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Poetiche rivista di letteratura Vol. 12, n. 2-3 del 2010 MUCCHI EDITORE ISSN 1124-9080 Estratto

Uno Stendhal metafisico: le passeggiate milanesi di Savinio in \"Ascolto il tuo cuore, città\"

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Poeticherivista di letteratura

Vol. 12, n. 2-3 del 2010

MUCCHI EDITORE

ISSN 1124-9080

Estratto

Poetiche, fascicolo 2-3/2010

Luigi Weber

Uno Stendhal metafisico:le passeggiate milanesi di Savinioin Ascolto il tuo cuore, città*

«Che interesse può avere oggi un ritratto del-l’Italia qual era nel 1817?» si chiedeva con una qualche civetteria Stendhal, quasi fos-

sero passati moltissimi anni da allora e non meno di un decennio, nella Prefazione alla se-conda edizione di Roma, Napoli e Firenze1. Un li-bro – osserva Savinio in Ascolto il tuo cuore, cit-tà, il più stendhaliano dei suoi – «in cui si parla più di Milano che di Roma, di Napoli o di Firen-ze»2. E se la risposta forse oggi è scontata, oggi che ci avviamo verso i due secoli, il quesito ci si ripropone, semmai, aggiornato, nella forma in-terrogativa intorno a quale interesse potrebbe avere, nel primo decennio del terzo millennio, un ritratto di Milano qual era all’alba degli anni Quaranta. Quesito a cui tenteremo, sia pure in breve, di offrire una risposta non limitata all’in-trinseco interesse documentario che ogni im-magine archeologica in sé contiene.

Stendhal viene citato spesso da Savinio, e qui con non comune frequenza: ritorna poco meno di quaranta volte, nel libro. Le citazio-ni sono attinte non soltanto da Rome, Naples

* Relazione letta al XII convegno internazionale della MOD, La città e l’esperienza del moderno (Milano, Università Statale, Università di Milano-Bicocca, Università Cattolica del Sacro Cuo-re, 15-18 giugno 2010).

1 Cfr. StendhaL, Roma, Napoli e Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria, Bari, Laterza 1974, p. 377. La prefazio-ne, scritta nel 1824, apparve nella stampa del 1827.

2 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, [1944], Milano, Bom-piani 1988, p. 292.

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et Florence, ma anche dalle Promenades dans Rome e dalle Mémoires d’un touriste. Senz’altro è il personaggio/interlocutore più ricorrente, per-sino più di Verdi e Manzoni. Pur non essendo italiano e nemmeno milanese – malgrado il suo noto epitaffio a Montmartre lo proclami «Henry Beyle milanese» – egli è l’autore di una Milano, ossia inventore/re-inventore di una modalità di percepire e raccontare Milano, da cui si propa-ga poi una modalità di percepire e raccontare l’Italia tutta.

Di quello stesso Stendhal che lo anticipò nelle passioni, pseudonimo e vagamondo, in-sieme ad altri uomini «preclari» quali Eraclito, Platone, Luciano, Voltaire, Achim von Arnim e Nietzsche, Savinio si dirà un giorno essere la «continuazione ineffabile»3. Il Viaggio in Italia alla maniera di Stendhal è, ovviamente, il mo-dello dichiarato cui si rifà il giovane de Chirico, a sua volta in qualche misura italiano adottivo (e lo ribadì sempre, lui nato sotto quello schele-tro che non getta ombra, il Partenone; lui che in Fòskolos4 si definisce italo-greco, come il poeta di Zacinto) scrivendo, tra il 1939 e il 19435, i te-sti raccolti in Ascolto il tuo cuore, città.

Tra l’altro, come sempre accade con Savi-nio, il percorso del testo, per non dire della stra-tegia narrativa che lo informa, è ondivago e di-sorientante, guidato da continue associazioni li-bere: una scorribanda capricciosa nel tempo e

3 Cfr. A. Savinio, Maupassant e l’altro, [1944], Milano, Adel-phi 1995, p. 10.

4 «Anch’io come lui: un po’ di qui e molto dell’Italia», cfr. A. Savinio, Fòskolos, in id., Achille innamorato. (Gradus ad Parnas-sum) [1938], Milano, Adelphi 1993, p. 20.

5 Savinio fa spesso riferimento implicito al presente in cui stende i suoi appunti, per esempio indicando quanti anni sono trascorsi da un determinato avvenimento storico, e il calcolo a vol-te ci restituisce il 1940, a volte il 1941, a volte il 1942. Ovviamente le Pagine aggiunte e le Note di Taccuino finali (pp. 385-396), sono successive ai bombardamenti dell’agosto 1943.

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nello spazio, così che questo volume, introdotto da un proverbio milanese, e annunciato fin dal paratesto editoriale come un libro sul capoluo-go lombardo, inizia invece con le parole «Arri-vo a Venezia che è notte». Nei primi capitoli in-dugia a lungo lontano dalla sua meta prefissa con magnifiche pagine d’ambientazione veneta, muovendosi tra l’impronta palladiana di Vicen-za, il Palazzo della Ragione, il caffè Pedrocchi e la Cappella degli Scrovegni a Padova, e la città lagunare. Sono peraltro molti i luoghi convoca-ti in questo Italienische Reise: vi troviamo an-che Siena, Roma, Firenze, Tarquinia, la Versi-lia, e altri ancora. Che questo libro si offra dun-que al lettore come un «Viaggio in Italia», piut-tosto che come una peregrinazione tutta me-neghina, sembra abbastanza evidente, insom-ma, e così come Stendhal intitola il suo scritto a tre città preclare negando però la menzione alla vera protagonista, città del suo cuore, qui Savi-nio, con il consueto gusto per il rovesciamento, si muove in maniera speculare: annuncia «una» città, e «un» cuore, mentre a lungo li evita, quasi distrattamente trasportato in mille altrove. Solo il procedere della lettura, solo l’accompagnare fidente Savinio nel suo instancabile «passeggiar narrando», svela per gradi il senso dell’opera, e dell’operazione.

Quando Stendhal torna a Milano, nel 1817, ha passato da poco i trent’anni, e la concitazio-ne con cui si precipita, la sera stessa dell’arrivo, alla Scala, contiene tutta la felice ansia di vita che sommuove, intero, il suo lungo racconto. Al contrario, quello di Savinio è un viaggio della maturità, di un più che cinquantenne che molto ha vissuto, molto ha conosciuto, moltissimo ha letto e studiato6. Quella di Stendhal è tutta una

6 E non ne fa mistero: le pagine sono cosparse di citazioni, e non si fatica a riconoscere, accanto a Roma, Napoli e Firenze, uno

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scoperta, quella di Savinio per lo più una rievo-cazione. E fin da questo primario discrimine av-vertiamo dove stia, forse, il maggior aspetto di-vergente delle due opere, pur nel porsi dell’una come consapevole prolungamento e aggiorna-mento dell’altra. Perché la Milano (e l’Italia) di Stendhal fremono di mondanità, di conversari, anche e forse soprattutto galanti, di ammirazio-ni ed esami del multiforme cosmo artistico dis-seminato per la penisola. È un mondo affolla-to, vociante, luminoso, quand’anche a rischia-rarlo siano le luci artificiali del Teatro alla Scala o dei lampioni cittadini. Quello di Savinio è, al contrario, per lo più silente, solitario e mentale – malgrado gli incontri siano numerosissimi –, infine notturno. Non a caso, il più lungo e qua-si unico dialogo ha luogo, nel capitolo Baba, con il fantasma dell’amico Caterino, già protagoni-sta di Morte dell’ingegnere7. Tutti gli altri accom-pagnatori, come il pittore Fabrizio (Clerici) dal nome “casualmente” stendhaliano, e i tanti ami-ci e colleghi, vividi ritratti da antologia, da Arri-go Boito che somiglia al gatto di Pinocchio a Car-lo Dossi, esile come un «sospiro d’uomo», da Pi-randello a Guido da Verona che si prodigano per trovargli un albergo, ai fratelli Ricordi, da Carrà a Ungaretti, in divisa diretto a Parigi come cor-rispondente del «Popolo d’Italia», da Bontempel-li a Cardarelli, da Francesco Messina con i suoi studenti nella classe di scultura a Brera ad Ar-turo Martini nello studio che fu del restauratore Silvestri, da Massimo Campigli a tavola ad Artu-ro Tosi «cacciatore di paesaggi», perfino all’ama-ta Maria, compagna di tutta la vita, sono spesso

degli strumenti-guida prediletti nel più volte menzionato Milano storica nelle sue vie, nei suoi monumenti, ponderoso tomo di Ansel-mo Arduini edito da Hoepli nel 1933.

7 Un racconto del 1931, apparso sulla «Fiera Letteraria», poi raccolto in Achille innamorato.

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taciti, apostrofati a distanza o evocati nel ricor-do. Altrettanti sono gli incontri con personag-gi mai fisicamente incrociati, come l’abate Pari-ni o il Manzoni, come Pellico o Fogazzaro, e Ver-di e Wagner, per non dire di Pascoli e di Petrar-ca, più gli architetti e gli scienziati, i duchi e i visconti, i cardinali e le regine… Sono, spesso, vestiti vuoti dentro teche, impronte in sedili o in letti deserti, uomini il cui corpo mortale è ormai invisibile; fantasmi, appunto.

Osserva Stendhal, nella citata prefazione 1824: «Tutti gli scrittori di viaggio si limitano a descrivere le cose d’Italia, i monumenti, i pae-saggi, gli aspetti sublimi che ha lì la natura. Lei, mi dicevano, tratteggia bene o male i costumi degli abitanti, la società italiana»8. Ebbene, uno degli aspetti più interessanti di Roma, Napoli e Firenze risiede proprio nell’attenzione del giova-ne Beyle a questioni che probabilmente nessun altro prima di lui avrebbe osservato, né saputo interpretare in senso così moderno. Si prenda per esempio questo brano, datato 27 ottobre:

Mi sembra più viva in Italia l’architettura che la pittura o la scultura. Un banchiere milanese farà l’avaro per cin-quant’anni della sua vita, ma finirà per costruire una casa, la cui facciata gli costerà centomila franchi di più che se fosse un muro normale. L’ambizione segreta di tutti i cit-tadini di Milano, è quella di costruire una casa, o almeno di rinnovare la facciata di quella che hanno ereditato dal padre. […] Sono stato presentato ad alcuni ricchi milanesi che hanno la fortuna di poter costruire. Li ho trovati sul-le impalcature, appassionati come un generale che dà bat-taglia. Io stesso sono salito sulle impalcature. Ho trovato muratori pieni di intelligenza. Ciascuno di essi dà il suo giudizio sulla facciata disegnata dall’architetto9.

8 StendhaL, Roma, Napoli e Firenze, cit., p. 377, corsivi del-l’autore.

9 Ivi, pp. 29-30.

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Sappiamo, non foss’altro dai classici studi di Leed10, che i viaggiatori del Grand Tour era-no richiesti di annotare dettagliatamente quan-to venivano incontrando e imparando nel biz-zarro, pittoresco Belpaese, irto di rovine incan-tevoli spesso senza nome, già quasi assemblate in capricci, scorci paesistici senza pari, misere-voli pitoccherie pronte da riversare in scene di genere, e superstizioni e passioni violente. An-notare tutto, s’intende, a uso di se stessi e dei futuri viaggiatori, con osservazioni quanto mai pragmatiche sulla salubrità dei luoghi, del cli-ma, delle acque, sulla comodità dei ristori, sul-la praticabilità delle strade, sui costumi locali. Ne discendeva, a fianco del più elegante Journal adibito allo sguardo artistico, un Journal gemel-lo, riservato alla compilazione di una lista infor-mativa, una mappa dei luoghi e delle genti co-stantemente in progress.

Lo sappiamo, ma questo Stendhal che sale sulle impalcature e parla con i ricchi milanesi, addirittura con i loro muratori dal gusto educa-to, non è cosa consueta. Ed egli ha talmente ra-gione da “indovinare” che Alessandro Manzoni, il quale all’epoca abitava da soli sei anni in via del Morone (vi si trasferì nel 1811), oltre mezzo secolo dopo (nel 1864) avrebbe dato fondo alle proprie finanze per rifare la facciata dello sta-bile che l’ospitò una vita, e che oggi è sede del-la Casa del Manzoni. A Savinio ciò non sfugge: nel suo libro dedica a entrambi i fatti – il tar-divo restauro manzoniano e l’invenzione della casa-museo, in corso proprio a partire dal 1938 – pagine di luminosa intelligenza11. Un’attenzio-

10 E.J. Leed, The mind of the traveler. From Gilgamesh to glo-bal tourism, New York, Basic Books 1991, trad. it. La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino 1992.

11 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, cit., cfr. il capitolo O velatissima verità, specie le pp. 329-334.

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ne all’architettura non come arte, bensì come fatto sociale complesso, socialmente simbolico. Infatti, a differenza di quanto possa superficial-mente apparire, in Ascolto il tuo cuore, città del pittore e musicista Savinio, si trova poca pittu-ra, e appena poca più musica, contro moltissi-ma architettura.

Sono innumerevoli i percorsi di lettura che un libro labirintico come Ascolto il tuo cuore, cit-tà permette: certo la chiave più facilmente sten-dhaliana, quella che guarda all’arte e alla sto-ria come concentrato sublime dell’identità di un paese, ci si offre tentatrice, fin da quell’inizio ap-parentemente delocalizzato, che però con tipico slittamento saviniano vola da Venezia a uno dei gioielli nascosti di Milano, il Museo Poldi Pezzo-li, dove – avverte lo scrittore – si trova il più bel ritratto della città lagunare, opera di Francesco Guardi. Così, se Venezia da luogo fisico imme-diatamente si converte in immagine artistica, con un gioco a scatole cinesi Milano diventa, at-traverso lo scrigno di tesori assemblato da Gian Giacomo Poldi Pezzoli, il suo contenitore.

Sono innumerevoli i percorsi, dicevamo, e per seguirli tutti occorrerebbe, forse, un libro gemello. Ma a noi, qui, sembra interessante ten-tarne due meno appariscenti.

Il primo considera appunto la decifrazione in chiave architettonica, e urbanistica, di Mila-no da parte di Savinio. La sua capacità di inter-rogare le colonne, le statue sui tetti, i giardini, i pieni e i vuoti, le piazze formate da «incontri ca-suali di vie»12, su cui ogni facciata parla con un diverso idioma di pietra o cemento. E già Sten-dhal, peraltro, indugiava sulla comodità della pavimentazione delle vie di Milano, e sulla «ci-viltà delle grondaie». Questi due grandi degusta-tori d’arte e di interni sanno leggere, altrettan-

12 Ivi, p. 233.

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to bene ma più imprevedibilmente, soprattutto gli esterni. Sebbene la mappa degli spostamenti di Savinio illustri per lo più il centro, tra Brera, la Scala, il Duomo, l’Ambrosiana e la Galleria, non mancano le sorprese. Che si rintracciano in uno sguardo nient’affatto classicista, nemmeno da classicista eretico, bensì frequentemente ri-volto alla modernità: ai «grattacieli», «città verti-cali» cresciute nella zona di San Babila, dove si vive una vita diversa, ad alta quota, e perfino la digestione è più facile13; al Corso del Littorio (ora Corso Giacomo Matteotti) con la sede d’acciaio della Falck; alla nuova Fiera, «una città quadra-ta, lontana dal centro di Milano, circondata di lunghi edifici industriali, da alte case squadra-te e disadorne, che intorno alla Città degli Affa-ri compongono come una chiostra di denti»14; al vetrato Palazzo Montecatini, opera di Gio Ponti; all’affollata sede della Ricordi, piena di mestie-ranti della musica; al negozio dei «Fratelli Boc-coni» che dopo un incendio diventa, per estro di D’Annunzio, la Rinascente15. Soprattutto trovia-mo uno sguardo rivolto alla civiltà del lavoro, ci-viltà che occhieggia in mille fotogrammi, dalle sartine che realizzano gli abiti di scena nell’ab-baino della Scala, agli artigiani in mostra alla VII Triennale, al mondo dei poveri cristi che vanno a mangiare al ristorante Economico, nascosto in alto sopra la Galleria, poco distante dai caffè alla moda e dai negozi di lusso. Sguardo anche acu-stico, come quello che intercetta una versione per organetto solo della Traviata, che ne svela la natura «periferica e stradale», di opera «povera, magra e plebea, destinata a echeggiare nelle pe-riferie delle grandi città industriali, e a commen-

13 Tutto da leggere il capitolo Figlio di Maria, dedicato alla vita nei grattacieli, «erbivori come i grandi mammiferi del plioceni-co», che «hanno trasformato la vita dei milanesi», pp. 86-118.

14 Ivi, p. 109.15 Ivi, pp. 150-151.

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tare, non a “confortare”, la vita di coloro che vi-vono e faticano senza speranza»16. Sguardo pala-tale e viscerale, posato sulle osterie e sulle trat-torie, sui sapori dei formaggi.

La modernità, in questa città così ricca di arte e di memorie letterarie e culturali che Savi-nio attraversa orizzontalmente a piedi, si dislo-ca, con un’intuizione assolutamente geniale, su diversi livelli verticali: o più in alto (i grattacie-li, che svettano dove l’architettura di un tempo non arrivava) o più in basso (le stazioni raziona-liste, che l’autore legge come tendenti all’invisi-bilità e che immagina, per funzionalità, desti-nate a diventare – e oggi, solo oggi, a Bologna, a Firenze, a Torino, con l’Alta Velocità ciò sta av-venendo – sotterranee). Ma tutto questo potreb-be essere ancora il quadro di una fine Ottocen-to da Esposizioni Universali o di un primo No-vecento futurista, la Città che sale di Boccioni. Invece c’è dell’altro.

Il secondo percorso è quello che davvero svela un parallelo affascinante con Stendhal, e si svolge nel silenzio. Quando Stendhal giunge a Milano, nei primi anni della Restaurazione, ca-duto da poco Napoleone, immediatamente vie-ne avvertito che «la polizia […] non accetta che si metta in scena un re»17 e capisce che «è peri-coloso o inconcludente parlare di politica»18. La menzione della «polizia» è ricorrente, nelle an-notazioni ambrosiane. In tutte le quattrocento pagine di Ascolto il tuo cuore, città assistiamo a una simile, persino più clamorosa, reticenza: non vi è praticamente traccia né della guerra né del Fascismo. Incontriamo un paio di volte la menzione, meramente toponomastica, di Corso del Littorio e altrettante della Torre Littoria (ora

16 Ivi, p. 314.17 StendhaL, Roma, Napoli e Firenze, cit., p. 7.18 Ivi, p. 28.

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Torre Branca); ci si ricorda che in Piazza San Sepolcro Mussolini fondò i Fasci da Combatti-mento, ma è tutto. Altrove si osservano i «tagli», le mancanze, le cavità, ossia i segni di imperfet-ta cesura/censura. Savinio che tra il 1918 e il 1919 guarda Milano da un’ala di Palazzo Rea-le, e in quegli anni turbolenti assiste al formarsi «dei tempi nuovi», ma non specifica di che tem-pora né di che mores19. Savinio che nella clas-se di disegno a Brera viene accolto dagli stu-denti, e da una modella senza veli, con un gesto per noi inconfondibile: «levano il braccio al sa-luto»20. Manca l’aggettivo «romano» a qualifica-re quel braccio levato, ma il pudico Andrea, che si ritira turbato alla vista della «magra e pallida nudità, chiazzata nel mezzo da una gran mac-chia nera»21, sembra, nell’atto della scrittura, più in imbarazzo dinanzi a quel gesto, che qua-si lo chiama a correo dell’esistente, come se egli fosse un gerarca o semplicemente un uomo il-lustre in tempi ignobili, e il vero pudore va let-to forse in quella fretta, in quel dire senza spie-gare, senza soffermarsi, che è tutto il contra-rio dell’opulenza definitoria di Savinio. Peraltro, la «magra e pallida nudità» non è affatto eroti-ca, bensì emaciata, sofferente, com’era da at-tendersi in tempi di ristrettezze e lutti. Una gio-vane povera, passabilmente graziosa, che accet-ta di deporre il suo pudore per ottenere qualche soldo, senza ricorrere a più umilianti commerci. Ecco, in questo libro dove Savinio mira a stipare ogni cosa, il Ventennio non c’è, ed il conflitto in cui il paese è coinvolto già da anni sembra non essere mai esistito22.

19 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, cit., p. 20 Ivi, p. 311.21 Ivi, p. 312.22 E dire che, invece, Milano stessa era già stata bombarda-

ta almeno tre volte: il 16 giugno 1940, e più pesantemente il 24 ot-tobre 1942 (171 morti) e il 14 febbraio 1943 (459 morti).

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Finché accade qualcosa. Qualcosa di inat-teso, a volume pressoché pronto per le stampe. Nei tre raid dell’agosto 1943, i bombardamen-ti alleati – un nemico inesistente, di una guer-ra taciuta – radono al suolo Milano. La Mila-no descritta minuziosamente nel libro scompa-re, a partire da quel magnifico Poldi Pezzoli che ci aveva introdotto alla città, devastato in ma-niera quasi irreparabile, sì che ancor oggi, come in certe sale di Palazzo Reale, restano solo le fo-tografie a testimoniare lo splendore che fu: nes-sun restauro poté niente. Ancora in piedi, inve-ce, quasi dappertutto, intatte, le statue, gli uo-mini di pietra con cui il giovane De Chirico sem-pre si intratteneva, di cui per tante pagine aveva ragionato, e ciò aggiunge turbamento alla visio-ne della morte ovunque. Lo sguardo «spettrale» del metafisico si rivela terribilmente profetico: l’esplosivo ha cavato la pelle – non più il velo di Maya – al reale, risparmiando i simulacri. Savi-nio si sente, forse, come Cassandra: mai l’aver avuto ragione agghiaccia di più il sangue, mai si configura come un’altrettale maledizione.

Ed ecco che allora riprende la sua macchi-na da scrivere Remington, e aggiunge alcune pagine.

Per effetto di quel terribile mutamento, questo libro – que-sto «ritratto di città» ha acquistato purtroppo un valore im-preveduto. È il ritratto di Milano «di prima». È Milano qua-le nessuno rivedrà mai più. Tale la sorte fatidica dei ritratti e quella perché molti temono il ritratto. Questo libro non poteva finire «su una illusione». Le Pagine Aggiunte che se-guono e le Note di Taccuino sono un accenno all’altro vol-to di Milano, un auspicio al volto che sarà23.

Tra le visioni del dopo bombardamento, ce n’è una che ci pare cruciale:

23 A. Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, cit., p. 383.

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In via Bagutta […] tutto il contenuto di una casa s’è versa-to attraverso il portone nella via come un flusso di lava do-mestica, e in cima a quella colata rappresa una poltrona è rimasta ferma al termine della sua scivolata. È una pol-trona armata di ferro, fornita di un pedale che all’estremi-tà si incurva a gondola. Guardo a lungo la strana poltrona e non riesco a determinare se è una poltrona da dentista o una poltrona da paralitico. Se da dentista, i suoi troppi ri-cordi umani si elidono a vicenda e annullano in un non-ri-cordo; se da paralitico, io immagino il paralitico che arriva in strada orribilmente ridendo nella sua poltrona trasfor-mata in toboga, e riacquistato il movimento per effetto del-lo choc si allontana a grandi passi da compasso nella not-te infernale, in mezzo agli schianti, ai crolli e nella luce del fosforo brulicante come un luminoso mosto24.

L’Italia di Stendhal è incantevole ma para-lizzata, è uno stato di polizia. Quella di Savinio non era da meno, ma lo choc le ha ridato il mo-vimento, sia pure grottesco e deforme dopo la lunga immobilità. Come dice uno dei protago-nisti di Tender is the night di Francis Scott Fi-tzgerald, alludendo alla fine della Belle Époque nei pantani di Verdun e della Grande Guerra: «il mio bel mondo d’amore è svanito in un tur-bine di alto esplosivo». La storia d’Italia è storia di sublimi intelletti, di manualità insuperate, di ipocrisia, di oppressione, di sangue. Da un lava-cro di sangue e alto esplosivo, l’Italia esce muti-lata, ma libera. Con una nuova speranza – una autentica modernità? – tra le macerie.

24 Ivi, p. 386.

Comitato di direzione: Andrea Battistini, Marco Antonio Bazzocchi, Giuliana Benve-nuti, Fausto Curi (coordinatore), Carlo Gentili, Niva Lorenzini, Piero Pieri.

Redazione: Daniela Baroncini, Francesco Carbognin, Stefano Colangelo, Valentina Mascaretti, Caterina Paterlini, Antonio Schiavulli, Luigi Weber (coordinatore). Diparti-mento di Italianistica, via Zamboni 32 - 40126 Bologna

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Responsabile: Marco Mucchi, Autorizzazione del Tribunale di Modena n. 350 dell’11 luglio 1958

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In copertina: Enrico Baj Passeggiata al Central Park (1969).Si ringrazia sentitamente la signora Roberta Baj per la gentile concessione

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Finito di stampare in Modena nel mese di docembre 2010