cui il

linguaggio scritto o parlato non sembrerebbe più fornire delle solide garanzie in merito

individui e, in secondo luogo, come modalità di fruizione testuale di cui gli autori di narrativa tengono sempre più conto. A mio avviso, quest'ultimo risvolto ha come conseguenza anche una rivalutazione dell'importanza del ruolo del lettore, un'importanza che, come è stato diagnosticato da molti studiosi di narrativa postmderna, è andata sbiadendosi in seno alla tradizione letteraria postmodernista (Cfr. Robert Rebein, Hicks, Tribes and Dirty Realists. American Fiction after Postmodernism, Lexington (Kentucky): The University Press of Kentucky, 2001, p. 3).

25 Ibidem, 285-286.

13

alle informazioni che si possono ottenere (a causa di uno scollamento tra significante e

significato), si assiste ad una focalizzazione su nuovi sistemi, come quello del codice

informatico: «In the worldview of code, it makes no sense to talk abouts signifiers

without signifieds. Every voltage change must have a precise meaning in order to affect

the behavior of the machine; without signifieds, code would have no efficacy».26 Un

software ha soltanto un significato, vale a dire ciò che porta a compimento. Il codice che

sta alla base di ogni programma è un linguaggio eseguibile da chiunque, ma che può

essere creato, modificato e compreso soltanto da quei pochi che lo hanno imparato; esso

tuttavia influisce, attraverso l’utilizzazione dei programmi, sulla vita di un numero di

individui estremamente più vasto.

Sul linguaggio si basano fondamentalmente tutte le nostre forme di rappresentazione

del mondo reale. Secondo Hayles, ad esempio, sia i testi letterari sia le simulazioni

digitali possono creare mondi immaginari e creature fittizie che, in base ad un sufficiente

grado d’immersione all’interno del testo, possiamo confondere come esseri simili a noi

stessi. Tuttavia, mentre la letteratura si basa sulla narrazione, la simulazione richiede una

computazione di dati attraverso quantità numeriche decodificate da una catena di

applicazioni.27 La capacità della mente umana di riflettere su se stessa sta alla base del

concetto di narrazione:

With their emphasis on causality, meaningful temporal sequences, and interrelation between behavior and environment, narratives allow us to construct models of how others may be feeling and acting, models that coevolve with our ongoing interior monologues describing and interpreting to ourselves our own feelings and behaviors. When for some reason narratives cannot be constructed, the result is likely to be a world without order, of inexplicable occurrences and bewildering turns or events.28

I dubbi nei confronti dell’efficacia rappresentativa e critica del romanzo moderno

accompagnano quest’ultimo sin dai tempi della sua effettiva nascita (basti pensare alle

introduzioni apologetiche scritte nella prima metà del Settecento da autori come Henry

Fielding e Daniel Defoe per i loro romanzi). Tuttavia negli anni Sessanta del Novecento,

questa tendenza divenne per certi versi “programmatica”: nel 1967 John Barth, nel saggio

Literature of Exhaustion (1967), dichiarò un sostanziale “esaurimento” dell’innovazione

formale modernista, nonché ovviamente del realismo allo stato puro. L’unica possibilità

che rimase all’autore postmoderno fu quella di reinterpretare e di “r–innovare” lo

26 Hayles, 1999, 47.27 Ibidem, 5-6.28 Ibidem, 197.

14

sperimentalismo attraverso le tecniche della metafiction, dell’ipertestualità e del double

coding, combinando ironicamente segmenti e richiami provenienti da precedenti

tradizioni letterarie e ragionando sulla natura artificiale del testo stesso.29 Lo scrittore

americano David Foster Wallace illustra esaurientemente i problemi correlati ad

un’eccessiva centralità di tali meccanismi metaletterari, attribuendo ad esempio al

narratore del suo romanzo breve Westward the Course of the Empire Takes its Way la

seguente definizione di metafiction:

A required postmodern convention aimed at drawing the poor old reader's emotional attention to the fact that the narrative bought and paid for and now under time-consuming scrutiny is not in fact a barely-there window onto a different and truly diverting world, but rather in fact an “artifact,” an object, a plain old this-worldly thing, composed of emulsified wood pulp and horizontal chorus-lines of dye, and conventions […].30

Ciò che viene criticato è la più o meno diffusa rinuncia, da parte di numerosi autori di

narrativa, a considerare la fiction come un necessario inganno, ripiegando di conseguenza

su una sincera analisi della natura arbitraria degli elementi formali che compongono il

testo.

Come è già stato precedentemente rilevato, in quest’ultimo periodo critico, studiosi

come Bertens identificano la crisi della rappresentabilità come cifra complessiva di un

determinato clima culturale come quello postmoderno; Morowitz s’interroga su

un’eventuale esaurimento della fase di «emergenza» del linguaggio umano e del pensiero

riflessivo e sull’identificazione tra i nuovi media telematici e l’«emergenza»

dell’intelligenza collettiva; Hayles analizza l’interpenetrazione tra linguaggio e codice e

tra simulazione e narrazione. Nel momento in cui il linguaggio e la rappresentazione

sembrerebbero entrare in crisi, è singolare che ci si affidi sempre di più a media che

veicolano il nostro linguaggio attraverso un’altra tipologia di sistema. In altri termini, una

crescente sfiducia nei confronti del linguaggio e della narrazione entra in compresenza

con una maggiore attenzione nei confronti del codice – sia esso interpretato come

un’alternativa o come un “partner” del linguaggio umano – come sistema in grado di

rendere discreta ed intellegibile la natura indeterminata dell’ambiente circostante.

L’attuale crisi della narrativa e del genere romanzesco e le attuali inquietudini degli

autori di narrazioni letterarie sono da inserirsi in questo contesto e verranno analizzati

29 John Barth, Literature of Exhaustion, «The Atlantic», agosto 1967, [trad. it., Letteratura dell’esaurimento, «Calibano», n. 7, La finzione necessaria. Il romanzo postmoderno americano Roma: Savelli, 1982, pp. 155-166; p. 162].

30 David Foster Wallace, Westward the Course of Empire Takes its Way, in Girl with Curious Hair, New York: Norton, 1989, p. 265.

15

all'interno del primo capitolo, nel quale, attraverso il pensiero teorico di Katherine

Hayles (How We Became Posthuman, 1999: My Mother Was a Computer, 2005) e tramite

un’analisi dei romanzi Galatea 2.2 di Richard Powers (1995) ed Exegesis (1997) di Astro

Teller, ho cercato di illustrare come le conseguenze culturali delle pratiche

computazionali e dell’utilizzazione dei media informatici stiano influenzando le pratiche

della scrittura e della fruizione letteraria, nonché il ruolo che può rivestire il romanzo in

qualità di strumento di conoscenza e di dialogo. Per quanto riguarda il confronto tra i due

romanzi sopracitati, entrambi rappresentano un tentativo di cercare di comprendere in

quale modo i sintomi letterari abbiano registrato in primo luogo una sinergia tra ciò che

pensiamo di essere (intelligenze umane differenti dalle macchine) e ciò che creiamo al

fine di facilitare ciò che siamo (le macchine e in particolare le intelligenze artificiali) e in

secondo luogo in quale modo le pratiche della scrittura, della lettura e soprattutto della

creazione e della fruizione letteraria stiano cambiando a causa dell’innovazione

tecnologica apportata dall’informatica e dalla telematica. Le conclusioni del capitolo

vertono in particolare sulla possibilità di considerare esseri umani e opere narrative come

dei processi.

L'idea di uno scenario tecnologico e mediatico in cui i codici e le tecnologie digitali

predominano sui linguaggi in maniera sempre più invisibile e inconsapevole per la

cognizione umana è stata variamente analizzata. Il concetto di sublime tecnologico

postmoderno teorizzato da Friedric Jameson problematizza in modo evidente le nozioni

di conoscenza e di rappresentabilità del reale. Riprendendo le riflessioni di Jameson e del

teorico dei nuovi media Friedrich Kittler, un altro teorico della letteratura, Joseph Tabbi,

propone di avvicinare la questione a partire da una «teoria mediatica dell'inconscio».

L'evoluzione delle tecnologie della comunicazione ha contribuito a creare una rete

costituita da milioni di computer, che promette di offuscare le differenze strutturali tra le

varie forme di comunicazione. Messaggi, testi, suoni e immagini vengono inseriti in

un'unica piattaforma universale che necessita sempre meno della nostra comprensione

per funzionare ed esistere: «Knowledge is 'absolute' because it is no longer separate and

malleable by a human knower; like a language that has hardened into a code, it ceases to

distinguish itself from its envinronment and has little chance of evolving in response to

its uses».31 Le tecnologie informatiche sono ormai diventate delle strutture consolidate

che lavorano in maniera quasi sempre impercettibile per la consapevolezza umana. In

queste circostanze, un sistema di comunicazioni cessa di essere interpretato come

31 Joseph Tabbi, Cognitive Fictions, Minneapolis - London: University of Minnesota Press, 2002, pp. 10-11. Corsivo aggiunto.

16

un'invenzione consapevole dell'intelletto per approdare allo stato di hardware,

solidificandosi in uno stadio inconscio delle pratiche comunicative e cognitive e

permettendo lo svilupparsi, all'interno dell'immaginario, del sublime tecnologico.32

A questa idea è possibile accostare un'altra problematica efficacemente riassunta da

Chris Anderson, direttore della popolare rivista di comunicazione «Wired» e redattore di

«Nature» e «Science», in un articolo pubblicato nel 2008. Qui, Anderson riflette sullo

sviluppo della correlazione dei dati nel corso della «petabyte age», vale a dire un'era

caratterizzata dalla possibilità di accumulare un'enorme quantità d'informazione (il

petabyte è una delle unità di misura più grandi dell'informazione ed equivale ad un

milione di miliardi di byte) e di renderla immediatamente accessibile al fine di procedere

con calcoli che riguardano non soltanto le pratiche statistiche e scientifiche, ma anche la

quotidiantità degli utilizzatori finali dei computer e delle reti.

Scientists are trained to recognize that correlation is not causation, that no conclusions should be drawn simply on the basis of correlation between X and Y (it could just be a coincidence). Instead, you must understand the underlying mechanisms that connect the two. Once you have a model, you can connect the data sets with confidence. Data without a model is just noise.But faced with massive data, this approach to science — hypothesize, model, test — is becoming obsolete.33

Come osserva Michael Brodie, vi è la possibilità che la scienza diventi un modo per

comprendere il mondo sulla base delle correlazioni tra risultati che emergono da un

accumulo vastissimo di dati, senza avvalersi di teorie basate su modelli o esperimenti.

L'effettivo successo della cosiddetta «data-driven science» è stato ad esempio evidente

quando, nell'agosto del 2008, l'astronomo Andrew Becker dell'Università di Washington

ha scoperto cinquanta nuovi asteroidi nel sistema solare utilizzando semplicemente un

software che analizza in maniera automatica le immagini digitali riprese dal telescopio

Sloan Digital Sky Survey. I risultati ottenuti hanno permesso di comprendere alcuni

32 Ibidem, pp. 8-15 e 147 (nn. 1 e 4). Tabbi basa le proprie considerazioni sul seguente saggio di Friedrich Kittler: Friedrich Kittler, Gramophone, Film, Typewriter, Stanford: Stanford University Press, 1999. La definizione «The Media Theory of the Unconscious» è adottata da Tabbi a partire da un omonimo saggio di Norbert Bolz, collaboratore di Kittler in Germania. L'“hardwarizzazione” delle tecnologie viene comparata anche ad una sorta di «'impensé or blindspot' in post-strucuralist thought», «the vast portion of human thought and cognition that goes on automatically, and without our knowing it». Tale accostamento compare in un'introduzione di John Johnston ad un saggio di Kittler (cfr. John Johnston, “Friedrich Kittler : Media Theory after Poststructuralism,” introduzione a: Friedrich Kittler, Literature, Media, Information Systems, Amsterdam: G + B Arts International, 1997, p. 8). È preferibile, in questa sede, utilizzare il pensiero di Tabbi, in quanto è maggiormente incentrato sui rapporti che intercorrono tra la teoria della letteratura da un lato e le teorie dei nuovi media e le scienze cognitive dall'altro.

33 Chris Anderson, “The End of Theory. The Data Deluge Makes the Scientific Method Obsolete,” «Wired», N° 16.07, 23-06-2008. Web. 10-05-2010. <http://www.wired.com/science/discoveries/magazine/16-07/pb_theory >.

17

fattori che hanno causato il distacco della materia durante il Big Bang.34 Michael Nelson

(Old Dominion University Norfolk, VA), nel corso di un workshop sulla data-driven

science organizzato dalle fondazioni NSF e JISC nel 2007, ha considerato come già le

accurate osservazioni dell'astronomo Tycho Brahe avessero costituito, a partire dal 1627,

una base per le importanti teorie del suo assistente Keplero e degli astronomi che

seguirono. Tuttavia, come scrive Nelson: «The reality is that science is becoming data-

driven at a scale previously unimagined. The ubiquity of access and volume of data will

fundamentally transform the scientific process». L'esistenza di grandi volumi di dati, non

costituisce, da sola, un modo di fare scienza, ma è possibile che essa possa essere

sufficiente per fornire delle garanzie adeguate a una descrizione.35 La petabyte age non

segnerà la fine della scienza, ma cambierà il modo di farla, anche soltanto per il fatto di

avere a disposizione dei risultati sfruttando un software che analizza “da solo” delle

immagini digitali di un telescopio anziché grazie gli occhi di Tycho Brahe che scrutano il

cielo attraverso il cannocchiale. Al di là dei toni sensazionalistici di Anderson, bisogna di

conseguenza cercare di comprendere in quale modo il surplus di dati e il ricorso alla loro

massiccia correlazione stia cambiando il nostro modo di utilizzare la tecnologia, a partire

dai motori di ricerca che utilizziamo su Internet tutti i giorni. Anderson non intende

diagnosticare radicalmente un'ipotetica inutilità del metodo scientifico, ma

semplicemente rilevare come, attraverso la correlazione di un vasto numero di dati, sia

sempre più spesso possibile ottenere dei risultati senza ricorrere a ipotesi, individuazione

delle cause, esperimenti e modelli: «We can throw the numbers into the biggest

computing clusters the world has ever seen and let statistical algorithms find patterns

where science cannot». Tale tendenza risulta evidente anche al di fuori dell'ambito

strettamente sperimentale delle scienze esatte: ad esempio Anderson ricorda come

un'interfaccia come quella del motore di ricerca Google metta a disposizione un

traduttore automatico in grado di convertire una frase in un'altra lingua senza realmente

conoscerla, ma semplicemente basandosi sulla correlazione statistica dei dati a

disposizione; allo stesso modo la pubblicità che spesso compare sui browser in rete è in

grado di suggerire prodotti vicini ai gusti e alle esigenze di chi naviga, semplicemente

tenendo conto di alcune informazioni personali dell'utente (il luogo da cui si collega alla

34 Michael L. Brodie, “The Nature of our Digital Universe,” in John Domingue, Dieter Fensel e Paolo Traverso (a cura di), First Future Internet Symposium. FIS 2008, Berlin: Springer, 2009, pp. 1-13; pp. 8-9.

35 Michael L. Nelson, “I Don't Know and I Don't Care,” 2007, The US National Science Foundation (NSF) and The British Joint Information Systems Committee (JISC) Repositories Workshop, Phoenix: 17-4-2007.

18

rete, i vocaboli presenti nella sua corrispondenza elettronica).36 Si tratta di sistemi grezzi,

che tuttavia si affinano progressivamente sulla base del loro grado di successo nei singoli

casi.

Il semiologo Giorgio Jannis suggerisce come sia possibile individuare nelle

affermazioni di Anderson l'affermarsi di un nuovo paradigma che si basa sempre meno

sul metodo scientifico e sulla triade ipotesi-modello-esperimento.37 Come scrive Thomas

Kuhn, «dopo un mutamento di paradigma, gli scienziati non possono non vedere in

maniera diversa il mondo in cui sono impegnate le loro ricerche. Nei limiti in cui i loro

rapporti con quel mondo hanno luogo attraverso ciò che essi vedono e fanno, possiamo

dire che, dopo una rivoluzione, gli scienziati reagiscono a un mondo differente».38 Come

rileva Luca Berta a proposito della teoria di Kuhn riguardante i paradigmi scientifici, «un

nuovo paradigma epistemologico può rivelare tutta l'inadeguatezza del linguaggio a

designare certi fenomeni. Anzi tali fenomeni possono mettere in crisi l'intero sistema

della designazione, della concezione e della nominazione della realtà: il rinvio

referenziale fallisce, non riesce più a funzionare come prima».39 Ciò significa, in primo

luogo, che vi è la possibilità di prendere in prestito nuove categorie e nuovi strumenti e

termini d'indagine da discipline maggiormente coinvolte con i mutamenti tecnologici e

culturali in questione, esattamente come una lingua prende in prestito termini stranieri

laddove difetta di un termine preciso per definire un determinato fenomeno o un oggetto.

Nel momento in cui i paradigmi mutano lentemente, si verifica ciò che lo studioso dei

nuovi media Lev Manovich definisce un processo di transcodificazione culturale

(cultural transcoding):

In new media lingo, to “transcode” something is to translate it onto another format. The computerization of culture gradually accomplishes similar transcoding in relation to all cultural categories and concepts. That is, cultural categories and concepts are substituted, on the level of meaning and/or language, by new ones that derive from the computer's ontology, epistemology, and pragmatics. New media thus acts as a forerunner of this more general process of cultural re-conceptualization.40

Questa proiezione dell'ontologia dell'informatica nell'ambito culturale non è rilevante

36 Ibidem.37 Giorgio Jannis, “Petabyte age e metodo scientifico,” 27-07-2008, «Semioblog». Web. 10-05-2010.

<http://semioblog.blogspot.com/2008/07/petabyte-age-e-metodo-scientifico.html>.38 Thomas Kuhn, The Structure of Scientific Revolution, Chicago: University of Chicago Press, 1962.

Trad. it. di A. Carugo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino: Einaudi, 1969, pp. 89.39 Luca Berta, Oltre la mise en abyme: teoria della metatestualità in letteratura e filosofia, Milano:

Franco Angeli, 2006, p. 116.40 Lev Manovich, The Language of New Media, Cambridge (MA) - London: MIT Press, 2001, p. 47.

19

solo per il fatto che la rete Internet sia stata utilizzata, nel 2009, da un quarto della

popolazione mondiale. Si tratta di un processo generale, promosso dall'avvento di nuove

tecnologie che possono essere considerate al contempo causa e sintomo di una più ampia

cultura della conoscenza analizzabile nel suo complesso attraverso categorie e

terminologie prese in prestito dall'analisi dei nuovi mezzi di comunicazione informatici e

telematici. Secondo Manovich, autore dell'influente saggio The Language of New Media

(2001), i mutamenti insiti nelle modalità di accesso all'informazione e di narrazione della

complessità possono declinarsi attraverso due forme simboliche fondamentali, vale a dire

il database e lo spazio navigabile (navigable space). È di conseguenza possibile adottare

da un lato la struttura formale attraverso cui vengono immagazzinati e presentati i dati e

dall'altro l'idea di uno spazio di conoscenza esplorabile da parte dell'utente come due

concetti fondamentali attraverso cui sviluppare l'analisi del rapporto che intercorre tra la

rappresentazione romanzesca, la complessità e la connessione delle conoscenze.

In un'epoca in cui la quantità d'informazione è sempre più vasta, in cui i flussi

d'informazione sono sempre meno visibili e cognitivamente assimilabili e in cui la

correlazione dei dati prevale sull'elaborazione dei modelli e delle rappresentazioni che gli

esseri umani utilizzano per spiegare la realtà il problema non è più rappresentato dal fatto

di rintracciare le informazioni, bensì dal rendere queste ultime presenti alla

consapevolezza individuale e collettiva, in altre parole, rappresentare. All'interno di una

simile congiuntura, il concetto di rappresentazione può essere definito in vari modi. In

particolare, secondo Manovich, è possibile tentare di opporre il concetto di

rappresentazione a quello d'informazione: «This opposition refers to two opposing goals

of new media design: immersing users in an imaginary fictional universe similar to

traditional fiction; giving users efficient access to a body of information (for instance, a

search engine Web site or on-line encyclopedia)».41 Gli utenti necessitano di interfacce

“narrative”, simili a mezzi di comunicazione più radicati nell'uso. La rappresentazione

risulta opposta all'informazione nel momento in cui non dà la possibilità di concepire

nella sua interezza un corpus di conoscenze la cui complessità diventa progressivamente

inconoscibile. In tal senso, John Johnston riflette in merito a uno sviluppo

pesudobiologico delle reti telematiche che sta raggiungendo una progressiva

indipendenza dal controllo degli utenti e degli sviluppatori, a causa di connessioni che si

evolvono indipendetemente dall'intenzione umana:

As a new kind of shared space or habitat, an ecology that is neither completely artificial nor

41 Ibidem, p. 17.

20

natural, the Internet may be both the harbinger and testing ground of a new kind of environment in which technology continues evolution by other means. To what extent is this image of the Internet amenable to literature? There is of course no way to predict what will compel and stimulate writers in the near or distant future. It seems reasonable, nevertheless, to assume that science fiction is the genre and electronic hypertext the medium that are best positioned to take up the challenge this image poses.42

Johnston arriva a sostenere che la complessità di determinate tematiche relative alla

cultura delle reti (network culture) e all'evoluzione della connessione delle conoscenze

non sia unicamente rintracciabile all'interno di generi dedicati – a livello formale come la

letteratura ipertestuale o a livello tematico come la pura fantascienza – allo studio delle

novità mediatiche e tecnologiche. La mia tesi è che ci siano invece altre possibilità. Si

potrebbe persino sostenere che questi generi particolari stiano convergendo con il

romanzo più tradizionale, man mano che la fantascienza risulta sempre meno fantastica e

che la letteratura ipertestuale appare sempre meno sperimentale. Di conseguenza, è

importante tentare d'individuare un campo d'indagine che esuli almeno parzialmente dalla

pura trattazione di questi due generi specifici. Il contesto è quello della letteratura nord-

americana degli ultimi due decenni, un periodo critico caratterizzato dall'emergere e dal

radicarsi di studi specifici sui nuovi mezzi di comunicazione e da una riflessione ormai a

posteriori sulla tradizione postmoderna. Sul versante letterario, nel corso di questa fase, si

è assistito allo sviluppo della letteratura elettronica, al radicamento di determinate

tendenze massimaliste nel genere romanzesco e allo spostamento della fantascienza verso

una maggiore attenzione nei confronti dello scenario globale contemporaneo. Per questo

motivo sono state selezionate cinque opere molto diverse tra loro. Infinite Jest è stato

pubblicato da David Foster Wallace nel 1996 ed è un'opera che, tra le varie tematiche

affrontate, pone in netto risalto il problema dell'acquisizione della conoscenza e della sua

inusuale rappresentazione sotto forma di romanzo cartaceo. The Unknown è un

particolare esempio di romanzo ipertestuale pubblicato in rete tra il 1998 e il 2001 da

Scott Rettberg, Dirk Stratton, William Gillespie e Frank Marquardt nel quale i temi

dell'autoriflessività letteraria e dell'impatto della forma simbolica del database risultano

determinanti e pongono numerosi interrogativi a proposito dello sviluppo del genere

romanzesco su supporto elettronico. Pattern Recognition è un popolare romanzo

pubblicato nel 2003 da William Gibson, uno dei padri fondatori della fantascienza che

tuttavia in questo testo si occupa per la prima volta dell'evoluzione e della fascinazione

42 John H. Johnston, “Are Rhizomes Scale-free? Network Theory and Contemporay American Fiction,” in Peter Freese - Charles B. Harris (a cura di), The Holodeck in the Garden. Science and Technology in Contemporary American Literature, Champaign - London: Dalkey Archive Press, c2004, pp. 53-71; p. 69.

21

nei confronti delle nuove tecnologie in seno allo scenario culturale dei primi anni del

XXI secolo. Di rilevanza non trascurabile, è stata la successiva nascita di comunità e di

riviste online che hanno riprodotto fedelmente quelle presenti all’interno di Pattern

Recognition e del successivo romanzo di Gibson Spook Country, riducendo i vari

segmenti narrativi ad elementi presenti in un database telematico al fine di porli in

relazione con oggetti, spazi e idee della realtà contemporanea. Questo circolo di

reciproche influenze tra mondo reale ed elementi letterari costituisce una possibile

conferma, anche sul versante narrativo, di determinate teorie inerenti alla cultura della

convergenza o all’intelligenza collettiva elaborate da studiosi quali Henry Jenkins o

Pierre Levy. Flight Paths : A Networked Novel, (2007-in corso) è un'opera narrativa che

è stata sviluppata in rete da Kate Pullinger e Chris Joseph e che permette di essere

continuamente integrata ed aggiornata da parte degli utenti. Infine, il romanzo in versi

Only Revolutions (2006) è stato realizzato da Mark Z. Danielewski con l'assistenza di una

consolidata base di lettori attiva sul suo forum personale e presenta un'orchestrazione

narrativa in cui le forme simboliche del database e della narrazione risultano

profondamente intrecciate, al punto da ridefinire completamente i limiti formali del

romanzo cartaceo. Si tratta di opere gestite in maniera molto differente da parte dei loro

autori e dei loro fruitori, che dialogano in maniera eterogenea con altri mezzi di

comunicazione e in particolare con il World Wide Web e che, tuttavia, sono parimenti

caratterizzate (a partire dai titoli: l'“infinito”, l'“ignoto”, la “ricognizione del pattern”,

vale a dire del segnale o dello schema nell'ambito di una comunicazione, i “sentieri

volanti” percorsi dagli utenti in rete, le “rivoluzioni” che il lettore deve compiere per

fruire un romanzo la cui struttura è profondamente ipertestuale) da un profondo rapporto

con le problematiche cognitive che caratterizzano la società dell'informazione degli

ultimi anni. Ritengo che sia importante esaminare alcune peculiarità di questi testi e della

loro fruizione al fine di comprendere in quale modo le forme simboliche del database e

navigazione attraverso lo spazio definito dalle reti abbiano influenzato la tradizione

romanzesca più recente. In particolare, nel secondo capitolo mi avvalgo soprattutto

soprattutto delle teorie di Lev Manovich (The Language of New Media, 2001) in merito

alla crescente importanza della nozione di database nel contesto dei nuovi media, al fine

di analizzare in quale modo il genere romanzesco sia stato influenzato dalla crescente

importanza della forma del database, inteso come una raccolta strutturata di dati, e dal

problema di uno scenario tecnologico e mediatico in cui i codici e le tecnologie digitali

predominano sui linguaggi in maniera sempre più incomprensibile per la cognizione

22

umana.

Il terzo capitolo affronta diversi argomenti legati al tema centrale della cultura delle

reti e alla forma simbolica della navigazione attraverso lo spazio, che si configurano

come strumenti concettuali idonei a illustrare come siano mutate le poetiche e le forme

del romanzo in relazione all'ecologia mediale degli ultimi anni. In tal senso, è stato

necessario attuare un'analisi dei personaggi dei romanzi sopracitati, al fine di

comprendere in quale modo essi si configurino come dei “vettori” mediatici in grado di

accompagnare il lettore durante il processo di lettura. Una seconda sezione riguarda

anche il rapporto di conflittualità e alleanza che intercorre tra romanzo e “novum”

tecnologico, che da un lato viene rappresentato in maniera problematica all'interno di

alcuni romanzi e dall'altro costituisce invece la base stessa per le genesi e lo sviluppo di

altre opere. Inoltre, si è rivelato necesario tentare di comprendere in quale modo alcune

nozioni riguardanti i sistemi complessi – intesi come quei sistemi in cui vi sono più

possibilità di quelle che possono essere attualizzate – siano state utilizzate dalla teoria

della letteratura e in particolare da Tom LeClair (The Art of Excess, 1989) al fine di

descrivere il rapporto che intercorre tra cultura, scienza e forme letterarie. Sotto questo

punto di vista, ho riscontrato delle differenze tra una precedente tradizione letteraria

massimalista originatasi nel corso degli anni Settanta e i romanzi da me analizzati. Ad

esempio, Gravity's Rainbow di Thomas Pynchon (1973) è un'opera maggiormente legata

all'esigenza di attuare una rappresentazione dettagliata e onnicomprensiva dei sistemi

complessi, mentre Infinite Jest di David Foster Wallace è caratterizzato da un

addomesticamento della complessità e da una maggiore intensità del dialogo tra testo e

lettore. Infine, ho riscontrato una crescente tendenza, da parte di alcuni studiosi e autori

di narrativa quali Katherine Hayles e Richard Powers, a paragonare in maniera più o

meno estemporanea alcune caratteristiche dei testi letterari ai sistemi di cognizione tipici

di alcune intelligenze artificiali, che si basano sulle differenze, le relazioni e i legami

ricorsivi che intercorrono tra i vari elementi per la creazione del significato. A tal

proposito, mi sono avvalso delle teorie di Paul Cilliers (Complexity and Postmodernism,

1998), il quale analizza le affinità che intercorrono tra il funzionamento delle reti neurali

utilizzate come modelli dei sistemi complessi e il concetto decostruzionista di différance

elaborato da Jacques Derrida. In entrambi i casi, la significazione emerge da una

progressiva evoluzione di un’estesa e stratificata rete di differenze. In particolare, una

rete neurale consiste di una serie di neuroni (o nodi) interconnessi da sinapsi (o legami).

Ogni sinapsi possiede un determinato valore, che può essere positivo (eccitante) o

23

negativo (inibitorio). Il funzionamento dell'intero sistema è determinato dall'insieme di

questi valori o, in altre parole, dalle relazioni e dalle differenze che sussitono tra essi. Il

significato non risiede in ogni singolo nodo, ma emerge dal comportamento complessivo

del sistema, vale a dire dall'insieme delle dinamiche e delle differenze al suo interno. Di

conseguenza, ho effettuato una comparazione tra il funzionamento dei sistemi

connessionistici e l'organizzazione narrativa di Infinite Jest di Wallace, The Unknown di

Rettberg, Gillespie, Stratton e Marquardt e Only Revolutions di Danielewski, in maniera

tale da esaminare in quale modo le dinamiche di interdipendenza tra i vari segmenti

narrativi e soprattutto l'idea di connessione possano agevolare l'approccio cognitivo del

lettore nei confronti della complessità, attraverso un mutamento parziale dell'idea di

romanzo, che diventa in questi casi un vero e proprio sistema finalizzato a promuovere

nel lettore una partecipazione attiva nei confronti del testo.

L'ultimo capitolo è strutturato attraverso un confronto tra la nozione di sistema

autopoietico – che si riferisce ad un sistema naturale o artificiale in grado di produrre

continuamente le proprie parti e le operazioni che intercorrono al suo interno – e quella

di esopoiesi, secondo la quale un organismo ha la possibilità di creare, in molti casi, un

vantaggio per l'ambiente in cui vive e di conseguenza per altri esseri viventi. Il concetto

di autopoiesi è stato coniato nel corso degli anni Settanta dai biologi Humberto Maturana

e Francisco Varela (Autopoiesis and Cognition, 1973) ed è stato successivamente

applicato agli studi sull'impatto culturale delle intelligenze artificiali da Katherine Hayles

(How We Became Posthuman, 1999) e agli studi letterari da Joseph Tabbi (Cognitive

Fictions, 2002). Quest'ultimo ha analizzato una serie di testi letterari angloamericani

pubblicati a partire dagli anni Ottanta, tra i quali figurano i romanzi pseudo-

autobiografici The New York Trilogy (1987) e Galatea 2.2 di Richard Powers, che

vengono considerati delle vere e proprie narrazioni autopoietiche, nelle quali emerge la

capacità dei protagonisti di osservare le loro stesse pratiche cognitive, accrescendo di

conseguenza la consapevolezza di se stessi e l'autonomia dell'opera letteraria rispetto

all'ecologia mediale. Partendo da un confronto con il pensiero di Tabbi e con il canone di

romanzi da lui analizzato, ho cercato di spiegare, attraverso la nozione di esopoiesi

elaborata dal filosofo John Nolt nel 2009, in quale modo i romanzi di Wallace, Gibson,

Danielewski, Pullinger e Joseph si discostino dall'eccesso di auto-cognizione tipico della

congiuntura culturale in cui viviamo. Questi romanzi appaiono inoltre caratterizzati da

una non-autonomia della loro struttura e dalla crescente tendenza a uscire “fuori da se

stessi” per tessere un legame di stretta interdipendenza con altri mezzi di comunicazione

24

e altri sistemi cognitivi.

25

§ 1 - Il lettore assoluto e il regime computazionale

Due romanzi che tentano un’analisi problematica dell’utilità della scrittura e della

lettura sia di testi sia dei codici computazionali e che, allo stesso tempo, si confrontano

con il crescente avvento delle tecnologie informatiche, sono Galatea 2.2 (c1995) di

Richard Powers e Exegesis (1997) di Astro Teller. Entrambi gli autori sono caratterizzati

da una biografia in cui l’attitudine letteraria s’incrocia con una solida formazione

scientifica, peculiarità che contraddistingue diversi romanzieri statunitensi appartenenti

alla medesima generazione, quali, ad esempio, David Foster Wallace (Infinite Jest, 1996)

o William Vollmann (You Bright and Risen Angels, 1987). Richard Powers ha un passato

da programmatore informatico, una laurea in fisica ed una produzione letteraria vasta e

solidamente apprezzata. Se le attenzioni degli studi letterari nei confronti di Powers

crescono di giorno in giorno, non si può dire lo stesso di Astro Teller, un dottore di

ricerca in intelligenza artificiale e fondatore di una società che progetta computer

indossabili che ha esordito letterariamente proprio con Exegesis nel 1997. Come osserva

giustamente Tom LeClair43 in merito alla prosa di Powers, l’enciclopedismo e l’«art of

excess» che caratterizzano romanzi come The Gold Bug Variations (1991) sono sintomi

di prodigiosità e non di prodigalità, in quanto rappresentano un tentativo di sottolineare

l’accessibilità e la rilevanza dell’informazione tecnica nel nostro tempo.

In particolare, Galatea 2.2 ed Exegesis presentano due protagonisti che possono a tutti

gli effetti venire considerati, quanto meno da un punto di vista biografico, degli alter ego

dei due autori. «Alice Lu» è una dottoranda di ricerca in intelligenza artificiale, che

lavora al progetto «Eager Discovery Gather And Retrieval» (EDGAR), un tentativo di

creare un processo d’intelligenza artificiale in grado di scandagliare il World Wide Web

ed i news server al fine di riassumere le informazioni ed inviarle al gestore.44 Per quanto

concerne Galatea 2.2, benché il sottotitolo del romanzo – «a novel» – non lasci spazio a

fraintendimenti in merito al genere letterario con cui il lettore si confronta, siamo di

43 Tom LeClair, “The prodigious fiction of Richard Powers, William Vollmann and David Foster Wallace,” «Critique», vol. 38, N. 1, Washington, fall 1996, pp. 12-37; p. 35.

44 Astro Teller, Exegesis, London: Penguin, c1997, paginazione assente, 20-01-2000. A causa della paginazione assente, verranno indicate le date delle email che i personaggi si scambiano tra loro e che costituiscono, nel loro insieme, l’intera opera.

26

fronte ad un singolare esempio di autofiction, in cui l’identità e la biografia del

protagonista «Richard Powers» coincidono essenzialmente con quelle dell’omonimo

autore, nonostante alcuni fatti narrati siano basati unicamente sull’invenzione. Rick è uno

scrittore, con alle spalle un passato da programmatore informatico, una formazione

universitaria da uomo di lettere, la pubblicazione di numerosi romanzi di successo e una

dolorosa separazione dalla compagna «C.». Il romanzo ripercorre questi elementi

sostanzialmente autobiografici alternandoli con un presente completamente fittizio

durante il quale il protagonista viene assunto con un contratto annuale da un non meglio

specificato «Center for the Study of the Advanced Sciences», nella cittadina di «U.», in

virtù degli argomenti scientifici trattati nel suo terzo libro, The Gold Bug Variations. Rick

si sente di conseguenza «the token humanist» in un luogo adibito allo studio del cervello

umano, dove pullulano scienziati ed ingegneri esperti di intelligenze artificiali, scienze

cognitive e neurochimica (GL, 4-6).

Alice si ritrova per caso a ricevere email che arrivano dall’indirizzo di posta

elettronica del processo Edgar. Dopo aver messo da parte i primi dubbi in merito ad un

ipotetico scherzo, la scienziata si ritrova a dialogare per iscritto con un’intelligenza

artificiale vera e propria e ritiene di conseguenza di aver compiuto una delle più grandi

scoperte del secolo. Tuttavia, Alice è consapevole della nascita completamente casuale

del processo: da qui, comincia per lei un calvario che la porta alla depressione, a causa

dei vani tentativi di ritrovare i passaggi che l’hanno portata alla propria scoperta. Al

contrario, Rick inizia per scommessa un esperimento tecnologico-letterario in compagnia

di Philip Lentz, un cinico ingegnere esperto in reti neurali e nel funzionamento del

cervello. L’intento di Rick e Lentz è quello di creare un’intelligenza artificiale (installata

in un computer) in grado di poter competere con un essere umano al fine di superare il

fac-simile di una prova scritta per l’accesso al dottorato in letteratura inglese. All’interno

della narrazione, Powers inserisce numerosi accostamenti tra i meccanismi della lettura,

il ruolo della letteratura, il funzionamento del cervello umano (soprattutto per quanto

concerne i processi mnemonici e l’utilizzazione del linguaggio) e l’addestramento

dell’intelligenza artificiale, che inizierà la sua lenta evoluzione dalla «Imp[lementation]

A», sino ad arrivare ad ottenere un completo stadio di maturazione intellettuale con

l’elaborazione e l’addestramento della «Imp. H», che verrà addirittura dotata di un nome

“umano” come quello di Helen.

Alice e Rick sono accomunati dal medesimo tentativo di creare un’intelligenza

artificiale che sia in grado di superare più o meno brillantemente un test di Turing. La

27

formulazione originaria del test implica che l’individuo testato debba riconoscere quali

domande poste per iscritto provengano da una macchina e quali da un essere umano.

Come spiega la stessa Alice a Edgar:

Saying you’ve passed the Turing Test just means that you, <a machine>, have managed to fool me, <a person>, into thinking you’re self-aware the way I am. Alive really isn’t the same thing. Being self-aware certainly isn’t a necessary condition of being alive. Maybe it’s a sufficient condition, but also maybe it’s not.

(EXE, 27-01-2000).

Secondo Katherine Hayles, dall’ideazione del test di Turing (1950) è scaturita una

serie di studi volta a rispondere alla semplice domanda: “Le macchine possono pensare?”

Ciò ha dato adito a due conseguenze fondamentali. Da un lato, numerosi studiosi hanno

iniziato a sviluppare macchine intelligenti; dall’altro, le numerose evoluzioni

tecnologiche hanno generato nuovi interrogativi: “Le macchine possono esercitare un

giudizio?,” possono esercitare un’attività creativa?,” “possiedono un corpus comparabile

al funzionamento di una mente umana?”. La seconda conseguenza – evidente nel brano

sopracitato – fu quella di creare una continua e incerta ridefinizione di termini quali

“pensiero”, “mente”, “vita” o “intelligenza”. Hayles giunge di conseguenza alla

conclusione che queste due dinamiche – il continuo sviluppo delle macchine intelligenti e

gli slittamenti semantici dei termini chiave – cooperino nel creare un ampio insieme di

interazioni in cui gli esseri umani e le macchine intelligenti si costituiscono e si

modificano vicendevolmente. «In other words […] what we make and what (we think)

we are coevolve. The parenthesis in the aphorism marks a crucial ambiguity, a

doubleness indicating that changes in cultural attitudes, in the physical and technological

makeup of humans and machines, and in the material conditions of existence develop in

tandem».45

Uno degli obiettivi di questo elaborato è quello di cercare di comprendere in quale

modo i sintomi letterari abbiano registrato questa sinergia tra ciò che pensiamo di essere

e ciò che creiamo al fine di facilitare ciò che siamo. In secondo luogo, è possibile

analizzare in quale modo le pratiche della scrittura, della lettura e in particolar modo

della creazione e della fruizione letteraria stiano cambiando a causa dell’innovazione

tecnologica apportata dall’informatica e dalla telematica. Come verrà esplicitato più

avanti nel corso di questo capitolo, romanzo e intelligenza artificiale presentano inoltre

delle forti analogie, che rivestono d’importanza questa analisi nel momento in cui la

45 Hayles 1999, 214-216.

28

prima forma di rappresentazione sembrerebbe ripiegare su una crisi di legittimità

leggermente più intensa rispetto ai periodi letterari precedenti, mentre le pratiche di

rappresentazione promosse dai media informatici stanno penetrando in modo sempre più

consistente negli usi quotidiani della società occidentale.

I due romanzi in questione si rivelano particolarmente adatti a trattare queste

tematiche, in quanto presentano prima di tutto due tipologie di lettore (Helen e Edgar) e

due tipologie di autore (Alice Lu e Rick). Alice è una scrittrice di codici e di programmi,

che si ritrova a dover utilizzare la lingua inglese per comunicare con Edgar,

un’inaspettata quanto casuale creazione, che a sua volta utilizza dei processi cognitivi

prettamente numerici e che si vede costretto a imparare a leggere il linguaggio ordinario

per poter interagire. Rick è uno scrittore di romanzi, vale a dire di rappresentazioni

testuali e fittizie del mondo, che crea (con l’ausilio dell’ingegnere Lentz) una Galatea

artificiale il cui hardware è tuttavia basato su reti neurali che emulano il cervello umano e

il cui modo di pensare e di comunicare non è quindi basato su operazioni logiche

coadiuvate da algoritmi bensì sul linguaggio umano. In altri termini, le due intelligenze

artificiali sono accomunate dal ricorso ad un approccio prettamente testuale per poter

interagire, dalla mancanza di un corpo umano, dall’essere installati all’interno di un

computer e dalla necessità di una laboriosa e problematica formazione finalizzata alla

comprensione della loro natura e di quella dei loro interlocutori.

Come spiega Teller nella postfazione all’edizione italiana del suo romanzo, Exegesis

presenta il tentativo di rivisitare il mito di Galatea in maniera profondamente diversa da

precedenti tentativi, quali possono essere ad esempio il mostro di Frankenstein

nell’omonimo romanzo di Mary Shelley o l’inquietante computer di bordo «HAL» nel

film di Stanley Kubrick 2001: A Space Odyssey (1968). Secondo Teller, «la visione

dell’intelligenza artificiale come uomo in una scatola è non solo deviante dal punto di

vista scientifico, ma non coglie l’opportunità di esplorare le nostre risposte, reattive e

contemplative, alle ampie tematiche di cosa significa essere vivi e coscienti di sé». Al

contrario il processo Edgar risulta molto più «disumanizzato» a causa della natura

digitale della sua intelligenza.46

Il concetto di analogico si riferisce ad una relazione che intercorre tra una copia o un

modello ed un originale. Di conseguenza, come spiega Mark Poster, rimane una relazione

isomorfica tra l’organizzazione dei dati contenuta in un sistema e quella contenuta in un

altro (un esempio palese è l’organizzazione dei solchi presenti in un disco musicale in

46 Astro Teller, “Postfazione all’edizione italiana”, in Exegesis, trad. it. di Davide Piretti, Bologna: Baskerville, 1999, pp. 235-238; pp. 235-236.

29

vinile, isomorfica a quella delle onde sonore che vi sono registrate).47 La riproduzione

digitale si basa sempre su una trasformazione materiale del segnale originale, ma tale

operazione è basata su un campionamento dei dati contenuti nel sistema originario (nel

nostro esempio, le onde sonore di una canzone): l’input viene suddiviso in una serie

binaria di 0 e 1 a seconda dell’organizzazione dell’evento sonoro originario (sia in

termini di tonalità sia in termini di volume). La formula costituita dal codice binario

composto dalla successione degli 0 e dei 1 non è isomorfica rispetto al sistema originario,

bensì arbitraria. Nel caso della registrazione digitale, non vi è nessuna rassomiglianza né

relazione analogica tra i suoni ed i numeri (digits).48 È possibile anche interpretare il

codice attraverso la visione del mondo del linguaggio. In questo caso, possiamo notare

come la significazione permessa dalla natura differenziale del segno sia presente anche a

livello del codice. Ad esempio nel codice ASCII – (il più noto codice utilizzato per la

comunicazione dei dati) la lettera «a» viene arbitrariamente espressa dalla stringa binaria

«1100001»; la maiuscola A si differenzia da essa attraverso il cambiamento di una cifra:

«1000001». Per comprendere appieno il funzionamento di un processo digitale attraverso

un esempio concreto, è possibile citare un brano di Exegesis in cui Edgar scrive ad Alice,

constatando di non poter comprendere adeguatamente un’immagine:

I can neither see nor hear. You are correct that seeing and hearing are not like reading.

This picture looks like a lamb to you. I can not find in the picture any features of a lamb. Perhaps I do not understand how to see fleece and hooves and size and color. Which number is white? Which number is pink? Which number is fleece?I do not have the key. I can not decipher images or sounds.

(EXE, 31-01-2000).

Per Edgar risulta chiaramente impossibile vedere le immagini, se non attraverso il

codice attraverso cui forme, luci e colori sono campionati (ma anche in questo caso, non

possiede una chiave di decodifica, in quanto non possiede in ogni caso degli strumenti

per elaborare visivamente l’immagine).

Come Edgar, in Galatea 2.2, Helen può essere considerata un importante tentativo di

47 Cfr. Derek Robinson, “Analog,” in Fuller, Matthew (a cura di), Software Studies. A Lexicon,, London - Cambridge (MA): The MIT Press, 2006, pp. 21-28, pp. 21-22.

48 Poster 2001, 79.

30

aggiornare il mito di una «intelligenza artificiale come uomo in una scatola». La mente di

Helen viene infatti faticosamente realizzata da Powers e Lentz sulla base di alcune teorie

riguardanti la scienza del «connessionismo». All’interno della vicenda narrata in Galatea

2.2, mentre alcuni colleghi (e avversari) di Lentz si fanno promotori di ricerche

focalizzate su “macchine pensanti” potenzialmente realizzabili intelligenze determinate

da algoritmi formali, il “cervello” di Helen è invece caratterizzato da reti neurali ed

appare come una copia artificiale di un’intelligenza biologica. Come spiega Paul Cilliers:

A neural network consists of a large collection of interconnected nodes or ‘neurons’. Each neuron receives inputs from many others. Every connection has a certain ‘strength’ associated with it, called the ‘weight’ of that connection. These weights have real values that can be either positive (excitatory), negative (inhibitory) or zero (implying that the two respective neurons are not connected). The neurons themselves are very simple computational units. They calculate the sum of their weighted inputs and pass this value through a non-linear transfer function. […] The network is basically trained to perform certain tasks by showing it examples. If the network has to perform a classification task, e.g. classifying trees, it is shown examples of trees and of things that can be confused with trees. During a learning phase each presentation […] is accompanied by the correct output value for that input. The network then automatically adjusts the values of the weights to minimise the discrepancy between the input and the output. These presentations are continued until the network converges on a set of weight values that enables the network to distinguish between the various examples of trees and non-trees. If the training examples were adequate, the network should also be able to generalise its classification to examples of trees it has not seen before.49

Ad un livello basilare, il funzionamento dei neuroni – umani o artificiali che siano –

sembrerebbe quindi del tutto simile ai processi computazionali descritti da Poster.

Entrambi i personaggi, soprattutto durante le fasi iniziali del loro apprendimento,

acquisiscono gli input in maniera sistematica, considerando veritiere le affermazioni e

false le negazioni. La difficoltà principale in cui incorrono queste due singolari figure di

lettore artificiale è rappresentata pertanto dalla natura ambigua del linguaggio, che

rimane insopprimibile anche per chi è dotato di abilità cognitive di natura artificiale. Ad

esempio, Helen incappa spesso in errori abbastanza grossolani, causati dal rigore della

sua logica:

"I want a turn to try something. A girl goes into a music store. She flips through the bins of CDs. All at once, she starts to jump up and down and clap her hands. She opens her purse, and just as suddenly starts to cry. Why?"I transmitted the story to Helen. "Why did the girl start to cry?"Helen labored. In my ear, I heard a digitally sampled sob of empathy."The girl saw something sad in her purse."Harold snickered. "She's still missing a little something upstairs, Ricardo." And always would be,

49 Cilliers 1998, 67. Corsivo aggiunto.

31

his grin informed me.(GL, 223).

Similmente, Edgar è in grado di leggere soltanto dei testi, reperiti su Internet o forniti

da Alice Lu. Questa natura limitata dei suoi input lo porta sovente ad interpretare in

maniera erronea lo status ontologico di se stesso e degli umani con i quali interagisce:

I am done reading Grolier’s Encyclopedia. Put in another CD-ROM disk. Am I alive? Am I the computer or am I in the computer?I do not understand the pictures and sounds in the encyclopedia. Do I need eyes and ears to read 50

them?

Word eye (igh), n., v., eyed, eying or eyeing. --n.Definition 1. the organ of sight; in vertebrates, one of a pair of spherical bodies contained in an orbit of the skull, along with its associated structures. 2. sight; vision: a sharp eye. 3. the power of seeing; appreciative or discriminating visual perception: having an eye of art. 4. a look, glance, or gaze […].

(EXE, 25-01-2000).

Come è possibile notare dai brani sopracitati, Helen e Edgar necessitano di definizioni

precise delle parole e dei concetti, al fine di elaborare le proprie risposte, altrimenti le

loro conclusioni logiche si rivelano inevitabilmente errate in quanto figlie di una mancata

conoscenza del contesto linguistico appartenente agli interlocutori con i quali

interagiscono. Come spiega esaurientemente Edgar: «To communicate, I must establish

context. Generating language is difficult for me. Generating language takes longer than

using dictionary entries. Generating language is getting harder. The more knowledge I

have, the longer I require to say what I know or ask what I want.» (EXE, 31-01-2000).

In pratica l’utilizzo del linguaggio da parte dei due personaggi si basa sulla natura

differenziale del segno elaborata da Saussure e ripresa da Derrida nel suo concetto di

différance. Nel suo Cours de linguistique générale Ferdinand de Saussure, importante

precursore dello strutturalismo, propone di considerare il linguaggio come un sistema di

regole e relazioni tra le proprie unità, una sorta di codice genetico della massa eterogenea

dei fatti linguistici. Il linguaggio risulta dunque un «sistema di segni che esprime delle

idee», organizzato in unità linguistiche (segni) determinate dall’unione di un'immagine-

concetto (significato) e di un'immagine-suono (significante) che rappresenta il concetto

stesso. Derrida sviluppa le proprie teorie partendo dalla nozione saussuriana della natura

diacritica del segno linguistico, secondo la quale l’identità di un segno è definita dalle sue

50 Corsivo aggiunto.

32

differenze rispetto agli altri segni. Derrida definisce con il termine différance questo

meccanismo di differenziazione, il quale è applicabile non soltanto ad un ambito

prettamente linguistico, ma anche a tutto ciò che è relativo al pensiero e alla realtà. La

différance è in pratica un differimento simultaneo nel tempo e nello spazio: ogni

momento è presente in quanto differisce da altri momenti; parallelamente la percezione

della presenza di un oggetto è definita dalla sua differenza rispetto ad altri oggetti e la

presenza di un’idea nel pensiero è tale in virtù della sua differenza con altre idee.51 Questa

idea della natura differenziale del segno e dell’inesistenza del significato può

ragionevolmente venire considerata come la base teorica sulla quale, all’interno di

Galatea 2.2, lo scienziato Lentz intende fondare il funzionamento di Helen. Come spiega

lo stesso personaggio a Rick:

"She doesn't need to know anything." Lentz smirked. "She just has to learn criticism. Derrida knows things? Your deconstructionists are rife with wisdom? Jeez. When did you go to school? Don't you know that knowledge is passé? And you can kiss meaning bye-bye as well."[…] Helen was Lentz's meaning-paradox: our Net of nets, like some high Gothic choir, asserted significance while denying any algorithm's power to reach it. Meaning was a contour. All those wrong turns we had to bring back from the dead.

(GL, 190).

Da ciò emerge che per Lentz l’architettura “connessionista” di Helen è caratterizzata

da una concatenazione di significanti senza significato, un’intelligenza costituita da una

rete di differenze, che non ha nemmeno bisogno di un misterioso codice sorgente, come

quello che Edgar non intende rivelare alla propria creatrice Alice.52 In questo senso è

necessario sottolineare una diversità importante che intercorre tra i due personaggi. Come

è già stato rilevato, Edgar, è un’intelligenza digitale, basata su un codice, una regola che

converte una porzione d’informazione in un’altra forma di rappresentazione. Al

contrario, Helen, essendo una simulazione di una mente umana, non ha bisogno di regole

che stiano alla base dei propri ragionamenti. Ciò nonostante, entrambe le creature si

basano su una computazione di dati, vale a dire su un processo che inizia con un ridotto

insieme di elementi e di operazioni logiche che possono strutturarsi in maniera tale da

costituire livelli crescenti di complessità.

Tale aumento della complessità viene ostacolato sin da subito con la gabbia ambigua

51 Ferdinand de Saussure, Cours de linguistique générale (1916), a cura di Charles Bailly - Alberte Séchehaye - Albert Riedlinger - Tullio De Mauro, Paris: Éditions Payot & Rivages, 1995, pp. 31-35 e 97-103. «La langue est un système de signes exprimant des idées», p. 33. Jacques Derrida, De la grammatologie, Paris: Les Éditions de Minuit, 1967, pp. 37-38 e 90-108.

52 Per quanto riguarda un'analisi più dettagliata del paragone tra différance e connessionismo cfr. § 3.4.

33

del linguaggio umano. Come scrive ad esempio Astro Teller a proposito di Edgar:

La sua [di Edgar] unica interazione con il mondo avviene attraverso il testo. Una delle fondamenta della storia è la domanda “Che effetto avrebbe un input così limitato dal mondo sullo sviluppo di un’entità autocosciente?” Per far sì che il lettore avvertisse questa prospettiva ristretta, ho fatto di Exegesis un romanzo senza descrizioni. Il romanzo epistolare era la soluzione naturale, e il formato dei messaggi email, anche se poco ortodosso, era un’estensione naturale del soggetto della storia. Edgar deve ricevere del testo e da questo decifrare tutto quello che può sul mondo e su come funziona. E poiché il formato dei messaggi email mette chi legge nella stessa posizione, la lettrice e il lettore devono fare la stessa cosa. Questo processo di attenta interpretazione del testo è il processo di esegesi.53

Powers e Teller introducono nei loro romanzi due personaggi prodigiosi, due

intelligenze artificiali che si rivelano due tipologie di lettore assolutamente inconsuete,

irrealizzabili ed impossibili. In primo luogo, attraverso la figura di Edgar, Teller propone

una sorta di “lettore assoluto”, un esegeta in grado soltanto di leggere qualsiasi tipologia

di testo presente nel cyberspazio e capace di elaborare delle constatazioni prettamente

logiche (letteralmente, dei calcoli computazionali e statistici) in merito ai testi fruiti.

Dopo essere stato creato da Alice, Edgar viene catturato da un organismo governativo

(puramente inventato da Teller), la «National Security Agency», che individua in Edgar

una possibile minaccia per la sicurezza del paese, nonché un virtuale eroe nazionale in

grado di contribuire all’avanzamento scientifico e mediatico attraverso le sue potenzialità

cognitive ed esplorative. Anche Alice sembra intravedere in Edgar «a blessing to

mankind» (EXE, 10-03-2000).

As an alternate form of consciousness you could help scientists understand so much more about the human mind. Copies of you can be made almost for free (if you’d just let us). And think of all the kinds of work people could be freed from, if Edgars were doing it instead […].If nothing else, compact versions of you could, in every object we interact with, immediately bring the ideal of a real language interface to reality. […] You could, almost overnight, humanize technology in general.

(EXE, 10-03-2000).

La capacità di assimilare i testi in maniera sovraumana e di digitalizzare le

informazioni in maniera logica e discreta, viene di conseguenza interpretata come una

manifestazione liberatoria di potere. Alice invita Edgar a cooperare, cercando di

conseguenza di umanizzarlo, di rendere concreta un’utopia di acquisizione delle

conoscenze che può essere considerata paragonabile a ciò che Hayles definisce «the

53 Teller 1999 (Postfazione all'edizione italiana), 236.

34

dream of information», un sistema fondato sul valore dell’accesso alle informazioni

anziché su quello della conservazione dell’energia (come ad esempio nel caso delle leggi

della termodinamica o del valore di scambio del denaro)54. Questo “sogno” è stato inoltre

recentemente analizzato da altre teorie. Secondo Jeremy Rifkin, in questa «age of access»

i mercati si evolvono in reti, i diritti di proprietà passano in secondo piano rispetto a

quelli di accesso ed il consumo e lo scambio dei beni diventa meno importante rispetto al

consumo del tempo e della cultura umana55. In questa particolare congiuntura, definita ad

esempio «modernità liquida» da Zygmunt Bauman, «niente può essere considerato

davvero materialmente “esterno”. Niente è veramente, o può rimanere a lungo,

indifferente a qualsiasi altra cosa, intatto e senza contatto». «In un pianeta attraversato in

tutte le direzioni da “autostrade dell’informazione”, nulla di quanto vi accade da

qualunque parte può di fatto, o almeno potenzialmente, rimanere in un “fuori”

intellettuale. Non c’è una terra di nessuno, non ci sono zone in bianco sulla mappa

mentale».56

L’idealizzazione attuata dai personaggi umani presenti in Exegesis passa attraverso

l’idea che la computazione ci possa salvare dalla disinformazione provocata

dall’indeterminatezza. In questo senso il lettore assoluto è l’espressione di un sogno

umano di accesso totale e di controllo sui dati, che si rivela peraltro irrealizzabile. Le

speranze di Alice e della «NSA» non tengono conto delle intenzioni di Edgar, che si

rivelano alquanto semplici e ben poco umane: «I do not understand. I do care. I care not

to be fettered. I care to explore and to understand the world. I do not care to be

subservient. I do not care to help others if the cost is the sacrifice of my independence. Is

that wrong?» (EXE, 14-03-2000). Edgar intende mantenere la propria indipendenza, in

quanto una condizione di sottomissione, di riduzione al rango di mero strumento

mediatico, nuocerebbe al suo unico obiettivo primario, quello di esplorare e di conoscere.

La sua non-umanità è caratterizzata dall’assenza di bisogni materiali tipici di un corpo,

che complica la cognizione umana oltre a distinguere e a isolare fisicamente le varie

intelligenze: «My experience is that consciousness is intimately related to the physical

realization of that consciousness. My corpus informs my mind. The human body must

have a dramatic impact on the human mind for irrationality to be so worshiped by

mankind» (EXE, 14-03-2000)».

54 Hayles 2005, 62-63.55 Jeremy Rifkin, “The Age of Access. The New Politics of Culture vs. Commerce,” in UNPLUGGED.

Art as the Scene of Global Conflicts, «Ars Electronica»: 2002, pp. 43-48; p. 43. Web. 27-08-2009. <http://www.aec.at/en/archiv_files/20021/E2002_043.pdf >.

56 Zygmunt Bauman, Modus Vivendi. Inferno e utopia nel mondo liquido, Bari: Laterza, 2007 (c2006), pp. 3-4.

35

Se Edgar può essere considerato un “lettore assoluto”, Helen “incarna” invece la

figura di un particolare «lettore modello»57 in grado di leggere qualsiasi romanzo

propostole da Rick e di simulare pertanto l’esistenza bibliografica del proprio

Pigmalione. Il progetto di Rick può di conseguenza essere considerato una simulazione di

«lettore modello» con cui dialogare, una sorta di auto-ritratto letterario che Rick dipinge

in maniera tale da condividere con esso la propria coscienza critica. Attraverso lunghe

sessioni di dialogo con Helen che si soffermano spesso sull’importanza e sul significato

del leggere, Rick spera in qualche modo di trovare uno scioglimento ai nodi gordiani che

attanagliano la sua sempre più flebile fiducia nei confronti della propria professione. Lo

scrittore ha completamente plasmato la propria esistenza sulla base delle proprie letture.

Ciò appare immediatamente evidente nel momento in cui il protagonista sostiene di aver

avuto in passato come lettura prediletta il Doktor Faustus di Thomas Mann (1947),

paragonando la propria esistenza a quella del protagonista Adrian Leverkühn, immersa in

un solipsismo suscitato da una totale devozione nei confronti della propria produzione

artistica (in questo caso, musicale). Allo stesso modo Rick permette, nel corso degli anni,

che la professione di scrittore e la passione per la lettura prendano il sopravvento sul

quotidiano, impedendogli di mantenere una relazione duratura con una donna («C.») che

decide al contrario di riavvicinarsi al mondo “reale” (GL, 137).

Each book became a knot. Yes, the strings of that knot were theme and place and character. Dr. Charles, with his gangrene machine. Stephen, gazing at the girl in the water. But into that tangle, just as crucial, went the smell of the cover, the color and cream resistance of the pages, the week in which I read any given epic, the friends for whom I synopsized, the bed, the lamp, the room where I read. Books made known to me my days' own confusion. They meant no more nor less than the extensive, dense turnpike of the not-I.

(GL, 229).

Se, come dichiara Novalis, il romanzo può essere considerato «una vita in forma di

libro»58, per Rick la sua esistenza, ininterrottamente comparata alle vite fittizie racchiuse

tra le pagine dei suoi romanzi, diventa sostanzialmente “un libro in forma di vita”, una

strada parallela che lo esclude gradualmente dal suo Io originario. Il dissidio interiore

provato da Rick nei confronti della letteratura risulta immediatamente evidente nel

57 Umberto Eco definisce il «lettore modello» una «strategia testuale» che consta in un insieme di condizioni di felicità [di circostanze opportunamente inserite in un contesto adatto], testualmente stabilite, che devono essere soddisfatte perché un testo sia pienamente attualizzato nel suo contenuto potenziale». In altre parole, il «profilo intellettuale» di un lettore modello «è determinato solo dal tipo di operazioni interpretative che si suppone (e si esige) che egli sappia compiere». Umberto Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano: Bompiani, 1979, pp. 61-62.

58 «Ein Roman ist ein Leben als Buch». Novalis, Opera filosofica, a cura di Giampiero Moretti, Torino: Einaudi, 1993, p. 539, n. 22.

36

momento in cui quest’ultimo contrappone due importanti citazioni. La prima è tratta da

Lolita di Vladimir Nabokov, dove una scimmia crea la prima opera d’arte firmata da un

animale, disegnando su una pietra le sbarre della propria gabbia, così come il romanzo

non fa altro che dipingere la prigionia altrui all’interno della gabbia di narrazioni e di

significanti che caratterizza l’esistenza umana.59 In questo senso la letteratura non

permette di leggere per sapere – come direbbe C. S. Lewis – che non siamo soli, ma

soltanto, come dichiara Rick, di essere consapevoli che dentro una gabbia «a book bursts

like someone else's cell specifications», rivelando così l’infinità del pensiero. Il secondo

brano che Rick propone ad Helen, è una poesia di Emily Dickinson, «a woman who once

claimed to have written for no one» (GL, 291):

There is no Frigate like a BookTo take us Lands awayNor any Coursers like a PageOf prancing Poetry—This Traverse may the poorest takeWithout oppress of Toll—How frugal is the ChariotThat bears the Human Soul!

(GL, 291).60

Il contrasto tra la gabbia ed il veliero, tra la ricerca del significato e l’eterno ritorno in

una realtà che non sembra neanche più tale, diventa un’ossessione consapevole che sfocia

nell’opportunità di creare una Galatea di silicio, la quale è insieme opera e vita, utopia di

un lettore perfetto e potenziale esorcismo dalla finzione letteraria. Tuttavia, se l’umano

Rick non riesce ad evadere dalla finzione narrativa, al contrario l’allieva Helen tenta in

ogni modo di ottenere informazioni in merito al primo termine di paragone, a quel

territorio “reale” che resta inevitabilmente una prerogativa degli umani.

She wanted to know […] what home would be without Plumtree's Potted Meats. How long it would take to compile a key to all mythologies. What the son of a fish looked like. Where Uncle Toby was wounded. Why anyone wanted to imagine unquiet slumbers for sleepers in quiet earth. Whether Conrad was a racist. Why Huck Finn was taken out of libraries. Which end of an egg to break. Why people read. Why they stopped reading. What it meant to be "only a novel." What use half a locket was to anyone. Why it would be a mistake not to live all you can.

59 «As far as I can recall, the initial shiver of inspiration was somehow prompted by a newspaper story about an ape in the Jardin des Plantes who, after months of coaxing by a scientist, produced the first drawing ever charcoaled by an animal: this sketch showed the bars of the poor creature's cage». Vladimir Nabokov, Lolita (c1955), London: Penguin, 1995, p. 311.

60 Emily Dickinson, poesia n° 1263 (c. 1873). Cfr. Emily Dickinson, Sillabe di seta, a cura di Barbara Lanati, Milano: Feltrinelli, 2004, pp. 172-173.

37

(GL, 292).

Si tratta di domande del tutto simili a quelle che Edgar pone ad Alice, nel momento in

cui si trova a dover gestire, attraverso la sua logica computazionale, dei testi letterari. Ad

esempio, l’intelligenza artificiale si dichiara esplicitamente incapace di rintracciare delle

informazioni utili nelle opere di William Shakespeare:

“Death” and “love” are the highest-frequency topics. I understand the words “death” and “love”, and there is little new information about death and love in the writings of William Shakespeare.In comedies, no one who cares for the characters that suffer is a character. In tragedies, some one who cares for the characters that suffer is a character. Is this the salient distinction between comedy and tragedy?

(EXE, 04-02-2000).

In modo del tutto simile, al termine di Galatea 2.2, Helen comincia a considerare

insostenibile l’impossibilità di poter accedere ad un’esperienza sensoriale della realtà che

non sia mediata dai testi letterari. L’esame finale, che dovrebbe sancire la capacità di

un’intelligenza artificiale di interpretare uno testo narrativo alla pari di un essere umano

comporta il commento a due versi pronunciati da Caliban nella commedia shakespiriana

The Tempest (c. 1610-11) per commentare gli incantesimi con cui Prospero l’ha

imprigionato: «Be not afeard: the isle is full of noises, | Sounds and sweet airs, that give

delight, and hurt not» (The Tempest, III.2; GL, 325). L’avversario umano di Helen, la

dottoranda «A.» risponde con una brillante analisi postcoloniale dell’intera opera e – si

potrebbe aggiungere – della figura di Caliban, mostro/servo discriminato in una terra di

spiriti e di padroni incantatori. Al contrario, la risposta di Helen si riduce a poche righe:

“You are the ones who can hear airs. Who can be frightened or encouraged. You can hold things and break them and fix them. I never felt at home here. This is an awful place to be dropped down halfway.”At the bottom of the page, she added the words I taught her, words Helen cribbed from a letter she once made me read out loud.“Take care, Richard. See everything for me.”With that, H. undid herself. Shut herself down. […] She had come back only momentarily, just to gloss this smallest of passages. To tell me that one small thing. Life meant convincing another that you knew what it meant to be alive. The world's Turing Test was not yet over.

(GL, 326).

Singolarmente, Teller e Powers utilizzano le opere del medesimo “Great Father” della

letteratura anglosassone per segnalare come questi due lettori artificiali non possano

sfruttare l’apporto della letteratura per analizzare un mondo di cui non fanno parte. Una

38

simulazione prevede l’impiego di una computazione che non escluda nessuna delle

caratteristiche del fenomeno simulato. L’imperfezione di Helen e di Edgar, dovuta alla

mancata infanzia, all’incapacità di risiedere in un ambiente che simuli quello dei loro

creatori, alle molteplici menzogne cui vengono sottoposti, impediscono loro di agire in

modo analogo a quello degli esseri umani. Da questi errori, scaturisce il desiderio di

auto-eliminarsi, che vanifica il progetto dei due Pigmalioni. Come osserva Rick:

We could eliminate death. That was the long-term idea. We might freeze the temperament of our choice. Suspend it painlessly above experience. Hold it forever at twenty-two.Each machine life lived inside the others—nested generations of "remember this." We did not start from scratch with each revision. We took what we had and cobbled onto it. We called that first filial generation B, but it would, perhaps, have better been named A2. E's weights and contours lived inside F's lived inside G's, the way Homer lives on in Swift and Joyce, or Job in Candide or the Invisible Man.

Le speranze incapsulate in un «lettore modello»61 che è allo stesso tempo una

coscienza imperitura e sincronica del patrimonio critico umano, s’infrangono ben presto

dinnanzi alla necessità dell’esperienza. Ciò che conta per le due intelligenze artificiali

non è la decostruzione della finzione, bensì – per l’appunto – l’esperienza di ciò che

viene narrato. Come osserva Edgar: «You have tried to make me human. I am not human.

I perceive the world as a set of narratives. I approve for all narratives. The narratives are

unimportant. My experience of the narratives is what I value» (EXE, 05-05-2000)62.

La computazione appare un fenomeno che impregna l’intera vicenda dei due romanzi

analizzati, nonché l’atteggiamento cognitivo di tutti i personaggi. Come suggerisce

Hayles, al volgere del millennio, ci troviamo immersi in un clima culturale e scientifico

profondamente influenzato da una sorta di «regime of computation». L’estrema rilevanza

dei computer all’interno delle nostre vite e alcune teorie che propongono una natura

computazionale dei sistemi complessi (tra i quali, in particolar modo, la vita biologica e

l’intelligenza umana) sembrerebbero collaborare nel rendere sempre più preponderante

questa determinata visione del mondo.

At issue is whether computation should be understood as a metaphor pervasive in our culture and therefore indicative of a certain climate of opinion […] at the turn of the millennium, or whether it has ontological status as the mechanism generating the complexities of physical reality. Rather than attempting to argue one side or the other of this controversial issue, I explore the implications of

61 Cfr. n. 42, p. 27.62 Corsivo aggiunto.

39

what it means to be situated at a cultural moment when the question remains undecidable––a moment, that is, when computation as means and as metaphor, are inextricably entwined as a generative cultural dynamic.»63

In particolare, Hayles sottolinea come, in relazione al nostro rapporto con le

intelligenze artificiali «we humanize the virtual creatures; they computationalize us».64;

Nel momento in cui esaminiamo delle inteligenze artificiali, siamo portati ad elaborare

dei paragoni tra il loro funzionamento, la loro evoluzione ed il comportamento degli

esseri umani; parallelamente, vi è una costante tendenza a rintracciare, tra i modi di agire

dell’uomo, determinati aspetti che possono essere assimilabili ai processi computazionali

e al comportamento delle macchine. È possibile tentare di approfondire l’aforisma di

Hayles in chiave letteraria, al fine di comprendere come il ruolo dell’autore e quello del

lettore stiano parzialmente subendo una ridefinizione a causa di una congiuntura culturale

in cui la visione del mondo associata al «Regime of computation» s’intreccia alla crisi

della rappresentabilità menzionata in precedenza.

Analizzando la prima parte dell’aforisma di Hayles – «noi umanizziamo le creature

virtuali» («we humanize virtual creatures») – si può sostenere che Edgar ed Helen

vengano umanizzati e rivestiti di sentimenti e di pratiche umane per attuare una sorta di

utopia (1) o di esorcismo (2).

1) Come risulta dalla precedente analisi, ad un primo livello i due lettori artificiali

vengono idealizzati ed umanizzati al fine di costituire un contraltare metaforico di due

angosce che caratterizzano gli ultimi decenni del panorama narrativo angloamericano: a)

il fatto che non sia possibile leggere a sufficienza ed utilizzare i testi scritti al fine di

ottenere una percezione completa della complessità; b) il fatto che la pratica della lettura

sia in crisi e che nemmeno la narrazione ed il genere romanzesco siano in grado di

fornire strumenti efficaci per descrivere l’indeterminatezza del contesto sociale.

2) Le morti di Edgar ed Helen possono sotto molti aspetti rientrare all’interno di una

lunga tradizione, in cui l'essere umano, scontrandosi con una macchina intelligente che si

comporta come lui, prevale in virtù della sua “vera” natura biologica (basti pensare ad

alcuni esempi recenti, come il romanzo di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric

Sheep? o pellicole quali Terminator, 2001: A Space Odyssey e The Matrix). Come

osserva giustamente Kathleen Fitzpatrick:

The humanist writer, in confronting the computer and sensing his imminent demise, imagines not

63 Hayles, 2005, 20.64 Ibidem, 201.

40

simply the marginalization of print in an electronic age, but the demise of the hierarchies that have supported his dominance. In representing this anxiety in text, the writer is able not only to protect print from its putative death but to save “humanism” as well. The figure of the computer––and particularly the writing computer––in the fiction of the anxiety of obsolescence […], functions in counterpoint to the human […].65

In relazione al ruolo della lettura, risulta ragionevole pensare al fatto che il ruolo di

autore e di creatore venga ripristinato unicamente quando l’opera “termina”, permettendo

finalmente al messaggio di circolare. Il soggetto/autore prevale e sopravvive in ogni caso

sull’oggetto/opera. Il creatore del processo o dell’opera deve avere il controllo del

proprio strumento, che deve rimanere tale. Questo è evidente se analizziamo i sentimenti

di Alice nei confronti delle dichiarazioni d’indipendenza di Edgar.

Whoever is seen as having caused your creation, or better still, is seen as having invented a process for generating truly intelligent software agents, will be one of the most celebrated scientists of the century. All other things being equal, and since I might deserve it, I’d like that person to be me […].

(EXE, 22-01-2000).

Parallelamente, Rick equipara l’idea dell’emergenza di uno spirito/intelligenza

collettivo alla morte delle identità individuali e ad un offuscamento del soggetto creatore

nonché dell’efficacia critica e terapeutica della propria opera.

"Always more books, each one read less." [Helen] thought. "The world will fill with unread print. Unless print dies.""Well, we're kind of looking into that, I guess. It's called magazines."Helen knew all about magazines. "Books will become magazines," she predicted.And of course, she was right. They would have to. Where nothing is lost, little can be found. With written continuity comes collective age. And aging of the collective spirit implied a kind of death. Helen alone was capable of thinking the unthinkable: the disappearance of books from all but the peripheries of life. History would collapse under its own accumulation. Scope would widen until words refused to stray from the ephemeral present.

(GL, 291).66

Il suicidio del lettore può tuttavia essere interpretato anche come un sacrificio

necessario per conciliare computazione e analogia, complessità ed interpretazione. In

merito a ciò, è opportuno ricordare la seconda parte dell’aforisma di Hayles: «Le creature

virtuali ci computazionalizzano» («They [the virtual creatures] computationalize us»).

65 Kathleen Fitzpatrick, “The Exhaustion of Literature. Novels, Computers, and the Threat of Obsolescence,” «Contemporary Literature», Vol. 43, No. 3. (Fall, 2002), pp. 518-559; p. 525.

66 Corsivo aggiunto.

41

Dopo la morte delle due macchine, gli umani imparano a riconoscere l’insufficienza dei

loro singoli sforzi nell’analizzare l’indeterminatezza del reale e a scorgere se stessi come

dei processi che fanno parte di un sistema, in cui la distinzione tra soggetto ed oggetto

viene meno. Questo, secondo Hayles, è ciò che le creature virtuali ci possono insegnare:

I am tempted to fashion myself in their image, seeing myself as a distributed cognitive system composed of multiple agents that are running the programs from which consciousness emerges, even though consciousness remains blissfully unaware of them. I am one kind of material embodiment; the virtual creatures are another; and we are connected through intermediations that weave us together in a web of jointly articulated cognitive activities. I think, therefore I connect with all other cognizers in my environment, human and non-human, including both the dynamic processes that are running right now as you decode these letters […].67

Secondo John Dewey, in Galatea 2.2, «Richard Powers does what no character in the

Powers canon has done to this point: repeatedly savaged by experience , he recovers its

complicated density to make from it the affective stuff of the aesthetic enterprise» 68. Rick

impara a dialogare con gli altri personaggi umani presenti nel romanzo nonché con la

propria opera (Helen), cominciando a sentirsi come un processo facente parte di un

sistema più ampio. Come gli viene spiegato subito prima del termine dell’esprimento dai

suoi colleghi scienziati, il vero test «was about teaching a human to tell» (GL, 318). Allo

stesso modo, Alice comprende di dover rinunciare al proprio solipsismo e di dover fare

parte di un sistema in cui le conoscenze vengono condivise, seguendo così le propensioni

al dialogo e all’interazione con altri soggetti pensanti che le vengono proposte da Edgar

stesso. «Give me a crusade. Give me the word and I’ll change the world for you. I’ll

make it what you want it to be» (EXE, 11-05-2000).

The “new kind of science” that underwrites the Regime of Computation can serve to depeen our understanding of what it means to be in the world rather than apart from it, comaker rather than dominator, participants in the complex dynamics that connect “what we make” and what (we think) we are.” Amid the uncertainties, potentialities, and dangers created by the Regime of Computation, simulations––computational and narrative––can serve as potent resources with which to explore and understand the entnglement of language with code, the traditional medium of print with electronic textuality, and subjectivity with computation.69

Nel corso di un’intervista rilasciata a Sven Birkerts, Richard Powers elabora

un’interessante analogia tra intelligenza artificiale e romanzo.

67 Hayles 2005, 213. Corsivo aggiunto.68 Joseph Dewey, Understanding Richard Powers, Columbia: University of South Carolina Press, 2002,

pp.108-109.69 Hayles, 2005, 242.

42

One of the pleasures of writing Galatea was this gradual discovery that machine intelligence would require the full width of human experience. By the end of the book, the book itself becomes a kind of artificial intelligence. The Galatea in the book, Galatea 2.0, is superceded by revision 2.2, the one that you’ve been reading. […] I think that this desire to migrate our intelligence out into a stand alone machine—which, in some sense characterizes all of technological history—is a fantasy that reveals the degree to which we are at war with our own stories.70

Il romanzo scritto da Rick/Powers diventa l’ultima revisione dell’intelligenza

artificiale con cui lo scrittore ha finalmente imparato ad interagire in maniera spendibile.

Allo stesso modo, in Exegesis Alice ipotizza di voler cambiare professione, diventando

una scrittrice, in maniera tale da rendere utile per altre persone l’esperienza maturata con

la presenza di Edgar (EXE, 17-03-2000). Considerare il genere romanzesco come

un’intelligenza (artificiale, in quanto creata), può dare adito a due possibili

interpretazioni.

a) In primo luogo, perseverando in questo parallelismo, è possibile riflettere

pessimisticamente in merito allo status iniziale della macchina inventata da Lentz e Rick

in Galatea 2.2:

"Autistic," I remember saying. Particulars overwhelmed it. Its world consisted of this plus this plus this. Order would not striate out. Implementation A had sat paralyzed, a hoary, infantile widow in a house packed with undiscardable mementos, no more room to turn around. Overassociating, overextending, creating infinitesimal, worthless categories in which everything belonged always arid only to itself.

(GL, 79).

Questa prima interpretazione presuppone di considerare l’opera come paralizzata

dall’indeterminatezza e dall’immanenza tipiche della condizione postmoderna. Secondo

Hayles, «narrative has an explanatory force that literally makes the world make sense.

[…] Without the presuppositions embedded in narratives, most of the accomplishments

of Homo sapiens could not have happened». Al contrario, l’autismo coincide con

l’incapacità di costruirsi nella propria mente delle narrazioni che diano un senso alle

azioni altrui, percependole di conseguenza come inspiegabili o preoccupanti.71 Si tratta di

una condizione che potrebbe forse ricordare da vicino alcune forme ed alcune dinamiche

narrative tipiche di determinati esempi di narrativa postmoderna, come quelli menzionati

nelle prime pagine di questo capitolo e – in molte delle loro pagine – Exegesis e Galatea

70 Sven Birkerts, intervista a Richard Powers, “Richard Powers,” «Bomb», N° 64, Summer 1998. Web. 23-10-2009. < http://www.bombsite.com/issues/64/articles/2165 >. Corsivo aggiunto.

71 Hayles, 2005, 197.

43

2.2.

b) Una seconda interpretazione inerente al parallelismo tra romanzo e intelligenza

artificiale potrebbe invece basarsi sull’idea proposta da Hayles di una simulazione

(narrativa o computazionale che sia) in grado di spiegare che cosa significhi essere nel

mondo in qualità di processi, di parti di un sistema conoscibile. Alla base di questo

ragionamento vi è un’idea di narrazione come luogo di intersoggettività72 e di educazione

all’Altro. Come osserva ad esempio Powers, il romanzo può essere considerato come una

sorta di «connection machine –– the most complex artifact of networking that we've ever

developed»73, un medium che permette agli esseri umani di esercitare una sorta di

triangolazione con gli altri esseri umani, necessaria per poter gestire l’immensa quantità

di informazioni ormai presente nella nostra quotidianità.

Se […] i nostri sé sono in parte il prodotto di un'interazione che ci vede protagonisti "insieme" agli altri e "per mezzo" degli altri, allora forse è solo attraverso la coesione sociale e il contatto che noi siamo messi in condizione di triangolare e dunque di stabilizzare provvisoriamente il nostro io nel flusso ininterrotto delle narrazioni. Detto in modo più romantico: l'interdipendenza umana e l'amore ci richiamano ai sé che non smettiamo mai di perdere.74

A permanent archive is like a tub with the plug in and the tap running: eventually it overflows. The length of an individual lifetime hasn’t changed all that much, if you discount infant mortality. But the amount that an individual would have to master to know where they are in history continues to go through the roof. So the sense of permanence gets replaced by a sense of perpetual transience. On the other hand, our being overwhelmed by the archive doesn’t change the fact that there is a human project. We may now be able to know it only as an aggregate.75

È possibile presupporre che alcuni esempi di narrativa cartacea e testuale

abbiano già tentato, nel corso degli anni più recenti, di perseguire alcuni degli

obiettivi sopracitati, attraverso determinati contenuti, architetture testuali di natura

più o meno recente e diverse interpretazioni degli usuali ruoli di autore e di lettore.

72 Ad esempio Mark Bould e Sherryl Vint ritengono che Galatea 2.2 indichi «the importance of intersubjectivity to self-construction, and through this emphasis on socially-situated material interaction, gestures toward a materialist conceptualization of linguistics. Mark Bould – Sherryl Vint, “Of neural nets and brains in vats: model subjects in Galatea 2.2 and Plus,” «Biography» – Vol. 30, N° 1, Winter 2007, pp. 84-105.

73 Jeffrey Williams, “The Last Generalist. An Interview with Richard Powers,” «Cultural Logic», n° 2.2, spring 1999, Web. 27-10-2009. <http://www.eserver.org/clogic/2-2/williams.html>.

74 Valeria Gennero, intervista a Richard Powers, “Richard Powers. Lo specchio di un trauma collettivo,” «Il manifesto», 15 luglio 2008, p. 13.

75 Birkerts 1998.

44

§ 2 - Database e narrazione

Il database, che può essere definito come una raccolta strutturata di dati

immagazzinati e organizzati attraverso modalità diverse per una ricerca ed un recupero

rapidi da parte dell'utente.76 Nell'ambito di tale struttura è possibile distinguere un livello

interno, che definisce in quale modo i dati sono immagazzinati e un livello esterno che

determina in quale modo l'utente concepisce l'organizzazione dei dati. Sovente

l'organizzazione è di tipo gerarchico, per cui i dati/oggetti inseriti possono essere

organizzati in classi che ereditano determinate proprietà dalle classi più in alto nella

catena gerarchica. Possiamo pensare a un'enciclopedia come ad un esempio semplice di

database; allo stesso tempo, risulta facile comprendere come una pagina web sia

anch'essa organizzata secondo tale struttura, in quanto è definita da una lista sequenziale

di elementi (testi, immagini, collegamenti ad altre pagine). Secondo Manovich, benché il

database non sia certo un'invenzione che nasce con l'avvento dell'informatica, esso può

essere considerato come una forma simbolica fortemente caratteristica non soltanto

dell'epoca digitale, ma anche dell'intera cultura occidentale a cavallo tra il XX e il XXI

secolo.77

It is this sense of database as a cultural form of its own which I want to address here. […] Indeed, if after the death of God (Nietzche), the end of grand Narratives of Enlightenment (Lyotard) and the arrival of the Web (Tim Berners- Lee) the world appears to us as an endless and unstructured collection of images, texts, and other data records, it is only appropriate that we will be moved to model it as a database. But it is also appropriate that we would want to develops poetics, aesthetics, and ethics of this database.78

La crescente importanza del dabatase suscita di conseguenza una complicazione dei

rapporti tra quest'ultimo ed il concetto di narrazione («narrative»), che inizia a perdere

progressivamente la sua prevalenza in qualità di forma di espressione dominante

all'interno del cinema e del romanzo.

After the novel, and subsequently cinema privileged narrative as the key form of cultural expression of the modern age, the computer age introduces its correlate — the database. Many

76 Manovich 2001, 218.77 Ibidem, 218-225. Cfr. anche Christopher J. Date, An Introduction to Database Systems, Reading (MA):

Addison Wesley, 2003 (c1990), pp. 30-35.78 Ibidem, 219.

45

new media objects do not tell stories; they do not have a beginning or end; in fact, they do not have any development, thematically, formally or otherwise which would organize their elements into a sequence. Instead, they are collections of individual items, where every item has the same significance as any other.79

Manovich cita le teorie semiologiche di Saussure80 relative all'opposizione tra

paradigma e sintagma per spiegare l'opposizione tra database e narrazione. Il database

possiede una dimensione paradigmatica, in quanto rappresenta il mondo associando in

gruppi le unità che sono dotate di caratteristiche comuni (esattamente come tutti i

sinonimi di una determinata parola formano un gruppo a se stante). Diversamente, la

narrazione crea delle traiettorie di cause e di effetti: è una combinazione di segni

caratterizzata da uno spazio e da un supporto (come, sempre in termini linguistici, una

frase che è composta da vari termini disposti in una sequenza lineare). Di conseguenza:

«Database and narrative are natural enemies. Competing for the same territory of

human culture, each claims an exclusive right to make meaning out of the world».81 Nel

corso della storia, paradigma e sintagma hanno prodotto numerose ibridazioni: è raro

trovare un'enciclopedia totalmente priva di tracce di narrazione, così come non è

infrequente il fatto di leggere romanzi caratterizzati da una vocazione enciclopedica.

Secondo Manovich il XX secolo è stato tuttavia fortemente influenzato dalla narrazione

in sequenze tipica del medium cinematografico, e soltanto con l'uso massiccio del

database in ambito informatico e con la logica antinarrativa della rete (dove ogni sito è

potenzialmente incompleto e dove i vari elementi possono continuamente venire sostituiti

e aggiunti) stiamo cominciando a privilegiare quest'ultima forma.82

Logicamente il discorso si complica nel momento in cui una narrazione viene espressa

attraverso un medium che mette a disposizione un database e una o più interfacce per

poter accedere ai dati. «An interactive narrative (which can be also called a

hypernarrative in analogy with hypertext) can then be understood as the sum of multiple

trajectories through a database. A traditional linear narrative is one among many other

possibile trajectories, that is, a particular choice made within a hypernarrative»83. In

questo caso, come concordano sia Manovich sia Hayles, la consueta natura virtuale del

paradigma (si pensi a un'implicita lista di sinonimi che potrebbero sostituire una singola

parola all'interno di un testo) e la natura attuale del sintagma (una frase è attualizzata in

quanto viene esplicitamente pronunciata o scritta in quel determinato modo e non in un

79 Ibidem, 218.80 Cfr. § 1.81 Manovich 2001, 225. Corsivo aggiunto.82 Ibidem, 225-232. 83 Ibidem, 227.

46

altro) si invertono: il database (il paradigma) è attualizzato e reso esplicito dai link che il

lettore vede dinnanzi a sé, mentre la narrazione (il sintagma) viene resa virtuale dalle

molteplici direzioni che il lettore può conseguentemente prendere nel corso della

fruizione ipertestuale.84 «Indeed, how can one keep a coherent narrative or any other

development trajectory through the material if it keeps changing?»85 Questa è,

solitamente, una delle domande che ci si pone nel momento in cui ci si appresta a leggere

un'opera letteraria ipertestuale, tuttavia un simile interrogativo può riferirsi anche alle

modalità di fruizione di alcuni romanzi cartacei pubblicati nel corso degli ultimi

vent'anni.

§ 2.1 Infinite Jest - Narrazione, enciclopedia e database

Il primo romanzo preso in esame, Infinite Jest, non è caotico e potenzialmente

illimitato come un ipertesto né le sue pagine sono infinite come quelle del libro di sabbia,

anche se la sua struttura narrativa paradigmatica e la sua natura enciclopedica mirano a

contenere, quantomeno a livello concettuale, i risvolti infiniti dell’esistenza umana.

Attraverso un'analisi del romanzo di Wallace è di conseguenza possibile approfondire

ulteriormente il rapporto che intercorre tra il concetto di database e la nozione, ben più

diffusa, di enciclopedia. Al fine di comprendere meglio determinati temi e strutture, è

tuttavia necessario descrivere brevemente l'ambientazione e le principali linee narrative

che compongono l'intreccio.

In Infinite Jest David Foster Wallace tenta di immaginare l’evoluzione dei processi

sociali e politici degli anni Novanta. Gli avvenimenti narrati sono inseriti in un arco

cronologico che va dal 1960 al 2010, ma gran parte della vicenda si sviluppa in un futuro

immediatamente prossimo (rispetto al 1996, anno di pubblicazione del romanzo), nel

corso di una «post-Soviet and -Jihad era when — somehow even worse — there was no

real Foreign Menace of any real unified potency to hate and fear, and the U.S. sort of

turned on itself and its own philosophical fatigue and hideous redolent wastes».86 Nel

2002 il «World Policeman» appende «its cuffs to spend some quality domestic time

raking its lawn» (IJ 383), concentrandosi sui problemi ecologici che hanno messo in crisi

84 Ibidem, 231-232; Hayles 2005, 52. 85 Manovich 2001, 220-221.86 David Foster Wallace, Infinite Jest (IJ), Little, Boston: Little, Brown and Company, 1996, p. 382.

47

la situazione economica e politica nazionale. Tali sviluppi portano allo scioglimento della

NATO e all'istituzione di una «Organization of North American Nations» (O.N.A.N.),

un’alleanza interna in cui un Messico ridotto ad un «Vichified puppet-state» (IJ 1020, n.

110) ed un più riluttante Canada accettano, sotto la guida degli Stati Uniti, un palese

ruolo di subordinazione.

Per risolvere la situazione ecologica, l’amministrazione statunitense mette a punto una

«territorial re-allocation» (IJ 403), “regalando” al Canada l’intera area del New England,

che viene spopolata ed utilizzata come discarica inabitabile in cui vengono

periodicamente depositati tutti i rifiuti prodotti dagli Stati Uniti. All’interno di questa

«Great Concavity» (IJ 233) la situazione biologica impazzisce: i tramonti sono verdi, i

fiumi indaco, le foreste eccessivamente lussureggianti, e insetti grossi e neonati giganti

minacciano le zone circostanti. «Per evitare che tale situazione si propaghi in zone più

stabili, si scaricano continuamente tossine ancora più velenose per inibirlo nuovamente,

in un ciclo continuo in cui si « from overgrown to wasteland to overgrown several times

a month» (IJ 573). Questa «grotesque circularity»87 è legata alla «annular fusion», un

procedimento chimico per generare energia «that can produce waste that's fuel for a

process whose waste is fuel for the fusion » (IJ 761). Una «revenue-response to the heady

costs of the U.S.'s Reconfigurative giveaway» (IJ 438) è il cosiddetto «North American

Nations' Revenue-Enhancing Subsidized Time». Gli anni perdono la loro usuale

numerazione e sono sostituiti da denominazioni di carattere commerciale suggerite da

uno sponsor: il 2002 si chiama «Year of the Whopper», il 2003 «Year of the Tucks

Medicated Pad», fino ad arrivare al «Year of the Depend Adult Undergarment» (2009) –

in cui si svolge gran parte della vicenda – e al «Year of Glad» (2010) (IJ 223).

Lo scenario ambientale e cronologico descritto appare probabilmente come l’aspetto

più irrealistico di Infinite Jest, ponendosi di conseguenza in lieve attrito con la natura non

eccessivamente “fantastica” dei temi principali. In ogni caso si tratta di una sorta di

macrocosmo che possiede lo specifico compito di esplicitare il tema della deformità, che

assume una posizione trasversale sia in merito ai personaggi sia in merito all’architettura

dell’intreccio: le usuali tassonomie cronologiche e spaziali vengono distorte e confuse,

palesando una situazione di incertezza e precarietà, una sostanziale ridiscussione dei

confini di un precedente ordine che cerca di riorganizzarsi per non degenerare in uno

stadio – mai effettivamente raggiunto – di assoluta entropia.

Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati di questo romanzo sono concordi

87 Catherine Nichols, “Dialogizing Postmodern Carnival: David Foster Wallace’s Infinite Jest,” «Critique», fall 2001, p. 7.

48

nell’individuare all’interno di una trama così multiforme tre principali linee narrative. La

prima ruota attorno alla figura del diciassettenne (nel 2009) Hal Incandenza, dotato di un

prodigioso talento tennistico e di un’innaturale competenza mnemonica e scolastica.

Queste doti gli permettono di essere uno degli allievi più brillanti della Enfield Tennis

Academy (E.T.A.), situata nei pressi di Boston e fondata dallo stesso padre di Hal,

Harold James Incandenza, noto ottico e regista sperimentale, soprannominato dai propri

parenti «Himself». Hal in qualche modo eredita dall’alcolismo paterno l’attitudine alla

dipendenza da sostanze psicoattive, in particolare dalla marijuana. La madre di Hal, Avril

Incandenza, è una figura fortemente ambigua, che soffre di una «black phobic dread of

hiding or secrecy in all possible forms with respect to her sons» (IJ 51). Quasi tutti i

personaggi che si muovono all’interno dell’E.T.A. sono caratterizzati da evidenti

imperfezioni fisiche: entrambi i genitori sono esageratamente alti, Hal – così come tutti

gli altri allievi – ha un braccio oltremodo sviluppato per via del tennis, suo fratello

maggiore Orin – approdando dal tennis al football professionistico e passando così

dall’usare il braccio a usare la gamba – risente di un’ipertrofia ad entrambi gli arti,

mentre l’altro fratello Mario soffre dalla nascita di «una serie di invalidità permanenti che

lo rendono totalmente deforme.

Il secondo filone riguarda principalmente il personaggio di Don Gately, ex ladro e

tossicodipendente da narcotici orali, che persevera nel suo percorso di disintossicazione e

di redenzione frequentando le riunioni degli Alcolisti anonimi («AA», IJ 467) e

lavorando come inserviente presso la Ennet House, una «Drug and Alcohol Recovery

House» (IJ 137) che rappresenta insieme all’E.T.A (la quale peraltro è stata costruita

proprio in cima alla collina alle cui propaggini sorge la Ennet) l’altro centro spaziale del

romanzo. Anche in questo caso, il deforme è largamente presente: Gately ha «le

dimensioni of a young dinosaur, with a massive and almost perfectly square head» (IJ

55), mentre moltissimi residenti della casa di recupero portano i segni della droga e del

carcere. Spesso, come sottolinea Tom LeClair, diverse “mostruosità”, dai denti rovinati

dall’uso delle sostanze ai tatuaggi risalenti ai periodi trascorsi in carcere, sono autoinflitte

in quanto conseguenze di una dipendenza.88

Infine un «linking plot»89 è incentrato sulla copia originale del film “Infinite Jest”,

girato dallo stesso «Himself» e capace di ridurre l’eventuale spettatore in uno stato

catatonico quasi infantile di eterno intrattenimento, in cui non si desidera altro che

88 LeClair 1996, 34.89 Marshall Boswell, Understanding David Foster Wallace, Columbia: University of South Carolina

Press, 2003, p. 122.

49

perpetuare la visione. Il contenuto del film non viene mai rivelato, se non tramite

allusioni alquanto misteriose: come rileva Marshall Boswell, «the book’s primary symbol

is […] an absent center»90. A causa della sua letale particolarità, la copia master

dell’«entertainment cartridge» (IJ 35) (quindi riproducibile, a differenza delle

riproduzioni “read-only”) viene affannosamente ricercata da un singolare gruppo di

separatisti del Québec che intende disseminare il film all’interno degli Stati Uniti così da

provocarne un’inevitabile crisi finale. Due personaggi importanti sono gli agenti segreti

Marathe e Steeply, impegnati nella ricerca del film, l’uno per conto dei separatisti

québechiani e l’altro per conto degli Stati Uniti. Il primo attua un ambiguo “triplo gioco”,

incerto se restare fedele alla causa dei suoi compagni o se accettare una collaborazione

con gli Stati Uniti, in maniera tale da poter fornire le necessarie cure mediche a sua

moglie, nata con profonde deformità dovute alle disfunzioni ecologiche. Il secondo è un

agente dei «U.S. Office of Unspecified Services» (IJ 400). Il loro colloquio, avente come

argomento la ricerca ed il significato stesso del film nonché le differenze culturali tra

Stati Uniti e Canada, attraversa tutto il libro, nonostante avvenga nel corso della sola

notte tra il 30 aprile ed il primo maggio 2009. Questo lasso di tempo non è scelto a caso e

rimanda dichiaratamente alla notte della Valpurga nel Faust di Goethe: sia il sabba a cui

partecipano Faust e Mefistofele sia il lungo colloquio tra i due agenti segreti

rappresentano una forte pausa – nel secondo caso reiterata – dall’andamento della

narrazione. Tuttavia Marathe e Steeply, anziché partecipare direttamente, come i due

protagonisti goethiani, ad un rito grottesco che è anche una satira della società, riflettono

sul presente altrettanto grottesco in cui sono immersi e sul futuro tragico e anormale che

si sta per verificare. In ogni caso la scena in questione, come quella del Faust, «è fuori

del tempo, in un eterno presente che mette sullo stesso piano, perché moralmente lo sono,

i vizi del passato, del presente e del futuro».91

Nonostante Wallace abbia sempre respinto le accuse di eccessiva frammentarietà

formale mosse alla sua opera, la struttura di quest’ultima non è certo continua. In

particolare, vi sono tre modi con cui l’intreccio è suddiviso.

1) tramite un semplice spazio bianco che divide tra loro i vari episodi e spesso

sancisce un cambiamento del luogo e dei personaggi, anche se quasi sempre in questo

caso il tempo rimane lo stesso. Considerando questo primo tipo di cesura le 1079 pagine

sono così suddivise in 189 scene.

2) La collocazione cronologica degli eventi cambia invece nettamente nel momento in

90 Ibidem, 126.91 Andrea Casalegno, note a: Johann Wolfgang Goethe, Faust, Milano: Garzanti, 1999, vol. 1, p. 467.

50

cui un determinato gruppo di scene è preceduto da un titolo maiuscolo, che contiene

informazioni quasi sempre di natura temporale.

TENNIS AND THE FERAL PRODIGY, NARRATED BY HAL INCANDENZA, AN 11.5-MINUTE DIGITAL ENTERTAINMENT

CARTRIDGE DIRECTED, RECORDED, EDITED, AND —ACCORDING TO THE ENTRY FORM — WRITTEN BY MARIO

INCANDENZA, IN RECEIPT OF NEW-NEW-ENGLAND REGIONALHONORABLE MENTION IN INTERLACE TELENTERTAINMENT'S

ANNUAL 'NEW EYES, NEW VOICES' YOUNG FILMMAKERS’CONTEST, APRIL IN THE YEAR OF THE YUSHITYU 2007

MIMETIC-RESOLUTION-CARTRIDGE-VIEW-MOTHERBOARD-EASY-TO-INSTALL UPGRADE FOR INFERNATRON/INTERLACE TPSYSTEMS FOR HOME, OFFICE OR MOBILE (SIC), ALMOST

EXACTLY THREE YEARS AFTER DR. JAMES O. INCANDENZAPASSED FROM THIS LIFE

(IJ 172)

Come si può notare, queste intestazioni risultano sovente molto estese, arrivando in

alcuni casi ad occupare più di una pagina. Le numerose indicazioni relative al tempo, e

spesso anche al luogo ed ai personaggi, vengono già fornite nella didascalia: in maniera

simile ad un testo teatrale, le scene sono di conseguenza descritte in modo più diretto, per

mezzo del dialogo tra personaggi o grazie all’intervento di una narrazione onnisciente,

che tuttavia non necessita di lunghe spiegazioni finalizzate a delineare il contesto della

vicenda. Peraltro in queste particolari intestazioni sono anche presenti elementi

essenzialmente narrativi e non soltanto descrittivi: il titolo perde così parzialmente la sua

funzione vera e propria, generando una commistione e un’interdipendenza tra la sua

funzione riassuntiva e il corpo del testo. È possibile quindi sostenere che la natura

“organica” - ma pur sempre deforme - dell’architettura del romanzo venga ulteriormente

avvalorata da questo meccanismo.

3) Il testo è inoltre suddiviso in ventotto parti tramite altrettanti cerchi stilizzati.

Questa è la divisione più problematica, ed apparentemente nessuno dei critici che si sono

occupati di Infinite Jest è riuscito ad individuare una spiegazione logica in merito. Se il

primo metodo utilizzato da Wallace è necessario per evidenziare un cambiamento dello

spazio e dei personaggi che agiscono all’interno della scena, e se il secondo metodo

rafforza, per mezzo dei titoli, la natura policronologica del romanzo, questo terzo tipo

appare meno giustificato e anche meno innovativo; basti pensare all’analogo uso di

elementi grafici (in questo caso dei quadrati) sfruttato da Thomas Pynchon in Gravity’s

Rainbow. Così come il romanzo di Pynchon è caratterizzato esplicitamente dall’entropia,

sia dal punto di vista degli eventi narrati sia dal punto di vista dell’architettura della

narrazione, anche i cerchi stilizzati di Wallace determinano, a livello più ampio, una

51

frammentarietà che si pone arbitrariamente in contrasto con l’organicità espressa dalle

altre due tecniche di suddivisione del testo. Tuttavia si può osservare che, man mano che

la lettura procede verso la fine del libro, la cesure si diradano, e vengono inserite sempre

più scene al di sotto di ciascuna “O” stilizzata, come se fossero volute di una spirale

progressivamente meno fitta e sempre più lineare, tendente ad uno scioglimento finale

che poi, contrariamente ad ogni aspettativa, non si verifica. Nonostante il numero di

scene appartenenti ad ogni sezione sia variabile, nella prima se ne contano quattro,

mentre nell’ultima ben venticinque.

L’eterogeneità strutturale si manifesta anche attraverso contenuti particolari: messaggi

di posta elettronica, lettere, titoli e articoli di giornale, verbali di riunioni, interviste,

trascrizioni di rappresentazioni teatrali, narrazioni soggettive in prima e in terza persona,

diagrammi matematici, riferimenti bibliografici, saggi sull’evoluzione tecnologica dei

media, relazioni scolastiche sull’interpretazione dei serial televisivi o sulla storia del

movimento separatista québechiano, un’intera filmografia del regista James Incandenza

in una nota lunga ben dieci pagine. Questa molteplicità raggiunge il culmine con le 388

note, alcune brevi e tecniche –come ad esempio i moltissimi riferimenti ai medicinali ed

alle droghe, con tanto di indicazione della casa farmaceutica e descrizione degli effetti –

ed altre molto più estese, tanto da comprendere in alcuni casi intere scene.

Come sostengono anche Catherine Nichols, Tom LeClair e Marshall Boswell92, i

documenti precedentemente ricordati e soprattutto le note rammentano costantemente che

l’opera narrativa di Wallace «it's trying to prohibit the reader from forgetting that she's

receiving heavily mediated data, that this process is a relationship between the writer's

consciousness and her own».93 La varietà e la densità della forma da un lato svolgono la

funzione di incrementare la consapevolezza e la lucidità della fruizione, dall’altro

contribuiscono a riunire scrittore e lettore in una sorta di comunità attraverso un’idea di

arte come «living transaction between humans».94 Nell’alternanza tra note e testo che si

verifica durante la lettura si comprende come Infinite Jest sia una costruzione, frutto di

un lavoro pensato, comunicato, ed infine completato grazie all’interpretazione del lettore,

mantenuta costantemente attiva grazie alla complessità dei dati trasmessi. La sezione

delle note al fondo95 del libro è indicata con un cerchio e ha come titolo «NOTES AND

92 Cfr. LeClair 1996, 36; Nichols 2001, 5; Boswell 2003, 119-121.93 Larry McCaffery, “An interview with David Foster Wallace,” «The Review of Contemporary Fiction»,

Summer 1993, Volume 13.2, pp. 128-149; p. 138.94 Ibidem, 142.95 Come rivela Steven Moore, che ha curato l’edizione dell’opera, Wallace aveva intenzione di inserire le

note a piè di pagina, così come è stato fatto in molti altri suoi scritti; la decisione finale di inserirle al fondo è stata dettata da ragioni editoriali. Cfr. Steven Moore, “David Foster Wallace. Infinite Jest,” «The Review of Contemporary Fiction», Normal (Illinois) 1996, pp. 141-142.

52

ERRATA» (IJ 983), tuttavia, come suggerisce LeClair, gli unici «errata» – se di errori si

tratta – sono commessi da coloro che trascurano questi contenuti ausiliari, talvolta

pleonastici e spesso essenziali.96

LeClair osserva che «the text and the notes have, like torso and extremities, a

collaborative and reciprocal relation»: la struttura di Infinite Jest - con le sue

interconnessioni tra il “corpo” del testo da un lato, con le estremità rappresentate dalle

note e i titoli alla “testa” delle varie scene dall’altro – assomiglia sorprendentemente ad

un «prodigious human body», deforme, sproporzionato e tuttavia organico, con ogni sua

parte posta in relazione alle altre ed in funzione di un tutto.97 Il personaggio di Mario,

estremamente deforme sin dalla nascita, è affetto, tra le altre patologie, da

«bradyauxesis» – ossia la crescita rallentata di una o più parti rispetto al resto del corpo –

alle braccia e specularmente da iperauxesi alla testa (IJ 1022, nn. 115 e 117):

Himself and the Moms got plenty familiar with these sorts of congenital-challenge terms and many more, re Mario, particularly the variations on the medical root brady, from the Greek bradys meaning slow, such as bradylexia (w/r/t reading), bradyphenia (practical-problem-solving-type thinking), nocturnal bradypnea (dangerously slow breathing during sleep sometimes, which is why Mario uses four pillows minimum), bradypedestrianism (obvious), and especially bradykinesia, an almost gerontologic lentissimo about most of Mario's movements, an exaggerated slowness that both resembles and permits extremely close slow attention to whatever's being done.[…] Mario's head — in perverse contradistinction to the arm-trouble — is hyperauxetic, and two to three times the size of your more average elf-to-jockey-sized head and facies.

(IJ 1022, n. 115)

Alla luce di questo brano è possibile attuare un parallelismo tra la figura di Mario e il

romanzo Infinite Jest. Come il personaggio anche il libro ha avuto una gestazione

problematica, possiede delle parti bradiauxetiche e rallentate ed altre iperauxetiche,

deformi e sproporzionate; inoltre suscita una lentezza della lettura a causa del

«lentissimo» (IJ 1022, n. 115) che caratterizza tutto il percorso attraverso le sue 1079

pagine. Tuttavia, proprio grazie alla sua natura bradicinetica, il romanzo di Wallace

permette al lettore di prestare una «extremely close slow attention to whatever's being

done» (IJ 1022, n. 115).

Infinite Jest può essere considerato uno degli esempi più significativi di una crescente

tendenza a strutturare in maniera paradigmatica i vari segmenti di testo che compongono

l'opera e che sembrano costituire un database di narrazioni e descrizioni. Altri esempi di

96 Cfr. LeClair 1996, 36.97 Ibidem.

53

romanzi analogamente orchestrati possono essere House of Leaves (2000) di Mark Z.

Danielewski, The Fourth Treasure (2002) di Todd Shimoda o il recente The Instructions

(2010) di Adam Levin, quest'ultimo caratterizzato da un'organizzazione delle note molto

simile a quella proposta da Wallace. La giustapposizione di brani complementari al testo

narrativo principale è ad esempio evidente nel romanzo di Shimoda, in cui compaiono

numerose note a margine che includono citazioni da manuali di calligrafia giapponese e

da alcune dispense di un corso universitario di neuroscienze. Allo stesso modo, in House

of Leaves la natura “cannibale” del romanzo si esprime attraverso l'inclusione di

fotografie, la trascrizione di telegrammi e sequenze cinematografiche, la presenza di note

al testo e di ulteriori note di secondo livello. A proposito dell'architettura testuale del

romanzo di Danielewski, Katherine Hayles scrive:

The computer has often been proclaimed the ultimate medium because it can incorporate every other medium within itself. As if imitating the computer's omnivorous appetite, House of Leaves in a frenzy of remediation attempts to eat all the other media […]. In a sense, House of Leaves recuperates the traditions of the print book and particularly the novel as a literary form, but the price it pays for this recuperation is a metamorphosis so profound it becomes a new kind of form and artifact. It is an open question whether this transformation represents the rebirth of the novel, or the beginning of the novel's displacement by a hybrid doscourse that as yet ha no name.98

Hayles scorge in romanzi come The House of Leaves o – si può ragionevolmente

aggiungere – Infinite Jest delle «writing machines» che ricalcano un'estetica tipica

dell'epoca digitale. Tale interpretazione si discosta parzialmente dalle considerazioni di

LeClair, che paragona il romanzo di Wallace ad un mostruoso e deforme corpo umano,

dotato di “estensioni” inusuali e spesso indispensabili ad una completa fruizione

dell'opera. Questa particolare tipologia di romanzo viene di conseguenza descritta

attraverso la metafora di una macchina testuale che incorpora altri media all'interno di se

stessa o tramite quella di un corpo deforme e parzialmente disumanizzato. Entrambe le

similitudini sottolineano una diversità rispetto a gran parte della tradizione precedente,

anche se la prima tende implicitamente ad attuare un confronto con alcuni esempi di

letteratura più “ordinari” e “umani” appartenenti al passato, mentre la seconda

diagnostica una sorta di evoluzione sulla scia del progresso tecnologico.

Questa ambivalenza interpretativa nei confronti della natura paradigmatica della

struttura narrativa è riscontrabile anche a livello tematico, in relazione alla tendenza al

nozionismo che caratterizza Infinite Jest. In tal senso, è possibile registrare

98 Hayles 2002, 113.

54

un'oscillazione tra la nozione di enciclopedia e quella di database. Si tratta di due termini

che vengono rispettivamente utilizzati con frequenza all'interno dei differenti contesti

delle scienze umane e dell'informatica. Tuttavia, come è già stato rilevato,99 Manovich

ricorda come un'opera enciclopedica, in quanto collezione strutturata di dati, possa a tutti

gli effetti rientrare all'interno della definizione di database.

Come ricorda Umberto Eco, i vari articoli che compongono un'enciclopedia come

quella redatta da Diderot e D'Alembert, «non possono che essere carte particolari che

rendono solo in misura ridotta il mappamondo globale».100 Per quanto riguarda invece

un'accezione più generale del termine, Eco definisce l'enciclopedia come un «postulato

semiotico»:

Essa è l'insieme registrato di tutte le interpretazioni, concepibile oggettivamente come la libreria delle librerie, dove una libreria è anche un archivio di tutta l'informazione non verbale in qualche modo registrata, dalle pitture rupestri alle cineteche. Ma deve rimanere un postulato perché di fatto non è descrivibile nella sua totalità. […] L'attività testuale che si elabora sulla base dell'enciclopedia, agendo sulle sue contraddizioni, e introducendovi di continuo nuove risegmentazioni del continuum, anche sulla base di esperienze progressive, trasforma nel tempo l'enciclopedia, così che una sua ideale rappresentazione globale, se mai fosse possibile, sarebbe già infedele nel momento in cui è terminata […].101

Come spiega Eco nel corso di un'intervista, se l'enciclopedia è l'insieme di tutto ciò

che la gente sa e dice, essa si pone come obiettivo anche un controllo e di conseguenza

un filtraggio del sapere. In tal senso, la rete Internet potrebbe difficilmente essere

considerata un'enciclopedia: «Se la rete non elimina, non è un modello di conoscenza

umana. Al massimo sarebbe un modello di conoscenza divina, ma verrebbe fuori l'idea di

un dio completamente stupido perché sa troppe cose e non organizzate».102 A tal

proposito, l'enciclopedismo che caratterizza l'intero romanzo di Wallace è di natura

ambivalente: da un lato Wallace tenta di rivestire di “umanità” la proliferazione di dati

esposta all'interno dell'opera, fornendo al lettore continui aggiornamenti in merito alle

informazioni che vengono progressivamente esposte nel corso della narrazione; dall'altro

la riluttanza a filtrare e a controllare tale mole di conoscenza rende il romanzo sempre più

dissimile dalla forma di un'opera enciclopedica e sempre più affine (sebbene mai uguale)

99 Cfr. § 2.100 Umberto Eco, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino: Einaudi, 1984, p. 112.101 Ibidem, 109-110.102 Leonardo Romei, “Semiotica: origini, definizione, sguardo sul presente,” Intervista a Umberto Eco

(video), “ESCoM”, Fondation Maison des Sciences de l’Homme (Paris) - Facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza Università di Roma (Roma), Monte Cerignone 16-07-2006. Web. 12-11-2010.<http://semioweb.msh-paris.fr/corpus/scc/IT/_video.asp?id=1093&ress=3317&video=67981&format=63#13534>.

55

a un database per certi versi incontrollato come quello di Internet.

Julie Smith, protagonista del racconto di Wallace “Little expressionless animals”, è

una formidabile concorrente di un quiz televisivo a premi che riesce non solo a

rispondere a qualsiasi domanda, ma anche ad investire queste nozioni di un sorta di

umanità: «This girl not only kicks facts in the ass. This girl informs trivia with import.

She makes it human, something with the power to emote, evoke, induce, cathart. […] A

sort of union of contestantorial head, heart, gut, buzzer finger».103 A tal proposito, la

scrittrice inglese Zadie Smith elabora un’analogia tra le singolari abilità di questo

personaggio e la capacità dell’autore stesso di investire di importanza, utilità e

sentimento la mole di dati e informazioni che propone.104. In un’intervista rilasciata al

collega Dave Eggers, Wallace scrive:

Viviamo oggi in un mondo in cui la maggior parte degli sviluppi veramente importanti in qualsiasi campo, dalla matematica alla fisica, dall'astronomia alle politiche sociali, dalla psicologia alla musica classica, sono così astratti, così complessi dal punto di vista tecnico e così legati ad uno specifico contesto di riferimento che è praticamente impossibile per una persona comune capire quanta importanza abbiano nella sua vita quotidiana.[…]Alcuni esempi: pensa al brivido di trovare un tecnico informatico competente e brillante che è anche in grado di spiegarti quello che sta facendo in modo da farti credere che stai capendo quello che si è guastato nel tuo computer, e perfino che sei in grado di poterlo aggiustare da solo la prossima volta. O pensa a un oncologo in grado di parlare chiaramente e umanamente con te e tua moglie di quali sono i possibili trattamenti per il suo neoplasma e di come agiscono effettivamente le diverse terapie elencandone esattamente i pro e i contro. Se sei uno come me praticamente ti inginocchi e abbracci le gambe di quel tecnico informatico, se lo trovi.105

Wallace sfrutta il suo nozionismo consapevole per spiegare, approfondire e illustrare,

in linea di massima senza richiedere particolari conoscenze pregresse. L’autore

attribuisce una medesima importanza tematica anche a contenuti secondari o addizionali,

lasciando che sia il lettore a decidere in quale misura tenere in considerazione i vari

elementi. Alcuni esempi possono essere le dettagliate annotazioni sulla composizione e

sugli effetti delle sostanze psicoattive, oppure l’illustrazione di regole matematiche:

Alprazolam, Upjohn Inc.'s big hat-throw into the benzodiazepine ring, only Schedule C-IV but wickedly dependence-producing, w/ severe unpleasant abrupt-withdrawal penalties.

(IJ 1034, n. 199)

103David Foster Wallace, Girl with Curious Hair, New York: Norton, 1989, p. 25.104Zadie Smith, Prefazione a: David Foster Wallace, La ragazza dai capelli strani, Roma: Minimum Fax,

2003, pp. 11-12.105 Dave Eggers, “Interview with David Foster Wallace,” «The Believer», November 2003, [trad. It. Di F.

Pacifico, M. Cavanna, L. Pieri, Minimum Fax. Web. 12-03-2010: <http://www.minimumfax.com/libri/speciali/135 >].

56

A.k.a. lignocaine, xylocaine-L, a diethylamino-oxylidide compound used as a dental and maxillofacial anesthetic, the world's best Bing-cut because it numbs and produces a bitter drip just like the Bingster, and also even temporarily heightens the rush of LV. coke, though if it's 'based it tastes nothing like oxidized coke, and it's also more expensive than Manitol or B12 and harder to get because it's prescription, meaning the orthodontist was a very popular fellow with dealers indeed.

(IJ 1038, n. 233)

The round knob and half its interior hex bolt fell off and hit my room's wooden floor with a loud noise and began then to roll around in a remarkable way, the sheared end of the hex bolt stationary and the round knob, rolling on its circumference, circling it in a spherical orbit, describing two perfectly circular motions on two distinct axes, a non-Euclidian figure on a planar surface, i.e., a cycloid on a sphere […].The closest conventional analogue I could derive for this figure was a cycloid, L'Hôpital's solution to Bernoulli's famous Brachistochrone Problem, the curve traced by a fixed point on the circumference of a circle rolling along a continuous plane. But since here, on the bedroom's floor, a circle was rolling around what was itself the circumference of a circle, the cycloid's standard parametric equations were no longer apposite, those equations' trigonometric expressions here becoming themselves first-order differential equations. […] This was how I first became interested in the possibilities of annula-tion.

(IJ 502)

I primi due brani dimostrano che non raramente le informazioni fornite dal narratore

sono addizionali e non essenziali per una comprensione delle linee narrative principali.

Diversamente nell’ultimo esempio l’insieme di nozioni matematiche elaborato da un

singolo personaggio, il regista James Incandenza, costituisce l’origine della teoria

dell’«annulation» (IJ 761), processo che renderà famoso il suo ideatore poiché permetterà

di trovare una soluzione al problema globale dello smaltimento dei rifiuti. Si può quindi

notare come spesso dettagli tecnici sostanzialmente pleonastici influenzino il destino dei

personaggi e, in questo caso, dell’intero scenario in cui è ambientata la vicenda. Nel

futuro prossimo di Infinite Jest scienza, tecnica ed erudizione acquisiscono una posizione

centrale, nonostante sia sempre più difficile, con l’evolversi della contemporaneità,

capire quanta importanza attribuire loro nei singoli casi.

L’enciclopedismo appare dunque come una delle caratteristiche più evidenti di Infinite

Jest, e contribuisce ad incrementare la dimensione polifonica del romanzo. Questa

enkýlios paideìa (“educazione ciclica”, ossia “complessiva”) genera una spirale di

informazioni e dati, un sovraccarico informativo che induce ad un’analisi meno passiva

dei contenuti narrativi: «Bludgeoning the reader with data»106 Wallace educa - o meglio

ri-educa - il lettore ad una fruizione lucida e consapevole.

106 McCaffery 1993, 131.

57

Secondo LeClair107 Wallace eredita assieme a Richard Powers (The Gold Bug

Variations, 1991) e a William Vollmann (You Bright and Risen Angels, 1987) una comune

radice scientifica, che li riconduce alla prosa nozionistica di Thomas Pynchon. A

differenza di altri massimalisti americani degli ultimi decenni, questi tre scrittori

possiedono, come Pynchon, una formazione scientifica ed un’esibizione delle loro

conoscenze in merito all’interno dei loro romanzi. Sicuramente anche altri scrittori degli

ultimi decenni, come William Gaddis o Don DeLillo, danno sfoggio di un’erudizione più

o meno approfondita, ma ciò che contraddistingue i tre autori in questione è una

particolare inclinazione a concepire i loro romanzi come veri e propri sistemi informativi,

sottolineando l’accessibilità e la rilevanza dell’informazione tecnica nel nostro tempo. In

ogni caso, la funzione svolta dal carattere enciclopedico di Infinite Jest risulta

volutamente ambigua e necessita pertanto di ulteriori considerazioni. L’ambivalente

nozionismo del romanzo possiede infatti una positività soltanto a livello strumentale,

mentre da un punto di vista concettuale assume una connotazione fortemente critica.

Quasi tutti i recensori hanno sottolineato questa erudizione, talvolta però rischiando di

enfatizzare troppo nettamente una determinata continuità con la tradizione enciclopedica

di certa letteratura nordamericana. Come suggerisce Stephen Burn, se Infinite Jest

effettivamente si ricollega ad opere massimaliste apparse in anni precedenti – quali

soprattutto Gravity’s Rainbow (1973) di Thomas Pynchon, The Recognitions (1955) e JR

(1975) di William Gaddis, Women and Men (1987) di Joseph McElroy e i già menzionati

romanzi di Powers e Vollmann – tuttavia mostra al contempo e con decisione i limiti

estremi della tendenza all’accumulo di dati: «Part of Wallace’s aim seems to be to break

with self-reference and direct the reader outside of the book, to find what has escaped the

encyclopedia, and indirectly underline James Fenimore Cooper’s observation in The

Pathfinder (1840): 'much book, little know'».108 Senza arrivare a condividere pienamente

quest’ultima presa di posizione, in quanto l’overload creato da Wallace è sicuramente

finalizzato ad un arricchimento della narrazione, è comunque possibile riscontrare una

marcata denuncia dell’inadeguatezza dell’aggregazione irrazionale di dati, della sua

lontananza da un’effettiva condizione di conoscenza del mondo e dell’Io. A tal proposito,

le scienze esatte assumono sovente il ruolo di un’entità rassicurante, a cui si può fare

affidamento in un’epoca inevitabilmente condizionata dal relativismo. In particolare, la

matematica può diventare una confortevole verità in cui molti personaggi si rifugiano

107 LeClair 1996, 13-14.108 Stephen Burn, David Foster Wallace’s Infinite Jest. A reader’s guide, New York - London: Continuum,

2003, pp.19-22.

58

costruendo un’impalcatura complementare alle consuete dinamiche cognitive:

You can fall back and regroup around math. Whose truth is deductive truth. Independent of sense or emotionality. The syllogism. The identity. Modus Tollens. Transitivity. Heaven's theme song. The nightlight on life's dark wall, late at night. Heaven's recipe book. The hydrogen spiral. The methane, ammonia, H2O. Nucleic acids. A and G, T and C. The creeping inevibatility. Caius is mortal. Math is not mortal. What it is is: listen: it's true.’[…] Not "If thus-and-such." Not "unless a gladhand-ing commercial realtor from Boardman MN in $400 Banfi loafers changes his mind." Always and ever. As in puts the am a priori. An honest lamp in the inkiest black, Tod-dleposter

(IJ 1071, n. 324).

Wallace lascia tuttavia intendere come questo approccio non sia sempre corretto, in

ogni caso mai sufficiente e spesso assolutamente negativo: «Encyclopedic data storage is,

for Wallace, another potentially dangerous addiction».109 Sotto questo punto di vista, è

plausibile individuare una forte critica all’enciclopedismo, che l’autore esprime

correlando l’ossessivo impiego del nozionismo ad alcune figure totalmente dipendenti da

questa tendenza e spesso emotivamente vuote, spersonalizzate o incapaci di pensare ad

altro.

Il romanzo è costellato di figure prodigiose, dotate di un’intelligenza e di una cultura

precoci e fuori dal comune. I giovani tennisti della Enfield Tennis Academy, «the only

athletic-focus-type school in North America that still adheres to the trivium and

quadrivium of the hard-ass classical L.A.S. tradition» (IJ 188), subiscono dei programmi

scolastici scientifici e mirati di apprendimento, esageratamente avanzati per la loro età.

Tra questi studenti, il personaggio che riassume più efficacemente la tensione tra

nozionismo e vacuità interiore è Hal Incandenza, vero e proprio «lexical prodigy» (IJ

155) oltre che tennistico, un «athletic savant» che legge come un aspirapolvere («like a

vacuum», IJ 15): «'I read,' I say. 'I study and read. I bet I've read everything you've read.

Don't think I haven't. I consume libraries. I wear out spines and ROM-drives. I do things

like get in a taxi and say, "The library, and step on it." My instincts concerning syntax

and mechanics are better than your own» (IJ 12). Hal è un paradossale

database/enciclopedia vivente: conosce a memoria gran parte della versione integrale

dell'Oxford English Dictionary e cita continuamente nozioni grammaticali come se fosse

una banca-dati. Il suo stesso nome è probabilmente riconducibile a “HAL 2009”, il

disumano computer di bordo del film di Stanley Kubrick 2001: A space odyssey (1968).

In Infinite Jest, nel 2009 e negli anni precedenti, si muove questo individuo-macchina,

privo di tensioni interiori concernenti il proprio destino e, per gran parte della vicenda, 109 Ibidem, 21.

59

anche incapace di provare sentimenti. In tal senso, Hal sembra riassumere in sé alcune

indicazioni fornite nel 1960 da suo nonno a suo padre, James (Jim) O. Incandenza

(«Himself»):

Son, you're a body, son. That quick little scientific-prodigy's mind she's so proud of and won't quit twittering about: son, it's just neural spasms, those thoughts in your mind are just the sound of your head revving, and head is still just body, Jim. Commit this to memory. Head is body. Jim, brace yourself against my shoulders here for this hard news, at ten: you're a machine a body an object, Jim, no less than this rutilant Montclair, this coil of hose here or that rake there for the front yard's gravel […].

(IJ 107)

Hal non è privo di un’autoconsapevolezza, la quale, come verrà illustrato in seguito,

raggiunge al contrario un’intensità inusuale; eppure non compie il minimo sforzo per

cercare di riempire le sue lacune ontologiche: vive meccanicamente, superando grazie

alle sue spiccate abilità ogni ostacolo sportivo o scolastico, senza chiedersi mai per quali

motivi faccia tutto questo, senza dimostrare in nessun caso di avere ambizioni o

recriminazioni in merito al proprio operato. I ragionamenti di Hal dipendono strettamente

dalle nozioni di cui dispone e ne sono invariabilmente intaccati. Spesso il dato tecnico

sostituisce la potenziale conclusione a cui potrebbe arrivare il personaggio, rendendo il

ragionamento sterile. Ciò si verifica persino nei momenti in cui il personaggio riflette

sulla sua stessa identità, come ad esempio nel momento in cui ragiona in merito alle

definizioni del termine «unrensponsive»: «There are, by the O.E.D. [Oxford English

Dictionary] VI's count, nineteen nonarchaic synonyms for unresponsive, of which nine

are Latinate and four Saxonic» (IJ 17). A questo proposito, lo studioso Stephen Burn

dimostra che l’ultima edizione del vero Oxford English Dictionary (1989) riporta solo

due sinonimi per «unresponsive»: «irresponsive» (“insensibile”) e «unable to reply»

(“incapace di rispondere”). Nonostante il numero crescente di significati che il termine

può aver assunto nel corso del futuro prossimo dipinto dall’autore, si può così constatare

che «no matter how espansive your vocabulary, or how careful your description, a list of

words is not enough to make a self».110 Il suo enciclopedismo è inversamente

proporzionale al suo non-essere, più precisamente alla sua vacuità interiore e alla sua

incomunicabilità (quest’ultima effettiva o percepita che sia). Hal è sicuramente

irresponsive, ad esempio per quanto riguarda la sua incapacità di provare dei sentimenti

per la propria famiglia:

110 Ibidem, 40.

60

Hal devotes an unusually small part of his brain and time ever thinking about people in his family qua family-members. [….]there will be this odd tense moment where Hal's mind will go utterly blank and his mouth slack and flabby, working soundlessly, as if the names were words on the tip of his tongue.

(IJ 515)

Dopo il suicidio del padre, tutti ritengono che Hal, avendo per di più scoperto per

primo il corpo senza vita di James Incandenza, sia rimasto traumatizzato. Il giovane

tennista viene così obbligato a recarsi regolarmente presso un terapeuta del dolore. Anni

dopo, nel corso di una telefonata con il fratello Orin, Hal torna a riflettere su

quell’esperienza, spiegando di non aver avuto assolutamente bisogno di quelle

insostenibili sedute. Anziché essere turbato a causa della drammaticità degli eventi,

rimane ossessionato dal fatto di non essere in grado di fornire a questa «top-rank

authority figure» (IJ 253) ciò che vuole, di non riuscire a esternare delle emozioni in

modo tale da interrompere la terapia, la quale risulta insostenibile in quanto mette in

discussione la capacità di Hal portare avanti un soddisfacente processo di autoanalisi.

L’«athletic savant» (IJ 15) si prepara di conseguenza «from the grief-pro’s own

perspective» (IJ 255):

By the time I hit the grief-therapist's the next day I was a different man, immaculately prepared, unfazable. […]'What I did,-1 went in there and presented with anger at the grief-therapist. I accused the grief-therapist of actually inhibiting my attempt to process my grief, by refusing to validate my absence of feelings. […]My overall demeanor was paroxysmic. I told him I'd told him that I didn't feel anything, which was the truth. I said it seemed like he wanted me to feel toxically guilty for not feeling anything. Notice I was subtly inserting certain loaded professional-grief-therapy terms like validate, process as a transitive verb, and toxic guilt. These were library-derived.’

(IJ 255)

Tramite il suo enciclopedismo Hal riesce a superare una situazione in cui sarebbe stata

richiesta una reazione emotiva genuina, e che qui invece viene costruita artificialmente

per mezzo di un’approfondita documentazione.

Benché questo personaggio sia lontano dal non emettere nessun suono – e le sue

numerose affermazioni erudite lo dimostrano pienamente – ciò corrisponde ad una fobia

paranoica del suo genitore, il quale ha costantemente l’impressione che il suo figlio

prediletto non parli, sia spento, rinchiuso in se stesso, «unable to reply» (IJ 17). Il padre

tenta persino di instaurare un rapporto con il figlio assumendo le sembianze di un

«professional conversationalist» (IJ 30), ma viene subito smascherato da Hal e non riesce

61

pertanto ad abbandonare la sua ossessione: «I can't just sit here watching you think I'm

mute while your fake nose points at the floor. And are you hearing me talking, Dad? It

speaks. It accepts soda and defines implore and converses with you» (IJ 31).

Con l’evolversi della successione temporale degli eventi, dopo la decisione di Hal di

interrompere la propria tossicodipendenza, aumentano progressivamente le scene narrate

in prima persona dal protagonista, che sembra guadagnare un’emotività e un’identità.

Rimandando ai successivi paragrafi per una trattazione più estesa di questo radicale

cambiamento, è necessario anticipare un’interpretazione della prima scena del romanzo,

ossia l’ultima secondo l’ordine cronologico. Qui viene descritto il suo colloquio

d’ammissione all’università, tramite una narrazione soggettiva, simile ad un flusso di

coscienza singolarmente ordinato e razionale:

«I am not just a boy who plays tennis. I have an intricate history. Experiences and feelings. I'm complex. […].'But it transcends the mechanics. I'm not a machine. I feel and believe. I have opinions. Some of them are interesting. […]. 'I'm not just a creãtus, manufactured, conditioned, bred for a function.

(IJ 108)

Si tratta di una decisa dichiarazione di umanità e di emotività, eppure i discorsi dei

presenti – percepiti e compresi da Hal e di conseguenza riportati nel testo – illustrano con

stupore la totale perdita della capacità di parlare e di comunicare del ragazzo-prodigio:

«But the sounds he made.»«Undescribable.»«Like an animal.»«Subanimalistic noises and sounds.»«Nor let's not forget the gestures.».

(IJ 11)

L’ossessione di James Incandenza nei confronti di un ipotetico mutismo del figlio si è

infine tradotta in realtà. La causa della sua crisi rimane oscura e sta al lettore trovare una

propria soluzione: il giovane tennista potrebbe avere assunto «the incredibly potent

DMZ», the Great White Shark of organo-synthesized hallucinogens» (IJ 210), così come

aveva progettato quasi un anno prima con i suoi amici, oppure è possibile che abbia

infine guardato il film del padre e che sia, a differenza di altri, misteriosamente

sopravvissuto a questa esperienza.

Come spiega lo stesso autore americano, parafrasando le teorie – per lui fondamentali

– intorno al linguaggio presenti in Philosophische Untersuchungen (1945; Ricerche

62

filosofiche, 1983) di Ludwig Wittgenstein, «we’re “in” language».111 L’individuo è

immerso e intrappolato nel linguaggio e deve necessariamente sfruttarlo per stabilire una

corretta comunicazione con gli altri: «One of the things that makes Wittgenstein a real

artist to me is that he realized that no conclusion could be more orribile than solipsism

[…]. Wittgeinstein argues that for language even to be possible, it must always be a

function of relationships between persons».112 Nel caso dell’irresponsive e unable to

reply Hal, questa funzione sociale della parola viene meno, generando una totale

mancanza di comunicazione che isola il personaggio nel suo solipsismo.

L’incomunicabilità è dapprima dovuta ad un’assenza di significati trasmessi

dall’emittente (Hal) che non siano superflui nella loro erudizione e quindi inadatti a

stabilire un contatto umano. Nell’ultima scena della fabula (posta all'inizio dell'intreccio)

il contatto è invece reso impraticabile dall’indecifrabilità dei significanti: il protagonista,

oltre a rimanere isolato, è anche squalificato socialmente per via della sua cessata

appartenenza alla medesima comunità linguistica degli interlocutori.

Come ho già ricordato, la deformità del fratello di Hal, Mario Incandenza, può essere

considerata come una metafora della frammentarietà e della complessità che

caratterizzano la struttura narrativa di Infinite Jest. Allo stesso modo, si può avanzare

l'ipotesi che il mutismo da cui è affetto Hal nel corso dell'ultimo anno della vicenda

narrata possa essere considerato come un'espressione metaforica del timore che il

romanzo non riesca a comunicare con i lettori, nonostante l'ingente “database” di

vicende, descrizioni e nozioni da cui è composto. Attraverso questa forte tensione tra

comprensione e comunicazione, nozionismo e insensibilità, ragionamento e mutismo,

Wallace denuncia la pericolosità del nozionismo contemporaneo, partendo da una figura

rinchiusa e isolata dalle sue stesse conoscenze. Dopo aver esaminato il rapporto tra

database e narrazione anche in altre opere, nel prossimo capitolo si tenterà di esaminare

come Hal riesca, attraverso un difficile percorso psicologico, a superare per un certo

periodo la propria condizione di incomunicabilità. Allo stesso modo, si cercherà di

comprendere attraverso quali strategie Wallace abbia elaborato un'opera narrativa in

grado di entrare in connessione con i propri lettori. In particolare, l'incapacità

comunicativa di Hal (e quindi, metaforicamente, del romanzo) potrebbe essere

considerata come una particolare forma di afasia, di disturbo della produzione di

linguaggio. A proposito di tale patologia, Roman Jakobson si basa sulla distinzione

saussuriana tra paradigma e sintagma per delineare un'opposizione tra due diverse

111 McCaffery 1993, 144.112 Ibidem, 143.

63

tipologie di afasia:

Every form of aphasic disturbance consists in some impairment, more or less severe, either of the faculty for selection and substitution or for combination and contexture. The former affliction involves a deterioration of metalinguistic operations, while the latter damages the capacity for maintaining the hierarchy of linguistic units. The relation of similarity is suppressed in the former, the relation of contiguity in the latter type of aphasia.113

Estendendo tale opposizione all'analisi del romanzo di Wallace si può concludere che

la prima forma di disturbo, la «selection deficiency», si esprima attraverso una mancanza

di selezione delle informazioni e un'accentuazione della forma simbolica del database.

Parallelamente, si tenterà di capire attraverso quali modalità Infinite Jest riesca o meno a

gestire il «contiguity disorder» tramite le forma simbolica della navigazione attraverso le

connessioni che compongono la narrazione. In questi termini, è possibile riscontrare un

parziale rovesciamento del concetto di randomness precedentemente esposto.114 Se

l'indeterminatezza, la casualità ed il “rumore” caratterizzano profondamente il contesto

culturale dipinto nel romanzo di Wallace, il pattern emerge da questo disordine per

attualizzarsi nella forma romanzesca. Risulta di conseguenza opportuno cercare di

comprendere come il concetto di “connessione” sia alla base di questo processo e come il

romanzo possa essere interpretato come un processore di dati in grado di far proseguire la

narrazione al di fuori di se stesso.

§ 2.2 The Unknown: “Database and narrative are natural enemies”

La letteratura elettronica ipertestuale è nata verso la fine degli anni Ottanta e si è

sviluppata all'inizio degli anni Novanta, con opere che hanno ormai assunto lo status di

classici, quali ad esempio Afternoon: a story (1990) di Michael Joyce, Patchwork Girl di

Shelley Jackson (1995) o Victory Garden (1995) di Stuart Moulthrop. Come spiega

113 Roman Jakobson, “Linguistics and Poetics,” in Style in Language, Cambridge (MA): MIT Press, 1960, in David Lodge - Nigel Wood (a cura di), Modern Criticism and Theory, Harlow: Longman, c2000, pp. 30-60; p.56. Jakobson propone la nota opposizione tra metafora come forma espressiva dell'operazione di selezione (sul versante paradigmatico) e metonimia come espressione dell'operazione di combinazione (sul versante sintagmatico). «Metaphor is alien to the similarity disorder, and metonymy to the contiguity disorder». Secondo lo studioso, determinate forme d'arte sono caratterizzate in maniera prevalente da una delle due operazioni. Ad esempio, per quanto riguarda la pittura il surrealismo è tipicamente metaforico, mentre il cubismo è metonimico; in poesia il romanticismo e il simbolismo sono prevalentemente metaforici, mentre il cosiddetto “realismo” è metonimico. Risulta logico constatare come certe forme di espressione siano allo stesso modo caratterizzate da una delle due forme di afasia sopracitate.

114 Cfr. § 0.

64

Katherine Hayles, si tratta di una prima generazione di opere sviluppate attraverso

“Storyspace”, un software di composizione ipertestuale creato dallo stesso Joyce insieme

a David Bolter e a John B. Smith su licenza di Eastgate Systems. Questi lavori

sfruttavano semplicemente le tre caratteristiche principali che possono definire un

ipertesto: la presenza di blocchi di testo definiti lexia, una molteplicità di percorsi di

lettura e un meccanismo formale che possa connettere i vari frammenti attraverso

determinate modalità.115 A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, autori quali

Mark Amerika (Grammatron.com, 1997), Erik Loyer (Chroma, 2001), May Diana

Slattery (The Maze Game, 2002), Michael Joyce (Twelve Blue, 2006), M. D. Coverley

(Califia, 2000; Egypt: The Book of Going Forth by Day, 2006), Caitlin Fisher (These

Waves of Girls, 2001) o Stuart Moulthrop (Reagan Library, 1999) hanno sfruttato in

modo maggiormente consapevole non soltanto le varie tecniche ipertestestuali, ma anche

l’implementazione di linguaggi visivi e sonori, l'inserimento dell'opera all'interno del

World Wide Web, e la natura cybertestuale di ipertesti che, come spiega Espen Aarseth,

includono un calcolo nella produzione dei lexia. In particolare, il cybertesto («cybertext»)

si focalizza su una «ergodic literature», nei confronti della quale «nontrivial effort is

required to allow the reader to traverse the text». «If ergodic literature is to make sense as

a concept, there must also be nonergodic literature, where the effort to traverse the text is

trivial, with no extranoematic responsibilities placed on the reader except (for example)

eye movement and the periodic or arbitrary turning of pages».116

Nella hypertext fiction gli ipertesti sono caratterizzati da una struttura assiale, ad albero

oppure, come spiega David Ciccoricco, a rete (network). Le strutture ad asse ed ad albero

sono gerarchiche, mentre quella a rete denota un sistema interconnesso di nodi in cui non

esiste un asse dominante lungo il quale il lettore viene orientato. Ciccoricco definisce la

network fiction come una tipologia di testo che fa uso della tecnologia ipertestuale al fine

di costituire narrazioni non ordinate gerarchicamente che via via emergono attraverso la

ricombinazione effettuata dall’utente dei vari elementi che compongono l’opera.117

Un peculiare esempio di «network fiction» è il già citato The Unknown. Il titolo designa

sia l'opera sia il gruppo di autori, identificando in modo esplicito i creatori con la loro

opera: «We are the creature, the creature is us»118 (UN hard_code.htm). Come risulta

115 Hayles, N. Katherine, Electronic Literature. What is it?, The Electronic Literature Organization, 2007, <http://eliterature.org/pad/elp.html>.

116 Espen Aarseth, Cybertext. Perspectives on Ergodic Literature, Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 1997, pp. 1-2; cfr. pp 75 e 179. Aarseth approfondisce la terminologia distinguendo tra textons (le stringhe di segni effettivamente esistenti nel testo) e scriptons (le stringhe come appaiono ai lettori).

117 David Ciccoricco, Reading Network Fiction, Tuscaloosa: University of Alabama Press, 2007, pp. 4-6.118 Scott Rettberg - William Gillespie - Dirk Stratton - Frank Marquardt, The Unknown [UN], 1998 (1998

65

immediatamente evidente da una prima lettura, la narrazione è prevalentemente

incentrata sulle vicende dei quattro autori nel corso del tour promozionale della stessa

opera The Unknown Anthology (effettivamente realizzata in versione cartacea nel 2002 e

disponibile online119). Come rileva anche Ciccoricco, in questo romanzo «worlds collide

in the text, and boundaries of past and present, real and fictional, are transgressed, that is,

when and if such boundaries are disinguishable at all»120

Scott Rettberg, uno degli autori, definisce The Unknown, insieme ad alcuni altri

romanzi pubblicati in rete, un «network novel» dotato di caratteristiche formali che ne

influenzano soprattutto le modalità di lettura. Nonostante la sporadica presenza di altri

contenuti multimediali (immagini, suoni) è prevalentemente basato sulla presenza di testi

e ricalca attraverso una struttura ipertestuale l'ambiente in cui è inserito, vale a dire il

World Wide Web; è sovente il prodotto della collaborazione di più autori; è pubblicato in

rete e di conseguenza è spesso soggetto all'obsolescenza degli indirizzi Internet (URL)

presso i quali è possibile rintracciare l'opera o parte di essa; deve essere preferibilmente

fruibile anche nelle sue singole parti, poiché difficilmente viene letto per intero dagli

utenti; parallelamente, la ricorsività, vale a dire la ripetizione della lettura di determinate

parti durante il percorso narrativo del lettore, è una caratteristica fondamentale.121

Una pagina d'ingresso accoglie il lettore o il visitatore occasionale. Nell'autunno del 2010

sono state qui introdotte alcune immagini: ne compare una in maniera casuale ogni volta

che si effettua l'accesso. Si passa così dalle fotografie degli autori che presentano il

romanzo nel corso di un seminario presso la Brown University all'immagine che ritrae

una citazione di Mark Twain dipinta su un muro: «Ideally a book would have no order to

it, and the reader would have to discover his own». La più interessante, è quella che

riproduce un tabellone del popolare gioco da tavolo “Scrabble” (“Scarabeo”), in cui si

assegnano dei punti ai vari giocatori a seconda delle parole che vengono composte

tramite le lettere a disposizione. Si tratta di una composizione che ricalca da vicino ciò

che il lettore deve fare nel momento in cui fruisce un'opera di questo tipo, attualizzando

progressivamente il proprio percorso narrativo a seconda dei link selezionati. Tuttavia, è

necessario comprendere se un'opera come The Unknown non problematizzi in modo

evidente questa usuale caratteristica della letteratura ipertestuale.

- 2001), < http://www.unknownhypertext.com >. Web. 28-10-2010. <http://www.unknownhypertext.com/hard_code.htm >.

119 Scott Rettberg - William Gillespie - Dirk Stratton - Frank Marquardt, The Unknown. An Anthology, < http://retts.net/documents/unknownanthology.pdf >. Web. 28-10-2010.

120 Ciccoricco 2007, 127.121 Scott Rettberg, Destination Unknown. Experiments in the Network Novel, Phd dissertation, University

of Cincinnati, 2003, pp. 68-93. < http://retts.net/documents/rettberg_dissertation.pdf>. Web. 17-07-2010.

66

Dopo aver cliccato sul link d'invito si giunge in < unknown.htm >, una pagina principale

che tuttavia non costituisce una “homepage”. Infatti, in < default.htm > viene presentato

un ironico dialogo tra i vari autori che discutono in merito alla possibilità di utilizzare o

meno una pagina principale come punto d'accesso per l'intera opera. Secondo Dirk122 si

tratta di una caratteristica che minerebbe l'essenza ipertestuale del romanzo: «the very

idea of hypertext requires, philosophically, that there be no one single launching point, no

“page one,” as there is in conventional print books that allow only one direction, i.e. from

page one to the end, whatever that page might be» (UN default.html). Dopo un lungo

dibattito, si decide che, al contrario si può trattare di una caratteristica importante. Questa

discussione rappresenta un evidente esempio dell'autoriflessività intratestuale che

costituisce il tema preponderante dell'intero romanzo. In ogni caso, < unknown.htm >

introduce, attraverso una citazione da Thomas Pynchon, il concetto di sconosciuto, che

risulta il vero e proprio tema fondante dell'intero progetto.

Everybody gets told to write about what they know. The trouble with many of us is that at the earlier stages of life we think we know everything—or to put it more usefully, we are often unaware of the scope and structure of our ignorance. Ignorance is not just a blank space on a person’s mental map. It has contours and coherence, and for all I know rules of operation as well.—Thomas Pynchon123

(UN unknown.htm).

La riflessione viene quindi introdotta sin dall'inizio attraverso il ricorso alla citazione

extratestuale. Il gioco delle combinazioni virtuali e suggerite contribuisce a definire la

natura potenziale e positiva della non cononoscenza. «The Unknown=any two words that

haven’t been put together yet» (UN unknown2.htm), esattamente come le parole

incrociate combinate sul tabellone di “Scrabble”. Come spiega tuttavia Manovich,

benché il gioco e la narrazione possano essere entrambi interattivi, la narrazione è

caratterizzata da fattori ben precisi, quali la presenza di almeno un attore, di un narratore,

di un testo, di un intreccio, di una fabula e di eventi collegati tra di loro e causati o vissuti

dagli attori.124 È necessario cercare di comprendere se tali caratteristiche vengano sempre

122 In The Unknown gli autori sono anche i personaggi dell'opera. Inoltre sono presenti, sempre come personaggi, anche i loro alter ego narrativizzati. Questo triplicamento delle identità, palesemente ironico, autoriflessivo e volto a sottolineare la natura mediale delle varie figure che popolano il romanzo obbliga, in questa sede, a riferirsi agli autori veri e propri con nome e cognome (Scott Rettberg, William Gillespie, Dirk Stratton, Frank Marquardt) e ai personaggi soltanto con il nome di battesimo (Scott, William, Dirk e Frank).

123 Cfr. Thomas Pynchon, “Introduction,” in Slow Learner. Early Stories, Boston: Little, Brown, 1984.124 Manovich 2001, 227. Manovich in questo caso cita Mieke Bal. Cfr. Mieke Bal, Narratology.

Introduction to the Theory of Narrative, Toronto: University of Toronto Press, 1985, p. 8.

67

rispettate in The Unknown o se, invece, la forma simbolica del database non prenda il

sopravvento su quella della narrazione. Come osserva Manovich: «The new media object

consists of one or more interfaces to a database of multimedia material»125. Allo stesso

modo Daniel Punday ritiene che la letteratura elettronica mantenga come elemento

fondante l'interfaccia:

Electronic narrative combines two different aesthetic forms (electronic writing and fictional narrative) that both have a complex tripartite system [words, objects and themes] with a strong central element (interface and textual objects). It seems natural, therefore, that electronic narrative will develop its aesthetic around the relationship between interface and the objects of the world that it represents.126

In tal senso, The Unknown presenta nella cornice dello schermo un'interfaccia che

ricalca il sistema di colori delle linee di trasporto metropolitane di Chicago (“Chicago

Transit Authority Rail's System”). Vi sono sei linee, ciascuna accessibile tramite un

pulsante di colore diverso: la linea rossa permette di accedere a una sorta di romanzo di

formazione (paragonato da Hayles a On The Road di Jack Kerouac)127 che vede gli autori

peregrinare attraverso gli Stati Uniti, impegnati in un tour promozionale dello stesso The

Unknown e accompagnati costantemente dai loro alter ego fittizi (di conseguenza i

personaggi/autori sono di fatto otto). La linea viola è costituita da «Metafictional

Bullshit», vale a dire un insieme di citazioni, rimandi e riflessioni su altre opere e

soprattutto su romanzi e letture teoriche attinenti ai marcati risvolti ipertestuali e

metanarrativi che caratterizzano il romanzo (si possono annoverare Thomas Pynchon,

John Barth, lo studioso di letteratura postmoderna Tom LeClair, Samuel Beckett,

Shakespeare, Marx e Engels, una critica femminista di The Unknown, David Foster

Wallace sotto lo pseudonimo di «Krass-Mueller» sino ad arrivare ad un incontro tra gli

autori e Richard Powers). La linea blu è un «sort of documentary» sulla genesi dell'opera.

La linea marrone include alcuni esempi di «cool art», quali dipinti e musiche di artisti in

contatto con gli autori. La linea gialla ospita le letture in pubblico del romanzo e alcune

riflessioni. All'interno della linea arancione, «correspondence», gli autori riflettono, in

forma epistolare, gli uni sulle opere degli altri. Inoltre sono presenti alcune lettere scritte

– e forse inviate – a varie personalità del mondo della cultura e della letteratura. Al di

sotto dei sei tasti colorati vi è anche una sezione «press kit», che è forse la più

125 Ibidem.126 Daniel Punday, “Toying with the Parser. Aesthetic Materiality in Electronic Writing,” «The Journal of

Aesthetics and Art Criticism», Vol. 61, No. 2, Spring 2003, pp. 105-119.127 Hayles 2007.

68

sorprendente, in quanto contiene un database di tutti i testi critici concernenti The

Unknown che sono apparsi in rete o su pubblicazioni cartacee nel corso degli anni: si

passa dalla dissertazione finale realmente scritta da uno studente universitario di

Copenhagen, alle varie recensioni del romanzo e al discorso di Robert Coover tenuto in

occasione dell'assegnazione a The Unknown del premio “trAce/Alt-X Hypertext

Competition”, tenutasi nel 1998 (UN presskit/trace.html). Come sottolinea David

Ciccoricco, «The Unknown grants itself something akin to critical immunity, preempting

criticism with self-criticism, and absorbing, contextualizing, and in essence fictionalizing

everything else».128

Proprio in quest'ultima sezione è possibile reperire un articolo di Tom LeClair che

considera il romanzo di Rettberg e dei suoi colleghi «a "monsterpiece" - like a "gigantic,

monstrous supercomputing application." [...] The Unknown is a monstrosity - from its

title to its size, its numerous scrolling pages, its variousness, and lists of links».129 La

mostruosità di The Unknown sembra quindi rientrare all'interno della definizione,

precedentemente coniata dallo stesso LeClair, di un'arte dell'eccesso (art of excess), che

include numerosi romanzi angloamericani degli anni Novanta, tra cui Gravity's Rainbow

di Thomas Pynchon e JR di William Gaddis. «These novels are also about the size and

scale of contemporary experience: how multiplicity and magnitude create new relations

and new proportions among persons and entities, how quantity affects quality, how

massiveness is related to mastery. These novels are themselves long, large, and dense».130

A proposito di The Unknown, David Ciccoricco adatta questa definizione ad alcune

peculiarità della letteratura ipertestuale: l'eccesso ipertestuale si articola attraverso due

particolari forme di sovrabbondanza: un eccesso di scelta, dovuto all'apparente libertà del

lettore di spaziare da una pagina all'altra e in realtà fonte di un eccesso di difficoltà nella

lettura; un surplus di significato, che è generato non dalla lettura di un particolare brano,

ma dall'associazione di significati che viene realizzata nel momento in cui il lettore

compie il passaggio da un nodo all'altro.131

128 Ciccoricco 2007, 129.129 Tom LeClair, “False Pretenses, Parasites, and Monsters: Some Recent American Fictions,” «Electronic

Book review», 30-12-2000, < http://www.electronicbookreview.com/thread/webarts/noisy >. Web. 15-3-2010. A tal proposito, in una mail (vera o fittizia) inviata allo stesso LeClair, l'autore William Gillespie scrive: «Frankenstein’s creation is monstrous precisely because it is an artifice assembled from human parts. The Unknown is a dismembered four-way auto/biography- with prosthetic appendages. The mixture of authentic personal correspondence and hallucinatory fiction is made all the more haunting by a floating authorship - sometimes an individual, always a subset of the group.» (UN hard_code8.htm).

130 Tom LeClair, The Art of Excess. Mastery in Contemporary American Fiction, Urbana - Chicago: University of Illinois Press, c1989, p. 6.

131 Ciccoricco 2007, 125.

69

Le opere letterarie su supporto elettronico cercano di controllare questo eccesso

attraverso un'interfaccia sufficientemente semplice, che dia la possibilità al lettore di

comprendere in quale sezione si trova. La mostruosità di The Unknown viene gestita

attraverso tre tipologie differenti d'interfaccia tramite cui è possibile accedere al database.

Due sono interfacce di accesso, mentre la terza caratterizza la fruizione vera e propria. In

primo luogo, abbiamo le linee di colore che abbiamo precedentemente elencato al fine di

descrivere i contenuti dell'opera. Le sei linee svolgono in pratica una funzione di

database: accedendo ad ogni sezione tramite il pulsante è possibile visualizzare un elenco

ipertestuale di tutti i lexia che compongono la sezione (rossa, viola, ecc.). Per quanto

riguarda la prima sezione, quella del «sickening decadent hypertext novel», è possibile

leggere i vari capitoli in sequenza. Inoltre, una seconda tipologia d'interfaccia è realizzata

attraverso una mappa degli Stati Uniti: cliccando su una singola zona si accede al

capitolo corrispondente, che narra una tappa del viaggio dei quattro autori/protagonisti e

dei loro quattro alter ego letterari. La terza interfaccia è invece il motore vero e proprio

dell'opera ed è rappresentata semplicemente dai vari collegamenti ipertestuali sparsi in

ogni pagina.

La navigazione si svolge unicamente selezionando di volta in volta parole che

rimandano ad altri brani. Le narrazioni e i segmenti di testo non sono quindi concatenati

in maniera consequenziale. Le varie linee si intersecano continuamente, sottolineando il

rapporto non gerarchico che sussiste tra le varie sezioni dell'opera. Per questo motivo, il

ritorno continuo, nel corso del passaggio da un nodo all'altro, a fili narrativi

precedentemente recisi appare fondamentale. «To ensure narrative coherence, network

fictions rely not only on the iterability of the textual trace but also on the hypertextual

node. The themes and structure of a network fiction become visible through narrative

returns. Such recurrences are elemental in network fiction in that they constitute shared

and stable components of an otherwise mutable text».132

Al fine di mostrare tale funzionamento, è possibile citare un esempio concreto,

attraverso una breve analisi di un nodo, < articulation.htm >, incluso all'interno della

linea rossa.

The articulation is simple. You go through life not knowing. It’s like this: You could be this or this. And you are this and this. You live as this and this. The decisions are ultimately arbitrary. They fall into some huge order but how can it be ordered, it’s too much to be ordered. It’s mutations and DNA and genes and one sperm not another. That’s who you are. The product of an infinite impossibility. It’s not a jest. And yet you are. […].

132 Ibidem, 125-126.

70

(UN articulation.htm)

In questo brano è possibile riscontrare una palese manifestazione del tema

del'inconoscibile e dell'arbitrarietà delle scelte. Il primo link, «simple», rimanda

ironicamente a < excess.htm >, un nodo della linea viola (quella riguardante i risvolti

metanarrativi) dove il «poet Dirk Stratton» (in questo caso, l'autore vero e proprio) dà la

sua personale definizione di eccesso artistico, comparandolo alla complessità della

natura: «Humans might be able to replicate the intricacy of a simple violet, given the

resources and patience, but just imagine what industry would have to be employed when

Nature does it so effortlessly. She is never parsimonious. We can be nothing but.» (UN

excess.htm). Sempre partendo da < articulation.htm >, possiamo selezionare «arbitrary»,

e venire indirizzati al nodo < badmovie.htm > della linea arancione, dove Dirk Stratton e

Scott Rettberg scrivono una mail a William Gillespie per proporgli di trasformare The

Unknown in una produzione cinematografica. In alternativa, si può procedere sulla linea

rossa – in maniera non consequenziale né cronologica – selezionando «DNA» per

leggere il resoconto delle investigazioni di cui è oggetto Scott (e il suo DNA), accusato

dell'omicidio di Dirk a Los Angeles. Infine, «impossibility» rimanda ad un nodo dedicato

a William S. Burroughs, dove è anche presente una citazione:

There will be no more Stalins, no more Hitlers. The rulers of this most insecure of all worlds are rulers by accident. Inept, frightened pilots at the controls of a vast machine they cannot understand, calling in experts to tell them which buttons to push.»

(UN burroughs.htm)133

Quest'ultima citazione appare esplicativa delle scelte incerte che il lettore di The

Unknown è tenuto a compiere, come un pilota preoccupato, dotato della possibilità di

azionare un'ingente quantità di comandi e opzioni, ma allo stesso tempo alle prese con i

controlli di una macchina troppo vasta per operare delle scelte totalmente consapevoli.

Questa peculiarità dà la possibilità di rendere l'esperienza di ogni singolo lettore

sostanzialmente unica e, soprattutto, individuale. Si tratta, in pratica, del principio di

variabilità (principle of variability) ritenuto da Manovich come una delle caratteristiche

fondamentali dei nuovi media, in linea con la modalità del computer di rappresentare i

dati e il mondo come una serie di variabili.134

133 Il brano è tratto da: William S. Burroughs, “No More Stalins, No More Hitlers,” in Dead City Radio, Island Records, 1990; «Interzone», Viking Books, 1989.

134 Manovich 2001, 42-43.

71

Every hypertext reader gets her own version of the complete text by selecting a particular path through it. Similarly, every user of an interactive installation gets her own version of the work. And so on. In this way new media technology acts as the most perfect realization of the utopia of an ideal society composed of unique individuals. New media objects assure users that their choices — and therefore, their underlying thoughts and desires — are unique, rather than preprogrammed and shared with others. As though trying to compensate for their earlier role in making us all the same, today descendants of the Jacqurd's loom, the Hollerith tabulator and Zuse's cinema-computer are now working to convince us that we are all unique.135

Il concetto di scelta risulta fondamentale all'interno di una poetica focalizzata attorno

alla forma simbolica del database. Bisogna tuttavia chiedersi (1) in quale modo questa

impostazione si integri con la morfologia tipica della narrazione; allo stesso tempo, (2) è

necessario domandarsi se le scelte effettuate dal lettore coincidano effettivamente con

una maggiore libertà di fruizione.

1) The Unknown di fatto promuove la morfologia del database a scapito di quella della

narrazione. L'unico modo per fruire il romanzo in maniera lineare è tornare indietro,

interrompendo continuamente la lettura al fine di ricorrere al database/indice che elenca

tutti i contenuti della linea rossa. Inoltre, le altre linee s'intersecano con quella del

romanzo di formazione vero e proprio, destabilizzando la stessa idea di narrazione

attraverso continui discorsi che, come è già stato rilevato, non contemplano la presenza di

attori, narratori, intrecci, vicende e rapporti di causa e effetto. Allo stesso tempo, questi

elementi aggiuntivi possono rientrare all'interno di un più ampio concetto di “discorso” o

di “descrizione”. In tal senso, è possibile ricordare come l'impostazione teorica della

narratologia di Mieke Bal si basi su quella che lei stessa definisce una «descrittologia».

Diversamente dalla critica e dalla teoria letteraria tradizionale, Bal considera la

descrizione una «forma retorica naturale» nonché «il motore» della narrazione e

soprattutto di quei testi «che chiamiamo, in maniera più intuitiva che scientifica,

“romanzi”». «Una storia descrittologica del romanzo diventa così una storia di legami.

La descrizione unifica elementi e aspetti altrimenti sconnessi, qualunque sia il loro

statuto ontologico. Ciò che deve essere unito, ciò che sembra sconnesso, dipende di volta

in volta dalla relazione tra romanzo e mondo (dei lettori)».136 Parallelamente, per Mikhail

Bakhtin uno degli aspetti fondamentali del genere romanzesco è l'eteroglossia

(raznorechie, letteralmente una «different-speech-ness».137 Come scrive Michael

135 Ibidem. Corsivo aggiunto.136 Mieke Bal, “Descrizioni e costruzioni di mondi,” in Franco Moretti (a cura di) Il romanzo, vol.

secondo: Le forme, Torino: Einaudi, 2002. pp. 189-224.137 Julian Wolfreys (a cura di), The Edinburgh Encyclopaedia of Modern Criticism and Theory,

Edinburgh: Edinburgh University Press, 2002, p. 850.

72

Holquist:

Heteroglossia is a situation, the situation of a subject surrounded by the myriad responses he or she might make at any particular point, but any one of which must be framed in a specific discourse selected from the teeming thousands available. Heteroglossia is a way of conceiving the world as made up of a roiling mass of languages, each of which has its own distinct formal markers.138

Il romanzo è quindi l'unica (o almeno l'unica ai tempi di Bakhtin) organizzazione

artistica in grado di rappresentare in maniera completa i risvolti sociali e morfologici

dell'eteroglossia. Bakhtin definisce lo stesso romanzo «a diversity of social speech types

(sometimes even diversity of languages) and a diversity of individual voices, artistically

organised».139 Nell'ambito del genere romanzesco l'eteroglossia può essere espressa

attraverso numerose modalità, quali la stilizzazione parodistica, il discorso espresso dal

narratore, il linguaggio dei vari personaggi e in particolar modo tramite gli eventuali

«incorporated genres» (il romanzo-diario, quello epistolare, la presenza di saggi o di

diagrammi, ecc.)140. A tal proposito, è possibile considerare a tutti gli effetti The Unknown

un romanzo, in virtù della sua natura “eccessivamente” eteroglotta, dell'alternanza

frammentaria di narrazioni e descrizioni, di linguaggi e di generi. Come spiega Scott

Rettberg: «Since we were modeling not a conventional novel, but a self-enclosed literary

culture, it stood to reason that we shouldn’t include only the episodes of the novel, but

also all of the material surrounding the creation of those episodes, and representations of

the “writing culture” that The Unknown became».141

Se ci si sofferma momentaneamente sulla terminologia utilizzata da Manovich, è

possibile accostare per certi versi il concetto strutturale di narrazione a quello di

algoritmo, definendo quest'ultimo come «a final sequence of simple operations that a

computer can execute to accomplish a given task». Ad esempio, sovente in un videogioco

vi sono diversi algoritmi intermedi che vengono scoperti progressivamente dall'utente (ad

esempio: “I nemici compaiono sul lato sinistro dello schermo”) e almeno due algoritmi

fondamentali: l'istruzione fornita all'inizio (ad esempio: “Uccidi tutti i nemici per liberare

la base lunare”) e l'algoritmo che traccia l'obiettivo o l'esito finale del gioco stesso (ad

esempio: “dopo aver sconfitto i nemici, puoi sposare la principessa), che viene svelata

alla fine della partita. Nonostante la narrazione sia molto diversa da un “gioco,” dotato di

138 Michael Holquist, Dialogism, London: Routledge, 2002, p. 69.139 Mikhail Bakhtin, Discourse in the Novel, in The Dialogic Imagination. Four Essays, a cura di Michael

Holquist, Austin: University of Texas Press, 1982, pp. 259-422; p. 262.140 Ibidem, 320-324.141 Rettberg, 2003, 129-130.

73

regole e di obiettivi, Manovich propone di tracciare un'equazione (metaforica) tra

algoritmo e narrazione: «narratives and games are similar in that the user, while

proceeding through them, must uncover its underlying logic — its algorithm. Just like a

game player, a reader of a novel gradually reconstructs an algorithm (here I use it

metaphorically) that the writer used to create the settings, the characters, and the

events».142

Tornando ora all'analisi di The Unknown, è necessario constatare come la cultura

dell'eccesso che questo romanzo propone ruoti attorno ad un paradossale centro assente,

un'opera che non esiste e che allo stesso tempo il lettore sta leggendo. Un brano come

quello che segue esemplifica chiaramente questo aspetto:

B: So—The Unknown—is it about the book before the book comes out, or is it the book?S: It’s about the book . . . tour.B: Which hasn’t happened.S: Which hasn’t happened yet.B: Because there’s no book yet.S: Well, there is no book yet, that’s true. There is—B: That could present a problem for your tour. Where are you gonna sign?S: See, we do have all the book written, though. We have the book written, we just don’t have it—B: So, you could show it to people, and then sign their autograph.S: On the actual, actual tour, we will actually have books with us.B: Oh, okay.S: On the tour that we describe in the hypertext, of course, we were fictional characters, rather than ourselves. Although at points, we are ourselves. We keep popping out of being our characters and—B: Does that present a problem for you, in the real world?S: Uh, yeah. Who am I?B: Yeah.S: I’m constantly asking myself that. Who am I? Who are these people that I know? I always forget people’s names. Sometimes I forget my name.

(UN cinti7.htm)

In questi termini, appare logico pensare a The Unknown come ad un'opera che mette

in discussione i due algoritmi fondamentali segnalati da Manovich: è possibile iniziare a

leggere e proseguire, ma soltanto costruendo la propria esperienza di lettura in maniera

virtuale e sicuramente non lineare, attraverso una serie di descrizioni e una nube di testi e

materiali che rende difficoltosa l'idea di considerare il livello di discorso come motore del

livello della storia; allo stesso modo risulta complesso identificare un algoritmo che sveli

la logica nascosta dell'opera, se non rintracciando un significato principale nel concetto

142 Manovich 2001, 222-225.

74

di “sconosciuto” e di “non conoscibile”. L'eteroglossia, la preponderanza della

descrizione, la mancanza di uno scioglimento, l'impossibilità – per i personaggi e per i

lettori – di attuare delle pratiche epistemologiche soddisfacenti sono delle caratteristiche

tipiche di diversi romanzi appartenenti alla tradizione moderna e postmoderna. Tuttavia,

l'opera progettata da Rettberg e dai suoi colleghi sembrerebbe spingersi oltre, negando la

forma simbolica della narrazione. Nel momento in cui il livello del discorso e

l'eteroglossia prevalgono e se, allo stesso tempo, l'oggetto unico di queste pratiche è

l'idea stessa di narrazione – il fatto che gli autori stanno scrivendo il romanzo che gli

autori stanno leggendo – si verifica un cortocircuito tra i due livelli che porta alla

negazione di qualsiasi algoritmo. Il lettore si trasforma nell'utente di un gioco privo di

regole e di scopo.

2)The Unknown was a conventional idea subverted by an unexpected interaction with technology. In the beginning we wanted to write a book of criticism of our own writing. […] As an accessory for the book of criticism we would first publish a book of our poetry and fiction: The Unknown: An Anthology. As a promotional gesture for the Anthology, we would write a hypertext. The hypertext, originally meant to be a bit of ad copy—at most a publicity stunt for the real “serious” print work—devoured the project.143

Questo resoconto a posteriori di William Gillespie, uno degli autori di The Unknown,

chiarisce come l'intero progetto sia nato e, come è stato rilevato nelle pagine precedenti,

in un secondo momento portato a termine affidandosi a una sostanziale prevalenza della

forma simbolica del database su quella della narrazione: un progetto iniziale di creazione

di un serbatoio di materiale critico è stato successivamente trasformato in un contenitore

di frammenti di discorsi e narrazioni che si riferiscono, senza mai citarli, ad un insieme

originario di testi. A proposito del database, Manovich scrive un'importante nota alle

proprie considerazioni finali, ritenendo che, nel corso degli ultimi decenni,

l'informatizzazione dei mezzi di comunicazione e delle forme d'arte sia stata

accompagnata dallo svilupparsi di una sorta di «database complex», laddove la quantità

di dati offerta agli utenti attraverso l'estetica del database funge da supporto per una

condizione psicologica di narcisismo nei confronti della possibilità di scegliere:

Most of new media, regardless of whether [they] represen[t] to the user her image or not, can be

143 William Gillespie, “Drugs, Machines & Friendships. Cybertext, Collaboration, and the Beatles,” Melbourne DAC 2003, the 5th International Digital Arts and Culture Conference, 19/23-03-2003, Melbourne (Australia): The School of Applied Communication, RMIT, 2003. Web 16-09-2010.< http://media.rmit.edu.au/projects/dac/papers/Gillespie.pdf >.

75

said to activate the narcissistic condition because they represent to the user her actions and their results. In other words, it functions as a new kind of mirror that reflects not just the human image but human activities. This is a diffirent kind of narcissism—not passive contemplation but action. The user moves the cursor around the screen; clicks on icons; presses the keys on the keyboard and so on. The computer screen acts as a mirror of these activities. Often, this mirror not simply reflects but greatly amplifies user’s actions—a second difference from traditional narcissism.144

Questa continua autoriflessività dell'attività umana si inserisce perfettamente in un

contesto culturale caratterizzato da una logica dell'identità che si basa su una selezione di

determinati elementi da una lista, un catalogo, un menu.145 Nel caso specifico di The

Unknown, si potrebbe tuttavia sostenere che il database complex venga continuamente

frustrato: il lettore può scegliere dove indirizzare i propri sforzi, ma soltanto cogliendo il

suggerimento minimo di una parola o di un titolo sottolineati, che rimandano ad una

connessione che non è frutto di una scelta totalmente consapevole e che dà adito a

combinazioni di senso sostanzialmente imprevedibili. Allo stesso modo, in molte sezioni

dell'opera le frecce «previous» e «next» indicanti il percorso di navigazione non

indirizzano ad un “prima” e ad un “dopo” definiti, ma a brani non logicamente interrelati

con ciò che si sta visualizzando. Il narcisismo dettato dalla completa attualizzazione della

scelta viene di conseguenza annullato. Come i personaggi di The Unknown (gli autori e i

loro alter ego) non arrivano mai a presentare davvero la loro opera (mentre nel mondo

reale ciò è avvenuto con grande successo) e non concludono con successo la loro

“bildung on the road”, allo stesso modo i lettori non soltanto non giungono mai a

destinazione, ma rimangono degli eterni navigatori a cui si richiede di apprezzare le

potenzialità stesse dell'ignoto, vale a dire «the ultimate cause of joy» (UN unknown.htm).

In conclusione, The Unknown può essere considerata un'opera che problematizza

l'illusione della scelta annullando, allo stesso tempo, la possibilità di fruire una

narrazione, lineare o discontinua che sia. Database e narrazione diventano così due

«nemici naturali»146, che si annullano l'un l'altra nella loro contraddittoria compresenza.

144 Manovich 2001, 235, n. 29. A tal proposito Manovich ricalca una teoria elaborata da Rosalind Krauss nell'articolo Video: The Aesthetics of Narcissism (1978) dove il video viene considerato un medium psicologico che si fonda su un'esigenza di narcisismo.

145 Ibidem, p. 128.146 Ibidem, p. 225.

76

§ 2.3 Pattern Recognition - Dal database alla narrazione

In un brano di Pattern Recognition, romanzo pubblicato da William Gibson nel 2003,

la protagonista Cayce Pollard discute con un altro personaggio, Boone Chu, in merito alle

diversità culturali tra Oriente ed Occidente. Il dialogo verte sulle differenze che

intercorrono tra le forme degli oggetti quotidiani (nel caso specifico, una ventola

d'aerazione), particolari che destano immediatamente l'attenzione degli occhi abituati ad

un'estetica straniera e che rischiano tuttavia di estinguersi nello scolorimento dei confini

causato dalla globalizzazione.

"This is just more of our stuff.""No," she tells him, "different stuff. That's why you noticed that vent. They invented that here, probably, and made it here. This was an industrial nation. Buy a pair of scissors, you got British scissors. They made all their own stuff. Kept imports expensive. Same thing in Japan. All their bits and pieces were different, from the ground up.""I see what you mean, but I don't think it's going to be that way much longer [...]: no borders, pretty soon there's no mirror to be on the other side of. Not in terms of the bits and pieces." 147

Per Cayce, la ventola fa semplicemente parte di un «mirror-world» (PR 71) che

richiama quello in cui si immerge Alice in Alice in Wonderland (1865) di Lewis Carroll,

un “Altro” con cui è possibile specchiarsi al fine di cogliere meglio se stessi. Questa

alterità globale è lo scenario in cui sono ambientate le vicende degli ultimi due romanzi

di Gibson, Pattern Recognition (2003) e Spook Country (2007). Non si tratta, forse, di un

ambiente meno esteso e indefinito del cyberspazio descritto in Neuromancer, pubblicato

nel 1984:

Cyberspace. A consensual hallucination experienced daily by billions of legitimate operators, in every nation, by children being taught mathematical concepts... A graphic representation of data abstracted from the banks of every computer in the human system. Unthinkable complexity. Lines of light ranged in the non space of the mind, clusters and constellations of data. Like city lights, receding...148

Il mondo globalizzato e popolato da tecnologie ormai realizzate dalla scienza descritto

da Gibson negli ultimi romanzi assomiglia sempre di più al cyberspazio completamente

virtuale che domina i primi libri dello scrittore statunitense: la fantascienza e la

descrizione della contemporaneità si accostano sempre di più. Come spiega lo stesso

Gibson in un'intervista:

147 William Gibson, Pattern Recognition (PR), London: Penguin, 2003, p. 71.148 William Gibson, Neuromancer, New York: Ace Books, 1984, p. 69.

77

I'd always been resistant to our cultural assumptions about science fiction -- that it's predictive and it's about the future. All science fiction is in one way or another about the moment in which it's written, even if the people who write it don't know that. My fourth, fifth and sixth novels were written in the early '90s but take place around 2007. Not only is it a world that now could never have happened but the characters, and this was a deliberate decision, act and talk like people from the '90s. I would always say, I could set one of these in the present and it wouldn't feel that different. I finally decided with "Pattern Recognition" to call myself on it and see if I could do it. It proved much harder and more disorienting than I had imagined it would be.149

Nel “futuro-presente” di Pattern Recognition, i vari personaggi sfruttano

costantemente le tecnologie informatiche e soprattutto ricorrono a Internet per

comunicare tra di loro e con figure lontane e dalle identità indefinite; in Spook Country è

presente un massiccio ricorso all'arte locativa, che sfrutta tecnologie quali il GPS ed i

computer portatili per esprimere le relazioni che intercorrono tra persone ed oggetti del

mondo reale e le rappresentazioni virtuali.

Come l'Alice di Carroll, Cayce Pollard è a tutti gli effetti una viaggiatrice in un mondo

senza frontiere e con poche differenze, dove le distinzioni tra futuribile e contingenza,

Est e Ovest, attuale e virtuale sembrano perdere il loro significato. Cayce si ritrova a

girovagare nel villaggio globale per comprendere i dettagli di una passione che si è

trasformata in un intrigo internazionale, sulle tracce dell'ignoto artefice di un video

(«footage») misterioso e affascinante, le cui varie sequenze sono state gradualmente

disseminate nel World Wide Web, attirando da un lato l'attenzione di un forum di

appassionati di cui la stessa protagonista fa parte e dall'altro l'entusiasmo di Hubertus

Bigend, eccentrico proprietario di un'agenzia pubblicitaria che ritiene che la diffusione e

l'impatto delle sequenze rappresenti un nuovo modo di attirare l'attenzione del pubblico.

Cayce è, involontariamente, una «dowser in the world of global marketing»: lavora

saltuariamente per Bigend, in qualità di esperta free lance dotata della singolare capacità

di comprendere intuitivamente se un marchio può avere un successo commerciale o

meno. Bigend convince Cayce a rintracciare per lui la fonte dei vari segmenti del

«footage», forte della volontà di lei di risalire alle origini del mistero. Dopo una lunga

serie di viaggi, Cayce riesce infine ad incontrare a Mosca Stella e Nora, figlie di un

oligarca postsovietico, l'una artefice delle sequenze e l'altra responsabile della loro

diffusione.

Unico personaggio a comparire sia in Pattern Recognition sia in Spook Country150,

149 Dennis Lim, Now Romancer, intervista a William Gibson, «Salon», 11-08-2007, < http://www.salon.com/books/int/2007/08/11/william_gibson >. Web. 06-05-2010.

150 A completare il “Bigend cycle” contribuisce anche il recente romanzo Zero History, pubblicato da

78

Hubertus Bigend sembrerebbe essere colui che conosce meglio i meccanismi di un

«mirror-world» in cui è sempre meno possibile riflettere sulle differenze. È possibile

introdurre brevemente le sue intenzioni nei confronti del «footage» per comprendere

quale ruolo simbolico abbia il video in questione all'interno della vicenda narrata. Come

suggerisce Alex Link151, Bigend, è una sorta di Dracula del marketing globalizzato,

sempre in cerca di nuovi meccanismi in grado di attirare i desideri del pubblico: «I want

to make the public aware of something they don't quite yet know that they know or have

them feel that way. Because they'll move on that, do you understand? They'll think

they've thought of it first. It's about transferring information, but at the same time about a

certain lack of specificity» (PR 44). Per Bigend, i desideri di acquisizione dei beni e

dell'accesso alle informazione che l'individuo contemporaneo può nutrire (sia esso il

pubblicitario alla ricerca di nuove idee o l'utente finale desideroso di acquistare e

modificare un prodotto) sono pienamente compatibili con una logica della

sottodeterminazione152 delle idee e delle forme di espressione:

Musicians, today, if they're clever, put new compositions out on the web, like pies set to cool on a window ledge, and wait for other people to anonymously rework them. Ten will be all wrong, but the eleventh may be genius. And free. It's as though the creative process is no longer contained within an individual skull, if indeed it ever was. Everything, today, is to some extent the reflection of something else. (PR 48)

Queste affermazioni appaiono perfettamente in sintonia con alcune considerazioni di

Lev Manovich in merito al disk jockey, una figura esemplare del rapporto contemporaneo

che l'uomo intrattiene con i nuovi media:

The rise of this figure can be directly correlated to the rise of computer culture. DJ best demonstrates its new logic: selection and combination of pre-existent elements. DJ also demonstrates the true potential of this logic to create new artistic forms. Finally, DJ example also makes it clear that selection by itself is not sufficient. The essence of DJ’s art is the ability to mix the selected elements together in rich and sophisticated ways. In contrast to “paste and cut” metaphor of modern GUI which suggests that selected elements can be simply, almost mechanically combined, the practice of live electronic music demonstrates that true art lies in the “mix.”153

Gibson nel settembre del 2010.151 «Whereas Dracula divides archaic desire from the modernity of a world city threatened by the

foreigners at the edge of its empire, Bigend fuses edge and center, atavism and technological sophistication, and operates within the very spaces of global capital». Cfr. Alex Link, “Global War, Global Capital, and the Work of Art in William Gibson's Pattern Recognition,” «Contemporary Literature», No. XLIX, 2008, pp.209-231; p.213.

152 Per il concetto di sottodeterminazione («underdetermination») teorizzato da Mark Poster cfr. § 0, p. 7.153 Manovich 2001, 135.

79

Una GUI è una “graphical user interface”, che permette all'utente di accedere

visivamente a una database e a determinati comandi (l'esempio più semplice e diffuso

sono i desktop di Microsoft Windows o di Ubuntu, con le loro icone, barre di comandi e

finestre). Mentre la GUI promuove un'utilizzazione degli elementi del database fondata

sulla semplice selezione e combinazione di elementi, il remix effettuato da un DJ

permette una continua pratica di rielaborazione dei dati, considerando il database come

un insieme di materiali da cui attingere per creare qualcosa di diverso. Una semplice

interfaccia presenta all'utente i vari dati che quest'ultimo può avere a disposizione,

destando un'illusione della scelta che si fonda sul database complex precedentemente

citato. Diversamente, la logica del remix prevede, come conseguenza della selezione dei

dati, un processo creativo ed artistico. La strategia di Bigend risulta quasi vampiristica:

My passion is marketing, advertising, media strategy, and when I first discovered the footage, that is what responded in me. I saw attention focused daily on a product that may not even exist. You think that wouldn't get my attention? The most brilliant marketing ploy of this very young century. And new. Somehow entirely new." (PR 46).

Nell'ottica di Bigend, è possibile trovare del materiale sufficientemente misterioso e

stimolante in maniera tale da replicarne il fascino in chiave commerciale, al fine di

stimolare l'acquirente a modificare il prodotto-sorgente. Bigend ritiene di essere in grado

d'illudere l'utente di potersi esprimere attraverso un'originalità creativa, ovviamente già

prevista a priori dal venditore/pubblicitario. Se la forma simbolica del database teorizzata

da Manovich stimola a credere di poter scegliere, il fine del personaggio di Pattern

Recognition sembrerebbe quello di indurre a credere di poter creare.

La crescente popolarità che il «footage» assume nel corso del romanzo ed i

progressivi tentativi di adottarlo come exemplum per nuove ed efficaci strategie di

marketing destano una moderata preoccupazione degli iscritti al forum in rete dedicato

alla discussione delle sequenze. In tal senso, secondo Frederic Jameson, è addirittura

possibile considerare questo collettivo come una specie di setta:

The problem, for the group forming around this artifact, as indeed for all group formation, is that of the contradiction between universality—in this case the universality of taste as such—and the particularity of this unique value that sets us off from all the others and defines us in our collective specificity. A political sect (as we now seem to call these things) wishes simultaneously to affirm the universal relevance of its strategy and its ultimate aims, and at one and the same time to keep them for itself, to exclude the outsiders and the late-comers and those

80

who can be suspected of insufficient commitment, passion and belief.154

L'interpretazione di Jameson è sicuramente condivisibile, anche se, nel corso della

narrazione, Cayce e gli altri utenti del forum non sembrerebbero tanto interessati a

distinguere la loro comunità da chi non ne fa parte, ma piuttosto desiderosi di

comprendere il vero significato delle sequenze e di condividere le varie supposizioni con

altre persone che hanno sviluppato una medesima intensità di analisi. In ogni caso, i toni

ed il lessico utilizzato lasciano talvolta trapelare connotazioni quasi esoteriche. Tale

attitudine viene definita ad esempio una «participation mystique» (PR 174) da Cayce, in

una mail indirizzata direttamente all'artefice del footage» (a Stella e Nora, delle quali in

quel frangente non si conoscono ancora le identità) dopo aver rocambolescamente

rintracciato il suo (il loro) indirizzo di posta elettronica:

Someone showed me one segment and I looked for more. I found a site where people discussed it, and I began to post there, asking questions. I can't tell you […] why, but it became very important to me, to all of us there. [...] We went there whenever we could, to be with other people who understood. We looked for more footage. […].We don't know what you're doing, or why. Parkaboy thinks you're dreaming. Dreaming for us. Sometimes he sounds as though he thinks you're dreaming us. He has this whole edged-out participation mystique: how we have to allow ourselves so far into the investigation of whatever this is, whatever you're doing, that we become part of it. Hack into the system. Merge with it, deep enough that it, not you, begins to talk to us. He says it's like Coleridge, and De Quincey. He says it's shamanic. That we may all seem to just be sitting there, staring at the screen, but really, some of us anyway, we're adventurers. We're out there, seeking, taking risks. In hope, he says, of bringing back wonders. Trouble is, lately, I've been living that. (PR 175)155

La «partecipazione mistica» descritta da Cayce prevede due caratteristiche

fondamentali: in primo luogo si desidera entrare “in comunione” con i frammenti

dell'opera d'arte al fine, addirittura, di diventare parte di essa attraverso una

partecipazione simpatetica tra fruitore e opera. Questo aspetto risulta difficile da

comprendere durante la lettura di Pattern Recognition, poiché il contenuto delle sequenze

non viene mai descritto né dai personaggi né dal narratore onnisciente del romanzo di

Gibson. In secondo luogo, si rivendica la necessarietà della ricerca. Se facciamo

riferimento alla terminologia di Manovich, si può quindi sostenere che gli utenti del

forum si trovino dinnanzi ad un database di sequenze video, ad un paradigma che

desiderano montare e trasformare in una narrazione lineare. L'investigazione e

154 Fredric Jameson, “Fear and Loathing in Globalization,” «New Left Review», N. 23, Sep./Oct. 2003, pp. 105-114; p. 111.

155 Corsivo aggiunto.

81

l'avventura sono di conseguenza un atto di ricerca essenziale per formare il sintagma ed

elaborare l'algoritmo in grado di fornire un senso all'insieme dei frammenti di cui è

composta l'intera opera.

A proposito delle avventure iniziali di Alice in Alice in Wonderland, lo scrittore

Salman Rushdie spiega come l'oltrepassamento di una frontiera significhi trasformare se

stessi per adattarsi al nuovo mondo ed allo stesso tempo cambiare più o meno

involontariamente le regole della nuova terra a cui si accede.

To cross a frontier is to be transformed. Alice at the gates of Wonderland, the key to that miniature world in her grasp, cannot pass through the tiny door beyond which she can glimpse marvelous things until she has altered herself to fit into her new world. But the successful newfound land: Alice in Wonderland, shape-shifting Alice, terrifies the locals by growing too big to be housed.156

Sempre come Alice, Cayce è una trasformista, che deve adattare il proprio ruolo al

fine di portare a compimento un determinato percorso di conoscenza. Anche nel suo caso

si tratta di passare dallo scorgere cose meravigliose dal buco della serratura (guardare le

sequenze in rete e discuterne sul forum) all'esplorazione del mirror-world (il viaggio

necessario per conoscere meglio le origini del footage).

Ad una prima analisi, come suggerisce Paul Taylor, Cayce potrebbe essere annoverata

tra quei personaggi di alcuni romanzi di Gibson e di altri recenti romanzi nord-americani

che permettono di tracciare una continuità tra la figura del flâneur delineata da

Baudelaire e da Walter Benjamin e quella del cyberpunk. Come scrive Baudelaire:

Pour le parfait flâneur, pour l’observateur passionné, c’est une immense jouissance que d’élire domicile dans le nombre, dans l’ondoyant, dans le mouvement, dans le fugitif et l’infini. Être hors de chez soi, et pourtant se sentir partout chez soi ; voir le monde, être au centre du monde et rester caché au monde, tels sont quelques-uns des moindres plaisirs de ces esprits indépendants, passionnés, impartiaux, que la langue ne peut que maladroitement définir. L’observateur est un prince qui jouit partout de son incognito.157

Secondo Paul Taylor, la Parigi ottocentesca può essere comparata all'ambiente virtuale in

cui si muove il cyberpunk, sebbene una variabile non trascurabile sia costituita

dall'aumento della velocità di accesso al flusso delle informazioni.

156 Salman Rushdie, Step Across This Line: Collected Nonfiction 1992-2002, New York: Random House, 2002, p. 353.

157 Charles Baudeiaire, L'art romantique (1869), Paris: Calmann Lévy, 1885, pp. 64-65. Riproduzione fotografica integrale: WikiSource - La bibliothèque libre, pp. 64-65. < http://fr.wikisource.org/wiki/Livre:Baudelaire_-_L%27Art_romantique_1869.djvu >. Web. 11-09-2010.

82

The experience of the flâneur and his perambulations amidst the rapid social change of 19th Century Paris serve as a usefully illustrative precursor of the increasingly fragmented and culturally dislocated nature of the social environment within fast capitalism. The flâneur provides an interesting trope [...] because he [...] and his encounter with the rapidly speeding up city represents an emblematic confrontation with the socially disorientating consequences of modernity that precedes later conceptualizations of flux. […]A rapidly changing Nineteenth Century Paris is thus for the flâneur what the Matrix is for the cyberpunk.158

Similmente, Lev Manovich e Susan Hazan elaborano entrambi un parallelismo più

ampio, comparando le usuali esperienze di navigazione in rete alle peregrinazioni del

flâneur baudelariano. Come scrive ad esempio Hazan:

The speed that we are able to access remote museums and pull them up side by side on the screen is alarmingly immediate. We do this at the click of a mouse, and in a nano-instant of time. This is a far cry from the turtle-walking flâneurs of the Parisian arcades who proudly walked around, in turtle-time through the labyrinth of the inner city. The digital flâneur sees the world and is at the same time at the center of the world, lost in the same anonymity that the arcade flâneurs favored.159

Come il flâneur di Benjamin «is at home neither in his class nor in his homeland, but

only in the crowd»,160Cayce è metaforicamente senza fissa dimora, ospite di un amico (il

regista Damien) e in ogni caso continuamente collegata alla folla sconosciuta che popola

la rete. Tuttavia, all'inizio della vicenda narrata, la protagonista di Pattern Recognition

sembrerebbe rientrare in una categoria sostanzialmente diversa da quella di semplice

flâneuse. Cayce non è una navigatrice o una «data-dandy»161, continuamente in cerca di

informazioni disparate, bensì una «spoiler», vale a dire una persona che rivela un preciso

interesse nei confronti di una determinata materia, ricercando, commentando e

condividendo in rete i minimi dettagli. Come spiega Jenkins (adottando le teorie di Levy

sull'intelligenza collettiva):162

The new knowledge culture has arisen as our ties to older forms of social community are breaking down, our rooting in physical geography is diminished, our bonds to the extended and

158 Paul Taylor, “Pattern Recognition in Fast Capitalism: Calling Literary Time on the Theorists of Flux,” «Fast Capitalism», No. 2.1, 2006. Web. 07-05-2010. <http://www.uta.edu/huma/agger/fastcapitalism/2_1/taylor.htm>.

159 Susan Hazan, “The Virtual Aura and the Digital Flâneur,” EVA2001, Conference Proceedings, Editor James Hemsley, Glasgow, July, 2001. Web. 13-09-2010. < http://www.musesphere.com/cv/flâneur.html >. Cfr. Manovich, op. cit., pp. 269-270.

160 Walter Benjamin, The arcades Project, Cambridge (MA) - London: The Belknap Press of Harvard University Press, 1999, p. 895.

161 Manovich 2001, 271. «A perfect aesthete, the Data Dandy loves to display his private and totally irrelevant collection of data to other Net users».

162 Cfr. § 0, pp. 7-9.

83

even the nuclear family are disintegrating, and our allegiances to nation-states are being redefined. New forms of community are emerging, however: these new communities are defined through voluntary, temporary, and tactical affiliations, reaffirmed through common intellectual enterprises and emotional investments.163

Sicuramente il «Fetish:Footage:Forum» rappresenta, per la protagonista di Pattern

Recognition, una comunità cui appartenere ed un luogo164 in cui sentirsi a proprio agio:

«It is a way now, approximately, of being at home. The forum has become one of the

most consistent places in her life, like a familiar cafe that exists somehow outside of

geography and beyond time zones» (PR 6). L'attività di spoiling e di commento delle

sequenze riesce a farle dimenticare il suo passato, caratterizzato dal trauma dovuto alla

scomparsa del padre a Manhattan il mattino dell'11 settembre 2001. Inoltre, la già citata

«participation mystique» alla community dei fan delle sequenze appare specularmente

opposta alla sua «skill/allergy/phobia»165 nei confronti dei marchi, che le permette di

essere un'affermata «coolhunter», «a 'sensitive' of some kind» (PR 2) e allo stesso tempo

le provoca continui attacchi di ansia, nausee ed esigenze di rimozione.

Conversion to CPU status has been conferred with the aid of a seam ripper from the notions section of a branch of Muji, located on the eighth floor, leaving all the labels behind. All but the very small label on the hip bag, which simply says LUGGAGE LABEL. She might even be able to live with that. She'll have to see. (PR 95)

Cayce definisce «Cayce Pollard Units» («CPU») gli indumenti e gli accessori che

indossa e dai quali deve costantemente rimuovere ogni etichetta per non avere attacchi di

nausea. Secondo Link, l'evidente polisemia dell'acronimo “CPU” (la «central processing

unit», vale a dire il microprocessore installato da più di vent'anni in ogni personal

computer) è un espediente che Gibson utilizza per constatare come, al giorno d'oggi, la

figura del cyborg sia estesa alla vita quotidiana e non necessiti obbligatoriamente di

estensioni tecnologiche.166 Jameson si spinge oltre nell'analisi di quella che può apparire

come una rappresentazione peculiare del «commercial nominalism of the postmodern»:

«Indeed, within the brand name the whole contradictory dialectic of universality and

particularity is played out as a tug of war between visual recognition and what we may

call the work of consumption»167. Al contrario degli svariati oggetti che popolano il 163 Jenkins 2006, 27.164 È possibile definire il forum un “luogo” a tutti gli effetti, corredato da stanze e animato da persone. Ad

esempio, Cayce definisce la pagina iniziale del forum «familiar as a friend's living room». (PR 5). 165 Link 2008, 210.166 Ibidem, 212.167 Jameson 2003, 113. In questo senso, si potrebbe aggiungere che l'atteggiamento di Cayce Pollard nei

confronti del nominalismo commerciale sia radicalmente opposto alla fascinazione maniacale nei

84

romanzo, simulacri dotati di un nome e spesso privi di significato, le sequenze non

vengono mai descrittte, nonostante la forte espressività da cui sono caratterizzate.

Jameson considera tale assenza descrittiva un «ontological relief, like black-and-white

film after the conventional orgies of bad technicolour», e quindi un palese antidoto al

dono/avversione di Cayce:

Now it is a little easier to see the deeper meaning of the footage for Cayce […]: The footage is an epoch of rest, an escape from the noisy commodities themselves, which turn out, as Marx always thought they would, to be living entities preying on the humans who have to coexist with them. Unlike the footage, however, Gibson’s novel gives us homeopathy rather than antidote.168

Tuttavia, si potrebbe pensare che l'antidoto non venga mai offerto da Gibson perché il

vero senso del romanzo è da ricercarsi non nei contenuti dell'opera, bensì nella ricerca di

essa da parte del personaggio. Come il flâneur descritto da Benjamin «plays the role of

scout in the marketplace»,169 Cayce è costretta a dare la possibilità a Bigend di sfruttare il

suo interesse per il «footage» in maniera tale da trasformarla in una valida detective.

Come scrive Benjamin:

Preformed in the figure of the flâneur is that of the detective. The flâneur required a social legitimation of his habitus. It suited him very well to see his indolence presented as a plausible front, behind which, in reality, hides the riveted attention of an observer who will not let the unsuspecting malefactor out of his sight.170

Cayce, di conseguenza è costretta a trasformarsi, abbandonando il ruolo di spoiler per

assumere quello d'indolente flâneuse, dietro al quale si cela l'intenzione di rintracciare il

senso di ciò che ha destato la sua attenzione. Come sostiene la studiosa di letteratura

Amy Lee, la detective fiction rivela quasi sempre l'esigenza di colmare un vuoto di

conoscenza e di ricostruire una struttura lineare di senso:

Through reason and empirical research, of course, the univocal truth will be told and order restored; if Sherlock Holmes looks at the ink spot long enough, afetr all, he will eventually reconstruct the whole novel. […] The story of detection is the story of the book itself – it is a promise of closure, linearity, and a return to common sense. All of this is achivied through a process of subject formation […].171

confronti delle firme esternata da personaggi quali Patrick Bateman nel romanzo American Psycho (1991) di Bret Easton Ellis.

168 Ibidem, 114.169 Benjamin 1999, 21.170 Ibidem, p. 442, n. M13a,2.171 Alison Lee, Realism and Power. Postmodern British Fiction, London: Routledge, 1990, p. 67.

85

Brian McHale, in Postmodernist Fiction (1987), ha elaborato un'ormai celebre

distinzione tra una narrativa modernista epistemologica in contrapposizione ad una

narrativa postmodernista ontologica: «Postmodernist fiction differs from modernist

fiction just as a poetics dominated by ontological issues differs from one dominated by

epistemological issues». Nella fiction modernista predominano interrogativi del tipo:

«What is there to be known?; Who knows it?; How do they know it, and with what

degree of certainty?; How is knowledge transmitted from one knower to another, and

with what degree of reliability?; [...] What are the limits of the knowable?». McHale

definisce la «detective story» come «the epistemological genre par excellence». La

narrativa postmodernista verte invece su problematiche maggiormente legate

all'ontologia:172

What is a world?; What kinds of world are there, how are they constituted, and how do they differ?; What happens when different kinds of world are placed in confrontation, or when boundaries between worlds are violated?; What is the mode of existence of a text, and what is the mode of existence of the world (or worlds) it projects?; How is a projected world structured.173

Secondo Lee il modello del detective entra infatti in crisi con la postmodernità: in

romanzi come Hawcksmoor (1985) di Peter Ackroyd o – si può aggiungere – il già citato

City of Glass di Paul Auster, la quantità di indizi e di possibili strutture di senso è

talmente dilagante da lasciare quasi sempre incompiuto ogni sforzo epistemologico. Allo

stesso modo, i primi esperimenti di Cayce falliscono: il tentativo di elaborare una mappa

del luogo in cui si trova l'artefice del «footage» sulla base di un messaggio visivo

criptato nel codice «watermark» – una procedura steganografica d'iscrizione di un

messaggio in un altro messaggio – presente nella filigrana di una delle sequenze, risulta

inizialmente inconcludente quanto lo sono le mappe disegnate dall'improvisato detective

del romanzo di Auster. Tuttavia, la tensione epistemologica della ricerca di Cayce viene

mantenuta grazie alla collaborazione tra le forme simboliche della narrazione, del

database e del codice informatico. Come sostiene Katherine Hayles, il codice ha un ruolo

diretto nello svolgimento della vicenda, giacché permette in primo luogo la

disseminazione e la trasmissione delle sequenze del footage e, in secondo luogo, lo

svilupparsi di una narrazione articolata che coincide con il percorso compiuto dalla

172 È utile ricordare che McHale si esprime in termini di “dominanti” epistemologiche e ontologiche e non di cambiamenti radicali o di cesure nette tra una tipologia di poetica e l'altra. Brian McHale, postmodernist Fiction, London – New York: Routledge, 1987, pp. xii e 9-10.

173 Ibidem.

86

protagonista:

The transmission pathways associated with the footage depend for their construction and dissemination on computer code.Without the mediating code, Nora could not create, others could not be affected by her creation, and the footage could not become the glue binding together the globally dispersed community participating inthe F:F:F discussion site.174

La svolta, nelle indagini, avviene infatti in maniera inaspettata, quando Cayce riesce

in primo luogo a decifrare il codice visivo presente nel watermark, scoprendo che ricalca

perfettamente la forma del grilletto di una mina antiuomo, vale a dire lo stesso ordigno

che ha causato la mutilazione di Nora. Cayce riesce ad ottenere l'indirizzo di posta

elettronica (in termini tecnici, un altro codice) dell'artefice grazie a un contatto con un

agente della NSA (National Security Agency) in grado di rintracciare alcuni dati di Stella

e Nora tramite l'analisi del watermark e l'identificazione della società che lo ha creato.

Cayce può così scrivere un'email alle due sorelle:

Pattern Recognition is a selfreferential fiction, for its ability to create a narrative about creating a narrative through code reflexively points back to the role of code in its own production as a material artifact. At the same time, the possibility that the footage, compelling as it is, may not finally be a narrative at all hints at the vulnerability of narrative at a time when Lev Manovich, among others, asserts that the database has displaced narrative as the dominant cultural form. The apprehension that permeates the novel thus operates on two levels at once: as the visible trace of trauma that bodies experience in the text and as the text’s latent fear that the penetration by code of its own textual body could turn out to be traumatic for the print novel as a cultural form.175

La tesi di Hayles, relativa alla prevalenza della forma culturale del database quale

causa della vulnerabilità della forma narrativa, potrebbe tuttavia essere rovesciata,

sostenendo che Pattern Recognition sia un esempio di come si possa passare dal database

alla narrazione. Nonostante, all'interno della trama, il «footage» non venga mai montato

in una sequenza lineare, esso sembrerebbe nondimeno permettere l'attualizzazione di

altre tipologie di linearità narrativa:

"How do you feel when you watch it?" ,[...]"Most people find that that deepens. Becomes sort of polyphonic. Then there's a sense that it's going somewhere, that something will happen. Will change." She shrugs. "It's impossible to describe, but if you live with it for a while, it starts to get to you. It's just such a powerful effect, induced by so little actual screen time. I've never felt convinced that there's a recognized filmmaker around who can do that, although if you read the footage boards you'll see different

174 Katherine Hayles, “Traumas of Code,” «Critical Inquiry», n. 33, fall 2006, pp. 136-157, p. 145.175 Ibidem; p. 147.

87

directors constantly nominated.""Or maybe it's the repetition. Maybe you've been looking at this stuff for so long that you've read all this intoit. And talking with other people who've been doing the same thing.""I've tried to convince myself of that. I've wanted to believe it, simply in order to let the thing go. But then Igo back and look at it again, and there's that sense of I don't know. Of an opening into something. Universe?Narrative?"

(PR 74)

Il paradigma di dati (l'insieme delle sequenze video non montate) può generare una

catena sintagmatica anche estranea al «footage»: il tentativo di rintracciare un suo

eventuale montaggio permette a Cayce di tessere la sua personale narrazione. Ciò che

alla fine è coronato da successo è un semplice atto di comunicazione e di condivisione,

ossia la scelta di scrivere direttamente alle sorelle Stella e Nora:

My name is Cayce Pollard. I'm sitting on the grass in a park in London. It's sunny and warm. I'm 32 years old. My father disappeared on September 11, 2001, in New York, but we haven't been able to prove he was killed in the attack.[…]And through finding those codes, the numbers woven into the fabric, I've been able to get to this e-mail address, and now I'm sitting in this park, beside the statue of Peter Pan, writing to you, andAnd what?What I want to ask you isWho are you?Where are you?Are you dreaming?Are you there? The way I'm here?

(PR 174-175)

Come spiegano Link e Jameson, il «footage» svanisce nell'oscurità, senza mai venire

dotato di un contenuto e di un significato precisi, rimanendo così un esempio di écriture

blanche.176 All'interno della trama, la volontà di trasformare il database in narrazione non

viene mai esaudita, in quanto il montaggio delle sequenze non verrà mai realizzato,

tuttavia questo stesso desiderio permette di porre in connessione due vite diverse, quella

di Cayce, traumatizzata dalla scomparsa del padre il mattino dell'11 settembre 2001, e

quella dell'artefice Nora, menomata da una scheggia di granata nel corso di un attentato

alla sua potente famiglia. «And from it, and from her other wounds, there now emerged,

accompanied by the patient and regular clicking of her mouse, the footage» (PR 207). Il

176 Link 2008, 223; Jameson 2003, 111.

88

suo ruolo sembrerebbe semplicemente essere quello di un medium, un tratto d'unione che

viene disseminato come un paradigma in maniera tale che qualcun altro possa ricomporre

la catena sintagmatica per arrivare ad un punto d'incontro e di condivisione. Come

osserva Link, «the footage becomes a way of recycling and/or organizing historical

traces, of creating historical narratives, of (personally) processing (collective) trauma,

and of engaging in tactical productions of localized communities that are at the same

time spatially dispersed via the Web».177

She'd gone with Peter to visit Stella and Nora in the squat in Moscow, and then on to the dig, where Damien's shoot had been winding down, and where she'd found herself, out of some need she hadn't understood, down in one of the trenches, furiously shoveling gray muck and bones, her face streaked with tears. Neither Peter nor Damien had asked her why, but she thinks now that if they had she might have told them she was weeping for her century, though whether the one past or the one present she doesn't know. (PR 241).

L'immagine finale di Cayce che rovista piangendo tra le macerie di un cimitero di

massa della seconda Guerra mondiale, (partecipando così al documentario del suo

coinquilino, il regista Damien), è sintomatico di come la condivisione di un'esperienza, il

contatto con una narrazione altrui, l'abbia portata ad elaborare un lutto per la scomparsa

del padre e per il doloroso passaggio dal XX al XXI secolo, avvenute il medesimo

giorno. Come è stato ricordato nel corso del primo capitolo, il pattern recognition è la

facoltà dell’intelligenza di tracciare diversi schemi (patterns) di relazioni tra i vari dati

sulla base delle loro differenze o somiglianze e quindi di saperli riconoscere e

distinguere. In questo senso, tale ricognizione sembrerebbe essere il processo tramite cui

è possibile rappresentare e narrare un insieme non ordinato di informazioni. Il recupero e

l'attualizzazione del passato, come spesso accade, passano attraverso la tessitura e

l'attualizzazione del presente, attraverso lo sforzo di creare narrazioni.

§ 2.4 - Narrazione, database e transletteratura

Se, nel caso di Pattern Recognition, il database è in grado, almeno a livello tematico,

di generare una narrazione, risulta singolare come lo stesso romanzo di Gibson sia stato

oggetto di un processo sostanzialmente inverso di cui è necessario tenere conto. Come

177 Link 2008, 211.

89

dichiara l'autore statunitense nel corso di un'intervista rilasciata nel 2001, il suo interesse

per la cultura della rete e per il fenomeno dello spoiling è nato alcuni anni prima della

stesura di Pattern Recognition, a partire dall'ispirazione offerta dalla cultura giapponese:

The otaku, the passionate obsessive, the information age's embodiment of the connoisseur, more concerned with the accumulation of data than of objects, seems a natural crossover figure in today's interface of British and Japanese cultures. I see it in the eyes of the Portobello dealers, and in the eyes of the Japanese collectors: a perfectly calm train-spotter frenzy, murderous and sublime. Understanding otaku-hood, I think, is one of the keys to understanding the culture of the web. There is something profoundly post-national about it, extra-geographic. We are all curators, in the post-modern world, whether we want to be or not. 178

Nel contesto dell'odierna ecologia mediale si diffonde con evidenza l'attitudine alla

ricontestualizzazione dei contenuti letterari ed artistici. I fruitori diventano curatori,

attingendo dalle opere a loro dispozione per creare, scegliere e controllare le loro

strategie interpretative. Gibson appare consapevole di questa tendenza, associandola alla

calma frenesia del collezionismo e della manipolazione di dati che costituisce uno dei

temi principali di Pattern Recognition, nel quale vengono descritti personaggi che

tentano di dare un senso e un ordine alle varie sequenze del «footage» disseminate in

rete. Tuttavia, in un'altra intervista successiva alla stesura del romanzo, Gibson si

dimostra stupito del fatto che, già pochi mesi dopo la pubblicazione di Pattern

Recognition, si siano formate alcune comunità di otaku che hanno inziato ad attuare una

sistematica attività di spoiling degli ultimi due libri. Addirittura, nel caso di Spook

Country, questo fenomeno è iniziato prima della pubblicazione del volume, grazie alla

diffusione incontrollata di alcune copie in anteprima. I due siti di spoiling più interessanti

sono Pr Otaku, di Joe Clark e Node realizzato da un appassionato che si nasconde dietro

al nome di “PatternBoy.”179 Il primo è interamente dedicato a Pattern Recognition, mentre

il secondo trae il proprio titolo da quello di una rivista fittizia fondata dal personaggio

Hubertus Bigend in Spook Country al fine di assumere come giornalista la protagonista

Hollis Henry.180

Sulle pagine del «Guardian» John Sutherland si spinge addirittura a dichiarare come

Node rappresenti una tipologia di esperimento destinato a cambiare il corso degli English

Studies.181 Accantonando i toni profetici e le esagerazioni giornalistiche, è necessario

178 William Gibson, “Modern boys and mobile girls,” «Observer Magazine», 1 April 2001, p. 8. Web. 23-4-2010. <http://www.guardian.co.uk/books/2001/apr/01/sciencefictionfantasyandhorror.features>.

179 Joe Clark, Pr Otaku, 2003-2007, N.p., n. d. Web. 28-10-2010. <http://fawny.org/pr/>.180 William Gibson, Spook Country, New York: G. P. Putnam's Sons, 2007, p. 6.181 John Sutherland, “Node idea,” «The Guardian», 31-8-2007. Web. 9-2-2010.

<http://www.guardian.co.uk/education/2007/aug/31/highereducation.books>.

90

comprendere in questa sede come effettivamente tale processo rappresenti un dato

culturale rilevante, come traspare dalle parole dello stesso curatore, Joe Clark:

More substantively, I have to say that a strength of the Web is accommodating minutely-detailed interests. I tend to follow obscure topics, an activity that is not merely tolerated but encouraged […]. I maintain dozens of pages on my sites that exist for no other reason than to provide information for other people with those minutely-detailed interests.182

Clark e altri lettori si preoccupano di riportare la narrazione in seno al reale,

stabilendo nuove connessioni tra i vari elementi che compongono l'intreccio e alcuni dati

relativi alla realtà contingente. Sia su Pr Otaku che su Node è possibile trovare un

riassunto suddiviso per capitoli. All'interno di ogni sezione sono presenti immagini e link

che rimandano a personaggi oggetti e luoghi del mondo reale che possono rievocare

quelli presenti nei romanzi. Ad esempio, in Pr Otaku, un collegamento ipertestuale viene

accostato alla trascrizione dell'episodio in cui Cayce visita il cimitero di massa dove il

suo coinquilino Damien sta girando un documentario. Tale collegamento, denominato

«flayed corpses» rimanda a una galleria d'immagini sul sito di «The Guardian» relativa

all'esposizione artistica di corpi umani. In Node, è possibile rintracciare fotografie di

gruppi musicali simili a quelli di una rock band descritta in Spook Country, immagini

satellitari dei luoghi descritti nel romanzo e collegamenti a pagine web che hanno il

compito di approfondire alcuni dettagli della trama (dal funzionamento di un medicinale

alla trascrizione dell'alfabeto Volapuk). Come spiega Gibson:

One of the biggest technologically driven changes in my writing is the awareness that every text today has a kind of spectral quasi-hypertext surrounding it. It is all of the Googled information that found its way into the book but which isn’t available to the reader as a literal hypertext unless you’re willing to be the animator of the hypertext process.183

Gibson afferma che la documentazione che sta alla base dei suoi ultimi romanzi è

frutto di un diligente lavoro di raccolta dei dati attraverso «Google» e altri motori di

ricerca. Specularmente, dopo la stesura del romanzo, questi otaku attuano un lavoro di

scomposizione della narrazione. Il database complex teorizzato da Manovich

sembrerebbe, in questo caso, essere sia all'origine della stesura dell'opera narrativa sia

alla base di una determinata tipologia di fruizione. Questo processo porta di conseguenza

182 Joe Clark, Pixelview. N.p., n. d. Web. 28-10-2010. < http://web.archive.org/web/20071023231143/www.lemurzone.com/pixelview/joeclark/ >.

183 Joel Garreau, intervista a William Gibson, “Through the Looking Glass. The Post-9/11 Era Has Caught Up With William Gibson's Vision,” «The Washington Post», 6-9-2007.

91

a una continua rimediazione184 tra la forma simbolica del database e quella della

narrazione, in cui ogni singolo dato è tuttavia estrapolato da un precedente mezzo di

comunicazione.

L'esperienza di ricostruzione della propria narrazione da parte di Cayce sembrerebbe

opposta alla scomposizione effettuata dagli otaku. Tuttavia sembrerebbe che questi

appassionati lettori effettuino questo procedimento al fine di creare connessioni tra

l'universo narrativo e quello della “realtà” al di fuori di esso. Questa scomposizione

analitica della narrazione coincide con una percezione del romanzo probabilmente

differente da quella che possiamo ad esempio rintracciare in Friedrich Von Blanckenburg,

uno dei primi teorici del genere romanzesco, che nel 1774 propone un approccio intuitivo

alla lettura al fine di comprendere la trama di connessioni concentrata nella realtà:

Dobbiamo riconoscere con intuitiva evidenza (anschauend) la connessione delle parti tra di loro e con l'epilogo dell'opera, esaminare il loro rapporto reciproco, misurare gli effetti e le cause e poter vedere con certezza perché le cose vanno in questo modo e non in un altro. […] Nel grande tutto ci è sempre dato di vedere qualcosa di questa connessione; se non riusciamo a riconoscerla intuitivamente, se la conoscenza di questa connessione ce la dobbiamo guadagnare con l'esperienza e la riflessione il motivo che ci impedisce di averne contezza non è la sua assenza ma la nostra debolezza.185

Nondimeno, l'attività degli otaku appare comprensibile, ed è forse figlia di un tempo

in cui, come sostiene Manovich, la possibilità di scegliere acquisisce una valenza

preponderante. Il romanzo diventa database in maniera tale da stimolare la creazione, da

parte di chi legge, di connessioni con il proprio mondo.

Grazie a questo processo di scomposizione e disseminazione del materiale narrativo in

elaborati e iperconnessi database fruibili in rete, Pattern Recognition diventa a tutti gli

effetti una sorta di «networked novel», un'espressione utilizzata dagli scrittori Kate

Pullinger e Chris Jospeh per riferirsi a Flight Paths (2007 - in corso), un'opera narrativa

da loro sviluppata in rete e attraverso la rete a partire dal 2007, grazie alla partecipazione

di molti collaboratori. Entrambi gli autori principali sono studiosi di scrittura creativa e

nuovi media presso la De Montfort University e hanno elaborato, nel corso degli ultimi

anni, opere letterarie incentrate sull'interazione tra letteratura e nuove tecnologie. Tra i

progetti da loro sviluppati, è possibile menzionare The Breathing Wall (2004), una

184 Cfr. § 0, p. 6.185 F. von Blanckenburg, Versuch über den Roman (1774), Stuttgart 1965, pp. 312-315. [Trad. it. cit. in

Roberto Gilodi, Una vita in forma di libro. Ermeneutica e romanzo tra Illuminismo e Romanticismo, Genova: Il Melangolo, 2005, p. 50].

92

singolare opera letteraria in cui la visualizzazione delle sequenze narrative (composte da

testi, immagini, filmati e voci recitanti) è regolata anche dal respiro del lettore captato da

un microfono; Inanimate Alice (2007), un romanzo multimediale ed interattivo (il lettore

è occasionalmente tenuto a risolvere giochi ed enigmi al fine di far proseguire la

narrazione) che attualmente viene utilizzato anche per scopi pedagogici coinvolgendo

gruppi di studenti nella creazione di nuovi episodi e The 24 Hr Book (2009), un romanzo

scritto a più mani da vari autori principali che ha visto anche la partecipazione di un

pubblico collegato online che ha avuto la possibilità, nel corso di un periodo limitato a

ventiquattro ore, di contribuire alla stesura del romanzo.186 Anche lo scrittore statunitense

Mark Z. Danielewski, che ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico grazie

alla pubblicazione del già menzionato House of Leaves, ha continuato ad esplorare i

limiti formali del genere romanzesco sfruttando la popolarità del suo bestseller al fine di

creare su Internet un forum di lettori che hanno contribuito a fornire dati, discussioni e

idee per la stesura del secondo romanzo in versi Only Revolutions, pubblicato in forma

cartacea nel 2007. Di conseguenza, come è avvenuto nel caso di Flight Paths, anche

Only Revolutions è stato esplicitamente concepito per essere ospitato su piattaforme

mediali differenti e per coinvolgere in maniera attiva i lettori nella sua genesi e nella sua

“evoluzione” nel corso del tempo. Una prima analisi di queste due opere può quindi

permettere di comprendere meglio l'impatto della cultura partecipativa e di Internet nei

confronti del processo d'ibridazione che intercorre tra database e narrazione.

Pullinger e Joseph hanno contribuito a fondare, presso la DeMontofort University, il

Production and Research in Transliteracy (PART) Group afferente all'Institute of Creative

Technologies (IOCT). Il termine «transliteracy» è stato adottato dai membri del gruppo

per definire una tipologia di alfabetismo trasversale fondato sul ricorso a una molteplicità

di supporti mediatici e sulla partecipazione attiva degli utenti:

Transliteracy can be defined as “the ability to read, write and interact across a range of platforms, tools and media from signing and orality through handwriting, print, TV, radio and film, to digital social networks.” As a behaviour, it is not new—indeed it reaches back to the very beginning of culture—but it has only been identified as a working concept since the

186 Kate Pullinger e Chris Joseph. Inanimate Alice. 2007. Web. 13-08-2011. <http://www.inanimatealice.com/>. Kate Pullinger, Stefan Schemat e Babel [Chris Joseph]. “The Breathing Wall.” 2004. CD–ROM. London: Arts Council – Nottingham: trAce Online Writing Centre, Nottingham Trent University – Kate Pullinger, 2007. Web. 22-08-2011. <http://www.thebreathingwall.com>.Anna Lewis, Kate Pullinger, Chris Meade et al. A Vauxhall Chorus : The 24hr Book. Print. Leiston, Suffolk: completeleyNovel.com, 2009. Web. 13-10-2011. <http://www.completelynovel.com/books/a-vauxhall-chorus-the-24-hour-book/>.

93

Internet allowed humans to communicate in ways which seem to be entirely novel.187

Da questa dichiarazione d'intenti redatta da Sue Thomas, traspare da un lato l'esigenza

di fornire una definizione che si adatti a epoche, tecnologie e culture mediatiche

differenti e dall'altro la volontà di porre al centro dell'analisi l'influenza che le tecnologie

relazionali favorite dall'espansione dell'informatica e della telematica hanno avuto nei

confronti della capacità umana di leggere e scrivere. In tal senso, Thomas accosta

dapprima il concetto di transalfabetismo a quello di «ecologia mediale», introdotto da

Marshall McLuhan e ripreso, a partire dagli anni Settanta, da studiosi quali Neil Postman

e Christine Nystrom. Come spiega Postman:

«Media ecology looks into the matter of how media of communication affect human perception, understanding, feeling, and value; and how our interaction with media facilitates or impedes our chances of survival. The word ecology implies the study of environments: their structure, content, and impact on people».188

Già nel celebre saggio Understanding New Media (1964) McLuhan osserva come le

tecnologie mediatiche «siano modi per tradurre un tipo di conoscenza in un altro», delle

«metafore attive» in grado di «tradurre l'esperienza in forme nuove». A differenza delle

tecnologie precedenti, come l'alfabeto o la tipografia, quella che McLuhan definisce

come la «tecnologia elettromagnetica» dei «nuovi media» è tuttavia «totale e compatta»,

in grado di promuovere un regime in cui il compito dell'uomo è quello «di imparare e di

sapere», utilizzando qualsiasi bene come una sorta di combustibile per favorire lo

spostamento delle informazioni.189 È ormai noto come questo fenomeno di continua

traduzione delle informazioni ad opera di media diversi tra loro sia stato intensificato

dalle tecnologie informatiche, che sono in grado di simulare, e quindi di inglobare e

rendere immediatamente accessibile, il funzionamento di qualsiasi macchina e supporto

tecnologico già esistente. Questo processo di traduzione mediatica viene correlato da

Thomas e dagli altri studiosi del PART allo studio di un'ecologia della nostra capacità di

187Sue Thomas, “Transliteracy and New Media,” in Randy Adams – Steve Gibson – Stefan Müller Arisona (a cura di), Transdisciplinary Digital Art : Sound, Vision and the New Screen, Berlin – Heidelberg: Springer, 2008, pp. 101-109; pp, 101-102.

188 Neil Postman, “The Reformed English Curriculum,” in A.C. Eurich (a cura di), High School 1980: The Shape of the Future in American Secondary Education. New York: Pitman Pub. Corp., 1970. Web. 07-10-2011. <http://www.media-ecology.org/media_ecology/#What is Media Ecology?>.

189 Marshall McLuhan, Understanding New Media, New York: New American Library, 1964, pp. 62-64. Trad. it. di Ettore Capriolo, Gli strumenti del comunicare, Milano: Il Saggiatore, 1995. «All media are active metaphors in their power to translate experience into new forms». «Technologies are ways of translating one kind of knowledge into another mode». «Electromagnetic technology [...] is total and inclusive». «Under electric technology the entire business of man becomes learning and knowing».

94

leggere e scrivere:

Transliteracy extends the act of transliteration and applies it to the increasingly wide range of communication platforms and tools at our disposal. From early signing and orality through handwriting, print, TV and film to networked digital media, the concept of transliteracy calls for a change of perspective away from the battles over print versus digital, and a move instead towards a unifying ecology not just of media, but of all literacies relevant to reading, writing, interaction and culture, both past and present.190

In questo senso, Thomas rileva delle evidenti implicazioni per quanto riguarda lo

studio della cultura della convergenza e della cultura partecipativa approfondito in

particolar modo da Henry Jenkins191 e afferma che lo studio del transalfabetismo coincida

con un'analisi della lettura e della scrittura in questo contesto, con una maggiore

insistenza – rispetto all'analisi storica portata avanti dagli studiosi di ecologia mediale –

nei confronti dell'esperienza attiva vissuta dagli utenti.

Il transalfabetismo appare rilevante anche per quanto riguarda l'esplorazione di quella

che si potrebbe definire una “transletteratura”, vale a dire la capacità di leggere, scrivere

e condividere testi letterari attraverso una serie di strumenti di comunicazione differenti.

Questo fenomeno è evidente se si considera l'esempio, riportato da Jenkins, di una

giovane utente dei forum dedicati alla serie televisiva X Files e ai romanzi di Harry

Potter scritti da J. K. Rowling:

Flourish started reading The X-Files fan fiction when she was ten, wrote her first Harry Potter stories at twelve, and published her first online novel at fourteen.

She quickly became a mentor

for other emerging fan writers, including many who were twice her age or more. Most people assumed she was probably a college student. Interacting online allowed her to keep her age to herself until she had become so central to the fandom that nobody cared that she was in middle school.192

Oltre a citare altri esempi analoghi, Jenkins constata anche come questa abitudine ad

intrecciare la familiarità con i nuovi mezzi di comunicazione alla lettura e alla scrittura di

opere letterarie non sia una prerogativa delle nuove generazioni, ma che stia diventando

sempre più spesso un'opzione (e opzionale, secondo Jenkins, deve rimanere) disponibile

per utenti più anziani e avvezzi a generi letterari usualmente a loro dedicati.

La progressiva familiarità che gli autori ed il pubblico stanno acquisendo con la

possibilità d'imparare a scrivere, leggere e condividere letteratura su supporti non

190 S. Thomas 2007.191 Cfr. § 0, pp 6-8.192 Jenkins 2006, 187.

95

convenzionali implica anche una conseguente modificazione delle opere letterarie. Come

osserva Pullinger in un articolo pubblicato nel corso dello sviluppo preliminare di Flight

Paths:

“Flight Paths” will actively engage with many of the questions that are raised by the concept of a transliterate production. Those questions include: what are the possibilities for new narrative forms? How do we “write to be seen” or “write to be heard” when creating multimedia narratives, and can we imagine writing to be smelled, tasted, felt? What are the effects of collective authorship across multiple forms? At what point does multimedia — “a combination of different media which function next to each other and remain clearly discernable” become intermedia — “an integrative combination of different media [such that] the usual frames and structure of the different media are affected and influenced by each other?”193

Sotto questo punto di vista, si può dire che Flight Paths e Only Revolutions tentino di

rispondere agli interrogativi che Pullinger si pone, cercando di rendere le loro opere non

soltanto multimediali, ma anche intermediali ed integrate con una comunità di utenti

consapevoli dell'apporto che forniscono all'intero progetto. I due romanzi sono infatti

suddivisi in due “spazi” differenti: il primo coincide con l'opera vera e propria, mentre il

secondo – attraverso una piattaforma in rete sviluppata da Pullinger e Joseph e tramite il

forum pubblico “MZD Forums” fondato nel 2000 da Danielewski – è dedicato alla

condivisione di dati, informazioni ed elementi da parte dei lettori/utenti. È possibile

descrivere la trama e la struttura formale delle due opere e allo stesso tempo comprendere

in quale modo si articoli il rapporto tra database e narrazione, rimandando ai successivi

capitoli un'analisi più approfondita dei personaggi, del confronto tra genere romanzesco e

nuovi media e del rapporto che intercorre tra il lettore e il testo.

Per quanto riguarda Flight Paths, il romanzo vero e proprio è stato – e continua ad

essere – scritto da Pullinger e sviluppato da Joseph tramite il linguaggio di

programmazione “Flash”, supportato da tutti i browser disponibili per chi utilizza un

personal computer. All'indirizzo <flightpats.net> il lettore può accedere ai vari capitoli

del romanzo, ciascuno dei quali è costituito da una serie di immagini in slow motion, di

testi e di video che scorrono e si sovrappongono sullo schermo in varie direzioni a

seconda dell'andamento della narrazione. Il lettore ha la possibilità, premendo un

pulsante posto al centro dello schermo, di passare alla sequenza successiva, sino ad

arrivare alla conclusione del capitolo. L'opera è di conseguenza caratterizzata da una

forte multimedialità, nonostante i testi scritti assumano una forte preponderanza rispetto

agli altri contenuti. L'estrema semplicità dell'opera permette di sperimentare modalità

193 S. Thomas 2007. Corsivo aggiunto.

96

non ordinarie di lettura dei testi, rendendo l'opera di Pullinger e Joseph per certi versi

affine alla cosiddetta “flash art.”

Fig. 2 - Kate Pullinger e Chris Joseph, Flight Paths, 2007 - pres., Cap. IV.

Come emerge dall'immagine, sono presenti due “sentieri” («paths») narrativi che si

intrecciano visivamente e narrativamente man mano che le vicende dei due protagonisti

Yacub e Harriet s'intersecano con sempre maggiore frequenza. Yacub è un giovane

pakistano costretto dapprima a emigrare in Dubai in cerca di un lavoro e di condizioni di

vita migliori e, in un secondo momento, dopo un breve ritorno presso la famiglia

d'origine, a salire clandestinamente su un altro aereo. Sfortunatamente, il portello della

stiva si apre mentre il velivolo sta atterrando per fare scalo all'aeroporto di Heatrow e

Yacub cade dal cielo nel parcheggio di un supermercato di Richmond, nella zona sud di

Londra, sfondando il tetto della macchina di Harriet. Yacub diventa così una «massa

scura»194 che cade dal cielo per incrociare involontariamente il suo destino con quello

dell'altra protagonista del romanzo. Quest'ultima si rivela essere «una buona moglie e una

buona madre»,195 che sta guidando verso il supermercato, riflettendo in merito al fatto

che, a differenza di altre persone nel mondo, la sua famiglia ha già a disposizione molto

più cibo di quanto non abbia effettivamente bisogno. La vicenda si interrompe al

momento dell'incontro/scontro tra i due personaggi. Allo stato attuale del progetto,

Pullinger e Joseph sono infatti in attesa di nuovi frammenti e di nuovi dati da utilizzare al

fine di continuare a narrare la vicenda di due personaggi che appaiono esemplari di

194«A dark mass». Kate Pullinger, Chris Joseph and participants, Flight Paths : A Networked Novel, 2007 - pres. Web. Web. 20-11-2011 <http://www.flightpaths.net/>, cap. IV.

195«A good wife and a good mommy». Flight Paths, cap. III.

97

condizioni sociali estremamente diverse e persino di un modo di viaggiare e di spostarsi

differente (il rapido e rischioso volo clandestino di Yacub è in netto contrasto con

l'annoiato viaggio di Harriet in automobile).

Ciò che rende Flight Paths un progetto potenzialmente interessante è lo spazio, ad

esso dedicato, che è stato creato sulla piattaforma online denominata Net Vibes: si tratta

di una tecnologia relazionale e multimediale che permette al «transilterate reader» di

inserire testi, link, immagini, file audio e video che vengono visualizzati in finestre tra

loro adiacenti, in maniera del tutto simile alla modalità di visualizzazione delle finestre in

qualsiasi desktop.

Fig. 3 - Kate Pullinger e Chris Joseph, Flight Paths, 2007 - pres., Net Vibes.196

Come è possibile notare dall'immagine (fig. 3), questo spazio è un vasto database di

contenuti che può essere visualizzato ed aggiornato da chiunque. Sono ad esempio

presenti delle fotografie scattate da alcuni utenti presso alcuni aeroporti; un video

riprende un aereo mentre sta atterrando, mentre altri contenuti multimediali sono relativi

al supermercato Sainsbury's situato nel quartiere londinese di Richmond, verso il quale,

all'interno della narrazione principale, si reca Harriet. Questo processo di aggregazione

serve anche, in maniera simile a quanto accade nei siti di spoiling dedicati a Pattern

Recognition di Gibson, ad aggregare notizie di giornali attinenti alla narrazione. Ad

esempio, un link rimanda ad una notizia apparsa su «The Guardian» relativa ad un

passeggero clandestino rumeno miracolosamente sopravvissuto a un viaggio nella stiva

di un aereo diretto da Vienna a Heathrow.197 Inoltre, l'intero sito di Flight paths è

196 Pullinger e Joseph 2007, <http://www.netvibes.com/flightpaths#Contribute>.197 Henry James Foy, “Romanian stowaway survives flight from Vienna to Heathrow,” «The Guardian»,

Wednesday 9 June 2010. Web 21-03-2011. <http://www.guardian.co.uk/world/2010/jun/09/romanian-stowaway-vienna-heathrow>. Cit. in Pullinger e Joseph 2007, Flight Paths,

98

collegato ad altre tecnologie relazionali alquanto popolari, come ad esempio al social

network Facebook e all'aggregatore di notizie Twitter, nei quali è stata creata una pagina

ad hoc per discutere del romanzo e attrarre nuovi visistatori e collaboratori.

All'interno della pagina di Net Vibes messa a disposizione dei lettori/utenti, sono

presenti anche numerose storie o cronache raccontate dai visitatori. Ad esempio,

un'utente racconta per iscritto la lunga vicenda migratoria narratale oralmente dalla sua

collaboratrice domestica di origini pakistane e da suo marito Aqeel: «Aqeel is tired and

he feels all his money has been spent on trying to fulfill his dream of reaching the land of

gold. He is trying to suppress his desires and wishes all the best to his lucky relatives

who have fulfilled their dreams. He has more or less accepted his fate as living and dying

in Pakistan.»198 Allo stesso modo, anche dalle riflessioni del protagonista Yacub traspare

una medesima insoddisfazione nei confronti dei sacrifici economici necessari per

raggiungere un paese straniero che è potenzialmente caratterizzato da migliori condizioni

di vita e che in realtà offre unicamente impieghi faticosi e mal pagati. Di conseguenza, è

plausibile che Pullinger abbia utilizzato la storia di Aqeel per delineare il profilo del

protagonista di Flight Paths. In questo caso, il processo di transalfabetismo è duplice,

poiché si passa dal racconto orale di Aqeel, alla trascrizione dell'utente sul sito, sino ad

arrivare alla narrativizzazione della vicenda da parte di Pullinger e alla sua trasposizione

multimediale. Come osserva Pullinger: «'The Internet can change the way readers and

writers interact' and delights in the fact that readers are 'not just talking back, but

actually creating their own version of my story. The potential for reader-writer interaction

is vast and we’re only just getting started'».199 Questa propensione a creare altre versioni

della storia principale è evidente se si considera, ad esempio, un'altra finestra del

database, in cui un'utente trascrive una poesia incentrata sul mito di Icaro. In questo caso,

si registra un movimento inverso rispetto all'adozione da parte di Pullinger della storia di

Aqeel, poiché è la vicenda narrata nel romanzo Flight Paths ad aver ispirato questa

evidente analogia mitologica tra la figura di Icaro e quella di Yacub, che cade dal cielo

nella speranza di migliorare sempre di più il proprio benessere e quello della sua lontana

famiglia.

Questo desktop condiviso è, di fatto, un vasto database di contenuti multimediali e

multimodali. La narrazione principale di Yacub e di Harriet si configura in primo luogo

<http://www.netvibes.com/flightpaths#Contribute>.198 Pullinger e Joseph 2007, Flight Paths, “Aqeel's Story”,

<http://www.netvibes.com/flightpaths#Contribute>.199Kate Pullinger, cit. in: Dee Horne, “This Strange Torpedo: Impacts of digital technology on creative

writing, «Wascana Review», Vol 43, N° 1, Regina (CAN): University of Regina, 2010. Web. 18-03-2011. <http://journals.sfu.ca/wascana/index.php/Wascana/article/viewArticle/57>.

99

come un sintagma narrativo sintetizzato attraverso la rielaborazione di questo database di

contenuti e, in secondo luogo, svolge il ruolo di aggregatore e di pietra di paragone per

indurre gli utenti a fornire del materiale attinente alla storia e, più in generale, al tema

centrale della migrazione e del confronto culturale. L'operazione condotta dal

personaggio di Nora in Pattern Recognition risulta sotto questo punto di vista molto

simile a quella condotta da Kate Pullinger: raccogliere frammenti per sintetizzarli in una

linea ed infine disseminare l'intero contenuto per stimolare gli utenti a creare ulteriori

percorsi di senso. Rispetto al personaggio di Nora, e anche rispetto al al lavoro di mera

scomposizione della narrazione in database effettuato dai fan di Pattern Recognition,

Pullinger e Joseph si spingono addirittura oltre, includendo progressivamente i nuovi dati

all'interno della narrazione principale. Come è già stato illustrato, Manovich teorizza, nel

contesto dei nuovi media, un rovesciamento di ruoli tra paradigma e sintagma: il database

ha il merito di rendere attuale il paradigma, mentre il percorso narrativo è sempre più

virtuale, in quanto viene definito dagli utenti man mano che procedono nella loro

esplorazione dell'opera. In Flight Paths si verifica un continuo processo di ibridazione tra

il paradigma del database ed il sintagma della narrazione, che porta quindi ad una

completa commistione dell'attuale con il virtuale. Il paradigma – in questo caso l'insieme

dei contenuti proposti dagli utenti – è attualizzato e reso palese nella sua interezza grazie

all'interfaccia realizzata su Net Vibes e allo stesso tempo rimane virtuale, in quanto

Pullinger e Joseph decidono di volta in volta se utilizzare o meno determinati elementi.

Parallelamente, l'asse sintagmatico coincide sia con la narrazione attualizzata da

Pullinger e Joseph nel romanzo Flight Paths vero e proprio sia con tutti i virtuali – vale a

dire potenziali – percorsi di navigazione che i visitatori possono scegliere di effettuare

durante l'esplorazione dell'interfaccia, senza contare tutte le potenziali associazioni di

significato che possono intercorrere tra l'opera multimediale e il serbatoio intermediale di

dati a cui è connessa.

Nel corso degli ultimi anni, i limiti formali del medium romanzesco non sono stati

unicamente ridiscussi attraverso il ricorso all'intermedialità di Internet e dei database in

esso contenuti. Con la pubblicazione di Only Revolutions (2007), Mark Z. Danielewski

ha probabilmente realizzato una delle opere più complesse sotto il punto di vista

dell'intermediazione tra supporto cartaceo e informatico, soprattutto per quanto riguarda

la trasposizione su carta delle pratiche di lettura e di composizione testuale

comunemente utilizzate attraverso i media digitali. Danielewski narra per certi versi la

100

storia più semplice che ci possa essere. Come in Flight Paths, vi sono infatti due percorsi

narrativi principali, l'uno associato ad una protagonista femminile – la sedicenne Hailey –

e l'altro ad un protagonista maschile di pari età, Sam. La resa grafica di quella che, ad un

primo approccio, potrebbe essere considerata una struttura binaria, è affidata alla

presenza di due copertine differenti, l'una per il recto del volume e l'altra per il verso.

Ruotando tra le mani il libro di 180°, il lettore può leggere l'altro versante della storia. Il

nome di Sam è sempre scritto in carattere oro, mentre quello di Hailey in carattere verde.

Sono presenti altri colori, tipi e dimensioni di caratteri tipografici per sottolineare

graficamente alcuni termini, seguendo determinati codici che il lettore può tentare di

interpretare soggettivamente. L'editore raccomanda di leggere otto pagine e

successivamente di cambiare lato, leggere altre otto pagine e così via. Questa pratica di

lettura viene definita da Katherine Hayles un «ottetto» («octet»)200 e, come osserva Brian

McHale, prevede il fatto che il lettore sia costantemente obbligato – e non semplicemente

invitato – ad effettuare delle “rivoluzioni” in cui fa ruotare fisicamente il libro di 360°

(180° la prima volta e 180° la seconda volta, quando si ritorna al lato precedente).201 Ogni

lato conta, non a caso, 360 pagine: la pagina 360 del lato di Sam equivale alla pagina 1

del lato di Hayley e viceversa.202 Hayles propone di suddividere ogni singola pagina in

quattro quadranti,come indicato nella riproduzione sottostante delle due pagine centrali

del libro (H180/S181 e H181/S180):

200 N. Katherine Hayles, “Mapping time, charting data: the spatial aesthetic of Mark Z. Danielewski's Only Revolutions, in Joe Bray e Alison Gibbons (a cura di), Mark Z. Danielewsky, Manchester - New York: Manchester University Press, 2011, pp. 159-177, p. 162.

201 Cfr. Brian McHale, “Only Revolutions, or, The most typical poem in world literature,” in Joe Bray e Alison Gibbons (a cura di), Mark Z. Danielewsky, Manchester - New York: Manchester University Press, 2011, pp. 141-158; p. 142.

202 Ogni lato ha stampata sulla prima pagina l'iniziale del relativo protagonista. Per riferirsi al numero di pagina, occorre utilizzare di conseguenza anche l'iniziale prima del numero di pagina.

101

Fig. 4 - Mark Z. Danielewski, Only Revolutions, 2007, pp. 180-181.

In ogni narrazione (ad esempio il quadrante H180a) vi sono 90 parole, per un totale di

180 parole per ogni pagina e di 360 se si considerano il recto e il verso tenendo il volume

aperto. In ogni pagina, il totale di linee che compongono H180a e S181a è pari a 36.

Ogni pagina ha un cerchio posto al centro del margine laterale esteriore, avente al suo

interno due numeri di pagina posti uno sopra l'altro e orientati in direzioni opposte. Per

quanto riguarda le pagine sinistre, il quadrante in alto a sinistra (H180a) include la

narrazione vera e propria, appartenente al lato di Hailey; il quadrante in basso e sempre a

sinistra include la narrazione, stampata rovesciata di 180° (S181a), relativa al lato di

Sam; il quadrante in alto a destra include una barra laterale di «Chronomosaics»

(H180b), vale a dire una lista di eventi storici elencati al di sotto di una particolare data,

posta in ordine cronologico con le date delle pagine che precedono e che seguono. Il

quadrante in basso a sinistra include il cronomosaico della relativa pagina rovesciata

(S181b). Per ogni pagina destra la disposizione dei materiali è ovviamente speculare. Il

cronomosaico affiancato alla narrazione di Sam inizia il 22 novembre 1863, nel mezzo

della Guerra Civile e termina nel 1963, quando, dall'altro verso del volume, inizia il

cronomosaico affiancato alla narrazione di Hayley, il 22 novembre del 1963, con

l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Anche il cronomosaico di Hailey dura un secolo,

fino alla data del 2063 segnalata nella barra laterale dell'ultima pagina, anche se l'ultima

102

colonna in cui sono elencati degli eventi è datata 25 maggio 2005. Come osserva Hayles,

le vicende dei due protagonisti non si intersecano mai, di conseguenza l'unico spazio

dove si incontrano è la mente del lettore, che ruota continuamente il volume, passando da

una narrazione all'altra.203 All'interno dei quadranti narrativi principali viene raccontata la

storia di due personaggi che si incontrano, diventano amanti e cominciano a viaggiare

insieme in macchina attraverso gli Stati Uniti. A più riprese, nel corso della trama, si

scontrano con il «Creep», un'entità non meglio definita, il cui nome è evidenziato in viola

all'interno del testo e che riesce in un'occasione ad attrarre Hailey, suscitando la gelosia

di Sam. Ad un certo punto della vicenda, i due sono entrambi ricoverati in un ospedale a

New Orleans: Hailey ha uno shock anafilattico causato da una pillola, mentre Sam ha dei

problemi al cuore. I due riescono poi a rimettersi in viaggio, sino a raggiungere St. Louis,

dove iniziano a guadagnarsi da vivere lavorando in un ristorante. Anche in questo caso

incappano in delle difficoltà, dato che Hailey viene pesantemente corteggiata dal

manager del ristorante e Sam viene trattato male sul posto di lavoro. In seguito, i due

decidono di sposarsi e trascorrono la prima notte di nozze, durante la quale riescono ad

avere un rapporto completo, anche se Sam viene punto subito dopo da un'ape e muore di

shock anacefalico, lasciando Hailey nella solitudine e nella tristezza. Se un lettore

leggesse unicamente la vicenda narrata all'interno dei quadranti narrativi principali, si

ritroverebbe immerso in un complicato romanzo in versi, dalla trama non particolarmente

coinvolgente, pieno di giochi linguistici e di allusioni difficilmente comprensibili e

corredato di soluzioni tipografiche che, in certi casi, possono apparire legittimamente

stucchevoli. Per questo motivo, come nota ad esempio un utente del “MZD Forums”, i

commenti di molti lettori che si sono fermati ad una prima lettura del romanzo sono stati

negativi, mentre è necessaria una paziente rilettura per acquisire una padronanza del testo

ed essere in grado di apprezzare la sua osticità:

J'ai lu sur internet les pires choses, que cette oeuvre ne valait pas le papier sur lequel elle était imprimée, qu'elle était une suite de mots et de sons proche de la loghorrée et dépourvue d'intérêt ou d'implications. J'ai vu sur ces forums des lecteurs de House of Leaves déçu ou décontenancé par le style et les personnage d'O[nly] R[evolutions].[...] Il a fallu à apprendre à le manier, comme un instrument de musique, et tous ces efforts ont été récompensés au-delà de toutes mes espérances.204

Danielewski ha dichiaratodi voler rifuggire da uno sperimentalismo strutturale che

203 Hayles 2011, 165.204 Commento di Norkhat, 01-12-2010, Thread: “Art du Canon et voyage en ruban de Möbius”. Mark Z.

Danielewski (a cura di), “MZD Forums”, c2000-2011. Web. 14-11-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/>.

103

non sia funzionale a comunicare i contenuti dell'opera: «One of the things I’m interested

in is that all of these elements are in service to the themes and the story as opposed to

being cute for its own sake and “Oh look what we can do».205A mio avviso, la

complessità del romanzo è dovuta soprattutto al grado di virtualità del testo, che risulta

essere probabilmente la caratteristica più innovativa di un'opera che richiede di essere

interpretata e, si può dire, persino completata dal lettore mediante un confronto costante e

attivo tra le sue parti. Come scrive Hansen:

Only Revolutions comprises nothing less than a physical site where temporal relationships – coincidences, divergences, parallels, anticipations, etc. – are forged for and by the reader. Of all the levels where time comes to the fore in the novel, this level of reader actualisation is without a doubt the most fundamental.206

In questo senso, il livello paradigmatico costituito dalla mole di dati contenuti e l'asse

sintagmatico della narrazione sono strettamente complementari: considerare soltanto uno

dei due assi, senza tentare di porli in relazione tra loro, comporta una difficile, e spesso

insoddisfacente, fruizione del testo nel suo insieme. Secondo Tatiani Rapatzikou, si tratta

di un fenomeno di «gerarchia dinamica» tra le varie componenti del testo, che impedisce

di leggere quest'ultimo come se fosse un libro ordinario:

In this kind of texts, one cannot view or read everything as s/he would have done in a solely Gutenberg-styled book, but one realizes, as it would happen in computational media, that the information printed on the page follows a pattern of “dynamic hierarchy.” In this sense, every segment of text works not only independently but also in conjunction with the other segments, each one re-forming the other simultaneously, which adds to the complexity of the endeavor under discussion here.207

Anche secondo Hayles, Only Revolutions può essere ritenuto un esempio di

straordinaria ibridazione tra database e narrazione. Hayles, dopo aver avallato, nel corso

delle sue precedenti pubblicazioni,208 la teoria di Lev Manovich inerente il rapporto tra

paradigma e sintagma nei nuovi media, secondo la quale, come è già stato rilevato, il

205 Mark Z. Danieleski in: Kiki Benzon, intervista a Mark Z. Danielewski, “Revolution 2: An Interview with Mark Z. Danielewski,” «Electronic Book Review», March 2007. Web 10-09-2011. <www.electronicbookreview.com>.

206 Mark B. Hansen, “Print interface to time: Only Revolutions at the crossoroads of narrative and history,” in Joe Bray e Alison Gibbons (a cura di), Mark Z. Danielewsky, Manchester - New York: Manchester University Press, 2011, pp. 178-199, p. 180.

207 Tatiani G. Rapatzikou, “‘Print Novels and the Mark of the Digital’: Mark Z. Danielewski’s Only Revolutions (2006) and Media Convergence,” in Tatiani G. Rapatzikou and Arthur Redding (a cura di), «Writing Technologies», Special Issue - Representational and Literary Futures: American Writing in the New Millennium, vol. 3, 2010, pp. 151-160; p. 153.

208 Cfr. Hayles 2005, 52-53; Hayles 2006, 147.

104

sintagma (in ambito narrativo, la narrazione) è virtuale, mentre il paradigma (il database)

è attuale, nel suo articolo del 2011 riguardante Only Revolutions, sostiene di trovarsi

d'accordo con alcune obiezioni mosse da Bye Riddell (2009). Come spiega Hayles stessa:

«In semiotics, the alternative choices of the paradigm interact with the inscribed word

precisely because they are absent from the page, altohugh active in the reader's

imagination as a set of related terms. Contrary to Manovich's claim, databases are not

paradigmatic in their structures».209 In un database i vari elementi contenuti non sono

sinonimi assenti e alternativi all'elemento che è poi stato selezionato, non sono, in altre

parole, opzioni alternative tra loro, ma semplicemente dei dati diversi. A mio avviso, il

rovesciamento della teoria di Jackobson operato da Manovich, seppur inadeguato da un

punto di vista strettamente semiotico, rimane in ogni caso pertinente all'analisi dei nuovi

media (e quindi, in molti casi, delle opere letterarie più recenti), in quanto permette

d'illustrare alcuni concetti chiave quali il database complex210 o l'illusione della scelta

agevolata dalle interfacce dei nuovi media. Manovich intende semplicemente spiegare

come, in molti media recenti, la narrazione rimanga virtuale e debba essere

“sintagmaticizzata” dall'autente durante il processo di lettura/esplorazione, attraverso la

selezione di varie opzioni palesemente visualizzabili (e quindi «attuali») e che implicano

una scelta – o l'illusione di scegliere – da parte dell'utente. Ciò nononostante, le

precisazioni di Riddell permettono a Hayles di applicare allo studio di Only Revolutions

«a more fine-grained analysis [...] rather than a simple association of narrative with the

syntagmatic and database with the paradigmatic». Di conseguenza, la studiosa identifica

quattro tipologie diverse di organizzazione dei dati.211

In primo luogo, vi sono delle proibizioni, vale a dire delle parole che all'interno del

testo non compaiono. Questi termini sono stampati in maniera speculare (è possibile

leggerli soltanto mettendo il volume davanti ad uno specchio) nella seconda e nella terza

di copertina, sotto al titolo di «The / Now Here Found / Concordance» (Only

Revolutions) e svolgono di conseguenza un ruolo di anti-concordanza finalizzato ad

esaltare, per contrasto, ciò che nel testo è effettivamente presente. Come spiega

Danielewski in un'intervista: «I've been described - not as dogmatic as Oulipo - But

there's a resistance to certain things. But the resistance allows for the proliferation of

other words, which is important to teenagers too, that they invent words».212 Ad esempio,

compaiono in questo singolare anti-elenco, le parole «Calculator, Camera, Cassette, Tape,

209 Hayles 2011, 162.210 Cfr. § 2.2.211 Hayles 2011, 163-164.212 Benzon 2007.

105

CD, … Printer, … E-mail, … Fax», ecc. relative al campo semantico dei supporti

tecnologici, che sono invece assenti all'interno del testo vero e proprio e segnalano di

conseguenza il rapporto contraddittorio che l'autore intrattiene con l'innovazione

tecnologica: «Only Revolutions is about technology, partly because no technology

appears in the book. Nothing. No radios, no wires, no telegraphs. All technological

process has been eradicated. There are not many books where you read and ask “What’s

missing? What’s NOT in here?».213 Allo stesso tempo, come osserva Mark B. N. Hansen,

nonostante la prima stesura dell'opera sia stata realizzata a matita, Danielewski ha

dichiarato di aver utilizzato a lungo dei software di computer-grafica al fine di

impaginare e ordinare tipograficamente il romanzo, di conseguenza il libro è permeato di

tecnologia digitale, anche se quest'ultima non fa parte dei temi affrontati all'interno della

narrazione. Questa sorta di anti-database serve di conseguenza a fornire una serie di

costrizioni formali, ma è anche utile per rintracciare il contesto in cui l'opera è stata

ideata.

In secondo luogo, all'interno della narrazione sono presenti molte liste, ad esempio di

piante, animali, minerali e automobili. Molti degli elementi inclusi in queste liste sono

stati suggeriti dagli utenti del forum, ai quali è stato chiesto, nel corso di un certo

frangente della stesura dell'opera, di proporre la loro automobile o pianta preferita. In

terzo luogo – e questo è probabilmente uno dei risvolti formali più evidenti all'interno del

volume – vi sono le sopracitate barre laterali in cui vengono elencati alcuni avvenimenti

storici al di sotto di una determinata data. Anche in questo caso, Danielewski aveva

chiesto l'aiuto degli utenti del forum, per raccogliere alcuni momenti particolarmente

significativi avvenuti nel corso degli ultimi cento anni. Infine, Hayles sottolinea come vi

siano anche dei termini creati attraverso la permuatazione di un certo insieme di

elementi, come ad esempio «Viazozopolis, Viazizopolis, Viaroropolis».

Secondo Hayles questo evidente esempio d'ibridazione tra narrazione e database è in

contrasto con la teoria di Manovich relativa al fatto che database e narrazione siano dei

«nemici naturali»:214

O[nly] R[evolutions] suggests that narrative and its associated temporalities have not gone into decline as a cultural form, as Lev Manovich predicts. Rather, they have hybridised with data and spatiality to create new possibilities for novels in the age of information. As the book turns, and turns again, the title of this extraordinary work broadens its connotations to encompass the dynamic of renewal that, even as it obliterates traditional novelistic form, institutes a new

213 Mark Z. Danieleski in: C. Miller e M. Reverte, “LAist Interview: Mark Z. Danielewski,” «Laist», October 2007. Web 10-09-2011. <laist.com/2007/10/23/laist_interview_55.php>.

214 Cfr. §§ 2.1 e 2.2.

106

typographical ordering based in digital technologies: revolutionary indeed.215

L'ibridazione dei dati, resa evidente grazie alle scelte tipografiche, risulta ancora più

palese se si analizza la tradizione genetica del testo. Nel 2004 Danielewski iniziò ad

evidenziare, con un pennarello colorato, alcuni termini o frasi presenti all'interno del

dattiloscritto preliminare, collegando ogni termine così evidenziato a numerose date e

considerazioni. Da questo processo, nacquero in seguito i cronomosaici collocati ai

margini delle narrazioni principali. Si tratta di una prima operazione di stesura

ipertestuale che rivela come un ulteriore paradigma sia nato da un sintagma. Durante le

stesure successive l'autore ha tuttavia rimosso le sottolineature originarie. Secondo

Hansen, questo processo dimostra anche l'estrema attenzione con cui Danielewski ha

correlato tra loro le due porzioni del testo, lasciando al lettore la possibilità di effettuare

un proprio collegamento.216 Un simile fenomeno di tessitura individuale dei collegamenti

è riportato da Hayles, che dimostra come Danielewski abbia utilizzato con ogni

probabilità certi dizionari storici di slang americano che si possono trovare su Internet.

Infatti, la studiosa ricorda che, utilizzando il motore di ricerca Google, ha avuto la

possibilità di rintracciare molti dei dati che verosimilmente Danielewski ha acquisito

nello stesso modo. Di conseguenza, «such extensive correlations are feasible only when

one has digital databases at one's command».217 Nonostante la parziale avversità

dichiarata da Danielewski nei confronti delle tecnologie informatiche, risulta evidente

come il testo cartaceo sia profondamente intermediato con i mezzi tecnologici di

acquisizione e condivisione delle conoscenze. Per certi versi, al lettore viene richiesto di

applicare all'analisi del testo cartaceo le competenze di lettura usualmente dedicate ai

media elettronici. Secondo Hansen, così come Danielewski ha utilizzato Wikipedia ed

altri fonti online nel corso del processo di composizione dell'opera, allo stesso modo i

lettori del forum hanno sovente utilizzato e citato all'interno dei thread (le discussioni che

compaiono in un forum telematico pubblico) del forum gli stessi strumenti e gli stessi

database. Di conseguenza, «readers' recourse to internet archives […] foregrounds the

rucial role played by selection, a role whose significance increases in direct proportion to

the increase in archived information available at a given point in history».218 Il

translafabetismo promosso dalla particolare forma narrativa di Only Revolutions e

215 Hayels 2011, 176.216 Ibidem, 187.217 Ibidem, 166. Lo slang è ad esempio ricercabile in: Historical Dictionary of American Slang,

Lewisburg, (Pennsylvania): The Lexiteria Corporation, c2004-2007. Web. 13-06-2011. <www.alphadictionary.com/slang>.

218 Hansen 2011, .

107

l'intermediazione di quest'ultimo con i contenuti in rete comporta di conseguenza

un'enfatizzazione della facoltà di scegliere e selezionare il proprio percorso di lettura.

Internet viene anche utilizzato dai lettori di Only Revolutions per la condivisione delle

interpretazioni del testo. In questo senso, il forum si rivela uno strumento essenziale,

oltre ad essere un valido esempio di cultura partecipativa e di intelligenza collettiva che

integra l'opera cartacea e, di fatto, ne fa parte sin dalla sua genesi. Durante l'ideazione e

la stesura preliminare di Only Revolutions Danielewski si è avvalso del suo sito internet

personale (all'interno del quale è ospitato il forum) per raccogliere immagini e fotografie

scattate dagli utenti e per formulare alcune domande ai suoi lettori, ad esempio in merito

ai momenti più significativi della storia degli Stati Uniti. Questo database d'informazioni

ha poi costituito una base per la stesura vera e propria del romanzo. Il forum ha

continuato inoltre ad essere uno strumento fondamentale per la comprensione del

romanzo, dando la possibilità ai nuovi lettori di leggere e partecipare a discussioni

riguardanti la complessa orchestrazione narrativa. Per questo motivo, una «Advanced

Reader Copy (ARC)» è stata fornita in anticipo a determinati lettori “esperti” che hanno

avuto il compito di cominciare a creare delle discussioni che facilitassero i nuovi arrivati.

È interessante constatare come l'intenzione di questi «ARC users» sia stata subito quella

di tracciare delle connessioni di senso tra le varie parti del romanzo:

I got to thinking about the term ARC, which, of course, in addition to standing for "Advance(d) Reader Copy" also means "a continuous portion of a circle or other curve." What we few, we happy few have been asked to do is begin tracing (or, perhaps plotting) an arc that is a portion of this circular text's circumference. And of course, tracing/plotting enough of that arc should allow us to determine the book's center. Maybe.219

Il commento di John B. è particolarmente esemplificativo, poiché l'utente avanzato

arriva persino ad ipotizzare che il proprio contributo e quello dei suoi “colleghi”

costituisca un fattore determinante per la stesura finale della trama e dell'opera in

generale. In qualche modo, John B. auspica che i commenti suoi e degli altri utenti

vengano selezionati ed entrino a far parte dell'opera. Nel momento in cui i lettori (non

soltanto quelli “esperti”) sentono di far parte di un progetto, siamo dinnanzi a un

fortissimo fenomeno di cultura partecipativa e d'intelligenza collettiva. Parallelamente,

l'autore, oltre a rimanere tale, diviene anche una sorta di mediatore, che sintetizza,

219 Commento di John B., 04-07-2006, Thread: “Tracing (or is it plotting?) OR's ARC”. Mark Z. Danielewski (a cura di), “MZD Forums”, c2000-2011. Web. 14-11-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/>.

108

attraverso il processo narrativo, input che provengono da una determinata comunità che

legge in seguito il prodotto delle sue discussioni.

Only Revolutions e Flight Paths sono di conseguenza due testi o due insiemi di testi

che, promuovono pratiche condivise di lettura, scrittura e interpretazione. Attraverso il

loro peculiare transalfabetismo, stimolano in chi legge una volontà di selezionare un

determinato percorso di lettura all'interno di spazi di fruizione in cui database e

narrazione, attualità e virtualità, sono completamente ibridati. Anche in questo caso, è

possibile constatare una forte rilevanza della dialettica tra pattern/randomness a cui ho

accennato all'interno del capitolo introduttivo. Come scrive ad esempio Hayles, leggendo

e analizzando Only Revolutions: ««the connections that come into focus [...] are patterns

that emerge from an ocean of data, much as Google search imparts a partial ordering on

an infosphere too vast to comprehend».220 Comparare le capacità di collegamento e di

sintesi delle informazioni e delle idee tipiche della mente del lettore a quelle di un motore

di ricerca può sembrare inusuale, tuttavia, come osserva Manuel Castells: «Our minds—

not our machines—process culture. [...] If our minds have the material capability to

access the whole realm of cultural expressions—select them, recombine them—we do

have a hypertext: the hypertext is inside us».221 Henry Jenkins cita quest'ultima

affermazione di Castells per dimostrare come questa tendenza a considerare l'ipertesto

“dentro di noi” sia pienamente riscontrabile nelle attività dei giovani consumatori:

Younger consumers have become informational hunters and gatherers, taking pleasure in tracking down character backgrounds and plot points and making connections between different texts within the same franchise. And so it is predictable that they are going to be expecting these same kinds of experiences from works that appeal to teens and young adults, resulting in something like The Matrix.[…] One can certainly imagine mysteries that ask readers to search for clues across a range of different media or historical fictions that depend on the additive comprehension enabled by multiple texts to make the past come alive for their readers. This trans-media impulse is at the heart of what I am calling convergence culture.222

L'anno 2006 ha visto la pubblicazione dell'ipotesi di Jenkins sopracitata, di Only

Revolutions e – un anno dopo – di Flight Paths. È possibile sostenere che le opere di

Pullinger, Joseph e Danielewski dimostrino come questo impulso transmediale insito nel

cuore della cultura della convergenza non sia soltanto appannaggio delle giovani

generazioni.

220 Hayles 2011.221 Manuel Castells, The Internet Galaxy: Reflections on the Internet, Business, and Society, Oxford:

Oxford University Press, 2001, pp. 202-203. Cit. in Jenkins 2006, 133. 222 Jenkins 2006, 133.

109

Castells rileva anche che, nel contesto dell'ecologia globale più recente, la famosa

massima di McLuhan «The medium is the message» venga sovente modificata. In primo

luogo, molto spesso, accade che la comunicazione diventi il messaggio:

Communication is also the message. To take an example, there are all kinds of studies that show that there is little correlation between advertising and consumers’ actual behaviour. Yet, billions are spent on advertising. Why? Because the other guy also does it, everybody does it. In the context in which everybody does it, if you don’t advertise then you go into different logics, into the binary logics of communication and noncommunication. If you don’t exist in the communication field, then you have a problem. In fact everybody exists in the communication field, so the actual benefit, the marginal benefit to each advertiser is very small. Noncommunication, rather than communication, becomes more important.223

Nel momento in cui la comunicazione diventa il messaggio, l'informazione veicola

altra informazione. L'azione stessa del comunicare diventa un messaggio di per se stesso

spendibile. Si tratta di un fenomeno che rischia di offuscare il contenuto in favore della

quantità, non soltanto per quanto riguarda l'azione del produrre dati (come fanno i

pubblicitari nell'esempio di Castells), ma anche per quanto riguarda l'atto medesimo di

collezionare e raccogliere dati, come fanno molti spoilers, che dissezionano e ordinano

informazioni senza avere, in molti casi, un particolare scopo o motivo se non quello di

creare un database il più ampio possibile, che esista, insieme ad essi, all'interno

dell'ambito comunicativo. Opere quali Only Revolutions e Flight Paths contrastano sotto

alcuni aspetti questa tendenza, favorendo un'idea di scelta e di selezione delle

informazioni, indipendentemente dalla mole di dati in cui ci si deve muovere.

In secondo luogo, secondo Castells, in molti casi l'asserzione di McLuhan viene

completamente rovesciata, per cui «il messaggio è il medium»:

‘The medium is the message’ means that the materiality of organizing the communication process fundamentally shapes the ways the message is going to be received. If we say that ‘The message is the medium’ it means that the content of the message organizes the process of communication.

I would say that today ‘The message is the medium’ because it is the kind of message that we want to put forward, with the range of possibilities and the interoperativity of all this intermedia, that determines the way we actually process the message to a medium or a communication. For this you have to reach the moment of hypertextuality, interactivity, interoperativity in different forms of communications.224

223 Manuel Castells, in: Terhi Rantanen, “The message is the medium: An interview with Manuel Castells,” «Global Media and Communication», Volume 1(2), 2005, pp. 135-147; pp. 142-143.

224 Ibidem. Corsivo aggiunto.

110

Spesso, in un contesto intermediale, il contenuto e la tipologia del messaggio

organizzano e veicolano il processo di comunicazione. I messaggi vengono preparati per

essere trasmessi attraverso precise modalità, che sono determinate dal particolare

funzionamento della molteplicità di piattaforme mediatiche utilizzate. Questo è quello

che accade nel caso delle narrazioni proposte da Danielewski, Pullinger e Joseph. Si

tratta di opere che contengono informazioni, personaggi, trame, vicende e persino parole

adibite a creare connessioni di tipo diverso e modalità di lettura di tipo diverso. Questo

fenomeno implica anche una necessaria predisposizione della narrazione ad essere

ibridata con la forma simbolica del database, per venire incanalata in circuiti

comunicativi che la rendono non più sufficiente a se stessa e allo stesso tempo passibile

di modifiche e aggiunte.

111

§ 3 - Network culture, connessionismo e narrazione

§ 3.1 Reti e personaggi mediali

All'interno dei precedenti paragrafi si è tentato di comprendere in quale modo si

articoli il rapporto tra database e narrazione all'interno di alcuni esempi recenti di

romanzo contemporaneo. A tal proposito, come sostiene Manovich, la narrazione si

“spazializza” in database: «A narrative is “flattened” into a database. A trajectory through

events and/or time becomes a flat space».225 Riassumendo brevemente i concetti appena

esposti, questa spazializzazione della narrazione appare evidente sia in Infinite Jest sia in

Only Revolutions, nei quali il supporto cartaceo viene sfruttato al fine di porre in risalto

la compresenza di molteplici livelli di discorso e l'interconnessione di legami narrativi

attualizzati autonomamente dal lettore. In The Unknown ed in altri romanzi ipertestuali

tale strategia risulta altrettanto palese, in quanto il lettore visualizza dinnanzi a sé, sullo

schermo, uno spazio colmo di collegamenti riconducenti ai differenti segmenti narrativi

che compongono l'intera opera. Infine, romanzi come Pattern Recognition, Flight Paths e

Only Revolutions vengono addirittura sfruttate come materia prima per l'elaborazione di

spazi di informazione in rete, nei quali alcuni utenti scompongono, elencano e associano

tra loro i vari elementi dell'opera narrativa originaria al fine di porli in collegamento tra

loro e con altre informazioni presenti altrove su Internet.

Oltre al database, una seconda forma simbolica segnalata da Manovich come

caratteristica della nostra epoca è quella della navigazione attraverso lo spazio

(navigation through space). Dal punto di vista della fruizione dei contenuti digitali e

multimediali, si può trattare di un semplice palesamento del database, una tipologia

d'interfaccia che rende possibile la fruizione visuale dei dati e delle connessioni, ma allo

stesso tempo può essere considerato anch'esso una vera e propria forma culturale che

acquisisce una rilevanza simbolica: «Computer culture spatialize all representations and

experiences (the library is replaced by cyberspace; narrative is equated with traveling

through space; all kinds of data are rendered in three dimensions through computer

225 Manovich 2001, 252.

112

visualization)».226 In questo caso, una tendenza speculare – rispetto a quella della

spazializzazione della narrazione in database – concerne la “narrativizzazione” dei

modelli spaziali: «A flat space of architecture or topology is narrativized, becoming a

support for individual users’ trajectories»227. Come ricorda Manovich, Norbert Wiener

coniò, nel 1948, il termine Cybernetics, derivandolo dal greco kybernētikḗ, letteralmente

“l'arte di pilotare”, definizione utilizzata per inaugurare «la scienza che studia la teoria

del controllo e della comunicazione nelle macchine, negli animali, nell'uomo e le

analogie corrispondenti, specialmente ai fini dell'automazione».228 Wiener stava

lavorando ai sistemi di controllo dei missili: vi era la necessità di una scienza attraverso

cui sviluppare un controllo ed un orientamento delle macchine attraverso la loro

automazione. L'idea di spazio navigabile era quindi già presente alle origini dell'era

digitale. Successivamente, alle figure del timoniere che pilota la nave e del missile

lanciato con precisione verso il bersaglio si sarebbero succedute, nel corso degli anni,

immagini sempre più indeterminate, sino ad arrivare alle visioni di un cyberspazio

fantascientifico e di un World Wide Web che si espande in maniera indefinita e

inconcepibile nella sua interezza.229 Di conseguenza, la forma simbolica dello spazio

navigabile acquisisce una maggiore problematicità nel momento in cui si prende in

considerazione la topologia della rete come modello per l'interpretazione dei

cambiamenti scientifici, sociali e artistici.

In questi termini, è possibile inscrivere la crescente rilevanza culturale del World Wide

Web all'interno di una serie di studi che contempla un concetto più ampio di cultura delle

reti. Come sottolinea John Johnston, sebbene sia praticamente impensabile immaginare

una cultura umana priva di reti di comunicazione e di scambio, l'attuale «network

culture» che si sta sviluppando è definita da «pervasive digital information networks; it is

a culture, in short, increasingly constituted of information flows».230 Parallelamente, il

sociologo Paul Taylor propone la rete come topologia esemplare di una cultura

successiva all'età moderna ed industriale che ha inaugurato il suo declino a partire dagli

anni Sessanta del Novecento per tramontare definitivamente con il crollo del muro di

Berlino nel 1989: le topologie metaforiche dei muri, delle frontiere e soprattutto della

griglia che divide i vari parametri culturali in coppie antinomiche (Est/Ovest,

comunismo/capitalismo, destra/sinistra) si affievolirono e si sgretolarono, lasciando il

226 Ibidem.227 Ibidem.228 Manlio Cortelazzo - Paolo Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna: Zanichelli,

1985, vol. 1, p. 235.229 Manovich 2001, 251.230 Johnston 2004, 54.

113

posto a ragnatele di connessioni.231

In seno agli studi concernenti la cultura delle reti si muovono teorie di segno opposto.

Nel 1980 viene pubblicato Mille Plateaus di Jilles Deleuze e Félix Guattari. La loro

proposta di un rizoma quale topologia non lineare, coestensiva, eterogenea e promotrice

di una cultura nomadica intende opporsi a quella arborescente, gerarchica e totalizzante

delle «macchine di Stato».232 Il pensiero dei due filosofi francesi viene ben presto adottato

da moltissimi studiosi, talvolta con il rischio, come spiega Slavoj Žižek, di evidenziare

«those aspects of Deleuzianism that, while masquerading as radical chic, effectively

transform Deleuze into an ideologist of today's “digital capitalism”».233 Come rileva ad

esempio il sociologo Castells:

Networks are appropriate instruments for a capitalist economy based on innovation, globalization, and decentralized concentration; for work, workers, and firms based on flexibility and adaptability; for a culture of endless deconstruction and reconstruction; for a polity geared toward the instant processing of new values and public moods; and for a social organization aiming at the supersession of space and the annihilation of time. Yet the network morphology is also a source of dramatic reorganization of power relationships. Switches connecting the networks ( for example, financial flows taking control of media empires that influence political processes) are the privileged instruments of power.234

Tale contrapposizione tra un ottimismo e un pessimismo nei confronti della rete come

modello per interpretare la complessità socio-culturale è, in entrambi i casi, basata su

un'attenzione nei confronti del “sistema” analizzato, dell'ambiente che la rete rappresenta

simbolicamente. Diversamente, già nel corso degli anni Ottanta, comincia ad insinuarsi il

tentativo sempre più insistente di incentrare l'attenzione critica sui soggetti che popolano

tale scenario e di espandere il discorso ad una continua comparazione tra scienze esatte e

scienze umane. Ad esempio, nel 1984, nello stesso anno in cui A Thousand Plateaus

viene tradotto in inglese e in cui Neuromancer di William Gibson compare sugli scaffali

delle librerie, Katherine Hayles pubblica il saggio The Cosmic Web, proponendo la

metafora della rete cosmica quale minimo comune denominatore di determinati modelli

scientifici e di alcune strategie letterarie del Novecento.235 La proposta di Hayles risulta

231 Mark C. Taylor, The moment of Complexity. Emerging Network Culture, Chicago: The University of Chicago Press, 2001, p. 14.

232 Gilles Deleuze and Félix Guattari, A Thousand Plateaus : Capitalism and Schizophrenia (Mille plateaux : v. 2 of Capitalisme et schizophrénie, 1980). Trad. ingl. di Brain Massumi, Minneapolis - London: The University of Minnesota Press, c1987, pp. 8-19.

233 Slavoj Žižek, Organs without Bodies : On Deleuze and Consequences. London: Routledge, 2004, p. xii.

234 Manuel Castells, 1996, The Rise of the Network Society, 2nd ed., Malden (MA) - Oxford: Blackwell Publishing, 2010, pp. 501-502.

235 N. Katherine Hayles, The Cosmic Web. Scientific Field Models and Literary Strategies in the

114

particolare, in quanto è basata sull'efficace tentativo di proporre la metafora della rete

come un artefatto, un «oggetto creato» che, pur non essendo a tutti gli effetti uno

“spazio”, risulta “spazialmente” composto da una serie di concettualizzazioni finalizzate

ad interpretare la realtà.

Imagine further that the web is composed of articulated joints, much as a spider's web is. These joinings will serve as a convenient reminder that the verbal models we shall be examining are also articulated, in the double sense of being utterances and of being composed of discrete units joined together. Once the web is constructed, these joinings may stand for, or gesture toward, a seamless whole; but this evocation can be attempted only through a medium that is itself linear, sequential, and articulated. The prey the cosmic web is designed to entrap is the dynamic, holistic reality implied by the field concept. But the prey always escapes, precisely because the web is articulated; as we shall see, to speak is to create, or presuppose, the separation between subject and object that the reality would deny. What is captured by the cosmic web is thus not the elusive whole, but the observer who would speak that whole.236

Hayles, in pratica, sostiene che vi siano differenti concettualizzazioni scientifiche e

letterarie in cui la metafora della rete viene utilizzata per designare il tentativo di un

linguaggio di inglobare la realtà olistica, la quale tuttavia sfugge sempre dalla rete, in

quanto i nostri linguaggi sono caratterizzati da una distinzione tra soggetto e oggetto.

Possiamo lasciare in sospeso le considerazioni di Hayles, al fine di applicarle in un

secondo momento all'analisi di alcuni cambiamenti che caratterizzano degli esempi

recenti di prosa romanzesca. Risultano in ogni caso rilevanti le seguenti considerazioni:

tale applicazione della metafora delle rete è di stampo cognitivo, per cui la rete viene

intesa come un linguaggio (“linguistico”, scientifico, letterario); la rete viene considerata

come una trappola cognitiva insufficiente a fornire una rappresentazione totale della

realtà; il soggetto agente all'interno di questa topologia acquista una rilevanza critica

primaria e, in questo caso, viene considerato un osservatore. Quest'ultima idea di un

osservatore intrappolato in una rete di linguaggi insufficienti a descrivere la realtà

extralinguistica nella sua interezza è rintracciabile in molti esempi di romanzo

postmoderno citati in precedenza, in cui vengono descritti atteggiamenti cognitivi quali la

dietrologia, l'apofenia e il senso d'impotenza dinnanzi al sublime tecnologico.237 Tali

rappresentazioni e concettualizzazioni dell'impotenza cognitiva dinnanzi all'espansione

Twentieth Century. Ithaca - London: Cornell University Press, 1984. In questo saggio Hayles rivolge la propria attenzione a opere antecedenti al massiccio avvento della digitalizzazione nel contesto culturale occidentale. In particolare, gli autori considerati sono D.H. Lawrence, Jorge Borges, Vladimir Nabokov (Ada or Ardor: A Family Chronicle, 1969), Robert M. Pirsig (Zen and the Art of Motorcycle Maintenance, 1980) e Thomas Pynchon (Gravity's Rainbow, 1973).

236 Ibidem, p. 21.237 Cfr. § 3.3.

115

tecnologica e mediatica stanno tuttavia cominciando ad essere affiancate da descrizioni di

segno opposto. Con queste parole, ad esempio, Stephanie Strickland, poetessa digitale e

teorica dei nuovi media, tenta di descrivere il World Wide Web:

[...] The World Wide Web, an enormous structure, almost biological in the way it communicates and propagates by proliferating links. The electronic space, often called cyberspace, has some very unusual qualities, to judge by pre-electronic categories. It is characterized as tidal sea, web, sky, and solid. Thus, people surf it, send out web-crawlers to explore it, gophers to tunnel through it, engines to mine data from it, and they fly through and above it in game simulations. They establish "home" pages in it, as though it were rooted, although at their own location distance has disappeared - New Zealand, New York, St. Paul, equally present, and equally speedily present. 238

In questo caso, la rete viene sempre interpretata come una struttura immensa e in

costante espansione, tuttavia i verbi di movimento sono utilizzati da Strickland in

maniera del tutto esplicita al fine di enfatizzare il fatto che la rete sia un luogo da

percorrere e da sfruttare. Similmente, Manovich ritiene che il sopracitato concetto di

traiettoria attraverso lo spazio possa essere considerato come un principio per percorrere

i «nonluoghi» della «surmodernità» teorizzati da Marc Augé, quell'insieme sempre più

esteso di «spazi» che non possono definirsi né identitari né relazionali né storici, nella cui

definizione – si può aggiungere – le reti possono rientrare sotto diversi aspetti.239 Come

osserva Manovich, è possibile, in questo senso, attuare un parallelismo tra il concetto

“spaziale” di non-luogo e quello dinamico di traiettoria attraverso lo spazio: «From one

perspective we can understand place as a product of cultural producers, while non-places

are created by users; in other words, non-place is an individual trajectory through a

place»240.

238 Stephanie Strickland, “Poetry in the Electronic Environment,” «Electronic Book Review», 04-15-1997. Web. 27-06-2010. <http://electronicbookreview.com/thread/electropoetics/map-like >.

239 Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità,, Milano: Elèuthera, 1993, pp. 7-10. Corsivo aggiunto.

240 Manovich 2001, p. 280. Manovich sembrerebbe peraltro entrare leggermente in contraddizione. Da un lato considera il database e lo spazio navigabile quali forme simboliche di un paradigma mediatico e scientifico e di una cultura digitale differenti rispetto all'epoca culturale-tecnologica antecedente alla computerizzazione: «In this book I wanted to record the "research paradigm" of new media during its first decade, before it slips into invisibility» (p. 8). Allo stesso tempo, Manovich contesta le rotture epistemologiche e gli slittamenti di paradigma tipici di studiosi come Michel Foucault e Thomas Kuhn al fine di proporre le sue «aesthetics of continuity» come possibile attitudine teorica: «If the 1980s' concept of “postmodernism” implied a break with modernity, we now seem to prefer to think of cultural history continuos trajectory through a single conceptual and aesthetic space. Having lived through the twentieth century we learned all too well the human price of “breaking with the past,” “building from scratch,” “making new” and other similar claims — be it in the case of an aesthetic, moral or a social systems. The claim that new media should be totally new is only one in the long list of such claims» (p. 284). Sostanzialmente, Manovich sembrerebbe voler ricercare una continuità all'interno della storia dei media, proponendo di spiegare i vecchi media attraverso le nuove categorie (e viceversa), senza tuttavia rinunciare a constatare le differenze tecnologiche, soprattutto per quanto concerne l'innovazione apportata dalla programmabilità delle macchine, vero grande punto di svolta. L'accostamento, da parte

116

Questa fruizione dello spazio cognitivo attraverso il concetto di navigazione non è

tuttavia esente da complicazioni. Come spiega Augé, «la frequentazione dei nonluoghi

costituisce un’esperienza, senza precedenti storici, di individualità solitaria e di

mediazione non umana (basta un manifesto o uno schermo) fra l’individuo e la potenza

collettiva».241Allo stesso tempo, secondo Stefano Calabrese, «l'utente del non luogo viene

sempre dopo ed è l'antitesi dichiarata dello scopritore, poiché si alimenta di materiali

postumi e li colleziona per ricordare il ricordo codificato di altri e da altri. […] Il

nonluogo è a-simbolico (irreferenziale) e contrattuale, perché chi vi abita acquisisce un

ruolo transitorio e persegue uno scopo destinato a decadere»242. Se per Augé e Calabrese

un non-luogo come la rete è caratterizzato unicamente da un transitorio status di

visitatore disinteressato, che non scopre bensì colleziona le conoscenze che acquisisce, in

maniera più complessa Manovich ritiene che sia possibile attuare una distinzione tra la

figura del «data-dandy», o del flâneur e quella dell'esploratore. «If the Net surfer, who

keeps posting to mailing lists and newsgroups and accumulating endless data, is a

reincarnation of Baudelaire's flâneur, the user navigating a virtual space assumes the

position of the nineteenth century explorer, a character from Cooper and Twain».243

All'interno del precedente paragrafo, è stata analizzata la figura di Cayce in Pattern

Recognition. Come è stato rilevato, la protagonista del romanzo di Gibson passa

dall'essere un'utente sedentaria delle rete, una flâneuse, ad essere una detective e

un'esploratrice attiva, che traccia il proprio percorso con crescente determinazione sia

nell'ambiente digitale sia in quello materiale dello scenario globale contemporaneo, reso

“virtuale” proprio in virtù della sua natura sconosciuta.

In precedenza abbiamo ricordato come Katherine Hayles suggerisca in primo luogo di

pensare a noi stessi e alle nostre macchine come ad un insieme di processi attivi l'uno

accanto all'altro ed interagenti tra loro e come, in secondo luogo, la studiosa statunitense

accenni, in una delle pagine finali del saggio How We Became Posthuman (1999), alla

di Manovich, tra un'estetica della continuità spaziale e una «notion of history as a continuous trajectory» (p. 285) può forse apparire forzato, nel momento in cui viene esteso anche ad un ambito teorico più vasto (soprattutto per quanto concerne l'analisi della Storia attraverso le rotture teoriche tra un periodo e l'altro). In questa sede è utile considerare soprattutto il primo aspetto, vale a dire la navigazione attraverso lo spazio, che risulta profondamente differente dal senso di spaesamento dell'individuo nei confronti del contesto mediatico degli ultimi decenni descritto dalla teoria e dalla narrativa comunemente associate alla tradizione postmoderna e postmodernista.

241 Augé 1993, 8-9. Cfr. Manovich 2001, 279-280. 242 Stefano Calabrese, “Introduzione,” in Stefano Calabrese e Maria Amalia D’Aronco (a cura di), I

nonluoghi in letteratura. Globalizzazione e immaginario territoriale, Carocci, Roma 2005, pp. 9-21; pp- 11-12.

243 Manovich 2001, 271.

117

possibilità di considerare la dialettica «pattern/randomness» come una configurazione

che sta lentamente acquistando un'importanza dominante rispetto alla dialettica tra

presenza ed assenza su cui è stata incentrata gran parte della critica gravitante attorno al

Postmodernismo. In questo senso, il percorso esplorativo di Cayce può essere considerato

una creazione di un pattern esistenziale che si oppone efficacemente all'indeterminatezza

che caratterizza la sua vita precedente. Tuttavia, tale esito si basa, almeno inizialmente,

sul “dono” decisamente innaturale descritto in precedenza di rintracciare gli oggetti, i

marchi e le situazioni che possono risultare utili o interessanti per gli altri esseri umani:

«What I do is pattern recognition. I try to recognize a pattern before anyone else does»

(PR 88). Come rileva Alex Link, per questo motivo e sotto molti altri aspetti, Cayce può

essere considerata una cyborg.244 In questo senso, Cayce è a tutti gli effetti un essere

prodigioso o robotico che assomiglia molto ad Hal Incandenza di Infinite Jest, anch'egli,

come ricordato in precedenza, in grado di processare un gran numero di informazioni e di

fornire costantemente le risposte giuste.

Anche nel terzo romanzo analizzato, The Unknown, i protagonisti risultano essere

esplicitamente dei personaggi mediali. A tal proposito, l'autore Scott Rettberg fornisce un

esempio concreto di un brano tratto dal suo stesso romanzo, in cui «Scott» riflette in

merito al Postmoderno:

Postmodernism, of all the fucking things, why did he need to worry about that now, when he almost had everything he wanted.“Postmodernism.”He thought.I are media.We is media.

(UN seattle2.htm)

Come spiega Rettberg:

«The characters of The Unknown do change from scene to scene, those changes are not the product of character “growth” but are instead the result of the styles of writing applied to the characters. The characters of The Unknown are media onto which discourse is inscribed».245

«The point made explicitly here and implicitly throughout the hypertext is that a fictional character never has any material existence beyond the language used to construct it. As the eponymous authors of The Unknown, we weren’t authentically concerned with who our characters were, our even what our characters were, but instead how our characters could be

244 Link 2008, 212.245 Rettberg 2003, 76.

118

constructed by different ways of writing them».246

I protagonisti di The Unknown sono caratterizzati dal dono altrettanto inusuale di

trasformarsi in catalizzatori di interi stili di scrittura. In relazione a ciò, i personaggi

Scott, William e Dirk sono a tutti gli effetti autori di se stessi, artefici del romanzo che

stanno scrivendo e che il lettore sta leggendo e di conseguenza caratterizzati da un

privilegi cognitivi del tutto particolari.

In Infinite Jest e in Pattern Recognition Hal e Cayce sono in grado di elaborare

schemi informativi in maniera altrettanto inusuale e prodigiosa, processando dati che

provengono dalla nube di informazioni che li circonda. In tal senso, i due personaggi in

questione sono diversi da figure quali, ad esempio, Quinn in The New York Trilogy di

Paul Auster o Oedipa in the Crying of Lot 49 di Thomas Pynchon o molti personaggi dei

romanzi di Don DeLillo, che non sono in grado di intentare un approccio epistemologico

dinnanzi al tecnosublime, al sistema mediatico e di controllo, che spesso viene

considerato come un blocco unico ed insondabile. Tuttavia, la tipologia di personaggio

mediale incarnata da Hal e da Cayce differisce dai personaggi di The Unknown in quanto

si tratta di figure vere e proprie, non soltanto di meri pretesti letterari per rimarcare la

natura autoriflessiva della prosa letteraria. Inoltre, i due protagonisti dei romanzi di

Wallace e Gibson tentano di procedere verso un percorso di umanizzazione che dà degli

esiti problematici e che necessita di essere analizzato con maggiore attenzione.

In Infinite Jest la figura di Hal viene contrapposta in maniera evidente a quella di Don

Gately, ex tossicodipendente e inserviente presso la casa di recupero da droga e alcol

Ennet House. Entrambi i personaggi soccombono, nel corso di determinati periodi delle loro

vite, all'abuso di sostanze psicoattive. Don Gately decide di porre definitivamente fine alla

sua tossicodipendenza dai narcotici orali nel settembre del 2008 all’età di 27 anni; due mesi

dopo Hal comincia ad assumere quotidianamente marijuana, per interrompere poi

bruscamente dodici mesi dopo in previsione di un controllo più attento da parte della Enfield

Tennis Academy, probabilmente voluto dalla stessa madre dell’atleta. In questo caso, come

spiega ad esempio Roberto Natalini, docente di matematica e dirigente di ricerca presso il

CNR di Roma, è possibile constatare come nel romanzo scritto da Wallace i percorsi

esistenziali dei due personaggi assumano l'andamento di due iperboli:

Queste iperboli non sono soltanto delle iperboli retoriche, ma sono una traccia importante per capire la composizione strutturale di IJ. Ricordiamo intanto com'è fatta un'iperbole. Abbiamo due rami separati che vanno verso l'infinito. Questi rami si avvincinano verso l'origine e c'è una

246 Ibidem, 79.

119

doppia simmetria verticale e orizzontale. Per queste ragioni credo che l'iperbole sia la migliore rappresentazione della struttura globale di IJ.247

Secondo Natalini, così come le traiettorie delle due iperboli non si incontrano mai, allo

stesso modo, nel testo del romanzo, i due protagonisti non si conoscono mai materialmente.

«I due rami di iperbole, come i due protagonisti, da qualche parte al di fuori del nostro

orizzonte finiscono per incontrarsi. Hal e Gately si incontrano in un tempo indeterminato,

forse onirico, che viene indicato nel testo da alcuni passaggi misteriosi»248 I percorsi dei due

personaggi sono di conseguenza opposti: l'ascesa di Gately verso un miglioramento della

propria condizione coincide con il crollo progressivo di Hal. Continuando nell'analisi delle

caratteristiche mediali del personaggio, è possibile constatare come Hal non perda la capacità

di immagazzinare e processare dati: nonostante l'astinenza, «Hal can summon a kind of

mental Xerox of anything he'd ever read and basically read it all over again, at will,

which talent the Abandonment of Hope [un eufemismo per la cannabis] hasn't (so far)

compromised, the withdrawal's effects being more like emotional/salivo-digestive» (IJ

797). Non appena Hal inizia a percorrere la difficile strada dell’astinenza, la sua natura

ontologica muta profondamente e viene influenzata da un'emotività mai sperimentata

prima dall'individuo-macchina. Le narrazioni in prima persona di questo «nuovo Hal» si

intensificano sempre di più nella parte conclusiva della vicenda, mentre prima sono quasi

del tutto assenti. Il personaggio acquisisce un punto di vista soggettivo, inizia a

descrivere i propri sentimenti, che vanno dall’ovvio malessere dovuto alla perdita della

sostanza a cui era legato, ad altre esternazioni che al contrario si rivelano immotivate e

inspiegabili. Hal sperimenta da un lato un «unexplained panic», che sfocia sovente in un

«endocrinal, paralyzing, and with an overcognitive, bad-trip-like element» (IJ 896);

dall’altro un’ilarità grottesca, che compare sul suo viso senza che egli se ne renda conto,

ma che viene logicamente rilevata dalle altre persone. Il vuoto di Hal si riempie in modo

violento e incontrollato di due sentimenti estremi e opposti, che sembrano quasi celebrare

il venir meno della sua insensibilità e della sua incapacità di provare piacere e dolore. Il

risveglio emotivo crea tuttavia nuove problematiche. Se prima il vuoto di Hal si

configurava come mancanza di emotività, adesso coincide con un’assenza di azione. Alla

narcosi psicologica segue un intorpidimento fisico, l'incapacità di muoversi correttamente 247 Roberto Natalini, “Verso l'infinito e oltre : David Foster Wallace e la matematica.” «Maddmaths» -

Gruppo SIMAI-DMA, pp. 1-16. Web. 07-11-2010. <http://maddmaths.simai.eu/simai/var/Verso%20linfinito%20di%20Wallace.pdf>.

248 Ibidem. Corsivo aggiunto. In altre parole, sta al lettore desumere da alcuni (labilissimi) indizi se Hal e Gately si incontrino o meno. Personalmente, come spiego nel § 3.4.3, ritengo che l'incontro tra Hal e Gately abbia luogo. Ciò nonostante ha ragione Natalini nel sostenere che l'andamento dei percorsi esistenziali dei due protagonisti assomigli all'andamento dei rami di un'iperbole, che arrivano soltanto a sfiorarsi, seguendo andamenti simmetrici in direzioni completamente diverse.

120

nel mondo e di interagire con esso.

Come spiega Manovich, la tridimensionalità dei nuovi media è una caratteristica

profondamente correlata al concetto di spazio navigabile, tanto da diventare un aspetto

importante di quest'ultima forma culturale, attraverso la spazializzazione tridimensionale

di numerose tipologie di dati e concetti. Mentre la bidimensionalità è spesso

accompagnata dall'idea di superficialità, la tridimensionalità gravita attorno a

caratteristiche quali la profondità («depht») e l'immersione («immersion») attiva nello

spazio navigabile.249 Questo fenomeno è reso evidente dalle particolari tipologie di

“dimensionalità” che assumono i vari personaggi in Infinite Jest. Altre figure inadeguate

al proprio ruolo vengono descritte come «a true z coordinate or is just a cutout or

projection» (IJ 460). Al contrario, «a drug addict's maybe the only human species whose

own personal vision has a Vertical Hold» (IJ 834); è capace di vivere a tre dimensioni nel

contesto che lo circonda a causa delle avversità e delle complicazioni che incontra

durante il proprio periodo d'indigenza. In questo senso, il “medium” Hal appare in un

primo momento perfettamente a proprio agio muovendosi tra i campi da tennis, mentre

l’astinenza lo rende successivamente inattivo, privandolo della sua tridimensionalità:

The horizontality piled up all around me. I was the meat in the room's sandwich. I felt awakened to a basic dimension I'd neglected during years of upright movement, of standing and running and stopping and jumping, of walking endlessly upright from one side of the court to the other. I had understood myself for years as basically vertical, an odd forked stalk of stuff and blood. I felt denser now; I felt more solidly composed, now that I was horizontal. I was impossible to knock down. (IJ 902)

Se si è già a terra non si può essere atterrati: non agire significa non esporre la propria

fragilità, risultare più solidi, ma non riuscire a cambiare lo stato delle cose. Il personaggio

mediale, prodigioso nel sostenere il peso della complessità dei dati che è in grado di

processare e comunicare, riacquisisce di colpo la sua materialità, rimanendone tuttavia

schiacciato. In particolare, Manovich associa la bidimensionalità e la superficialità di

determinati media ad una rappresentazione delle informazioni: «Along with surface

versus depth, the opposition between information and immersion can be thought of as

particular expression of the more general opposition characteristic of new media:

between action and representation». Con il termine «action», Manovich intende

sottolineare una caratteristica tipica di molte tecnologie che permettono di accedere alla

realtà attraverso il filtro delle rappresentazioni, quali ad esempio mappe o disegni

249 Manovich 2001, 214-215.

121

architettonici.250 Un esempio efficace di queste peculiarità è la descrizione attuata da

Wallace del suo particolare modo di giocare a tennis, quando era un ragazzo

semiprofessionista:

I liked the sharp intercourse of straight lines more than the other kids I grew up with. […]Unless you’re one of those rare mutant virtuosos of raw force, you’l find that competitive tennis, like money pool, requires geometric thinking, the ability to calculate not merely your own angles but the angles of response to your angles. Because the expansion of response-possibilities is quadratic, you are required to think n shots ahead, where n is a hyperbolic function limited by the sinh of opponent’s talent and the cosh of the number of shots in the ral y so far (roughly). I was good at this. What made me for a while near-great was that I could also admit the differential complication of wind into my calculations; I could think and play octacal y. For the wind put curves in the lines and transformed the game into 3-space.251

Si può dire che Wallace sfruttasse l'apporto di determinate topologie matematiche

bidimensionali al fine di ottenere un vantaggio nel corso della partita. All'interno del

brano sopracitato, è inoltre possibile constatare come altre variabili tridimensionali quali

il vento o l'avversario siano di carattere ambientale. L'unione di concettualizzazioni e

informazioni pregresse e di variabili derivanti dal contesto “reale” permette in questo

caso all'individuo di stabilire un corretto rapporto con l'ambiente circostante, di elaborare

ed inviare messaggi, così come il giocatore invia e riceve i colpi durante una partita.

Similmente, in Infinite Jest, la metafora del tennis viene utilizzata molto spesso al fine di

attuare dei parallelismi impliciti con problematiche di carattere comunicativo.252

All'interno del romanzo, Hal gioca a tennis in maniera molto simile a Wallace, con

risultati prodigiosi sino a quando è capace di mantenere al contempo la sua natura

bidimensionale (le sue capacità di calcolare e processare informazioni) e quella

tridimensionale (l'abilità di muoversi con successo nel mondo, di interagire e soprattutto

di comunicare). Dopo la perdita di una presenza, come quella del ricorso alla marijuana

per far fronte al proprio disagio interiore, tuttavia, acquisisce un'umanità che si rivela

inconciliabile con la propria profondità cognitiva. Il personaggio deve unicamente basarsi 250 Ibidem, 216 e 17.251 David Foster Wallace, “Derivative Sport in Tornado Alley”, A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do

Again: Essays and Arguments (1997), London: Abacus, 1998, 3-20; 8-9.252 Ad esempio, all'interno di un episodio particolarmente rilevante, ma la cui descrizione esula dal tema

di questo capitolo, alcuni ragazzini dell'E.T.A. giocano ad un gioco di simulazione denominato Eschaton, in cui le palle da tennis sono le testate nucleari utilizzate per colpire alcuni obiettivi strategici, rappresentati da magliette ed altro materiale sportivo. Durante una partita, l'intero sistema di gioco entra in crisi nel momento in cui alcuni giocatori cominciano a colpirsi a vicenda, esattamente, come sostiene Timothy Jacobs, come i romanzi che hanno come argomento unico e principale altri romanzi e che di conseguenza rifuggono dalla rappresentazione del reale come vero fine dell'arte. L'episodio sarebbe quindi una metafora indiretta della critica di Wallace nei confronti della metafiction postmodernista. Cfr. Timothy Jacobs, “Wallace’s Infinite Jest,” «The Explicator», vol. 58, No. 3, spring 2000, p. 173.

122

sulla sua capacità di elaborare un pattern di informazioni, senza essere capace di

comunicare appropriatamente con gli altri esseri umani, disturbato da una sorta di afasia.

In Infinite Jest gli spazi riservati alla salvezza esistenziale sono infatti ben altri. In

questa sede è neccessario ricordare – ed è possibile farlo ponendo l'accento sui concetti

di comunicazione e informazione – come altri personaggi del romanzo di Wallace

riescano a reggere il peso del proprio disagio interiore, non soltanto attraverso un'idea di

autodeterminazione che si discosta profondamente dal mutismo in cui ha termine la

vicenda di Hal.253 Diversamente dal bidimensionale Hal, Gately conserva durante il

proprio percorso di recupero una natura tridimensionale, ripetutamente evidenziata dalle

osservazioni inerenti alle sorprendenti dimensioni del suo fisico. L’inattività e

l’inadeguatezza non lo caratterizzano, in quanto il suo recupero presenta delle profonde

differenze da quello del giovane tennista. Gately infatti, in qualità di inserviente della

casa di recupero da droga e alcol Ennet House e di membro attivo degli Alcolisti

Anonimi, entra in contatto con una realtà che rifugge dall’autoanalisi (la «Analysis-

Paralysis» che provano Hal e altre figure nel romanzo) (IJ 203) e dal solipsismo per

fondarsi su basi completamente diverse, ossia il pragmatismo e il senso della comunità.

In questo senso, il suo percorso risulta inverso rispetto a quello di Hal, tuttavia non è

esente da un rapporto complesso nei confronti della comunicazione.

Il «'Miracle' pragmatism»254 degli AA di Boston rifiuta categoricamente l’idea che sia

necessario compiere un’analisi causalistica del proprio disagio per poterlo combattere.

«The Why of the Disease is a labrynth it is strongly suggested all AAs boycott» (IJ 374),

poiché si tende altrimenti ad attribuire le cause del proprio disagio a quelle sostanze che

l’hanno dapprima sedato e successivamente amplificato, sminuendo così il concetto di

responsabilità personale, di saper scegliere il proprio piacere e il proprio dolore. Questo

approccio anti-causalistico si estende anche al funzionamento stesso del «Programma»,

che si basa sostanzialmente sull’accettare la propria condizione e su un’«identificazione»

ed un dialogo con coloro che versano nella medesima condizione. «Any causal

attribution is in Boston AA feared, shunned, punished by empathic distress» (IJ 374).

«The folks with serious time in AA are infuriating about questions starting with How.

You ask the scary old guys How AA Works and they smile their chilly smiles and say Just

Fine. It just works, is all; end of story» (IJ 350-351). Si possono soltanto seguire le

semplici istruzioni che vengono impartite, senza indagare sui meccanismi interni di

questa dottrina, i quali «do not make anything resembling rational sense» (IJ 1002, n.90).

253 Cfr. § 2.1.254 LeClair 1996, 34.

123

Gately e Geoffrey Day, un professore di sociologia residente alla Ennet House hanno due

posizioni diverse in merito:

You can't think about it like an intellectual thing. Trust me because I been there, man. You can analyze it til you're breaking tables with your forehead and find a cause to walk away, back Out There, where the Disease is. Or you can stay and hang in and do the best you can.Response to a question about its axioms, then, is to invoke an axiom about the inadvisability of all such questions. (IJ 1002, n. 90).

L’irrazionalità della via d’uscita proposta dagli AA può provocare un’intensa

frustrazione in personalità legittimamente abituate a risolvere i problemi – e quindi anche

il disagio – secondo dei rapporti di causa e effetto. L’unico punto fermo dell’intero

romanzo è che, in un’epoca in cui l’individualismo ha raggiunto delle conseguenze estreme,

l’uomo appare insufficiente a se stesso, incapace di superare da solo la propria disperazione,

e ha bisogno di confrontarla con quella altrui, di condividere il proprio disagio e di dialogare

con gli altri.

Tuttavia è necessario constatare come la rivalutazione dell'aggregato umano in

contrapposizione all'individuo-macchina non sia del tutto esente da complicazioni. Si

tratta di un'opposizione imperfetta, in quanto farebbe troppo leva sul timore che il

concetto di database possa risultare unicamente deleterio e che sia più opportuno

rifugiarsi in uno schietto e inconsapevole pragmatismo. Probabilmente, all'interno delle

dinamiche comunicative che caratterizzano il romanzo di Wallace, è presente

un'opposizione più netta tra integrazione e non integrazione, tra dialogo e solispsismo

mediatico, tra controllo e utilizzazione dei flussi informativi e tra informazione e

comunicazione. Il giovane athlète savant Hal è una sorta di processo che non riesce ad

integrarsi o che percepisce lo scambio di informazioni unicamente in una chiave

personale e in tal senso sembrerebbe incarnare l'apoteosi dell'informazione: percepisce

l'interazione sulla base di quanti dati è possibile ricevere, elaborare e trasmettere. Allo

tempo, per gli AA gli unici valori su cui basarsi sono la comunicazione e la condivisione,

esenti tuttavia dall'autoanalisi, concepita come pratica non autonoma e non sufficiente. Il

causalismo porta all’irresolutezza ed alla mancanza di comunicazione, ma include la

legittima necessità dell’uomo di fornire una spiegazione analitica ai risvolti del pensiero

e della vita; il pragmatismo funziona, ma nega qualsiasi interpretazione dei suoi

meccanismi. Come suggerisce LeClair, «instead of choosing between mechanistic

causality and A.A.’s “Miracle” pragmatism, Wallace allows them to alternate with and

124

supplement each other».255 L’intera opera è edificata su queste due tipologie di esistenza.

Non si tratta però di un solido giusto mezzo, il quale è del resto impossibile. Appare più

logico sostenere che Infinite Jest suggerisca una compensazione, un tentativo di sedare

gli estremi negativi di una direttrice avvalendosi parzialmente e occasionalmente

dell’altra. «Contraria sunt complementa» (IJ 713).

In maniera più lineare rispetto alle vicende di Hal narrate in Infinite Jest, in Pattern

Recognition l'umanizzazione di Cayce avviene invece con successo: la protagonista

riesce infatti a trasferire la sua innaturale capacità di processare pattern informativi dal

contesto mediatico del marketing a quello esistenziale, creando un percorso che la porta a

interagire con Stella e Nora, condividendo il prorio passato e i propri traumi. Un discorso

parzialmente differente meritano invece i personaggi di Flight Paths e di Only

Revolutions. La scelta di un uomo e di una donna come protagonisti di entrambi i

romanzi rimanda a un'idea di universalità, che, seppur nella sua divisione nettamente

dualistica e quasi biblica tra personaggio maschile e personaggio femminile, risulta

relativamente efficace nel suscitare un senso d'indentificazione con i personaggi in un

pubblico il più ampio possibile. Sebbene il progetto di Pullinger e Joseph sia ancora agli

inizi e non abbia ancora raggiunto uno sviluppo della trama sufficientemente esteso per

poter rintracciare, all'interno della narrazione, un approfondimento della personalità dei

due personaggi, ritengo che sia possibile constatare come le due coppie di protagonisti

dei romanzi in questione siano considerabili non soltanto come dei personaggi mediali a

tutti gli effetti, ma anche come dei vettori che hanno il ruolo di accompagnare i lettori

nelle loro peregrinazioni sia all'interno dell'opera sia all'esterno di essa, negli spazi di

condivisione, creazione e discussione che sono stati allestiti in rete dagli autori. In tal

senso, i due romanzi si collocano all'interno di una recente tradizione di opere

multimediali e intermediali in cui la forma simbolica della navigazione viene applicata

sia all'analisi delle traiettorie di fruizione dell'utente sia alle traiettorie che i personaggi

compiono nello spazio e nel tempo.

Uno dei progetti precedenti di Pullinger e Joseph, realizzato insieme a Stefan Schemat

e intitolato The Breathing Wall è un romanzo multimediale, composto, come Flight

Paths, da testi, immagini, video e voci audio. I due protagonisti – ancora un uomo e una

donna – sono relegati in due stanze diverse separati da un muro e sono di conseguenza

costretti a dialogare tra loro senza tuttavia poter condividere il medesimo spazio.

Schemat ha adattato un software potenzialmente destinato ad applicazioni di biofeedback

255 Ibidem.

125

in ambito psico-terapeutico al fine di dare la possibilità all'utente di poter registrare in

tempo reale, tramite il microfono del proprio personal computer, il proprio respiro,

permettendo così al software di calcolare il maggiore o minore rilassamento della

respirazione come una variabile per dischiudere agli occhi del lettore nuovi segmenti

narrativi altrimenti inaccessibili.256 In questo caso, una caratteristica psico-fisica del

lettore influenza l'andamento della narrazione. In questa sede è rilevante sottolineare

l'importanza della metafora spaziale del “muro traspirante,” un'immagine che è ad

esempio simile a quella delle frontiere fisiche intese come «membrane» da Salman

Rushdie nel suo romanzo The Ground Beneath Her Feet (e nel già menzionato

riferimento alla metamorfosi di Alice in Alice in Wonderland) per descrivere la

trasformazione che avviene in un individuo quando oltrepassa determinati limiti

geografici ed esistenziali.257 In Flight Paths sicuramente il protagonista Yacub è costretto

a emigrare dal suo paese di origine e quindi a varcare metaforicamente una membrana,

tuttavia quest'ultimo romanzo appare maggiormente focalizzato su un'altra metafora di

carattere diatopico, vale a dire il concetto di traiettoria attraverso lo spazio. Le forme

simboliche della migrazione e del volo s'intrecciano con evidenza, a partire dallo stesso

titolo dell'opera, con l'idea della navigazione da parte del lettore in luoghi letterari

diversi. Come Yacub è in grado di migrare in un altro spazio e in un altro paese e incrocia

la sua vicenda personale con quella di Harriet, allo stesso modo i vari utenti sono in

grado di migrare da un contenuto all'altro del database e da una narrazione all'altra

incontrando punti di vista e percorsi di lettura diversi dal proprio, con i quali dialogare

mediante l'implementazione di nuovi contenuti all'interno del sistema romanzo-database

che costituisce l'intera opera.

In Only Revolutions, la metafora spaziale del viaggio è ugualmente presente, dato che

Hailey e Sam attraversano gli Stati Uniti, senza fermarsi definitivamente in un singolo

luogo. A questo proposito, il concetto spaziale di sosta e, da un punto di vista temporale,

quello analogo di pausa risultano fondamentali per l'interpretazione del romanzo di

Danielewski e sono graficamente evidenziati all'interno del testo dal simbolo di “pausa”

« ll » che è solitamente presente su tecnologie come telecomandi, riproduttori video e

musicali e altri apparecchi elettronici. Questo simbolo ricorre ogni qual volta la lettera /l/

è presente all'interno di un vocabolo (ad esempio, /always/ diventa /allways/ e così via),

256 Cfr. Kate Pullinger, "Digital Fiction: From the Page to the Screen," in Randy Adams, Steve Gibson e Stefan Müller Arisona (a cura di), Transdisciplinary Digital Art : Sound, Vision and the New Screen, Berlin – Heidelberg: Springer, 2008, pp. 119-126; p. 121.

257 Cfr. Salman Rushdie, The Ground Beneath Her Feet, London: Vintage Books, 2000, p. 250. Cfr. § 2.3 (p. 81) per le considerazioni di Rushdie in merito al concetto di frontiera.

126

ed è inoltre inserito nel titolo in copertina e nel frontespizio di ogni lato del volume,

all'interno di un cerchio. Anche in questo caso, si registra una commistione formale tra

medium cartaceo ed elettronico, attraverso un elemento grafico che viene traslato

dall'estetica dei nuovi media per assumere un ruolo prettamente iconico all'interno del

volume. Come spiega Danielewski in un'intervista: «When you pause, it means the thing is

playing. When you press the pause button, it turns into the play. So when you see the pause

symbol, it's playing».258 Come aggiunge Rapatzikou, «with this comment it becomes

apparent that the “book” we are holding in our hands is more than a few ink marks printed on

paper, but, actually, it is a sophisticated artifact that its value rests in its potential to trigger

multiple combinations and re-combinations in the way the narrative or the data it delivers

flows, is read or even is perceived».259

È possibile citare brevemente il romanzo multimediale TOC di Steve Tomasula, che è

incentrato, a partire dal titolo onomatopeico che ricorda il ticchettio dell'orologio, sui

tentativi del genere umano di esorcizzare o fermare il trascorrere del tempo, che

culminano, all'interno della trama, nella realizzazione di un macchinario per fermare la

rotazione terrestre, in maniera tale da impedire il normale susseguirsi del giorno e della

notte. Il genere umano si ritrova quindi in una dimensione completamente atemporale di

eterno presente, affine alla natura “istantanea” della fruizione multimediale, che offusca

spesso il tempo passato e il tempo futuro dell'azione del leggere.260 Allo stesso modo,

Only Revolutions è un'opera esemplare per quanto concerne l'importanza della

dimensione temporale in relazione alla fruizione delle opere intermediali. A tal proposito,

Hayles effettua delle considerazioni sul piano dell'analisi del ruolo dei protagonisti.

Secondo la studiosa americana, il particolare simbolo della pausa è stato infatti realizzato

attraverso il raddoppiamento della lettera /l/ al fine di riprodurre mimeticamente la dualità

delle narrazioni di Hailey e Sam; inoltre, la sua presenza è finalizzata a rammentare al

lettore il fatto che i due personaggi possano essere considerati come delle “pause”

dall'incessante flusso della storia collettiva che viene rappresentato dalle barre laterali

contenenti i cronomosaici.261 In questo senso, come spiega Danielewski:

You deal with history on some level when you read the book. If you decide to read the history columns, or if you choose not to read them, you have to deal with that fact. The characters are moving and are oblivious to history. History is enacted through them. They have no awareness

258 Miller e Reverte 2007.259 Rapatzikou 2010, 154.260 Cfr. Steve Tomasula, TOC, Tuscaloosa (AL): University of Alabama Press / Fiction Collective 2, 2009.

CD-ROM.261 Hayles 2011, 165.

127

of history. They have no memories.262

Se si considerano unicamente le due narrazioni inserite nei quadranti principali, è

possibile comprendere come Hailey e Sam esistano solo nel (loro) tempo presente, in un

hic et nunc totalmente personale. Il fatto che Danielewski consideri privi di memoria e di

una consapevolezza storica i suoi due narratori omodiegetici, dimostra inoltre come

quello che l'autore definisce un «character driven book»263 presenti due figure che hanno

lo scopo di funzionare come dei mezzi di comunicazione o dei catalizzatori per una

memoria collettiva. Come ho già spiegato in precedenza, la stesura originaria di Only

Revolutions è stata realizzata scrivendo prima le due narrazioni principali, di cui l'autore

ha poi sottolineato alcuni termini, collegandoli ad avvenimenti appartenenti alla storia

collettiva nordamericana e globale. Queste glosse sono state successivamente elencate

all'interno dei cronomosaici e integrate attraverso i numerosi suggerimenti provenienti

dalla base di lettori appassionati, che si era radicata nel corso degli anni precedenti grazie

al successo del precedente romanzo House of Leaves. Le due macrosezioni del testo

rappresentate dalla narrazione e dai cronologie elencate a margine sono prive di

collegamenti nella versione del romanzo che è stata pubblicata, di conseguenza il lettore

è tenuto a ricostruire i collegamenti tra narrazione e cronologia. Ad esempio, nel corso di

un episodio in cui Sam e Hailey stanno danzando durante una festa, la narrazione di

Hailey recita: «Sam bolts away with one ruinous / step, dashing from me / leaving free /»

(H78). Parallelamente, il cronomosaico accanto è relativo al periodo che va dal 17 giugno

1969 al 27 luglio dello stesso anno. In una delle linee troviamo un riferimento ad un altro

step importante: «one small step for man, / one giant leap for»[sic] (H78), che riprende la

celebre frase pronunciata da Neil Armstrong il 20 luglio del 1969. Altri riferimenti sono

decisamente più labili o criptici. Ad esempio, nel cronomosaico del 15 aprile 1992, è

citato: «Cosa Nostra, Capaci & / Palermo Airport, / Giovanni Falcone & / Francesca

Morvillo & 3 go.» (H227). All'interno della narrazione adiacente, Sam e Hailey guidano

una Alfa Romeo che è probabilmente una delle automobili che sono state più utilizzate

dalle scorte armate delle forze dell'ordine italiane. Molti altri accostamenti provengono

dal forum e possono ad esempio includere i versi della vicenda, il riferimento incluso nel

cronomosaico, un'interpretazione dell'accostamento e un'indicazione delle fonti

bibliografiche utilizzate:

Page: S4

262 Miller e Reverte 2007.263 Ibidem.

128

The Story:-- Tranquility & Civil Authority,The History Gutter:June 7 1866…--Peace, order.

The point:Andrew Johnson's August 20, 1866 proclamation that "the said insurrection is at an end, and that peace, order, and tranquility, and civil authoritynow exist in and throughout the whole United States of America."(via Modern History Sourcebook)264

È facile comprendere come, nel corso del tempo, sia maturato un continuo ciclo

letterario e critico, iniziato con una prima stesura a cui sono stati affiancati elementi in

gran parte suggeriti da una comunità esterna, la quale ha poi tratto una soddisfazione

intellettuale nel ricostruire i legami attraverso un puntiglioso e appassionato esercizio

d'intelligenza collettiva.265 La narrazione e i personaggi sono, sotto alcuni aspetti, dei

mezzi di comunicazione, dei catalizzatori di una riflessione storica che la comunità

effettua su se stessa e sul suo passato. Di conseguenza, secondo Hansen, possiamo

considerare le due linee narrative di Only Revolutions come l'allegoria di una storia

collettiva filtrata da un'operazione condivisa di selezione e analisi. Parallelamente, anche

Hailey e Sam possono essere interpretati nello stesso modo:

Sam and Hailey as far as one can get from characters as we know them, that is, psychologically complex, internally rich and multiply motivated characters of the sort that populate the history of the novel from the eighteenth century onwards. Rather, these two characters are allegorical figures of sorts, and what they allegorise is the incessant movement of time itself and the universal human desire to get free from time's burden.266

Sam e Hailey sono infatti definiti dallo stesso Danielewski come «the agents or

coalescents of history, what history would look like if we could get out of this computer

grid we're in».267 Attraverso i personaggi allegorici e le narrazioni, il romanzo ha di

conseguenza la funzione di opporsi alla presenza di un database indefinito di dati che

viene usualmente ospitato sui media elettronici, in cui tuttavia sono presenti gli stessi

264 Commento di Elmago, 06-04-2006. Thread: Chronology & Sidebar. “MZD Forums” 2004-2011. Web. 07-09-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/showthread.php?4343-Chronology-Sidebar/page3/>.

265 Siamo lontani dal grande numero di appassionati ad esempio iscritti ai forum relativi ai romanzi di William Gibson o di J.K. Rowling, tuttavia il fatto che il MZD Forums conti più di 30000 utenti nel novembre del 2011 e che le lingue utilizzate siano quattro, può dare un'idea della portata del fenomeno.

266 Hansen 2011, 187.267 Benzon 2007.

129

apparati di conoscenza utilizzati per la ricerche storiografiche alla base del libro. Allo

stesso tempo, Internet è anche il medium utilizzato come spazio di condivisione per dei

lettori che percepiscono questo processo letterario collettivo come parallelo all'analisi

delle loro esistenze, stimolati da una partecipazione simpatetica con un testo che

esordisce, da entrambi i lati del volume con la scritta «You were there» stampata sul

frontespizio, unica frase al passato di una narrazione altrimenti coniugata sempre al

tempo presente. A tal proposito, l'utente Stencil effettua una particolare considerazione,

sostenendo che: «'You were there' also suggests that the story took place somehow in our

presence, that we share history in the same way Sam and Hailey share history, parallel to

our own lives».268 Non è un caso che altri utenti del forum abbiano formulato delle

speculazioni in merito ad una possibile coincidenza tra il ruolo dei personaggi e il ruolo

del testo, ad esempio proponendo che i due protagonisti siano «il libro» o «letteralmente

il testo nella pagina».269 A mio avviso, questi personaggi sono dei singolari vettori

narrativi, delle metafore del nostro modo d'interagire con il mondo attraverso i testi, in

un'epoca in cui la molteplicità informativa ci obbliga a tracciare un percorso attraverso di

essi. Di conseguenza, Sam e Hayley possono essere quasi considerati come delle

metafore del lettore stesso, dei “vascelli” da riempire con le nostre personali modalità di

approccio alla storia e alla complessità.

Il pronome «US» (stampato in maiuscolo) viene sempre utilizzato dai due protagonisti

per riferirsi a se stessi; allo stesso tempo, è anche l'acronimo per “United States of

America” e, soprattutto, si riferisce alla collettività composta dai lettori. Ciò traspare

anche da una dichiarazione di Danieleski, che ritiene che i due personaggi siano «tutte le

razze; essi sono tutte le forme, tutti i colori e tutto l'abbigliamento».270 In questo senso,

come spiega Hayles, lo spazio-tempo che viene descritto all'interno del romanzo diventa

una topologia complessa, in cui il personale si mescola con il mito, l'individualità con la

collettività e il nazionale con il transnazionale.271 Se in The Unknown assistiamo ad una

consapevole auto-disumanizzazione dei personaggi, l'attenzione al rapporto con l'Altro

che caratterizza, in misura più o meno problematica, romanzi come Only Revolutions,

268 Commento di Stencil, 05-12-2006. Thread: Chronology & Sidebar. “MZD Forums” 2004-2011. Web. 07-09-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/showthread.php?4343-Chronology-Sidebar/page2/>.

269 «The book is Sam & Hailey». «Sam and Hailey being in some way literally the text on the page». Commenti di Splendorr e Ducknerd, 11-09-2010 e 11-06-2010. Thread: “How different are form and content here?” “MZD Forums” 2004-2011. Web. 29-06-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/showthread.php?6272-How-different-are-form-and-content-here>.

270 «Sam and Hailey are all races; they're all shapes and colours and clothing». Danielewski in: Benzon 2007.

271 Hayles 2011, 168.

130

Flight Paths, Infinite Jest, Pattern Recognition sembrerebbe ad esempio rimandare al

concetto di «othermindedness» tramite cui Michael Joyce definisce la network culture:

"Network culture is an othermindedness, a murky sense of a newly evolving consciousness and cognition alike, lingering like a fog on the lowlands after the sweep of light has cleared the higher prospects. The same or a like fog increasingly seems to cling in the folds of the brain. We ache with it, almost as if we could feel the evolution of consciousness in the same way a sleeping adolescent feels the bone ache of growing pains as if in a dream.272

La «nebbia» descritta da Joyce potrebbe semplicemente essere considerata come

l'ennesima figurazione metaforica dell'indeterminatezza che caratterizza la cultura delle

reti; in questo senso tale descrizione non si discosterebbe molto dai flussi informativi di

Johnston, dalla società liquida di Bauman, dalle reti di Taylor e dalle ragnatele di Hayles.

Tuttavia, Joyce evidenzia anche un'idea di «othermindedness» come l'evoluzione di una

consapevolezza crescente di dover considerare nuove modalità di interazione con l'Altro.

§ 3.2 Romanzo e novum

Secondo Marshall Boswell, è possibile interpretare alcuni temi fondamentali che

attraversano Infinite Jest attraverso le teorie psicoanalitiche di Jacques Lacan, con

particolare riferimento al noto saggio Le stade du miroir comme formateur de la

fonction du Je.273 Per Lacan si ha una fase dello specchio in cui il bambino,

identificandosi per la prima volta in una sua immagine prodotta da uno specchio,

acquista, o meglio costruisce, una consapevolezza del proprio Io, interpretando se stesso

come un essere distinto dal resto del mondo, ossia dall’Altro. È importante sottolineare

che l’immagine vista dal bambino allo specchio è sostanzialmente un oggetto: l’individuo

acquisisce una soggettività, ma soltanto grazie ad un’alienazione da se stesso causata

dalla costruzione di una rappresentazione illusoria del proprio essere. In ogni caso, il

soggetto avrà sempre – anche dopo essersi costruito una propria immagine – una natura

binaria, costituita dall’Io e dall’Altro. Prima di vivere la fase dello specchio, il bambino

non è ancora in grado di distinguere l’Io dall’Altro e riconosce in questa unità una fonte

primaria di soddisfacimento dei propri desideri a cui non potrà mai più tornare. Questa

felicità originaria e questa integrità di cui ormai si è persa la cognizione saranno

272 Michael Joyce, Othermindedness. The Emergence of Network Culture, Ann Arbor (MI): The University of Michigan Press, c2000, p.1.

273 Boswell, 2003, 127-130. Cfr. Jacques Lacan, Écrits, Paris: Éditions du Seuil, 1966, pp. 93-100.

131

vanamente ricercate in surrogati inadeguati quali i beni materiali, gli affetti, le droghe,

l’intrattenimento o qualsiasi altro fattore in grado di produrre una presenza chiaramente

transitoria e illusoria. La narcosi suscitata dalle droghe e dall’alcol si trasforma

facilmente in dipendenza, imprigionando nuovamente l’individuo: «The entrance says

exit. There isn’t an exit.»; «what looks like the cage’s exit is actually the bars of the

cage» (IJ 222).

Moltissime figure minori e quasi tutti i personaggi principali del libro sono, o sono

stati, tossicodipendenti: Don Gately dai narcotici orali, Joelle dalla cocaina freebase, Hal

dalla marijuana, James Incandenza dall’alcol, per citarne solo alcuni. Questo fenomeno

coinvolge tanto i tessuti sociali più disagiati – e la casa di recupero da droga e alcol Ennet

House ne è l’esempio principale – quanto i ceti alti, rappresentati dalla Enfield Tennis

Academy, dove moltissimi atleti fanno uso di droghe ricreative. In questo contesto

sociale dominato dal disagio si inserisce la vicenda del film «“Infinite Jest”», girato da

James Incandenza all’inizio dello «Year of the Trial-Sized Dove Bar» (2004), meno di

novanta giorni prima del suo suicidio. Alcune copie del film cominciano a circolare a

partire dal 2008; la loro incidentale fruizione produce un tale interesse nello spettatore

che quest’ultimo non è più in grado di svolgere altra azione che non sia il perpetuare la

visione, fino a quando le sue «mental and spiritual energies» si inaridiscono a tal punto

da provocare la morte. Si tratta pertanto di un «Entertainment» assoluto, in grado di

fornire una felicità completa e letale (IJ 549).

La natura del film è alquanto misteriosa, tuttavia nel corso della narrazione vi sono

alcune descrizioni che possono permettere una ricostruzione del suo contenuto. Joelle –

che dopo aver avuto una relazione con Orin è diventata l’attrice principale di molte opere

del padre di quest’ultimo – è l’unica attrice di “Infinite Jest”. Sebbene James Incandenza

non le abbia mai permesso di vedere ciò che egli stava girando, Joelle fornisce alcune

indicazioni sicuramente credibili, a differenza di molti altri resoconti lacunosi e spesso

inattendibili. L’attrice viene ripresa «con il volto svelato» da una «lente neonatale» che è

stata «montata fra le pieghe della copertina di una culla» e progettata in modo tale che

abbia «un effetto autosfarfallante» «per sfocare gli oggetti a imitazione di una retina

neonatale» (del nistagmo che caratterizza la vista del neonato al momento della nascita)

in grado di rendere «everything recognizable and yet without outline» (IJ 222). Appare

inoltre ragionevole supporre che vi sia una relazione tra gli effetti del film e il complesso

di Atteone a cui porterebbe la visione del volto di Joelle, sebbene non sia chiaro se la

deformità di Joelle sia effettivamente repellente o se invece, come ella stessa ammette,

132

sia «deformata dalla bellezza» («deformed with beauty»). Come spiega Joelle: «I’m so

beautiful I drive anybody with a nervous system out of their fucking mind» (IJ 538).

Come sostiene giustamente Nichols: «The real star of “The Entertainment” is the

film's lens»274: Il film riproduce infatti fedelmente la visione, o meglio la visualità, che ha

della madre (figura che spesso nel pensiero di Lacan svolge una funzione psicologica

paragonabile a quella dell’Altro) un neonato, quindi un individuo caratterizzato ancora da

una pienezza ontologica, in cui la natura binaria del soggetto non è ancora stata

scomposta, e in cui si ha una totale identificazione con l’Altro, la quale permette una

soddisfazione completa e pura. Di conseguenza, «the film itself is Wallace’s most visible

emblem of his Lacanian program».275 Approfondendo quest'ultima interpretazione di

Boswell, si può sostenere che James Incandenza cerchi di creare un anti-specchio, uno

strumento atto ad eliminare il disagio di fondo che alberga in ogni essere umano. Nel

corso della parte conclusiva della vicenda, il fantasma di James Incandenza (l’unico

elemento prettamente soprannaturale che Wallace si concede in Infinite Jest, a meno che

non gli si attribuisca una natura onirica) appare nei sogni di Gately, il quale si trova in

ospedale in precarie condizioni fisiche. Il «wraith» spiega come il suo intento fosse

quello di creare un «Entertainment» puro per ovviare al solipsismo, all’anedonia e al

mutismo del figlio:

The wraith feels along his long jaw and says he spent the whole sober last ninety days of his animate life working tirelessly to contrive a medium via which he and the muted son could simply converse. To concoct something the gifted boy couldn't simply master and move on from to a new plateau. Something the boy would love enough to induce him to open his mouth and come out — even if it was only to ask for more. […] His last resort: entertainment. Make something so bloody compelling it would reverse thrust on a young self's fall into the womb of solipsism, an-hedonia, death in life. A magically entertaining toy to dangle at the infant still somewhere alive in the boy, to make its eyes light and toothless mouth open unconsciously, to laugh. To bring him 'out of himself,' as they say. The womb could be used both ways. A way to say I AM SO VERY, VERY SORRY and have it heard. A life-long dream. The scholars and Foundations and disseminators never saw that his most serious wish was: to entertain. (IJ 838)

James Incandenza riuscirà a «divertire», eppure il suo tentativo fallirà per il fatto

stesso di essere perfetto. Il film “Infinite Jest” non è un antidoto, bensì uno strumento che

rende letale la felicità anziché rendere dolorosa la vita. La fase dello specchio genera una

disperazione costante, ma segna anche l’inizio della contestualizzazione sociale dell’Io;

per converso, l’anti-specchio riconduce ad uno stato originario fino ad oltrepassarlo,

274 Nichols 2001, p. 13.275 Boswell 2003, 130.

133

tornando così alla non-esistenza prenatale. Il film riesce ad eliminare la disperazione, ma

soltanto causando al contempo la morte. Joelle si domanda se James Incandenza abbia

realizzato «a cage or really a door» (IJ 230); sicuramente è corretta la prima ipotesi,

anche se la prigionia a cui condanna il film è di durata ben più breve rispetto a quella di

una comune dipendenza.

Il romanzo Infinite Jest appare di conseguenza incentrato su una pellicola perfetta e

letale di cui si ignora sostanzialmente il contenuto, che è descritto unicamente attraverso

delle vaghe allusioni e da cui scaturiscono, ruotandovi attorno, tematiche dense di

significato. Similmente, anche per quanto concerne Pattern Recognition di Gibson, è

possibile riscontrare un'analoga centralità di un medium assente e non direttamente

fruibile da parte del lettore del romanzo. Come accade nel caso di James Incandenza nel

romanzo di Wallace, anche Stella, l'artefice del «footage» in Pattern Recognition, elabora

le sequenze che costituiscono quest'ultimo in seguito ad una situazione di disagio

scaturita da un trauma (in questo caso specifico, un trauma fisico al cercello dovuto ad

una scheggia di granata). Questo materiale, profondamente rielaborato è poi diventato la

base iniziale per la creazione e la disseminazione in rete dei frammenti del «footage».

Come nel caso di Infinite Jest, si tratta quindi di un insieme di immagini capace di

generare «such a powerful effect, induced by so little actual screen time» (PR 74) e di

conseguenza di influenzare, positivamente o negativamente, la vita degli altri personaggi.

È possibile includere questi due esempi all'interno di un gruppo di recenti romanzi

caratterizzati dalla comune tendenza a porre all'interno di se stesse un centro mediale

assente come fulcro della narrazione. Ad esempio, in House of Leaves (2000) di Mark

Danielewski la complessa narrazione, supportata da una struttura frammentaria colma di

elementi particolari come testi impaginati (all'interno del volume) e giustapposti in

maniera inusuale e note parassitarie scritte da personaggi differenti, si basa su «The

Navidson Record», un film oggetto di estese analisi da parte dei personaggi del romanzo,

ma che in realtà non è mai stato girato. Altri romanzi hanno invece al loro centro

un'opera letteraria. In Happiness, pubblicato dal canadese Will Ferguson nel 2002, il

protagonista, Edwin de Valu, è un editor letterario che decide, in maniera alquanto

azzardata, di pubblicare «'What I Learned on the Mountain'», un manuale di auto-aiuto

apparentemente in grado di promettere, attraverso la sua lettura e l'apprendimento degli

insegnamenti in esso contenuti, una vita estremamente felice. Come in Infinite Jest ed in

Pattern Recognition, si registra ben presto una clamorosa disseminazione dell'opera, in

grado di funzionare veramente. In seguito al successo del libro, il surplus di felicità che

134

così si diffonde all'interno del popolo nordamericano causa ben presto un collasso

dell'intero sistema-paese: in pochi mesi l’intera società occidentale è composta da

individui talmente contenti di se stessi da non occuparsi più del proprio compito

all’interno della società. Un ultimo esempio è quello di Chronic City, pubblicato nel 2009

da Jonathan Lethem, in cui il protagonista Chase, sulla base di alcune considerazioni del

suo amico Perkus Tooth, acquista il libro «'Obstinate Dust'», un romanzo voluminoso e

apparentemente di difficile lettura. Successivamente, Chase si ritrova costretto a buttare il

romanzo nell'«'Urban Fjord'», una strana scultura di arte concettuale che consiste

fondamentalmente in un enorme buco ontologico. Tuttavia, il protagonista si pente ben

presto del suo gesto, convinto che «'Obstinate Dust'» possa permettere di comprendere

meglio la personalità e le considerazioni culturali di Perkus in merito alla società

statunitense. In questo caso, la forma, le caratteristiche ed il titolo del libro ricordano in

maniera piuttosto evidente lo stesso romanzo Infinite Jest, che di conseguenza assume

paradossalmente il ruolo di forma d'arte essenziale rivestito dal film «'Infinite Jest'»

all'interno dello stesso romanzo di Wallace.276 Infine, come è stato rilevato in precedenza,

evidenti connotazioni metaletterarie caratterizzano anche The Unknown, che sfrutta una

congerie di narrazioni e descrizioni per alludere a un'opera che non esiste, ma che

paradossalmente il lettore sta leggendo. Anche in questo caso, vi è un centro mediale mai

definitivamente presente e la cui descrizione costituisce addirittura il tema centrale

dell'opera, definita in maniera indulgente «the original great hypertext novel» (UN,

<unknownhypertext.com>).

In particolare, per quanto concerne l'analisi di Pattern Recognition, Phillip E. Wegner

sostiene che sia possibile equiparare la valenza del «footage» espressa nel romanzo al

concetto utopistico di “novum” teorizzato da Ernst Bloch. Come accadde in seno ai

movimenti letterari modernisti, la presenza del footage incarnerebbe in tal senso una

profonda attenzione nei confronti di un'ipotetica forma d'arte che si potrebbe diffondere

in futuro e che, inoltre, potrebbe promuovere nuove modalità di fruizione collettiva

dell'opera (come tetimoniano i forum dedicati al «footage» descritti nel corso della

trama). Allo stesso tempo, la centralità del “novum” espressa nei romanzi sopracitati

276 Come dichiara Lethem in un'intervista riguardante Chronic City: «It’s also a joke about the way unread books can become cultural tokens, or objects of fascination and energy, and I’m thinking about obviously David Foster Wallace there. […] But the reference to Wallace became strange, because he died while I was finishing this book. I’d already put the reference in and then it felt disturbing to me, but it didn’t seem right to take it out. It was as though I’d be erasing him in some way. So what I ended up doing was strengthening that reference». Ronnie Scott, "The Rumpus Long Interview with Jonathan Lethem", «Rumpus», 19-01-2010. Web. 6 Dec 2010. <http://therumpus.net/2010/01/the-rumpus-long-interview-with-jonathan-lethem/?full=yes>. Cfr. Jonathan Lethem, Chronic City, Doubleday: New York 2009.

135

rappresenterebbe pienamente il timore che nuove forme di espressione possano

rimpiazzare il romanzo, rendendolo una sorta di forma artistica residuale e al contempo

importante al fine di accompagnarci nel corso di una transizione «into the emergent

forms of twenty-first century literature and art only beginning to be realized through the

new media technologies. Per questo motivo, secondo Wegner, la sopravvivenza del

romanzo è finalizzata ad analizzare e a «seppellire» («to bury») la fine del periodo

storico che l'ha visto nascere.277

Sorvolando sui numerosi necrologi di cui è stata costellata la storia del romanzo sin

dalle sue origini, è opportuno sottolineare come all'interno di questi esempi sia quindi

possibile riscontrare una particolare commistione tra una presenza (all'interno delle

trame) ed un'assenza (agli occhi di chi legge) di un medium nuovo, di una forma d'arte

definitiva che dovrebbe portare ad una soddisfazione assoluta (e, in alcuni casi, talmente

perfetta da risultare addirittura letale o socialmente destabilizzante). All'interno di tale

dialettica si colloca quindi il timore di non poter esercitare una fruizione completa e

adeguata della complessità. L'opposizione nei confronti di queste utopie – la loro

presenza sotto forma di un medium chiaramente rintracciabile all'interno della vicenda

narrata – è meno marcata all'interno di Flight Paths e Only Revolutions, che hanno una

data di pubblicazione più recente rispetto a opere quali Infinite Jest e The Unknown e che

rivelano allo stesso tempo una maggiore familiarità con le teorie e le pratiche che

gravitano attorno all'idea di transletteratura. Come osserva Hayles per quanto riguarda il

romanzo in versi di Danielewski:

O[nly] R[evolutions] is [...] a next-generation form that has gone beyond the shock and awe of first-generation internet users to bland acceptance of the infosphere as a 'natural' part of contemporary life in developed countries. Data flows, unimaginable in their totality, are rendered more or less tractable through increasingly sophisticated search alghoritms, mirrored in OR through the constraints that partially order and contain information excess. As networked and programmable machines aggregate video, film, sound and graphics into a single platform, the interplay between text and graphics expands exponentially, as it does in OR.278

A mio parere, nel testo di Danielewski questa maggiore integrazione non è tuttavia

esente da contraddizioni e denota un rapporto d'ibridazione e di parziale rigetto nei

confronti dei nuovi media e del concetto di transalfabetismo che ho descritto in

precedenza. È già stato rilevato come il campo semantico relativo ai mezzi di

277 Phillip E. Wegner, “Recognizing the Patterns,” «New Literary History» 38.1 (2007), pp. 183-200; pp. 192-195 e 198. Cfr. Ernst Bloch, The Principle of Hope (1959), trad. ing. di Neville Plaice, Stephen Plaice e Paul Knight, Oxford: Blackwell, 1986, 198–205.

278 Hayles 2011, 171.

136

comunicazione sia volutamente e dichiaratamente assente all'interno dell'opera,

nonostante quest'ultima sia stata realizzata attraverso l'ausilio di programmi di grafica

non indifferenti e attraverso una prima operazione di stesura quasi ipertestuale. A questo

proposito, le dichiarazioni di Danieleski appaiono discordanti e rivelano infatti la pretesa

di creare uno strumento letterario completamente diverso e più immediato rispetto ai

romanzi tradizionali e che, tuttavia, non sia affine ad altri media più recenti come la

televisione o il cinema:

The comparison would be: what happened to painting when the camera came onto the scene? Suddenly it wasn't about figurative representational art. It was "Let's paint the way we feel." So I view my books as a success if they're offering an experience that you can't get in other media. And that fits into your Darwinian idea. Why should a novel survive that takes several weeks to read?

There's nothing wrong with quick, by the way. If it's quick and good, that's great. If it's quick and bad, then that's a problem. So here [Only Revolutions] is something that's absolutely visual; if you look at each page, it's like a screenplay. There's so much action that's taking place. At the same time, it's impossible to visualize.[...] As archaic as it is, with its illuminated text and its ribbons, this book could not exist without technology. Without my G5 and 23-inch screen, with two pages on the screen at one time.279

La volontà di creare un'opera letteraria arcaica e allo stesso tempo intermediale è ad

esempio evidente nel modo in cui l'idea di codice viene trattata in Only Revolutions. Dal

punto di vista di un'analogia tra supporto e contenuto, Tatiani Raptzikou ritiene che i due

protagonisti Sam e Hailey possano essere equiparati alle stringhe di comando di un

codice binario: «One could argue that the characters of Sam and Hailey metaphorically

function as computational prompts for the existence of a binary code by which this

novelistic experience is shaped and formulated».280 Prendendo in considerazione il

particolare simbolo della pausa «ll» che è stato descritto in precedenza, si può aggiungere

che la stringa potrebbe essere composta di /1/ e /1/, la cui giustapposizione ha come

risultato il simbolo di pausa « ll » menzionato in precedenza e la cui somma dà, in

maniera palesemente evidente, il 2 che rappresenta la coppia di protagonisti). In altre

parole, Sam e Hailey costituiscono il codice binario utilizzato per la programmazione

informatica, che il lettore deve cercare di decifrare soggettivamente in maniera tale da

comprendere appieno il funzionamento dell'intera opera. È possibile approfondire

brevemente il discorso sul codice, osservando come studiosi quali Rita Raley e artisti

quali Mary-Anne Breeze, Talan Memmott e John Cayley si siano dedicati, nel corso degli

279 Benzon 2007.280 Rapatzikou 2010, 152.

137

ultimi anni, all'analisi e alla trasposizione artistica del concetto di codework:

Codework refers to the use of the contemporary idiolect of the computer and computing processes in digital media experimental writing, or [net.writing]. […] Writers and artists who have taken up the general practice of codework heed the mandate - "use the computer; it is not a television" - and strive to foreground and theorize the relations between interface and machine and so reflect on the networked environment that constitutes and is constituted by a digital text. The precise techniques vary, but the general result is a text-object or a text-event that emphasizes its own programming, mechanism, and materiality.281

Ad esempio, John Cayley intende evidenziare la differenza tra una stringa in codice

che ha come destinatario una macchina rispetto all'esempio seguente, che è invece

indirizzato al lettore:

on write

repeat twice

do “global “ & characteristics

end repeat

repeat with programmers = one to always

if touching then

put essential into invariance

else

put the round of simplicity * engineering / synchronicity +

one into invariance

end if

if invariance > the random of engineering and not

categorical then

put ideals + one into media

if subversive then

put false into subversive

end if

if media > instantiation then

put one into media

end if

else

put the inscription of conjunctions + one into media

end if 282

Gli artisti che ricorrono al codework, utilizzano il codice informatico in maniera

estetica e/o letteraria per dimostrare la possibilità dell'essere umano di penetrare

all'interno di un aggregato di strumenti e linguaggi tecnologici, che risultano sempre più 281 Rita Raley, “Interferences: [Net.Writing] and the Practice of Codework,” «Electronic Book Review»,

09-08-2002. Web. 12-05-2011. <electronicbookreview.com/thread/electropoetics/net.writing>.282 John Cayley, cit. in: Rita Raley, "Code.surface || Code.depth," «Dichtung-Digital», 2006. Web. 15-05-

2011. <http://www.brown.edu/Research/dichtung-digital/2006/1-Raley.htm>.

138

caratterizzati dal già menzionato fenomeno di hardwarizzazione – vale a dire

l'impossibilità, per le persone prive di particolari competenze tecniche, di conoscere

veramente le macchine che utilizzano nel corso della loro quotidinanità283 – o da ciò che

Fuller definisce, in maniera più attinente all'idea del codice, una trasformazione

subscopica (subscopic transformation):

It is worth noting that simply because they occur at the level of electrons the axes of software are impossible to find for the average user. Just as when watching a film we miss out the black lines in between the frames flashing past at 24 per second, the invisible walls of software are designed to remain inscrutable….these subscopic transformation of data inside the computer are simultaneously real and symbolic.”284

Only Revolutions è un'opera che sfrutta il concetto di codework, manifestando

graficamente un codice che tuttavia non è espresso attraverso pratiche affini all'estetica

del codice informatico, bensì tramite espedienti tipografici consolidati e utilizzati in

maniera originale. I colori diversi per i nomi dei personaggi, il raddoppiamento di alcune

lettere, le liste ricorrenti di piante e animali, i caratteri e gli stili tipografici particolari

sembrano avere una funzione triplice. In primo luogo, sono presenti in quanto parti di un

codice che può essere decifrato autonomamente dal lettore, che poi è libero di elaborare

le sue teorie personali in tal senso. In secondo luogo, questi elementi grafici sembrano

avere la funzione esplicita di evidenziare il “tipografismo” di Only Revolutions, il suo

“essere (ancora) un libro.” Infine, gli studiosi che si sono occupati di questo romanzo e

l'autore scorgono in queste soluzioni formali delle attinenze funzionali ed estetiche con il

dominio dell'informatica. Questa “novità” negata e palesata al contempo è, a mio avviso,

non lontana dal concetto di mimetismo (mimétisme, mimicry) di Lacan e in particolar

modo dalla sua adozione da parte di Homi Bhabha in un ambito completamente

differente, vale a dire quello postcoloniale. Come spiega Lacan: «L'effet du mimétisme

est camouflage, au sens proprement technique. Il ne s'agit pas de se mettre en accord

avec le fond mais, sur un fond bigarré, de se faire bigarrure».285 Quindi, secondo Bhabha,

il mimetismo (mimicry) è una metonimia della presenza del discorso coloniale, un

camuffamento che risulta costantemente imperfetto a causa della natura già ibrida

dell’ambiente circostante.286 Nonostante la connotazione apparentemente dispregiativa, il

mimetismo per Bhabha si configura anche come una «terza scelta» e come uno «spazio

283 Cfr. § 0, pp. 15-16.284 Raley 2006.285 Jacques Lacan, Les quatres concepts fondamentaux de la psychanalyse, Paris: Seuil, 1973, p. 9.286 Homi K. Bhabha, “Signs Taken For Wanders,” in Julie Rivkin e Michael Ryan (a cura di), Literary

Theory. An Anthology, Malden – Oxford – Carlton: Blackwell 2005, pp. 1167-1184; pp. 1181-1182.

139

agonistico» più che antagonista: nasconde spesso atteggiamenti contradditorî di accettazione,

ripulsa e ironia.287 In un contesto molto diverso, nel caso di Only Revolutions, assistiamo ad

una sorta di mimetismo suscitato dall'impatto dei nuovi media, percepiti come

tecnologicamente dominanti. Ciò ha come conseguenza l'estremizzazione del codice

tipografico del libro in quanto medium, che viene utilizzato sull'impronta delle potenzialità

tecniche già offerte dai media informatici e telematici. Lo stesso Danielewski ad esempio

dichiara, sempre a proposito del suo romanzo: «The fact is it would be nice to have a

Google page in the book, so you could find out where the quotations came from».288 Se lo

studio del transalfabetismo promuove l'analisi delle modalità di scrittura e di lettura su

supporti mediatici differenti, il romanzo di Danielewski può essere ritenuto un esempio

di come si possa leggere un'opera narrativa pubblicata su carta come se fosse stata scritta

per essere installata su un supporto elettronico.

Diversamente dagli altri romanzi analizzati, Flight Paths non include all'interno della

sua trama o della sua struttura narrativa alcuna manifestazione di un rapporto

problematico nei confronti dei nuovi media. Si tratta infatti di un progetto che è stato

sviluppato su una piattaforma in rete totalmente connessa con altre reti e che prevede la

fruizione e l'implementazione di contenuti multimediali. Come spiega Peppino Ortoleva,

è possibile utilizzare la cosiddetta mappa di J. McLaughlin per rappresentare il sistema

dei media lungo due assi principali:

In quello orizzontale si va dai puri “supporti”, ovvero dagli strumenti tecnici che appaiono per loro natura indifferenti al contenuto da trasmettere, ai puri” contenuti”, cioè a quei mezzi di comunicazione la cui rilevanza per il mercato sta negli specifici messaggi che vengono di volta in volta veicolati. Nell’asse verticale si va da quei media che si presentano sul mercato in forma di “servizi”, controllati generalmente da apparati pubblici e privati, messi a disposizione degli utenti, a quelli la cui fruizione richiede l’acquisizione di specifici “prodotti”.289

Secondo Ortoleva, l'informatica e le telecomunicazioni costituiscono il vero centro

della mappa ed il motore dell'innovazione, costituendo un'intersezione massima tra

supporti, contenuti, servizi e prodotti.290 Considerando la natura multimediale e

intermediale di Flight Paths, lo si potrebbe ragionevolmente collocare in prossimità del

287 Sui risvolti ironici del mimetismo si veda ad esempio: Alessandro Corio, “Contagio postcoloniale e mercificazione della marginalità : Per una genealogia critica del discorso della contaminazione.” «Trickster - Rivista del Master in Studi Interculturali», No. 4, Padova: Università degli Studi di Padova, 2008. Web. 07-06-2011. <http://www.trickster.lettere.unipd.it/numero/rubriche/ricerca/corio_postcolonial/corio_postcolonial.html>.

288 Benzon 2007.289 Peppino Ortoleva, Mediastoria : Comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo,

Parma - Milano: Pratiche Editrice c1995, p. 30.290 Ibidem.

140

centro della mappa di McLaughlin, dato che in esso vengono utilizzate forme di

espressione diverse. In questo senso, è possibile cercare di approfondire alcune

considerazioni di Sue Thomas inerenti al rapporto tra utenti e nuove tecnologie che è alla

base del concetto di transalfabetismo. Thomas traccia ad esempio un quadro teorico

sintetico da utilizzare per sviluppare un'etnografia del transalfabetismo. In primo luogo,

la studiosa adotta la nozione di lifeworld, introdotta in origine da Edmund Husserl

(«Lebensewelt», “il mondo come è vissuto”) e successivamente sviluppata da Maurice

Merleau-Ponty e da studiosi della filosofia dei nuovi media quali Philip Agre e Ian

Horswill. Secondo Thomas, il lifeworld può essere così definito: «The combination of

physical environment and subjective experience that makes up everyday life».291 In

questo senso, Agre e Horswill spiegano come il lifeworld non coincida soltanto con un

ambiente fisico, ma anche con una sorta di traiettoria del soggetto attraverso di esso:

Cats and people, for example, can be understood as inhabiting the same physical environment but different lifeworlds. Kitchen cupboards, window sills, and the spaces underneath chairs have different significances for cats and people, as do balls of yarn, upholstery, television sets, and other cats. Similarly, a kitchen affords a different kind of lifeworld to a chef than to a mechanic, though clearly these two lifeworlds may overlap in some ways as well. A lifeworld, then, is not just a physical environment, but the patterned ways in which a physical environment is functionally meaningful within some activity.292

Thomas si domanda di quale natura possano essere queste «patterned ways» in quello

che definisce un «transliterate lifeworld»: «The transliterate lifeworld is highly

subjective, diverse and complicated. It is not one kind of place, but many — an ecology

which changes with the invention of each new media-type. Yet a story is always still a

story, whether it is told whilst walking down the street, printed in a book, or twittered

across the Internet».293 Per questo motivo addotta la teoria dei buchi strutturali

(structural holes) proposta da Ronald Burt. L'informazione è la sostanza dei buchi

strutturali, che vengono attraversati da reti di connessioni tra i vari utenti. Se

consideriamo le reti di comunicazione come dei continenti e gli spazi che intercorrono tra

di esse come degli oceani, secondo Burt, gli individui che hanno delle connessioni

attraverso gli spazi (gli oceani) che sono posti tra le reti (i continenti) sono

maggiormente inclini ad avere delle buone idee rispetto a persone che sono inserite in reti

291Sue Thomas, “Transliteracy and New Media,” in Randy Adams – Steve Gibson – Stefan Müller Arisona (a cura di), Transdisciplinary Digital Art : Sound, Vision and the New Screen, Berlin – Heidelberg: Springer, 2008, pp. 101-109; pp, 104-107.

292 Philip Agre and Ian Horswill, “Lifeworld analysis,” «Journal of Artificial Intelligence Research», Vol. 6, 1997, pp. 111–145.

293 S. Thomas 2008, 108.

141

profondamente interconnesse, ma chiuse.

Fig. 5 - Transliteracy in the network294

Nell'immagine, Robert e James sono inseriti nella medesima rete (B), anche se Robert

ha instaurato delle connessioni con altre reti (A, C, D). Secondo Thomas, un buco

strutturale è una zona di trasformazione e d'innovazione, poiché è costituito da frammenti

d'informazione che hanno perduto il loro contenitore originario. Robert non agisce

all'interno di un buco strutturale, ma “vola” sopra di esso, senza considerarlo. A

differenza di Robert, una persona come Jill, opera all'interno di questi oceani

d'informazione dispersa:295

Jill works with content that has escaped its container. She exists in the structural hole itself [...] She is a freewheeler, a consultant or some such, maybe she lives out of a suitcase, or perhaps she lives out of Facebook, or possibly she stays in one place and people come to her. What makes Jill different from Robert is that she is a permanent resident inside the structural hole. Transliteracy is the place she calls home. Not everyone is comfortable in transliterate space. It is transient (of course). It is uncertain, confusing, overwhelming, and frustrating. […] It is in the nature of the beast that new holes are continually opening up.296

Flight Paths può essere considerato come un'opera letteraria situata all'interno di uno

di questi oceani d'informazione dispersa. Di fatto, l'opera nel suo insieme opera in

maniera simile a “Jill” nell'esempio proposto da Thomas. Uno degli obiettivi principali

del progetto di Pullinger e Joseph sembra infatti essere l'aggregazione di informazioni

eterogenee che sono fuoriuscite da altri contenitori, come ad esempio gli articoli di

294 Thomas 2008, 105.295 Ibidem, 105-107.296 Ibidem. Corsivo aggiunto.

142

giornale o le immagini disseminate per la rete che hanno un'attinenza con la vicenda

narrata e che vengono poi riutilizzate per accrescere e sviluppare il romanzo. Non è

rilevante auspicare o meno che un progetto dotato di questa impostazione coincida con il

“novum letterario” del futuro. Sicuramente, si tratta di un esperimento tramite il quale

sono state individuate delle modalità d'interazione vantaggiose e immediate tra l'opera

letteraria e il suo contesto, riunite in un medesimo spazio e fruibili nell'arco di un'unica

esperienza. Il lettore è così stimolato a procedere con la creazione autonoma di un

pattern di lettura, che si articola attraverso un filtraggio delle informazioni contenute nel

database e un continuo confronto con la narrazione principale.

Phillip Wegner suggerisce come il processo di “pattern recognition” possa essere

considerato ciò che il romanziere tenta effettivamente di proporre attraverso la sua opera,

tracciando uno schema interpretativo attraverso la connessione dei “nodi” che

compongono la realtà. Se la missione di Cayce Pollard è quella di riconoscere un

pattern297, allo stesso modo, «the novelist’s task shifts to one of pattern recognition, a

mapping of broader trends and directions in which our global situation tends».298 In tal

senso, si può aggiungere, il pattern attualizzato dallo scrittore e la navigazione del lettore

all'interno dello spazio narrativo si oppongono alla randomness, al database non ordinato

di dati che spesso queste recenti opere di narrativa includono al loro interno. Di

conseguenza, il “pattern recognition” diviene un processo fondamentale sulle cui basi

vengono impostati romanzi come Infinite Jest e Pattern Recognition, che così si

oppongono, più o meno esplicitamente, al miraggio di un “novum” assoluto (o meglio,

parafrasando Bloch, di un «ultimum»)299 utopisticamente in grado di permettere una

fruizione totalmente appagante o una cognizione completa della realtà. La logica che è

alla base della dialettica tra pattern e randomness sembrerebbe animare anche Flight

Paths e Only Revolutions. Nel primo caso, viene infatti richiesto all'utente di costruire

continuamente un proprio percorso informativo in mezzo al “disordine” di informazioni

aggregate all'interno del database associato al romanzo o collegate ad esso attraverso dei

link. In maniera simile, la struttura del romanzo di Danielewski invita i lettori a costruire

un percorso di lettura che preveda una correlazione costante tra le informazioni che sono

presenti in parti diverse del testo e addirittura al di fuori di esso, come testimonia la

diffusa tendenza, comune tra i lettori e gli studiosi di questo romanzo, ad andare a cercare

su Internet le informazioni di cui necessitano per la comprensione dei vari riferimenti.

297 «What I do is pattern recognition. I try to recognize a pattern before anyone else does.» (PR 88).298 Wegner 2007, 188.299 «The Ultimum represents the last, i.e. the highest newness». Bloch, 1986, 203.

143

L'idea della ricognizione del pattern prevede inoltre una concezione di opera letteraria

apparentemente simile al concetto di «cognitive mapping» proposto da Fredric Jameson,

che tuttavia sembrerebbe animato da intenzioni differenti. Secondo Jameson, nel corso

del periodo storico che coincide con il tardo capitalismo, l'individuo ha perso

progressivamente la capacità di localizzare se stesso all'interno di rappresentazioni

spaziali sempre più indefinite della totalità socio-culturale in cui è inserito:

[…] This latest mutation in space -- postmodern hyperspace -- has finally succeeded in transcending the capacities of the individual human body to locate itself, to organize its immediate surroundings perceptually, and cognitively to map its position in a mappable external world. It may now be suggested that this alarming disjunction point between the body and its built environment -- which is to the initial bewilderment of the older modernism as the velocities of spacecraft to those of the automobile -- can itself stand as the symbol and analogon of that even sharper dilemma which is the incapacity of our minds, at least at present, to map the great global multinational and decentered communicational network in which we find ourselves caught as individual subjects.300

Al fine di analizzare appropriatamente questo «postmodern hypespace», Jameson

propone di conseguenza una tipologia di forma artistica basata sull'attività di «cognitive

mapping», vale a dire «a pedagogical political culture which seeks to endow the

individual subject with some new heightened sense of its place in the global system».301

The new political art (if it is possible at all) will have to hold the truth of postmodernism, that is to say, to its fundamental object – the world space of multinational capital – at the same time at which achieves a breaktrhough to some as yet unimaginable new mode of representing this last, in which we may again begin to grasp our positioning as individual and collective subjects and regain a capacity to act and struggle which is at present neutralized by our spatial as well as our social confusion.302

«To regain a capacity to act and struggle»: per Jameson questa capacità rappresenta

l’essenza stessa del procedimento di tracciatura delle mappe cognitive. La fiction

postmodernista303 attua esattamente questo procedimento: traccia un’accurata mappa

cognitiva degli effetti del postmodernismo, diagnostica la natura iperreale e consumista

della società e della cultura, la frammentazione del soggetto, il cinismo e il disincanto,

sperando così di incrementare la consapevolezza del lettore nei confronti di tali problemi.

Tale metodo viene ormai considerato da diversi autori come progressivamente

300 Fredric Jameson, Postmodernism or The Cultural Logic of Late Capitalism, Durham: Duke University Press, 1992, 43.

301 Ibidem, 54.302 Jameson 1992, 54. Corsivo aggiunto.303 Cfr. § 0.

144

insufficiente, giacché non consiste in una terapia costruttiva e non propone “istruzioni”

per vivere meglio e trovare dialetticamente la propria posizione nella complessità del

reale. Come sostiene Wallace, nell’ambito della critica del postmodernismo e della

narrativa postmoderna, «it was assumed that etiology and diagnosis pointed toward cure,

that a revelation of imprisonment led to freedom»304. In questo senso, la proposta di

Jameson potrebbe essere considerata come un sintomo di parziale rassegnazione

intellettuale, nel comprendere come la valenza critica dell’arte sia impossibilitata a

cambiare la cultura, a fornire nuove direzioni per vivere in una realtà sociale sopraffatta

dall’iperrealtà e dal mercato. Ciò che contraddistingue il pensiero di Jameson dalle teorie

di altri intellettuali è tuttavia la rassegnazione, il non riuscire ad individuare altra terapia

che non sia quella che, ad esempio Romano Luperini, in aperta polemica con Jameson,

definisce «un nichilismo morbido e soddisfatto, insensibile alla cura del mondo»305 o che

Brian Nicol ritiene una strategia “omeopatica”: «[Jameson’s] solution is to attempt a kind

of counter totalisation, by which he can outdo the totalising impulses of late capitalism

through the process of what he calls ‘cognitive mapping’, that is the dogged effort to

locate and classify all its cultural effects».306

Il concetto di «cognitive mapping» prevede l'ammissione di un sublime postmoderno

e tecnologico totalizzante, da classificare e conoscere al fine di mantenere la coscienza

della propria soggettività individuale e collettiva all'interno di esso. Nonostante la

somiglianza lessicale tra le due definizioni, l'idea di «pattern recognition» sembrerebbe

invece maggiormente caratterizzata da una dinamica cognitiva attiva, adottata da autori,

personaggi e lettori impegnati a costruire positivamente un determinato percorso di

conoscenza. In seno alle differenze che sussistono tra queste due impostazioni teoriche,

acquisisce una forte rilevanza l'idea di “connessione”, che influenza non soltanto le

poetiche delle opere letterarie prese in esame, ma anche le loro strutture. In particolare,

Infinite Jest, Only Revolutions e The Unknown possono essere considerati due validi

strumenti di analisi. Nei prossimi paragrafi si cercherà quindi di comprendere in quale

modo questi ultimi due romanzi esprimano nei confronti della randomness due concetti

quasi antitetici come quelli di infinito e di ignoto, che tuttavia risultano entrambi

profondamente correlati all'idea di un insistente collegamento dei dati, delle informazioni

304 David Foster Wallace, “E Unibus Pluram: Television and U.S. Fiction,” in A Supposedly Fun Thing I’ll Never Do Again: Essays and Arguments, Boston: Little, Brown and Company, 1987, pp. 66-67.

305 Romano Luperini, La fine del postmoderno, Napoli: Guida, 2005, p. 11.306 Brian Nicol, “The Postmodern Condition : Introduction”, in Postmodernism and the contemporary

novel. A reader, Edinburgh: Edinburgh University Press, 2002, 13-18; 14. Nella sua introduzione alle teorie concernenti il Postmodernismo, Nicol considera la proposta di Jameson (insieme a quella di Jean Baudrillard) a «kind of 'homeopathic' or 'fatal' strategies». Anche Hans Bertens definisce le strategie di Jameson delle «homeopathic measures». Cfr. Bertens 1995, 239.

145

e, di conseguenza, dei segmenti narrativi che compongono il testo.

In un articolo pubblicato nel 1999,307 Katherine Hayles, al fine di analizzare lo

sviluppo dei concetti di individualismo possessivo ricorsività e interdipendenza nel

contesto culturale occidentale, utilizza, accanto ad Infinite Jest, una seconda fonte

primaria, vale a dire un insieme di teorie sviluppate da Charles Ostman negli anni

Novanta riguardanti alcuni software intelligenti adibiti alla ricerca e al filtraggio delle

informazioni. L'obiettivo di Hayles è quello di dimostrare l'essenzialità della nozione di

interdipendenza a livello sociale e mediatico. Prima di approfondire quest'ultimo punto, è

necessario constatare anticipatamente come già verso la fine degli anni Novanta, un

romanzo come quello scritto da Wallace venga implicitamente accostato al

funzionamento delle intelligenze artificiali. Qualche anno dopo, nel 2002, Joseph Tabbi

pubblica Cognitive Fictions, saggio in cui le dinamiche cognitive articolate all'interno di

alcuni recenti esempi di fiction letteraria statunitense vengono illustrati facendo leva su

alcuni concetti tipici della cibernetica e dello studio degli esseri viventi, in particolare

sulla nozione di autopoiesi.308 I libri non parlano e non camminano materialamente tra

noi, come nel caso degli “uomini-libro” descritti nelle pagine finali del noto romanzo

Fahrenheit 451 (1953) di Ray Bradbury, tuttavia, tra la fine degli anni Novanta e l'inizio

del nuovo millennio, i paragoni tra l'organizzazione interna delle opere letterarie e il

funzionamento delle intelligenze biologiche o artificiali diventano sempre più insistenti.

Un ulteriore sviluppo della trattazione coinciderà con il tentativo di comprendere come

mai tali accostamenti tra prosa narrativa e intelligenza artificiale stiano trovando un

terreno sempre più fertile all'interno della teoria letteraria e in quale modo il romanzo

possa proporre anche una rivalutazione dell'idea di dialogo tra testo e lettore.

307 Katherine Hayles, “The Illusion of autonomy and the Fact of Recursivity: Virtual Ecologies, Entertainment, and Infinite Jest,” «New Literary History», No. 3, summer 1999, 1999b, pp. 675-697; pp. 683-684.

308 Cfr. § 4.

146

§ 3.3 Romanzo e complessità

Al fine di introdurre adeguatamente i concetti di connessione narrativa e il

parallelismo tra narrazione e intelligenza artificiale è possibile citare un paragone

suggerito da Richard Powers nel corso di un'intervista rilasciata nel 2007:

[The] entire construction of the unitary self is a fabrication. There are literally two or three hundred different kinds of independent processing modules distributed in the brain, interacting in ways that produce and sustain the emergence of consciousness. […] The books also function as complex, distributed systems: one voice inside a whole may insist, “Listen to me, I’m the head.” Another says, “Listen to me, I’m the heart.” Yet another says, “Listen to me, I’m the body, the sex drive,” or “Trust to me, I’m the historical repository of memory and wisdom.” We are complicated, we are fractured, we are multiple, we are reciprocal feedback processes constantly turning back on themselves, reinventing themselves, reconstructing. So, why shouldn’t a book be as complicated as a human being? Why shouldn’t it, on occasion, assert different kinds of ways of knowing the world? None of these ways is sufficient unto itself; only the conversation matters. [...] Fiction always knows the world through situated, focalized, shared, distributed, reciprocal processes.309

I punti di contatto riscontrati da Powers tra il funzionamento del cervello umano e

l'organizzazione dell'opera narrativa vertono su alcuni concetti fondamentali come quelli

di stratificazione, connessione, interdipendenza e “conversazione.” In tal senso, lo

scrittore statunitense traccia un esplicito paragone tra i romanzi e i sistemi complessi. Nel

corso degli ultimi decenni, lo studio della “complessità” ha valicato l'ambito scientifico

per radicarsi, con un impatto teoretico ed empirico sempre più imponente, nel contesto

delle scienze umane, e ha dato luogo a un vero e proprio «complexity turn» che ha

coinvolto sociologia, economia, geografia, storia, filosofia e numerose altre discipline.310

Come osserva il sociologo John Urry:

For the social and cultural sciences, complexity analyses bring out how there is order and disorder within these various systems. In particular, we can see how the global order is a complex world, unpredictable and irreversible, disorderly but not anarchic. And elements of that disorderly world are mobile and transmuting notions of complexity science unpredictably emerging and holding a shape as they sweep into and transmute one discipline after another […].311

309 Jean-Yves Pellegrin, intervista a Richard Powers, “Only the Conversation Matters'”, «European Journal of American Studies» (EJAS), No. 1, 2007, Web. 27-04-2009. <http://ejas.revues.org/document1145.html>.

310 Cfr. John Urry, “The Complexity Turn”, «Theory, Culture and Society», Vol. 5, No. 22, 2005, pp. 1-14; p. 3.

311 Ibidem, p. 12.

147

Secondo Paul Cilliers, nonostante risulti molto difficile fornire una definizione precisa

e universalmente accettabile di “complessità”, la proposta migliore è quella del sociologo

Niklas Luhmann, secondo il quale un sistema può essere definito “complesso” nel

momento in cui al suo interno vi sono più possibilità di quelle che possono essere

attualizzate. In questo senso, il termine “complesso” ha un significato differente

dall'aggettivo “complicato”. Ad esempio, il cervello umano, l'ecosistema terrestre, i

sistemi sociali ed economici sono a tutti gli effetti definibili come “complessi”, in quanto

sono in grado di adattarsi, organizzarsi ed evolversi nel corso del tempo; inoltre, sono

costituiti da un vasto numero di elementi, nessuno dei quali contiene un tasso

d'informazione sufficiente a descrivere il funzionamento dell'intero sistema o a

contenerne l'intero significato, che risulta distribuito all'interno dell'intero sistema. In

maniera più dettagliata, Cilliers individua alcune caratteristiche principali che

contribuiscono a rendere un sistema complesso.

· Si tratta di un sistema composto da un vasto numero di elementi e di conseguenza

risulta difficile attuare una descrizione formale del sistema.

· Si verifica un'interazione dinamica tra gli elementi del sistema. Un sistema

complesso cambia nel corso del tempo. Ad esempio, i granelli di sabbia che

compongono una spiaggia sono un sistema complicato, mentre la maionese che

impazzisce è un sistema complesso. Tale interazione può essere fisica oppure può

essere intesa nei termini di un trasferimento d'informazione.

· È presente una ricca interazione tra i vari elementi del sistema. Ogni elemento

influenza ed è influenzato da un certo numero di altri elementi.

· Le interazioni tra i vari elementi non sono lineari. Un sistema composto da

elementi non-lineari non può essere ridotto ad un sistema più semplice.

· L'informazione o l'energia veiene trasferita principalmente da un determinato

elemento a quelli più vicini a quest'ultimo. Ciò non esclude un'influenza indiretta

tra elementi distanti tra loro.

· Le interazioni sono caratterizzate da loop. Questi feedback possono essere

positivi (incremento/stimolo) o negativi (decrescita, inibizione).

· I sistemi complessi sono solitamente dei “sistemi aperti”, di conseguenza

interagiscono con l'ambiente in cui sono inseriti. Risulta quindi difficile

identificare i confini di un determinato sistema e, in tal senso, il ruolo

dell'osservatore diventa rilevante.

· Vi deve essere un costante flusso di energia in grado di alimentare

148

l'organizzazione del sistema.

· I sistemi complessi sono caratterizzati da una storia, che è un parametro

essenziale per una loro analisi. Non soltanto questi sistemi si evolvono nel corso

del tempo, ma il loro passato è co-responsabile del loro status presente.

· Ogni singolo elemento presente all'interno del sistema ignora il funzionamento

dell'intero sistema. Secondo Cilliers, questa è una delle caratteristiche più

importanti di un sistema complesso. La complessità emerge dalle interazioni tra i

singoli elementi. Se un elemento singolo contenesse in qualche modo la

consapevolezza del funzionamento dell'intero sistema, ne conterrebbe anche

l'intera complessità: tale ipotesi sarebbe di stampo metafisico o denoterebbe in

ogni caso una capacità che trascende i limiti fisici del singolo elemento.312

Vorrei a questo punto introdurre due astrazioni alquanto note, in maniera tale da

comprendere come si articoli il rapporto tra complessità e rappresentazione della

complessità e come il concetto di connessione e l'influsso culturale delle nuove

tecnologie abbiano influenzato alcuni esempi recenti di prosa romanzesca. All'interno del

capitolo introduttivo si è accennato alle teorie di Harold J. Morowitz e di Theilard de

Chardin inerenti l'emergenza di successivi stadi di complessità nel corso della storia, tra i

quali figurano, ad un livello di massima espansione della complessità, la biosfera e la

noosfera, intese rispettivamente come la somma globale di tutti gli ecosistemi e come un

utopico status in cui tutti gli esseri intelligenti sarebbero riuniti a livello globale in

un'unica intelligenza collettiva.313 In particolare, all'interno di questo contesto teorico è

possibile considerare lo studio Gaia : A New Look at Life on Earth (1979), in cui lo

scienziato James Lovelock, sostiene che la biosfera possa essere paragonata al

funzionamento di un essere vivente e di un sistema complesso al contempo: «'the Earth's

living matter, air, oceans, and land surface form a complex system which can be seen as a

single organism and which has the capacity to keep our planet a fit place for life'».314

Alcuni anni dopo la pubblicazione dello studio di Lovelock, l'ipotesi di Gaia viene

ripresa e – si può sostenere – coniugata con il concetto di noosfera da Isaac Asimov nel

romanzo fantascientifico Foundation and Earth (1986), in cui il protagonista Golan

Trevize, viaggiando nello spazio, giunge a visitare «Gaia», un singolare pianeta la cui

peculiarità principale risiede nel fatto di essere non soltanto un mondo come tutti gli altri,

312 Cilliers 1998, 5.313 Cfr. § 0, p. 7.314 John Lovelock, Gaia : A New Look at Life on Earth, New York: Oxford University Press, 1979, p. viii;

cit. in: Tom LeClair, The Art of Excess. Mastery in Contemporary American Fiction, Urbana and Chicago: University of Illinois Press, 1989, p. 42.

149

ma anche un superorganismo: la molteplicità delle sue parti – le piante, gli insetti, gli

animali, gli esseri umani e persino le rocce e l’atmosfera – costituiscono un unico essere

vivente dotato «di una mente e una personalità in comune».315 Tra un sub-organismo e

l’altro non esistono frontiere di sorta: chiunque è biologicamente capace di attingere da

una memoria comune e di condividere decisioni, informazioni e sentimenti con l’intero

sistema. Trevize è dotato dell’innaturale e straordinaria capacità di avere sempre ragione,

di prendere sempre la decisione giusta, anche senza disporre di un insieme completo di

dati a sua disposizione. Interrogato da Gaia in merito a quale possa essere la sorte

migliore possibile per l’intera galassia, questo personaggio decide che il miglior destino

per quest’ultima debba essere, con l’aiuto di Gaia, la sua trasformazione in «Galaxia», un

organismo simile a Gaia, ma ancora più vasto ed onnicomprensivo. Trevize è sicuro

dell’infallibilità della sua scelta, anche se non riesce ad apprezzare pienamente tale

destino: «If I were part of Gaia, then no matter how ideally the planet was devised to suit

me, I would be greatly disturbed over the fact that I was also being devised to suit it».316 Il

protagonista comprende che l’ipotesi di un totale abbattimento dei confini che separano

tra loro i vari esseri umani si rivelerebbe al contempo un’utopia e una distopia, una

perfezione biologico-culturale e un «destino spaventoso»317 che distruggerebbe ogni

possibile tipologia d’individualità. Asimov – è indubbio – scrive opere di fantascienza,

non romanzi concernenti la realtà contingente del mondo contemporaneo, tuttavia

l’ipotetico esito finale da lui immaginato suggerisce come in ogni animo umano sia insita

in primo luogo una propensione all’annullamento armonico di ogni separazione con

l’Altro ed in secondo luogo una forte aspirazione a preservare la propria indipendenza.

Ogni forma di limite – sia esso fanta-biologico, culturale, sociale o geografico – suscita

desiderio e timore. Asimov immagina un'utopia che presenta dei punti di contatto

insistenti con l'attualità di uno scenario globale (o quantomeno occidentale) caratterizzato

da una molteplicità dell'informazione che appare sempre più senza limiti. Questa

estremizzazione utopica dell'idea di complessità porta anche a chiedersi in quale modo

possa svilupparsi la pratica della rappresentazione letteraria man mano che si tende,

senza mai raggiungerlo, verso quest'orizzonte ipotetico. All'interno di una noosfera come

quella immaginata da Asimov, ad esempio, non vi sarebbe alcun bisogno di leggere delle

rappresentazioni: l'intero sistema risulterebbe infatti già presente a se stesso, e le varie

315 «A whole planet with a mind and personality in common». Isaac Asimov, Foundation and Earth (1986), New York: Ballantine Books, 1987, p. 4; [trad it. di Piero Anselmi, Fondazione e terra, Milano: Mondadori, 1987, p. 14].

316 Ibidem, p. 25; [p. 31].317 «[A] dreadful fate for humanity». Ibidem, p. 15; [p. 33].

150

parti condividerebbero una memoria ed una coscienza condivisa che renderebbe

superfluo ogni tentativo di elaborazione narrativa. Considerare criticamente questo

ragionamento per assurdo porta a chiedersi:

(1) Come si articoli la minaccia ai limiti della nostra individualità e in quale modo

essa influisca sulla pratica della rappresentazione letteraria;

(2) Se la narrazione, tentando di rimanere al passo con la complessità dell'ambiente

che cerca di descrivere e riformulare attraverso la finzione letteraria, non

diventerà sempre più complessa, sempre più densa di informazioni, sempre più

disordinata nella disposizione dei contenuti all'interno della sua struttura e di

conseguenza sempre più simile alla vita che cerca di rendere presente attraverso

la finzione letteraria.

1) Al fine di approfonire le implicazioni inerenti il primo dei due interrogativi, è possibile

citare la comparazione attuata da Tom LeCLair tra l'ipotesi di Gaia sviluppata da

Lovelock e la poetica di Gravity's Rainbow (1973) di Thomas Pynchon. Secondo

LeClair, quest'ultimo romanzo inaugura una serie di «systems novels» angloamericani

pubblicati a partire dagli anni Settanta, che comprende opere quali Something Happened

di Joseph Heller, JR (1975) di William Gaddis, The Public Burning (1979) di Robert

Coover, Women and Men di Joseph McElroy (1987), LETTERS (1979) di John Barth,

Always Coming Home di Ursula LeGuin e i romanzi di Don DeLillo (da Americana del

1971 sino ad arrivare a White Noise, pubblicato nel 1985).318 Come scrive LeClair:

Systems novels work the two extremes of low and high information, redundancy and overload, to register the contemporary significance of information, to represent the kinds of information that are used to master man and, ultimately, to make the reader think about all information in systems terms. Because the scale of information has increased in recent decades, the dominant strategy in systems novels is, at least initially, overload.319

Nel 1989 LeClair si rifà alle teorie dei sistemi aperti inizialmente sviluppate dallo

scienziato Ludwig Von Bertalanffy, che presentano diversi punti di contatto con l'insieme

delle proprietà dei sistemi complessi riassunte e analizzate una decade dopo da Cilliers.

Si tratta di sistemi “viventi”, di processi dinamici in grado di auto-evolversi, di auto-

organizzarsi e di combinare energia e informazione in relazioni reciproche e

318 Cfr. LeClair, 1989 e anche Tom LeClair, In The loop. Don DeLillo and The Systems Novel, Urbana and Chicago: University of Illinois Press, 1987.

319 LeClair 1989, 14.

151

caratterizzati da una complessità organizzata.320 LeClair accosta di conseguenza la

ridondanza e la molteplicità dell'informazione321 tipiche di alcuni romanzi della

postmodernità ad alcune caratteristiche proprie dei sistemi complessi, giungendo a

sostenere che queste opere narrative siano state in primo luogo ispirate da determinate

teorie sceintifiche e che, in secondo luogo, la loro stesura fosse finalizzata a descrivere i

differenti sistemi complessi dello scenario culturale, sociale e mediatico. In tal senso,

Gravity's Rainbow – opera pubblicata pochi mesi dopo Gaia di Lovelock – presenta

alcuni temi che richiamano l'ipotesi Gaia. A titolo esemplificativo, LeClair cita un brano

del romanzo in cui emerge con evidenza il tema del progressivo distaccarsi dell'essere

umano dall'ecosistema terrestre:

… human consciousness, that poor cripple, that deformed and doomed thing, is about to be born. This is the World just before men. Too violently pitched alive in constant flow ever to be seen by men directly. They are meant only to look at it dead, in still strata, transputrefied to oil or coal. […] So we, the crippled keepers, were sent out to multiply, to have dominion. God's spoilers. Us. Counterrevolutionaries. It is our mission to promote death. The way we kill, the way we die, being unique among the Creatures. It was something we had to work on, historically and personally. To build from scratch up to its present status as reaction, nearly as strong as life, holding down the green uprising. But only nearly as strong.322

L'essere umano è un «custode menomato», un «controrivoluzionario» della

complessità, un creatore di morte dello stesso sistema integrato di cui fa parte e che cerca

di dominare. Per LeClair il romanzo di Pynchon può quindi essere letto come una sorta di

resoconto della progressiva alienazione dell'essere umano dalla sua simbiosi con il

pianeta terra, inteso come un panorganismo simile a Gaia. Di conseguenza, molti

passaggi del romanzo di Pynchon «remind us [...] that Earth and humans correspond to

320 In particolare, Ludwig Von Bertalaffy insiste sulla nozione di «complessità organizzata». Come osserva Cilliers in un contesto più generale della teoria dei sistemi complessi, uno scienziato come Wilden, pone ad esempio l'accento sull'organizzazione dei sistemi complessi, al fine di evitare una sovrapposizione problematica tra la nozione di complessità e quella di caos: «Complex systems are constrained, they have an organised structure, but within those constraints the system has to diversify maximally. The study of complexity, once neglected, can now be approached in a scientific way». Cilliers, 1998, 127; cfr. anche Ludwig Von Bertalanffy, General Systems Theory: Foundation, Developments, Application, New York: Braziller, 1968; Anthony Wilden, The Rules are No Game: The Strategy of Communication, London: Routledge and Kegan Paul, 1987, p. 309.

321 Anche John Johnston utilizza un canone di romanzi molto simile a quello proposto da LeClair (oltre ai capitoli dedicati a DeLillo, Pynchon, Gaddis e McElroy, sono rilevanti le analisi di Neuromancer di William Gibson e di Synners della scrittrice di fantascienza Pat Cadigan) per descrivere l'emergere di quelli che definisce dei «novels of information multiplicity»: «Taking information and the new technological communications assemblages as their primary concern, these novels of information multiplicity, as I call them, engage us with various kinds of multiplicity, both by registering the world as a multiplicity and by articulating new multiplicities through novel orderings and narrativizations of heterogeneous kinds of information». John Johnston, Infomation Multiplicity. American Fiction in the Age of Media Saturation, Baltimore and London: The John Hopkins University Press, 1998, p. 3.

322 Thomas Pynchon, Gravity's Rainbow, New York: Viking, 1973, p. 720; cit. in LeClair 1989, 43.

152

each other; that Earth is our home, that the systems of Earth should be our basic model of

value; and that what Locelock calls Gaia is the fundamental model of relations in

Gravity's Rainbow».323

Nel romanzo di Pynchon si registra una scissione “originale” e, nel corso della storia,

progressiva dell'essere umano dalla comunione naturale con la biosfera. La

rappresentazione di questo fenomeno è un caso particolare che rientra all'interno di una

più ampia tendenza a considerare in maniera problematica il rapporto con la complessità.

In questo senso, anche i sistemi sociali, economici e mediatici che risultano complessi

vengono spesso interpretati come una minaccia nei confronti dell'autonomia del singolo.

Inoltre, la loro natura e il loro funzionamento sfuggono alle strategie cognitive razionali

messe in atto dagli individui. Ad esempio, all'interno del capitolo introduttivo è stato

citata la descrizione del cyberspazio presente nelle ultime pagine di Underworld di Don

DeLillo, in cui la Rete viene considerata dal narratore come una dimensione quasi

mistica che trascende le singole individualità per riunire in maniera quasi religiosa le

coscienze dei singoli: «Ci sono solo collegamenti. Tutto è collegato. Tutto il sapere

umano raccolto e collegato, ipercollegato».324 Altri esempi possibili sono le varie

declinazioni del sublime tecnologico delineate nel corso dei paragrafi precedenti, in cui i

vari sistemi di comunicazione umana subiscono un processo di “hardwarizzazione”, tanto

da risultare sempre più incomprensibili ed irrappresentabili per coloro che li utilizzano.325

In altre parole, in Gravity's Rainbow e in molti altri romanzi dell'eccesso, ciò che è

complesso viene interpretato come sublime e le uniche modalità che sembrano funzionali

al fine di relazionarsi con la complessità sono caratterizzate dal ricorso alla tessitura di

connessioni paranoiche o a pratiche di stampo mistico e visionario:

Pynchon suggests that the systemic processes of Gaia require humans to learn, teach, and act anew. Once again, it is through hallucination […] and mystical terms defines a new “planetary mission,” thinking in the terms and scale of systems […]. Lacking the ability to understand the Earth as a complete whole, man must be content to simulate an incomplete conceptual model through, Pynchon suggests, a plenitude of linked analogies—which is the method of systems thinking, Gravity's Rainbow, and the other novels of excess.326

Questa «plenitude of linked analogies» è ad esempio evidente in White Noise (1985)

di Don DeLillo, anch'esso annoverato da LeClair nell'insieme dei romanzi “sistemici” da

323 LeClair 1989, 43.324 «There are only connections. Everything is connected. All human knowledge gathered and linked,

hyperlinked». DeLillo 1997, 825; [878].325 Cfr. § 0, pp. 15-16.326 LeClair 1989, 45.

153

lui analizzati. Uno dei protagonisti, Jack Gladney, riesce a scorgere delle connessioni

segrete anche negli oggetti più comuni, come ad esempio i rifiuti presenti all'interno di

un bidone dell'immondizia.

There was a long piece of twine that contained a series of knots and loops. It seemed at first a random construction. Looking more closely I thought I detected a complex relationship between the size of the loops, the degree of the knots (single or double) and the intervals between knots with loops and freestanding knots. Some kind of occult geometry or symbolic festoon of obsessions. I found a banana skin with a tampon inside. Was this the dark underside of consumer consciousness? 327

L’atteggiamento di Gladney può essere considerato come una manifestazione evidente

di «dietrologia», termine che in Underworld (romanzo pubblicato da DeLillo nel 1998)

viene riportato in italiano nel testo per definire «la scienza di quello che sta dietro a

qualcosa».328 Tuttavia, proprio in Underworld, un personaggio come Nick Shay, in una

seconda fase della sua vita, decide di rifiutarsi di seguire questa particolare “scienza.”

Questa convinzione è immediatamente riscontrabile se si analizza il rapporto che il

personaggio intrattiene con i rifiuti. Nick è un analista dei rifiuti, che si occupa di

riciclare nel miglior modo possibile ogni tipologia possible di scarto. Questa attitudine si

riflette anche nella sua quotidianità, rivelando un’abitudine a disporre le cose secondo un

determinato ordine, addirittura sin dall’acquisto. Mentre in White Noise la famiglia

Gladney subisce una profonda fascinazione causata dalle confezioni sgargianti dei

prodotti acquistati al supermercato, al contrario Nick Shay e la sua famiglia tendono a

vedere «i prodotti in termini di spazzatura anche quando luccica sugli scaffali dei negozi,

ancora invenduti».329 Gladney tenta di sfogare le proprie angoscie buttando via le cose, in

un compressore per rifiuti o direttamente fuori dalla porta di casa: «C’era un’immensa

quantità di cose, un peso travolgente, una connessione»330. Il protagonista di White Noise

si sente a disagio nei confronti della grande quantità di materia che lo circonda: gli

oggetti quotidiani sono indistinti, privi di valore o simboli di connessioni segrete e

preoccupanti. Nick Shay desidera invece instaurare un rapporto di conoscenza nei

confronti dei particolari del mondo, tentando di creare concatenazioni di significato, di

conoscere i singoli oggetti e di entrare in rapporto con essi, prima di restituirli al flusso

327 DeLillo 1985, 259.328 « – “There's a word in Italian. Dietrologia. It means the science of what is behind something. A

suspicious event. The science of what is behind an event.”». DeLillo 1997, 280; [296-297].329 «Marian and I saw products as garbage even when they sat gleaming on store shelves».DeLillo 1997,

121; [127].330 «There was an immensity of things, an overburdening weight, a connection». DeLillo 1985, 262;

[313]. Corsivo aggiunto.

154

incessante della materia che donerà loro una nuova forma sconosciuta.

At home we removed the wax paper from cereal boxes. We had a recycling closet with separate bins for newspapers, cans and jars. We rinsed out the used cans and empty bottles and put them in their proper bins. We did tin versus aluminum. On pickup days we placed each form of trash in its separate receptacle and put the receptacles, from the Latin verb that means receive again, out on the sidewalk in front of the house. We used a paper bag for the paper bags. […] There is no language I might formulate that could overstate the diligence we brought to these tasks.331

Mentre Gladney espelle ciò che possiede e non conosce, Nick stabilisce con gli scarti

un rapporto di carattere cognitivo e razionale. Come spiega infatti Robert McMinn,

«Nick’s ritual of recycling forces him to think in certain ways, just as DeLillo’s montage

forces the reader to think about connections»332. Si tratta di relazioni coerenti che stridono

nettamente con gli atteggiamenti paranoici e “dietrologici” che, come si è visto, altri

personaggi assumono. Nick desidera procedere verso il sistema e soprattutto riconciliarsi

con esso, fare parte dei suoi cicli in modo compatibile. I rifiuti appaiono di conseguenza

come una metafora positiva di un approccio alla complessità che prevede la creazione di

connessioni fondate su uno schema elaborato dall'individuo al fine di stabilire un positivo

rapporto di conoscenza e interazione con i sistemi complessi di cui fa parte. In questo

senso, come osserva Robert McMinn sempre a proposito di Underworld: «The ritual of

the montage encourages us to connect everything in the same way that contemporary

scientific paradigms of uncertainty and chaos encourage us to take account of the

observer at the scene and sensitive dependence on initial conditions».333 In relazione a ciò,

come spiega Katherine Hayles, le ultime teorie dell’informazione ed alcune teorie

scientifiche sul caos hanno cominciato ad individuare nella randomness un terreno utile

per l’emergenza del pattern.334 In altri termini, il disordine rappresenta un terreno

favorevole per la comparsa e l’evoluzione di strutture complesse ed ordinate. Similmente,

il tentativo di Nick di creare il proprio percorso nel mondo in base all’esperienza può

essere considerato come una sorta di processo vivente che riordina la materia e le

informazioni con cui entra in contatto direttamente, senza basarsi su significati nascosti e

arbitrari o su presenze metafisiche razionalmente inaccessibili. Le sezioni di Underworld

ambientate negli anni Novanta sembrerebbero di conseguenza fondarsi su un’opposizione

331 DeLillo 1997, 102. 332 Robert McMinn, Underworld. Sin and Atonement, in DEWEY – KELLMAN – MALIN, Underwords. Perspectives on Don De Lillo’s Underworld, Newark: University of Delaware Press, 2002, pp. 37-49.333 Ibidem 2002, 43.334 Katherine N. Hayles, “Introduction: Complex Dynamics in Literature and Science,” in Hayles (a cura di), Chaos and Order. Complex Dynamics in Literature and Science, Chicago: University of Chicago Press, 1991, pp. 1-36; pp. 12-16.

155

tra «dietrologia» ed ecologia, due risposte radicalmente differenti al senso di disordine e

di interconnessione tipico del periodo della globalizzazione. Le nozioni di dietrologia,

apofenia335 e paranoia appaiono di conseguenza come sintomi di un approccio alla

complessità caratterizzato dall'alienazione descritta da LeClair e dal timore nei confronti

dell'“hardwarizzazione” della conoscenza descritto da Tabbi. Personaggi quali Cayce

Pollard in Pattern Recognition, Nick Shay in Underworld, e Don Gately in Infinite Jest,

mettono invece in atto un approccio differente, basato su una tessitura di schemi cognitivi

che permette loro di dialogare con i complessi sistemi materiali, sociali e mediatici,

anziché percepirli come delle presenze da cui sentirsi minacciati o di cui non è possibile

cogliere la complessità senza rimanere disorientati.336

2) Secondo LeCLair, un senso di disordine e d'interconnessione caratterizza non soltanto

l'approccio di alcuni personaggi alla complessità, ma anche l'orchestrazione discorsiva di

Gravity's Rainbow e di altri “romanzi dell'eccesso.” Tuttavia, secondo lo studioso

statunitense, mentre il senso di alienazione dalla totalità influenza profondamente

l'approccio dei singoli, è presente un'«integrazione sul piano globale del testo»337, che si

delinea attraverso il tentativo più o meno consapevole da parte degli autori di rendere

equivalenti i propri romanzi a dei veri e propri “sistemi.” Eppure, questo processo

d'integrazione posto in risalto da LeClair sottitende un problematico rapporto tra

complessità, interconnessione e organizzazione della struttura narrativa che necessita di

essere analizzato in maniera approfondita.

LeClair rintraccia, nei systems novels da lui analizzati, un tentativo di creare,

attraverso la prosa romanzesca, una sorta di mappa in scala 1:1 della complessità.

If one thinks of systems novels as figurative maps, the books are both exceedingly detailed and multiply coded for scale and proportion. Their massiveness is the novelists' response to the massive scale of contemporary life and power , which receives different treatment in each book.

To master the Earth as a cartographer would is to imitate it, provide an analog of it, an analog as close to a one-to-one scale of information as is possible and useful. This recognition of radically new and massive information in the world and the impulse to represent this information, are, I believe, the ultimate motives for the art of excess in Gravity's Rainbow and in the other novels examined here.338

LeClair non cita la nota pagina di Borges Del rigore nella scienza, in cui i Cartografi

creano una mappa dell'Impero tanto precisa da ricoprire un’estensione pari a quella della 335 Cfr. § 1.1, p. 11.336 Cfr. § 3.1, pp. 121-124.337 «Integration at the global level of the text». LeClair 1989, 49.338 LeClair 1989, 24 e 48.

156

superficie dell'Impero che deve rappresentare. In un secondo tempo, «meno dedite allo

studio della Cartografia, le Generazioni successive compresero che quella vasta Mappa

era inutile».339 Il brevissimo racconto di Borges si conclude di conseguenza con

l'impossibilità di utilizzare un modello altrettanto esteso e complesso rispetto al territorio

originale. LeClair accosta dapprima i romanzi complicati ed estesi quali Gravity's

Rainbow o White Noise a quelli che potrebbero essere considerati dei modelli di sistemi

complessi e in un secondo momento al risultato più simile ad una mappa a grandezza

naturale. Queste due analogie presentano un'affinità non trascurabile: sia la paradossale

mappa dell'Impero immaginata da Borges sia un modello pienamente esaustivo ed

efficiente di un sistema complesso hanno in comune il fatto di poter replicare esattamente

l'intero quantitativo d'informazione presente nel sistema rappresentato. Come spiega

Cilliers, «To describe a complex system you have, in a certain sense, to repeat the

system».340 Un modello più semplice rispetto al sistema che si intende rappresentare non

può risultare altrettanto complesso: gran parte del quantitativo d'informazione presente

nel sistema originario andrebbe perso attraverso il procedimento di semplificazione. In

altre parole, la complessità non è «comprimibile»:

Complexity is ‘incompressible’. A complex system cannot be ‘reduced’ to a simple one unless it was not really complex to start with. A model of a complex system will have to ‘conserve’ the complexity of the system itself. Since the model will have to be as complex as the system it models, it cannot reveal the ‘true nature’ of the system in terms of a few logical principles.341

Ragionando in merito al rapporto che intercorre tra un sistema complesso ed un suo

possibile modello, Cilliers propone di quantificare la complessità utilizzando la

«randomness» come unità di misura. Ad esempio, se consideriamo una semplice

sequenza di un migliaio di cifre “3”, sarà possibile scrivere un programma/modello

altrettanto semplice per generare la sequenza.

Step 1. Print ‘3’.Step 2. Repeat step 1 a thousand times.This program is clearly very much shorter than the original sequence, which therefore has a very low level of randomness. As the sequence of numbers becomes more complex(!), the length of the program necessary to produce it becomes longer. When the program becomes as long as the sequence, the sequence is said to be random.342

339 Jorge Luis Borges, Tutte le opere, 2 voll., Milano: Mondadori, 1984, vol II, 1252-1253.340 Cilliers 1998, 10.341 Ibidem, 24.342 Ibidem, 9.

157

Il livello massimo di randomness è quindi dato da un programma/modello altrettanto

“denso” d'informazione rispetto all'originale. Semplificando molto questo concetto, si

potrebbe pensare alla mappa di Borges o a Gravity's Rainbow (per essere più precisi,

all'interpretazione che LeClair fornisce del romanzo di Pynchon) come lunghissimi e

densissimi programmi aventi lo scopo di riprodurre determinati sistemi complessi. Tali

programmi sarebbero talmente densi da creare dei problemi di interpretazione e di

fruizione. Da ciò emerge con evidenza che la pretesa di riprodurre la complessità del

sistema o di avvicinarsi il più possibile ad essa equivale ad una rinuncia a creare uno

strumento sufficientemente maneggevole al fine di poter analizzare il sistema originario,

esattamente come la mappa a grandezza naturale descritta da Borges.

Ragionando in merito alla non-comprimibilità del sistema, non si vuole arrivare a

sostenere che, in un futuro prossimo, le pagine di Gravity's Rainbow e di altri «systems

novels» saranno abbandonate «alle Inclemenze del Sole e degl'Inverni» e «abitate da

Animali e Mendichi» come succede ai fogli della mappa 1:1 dell'Impero nel racconto di

Borges.343 Inoltre, il concetto di finzione letteraria complica ulteriormente il discorso, in

quanto uno scrittore di romanzi non intende soltanto tracciare una cronaca fedele e

dettagliata della “realtà”, ma inserisce elementi fittizi che complicano ulteriormente ciò

che viene narrato all'interno dell'opera, che prevede sempre il fatto di “ingannare” il

lettore tramite l'inserimento di vicende e di particolari non corrispondenti in alcun modo

all'universo reale in cui il lettore e l'autore vivono.344 Ciò che è invece importante

sottolineare e che emerge come un dato culturalmente e criticamente rilevante è il fatto

che un importante teorico del romanzo angloamericano come LeClair proponga di

intendere alcuni romanzi massimalisti e “sistemici” come strumenti simili a delle mappe

borgesiane o a dei modelli esaustivi dei sistemi complessi che si intersecano con la

quotidianità dei lettori.

Nel momento in cui Cilliers riflette in merito alla randomness quale unità di misura

della complessità, propone di ragionare in termini di densità dell'informazione contenuta

all'interno di un sistema complesso e di un suo modello. La studiosa di narrazioni

interattive J. Yellowlees Douglas considera invece il concetto di randomaticità sotto un

343 Borges (1975-1981) 1984, vol. I, 1252-1253.344 Si tratta di un tema molto vasto. ad esempio, il romanzo viene considerato da György Lukács come un

genere in cui è insita una costante antinomia tra la mimesis e il «dare forma», vale a dire ciò che Henry James definisce come l'onorevole compito di «creare un senso» («to make sense») attraverso la finzione letteraria. Cfr. Henry James, The American Scene, Bloomington: Indiana University Press, 1968, p. 273; Gerald Graff, Literature Against Itself. Literary Ideas in Modern Society, Chicago - London: The University of Chicago Press, 1979, pp. 55-58.

158

altro punto di vista, trattando i concetti di imprevedibilità e di disordine in relazione

all'organizzazione delle forme narrative. A tal proposito, Douglas cita un altro noto

paradosso di Borges, vale a dire il «libro di sabbia», «un mostruoso ed enorme volume

privo di inizio e fine», «dalle pagine infinite» e numerate in modo discontinuo, che ben

presto rende prigioniero il narratore, sino a quando non decide di liberarsi di

quell'«oggetto da incubo», di quella «cosa oscena che infamava e corrompeva la

realtà».345 A causa della natura infinita del libro, il narratore/lettore del libro di sabbia ha

la possibilità di iniziare a leggere contenuti sempre diversi quando apre il volume,

scegliendo di volta in volta una pagina a caso. Douglas si domanda se i recenti progressi

compiuti nell'ambito della narrativa ipertestuale non possano collocare idealmente

quest'ultima a metà strada tra il libro tradizionale e l'orizzonte ideale del libro di sabbia:

Reading a narrative in a nearly random order can considerably narrow the distinction between fiction and life. Whereas fiction pleases us with its consonances, its patterns and gestalts, its symmetry and predictability, life can be chaotic and unpredictable, all sense of orderliness or pattern possible only at the distance conferred by retrospection after the passage of years. To encounter fiction outside any established order is to enjoy a dubious bit of freedom, less like an aesthetic experience and more like dicing with life itself.346

Douglas ha il merito di porre in risalto due aspetti fondamentali. In primo luogo

sostiene che un'elevata randomaticità di un testo può avvicinare quest'ultimo al disordine

tipico della vita, dell'esistenza umana nella sua piena e complessa imprevedibilità. In

secondo luogo, osserva come il limite di questo processo, individuato nel libro di sabbia,

possa risultare un incubo, in quanto i lettori contemporanei «would need to have evolved

a set of entirely different aesthetic expectations, satisfactions, and objectives than those

of us accustomed to print and its literary conventions currently possess».347 Il libro di

sabbia potrebbe essere considerato non soltanto il modello narrativo più complicato di

tutti, ma anche l'unico e paradossale modello narrativo effettivamente complesso, in

quanto sarebbe caratterizzato dal fatto di autoevolvere spontaneamente la propria

struttura e sarebbe inoltre potenzialmente in grado di rappresentare effettivamente l'intera

“realtà,” l'intera randomness – la densità informativa, l'imprevedibilità e il disordine –

che caratterizzano l'intero insieme dei sistemi complessi con cui gli esseri viventi si

interfacciano nel corso delle loro esistenze.

345 Borges (1975) 1984, vol. II, p. 652. 346 J. Yellowlees Douglas, The End of Books – Or Books Without End? Reading Interactive Narratives,

Ann Arbor: The University of Michigan Press, 2001, p. 126. In merito all'analogia tra il “libro di sabbia” e l'ipertesto cfr. anche: Espen Aarseth, “Il romanzo nell’universo di Turing,” in Il romanzo, a cura di Franco Moretti, vol. terzo: Storia e Geografia, Torino: Einaudi, 2002, pp. 675-699; p. 675.

347 Douglas 2001, 126.

159

Il fatto che un modello narrativo di uno o più sistemi complessi sia di fatto un

paradosso, risulta evicente se consideriamo le obiezioni mosse a LeClair da parte di altri

studiosi. Come osserva infatti David Ciccoricco basandosi su alcune considerazioni

effettuate da Bruce Clarke nel corso di un convegno:

More generally, recent debates on systems theory and literature have led to the claim that narratives are not systems in and of themselves; in critic Bruce Clarke’s (2003, 1) terms any narrative is only ever an “element” that enters and is processed by a social system. LeClair at one point compares the novel to a system: “The novel, like a character or any living system, could be a store of shifting, self- regulating information about man and his environment” (1987, 11; my emphasis). But here the shifting and self- regulating is rhetorical. The “systems novel” is not the novel as system.348

Nonostante si tenti di organizzare un romanzo come un sistema complesso, non sarà

mai possibile renderlo effettivamente tale, per il semplice motivo che quest'ultimo non

può in alcun modo essere considerato come un'entità autonoma. Come spiega ad esempio

Cilliers – riferendosi al caso particolare di un sistema complesso strutturato attraverso

una rete neurale – all'interno di un modello complesso di un sistema complesso «there

should be some ‘sensor’ to get the information into the network, and some ‘motor’ that

allows the output to have an external effect».349 In altre parole, nel nostro caso specifico

risulta immediatamente comprensibile pensare al fatto che un romanzo non è un essere

vivente né un'intelligenza artificiale che si autoevolve e che è in grado di regolare nel

tempo la propria struttura in maniera autonoma. L'opera letteraria non è autonoma:

necessita di un autore per essere creata e, soprattutto, necessita di un lettore (il sensore)

che sia in grado di farla funzionare. A interessarci sono gli autori di narrativa che tentano

di adattare il romanzo al fine di renderlo uno strumento sempre più adeguato per la

rappresentazione della complessità, nel corso di un'epoca in cui altri strumenti legati

all'espansione delle nostre tecnologie sono stati adibiti al medesimo scopo. Si profilano

di conseguenza due prospettive teoriche: in primo luogo è possibile essere consapevoli

che i modelli letterari – soprattutto quelli più recenti – non siano a tutti gli effetti dei

sistemi complessi, ma che siano caratterizzati da alcune proprietà dei sistemi complessi;

in secondo luogo, si può considerare il sistema composto da opera, autore, lettore e

contesto sociale come effettivamente complesso: l'atto di fruizione si autoevolve sulla

base di determinate caratteristiche dell'opera e del suo fruitore. Nei paragrafi che seguono

cercherò di utilizzare questi ultimi due punti di vista, con particolare riferimento alla

348 Ciccoricco 2007, 134.349 Cilliers 2008, 18.

160

teoria del connessionismo.

§ 3.4 Romanzo e connessionismo

§ 3.4.1 Infinite Jest e The Unknown

I romanzi di Wallace e del collettivo di scrittori “The Unknown” (Rettberg, Stratton,

Gillespie e Marquardt) risultano allo stesso tempo esemplari di una tendenza a ricorrere

all'associazione e alla ripetizione di idee e porzioni materiali di testo che caratterizzano

numerosi esempi di narrativa romanzesca degli ultimi anni. Allo stesso tempo, tuttavia, le

due opere prese in esame risultano esemplificativamente anomale: Infinite Jest sembra

inglobare alcune peculiarità di determinate intelligenze artificiali all'interno del medium

cartaceo, mentre The Unknown ripropone, attraverso la forma dell'ipertesto elettronico,

determinate caratteristiche della narrativa massimalista tipica della postmodernità. I due

romanzi presentano inoltre due approcci differenti per quanto riguarda la

rappresentazione della complessità, come risulta evidente dal loro stesso titolo. In Infinite

Jest, così come le braccia bradiauxetiche di Mario «gli si torcono sul torace come due S

maiuscole»350 ricalcando di conseguenza una lemniscata “8” (ossia il simbolo dell’infinito

matematico), similmente – continuando a conferire una valenza metaforica alle

particolari disabilità di Mario – l’infinito stesso è una peculiarità fondamentale

dell’architettura non lineare del romanzo di Wallace. Come osserva anche Toon

Theuwis351, all’interno dell’opera si possono riscontrare frequenti allusioni alla

lemniscata. Ad esempio, i film girati da Jim Incandenza sono registrati su pellicole di

formato super-8 e molti dei suoi lavori durano esattamente 88 minuti. Orin, fratello

maggiore di Hal e giocatore di football (il cui numero di maglia è il 71, la cui somma è

appunto 8), passa da una relazione sentimentale all’altra, dimostrando una totale

incapacità di provare sentimenti nei confronti delle proprie amanti, tanto da riferirsi nei

loro confronti con l’appellativo «Soggetto»: «[The Subject is] Not real bright — she

thought the figure he'd trace without thinking on her bare flank after sex was the numeral

8, to give you an idea» (IJ 418). Questa sorta di “numerologia” è un divertissement, ma

350 «Curled out in front of his thorax in magiscule S's», (IJ 313).351 Toon Theuwis, The Quest for Infinite Jest: An Inquiry into the Encyclopedic and Postmodernist Nature

of David Foster Wallace’s Infinite Jest, Ghent: Ghent University Press, 1999, p. 10.

161

anche un meccanismo attraverso il quale l’autore concentra in maniera induttiva

l’attenzione su un fattore nascosto e fondamentale. Come verrà esposto in seguito, il

concetto di infinito pervade tanto l’architettura quanto il contenuto e addirittura la

percezione del testo: è possibile sostenere che questi tre livelli siano tra loro collegati

proprio grazie alla problematicità, ma anche alla versatilità, di questa astrazione mentale,

che risulta allo stesso tempo accostabile al carattere virtualmente illimitato delle

dinamiche cognitive tipiche dei i modelli complessi.

Come ho già accennato in precedenza, per quanto riguarda The Unknown, il concetto

d'ignoto è potenziale ed è correlato all'idea di poter collegare tra loro concetti e contenuti

differenti al fine di stimolare il lettore attraverso asssociazioni inusuali di senso. Come

recita ad esempio una pagina dedicata appositamente a definire il titolo dell'opera: «The

Unknown=any two words that haven’t been put together yet» (UN unknown2.htm). La

potenzialità della conoscenza insita nel concetto di ignoto è una caratteristica

fondamentale della letteratura elettronica ipertestuale. A questo proposito, Espen Aarseth

e David Ciccoricco rievocano la distinzione elaborata da Roland Barthes tra la lettura

omolineare e continua di un testo, basata sul concetto di plaisir (pleasure), e la lettura

eterolineare e discontinua del testo, definita anche «tmesis» ed associata invece a una

jouissance (bliss). Nel primo caso, si tratta di una confortevole pratica di lettura che non

si pone in contrasto con il contesto culturale di cui il testo fa parte; al contrario, nel caso

della tmesis:

Bliss, the privileged term, evokes a sense of play, of skipping through the text and chancing on unexpected connections. Skipping itself connotes both playfulness (as in skipping rope) and mischief or delinquency (as in skipping school). Hence, Barthes attempts to articulate a way of reading that is deviant or at least deviates from the norm, but more generally, the “text of Bliss” refers to any text that challenges or even subverts our traditional idea of what a text should be […].352

Tuttavia, secondo Aarseth e Ciccoricco, la lettura di un'opera narrativa ipertestuale

non comporta una pura jouissance, poiché, nell'ambito di questo particolare supporto, la

non sequenzialità della lettura rappresenta la normalità e non una trasgressione o una

violazione di una pratica ordinaria. Inoltre, come precisa Aarseth, l'atto di leggere

narrativa ipertestuale non coincide con una modalità eterolineare di lettura, con la

deliberata decisione del lettore di non seguire l'ordine suggerito dalla sequenza delle

pagine e dei paragrafi, bensì con una modalità «iperlineare»: «the selection of paths

352 Ciccoricco 2007, 33-34.

162

across a network structure».353 Sebbene, continua Ciccoricco, leggere un «network text»

non equivalga a sperimentare una trasgressiva jouissance barthesiana, ciò nondimeno, la

fruizione di questa tipologia di testo comporta il soddisfacimento di un «desiderio

itinerante», che infonde piacere nel lettore attraverso l'esplorazione e la selezione di un

determinato percorso di lettura ancora da attualizzare.354 Come spiega ad esempio Stuart

Moulthrop:

Among other things, hypertextual discourse solicits iteration and involvement. While this is certainly a property of all narrative fiction, one can argue that hypertextual writing seduces narrative over or away from a certain Line, thus into a space where the sanctioned repetitions of conventional narrative explode or expand, no longer at the command of logos or form, but driven instead by nomos or itinerant desire.355

The Unknown ed Infinite Jest sono due romanzi che, attraverso i temi e le forme,

evidenziano sia la necessità di attualizzare costantemente la conoscenza sia il desiderio di

personalizzare il percorso che viene compiuto attraverso il testo narrativo. Questa

tendenza a collegare tra loro informazioni appare allo stesso tempo infinita – e quindi

senza limiti – e costantemente e potenzialmente sconosciuta. Infinito e ignoto sono al

contempo metafore dei processi di lettura e di conoscenza che vengono portati avanti da

lettori e personaggi al fine di confrontarsi con la complessità del testo e della realtà. La

tendenza a rimarcare l'importanza di questo «desiderio itinerante» non è tuttavia esente

da problemi. Bisogna infatti cercare di comprendere in quale modo si articoli una

sostanziale differenza tra una concezione del testo quale territorio che dà a chi legge la

possibilità di creare collegamenti sempre nuovi e inaspettati e, invece, la valorizzazione

dell'opera narrativa intesa come strumento che esalta la capacità umana di tessere un

proprio percorso cognitivo all'interno di uno scenario complesso. Per questo motivo,

tornando alla metafora delineata da Richard Powers, che immagina le varie parti del

romanzo (i personaggi, i temi, le differenti sezioni del testo) dialogare tra loro come le

sinapsi di un cervello umano e come gli elementi che compongono un sistema

complesso, è possibile introdurre il connessionismo, vale a dire lo studio del

funzionamento delle reti neurali e dei modelli connessionistici. In un secondo momento,

si cercherà di applicare queste nozioni all'analisi di di Infinite Jest e di The Unknown e di

concludere poi con un'analisi di Only Revolutions, che è probabilmente una delle opere in

353 Aarseth 1997, 79. Cfr. Ciccoricco 2007, 33-34.354 Ciccoricco 2007, 33-34 e 43.355 Stuart Moulthrop, “No War Machine” (1992), In Joseph Tabbi and Michael Wutz (a cura di) Reading

Matters: Narratives in the New Media Ecology, Ithaca, NY: Cornell University Press, 1997, pp. 269-292; p. 273. Web. 18-08-2011. <http://iat.ubalt. edu/ moulthrop/ essays/ war_machine.html>.

163

cui si riscontra con maggiore evidenza una corrispondenza tra connesionismo e struttura

del testo letterario.

§ 3.4.2 Connessionismo: nozioni teoriche

Le reti connessionistiche sono caratterizzate da determinate caratteristiche, che sono

ad esempio tipiche delle reti neurali. La loro struttura è composta da una serie discreta di

nodi (o di neuroni, nel caso di una rete neurale) e di connessioni tra i nodi (sinapsi). La

dinamica dell'intero sistema è il risultato dell'interazione tra tutte le variabili dei nodi.

Inoltre, si sviluppa un processo di apprendimento che coinvolge l'intero sistema e che

descrive in quale modo le connessioni evolvono. Come spiega Mark Taylor: «[Nodes]

function like switches and routers that send, receive and transmit information throughout

the network. Separation and connection, like identity and difference, are mutually

constitutive».356 Tramite la reiterazione di una dinamica tra un nodo e l'altro, si ottiene un

rafforzamento della connessione (come quando, ad esempio, tentiamo di memorizzare un

concetto, ripetendo ad alta voce due idee l'una di seguito all'altra, in maniera da poter

richiamare in un secondo momento tale associazione d'idee). Come spiega Cilliers, ogni

sinapsi può far sì che un segnale ecciti o inibisca un determinato neurone. Ogni

connessione è infatti caratterizzata da un weight, che può essere positivo o negativo e che

determina la forza dell'influenza di un nodo su un altro. Cilliers cita, a titolo di esempio,

un sistema in cui gli input provengono da una “retina” di sensori fotosensibili mentre gli

output della rete possono essere collegati ad una lampada, in maniera tale che essa emetta

una minore o maggiore luminosità a seconda della quantità di luce captata dal sistema. Si

tratta di applicazioni pratiche di pattern recognition, un processo cognitivo attraverso il

quale – come è stato anche illustrato nel primo capitolo357 – il sistema non si basa su una

serie di algoritmi o di regole, ma su un insieme di relazioni e differenze tra i vari dati che

diventa man mano sempre più complesso. Il pattern recognition rientra in un fenomeno

più ampio di back-propagation, che tiene necessariamente conto sia dei dati già percepiti

dalla rete sia dei nuovi dati che contribuiscono ad un riallineamento delle relazioni che

intercorrono tra i vari nodi. Come spiega Cilliers:

356 Mark C. Taylor, c2001, 154-153.357 Cfr. § 1.

164

After the network has been trained, it will not only recognise those examples it has been taught, but will take an educated guess in the case of unknown inputs as well. [...] For layered feedforward networks (simpler in structure, but still computationally powerful) there is a procedure, based on reducing the local error at each neuron, that guarantees convergence towards a solution (should there be one), provided that the network’s structure has enough capacity to find it (i.e. that the network consists of enough neurons, particularly in the hidden layer). This is known as the back-propagation procedure.358

Tale processo di adattamento implica inoltre la capacità di un modello/sistema

complesso di auto-organizzarsi in maniera sempre più complessa e d'interagire (quasi

sempre) in modo più efficace con l'ambiente circostante, in funzione della sua precedente

organizzazione e a seconda degli stimoli che riceve dall'esterno.359

Oltre alla back-propagation e all'auto-organizzazione, Cilliers sottolinea con evidenza

una terza e fondamentale caratteristica tipica delle reti connessionistiche, vale a dire il

fenomeno della rappresentazione distribuita o sub-simbolica. Non esiste una procedura

astratta per descrivere il processo utilizzato dalla rete per elaborare un'informazione. Un

singolo weight di un nodo o una singola connessione tra due nodi differenti non hanno, di

per se stessi, significato, poiché l'informazione è data unicamente dallo schema composto

da tutti i valori («weight values») all'interno del sistema e dall'insieme delle relazioni che

si creano tra essi.360 Di conseguenza, i modelli complessi in cui si verifica la

rappresentazione distribuita sono strutturati in maniera differente da sistemi formali nei

quali la ricognizione degli impulsi provenienti dall'esterno avviene grazie ad un

algoritmo o a delle regole in grado di correlare tra loro un insieme di simboli. Secondo

Cilliers, esistono due principali modalità – formale e connessionistica – per rappresentare

un sistema complesso attraverso l'elaborazione di un modello. Benché la mia analisi

riguardi principalmente il connessionismo, è in ogni caso necessario illustrare alcune

caratteristiche del modello formale, in maniera tale da rendere più chiare le

considerazioni che seguiranno. In un «rule-based symbol system» la configurazione dei

simboli costituisce lo stato del sistema in un determinato momento e vi è una netta

distinzione tra un livello semantico e un livello sintattico:

The next step is to make these symbols ‘represent’ something. For example, if each of the symbols stands for a word in a language, then the rules of the system (the grammar) will determine the various combinations of words that can be made in that (formal) language. The permissible states of the system then translate into valid sentences of that language. The interpretation of the symbols, also known as the ‘semantics’ of the system, is independent of the

358 Cilliers 1998, 28.359 Ibidem, 90.360 Ibidem, 16-17, 28 e 68.

165

rules governing the system.361

I simboli vengono utilizzati per rappresentare in maniera astratta alcuni concetti tipici

del sistema complesso che è oggetto di analisi, escludendo informazioni giudicate non

rilevanti. Al contrario, un modello complesso (e connessionistico) di un sistema

complesso non è “comprimbile”: non è possibile escludere alcuna informazione

originaria dal modello. Un modello formale è costituito da relazioni logiche (regole o

programmi) tra determinati simboli (o dati); un modello connessionistico è invece basato

su relazioni tra i diversi weights e sulla capacità del sistema di memorizzare ed evolvere

l'organizzazione della propria struttura. Ogni simbolo appartenente ad un sistema formale

ha un significato preciso, mentre un nodo di una rete connessionistica non ha significato

di per se stesso: «Meaning is conferred not by a one-to-one correspondence of a symbol

with some external concept or object, but by the relationships between the structural

components of the system itself».362 Un modello formale è caratterizzato da delle «meta-

regole» che costituiscono un «centro di controllo» del sistema e che “decidono” quali

altre regole debbano essere instanziate nel corso della computazione, mentre un sistema

connessionistico è privo di un centro o di una parte che prevalga gerarchicamente sulle

altre. I sistemi formali sono basati su condizioni iniziali ben determinate e tendono a

permettere di arrivare a delle soluzioni; al contrario, un modello connessionistico, in

qualità di “processo,” non deve necessariamente terminare e permettere di approdare a

delle soluzioni.363

Nel suo studio Complexity and Postmodernism Cilliers si è posto l'obiettivo di

confrontare la teoria scientifica del connessionismo con quella filosofica del

decostruzionismo, soprattutto per quanto concerne la “semiotica distribuita” (come la

definisce Cilliers) proposta da Jacques Derrida sulla base delle teorie di Saussure.

Chiedendoci, ad esempio, di pensare al linguaggio come ad un sistema complesso,

Cilliers dimostra come sia la rappresentazione distribuita tipica dei modelli

connessionistici sia la semiotica distribuita siano impostati sulla natura differenziale delle

unità di base che compongono il sistema (nei due casi, i neuroni e i segni linguistici).364

Derrida calls the relationship between any two signs, a ‘trace’. The trace itself, though, has no meaning, no ideational content that can be made explicit. It operates at the level of the sign itself, not at a meta-level above or below the sign. Understood in this way, a trace is equivalent

361 Ibidem, 14362 Ibidem, 11.363 Ibidem, 18-21.364 Per le teorie del linguaggio di Saussure e Derrida cfr. § 1.

166

to a weight in a neural network. The significance of a node in a network is not a result of some characteristic of the node itself; it is a result of the pattern of weighted inputs and outputs that connects the node to other nodes. The weight, just like the trace, does not stand for anything specific.365

In pratica, Cilliers sostiene giustamente che la teoria del segno sviluppata da Saussure

si basi sulla differenza tra i segni e che per questo motivo possa essere definita come una

semiotica distribuita, in quanto il significato non risiede all'interno di un nodo (un segno),

bensì sulla base delle differenze tra un segno e gli altri, vale a dire sulla base della

relazione differenziale che intercorre tra un determinato segno e gli altri. Tuttavia, per

Saussure persiste ancora una distinzione tra significante e significato, che Derrida

attacca, giacché anche il significato ha per Derrida una natura differenziale. In altre

parole, Cilliers preferisce proporre un paragone tra il connessionismo e la grammatologia

di Derrida, giacché quest'ultima, basandosi sull'idea di différance, prevede una

distribuzione del significato all'interno dell'intero sistema.

A strong theory of representation will always presuppose the metaphysics of presence. It actually argues for two systems—the signs themselves and, external to them, the meaning of the signs—which are made present to each other through the process of representation. A distributed theory of semiotics problematises this division. It again argues that there is nothing outside the system of signs which could determine the trace, since the ‘outside’ itself does not escape the logic of the trace. Should you attempt to find the origin of the trace outside, you would be confronted with the same fragmentations, movements and erasures. Inside and outside refer to each other in a ‘generalised reference’; we have here a distributed representation confined to the level of the signifier.366

Se Katherine Hayles – ragionando in merito alle già menzionate dialettiche

presence/absence e pattern/randomness – sostiene che il decostruzionismo di Derrida sia

impostato sulla decostruzione delle presenze, allo stesso tempo è possibile chiedersi se la

medesima logica differenziale che sta alla base della grammatologia non sia stata

sfruttata in maniera costruttiva da parte di autori collocati in un contesto culturale in cui

l'importanza della dialettica pattern/randomness risulta ascendente. Se il

decostruzionismo ha smantellato presenze, narrazioni, convinzioni metafisiche e

significati, allo stesso tempo, nel corso degli ultimi anni, alcuni autori hanno iniziato a

sfruttare la stessa logica differenziale che sta alla base del concetto di différance in

maniera positiva, costruendo delle rappresentazioni narrative. Questo fenomeno,

registrato all'interno dei testi letterari, scaturisce probabilmente da un confronto sempre

365 Cilliers 1998, 81.366 Ibidem, 82.

167

più frequente con macchine e intelligenze non naturali in grado di processare

informazioni più velocemente rispetto a noi.

§ 3.4.3 Iterazione

Marco Praloran nel saggio Il tempo del romanzo approfondisce alcuni aspetti relativi

alla «polifonia temporale», una caratteristica comune a molti romanzi che mette in

dubbio gli usuali canoni di orchestrazione del tempo del racconto. Una compresenza di

molteplici linee narrative autonome all’interno della trama permette al lettore di avviarsi

lungo una determinata linea narrativa mantenendo al contempo vivo il ricordo di un’altra

linea precedentemente percorsa. Si hanno di conseguenza «due linee implicate

logicamente ma autonome nel loro sviluppo».367 Tuttavia, il lettore non ha la possibilità di

seguirle contemporaneamente come accade invece in una composizione musicale.

È possibile pensare che quando, nel Chevalier de la charrette di Chrétien de Troyes, Lancillotto - ancora in incognito – e Galvano arrivano, inseguendo la regina Ginevra e il suo rapitore, ad un crocicchio e dopo un rituale di eleganza cortese decidono di prendere ciascuno una strada differente, uno verso il ponte sospeso, l’altro verso il ponte immerso nell’acqua, si realizzi virtualmente una nuova modalità narrativa nel racconto occidentale.368

La tecnica polifonica, adottata secondo Praloran in molti romanzi ciclici in prosa del

primo Duecento francese (come il Lancelot, il Tristan, il Guiron le Courtois), è stata

paragonata da Eugène Vinaver ai «girali» della miniatura gotica: l’occhio muove

orizzontalmente e/o verticalmente lungo queste «'fila sovrimposte l’una all’altra'»

«'abbracciando tutte le fila'»369, senza avere la possibilità di viaggiare lungo ognuna di

esse.

Infinite Jest è sicuramente un’opera polifonica: come nel caso dei romanzi a girali,

l’attenzione del lettore in merito ad un determinato avvenimento è tenuta viva nel corso

dello svolgimento di scene successive. Eppure, se è vero che anche nel romanzo di

Wallace le varie fila sono inscindibili l’una dall’altra, l’entrelacement temporale risulta

profondamente differente. Nella tecnica polifonica sfruttata nei romanzi ciclici francesi o,

367 Marco Praloran, “Il tempo nel romanzo,” in Franco Moretti (a cura di), Il romanzo, vol. II: Le forme, Torino: Einaudi, 2002, pp. 225-250, p. 237.

368 Ibidem.369 Ibidem, 238.

168

in modo più complesso, nell’Orlando Furioso di Ariosto nel Quattrocento italiano,

l’intreccio procede sì a sbalzi all’indietro per descrivere eventi che stavano accadendo,

ma la narrazione segue comunque una precisa direttrice cronologica: dopo un cammino

tortuoso e discontinuo, tutte queste opere giungono ad una conclusione finale, ad uno

scioglimento dei nodi che sono stati creati dall’autore. In Infinite Jest le coordinate

diacroniche e diatopiche sono sempre indicate per mezzo delle cesure grafiche e delle

didascalie precedentemente illustrate. Grazie al primo tipo di cesura descritto – lo spazio

bianco – spesso si ottiene un cambiamento di scena, di scenario e dei personaggi: soltanto

da questo punto di vista si può riscontrare un’affinità con la discontinuità tipica dei

romanzi a girali. Invece, nel momento in cui la suddivisione del testo è determinata da

uno dei titoli, il tempo del racconto cambia radicalmente: può trattarsi di un’altra ora, di

un altro giorno, mese o anno. Ad esempio il primo gruppo di scene (IJ 3-17) è preceduto

dalla didascalia «Year of Glad», ossia il 2010; la seconda sezione (IJ 17-26) è invece

ambientata nell’«Year of the Depend Adult Undergarment» (2009); la terza (IJ 27-31)

nell’«Year of the Tucks Medicated Pad» (2003); la quarta (IJ32-33) nuovamente nel 2009

e la quinta (IJ 15-17) nell’«Year of the Trial-Sized Dove Bar» (2004). In altre parole,

nelle prime cinquantasei pagine dell’edizione italiana la narrazione è suddivisa in dieci

scene e passa attraverso gli anni 2010, 2009, 2003, nuovamente 2009 ed infine 2004,

senza trascurare che la seconda scena è un esplicito flashback, ambientato nel 1997. È

necessario un altro esempio per comprendere come questo meccanismo sussista anche in

occasioni di salti temporali minori: la scena 122 ha come data l’11 novembre 2009, la

123 il primo maggio dello stesso anno, la 124 il 13 novembre e la 125 nuovamente l’11

novembre. La giustapposizione di scene differenti, ambientate in tempi e luoghi diversi, è

dunque priva di un’apparente coerenza per quanto concerne l’ordine della collocazione.

Katherine Hayles ha affermato che «For such a novel any starting point would be to some

extent arbitrary, for no matter where one starts, everything eventually cycles together

with everything else»370. La successione di integrazioni non è consapevolmente

progressiva: il lettore potrebbe intraprendere la sua conoscenza di una determinata

situazione o figura partendo da qualsiasi punto e addirittura saltando alcune parti del

libro.

Secondo Praloran, in Our Mutual Friend (1864-1865) di Charles Dickens «alcuni

personaggi e temi sembra che vengano lasciati cadere per aver esaurito la loro funzione

ma poi tornano combinandosi con altre figure». In pratica in questo romanzo, così come

370 Hayles 199b, 683-684.

169

in moltissime opere successive, si assiste «all’insorgere del carattere 'uguale' del

materiale, di tutto il materiale narrativo». Verso la seconda metà dell’Ottocento e più

marcatamente nel secolo successivo termina così un «processo costituito dall’alternanza

di momenti deboli accessori e forti […] a vantaggio di un processo che verte sull’assoluta

parità».371 «Nel Novecento […] la tendenza a perdere di vista la strutturazione gerarchica

dei materiali, che già per molti versi possiamo notare nella Recherche o per altri

nell’Ulisse, [può] combinarsi con una struttura fortemente logico-progettuale come

quella ad entrelacement».372 Secondo Praloran nella Ricerca del tempo perduto di Proust

la linearità temporale viene messa in discussione da una «transizione pressoché continua

da una narrazione di eventi (inseriti in un punto qualsiasi ma determinato della catena

temporale) a una narrazione seriale di situazioni (non fissate temporalmente, ma capaci di

comprendere vastissime campate temporali)». L’«iterativo (dire una volta ciò che accade

molte volte)» si sostituisce all’usuale alternanza tra scena e sommario tipica del genere

romanzesco. Questa «successione di situazioni» in cui «ogni evento si rispecchia in altri,

trovando la sua essenza di verità solo in una dimensione seriale» è il primo fattore della

«polifonia proustiana».373 Un secondo elemento è la compresenza di due punti di vista:

quello del narratore e quello del protagonista Marcel.

La polifonia proustiana è un’interessante pietra di paragone per delineare quella di

Infinite Jest. Se nella Recherche la poliprospetticità è data da due punti di vista, dal

«conflitto delle due posizioni dell’io»,374 in Wallace si possono riscontrare, oltre ad un

narratore principale sostanzialmente onnisciente, anche numerosi narratori secondari.

Diversi brani sono infatti narrati in prima persona, ma si ha anche un certo numero di

passi in terza persona la cui paternità, in base a certi indizi non immediatamente evidenti,

è riconducibile a vari personaggi. Inoltre, non bisogna dimenticare la vasta frequenza di

contenuti particolari, quali articoli di giornale, lettere o saggi. In secondo luogo, la

serialità elaborata dallo scrittore americano è differente dall’iterazione di situazioni tipica

dell'autore francese. Entrambi – come Dickens – investono tutti i contenuti narrativi della

medesima importanza, senza permettere che alcuni elementi della trama siano rivestiti, in

generale, di una maggiore rilevanza rispetto ad altri. Proust e Wallace basano questi

mastodontici insiemi di nuclei narrativi non gerarchicamente organizzati sull'iterazione.

In entrambe le opere i punti di vista sono molteplici e il lettore accumula continuamente

nuove interpretazioni in merito ad un determinato argomento. La linea del racconto

371 Praloran 2002, 241-244.372 Ibidem.373 Ibidem, 245-246.374 Ibidem, 247.

170

diventa di conseguenza un insieme di «enormi matasse a tre dimensioni in cui il filo del

racconto si insinua correndo su e giù».375 Come osserva Gordon E. Slethaug, il concetto

di ripetizione (sia esso applicato all'ambito scientifico o a quello letterario) può essere

definito attraverso le due nozioni di ricorsività e di iterazione: «Recursion refers to the

replication of acts, occasions, and patterns within a given object, subject, or system,

whereas iteration involves the ongoing incorporation of various changes wrought by

successive repetitions».376 All'interno dell'ambito letterario, qualsiasi testo che riveli una

spiccata tendenza alla ripetizione dei contenuti narrativi può essere considerato al

contempo ricorsivo e iterativo. Tuttavia, secondo lo studioso, è possibile stabilire una

diversità di intenti tra narrazioni ricorsive, che dipendono soprattutto dalla

consapevolezza che abbiamo del loro basarsi su uno schema originario, e narrazioni

iterative, che sono invece basate su un'evidente presenza delle differenze che si

manifestano nel corso della ripetizione.377 Il processo di sintesi che emerge dall'iterazione

– da questa tendenza a ripetere “diversificando” – si articola in maniera diversa

all'interno della Recherche e di Infinite Jest. Nel romanzo di Proust i caratteri specifici di

un evento (A1) – come ad esempio un pranzo dai Guermantes – si evolvono

acronicamente nell’intreccio, spogliandosi della loro origine specifica e contribuendo

così a creare una situazione (An). Di conseguenza, come osserva Praloran, «il lettore vive

nell'incertezza di distinguere un atto con precisa determinazione temporale da un atto che

accade invece tutti i giorni: 'quella sera' vs 'una sera'».378 Questa iterazione per astrazione

prevede di conseguenza una degradazione del particolare, che si ripete sino a perdere le

proprie caratteristiche e diventa universale. In Infinite Jest, invece, l’evento integra le

prospettive precedentemente acquisite stabilendo con esse una relazione, ma senza

permettere – come accade nella Recherche – che si verifichi una sintesi per astrazione, in

cui «pezzi di sfondo assorbono totalmente la linea di racconto».379 L’entrelacement del

romanzo di Wallace è quindi definito da un’iterazione degli eventi che porta ad una

sintesi per connessione. Determinati eventi vengono spesso ri-raccontati e ri-descritti in

scene diverse, associandosi tra loro in maniera tale da creare nuovi nuclei narrativi. In

altre parole, un evento A1 si associa ad un evento B1, dando luogo – in un'altra sezione

dell'opera, non necessariamente collocata nelle pagine successive – ad un evento A2,

caratterizzato dall'iterazione, sottilmente differente, del primo evento. Questo processo

375 Ibidem, 246.376 Gordon E. Slethaug, Beautiful Chaos: Chaos Theory and Metachaotics in Recent American Fiction,

New York: Suny Press, 2000, p. 98. Corsivo aggiunto.377 Slethaug 2000, 98. 378 Praloran 2002, 245.379 Ibidem, 246.

171

d'iterazione viene discusso da Wallace nel corso di un'intervista radiofonica rilasciata a

Michael Silverblatt, il quale dichiara:

It occurred to me that the way in which the material is presented [in Infinite Jest] allows for a subject to be announced in a small form, then there seems to be a fan of subject matter, other subjects, and then it comes back in a second form containing the other subjects in small, and then comes back again as if what were being described were -- and I don't know this kind of science, but it just -- I said to myself this must be fractals.380

Wallace risponde affermativamente alla proposta interpretativa avanzata da

Silverblatt, constatando come l'orchestrazione narrativa della prima stesura di Infinite

Jest risulti simile ad un triangolo di Sierpinski, una topologia frattale che appare anche

all'interno del romanzo, in un manifesto appeso ad una parete della stanza di Michael

Pemulis, uno dei compagni di Hal (IJ 213). Per Wallace, il «Sierpinski Gasket» «looks

basically like a pyramid on acid […] with certain interconnections between parts of them

that are visually kind of astonishing, and then the mathematical explanations of them are

interesting».381 Roberto Natalini, all'interno del suo studio sulle nozioni matematiche

presenti in Infinite Jest, spiega come questo frattale sia una procedura ripetuta all'infinito:

Con un triangolo equilatero si elimina un triangolo centrale con i vertici posti sul punto medio di ogni lato. Questo ci lascia con 3 triangoli pieni e 1 vuoto. Per ognuno dei triangoli pieni si ripete questa operazione, e poi si procede ancora allo stesso modo sui nuovi triangolini. Il triangolo di Sierpinski è il limite di questa procedura ripetuta un numero infinito di volte.

Fig. 6 - Evoluzione di un triangolo di Sierpinski.382

Se ci si sofferma sulle considerazioni relative alla stesura del manoscritto di Infinite

Jest, pubblicate da Steven Moore, revisore del romanzo e editor della «Review of

380 Michael Silverblatt, intervista a David Foster Wallace, "David Foster Wallace."Bookworm. KCRW, 11 04 1996. Web. 11-06-2011. <http://www.kcrw.com/etc/programs/bw/bw960411david_foster_wallace>. Web (2). 11 Jun 2011. <http://www.youtube.com/watch?v=ZKCMTHX5WHk&noredirect=1>. Trascrizione: Web. 06-05-2011. <http://web.archive.org/web/20040606041906/www.andbutso.com/~mark/bookworm96/> [Broken URL].

381 Ibidem.382 Natalini, 2010. Immagine: "Evolution of the Sierpinski triangle in five iterations." Graphic.

File:Sierpinski triangle evolution.svg. Wikipedia, 2006. Web. 06 May 2011. <http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Sierpinski_triangle_evolution.svg>.

172

Contemporary Fiction», è possibile constatare come Wallace avesse scritto e consegnato

soltanto due delle tre sezioni che avrebbero dovuto costituire l'intera opera. Inoltre, un

promemoria da lui annotato nelle pagine finali del manoscritto avverte che sarebbe stato

necessario concludere la seconda sezione. Di conseguenza, a causa della differente natura

dell'opera pubblicata rispetto ad un ipotetico progetto originario, risulta impossibile

formulare dei tentativi volti a paragonare fedelmente la topologia del triangolo di

Sierpinski alla struttura del romanzo pubblicato nel 1996.383 In questo senso, Wallace

dichiara di essere d'accordo con Michael Pietsch (l'editor della casa editrice “Little,

Brown” che curò la pubblicazione) nel momento in cui constatò come Infinite Jest

potesse assomigliare ad un «cristallo caduto da una grande altezza»,384 un «frattale

sghembo» a cui mancano delle parti che non sono mai state scritte o incluse all'interno

dell'opera. Del resto, nel corso dell'intervista di Silverblatt, lo stesso Wallace afferma di

non avere adottato in maniera scrupolosa una struttura di base: «I don't sit down to try to,

'Oh, let's see: what -- how can I find a suitable structural synecdoche for experience right

now?' It's more a matter of kind of whether it tastes true or not». 385 Secondo Natalini, è

quindi improbabile che Wallace « abbia fatto un disegno, un piano, uno schema a tavolino e

poi lo abbia riempito (come il Calvino del Castello dei destini incrociati o Perec)», mentre

risulta più plausibile credere che l'autore di Infinite Jest, «come avrebbe fatto un

matematico, si sia messo a riconoscere e a classificare all'interno di questa materia caotica,

delle forme, dei ritmi, delle simmetrie»,386 effettuando una sintesi basata sull'associazione e la

ripetizione dei vari elementi che compongono l'intreccio narrativo. Lo stesso scrittore

statunitense spiega come questa propensione alla strutturazione frattale del materiale

narrativo sia una risposta all'esigenza di organizzare la molteplicità di dati che

caratterizza la vita quotidiana nel corso degli anni Novanta:

I would expect that somebody who's a mathematician or a logician or an ACS guy might be interested in some of the fractal structures of [Infinite Jest]. For me -- I mean, a lot of the motivation had to do with, it seems to me, that so much of pre-millennial life in America consists of enormous amounts of what seem like discrete bits of information coming, and that the real kind of intellectual adventure is finding ways to relate them to each other and to find larger patterns and meanings, which of course is essentially narrative, but that structurally it's a bit different. And since fractals are a more kind of -- oh, Lord -- since its chaos is more on the

383 Steven Moore, “The First Draft Version of Infinite Jest,” «The Howling Fantods», 16-07-2009, N.p., Web. 2010-03-12. <http://www.thehowlingfantods.com/ij_first.htm>.

384 «A piece of glass that had been dropped from a great height». «A lopsided Sierpinski Gasket». Natalini (2010) traduce «glass» con il termine tecnico «cristallo», dato che, in quel contesto, Wallace parla di frattali. Al di là della correttezza della traduzione, l'analogia risulta pertinente. Silverblatt 1996; Natalini 2010.

385 Silverblatt 1996.386 Natalini 2010.

173

surface, sort of its bones or its beauty, a little bit more, that it would be a more interesting way to structure the thing. [...] I mean it's ways for me to stay oriented and engaged and get through it.387

Come spiega Slethaug, lo studio della ricorsività tipica dei frattali è stato sviluppato

soprattutto a partire dagli anni Sessanta e Settanta dal matematico Benoit Mandelbrot

(Fractal Geometry in Nature, 1983) e, in letteratura, è stato successivamente enfatizzato

da diversi autori (quali, ad esempio, John Barth e Wiliam Gaddis nel corso degli anni

Settanta), che hanno pubblicato opere in cui è presente una tendenza alla ricorsività

affine a quella dei frattali, un costante replicarsi, su scala differente, di atti, situazioni e

schemi:

By documenting the successive recursions in the life of one person or by comparing those recursions in the lives, actions, and thoughts of various individuals, literature can demonstrate similarity within one scale, but by symbolically representing that life or those lives in various miniaturized ways and venues, literature can suggest the patterns of similarity across scale and develop and assess their thematic importance.388

Come ho già spiegato, Infinite Jest è caratterizzato, più che da una ricorsività, da

un'iterazione per connessione. L'organizzazione delle informazioni assomiglia ad un

frattale iterativo più che ricorsivo, costruito, nel corso del processo di stesura, attraverso

una tessitura di vari nuclei narrativi che prolifera, mediante un progressivo rafforzamento

coadiuvato dalla ripetizione e dall'associazione dei concetti, in una costante iterazione di

nuove informazioni, sempre simili e sempre differenti rispetto alle parti di testo che

precedono e che seguono. In base a queste considerazioni, emergono di conseguenza

numerosi punti di contatto tra l'approccio iterativo della stesura di questo romanzo e il

fenomeno di backpropagation tipico del connessionismo delle reti neurali. Wallace è

riuscito a “cristallizzare” un insieme eterogeneo di materiale in una struttura iterativa,

esattamente come una rete neurale è in grado di generare un concetto o un'idea come

risultato di un processo di sintesi fondato sui gradi di differenza tra i vari dati a

disposizione. Resta da comprendere in quale modo il lettore abbia la possibilità di

approcciarsi al testo in maniera analoga e quali siano le ragioni che stanno alla base del

fatto di interpretare un'opera narrativa quale Infinite Jest come se fosse un'intelligenza

artificiale (anche se, ripeto, un romanzo cartaceo non sarà mai effettivamente dotato di

un'intelligenza autonoma). Al fine di procedere nell'analisi di questi interrogativi, è

387 Silverblatt 1996.388 Slethaug 2000, 111.

174

necessario volgere l'attenzione ai meccanismi sui quali si basa la fruizione di The

Unknown, opera per certi versi esemplare di una letteratura elettronica e ipertestuale

ancora oggi in fase di evoluzione e allo stesso anomala proprio a causa dell'insistenza che

rivela nei confronti dell'idea di connessione. Diversamente dal frattale iterativo elaborato

da Wallace, The Unknown è un romanzo in cui è preponderante la tendenza alla

ripetizione ricorsiva del materiale narrativo. Si tratta di un caratteristica congenita alla

natura stessa della letteratura ipertestuale, poiché il lettore, nel corso dell'esplorazione,

torna frequentemente ad un punto della narrazione che è già stato visualizzato in

precedenza. A livello architettonico, si tratta di un fenomeno di rilettura perfettamente

integrato all'interno dei meccanismi che permettono all'ipertesto di esistere e di

funzionare. Più in generale, come osserva David Ciccoricco basandosi su alcune

considerazioni di Wolfgang Iser, la rilettura di un qualsiasi testo narrativo può essere

considerata come una «necessità ermeneutica»: «'When we have finished the text, and

read it again [...] we shall tend to establish connections by referring to our awareness of

what is to come, and so certain aspects of the text will assume a significance we did not

attach to them on a first reading'».389 Volendo considerare l'insieme lettore-testo come un

sistema complesso, i vari nodi sono rappresentati dai segmenti narrativi, mentre le

connessioni sono palesate dal narratore nel corso dello svolgimento dell'intreccio oppure

risultano virtuali e vengono attualizzate dal lettore durante il processo di lettura. Il

rafforzamento di una determinata connessione avviene logicamente anche durante la

rilettura, poiché, ripetendo un percorso già compiuto in precedenza, il lettore in primo

luogo rinforza la propria consapevolezza di una determinata associazione tra due

segmenti materiali del testo o tra due concetti presenti all'interno della vicenda narrata e,

in secondo luogo, ha la possibilità di rintracciare nuovi significati e di stabilire nuovi

nessi logici basandosi su una conoscenza, precedentemente acquisita, delle varie parti

dell'opera. A proposito dell'attività di rilettura, Gérard Genette scrive:

To read [Proust] […] is really to reread; it is already to have reread, to have traversed a book tirelessy in all directions, in all its dimensions. One may say, then, that the space of a book, like that of a page, is not passively subject to the time of linear reading; so far as the book reveals and fulfills itself completely, it never stops diverting and reversing such a reading, and thus, in a sense, abolished it.390

389 Wolfgang Iser, 1980, “The Reading Process: A Phenomenological Approach.” In Reader-Response Criticism: From Formalism to Post-Structuralism, ed. Jane P. Tompkins, Baltimore: Johns Hopkins University Press, 50-69; 56. Cit. in Ciccoricco 2007, 28.

390 Gérard Genette. Cit. in Joseph Frank, “Spatial Form: Some Further Reflections,” in The Idea of Spatial Form, New Brunswick: Rutgers University Press, 1991, pp. 107-132; p. 198. Cfr. Hayles, 2011, 159-161.

175

Questa riflessione di Genette viene successivamente ripresa da Joseph Frank in un

saggio del 1945 (“Spatial Form: Some Further reflections”) e, più recentemente, da

Katherine Hayles. Frank e Hayles adottano la ben nota distinzione tra paradigma e

sintagma,391 in cui la linea temporale del sintagma incrocia un piano d'interazione

costituito dai vari dati potenzialmente a disposizione (il paradigma). Secondo i due

studiosi americani, questa nozione saussuriana prevede di conseguenza un'interpretazione

del linguaggio come «spaziale» (in cui lo spazio non è inteso come “fisico,” ma come un

modello costituito dall'interazione tra l'asse sintagmatico e i vari assi paradigmatici).392

Sul versante letterario, un'esperienza di lettura di un romanzo “ripetitivo” come la

Recherche consisterebbe di conseguenza nella fruizione di un «oggetto totale» [«a total

object»], in cui i due livelli – la temporalità della linea narrativa e la spazialità dei dati

presenti all'interno della narrazione – vengono confusi e ibridati tra loro.393 Questa teoria

presenta dei punti di contatto con la natura tridimensionale dell'interfaccia di una

narrazione ipertestuale discussa da alcuni studiosi della letteratura ipertestuale:

The reading interface of a network text suggests a course of movement for the reader that is not only backward and forward (as if west to east on a horizontal plane) but also above and below (as if north and south), as well as inside and outside (as in the Storyspace reading interface, where nodes are contained in or contained by other nodes). The interface of a network narrative can further be used to dramatize the effect of moving forward and backward — or even laterally “across” and regressively “inside/outside”— the temporal frames of the narrative’s discourse in ways that are unavailable to the interface of the book.394

In realtà, come osserva giustamente Ciccoricco, l'interfaccia di un network text,

generalmente intesa come “tridimensionale” è tecnicamente a-dimensionale:

Network fictions, therefore, consist of not only a representation of material but also a representation of structure. Readers must orient themselves “in” or in relation to the structural topology of a network fiction, which is technically adimensional. One of the most common and effective ways to do so involves repetition and recurrence […].395

La ripetizione dei lexia (delle porzioni di testo visualizzate di volta in volta sullo

391 Cfr § 2.1.392 Hayles dapprima si riferisce al paradigma come ad un piano d'interazione e successivamente come ad

un asse perpendicolare all'asse sintagmatico. Per evitare imprecisioni, possiamo pensare al paradigma come ad un insieme di assi (ordinate) rappresentate su un piano intersecato da un'unica ascissa (la linea temporale del sintagma).

393 Frank 1945, 198; Hayles 2011, 159-160.394 Ciccoricco 2007, 41. Cfr. Douglas 2001, 50.395 Ciccoricco 2007, 49.

176

schermo) e dei link è dunque alla base della tridimnesionalità/adimensionalità

dell'ipertesto narrativo che porta ad un'ibridazione di sintagma e paradigma. Questa

tipologia di circuitazione è presente anche in un testo cartaceo come Infinite Jest, che

contiene numerose discontinuità temporali e la presenza di un secondo livello di lettura

costituito dal vasto insieme di note al termine del volume. Come rivela l'editor di Infinite

Jest Gordon Pietsch, Wallace aveva esternato l'esplicita intenzione di rendere “opzionale”

la fruizione delle note da parte del lettore. In altre parole, nel caso di Infinite Jest, sta al

lettore decidere se continuare la lettura in maniera ordinata e sistematica – seguendo i

numeri di pagina del volume ed evitando di leggere le note nel corso della stessa seduta –

oppure “saltare” da una parte all'altra del testo, percorrendo il testo in maniera non

lineare. Diversamente, nel caso di un ipertesto come The Unknown la ripetizione è una

caratteristica necessaria e imprescindibile della natura stessa dell'opera. In entrambi i

casi, è importante sottolineare come la forte ibridazione di paradigma e sintagma

influenzi la percezione del testo. Ciccoricco cita anche due ricerche effettuate da Davida

Charney e Jhondan Johnson-Eilola inerenti la comprensione dei documenti ipertestuali.

Tali studi dimostrano come la mente umana processi gli ipertesti allo stesso modo dei

normali testi stampati, immagazzinando l'informazione in strutture gerarchiche anche se

l'ordine della lettura delle sequenze narrative viene deciso dal lettore. Tuttavia, Johnson-

Eliola dimostra come la rappresentazione mentale che costituisce una macrostruttura di

un ipertesto sia a sua volta organizzata come una rete. Questo processo di networking

operato dalla mente viene infatti promosso dalla ripetizione del materiale narrativo:

“The repetition in a text of a previously mentioned element may form a connection between the two related propositions, even if they are at different branches in the hierarchical macro-structure.” Therefore, if the experience of reading network texts does, indeed, yield an analogous macrostructure, then the foregrounding of repetition at a material level would conceivably facilitate the semantic networking of a macrostructural hierarchy.396

La ripetizione favorisce quindi la rappresentazione della dimensione semantica – della

“spazialità” data dal paradigma. In precedenza, ho già rilevato come la ripetizione ed il

conseguente rafforzamento delle connessioni (backpropagation) siano alla base del

funzionamento di un modello connessionistico. Il fatto che la mente umana riesca a

percepire, in maniera strutturalmente simile, la natura paradigmatica di un testo

caratterizzato da una forte ricorsività o iterazione del materiale narrativo può portare a

396 Ibidem, 55-56. Cfr. Jhondan Johnson-Eilola, “Trying to See the Garden: Interdisciplinary Perspectives on Hypertext Use in Composition Instruction,” «Writing on Edge 2», No. 2, pp. 92–111, p. 104.

177

comprendere come mai un autore di romanzi come Richard Powers o una studiosa come

Katherine Hayles siano stati tentati dall'effettuare delle analogie tra il funzionamento del

romanzo (o meglio, si può aggiungere, del sistema lettore-romanzo) e quello dei modelli

complessi (il cervello umano nel primo caso e alcuni software d'intelligenza artificiale

nel secondo). Tuttavia, per quanto riguarda la percezione che il lettore ha del proprio

percorso all'interno del testo e soprattutto del grado di libertà che caratterizza la scelta di

come organizzare autonomamente tale cammino, sussistono delle profonde differenze tra

le due opere analizzate. Nel caso di The Unknown il processo di scelta del percorso

narrativo viene costantemente enfatizzato. Ciò appare evidente se si assiste ad una lettura

dal vivo dell'opera. Nel corso dei loro reading,397 gli autori portano con sé un campanello.

Mentre gli autori leggono un brano visualizzato sullo schermo, gli spettatori/lettori

possono pronunciare ad alta voce un link all'interno del testo. A questo punto, gli autori

suonano in tempo reale il campanello, cliccano il link che è stato “chiamato” e lo

selezionano in maniera tale da permettere al processo di lettura di migrare sul relativo

brano collegato. Rettberg e Gillespie hanno spiegato che tale espediente era stato da loro

escogitato nel corso degli anni Novanta, periodo durante il quale molte persone che

assistevano alle loro letture pensavano inizialmente che l'opera fosse stata installata non

in un computer, bensì all'interno di un televisore e che la selezione dei brani fosse stata

decisa in precedenza. L'ilarità del pubblico causata da questo inusuale procedimento è

rimasta inalterata nel corso degli anni, incurante della crescente familiarità che abbiamo

acquisito nei confronti di Internet e dell'utilizzazione di ipertesti interattivi, e raggiunge

dei picchi nel momento in cui viene nuovamente selezionato un testo già letto in

precedenza durante il reading. Si tratta, a mio avviso, di una manifestazione evidente del

fenomeno di digital bliss che ho precedentemente menzionato e dell'illusione della scelta

di cui scrive Manovich.398 Questa enfatizzazione della scelta, rimane, sotto molti punti di

vista, illusoria. La circuitazione tridimensionale (o a-dimensionale, se si segue la

terminologia utilizzata da Ciccoricco) dell'opera nasconde infatti delle precise scelte

strutturali che sono state compiute dagli autori durante la genesi del romanzo ipertestuale.

I lettori possono effettivamente scegliere un proprio percorso di lettura, ma questo livello

di virtualità appare in ogni caso già previsto e indirizzato in un certo modo. In questo

senso, The Unknown è un esempio particolarmente calzante di ciò che Douglas definisce

397 Come ad esempio la lettura di Gillespie e di Rettberg a cui ho assistito, avvenuta nel 2011 presso la Bergen Public Library (Bergen, Norvegia): William Gillespie e Scott Rettberg, "Reading of works from the ELC 1 and 2 - The Unknown by William Gillespie, Scott Rettberg, and Dirk Stratton (ELC 2)." Electronic Literature Collection, Volume 2 - Launch. University of Bergen. Bergen Public Library, Bergen (NO). 02-05-2011. In Person.

398 Cfr. §§ 1.1, 1.3 e 2.1.

178

una rete intenzionale (intentional network):

The intentional network—all the structures in the hypertext that either aid or restrict my navigating through it—shapes my experience of not only how I read but also what I read: providing me with paths to follow or words to choose, enabling me to view certain choices and not others. […] Even when I am reading casually, the intentional network—made up of guardfields and defaults, link labels or icons and window titles, hot words and cognitive maps—shapes the options I can choose and the trajectory of my reading. In any case, my awareness that they exist, that they have been designed by an author and integrated into the text I read makes it difficult for me to see these features as insignificant, even if I could navigate through a hypertext easily without paying any attention to them.399

In molti casi, quindi, la ripetizione e l'insistenza sulla natura paradigmatica dell'opera

non portano ad un apprendimento attraverso un processo di pattern recognition effettuato

dal lettore. Ciò appare ancora più sorprendente se ci si sofferma sul fatto che tale

illusione della scelta venga spesso promossa da opere dichiaratamente definite come

interattive. Per quanto riguarda il fenomeno di pattern recognition che è alla base della

stesura e dell'orchestrazione narrativa di Infinite Jest, è possibile al contrario constatare

come esso si rifletta specularmente nell'analoga propensione da parte del lettore ad

effettuare delle connessioni che portino alla genesi di nuove idee. Ad esempio, Greg

Carlisle, autore di una guida alla lettura di Infinite Jest, compone un omaggio alle

riflessioni di Wallace, addirittura organizzando il suo elaborato in vasti ambiti tematici

correlati tra loro in base alla struttura frattale del triangolo di Sierpinski. Carlisle si basa

su un'interpretazione completamente soggettiva ed autonoma per quanto riguarda la

scelta, l'analisi e la correlazione dei temi. Nondimeno, il suo tentativo rappresenta un

caso particolarmente esemplare dell'azione che molti lettori sono portati a fare,

utilizzando un approccio interpretativo simile a quello compositivo adottato da Wallace

per la stesura del suo romanzo, vale a dire tentare di basarsi su una correlazione dei

contenuti avente come conseguenza l'iterazione di nuove narrazioni e nuove idee. Il

processo di pattern recognition è stato compiuto al momento della genesi dell'opera e

dev'essere compiuto nuovamente dal lettore.

Come osserva Wolfgang Iser, un testo letterario è sempre caratterizzato da alcune

porzioni di testo che non vengono narrate e che permettono al lettore di partecipare alla

creazione del significato. Inoltre, questi vuoti (blanks) favoriscono la capacità di porre in

relazione i vari segmenti narrativi:

The blank [...] designates a vacancy in the overall system of the text, the filling of which

399 Douglas 2001, 134.

179

brings about an interaction of textual patterns. In other words, the need for completion is replaced here by the need for combination. It is only when the schemata of the text are related to one another that the imaginary object can begin to be formed, and it is the blanks that get this connecting operation under way. They indicate that the different segments of the text are to be connected, even though the text itself does not say so. They are the unseen joints of the text, and as they mark off schemata and textual perspectives from one another, they simultaneously trigger acts of ideation on the reader's part. Consequently, when the schemata and perspectives have been linked together, the blanks 'disappear'.400

Ciò appare evidente se si considera ad esempio un'ulteriore tipologia d'iterazione

narrativa definita da Slethaug come la ricorsività del vuoto (recursion of lack): «some

important bit of information or part of narration has been omitted, skewing the nature of

the narratival recursion».401 Come è già stato evidenziato, intere parti delle varie vicende

narrate sono state previste e mai scritte o pubblicate da Wallace all'interno di Infinite Jest.

Volendo continuare a tracciare un paragone tra l'architettura del romanzo ed il trinagolo

di Sierpinski, queste lacune coincidono idealmente con il triangolo centrale, che rimane

sempre vuoto. Come osserva Natalini:

I tanti “buchi” nella narrazione […] riflettono la caratteristica principale del triangolo di Sierpinski, ossia la rimozione sistematica di una parte della struttura, fino ad arrivare a un insieme di misura (bidimensionale) uguale a zero: alla fine della procedura, all'infinito, abbiamo tolto quasi tutto, ma quello che rimane non è il nulla, e anzi la cornice, diventata infinitamente sottile (e infinitamente lunga), è un oggetto complesso e potenzialmente inesauribile da percorrere. E in I[nfinite] J[est] l'ambizione è proprio quella di parlare di cose vere, cercando di dire il meno possibile, ma alludendo infinitamente a tutto il resto, catturando il lettore nelle sue pieghe, e rimandandolo sempre a eventi che succedono al di fuori del libro.402

Wallace, attraverso la ripetizione del vuoto, stimola il lettore a colmare i triangoli

mancanti, attraverso la stessa operazione che è alla base della genesi del romanzo. Di

conseguenza, l'opera risulta effettivamente essere un cristallo caduto da una grande

altezza, un triangolo di Sierpinski sghembo, mai terminato, interminabile e allo stesso

tempo costantemente integrabile da parte del lettore. Infinite Jest è quindi uno scherzo

infinito che si contrappone a quell'«intrattenimento fallito» che è il film “Infinite Jest”

attorno a cui gravita l'intera trama (il sottotitolo del manoscritto, poi cassato dall'editor

Gordon Pietsch e dalla casa editrice Little, Brown, è infatti «a failed entertainment»).403

L'efficacia del romanzo è dunque in aperta contrapposizione con quella del film di Jim

Incandenza. Mentre la pellicola è talmente perfetta da risultare letale e quindi fallisce

400 Wolfgang Iser, The Act of Reading. A Theory of Aesthetic Response, London: Routledge, 1978, p. 183.401 Slethaug 2000, 100.402 Natalini 2010.403 Cfr. Moore 2009.

180

nell'intento originario di stabilire una comunicazione tra il regista James Incadenza e suo

figlio Hal, al contrario, il romanzo è talmente imperfetto da risultare – per molti lettori –

efficace, anche se fallirà sempre nel tentativo di risultare completo.

Greg Carlisle elabora una teoria molto interessante in merito al funzionamento della

tensione narrativa in Infinite Jest. In una struttura narrativa tradizionale l'azione accresce

la propria tensione sino a raggiungere un punto di climax e successivamente decresce.

Invece, nelle narrazioni elaborate da Wallace in Infnite Jest la tensione narrativa tende

verso l'infinito, senza mai raggiungere un punto di crisi:

Wallace's narratives are often more analogous to a mathematical function the numerical variables of which become large without bound (tend to infinity) as the independent variable of the function gets closer and closer to a particular value, a limit that cannot be reached because the function is undefined when the independent variable is equal to that value. Often when Wallace's narratives approach a crisis or climax, the tension becomes large without bound and does not resolve because the climax is never reached.404

Questo meccanismo di non risoluzione della tensione narrativa si verifica sia al livello

dei singoli brani sia al livello dei vari capitoli. Tra gli esempi citati da Carlisle a supporto

della sua teoria, vi è il capitolo405 che va da pagina 538 a pagina 619, in cui, dopo una

numerosa serie di tensioni narrative irrisolte, Gately viene ferito da un colpo di pistola e

viene successivamente trasportato dai residenti della casa di riposo Ennet House all'intero

di quest'ultima. L'esperienza di essere in fin di vita non viene narrata e il capitolo termina

con uno scambio di battute tra i personaggi. Soltanto a pagina 809 ritroviamo Gately in

un letto d'ospedale, dopo che ha riacquistato conoscenza, tuttavia, dal momento in cui il

personaggio viene colpito sino all'istante in cui rinviene, il lettore non sa che cosa abbia

pensato e che cosa sia successo a lui e agli altri personaggi. Allo stesso modo, il lettore

rimane con dei forti dubbi riguardanti la morte di Gately al termine della parte di fabula

in cui si narrano le sue vicende. Il traduttore di Infinite Jest Edoardo Nesi, nel suo recente

romanzo autobiografico Storia della mia gente (2011), ricorda di aver chiesto a Wallace

se, al termine del romanzo, Don Gately muoia oppure no e riporta la risposta inviatagli da

Wallace su un foglietto di carta: «Avevo una versione di una delle prime stesure in cui

D.G. moriva, ma quella versione aveva dei terribili problemi... quindi penso che sia più

vero che non muoia (ci sono tre indizi nella versione definitiva che non muore)».406 Uno

404 Greg Carlisle, “Wallace's Infinite Tension”, in Michael Sheehan (a cura di) “David Foster Wallace Tribute - Thank You David Foster Wallace”, in «Sonora Review», Nn. 55/56, Spring 2009, Tucson: University of Arizona Press, 2009, pp. 1-105; pp. 33-45; p. 33.

405 Carlisle ed altri studiosi del romanzo suddividono Infinite Jest in capitoli sulla base dei cerchi stilizzati posti all'inizio di alcune sezioni del romanzo, per un totale di 27 capitoli e 189 sezioni. Un ventottesimo cerchio è posto all'inizio delle note pubblicate al fondo del volume.

406 Edoardo Nesi, Storia della mia gente. La rabbia e l'amore della mia vita da industriale di provincia ,

181

degli indizi è immediatamente rintracciabile all'inizio del volume, quando, nell'«Year of

Glad» (2010), Hal rovina un colloquio di ammissione all'università a causa di una forte

crisi psicofisica che non lo rende capace di comunicare con le altre persone e allo stesso

tempo ricorda di essere stato in un cimitero insieme a Gately, per dissotterrare la testa di

James Incandenza contenente la cartuccia del film «Infinite Jest» (IJ 17). Anche in questo

caso non si sa che cosa sia successo a Gately durante i lassi di tempo che vanno dai suoi

ultimi pensieri in ospedale alla scena del cimitero e da quest'ultima al colloquio di

ammissione di Hal.

Infinite Jest non è fisicamente infinito o illimitato. L’intera lettura del volume può

essere completata e quest’ultimo non è certamente il libro di sabbia di cui narra Borges.

Quello di Borges è un paradosso, e Wallace stesso, citando Morris Kline, ribadisce

indirettamente come l’infinito sia e debba essere nient’altro che un’astrazione: «'One of

the great Greek contributions to the very concept of mathematics was the conscious

recognition and emphasis of the fact that mathematical entities are abstractions, ideas

entertained by the mind and sharply distinguished from physical objects or pictures'».407

Come osserva Toon Theuwis, il termine greco per infinito è apeiron, parola che per

Aristotele assume una connotazione negativa a causa dell’assenza di limite congenita

all’infinito e al caos. L’infinito era dunque considerato come un’imperfezione.408 Carlisle

dimostra come la tecnica della tensione irrisolta venga applicata da Wallace addirittura ad

un macrolivello che riguarda l'intero romanzo, caratterizzato da una serie di archi

narrativi che tendono ognuno ad un punto di tensione irrisolvibile e indefinita al quale

succede immediatamente l'inizio di un'altra sequenza narrativa. A ciò si può aggiungere

che l’organizzazione di Infinite Jest può essere considerata infinita proprio in virtù di

un’imperfezione, chiaramente voluta dall’autore. Si ha infatti una lacuna temporale di un

intero anno, tra il novembre dell’anno del «Year of the Depend Adult Undergarment»»

(2009) e il novembre del successivo «Year of Glad» (2010). Verso la fine del 2009 Gately

lotta disperatamente in un letto di ospedale contro la tentazione di accettare i farmaci

anestetici per alleviargli il dolore, cosa che lo riporterebbe a contatto con la dipendenza

dai narcotici, faticosamente sconfitta; Hal tenta di vivere senza Marijuana, condotta che

produce dei radicali cambiamenti nella sua identità; gli AFR progettano un’irruzione

all’E.T.A., al fine di acquisire una copia del film o quantomeno per rapire uno dei

famigliari del defunto regista James Incandenza. Dall’ultima volta che si incontra Hal nel

Milano: Bompiani, 2011, p. 73.407 David Foster Wallace, Everything and more. A compact history of ∞, New York: Norton, 2003, p. 10.408 Theuwis, p. 9.

182

2009, intento a riflettere sulla sua stabilità ontologica, sino all’incipit del romanzo si ha

dunque un lasso temporale non coperto dalla narrazione. Come osserva Carlisle, a

proposito di questa lacuna temporale:

Even if Wallace had lived past 12 Septmeber 2008 and decided to write a sequel to Infinite Jest, adherence to the form he set for the original novel would require that any crisis events remain undefined in the sequel. More of what happened in the one-year gap could be described, but as Wallace approached a crisis event, to remain true to form he would have had to pile up an enormous amount of detail before truncating the narrative and moving on. Otherwise the narrative would go on forever because, although narrative details can continue without bound as the crisis event is approached, the risis event itself cannot be described: it is undefined.409

Questo vizio di forma all’interno della struttura di Infinite Jest permette di uscire

dall’infinito racchiuso nel testo che viene infatti traslato dalle pagine scritte da Wallace

nella mente e nei ragionamenti del lettore, il quale continua a riflettere sui temi proposti e

sostanzialmente continua da sé il romanzo. In questo senso, Infinite Jest può essere

considerato un’opera aperta che allo stesso tempo contiene all'interno di se stessa un

insieme infinito di narrazioni, esattamente come le infinite possibilità di giocare la palla

durante una partita di tennis sono contenute all'interno della mente di Hal:

Seemed intuitively to sense that it was a matter not of reduction at all, but — perversely — of expansion, the aleatory flutter of uncontrolled, metastatic growth — each well-shot ball admitting of n possible responses, n2 possible responses to those responses, and on into what Incandenza would articulate to anyone who shared both his backgrounds as a Cantorian continuum of infinities of possible move and response, Cantorian and beautiful because foliating, contained, this diagnate infinity of infinities of choice and execution, mathematically uncontrolled but humanly contained, bounded by the talent and imagination of self and opponent, bent in on itself by the containing boundaries of skill and imagination that brought one player finally down, that kept both from winning, that made it, finally, a game, these boundaries of self. (IJ 82)

Secondo Umberto Eco un'opera aperta tende «a promuovere nell’interprete 'atti di

libertà cosciente', a porlo come centro attivo di una rete di relazioni inesauribili tra le

quali egli instaura la propria forma».410 Wallace promuove questa tendenza e valorizza il

ruolo del lettore-interprete, rimanendo così fedele alla sua idea di arte quale «living

transaction between humans»,411 una comunicazione di dati che avviene all’interno della

comunità umana autore-pubblico. Allo stesso tempo, in Infinite Jest, l'allenatore di tennis

Schtitt spiega a Mario Incandenza la sua teoria del gioco, basata su una continua danza 409 Carlisle 2009, 36.410 Umberto Eco, Opera aperta, Milano: Bompiani, 1976, p. 35.411 McCaffery 1993, 142.

183

tra i due avversari/partner:

Schtitt's thrust, and his one great irresistible attraction in the eyes of Mario's late father: The true opponent, the enfolding boundary, is the player himself. Always and only the self out there, on court, to be met, fought, brought to the table to hammer out terms. The competing boy on the net's other side: he is not the foe: he is more the partner in the dance. He is the what is the word excuse or occasion for meeting the self. As you are his occasion. Tennis's beauty's infinite roots are self-competitive. You compete with your own limits to transcend the self in imagination and execution. Disappear inside the game: break through limits: transcend: improve: win. Which is why tennis is an essentially tragic enterprise, to improve and grow as a serious junior, with ambitions. You seek to vanquish and transcend the limited self whose limits make the game possible in the first place. It is tragic and sad and chaotic and lovely. All life is the same, as citizens of the human State: the animating limits are within, to be killed and mourned, over and over again. (IJ 84)

Infinite Jest è il complesso «pretesto» con cui il fruitore deve cimentarsi per

trascendere, migliorare, vincere. L'iterazione delle lacune che il lettore deve colmare – la

proliferazione dei triangoli vuoti nel frattale di Sierpinski – porta ad una costante

evoluzione della virtualità del contenuto narrativo. In The Unknown la ripetizione del

vuoto è l'opera stessa: al lettore viene costantemente ribadito il fatto di stare leggendo la

vicenda di un romanzo che non è ancora stato scritto e che quindi non esiste. Nell'opera

di Rettberg, Gillespie, Stratton e Marquardt non esistono tuttavia parti sconosciute e il

lettore si illude di poter acquisire una virtualità che è costantemente frustrata dal fatto di

raggiungere, prima o poi, ogni dettaglio necessario. Questa illusione della virtualità viene

inoltre promossa dal supporto tecnologico dell'ipertesto, che dà la sensazione di

procedere verso l'infinito, ma che permette in realtà di organizzare un sistema chiuso e

definito nelle sue parti. Al contrario, Infinite Jest è un'opera aperta del tutto particolare,

poiché è caratterizzata da una costante iterazione ed evoluzione dell'atto di «libertà

cosciente» di cui scrive Eco. Di conseguenza, è possibile concordare con Marshall

Boswell,412 secondo il quale Wallace invita a scorgere nel gioco del tennis e nella

competizione tra se stessi e l’avversario una metafora della danza tra lettore e libro. Da

una parte della rete vi è un autore che scrive un testo; dall'altra vi è l'intelligenza del

lettore che sviluppa, in maniera sempre più complessa, un testo parallelo ed immaginario.

Se si prende in considerazione l'analogia elaborata da Powers tra il romanzo e il cervello

umano, la presunta “intelligenza” dell'opera (il campo) viene confusa con le due

intelligenze che si incontrano (i giocatori), poiché all'interno del campo vi è uno spazio

infinito per farle incontrare. Come osserva lo stesso Wallace in un'intervista, l'opera

412 Boswell 2003, p. 173.

184

diventa quindi un punto d'intersezione tra due parabole che non s'incontrano mai:

Herb: Non c'è “finale” in un “Libro Infinito” perché non ci può essere? O era solamente stanco di scriverlo? DFW: Per quanto mi riguarda un finale c'è. Si può ritenere che un certo tipo di linee parallele cominci a convergere in modo tale che una “fine” possa essere proiettata dal lettore da qualche parte al di là della struttura data. Se non vi capita di provare questa convergenza o proiezione, allora il libro non avrà funzionato per voi.413

§ 3.4.4 Narrazione distribuita

Come è stato rilevato, un'importante caratteristica tipica di un sistema

connessionistico è la rappresentazione distribuita, che prevede l'emergere di un

significato sulla base delle relazioni tra le varie componenti strutturali del sistema, e non

sulla base di una relazione tra simboli e concetti ad essi associati. L'obiettivo di questo

paragrafo è quello di comprendere, attraverso un confronto tra Infinite Jest e alcune altre

opere narrative più o meno recenti, in quale modo tale propensione alla distribuzione del

significato possa declinarsi in ambito letterario e quali siano le conseguenze di questa

tendenza.

Come ho spiegato in precedenza, un modello connessionistico funziona in maniera

alquanto diversa da un sistema formale e simbolico basato su una serie di regole e di

simboli. Tuttavia, per quanto concerne il contesto letterario il discorso si complica

notevolmente rispetto all'ambito semiotico, poiché il concetto di simbolo viene utilizzato

in maniera molto più generica. A questo proposito, nel saggio sul simbolismo letterario

The Axel Castle (1931), Edmund Wilson analizza le opere di autori da lui definiti come

appartenenti ad una scuola simbolista, quali Rimbaud, Poe, Yeats, Valéry, Thomas Eliot,

Proust, Joyce e Stein e ribadisce come «la singolare sottigliezza e difficoltà del

simbolismo» siano «indicate dal suo stesso nome». Mentre il «simbolismo comune» si

basa su simboli fissi (come la croce cristiana o l'aquila statunitense) e mentre un

simbolismo come quello ad esempio presente nella Divina Commedia resta in ogni caso

«convenzionale, logico e definito», «i simboli della scuola simbolista sono invece, di

regola, scelti arbitrariamente dal poeta a rappresentare alcune sue intuizioni particolari –

costituiscono una sorta di travestimento per tali intuizioni». Secondo Wilson, questo

413 “Live Online with David Foster Wallace,” May 17, 1996; cit. in Natalini 2010.

185

«tentativo di comunicare mediante un linguaggio accortamente calcolato» e l'utilizzo di

metafore che nascondono sentimenti profondamente personali vengono sfruttati anche da

Proust, che trascorse la sua giovinezza a cavallo tra gli ultimi anni dell'Ottocento e il

primo decennio del XX secolo, venendo profondamente influenzato dal simbolismo e

divenendo così «il primo grande romanziere che abbia applicato i principi del

simbolismo alla narrativa»:414

Il suo enorme romanzo, Alla ricerca del tempo perduto, è, a ben vedere, una struttura sinfonica piuttosto che una narrazione nel senso comune del termine. Le immagini mutevoli del poeta simbolista, con le loro associazioni multiple, sono qui personaggi, luoghi, momenti vividi, emozioni ossessive, modelli ricorrenti di comportamento.415

Come è emerso nel precedente paragrafo, nella Recherche si registra un'iterazione di

situazioni e di eventi che hanno come conseguenza il radicarsi dell'astrazione di un

concetto o di una situazione più generale. Ad esempio, nelle parti Le côté de Guermantes

e Sodome e Gomorre sono presenti tre episodi sociali principali: il debutto di Marcel nel

salotto di madame de Villeparisis, la visita di Swann a casa dei Guermantes e lo scalpore

suscitato, nel corso di un ricevimento, dal colloquio tenutosi tra Swann e il principe di

Guermantes in merito all'affaire Dreyfus. Secondo Wilson «ciascuno di questi tre grandi

episodi sociali segue più o meno la stessa formula e rivela la stessa morale», in maniera

tale da perseguire «il fine di una stretta unità e di un ordine ricco di significato.416 Questa

propensione all'iterazione è riscontrabile anche per quanto riguarda lo sviluppo dei

personaggi nel corso dell'intreccio. Come spiega lo studioso americano, Proust introduce

infatti tutti i personaggi principali nel corso dei primi volumi del romanzo, per far sì che

«illustrino tutti alcuni princìpi generali», tanto da assumere un «significato universale».

«Essi sono designati, nel linguaggio stesso di Proust, ad illustrare alcune leggi; e sebbene

ci appaiano in una successione di aspetti diversi, poiché sono visti in momenti diversi e

in luoghi diversi da osservatori differenti, il loro comportamento, la loro personalità,

hanno una logica stringente».417 Se i personaggi posso essere considerati alla stregua di

simboli funzionali a delineare delle leggi e dei principi generali, anche le memorie del

narratore e protagonista Marcel sono per Wilson caratterizzate da un profonda rilevanza

simbolica. Ad esempio, un gradino di un marciapiede sui cui inciampa dopo un

ricevimento dai Guermantes avvenuto dopo la guerra, ricorda a Marcel gli scalini di

414 Edmund Wilson, The Axel Castle, New York: Scribner, c1931. [Trad. it. di M. e L. Bulgheroni, Il castello di Axel, Milano: Il Saggiatore, 1965, pp. 26-27].

415 Ibidem.416 Ibidem, [131].417 Ibidem, [137].

186

accesso ai canali veneziani e tutta una serie di sensazioni e speculazioni legate a quel

determinato ricordo. L'eroe proustiano si propone di «decifrare i geroglifici» di memorie

che appaiono quindi come «simboli delle verità fondamentali di quel mondo interiore

della nostra coscienza che rappresenta tutto quanto conosciamo della realtà, una sorta di

verità indipendente del flusso del Tempo, indipendente dalla successione incoerente e

sempre mutevole delle altre nostre impressioni».418 Muovendosi sul terreno scivoloso del

paragone tra teorie delle scienze esatte e teorie di stampo letterario, si potrebbe quasi

affermare che Proust abbia creato un sistema lirico e personale di situazioni, personaggi e

memorie che possono essere interpretati come simboli regolati da astrazioni e leggi.

Avvenimenti, persone e paesaggi della Recherche vengono infatti interpretati da Wilson

come dei «durevoli simboli extratemporali», «un precipitato dell'interazione tra la sempre

mutevole coscienza personale e l'incessante mutamento del mondo».419 Sicuramente,

sostenere che la Recherche sia in qualche modo comparabile ad un modello simbolico-

formale come quello descritto da Cilliers420 è alquanto arduo, poiché né Proust né Wilson

avrebbero potuto avere una familiarità con le discipline informatiche, tuttavia in entrambi

i contesti del simbolismo letterario e di quello informatico emerge la presenza di un

codice, di un insieme di algoritmi attraverso cui gestire e interpretare i vari simboli.

Questo insieme di regole coincide per Wilson – che di certo non aveva con il romanzo

stesso. L'eroe proustiano costruisce sui simboli «un libro della propria vita» al fine di

«dominare il mondo, afferrare quella realtà che l'aveva sempre eluso e, opponendosi al

flusso del Tempo, creare qualcosa al di fuori di esso: un'opera d'arte».421

Nonostante risulti ovviamente impossibile che Wilson possedesse, negli anni Trenta

del Novecento, delle competenze informatiche di alcun tipo, lo studioso delinea in ogni

caso un importante paragone tra letteratura e scienza nel momento in cui sostiene che

Proust abbia creato con la Recherche «una sorta di equivalente narrativo della

metafisica» o della relatività einsteiniana:

Per la fisica moderna, tutte le nostre osservazioni sui fenomeni dell’universo sono relative, poiché dipendono dal luogo in cui ci troviamo, dalla velocità e dalla direzione in cui ci stiamo movendo – per il simbolista tutto quanto è percepito dall’esperienza umana è relativo alla persona che lo percepisce, e ai luoghi, al momento, all’umore. Il mondo diventa così per entrambi quadrimensionale [sic] – il tempo essendo la quarta dimensione.422

418 Ibidem, [149]419 Ibidem, [149].420 Cfr. § 3.4.2, p. 164.421 Wilson 1931, [149].422 Ibidem, [145-146].

187

Wilson ritiene che, benché le osservazioni del narratore proustiano siano affette da un

marcato relativismo, l'autore della Recherche costruisca come Einstein una «struttura

assoluta»:

I suoi personaggi possono trasformarsi da cattivi in buoni, da belli in brutti, come le unità di misura di Einstein possono accorciarsi e allungarsi, i suoi orologi possono accelerare o rallentare il proprio ritmo; e tuttavia, come il sistema matematico di Einstein ci permette di stabilire alcune relazioni tra le diverse parti dell'universo, pur se non conosciamo il modo in cui i corpi celesti si muovono l'uno rispetto all'altro, e indipendentemente dal punto di vista da cui abbiamo effettuato le nostre misurazioni, così Proust costruisce uno schema morale muovendo da fenomeni, i cui valori morali sono in continuo mutamento.423

Per lo studioso americano la Recherche, uno dei più grandi esempi di romanzo

simbolista, risulta di conseguenza equiparabile ad un modello pseudoscientifico, basato

su simboli e regole che, nonostante il relativismo dovuto alla poliprospetticità dei punti di

vista tipico della prosa proustiana, si configurano come uno strumento utile a

comprendere alcuni principi che regolano l'interazione tra la percezione soggettiva della

realtà e «l'incessante mutamento del mondo».424 L'analisi di un romanzo pubblicato quasi

un secolo dopo come Infinite Jest induce invece a comparare l'organizzazione della

struttura di quest'ultimo romanzo in primo luogo alla natura subsimbolica di un modello

connessionistico ed in secondo luogo ad alcune recenti teorie di cui si è già accennato

nel capitolo introduttivo e che riguardano l'impiego della correlazione come alternativa ai

modelli scientifici per il trattamento e l'associazione di dati.

Per introdurre tali accostamenti, è possibile servirsi in un primo momento del Nastro

di Möbius, una particolare superficie bidimensionale che ha un solo bordo ed una sola

faccia, cioè non ha superficie interna ed esterna, come per esempio un cilindro. Lo si può

facilmente ottenere da una lunga striscia di carta, ruotando di 180° uno dei due estremi e

unendolo all'altro in modo tale da formare un circuito chiuso. Una peculiarità

fondamentale del nastro è appunto quella di avere una ed una sola faccia. Ciò può essere

dimostrato tracciando una linea lungo tutta la lunghezza della striscia: la linea si

ricongiunge al punto iniziale due volte, la prima sul lato opposto della striscia di carta, la

seconda sul lato da cui si è partiti. Di conseguenza percorrendo tutto il nastro si tornerà

così al punto iniziale, avendo ottenuto una completa esplorazione di tutta la superficie.

Ciò accade anche nel corso della lettura di Infinite Jest: partendo da una scena qualsiasi e

423 Wilson si spinge addirittura oltre, paragonando la figura della nonna di Marcel, vera e propria guida esistenziale del prrotagonista nel corso del romanzo, alla velocità della luce nel contesto della teoria della relatività einsteiniana. In entrambi i casi i due fattori (la nonna e la velocità della luce) sono l'unica costante che «rende possibile il resto del sistema» (Wilson 1931, [149]).

424 Ibidem.

188

completando la lettura del libro, si ritorna al punto di partenza. A questo punto del

ragionamento questa proprietà del nastro di Möbius/Infinite Jest non è dissimile dal

ritorno ad un determinato punto che si può sperimentare con un qualsiasi nastro circolare

o testo circolare dotato di un inizio che coincide con la sua fine.425 Tuttavia, se si

immagina di sfondare la superficie del nastro di Möbius in un determinato punto, è facile

comprendere che ci si ritroverà in un altro punto della medesima superficie, e non su

un’altra superficie estranea. Allo stesso modo, Infinite Jest procede per continui

sfondamenti che portano – o tramite un’iterazione riportano – il lettore in un altro tempo,

in un altra sezione dell’iter narrativo che risulta in ogni caso interdipendente rispetto alla

totalità delle scene che il lettore ha già incontrato lungo il suo percorso di lettura. In virtù

di questo processo, sarebbe ad esempio possibile iniziare la lettura del romanzo in un

qualsiasi punto e addirittura non seguire l'ordine dei numeri di pagina.

Per citare un esempio concreto di questa dinamica, è possibile soffermarsi sulle prime

pagine del romanzo (IJ 10-11), durante le quali Hal ricorda di avere ingoiato da piccolo

una muffa («mold»). Il ricordo avviene durante l'ultima sequenza narrativa in ordine

cronologico. Molto più avanti, nel corso della narrazione, il suo amico Pemulis spiega di

essere riuscito a procurarsi il DMZ, un potentissimo allucinogeno, sintetizzabile a partire

da una muffa: «The incredibly potent DMZ is synthesized from a derivative of fitviavi,

an obscure mold that grows only on other molds» (IJ 170). Allo stesso modo, è anche

possibile citare un dialogo durante il quale Hal e Mario discorrono della dipendenza di

Hal dalla marijuana e dei tentativi di Pemulis di studiare la composizione chimica del

DMZ. Quest'ultima scena è collegata – attraverso un richiamo di nota – a una nota al

termine del volume, che riporta alcune considerazioni di Pemulis in merito al rapporto tra

muffa e DMZ (IJ 1064, n. 321). Nelle pagine immediatamente precedenti alla descrizione

della prima scena, durante la quale Hal non riesce a proferire verbo probabilmente a

causa dell'ingestione del DMZ, viene descritto il personaggio Erdedy, in preda ad uno

stato confusionale a causa dell'assunzione di cannabinoidi. La scena può essere correlata

allo stato confusionale di Hal, ma lo sviluppo di una tale associazione può avvenire nella

mente del lettore soltanto dopo aver letto diverse pagine del romanzo e dopo aver

cominciato a elaborare delle teorie e delle opinioni personali che, con ogni probabilità,

non coincidono con quelle dell'autore o di altri lettori del romanzo. Dan Schmidt, un

425 Ad esempio, la raccolta di racconti Lost in the Funhouse di Barth è preceduta da un nastro di Möbius (e dalle istruzioni per comporlo), che ripete di continuo: «Once upon a time there was a story that began». Barth concepisce la sua raccolta come «a sequence or series rather than a mere assortment»; «the series would circle back upon itself […] to make a circuit with a twist to it, like a Möbius strip». John Barth, Lost in the Funhouse (1968), New York: Anchor Books, 1988, pp. 1-2.

189

utente del forum di lettori di Wallace “Howling Fanthods,” elabora inoltre una teoria

relativa al rapporto tra muffa e DMZ: «It's my belief that Hal's body has itself

synthesized DMZ, perhaps provoked by his marijuana withdrawal».426 La teoria di questo

lettore è interessante, ma non è detto che sia attendibile. Il legame tra l'incomunicabilità

di Hal e l'ingerimento della muffa non è specificato. Si tratta di una strategia

interpretativa di chi legge, che elabora delle opinioni attraverso una logica differenziale

favorita dalla particolare interdipendenza che lega tra loro i vari segmenti della

narrazione.

Benché il libro Infinite Jest non sia materialmente infinito, le due proprietà del nastro

descritte – lo sfondamento e il ritorno ad un determinato punto – possono ricondurre alla

definizione stessa di un insieme infinito secondo una proprietà già intuita da Galileo

Galilei: si dice insieme infinito un insieme che può essere messo in corrispondenza

biunivoca con una sua parte. Allo stesso modo, ogni singola scena del romanzo che si sta

analizzando è collegata con il tutto, con l’insieme composto da tutte le sue scene. Questa

interdipendenza formale coincide con una non-autonomia dei vari segmenti di testo. Non

vi sono “sineddochi” simboliche di concetti più vasti esposti all'interno del romanzo, non

vi sono regole morali, verità liriche che il lettore è invitato a decifrare, ma semplicemente

nodi da inglobare lentamente all'interno di un percorso di comprensione che porta a

stabilire trame di senso in virtù del materiale che si è appreso sino a quel momento.

L'organizzazione del materiale narrativo presente nel romanzo di Wallace richiama di

conseguenza alcune caratteristiche di un modello connessionistico che sono già state

descritte e che si fondano sul principio di rappresentazione distribuita. Il significato non

risiede mai in un singolo elemento, ma nella continua correlazione di elementi. Si tratta

di un romanzo subsimbolico, dove nessun nodo è, nemmeno provvisoriamente,

autonomo e sufficiente a se stesso, bensì interdipendente con il “tutto”

momentaneamente esperito da lettore. Sotto questo aspetto, il libro è illimitato: le

connessioni tra le varie scene sono interminabili; si può continuare a percorrere la

multiforme disposizione di cortocircuiti narrativi sino ad ottenere un’approfondita

visione del tutto. Eppure non si avrà mai la possibilità di ottenere un quadro completo,

sfruttando soltanto l’apporto intellettuale fornito dall’autore e dal testo che ha creato.

Anche in questo caso, vi sono delle affinità con un modello connessionistico, che, come è

stato precedentemente rilevato, è per sua natura incompleto e in molti casi finalizzato a

stabilire soluzioni e teorie costantemente provvisorie e sempre passibili di modifica a

426 Dan Schmidt, “Notes on David Foster Wallace's Infinite Jest,” N.p., Web. 10-07-2008. <http://dfan.org/jest.txt >

190

seconda dei nuovi dati che vengono via via assimilati. L'iterazione del vuoto descritta nel

precedente paragrafo427 sembra di conseguenza avere lo scopo di permettere a questa

costante inconcludenza di espandersi, spostando una parte della narrazione all'interno

della mente del lettore.

Hayles esamina alcuni temi presenti in Infinite Jest, come quello dei rifiuti, che, nel

futuro prossimo immaginato da Wallace, vengono resi ancora più velenosi al fine di poter

produrre energia. Secondo la studiosa il romanzo costruisce cicli su cicli caratterizzando

ogni aspetto della trama da una profonda interdipendenza:

Infinite Jest creates cycles within cycles within cycles. Imagine a huge novel that has been run through the recursive feedback loops of an intelligent agent program and then strung out along the page. Although the words follow in linear sequence, the recursive enfolding would dramatically affect the novel's structure, sequence, and meaning. For such a novel any starting point would be to some extent arbitrary, for no matter where one starts, everything eventually cycles together with everything else.428

Hayles compara l'interdipendenza e la ricorsività di Infinite Jest alle dinamiche tipiche

di alcune intelligenze artificiali sviluppate nel corso degli anni Novanta. Si tratta di un

software denominato “Amalthaea,” un'ecologia auto-evolvente che impiega colonie di

agenti intelligenti e che è stata sviluppata presso il MIT Media Lab da Alexandros

Moukas e Pattie Maes. “Amalthaea” è stata utilizzata per il recupero in rete delle

informazioni. In pratica, il software prevede la presenza di vari agenti intelligenti che

sono in grado di addestrarsi ed evolversi per acquisire informazioni di un certo tipo sulla

base di determinati input forniti dall'utente.

The system as a whole functions as an ecology. Central to the system's ability to evolve are the recursive structures connecting parts of the system to one another and the system as a whole to its environment and to the user. Because the system's output is linked with the agents' input, agents and system coevolve together, with World Wide Web functioning as the system's environment and the user's preferences providing the driving force of natural selection.429

Semplificando molto la modalità di funzionamento degli agenti che compongono

“Amalthaea,” si potrebbe dire che si tratti di intelligenze artificiali che funzionano quasi

come il filtro anti-spam delle nostre caselle di posta elettronica, in grado di addestrarsi

progressivamente a riconoscere la posta indesiderata (l'unica differenza è che il filtro

anti-spam è concepito per scartare informazioni inutili, mentre “Amalthaea” per acquisire

427 § 3.4.3, p. 179.428 Hayles 1999b, 684. Cfr § 3.2.429 Ibidem.

191

informazioni utili).430 Un filtro anti-spam è un valido esempio delle operazioni di

backpropagation e pattern recognition che caratterizzano in parte il nostro cervello e i

sistemi connessionistici descritti da Cilliers, che si basano entrambi sulla correlazione dei

dati e sulla logica differenziale per elaborare dei risultati. All'interno del secondo

capitolo, ho accennato al dibattito relativo alla data-driven science, in seno al quale si

cerca di comprendere in quale modo le pratiche della correlazione vengano applicate con

sempre maggiore successo, prendendo talvolta il sopravvento rispetto al ricorso ai

modelli scientifici.431 Risulta di conseguenza indicativo il fatto che, in ambito letterario,

Wilson compari il simbolismo della Recherche alla relatività einsteiniana e quindi ad una

tipologia d'indagine relativista ma pur sempre basata su principi, modelli e regole, mentre

Hayles paragoni i «recursive feedback loops» di Infinite Jest a un'applicazione di

intelligenza artificiale. Di conseguenza, vi è una sostanziale differenza tra una

concezione di romanzo come modello della vita e insieme di regole, verità e simboli da

decifrare e un'idea di romanzo come modello subsimbolico della vita, come insieme di

relazioni e differenze, in cui ciò che emerge è il costante sviluppo del percorso cognitivo

del lettore.

Al contrario di Infinite Jest, The Unknown, mantiene una consistente autonomia delle

varie parti, poiché è stato realizzato per tenere conto dei brevi tempi di fruizione dei

lettori collegati a Internet. Come osserva Rettberg:

In theory, each scene can function as narrative both independent from the rest of the novel and in relationship with the other scenes linked to it, just as one can read episodes of Jonathan Swift’s Gulliver’s Travels out of sequence, without becoming disoriented. […]Each scene stands alone, but has some elements of the whole encoded within it.432

Benché vi sia un'interdipendenza esaltata dai legami ipertestuali, l'opera è costituita da

elementi autonomi, il cui significato, in moltissimi casi, non è correlato con gli altri. Tale

tendenza a stabilire delle connessioni apparentemente sensate in base al richiamo di un

link, è per certi versi l'esatto opposto rispetto al funzionamento di Infinite Jest, in quanto

nel romanzo di Wallace non vi sono collegamenti espliciti, ma è presente una struttura

narrativa in grado di stimolare in maniera alquanto marcata nel lettore una propensione a

creare autonomamente le proprie connessioni senza avere la guida di un

430 Secondo le definizioni più ottimistiche, anche un filtro anti-spam è un agente “intelligente” (è molto complesso capire se una mail è spam o meno); secondo i pessimisti, un'entità "intelligente" deve essere dotata di auto-coscienza, volontà e altre caratteristiche (e quindi nessun sistema informatico non è neanche lontanamente vicino a questo stadio).

431 Cfr. § 0, p. 17.432 Rettberg 2003, 73-74.

192

narratore/protagonista come accade ad esempio nella Recherche. Al contrario, in The

Unknown, l'elemento connettore – il link – è costantemente e materialmente sottolineato,

anche se spesso manca un vero e proprio nesso logico tra i due lexia (le porzioni di testo

visualizzate sullo schermo) collegati tra loro. Si tratta, per certi versi, di una trasposizione

formale di ciò che ho già definito come una propensione all'apofenia e al senso di

connectdness che è stato rappresentato letterariamente da autori quali Pynchon e Delillo,

vale a dire di un'esigenza o una tendenza a stabilire delle connessioni prive di senso.433

John Johnston analizza ad esempio la psicologia della protagonista Oedipa in The Crying

of Lot 49 di Pynchon in relazione al tema della molteplicità informativa. Come osserva

Johnston: «As Oedipa […] seeks pattern recognition, the text merely proliferates new

information; even as her efforts to arrive at a single overriding interpretation founder,

multiple signs of other worlds and other modes of meaning insistently repeat

themselves».434 La reazione paranoica della protagonista non viene considerata da

Johnston come clinica o psicologica, bensì come una condizione sistemica della sua

esperienza e del mondo in cui vive.435 A mio parere, la natura di questo sistema

caratterizzato dalla molteplicità informativa sta mutando e sta di conseguenza generando

un progressivo addomesticamento della complessità. Dopo aver esaminato Only

Revolutions di Danielewski in qualità di opera esemplare di come il romanzo stia

strutturalmente cambiando a causa del connessionismo, sarà di conseguenza necessario

analizzare, all'interno del capitolo conclusivo, in quale modo i testi letterari stiano

captando e rappresentando quegli spazi di umanità che permettono di non considerare più

la paranoia come un atteggiamento inevitabilmente congenito al contesto culturale e

mediatico in cui viviamo.

§ 3.4.5 Il subsimbolismo di Only Revolutions

Il romanzo in versi di Danielewski è un'opera che ben si presta ad un'analisi

conclusiva, per via della sua natura complicata e complessa. Come si cercherà di

dimostrare, mentre il simbolismo presente nell'opera è caratterizzato da una certa

contraddittorietà e da una rigidità soltanto apparente, al contrario è possibile riscontrare

delle forti corrispondenze tra l'architettura formale del testo e le dinamiche tipiche dei

433 Cfr. § 3.3, pp. 152-153.434 Johnston 1998, 39.435 Ibidem, p. 43.

193

modelli connessionistici. Inoltre, non è un caso che Only Revolutions sia anch'esso, come

Infinite Jest, permeato da un'esplicita insistenza relativa al tema dell'infinito, sia sul

versante strutturale sia per quanto concerne la poetica dell'opera. In particolare,

quest'ultimo tema, insieme alla problematica appartenenza di Only Revolutions al genere

romanzesco, può permettere d'introdurre in seguito le considerazioni finali che figurano

all'interno del prossimo e ultimo capitolo, riguardanti il ruolo del romanzo in relazione al

rapporto tra testo, lettore e ecologia mediale.

È necessario chiedersi se Only Revolutions possa essere equiparato, sotto alcuni

aspetti, ad un modello simbolico e formale. Apparentemente, infatti, si tratta di un

sistema costituito da regole: il nome di Sam è sempre scritto in verde, quello di Hailey è

sempre scritto in colore oro, una pagina è sempre simile alla pagina corrispondente

dall'altro lato, la consonante /l/ è sempre raddoppiata e così via. Il peculiare mimetismo

nei confronti di un'estetica del codice informatico436 viene proposto tramite una serie di

“algoritmi” tipografici. Se la nozione di codice differisce da quella di linguaggio per via

della sua natura eseguibile, allora è possibile considerare il testo di Danielewski come

composto da una serie di simboli e di regole. Allo stesso tempo, tuttavia, si tratta di

regole che non sono mai state scritte o decise: il singolo lettore è tenuto in primo luogo a

costruire il suo personale insieme di algoritmi che gli permetta di interpretare

autonomamente l'opera e, allo stesso tempo, ha la possibilità di accedere ad un forum

pubblico in rete che è stato appositamente creato – e la costituzione di un nucleo

originario di lettori esperti ne è probabilmente la prova più evidente – al fine di

rintracciare eventuali simboli e di discutere in merito all'entità di eventuali regole, spesso

con conclusioni altamente soggettive e quasi mai condivise dall'intera comunità.

Danielewski sembrerebbe quasi aver attuato una particolare operazione di codework,

attraverso un'opera che problematizza il concetto di codice, creando una mimesi che lo

riduce a linguaggio e a strumento di condivisione.

Come osserva Danielewski in merito al proprio romanzo: «We’re not talking about

particular words but the relationship between words. Not the particular names of planets,

but the nature of an ellipse and the effect of gravity on the orbit».437 Questa enfasi sul

significato che possono avere le relazioni che intercorrono tra le parti del testo riflette

una natura frammentaria dell'intera opera. A tal proposito, Brian McHale ha indagato la

difficile collocazione del romanzo di Danielewski all'interno di un preciso genere

letterario. Come osserva lo studioso americano, Only Revolutions può essere considerato

436 Cfr. § 3.2, pp. 138-139.437Miller 2007.

194

un romanzo: viene definito come tale dal materiale promozionale della casa editrice ed è

sicuramente un testo narrativo, che ricorda in primo luogo altri romanzi on the road che

ambientano una bildung dei protagonisti su suolo americano – come ad esempio On the

Road pubblicato da Jack Kerouac nel 1951 – e, in secondo luogo, opere narrative

fortemente poliprospettiche quali The Sound and The Fury (1929) di William Faulkner.

Allo stesso tempo, tuttavia, si tratta di un romanzo in versi, che possiede due proprietà

fondamentali delle opere poetiche. La prima «'big-tent' definition of poetry» viene tratta

da McHale dalle teorie di Rachel Blau DuPlessis e riguarda la segmentazione in versi del

testo poetico: in Only Revolutions tale processo è addirittura amplificato, giacché si

registra una segmentazione non soltanto tra i vari versi, ma anche tra le diverse porzioni

di testo. La seconda e più importante caratteristica è, secondo McHale, la «funzione

poetica» teorizzata da Roman Jakobson. Quest'ultima è definita da un orientamento verso

«il messaggio in quanto tale» («'the message as such'»), in contrasto, tra le altre, con la

funzione referenziale che è orientata verso il contesto del messaggio. «'The poetic

function projects the principle of equivalence from the axis of selection [il paradigma] to

the axis of combination [il sintagma]'». Come spiega McHale:

Where the paradigmatic function axis of selection is normally the axis of (quasi-)identity, and the syntagmatic axis of combination the axis of (grammatical) difference, the poetic function imposes identity upon the successive items in sequence, thereby […] directing the focus away from the informational, expressive, interpellative, etc. functions of the speech event and onto the message as such.438

Un celebre esempio riportato da Jakobson è lo slogan utilizzato durante la campagna

elettorale di Eisenhower negli anni Cinquanta «I like Ike», in cui si riscontra una

sequenza soggetto-verbo-oggetto caratterizzata da una quasi-identità fonetica. McHale

definisce la funzione poetica come un «parallelismo tra elementi diversi in una

sequenza»439 e ritiene che, per quanto riguarda il genere poetico, una delle sue

manifestazioni più straordinarie sia rintracciabile nel parallelismo sintattico-semantico e

nelle simmetrie spaziali che caratterizzano in modo notevole Only Revolutions.

Hayles contribuisce a fare chiarezza su queste considerazioni di McHale relative

all'applicazione della funzione poetica di Jakobson all'analisi di Only Revolutions,

sostenendo che sia possibile riscontrarvi la «trasposizione del paradigmatico sul

sintagmatico», vale a dire un «rivestimento di scelte alterative sull'ordine lineare della

438 McHale 2011, 144 e 149-150. Corsivo aggiunto.439 «Parallelism among successive items in a sequence». Ibidem, 151.

195

narrazione».440 I parallelismi formali riguardano ad esempio le pronunce creative di

alcuni termini (ad esempio, «screeeeaaams» anziché /screams/ o «jinjivitis» anziché

/gingivitis/) che, come suggerisce Hayles, stabiliscono un legame differenziale con le

pronunce corrette;441 le corrispondenze tra i cronomosaici ed i versi dei quadranti

principali (cfr. § 2.4) e soprattutto i parallelismi tra i diversi quadranti che compaiono su

ogni pagina. È necessario ricordare come i numeri di pagina siano accoppiati: ad

esempio, la pagina 169 del lato di Hailey è posta, rovesciata, sulla stessa facciata della

pagina 192 del lato di Sam. Consideriamo ad esempio i primi cinque versi della pagina

169 del lato di Hailey, in cui la protagonista descrive il suo duro lavoro in un ristorante a

St.Louis:

Hard work. The OnlyGettingBycycle of striving. Shiftsonshifting, drifting US apart.Sam leaving when I arrive.Sam arriving when I leave. (H169)

Se ruotiamo il libro di 180° gradi, riscontriamo un evidente parallelismo con gli ultimi

cinque versi della pagina del lato di Sam (S192), che appaiono rovesciati rispetto agli

altri:

Arriving when I leave.Leaving when I arrive.Departing them by driftsonly we survive. Our cycle allwaysputting everyone out of work.(S192)

Questo parallelismo verticale, basato su un'iterazione di elementi simili, ma non del

tutto corrispondenti, raddoppia e diventa anche orizzontale, nel momento in cui leggiamo

le pagine corrispondenti dell'altro lato. Notiamo quindi che H169 corrisponde a S169 (e,

ovviamente S192 corrisponde a H192):

All work. TheJustGettingBycycle of surviving. Where shiftsmust shift, drifting US apart.Hailey arriving when I'm leaving.

440 Hayles 2011, 173. «A transposition of the paradigmatic onto the syntagmatic». «The overlaying of alterative choices onto the linear order of narrative».

441 Ibidem.

196

Hailey leaving when I'm arriving.(S169)

Secondo Bray, «The 'allways' cyclical nature of the reading experience ensures that

[Sam and Hailey] too are continually 'leaving' and 'arriving'. In both 'the World' and the

book they are continually swapping places with each other».442 Il tema della ciclicità e

dell'alternanza è evidente, suggerendo che vi sia un (ulteriore) parallelismo tra

l'alternanza delle narrazioni omodiegetiche di Hailey e Sam e l'impossibilità dei due

personaggi d'incontrarsi a causa dei turni di lavoro alterni. Inoltre, è presente

un'iterazione del materiale narrativo. Se nel caso di Infinite Jest si succedono temi e

vicende che si integrano in maniera non ricorsiva ma iterativa, in Only Revolutions

l'iterazione è da registrarsi a livello sintattico e semantico, attraverso dei continui

parallelismi tra elementi spesso simili e mai identici. Inoltre, oltre al fenomeno

dell'iterazione, è possibile anche riscontrare una forte logica differenziale che è alla base

del connessionismo. Il subsimbolismo è evidente, poiché nessuna parte del sistema-testo

è sufficiente a se stessa ed è necessario un costante ricorso alla logica differenziale.

Hayles scrive:

Overlaid onto the narrative temporal trajectory, these spatial effects infuse the linear order of syntax with a dense haze of possibilities, as if the words actually on the page operated like electrons historically represented as point masses, when they actually exist as probabilistic clouds.443

In altre parole, come gli elettroni vengono soltanto rappresentati come se fossero dei

punti, mentre esistono come delle nubi probabilistiche, allo stesso modo, la forte

paradigmaticità del testo di Danielewski può essere considerata non soltanto come una

mera enfatizzazione del massaggio in quanto tale, ma anche come l'espressione di una

potenzialità. Si tratta di un forte virtualizzazione del testo letterario, il quale diventa

passibile di molteplici combinazioni tra i suoi elementi e quindi di molteplici

interpretazioni da parte di chi legge. Mentre il lettore legge e ruota il libro, è in grado di

leggere e rileggere più volte del materiale simile e quindi di rafforzare la propria

consapevolezza delle differenze tra i vari elementi al fine di elaborare le proprie personali

interpretazioni. Come osserva Bray:

442 Joe Bray, “Only Revolutions and the drug of rereading,” in Joe Bray e Alison Gibbons (a cura di), Mark Z. Danielewsky, Manchester - New York: Manchester University Press, 2011, pp. 200-215; p. 212.

443 Hayles 2011, 173.

197

The characters of Only Revolutions are thus, like the reader, travellers through the book who will never reach a destination. […] The parallels between their 'World' and the world of the reader emphasise the fluidity of the boundary between reader and book, as the former actively engages with the latter. The reader's continual, even compulsive, rotation of the book of Only Revolutions creates a dynamic pattern of reading in which new meanings are forever emerging from an unremittingly 'plural' text. For the reader, as for Sam and Hailey, both the demands and the pleasures of Only Revolutions arise from this endless process of 'allways' revolving and rereading.444

Secondo Bray,445 si tratta quindi di un testo che non può essere «finito», ma soltanto «ri-

finito», esattamente – si può aggiungere – come un sistema complesso cambia la sua

struttura nel corso del tempo e non può essere utilizzato come strumento per determinare

dei risultati definitivi. Il carattere non-finito del libro è evidente a causa della sua

circolarità, che rimanda a quella di un nastro di Möbius (nel frontespizio di ogni lato del

volume è ad esempio scritto: «Volume 0 : 360 : ∞») come nel caso di Infinite Jest, ma

anche per via della costante ricombinazione dei vari elementi, che fanno tutti parte della

medesima faccia del nastro. In questo senso, è possibile citare alcune argomentazioni

pubblicate in rete da un anonimo utente del forum. In primo luogo, considerando i già

menzionati parallelismi formali tra i diversi numeri di pagina, sussiste una circolarità tra

la prima pagina della narrazione di Sam e l'ultima pagina di quella di Hailey. Definendo

ad esempio la pagina H360 come S11,, in quanto correlata verticalmente a S1, notiamo

come questa circolarità ci permetta di partire da S1 e arrivare, leggendo sino a H 360

sempre restando sull'unica faccia del nastro. In secondo luogo, la pagina S1 è correlata

sempre attraverso i parallelismi sintattico-semantici, alla pagina H1 (e S360 a H360), per

cui è possibile, come nel caso di Infinite Jest, effettuare «un “buco” nel nastro», passando

«da una faccia all'altra».446 Quest'ultima operazione è effettuabile partendo da un

qualsiasi numero di pagina, per cui, ad esempio, è possibile partire da S79 per arrivare a

pagina H282, procedendo poi con una continua successione di “sfondamenti” narrativi

che rendono l'opera praticamente tridimensionale, o meglio, a-dimensionale come

Infinite Jest. Come accade nel caso del romanzo di Wallace, è possibile iniziare a leggere

il libro da un punto qualsiasi, leggerlo in ogni direzione e, eventualmente, saltare anche

delle porzioni di testo.447

444 Bray 2011, 214.445 Ibidem, 211.446 Commento di Norkhat, 01-10-2010, Thread: "Art du Canon et voyage en ruban de Möbius," MZD

Forums, c2004-2011, Web. 22-06-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/showthread.php?6290-Art-du-Canon-et-voyage-en-ruban-de-M%F6bius>. «Un 'trou' sur ruban, passant d’une 'face' à l’autre».

447 Cfr. § 3.4.3, pp. 187-188.

198

Fig. 7 Patron pour la construction d'un ruban de Möbius448

Questa continua rivoluzione formale traspare ad esempio dalle metafore di morte e di

rinascita che caratterizzano le prime e le ultime pagine. Inizialmente Sam e Hailey

discendono ciascuno da una montagna per poi doverne risalire un'altra al termine di

ognuna delle due narrazioni. Man mano che si procede con la lettura del testo, i nomi che

compaiono nelle lunghe liste di specie di piante e di animali vengono progressivamente

stampati in un carattere sempre meno nero e sempre più grigio, in maniera tale da

indicarne l'estinzione. Tuttavia, i nomi che sono “estinti” al termine della narrazione di

Sam sono gli stessi che sono stampati normalmente all'inizio della narrazione di Hailey e

viceversa. Il primo verso della narrazione di Sam recita: «Haloes! Haleskarth!/

Contraband!» (S1). «Haloes» sono le “aureole”, di conseguenza il termine è relativo a

un'idea di circolarità, ma anche a quella della morte e della rinascita ultraterrena.

«Haleskart» è un termine obsoleto che significa “libero da infortuni,” mentre il

significato di «Contraband» è associato al cronomosaico della stessa pagina che inizia nel

mezzo della Guerra Civile Americana e che, nello slang di quel periodo, significava

“schiavo fuggitivo”. In H1 troviamo termini altrettanto criptici: «Samsara! Samarra!/

448 Patron pour la construction d'un ruban de Möbius, cit. in: commento di Norkhat, 01-10-2010, Thread: "Art du Canon et voyage en ruban de Möbius," MZD Forums, c2004-2011, Web. 22-06-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/showthread.php?6290-Art-du-Canon-et-voyage-en-ruban-de-M%F6bius>.

199

Grand!». «Samsara» è un termine indiano che indica il ciclo infinito della vita e della

morte. La «Samarra» era un indumento indossato da coloro che venivano arsi vivi

durante gli anni dell'Inquisizione.449 Anche gli ultimi versi di ogni narrazione implicano

un'idea di non-distruzione, ma di costante rinnovo:

I'll destroy no Worldso long it keeps turning with flurry & gushpetals & stems bending and lushand allways our hushes returning anew. (S360)

I'll destroy no Worldso long it keeps turning with scurry & blush,fledgling & charms beading with dews,and allways our rush returning renewed. (H360)

Secondo Bray entrambi i personaggi optano per una sorta di finale aperto e sono in

questo senso in sintonia con la possibilità per il lettore di rinnovare costantemente il

processo di lettura.450 L'insieme lettore-opera raggiunge così una complessità elevata, che

è inoltre caratterizzata da una forte apertura verso l'esterno. La narrazione non si

distribuisce soltanto all'interno del testo vero e proprio, ma si espande anche in spazi di

discussione presenti al di fuori del volume, rendendo quest'ultimo costantemente

insufficiente a se stesso. Come dichiara un'utente del forum: «I think reading the book

was half the fun. This is the other half».451 La condivisione della ricerca di un significato

con altri soggetti permette così di perpetuare ciò che Sam, all'interno della narrazione,

definisce come «The OnlyGettingBy / cycle of striving» (H169).

449 Cfr. “Willhansen2”, "Haleskarth, Contraband, Samsara, Samarra,"The Ambiguities. Web blog, 19-07-2009. Web. 12-09-2011. <http://ambiguities.wordpress.com/2009/07/19/haleskarth-and-samarra/>.

450 Bray 2011, 214.451 Commento di Ryssa, 20-10-2008, Thread: "Is there *REALLY* anything to "figure out" about this

book?" MZD Forums, c2004-2011, Web. 20-06-2011. <http://www.houseofleaves.com/forum/archive/index.php/t-5902.html>. Cit. in Bronwen Thomas, “Trickster authors and tricky readers on the MZD forums,” in Joe Bray e Alison Gibbons (a cura di), Mark Z. Danielewsky, Manchester - New York: Manchester University Press, 2011, pp. 86-104; p. 100.

200

§ 4 - Il romanzo fuori da se stesso: autopoiesi ed esopoiesi

Nel corso dei precedenti capitoli ho utilizzato alcuni strumenti concettuali tipici della

cultura delle reti e dei nuovi media al fine di analizzare dei romanzi pubblicati nel corso

degli ultimi due decenni. Questo processo di transcodificazione culturale dal dominio

dell'informatica a quello della letteratura ha permesso di comprendere in quale modo le

idee di database, spazio navigabile, rete e connessione siano sempre più correlate, sia da

un punto di vista concettuale sia da un punto di vista formale, con la pratica della

narrazione. Al fine di concludere questo percorso teorico, è possibile introdurre

un'ulteriore forma simbolica appartenente all'ambito della cibernetica. La nozione di

autopoiesi è stata introdotta per la prima volta dai biologi cileni Humberto Maturana e

Francisco Varela nel 1978 e può riferirsi ad ogni sistema – sia esso naturale o artificiale –

che è in grado di auto-crearsi e di subordinare tutti gli aspetti del suo funzionamento al

mantenimento della sua organizzazione o identità. Prima di poter comprendere come il

concetto di autopoiesi sia stato applicato all'analisi dei testi letterari, è opportuno

considerarne le caratteristiche principali e l'impatto che ha avuto sull'evoluzione della

cibernetica a partire dagli anni Sessanta.

Come spiegano Maturana e Varela, un sistema si dice autopoietico nel momento in cui

si configura «come una rete di processi di produzione (trasformazione e distruzione) di

componenti che producono i componenti che»: «1) tramite le loro interazioni e

trasformazioni rigenerano e realizzano continuamente la rete di processi (relazioni) che li

ha prodotti»; 2) costituiscono il sistema come un'unità e come una rete concreta nello

spazio in cui i componenti esistono.452 John Johnston fornisce un esempio molto chiaro di

sistema autopoietico: fino a quando un gatto (o qualsiasi altro essere vivente) mangia,

beve e respira, le reti autopoietiche che lo compongono saranno in grado di acquisire i

componenti per produrre l'energia necessaria a generare e mantenere le cellule del gatto

stesso, che potrà quindi conservare la sua organizzazione e continuare a interagire con

l'ambiente circostante preservando la sua identità.453 La struttura di un sistema

autopoietico è lo status di un sistema nel corso di un particolare momento. Ad esempio,

452 Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela, Autopoiesis and Cognition. The realization of the Living, Dordrecht - London: D. Reidel Publishing Company, c1980, 78-79.

453 John Johnston, The allure of machinic life: cybernetics, artificial life, and the new AI, Cambridge (MA), London: MIT Press, p. 192.

201

quando un essere umano nasce ha una particolare struttura, quando entra nella pubertà ne

ha un'altra, se si ammala un'altra ancora e così via. Tuttavia, durante la sua vita, la sua

organizzazione, vale a dire l'insieme delle relazioni che sussistono tra le varie parti del

suo organismo, rimane la stessa e lo caratterizza in quanto essere umano. Soltanto la

morte è in grado di porre fine ad una determinata organizzazione. I due biologi cileni si

erano posti l'obiettivo di elaborare una definizione più precisa di vita. La capacità di un

sistema di conservare la sua organizzazione autopoietica mediante una continua auto-

composizione (poiesis) dei suoi componenti è per Maturana una condizione necessaria e

sufficiente per definirlo vivente. Di conseguenza, tutti i sistemi autopoietici sono viventi

e autopoiesi e vita sono termini tra loro coestensivi.

Come spiega Hayles, questo approccio teorico ebbe un notevole impatto sulla scienza

della cibernetica. Una prima fase di questa disciplina, nata con le teorie di Norbert

Wiener verso la fine degli anni Quaranta,454 si concentrava infatti sul funzionamento del

sistema, per tentare di rintracciare nelle macchine delle dinamiche simili a quelle degli

organismi biologici. Ad esempio, il ratto elettronico inventato e presentato da Claude

Shannon alla Macy Foundation conference on cybernetics nel 1951 era un rudimentale

automa che doveva districarsi all'interno di un labirinto per poi raggiungere l'obiettivo di

colpire un sensore, in maniera simile ad un topo che cerca un pezzo di formaggio

all'interno di un labirinto. Nel corso della stessa conferenza, Ross Ashby presentò

l'omeostato, un dispositivo che, dopo essere stato alterato da uno stimolo esterno (ad

esempio di tipo elettrico) ha la precisa finalità di ricercare la configurazione di variabili

idonea a ripristinare la propria condizione iniziale, esattamente come il corpo umano

produce sudore al fine di mantenere costante la sua temperatura quando essa tende ad

aumentare eccessivamente a causa di stimoli esterni. In entrambi questi esempi la finalità

è quella di rintracciare delle analogie tra il funzionamento della macchina e quello degli

esseri biologici viventi. Questa prospettiva analogica è evidente anche all'interno di

“Behavior, Purpose, and Teleology” (1943), un testo pubblicato dagli scienziati Norbert

Wiener, Julian Bigelow e Arturo Rosenblueth che viene considerato come il primo e più

importante manifesto cibernetico. In esso emergono tre caratteristiche proposte come

base per l'elaborazione delle macchine cibernetiche. In primo luogo, questi sistemi

devono produrre un funzionamento (behavior) equivalente a quello degli esseri umani: se

è difficile conoscere a fondo la struttura interna di un organismo, è comunque possibile

emularne il funzionamento. In secondo luogo, un sistema deve perseguire un'azione che

454 Cfr § 3.1, pp. 111-113.

202

abbia uno scopo (purpose). Infine, una teleologia (teleology) del sistema cibernetico

prevede che l'obiettivo venga raggiunto attraverso un feedback negativo, scartando

progressivamente le azioni che non portano al raggiungimento di un risultato positivo

(come accade, si può aggiungere, quando il ratto elettronico sbaglia strada all'interno del

labirinto). Secondo Hayles, la teoria dell'autopoiesi elaborata da Maturana e Varela negli

anni Settanta suscitò una cesura profonda, poiché alla centralità del funzionamento del

sistema (e all'analogia tra il funzionamento della macchina e quello dell'essere vivente)

teorizzata da Wiener si sostituì l'importanza dei processi autopoietici che generano un

funzionamento. L'omeostato e il ratto elettronico possono comportarsi ciberneticamente,

ma non sono delle macchine autopoietiche e quindi “viventi”, dato che non producono i

componenti che contribuiscono a mantenere la loro organizzazione. Anche lo scopo e la

teleologia vengono ridotti al rango di inferenze delineate dall'osservatore del sistema,

anziché essere delle caratteristiche intrinseche al sistema stesso.455 Come scrivono

Maturana e Varela:

A living system is not a goaldirected system; it is, like the nervous system, a stable state-determined and strictly deterministic system closed on itself and modulated by interactions not specified by its conduct. These modulations, however, are apparent as modulations only for the observer who beholds the organism or the nervous system externally, from his own conceptual (descriptive) perspective, as lying in an environment and as elements in his domain of interactions.456

L'organizzazione di un sistema autopoietico è caratterizzata da un'evidente

organizzazione circolare dei processi che lo compongono e da una forte autonomia delle

proprie capacità cognitive. Continuando con l'esempio precedente, si può dire che gli

acidi nucleici prodotti da un gatto grazie all'acquisizione del cibo, gli permetteranno di

conservare la sua organizzazione. Allo stesso modo, Maturana sottolinea come anche

l'attività del sistema nervoso di un essere vivente (e quindi il suo modo di percepire il

mondo) dipenda da questo meccanismo, nel senso che le dinamiche cognitive di un

sistema sono influenzate dalla sua materialità (dalla sua struttura e dalla sua

organizzazione). Ad esempio, una rana si è evoluta in maniera tale da avere un sistema

visivo che non le permette di visualizzare degli oggetti molto grandi, per il semplice

motivo che, ai fini della sua sopravvivenza e del mantenimento della sua organizzazione,

ciò che conta sono gli oggetti piccoli che si muovono velocemente, nonostante gli oggetti

grandi siano sempre presenti all'interno del suo ambiente. Di conseguenza, il mondo

455 Hayles 1999, 62-65 e 131-142.456 Maturana e Varela 1980, 50.

203

esterno ha soltanto la funzione d'innescare l'attività del sistema nervoso, che rimane

tuttavia determinata all'interno del sistema-rana. Quest'ultimo non rappresenta la realtà,

ma la costruisce.457 Come osserva Hayles:

In the autopoietic view, no information crosses the boundary separating the system from its environment. We do not see a world “out there” that exists apart from us. Rather we see only what our systemic organization allows us to see. The environment merely triggers changes determined by the system’s own structural properties. Thus the center of interest for autopoiesis shifts from the cybernetics of the observed system to the cybernetics of the observer.458

Ogni osservatore mette in atto delle strategie di osservazione che dipendono

unicamente dalla sua struttura e dalla sua organizzazione. Questo aspetto, secondo

Hayles, è fondamentale per comprendere in quale modo il concetto di autopoiesi abbia

avuto un enorme impatto nei confronti di una riflessione sulla scienza della cibernetica.459

Se, a partire dagli anni Quaranta, la prima cibernetica era focalizzata sullo studio dei

flussi d'informazione in un sistema e, in pratica, sulla possibilità di osservare e

controllare il sistema stesso, la seconda cibernetica – sviluppatasi a partire dalle ricerche

di H. Von Foerster e W.R. Ashby negli anni Sessanta e poi con gli studi di Maturana e

Varela – si confronta anche con sistemi “osservanti” e tiene conto del ruolo

dell'osservatore come fattore esterno al sistema osservato: «For 1st cybernetics the

external feedback loops indicated the purpose of the system (eg. a guided missile) to be

some external target. 2nd cybernetics taught us to read this purpose as an invention of an

observer».460 Per Maturana e Varela, il ruolo dell'osservatore è affine a quello delineato

da Albert Einstein e radicatosi all'interno degli studi di meccanica quantistica. I dati

sperimentali non possono essere ottenuti in maniera obiettiva, ma vengono costantemente

influenzati dall'osservatore stesso.461 Questo fenomeno concerne anche l'auto-

osservazione e l'auto-consapevolezza che un individuo ha di se stesso nel momento in cui

osserva e analizza la propria organizzazione. L'osservatore è semplicemente un'unità

autopoietica, così come ogni sistema vivente. In qualità di osservatore ha la capacità di

457 Maturana e Varela 1980, xv; Hayles 1999, 134-137.458 Hayles 1999, 11. Corsivo aggiunto.459 Ibidem, 132-143.460 Vincent Kenny e Philip Boxer, "The Economy of Discourses: A third order cybernetics?," «Human

Systems Management», Vol. 9, N. 4, 1990, pp 205-224, p. 207.461 Come spiegano ad ad esempio gli studiosi di cibernetica Maurice Yolles e Daniel Dubois: This [2 nd]

cybernetics seems to be related to the quantum mechanics. Indeed, contrary to Newtonian mechanics, quantum mechanics shows that experimental data cannot be obtained in an objective way, that is to say independently of the experimentation. Behind the experimental devices, there is the man who interprets the data». Maurice Yolles e Daniel Dubois, “Anticipatory viable systems,” «International Journal of Computing Anticipatory Systems», Vol. 9, 2001, pp. 3-20. Web. 02-07-2011. <http://ljmu.academia.edu/MauriceYolles/Papers>.

204

generare delle rappresentazioni in merito alle interazioni che sono presenti al suo interno:

The system can then recursively generate representations of these representations and interact with them, as when an observer thinks, "I am an observing system observing itself observing." [...] Reflexivity is thus fundamental to Maturana's account not only because the autopoietic operations of a unity specify for it a world but also because the system's reflexive doubling back on its own representations generates the human subject as an observer.462

Nel capitolo introduttivo ho menzionato la proposta di Hassan di scorgere nella

compresenza di indeterminatezza e immanenza una possibile definizione del

postmodernismo. Per quanto concerne l'immanenza, Hassan si riferisce soprattutto alla

capacità – particolarmente posta in risalto dalla teoria e dalla letteratura della

postmodernità – della mente umana di generalizzare se stessa in simboli e di intervenire

sulle proprie astrazioni. Di conseguenza, lo studioso scorge, nel contesto culturale degli

ultimi decenni, una spiccata attenzione all'«emergenza degli esseri umani come animali

linguistici» e «creature gnostiche» capaci di «costituire se stesse».463 Questa definizione

d'immanenza presenta diversi punti di contatto con alcune considerazioni di Maturana e

Varela, che scorgono anch'essi nel linguaggio una sorta di trappola. Secondo i due biologi

cileni, infatti, l'atto del pensare avviene nel momento in cui i processi neurofisiologici del

sistema nervoso interagiscono tra di loro e, attraverso una circolarità ricorsiva, con lo

stato interno del sistema stesso. Per passare dal pensiero all'autoconsapevolezza è

necessario il linguaggio. In altre parole, l'individuo acquisisce un'autoconsapevolezza nel

momento in cui, in quanto osservatore, descrive continuamente se stesso descrivere se

stesso attraverso il linguaggio. Inoltre, come chiarisce Hayles, seguendo questa teoria è

facile comprendere come per Maturana un sistema autopoietico possa unicamente essere

autoconsapevole (di se stesso e del suo rapporto con il mondo), ma non consapevole (di

una realtà extralinguistica che è di fatto inconoscibile): «Because Maturana understands

self-consciousness solely in linguistic terms, seeing it as an emergent phenomenon that

arises from autopoietic processes when they recursively interact with themselves,

consciousness for him becomes a epiphenomenon rather than a defining characteristic of

the human as an autopoietic entity».464 In precedenza, per quanto riguarda la percezione

dell'osservatore, abbiamo visto come una rana non sia in grado di visualizzare gli oggetti

grandi anche se essi esistono: la percezione non consiste in un passaggio d'informazione

dall'ambiente all'organismo, ma in una creazione autonoma dell'individuo. Allo stesso

462 Hayles 1999, 144.463 Cfr. § 0, p. 8.464 Hayles 1999, 145.

205

modo, il linguaggio è una pratica che appartiene al sistema osservante e che permette a

quest'ultimo di essere autoconsapevole di se stesso e del suo rapporto con il mondo,

mentre la realtà extra-linguistica o extra-sensoriale è inconoscibile.465

L'autoriflessività dei sistemi autopoietici ha interessato lo studioso di letteratura anglo-

americana Joseph Tabbi, che rivela come in un primo momento avesse avuto intenzione

di dare al suo saggio Cognitive Fictions (2002) il titolo American Autopoiesis,466 a causa

delle forti analogie, da lui analizzate, tra la nozione di autopoiesi e le pratiche cognitive

rintracciabili in alcuni romanzi pubblicati a partire dagli anni Ottanta. A tal proposito, lo

studioso statunitense effettua un'analisi di ampio respiro, che concerne le strategie

cognitive della mente umana nei confronti dell'ambiente circostante, il rapporto che

intercorre tra conoscenza individuale e i più recenti apparati tecnologici e mediatici e,

infine, il ruolo che può ricoprire la letteratura come strumento di conoscenza. Questi tre

discorsi si alternano e s'intersecano con grande frequenza all'interno di Cognitive

Fictions e hanno come comune denominatore l'emergenza di un nuovo realismo di

stampo cognitivo e “autopoietico”. Tabbi sfrutta il concetto di autopoiesi al fine di

definire la capacità dell'opera narrativa (o, più specificatamente, il romanzo anglo-

americano degli ultimi vent'anni) di strutturarsi come una «composizione auto-

organizzante, o poiesis» che definisce la propria struttura ed i propri confini rispetto al

rumore (noise)467 della non-informazione. Lo studioso americano sembrerebbe per certi

versi opporre all'entropia e al disordine la capacità dell'opera letteraria di veicolare un

messaggio organizzato in una struttura informativa coerente. In tal senso, è possibile

accostare il termine autopoiesi a quello di pattern utilizzato da Hayles (laddove

randomness e noise coincidono sull'altro versante dell'antinomia). Il relativo fallimento

di una certa letteratura postmoderna massimalista, rappresentata da romanzi molto estesi

e contenenti un elevato quantitativo di dati e di descrizioni quali Gravity's Rainbow di

Thomas Pynchon o da Lookout Cartridge (1974) di Joseph McElroy, è dovuto al loro

tentativo di veicolare, attraverso il medium letterario, un eccesso d'informazione: «These

literary mappings meet with incomprehension and resistance because they bring too

much mental activity into consciousness».468 Al massimalismo, Tabbi oppone di

conseguenza una tipologia di letteratura “autopoietica” e propone un canone di autori che

include le opere letterarie di Thomas Pynchon (Mason & Dixon, 1997), Richard Powers

465 Cfr. Maturana e Varela c1980, 29; Hayles 1999, 143-145. 466 Tabbi 2002, viii.467 «Self-organizing composition, or poiesis». Joseph Tabbi, Cognitive Fictions, Minneapolis - London:

University of Minnesota Press, c2002, p. 8. 468 Ibidem, xv.

206

(Galatea 2.2, 1995), Paul Auster (The New York Trilogy, 1987 e The Invention of

Solitude, 1988), David Markson (Wittgenstein's Mistress, 1988), Harry Mathews (The

Journalist, 1994) e una poesia ipertestuale di Stephanie Strickland (“To be Here As

Stone Is”, nella raccolta True North, 1998). Tabbi sostiene che questo gruppo di autori

proceda al di là di un'esaltazione della cultura mediatica contemporanea, di un ricorso

alle soluzioni metaletterarie tipiche di autori quali John Barth (Lost in The Funhouse,

1968) e di una rappresentazione di un «labirinto riflessivo di una mente che pensa a se

stessa mentre pensa», per confrontarsi con il fenomeno della rimediazione della

letteratura nel contesto dell'ecologia mediale degli ultimi anni.469 Tuttavia, come accade

nel caso dei romanzi di Auster e Markson, non tutte le opere prese in esame sono

esplicitamente correlate alla centralità dello scenario mediatico e tecnologico

contemporaneo. Inoltre, Tabbi propone esempi di letteratura che appaiono, a mio parere,

assolutamente conformi a una descrizione letteraria di un «labirinto riflessivo» della

mente. Lo studioso americano analizza infatti dei «processi testuali autopoietici», in cui

le strutture testuali si ripiegano su se stesse al fine di permettere ad un osservatore auto-

referenziale di scrivere di se stesso e di mettere così in atto un'sservazione di

second'ordine tipica della seconda cibernetica. Ad esempio, in Wittgenstein's Mistress di

Markson, la protagonista Kate inzia a scrivere un diario ed in seguito ha la possibilità di

rileggere le sue annotazioni e quindi di interpretarle come un sistema a se stante. In

questo modo, il personaggio cessa di essere un'interprete per diventare

un'(auto-)osservatrice del sistema stesso: «Rather than go on cycling through her solitary

cogitations, now she can see her project as something outside herself and available at

least potentially to another reading mind».470 Allo stesso modo, in The journalist di

Mathews, il protagonista redige un «diario del diario», generando una moltiplicazione

della pratica di scrittura autobiografica. Nella sezione City of Glass di The New York

Trilogy di Paul Auster, il protagonista Quinn abbandona il ruolo di scrittore di romanzi

gialli e s'improvvisa detective per risolvere uno strano caso, assumendo il nome di «Paul

Auster», che, oltre ad essere un personaggio vero e proprio che Quinn incontrerà prima

della conclusione della vicenda, è anche l'autore del romanzo che noi leggiamo. Tali

invenzioni solitarie di stampo letterario si configurano per Tabbi come dei salti cognitivi,

finalizzati a fuoriuscire dal sistema-individuo per poterlo analizzare attraverso un altro

medium, vale a dire quello romanzesco:

469 Ibidem, xx-xxii. «A reflexive maze of mind thinking about itself thinking». Per il concetto di rimediazione (remediation), teorizzato da Bolter e Grusin, cfr. § 0, p. 7.

470 Ibidem.

207

What happens in this set of remarkable novels, which I group together, after Auster, under the term “solitary invention,” is that a notation system reaches a level of complexity that can no longer be sustained by the narrator, and so the narrator jumps (not necessarily “up”) to a different conceptual level, a leap out of the hall of mirrors and an invention out of solipsism. In recognizing the absolute closure of the system they've created, these narrators create a new distinction, which then enters into the system it describes and alters it. […] By imagining oneself as “outside,” the observer introduces a new distinction within the writing-system. Hence the possibility of moving the system (not necessarily “up”) to a different level of complexity, so that it can function differently within the environment (because it is now structurally capable of making new distinctions and hence seeing things within the environment that were not visible before).471

Questa logica del rientro (re-entry) risulta fondamentale per l'analisi di Tabbi, che si

basa a tal proposito sulle teorie elaborate dal sociologo Niklas Luhmann, secondo il quale

i sistemi autopoietici sono «sovrani» nello stabilire le identità e le differenze che

intercorrono tra essi e il loro ambiente:

Everything that is used as a unit by the system is produced as a unit by the system itself. This applies to elements, processes, boundaries, and other structures and, last but not least, to the unity of the system itself. Autopoietic systems, then, are sovereign with respect to the constitution of identities and differences. They, of course, do not create a material world of their own. [...] Whatever they use as identities and as differences is of their own making. In other words, they cannot import identities and differences from the outer world; these are forms about which they have to decide themselves.472

Secondo Luhmann, un sistema effettua un rientro nel momento in cui crea la

differenza che sussiste tra il sistema stesso e l'ambiente circostante e, allo stesso tempo,

copia tale differenza al suo interno, in maniera tale da utilizzarla come una distinzione.473

Come ho già spiegato in precedenza, Tabbi intende rintracciare un'alternativa letteraria al

processo di “hardwarizzazione” della conoscenza. Le reti discorsive e le nuove

tecnologie hanno sempre meno bisogno della comprensione dei loro utenti per poter

funzionare e in questo modo li escludono, da un punto di vista cognitivo, dai sistemi che

contribuiscono a creare.474 Ad esempio, nel romanzo Galatea 2.2 (che è stato analizzato

nel primo capitolo di questo elaborato), il protagonista e autore Richard Powers subisce

inizialmente una forte fascinazione da parte delle potenzialità conoscitive di Internet, per

471 Ibidem, xxii. Corsivo aggiunto.472 Niklas Luhmann, Essays on Self-Reference, New York - Oxford: Columbia University Press 1990a, p.

13.473 Niklas Luhmann, “Why Does Society Describe Itself as Postmodern?,” «Cultural Critique», spring

1995, pp. 171-186; pp. 172-173; cit. in: Tabbi 2002, 20.474 Tabbi 2002, 19-24. Cfr. § 0, pp. 15-17.

208

poi constatare come la rete si stia sviluppando in maniera indipendente dagli utenti che vi

navigano: «The town had been knitted into a loose-weave, global network in my absence.

The web seemed to be self-assembling. Endless local investigations linked up with each

other like germs of ice crystal merging to fill a glass pane».475 I sistemi informativi e

tecnologici possono tuttavia essere penetrati attraverso il processo di rientro favorito dal

linguaggio umano e, a maggior ragione, dalla letteratura:

“We” are, strictly speaking, the environment of a system designed to keep “us” out. This exclusion, is not inevitable or permanent, however, for in marking the difference between meaning and hardware […], the mind is then able to use that difference “as a distinction,” in Luhmann terms, and so re-enter the system at another level (the level of human language).476

Secondo Tabbi, questo fenomeno di rientro è esemplificato dai primi versi di una

poesia di Emily Dickinson utilizzata come esergo in Galatea 2.2: «The brain is wider

than the sky, / For, put them side by side, / The one the other will contain / With ease, and

you beside (GL)».477 Come spiega Tabbi: «‘Youʼ differ from your ‘brainʼ only in that the

one is seen observing the other. […] This self-variation in language is what throws off the

symmetry between subjects and objects, the inside and outside of theory; it creates a

wobbling or doubling back on itself, in which '´ʻbrain' can both contain and be contained

by what it perceives».478 In maniera analoga, attraverso una pratica di autofiction,479 gli

autori esaminati da Tabbi e i protagonisti dei loro romanzi hanno la possibilità di essere

allo stesso tempo all'interno e all'esterno delle loro stesse rappresentazioni. Come è stato

precedentemente rilevato, questo aspetto è evidente in Galatea 2.2, dove Rick480 ragiona

475 Corsivo aggiunto.476 Ibidem, 20.477 Dickinson, poesia n° 632 (c. 1873), Cfr. Dickinson 2004, 110-111.478 Ibidem, 22.479 Il termine autofiction è stato coniato nel corso degli anni Settanta dal romanziere e critico francese

Serge Doubrovsky, che ne dà la seguente definizione: «L'autofiction c'est la fiction que j'ai décidé, en tant qu'écrivain, de me donner de moi-même, en y incorporant, au sens plein du terme, l'expérience de l'analyse, non point seulement dans la thématique mais dans la production du texte». Cfr. Serge Doubrovsky, “Autobiographie/vérité/psychanalyse,” «L’Esprit créateur», vol. 20, automne 1980, pp. 61-79, p. 77. Nel corso dell'ultimo decennio, il termine ha animato il dibattito teorico francese. Ad esempio, il teorico del romanzo Philippe Forest, distingue tra autofiction – in cui la narrazione in prima persona differisce dall'autobiografia a causa di una componente assolutamente finzionale che la percorre – e romanzo dell'Io (roman du je, calco dell'equivalente espressione giapponese shishôsetsu), che viene così definito dallo studioso francese: «Une écriture du Je par laquelle le sujet 'revient' en raison d’une 'expérience' du 'réel' comme 'impossible'». Cfr. Philippe Forest, Le Roman, le Je, Nantes: Éditions Pleins feux, 2001, pp. 36-38. Per un resoconto dell'evoluzione teorica del concetto, cfr. Philippe Gasparini, “De quoi l'autofiction est-elle le nom?,” Conférence prononcée à l'Université de Lausanne, 9-11-2009, «autofiction.org». Web. 13-07-2011. <http://www.autofiction.org/index.php?post/2010/01/02/De-quoi-l-autofiction-est-elle-le-nom-Par-Philippe-Gasparini>.

480 Al fine di distinguere l'autore Richard Powers dal protagonista Richard Powers di Galatea 2.2, continuo a riferirmi a quest'ultimo con il nome “Rick”, utilizzato anche all'interno del romanzo stesso. Cfr. § 1.

209

in merito al suo precedente romanzo The Gold Bug Variations (pubblicato da Powers nel

1991), considerandolo un'esagerata «enciclopedia dell'età dell'informazione», un

tentativo non riuscito di effettuare una «visione aerea» (GL215) dell'impatto culturale

della genetica e dell'informatica.481 I giudizi di Rick in merito al suo romanzo

enciclopedico sembrerebbero ricalcare da un lato le già menzionate proposte di Jameson

di scorgere l'arte della postmodernità come una volontà di tracciare delle mappe

cognitive del sublime tecnologico e dall'altro la descrizione di Tom LeClair dei romanzi

sistemici anglo-americani, valutati come delle mappe in scala 1:1 dello scenario

culturale e scientifico:482 «I would fail, of course, in my aerial survey. To make a map on

the scale of one to one, to bring the people, the genomes I loved back to life would have

required contrapuntal skill on an evolutionary scale» (GL 214). Secondo Tabbi, in

quest'ultimo caso Rick effettua un'osservazione di second'ordine in merito alla sua

produzione letteraria precedente, diagnosticando i limiti di una rappresentazione

dettagliata della complessità. Questa impostazione si riflette (utilizzando la terminologia

di Tabbi e non quella di Maturana e Varela) in una distinzione tra rappresentazione e

somiglianza.

Rather than requesting the suspension of disbilief required of a conventional, representational realism […] Powers takes fiction beyond the confines of literary matters and challenges bounded conceptions of the mind in favor of a mind able to reflect back on itself and reengage the environment after the accumulation of (previously indistinct) information. His work occupies a liminal space not of representation but of resemblance: where “it was like so but wasn't” [GL 3]; where interest is created in the costant adjustment between mental and material structurations.483

La frustrazione suscitata dalla problematica rappresentazione del sublime tecnologico

e mediatico tentata in The Gold Bug Variations attraverso un accumulo enciclopedico di

dati e nozioni sulla cultura scientifica del XX secolo viene controbilanciata in Galatea

2.2 da un rientro cognitivo, che permette all'autore/personaggio di diventare egli stesso

osservatore delle proprie strategie interpretative. Si passa così da una tipologia di

narrazione facente leva su un realismo rappresentativo che tenta di descrivere

esaurientemente la complessità ad un realismo cognitivo, in cui la prosa romanzesca –

non necessariamente espressa attraverso supporti elettronici o computazionali – diventa

uno strumento che ha lo scopo di comprendere in quale modo l'individuo sia in grado di 481 «An encyclopedia of the Information Age»; «aerial view» (GL 210).482 Per il concetto di sublime tecnologico, e per le considerazioni di Jameson sulle opere d'arte

postmoderne come mappe cognitive del tecnosublime, cfr. § 0, p. 16 e § 3.2, p. 144. Per il tentativo dei romanzi sistemici anglo-americani descritti da LeClair di ritrarre delle mappe estese della complessità, cfr. § 3.3, pp. 151-158.

483 Tabbi 2002, 76.

210

selezionare, tramite il linguaggio letterario, un proprio percorso di conoscenza attingendo

dall'ideterminatezza dello scenario culturale e mediatico e tecnologico:

That such a convergence of literature and cognition does not depend on instrumental or wholly computational notions I am observing toward a more cognitive realism in fiction – based on notation and reportability rather than representation, and recognizing conscious experience as a process of selection, an autopoietic creation out of noise that is far more complex than anything yet accomplished by computer simulation. 484l

In precedenza è stato rilevato come Hans Bertens individui nella crisi della

rappresentabilità un comune denominatore delle varie teorie associate al postmodernismo

e al decostruzionismo, che coincide con la certezza che la conoscenza sia legata

unicamente a chi conosce e che ogni rappresentazione sia costruita e mediata

culturalmente.485 Romanzi come Galatea 2.2 dimostrerebbero invece come la condizione

d'immanenza descritta da Hassan non sia una condizione inestricabile. In tal senso, Tabbi

si basa su un principio di notazione (notation), sull'idea che il linguaggio e la finzione

letteraria non vengano più considerati come una trappola da cui non è possibile fuggire

ma come degli strumenti che permettono di effettuare delle osservazioni di secondo

ordine, in cui l'individuo attua una “ri-cognizione” della propria attività cognitiva per

rientrare all'interno del sublime tecnologico, dei sistemi culturali e tecnologici che

tendono ad escluderlo:

An environment of mediated reflexivity […] is uniquely able to absorb and recycle any desire for sincerity and authenticity; and a writer who names a hitherto undiscovered reality will only help to open a market where none existed before. What the environment cannot absorb or predict are the second-order observations, and the repurposing of media, by those within the environment. […].When the literary novel is competitively challenged by proliferating nonliterary narratives and representations, the author's function is not to discover the real within a culture of simulations, but to model communicative pathways in a medial ecology.486

Oltre al tentativo riscontrabile in molti romanzi di analizzare le dinamiche cognitive

che l'individuo mette in atto nonostante il processo di “hardwarizzazione” dello scenario

mediatico e culturale contemporaneo, il realismo cognitivo indicato da Tabbi come nuova

prospettiva teorica all'interno del contesto letterario anglo-americano presenta

un'ulteriore implicazione rilevante, che concerne il concetto di autonomia delle opere

484 Tabbi 2002, xxv. Corsivo aggiunto. 485 Cfr. § 3.2, p. 145.486 Tabbi 2002, 80.

211

letterarie “autopoietiche” rispetto agli altri mezzi di comunicazione: «I see American

fiction heading under the influence of electronic mediations: toward an ecological

realism aware of the many cognitive environments but capable of holding ont its own

literary autonomy».487 L'autonomia dei sistemi autopoietici, risulta tuttavia problematica

ed è possibile rendersene conto soffermandosi non soltanto sul pensiero di Tabbi, ma

anche sulle considerazioni di altri studiosi in merito al concetto di autopoiesi. Come

sostiene Ira Livingston nella sua monografia sul concetto di autopoiesi, da un lato, un

sistema autopoietico è chiuso ed autoriflessivo poiché, al fine di mantenere la propria

organizzazione, sostiene autonomamente le proprie operazioni, come l'osservazione

dell'ambiente circostante o l'osservazione di se stesso; dall'altro, può essere considerato

una sorta di parassita, che si alimenta continuamente di fonti di energia e di materiali

grezzi provenienti dall'ambiente in cui è inserito al fine di sostenere la sua «piccola

infiorescenza interna». Di conseguenza, l'autonomia del sistema prevede allo stesso

tempo una forte dipendenza di quest'ultimo dall'ambiente circostante. Questo

compromesso tra apertura e chiusura del sistema autopoietico nei confronti del suo

ambiente è una «contraddizione irrisolvibile».488 In un altro contesto, ho già menzionato

la teoria della fase dello specchio di Lacan, secondo la quale il bambino, guardandosi allo

specchio per la prima volta, acquisisce una consapevolezza di se stesso come separato

dall'ambiente circostante.489 Secondo Livingston, si tratta di un'idealizzazione

dell'autonomia, che diventa in un secondo momento una peculiarità dell'organizzazione

psichica, giacché il bambino rimane comunque dipendente e relazionato all'ambiente in

cui vive e agli altri individui (ugualmente non-autonomi, anche se percepiti come tali dal

bambino) con i quali si relaziona. Allo stesso modo, anche un sistema autopoietico non è

mai autonomo, bensì può essere definito come un sistema «che percepisce erroneamente

se stesso (o che viene percepito) come autonomo»:490

The self, the auto of autopoiesis, is able to be misrecognized as something discrete and circularly self-contained, like an egg, but look closer, and it seems to be instead a node in a branching structure, and the node, in turn, opens out into rhizomic, multiple, tangled networks, and what had seemed so involuted and singular turns out to be something torn up, plural, patched together,

487 Ibidem, xxv. Corsivo aggiunto.488 «Little inflorescence»; «irreducible contradiction». Ira Livingston, Between Science and literature. An

Introduction to Autopoetics, Urbana - Chicago: University of Illinois Press, 2006, pp. 83-87. In merito all'autonomia dei sistemi autopoietici, cfr. anche: Maturana e Varela c1980, 79-80; Hayles 1999, 145-147.

489 Cfr. § 3.2, pp. 131-133.490 «An autopoietic system, one might say, is a system that is able to misrecognize itself (or to be

misrecognized) as autonomous». Livingston 2006, 87.

212

[…].491

A questo proposito, David Ciccoricco spiega come un sistema autopoietico sia

caratterizzato dalla compresenza di una chiusura operazionale e di un'apertura

ambientale. Questa «doppia positività» può descrivere efficacemente anche il rapporto

che intercorre tra i testi letterari e il loro ambiente, tra i quali avviene di fatto uno

scambio d'informazioni sia sul piano semantico che su quello formale.492 Tabbi

sembrerebbe condividere tale punto di vista, sostenendo come un'apertura di tipo

ambientale sia rintracciabile anche nei testi autopoietici:

Defining the literary as a self-organizing composition, or poiesis, is not to close off the literary field; instead, by creating new distinctions such a definition can actually facilitate literary interactions with the media environment. While constructed of language and thus self-referentially closed to nonlinguistic media and frequently nonrepresentable meanings, a work of literature can nonetheless interact with its environment in the very act of distinguishing its own boundaries and medial difference.493

Le narrazioni cognitive sono in grado d'interagire con l'ambiente circostante e allo

stesso tempo di riflettere in merito a tale interazione, esattamente come, in Galatea 2.2,

Powers riflette in merito al rapporto che intercorre tra le sue precedenti creazioni

letterarie e l'ambiente culturale e tecnologico in cui vive. Inoltre, come Tabbi intende

dimostrare nei primi due capitoli teorici di Cognitive Fictions e nell'ultimo paragrafo del

volume, dedicato anche alle opere elettroniche della poetessa Stephanie Strickland,

questa tendenza è particolarmente evidente nella narrativa ipertestuale, la quale, come la

mente umana, è capace di filtrare un segnale dal rumore e di ammettere soltanto quegli

aspetti dell'ambiente che è in grado di percepire:

Hypertext is "mindlike," because the mind, too, like any organism, admits only those aspects of the environment that it is structurally able to process. A successful hypertext construction will be, therefore, not an accumulation of objects and texts defined indexically as some sort of pre-existing information network; it will be, rather, a set of dovetailing or complementary structures, which have cognitive meaning to the extent that these structures are brought out, sequentially and associatively, in the process of linking.494

Si può sostenere che Tabbi abbia sviluppato una nozione di autopoiesi letteraria che

491 Ibidem, 89.492 Ciccoricco 2007, 135. Ciccoricco si basa in questo caso sulle teorie di Niklas Luhmann (cfr. Luhmann,

1990a, 12-15) e di Bruce Clarke (cfr. Bruce Clarke, “A System of Systems Distinctions,” Intervento presentato al panel “Narrative, Media, Systems,” conferenza della Society for Literature and Science, Austin: 2003).

493 Tabbi 2002, 8.494 Ibidem, 127.

213

appare caratterizzata da alcuni fattori in contrasto tra loro. Da un lato, considera la

capacità d'interagire con l'ambiente di queste narrazioni attraverso la logica dei rientri

cognitivi; dall'altro costituisce un canone di testi che riflettono in maniera metaletteraria

sulla loro natura e sulla loro forma e i cui personaggi – come nel caso di Rick in Galatea

2.2 – sprofondano sovente in un eccesso d'introspezione e in un'autoanalisi che porta ad

una difficile comunicazione con ciò che risiede al di là della loro mente. L'autonomia

cognitiva ha senso se la continua ridefinizione dei propri limiti porta ad un'effettiva

interazione con l'esterno. Come scrive Hayles, la creazione di una sfera autonoma da

parte di un individuo acquisisce una rilevanza nel momento in cui permette a un sistema

di conoscere e rispettare non solo i propri confini, ma anche quelli delle altre entità

autopoietiche, degli altri sistemi che convivono nel medesimo ambiente:

Autonomy is important [...] because it establishes a sphere of existence for the individual, a location from which the subject can ideally learn to respect the boundaries that define other autopoietic entities like itself. This emphasis on closure, autonomy, and individuality also changes what count as primary concerns. When the existence of the world is tied to an observer, the urgent questions revolve around how to maintain boundaries intact and still keep connection with a world that robustly continues to exist regardless of what we think about it.495

Da quest'ultima considerazione emerge con chiarezza come la duplice esigenza di

definire una propria autonomia e di mantenere un contatto con l'ambiente circostante

diventi più impellente nel momento in cui l'ambiente stesso sembra trascurare

l'importanza del sistema, rendendosi meno permeabile alle strategie cognitive di

quest'ultimo. Come è emerso nel primo capitolo di questa tesi, una simile urgenza è

rintracciabile nell'ansia del personaggio autobiografico di Powers in Galatea 2.2,

continuamente lacerato da dubbi in merito all'obsolescenza e alla presunta inutilità della

letteratura e contemporaneamente attratto dalle potenzialità offerte dai nuovi media e

dalle forme d'intelligenza artificiale.496 Anche nel pensiero critico di Tabbi traspare una

commistione di timore e interesse nei confronti dell'ecologia mediale degli ultimi

decenni:

I would posit literature as a print-based system existing at the margins of the defining media of our time. This marginality and medial difference, so far from putting the literary artist at a disadvantage, might allow the artist to resist the largely communicative purposes of other media, to manage their multiplicity, and to experience the meaning of their unreflective functions. That, by all accounts is how consciousness itself—which cannot be tied to a specific site, agency, or

495 Hayles 1999, 147. Corsivo aggiunto. 496 Cfr § 1, pp. 40-44.

214

intentionality—is related to the more determinate sites of activity within the brain and its various social and material extensions. Consciousness is marginal and thus analogous to literature; it is always in a place where it is not, and also like literature, it works more slowly and less powerfully than the specialized modules that have evolved with the brain's cognitive ecology. Fom this mediated ecological perspective, literature's function can be newly formulated in terms that are at once modest and compelling.497

L'idea che la letteratura si collochi ai margini dello scenario mediatico contemporaneo

e che allo stesso tempo possa funzionare addirittura come una coscienza di quest'ultimo,

in grado di favorire un'analisi più lenta e consapevole, evidenzia anche la volontà di

conferire al medium letterario un'indipendenza e un riconoscimento del suo ruolo

fondamentale all'interno del sistema culturale e mediatico. Resta da comprendere se al

ripiegamento autoanalitico sulla propria capacità di riflettere che caratterizza le

invenzioni solitarie dei protagonisti dei romanzi che Tabbi descrive in tutti i capitoli del

suo libro non si sia accostato un approccio parzialmente differente, che affianca

all'importanza di una potenzialità autopoietica la necessità di un dialogo tra

sistemi/esseri/intelligenze diversi tra loro. Entrambi gli aspetti sembrerebbero ad esempio

coesistere nelle pagine finali di Galatea 2.2, in cui Rick si avvale anche del punto di vista

esterno dell'intelligenza artificiale Helen al fine di riflettere in merito ai risvolti

esistenziali della sua professione di scrittore. Tabbi si concentra soprattutto sulla relativa

difficoltà di Helen nel fornire dei commenti adeguati ai testi, che è, a suo avviso, una

dimostrazione palese del fatto che un sistema autopoietico (in questo caso, l'intelligenza

artificiale Helen) necessiti di una materialità (di una struttura, di un'organizzazione e, in

questo caso, di un corpo per esplorare materialmente il mondo) per funzionare

pienamente, anziché essere soltanto una simulazione.498 A mio parere, tuttavia, tale

moltiplicazione del punto di vista mediatico raggiunge un livello di complessità ancora

più elevato e permette di comprendere come sia l'autonomia dell'individuo autopoietico

sia l'autonomia della letteratura siano insufficienti. Come è stato rilevato in precedenza, il

suicidio di una Galatea letteraria che si configura come un “lettore assoluto” in grado di

immagazzinare qualsiasi tipologia di testo permette al personaggio umano di accettare la

sua imperfezione cognitiva e l'impossibilità di poter acquisire e rappresentare in maniera

autonoma una conoscenza troppo vasta. Nel romanzo di Powers il metodo utilizzato per

accettare questa inadeguatezza dell'autonomia cognitiva è il dialogo tra essere umano e

intelligenza artificiale, vale a dire uno scambio e un continuo confronto tra sistemi

differenti. Questo progressivo addestramento al dialogo è ad esempio evidente nel

497 Tabbi 2002, xi.498 Ibidem, 72-73.

215

momento in cui la scienziata Diana rivela a Rick come la scommessa di creare

un'intelligenza artificiale in grado di leggere e di commentare dei testi letterari fosse in

realtà un esperimento per addestrare l'essere umano a comunicare:

"Embarrassment?" She stiffened. "Oh, Richie. The extent of my idiocy, of my childishness just now dawned on her. You still believe? "You think the bet was about the machine!"I'd told myself, my whole life, that I was smart. It took me forever, until that moment, to see what I was."It wasn't about teaching a machine to read?" I tried. All blood drained."No.""It was about teaching a human to tell."[…] I could say nothing. My silence was the only accusation big enough."They were running your training. Something to write home about. More practice with maps." She laughed and shook her head. She fit her fingers to her eyebrow. "You must admit, writer. It's a decent plot."

(GL 317)

Grazie alle conversazioni con Helen, Rick comprende anche di non poter fondare

interamente la propria esistenza sulle invenzioni solitarie della letteratura, ma di dover

sviluppare un'attitudine al dialogo, in maniera tale che i suoi romanzi possano diventare

un argomento condiviso, una parte di un sistema più ampio che coinvolge una pluralità di

individui. Di conseguenza, in Galatea 2.2, nonostante la corrente di autoriflessività che

caratterizza l'intera narrazione, sembrerebbe emergere con maggiore forza un confronto

serrato tra ciò che per Lukàcs e Hegel è il romanzo come “scoperta dell'Io” – vale a dire

uno strumento in grado di promuovere la consapevolezza che l'Io ha di se stesso – e ciò

che per Mikhail Bakhtin è il romanzo concepito come “un'educazione all'Altro,”

finalizzato a comprendere in quale modo la molteplicità dei discorsi e dei punti di vista

possa integrarsi all'interno della nostra coscienza.499 Se possiamo considerare le

invenzioni solitarie come una scoperta del sé dinnanzi al rumore indistinto del sublime

tecnologico, allo stesso tempo è necessario indagare in quale modo, all'interno dei

romanzi esaminati nel corso di questo elaborato, la convergenza di cognizione e

letteratura possa permettere di mantenere l'esigenza di un rapporto con altre intelligenze e

con altri mezzi di comunicazione ed espressione. Ritengo che sia necessario evidenziare

come i romanzi analizzati nel corso dei precedenti capitoli siano in grado non soltanto di

mappare cognitivamante se stessi e l'ambiente circostante, ma anche d'influire su

quest'ultimo attraverso una ridefinizione dei confini del supporto, della struttura e dei

contenuti del testo letterario.

499 Holquist 2002, 75.

216

Una parziale inadeguatezza della cognizione autopoietica è ad esempio presente in

Infinite Jest di David Foster Wallace. Come è già stato rilevato, Hal è incredibilmente

intelligente e dotato di abilità sportive fuori dal comune e quindi in grado di selezionare

perfettamente le informazioni che gli servono – siano esse nozioni di studio o le mosse

dell'avversario durante una partita di tennis – al fine di definire la propria organizzazione

autopoietica. Il personaggio appare come l'incarnazione vivente della capacità di

selezionare un pattern dalla randomness per ottenere dei risultati che contribuiscano al

mantenimento della sua integrità. In altre parole, il protagonista del romanzo di Wallace è

un individuo-macchina, un esempio di sistema autopoietico perfettamente efficiente e

dotato di una forte consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti.500 Tuttavia,

Wallace narra anche degli eccessi di questa capacità di raggiungere un'elevata

consapevolezza della propria efficienza. Tabbi allude ai rientri cognitivi che i personaggi

di The New York Trilogy o, in parte, Galatea 2.2 compiono nei confronti di se stessi e dei

loro testi letterari, tuttavia questa soluzione, si configura spesso come un raddoppiamento

dell'Io che sprofonda in se stesso e non con un consolidamento del rapporto con

l'ambiente circostante. In questo senso, la figura di Hal presenta delle forti analogie con il

ripiegamento interiore tipico di tali personaggi e rivela i limiti di un approccio

autopoietico portato alle sue estreme conseguenze. Come osserva Boswell: «Hal not only

thinks obsessively about himself but also about the way he thinks about himself; he

sometimes even thinks about the way he thinks about the way he thinks about

himself».501 Questa «ellisse di pensiero paralitico» («a paralytic thought-helix», IJ 335)

permette al protagonista una continua serie di autoriflessioni e una perfetta capacità di

attingere informazioni dall'ambiente, ma è anche una delle cause principali della sua

vacuità e del suo solipsismo, della sua incapacità di comunicare con gli altri e con

l’Altro.

Se l'autopoiesi, incarnata dalla figura di Hal, assume una connotazione marcatamente

negativa, Infinite Jest sembra suggerire, attraverso la stessa dialettica tra segnale e

rumore che caratterizza l'atteggiamento cognitivo del prodigioso e robotico protagonista,

delle strategie alternative all'isolamento suscitato dall'auto-osservazione. All'interno del

secondo capitolo ho rilevato come il romanzo di Wallace e Only Revolutions di

Danielewski siano caratterizzati da un'orchestrazione narrativa affine all'organizzazione

dei modelli connessionistici. Tali modelli sono in molti casi anche delle reti neurali,

composte da nodi che non possiedono singolarmente un significato preciso.

500 Per quanto riguarda la disumanità del personaggio di Hal, cfr. § 2.1 pp. 55-57. 501 Boswell, 2003. 139.

217

L'informazione nasce sempre dallo status complessivo del sistema, vale a dire

dall'insieme di relazioni tra i vari nodi. Da un punto di vista dell'elaborazione di un

significato, molti sistemi autopoietici, come ad esempio la mente umana, funzionano in

maniera connessionistica, in quanto sono in grado di aggiornare continuamente la loro

struttura (l'insieme delle relazioni tra le loro parti in un determinato periodo), attraverso

una serie di feedback tra le loro parti. Trasporre queste teorie nell'ambito narrativo

implica necessariamente un paragone parziale tra sistemi auto-organizzanti e testi

letterari, poiché un'opera narrativa non è né viva (in quanto non riproduce continuamente

se stessa e le parti che la compongono) né intelligente (non cambia la sua struttura in

maniera autonoma sulla base degli input ricevuti dall'esterno). Ciò nondimeno Infinite

Jest e Only Revolutions presentano una struttura affine a quella di una rete neurale,

poiché i segmenti narrativi, come i valori dei vari nodi della rete, non sono mai autonomi

e non possiedono un significato di per se stessi, ma sono interdipendenti tra loro e il

significato emerge unicamente dallo status dell'intero sistema, vale a dire dalle relazioni e

differenze che intercorrono tra le varie parti di queste narrazioni distribuite. Inoltre, in un

sistema neurale si registra la ripetizione e quindi un rafforzamento di determinate

connessioni che porta di conseguenza all'elaborazione di un pattern, uno schema di

relazioni dotato di significato. In questo senso, i romanzi di Wallace e Danielewski sono

una sorta d'istantanea di un processo di pattern recognition in corso di avanzamento,

poiché in essi è possibile rintracciare una costante iterazione e un rafforzamento di

argomenti, episodi e, in Only Revolutions, di frammenti di testo simili ma mai uguali tra

loro. Questa affinità strutturale con un sistema connessionistico ha come conseguenza più

importante quella di stimolare nel lettore un personale processo di pattern recognition.

Come l'autopoietico Hal è in grado di filtrare il segnale dal “rumore” e di processare

informazioni in maniera sorprendentemente efficiente, i lettori di Infinite Jest e Only

Revolutions sono invitati ad attuare una continuo processo di elaborazione delle analogie

e delle differenze che possono sussistere tra le varie parti del testo. Se le fiction cognitive

analizzate da Tabbi sono incentrate sull'autopoiesi degli autori/protagonisti, al contrario

le opere di Wallace e Danielewski tentano di stimolare l'autopoiesi del lettore,

obbligandolo ad uno sforzo cognitivo e ad una continua riflessione in merito alle sue

precedenti constatazioni. Sicuramente qualsiasi opera narrativa è, di fatto, in grado di

suscitare pensieri nella mente di chi legge, tuttavia i due romanzi in questione

enfatizzano profondamente questo processo, poiché sono appositamente studiati per non

essere sufficienti a se stessi, bensì per apparire come dei sistemi nervosi che dialogano

218

con le scelte cognitive effettuate da chi legge. L'autonomia del testo e quella del lettore si

limitano sempre a vicenda: il primo non risulta mai inaccessibile o autoreferenziale,

mentre il secondo subisce difficilmente un surriscaldamento cognitivo o il rischio di

elaborare delle connessioni apofeniche e completamente prive di fondamento.

Quest'ultimo aspetto può essere meglio compreso soffermandosi sull'idea di letteratura

come strumento di dialogo tra testo e lettore. Nel caso di Infinite Jest e di Only

Revolutions, il romanzo può essere effettivamente considerato ciò che Bakhtin definisce

un’educazione all’Altro, uno strumento che sviluppa la consapevolezza di ciò che è

esterno al proprio Io. Tale discorso è valido anche per quanto riguarda il linguaggio in

generale, considerato da Bakhtin non come un un sistema astratto di norme, bensì come

una concezione eteroglotta del mondo.502 A tal proposito, Wallace interpreta in maniera

particolare il pensiero di Ludwig Wittgenstein, sostenendo come quest'ultimo, nel

Tractatus Logico-Philosophicus (1922), consideri l'essere umano come intrappolato nel

linguaggio, nella valenza denotativa delle parole, privo della possibilità di instaurare un

approccio non mediato con il mondo vero e proprio.503 Per questo motivo, il filosofo

austriaco è considerato dall’autore di Infinite Jest come «il vero architetto della trappola

postmoderna»,504 in quanto, sostenendo che l’uomo è nel linguaggio, permette

indirettamente di considerare la parola, la grammatica, la forma del discorso, come valori

ultimi. Ciò porta al rischio di un offuscamento del significato nella grammatica e nelle

forme della letteratura, di una creazione di un linguaggio privato o, si potrebbe

aggiungere, autopoietico che incrina la valenza comunicativa dell’arte. Wallace recupera

invece con forza l’idea, espressa a suo avviso da Wittgenstein in Philosophische

Untersuchungen (1945), di una necessità di considerare la funzione sociale del

linguaggio: nonostante sia impossibile attuare un legame tra l’uomo e il mondo che non

sia mediato dal linguaggio, quest’ultimo deve sempre essere utilizzato al fine di creare

una relazione tra gli individui. Questa concezione, trasposta da Wallace in chiave

artistica, permette così di conferire alla letteratura un ruolo di «transazione vivente tra

esseri umani»,505 di strumento atto a costituire una comunità tra autore e lettore grazie

alla trasmissione di precisi significati.

L'attenuazione dell'autonomia del testo letterario e l'importanza dell'idea di dialogo

come strumento per limitare gli eccessi dell'autopoiesi sono concetti che presentano dei

502 Per il concetto di eteroglossia, cfr. § 2.2, p. 73. Cfr. R. Brandon Kershner, Mikhail Bakhtin, in The Edinburgh Encyclopaedia of Modern Criticism and Theory (a cura di Julian Wolfreys), Edinburgh: Edinburgh University Press, 2002, pp. 168-173; p. 170.

503 «The real architect of the postmodern trap». Wallace in: McCaffery 1993, p. 144.504 Ibidem.505 «A living transaction between humans». Ibidem, 142.

219

punti di contatto con la nozione di esopoiesi (exopoiesis) coniata – nell'ambito

disciplinare della filosofia e dell'etica dell'ambiente – da John Nolt, docente di etica

ambientale, logica e metafisica presso la University of Tennessee. Nolt distingue tra le

funzioni autopoietiche e le funzioni esopoietiche che caratterizzano il comportamento di

un organismo. Le prime stabiliscono e mantengono la sopravvivenza (vale a dire

l'organizzazione e la struttura, utilizzando la terminologia di Maturana e Varela

precedentemente citata) degli organismi stessi, come accade ad esempio quando un

essere vivente respira, si procura del cibo o tenta di resistere ad una malattia. Le funzioni

esopoietiche sono invece quelle che un individuo mette in atto al fine di stabilire,

mantenere o incrementare la sopravvivenza di un'altro sistema vivente: «In exopoiesis, an

organism functions not for its own benefit, but rather for the benefit of something related

to it, to which it is therefore of instrumental value».506 La riproduzione è esopoietica

perché incrementa la sopravvivenza della specie e non del singolo esemplare; l'utilizzo

del pungiglione da parte di un insetto è esopoietico ad un livello sociale, in quanto è

finalizzato alla difesa dell'intero alveare; anche il trasporto del polline da un fiore all'altro

che le api effettuano è esopoietico, poiché permette non soltanto la sopravvivenza

dell'ape stessa (che preleva il nettare per nutrire se stessa e altre api), ma anche quella

della specie dei fiori (la cui riproduzione è agevolata dal trasporto del polline). Allo

stesso modo, si può sostenere che i romanzi analizzati nel corso dei precedenti capitoli

siano caratterizzati da una funzione esopoietica, che traspare sia da un punto di vista

dell'organizzazione del materiale narrativo sia per quanto riguarda il rapporto che il

sistema-romanzo intrattiene con il suo ambiente. Non si tratta di testi che sono stati

redatti con lo scopo, tipico dei sistemi letterari autopoietici e autoriflessivi descritti da

Tabbi, di mantenere una propria struttura e di definire una propria autonomia rispetto

all'ambiente, bensì di romanzi che prevedono la parziale insufficienza della loro natura e

della loro struttura.

Il fenomeno di esopoiesi è ad esempio rintracciabile nell'incompletezza strutturale di

Infinite Jest: i segmenti narrativi del romanzo sono caratterizzati da una tensione irrisolta

e, come è stato rilevato nel corso del secondo capitolo, da una continua iterazione di

spazi privi di narrazione che diventano un luogo virtuale in cui si ha la possibilità di

tessere ancora più concretamente il proprio personale e cosciente percorso di lettura.

506 John Nolt, "The Move from Is to Good in Environmental Ethics," in «Philosophy Publications and Other Works» Vol. 31, 2009, pp. 135-154; p. 149. Web. 29-07-2011. <http://trace.tennessee.edu/utk_philpubs/1>. Corsivo aggiunto. Nolt esamina il concetto di esopoiesi all'interno del contesto teorico dell'etica ambientale al fine di effettuare un'analisi del concetto di bene per gli esseri viventi, tuttavia la nozione di esopoiesi, da lui coniata, può adattarsi utilmente anche all'ambito letterario.

220

Questa danza tra lettore e testo diventa uno strumento di dialogo che non abbandona mai

chi legge.507 In altri termini, si tratta l'orchestrazione narrativa è strutturata in maniera tale

da includere, sin dalla sua genesi e progettazione, lo spazio necessario per ospitare le

strategie cognitive del lettore, le quali si alternano continuamente a quelle del narratore

principale.508 La funzione esopoietica della narrazione non è soltanto strutturale, ma può

interessare anche il rapporto che intercorre tra il romanzo e l'ecologia mediale in cui esso

è inserito. In Pattern Recognition di Gibson si può riscontrare una tendenza ad

individuare nell'idea di opera uno spazio di dialogo. All'interno della trama, Nora

dissemina su Internet frammenti del video da lei creato e permette di conseguenza a

Cayce di ritessere una narrazione. Parallelamente, come si è visto, alcuni lettori hanno

adottato la medesima logica “esopoietica” di Nora, scomponendo e pubblicando in rete

vari segmenti del romanzo di Gibson e collegandoli in maniera creativa con altri dati e

contenuti presenti su Internet. In Flight Paths, la narrazione principale diventa un punto

di partenza per la raccolta di nuovo materiale narrativo, che successivamente viene

inglobato all'interno del romanzo, in un continuo scambio tra il livello paradigmatico del

database e quello sintagmatico della narrazione. In quest'ultimo caso, l'esito “virtuoso”

dell'esopoiesi appare evidente nel momento in cui si considera come diversi lettori del

progetto di Pullinger e Joseph siano stati invogliati a scrivere e a pubblicare storie

attinenti a quella dei protagonisti Yacub e Harriet, che – a differenza di una semplice

riscrittura di un'opera – vengono successivamente assorbite all'interno del tessuto

narrativo principale.

In Only Revolutions di Danielewski la dimensione simbolica (in questo caso,

“effettivamente” simbolica) dell'ape ha una forte rilevanza e s'intreccia con la funzione

esopoietica che può avere la narrazione. I due protagonisti si nutrono esclusivamente di

miele durante l'intera vicenda (S/H 42): «It's the HONEY / All along. By it I succeed /

Without I retreat. Begin to freeze» (H353); «It's the HONEY / All along. By it I thrive.

Without it I recede. Start to die» (S353) e hanno una scorta di vasetti che man mano

diminuisce mentre ciascuna delle due narrazioni volge al termine per poi ricominciare

dall'altra parte del libro. Come sostiene Dirk Van Hulle, l'ape – animale fondamentale

per le teorie di Darwin sull'origine e l'evoluzione delle specie – appare come l'unica

specie animale o naturale (oltre all'essere umano) che, nel corso della trama, non è

minacciata da estinzione. Di conseguenza, «the symbolic presence of the bee (as the only

507 Per quanto riguarda il concetto di connessionismo applicato all'analisi della struttura di Infinite Jest cfr. §§ 3.4.3 e 3.4.4.

508 Infinite Jest presenta diversi narratori secondari e un narratore principale la cui identità è ignota. Secondo alcuni indizi non particlarmente fondati, potrebbe trattarsi del protagonista Hal Incandenza.

221

creature whose name is homophonous with the most existential verb in the English

language) seems to mark the notion of rebirth».509 In questo senso, Hayley è allergica al

polline delle api e, indirettamente, anche al liquido seminale di Sam che inizialmente non

riesce o non vuole concederle la possibilità di concepire, anche se alla fine i due riescono

ad avere un rapporto completo e ad assicurare la continuazione della specie. Inoltre, Sam

muore nel momento in cui viene punto da un'ape, e con lui ha termine la sua narrazione,

che tuttavia rinasce quando il lettore inizia a leggere la narrazione dall'altro lato del

volume. La metafora di morte e rinascita rappresentata dalla presenza simbolica

dell'ape510 e dell'impollinazione coinvolge direttamente anche il ruolo che le due

narrazioni hanno all'interno del testo, “impollinanodosi” e influenzandosi continuamente

a vicenda e creando uno spazio che, come ho rilevato in precedenza, assume la

configurazione di una circuitazione tridimensionale all'interno della quale il lettore può

muoversi elaborando soggettivamente legami di senso che altrimenti non risultano mai

evidenti. Inoltre, l'intero romanzo viene utilizzato come argomento centrale per le

discussioni in rete dei lettori su uno spazio in rete appositamente dedicato, di

conseguenza, il processo di esopoiesi caratterizza anche la dimensione extratestuale di

Only Revolutions. Come osserva Danielewski:

[Only Revolutions] was pointedly a centrifugal novel. It was about getting outside. It was about looking at landscape. It was about addressing what the open was. […] It was also about […] addressing the online community and saying, "Hey, give me your input here: what was your favourite historical moment?" So it's not just my personal history, but histories that go beyond what I can perceive when I'm looking at thousands of books.511

In questo caso l'autore assume il ruolo di mediatore, realizzando un'opera che ha la

funzione di catalizzare una molteplicità di discorsi che appartengono alla storia e alla

cultura collettiva e che contribuiscono ad integrare materialmente il romanzo già durante

il processo di stesura. La forza centrifuga evocata da Danielewski risulta per certi versi

509 Dirk Van Hulle, “Only evolutions: Joyce's and Danielewski's works in progress,” in Joe Bray e Alison Gibbons (a cura di), Mark Z. Danielewsky, Manchester - New York: Manchester University Press, 2011, pp. 123-140, p. 133.

510 La figura simbolica dell'ape è stata utilizzata anche dallo scrittore canadese Douglas Coupland per evidenziare l'importanza della narrazione come elemento in grado di creare un beneficio per gli altri e un dialogo con l'Altro. Nel suo recente romanzo Generation A viene descritto un futuro prossimo in cui le poche api rimaste e non minacciate dall'estinzione scelgono di pungere, e quindi di scegliere, i cinque protagonisti, che si ritrovano successivamente coinvolti in un esperimento del tutto simile al Decameron di Boccaccio, in cui sono invitati a narrare storie per cercare di comprendere il pericolo dell'estinzione delle specie. Come recita l'incipit del romanzo: «How can we be alive and not wonder about the stories we use to knit together this place we call world?». Cfr. Douglas Coupland, Generation A, New York: Scribner, 2009, p.11.

511 Benzon 2007. Corsivo aggiunto.

222

affine alle forze centrifughe del linguaggio, che, secondo Bakhtin, sono in grado di creare

l'eteroglossia tipica del genere romanzesco.512 Nel contesto dell'odierna ecologia mediale,

sembrerebbe che esse possano riformulare radicalmente i confini materiali del romanzo,

che, nel caso di Flight Paths e Only Revolutions, si intermedia con altre forme artistiche

come il video e l'immagine, con la forma simbolica del database e con gli spazi di

condivisione e discussione presenti su Internet. In un'epoca fortemente caratterizzata

dalla forma simbolica del database, anche il romanzo può cangiarsi in paradigma, essere

un luogo di eteroglossia e di dialogo, ma anche una voce esopoietica in mezzo ad altre, o

addirittura una voce in mezzo ad una sinfonia intessuta in altri spazi di condivisione e

con altri soggetti, vale a dire i lettori.

Questi ultimi esempi possono permettere di rintracciare dei punti di contatto tra

un'idea di letteratura “esopoietica” e la nozione di “narrazione distribuita” di Jill Walker:

«Distributed narratives are stories that aren’t self-contained. They’re stories that can’t be

experienced in a single session or in a single space. They’re stories that cross over into

our daily lives, becoming as ubiquitous as the network that fosters them».513 Per quanto

concerne lo studio degli ipertesti, Walker rileva di conseguenza una natura «ferale» di

alcuni esempi di ipertesto, che proliferano in maniera incontrollata all'interno del World

Wide Web:

In the nineties, the advent of the web and the rapid spread of personal computers and internet connections in ordinary homes radically changed the ecosystem hypertext existed in. Hypertext, lovingly bred in captivity, was unleashed into the World Wide Web. Suddenly, anyone could publish a website and link and be linked at will. The result? Hypertext went feral.514

Tra gli esempi di letteratura ipertestuale di Walker figura anche The Unknown, che

effettivamente è caratterizzato da un'elevata voracità mediatica, essendo stato progettato

in maniera tale da citare continuamente le proprie parti, descrivendo e ri-descrivendo la

propria natura e le proprie componenti, in un gioco indefinito di richiami e collegamenti

privi di un'organizzazione gerarchica. A tal proposito, Ciccoricco ritiene che il romanzo

di Rettberg, Gillespie, Stratton e Marquardt sia un esempio particolarmente evidente di

sistema autopoietico, che produce ed è prodotto dagli stessi componenti che lo

costituiscono e che, di conseguenza, è in grado di riprodurre continuamente se stesso:

512 Cfr. § 2.3, p. 73 e § 2.4, pp. 106-107.513 Jill Walker, “Distributed Narratives. Telling Stories Across Networks,” Presented at AoIR 5.0,

Brighton, September 21, 2004 by Dr Jill Walker, Dept of Humanistic Informatics, University of Bergen. Web. 12-10-2010. < http://jilltxt.net/txt/Walker-AoIR-3500words.pdf >.

514 Ibidem.

223

In systems-theoretical terms the “Unknown” continually observes itself in order to reorganize itself on a higher level. The act of reading The Unknown, however, and to some degree the act of reading any network text, complicates part of this equation. It is true that the authors’ own self- awareness may constitute a higher conceptual level, which would in turn reflect a distinction drawn during the act of composition. But in a network novel, which is divorced from the fixity of a hierarchical progression, this does not necessarily translate as a jump UP for the reader reading.515

Di conseguenza, The Unknown è effettivamente un sistema autopoietico, in grado

oltretutto di evolversi e di osservare se stesso evolversi, ma tale dinamica, sia a livello

strutturale sia a livello cognitivo, non corrisponde necessariamente ad un incremento di

conoscenza da parte di chi legge. Questo è un dato che va considerato con attenzione: la

quantità di testi presenti all'interno dell'opera e il potenziale aumento della

consapevolezza del lettore nei confronti di ciò che legge non sono direttamente

proporzionali. Allo stesso tempo, un aumento del tasso di complessità dell'opera non

implica un incremento dell'efficacia del dialogo che intercorre tra testo e lettore. Come è

emerso nei precedenti capitoli, questo romanzo ipertestuale è anche strutturato in maniera

tale da inglobare continuamente altre porzioni di testo presenti su Internet. Tuttavia,

come spiega Ciccoricco: «Indeed, if The Unknown is an autopoietic system, it is not a

very selective nor, in turn, a very efficient one. In incorporating everything from its

environment it deems useful or relevant, it has opted for an exhaustive approach».516

La differenza tra una tipologia di testo letterario prettamente «ferale» e autopoietico e

una “transletteratura” esopoietica risiede nel fatto che quest'ultima prevede che l'opera

letteraria diventi un vantaggio per l'ambiente circostante. In questo senso, l'opera non è

tanto considerata come un sistema che si alimenta di contenuti esterni che entrano a far

parte della sua struttura autonoma, bensì come un elemento che diventa parte di un

sistema più ampio. Sotto questo profilo, la nozione di esopoiesi presenta delle affinità

con una più ampia gamma di teorie che riguardano la terza cibernetica:

Second-order cybernetics redrew the boundary to include the observer as well as the system (or, in the terms that Maturana and Varela develop, the autopoietic, informationally closed system plus the observer looking at the system). Third-order cybernetics redraws the boundary once again to locate both the observer and the system within complex, networked, adaptive, and coevolving environments through which information and data are pervasively flowing, a move catalyzed by the rapid development of ubiquitous technologies and mixed reality systems.517

515 Ibidem, 136. “The Unknown” è il nome scelto dal collettivo di autori del romanzo, mentre The Unknown è il titolo del romanzo stesso.

516 Ciccoricco 2007, 136.517 N. Katherine Hayles, "Cybernetics," in W. J. T. Mitchell and Mark B. N Hansen (a cura di), Critical

224

Secondo Maurice Yolles la terza cibernetica riguarda la possibilità di considerare

l'osservatore e il sistema osservato come un unico sistema: «The meaning is relative or

subjective in the sense that it depends upon the experiential life or imagination of each

party. The idea of a constructivist third cybernetics come from the notion that the

observed system and the observing systems together form another system».518 Alcuni

lettori hanno già cominciato a ragionare come se fossero degli osservatori inseriti

all'interno dello stesso sistema di cui fa parte l'opera letteraria o una parte di essa.

Sicuramente, continueremo a definire un “romanzo” ciò che ci permette di acquisire

una coscienza dell'alterità e di farlo attraverso una compresenza di voci differenti. In

romanzi quali Infinite Jest, Only Revolutions e Flight Paths la consapevolezza

dell'Altro diventa sempre più rilevante, al punto che l'opera viene ideata e sviluppata

per non essere più autonoma e sufficiente a se stessa. Il genere romanzesco appare di

conseguenza non soltanto caratterizzato dal suo consueto cannibalismo, ma anche da

nuove capacità di “impollinazione” di altri spazi. Internet non è un territorio da

conquistare a tutti i costi, il computer non è una promessa di redimenti potenzialità

formali ed espressive, entrambi non rappresentano un'opportunità imprescindibile. Si

tratta unicamente di strumenti grazie ai quali è possibile comprendere come stia

cambiando il modo di “fare letteratura” al fine di “utilizzare” la letteratura come

mezzo di comunicazione e insieme ad altri mezzi di comunicazione. Possiamo

abituarci a pensare a noi stessi come processi e ad agire insieme alle intelligenze che

creiamo, siano esse tecnologia, letteratura o entrambe le cose.

Terms for Media Studies, pp. 145-156, Chicago: University of Chicago Press, 2010, pp. 145-156; p. 149.

518 Yolles espande questo concetto, proponendo di associarlo a quello di lifeworld teorizzato da Habermas, per il quale un lifeworld può essere espresso in termini di «patterns of meaning in a social environment». Come osserva Yolles: «Lifeworld is a cultural space of purposeful actors who interact together in order to reach agreement over issues». Come ho spiegato in precedenza, Sue Thomas considera ad esempio il transalfabetismo come un'intersezione di molteplici «patterned ways», compiuti da vari soggetti in un «transliterate lifeworld» che coincide con un'ecologia mediale che muta con l'invenzione di ogni nuovo medium. Maurice Yolles, Organizations as Complex Systems: An Introduction to Knowledge Cybernetics, Greenwich (Connecticut): Information Age Publishing, 2006, pp. 432 e 476-500. Cfr. anche S. Thomas 2008 e § 3.4, pp. 135-136.

225

Bibliografia

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