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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® PSICOLOGIA CLINICA 214/2 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI Le origini storiche I modelli teorici generali Il corpus della psicodiagnostica L’analisi della domanda clinica e le tecniche più utilizzate ELEMENTI DI

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

214/2m

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CORSI

EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

PSICOLOGIACLINICA

214/2COLLANA TIMONE

ESAMI e CONCORSI

• Le origini storiche• I modelli teorici generali• Il corpus della psicodiagnostica• L’analisi della domanda clinica

e le tecniche più utilizzate

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ELEMENTI DI

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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono allaEsselibri S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:

213/1 - Storia del pensiero sociologico213/2 - Sociologia generale213/3 - Sociologia dei processi culturali213/4 - Teoria e tecnica della comunicazione214 - Psicologia sociale214/1 - Psicologia dello sviluppo214/3 - Storia del pensiero pedagogico

Per qualsiasi osservazione, cambio, proposte semplificative,si prega di inviare una e-mail a [email protected]

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito Internet: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Testo a cura di Rosa Martino

Finito di stampare nel mese di luglio 2008dall’Officina Grafica Iride - Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

per conto della Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 - Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Questa sintesi è dedicata agli studenti dei corsi di laurea in Psico-logia.

In linea con la collana editoriale, il volume traccia le linee gene-rali — storiche e tematiche — della psicologia clinica e degli orien-tamenti teorici che ne hanno determinato lo sviluppo e la collocazio-ne istituzionale.

Si è mirato da un lato a chiarire le articolazioni che stanno allabase dei più incisivi modelli concettuali di cui si è servita la psicolo-gia clinica nel suo percorso storico; dall’altro si è cercato di definiresinteticamente il pensiero e le opere degli studiosi che, di questo cor-pus concettuale, hanno determinato la genesi e lo sviluppo.

In questo volume vengono pertanto affrontati, in ordine:

— le origini storiche e i tentativi di definizione della disciplina;— i modelli teorici generali del funzionamento psichico (psicoana-

lisi, psicologia analitica, psicologia individuale ecc.);— il corpus teorico e applicativo della psicodiagnostica;— l’analisi della domanda clinica e la descrizione delle tecniche di

intervento più diffuse.

Il libro pertanto si giova di una breve introduzione al vastissimocampo della psicopatologia, con una specifica attenzione alla dimen-sione psicopatologica dell’adulto e dell’anziano.

L’opera si giova anche di una sintetica introduzione alle più diffu-se tecniche di intervento clinico.

Chiude il volume un ampio ed esplicativo glossario dedicato adillustrare i cardini delle principali discipline psicologiche.

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CAPITOLO PRIMO

ARTICOLAZIONI STORICHE DELLA PSICOLOGIA CLINICA

Sommario: 1. Definizioni di psicologia clinica. - 2. Le origini della psicologia clinica.

1. DEFINIZIONI DI PSICOLOGIA CLINICA

Nell’ambito della cultura psicologica esiste una profonda scissioneche porta a contrapporre la psicologia sperimentale a quella applicativao, in altri termini, la psicologia di base a quella clinica. Yates ancora nel1970 ironizzava sul fatto che la formazione in psicologia clinica fossefondata sui «sistemi teorici principali e su conoscenze empiriche di base(che sono molte più di quel che non si dica) sulla sensazione, sulla per-cezione, sull’apprendimento, sulla motivazione ecc.» che di fatto nontrovavano utilità nel mondo della clinica psicologica, ovvero nell’elabo-razione e nella descrizione degli interventi sull’individuo. Questa posi-zione provocatoria sembra essere il presupposto di una riflessione moltopiù obiettiva riguardo alla professione clinica. Egli riscontra infatti chegli psicologi clinici, piuttosto che valorizzare le proprie competenze spe-cifiche e operare come degli specialisti, «troppo spesso sono felici diassumere un ruolo di pseudopsichiatra, lusingati dalla luce riflessa e dallostatus della professione medica». Individuare invece gli ambiti dellapsicologia clinica, definendone un dominio di applicazione, e le suemodalità d’intervento, descrivendone gli scopi e le tecniche riabilitativeoppure gli strumenti diagnostici o di ricerca per la valutazione degli in-terventi stessi, sembra essere un buon punto di partenza per sistematiz-zare i saperi che convogliano in questo ramo di studio e di applicazionee articolarli in una «teoria della tecnica» formale. Definire in manieraesaustiva che cos’è la psicologia clinica risulta una questione attualmenteancora aperta. Tuttavia, una panoramica sui tentativi che sono stati com-piuti per farlo può chiarirci le idee riguardo a questa disciplina così com-plessa e versatile.

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Capitolo Primo6

A) Nella presentazione del primo numero della rivista «PsychologicalClinics», redatta da Witmer nel 1912, si riscontra la prima possibilità dichiarire, mediante gli elementi necessari, l’oggetto di studio e i metodi dellapsicologia clinica. Vi si legge, infatti:

«I metodi della psicologia clinica sono necessariamente richiesti ogniqualvolta lo stato diuna mente individuale venga determinato mediante osservazione ed esperimento, ed un tratta-mento pedagogico sia applicato per produrre un cambiamento, cioè lo sviluppo di tale mente».

Da subito quindi l’attenzione della psicologia clinica sembra rivolta al-l’indagine sul singolo attraverso una metodologia scientifica. Il suo obietti-vo primario è rintracciabile nella conoscenza dell’individuo relativamenteai suoi meccanismi psichici e all’organizzazione interrelazionale che lo con-traddistingue, al fine di operare, sulla base di questo supporto stabile, intermini pedagogici sul soggetto stesso. L’intervento sull’individuo è conce-pito, quindi, come una prassi trasformativa volta a sviluppare facoltà utili onecessarie per la messa in scena di potenzialità coartate non meglio speci-ficate. A mettere a fuoco i motivi che spingono ad una richiesta di cambia-mento, ovvero a chiarire quali fossero quelle aspecifiche potenzialità, dellequali parlava Witmer, ancora prive di un campo d’azione riscontrabile nel-l’oggettività degli eventi, ci pensò Woodworth venticinque anni più tardi.Egli riscontrò nell’esigenza di risolvere problemi di varia natura come quel-li educativi, di orientamento professionale, di adattamento familiare e so-ciale, di condizioni lavorative e così via, il ricorso allo psicologo clinico,esperto nel «fornire assistenza». Evidente rimane l’aspetto applicativo dellavoro di questa figura professionale e la sua connotazione pedagogica, por-tatrice di un orientamento che agisce al di là della psicopatologia.

Lightner Witmer, nato nel 1867, fu allievo e successore di Cattel all’università di Pennsylva-nia. In seguito al suo ritorno dall’Europa, dove aveva intrattenuto relazioni scientifiche conWundt, nel 1892, insieme a George Stanley Hall, William James, George Ladd, James McKeen Cattel, è tra i membri fondatori dell’American Psychological Association (APA). Nel1896, durante il convegno dell’APA tenuto a Boston, per primo utilizzò le espressioni psico-logia clinica e metodo clinico in psicologia. Nello stesso anno fondò la prima clinica psicolo-gica, che doveva servire alla diagnosi e alla formulazione di modalità terapeutiche per ilrecupero di funzioni psicologiche nei giovani scolari con problemi di sviluppo. Cominciò adorientarsi nell’ambito dello studio dei «bambini difficili» in America, sollecitato da Seguin,allievo di Itard, famoso come il medico che curò il ragazzo selvaggio dell’Aveyron. Seguinriteneva che i disturbi dello sviluppo non dipendessero necessariamente da un cattivo funzio-namento cerebrale ma fossero recuperabili agendo sul comportamento del soggetto.

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7Articolazioni storiche della psicologia clinica

B) Nel 1919 l’APA (American Psychological Association) istituì unaSezione Clinica che, nel 1935, stabilì le norme per la formazione e l’eserci-zio della professione in psicologia clinica, proponendone una definizione ilcui orientamento appare centrato globalmente sul versante applicativo. In-quadrava il suo intervento sull’individuo al fine di facilitarne l’adattamentoin casi non obbligatoriamente compromessi a tal punto da sfociare nellapsicopatologia. Anche se era stato esaltato il versante applicativo di questadisciplina, rimanevano ancora oscure le forme peculiari dell’intervento cli-nico. Non erano esplicitate né le tecniche di intervento ai fini diagnostici négli interventi volti al sostegno e al cambiamento. Vi si legge:

«La psicologia clinica è una forma di psicologia applicata che mira a definire le capacità ele caratteristiche comportamentali degli individui attraverso metodi di misura, analisi e osser-vazione; e che, sulla base di un’integrazione di questi risultati coi dati ricevuti da esami fisici eanamnesi sociali, fornisce suggerimenti e raccomandazioni per un appropriato adattamentodegli individui».

Successivamente le definizioni di psicologia clinica hanno continuato amostrarne e in alcuni casi descriverne gli scopi degli interventi; il dominiodi applicazione ovvero la tipologia dei problemi su cui interviene; gli stru-menti e le ricerche di valutazione dei propri interventi; le tecniche riabilita-tive o trasformative e, infine, i casi clinici che costituiscono lo spunto diriflessione per intravedere nuovi contenuti.

C) Anche Kendall e Norton-Ford nel 1991 individuano nelle questionidi adattamento dell’individuo, inteso come caso individuale cioè non esclu-sivamente rappresentato dalla persona singola ma anche da gruppi come lafamiglia o le organizzazioni, l’oggetto di studio e di intervento della psico-logia clinica. Considerata, come già in passato era stato evidenziato, nellasua veste applicativa che si serve di leggi e di tecniche derivanti dalla ricer-ca sperimentale per spiegare i comportamenti individuali, ipotizzare inter-venti per il cambiamento e valutarne l’esito. La novità proposta risiede nellapuntualizzazione in merito alle modalità di applicazione, le cui basi d’ap-poggio vengono individuate semplicisticamente nella psicologia sperimen-tale. Proprio questo risulta essere il nodo spinoso delle loro concettualizza-zioni.

D) Come esplicitano Carli nel 1993 e Rossi nel 1994, il sapere dellapsicologia clinica non si esaurisce in quello conseguito dalla ricerca spe-

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Capitolo Primo8

rimentale ma deriva anche da un metodo di ricerca proprio della psicolo-gia clinica denominato metodo storico-clinico. La ricerca sperimentale siserve dell’osservazione del comportamento individuale come mezzo co-noscitivo. Tale osservazione deve avere quanto più possibile caratteristi-che di neutralità, vale a dire che deve essere protetta da distorsioni nelcomportamento del soggetto e nelle osservazioni del clinico. Per il meto-do scientifico, inoltre, il comportamento può essere spiegato a partire daleggi generali; l’interpretazione dei fatti è affidata al modello ipotetico-deduttivo. Il metodo storico-clinico o storico-motivazionale, contrariamenteal precedente, considera il coinvolgimento tra clinico e individuo una ri-sorsa conoscitiva ineludibile purché rientri nella famosa dinamica di coin-volgimento-distanziamento dove l’osservatore tiene alta la soglia dell’at-tenzione nei confronti dei propri stati interni. Tale metodo ritiene che icomportamenti possano essere interpretati sulla base del significato cheassumono per il soggetto in relazione al contesto a cui sente di appartene-re e l’interpretazione assume la forma di una narrazione che, sulla base dileggi generali estrapolate dalle teorie del funzionamento psichico, a suavolta diventa, per astrazione tipico-ideale, caso clinico, cioè storia tipica.Trombini nel 1994 mette a fuoco un aspetto importante riguardo al domi-nio di applicazione della psicologia clinica; anch’egli lo riconosce nei pro-blemi di adattamento dell’individuo ma aggiunge alla dimensione ogget-tiva di quest’ambito quella soggettiva, introducendo in questo modo i con-cetti di malessere e sofferenza come variabili primarie dell’indagine clini-ca. Attualmente si può concludere che definire la psicologia clinica intermini di dominio e modalità di applicazione è riduttivo; a tal propositoCarli offre, insieme ai suoi collaboratori, la possibilità di rispondere alproblema di individuare la specificità della psicologia clinica. Viene defi-nita come la «teoria della tecnica riabilitativa e psicoterapeutica», impli-citamente preventiva. Questa posizione integra aspetti applicativi, teoricie di ricerca, conferendo alla psicologia clinica il compito di elaborare spe-cifiche teorie dell’intervento riabilitativo e terapeutico che possano esserevalutate empiricamente in merito alla loro efficacia; che possano esserecostruite sulla base di tutte le dimensioni psicologiche:

— psicodinamica,— psicobiologica,— psicopatologica;

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9Articolazioni storiche della psicologia clinica

e che si servano nelle proprie procedure applicative di tutti gli strumenti e letecniche che la psicologia propone, in un’ottica di armonia interna che defi-nisca inequivocabilmente la relazione terapeutica in termini di spazio e tempotrasformativi, volti alla costruzione di un cambiamento che valorizzi la di-mensione del benessere psichico del soggetto-paziente o del soggetto-cliente.

2. LE ORIGINI DELLA PSICOLOGIA CLINICA

Il filosofo francese Michel Foucault riscontra nel concetto di cura disé, risalente ai filosofi a ai moralisti ellenistici di Roma imperiale, il terrenofertile per lo sviluppo della cultura psicologico-clinica. L’aggettivo clinicoderiva greco kliné (letto) e indica le attività che il medico svolge al letto delmalato. La psicologia clinica, quindi, a partire dalla stessa etimologia deli-nea la sua destinazione alla malattia e alla sofferenza. Il termine clinico traMedioevo e Rinascimento si riferiva alle scuole di medicina che formavanoi nuovi medici attraverso l’osservazione diretta del malato. Alla fine delRinascimento nascono le prime cliniche che raccolgono pazienti apparte-nenti alle stesse categorie patologiche, in modo da valorizzare le possibilitàpedagogiche per gli studiosi intorno alla malattia. Il termine, dunque, è dasubito relativo ad un metodo di indagine della realtà che si instaura all’inter-no della relazione medico-paziente. Alla fine del Settecento, con le riformesuccessive alla rivoluzione francese e la diffusione del riformismo sociale edel filantropismo, nacquero numerosi ospedali pubblici, luoghi oltre che diricovero anche di formazione e ricerca medica. In questo clima, Tuke inInghilterra, Todd in America, Pinel in Francia avviarono il processo di ri-forme che condusse alla liberazione dei folli e all’istituzione degli ospedalipsichiatrici. Pinel, insieme al suo allievo Esquirol, creerà le prime catego-rie nosografiche dei disturbi mentali. In quest’ambito, più tardi, rilevantesarà il contributo di Emil Kraepelin con il suo capillare studio di innume-revoli pazienti provenienti da diverse parti del mondo.

Il lavoro di Kraepelin (1855-1926), psichiatra tedesco, consistette nell’affrontare in manie-ra organizzata, sistematica e scientifica lo studio delle varie disfunzioni mentali. Si basò suuna raccolta di dati molto attenta e prolungata nel tempo oltre che su dettagliate registrazio-ni. La peculiare osservazione di diversi casi clinici, infatti, gli permise di elaborare unaaccurata classificazione dei disturbi psichici. Egli riteneva che attraverso l’osservazionescientifica di individui afflitti da disagio psichico fosse possibile estrapolare modelli dicomplessi di sintomi e presumeva che, una volta stabiliti e definiti tali complessi, o sindro-

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Capitolo Primo10

mi, si potessero cercare una causa specifica o una serie di cause del problema. Nel 1896definì per primo il complesso dei sintomi schizofrenici sotto l’espressione «dementia pra-ecox». Il suo lavoro, presentato nelle opere Manuale di psichiatria e Introduzione allaclinica psichiatrica, rispettivamente del 1883 e del 1901, si integrò a tal punto con lo svi-luppo della psichiatria descrittiva che tutt’oggi influenza decisivamente la psichiatria con-temporanea.

Il concetto di clinica in psicologia ha assunto un significato diverso ri-spetto a quello della tradizione medica; le radici storiche della psicologiaclinica si riscontrano principalmente in due tradizioni della psicologia scien-tifica nata in Europa a cavallo tra XIX e XX secolo, quella psicometrica edifferenziale e quella psicodinamica. Attratto dai lavori del belga Quételete durante il lavoro condotto da Wundt a Lipsia, Galton attivò nel 1884 aLondra un laboratorio antropometrico per la misurazione di processi psico-logici elementari. Nel 1890 per la prima volta Cattel introdusse il concettodi test mentale, e intraprese uno studio su larga scala delle differenze indivi-duali in fenomeni psicologici molto circoscritti come la percezione del do-lore, del peso, dei colori ecc. La tradizione psicometrica comincia ad avereuna certa diffusione in America proprio grazie a lui a prescindere dal terre-no fertile, giacché il taglio della psicologia americana è stato sempre appli-cativo. Binet e Henri criticarono aspramente il metodo differenziale elabo-rato da Galton e da Cattel perché incapace di effettuare previsioni sulla riu-scita scolastica o lavorativa dei singoli individui. Puntarono l’attenzione sullecapacità psicologiche superiori degli individui. Nel 1905 Binet propone laprima scala per la misurazione delle capacità intellettive, avviando, in que-sto modo, la tradizione dell’uso dei test diagnostici in psicologia clinica.

Alfred Binet nacque nel 1857 a Nizza. Il suo studio si orientò verso la biologia e la medici-na, specializzandosi nella psicologia pedagogica. Nel 1905 elaborò con Simon una scala dimisurazione dell’intelligenza, primo prototipo dei test mentali, la «scala Binet-Simon»,che fornirà le basi per l’odierno test per la misurazione del quoziente intellettivo. Nel 1894Binet aveva condotto uno dei primi studi psicologici sul gioco degli scacchi, analizzando leabilità cognitive dei più bravi giocatori. Nello stesso anno esce il suo libro Introduzionealla psicologia sperimentale. Nel 1895 fonda la prima rivista francese di psicologia, «An-neé Psychologique». Nel 1904 Binet fece parte di una commissione nominata dal ministerodella Pubblica Istruzione Francese affinché studiasse nuovi metodi per l’educazione deibambini con ritardo nello sviluppo intellettivo. La prima questione riguarda l’individuazio-ne dei bambini mentalmente limitati. Binet elabora quindi una prima scala metrica, com-posta da una serie di trenta problemi, che puntavano a fornire una valutazione di alcuniaspetti dell’intelligenza, come la capacità di comprensione, la capacità di ragionamento

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11Articolazioni storiche della psicologia clinica

logico e la capacità di giudizio. Uno dei concetti fondamentali che introdusse è quello dietà mentale. La misura del ritardo mentale per Binet corrispondeva alla differenza tra l’etàmentale del bambino e la sua età cronologica. Naturalmente un ritardo di 2 anni a un’età di5 indicava un limite intellettivo molto serio, mentre le stesso ritardo in un ragazzo di 14anni rappresentava uno svantaggio più lieve, per questo motivo risultò un metodo pocopratico e quindi, negli anni tra il 1908 e il 1911, Binet revisionò, sempre con il suo collabo-ratore Simon, la scala di intelligenza. La scala Binet-Simon nella revisione Stanford del1916, a cura di Lewis Madison Terman, viene tutt’ora utilizzata, includendo il concetto diStern secondo cui l’intelligenza individuale può essere misurata come quoziente di intelli-genza (Q.I.). Con tale revisione, la Stanford-Binet Intelligence Scale evolverà nel moder-no test di intelligenza. Binet morì a Parigi nel 1911.

In Europa alla fine dell’Ottocento emergevano i modelli psicodinamicidella personalità che ben presto si sarebbero integrati con la psicologia cli-nica. Il primo a formalizzare modelli sistematici del funzionamento psichi-co fu Freud. Hall e James, con le conferenze di Freud del 1909, favorironol’ingresso della psicoanalisi negli Stati Uniti, dove di lì a pochi anni furonofondate numerose cliniche psicologiche e molti psicologi vennero contattatiper collaborare con l’esercito americano. Nel 1935 l’APA propone una se-rie di norme per la formazione in psicologia clinica, che delineano la figuradi un professionista-scienziato con competenze specifiche relative a molte-plici interventi in campo diagnostico e psicoterapeutico e alla conduzionedi progetti di ricerca. Già nel 1948 sono una ventina le università americanecon un corso post-lauream per la formazione di psicologi clinici ed un cen-tinaio nel 1975. In Italia i corsi di laurea in Psicologia iniziano nel 1971nelle città di Padova e di Roma e nel 1982 viene fondata la rivista scientifica«Psicologia clinica» diretta da Bertini, Canestrari e Carli. Dal 1987 quelperiodico prese in nome di «Rivista di Psicologia Clinica».

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CAPITOLO SECONDO

MODELLI TEORICI DEL FUNZIONAMENTO PSICHICO

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Teorie della personalità e prassi clinica. - 3. Concet-tualizzazioni teoriche intorno allo sviluppo e all’adattamento. - 4. Concettualizzazio-ni teoriche intorno ai gruppi e all’ambiente sociale.

1. INTRODUZIONE

La prassi clinica consta di una serie di metodi costruiti sulla base dimodelli teorici del funzionamento psichico. Pervin e John (1997) indivi-duano nelle teorie della personalità un utile strumento per lo psicologo cli-nico che può, attraverso chiavi di lettura teoriche, orientarsi nell’ambito dellapsiche individuando aree di azione utili per strutturare un intervento volto:

— alla costruzione di categorie che consentano di osservare e valutare ifatti attraverso una lente empirica;

— allo sviluppo di ipotesi per conseguire gli obiettivi;— alla verifica dell’efficacia dell’intervento realizzato.

Il tentativo di comprendere e illustrare la personalità degli individui indu-ce a rintracciarne cinque aree di esemplificazione. Una relativa agli aspetti piùstabili e duraturi della personalità, che ne descriva quindi la struttura. Una chefocalizzi l’attenzione sui suoi processi ovvero sulla dinamica relazionale emotivazionale che la personalità stessa accende. Le altre aree, non meno im-portanti, riguardano l’indagine sui motivi delle differenze individuali, rintrac-ciabili nei processi peculiari del proprio sviluppo; l’eziologia e la forma dellapsicopatologia o, semplicemente, di un cattivo funzionamento della persona-lità e, infine, l’analisi delle motivazioni o delle resistenze al cambiamento. Laprassi clinica, poggiando su un modello teorico-clinico o sull’integrazione dipiù modelli teorici, come vedremo, è in grado non solo di orientare la com-prensione delle diverse situazioni attribuendo loro significato psicologico, madi definire il percorso trasformativo e l’obiettivo finale dell’intervento; di de-lineare, quindi, un modello operativo del cambiamento. Lo psicologo clinicosi trova di fronte ad un cumulo di informazioni sui suoi pazienti che deve

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13Modelli teorici del funzionamento psichico

necessariamente riorganizzare e sistematizzare alla luce di un inquadramentoteorico che tenga conto della personalità dell’individuo e del contesto in cuiesso è inserito. Questo non vuol dire che ci sia una corrispondenza lineare trateorie e tecniche, tutt’altro le diverse prospettive teoriche offrono assunti dibase utili per prevedere il comportamento del soggetto e categorie, come itratti o i tipi di personalità, necessarie per inquadrare le tematiche nuclearidelle posizioni esistenziali dell’individuo; l’insieme delle categorie e degliassunti rielaborati personalmente dai clinici consentono di formulare nuoveconcettualizzazioni che sintetizzino e integrino le basi delle varie teorie. Teo-rie dalle quali la propria cultura e formazione può attingere al fine di elaborareipotesi sul proprio paziente che guidino con efficacia l’intervento. Esiste unaforte relazione tra i modelli psicodinamici della personalità e la psicologiaclinica, anzi si ritiene che l’origine della psicologia clinica risieda proprionella tradizione psicodinamica che analizza le strutture psichiche e attribuisceloro la guida del comportamento dell’individuo.

2. TEORIE DELLA PERSONALITÀ E PRASSI CLINICA

A) Teorie psicodinamiche

I fenomeni psicopatologici non riconducibili ad alterazioni organichecominciarono a destare l’interesse scientifico intorno alla fine del XX seco-lo con la diffusione del concetto di psicodinamica, che considerava tali fe-nomeni indipendenti da deficit del sistema nervoso ed esclusivamente psi-chici. Il riflesso pratico di quest’innovazione concettuale comportò il supe-ramento del modello delle malattie infettive, in voga fino ad allora, secondoil quale l’eziologia psicopatologica era riscontrabile semplicisticamente nelnesso causale tra agente patogeno e sintomo. La diffusione di tale concezio-ne, inoltre, pose le basi del moderno approccio allo studio della personalità,non più considerata come il prodotto di varie funzioni nervose e aree cere-brali ma come il frutto della dialettica interna all’individuo su questioni dinatura intima o sociale, ovvero della dialettica tra aspetti psichici di naturadinamica nella regolazione del funzionamento della personalità stessa inrelazione a se stessi o al contesto. La salute mentale di un individuo, inquest’ottica, corrisponde ad un equilibrio ottimale nelle interazioni tra lediverse istanze, e tra i loro bisogni e la possibilità concreta di soddisfarli.Come si intuisce, nella messa in atto del comportamento le teorie psicodi-namiche enfatizzano il ruolo delle strutture psichiche interiori, la cui realtà,

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Capitolo Secondo14

non tangibile, può essere inferita dalla presenza di schemi comportamentaliricorrenti.

La psicoanalisi di Freud

Inserito nel mutato clima culturale Sigmund Freud si accostò al disagiomentale in maniera totalmente nuova ipotizzando l’esistenza di un dinami-smo psichico inconscio responsabile della sofferenza psicologica, o permeglio dire della sofferenza dell’anima (Seele). Il modello ipotetico del fun-zionamento psichico da lui ideato e ripetutamente revisionato alla luce del-l’esperienza clinica si formalizzò stabilmente con l’elaborazione della co-siddetta «seconda topica».

Sigmund Freud (1856-1939) studiò a Vienna e frequentò la facoltà di Scienze sotto la guidadello psicologo positivista Brücke. Si iscrisse a Medicina, laureandosi nel 1881. Nel 1885ottenne la libera docenza ed una borsa di studio grazie a cui frequentò i corsi del famosoneurologo Charcot presso la clinica Salpêtriere a Parigi. Tornato a Vienna conobbe e col-laborò con lo psichiatra Joseph Breuer, assieme al quale pubblicò nel 1895 gli Studi sul-l’isteria. Nel 1899 esce il suo primo testo fondamentale, L’interpretazione dei sogni. Del1905 sono i Tre saggi sulla teoria della sessualità. Dal 1902 intanto aveva ottenuto la caricadi professore straordinario all’Università di Vienna, di cui in seguito (nel 1920) divenneprofessore ordinario. Nel 1910, al Congresso di Norimberga, fu data vita alla prima Asso-ciazione Ufficiale di Psicoanalisi, con Jung eletto presidente. Negli anni successivi, che lovedono impegnato in un complesso tentativo di sistemazione di tutta la sua teoria, escono isuoi tardi lavori decisivi: Al di là del principio del piacere (1920) e L’Io e l’Es (1923). Nel1938 si trasferisce a Londra con la famiglia. La sua ultima opera, incompiuta, è il Compen-dio di psicoanalisi.

Freud postulò l’esistenza di tre istanze psichiche in conflitto tra loronella struttura di personalità di ogni individuo. L’Es corrisponde alla parteistintuale, i suoi bisogni sono regolati dal principio di piacere secondo ilquale la libido non può esimersi dall’esigenza di scarica. È un’istanza in-conscia che rappresenta e si identifica con l’alterità rispetto all’Io e si serveprincipalmente dei processi primari della fantasia e dell’immaginazionepiuttosto che di quelli secondari come la logica o la sublimazione. In Intro-duzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) si legge:

«È la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità; il poco che ne sappiamo, lo ab-biamo appreso dallo studio del lavoro onirico e dalla formazione dei sintomi nevrotici; diquesto poco, la maggior parte ha carattere negativo, si lascia descrivere solo per contrapposi-zione all’Io. All’Es ci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos, un crogiuolo di ecci-

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15Modelli teorici del funzionamento psichico

tamenti ribollenti. […] Attingendo alle pulsioni, l’Es si riempie di energia, ma non possiedeun’organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfaci-mento per i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio di piacere. […] Com’è ovvio, l’Esnon conosce né giudizi di valore, né il bene e il male, né la moralità. […] Investimenti pulsio-nali che esigono la scarica: a parer nostro nell’Es non c’è altro.

L’Io, invece, obbedisce al principio di realtà, che è un processo secon-dario e si fonda sul ragionamento conscio. Il Super-io è la struttura psichicache si sviluppa per ultima, dopo l’Es e l’Io; rappresenta l’aspetto normativodella personalità, include i valori e le regole trasmesse dalle figure genito-riali. Secondo Freud la salute psichica è garantita da un buon funzionamen-to dell’Io che funge da mediatore tra le altre due istanze. Se le condizioni direaltà non consentono una scarica immediata della libido, un Io sufficiente-mente forte può inibire le pulsioni dell’Es ed accogliere e contenere l’ango-scia che ne deriva; un Io fragile, provato dalle circostanze della propria sto-ria personale, non è in grado, invece, di frenare tale scarica e l’individuo siscontra con l’incapacità di autoregolarsi e a questo punto si trova a doverscegliere due possibili vie: barricarsi dietro a meccanismi di difesa inconsciche momentaneamente riducono l’ansia ma possono dar luogo a problemiancora più grossi in seguito; o lasciarsi andare alla scarica incontrollata del-l’Es, incorrendo in molti dei disturbi psicologici in cui lo psicologo clinicosi imbatte. Con Freud e la psicoanalisi la riflessione scientifica intorno allasofferenza psichica si orienta verso la soggettività del paziente, il sintomoacquista significato all’interno del contesto individuale e assurge a rappre-sentante di un conflitto psichico inconscio al quale è possibile risalire attra-verso la prassi clinica.

La psicologia analitica di Jung

La riflessione freudiana si sofferma sul conflitto psichico interno all’in-dividuo e particolarmente sul passato; la concezione junghiana trascendel’esistenza del singolo individuo e rimanda alla teoria dell’inconscio collet-tivo considerato come patrimonio arcaico dell’umanità.

Carl Gustav Jung nacque in Svizzera nel 1875. Si laureò in medicina a Basilea e subitodivenne assistente alla clinica universitaria Burghoelzli di Zurigo diretta da Eugene Bleuler,dove condusse i suoi primi studi sulle associazioni verbali; poco dopo intraprese la car-riera di psichiatra. Al 1907 risale il suo incontro con Freud, del quale apprezzava e con-divideva l’orientamento teorico. Già nel 1912, però, con la pubblicazione de La psicolo-gia dell’inconscio Jung espresse il suo distacco dall’assetto teorico psicoanalitico. Ini-

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Capitolo Secondo16

zialmente Jung condivise con Freud l’ipotesi che i sintomi delle malattie mentali, peressere compresi, richiedono il riferimento alla storia individuale del paziente e ai proces-si di rimozione che la caratterizzano. Ma presto si accorse di non condividere con luil’eziologia sessuale delle nevrosi, ovvero cominciò a dubitare che la natura dei contenutirimossi fosse esclusivamente libidica e propose l’idea che i fenomeni psichici fosseromanifestazioni di un’unica energia, presente nella natura e non riducibili alla sola, priva-ta libido. Per Jung la libido possiede caratteristiche che richiamano lo slancio vitale diBergson. È considerata la pulsione dinamica della vita, che garantisce la conservazionedegli individui e delle specie. Dal punto di vista di Jung, Freud privilegiava smisurata-mente la componente biologica della libido a scapito di quella spirituale e ne dava unarappresentazione negativa non corrispondente alla sua opinione, secondo la quale la libi-do è una forza essenzialmente sana, protesa verso il futuro, dalla quale dipendono lerealizzazioni più alte della cultura occidentale e dell’individuazione. La libido è suscet-tibile di evoluzione, e può essere spostata su oggetti immateriali ed è, per tale motivo,spiritualizzabile. Quando tale evoluzione è bloccata e avvengono regressioni, si origina-no le nevrosi. Dimessosi dall’API (Associazione Psicoanalitica Internazionale) nel 1914,Jung orienta la sua attività di psicologia analitica, così denominata per distinguerla dallapsicoanalisi, verso l’indagine sulla mitologia, la religione e l’alchimia. In seguito ai suoiviaggi per studiare le culture primitive nel 1921 pubblicò Tipi psicologici. Durante ilperiodo che va dalla pubblicazione di questo testo a quella di Mysterium coniunctionisnel 1956, approfondisce l’analisi onirica vista non come processo individuale ma comefenomeno collettivo. Nel 1948 viene fondato il Carl Gustav Jung Institut, quindi la diffu-sione della teoria e dei metodi della psicologia analitica è ormai riconosciuta. Durantel’ultimo periodo della sua riflessione Jung criticò aspramente il livellamento e la perditadi spiritualità del mondo moderno, nonché il predominio incontrastato della scienza.Proprio per questo, forse, manifestò notevole interesse verso le culture e le religioniorientali e nei confronti della nascita delle simbologie presenti in esse.

Riguardo all’inconscio collettivo, in una conferenza nel 1936 Jung asse-risce:

«L’inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall’in-conscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all’esperienza perso-nale e non è perciò un’acquisizione personale. [...] l’inconscio personale consiste soprattutto incomplessi; il contenuto dell’inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da archeti-pi. Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell’idea di inconscio collettivo,indica l’esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre edovunque».

Gli archetipi si manifestano attraverso i simboli. L’individuo li avver-te come bisogni e li esprime sulla base delle diverse situazioni storiche,etniche, nazionali o familiari in cui è inserito. Lasciano le loro tracce neimiti, nelle favole e nei sogni, i quali, contrariamente all’idea di Freud, non

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17Modelli teorici del funzionamento psichico

sono appagamento di pulsioni puramente private legate alla sessualità in-fantile, ma espressioni dell’inconscio collettivo. Le istanze psicologichedell’inconscio collettivo, rintracciabili dall’osservazione del comportamen-to nell’ambito del lavoro clinico, sono responsabili della costruzione dellapersonalità. La salute psichica per Jung consiste nel grado di individua-zione dell’individuo, ovvero nel recupero e nello sviluppo della propriamatrice individuale dal marasma indifferenziato della psiche collettivaconscia e inconscia. Un soggetto è individuato per Jung quando egli stes-so, per opera dell’Io che consiste nel complesso di rappresentazioni co-scienti e permanenti in cui è riposta l’identità, concependo se medesimocome un intero inserito nel contesto del collettivo, riconosce, differenzia eintegra i propri processi interiori in un quadro armonioso e «non diviso»che consiste nel Sé. Il Sé è l’archetipo che si porta dentro il potenzialecompleto dell’individuo, è il principio creativo e unificante della persona-lità; la sua realizzazione è utopica, l’individuo potrà solo tendere al Sé elo psicologo clinico, all’interno di quest’assetto teorico, realizza la pro-pria funzione inserendosi in questa tensione. Il Sé in quanto totalità nonpuò essere considerato solo in un’accezione positiva, porta dentro, infatti,un altro archetipo: l’Ombra, ovvero il complesso delle possibilità di esi-stenza respinte dal soggetto come non proprie in quanto considerate nega-tive. L’obiettivo terapeutico non consiste, come per Freud, nel recuperodel rimosso ma nel recupero cosciente degli archetipi, promotori del pro-cesso di individuazione attraverso il veicolo dei simboli. Questi ultimiattraverso la loro funzione mediatrice fra conscio e inconscio possonooperare come agenti trasformatori dell’uomo, conducendolo ad individuarsisempre più articolatamente come un Io nella tensione verso il Sé. Poichésono strutturati secondo coppie di opposti è importante armonizzarne lafunzione e gli spazi di realtà in modo che nella psiche possano coesisterei contrari (la razionalità e l’irrazionalità, il maschile e il femminile, l’estro-versione e l’introversione, il pensiero e la sensazione, l’Io e l’Ombra ecc.)senza produrre conflitti e scissioni.

La psicologia individuale di Adler

Contrariamente a Freud e Jung l’interesse di Adler fu rivolto fin da prin-cipio non all’inconscio come rappresentante principale della dinamica psi-chica ma all’ambito della Menschenkenntnis, ovvero della conoscenza con-creta, pratica dell’individuo.

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Capitolo Secondo18

Alfred Adler nacque a Penzing, nella periferia di Vienna, nel 1870 e morì in Scozia nel1937. Trascorse la sua infanzia in campagna giacché suo padre conduceva una piccolaazienda agricola, e questo probabilmente pose le basi del suo rapporto con la natura. Silaureò in medicina nel 1895 con una specializzazione in oftalmologia. Solo dopo qualcheanno si dedicò alla psichiatria e alla psicoanalisi, fino a diventare, dopo l’incontro conFreud nel 1902, uno dei membri fondatori della Società psicoanalitica viennese. Possiamoconsiderare Adler il primo eretico della psicoanalisi: nel 1911 si dimise dalla carica dipresidente della Società psicoanalitica e fondò una propria scuola, la psicologia individua-le, che pur affrontando gli stessi problemi di Freud presenta un sistema teorico nuovo cheoffre soluzioni diverse a prescindere dall’inconscio. Mentre Freud vede la vita dell’uomoin funzione del passato, Adler la legge in funzione del suo avvenire. Le basi di tale indirizzosi trovano già nel 1907 nella sua prima opera, Studio sull’inferiorità degli organi.

Adler ritenne che il principale impulso umano fosse nel superare il sen-so d’inferiorità e nella spinta alla supremazia. Il mezzo attraverso il qualesi possono realizzare questi bisogni primari e vivere in una condizione disalute mentale, si concretizza nelle relazioni con i pari e non nei rapportiarcaici con i propri genitori. Secondo la sua teoria ogni individuo istintiva-mente si percepisce inferiore e, per superare quest’angoscia di base e rag-giungere un sano funzionamento psichico, deve procedere alla realizzazio-ne di un processo che si articola in tre fasi:

— compensare i sentimenti di inferiorità;— tendere verso la superiorità;— creare un sé completo.

L’individuo partendo da una condizione di inferiorità, interna alla suadimensione ontologica, è destinato o a sviluppare una nevrosi o a organiz-zarsi in uno stile caratteriale improntato alla compensazione. I sentimenti diinferiorità, originati da mancanze reali o immaginative, danno luogo a «com-portamenti fittizi» ma possono essere compensati, autonomamente o con ilsupporto dello psicologo clinico, attraverso i rapporti positivi con gli altriche si articolano su tre settori: le relazioni stabili e soddisfacenti in coppia,nell’amicizia e nel settore lavorativo inserite in una dinamica che prevede losviluppo del coraggio di fronteggiare le continue spinte all’adattamento. Inquesto primo processo di compensazione è in embrione il secondo di ten-sione alla superiorità che si manifesta attraverso lo sviluppo di uno stile divita che consenta di cercare nuove esperienze e nuovi stimoli che diverran-no la base per le proprie relazioni. Questi due processi contemporaneamen-te contribuiscono alla nascita del Sé creativo e si sviluppano attraverso la

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19Modelli teorici del funzionamento psichico

sua lente. «Il Sé creativo dà significato alla vita; è il principio attivo dellavita umana e non differisce dal vecchio concetto di anima» (Hall, Lindzey,1966). Il compito del terapeuta consiste molto spesso nel ricostruire il con-tatto perduto con il sociale attraverso un atteggiamento relazionale di baseche si costruisce sul protomentale dell’incoraggiamento. Quindi il lavoroclinico non si costruisce come per Freud e Jung sull’elaborazione del tran-sfert e del controtransfert ma sulla ridefinizione della personalità individua-le a livello relazionale, percettivo, emotivo e cognitivo.

B) Teorie dell’auto-realizzazione

Le teorie dell’auto-realizzazione focalizzano l’attenzione sullo sviluppodi capacità che incrementino gli aspetti positivi di se stessi come l’accetta-zione di sé e degli altri, la rivalutazione costruttiva delle proprie idee, l’au-tenticità, la spontaneità e l’apertura a tutte le esperienze. Allport nel 1961riteneva che l’obiettivo dell’individuo maturo si identificasse con la ricercacostante di obiettivi di avanzamento personale in qualsiasi ambito della vita.Alla base della sua teorizzazione vi sono i concetti di Proprio e di autono-mia funzionale. Il primo comprende tutti gli aspetti della personalità checontribuiscono alla sua unità tra i quali troviamo: il senso del corpo, l’iden-tità di sé, la valorizzazione dell’Io e la sua espansione, l’attività razionale eil conoscere, infine l’immagine di sé. Il secondo ha lo scopo di differenziareil comportamento dell’adulto da quello del bambino, in tal senso per Allportlo sviluppo umano si identifica con l’autonomia funzionale ovvero con l’in-dipendenza del comportamento dallo stimolo originario. Il valore dell’indi-vidualità si costruisce sul presente. Nello stesso anno Rogers affermava cheun buon funzionamento psichico dipende dalla volontà di essere autentico edalla fiducia di base negli altri. Maslow nel 1968 asseriva che l’individuonel corso della vita deve soddisfare quattro bisogni fondamentali:

— fisiologici;— psicologici;— relazionali;— di autostima.

In seguito al soddisfacimento di tutti questi bisogni il soggetto può per-seguire l’auto-realizzazione, che non propone una meta prestabilita o fissama consiste in un processo continuo dell’essere che consente all’individuodi integrare i diversi aspetti della vita psicologica e sociale. Le persone con

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Capitolo Secondo20

un buon grado di auto-realizzazione hanno migliori capacità di adattamentoe sviluppano caratteristiche peculiari come la capacità di circondarsi di po-che ma significative persone, l’autonomia nel giudizio e l’indipendenza inambito relazionale e sociale, una obiettiva capacità di percezione di se stessie degli altri, una buona capacità di ploblem solving ecc. Contrariamente alleteorie psicodinamiche che focalizzano l’attenzione sui conflitti tra istanzepsichiche interne alla struttura di personalità, le teorie dell’auto-realizza-zione esaminano il buon funzionamento di processi funzionali al bisognoprincipale dell’uomo, l’incremento dei propri aspetti positivi. Se tale biso-gno viene frustrato si genera nell’individuo un complesso di inferiorità e unsentimento di fragilità e abbandono, alla base di stati di sofferenza psichicadi gravità variabile.

C) Teorie dell’apprendimento sociale

Può essere utile soffermarsi con una breve riflessione su quell’insieme diteorie che individuano nell’interazione, comportamentale e cognitiva, con l’am-biente sociale e nello sviluppo dell’adattamento ad esso, il processo di forma-zione della personalità individuale che, a questo punto, possiamo identificarepiù che in un’unica teoria in un insieme di attributi, orientamenti e abilità cheogni teoria ha contribuito a evidenziare. Quest’approccio integrato è la baseper la costruzione di concettualizzazioni teorico-cliniche non parziali riguardoall’individuo specifico. Si possono menzionare tra i principali esponenti delfilone dell’apprendimento sociale: Rotter, Bandura e Mischel.

1) Rotter evidenziò che la gente si confronta con l’adattamento attraversoaspettative generalizzate, ossia regole base acquisite nel corso della vitadalla nascita per comprendere e agire nel contesto in cui si è inseriti; e lacreazione di nuove aspettative che consistono nelle previsioni soggetti-ve delle conseguenze delle possibili azioni tra le quali scegliere.

2) Bandura riscontrò il valido funzionamento psichico nel prodotto del-l’interazione continua e reciproca tra: le esperienze di apprendimentofornite dall’ambiente sociale; i processi cognitivi attraverso i quali l’in-dividuo può comprendere tali esperienze e progettarne le reazioni; i com-portamenti messi in atto per interagire o modificare l’ambiente. L’ap-prendimento per Bandura dipende da meccanismi di rinforzo e punizio-ne dell’ambiente sul soggetto, ma anche dai processi di osservazione emodellamento messi in atto dall’individuo stesso.

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21Modelli teorici del funzionamento psichico

3) Mischel mise in risalto il concetto di abilità per un buon funzionamentopsicologico. Distinse piani e sistemi auto-regolatori che rappresentanole abilità proprie della struttura di personalità che sono sottoposte a con-tinua evoluzione, e le competenze, ovvero abilità specifiche richieste dallevarie situazioni. Propose di analizzare in ambito clinico il rapporto traabilità individuali e difficoltà o impegni ambientali.

Proprio in queste teorie si ravvisa l’interesse della psicologia clinicaoltre che sulle teorie della personalità, verso le teorie dello sviluppo e del-l’adattamento umano.

3. CONCETTUALIZZAZIONI TEORICHE INTORNO ALLO SVI-LUPPO E ALL’ADATTAMENTO

L’ambito dei processi di adattamento e sviluppo costituisce un terrenoutile e necessario per la psicologia clinica, in quanto tali processi occupanoun ruolo centrale in quello più generale di mutamento che costantementeaccompagna l’uomo. Nel corso della vita l’individuo è costretto a fronteg-giare esperienze che richiedono risposte molto spesso nuove; è, cioè, incostante adattamento all’ambiente. L’adattamento, ovvero l’insieme dei pro-cessi di elaborazione, messa in atto e valutazione di queste nuove risposte, ècomplesso e richiede l’interazione di più sistemi che in un lavoro sinergicosi organizzano per la costruzione di quattro sotto-processi specifici:

— fisiologici;— comportamentali;— emotivi;— cognitivi.

Ciclicamente l’individuo si trova a dover rendere stabile il proprio adat-tamento all’ambiente, si tratta di sviluppare non solo estemporanee rispostenuove ma opinioni, capacità e sentimenti nuovi oltre che costanti, affinchécontribuiscano a definirne la personalità; quindi l’individuo è posto di fron-te a veri e propri passaggi evolutivi che non può non affrontare nel percorsodall’infanzia alla quarta età.

Sia i processi di adattamento sia le transizioni evolutive spesso sonopassaggi critici per il soggetto che può sviluppare una sofferenza psicologi-ca con diversi gradi di complessità. Lo psicologo clinico in quest’ambito siinquadra come una figura di sostegno, di indagine diagnostica e di guida al

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Capitolo Secondo22

cambiamento; tra i modelli teorico-clinici principalmente utilizzati trovia-mo quello cognitivo-costruttivista. Questo sistema teorico e applicativo con-sidera l’uomo nella sua complessità e multidimensionalità e ne valuta sia icomportamenti espliciti sia i processi motivazionali e conoscitivi come illinguaggio, l’immaginazione, l’emozione ecc. Ha una base eclettica, infattila sua evoluzione storica affonda le radici in molti modelli teorici tra cuiquello della psicologia comportamentista, della psicologia dei costrutti per-sonali di Kelly, della terapia razionale emotiva di Ellis, della teoria dell’at-taccamento di Bowlby e ancora della psicologia e della scienza cognitive.

George Kelly, psicologo, matematico ed educatore, ideò la teoria della psicologia dei co-strutti personali. Nacque negli Stati Uniti, in una zona rurale del Kansas nel 1905. Nel1926 si laureò in fisica e matematica, in seguito in pedagogia all’Edimburgh University e inpsicologia nell’Iowa. Nel 1931 cominciò a lavorare come psicologo clinico, organizzandoun programma di psicologia clinica itinerante, dentro e fuori le aree rurali di Fort Hays nelKansas. La clinica viaggiante offriva i suoi servizi ad adulti e bambini attraverso psicotera-pie e consulenze. Nel 1955 pubblicò in due volumi la sua opera fondamentale The Psycho-logy of Personal Constructs, che contiene la trattazione sistematica della sua teorizzazionepsicologica, elaborata tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Il primo volume propone la suateoria della personalità dei costrutti personali, il secondo espone questioni in merito alladiagnosi clinica e alla psicoterapia. Il fulcro della sua teoria consiste nell’assunto dell’al-ternativismo costruttivo che pone l’accento sulla trasformazione soggettiva dei fatti e sulcambiamento delle persone attraverso la psicoterapia. Nel 1945-46 Kelly fu nominato Pro-fessore e direttore dell’Istituto di Psicologia Clinica alla Ohio State University. Vi rimasesino al 1965, quando ottenne la cattedra in Psicologia Teoretica alla Brandeis University.Morì nel 1967.

Rifacendoci alle teorie stadiali di Piaget ed Erikson possiamo eviden-ziare, integrandole, tra i vari passaggi evolutivi almeno cinque momentidurante i quali lo sviluppo è fortemente critico:

— l’infanzia;— la fanciullezza;— l’adolescenza;— l’età adulta;— la tarda età.

Ognuno di questi momenti presenta specifiche difficoltà a proprio cari-co. Durante l’infanzia (grossomodo fino ai due anni), ad esempio, il pro-cesso di adattamento nel bambino è costantemente attivo, le cose da appren-

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23Modelli teorici del funzionamento psichico

dere sono innumerevoli e a tal fine l’interazione con l’ambiente è regolatada diversi compiti evolutivi, tra i quali l’esplorazione, l’emozione, la grati-ficazione, la percezione degli effetti delle proprie azioni sul mondo e il con-trollo. Studiosi come Bowlby e Winnicott considerano la prima infanzia unperiodo cruciale per lo sviluppo di una fiducia di base in sé stessi e neglialtri, questa risulta di fondamentale importanza nella capacità di agire conefficienza e di giocare oltre che nella possibilità di costruire un atteggia-mento fiducioso e concreto. Il fallimento dei compiti evolutivi, in questafase, si manifesterà nell’adulto o già nel bambino con disparate forme chevanno dal ritardo nello sviluppo cognitivo a sentimenti di dubbio, vergognao inferiorità, da sentimenti di ambivalenza verso di sé e verso le figure si-gnificative a modalità emotive rigide ecc. La portata di tali problematichedello sviluppo delineerà le forme della sofferenza psichica dell’individuo.

John Bowlby nacque a Londra il 26 febbraio 1907. Si laureò in scienze precliniche e psico-logia e, piuttosto che continuare a studiare medicina clinica, si dedicò al lavoro in unascuola all’avanguardia per bambini disadattati, che gli fornì la possibilità di fare due tipi diesperienze che avrebbero influenzato nettamente il corso della sua vita professionale. Laprima fu l’incontro con i bambini con problemi psichici, nel corso della quale scoprì dipoter comunicare con loro e ipotizzò che le loro difficoltà potevano essere in relazione conloro storia personale, spesso problematica e frammentata. La seconda fu l’incontro conJohn Alford, il quale consigliò a Bowlby di recarsi a Londra per seguire il training di psico-analista. E infatti nel 1920 Bowlby tornò a Londra, dove concluse gli studi medici pressol’University College Hospital e frequentò il tirocinio in psichiatria degli adulti. Nel 1936 fuassegnato alla Child Guidance Clinic di Londra, fino al 1940, anno in cui diventò psichiatradell’esercito britannico con l’incarico di apportare alla selezione degli ufficiali una basescientifica. Pochi anni dopo a Bowlby fu affidato il compito di sviluppare un dipartimentoinfantile presso la prestigiosa Tavistock Clinic di Londra, e qui affiancò all’attività clinicaquella di formazione e di ricerca. Nel 1950 elaborò uno studio sulla salute mentale deibambini privati della loro famiglia. Tra il 1964 e il 1979 Bowlby intraprese la stesura dellasua imponente trilogia: Attaccamento (1969), Separazione (1973) e Perdita (1980). Nel1980 furono raccolte in Costituzione e rottura dei legami affettivi e in Una base sicura lesue conferenze, tenute all’University College of London. Pochi mesi prima della sua mor-te, nel 1990, uscì il suo ultimo libro: una psicobiografia su Darwin.

Nel corso della fanciullezza (orientativamente dai 2 agli 11 anni) ritro-viamo alcuni elementi dell’infanzia ai quali si aggiungono nuovi compitiche richiedono ulteriori esperienze di apprendimento e nuove abilità. In questafase il bambino è messo di fronte alla possibilità, soprattutto attraverso ilgioco, di compiere delle scelte e prendere l’iniziativa, sviluppa interesse per

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Capitolo Secondo24

le relazioni interpersonali uscendo così dalla modalità del «pensiero ego-centrico» (Piaget), impara a riconoscere i propri sentimenti e, come sugge-risce Erikson, impegnandosi in diversi ruoli sociali comincia ad aumentarela complessità del sé. Qui si sviluppa, ammesso che non si incappi in intop-pi evolutivi, la capacità di pensare in modo logico e sistematico che permet-terà di sviluppare il senso di autonomia e la capacità di confrontarsi conl’esterno. Molti autori concordano nell’attribuire al periodo dell’adolescen-za il compito evolutivo della formazione di un’identità stabile e, come sot-tolinea Ruggieri, flessibile. Si intuiscono la complessità e la delicatezza diquesta fase, che costituisce un supporto decisivo per la costruzione di unostabile benessere psicologico per l’individuo. Interessante evidenziare il ruolodello psicologo clinico durante il periodo adolescenziale che, oltre a poteressere presente nello specifico dei meccanismi di costruzione dell’identità,qualora venisse contattato, può intervenire in diversi ambiti per far sì chel’adolescente, la famiglia e la scuola funzionino armoniosamente e concor-rano in maniera positiva allo sviluppo del giovane individuo. Il compitoevolutivo fondamentale dell’età adulta consiste nel senso della generativitàche riguarda problemi relativi al senso di sé e degli scopi della propria vita.Domande che spesso destabilizzano l’individuo apportando un senso di an-sia apparentemente ingiustificata che può sfociare in una forte confusionebloccante o nella moltitudine dell’eventualità psicopatologica.

La tarda età è caratterizzata da cambiamenti fisiologici e sociali cheimpongono all’individuo una nuova serie di adattamenti. Alcuni studiosiindividuano in questa fase il compito evolutivo di costruire una piena accet-tazione di sé, valorizzando la dimensione temporale della memoria; altrifocalizzano l’attenzione sulla capacità di sviluppare una prospettiva matu-ra sulla morte. Il ruolo dello psicologo clinico nell’intervento su un indivi-duo in tarda età si configura nel sostegno volto alla creazione di un ambien-te che favorisca questi due processi e che allontani la possibilità di intensi-ficare sentimenti di isolamento e di disperazione. Alla luce di quanto appe-na evidenziato è naturale trarre la conclusione che la prassi clinica prevedeindiscutibilmente l’analisi del livello evolutivo del proprio paziente pren-dendo in esame tutti gli aspetti pertinenti a tale livello nelle dimensioni com-portamentale e relazionale sia consce sia inconsce. Così concepita, la sferaevolutiva offre allo psicologo clinico un valido sostegno e un ampio campod’indagine riguardo all’individuo, oltretutto avalla le sue doti o capacitàempatiche, presupposto necessario per entrare in contatto e quindi in comu-