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28 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 13 AGOSTO 2017 n. 216 Arte tivoli / bella scoperta Villa Adriana per maggiordomi Nei quartieri che si credevano destinati alla servitù sono emersi i resti delle lussuose residenze dei funzionari di corte di Cinzia Dal Maso A ppartamenti di lusso con bei pavimenti a mosaico, superbe pitture alle pareti e sui soffitti, e ricchi giardini abbelliti da fontane. Dun- que abitazioni per funzio- nari di corte, o comunque amministratori che seguivano l’imperatore Adriano quan- do si trasferiva nella sua residenza subur- bana, o vi risiedevano anche in sua assen- za. È sorprendente quanto sta venendo alla luce a Villa Adriana grazie agli scavi diretti dal 2014 da Francesco de Angelis della Co- lumbia University e Marco Maiuro, già alla Columbia e ora alla Sapienza di Roma. Tanto più sorprendente se si pensa che fi- nora in quella zona centrale della Villa de- nominata il Macchiozzo, posta su un’alta terrazza mai scavata prima, si credeva ci fossero i quartieri della servitù e le cucine. Perché è un’area facilmente raggiungibile da tutti i padiglioni principali della Villa e dunque perfetta per le attività di servizio. Ora però dovremo cambiare idea e ripen- sare le ipotesi sul funzionamento delle at- tività nella villa stessa. Il tutto grazie a un progetto di ricerca che si prefigge di indagare nella Villa proprio la vita quotidiana della gente comune, le in- terazioni sociali, gli spazi destinati ai ceti meno abbienti, i dintorni della Villa e il suo utilizzo dopo Adriano: in breve tutto ciò che, a Villa Adriana, va oltre l’imperatore stesso. «Dobbiamo immaginare un luogo che, se in assenza dell’imperatore poteva essere gestito da qualche centinaio di per- sone, poi, quando Adriano vi risiedeva, ne doveva ospitare diverse migliaia. Ci siamo chiesti come vivevano» racconta Maiuro. E mostra le abitazioni venute alla luce, co- struite secondo una tipologia edilizia dif- fusa in età adrianea e riscontrabile anche a Ostia: «Case diverse dalla tipica domus pompeiana, con le stanze non convergenti in un cortile centrale ma aperte verso l’esterno. È un concetto di abitazione già moderno: abitazioni più modeste di quelle degli aristocratici più ricchi, ma ugual- mente confortevoli e lussuose». Maiuro mostra poi le pareti affrescate conservatesi fino a un’altezza di 1,80 metri, e parla di soffitti crollati ma trovati in loco nella loro interezza, e di metri e metri qua- drati di affreschi ora in frammenti. Li ve- dremo anche noi, poco dopo, al laboratorio installato nel Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli: tavoli immensi dove un’équipe di esperti italiani e dell’ cole française di Ro- ma ricompone i frammenti in giganteschi puzzle, così che motivi floreali, maschere, grifoni, sfingi riprendono mirabilmente vita. È un colpo d’occhio fantastico. «Se escludiamo Ostia, sono tra le poche pitture a noi giunte delle epoche successive a Pom- pei», ricorda de Angelis. E non sono sole. La campagna di scavi di quest’anno, appena conclusa, ha portato alla luce un altro edificio (un’abitazione?) con stanze affacciate su un cortile centrale, anch’esse ricche di mosaici. L’edificio pos- siede anche una parte termale e una strana vasca impermeabilizzata dove sono stati trovati – gettati lì chissà perché – oggetti raffinati come un tondo di marmo lavorato a rilievo e un cratere neo-attico. «Bellezza per tutti, non solo per l’imperatore. E bel- lezza che è anche funzionale. Proprio come lo Jugendstil», osserva il neo-direttore dei monumenti di Tivoli Andrea Bruciati, esperto d’arte contemporanea calatosi con grande impegno tra le antichità. Bellezza che, inoltre, ha continuato a rimanere in uso ben oltre Adriano fino almeno alla se- conda metà del IV secolo, come hanno rive- lato le monete lì trovate. Ma della vita in villa “dopo Adriano” par- lano anche i moltissimi frammenti di mar- mo trovati nell’altra area dove scava l’équi- pe della Columbia/Sapienza, il Larario, cioè il tempio dove tutti veneravano gli an- tenati dell’imperatore. Provenienti da vari settori della villa, i marmi furono depositati lì nel tardo Medioevo per venire destinati poi alle chiese e ai palazzi di Tivoli e di Ro- ma. E catalogandoli, sono stati identificati pezzi di altri edifici sinora ignoti, collocati chissà dove nella Villa. Insomma le scoper- te si susseguono e gettano nuova luce e nuovi interrogativi sul monumento. È il bello della ricerca. Mentre altri filoni del progetto indagano gli archivi per meglio capire quanto gli edifici della villa abbiano influenzato gli architetti dei secoli succes- sivi, o studiano il gruppo scultoreo di Scilla che decorava il Canopo e giunto a noi in frammenti, per proporne una nuova rico- struzione. È insomma un programma di ricerca ambizioso e complesso che coinvolge ar- cheologi, restauratori, storici dell’arte, storici della fortuna dell’antico, architetti, e spazia in vari direzioni, tutte finalizzate a «decolonizzare la villa da quell’aura reto- rica che l’ha resa di fatto “non studiabile”», come osserva Maiuro. È però anche un progetto didattico molto strutturato che ogni anno porta per un mese a Villa Adria- na studenti, specie statunitensi e italiani (quest’anno circa cinquanta), per un’espe- rienza intensissima di scavo, visite e lezio- ni di grandi specialisti. Proprio per questo ha ottenuto sin dall’inizio il sostegno fi- nanziario e organizzativo del Centro inte- runiversitario di formazione internazio- nale (H2CU) della Sapienza di Roma e del- l’Italian Academy della Columbia Univer- sity, istituzioni che favoriscono per l’appunto lo sviluppo di programmi di ri- cerca congiunti tra ricercatori italiani e d’oltreoceano. E alla fine forse anche i visi- tatori, passeggiando per i viali di Villa Adriana, riusciranno a immaginarvi la vita vera, della gente comune, per secoli e seco- li, e non più solo l’estemporaneo capriccio di un grande imperatore. © RIPRODUZIONE RISERVATA frammenti di bellezza | «Grifoni rossi su fondo giallo», frammento di decorazione parietale proveniente dagli scavi a Villa Adriana di Tivoli calendart/italia a cura di Marina Mojana _ Mestre (Venezia) Al Muve Mestre - Centro Culturale Candiani (Piazzale Candiani 7; www.candiani.comune.venezia.it) fino al 5 novembre Attorno alla Pop Art nella Sonnabend Collection. Da Johns e Rauschenberg a Warhol e Lichtenstein e a Koons; oltre 40 capolavori - dal 2012 in deposito a lungo termine presso la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro – illustrano gli straordinari anni ’60 in America a confronto con le opere realizzate negli stessi anni in Europa da Pistoletto, Arman, Christo, Schifano e a quelle degli autori Pop più giovani, dall’approccio più concettuale, come Koons e Steinbach. _ Milano A Palazzo Reale (Piazza Duomo 12; www.palazzoreale.it) fino al 24 settembre Giancarlo Vitali, time out. In mostra 188 dipinti e 11 disegni dagli anni ’40 agli ultimi inediti dell’artista lombardo Giancarlo Vitali, classe 1930; scoperto da Giovanni Testori che promosse le sue nature morte, i ritratti e le scene di vita quotidiana. _ Verbania A Villa Giulia di Pallanza (Via Vittorio Veneto; www.verbaniamilleventi.org) fino al 15 settembre Mostra Galeotta; l’associazione non profit «Artisti dentro» promuove un confronto tra decine di cartoline artistiche realizzate da alcuni carcerati con quattro grandi paesaggi del pittore olandese Pieter Mulier il Giovane, detto “Il Tempesta” (1637-1701), che nel 1679 fu condannato a vent’anni di prigione, come mandante dell’omicidio della moglie. © RIPRODUZIONE RISERVATA calendart/estero a cura di Marina Mojana _ Bruxelles Al Musée d’Ixelles (Rue Jean Van Volsen 71; www.museedixelles.irisnet.be) fino al 24 settembre From China to Taiwan; in mostra i lavori di 16 pittori dissidenti, pionieri dell’astrattismo cinese fra 1955 e 1985, costretti nel 1949 a trovare rifugio a Taiwan, sotto il protettorato degli Stati Uniti, perché avevano preso contatto con l’arte astratta newyorkese. L’American Library di Taipei era diventata il fulcro del movimento e qui, fra il 1956 e il 1957, nacquero due dei più interessanti movimenti artistici dell’isola: il Ton Fan fondato da otto allievi di Lee Chin-Shan e il Wuyue conosciuto come il Gruppo della Quinta Luna. _ Francoforte Allo Schirn Kunsthalle (Romerberg 6; www.schirn.de) fino al 3 settembre, Peter Saul; antologica di 60 lavori, dagli anni 50 a oggi, dell’artista pop californiano, classe 1934. _ Kassel Fino al 17 settembre è in corso la 14° edizione di Documenta (www.documenta14.de); la manifestazione quinquennale d’arte contemporanea internazionale occupa 35 sedi della città, irradiandosi dallo Stadtmuseum. Curata da Adam Szymczyk intende l’opera d’arte come atto politico, sociale, antropologico ed etnologico. _ Martigny Alla Fondation Gianadda (Rue de Forum 59; www.gianadda.ch) fino al 19 novembre Cézanne - Le Chant de la terre; circa 100 opere del pittore francese Paul Cézanne (1839 - 1906), tra cui 80 dipinti e circa 20 acquarelli e pastelli, raffigurano paesaggi e nature morte. © RIPRODUZIONE RISERVATA aquileia Ritratti e lussi di Palmira di  Marco Carminati C ittà delle palme, sposa del deserto, Venezia delle sabbie. In tanti modi è stata definita nei secoli la città di Palmira, sorta in un’oasi della steppa siriana a metà strada tra il Mediter- raneo e il fiume Eufrate grazie a una sor- gente che permise la crescita di ricchi giar- dini di palme. E dalle palme Palmyra ha preso il nome. E sempre dalle palme è deri- vata la fortuna della città: quest’oasi ver- deggiante fu un punto d’appoggio naturale per le carovane in transito sulle rotte com- merciali che collegavano Oriente e Occi- dente. Da Palmira passava la Via della Seta. Quando i romani crearono nel 64 a.C. la provincia di Siria, l’oasi di Palmira si avviò a configurasi come città, e si dotò nei tre se- coli della dominazione romana di apparati monumentali a dir poco fastosi. I viaggia- tori che dal deserto giungevano in vista dell’urbe dovevano restare attoniti: una di- stesa di palazzi, templi, santuari, archi e vie colonnate. E fuori le mura, s’estendeva un’intera vallata di tombe ricche di statue al loro interno. Questo spettacolare insieme è soprav- vissuto - seppur in rovina - sino ad oggi. O meglio sino al 2015 quando per Palmira è iniziata l’apocalisse della follia iconocla- sta. Il sedicente “Stato islamico” ha fatto saltare in aria una ad una le mirabili rovi- ne della città, arrivando a decapitare bar- baramente Khaled al-Asaad, l’impavido direttore generale del sito che si era rifiu- tato di lasciare il luogo e di collaborare con i terroristi. La mostra i Volti di Palmira ad Aquileia, allestita fino al 3 ottobre nel Museo Archeo- logico Nazionale di Aquileia, vuol essere innanzitutto un forte monito a non dimen- ticare la spaventosa e recentissima trage- dia vissuta dalla città. Questa di Aquileia è infatti la prima mostra in Europa dedicata a Palmira dopo le distruzioni. E si tratta della seconda tappa di quel progetto sul- l’«Archeologia ferita» che la Fondazione Aquileia - presieduta da Antonio Zanardi Landi - ha intrapreso a partire dal 2015 con la mostra dei tesori provenienti dal Bardo di Tunisi, altra istituzione gravemente col- pita dal terrorismo fondamentalista. L’esposizione di Aquileia, però, non offre solo l’occasione di meditare sulla follia di uomini nocivi, ma invita tutti a toccar con mano la meraviglia e la gran- dezza della tradizione artistica di Palmi- ra, indagando uno dei suoi aspetti più ca- ratteristici: quello della ritrattistica a de- stinazione funebre. La rassegna è curata da Marta Novello e Cristiano Tiussi, ed è stata resa possibile dalla collaborazione tra la Fondazione Aquileia e il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia-Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. L’esposizione ha potuto contare su prestiti molto importanti, concessi dal Terra Sancta Museum di Gerusalemme, dai Musei Vaticani, dai Musei Capitolini, dal Museo delle Civiltà-Collezioni di Arte Orientale «Giuseppe Tucci», dal Museo di Scultura Antica «Giovanni Barracco», dal Civico Museo Archeologico di Milano e da una collezione privata. La rassegna offre in visione sedici pezzi originari di Palmira e otto di Aquileia, tutti inseriti nell’arco temporale dal II al III seco- lo dopo Cristo. L’accostamento dei ritratti funebri di Palmira e quelli romani di Aqui- leia intende dimostrare - pur nelle distanze stilistiche - il comune sostrato culturale che legava le due città, mediante l’utilizzo di modelli di rappresentazione e formule iconografiche piuttosto affini. I romani affidavano la conservazione della memoria di un defunto di rango a una statua funebre. Le statue funebri erano spesso assai realistiche perché le fattezze del trapassato venivano riprodotte subito dopo la morte attraverso il calco del volto. Potersi permettere un ritratto funebre in pietra era certamente un segno di notevole distinzione. Ed è interessante notare che si preferiva la tipologia della “mezza statua” perché questa offriva il vantaggio di mette- re bene in evidenza gli abiti e i monili che definivano il rango e il censo del defunto. I volti funebri di Palmira - come gli ana- loghi romani - erano dunque “prodotti i lusso” ma differivano nella collocazione. I ritratti funebri romani erano infatti de- stinati a restare all’aperto, sotto gli occhi dei passanti; i ritratti palmireni erano al contrario destinati al chiuso delle tombe, poggiati entro nicchie predisposte. Rile- vanti differenze tra Palmira e Aquileia si registrano anche nelle fogge degli abiti e nelle accociature: nella citta delle palme, non v’è dubbio, si respirava un più evi- dente aria d’Oriente. Ma chi erano i cittadini di Palmira i cui volti sono stati immortalati nella pietra? Osservando i reperti in mostra incontria- mo ad esempio dei religiosi, riconoscibili dal modius, il copricapo tronco-conico tipi- co dei sacerdoti di Bel. Ma si ritrovano an- che commercianti e funzionari della pub- blica amministrazione, riconoscibili da fo- glietti di papiro sostenuti nella mano sini- stra (si veda il rilievo del Salamallat da Gerusalemme o quello di Makkai di colle- zione privata). Le donne palmirene aveva- no ruoli di rilievo nella società cittadina co- me dimostrano le cinque dame elegante- mente vestite e acconciate esposte in mo- stra. D’altronde bisogna ricordare che Palmira venne retta dalla leggendaria regi- na Zenobia, la sovrana che osò sfidare l’au- torità di Roma marciando sulla capitale dell’Impero. Il visitatore resta in effetti particolarmente incantato davanti all’ori- ginalità e alla ricchezza degli ornamenti delle donne palmirene, abituate a sfoggia- re più bracciali contemporaneamente, fi- bulae, diademi e anelli indossati su tutte le parti delle dita, come ci illustra il magnifico rilievo dal Museo Barracco, dove il monile è indossato sulla falangina del mignolo sini- stro. Altrettanto curioso è il pendente dello stesso rilievo, un gioiello a forma di cam- pana agganciato a un bracciale a torciglio- ne, un amuleto diffuso in tutta la Siria ro- mana. E che Palmira fosse stata un impor- tante crocevia di culture è facilmente ri- scontrabile proprio nei dettagli dell’abbigliamento delle statue: nella splendida lastra proveniente dal Museo Tucci di Roma, ad esempio, la figura fem- minile è vestita alla greca, con il chiton (tu- nica), l’himation (mantello) e un velo tratte- nuto da un diadema sul quale si vede anco- ra l’originaria policromia. La mostra i Volti di Palmira ad Aquileia è affiancata dalla rassegna fotografica Sguardi su Palmira, con foto di Elio Ciol ese- guite il 29 marzo 1996: si tratta di venti pre- ziosi scatti inediti che documentano la me- ravigliosa città prima delle devastazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA Volti di Palmira ad Aquileia, Aquileia, Museo Archeologico Nazionale, fino al 3 ottobre. Catalogo Gangemi volti palmireni | Rilievo funerario con ritratto di Batmalkû e Hairan, III secolo d.C., Roma, Museo delle Civiltà Ecco il Santuario di Romolo Sempre attenta alle scoperte archeologiche, Cinzia Dal Maso ha annunciato con un articolo del 29 novembre 2015 il ritrovamento del Santuario di Romolo: un muro ovale alle pendici del Palatino che il fondatore di Roma destinò alle riunioni dei rappresentanti dei quartieri cittadini www.archiviodomenica.ilsole24ore.com napoli Marco Petrus colora le Vele di  Pia Capelli «È tempo di riassestare lo sguardo su Napoli», scrive il regista Mario Martone: «È una città dolente in tanti suoi aspetti ma è una città viva, perciò com- batte e si trasforma». Nella mostra Matrici, al- le Gallerie d’Italia di Napoli (dentro Palazzo Zevallos Stigliano) la trasformazione di Na- poli è operata dalla pittura di Marco Petrus, artista milanese (classe 1960) che da sem- pre, con metodo rigoroso, applica alle ar- chitetture delle città un processo di stilizza- zione, di svuotamento, di riduzione a linea, luce, colore. L’operazione è qui tanto più impressio- nante in quanto protagoniste della mostra napoletana sono le Vele di Scampia, proget- tate nel 1962 da Franz Di Salvo e divenute negli anni non solo simbolo di degrado, ma oggetto di studi sociali e polemiche politi- che. Non a caso, i grandi quadri di Petrus in cui le Vele campeggiano nelle loro geome- trie purificate, sbianchite dal sole, sono stati voluti da Roberto Saviano come sfondo del- le trasmissioni di Fabio Fazio che precede- vano la messa in onda di Gomorra. Per Petrus però, artista insieme intensa- mente cerebrale e potentemente manuale, la scelta del soggetto è un discorso tutto in- terno alla pittura: le ultime architetture del suo ciclo precedente erano le unités d’habita- tion della Cité Radieuse di Le Corbusier a Marsiglia, al cui empito utopico e concetto abitativo Di Salvo si rifece. La scelta delle Vele è stata “istintiva”, dice Petrus, di un istinto visivo che procede per af- finità compositive. Ma nel frattempo il suo processo di minimalizzazione delle architet- ture sembra anche arrivato a un punto di svol- ta: «Quando mi sono accorto della forza del- l’impatto del luogo, ho cercato di evitare l’ap- proccio emotivo. Ho iniziato a inserire cubetti di colore, volumi puramente geometrici, do- ve sulle facciate vedevo macchie di colore, tendoni, muri scrostati, graffiti» spiega. Così le Vele sono uscite dal tempo e dalla dimen- sione “umana-troppo-umana” nella quale le colloca il nostro pensiero collettivo, e sono di- ventate i primi lavori di una serie in cui alla ri- conoscibilità residua dell’edificio si affianca un lavoro di sintesi ulteriore. Accanto a ogni dipinto di architettura vive infatti, estratta in una tela separata, la sua “matrice” cromatica e geometrica: un secon- do dipinto che conserva le proporzioni e le cromie della costruzione, ma le allinea secon- do un ragionamento solo compositivo. Il risultato è una serie di dittici in cui l’edifi- cio è affiancato da se stesso, in una versione “smontata” e riassemblata pittoricamente, che esprime appieno quel «germe dell’astra- zione» che Petrus ammette, e che storica- mente ha preso forza in momenti cruciali nei percorsi di molti artisti novecenteschi e con- temporanei partiti dalla figurazione. Curata da Michele Bonuomo, con un inter- vento di Martone nel catalogo Marsilio, e ab- bracciata dal “matronato” della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee vo- luto dal direttore del Madre Andrea Viliani, Matrici è una di quelle mostre nitide che pon- gono però questioni più ampie: è possibile - proprio in questi giorni di fuoco - dipingere Napoli con forme nuove, intellettualizzando- la, per così dire, invece di viscerarizzarla? Co- me si va evolvendo il rapporto tra figurazione e astrazione in pittori di generazioni diverse, attivi adesso in Italia e all’estero, che provano, riescono, a farle convivere in modi inediti - non più del tutto a loro agio nei confini della prima, ma neanche interamente sganciati dalla forme del reale? L’affrancamento da una lettura sempre binaria e definitiva dei conte- sti contemporanei, umani e artistici, sembra qui un'architettura possibile. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Petrus, Matrici. Napoli, Gallerie d’Italia, fino al 3 settembre. www.gallerieditalia.com

© RIPRODUZIONE RISERVATA Villa Adriana per maggiordomi di ... · installato nel Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli: tavoli immensi dove un’équipe di esperti italiani e dell’

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28 Il Sole 24 Ore DOMENICA - 13 AGOSTO 2017 n. 216

Arte

tivoli / bella scoperta

Villa Adriana per maggiordomiNei quartieri che si credevano destinatialla servitù sonoemersi i resti delle lussuose residenze dei funzionari di corte

di Cinzia Dal Maso

Appartamenti di lusso conbei pavimenti a mosaico,superbe pitture alle pareti esui soffitti, e ricchi giardiniabbelliti da fontane. Dun-que abitazioni per funzio-

nari di corte, o comunque amministratoriche seguivano l’imperatore Adriano quan-do si trasferiva nella sua residenza subur-bana, o vi risiedevano anche in sua assen-za. È sorprendente quanto sta venendo allaluce a Villa Adriana grazie agli scavi direttidal 2014 da Francesco de Angelis della Co-lumbia University e Marco Maiuro, già allaColumbia e ora alla Sapienza di Roma.Tanto più sorprendente se si pensa che fi-nora in quella zona centrale della Villa de-nominata il Macchiozzo, posta su un’altaterrazza mai scavata prima, si credeva cifossero i quartieri della servitù e le cucine.Perché è un’area facilmente raggiungibileda tutti i padiglioni principali della Villa edunque perfetta per le attività di servizio.Ora però dovremo cambiare idea e ripen-sare le ipotesi sul funzionamento delle at-tività nella villa stessa.

Il tutto grazie a un progetto di ricerca chesi prefigge di indagare nella Villa proprio lavita quotidiana della gente comune, le in-terazioni sociali, gli spazi destinati ai cetimeno abbienti, i dintorni della Villa e il suoutilizzo dopo Adriano: in breve tutto ciòche, a Villa Adriana, va oltre l’imperatorestesso. «Dobbiamo immaginare un luogoche, se in assenza dell’imperatore potevaessere gestito da qualche centinaio di per-sone, poi, quando Adriano vi risiedeva, nedoveva ospitare diverse migliaia. Ci siamochiesti come vivevano» racconta Maiuro. Emostra le abitazioni venute alla luce, co-struite secondo una tipologia edilizia dif-fusa in età adrianea e riscontrabile anche aOstia: «Case diverse dalla tipica domuspompeiana, con le stanze non convergentiin un cortile centrale ma aperte versol’esterno. È un concetto di abitazione giàmoderno: abitazioni più modeste di quelledegli aristocratici più ricchi, ma ugual-mente confortevoli e lussuose».

Maiuro mostra poi le pareti affrescateconservatesi fino a un’altezza di 1,80 metri,e parla di soffitti crollati ma trovati in loconella loro interezza, e di metri e metri qua-drati di affreschi ora in frammenti. Li ve-dremo anche noi, poco dopo, al laboratorioinstallato nel Santuario di Ercole Vincitorea Tivoli: tavoli immensi dove un’équipe diesperti italiani e dell’ cole française di Ro-ma ricompone i frammenti in giganteschipuzzle, così che motivi floreali, maschere,grifoni, sfingi riprendono mirabilmentevita. È un colpo d’occhio fantastico. «Seescludiamo Ostia, sono tra le poche pitturea noi giunte delle epoche successive a Pom-pei», ricorda de Angelis.

E non sono sole. La campagna di scavi diquest’anno, appena conclusa, ha portatoalla luce un altro edificio (un’abitazione?)con stanze affacciate su un cortile centrale,anch’esse ricche di mosaici. L’edificio pos-siede anche una parte termale e una stranavasca impermeabilizzata dove sono statitrovati – gettati lì chissà perché – oggettiraffinati come un tondo di marmo lavoratoa rilievo e un cratere neo-attico. «Bellezzaper tutti, non solo per l’imperatore. E bel-lezza che è anche funzionale. Proprio comelo Jugendstil», osserva il neo-direttore dei

monumenti di Tivoli Andrea Bruciati,esperto d’arte contemporanea calatosi congrande impegno tra le antichità. Bellezza che, inoltre, ha continuato a rimanere in uso ben oltre Adriano fino almeno alla se-conda metà del IV secolo, come hanno rive-lato le monete lì trovate.

Ma della vita in villa “dopo Adriano” par-lano anche i moltissimi frammenti di mar-mo trovati nell’altra area dove scava l’équi-pe della Columbia/Sapienza, il Larario, cioè il tempio dove tutti veneravano gli an-tenati dell’imperatore. Provenienti da varisettori della villa, i marmi furono depositatilì nel tardo Medioevo per venire destinatipoi alle chiese e ai palazzi di Tivoli e di Ro-ma. E catalogandoli, sono stati identificatipezzi di altri edifici sinora ignoti, collocatichissà dove nella Villa. Insomma le scoper-te si susseguono e gettano nuova luce enuovi interrogativi sul monumento. È ilbello della ricerca. Mentre altri filoni delprogetto indagano gli archivi per megliocapire quanto gli edifici della villa abbianoinfluenzato gli architetti dei secoli succes-sivi, o studiano il gruppo scultoreo di Scillache decorava il Canopo e giunto a noi inframmenti, per proporne una nuova rico-struzione.

È insomma un programma di ricercaambizioso e complesso che coinvolge ar-cheologi, restauratori, storici dell’arte,storici della fortuna dell’antico, architetti,e spazia in vari direzioni, tutte finalizzate a«decolonizzare la villa da quell’aura reto-rica che l’ha resa di fatto “non studiabile”»,come osserva Maiuro. È però anche unprogetto didattico molto strutturato cheogni anno porta per un mese a Villa Adria-na studenti, specie statunitensi e italiani(quest’anno circa cinquanta), per un’espe-rienza intensissima di scavo, visite e lezio-ni di grandi specialisti. Proprio per questoha ottenuto sin dall’inizio il sostegno fi-nanziario e organizzativo del Centro inte-runiversitario di formazione internazio-nale (H2CU) della Sapienza di Roma e del-l’Italian Academy della Columbia Univer-sity, istituzioni che favoriscono perl’appunto lo sviluppo di programmi di ri-cerca congiunti tra ricercatori italiani ed’oltreoceano. E alla fine forse anche i visi-tatori, passeggiando per i viali di VillaAdriana, riusciranno a immaginarvi la vitavera, della gente comune, per secoli e seco-li, e non più solo l’estemporaneo capricciodi un grande imperatore.

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frammenti di bellezza | «Grifoni rossi su fondo giallo», frammento di decorazione parietale proveniente dagli scavi a Villa Adriana di Tivoli

calendart/italiaa cura di Marina Mojana_ Mestre (Venezia)Al Muve Mestre - Centro Culturale Candiani (Piazzale Candiani 7; www.candiani.comune.venezia.it) fino al 5 novembre Attorno alla Pop Art nella Sonnabend Collection. Da Johns e Rauschenberg a Warhol e Lichtenstein e a Koons; oltre 40 capolavori - dal 2012 in deposito a lungo termine presso la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro – illustrano gli straordinari anni ’60 in America a

confronto con le opere realizzate negli stessi anni in Europa da Pistoletto, Arman, Christo, Schifano e a quelle degli autori Pop più giovani, dall’approccio più concettuale, come Koons e Steinbach.

_ MilanoA Palazzo Reale (Piazza Duomo 12; www.palazzoreale.it) fino al 24 settembre Giancarlo Vitali, time out. In mostra 188 dipinti e 11 disegni dagli anni ’40 agli ultimi inediti dell’artista lombardo Giancarlo Vitali, classe 1930; scoperto da Giovanni Testori che promosse le sue nature morte, i ritratti e

le scene di vita quotidiana.

_ VerbaniaA Villa Giulia di Pallanza (Via Vittorio Veneto; www.verbaniamilleventi.org) fino al 15 settembre Mostra Galeotta; l’associazione non profit «Artisti dentro» promuove un confronto tra decine di cartoline artistiche realizzate da alcuni carcerati con quattro grandi paesaggi del pittore olandese Pieter Mulier il Giovane, detto “Il Tempesta” (1637-1701), che nel 1679 fu condannato a vent’anni di prigione, come mandante dell’omicidio della moglie.

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calendart/esteroa cura di Marina Mojana_ BruxellesAl Musée d’Ixelles (Rue Jean Van Volsen 71; www.museedixelles.irisnet.be) fino al 24 settembre From China to Taiwan; in mostra i lavori di 16 pittori dissidenti, pionieri dell’astrattismo cinese fra 1955 e 1985, costretti nel 1949 a trovare rifugio a Taiwan, sotto il protettorato degli Stati Uniti, perché avevano preso contatto con l’arte astratta newyorkese. L’American Library di Taipei era diventata il fulcro del movimento e qui, fra il 1956 e il 1957, nacquero due dei più

interessanti movimenti artistici dell’isola: il Ton Fan fondato da otto allievi di Lee Chin-Shan e il Wuyue conosciuto come il Gruppo della Quinta Luna.

_ FrancoforteAllo Schirn Kunsthalle (Romerberg 6; www.schirn.de) fino al 3 settembre, Peter Saul; antologica di 60 lavori, dagli anni 50 aoggi, dell’artista pop californiano, classe 1934.

_ KasselFino al 17 settembre è in corso la 14° edizione di Documenta (www.documenta14.de); la

manifestazione quinquennale d’arte contemporanea internazionale occupa 35 sedi della città, irradiandosi dallo Stadtmuseum. Curata da Adam Szymczyk intende l’opera d’arte come atto politico, sociale, antropologico ed etnologico.

_ MartignyAlla Fondation Gianadda (Rue de Forum 59; www.gianadda.ch) fino al 19 novembre Cézanne ­ Le Chant de la terre; circa 100 opere del pittore francese Paul Cézanne (1839 - 1906), tra cui 80 dipinti e circa 20 acquarelli e pastelli, raffigurano paesaggi e nature morte.

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aquileia

Ritratti e lussidi Palmiradi Marco Carminati

C ittà delle palme, sposa del deserto,Venezia delle sabbie. In tanti modiè stata definita nei secoli la città diPalmira, sorta in un’oasi della

steppa siriana a metà strada tra il Mediter-raneo e il fiume Eufrate grazie a una sor-gente che permise la crescita di ricchi giar-dini di palme. E dalle palme Palmyra hapreso il nome. E sempre dalle palme è deri-vata la fortuna della città: quest’oasi ver-deggiante fu un punto d’appoggio naturaleper le carovane in transito sulle rotte com-merciali che collegavano Oriente e Occi-dente. Da Palmira passava la Via della Seta.

Quando i romani crearono nel 64 a.C. laprovincia di Siria, l’oasi di Palmira si avviòa configurasi come città, e si dotò nei tre se-coli della dominazione romana di apparatimonumentali a dir poco fastosi. I viaggia-tori che dal deserto giungevano in vista dell’urbe dovevano restare attoniti: una di-stesa di palazzi, templi, santuari, archi e viecolonnate. E fuori le mura, s’estendevaun’intera vallata di tombe ricche di statueal loro interno.

Questo spettacolare insieme è soprav-vissuto - seppur in rovina - sino ad oggi. Omeglio sino al 2015 quando per Palmira èiniziata l’apocalisse della follia iconocla-sta. Il sedicente “Stato islamico” ha fattosaltare in aria una ad una le mirabili rovi-ne della città, arrivando a decapitare bar-baramente Khaled al-Asaad, l’impavidodirettore generale del sito che si era rifiu-tato di lasciare il luogo e di collaborarecon i terroristi.

La mostra i Volti di Palmira ad Aquileia,allestita fino al 3 ottobre nel Museo Archeo-logico Nazionale di Aquileia, vuol essereinnanzitutto un forte monito a non dimen-ticare la spaventosa e recentissima trage-dia vissuta dalla città. Questa di Aquileia èinfatti la prima mostra in Europa dedicataa Palmira dopo le distruzioni. E si trattadella seconda tappa di quel progetto sul-l’«Archeologia ferita» che la FondazioneAquileia - presieduta da Antonio ZanardiLandi - ha intrapreso a partire dal 2015 conla mostra dei tesori provenienti dal Bardodi Tunisi, altra istituzione gravemente col-pita dal terrorismo fondamentalista.

L’esposizione di Aquileia, però, nonoffre solo l’occasione di meditare sullafollia di uomini nocivi, ma invita tutti atoccar con mano la meraviglia e la gran-dezza della tradizione artistica di Palmi-ra, indagando uno dei suoi aspetti più ca-ratteristici: quello della ritrattistica a de-stinazione funebre.

La rassegna è curata da Marta Novello eCristiano Tiussi, ed è stata resa possibiledalla collaborazione tra la FondazioneAquileia e il Polo Museale del Friuli VeneziaGiulia-Museo Archeologico Nazionale diAquileia. L’esposizione ha potuto contaresu prestiti molto importanti, concessi dal Terra Sancta Museum di Gerusalemme,dai Musei Vaticani, dai Musei Capitolini,dal Museo delle Civiltà-Collezioni di ArteOrientale «Giuseppe Tucci», dal Museo diScultura Antica «Giovanni Barracco», dalCivico Museo Archeologico di Milano e dauna collezione privata.

La rassegna offre in visione sedici pezzioriginari di Palmira e otto di Aquileia, tuttiinseriti nell’arco temporale dal II al III seco-lo dopo Cristo. L’accostamento dei ritrattifunebri di Palmira e quelli romani di Aqui-leia intende dimostrare - pur nelle distanzestilistiche - il comune sostrato culturale che legava le due città, mediante l’utilizzodi modelli di rappresentazione e formuleiconografiche piuttosto affini.

I romani affidavano la conservazionedella memoria di un defunto di rango a unastatua funebre. Le statue funebri eranospesso assai realistiche perché le fattezzedel trapassato venivano riprodotte subitodopo la morte attraverso il calco del volto.Potersi permettere un ritratto funebre in pietra era certamente un segno di notevoledistinzione. Ed è interessante notare che si

preferiva la tipologia della “mezza statua”perché questa offriva il vantaggio di mette-re bene in evidenza gli abiti e i monili chedefinivano il rango e il censo del defunto.

I volti funebri di Palmira - come gli ana-loghi romani - erano dunque “prodotti ilusso” ma differivano nella collocazione.I ritratti funebri romani erano infatti de-stinati a restare all’aperto, sotto gli occhidei passanti; i ritratti palmireni erano alcontrario destinati al chiuso delle tombe,poggiati entro nicchie predisposte. Rile-vanti differenze tra Palmira e Aquileia siregistrano anche nelle fogge degli abiti enelle accociature: nella citta delle palme,non v’è dubbio, si respirava un più evi-dente aria d’Oriente.

Ma chi erano i cittadini di Palmira i cuivolti sono stati immortalati nella pietra? Osservando i reperti in mostra incontria-mo ad esempio dei religiosi, riconoscibilidal modius, il copricapo tronco-conico tipi-co dei sacerdoti di Bel. Ma si ritrovano an-che commercianti e funzionari della pub-blica amministrazione, riconoscibili da fo-glietti di papiro sostenuti nella mano sini-stra (si veda il rilievo del Salamallat daGerusalemme o quello di Makkai di colle-zione privata). Le donne palmirene aveva-no ruoli di rilievo nella società cittadina co-me dimostrano le cinque dame elegante-mente vestite e acconciate esposte in mo-stra. D’altronde bisogna ricordare chePalmira venne retta dalla leggendaria regi-na Zenobia, la sovrana che osò sfidare l’au-torità di Roma marciando sulla capitaledell’Impero. Il visitatore resta in effetti particolarmente incantato davanti all’ori-ginalità e alla ricchezza degli ornamentidelle donne palmirene, abituate a sfoggia-re più bracciali contemporaneamente, fi­bulae, diademi e anelli indossati su tutte leparti delle dita, come ci illustra il magnificorilievo dal Museo Barracco, dove il monile èindossato sulla falangina del mignolo sini-stro. Altrettanto curioso è il pendente dellostesso rilievo, un gioiello a forma di cam-pana agganciato a un bracciale a torciglio-ne, un amuleto diffuso in tutta la Siria ro-mana. E che Palmira fosse stata un impor-tante crocevia di culture è facilmente ri-scontrabile proprio nei dettaglidell’abbigliamento delle statue: nellasplendida lastra proveniente dal MuseoTucci di Roma, ad esempio, la figura fem-minile è vestita alla greca, con il chiton (tu-nica), l’himation (mantello) e un velo tratte-nuto da un diadema sul quale si vede anco-ra l’originaria policromia.

La mostra i Volti di Palmira ad Aquileia èaffiancata dalla rassegna fotograficaSguardi su Palmira, con foto di Elio Ciol ese-guite il 29 marzo 1996: si tratta di venti pre-ziosi scatti inediti che documentano la me-ravigliosa città prima delle devastazioni.

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Volti di Palmira ad Aquileia, Aquileia, Museo Archeologico Nazionale, fino al 3 ottobre. Catalogo Gangemi

volti palmireni | Rilievo funerario con ritratto di Batmalkû e Hairan, III secolo d.C., Roma, Museo delle Civiltà

Ecco il Santuario di RomoloSempre attenta alle scoperte archeologiche, Cinzia Dal Maso ha

annunciato con un articolo del 29 novembre 2015 ilritrovamento del Santuario di Romolo: un muro ovale allependici del Palatino che il fondatore di Roma destinò alle

riunioni dei rappresentanti dei quartieri cittadiniwww.archiviodomenica.ilsole24ore.com

napoli

Marco Petrus colora le Veledi Pia Capelli

«È tempo di riassestare losguardo su Napoli», scrive ilregista Mario Martone: «Èuna città dolente in tanti

suoi aspetti ma è una città viva, perciò com-batte e si trasforma». Nella mostra Matrici, al-le Gallerie d’Italia di Napoli (dentro PalazzoZevallos Stigliano) la trasformazione di Na-poli è operata dalla pittura di Marco Petrus,artista milanese (classe 1960) che da sem-pre, con metodo rigoroso, applica alle ar-chitetture delle città un processo di stilizza-zione, di svuotamento, di riduzione a linea,luce, colore.

L’operazione è qui tanto più impressio-nante in quanto protagoniste della mostranapoletana sono le Vele di Scampia, proget-tate nel 1962 da Franz Di Salvo e divenute

negli anni non solo simbolo di degrado, maoggetto di studi sociali e polemiche politi-che. Non a caso, i grandi quadri di Petrus incui le Vele campeggiano nelle loro geome-trie purificate, sbianchite dal sole, sono stativoluti da Roberto Saviano come sfondo del-le trasmissioni di Fabio Fazio che precede-vano la messa in onda di Gomorra.

Per Petrus però, artista insieme intensa-mente cerebrale e potentemente manuale, la scelta del soggetto è un discorso tutto in-terno alla pittura: le ultime architetture delsuo ciclo precedente erano le unités d’habita­tion della Cité Radieuse di Le Corbusier a Marsiglia, al cui empito utopico e concettoabitativo Di Salvo si rifece.

La scelta delle Vele è stata “istintiva”, dicePetrus, di un istinto visivo che procede per af-finità compositive. Ma nel frattempo il suo processo di minimalizzazione delle architet-ture sembra anche arrivato a un punto di svol-ta: «Quando mi sono accorto della forza del-

l’impatto del luogo, ho cercato di evitare l’ap-proccio emotivo. Ho iniziato a inserire cubettidi colore, volumi puramente geometrici, do-ve sulle facciate vedevo macchie di colore,tendoni, muri scrostati, graffiti» spiega. Così le Vele sono uscite dal tempo e dalla dimen-sione “umana-troppo-umana” nella quale le colloca il nostro pensiero collettivo, e sono di-ventate i primi lavori di una serie in cui alla ri-conoscibilità residua dell’edificio si affianca un lavoro di sintesi ulteriore.

Accanto a ogni dipinto di architettura viveinfatti, estratta in una tela separata, la sua “matrice” cromatica e geometrica: un secon-do dipinto che conserva le proporzioni e lecromie della costruzione, ma le allinea secon-do un ragionamento solo compositivo.

Il risultato è una serie di dittici in cui l’edifi-cio è affiancato da se stesso, in una versione “smontata” e riassemblata pittoricamente, che esprime appieno quel «germe dell’astra-zione» che Petrus ammette, e che storica-

mente ha preso forza in momenti cruciali neipercorsi di molti artisti novecenteschi e con-temporanei partiti dalla figurazione.

Curata da Michele Bonuomo, con un inter-vento di Martone nel catalogo Marsilio, e ab-bracciata dal “matronato” della FondazioneDonnaregina per le Arti Contemporanee vo-luto dal direttore del Madre Andrea Viliani, Matrici è una di quelle mostre nitide che pon-gono però questioni più ampie: è possibile - proprio in questi giorni di fuoco - dipingere Napoli con forme nuove, intellettualizzando-la, per così dire, invece di viscerarizzarla? Co-me si va evolvendo il rapporto tra figurazionee astrazione in pittori di generazioni diverse, attivi adesso in Italia e all’estero, che provano,riescono, a farle convivere in modi inediti - non più del tutto a loro agio nei confini della prima, ma neanche interamente sganciati dalla forme del reale? L’affrancamento da unalettura sempre binaria e definitiva dei conte-sti contemporanei, umani e artistici, sembra qui un'architettura possibile.

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Marco Petrus, Matrici. Napoli, Gallerie d’Italia, fino al 3 settembre. www.gallerieditalia.com