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Periodico livornese indipendente - Anno XII n. 122 - Gennaio 2017 - OFFERTA LIBERA (stampare questo giornale costa 0,66 €) Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70% Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it Renzi e Grillo sulla Terra NIQUE LA POLICE F are previsioni di scenario politico è sempre difficile. Eppure la politica vive di previ- sioni: ha a che fare con le trame, gli schieramenti, il futuro. Ma la legge della complessità, pro- prio in materia di previsioni, è implacabile. Basta che cambi un piccolo dettaglio, negli elementi scelti per prevedere, per avere risultati anche molto diversi rispetto allo scenario previsto. Andare a una prova uno-con- tro-tutti, con la sola propagan- da a favore in un paese scosso da una crisi ormai decennale, non paga. A inizio anno è tra- dizione, anche augurale, fare previsioni. Bene, di previsioni ne facciamo due o, se si preferi- sce, due in una. Il 2017 può can- didarsi come l’anno in cui Ren- zi e Grillo torneranno sulla ter- ra. Rispetto ad una pretesa, co- mune ad entrambi i personaggi, di andare al potere confidando in un bonus di seggi esagerato concesso dalla legge elettorale. Infatti, l’Italicum, quello varato in parlamento da Renzi prima del giudizio della Corte Costi- tuzionale, andava benissimo a entrambi. Con un patrimonio di voti di partenza del 30 per cento poteva garantire ben oltre il 50 per cento dei seggi. Insomma al di là degli appetiti delle sin- gole forze politiche, l’Italicum garantiva, formalmente, un so- lido governo della minoranza sul paese. Poi, come sappiamo dalla vittoria di Berlusconi del 2008, questa solidità può essere sulla carta. Dopo il voto della primavera 2008 il Popolo delle Libertà aveva 100 senatori di vantaggio sulle opposizioni. Berlusconi finì a caccia di trans- fughi per garantirsi la soprav- vivenza. Probabilmente non arriveremo alla ripetizione, in vesti renziane o grilline, di uno scenario del genere. Perché il referendum costituzionale, uni- to al flop del governo Renzi e del M5S a Roma, ha rallenta- to di molto le pretese di chi si vuole maggioritario. A entram- bi i soggetti toccherà quindi confrontarsi non con la ricerca della scadenza elettorale che spacca, ma con la complicata morfologia elettorale del paese. Un ritorno sulla terra salutare, prima di tutto, per la democra- zia. Poi le prossime tappe della crisi, che si candida ad essere ultradecennale, si incaricheran- no di farci capire quanto questi soggetti politici sapranno ade- guarsi ai nuovi scenari che tutti abbiamo davanti. La vicenda del salvataggio del Monte dei Paschi di Siena rappresenta bene il sistema economico e finanziario in cui siamo immersi. L’Europa deciderà se è ammissibile, qualcuno guadagnerà e qualcuno rimetterà. Una certezza c’è: il costo sarà pagato dai cittadini italiani in termini di servizi sociali, sanità, educazione e investimenti per il lavoro. TERRY MC DERMOTT M olto è stato detto sul decreto di natale, dedicato sostanzialmen- te al salvataggio del Monte dei Paschi. Molto (ed è colpa del governo) è stato detto a sproposito. Infatti le notizie, sul decreto e soprattutto sui particolari tec- nici che lo riguardano, sono state fatte filtrare con molta lentezza. Per questo molti pareri sono stati espressi a caso. Anche da parte di analisti che hanno detto esplicitamente che, con il decreto Mps, era il caso di andare coi piedi di piombo. È evidente: l’operazione è de- licata e pericolosa e chi paga (noi) più è tranquillo perché meno sa, meglio è. Anche perché alla fine, se il conto sarà di 20 o di 60 miliardi, il salvataggio delle banche sarà pagato dalla società italiana. In termini di servizi sociali, as- sistenza, educazione e mancati investi- menti. Come avvenuto in Portogallo o in Grecia ed è bene ricordarlo. Quando poi le banche verranno “salvate” fini- ranno in mani che non hanno molto a che vedere con il governo italiano o con la dimensione pubblica. Eppure agli italiani il governo il conto l’avrà chiesto. Cerchiamo di capire quindi cosa sta accadendo. Prima di tutto: le banche italiane sono in crisi acuta, causa que- stioni strutturali, da almeno un bien- nio. Dopo il “salvataggio”, pagato dai risparmiatori e dai contribuenti, delle quattro banche, tra cui la famosa Banca Etruria, alla fine anche Monte dei Pa- schi è entrato in fase di agonia. Di qui il decreto di Natale del governo, accura- tamente evitato dal governo Renzi per non sporcare l’immagine del premier, che riguarda il salvataggio di Mps e di altre banche. Attenti però a un dettaglio: il decreto è stato emesso solo quando la Commissione Europea ha dato un via libera di massima all’atto del governo. E per essere operativo il decreto, ma ora dovrà essere autorizzato passo dopo passo, secondo i tempi previsti dal piano del Tesoro. Solo quando la Commissio- ne europea avrà dato via libera, ad ogni singola procedura proposta dal governo per attuare il decreto, si potrà parlare di “salvataggio” del Monte dei Paschi di Siena. Ovvero di quanto sarà costata l’operazione agli italiani. Ma una cosa è certa: in nessun caso si tratterà di una nazionalizzazione. Prima di tutto per- ché l’operazione Mps prevede che, alla fine dei costi del “salvataggio”, la banca torni in mano privata. Poi perché un decreto fatto sotto tutela di quella che viene chiamata “Europa”, mostra una verità politica e una giuridica. Entram- be coincidono con una banale consta- tazione: un governo che agisce sotto il controllo di una commissione “salverà” Mps con i soldi degli italiani sottraendo- la agli italiani. Il resto è chiacchiera. Ma cosa accadrà nelle prossime settimane? Andiamo per gradi. Primo passaggio . L’effettiva entità della crisi, e del rosso in bilancio, verrà supervisionata dalla Ban- ca Centrale Europea. Secondo passag- gio . L’Unione Europea vigilerà su un dettaglio non da poco. Ovvero sull’in- tervento dello stato dopo che i rispar- miatori si saranno fatti carico, in base alle norme europee vigenti, di parte del salvataggio Mps. È uno dei punti più controversi perché, da una parte, l’Ue chiede ufficialmente sacrificio mentre, dall’altra, il governo decreta rimborsi dal 75 al 100 per cento a seconda della classe di risparmiatori. Vedremo cosa ne uscirà fuori. Terzo passaggio . Il go- verno deve sottoporre all’Ue un piano industriale di Mps ritenuto credibile, fatto di licenziamenti e chiusure degli sportelli. C’è il rischio che prevalga la logica, già vista in passato, del piano che è credibile in quanto rappresenta un bagno di sangue occupazionale. Quarto passaggio . Il piano di Mps, con sostegno pubblico, deve essere giudicato dall’Ue “non in concorrenza con altre banche”. Insomma un ridimensiona- mento magari a favore di qualche ban- ca estera. Non caso sul Guardian si teo- rizzava, nei giorni scorsi, che gli italiani devono fare più pizza e meno banche. È bene dirlo, si tratta di passaggi che,u- na volta ultimati, non porteranno alcun beneficio agli italiani. Se ci sarà un bene- ficio sarà, come dicono alcuni analisti, quello di sperperare meno soldi del pre- visto. C’è poi un altro punto, di cui si è detto poco. Se le autorità internazionali di regolazione dei contratti finanziari decideranno, su istanza degli investori, che Mps è fallita, ci sarà da capire l’ef- fetto Cds. Ovvero quanti premi assicu- rativi, sempre oggetto di speculazione, dovranno essere pagati nel caso che le autorità internazionali dichiarino che Mps è tecnicamente fallita. Insomma, l’impatto della operazione “salvatag- gio” Mps è tutto da valutare. Allo stesso tempo ci sono delle verità, già da oggi, ben chiare da esporre e commentare. La prima è che Mps non verrà nazio- nalizzata e, per gli italiani, sarà solo un costo. Anche perché costerà sempre di più farsi prestare i soldi con i nuovi cri- teri di ristrutturazione bancaria europa. Proprio quelli su cui vigilierà, condizio- nando il governo, l’Europa. La secon- da è che, alla fine del processo, gli unici a guadagnare saranno i privati. Che, in qualche modo, prenderanno una banca ristrutturata, una nuova Mps, a prezzo di favore. Per reimmerterla nel “mercato”. Poi ci sono coloro che gua- dagneranno cifre impressionanti sulle consulenze di mercato. Nell’ultima fase della crisi, tra JP Morgan e altri, si parla di oltre un milione e mezzo cash. Infine ci sono quelli che (come Serra, l’amico di Renzi) guadagneranno, come han- no guadagnato prima, speculando sul titolo. Basta non siano cittadini italiani e poi, su Mps, ci avranno guadagnato in tanti. E per chiudere, la nostra città. Quali effetti avrà su Livorno la vicen- da Mps? Stiamo infatti parlando della banca da sempre centro nevralgico in ambito partecipate e tesorerie comuna- li, staremo a vedere. Monte dei costi

- A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

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Page 1: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

Periodico livornese indipendente - Anno XII n. 122 - Gennaio 2017 - OFFERTA LIBERA (stampare questo giornale costa 0,66 €)Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70%

Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it

Pagina OttoAnno XII - n. 122 - Gennaio 2017

SUDAMERICA - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga colombiani trovarono un buon modo per riciclare il denaro sporco: investire nelle squadre di calcio di cui erano tifosi.

ORLANDO SANTESIDRA

Hanno avuto in comune una forte passione per il calcio...e

casualmente anche il cognome. Andrés e Pablo sono i protagonisti di “Los dos Escobar”, un docu-mentario realizzato da Jeff e Mi-chael Zimbalist che racconta la parabola del calcio colombiano tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Andrès è stato per anni un punto di forza del Nacional di Me-dellín e della nazionale, difensore dal fisico asciutto, buon colpitore di testa, rapido nelle avanzate. Un bravo ragazzo di estrazione bor-ghese, in procinto di sbarcare nel calcio europeo, prima che la triste sorte si avventasse su di lui. Pablo Escobar, la cui immagine è stata ulteriormente rilanciata dalla se-rie tv Narcos, non ha certo bisogno di presentazioni essendo stato il più noto e ricco narcotrafficante della storia, el patron indiscusso del cartello di droga di Medellín. La tesi del documentario dei fratelli Zimbalist è che Pablo Escobar fos-se “l’arma segreta dietro la crescita senza precedenti del calcio colom-biano”. Il che è ancora oggi ogget-to di discussione, mentre un dato è sicuramente incontrovertibile: la massima fioritura del narcotraffi-co e del calcio colombiano avven-nero contemporaneamente. Basta scorrere l’albo d’oro della Primera A, il campionato che comprende torneo di apertura e torneo di finali-zación della massima serie colom-biana, per scorgere il consolida-mento delle società che beneficia-rono delle enormi quantità di de-naro dei narcotrafficanti. Interes-sante è anche il dato sul capocan-noniere, titolo che fino al 1987 è sempre stato raggiunto da calcia-tori stranieri, argentini in partico-lare (con l’eccezione del colombia-no Jaime Gutierrez nel 1956) e che dall’anno seguente fino ad oggi sarà sempre conquistato da bom-ber nazionali. América de Cali All’epoca la presenza dei narcos alle spalle delle società colombia-ne era diffusa, ma tre famiglie si distinsero come principali “bene-fattrici”. I risultati migliori in terra colombiana li ottennero sicura-mente i fratelli Gonzalo e Miguel Rodriguez Orejuela, appartenenti al temuto cartello di Cali e dagli anni ‘80 acerrimi rivali di Pablo Escobar. Tifosi sin da bambini del-le squadre della loro città, tentaro-no prima di aggiudicarsi il Depor-tivo Cali ma ottenuto un veto alla scalata virarono sull’acquisto dell’América de Cali, di cui Mi-guel era un grande sostenitore. Il binomio fu inarrestabile: 8 volte campioni di Colombia (con tre se-condi posti), e ottime prestazioni in Copa Libertadores dove rag-giunsero tre finali tra l’85 e l’87 dalle quali uscirono però sempre sconfitti. Fu senza dubbio il perio-do più glorioso del club dei diavoli rossi, bruscamente interrotto nel 1995 quando gli USA attuarono nei confronti del club il Lista Clin-ton, uno strumento di pressione rivolto a tutte le aziende e gli indi-vidui che traevano profitto dal

traffico di droga e che prevedeva l’applicazione di sanzioni che pote-vano arrivare all’embargo commer-ciale. Millionarios Anche Bogotà, negli anni del narco-futbol, ebbe il suo momento di glo-ria. I Millionarios, squadra dal glo-rioso passato (ospitò le gesta di Al-fredo Di Stefano prima del suo passaggio al Real Madrid), entrò in una grave crisi economica e di risul-tati alla fine degli anni’ 70, ma già alla metà del decennio successivo riprese il suo cammino vincente. Dietro la rinascita del club c’era la mano di Gonzalo Rodriguez Ga-cha, braccio destro di Pablo Esco-bar e da lui nominato “ministro della guerra” del cartello di Medel-lín. Soprannominato “El Mexica-no” per la sua passione per la civil-tà azteca, nel 1998 fu inserito da Forbes nella lista degli uomini più ricchi del pianeta. La sua presiden-za, leggendaria anche per i festini in cui ricopriva d’oro giornalisti, ultras, dirigenti e giocatori del Mi-lionarios, fruttò due titoli nazionali nel bienno ‘87-88, ma fu considera-ta un’onta da Fernando Gaitán, proprietario del club dal 2012 al 2015, che propose la rinuncia ai ti-toli conquistati sotto l’egida del capo mafia. Un presa di posizione che suscitò un gran vespaio tra i ti-fosi e gli ex giocatori del Millona-rios e che è stata archiviata tra i vari tentativi di ripulire l’immagine del club dalle ingombranti ombre del passato. Atlético Nacional “Pablo ha sempre amato il calcio. Le sue prime scarpe furono da cal-cio, e morì in scarpe da calcio.” A confermare la passione viscerale del patron per il il futbol sono le pa-role dalla sorella Luz Maria nel do-cumentario “Los dos Escobar”. Una passione che diventa fonte di

male”, non era raro veder compari-re giocatori della nazionale, su tutti Renè Higuita che pagò l’amicizia con Escobar con l’esclusione dai mondiali del ‘94. Ad una delle va-rie iniziative di Escobar partecipò anche Óscar Pareja, all’epoca capi-tano del Deportivo Independiente Medellín. Il giocatore ricorda che durante il loro incontro gli fu chie-sto il motivo delle sue continue proteste verso la classe arbitrale. “Perché strilli sempre dietro agli ar-bitri? Li paghiamo noi…”. Le par-tite immancabilmente si vinceva-no, prima e oltre che sul campo, con le prove di forza offerte dai vari cartelli, che non lesinavano minac-ce ad arbitri e giocatori, facevano esplodere bombe, pilotavano le scommesse. Proprio a seguito di un match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali, una rete annul-lata per fuorigioco alla compagine controllata da Escobar, costò la vita all’arbitro Alvaro Ortega, fred-dato con nove colpi di pistola dopo la gara di ritorno. Episodio che co-strinse la federazione a fermare de-finitivamente la stagione. I cafeteros Negli anni del narcofútbol si verifi-cò anche l’ascesa dei cafeteros, la nazionale colombiana. Tre parteci-pazioni mondiali consecutive (1990, 1994 e 1998, quando ancora il calcio colombiano sfruttò l’onda lunga di quel periodo storico), tre terzi ed un quarto posto in Copa America. Il 2 dicembre del 1993 Pablo Esco-bar fu ucciso dalla polizia colom-biana dopo un inseguimento. Gli “impulsi” del narcofutbol di lì a poco sparirono e pochi anni più tardi anche il cartello di Cali venne smantellato. Ne seguì un periodo di caos che ebbe i suoi rimandi an-

investimento, soprattutto quando le banconote erano così tante, si dice, che contarle era diventato talmente difficile che ai suoi uomini non re-stava che pesarle. Riciclarle nel pal-lone, oltre che nelle varie attività benefiche a favore delle proprie co-munità, era forse l’occasione mi-gliore per far crescere i consensi in-torno al suo personaggio in vista della realizzazione di un sogno mai celato: diventare presidente della Colombia. E così il “benefattore” Escobar fa costruire oltre 50 im-pianti nei barrios meno fortunati e sovvenziona centinaia di tornei per i ragazzi più poveri della città. Poi il grande salto, l’immissione di fiumi di denaro nella squadra di cui era tifoso, l’Independiente Medellin e soprattutto nell’Atlético Nacional, per cui andava pazzo il fratello Ro-berto. Iniziativa che permetterà ai verdolagas, che in poco più di trent’anni di storia avevano vinto tre campionato nazionali, di diven-tare la prima squadra colombiana a vincere la Copa Libertadores nel 1989, nonché sotto la guida del vi-sionario Pacho Maturana a resiste-re per 119 minuti al grande Milan di Sacchi nella finale della coppa Intercontinentale. La Catedral Nel 1991 Pablo Escobar per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, tro-va un accordo con il governo co-lombiano. Si consegna, ma come ricompensa per il suo gesto ha il permesso di costruirsi una prigio-ne, La Catedral, dove scontare la pena. Una struttura sfarzosa, dove ovviamente non manca un campo da calcio per organizzare amiche-voli con i giocatori più rappresenta-tivi del panorama colombiano come già faceva nell’Hacienda Na-poles, il buen retiro della famiglia Escobar. Come ricorda il figlio nell’autobiografia “Il padrone del

che sul calcio e sulla nazionale che affrontò il mondiale USA del 1994 mentre il paese si trovava nel pieno delle violenze. E proprio a questo evento è legato il terribile omicidio che coinvolse l’altro Escobar, An-drés, il difensore della nazionale colombiana, colpevole di aver se-gnato l’autogol che valse l’elimi-nazione al primo turno del mon-diale americano. Andrés venne raggiunto da una raffica di mitra nel parcheggio del bar Padua di Medellín da una guardia del corpo di due fratelli affiliati ai Los Pepes, acronimo che sta per “PErsegui-dos por Pablo EScobar”, un grup-po paramilitare avverso al clan di Medelin, sostenuto sia dal gover-no colombiano che dagli america-ni con lo scopo di fare fuori Pablo Escobar. Le versioni sull’uccisione del leader “silenzioso” della na-zionale colombiana sono diverse, ma quella più realistica parla di una discussione iniziata con insul-ti per via dell’autogol e finita nel peggiore dei modi. Borja La Colombia negli ultimi vent’an-ni pare abbia fatto dei passi impor-tanti nella lotta al narcotraffico, seppur con costi sociali e umani altissimi. La nazionale di calcio è oggi una fucina di fenomeni e a Medellín, 27 anni dopo, l’Atletico Nacional è tornato ad alzare la Copa Libertadores. Un successo “pulito” che ha visto protagonista Miguel Ángel Borja, attaccante colombiano nato nel 1993. Lo stesso anno della morte di Pablo Escobar.

Il calcio ai tempi dei narcos

Renzi e Grillosulla Terra

NIQUE LA POLICE

Fare previsioni di scenario politico è sempre difficile.

Eppure la politica vive di previ-sioni: ha a che fare con le trame, gli schieramenti, il futuro. Ma la legge della complessità, pro-prio in materia di previsioni, è implacabile. Basta che cambi un piccolo dettaglio, negli elementi scelti per prevedere, per avere risultati anche molto diversi rispetto allo scenario previsto. Andare a una prova uno-con-tro-tutti, con la sola propagan-da a favore in un paese scosso da una crisi ormai decennale, non paga. A inizio anno è tra-dizione, anche augurale, fare previsioni. Bene, di previsioni ne facciamo due o, se si preferi-sce, due in una. Il 2017 può can-didarsi come l’anno in cui Ren-zi e Grillo torneranno sulla ter-ra. Rispetto ad una pretesa, co-mune ad entrambi i personaggi, di andare al potere confidando in un bonus di seggi esagerato concesso dalla legge elettorale. Infatti, l’Italicum, quello varato in parlamento da Renzi prima del giudizio della Corte Costi-tuzionale, andava benissimo a entrambi. Con un patrimonio di voti di partenza del 30 per cento poteva garantire ben oltre il 50 per cento dei seggi. Insomma al di là degli appetiti delle sin-gole forze politiche, l’Italicum garantiva, formalmente, un so-lido governo della minoranza sul paese. Poi, come sappiamo dalla vittoria di Berlusconi del 2008, questa solidità può essere sulla carta. Dopo il voto della primavera 2008 il Popolo delle Libertà aveva 100 senatori di vantaggio sulle opposizioni. Berlusconi finì a caccia di trans-fughi per garantirsi la soprav-vivenza. Probabilmente non arriveremo alla ripetizione, in vesti renziane o grilline, di uno scenario del genere. Perché il referendum costituzionale, uni-to al flop del governo Renzi e del M5S a Roma, ha rallenta-to di molto le pretese di chi si vuole maggioritario. A entram-bi i soggetti toccherà quindi confrontarsi non con la ricerca della scadenza elettorale che spacca, ma con la complicata morfologia elettorale del paese. Un ritorno sulla terra salutare, prima di tutto, per la democra-zia. Poi le prossime tappe della crisi, che si candida ad essere ultradecennale, si incaricheran-no di farci capire quanto questi soggetti politici sapranno ade-guarsi ai nuovi scenari che tutti abbiamo davanti.

La vicenda del salvataggio del Monte dei Paschi di Siena rappresenta bene il sistema economico e finanziario in cui siamo immersi. L’Europa deciderà se è ammissibile, qualcuno guadagnerà e qualcuno rimetterà. Una certezza c’è: il costo sarà pagato dai cittadini italiani in termini di servizi sociali, sanità, educazione e investimenti per il lavoro.TERRY MC DERMOTT

Molto è stato detto sul decreto di natale, dedicato sostanzialmen-

te al salvataggio del Monte dei Paschi. Molto (ed è colpa del governo) è stato detto a sproposito. Infatti le notizie, sul decreto e soprattutto sui particolari tec-nici che lo riguardano, sono state fatte filtrare con molta lentezza. Per questo molti pareri sono stati espressi a caso. Anche da parte di analisti che hanno detto esplicitamente che, con il decreto Mps, era il caso di andare coi piedi di piombo. È evidente: l’operazione è de-licata e pericolosa e chi paga (noi) più è tranquillo perché meno sa, meglio è. Anche perché alla fine, se il conto sarà di 20 o di 60 miliardi, il salvataggio delle banche sarà pagato dalla società italiana. In termini di servizi sociali, as-sistenza, educazione e mancati investi-menti. Come avvenuto in Portogallo o in Grecia ed è bene ricordarlo. Quando poi le banche verranno “salvate” fini-ranno in mani che non hanno molto a che vedere con il governo italiano o con la dimensione pubblica. Eppure agli italiani il governo il conto l’avrà chiesto. Cerchiamo di capire quindi cosa sta accadendo. Prima di tutto: le banche italiane sono in crisi acuta, causa que-stioni strutturali, da almeno un bien-nio. Dopo il “salvataggio”, pagato dai risparmiatori e dai contribuenti, delle quattro banche, tra cui la famosa Banca Etruria, alla fine anche Monte dei Pa-

schi è entrato in fase di agonia. Di qui il decreto di Natale del governo, accura-tamente evitato dal governo Renzi per non sporcare l’immagine del premier, che riguarda il salvataggio di Mps e di altre banche. Attenti però a un dettaglio: il decreto è stato emesso solo quando la Commissione Europea ha dato un via libera di massima all’atto del governo. E per essere operativo il decreto, ma ora dovrà essere autorizzato passo dopo passo, secondo i tempi previsti dal piano del Tesoro. Solo quando la Commissio-ne europea avrà dato via libera, ad ogni singola procedura proposta dal governo per attuare il decreto, si potrà parlare di “salvataggio” del Monte dei Paschi di Siena. Ovvero di quanto sarà costata l’operazione agli italiani. Ma una cosa è certa: in nessun caso si tratterà di una nazionalizzazione. Prima di tutto per-ché l’operazione Mps prevede che, alla fine dei costi del “salvataggio”, la banca torni in mano privata. Poi perché un decreto fatto sotto tutela di quella che viene chiamata “Europa”, mostra una verità politica e una giuridica. Entram-be coincidono con una banale consta-tazione: un governo che agisce sotto il controllo di una commissione “salverà” Mps con i soldi degli italiani sottraendo-la agli italiani. Il resto è chiacchiera. Ma cosa accadrà nelle prossime settimane? Andiamo per gradi. Primo passaggio. L’effettiva entità della crisi, e del rosso in bilancio, verrà supervisionata dalla Ban-ca Centrale Europea. Secondo passag-

gio. L’Unione Europea vigilerà su un dettaglio non da poco. Ovvero sull’in-tervento dello stato dopo che i rispar-miatori si saranno fatti carico, in base alle norme europee vigenti, di parte del salvataggio Mps. È uno dei punti più controversi perché, da una parte, l’Ue chiede ufficialmente sacrificio mentre, dall’altra, il governo decreta rimborsi dal 75 al 100 per cento a seconda della classe di risparmiatori. Vedremo cosa ne uscirà fuori. Terzo passaggio. Il go-verno deve sottoporre all’Ue un piano industriale di Mps ritenuto credibile, fatto di licenziamenti e chiusure degli sportelli. C’è il rischio che prevalga la logica, già vista in passato, del piano che è credibile in quanto rappresenta un bagno di sangue occupazionale. Quarto passaggio. Il piano di Mps, con sostegno pubblico, deve essere giudicato dall’Ue “non in concorrenza con altre banche”. Insomma un ridimensiona-mento magari a favore di qualche ban-ca estera. Non caso sul Guardian si teo-rizzava, nei giorni scorsi, che gli italiani devono fare più pizza e meno banche. È bene dirlo, si tratta di passaggi che,u-na volta ultimati, non porteranno alcun beneficio agli italiani. Se ci sarà un bene-ficio sarà, come dicono alcuni analisti, quello di sperperare meno soldi del pre-visto. C’è poi un altro punto, di cui si è detto poco. Se le autorità internazionali di regolazione dei contratti finanziari decideranno, su istanza degli investori, che Mps è fallita, ci sarà da capire l’ef-

fetto Cds. Ovvero quanti premi assicu-rativi, sempre oggetto di speculazione, dovranno essere pagati nel caso che le autorità internazionali dichiarino che Mps è tecnicamente fallita. Insomma, l’impatto della operazione “salvatag-gio” Mps è tutto da valutare. Allo stesso tempo ci sono delle verità, già da oggi, ben chiare da esporre e commentare. La prima è che Mps non verrà nazio-nalizzata e, per gli italiani, sarà solo un costo. Anche perché costerà sempre di più farsi prestare i soldi con i nuovi cri-teri di ristrutturazione bancaria europa. Proprio quelli su cui vigilierà, condizio-nando il governo, l’Europa. La secon-da è che, alla fine del processo, gli unici a guadagnare saranno i privati. Che, in qualche modo, prenderanno una banca ristrutturata, una nuova Mps, a prezzo di favore. Per reimmerterla nel “mercato”. Poi ci sono coloro che gua-dagneranno cifre impressionanti sulle consulenze di mercato. Nell’ultima fase della crisi, tra JP Morgan e altri, si parla di oltre un milione e mezzo cash. Infine ci sono quelli che (come Serra, l’amico di Renzi) guadagneranno, come han-no guadagnato prima, speculando sul titolo. Basta non siano cittadini italiani e poi, su Mps, ci avranno guadagnato in tanti. E per chiudere, la nostra città. Quali effetti avrà su Livorno la vicen-da Mps? Stiamo infatti parlando della banca da sempre centro nevralgico in ambito partecipate e tesorerie comuna-li, staremo a vedere.

Monte dei costi

Page 2: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

internazionale Anno XII, n. 122 7stile liberoGennaio 2017

sta è: noi, uomi-ni e donne, con le nostre proprie forze, sempre che siamo organizzati. Ossia collettiva-mente. In questo senso dovremmo riflettere sui dirit-ti umani. Nessu-no stato, nessuna istituzione, nessun governo difenderà la vita di quelli in basso. O perché non vogliono o perché non posso-no. O per entram-be le cose contem-poraneamente. In Messico, ad esem-pio, i familiari e amici dei 43 di Ayotzinapa san-no che non verrà fatta giustizia [1]. Il ragionamento è molto sempli-ce. Se è lo Stato il responsabile

delle sparizioni, non può essere questo stesso Stato a fare giustizia. Fare giusti-zia è superare le cause della politica di genocidio. Ossia, porre fine alla quarta guerra mondiale/accumulazione per spossessamento. La terza questione si riferisce al come. Alle strade che pren-deremo per superare questa tempesta. È, pertanto, una questione di ampio respiro, strategica o come la si voglia chiamare. Ma le strategie non si inventano. Si tratta di si-stematizzare quello che fan-no i popoli per sopravvive-re. Quello che vediamo è un doppio lavoro consistente nel resistere e creare, nel difen-dersi dai cavalieri della morte e nel ricreare e riprodurre la vita. Non è niente di nuovo, ma è il senso comune dei po-poli in tutto il mondo. Dal Rojava al Chiapas, passando da dovunque si riesca a im-maginare, si resiste e si crea o, se si preferisce, si resiste creando basandosi sull’orga-nizzazione collettiva. L’auto-nomia è, pertanto, un impe-rativo delle circostanze, non una mera opzione di questa o quella corrente ideologica. Se non siamo autonomi, non potremo costruire né resiste-re. Oggi più che mai, la vita è sinonimo di autonomia.

NOTA [1] Si tratta di un massacro di studenti sequestrati e uccisi dalla polizia messicana nel set-tembre 2014.

Traduzione di Nello Gra-dirà, fonte: www.rebelion.org

Raúl Zibechi, 65enne giorna-lista e scrittore uruguaya-

no, è uno degli intellettuali più impegnati a fianco dei movimen-ti sociali latinoamericani sia ur-bani che rurali ma soprattutto di quelli a matrice indigena.Zibechi sottolinea che, a dif fe-renza di quanto accade in Euro-pa, questi movimenti hanno un forte radicamento territoriale, la vita quotidiana delle loro co-munità si fonda su un’economia sostenibile e su relazioni sociali non-capitalistiche, dove predo-mina il valore d’uso rispetto al valore di scambio, e spesso si riescono a creare organismi di potere - comunitari e non stata-li - basati su assemblee popolari, come nelle comunità zapatiste nel Chiapas o tra gli Aymara in Bolivia. Anzi secondo Zibechi il termine “movimenti sociali” è inadeguato per descrivere queste esperienze e preferisce parlare di “società in movimento”. Di fronte alla crisi dei governi progressisti latinoamericani, l’attenzione a queste esperienze da parte degli osservatori è an-cora più accentuata: perché in generale questi governi non han-no saputo attuare riforme strut-turali significative, limitandosi a redistribuire i redditi derivanti dall’esportazione di materie pri-me (combustibili fossili in pri-mis) fino a quando i prezzi sul mercato sono stati favorevoli, poi quando questi sono calati, non avendo costruito alternative all’”estrattivismo”, sono entrati in crisi e hanno perso consenso e credibilità. È dunque sensa-to illudersi che il cambiamento possa venire “dall’alto”? In quest’ottimo articolo, pubbli-cato sul quotidiano messicano La Jornada, Zibechi, oltre a de-scrivere sinteticamente la situa-zione politica internazionale, riassume le principali questioni che hanno di fronte i movimenti anticapitalisti in tutto il mondo: mettere da parte strutture ed ide-ologie ormai sterili, non cercare la soluzione in un cambiamento dei governi dei vari stati nazio-nali e imparare dalle esperienze concrete di organizzazioni so-ciali alternative, come quella del Chiapas zapatista e quelle del confederalismo democratico kurdo nel Rojava, così distanti ma con molti tratti comuni, pri-mo tra tutti quello di non esse-re ispirati da modelli ideologici “occidentali”. Senza Soste re-dazione

Raúl Zibechi La Jornada

La tempesta si avvicina. Le nubi oscure che si avvista-vano all’orizzonte si trasfor-mano in raffiche di vento; il bagliore dei fulmini annun-cia l’imminenza della tem-

pesta. La discussione sul fatto che arrivi una tempesta perde d’importanza rispetto all’ur-genza di definire come compor-tarsi in situazioni di emergen-za. Questo, a grandi linee, è il messaggio che ci lascia il 2016, l’anno in cui abbiamo comin-ciato ad avvertire i primi sinto-mi di quello che è già qui. Possiamo anche elencare alcu-ne delle caratteristiche che as-sume questa tempesta. La vitto-ria della Brexit nel Regno Unito, la crescita delle destre estreme e del razzismo contro gli immi-grati, con la possibilità che con-quistino il governo in Francia, sono alcune delle sue principali manifestazioni europee. Il fal-lito colpo di Stato in Turchia e la crescente destabilizzazio-ne del Medio Oriente, dove la violenza è quasi l’unico modo di risolvere i conflitti. L’inter-vento di tutte le potenze nello scenario più caldo del mondo, comprese la Russia e la Cina, in difesa dei loro interessi na-zionali. La terribile e silenziata guerra nello Yemen, dove l’A-rabia Saudita commette crimi-ni contro l’umanità senza che l’Occidente alzi la sua voce. La vittoria di Donald Trump e la svolta anticinese a Washington, con grandi possibilità che si produca un conflitto più ampio nel Mar Cinese meridionale, scenario strategico dove passa la maggior parte del commercio estero della potenza asiatica e navigano le grandi navi che ri-forniscono di petrolio. Il van-taggio della vittoria di Trump è che impedisce di nascondere la decadenza strategica e la débac-le morale della superpotenza. In America Latina, il 2016 è stato l’anno in cui le destre

hanno conquistato il governo di due paesi chiave: l’Argentina e il Brasile. La pace in Colombia è ancora in bilico, dal momento che la firma dell’accordo tra il governo e le Farc non impedi-sce che i militanti sociali con-tinuino ad essere assassinati, superando di molto il centinaio di morti negli ultimi anni. In Venezuela si combinano la vo-lontà di destituzione dell’oppo-sizione e la incapacità del go-verno di stabilizzare il paese. La svolta conservatrice è solo congiunturale. La cosa fonda-mentale è che i governi perdono legittimità e la stabilità evapora a velocità impensabili anni ad-dietro. Crisi di legittimità che si vedono aggravate di fronte alla persistenza di crisi econo-miche e all’aumento della già gigantesca disuguaglianza. In ognuno di questi scenari i set-tori popolari sono i più dan-neggiati. Tuttavia ci troviamo appena nella prima fase della tempesta che, senza dubbio, si aggraverà nei prossimi anni. Vorrei commentare tre aspetti di questa tempesta che può sot-terrare il capitalismo, ma che rappresenta anche una terri-bile minaccia sui popoli. Il primo è che siamo di fron-te ad una tempesta sistemica, che non è congiunturale. Non è una crisi che sarà superata con l’introduzione di alcuni cam-biamenti perché tutto torni alla normalità. Pertanto, o le solu-zioni saranno sistemiche o tut-to continuerà allo stesso modo. Il modello estrattivo/quarta guerra mondiale ha eroso gli stati-nazione, ha disorganizza-to le società, ha fatto evapora-re le autorità e spiazzato tutte le variabili del sistema mon-

do, inclusi i partiti di sinistra e i sindacati. Questo vuol dire che non potremo più appog-giarci sulle vecchie istituzioni ereditate da un sistema mon-do anch’esso disarticolato, ma dobbiamo sforzarci di crearne di nuove, capaci di sostenersi e navigare in questo periodo di forti tempeste. Come sempre succede, le culture politiche sono molto resistenti ai cam-biamenti e rifiutano di essere soppiantate dal nuovo. A sua volta, il nuovo è spesso poco

consistente o è considerato scarsamente utile dalle vecchie culture necrotiche; ma questa lontananza è inevitabile, fa par-te della tempesta in corso e non si annullerà per lungo tempo. Pertanto, si dovrà avere molta pazienza per non rispondere con fastidio alle provocazioni. La seconda questione è una do-manda: chi ci proteggerà ora che gli stati e le istituzioni del sistema mondo sono incapa-ci di farlo? È un interrogativo che ha proposto due decenni fa Immanuel Wallerstein e ci sono stati molti progressi in questa direzione, anche se non è ancora sufficiente. La rispo-

TERRITORI - L’impasse dei governi progressisti e le “società in movimento”

I primi fulmini della tempestazione e consensi di critica e di pubblico. Un disco fatto della stessa sostanza del viag-gio, non per niente caratte-rizzato dall’inserzione nelle varie tracce di field recording ripresi in strade, mercati, musei, appartamenti e metro in giro per il mondo (Parigi, Santiago del Cile, Atene, Va-ranasi e nell’isola di Ko Sa-mui e Livorno naturalmente). Un disco che si vuole presen-tare e far scoprire viaggiando, attraverso un tour di presen-tazioni live per tutto lo stiva-le, modulate in chiave energe-tica e rock , per club ed au-ditorium, come il The Cage

Theatre, dove Nico & soci (Alessandro Quaglierini, Valerio Iannitto, Federico Melosi, Davide Mo-relli, ovvero il suo gruppo stabile sul palco e in studio) il 1° ottobre hanno inaugurato la nuova stagione esibendosi prima di uno stre-pitoso Francesco Motta, ed in chiave più riflessiva, con set semiacustici per ambienti più raccol-ti come café e libre-rie.

Info: audioglobe.it nsambo.net cappuccinorecords.com

Foto: Paolo Ciriello

LUCIO BAOPRATI

Ogni viaggio un suono, ogni suono un sogno,

ogni sogno un viaggio, e così via. Sembra ritrovarsi in que-sto circolo infinito, messo in moto dalla curiosità e dalla ricerca ed alimentato dal ri-cordo e dal racconto, l’es-senza della musica di Nico Sambo. Un moto perpetuo, un loop autorigenerativo che trova il suo momentaneo sta-to di sospensione e fusione nelle varie tracce incise in questi anni.La spazialità del suono, la vertigine del sogno, la so-spensione del viaggio ed il ri-cordo nostalgico e visionario, di ciò che si è lasciato (sia prima che dopo il viaggio, che prescinde dalla prossimi-tà o realtà della meta, sia il Bar degli amici o un piane-ta sconosciuto), sono infat-ti elementi ricorrenti nella sua produzione discografica, “Sofà elettrico” (2011), “Su-spended” (2011), “Argonau-ta” (2014), fino a quest’ulti-mo “Ognisogno” (Cappuc-cino Records /Audioglobe). Elementi che ritroviamo nel videoclip del singolo “Ameri-ca isterica” (diretto da Mar-tino Chiti e con protagonista l’ottimo “licaone” Guglielmo Favilla), che ha accompagna-to il lancio del disco lo scorso 30 settembre.Prodotto da Nicola Fantozzi e dallo stesso Sambo, mixato e masterizzato, sempre da Fan-tozzi all’Overstudio di Cen-

to, “Ognisogno” è il secondo album in italiano frutto della collaborazione con lo scrittore Lucio Tirinnanzi, amico stori-co di Nico e già voce ed autore dei Pam, formazione labronica

di folk rock cantautoriale at-tiva a Livorno nei primi anni 2000 nella quale suonavano sia Sambo, alla chitarra, che altri suoi compagni di viaggio come

il fedelissimo bassista Ales-sandro Quaglierini, Luca Val-dambrini, Jody Guetta. Come nel precedente “Argonauta”, il sodalizio artistico tra Nico Sambo e Lucio Tirinnanzi (del quale ci fa piacere ricordare il libro d’esordio “Crepi quel lupo! Come sopravvivere al capo quando si è giovani e pre-cari”, edito da Robin nel 2013) funziona molto bene ed anzi qui in “Ognisogno” migliora e matura, nel contesto di un disco complessivamente più “tondo” e morbido, asciutto e raccolto (il pianoforte è di fat-to lo strumento caratterizzante del disco), fino a raggiungere picchi d’eccellenza come in “Arrivederci mai” (un gran bel-la canzone, che suona al primo ascolto come un classico, che ricorda per atmosfera gli ulti-mi Virginiana Miller, e che si chiude in un crescendo in cui gli echi delle sonorità di Bar-ret e dei Beatles sembrano per alcuni attimi incrociarsi e fon-

dersi) o nella struggente “San-ta Giulia”, il brano più poeti-camente labronico di “Ogni-sogno”. Un sodalizio maturo che probabilmente stimola e spinge Nico Sambo a scrivere lui stesso in italiano firmando le altrettanto belle e significa-tive “La stazione” e “Lo sai che..” e facendo così emerge-re la sua naturale inclinazione cantautoriale nel solco della tradizione labronica che va da Piero Ciampi, a Bobo Rondel-li, a Simone Lenzi dei già ci-tati Virginiana Miller. E forse anche per questo che rispetto ai dischi precedenti scompare dalle copertine il famoso trat-

tino dopo l’iniziale (N_ Sam-bo) per lasciare spazio al più immediato e personale Nico Sambo.“Ognisogno” è il classico di-sco che ascolti dall’inizio alla fine. Un disco che in pochi mesi ha raccolto infatti atten-

Ognisogno un viaggioSUONI - Uscito il 30 settembre 2016 il quarto album in studio del polistrumentista Nico Sambo

2

Dal Rojava al Chiapas:

oggi più che mai la vita è sinonimo di autonomia

JACK RR

Nel titolo Il drago, il cu-stode, lo straniero manca

la “e” di congiunzione come la giusta tradizione gram-maticale vorrebbe e proprio dal titolo si ha l’impressione della volontà di sferzare tagli netti contro la tradizione e il comune pensare, e del senso critico che vuole far emerge-re la costellazione delle in-giustizie presenti in un mon-do occupato da persone vio-lente messe in un preciso or-dine gerarchico. Sono molte le verità disseminate in que-sto originale romanzo fon-damentalmente pulp. Pulp è la realtà dove il concetto di normalità è nella virtù della ribellione anche se scompo-sta. Sembra che chi subisce la violenza poi ne abbia bi-sogno proprio perché è da soli che spesso limitiamo la nostra libertà. Soggiogati da noi stessi, dalle paure e dal-le remore di non poter essere

altro che lavoratori pienamen-te integrati in un ciclo di vita noioso senza mai interruzione. Il romanzo vorrebbe dialogare con un lettore adolescente e

della prima età matura, perio-di non semplici dove il corpo è cresciuto in fretta lasciando indietro la mente e ancora ca-rente di esperienza. Allo stesso tempo per un lettore più adulto l’ipocrisia del potere è messa alla berlina, come anche vien messa in risalto la soggezione all’ipocrisia accettata da molti come àncora per programma-re un futuro incerto: il centro benessere nel nuovo lotto; la soddisfazione sessuale fino a se stessa che lascia poi un senso di esito di guerra tra vincitore e vinto; lo scontro per l’affer-mazione; la reazione al senso di vuoto che la noia generaliz-zata di molti tende ad imporre anche alla tua vita. Sulla noia dovremmo soffermarci a pen-sare, gli effetti aberranti di una

noia di massa che purtroppo ti spingono verso cose pazze per affermare il proprio ego e per trovare una collocazione in un mondo di duri, l’avvocato Alta-no per esempio è un nodo im-portante nell’organizzazione del potere locale, un sadico. Il richiamo al locale non è espresso ma sarà il lettore li-vornese a riconoscerlo ed è normale che un autore parta anche dal suo mondo di vita, siamo in un romanzo autentico frutto di una attenta osserva-zione delle generazioni che si sono mosse nella tessitura della trama individualista dell’agire umano e dove in tutti i modi si è mortificata la solidarietà spicciola. La rappresentazione dei lineamenti dell’impulsivi-tà di un drago, il sonno di un

custode e la rassegnazione dello straniero. Per questo Il drago, il custode, lo straniero coglie bene i pas-saggi del percorso di matu-razione di una vita sbandata del protagonista che stanco poi accetta per un attimo an-che l’avvicinarsi della morte senza ribellarsi. Emergono anche i dettagli relativi all’organizzazione dell’esercizio della violenza secondo una gerarchia ben dettagliata: la violenza eser-citata da una sola persona e da un gruppo malavitoso che si muovono nell’ambito dell’illegalità; l’altra violen-za, quella coperta dal siste-ma legale, che si abbatte su interi territori vergini e sulle rispettive popolazioni.

Il drago, il custode, lo stranieroLETTURE - Il nuovo libro di Enrico Pompeo

“Perché l’amore è

una strada di periferia, dove arrivan le onde

e poi vanno via”

Page 3: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

per non dimenticare6 3interniGennaio 2017

cittadini cattolici. Nell’agosto del 1979 l’Ira fa esplodere lo yacht di Lord Mountbatten, cugino della regina Elisabetta, che rimane ucciso con altre tre persone. Altre due bombe uccidono 18 soldati britannici. Negli anni ’80 il conflitto proseguirà e saliranno alla ribalta le lotte dei detenuti politici dell’Ira, con scioperi della fame e ten-tativi di evasione dal famige-rato carcere di Long Kesh. Nel 1984 una bomba dell’Ira esplode al congresso del par-tito conservatore a Brighton: le vittime sono cinque. Dopo questi anni cruenti, il 31 ago-sto del 1994 l’Ira annuncia la fine delle operazioni militari, seguita dopo alcune settimane dai protestanti, ma il governo britannico di Lord Major pre-tende la consegna delle armi e non ammette ai colloqui di pace il Sinn Fein, organizza-zione politica che ritiene il braccio politico dell’Ira: con-dizioni che non possono es-

sere accettate. La tregua vie-ne quindi in-terrotta finché nel 1998 sotto il governo la-burista di Tony Blair si giunge ad un accordo che stabilisce la partecipazio-ne al governo

nordirlandese di una quota di ministri cattolici proporziona-le alla percentuale riportata nelle elezioni.

NELLO GRADIRÀ

Al termine della guer-ra anglo-irlandese, nel

1921, nacque la Repubblica d’Irlanda che comprendeva tutta l’isola tranne sei contee settentrionali a maggioranza protestante che continuarono a far parte del Regno Unito. Queste sei contee saranno governate ininterrottamen-te dall’Ulster Unionist Party, espressione della comunità protestante, mentre i cattolici subiranno pesanti discrimina-zioni dal punto di vista lavo-rativo, del diritto alla casa e della rappresentanza eletto-rale. In opposizione a queste discriminazioni nel 1966 vie-ne fondata la Nicra (Northern Ireland Civil Rights Associa-tion), le cui manifestazioni vengono spesso attaccate dal-la polizia e da gruppi parami-litari protestanti. L’epicentro della mobilitazio-ne cattolica è la città di Derry, dove su un muro compare la scritta “You are now entering free Derry”. A Derry il 12 agosto del 1969 si verificano violenti scontri e la polizia cerca di sfondare le barricate erette dai cattolici: gas lacri-mogeno CS contro pietre e molotov. Due giorni dopo altri duri scontri a Belfast, dove gli estremisti protestanti brucia-no le case dei cattolici in mol-te strade della città. Il gover-no britannico invia allora un contingente militare sull’iso-la. Gli scontri producono una scissione nell’Esercito Repub-

blicano Irlandese (Ira), la storica formazione armata cattolica in-dipendentista, e portano alla na-scita dell’ala Provisional, in po-lemica con l’Ira cosiddetta Offi-cial accusata di scarsa reattività. Sul fronte protestante si trovano invece altre formazioni armate, come l’Ulster Volunteer Force e l’Ulster Defence Association. Il 3 luglio 1970 in un quartie-re cattolico di Belfast l’esercito britannico impone un lunghis-simo coprifuoco e perquisisce molte abitazioni, una misura odiosa che contribuisce in ma-niera decisiva alla radicalizza-zione di molti cattolici. Nell’a-gosto 1971, tentando di frenare la crescita dell’Ira, il governo

nordirlandese introduce l’inter-namento senza processo. Ma il risultato è l’opposto: l’Ira cresce ancora in consenso e adesioni. Il 30 gennaio 1972 a Derry viene convocata una manifestazione per i diritti civili: i paracaduti-sti britannici sparano sulla fol-la uccidendo 13 persone, di cui 6 minorenni (un’altra morirà successivamente), in quella che passerà alla storia come Bloody Sunday, la domenica di sangue. Una prima commissione d’in-chiesta proscioglie i militari, ma una seconda, il cui rappor-to verrà consegnato al governo solo nel 2010, metterà in luce le responsabilità dei paracaduti-sti, che avevano sparato a fred-

do su molte delle vittime. La spirale di violenza non si arresta e nel marzo del 1972 il governo britannico decide di esautorare il governo dell’Ulster assumendo direttamente il con-trollo del territorio nordirlande-se. Nel luglio del 1972 a Belfast e Derry l’esercito britannico mette in atto un’enorme opera-zione militare con migliaia di soldati e centinaia di carri arma-ti, con l’obiettivo di rimuovere le barricate e rendere accessibi-li molti quartieri cattolici fino ad allora off-limits. Quell’anno risulterà il più sanguinoso del conflitto: 472 morti, dei qua-li 108 soldati britannici. Si assiste a episodi di incredi-bile ferocia come quelli di cui sono protagonisti i cosiddetti

Shankill butchers (i macellai di Shankill, un quartiere di Bel-fast), estremisti protestanti che rapiscono, torturano e sgozzano

30 GENNAIO 1972 - 45 anni fa la strage di Derry

Sunday bloody sunday

Il 1972 fu l’anno più cruento del conflitto

nordirlandese, si registrarono 472 morti

Anno XII, n. 122

ECONOMIA - Da Uber a AirBnB oltre alla “condivisione” ci sono anche questioni da risolvere

La sharing economy in chiaroscuro

surfing, cioè il mettere a disposi-zione il proprio “divano” per ospi-tare o essere ospitati. Erano forme primordiali di economia della condivisione favorite dalla massifi-cazione delle tecnologie della rete e dall’uso di smartphone. Poi però l’economia della condivisione si è strutturata fino a raggiungere una diffusione e un valore gigantesco: secondo un recente studio della Commissione Europea (Consu-mer Intelligence Series: The Sha-ring economy. Pwc 2015) infatti, la sharing economy entro il 2025 accrescerà le proprie entrate fino a 300 miliardi di euro. Pensiamo ad esempio ad Uber, azienda californiana che fornisce un servizio di trasporto automo-bilistico privato attraverso una applicazione (app) che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Uber è stata valutata 50

miliardi di dollari, facendo sca-turire un dibattito fra coloro che dicono che l’innovazione va fatta galoppare senza ostacoli e chi dice che l’economia della condivisione va regolamentata perché ogni tipo di economia alla lunga accentra i profitti e penalizza i cittadini. Di sicuro nessuno può negare che ci siano, intanto, problemi di caratte-re assicurativo, di privacy, di tasse e di sicurezza degli utenti. Sono altrettanto innegabili, in un mon-do dove siamo diventati prima consumatori e poi cittadini, anche i vantaggi che ha portato al mo-mento Uber: più disponibilità, più opportunità e prezzi più bassi. Ma per giudicare la bontà di un siste-ma ci sarebbe soprattutto da moni-torare la gestione e la ripartizione della ricchezza prodotta, senza per forza scadere nell’accusa che chi vuole regolamentare è giocoforza

un tifoso delle caste. Noi, senza essere simpatizzanti dei tassisti, il problema della regolamentazio-ne ce lo poniamo. Anche perché queste aziende cercano di porsi solo come mediatori e ci fanno accettare condizioni contrattuali in cui loro si tirano fuori da ogni responsabilità in caso, ad esempio, di incidente.Ma non è solo una questione tecni-co-giuridica. Prendiamo l’esempio di AirBnB, vale a dire il “portale online che mette in contatto perso-ne in cerca di una camera/alloggio per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare, generalmente privati” (Wikipedia).

AirBnB ancora più di Uber, oltre alla questione su tasse, sicurezza e responsabilità, ha fatto aprire un dibattito sull’impatto sociale

di questo strumento con cui or-mai milioni di persone in tutto il mondo organizzano le proprie vacanze. E non è solo un proble-ma di competizione con alberghi e strutture “ufficiali”, un settore con migliaia di occupati e prezzi e salari in picchiata (grazie an-che ai voucher). Il danno princi-pale che sta causando AirBnB in molte città è quello dell’aumen-to vertiginoso degli affitti. Spe-cialmente nelle città turistiche, chi ha un appartamento ormai non lo affitta più perché è molto più semplice e fruttuoso met-terlo su AirBnB e affittarlo per piccoli periodi e spesso esentas-se. Il risultato è che gli affittuari

residenti di queste città sono stati espulsi dal mercato degli affitti op-pure si sono visti rad-doppiare le richieste di canone mensile. Insom-ma, la questione è deli-cata e complessa e vista la mole di soldi che gira intorno all’economia della condivisione lo scontro sarà duro. Noi concludiamo con alcu-ne dati del 2015: Uber: 160mila autisti ma solo

550 dipendenti. Airbnb: 600 di-pendenti con un milione di stan-ze. E il lavoro non ha orari né regole precise.

FRANCO MARINO

In italiano si chiama “econo-mia della condivisione” o

come riporta Wikipedia “consu-mo collaborativo”: “Il termine consumo collaborativo (sharing economy) definisce un modello economico basato su di un in-sieme di pratiche di scambio e condivisione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze. È un modello che vuole pro-porsi come alternativo al con-sumismo classico riducendo così l’impatto che quest’ultimo provoca sull’ambiente”. Si po-trebbe anche definire un model-lo economico che non si fonda sulla produttività e la proprietà dei beni ma sulla condivisione e lo scambio, in cui quindi la partecipazione, la fiducia e le re-lazioni tra le persone risultano i pilastri fondamentali.Inizialmente si parlava di ban-ca del tempo quando le perso-ne mettevano a disposizione il proprio tempo per fare qualco-sa per poi ricevere un altro tipo di servizio da un altro. C’era il bike sharing, le bici “comunali” come ci sono, seppur poco usa-te, nella nostra città, c’era il car pooling quando aziende o lavo-ratori stessi si coordinavano per andare a lavoro con un’unica macchina. C’era infine il couch-

Il 23 dicembre 2010 nasceva il sindacato Usb (Unione Sin-

dacale di Base) dalla fusione di realtà sindacali esistenti o parti di esse (come SdL, RdB e Cub). In questi 6 anni si è progressiva-mente affacciata alla scena sin-dacale in molti settori: grande distribuzione, logistica, metal-meccanici, telecomunicazioni, sanità, pubblico impiego e mol-te altri. Usb però si è ritrovata in prima pagina lo scorso 15 set-tembre quando Abd Elsalam, facchino iscitto a Usb di una ditta esterna, è stato travolto ed ucciso da un tir della Gls (in-citato a rompere il picchetto) a Piacenza durante uno sciopero per chiedere la riassunzione di 8 operai licenziati. La Gls dei facchini della logistica, cioè i lavoratori di quei magazzini che fanno da centrale alle grandi aziende di trasporto che fanno da smistamento alle grandi cate-ne come ad esempio Ikea. Una lotta che è diventata strategica perché è stata efficace nel de-nunciare e bloccare la grande ca-tena di sfruttamento ai danni dei facchini, specialmente immigra-ti, che fra ditte esterne e coope-rative sono al centro della catena logistica su cui si regge il consu-mo e la grande distribuzione. Nel 2016 il settore della logisti-

ca è stato al centro di scioperi e rivendicazioni, con i lavoratori im-migrati in prima fila e con le con-dizioni di lavoro migliorate grazie a queste lotte. E insieme alle lotte sono venuti fuori come negli anni ‘20 i picchiatori: padroncini, cru-miri, body guard e mercenari tutti uniti per fermare le lotte e far con-tinuare lo sfruttamento. Non è una

novità, già dal 2014 alcuni militan-ti ed iscritti del sindacato di base Slai Cobas, uno dei primi sinda-cati ad intraprendere le lotte nella logistica, erano stati aggrediti con

bastoni e spranghe du-rante uno sciopero. Ma le body guard le abbiamo viste per la prima volta anche a Livorno, durante la lunga, valorosa e vin-cente lotta dei lavoratori ex Elia che si sono trovati chiusi fuori dai piazzali con le body guard venute

da Verona a controllare che nes-suno entrasse.È notizia di queste settimane, invece, che una sede dell’U-sb a Parma ha subito un attacco incendia-rio e che a Napoli c’è stata un aggressione ad un dirigente sin-dacale Usb il giorno di Natale in pieno centro. Sono solo gli ultimi due esempi di una escalation pre-occupante che vede chi lotta e chi mette

in discussioni profitti e rendite, più o meno lecite, essere bersaglio di minacce e rappresaglie. Anche a Livorno il clima si sta avvelenando. È notizia di questi

giorni che la magistratura citta-dina stia iniziando un’opera di accerchiamento verso Asia (l’as-sociazione degli inquilini e degli sfrattati legata a Usb) con accuse che potrebbero condurre all’asso-ciazione a delinquere. Asia infatti in questi anni, oltre a sostenere le occupazioni di edifici pubblici e privati abbandonati in città da parte di decine (ormai centinaia) di famiglie che si sono ritrovate senza un tetto sulla testa, ha ini-ziato un’opera di denuncia sulle speculazioni esistenti (vedi gli ap-partamenti di piazza Cavallotti legati all’operazione Gran Guar-dia). Nelle scorse settimane, Asia, ha denunciato anche il fatto che ci sono occupazioni fatte da altri sog-getti dove si chiede il pizzo agli abi-tanti. Questura e magistratura dal

canto loro hanno risposto con la richiesta di misure cautelari per gli iscritti più attivi di Asia, rei di aver invitato un occupan-te a lasciare la struttura perché non stava rispettando le regole comuni di convivenza che le fa-miglie si sono date. Secondo la denuncia del sindacato, invece, un poliziotto si sarebbe rivolto ad alcune famiglie nelle occupa-zioni chiedendo “di informarsi se esistevano delle famiglie che avevano avuto problemi con il sindacato e di portarle in Que-stura da lui”. Ma in città anche il Pd è nel fronte di coloro che lanciano falsità e illazioni sulle occupazioni, scansando le pro-prie responsabilità storiche e alimentando storie e fantasie per screditare Asia. Insomma, pare che a Livorno si lavori per buttare la polvere sotto il tappeto, trovare il capro espiatorio del fenomeno delle occupazioni, continuando però a chiudere gli occhi su affaristi e palazzinari. Intanto ogni mese decine di famiglie rimangono senza casa. Senza Soste redazione

Tasse, sicurezza, privacy, frenata dei salari e esplosione

degli affitti sono solo alcuni degli

aspetti da regolare

Bastonate ai facchini, aggressioni, body guard contro chi

sciopera e denunce a chi sostiene occupanti

e sfrattati

Attacco al sindacalismo di base REPRESSIONE - II 2016 ha visto rispuntare “mazzieri” e picchiatori contro i lavoratoriNELLO GRADIRÀ

Il 20 gennaio 1942 il generale delle SS Reinhardt Heydri-

ch convocò i più alti responsa-bili della sicurezza del Reich in una villa sul lago Wannsee, nei pressi di Berlino. Ordine del giorno della riunione: la soluzione finale della questio-ne ebraica. Il verbale fu redat-to da Adolf Eichmann.Heydrich comunicò di esse-re stato incaricato da Goe-ring e Himmler, su ordine del Führer, di predisporre il piano per liberare definiti-vamente i territori del Reich dal popolo ebraico e chiese la collaborazione di tutti gli uffici implicati. Ricordò quel-lo che era stato fatto fino a quel momento, in particolare a partire dal gennaio di tre anni prima quando era stato istituito l’Ufficio Centrale per l’Emigrazione degli Ebrei. La gestione dei flussi migratori di una massa così notevole di persone aveva comportato grossi problemi burocratici e organizzativi: non vi erano sufficienti posti sulle navi, i paesi di destinazione avevano aumentato le tasse per gli im-migranti e spesso ritardavano la concessione dei visti. Cio-nonostante, con l’aiuto finan-ziario delle comunità ebrai-

che, erano stati espulsi 534.000 ebrei residenti in Germania, Austria e Cecoslovacchia. In precedenza era stato valutato anche un incredibile piano per deportare quattro milioni di ebrei in Madagascar. Le SS si riservavano il diritto di super-visione sulle istituzioni che gli ebrei avrebbero creato sull’isola, e non si faceva cenno al destino della popolazione malgascia. In ogni caso il piano Madagascar non ebbe alcun seguito. Al momento della conferenza rimanevano in Europa - Russia compresa - più di 11 milioni di ebrei. Le esecuzioni di massa da parte degli Einsatzgruppen nei territori occupati comportavano costi eccessivi per le munizioni

e problemi psicologici per i militari, per quanto super-indottrinati, che dovevano massacrare anche migliaia di donne e bambini, e si scelse la strada della deportazio-ne verso est. Nel verba-le si legge: “Nel quadro generale della soluzione finale, gli ebrei dovran-no essere avviati al

lavoro nell’est eu-ropeo. Tutti coloro che risultino abili al lavoro, suddivisi per sesso, saranno inviati in gruppi in quei territori per impiegarli nella co-struzione di strade. Gran parte di essi morirà per cause naturali e quelli che sopravvi-veranno, cioè i più resistenti, dovranno essere gestiti adegua-tamente poiché rappresentano il frutto di una selezione na-turale. Qualora essi venissero rilasciati potrebbero costituire il germoglio di una futura rina-scita ebraica. (…) Non è pre-

visto evacuare persone con età superiore ai 65 anni. Costoro saranno trasferiti nel ghetto per anziani di Theresienstadt. Ol-tre agli ultrasessantacinquenni che rappresentano circa il 30% dei 280,000 ebrei che al 31 ot-tobre 1941 risultavano residenti in Germania e Austria, saranno trasferiti a Theresienstadt an-che i veterani di guerra con gra-

vi ferite e gli ebrei decorati con Croce di Ferro di Prima Classe. Attraverso questa soluzione ver-ranno cancellati in un colpo solo i molti benefici di carattere so-ciale di cui godono queste perso-ne”. Nel successivo paragrafo si affronta la questione dei “mez-zosangue” e si conclude che sa-

rebbe opportuno dichiarare nulli i matrimoni misti e pro-cedere alla sterilizzazione di coloro che non sarebbero sta-ti evacuati (in particolare gli ebrei che lavoravano nell’in-dustria bellica). Secondo gli storici, nella Con-ferenza vennero apertamente discussi i dettagli dello ster-minio. Lo stesso Eichmann, durante il processo che portò alla sua condanna a morte in Israele, dichiarò che si era parlato “di uccisioni, di eli-minazione e di sterminio”. Tuttavia nel verbale non si fa menzione dell’utilizzo delle camere a gas, inaugurate nel programma di “eutanasia” dei disabili Aktion T4 e all’epoca in fase di sperimentazione nei territori occupati dell’Unione Sovietica. L’assenza di questi dettagli nel verbale ha fornito ad alcuni revisionisti il prete-sto per mettere in dubbio la vera natura dell’”evacuazione verso est” e la realtà dell’Olo-causto. Come se i contenuti letterali del verbale non fos-sero già abbastanza indicativi sulla mostruosità nazista.

Il verbale dell’incontro rivela

tutta la mostruosità del regime nazista

Come nacque la “soluzione finale” 20 GENNAIO 1942 - 75 anni fa la conferenza di Wannsee

Page 4: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

Livorno Livorno Anno XII, n. 122 Gennaio 20174 5

liquidità aziendale delle uten-ze commerciali e piccolo-in-dustriali. Ma per rientrare dal debito, che si spalma su tutti i cittadini senza differenza alcu-na di classe sociale e di apparte-nenza politica, occorre recupe-rare i crediti insoluti senza fare macelleria sociale. Un ‘opera-zione complicata che richiede il massimo della trasparenza e il minimo della compromissione con il passato che si vorrebbe cancellare. In una parola, dopo la rapidissima e legittima con-quista del consenso maggiori-tario e trasversale per governa-

re, per il Movimento a Cinque Stelle, se non vuole invecchiare precocemente, è giunto il mo-mento della responsabilità. E dunque della vera rappresen-tanza territoriale dei bisogni. Sequenze - Osservatorio civile

Non c’è bisogno di essere dei grillologi per capire che

con i successi di Roma e Torino (oltreché Livorno di cui siamo osservatori diretti da ormai due anni e mezzo) il Movimento a Cinque Stelle è entrato forse suo malgrado nella fase di piena ma-turità. Suo malgrado perché la curva temporale di collegamen-to fra un’alternativa politica po-tenziale che sviluppava per lo più passioni e la traiettoria rigorosa di una responsabilità di governo si è prodotta, complice anche il controcanto al governo nazio-nale di Renzi, in tempi rapidis-simi. Oltretutto il Movimento, e questo in pochi fra i grillologi in servizio permanente effettivo lo notano, ha prodotto un dupli-ce effetto sui territori. Quello di prevalere come forza antisistema e dunque di vincere, ma anche di cannibalizzare buona parte delle forze che fin lì avevano recitato un ruolo di onesta opposizione a governi locali sempre più im-popolari e legati a consorterie che si perpetuavano sovrappo-nendosi quasi per inerzia al voto democratico. A Livorno Noga-rin ha vinto come noto al ballot-taggio, scommettendo sulla crisi di rappresentanza territoriale del Partito Democratico. Una rap-presentanza che poi con i mille giorni di Renzi, forse parados-salmente, si è definitivamente dispersa allocandosi per lo più intorno a Confindustria, Cna, pezzi di portualità e garanti di quanto rimane del sistema ban-cario senese ed aretino, le cui cri-si sono state come noto poste a

carico in parte agli obbligazionisti subordinati e in parte alla fiscalità generale. Forse la più grave scon-fitta, anche in termini previsiona-li, per il duo Renzi Padoan dopo avere posticipato il pareggio di bilancio al 2019 in una transizio-ne di 1000 giorni senza crescita, con la bomba ad orologeria delle clausole di salvaguardia che qua-si sicuramente scoppieranno in mano al governicchio Gentiloni, obbligandolo ad una maxi ma-novra correttiva dopo la ricapita-lizzazione pubblica di una serie di banche che fidelizzavano anzi-tutto, ma non solo, i territori “del Pd”. Verrebbe da dire che Noga-rin, magari involontariamente, ha anticipato l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Che spaccando una volta di più (alme-no a Livorno) l’elettorato reale come una mela, ha proposto, allo stato attuale delle cose, un esito binario. Di qua, la rappresentanza

patrimoniale degli interessi conso-lidati presidiati dal Pd renziano e minacciati dalla crisi fiscale dello Stato e da quella economico-finan-ziaria del sistema bancario, di là la rappresentanza territoriale dei bi-sogni compressi dalla crisi econo-mica generale e da un complicato rapporto con la macchina pubblica che fin qui hanno trovato nel Mo-vimento di Grillo un interlocutore dalla forte e onnicomprensiva va-lenza simbolica. Dopo la sconfitta rumorosa e forse inaspettata del disegno neo centralista di Renzi, che tutto pensava di risolvere con la verticalizzazione dei poteri e la lottizzazione del sistema televisivo e il controllo asfissiante di quello editoriale, oggi pare questo il qua-dro di riferimento del confronto politico in atto sui territori dove se non altro l’inesperienza inevita-bile di alcuni amministratori non condiziona il funzionamento del sistema democratico come acca-

deva puntualmente in pas-sato. Ma dove prima o poi anche i 5 Stelle, compressi dalla tenaglia revanchista dei poteri economici ed editoriali da establishment, saranno costretti a misurarsi con solide alleanze sociali e civico tematiche per potere sopravvivere al mulinello delle contestazioni pena-li amplificate dai media e al braccio di ferro con le burocrazie

municipali politicamente orientate. Circostanza, quest’ultima, puntual-mente verificatisi sia a Li-vorno che a Roma, dove direttori generali e capi e vice capi di gabinetto hanno instaurato filiere di potere e di relazioni obiettivamente concor-renti con quello/e deter-minato/e dal voto diretto dai cittadini. Tutto questo mentre si aggrava, peral-tro, il debito patrimoniale di Comuni come Roma e Torino, mentre a Livorno la discontinuità di cui par-la Nogarin è soprattutto nell’ag-gressione anche giudiziaria della massa debitoria di controllate e partecipate che il Pd ha utilizza-to come ammortizzatore sociale delle crisi industriali prima e, con la sottovalutazione dell’evasione tariffaria, come regolatore della

A metà stradaCINQUE STELLE/1 - Il governo dei territori come antidoto alla tenaglia mediatica dei soliti noti

Per il Movimento Cinque Stelle, se non vuole invecchiare

precocemente, è giunto il

momento della responsabilità

Regione Toscana sulla Darsena Europa (250 mil.), sul comparto Solvay (113 mil.) e gli eventuali su Piombino (60 mil.) aspettando Rebrab, dimostrano distacco da quella sensibilità politica del voler migliorare gli elementi attrattivi per un vero lancio dell’economia turistica costiera. L’onere dello sviluppo turistico è rimesso ai comuni, i quali non avendo soldi anziché intraprendere guerre istituzionali e politiche per arrivare ad ottenerli si quietano. Tutto ciò accade in un contesto in cui in Europa si salvano banche e si acquistano

titoli di Stato grazie alla distribuzione di 60 miliardi di euro al mese. Nel mentre N o g a r i n , con accanto il “non keynesiano” L e m m e t t i , rivendica gli 88 milioni di invest imenti pubblici in tre anni come una garanzia per un buon g o v e r n o

locale! Dichiararsi oggi non keynesiano di fronte al far west della finanza e in una fase di destrutturazione del potere dell’ente locale è il massimo dell’omologazione sistemica all’austerità.

JACK RR

Ci sono due trappole in cui non dobbiamo cadere

quando si parla di turismo: quella che fa più vittime è sostenere orgogliosamente il falso primato del “come ce l’abbiamo noi la costa non ce l’ha nessuno”; l’altra invece è che “di turismo non ci si campa” perché la stagione è corta e poi “dé noi la gente si manda via, il livornese è ignorante, boia dé”.Da un estremo all’altro ed è semplice constatare che con le battute non si risolve niente, orgoglio e auto denigrazione non servono se vogliamo vedere di mettere insieme dei fattori costitutivi del settore turistico per poi corredarli di altri elementi migliorativi nel tempo. Più difficile è la partenza ma a Livorno l’intelaiatura è emersa, il turismo si fa già. La domanda che ripetiamo è: quali sono e quali potrebbero essere gli elementi che fanno attrazione ed a chi possiamo rivolgerci? Questa domanda è stata già proposta successivamente alla Commissione Consiliare IV del Comune di Livorno nell’ottobre 2015 dov’era sempre presente l’Ass. Perullo che dagli Stati Generali del Turismo è passato poi a non essere nemmeno più in Giunta. Dopo le dichiarazioni del Sindaco di fine 2016 cerchiamo di tornare sul tema verificando se effettivamente ci sia la capacità e volontà di procedere davvero, considerato anche il piano regionale.Non ci fidiamo perché la

politica speculativa riprende tanti argomenti dal popolo che trovandosi in estrema difficoltà vede nel turismo una possibilità, ma questa osmosi di pratiche discorsive rischia di rimanere proprio sul piano del “boia dé” oppure creare miraggi che magari dissolvendosi danno ragione al disfattismo. È fondamentale tenere insieme elementi di analisi teorica e interpretazione dei flussi di dati che comunque sono disponibili sia con Istat che con Irpet e seguire appunto i lavori della Pubblica Amministrazione, considerata però per l’intera area Livorno-Pisa. Infatti Nogarin andrebbe ascoltato contestualmente a Filippeschi, anche se questo ci condanna ad una fase lisergica

perché di slogan/trappola nelle sedi di partito ne sono sempre circolati tanti e a sproposito. Storicamente accadeva nel Pd ma da qualche anno anche nei meet up grillini si ragiona di turismo annaspando tra le impressioni personali relative a viaggi fuori porta e all’estero. È vero che le visioni soggettive sono le più immediate però non possono bastare, ci vuole un misto di analisi, teoria e soprattutto l’idea della costruzione della capacità attrattiva curandola sul fronte della pianificazione urbanistica e sull’uso dei luoghi. E poi è fondamentale il rapporto con chi il turismo lo sta già facendo. Organizzare i fattori sta proprio nel come si mette mano a questa mistura di elementi e ruoli giocati

sia da soggetti istituzionali che da singole intuizioni di imprenditori locali. Su questo ultimo punto, l’intuizione di successo dell’imprenditore locale, ci sarebbe davvero tanto da lavorare per vedere di creare rapporti di lavoro. Indici come: numero di occupati per superficie di territorio, varietà della provenienza, tempi di permanenza e valore medio di spesa del turista, il suo percorso in loco e feedback rilasciati sul web ma anche su schede da far girare contestualmente al pagamento dei servizi dove si chiede il contributo sulla tassa del turismo, s a r e b b e r o quelli la base conoscitiva su cui pianificare e canalizzare r i s o r s e p u b b l i c h e . Gli effetti moltiplicativi in termini di ricadute positive sull’intera rete degli operatori e dei cittadini stessi dovrebbe essere l’obiettivo prioritario.Per questo motivo i trasferimenti di denaro pubblico fatti dalla

ECONOMIA CITTADINA - Capire di cosa stanno parlando le istituzioni riguardo al futuro

Turismo fai da te?

Di slogan trappola

nelle sedi di partito ne

sono sempre circolati tanti e

a sproposito

CIRO BILARDI

Del Consiglio Comunale aperto sulla sanità (20/12)

si ricorderanno più gli assenti che i presenti. Non c’era il sinda-co, impegnato in un’imperdibile riunione dell’Anci, né l’assesso-re regionale, la demorenziana Stefania Saccardi, “trattenuta da altri impegni”, cioè non si è neanche presa la briga di inven-tarsi qualche scusa. Ma c’era anche un’altra assente illustre alla seduta del Consiglio, cioè l’assessore “tridelega” (casa sociale e sanità) Ina Dhimgjini. O meglio, fisicamente c’era, ma ha svolto un ruolo così decisivo e pregnante che in un’intera pagina di resoconto del Tirreno non è stata citata neanche una volta. Basterebbero queste assenze per capire che ormai nell’ambiente delle istituzioni non gliene frega più nulla a nessuno del futuro della sanità livornese. E infatti anche i cittadini, come si legge sui giornali, hanno “disertato” l’incontro. In compenso c’erano i soliti personaggi miracolati da una legge elettorale strampalata che li ha portati in Consiglio con 20-30 preferenze. I 5 Stelle qualche mese fa hanno

presentato alla Regione Toscana un progettuccio (sembra sia stato scrit-to dall’ufficio tecnico del Comune) per la ristrutturazione dell’ospedale di viale Alfieri. Senza discuterne con nessuno, né con i lavoratori, né con i cittadini, senza aprire uno di quei famosi percorsi partecipati di cui si riempivano la bocca prima delle elezioni. Naturalmente il pro-getto di ristrutturazione l’assessore Saccardi l’ha buttato nel cestino. Figuriamoci se la Regione investe a Livorno per fare un piacere a No-garin… Aspettano che l’ospedale caschi a pezzi, per dare la colpa ai 5 Stelle e ritirare fuori il progetto di un nuovo ospedale sul terreno

di qualche coop. Stanno mettendo in atto una specie di “embargo”: neanche un euro per la ristruttura-zione dell’attuale presidio, e questo si somma alla devastante riforma sanitaria che ha accorpato ben cin-que aziende sanitarie creando un mostro ingestibile, con tanto di re-ferendum scippato alla faccia delle solite chiacchiere sulla partecipa-zione. E nonostante questo il Pd pontifica come se lo sfascio della sa-nità non fosse responsabilità di chi governa sia a Firenze che a Roma, con i dati dell’Istat che parlano ad-dirittura di un calo nell’aspettativa di vita degli italiani. Ma è normale che tutto questo si dimentichi se si

è costretti a lavorare o a curarsi in strutture fatiscenti. Tra lavoratori e cittadini esasperati comincia a ser-peggiare l’idea che opporsi al pro-getto del nuovo ospedale sia stato un errore, e nessuno ricorda che i vincitori dell’appalto sono finiti nei guai per tangenti, e che laddove i nuovi ospedali sono stati costruiti è tutto un lamentarsi per le condizioni capestro imposte dai privati, per la scarsa qualità dei materiali utilizza-ti e per la scarsa funzionalità delle strutture. I 5 Stelle dal canto loro si acconten-tano di aver fatto il compitino, e non vedono l’ora di arrivare a fine mandato. Eppu-re in buona parte hanno vinto le elezioni sull’onda della questione nuovo ospedale. Ma neanche la disponibilità di esper-ti nel settore della prevenzione e dell’ambiente, che sarebbero venuti

a Livorno a piedi, li ha smossi dal loro letargo. Tanto nel mondo virtuale dei loro blog continue-ranno a scrivere di Comuni aperti come scatolette di tonno, redditi di cittadinanza e stampanti 3d. Per imporre alla Regione la fine dell’embargo ci vorrebbe ben al-tro che una triste e inutile passe-rella come quella del 20 dicem-

bre: come minimo pullman per Firenze e lancio di pomodori ad ogni Consiglio Regionale. Ma c’è ancora qualcuno che ha voglia di impegnarsi?

La Regione sta mettendo in atto un vero e proprio “embargo” contro

Livorno

E tutti aspettano la fine del mandato CINQUE STELLE/2 - Nel Consiglio Comunale aperto sulla sanità hanno fatto notizia solo gli assenti

Non è passata neanche una settimana dall’ultima ini-

ziativa di denuncia organizzata dal sindacato inquilini Asia-Usb e dal Comitato diritto all’abitare, quando la Digos livornese convo-ca in Questura 13 iscritti e attivisti del sindacato per notificare loro alcune denunce e un’ordinanza di misura cautelare di “divieto di avvicinamento” relativa ad una struttura occupata. Due don-ne, attualmente occupanti della suddetta struttura, hanno sporto denuncia contro alcuni membri del comitato lamentando di aver ricevute alcune insistenti minacce nel tentativo di farle abbandona-re la struttura occupata. Quello che sappiamo è che le due donne occuparono l’immobile circa 4 anni fa insieme ad altre famiglie e, nonostante adesso abbiamo da alcuni mesi un lavoro stabile e un reddito dignitoso, continuano a soggiornare al suo interno. È for-se anche possibile che i coabitanti della struttura abbiamo posto il “problema” senza ovviamente mi-nacciare o usare alcuna violenza nei loro confronti e che loro stesse per poter continuare ad usufruire di un alloggio gratuito abbiano de-ciso di reagire utilizzando l’arma della calunnia, trovando un’otti-ma sponda da parte della Digos

locale, da sempre pronta a cogliere qualsiasi occasione per indebolire il movimento di lotta per la casa. Ma non è questo il problema. Dando or-mai per scontata la totale inesisten-za di qualsiasi intervento pubblico nel settore dell’emergenza abitativa (sono ormai centinaia le famiglie

che avrebbero diritto ad un alloggio che sono costrette ad occupare per non finire per strada), questa vicen-da poteva essere utile per stimolare una discussione sugli eventuali limiti dell’autogestione e dell’autoorganiz-zazione. Limiti che esistono anche e soprattutto nel sistema “legale” delle assegnazioni, basti pensare a quante

famiglie hanno una regolare asse-gnazione di un alloggio popolare senza averne diritto. Ma purtroppo la vicenda ha preso un’altra piega. Da una semplice querela di parte, quindi tutta da dimostrare, la Digos livornese ha costruito un teorema molto pericoloso i cui contorni non

sono ancora del tutto chiari. In 150 pagine di fascicolo si cerca di dimostrare l’esistenza di una vera e propria organizzazione quasi militare dedita all’oc-cupazione di immobi-li. Non delle famiglie che autonomamente decidono di riappro-priarsi di alloggi sfitti,

sostenute eventualmente e solo suc-cessivamente da collettivi o sindaca-ti, ma un vero e proprio sistema. Un sistema nel quale addirittura le fami-glie sono descritte come attori incon-sapevoli di ciò che fanno. In questo senso basterebbe fare un giro per qualsiasi immobile occupato per ca-pire la falsità di queste accuse. Ogni

struttura ha ovviamente la sua as-semblea e le sue regole condominiali approvate da tutti. La totalità degli occupanti è purtroppo ben cosciente della situazione in cui si trova e quoti-dianamente combatte per poter final-mente ottenere una soluzione stabile. Che dire? Con tutti i problemi che affliggono la nostra città, sapere che decine di agenti di polizia spendono il loro tempo per costruire fantasio-

se teorie è sicuramente una cosa grave. Proprio grazie ad Asia-Usb che per primo ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente, la città è venuta a sapere dell’esisten-za di un “racket” presso alcune occupazioni abitative gestite da sedicenti comitati che nulla hanno a che vedere con il sindacato. Ci saremmo aspettati semmai un’at-tenzione particolare nei confronti di questi personaggi, ma invece tutto tace. Probabilmente questa è la definitiva dimostrazione che le istituzioni, da una parte hanno estremo bisogno delle occupazio-ni abitative per scongiurare inevi-tabili problemi sociali e di ordine pubblico, ma dall’altra sono di-sposte a chiudere un occhio solo nei confronti di gruppi che non hanno nessuna intenzione di sti-molare percorsi politici e sindacali come i sopradescritti comitati. Della serie, fate quello che vi pare basta che nessuno si illuda di po-ter cambiare veramente qualcosa.

Asia-Usb Livorno

Si chiude un occhio solo verso chi non

stimola percorsi politici e sindacali

Repressione contro chi difende i diritti EMERGENZA ABITATIVA - Asia-Usb e Comitato nel mirino della Questura livornese

Page 5: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

Livorno Livorno Anno XII, n. 122 Gennaio 20174 5

liquidità aziendale delle uten-ze commerciali e piccolo-in-dustriali. Ma per rientrare dal debito, che si spalma su tutti i cittadini senza differenza alcu-na di classe sociale e di apparte-nenza politica, occorre recupe-rare i crediti insoluti senza fare macelleria sociale. Un ‘opera-zione complicata che richiede il massimo della trasparenza e il minimo della compromissione con il passato che si vorrebbe cancellare. In una parola, dopo la rapidissima e legittima con-quista del consenso maggiori-tario e trasversale per governa-

re, per il Movimento a Cinque Stelle, se non vuole invecchiare precocemente, è giunto il mo-mento della responsabilità. E dunque della vera rappresen-tanza territoriale dei bisogni. Sequenze - Osservatorio civile

Non c’è bisogno di essere dei grillologi per capire che

con i successi di Roma e Torino (oltreché Livorno di cui siamo osservatori diretti da ormai due anni e mezzo) il Movimento a Cinque Stelle è entrato forse suo malgrado nella fase di piena ma-turità. Suo malgrado perché la curva temporale di collegamen-to fra un’alternativa politica po-tenziale che sviluppava per lo più passioni e la traiettoria rigorosa di una responsabilità di governo si è prodotta, complice anche il controcanto al governo nazio-nale di Renzi, in tempi rapidis-simi. Oltretutto il Movimento, e questo in pochi fra i grillologi in servizio permanente effettivo lo notano, ha prodotto un dupli-ce effetto sui territori. Quello di prevalere come forza antisistema e dunque di vincere, ma anche di cannibalizzare buona parte delle forze che fin lì avevano recitato un ruolo di onesta opposizione a governi locali sempre più im-popolari e legati a consorterie che si perpetuavano sovrappo-nendosi quasi per inerzia al voto democratico. A Livorno Noga-rin ha vinto come noto al ballot-taggio, scommettendo sulla crisi di rappresentanza territoriale del Partito Democratico. Una rap-presentanza che poi con i mille giorni di Renzi, forse parados-salmente, si è definitivamente dispersa allocandosi per lo più intorno a Confindustria, Cna, pezzi di portualità e garanti di quanto rimane del sistema ban-cario senese ed aretino, le cui cri-si sono state come noto poste a

carico in parte agli obbligazionisti subordinati e in parte alla fiscalità generale. Forse la più grave scon-fitta, anche in termini previsiona-li, per il duo Renzi Padoan dopo avere posticipato il pareggio di bilancio al 2019 in una transizio-ne di 1000 giorni senza crescita, con la bomba ad orologeria delle clausole di salvaguardia che qua-si sicuramente scoppieranno in mano al governicchio Gentiloni, obbligandolo ad una maxi ma-novra correttiva dopo la ricapita-lizzazione pubblica di una serie di banche che fidelizzavano anzi-tutto, ma non solo, i territori “del Pd”. Verrebbe da dire che Noga-rin, magari involontariamente, ha anticipato l’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Che spaccando una volta di più (alme-no a Livorno) l’elettorato reale come una mela, ha proposto, allo stato attuale delle cose, un esito binario. Di qua, la rappresentanza

patrimoniale degli interessi conso-lidati presidiati dal Pd renziano e minacciati dalla crisi fiscale dello Stato e da quella economico-finan-ziaria del sistema bancario, di là la rappresentanza territoriale dei bi-sogni compressi dalla crisi econo-mica generale e da un complicato rapporto con la macchina pubblica che fin qui hanno trovato nel Mo-vimento di Grillo un interlocutore dalla forte e onnicomprensiva va-lenza simbolica. Dopo la sconfitta rumorosa e forse inaspettata del disegno neo centralista di Renzi, che tutto pensava di risolvere con la verticalizzazione dei poteri e la lottizzazione del sistema televisivo e il controllo asfissiante di quello editoriale, oggi pare questo il qua-dro di riferimento del confronto politico in atto sui territori dove se non altro l’inesperienza inevita-bile di alcuni amministratori non condiziona il funzionamento del sistema democratico come acca-

deva puntualmente in pas-sato. Ma dove prima o poi anche i 5 Stelle, compressi dalla tenaglia revanchista dei poteri economici ed editoriali da establishment, saranno costretti a misurarsi con solide alleanze sociali e civico tematiche per potere sopravvivere al mulinello delle contestazioni pena-li amplificate dai media e al braccio di ferro con le burocrazie

municipali politicamente orientate. Circostanza, quest’ultima, puntual-mente verificatisi sia a Li-vorno che a Roma, dove direttori generali e capi e vice capi di gabinetto hanno instaurato filiere di potere e di relazioni obiettivamente concor-renti con quello/e deter-minato/e dal voto diretto dai cittadini. Tutto questo mentre si aggrava, peral-tro, il debito patrimoniale di Comuni come Roma e Torino, mentre a Livorno la discontinuità di cui par-la Nogarin è soprattutto nell’ag-gressione anche giudiziaria della massa debitoria di controllate e partecipate che il Pd ha utilizza-to come ammortizzatore sociale delle crisi industriali prima e, con la sottovalutazione dell’evasione tariffaria, come regolatore della

A metà stradaCINQUE STELLE/1 - Il governo dei territori come antidoto alla tenaglia mediatica dei soliti noti

Per il Movimento Cinque Stelle, se non vuole invecchiare

precocemente, è giunto il

momento della responsabilità

Regione Toscana sulla Darsena Europa (250 mil.), sul comparto Solvay (113 mil.) e gli eventuali su Piombino (60 mil.) aspettando Rebrab, dimostrano distacco da quella sensibilità politica del voler migliorare gli elementi attrattivi per un vero lancio dell’economia turistica costiera. L’onere dello sviluppo turistico è rimesso ai comuni, i quali non avendo soldi anziché intraprendere guerre istituzionali e politiche per arrivare ad ottenerli si quietano. Tutto ciò accade in un contesto in cui in Europa si salvano banche e si acquistano

titoli di Stato grazie alla distribuzione di 60 miliardi di euro al mese. Nel mentre N o g a r i n , con accanto il “non keynesiano” L e m m e t t i , rivendica gli 88 milioni di invest imenti pubblici in tre anni come una garanzia per un buon g o v e r n o

locale! Dichiararsi oggi non keynesiano di fronte al far west della finanza e in una fase di destrutturazione del potere dell’ente locale è il massimo dell’omologazione sistemica all’austerità.

JACK RR

Ci sono due trappole in cui non dobbiamo cadere

quando si parla di turismo: quella che fa più vittime è sostenere orgogliosamente il falso primato del “come ce l’abbiamo noi la costa non ce l’ha nessuno”; l’altra invece è che “di turismo non ci si campa” perché la stagione è corta e poi “dé noi la gente si manda via, il livornese è ignorante, boia dé”.Da un estremo all’altro ed è semplice constatare che con le battute non si risolve niente, orgoglio e auto denigrazione non servono se vogliamo vedere di mettere insieme dei fattori costitutivi del settore turistico per poi corredarli di altri elementi migliorativi nel tempo. Più difficile è la partenza ma a Livorno l’intelaiatura è emersa, il turismo si fa già. La domanda che ripetiamo è: quali sono e quali potrebbero essere gli elementi che fanno attrazione ed a chi possiamo rivolgerci? Questa domanda è stata già proposta successivamente alla Commissione Consiliare IV del Comune di Livorno nell’ottobre 2015 dov’era sempre presente l’Ass. Perullo che dagli Stati Generali del Turismo è passato poi a non essere nemmeno più in Giunta. Dopo le dichiarazioni del Sindaco di fine 2016 cerchiamo di tornare sul tema verificando se effettivamente ci sia la capacità e volontà di procedere davvero, considerato anche il piano regionale.Non ci fidiamo perché la

politica speculativa riprende tanti argomenti dal popolo che trovandosi in estrema difficoltà vede nel turismo una possibilità, ma questa osmosi di pratiche discorsive rischia di rimanere proprio sul piano del “boia dé” oppure creare miraggi che magari dissolvendosi danno ragione al disfattismo. È fondamentale tenere insieme elementi di analisi teorica e interpretazione dei flussi di dati che comunque sono disponibili sia con Istat che con Irpet e seguire appunto i lavori della Pubblica Amministrazione, considerata però per l’intera area Livorno-Pisa. Infatti Nogarin andrebbe ascoltato contestualmente a Filippeschi, anche se questo ci condanna ad una fase lisergica

perché di slogan/trappola nelle sedi di partito ne sono sempre circolati tanti e a sproposito. Storicamente accadeva nel Pd ma da qualche anno anche nei meet up grillini si ragiona di turismo annaspando tra le impressioni personali relative a viaggi fuori porta e all’estero. È vero che le visioni soggettive sono le più immediate però non possono bastare, ci vuole un misto di analisi, teoria e soprattutto l’idea della costruzione della capacità attrattiva curandola sul fronte della pianificazione urbanistica e sull’uso dei luoghi. E poi è fondamentale il rapporto con chi il turismo lo sta già facendo. Organizzare i fattori sta proprio nel come si mette mano a questa mistura di elementi e ruoli giocati

sia da soggetti istituzionali che da singole intuizioni di imprenditori locali. Su questo ultimo punto, l’intuizione di successo dell’imprenditore locale, ci sarebbe davvero tanto da lavorare per vedere di creare rapporti di lavoro. Indici come: numero di occupati per superficie di territorio, varietà della provenienza, tempi di permanenza e valore medio di spesa del turista, il suo percorso in loco e feedback rilasciati sul web ma anche su schede da far girare contestualmente al pagamento dei servizi dove si chiede il contributo sulla tassa del turismo, s a r e b b e r o quelli la base conoscitiva su cui pianificare e canalizzare r i s o r s e p u b b l i c h e . Gli effetti moltiplicativi in termini di ricadute positive sull’intera rete degli operatori e dei cittadini stessi dovrebbe essere l’obiettivo prioritario.Per questo motivo i trasferimenti di denaro pubblico fatti dalla

ECONOMIA CITTADINA - Capire di cosa stanno parlando le istituzioni riguardo al futuro

Turismo fai da te?

Di slogan trappola

nelle sedi di partito ne

sono sempre circolati tanti e

a sproposito

CIRO BILARDI

Del Consiglio Comunale aperto sulla sanità (20/12)

si ricorderanno più gli assenti che i presenti. Non c’era il sinda-co, impegnato in un’imperdibile riunione dell’Anci, né l’assesso-re regionale, la demorenziana Stefania Saccardi, “trattenuta da altri impegni”, cioè non si è neanche presa la briga di inven-tarsi qualche scusa. Ma c’era anche un’altra assente illustre alla seduta del Consiglio, cioè l’assessore “tridelega” (casa sociale e sanità) Ina Dhimgjini. O meglio, fisicamente c’era, ma ha svolto un ruolo così decisivo e pregnante che in un’intera pagina di resoconto del Tirreno non è stata citata neanche una volta. Basterebbero queste assenze per capire che ormai nell’ambiente delle istituzioni non gliene frega più nulla a nessuno del futuro della sanità livornese. E infatti anche i cittadini, come si legge sui giornali, hanno “disertato” l’incontro. In compenso c’erano i soliti personaggi miracolati da una legge elettorale strampalata che li ha portati in Consiglio con 20-30 preferenze. I 5 Stelle qualche mese fa hanno

presentato alla Regione Toscana un progettuccio (sembra sia stato scrit-to dall’ufficio tecnico del Comune) per la ristrutturazione dell’ospedale di viale Alfieri. Senza discuterne con nessuno, né con i lavoratori, né con i cittadini, senza aprire uno di quei famosi percorsi partecipati di cui si riempivano la bocca prima delle elezioni. Naturalmente il pro-getto di ristrutturazione l’assessore Saccardi l’ha buttato nel cestino. Figuriamoci se la Regione investe a Livorno per fare un piacere a No-garin… Aspettano che l’ospedale caschi a pezzi, per dare la colpa ai 5 Stelle e ritirare fuori il progetto di un nuovo ospedale sul terreno

di qualche coop. Stanno mettendo in atto una specie di “embargo”: neanche un euro per la ristruttura-zione dell’attuale presidio, e questo si somma alla devastante riforma sanitaria che ha accorpato ben cin-que aziende sanitarie creando un mostro ingestibile, con tanto di re-ferendum scippato alla faccia delle solite chiacchiere sulla partecipa-zione. E nonostante questo il Pd pontifica come se lo sfascio della sa-nità non fosse responsabilità di chi governa sia a Firenze che a Roma, con i dati dell’Istat che parlano ad-dirittura di un calo nell’aspettativa di vita degli italiani. Ma è normale che tutto questo si dimentichi se si

è costretti a lavorare o a curarsi in strutture fatiscenti. Tra lavoratori e cittadini esasperati comincia a ser-peggiare l’idea che opporsi al pro-getto del nuovo ospedale sia stato un errore, e nessuno ricorda che i vincitori dell’appalto sono finiti nei guai per tangenti, e che laddove i nuovi ospedali sono stati costruiti è tutto un lamentarsi per le condizioni capestro imposte dai privati, per la scarsa qualità dei materiali utilizza-ti e per la scarsa funzionalità delle strutture. I 5 Stelle dal canto loro si acconten-tano di aver fatto il compitino, e non vedono l’ora di arrivare a fine mandato. Eppu-re in buona parte hanno vinto le elezioni sull’onda della questione nuovo ospedale. Ma neanche la disponibilità di esper-ti nel settore della prevenzione e dell’ambiente, che sarebbero venuti

a Livorno a piedi, li ha smossi dal loro letargo. Tanto nel mondo virtuale dei loro blog continue-ranno a scrivere di Comuni aperti come scatolette di tonno, redditi di cittadinanza e stampanti 3d. Per imporre alla Regione la fine dell’embargo ci vorrebbe ben al-tro che una triste e inutile passe-rella come quella del 20 dicem-

bre: come minimo pullman per Firenze e lancio di pomodori ad ogni Consiglio Regionale. Ma c’è ancora qualcuno che ha voglia di impegnarsi?

La Regione sta mettendo in atto un vero e proprio “embargo” contro

Livorno

E tutti aspettano la fine del mandato CINQUE STELLE/2 - Nel Consiglio Comunale aperto sulla sanità hanno fatto notizia solo gli assenti

Non è passata neanche una settimana dall’ultima ini-

ziativa di denuncia organizzata dal sindacato inquilini Asia-Usb e dal Comitato diritto all’abitare, quando la Digos livornese convo-ca in Questura 13 iscritti e attivisti del sindacato per notificare loro alcune denunce e un’ordinanza di misura cautelare di “divieto di avvicinamento” relativa ad una struttura occupata. Due don-ne, attualmente occupanti della suddetta struttura, hanno sporto denuncia contro alcuni membri del comitato lamentando di aver ricevute alcune insistenti minacce nel tentativo di farle abbandona-re la struttura occupata. Quello che sappiamo è che le due donne occuparono l’immobile circa 4 anni fa insieme ad altre famiglie e, nonostante adesso abbiamo da alcuni mesi un lavoro stabile e un reddito dignitoso, continuano a soggiornare al suo interno. È for-se anche possibile che i coabitanti della struttura abbiamo posto il “problema” senza ovviamente mi-nacciare o usare alcuna violenza nei loro confronti e che loro stesse per poter continuare ad usufruire di un alloggio gratuito abbiano de-ciso di reagire utilizzando l’arma della calunnia, trovando un’otti-ma sponda da parte della Digos

locale, da sempre pronta a cogliere qualsiasi occasione per indebolire il movimento di lotta per la casa. Ma non è questo il problema. Dando or-mai per scontata la totale inesisten-za di qualsiasi intervento pubblico nel settore dell’emergenza abitativa (sono ormai centinaia le famiglie

che avrebbero diritto ad un alloggio che sono costrette ad occupare per non finire per strada), questa vicen-da poteva essere utile per stimolare una discussione sugli eventuali limiti dell’autogestione e dell’autoorganiz-zazione. Limiti che esistono anche e soprattutto nel sistema “legale” delle assegnazioni, basti pensare a quante

famiglie hanno una regolare asse-gnazione di un alloggio popolare senza averne diritto. Ma purtroppo la vicenda ha preso un’altra piega. Da una semplice querela di parte, quindi tutta da dimostrare, la Digos livornese ha costruito un teorema molto pericoloso i cui contorni non

sono ancora del tutto chiari. In 150 pagine di fascicolo si cerca di dimostrare l’esistenza di una vera e propria organizzazione quasi militare dedita all’oc-cupazione di immobi-li. Non delle famiglie che autonomamente decidono di riappro-priarsi di alloggi sfitti,

sostenute eventualmente e solo suc-cessivamente da collettivi o sindaca-ti, ma un vero e proprio sistema. Un sistema nel quale addirittura le fami-glie sono descritte come attori incon-sapevoli di ciò che fanno. In questo senso basterebbe fare un giro per qualsiasi immobile occupato per ca-pire la falsità di queste accuse. Ogni

struttura ha ovviamente la sua as-semblea e le sue regole condominiali approvate da tutti. La totalità degli occupanti è purtroppo ben cosciente della situazione in cui si trova e quoti-dianamente combatte per poter final-mente ottenere una soluzione stabile. Che dire? Con tutti i problemi che affliggono la nostra città, sapere che decine di agenti di polizia spendono il loro tempo per costruire fantasio-

se teorie è sicuramente una cosa grave. Proprio grazie ad Asia-Usb che per primo ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente, la città è venuta a sapere dell’esisten-za di un “racket” presso alcune occupazioni abitative gestite da sedicenti comitati che nulla hanno a che vedere con il sindacato. Ci saremmo aspettati semmai un’at-tenzione particolare nei confronti di questi personaggi, ma invece tutto tace. Probabilmente questa è la definitiva dimostrazione che le istituzioni, da una parte hanno estremo bisogno delle occupazio-ni abitative per scongiurare inevi-tabili problemi sociali e di ordine pubblico, ma dall’altra sono di-sposte a chiudere un occhio solo nei confronti di gruppi che non hanno nessuna intenzione di sti-molare percorsi politici e sindacali come i sopradescritti comitati. Della serie, fate quello che vi pare basta che nessuno si illuda di po-ter cambiare veramente qualcosa.

Asia-Usb Livorno

Si chiude un occhio solo verso chi non

stimola percorsi politici e sindacali

Repressione contro chi difende i diritti EMERGENZA ABITATIVA - Asia-Usb e Comitato nel mirino della Questura livornese

Page 6: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

per non dimenticare6 3interniGennaio 2017

cittadini cattolici. Nell’agosto del 1979 l’Ira fa esplodere lo yacht di Lord Mountbatten, cugino della regina Elisabetta, che rimane ucciso con altre tre persone. Altre due bombe uccidono 18 soldati britannici. Negli anni ’80 il conflitto proseguirà e saliranno alla ribalta le lotte dei detenuti politici dell’Ira, con scioperi della fame e ten-tativi di evasione dal famige-rato carcere di Long Kesh. Nel 1984 una bomba dell’Ira esplode al congresso del par-tito conservatore a Brighton: le vittime sono cinque. Dopo questi anni cruenti, il 31 ago-sto del 1994 l’Ira annuncia la fine delle operazioni militari, seguita dopo alcune settimane dai protestanti, ma il governo britannico di Lord Major pre-tende la consegna delle armi e non ammette ai colloqui di pace il Sinn Fein, organizza-zione politica che ritiene il braccio politico dell’Ira: con-dizioni che non possono es-

sere accettate. La tregua vie-ne quindi in-terrotta finché nel 1998 sotto il governo la-burista di Tony Blair si giunge ad un accordo che stabilisce la partecipazio-ne al governo

nordirlandese di una quota di ministri cattolici proporziona-le alla percentuale riportata nelle elezioni.

NELLO GRADIRÀ

Al termine della guer-ra anglo-irlandese, nel

1921, nacque la Repubblica d’Irlanda che comprendeva tutta l’isola tranne sei contee settentrionali a maggioranza protestante che continuarono a far parte del Regno Unito. Queste sei contee saranno governate ininterrottamen-te dall’Ulster Unionist Party, espressione della comunità protestante, mentre i cattolici subiranno pesanti discrimina-zioni dal punto di vista lavo-rativo, del diritto alla casa e della rappresentanza eletto-rale. In opposizione a queste discriminazioni nel 1966 vie-ne fondata la Nicra (Northern Ireland Civil Rights Associa-tion), le cui manifestazioni vengono spesso attaccate dal-la polizia e da gruppi parami-litari protestanti. L’epicentro della mobilitazio-ne cattolica è la città di Derry, dove su un muro compare la scritta “You are now entering free Derry”. A Derry il 12 agosto del 1969 si verificano violenti scontri e la polizia cerca di sfondare le barricate erette dai cattolici: gas lacri-mogeno CS contro pietre e molotov. Due giorni dopo altri duri scontri a Belfast, dove gli estremisti protestanti brucia-no le case dei cattolici in mol-te strade della città. Il gover-no britannico invia allora un contingente militare sull’iso-la. Gli scontri producono una scissione nell’Esercito Repub-

blicano Irlandese (Ira), la storica formazione armata cattolica in-dipendentista, e portano alla na-scita dell’ala Provisional, in po-lemica con l’Ira cosiddetta Offi-cial accusata di scarsa reattività. Sul fronte protestante si trovano invece altre formazioni armate, come l’Ulster Volunteer Force e l’Ulster Defence Association. Il 3 luglio 1970 in un quartie-re cattolico di Belfast l’esercito britannico impone un lunghis-simo coprifuoco e perquisisce molte abitazioni, una misura odiosa che contribuisce in ma-niera decisiva alla radicalizza-zione di molti cattolici. Nell’a-gosto 1971, tentando di frenare la crescita dell’Ira, il governo

nordirlandese introduce l’inter-namento senza processo. Ma il risultato è l’opposto: l’Ira cresce ancora in consenso e adesioni. Il 30 gennaio 1972 a Derry viene convocata una manifestazione per i diritti civili: i paracaduti-sti britannici sparano sulla fol-la uccidendo 13 persone, di cui 6 minorenni (un’altra morirà successivamente), in quella che passerà alla storia come Bloody Sunday, la domenica di sangue. Una prima commissione d’in-chiesta proscioglie i militari, ma una seconda, il cui rappor-to verrà consegnato al governo solo nel 2010, metterà in luce le responsabilità dei paracaduti-sti, che avevano sparato a fred-

do su molte delle vittime. La spirale di violenza non si arresta e nel marzo del 1972 il governo britannico decide di esautorare il governo dell’Ulster assumendo direttamente il con-trollo del territorio nordirlande-se. Nel luglio del 1972 a Belfast e Derry l’esercito britannico mette in atto un’enorme opera-zione militare con migliaia di soldati e centinaia di carri arma-ti, con l’obiettivo di rimuovere le barricate e rendere accessibi-li molti quartieri cattolici fino ad allora off-limits. Quell’anno risulterà il più sanguinoso del conflitto: 472 morti, dei qua-li 108 soldati britannici. Si assiste a episodi di incredi-bile ferocia come quelli di cui sono protagonisti i cosiddetti

Shankill butchers (i macellai di Shankill, un quartiere di Bel-fast), estremisti protestanti che rapiscono, torturano e sgozzano

30 GENNAIO 1972 - 45 anni fa la strage di Derry

Sunday bloody sunday

Il 1972 fu l’anno più cruento del conflitto

nordirlandese, si registrarono 472 morti

Anno XII, n. 122

ECONOMIA - Da Uber a AirBnB oltre alla “condivisione” ci sono anche questioni da risolvere

La sharing economy in chiaroscuro

surfing, cioè il mettere a disposi-zione il proprio “divano” per ospi-tare o essere ospitati. Erano forme primordiali di economia della condivisione favorite dalla massifi-cazione delle tecnologie della rete e dall’uso di smartphone. Poi però l’economia della condivisione si è strutturata fino a raggiungere una diffusione e un valore gigantesco: secondo un recente studio della Commissione Europea (Consu-mer Intelligence Series: The Sha-ring economy. Pwc 2015) infatti, la sharing economy entro il 2025 accrescerà le proprie entrate fino a 300 miliardi di euro. Pensiamo ad esempio ad Uber, azienda californiana che fornisce un servizio di trasporto automo-bilistico privato attraverso una applicazione (app) che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Uber è stata valutata 50

miliardi di dollari, facendo sca-turire un dibattito fra coloro che dicono che l’innovazione va fatta galoppare senza ostacoli e chi dice che l’economia della condivisione va regolamentata perché ogni tipo di economia alla lunga accentra i profitti e penalizza i cittadini. Di sicuro nessuno può negare che ci siano, intanto, problemi di caratte-re assicurativo, di privacy, di tasse e di sicurezza degli utenti. Sono altrettanto innegabili, in un mon-do dove siamo diventati prima consumatori e poi cittadini, anche i vantaggi che ha portato al mo-mento Uber: più disponibilità, più opportunità e prezzi più bassi. Ma per giudicare la bontà di un siste-ma ci sarebbe soprattutto da moni-torare la gestione e la ripartizione della ricchezza prodotta, senza per forza scadere nell’accusa che chi vuole regolamentare è giocoforza

un tifoso delle caste. Noi, senza essere simpatizzanti dei tassisti, il problema della regolamentazio-ne ce lo poniamo. Anche perché queste aziende cercano di porsi solo come mediatori e ci fanno accettare condizioni contrattuali in cui loro si tirano fuori da ogni responsabilità in caso, ad esempio, di incidente.Ma non è solo una questione tecni-co-giuridica. Prendiamo l’esempio di AirBnB, vale a dire il “portale online che mette in contatto perso-ne in cerca di una camera/alloggio per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare, generalmente privati” (Wikipedia).

AirBnB ancora più di Uber, oltre alla questione su tasse, sicurezza e responsabilità, ha fatto aprire un dibattito sull’impatto sociale

di questo strumento con cui or-mai milioni di persone in tutto il mondo organizzano le proprie vacanze. E non è solo un proble-ma di competizione con alberghi e strutture “ufficiali”, un settore con migliaia di occupati e prezzi e salari in picchiata (grazie an-che ai voucher). Il danno princi-pale che sta causando AirBnB in molte città è quello dell’aumen-to vertiginoso degli affitti. Spe-cialmente nelle città turistiche, chi ha un appartamento ormai non lo affitta più perché è molto più semplice e fruttuoso met-terlo su AirBnB e affittarlo per piccoli periodi e spesso esentas-se. Il risultato è che gli affittuari

residenti di queste città sono stati espulsi dal mercato degli affitti op-pure si sono visti rad-doppiare le richieste di canone mensile. Insom-ma, la questione è deli-cata e complessa e vista la mole di soldi che gira intorno all’economia della condivisione lo scontro sarà duro. Noi concludiamo con alcu-ne dati del 2015: Uber: 160mila autisti ma solo

550 dipendenti. Airbnb: 600 di-pendenti con un milione di stan-ze. E il lavoro non ha orari né regole precise.

FRANCO MARINO

In italiano si chiama “econo-mia della condivisione” o

come riporta Wikipedia “consu-mo collaborativo”: “Il termine consumo collaborativo (sharing economy) definisce un modello economico basato su di un in-sieme di pratiche di scambio e condivisione siano questi beni materiali, servizi o conoscenze. È un modello che vuole pro-porsi come alternativo al con-sumismo classico riducendo così l’impatto che quest’ultimo provoca sull’ambiente”. Si po-trebbe anche definire un model-lo economico che non si fonda sulla produttività e la proprietà dei beni ma sulla condivisione e lo scambio, in cui quindi la partecipazione, la fiducia e le re-lazioni tra le persone risultano i pilastri fondamentali.Inizialmente si parlava di ban-ca del tempo quando le perso-ne mettevano a disposizione il proprio tempo per fare qualco-sa per poi ricevere un altro tipo di servizio da un altro. C’era il bike sharing, le bici “comunali” come ci sono, seppur poco usa-te, nella nostra città, c’era il car pooling quando aziende o lavo-ratori stessi si coordinavano per andare a lavoro con un’unica macchina. C’era infine il couch-

Il 23 dicembre 2010 nasceva il sindacato Usb (Unione Sin-

dacale di Base) dalla fusione di realtà sindacali esistenti o parti di esse (come SdL, RdB e Cub). In questi 6 anni si è progressiva-mente affacciata alla scena sin-dacale in molti settori: grande distribuzione, logistica, metal-meccanici, telecomunicazioni, sanità, pubblico impiego e mol-te altri. Usb però si è ritrovata in prima pagina lo scorso 15 set-tembre quando Abd Elsalam, facchino iscitto a Usb di una ditta esterna, è stato travolto ed ucciso da un tir della Gls (in-citato a rompere il picchetto) a Piacenza durante uno sciopero per chiedere la riassunzione di 8 operai licenziati. La Gls dei facchini della logistica, cioè i lavoratori di quei magazzini che fanno da centrale alle grandi aziende di trasporto che fanno da smistamento alle grandi cate-ne come ad esempio Ikea. Una lotta che è diventata strategica perché è stata efficace nel de-nunciare e bloccare la grande ca-tena di sfruttamento ai danni dei facchini, specialmente immigra-ti, che fra ditte esterne e coope-rative sono al centro della catena logistica su cui si regge il consu-mo e la grande distribuzione. Nel 2016 il settore della logisti-

ca è stato al centro di scioperi e rivendicazioni, con i lavoratori im-migrati in prima fila e con le con-dizioni di lavoro migliorate grazie a queste lotte. E insieme alle lotte sono venuti fuori come negli anni ‘20 i picchiatori: padroncini, cru-miri, body guard e mercenari tutti uniti per fermare le lotte e far con-tinuare lo sfruttamento. Non è una

novità, già dal 2014 alcuni militan-ti ed iscritti del sindacato di base Slai Cobas, uno dei primi sinda-cati ad intraprendere le lotte nella logistica, erano stati aggrediti con

bastoni e spranghe du-rante uno sciopero. Ma le body guard le abbiamo viste per la prima volta anche a Livorno, durante la lunga, valorosa e vin-cente lotta dei lavoratori ex Elia che si sono trovati chiusi fuori dai piazzali con le body guard venute

da Verona a controllare che nes-suno entrasse.È notizia di queste settimane, invece, che una sede dell’U-sb a Parma ha subito un attacco incendia-rio e che a Napoli c’è stata un aggressione ad un dirigente sin-dacale Usb il giorno di Natale in pieno centro. Sono solo gli ultimi due esempi di una escalation pre-occupante che vede chi lotta e chi mette

in discussioni profitti e rendite, più o meno lecite, essere bersaglio di minacce e rappresaglie. Anche a Livorno il clima si sta avvelenando. È notizia di questi

giorni che la magistratura citta-dina stia iniziando un’opera di accerchiamento verso Asia (l’as-sociazione degli inquilini e degli sfrattati legata a Usb) con accuse che potrebbero condurre all’asso-ciazione a delinquere. Asia infatti in questi anni, oltre a sostenere le occupazioni di edifici pubblici e privati abbandonati in città da parte di decine (ormai centinaia) di famiglie che si sono ritrovate senza un tetto sulla testa, ha ini-ziato un’opera di denuncia sulle speculazioni esistenti (vedi gli ap-partamenti di piazza Cavallotti legati all’operazione Gran Guar-dia). Nelle scorse settimane, Asia, ha denunciato anche il fatto che ci sono occupazioni fatte da altri sog-getti dove si chiede il pizzo agli abi-tanti. Questura e magistratura dal

canto loro hanno risposto con la richiesta di misure cautelari per gli iscritti più attivi di Asia, rei di aver invitato un occupan-te a lasciare la struttura perché non stava rispettando le regole comuni di convivenza che le fa-miglie si sono date. Secondo la denuncia del sindacato, invece, un poliziotto si sarebbe rivolto ad alcune famiglie nelle occupa-zioni chiedendo “di informarsi se esistevano delle famiglie che avevano avuto problemi con il sindacato e di portarle in Que-stura da lui”. Ma in città anche il Pd è nel fronte di coloro che lanciano falsità e illazioni sulle occupazioni, scansando le pro-prie responsabilità storiche e alimentando storie e fantasie per screditare Asia. Insomma, pare che a Livorno si lavori per buttare la polvere sotto il tappeto, trovare il capro espiatorio del fenomeno delle occupazioni, continuando però a chiudere gli occhi su affaristi e palazzinari. Intanto ogni mese decine di famiglie rimangono senza casa. Senza Soste redazione

Tasse, sicurezza, privacy, frenata dei salari e esplosione

degli affitti sono solo alcuni degli

aspetti da regolare

Bastonate ai facchini, aggressioni, body guard contro chi

sciopera e denunce a chi sostiene occupanti

e sfrattati

Attacco al sindacalismo di base REPRESSIONE - II 2016 ha visto rispuntare “mazzieri” e picchiatori contro i lavoratoriNELLO GRADIRÀ

Il 20 gennaio 1942 il generale delle SS Reinhardt Heydri-

ch convocò i più alti responsa-bili della sicurezza del Reich in una villa sul lago Wannsee, nei pressi di Berlino. Ordine del giorno della riunione: la soluzione finale della questio-ne ebraica. Il verbale fu redat-to da Adolf Eichmann.Heydrich comunicò di esse-re stato incaricato da Goe-ring e Himmler, su ordine del Führer, di predisporre il piano per liberare definiti-vamente i territori del Reich dal popolo ebraico e chiese la collaborazione di tutti gli uffici implicati. Ricordò quel-lo che era stato fatto fino a quel momento, in particolare a partire dal gennaio di tre anni prima quando era stato istituito l’Ufficio Centrale per l’Emigrazione degli Ebrei. La gestione dei flussi migratori di una massa così notevole di persone aveva comportato grossi problemi burocratici e organizzativi: non vi erano sufficienti posti sulle navi, i paesi di destinazione avevano aumentato le tasse per gli im-migranti e spesso ritardavano la concessione dei visti. Cio-nonostante, con l’aiuto finan-ziario delle comunità ebrai-

che, erano stati espulsi 534.000 ebrei residenti in Germania, Austria e Cecoslovacchia. In precedenza era stato valutato anche un incredibile piano per deportare quattro milioni di ebrei in Madagascar. Le SS si riservavano il diritto di super-visione sulle istituzioni che gli ebrei avrebbero creato sull’isola, e non si faceva cenno al destino della popolazione malgascia. In ogni caso il piano Madagascar non ebbe alcun seguito. Al momento della conferenza rimanevano in Europa - Russia compresa - più di 11 milioni di ebrei. Le esecuzioni di massa da parte degli Einsatzgruppen nei territori occupati comportavano costi eccessivi per le munizioni

e problemi psicologici per i militari, per quanto super-indottrinati, che dovevano massacrare anche migliaia di donne e bambini, e si scelse la strada della deportazio-ne verso est. Nel verba-le si legge: “Nel quadro generale della soluzione finale, gli ebrei dovran-no essere avviati al

lavoro nell’est eu-ropeo. Tutti coloro che risultino abili al lavoro, suddivisi per sesso, saranno inviati in gruppi in quei territori per impiegarli nella co-struzione di strade. Gran parte di essi morirà per cause naturali e quelli che sopravvi-veranno, cioè i più resistenti, dovranno essere gestiti adegua-tamente poiché rappresentano il frutto di una selezione na-turale. Qualora essi venissero rilasciati potrebbero costituire il germoglio di una futura rina-scita ebraica. (…) Non è pre-

visto evacuare persone con età superiore ai 65 anni. Costoro saranno trasferiti nel ghetto per anziani di Theresienstadt. Ol-tre agli ultrasessantacinquenni che rappresentano circa il 30% dei 280,000 ebrei che al 31 ot-tobre 1941 risultavano residenti in Germania e Austria, saranno trasferiti a Theresienstadt an-che i veterani di guerra con gra-

vi ferite e gli ebrei decorati con Croce di Ferro di Prima Classe. Attraverso questa soluzione ver-ranno cancellati in un colpo solo i molti benefici di carattere so-ciale di cui godono queste perso-ne”. Nel successivo paragrafo si affronta la questione dei “mez-zosangue” e si conclude che sa-

rebbe opportuno dichiarare nulli i matrimoni misti e pro-cedere alla sterilizzazione di coloro che non sarebbero sta-ti evacuati (in particolare gli ebrei che lavoravano nell’in-dustria bellica). Secondo gli storici, nella Con-ferenza vennero apertamente discussi i dettagli dello ster-minio. Lo stesso Eichmann, durante il processo che portò alla sua condanna a morte in Israele, dichiarò che si era parlato “di uccisioni, di eli-minazione e di sterminio”. Tuttavia nel verbale non si fa menzione dell’utilizzo delle camere a gas, inaugurate nel programma di “eutanasia” dei disabili Aktion T4 e all’epoca in fase di sperimentazione nei territori occupati dell’Unione Sovietica. L’assenza di questi dettagli nel verbale ha fornito ad alcuni revisionisti il prete-sto per mettere in dubbio la vera natura dell’”evacuazione verso est” e la realtà dell’Olo-causto. Come se i contenuti letterali del verbale non fos-sero già abbastanza indicativi sulla mostruosità nazista.

Il verbale dell’incontro rivela

tutta la mostruosità del regime nazista

Come nacque la “soluzione finale” 20 GENNAIO 1942 - 75 anni fa la conferenza di Wannsee

Page 7: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

internazionale Anno XII, n. 122 7stile liberoGennaio 2017

sta è: noi, uomi-ni e donne, con le nostre proprie forze, sempre che siamo organizzati. Ossia collettiva-mente. In questo senso dovremmo riflettere sui dirit-ti umani. Nessu-no stato, nessuna istituzione, nessun governo difenderà la vita di quelli in basso. O perché non vogliono o perché non posso-no. O per entram-be le cose contem-poraneamente. In Messico, ad esem-pio, i familiari e amici dei 43 di Ayotzinapa san-no che non verrà fatta giustizia [1]. Il ragionamento è molto sempli-ce. Se è lo Stato il responsabile

delle sparizioni, non può essere questo stesso Stato a fare giustizia. Fare giusti-zia è superare le cause della politica di genocidio. Ossia, porre fine alla quarta guerra mondiale/accumulazione per spossessamento. La terza questione si riferisce al come. Alle strade che pren-deremo per superare questa tempesta. È, pertanto, una questione di ampio respiro, strategica o come la si voglia chiamare. Ma le strategie non si inventano. Si tratta di si-stematizzare quello che fan-no i popoli per sopravvive-re. Quello che vediamo è un doppio lavoro consistente nel resistere e creare, nel difen-dersi dai cavalieri della morte e nel ricreare e riprodurre la vita. Non è niente di nuovo, ma è il senso comune dei po-poli in tutto il mondo. Dal Rojava al Chiapas, passando da dovunque si riesca a im-maginare, si resiste e si crea o, se si preferisce, si resiste creando basandosi sull’orga-nizzazione collettiva. L’auto-nomia è, pertanto, un impe-rativo delle circostanze, non una mera opzione di questa o quella corrente ideologica. Se non siamo autonomi, non potremo costruire né resiste-re. Oggi più che mai, la vita è sinonimo di autonomia.

NOTA [1] Si tratta di un massacro di studenti sequestrati e uccisi dalla polizia messicana nel set-tembre 2014.

Traduzione di Nello Gra-dirà, fonte: www.rebelion.org

Raúl Zibechi, 65enne giorna-lista e scrittore uruguaya-

no, è uno degli intellettuali più impegnati a fianco dei movimen-ti sociali latinoamericani sia ur-bani che rurali ma soprattutto di quelli a matrice indigena.Zibechi sottolinea che, a dif fe-renza di quanto accade in Euro-pa, questi movimenti hanno un forte radicamento territoriale, la vita quotidiana delle loro co-munità si fonda su un’economia sostenibile e su relazioni sociali non-capitalistiche, dove predo-mina il valore d’uso rispetto al valore di scambio, e spesso si riescono a creare organismi di potere - comunitari e non stata-li - basati su assemblee popolari, come nelle comunità zapatiste nel Chiapas o tra gli Aymara in Bolivia. Anzi secondo Zibechi il termine “movimenti sociali” è inadeguato per descrivere queste esperienze e preferisce parlare di “società in movimento”. Di fronte alla crisi dei governi progressisti latinoamericani, l’attenzione a queste esperienze da parte degli osservatori è an-cora più accentuata: perché in generale questi governi non han-no saputo attuare riforme strut-turali significative, limitandosi a redistribuire i redditi derivanti dall’esportazione di materie pri-me (combustibili fossili in pri-mis) fino a quando i prezzi sul mercato sono stati favorevoli, poi quando questi sono calati, non avendo costruito alternative all’”estrattivismo”, sono entrati in crisi e hanno perso consenso e credibilità. È dunque sensa-to illudersi che il cambiamento possa venire “dall’alto”? In quest’ottimo articolo, pubbli-cato sul quotidiano messicano La Jornada, Zibechi, oltre a de-scrivere sinteticamente la situa-zione politica internazionale, riassume le principali questioni che hanno di fronte i movimenti anticapitalisti in tutto il mondo: mettere da parte strutture ed ide-ologie ormai sterili, non cercare la soluzione in un cambiamento dei governi dei vari stati nazio-nali e imparare dalle esperienze concrete di organizzazioni so-ciali alternative, come quella del Chiapas zapatista e quelle del confederalismo democratico kurdo nel Rojava, così distanti ma con molti tratti comuni, pri-mo tra tutti quello di non esse-re ispirati da modelli ideologici “occidentali”. Senza Soste re-dazione

Raúl Zibechi La Jornada

La tempesta si avvicina. Le nubi oscure che si avvista-vano all’orizzonte si trasfor-mano in raffiche di vento; il bagliore dei fulmini annun-cia l’imminenza della tem-

pesta. La discussione sul fatto che arrivi una tempesta perde d’importanza rispetto all’ur-genza di definire come compor-tarsi in situazioni di emergen-za. Questo, a grandi linee, è il messaggio che ci lascia il 2016, l’anno in cui abbiamo comin-ciato ad avvertire i primi sinto-mi di quello che è già qui. Possiamo anche elencare alcu-ne delle caratteristiche che as-sume questa tempesta. La vitto-ria della Brexit nel Regno Unito, la crescita delle destre estreme e del razzismo contro gli immi-grati, con la possibilità che con-quistino il governo in Francia, sono alcune delle sue principali manifestazioni europee. Il fal-lito colpo di Stato in Turchia e la crescente destabilizzazio-ne del Medio Oriente, dove la violenza è quasi l’unico modo di risolvere i conflitti. L’inter-vento di tutte le potenze nello scenario più caldo del mondo, comprese la Russia e la Cina, in difesa dei loro interessi na-zionali. La terribile e silenziata guerra nello Yemen, dove l’A-rabia Saudita commette crimi-ni contro l’umanità senza che l’Occidente alzi la sua voce. La vittoria di Donald Trump e la svolta anticinese a Washington, con grandi possibilità che si produca un conflitto più ampio nel Mar Cinese meridionale, scenario strategico dove passa la maggior parte del commercio estero della potenza asiatica e navigano le grandi navi che ri-forniscono di petrolio. Il van-taggio della vittoria di Trump è che impedisce di nascondere la decadenza strategica e la débac-le morale della superpotenza. In America Latina, il 2016 è stato l’anno in cui le destre

hanno conquistato il governo di due paesi chiave: l’Argentina e il Brasile. La pace in Colombia è ancora in bilico, dal momento che la firma dell’accordo tra il governo e le Farc non impedi-sce che i militanti sociali con-tinuino ad essere assassinati, superando di molto il centinaio di morti negli ultimi anni. In Venezuela si combinano la vo-lontà di destituzione dell’oppo-sizione e la incapacità del go-verno di stabilizzare il paese. La svolta conservatrice è solo congiunturale. La cosa fonda-mentale è che i governi perdono legittimità e la stabilità evapora a velocità impensabili anni ad-dietro. Crisi di legittimità che si vedono aggravate di fronte alla persistenza di crisi econo-miche e all’aumento della già gigantesca disuguaglianza. In ognuno di questi scenari i set-tori popolari sono i più dan-neggiati. Tuttavia ci troviamo appena nella prima fase della tempesta che, senza dubbio, si aggraverà nei prossimi anni. Vorrei commentare tre aspetti di questa tempesta che può sot-terrare il capitalismo, ma che rappresenta anche una terri-bile minaccia sui popoli. Il primo è che siamo di fron-te ad una tempesta sistemica, che non è congiunturale. Non è una crisi che sarà superata con l’introduzione di alcuni cam-biamenti perché tutto torni alla normalità. Pertanto, o le solu-zioni saranno sistemiche o tut-to continuerà allo stesso modo. Il modello estrattivo/quarta guerra mondiale ha eroso gli stati-nazione, ha disorganizza-to le società, ha fatto evapora-re le autorità e spiazzato tutte le variabili del sistema mon-

do, inclusi i partiti di sinistra e i sindacati. Questo vuol dire che non potremo più appog-giarci sulle vecchie istituzioni ereditate da un sistema mon-do anch’esso disarticolato, ma dobbiamo sforzarci di crearne di nuove, capaci di sostenersi e navigare in questo periodo di forti tempeste. Come sempre succede, le culture politiche sono molto resistenti ai cam-biamenti e rifiutano di essere soppiantate dal nuovo. A sua volta, il nuovo è spesso poco

consistente o è considerato scarsamente utile dalle vecchie culture necrotiche; ma questa lontananza è inevitabile, fa par-te della tempesta in corso e non si annullerà per lungo tempo. Pertanto, si dovrà avere molta pazienza per non rispondere con fastidio alle provocazioni. La seconda questione è una do-manda: chi ci proteggerà ora che gli stati e le istituzioni del sistema mondo sono incapa-ci di farlo? È un interrogativo che ha proposto due decenni fa Immanuel Wallerstein e ci sono stati molti progressi in questa direzione, anche se non è ancora sufficiente. La rispo-

TERRITORI - L’impasse dei governi progressisti e le “società in movimento”

I primi fulmini della tempestazione e consensi di critica e di pubblico. Un disco fatto della stessa sostanza del viag-gio, non per niente caratte-rizzato dall’inserzione nelle varie tracce di field recording ripresi in strade, mercati, musei, appartamenti e metro in giro per il mondo (Parigi, Santiago del Cile, Atene, Va-ranasi e nell’isola di Ko Sa-mui e Livorno naturalmente). Un disco che si vuole presen-tare e far scoprire viaggiando, attraverso un tour di presen-tazioni live per tutto lo stiva-le, modulate in chiave energe-tica e rock , per club ed au-ditorium, come il The Cage

Theatre, dove Nico & soci (Alessandro Quaglierini, Valerio Iannitto, Federico Melosi, Davide Mo-relli, ovvero il suo gruppo stabile sul palco e in studio) il 1° ottobre hanno inaugurato la nuova stagione esibendosi prima di uno stre-pitoso Francesco Motta, ed in chiave più riflessiva, con set semiacustici per ambienti più raccol-ti come café e libre-rie.

Info: audioglobe.it nsambo.net cappuccinorecords.com

Foto: Paolo Ciriello

LUCIO BAOPRATI

Ogni viaggio un suono, ogni suono un sogno,

ogni sogno un viaggio, e così via. Sembra ritrovarsi in que-sto circolo infinito, messo in moto dalla curiosità e dalla ricerca ed alimentato dal ri-cordo e dal racconto, l’es-senza della musica di Nico Sambo. Un moto perpetuo, un loop autorigenerativo che trova il suo momentaneo sta-to di sospensione e fusione nelle varie tracce incise in questi anni.La spazialità del suono, la vertigine del sogno, la so-spensione del viaggio ed il ri-cordo nostalgico e visionario, di ciò che si è lasciato (sia prima che dopo il viaggio, che prescinde dalla prossimi-tà o realtà della meta, sia il Bar degli amici o un piane-ta sconosciuto), sono infat-ti elementi ricorrenti nella sua produzione discografica, “Sofà elettrico” (2011), “Su-spended” (2011), “Argonau-ta” (2014), fino a quest’ulti-mo “Ognisogno” (Cappuc-cino Records /Audioglobe). Elementi che ritroviamo nel videoclip del singolo “Ameri-ca isterica” (diretto da Mar-tino Chiti e con protagonista l’ottimo “licaone” Guglielmo Favilla), che ha accompagna-to il lancio del disco lo scorso 30 settembre.Prodotto da Nicola Fantozzi e dallo stesso Sambo, mixato e masterizzato, sempre da Fan-tozzi all’Overstudio di Cen-

to, “Ognisogno” è il secondo album in italiano frutto della collaborazione con lo scrittore Lucio Tirinnanzi, amico stori-co di Nico e già voce ed autore dei Pam, formazione labronica

di folk rock cantautoriale at-tiva a Livorno nei primi anni 2000 nella quale suonavano sia Sambo, alla chitarra, che altri suoi compagni di viaggio come

il fedelissimo bassista Ales-sandro Quaglierini, Luca Val-dambrini, Jody Guetta. Come nel precedente “Argonauta”, il sodalizio artistico tra Nico Sambo e Lucio Tirinnanzi (del quale ci fa piacere ricordare il libro d’esordio “Crepi quel lupo! Come sopravvivere al capo quando si è giovani e pre-cari”, edito da Robin nel 2013) funziona molto bene ed anzi qui in “Ognisogno” migliora e matura, nel contesto di un disco complessivamente più “tondo” e morbido, asciutto e raccolto (il pianoforte è di fat-to lo strumento caratterizzante del disco), fino a raggiungere picchi d’eccellenza come in “Arrivederci mai” (un gran bel-la canzone, che suona al primo ascolto come un classico, che ricorda per atmosfera gli ulti-mi Virginiana Miller, e che si chiude in un crescendo in cui gli echi delle sonorità di Bar-ret e dei Beatles sembrano per alcuni attimi incrociarsi e fon-

dersi) o nella struggente “San-ta Giulia”, il brano più poeti-camente labronico di “Ogni-sogno”. Un sodalizio maturo che probabilmente stimola e spinge Nico Sambo a scrivere lui stesso in italiano firmando le altrettanto belle e significa-tive “La stazione” e “Lo sai che..” e facendo così emerge-re la sua naturale inclinazione cantautoriale nel solco della tradizione labronica che va da Piero Ciampi, a Bobo Rondel-li, a Simone Lenzi dei già ci-tati Virginiana Miller. E forse anche per questo che rispetto ai dischi precedenti scompare dalle copertine il famoso trat-

tino dopo l’iniziale (N_ Sam-bo) per lasciare spazio al più immediato e personale Nico Sambo.“Ognisogno” è il classico di-sco che ascolti dall’inizio alla fine. Un disco che in pochi mesi ha raccolto infatti atten-

Ognisogno un viaggioSUONI - Uscito il 30 settembre 2016 il quarto album in studio del polistrumentista Nico Sambo

2

Dal Rojava al Chiapas:

oggi più che mai la vita è sinonimo di autonomia

JACK RR

Nel titolo Il drago, il cu-stode, lo straniero manca

la “e” di congiunzione come la giusta tradizione gram-maticale vorrebbe e proprio dal titolo si ha l’impressione della volontà di sferzare tagli netti contro la tradizione e il comune pensare, e del senso critico che vuole far emerge-re la costellazione delle in-giustizie presenti in un mon-do occupato da persone vio-lente messe in un preciso or-dine gerarchico. Sono molte le verità disseminate in que-sto originale romanzo fon-damentalmente pulp. Pulp è la realtà dove il concetto di normalità è nella virtù della ribellione anche se scompo-sta. Sembra che chi subisce la violenza poi ne abbia bi-sogno proprio perché è da soli che spesso limitiamo la nostra libertà. Soggiogati da noi stessi, dalle paure e dal-le remore di non poter essere

altro che lavoratori pienamen-te integrati in un ciclo di vita noioso senza mai interruzione. Il romanzo vorrebbe dialogare con un lettore adolescente e

della prima età matura, perio-di non semplici dove il corpo è cresciuto in fretta lasciando indietro la mente e ancora ca-rente di esperienza. Allo stesso tempo per un lettore più adulto l’ipocrisia del potere è messa alla berlina, come anche vien messa in risalto la soggezione all’ipocrisia accettata da molti come àncora per programma-re un futuro incerto: il centro benessere nel nuovo lotto; la soddisfazione sessuale fino a se stessa che lascia poi un senso di esito di guerra tra vincitore e vinto; lo scontro per l’affer-mazione; la reazione al senso di vuoto che la noia generaliz-zata di molti tende ad imporre anche alla tua vita. Sulla noia dovremmo soffermarci a pen-sare, gli effetti aberranti di una

noia di massa che purtroppo ti spingono verso cose pazze per affermare il proprio ego e per trovare una collocazione in un mondo di duri, l’avvocato Alta-no per esempio è un nodo im-portante nell’organizzazione del potere locale, un sadico. Il richiamo al locale non è espresso ma sarà il lettore li-vornese a riconoscerlo ed è normale che un autore parta anche dal suo mondo di vita, siamo in un romanzo autentico frutto di una attenta osserva-zione delle generazioni che si sono mosse nella tessitura della trama individualista dell’agire umano e dove in tutti i modi si è mortificata la solidarietà spicciola. La rappresentazione dei lineamenti dell’impulsivi-tà di un drago, il sonno di un

custode e la rassegnazione dello straniero. Per questo Il drago, il custode, lo straniero coglie bene i pas-saggi del percorso di matu-razione di una vita sbandata del protagonista che stanco poi accetta per un attimo an-che l’avvicinarsi della morte senza ribellarsi. Emergono anche i dettagli relativi all’organizzazione dell’esercizio della violenza secondo una gerarchia ben dettagliata: la violenza eser-citata da una sola persona e da un gruppo malavitoso che si muovono nell’ambito dell’illegalità; l’altra violen-za, quella coperta dal siste-ma legale, che si abbatte su interi territori vergini e sulle rispettive popolazioni.

Il drago, il custode, lo stranieroLETTURE - Il nuovo libro di Enrico Pompeo

“Perché l’amore è

una strada di periferia, dove arrivan le onde

e poi vanno via”

Page 8: - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga ...match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali,

Periodico livornese indipendente - Anno XII n. 122 - Gennaio 2017 - OFFERTA LIBERA (stampare questo giornale costa 0,66 €)Poste italiane S.p.A. Spedizione in Abb. Post. 70%

Regime libero aut. cns/cbpa/centro1 Validità dal 05/04/2007 www.senzasoste.it

Pagina OttoAnno XII - n. 122 - Gennaio 2017

SUDAMERICA - A cavallo tra gli ‘80 e i ‘90 i cartelli della droga colombiani trovarono un buon modo per riciclare il denaro sporco: investire nelle squadre di calcio di cui erano tifosi.

ORLANDO SANTESIDRA

Hanno avuto in comune una forte passione per il calcio...e

casualmente anche il cognome. Andrés e Pablo sono i protagonisti di “Los dos Escobar”, un docu-mentario realizzato da Jeff e Mi-chael Zimbalist che racconta la parabola del calcio colombiano tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Andrès è stato per anni un punto di forza del Nacional di Me-dellín e della nazionale, difensore dal fisico asciutto, buon colpitore di testa, rapido nelle avanzate. Un bravo ragazzo di estrazione bor-ghese, in procinto di sbarcare nel calcio europeo, prima che la triste sorte si avventasse su di lui. Pablo Escobar, la cui immagine è stata ulteriormente rilanciata dalla se-rie tv Narcos, non ha certo bisogno di presentazioni essendo stato il più noto e ricco narcotrafficante della storia, el patron indiscusso del cartello di droga di Medellín. La tesi del documentario dei fratelli Zimbalist è che Pablo Escobar fos-se “l’arma segreta dietro la crescita senza precedenti del calcio colom-biano”. Il che è ancora oggi ogget-to di discussione, mentre un dato è sicuramente incontrovertibile: la massima fioritura del narcotraffi-co e del calcio colombiano avven-nero contemporaneamente. Basta scorrere l’albo d’oro della Primera A, il campionato che comprende torneo di apertura e torneo di finali-zación della massima serie colom-biana, per scorgere il consolida-mento delle società che beneficia-rono delle enormi quantità di de-naro dei narcotrafficanti. Interes-sante è anche il dato sul capocan-noniere, titolo che fino al 1987 è sempre stato raggiunto da calcia-tori stranieri, argentini in partico-lare (con l’eccezione del colombia-no Jaime Gutierrez nel 1956) e che dall’anno seguente fino ad oggi sarà sempre conquistato da bom-ber nazionali. América de Cali All’epoca la presenza dei narcos alle spalle delle società colombia-ne era diffusa, ma tre famiglie si distinsero come principali “bene-fattrici”. I risultati migliori in terra colombiana li ottennero sicura-mente i fratelli Gonzalo e Miguel Rodriguez Orejuela, appartenenti al temuto cartello di Cali e dagli anni ‘80 acerrimi rivali di Pablo Escobar. Tifosi sin da bambini del-le squadre della loro città, tentaro-no prima di aggiudicarsi il Depor-tivo Cali ma ottenuto un veto alla scalata virarono sull’acquisto dell’América de Cali, di cui Mi-guel era un grande sostenitore. Il binomio fu inarrestabile: 8 volte campioni di Colombia (con tre se-condi posti), e ottime prestazioni in Copa Libertadores dove rag-giunsero tre finali tra l’85 e l’87 dalle quali uscirono però sempre sconfitti. Fu senza dubbio il perio-do più glorioso del club dei diavoli rossi, bruscamente interrotto nel 1995 quando gli USA attuarono nei confronti del club il Lista Clin-ton, uno strumento di pressione rivolto a tutte le aziende e gli indi-vidui che traevano profitto dal

traffico di droga e che prevedeva l’applicazione di sanzioni che pote-vano arrivare all’embargo commer-ciale. Millionarios Anche Bogotà, negli anni del narco-futbol, ebbe il suo momento di glo-ria. I Millionarios, squadra dal glo-rioso passato (ospitò le gesta di Al-fredo Di Stefano prima del suo passaggio al Real Madrid), entrò in una grave crisi economica e di risul-tati alla fine degli anni’ 70, ma già alla metà del decennio successivo riprese il suo cammino vincente. Dietro la rinascita del club c’era la mano di Gonzalo Rodriguez Ga-cha, braccio destro di Pablo Esco-bar e da lui nominato “ministro della guerra” del cartello di Medel-lín. Soprannominato “El Mexica-no” per la sua passione per la civil-tà azteca, nel 1998 fu inserito da Forbes nella lista degli uomini più ricchi del pianeta. La sua presiden-za, leggendaria anche per i festini in cui ricopriva d’oro giornalisti, ultras, dirigenti e giocatori del Mi-lionarios, fruttò due titoli nazionali nel bienno ‘87-88, ma fu considera-ta un’onta da Fernando Gaitán, proprietario del club dal 2012 al 2015, che propose la rinuncia ai ti-toli conquistati sotto l’egida del capo mafia. Un presa di posizione che suscitò un gran vespaio tra i ti-fosi e gli ex giocatori del Millona-rios e che è stata archiviata tra i vari tentativi di ripulire l’immagine del club dalle ingombranti ombre del passato. Atlético Nacional “Pablo ha sempre amato il calcio. Le sue prime scarpe furono da cal-cio, e morì in scarpe da calcio.” A confermare la passione viscerale del patron per il il futbol sono le pa-role dalla sorella Luz Maria nel do-cumentario “Los dos Escobar”. Una passione che diventa fonte di

male”, non era raro veder compari-re giocatori della nazionale, su tutti Renè Higuita che pagò l’amicizia con Escobar con l’esclusione dai mondiali del ‘94. Ad una delle va-rie iniziative di Escobar partecipò anche Óscar Pareja, all’epoca capi-tano del Deportivo Independiente Medellín. Il giocatore ricorda che durante il loro incontro gli fu chie-sto il motivo delle sue continue proteste verso la classe arbitrale. “Perché strilli sempre dietro agli ar-bitri? Li paghiamo noi…”. Le par-tite immancabilmente si vinceva-no, prima e oltre che sul campo, con le prove di forza offerte dai vari cartelli, che non lesinavano minac-ce ad arbitri e giocatori, facevano esplodere bombe, pilotavano le scommesse. Proprio a seguito di un match giocato tra club controllati dai due cartelli rivali, il Deportivo Independiente Medellín e l’América de Cali, una rete annul-lata per fuorigioco alla compagine controllata da Escobar, costò la vita all’arbitro Alvaro Ortega, fred-dato con nove colpi di pistola dopo la gara di ritorno. Episodio che co-strinse la federazione a fermare de-finitivamente la stagione. I cafeteros Negli anni del narcofútbol si verifi-cò anche l’ascesa dei cafeteros, la nazionale colombiana. Tre parteci-pazioni mondiali consecutive (1990, 1994 e 1998, quando ancora il calcio colombiano sfruttò l’onda lunga di quel periodo storico), tre terzi ed un quarto posto in Copa America. Il 2 dicembre del 1993 Pablo Esco-bar fu ucciso dalla polizia colom-biana dopo un inseguimento. Gli “impulsi” del narcofutbol di lì a poco sparirono e pochi anni più tardi anche il cartello di Cali venne smantellato. Ne seguì un periodo di caos che ebbe i suoi rimandi an-

investimento, soprattutto quando le banconote erano così tante, si dice, che contarle era diventato talmente difficile che ai suoi uomini non re-stava che pesarle. Riciclarle nel pal-lone, oltre che nelle varie attività benefiche a favore delle proprie co-munità, era forse l’occasione mi-gliore per far crescere i consensi in-torno al suo personaggio in vista della realizzazione di un sogno mai celato: diventare presidente della Colombia. E così il “benefattore” Escobar fa costruire oltre 50 im-pianti nei barrios meno fortunati e sovvenziona centinaia di tornei per i ragazzi più poveri della città. Poi il grande salto, l’immissione di fiumi di denaro nella squadra di cui era tifoso, l’Independiente Medellin e soprattutto nell’Atlético Nacional, per cui andava pazzo il fratello Ro-berto. Iniziativa che permetterà ai verdolagas, che in poco più di trent’anni di storia avevano vinto tre campionato nazionali, di diven-tare la prima squadra colombiana a vincere la Copa Libertadores nel 1989, nonché sotto la guida del vi-sionario Pacho Maturana a resiste-re per 119 minuti al grande Milan di Sacchi nella finale della coppa Intercontinentale. La Catedral Nel 1991 Pablo Escobar per evitare l’estradizione negli Stati Uniti, tro-va un accordo con il governo co-lombiano. Si consegna, ma come ricompensa per il suo gesto ha il permesso di costruirsi una prigio-ne, La Catedral, dove scontare la pena. Una struttura sfarzosa, dove ovviamente non manca un campo da calcio per organizzare amiche-voli con i giocatori più rappresenta-tivi del panorama colombiano come già faceva nell’Hacienda Na-poles, il buen retiro della famiglia Escobar. Come ricorda il figlio nell’autobiografia “Il padrone del

che sul calcio e sulla nazionale che affrontò il mondiale USA del 1994 mentre il paese si trovava nel pieno delle violenze. E proprio a questo evento è legato il terribile omicidio che coinvolse l’altro Escobar, An-drés, il difensore della nazionale colombiana, colpevole di aver se-gnato l’autogol che valse l’elimi-nazione al primo turno del mon-diale americano. Andrés venne raggiunto da una raffica di mitra nel parcheggio del bar Padua di Medellín da una guardia del corpo di due fratelli affiliati ai Los Pepes, acronimo che sta per “PErsegui-dos por Pablo EScobar”, un grup-po paramilitare avverso al clan di Medelin, sostenuto sia dal gover-no colombiano che dagli america-ni con lo scopo di fare fuori Pablo Escobar. Le versioni sull’uccisione del leader “silenzioso” della na-zionale colombiana sono diverse, ma quella più realistica parla di una discussione iniziata con insul-ti per via dell’autogol e finita nel peggiore dei modi. Borja La Colombia negli ultimi vent’an-ni pare abbia fatto dei passi impor-tanti nella lotta al narcotraffico, seppur con costi sociali e umani altissimi. La nazionale di calcio è oggi una fucina di fenomeni e a Medellín, 27 anni dopo, l’Atletico Nacional è tornato ad alzare la Copa Libertadores. Un successo “pulito” che ha visto protagonista Miguel Ángel Borja, attaccante colombiano nato nel 1993. Lo stesso anno della morte di Pablo Escobar.

Il calcio ai tempi dei narcos

Renzi e Grillosulla Terra

NIQUE LA POLICE

Fare previsioni di scenario politico è sempre difficile.

Eppure la politica vive di previ-sioni: ha a che fare con le trame, gli schieramenti, il futuro. Ma la legge della complessità, pro-prio in materia di previsioni, è implacabile. Basta che cambi un piccolo dettaglio, negli elementi scelti per prevedere, per avere risultati anche molto diversi rispetto allo scenario previsto. Andare a una prova uno-con-tro-tutti, con la sola propagan-da a favore in un paese scosso da una crisi ormai decennale, non paga. A inizio anno è tra-dizione, anche augurale, fare previsioni. Bene, di previsioni ne facciamo due o, se si preferi-sce, due in una. Il 2017 può can-didarsi come l’anno in cui Ren-zi e Grillo torneranno sulla ter-ra. Rispetto ad una pretesa, co-mune ad entrambi i personaggi, di andare al potere confidando in un bonus di seggi esagerato concesso dalla legge elettorale. Infatti, l’Italicum, quello varato in parlamento da Renzi prima del giudizio della Corte Costi-tuzionale, andava benissimo a entrambi. Con un patrimonio di voti di partenza del 30 per cento poteva garantire ben oltre il 50 per cento dei seggi. Insomma al di là degli appetiti delle sin-gole forze politiche, l’Italicum garantiva, formalmente, un so-lido governo della minoranza sul paese. Poi, come sappiamo dalla vittoria di Berlusconi del 2008, questa solidità può essere sulla carta. Dopo il voto della primavera 2008 il Popolo delle Libertà aveva 100 senatori di vantaggio sulle opposizioni. Berlusconi finì a caccia di trans-fughi per garantirsi la soprav-vivenza. Probabilmente non arriveremo alla ripetizione, in vesti renziane o grilline, di uno scenario del genere. Perché il referendum costituzionale, uni-to al flop del governo Renzi e del M5S a Roma, ha rallenta-to di molto le pretese di chi si vuole maggioritario. A entram-bi i soggetti toccherà quindi confrontarsi non con la ricerca della scadenza elettorale che spacca, ma con la complicata morfologia elettorale del paese. Un ritorno sulla terra salutare, prima di tutto, per la democra-zia. Poi le prossime tappe della crisi, che si candida ad essere ultradecennale, si incaricheran-no di farci capire quanto questi soggetti politici sapranno ade-guarsi ai nuovi scenari che tutti abbiamo davanti.

La vicenda del salvataggio del Monte dei Paschi di Siena rappresenta bene il sistema economico e finanziario in cui siamo immersi. L’Europa deciderà se è ammissibile, qualcuno guadagnerà e qualcuno rimetterà. Una certezza c’è: il costo sarà pagato dai cittadini italiani in termini di servizi sociali, sanità, educazione e investimenti per il lavoro.TERRY MC DERMOTT

Molto è stato detto sul decreto di natale, dedicato sostanzialmen-

te al salvataggio del Monte dei Paschi. Molto (ed è colpa del governo) è stato detto a sproposito. Infatti le notizie, sul decreto e soprattutto sui particolari tec-nici che lo riguardano, sono state fatte filtrare con molta lentezza. Per questo molti pareri sono stati espressi a caso. Anche da parte di analisti che hanno detto esplicitamente che, con il decreto Mps, era il caso di andare coi piedi di piombo. È evidente: l’operazione è de-licata e pericolosa e chi paga (noi) più è tranquillo perché meno sa, meglio è. Anche perché alla fine, se il conto sarà di 20 o di 60 miliardi, il salvataggio delle banche sarà pagato dalla società italiana. In termini di servizi sociali, as-sistenza, educazione e mancati investi-menti. Come avvenuto in Portogallo o in Grecia ed è bene ricordarlo. Quando poi le banche verranno “salvate” fini-ranno in mani che non hanno molto a che vedere con il governo italiano o con la dimensione pubblica. Eppure agli italiani il governo il conto l’avrà chiesto. Cerchiamo di capire quindi cosa sta accadendo. Prima di tutto: le banche italiane sono in crisi acuta, causa que-stioni strutturali, da almeno un bien-nio. Dopo il “salvataggio”, pagato dai risparmiatori e dai contribuenti, delle quattro banche, tra cui la famosa Banca Etruria, alla fine anche Monte dei Pa-

schi è entrato in fase di agonia. Di qui il decreto di Natale del governo, accura-tamente evitato dal governo Renzi per non sporcare l’immagine del premier, che riguarda il salvataggio di Mps e di altre banche. Attenti però a un dettaglio: il decreto è stato emesso solo quando la Commissione Europea ha dato un via libera di massima all’atto del governo. E per essere operativo il decreto, ma ora dovrà essere autorizzato passo dopo passo, secondo i tempi previsti dal piano del Tesoro. Solo quando la Commissio-ne europea avrà dato via libera, ad ogni singola procedura proposta dal governo per attuare il decreto, si potrà parlare di “salvataggio” del Monte dei Paschi di Siena. Ovvero di quanto sarà costata l’operazione agli italiani. Ma una cosa è certa: in nessun caso si tratterà di una nazionalizzazione. Prima di tutto per-ché l’operazione Mps prevede che, alla fine dei costi del “salvataggio”, la banca torni in mano privata. Poi perché un decreto fatto sotto tutela di quella che viene chiamata “Europa”, mostra una verità politica e una giuridica. Entram-be coincidono con una banale consta-tazione: un governo che agisce sotto il controllo di una commissione “salverà” Mps con i soldi degli italiani sottraendo-la agli italiani. Il resto è chiacchiera. Ma cosa accadrà nelle prossime settimane? Andiamo per gradi. Primo passaggio. L’effettiva entità della crisi, e del rosso in bilancio, verrà supervisionata dalla Ban-ca Centrale Europea. Secondo passag-

gio. L’Unione Europea vigilerà su un dettaglio non da poco. Ovvero sull’in-tervento dello stato dopo che i rispar-miatori si saranno fatti carico, in base alle norme europee vigenti, di parte del salvataggio Mps. È uno dei punti più controversi perché, da una parte, l’Ue chiede ufficialmente sacrificio mentre, dall’altra, il governo decreta rimborsi dal 75 al 100 per cento a seconda della classe di risparmiatori. Vedremo cosa ne uscirà fuori. Terzo passaggio. Il go-verno deve sottoporre all’Ue un piano industriale di Mps ritenuto credibile, fatto di licenziamenti e chiusure degli sportelli. C’è il rischio che prevalga la logica, già vista in passato, del piano che è credibile in quanto rappresenta un bagno di sangue occupazionale. Quarto passaggio. Il piano di Mps, con sostegno pubblico, deve essere giudicato dall’Ue “non in concorrenza con altre banche”. Insomma un ridimensiona-mento magari a favore di qualche ban-ca estera. Non caso sul Guardian si teo-rizzava, nei giorni scorsi, che gli italiani devono fare più pizza e meno banche. È bene dirlo, si tratta di passaggi che,u-na volta ultimati, non porteranno alcun beneficio agli italiani. Se ci sarà un bene-ficio sarà, come dicono alcuni analisti, quello di sperperare meno soldi del pre-visto. C’è poi un altro punto, di cui si è detto poco. Se le autorità internazionali di regolazione dei contratti finanziari decideranno, su istanza degli investori, che Mps è fallita, ci sarà da capire l’ef-

fetto Cds. Ovvero quanti premi assicu-rativi, sempre oggetto di speculazione, dovranno essere pagati nel caso che le autorità internazionali dichiarino che Mps è tecnicamente fallita. Insomma, l’impatto della operazione “salvatag-gio” Mps è tutto da valutare. Allo stesso tempo ci sono delle verità, già da oggi, ben chiare da esporre e commentare. La prima è che Mps non verrà nazio-nalizzata e, per gli italiani, sarà solo un costo. Anche perché costerà sempre di più farsi prestare i soldi con i nuovi cri-teri di ristrutturazione bancaria europa. Proprio quelli su cui vigilierà, condizio-nando il governo, l’Europa. La secon-da è che, alla fine del processo, gli unici a guadagnare saranno i privati. Che, in qualche modo, prenderanno una banca ristrutturata, una nuova Mps, a prezzo di favore. Per reimmerterla nel “mercato”. Poi ci sono coloro che gua-dagneranno cifre impressionanti sulle consulenze di mercato. Nell’ultima fase della crisi, tra JP Morgan e altri, si parla di oltre un milione e mezzo cash. Infine ci sono quelli che (come Serra, l’amico di Renzi) guadagneranno, come han-no guadagnato prima, speculando sul titolo. Basta non siano cittadini italiani e poi, su Mps, ci avranno guadagnato in tanti. E per chiudere, la nostra città. Quali effetti avrà su Livorno la vicen-da Mps? Stiamo infatti parlando della banca da sempre centro nevralgico in ambito partecipate e tesorerie comuna-li, staremo a vedere.

Monte dei costi