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MACCHINE AGRICOLE NEL PASSATO e OGGI- VARESE E DINTORNI

“ MACCHINE AGRICOLE NEL PASSATO e OGGI- VARESE E DINTORNI ”

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“MACCHINE AGRICOLE NEL PASSATO e OGGI- VARESE E DINTORNI”

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“IL TRATTORE”

Il trattore è nato nel lontano 1889 negli Stati Uniti, i primi modelli erano poco maneggevoli e molto pesanti. I primi trattori agricoli furono i locomobili a vapore, successivamente i trattori a testa calda, i trattori diesel fino ad arrivare ai trattori di oggi. Il "testa calda" è un motore endotermico monocilindrico ad iniezione, così detto perché l'accensione è ottenuta mediante l'utilizzo di una superficie rovente, la testata. In pratica si scalda il prominente “muso” del trattore, utilizzando una fiamma alimentata con petrolio o benzina, o più spesso un bruciatore a gas liquido. Erano,inoltre,mezzi molto robusti che non necessitavano di molta manutenzione: erano di bassa potenza, massimo 35cv ma per i lavori che venivano impiegati erano più che sufficienti.

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“I CARRI”I carri da trasporto hanno un’origine antichissima, infatti fecero la loro comparsa poco dopo la scoperta della ruota quindi intorno al 3000 a.C. Inizialmente erano a due ruote,costruiti quasi totalmente in legno e venivano trainati con la forza umana. In età del Bronzo fecero la loro comparsa anche i carri a trazione animale con due oppure quattro ruote. Un’invenzione molte importante in questo periodo è stata l’applicazione dell’apparato sterzante, la cosiddetta ralla, che venne applicate all’asse anteriore del carro. Nelle nostre zone,fino ai primi decenni del ‘900 si utilizzava proprio quest’ultima tecnica, in quanto ogni famiglia possedeva una stalla con animali adibiti al trasporto.

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“LE MIETITREBBIE”Fino a qualche decennio fa le giornate dedicate alla trebbiatura erano un momento fondamentale nella vita delle comunità. Protagonista di questi eventi è stata per tanti anni la “trebbiatrice”. Esternamente essa si presentava come una grande cassa di legno montata su un carro a quattro ruote della lunghezza di circa sei o sette metri e che spiccava per il suo brillante colore arancione, (almeno finché era nuova) dai suoi lati sporgevano degli assi sui quali erano montate delle pulegge, il tutto era azionato da un motore il quale poteva essere una macchina a vapore o un trattore oppure un motore elettrico. In questa macchina venivano introdotti i covoni di cereali, (grano, orzo, segale, avena ecc.) e dalle varie uscite veniva fuori paglia, pula e il prezioso seme. La grande svolta si è avuta con l’invenzione di motori che sviluppavano energia meccanica sufficiente ad azionare le macchine trebbiatrici che via, via diventavano sempre più complesse ed efficienti.

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“L’ARATRO”I primi aratri erano costituiti da una struttura portante un bastone di legno verticale, trainata sul terreno per praticare una incisione. Successivamente furono sviluppati gli aratri a versoio, in grado di capovolgere il terreno in un passaggio per seppellire le erbacce e i resti della precedente coltura e portare in superficie i nutrienti percolati in profondità a causa delle piogge. Questo tipo di aratro poteva funzionare anche sui terreni bagnati, poiché l'acqua veniva drenata dal solco prodotto. Il tutto veniva effettuato con trazione animale dall’età del Neolitico fino ai primi del ‘900. Successivamente la trazione animale fu sostituita dalla trazione meccanica, il trattore che risultava molto più confortevole con un minor impiego di tempo.

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“LA SEMINATRICE”Le vecchie seminatrici fecero il loro ingresso in agricoltura intorno ai primi del ‘900 : prima la semina avveniva manualmente o meglio definita come “a spaglio” . Erano essenzialmente formate da un gruppo portante di legno nella cui parte superiore vi era il serbatoio per i semi, ai lati erano posizionate le due grosse ruote in legno che permettevano agli ingranaggi di far scorrere i chicchi nei convogliatori inferiori, collocati tra due ruote ferrate che avevano il compito di aprire il solco per la corretta deposizione del seme.

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“LE FALCIATRICI”Una delle prime falciatrici in assoluto in Italia venne prodotta in una piccola officina di Abbiategrasso , la mitica BCS. Al proprietario dell’azienda , il signor Luigi Castoldi , venne l’idea di progettare e costruire una motofalciatrice semovente dotata di un motore a scoppio di bassa potenza supportato da un telaio auto-portante dove sono ospitati anche la trasmissione ed il sistema di taglio: nasce così la MF 243, che rappresenta un’autentica rivoluzione nel panorama agricolo del tempo sia per la sua enorme capacità produttiva che per il concreto miglioramento della vita dei contadini non più obbligati a faticose giornate di falciatura manuale.

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“I RANGHINAT

ORI”I ranghinatori hanno fatto il loro debutto intorno agli anni ‘60. Prima di loro, la raccolte del fieno in andane era svolta totalmente a meno dalle donne e dai ragazzi che passavano ore e ore sotto il sole cocente dell’estate con un misero rastrello tra le mani. Con l’invenzione dei ranghinatori e successivamente dei motoranghinatori il lavoro divenne molto più semplice: erano formati da una struttura molto semplice di metallo portato su due ruote posteriori. Al centro vi era il sistema di raccolta del fieno , l’aspo, formato da quattro o più sbarre con dei denti sempre di metallo: il suo movimento era determinato dal moto delle ruote. Il ranghinatore era trainato dai primi trattori.

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“LE PRESSE PER FIENO(IMBALLATRICI)”

Nella pressa imballatrice parallelepipeda, il raccoglitore, l'alimentatore, il dispositivo di compressione ed il legatore sono portati da un telaio poggiante su due ruote gommate, il quale è trainato dalla trattrice. Le imballatrici sono dotate di barra di traino che viene spostata durante la fase di lavoro e di un ruotino che consente di scaricare a terra il peso della macchina durante il superamento di ostacoli quali fossi, cunette, ed altro. L’albero cardanico, che trasmette il moto della presa di potenza al volano dello stantuffo, è dotato di una ruota libera. ll volano, indispensabile per accumulare l’energia richiesta dallo stantuffo nella fase di compressione, è dotato di un bullone di sicurezza a rottura. Il raccoglitore del foraggio, nella maggioranza dei casi, è formato da un tamburo a denti retrattili. In alcuni casi si possono avere raccoglitori costituiti da un tappeto a denti elastici.In entrambi i casi sopra descritti, il raccoglitore poggia al suolo mediante slitta o ruotine regolabili in altezza ed è collegato al corpo della macchina mediante snodi o molle in modo da seguire le ineguaglianze del terreno. L'ingresso del foraggio nella camera di compressione avviene lateralmente mediante una coclea o un infaldatore a forche . La divergenza delle pareti della camera è regolata manualmente o automaticamente in modo da realizzare la densità voluta . La legatura avviene generalmente a spago. Tutte le imballatrici sono munite, all'uscita della camera di compressione, di scivoli per il deposito delle balle a terra posteriormente o lateralmente, oppure per consentire il carico sul rimorchio che segue.

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I lavori della terra IN AREA PREALPINAL'attività nei campi rappresentava il nucleo attorno al quale si articolavano le principali mansioni contadine, sebbene, nelle regioni dell'arco alpino e prealpino, le condizioni climatiche ed ambientali condizionassero i lavori della terra, a tal punto da imporre "strategie produttive miste", come l'agropastoralismo e la selvicoltura.Dovei pendii non erano troppo scoscesi, il dissodamento e lo scasso del terreno si effettuavano mediante l'impiego dell'aratro, nelle zone più ripide dell'arco alpino, l'aratro non si sostituì mai completamente alla zappa o alla vanga. La mietitura - Nelle regioni montuose, dove sovente i campi erano di dimensioni ridotte, la mietitura si strutturava come attività collettiva, che coinvolgeva uomini e donne. Laddove le estensioni dei terreni erano maggiori, era praticata l'assunzione di braccianti per tutto il periodo della raccolta. I mietitori operavano spesso in squadre, composte da un numero di lavoranti variabile in relazione all'estensione del campo. La raccolta I culmi, dopo la mietitura, erano disposti in lunghe file (andane) oppure raccolti in mucchi di modeste dimensioni che erano in seguito raggruppati in covoni. Questi venivano legati con paglia o legacci, i covoni venivano successivamente trasferiti sotto le tettoie della casa o del granaio. Mentre nelle valli più basse la tendenza era quella di lasciarli ad essiccare per alcuni giorni sul campo, per poi trasportarli nell'aia o in appositi luoghi (granaio, fienile,ecc.) dove erano conservati fino alla trebbiaturaLa trebbiatura Questa avrebbe potuto essere all'aperto ( aia,cortile, corte, spiazzo) oppure in un ambiente chiuso, nel fienile o nella casa. La trebbiatura consentiva la separazione delle cariossidi (frutto secco) dalla paglia e dalla loppa (pula - involucri del seme) e poteva essere effettuata manualmente, mediante bastoni e correggiati, oppure con pietre e tronchi d'albero scanalati (rulli) a traino animale.La pulitura Si procedeva, inizialmente, alla rimozione della paglia mediante l'uso di particolari rastrelli. Quindi le granaglie venivano raccolte in un mucchio per consentirne la completa spulatura, ovvero la separazione della pula e delle impurità dai chicchi che poteva avvenire per mezzo di due procedimenti differenti:I) per ventilazione,lanciando in aria le granaglie mediante l'utilizzo di un ventilabro. Il gesto consentiva la separazione delle parti leggere (impurità) da quelle pesanti (chicchi).II) per crivellazione, vale a dire scuotendo le granaglie in una sorta di setaccio ad intreccio più o meno rado (crivello). (tratto da: http://www.museo.brinzio.va.it/