279

1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1

Page 2: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

© G. B. Palumbo & C. Editore S.p.A. Palermo

Periodico semestrale

Autorizzazione del Tribunale di Palermo n. 9 del 5 febbraio 2008

Direttore• Antonio Brusa

Università di Bari

Vicedirettore• Luigi Cajani

Università «La Sapienza», Roma

Vicedirettore e direttore responsabile• Alessandro Cavalli

Università di Pavia

Segreteria di redazione• Maria Angela Binetti

[email protected]

Art Director• Federica Giovannini

Redazione• Vincenzo Barbarotta • Maria Angela Binetti • Giancarlo Biscardi

Progetto grafico Federica GiovanniniImpaginazione Fotocomp - PalermoStampa Luxograph s.r.l. - Palermo

Amministrazione e pubblicitàvia B. Ricasoli, 59 - 90193 Palermotel. 091 588850fax 091 6111848

Abbonamento annuo:Italia ! 45,00Estero ! 60,00

Prezzo di un singolo fascicolo:Italia ! 25,00Estero ! 35,00

Annate e fascicoli arretrati costano il doppio

CCP 16271900 intestato a: G.B. Palumbo & C. Editore S.p.A. Periodici - Palermo

Per l’abbonamento on-line consultare il sitowww.palumboeditore.it

L’Editore ha cercato di reperire tutte le fonti delleillustrazioni, ma alcune restano sconosciute.L’Editore porrà rimedio, in caso di segnalazione, alleinvolontarie omissioni e agli errori nei riferimenti.

Referee• François Audigier

Università di Ginevra• Anna Beltrametti

Università di Pavia• Jerry Bentley

Università delle Hawaii, Honolulu• Yang Biao

Università di Shanghai• Marcello De Cecco

Scuola Normale Superiore, Pisa• Tommaso Detti

Università di Siena• Patrick J. Geary

Università della California, Los Angeles• Marat M. Gibatdinov

Institute of History Academy of Sciences of Tatarstan, Kazan

• Vincenzo GuarrasiUniversità di Palermo

• Charles HeimbergUniversità di Ginevra

• Mostafa Hassani IdrissiUniversità di Rabat

• Teresa IsenburgUniversità di Milano

• Lutz KlinkhammerDeutsches Historisches Institut, Roma

• Christian LavilleUniversità Laval, Québec

• Mario LiveraniUniversità «La Sapienza», Roma

• Paolo MalanimaIstituto per la Storia del Mediterraneo, Napoli

• Arnaldo MarconeUniversità di Udine

• Henri MoniotUniversité Paris 7

• Massimo MontanariUniversità di Bologna

• Eyal NavehUniversità di Tel Aviv

• Falk PingelGeorg-Eckert-Institut, Braunschweig

• Francesco RemottiUniversità di Torino

• Maria RepousiUniversità di Salonicco

• Saverio RussoUniversità di Foggia

• Alberto SalzaMuseo di Etnografia ed Antropologiadell’Università di Torino e National Museumsdel Kenya

• Giuseppe SergiUniversità di Torino

• Rafael VallsUniversità di Valencia

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 2

Page 3: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

rivista semestrale

anno I

numero 2

luglio-dicembre 2008

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 3

Page 4: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

4

mundusnumero2sommario6 Editoriale

Alessandro Cavalli

10 «Embedded» Terreno umano Alberto Salza13 CORRIMANO Scuola di guerra

Antonio Pietra16 Forum. L’occasione democratica dell’educazione alla cittadinanza

a cura di Alessandro Cavalli26 Le manipolazioni del passato di Nicolas Sarkozy

Charles Heimberg27 CORRIMANO Garibaldi. Revisionismi ferragostani di un mito risorgimentale

Francesco Buscemi34 Le competenze disciplinari nel nuovo curricolo austriaco di storia ed educazione civica

Christoph Kühberger37 CORRIMANO Radici cristiane e scuola in Alto Adige

Milena Cossetto38 Un possibile futuro per la formazione degli insegnanti di storia

Gaetano Greco39 CORRIMANO Gli storici moderni propongono un curricolo per la scuola

Walter Panciera45 SOS geografia

Cristiano Giorda

50 1 Una memoria d’Europa. Sulle rappresentazioni dell’Olocausto nel cinema europeo Paolo Jedlowsky

59 2 Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica: approcci teorici e ricercaempirica Maria Grever e Nicole Tutiaux-Guillon

74 3 Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine? Huub Kurstjens

89 4 La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX Gianni Di Pietro

104 LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE a cura di Luigi Cajani106 La rivoluzione industriale non è più quella di un tempo

Luigi Cajani

L’ampliamento degli orizzonti storiografici108 1 La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

Tommaso Detti120 2 La rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

Salvatore Ciriacono132 3 Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Paolo Malanima146 4 La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

Paolo Malanima

I luoghi dell’industrializzazione italiana158 5 L’industria a Bolzano 1848-1948

Pietro Umberto Fogale165 6 Dove l’uomo lavorò il ferro. Il sistema museale della Valle Trompia

Franco Ghigini

memunduseditoriale

mqmundusquestioni

mrmundusricerche

mdmundusdossier

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 4

Page 5: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

5

172 7 Il villaggio operaio di Crespi d’Adda Luigi Cortesi

Dalla fabbrica al museo182 8 La centrale Montemartini di Roma

Gabriella Gnetti

192 1 «Podcasting» e «Second Life»: dall’ascolto alla creazione in alcuni corsi universitari di storia Enrica Salvatori

199 2 Passato sullo schermo. Nuova vita didattica dei documentari storici Simona Bani

207 3 Educare al patrimonio. Il Laboratorio del Centro di Documentazione Storico Etnografica Alessia Cecconi

216 4 La scommessa del «giallo» Manuela Bocchino

222 Mediterraneo: il Mare in mezzo al Mondo Fabio Fiore, Luigi Tiné

227 Il Medioevo con il manuale Chiara di Fruscia

229 Educare all’antico. Esperienze, metodi, prospettive Laura Rizzo

231 Barbari reali e Barbari inventati. Una mostra a Venezia Laura Rizzo

234 Lo storico digitale tra formazione e didattica Serge Noiret

239 Il Concorso Eustory 2008 Alessandro Cavalli

240 L’insegnamento della storia e della geografia in chiave interculturale Giovanna Cipollari

242 Raccontare la storia della nostra evoluzione Lucio Milani, Jacopo Moggi Cecchi

244 1 Insegnare il passato violento [ Antonio Brusa, Marita Rampazi, Andrea Losito ]

246 2 Storia di carta e storia reale. I fumetti e l’insegnamento della storia contemporanea [ Elena Musci ]

256 3 Un mondo di «carta» e di «carte»: gli stereotipi della geografia nei sussidiari italiani [ Maria Teresa di Palma ]

257 4 Il mondo visto dal Sud [ Catia Brunelli ]258 5 Storie e racconti sul Mediterraneo [ Maria Elisa Soldani ]258 6 Il potere degli archivi [ Maria Elisa Soldani ]259 7 «Imago Temporis. Medium Aevum»: quando l’Università fa didattica [ Sabrina Santamato ]259 8 Archeologia sperimentale, ovvero come «rendere visibile» il passato

[ Antonio Brusa, Massimo Tarantini ]261 9 De profundis: la storia nelle SSIS [ Pisana Grossi ]

266 L’Associazione Clio ’92 Ivo Mattozzi

mlmunduslaboratorio

msmundusstrutture

mbmundusbiblioteca

mpmunduspanorama

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 5

Page 6: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

6

«Dal prossimo anno scolastico– nel primo e nel secondociclo di istruzione – saràintrodotta la disciplina“Cittadinanza e

Costituzione”, che sarà oggetto di specificavalutazione. Sono previste 33 ore annuali diinsegnamento». Così veniva annunciataall’inizio di agosto sul sito web del Ministerodell’Istruzione la decisione del ministroGelmini di “educare” alla cittadinanza igiovani italiani. In realtà, anche neiprogrammi attualmente in vigore,l’educazione civica era prevista comeappendice dell’insegnamento di storia,anche se non si trattava di materia “oggettodi specifica valutazione”. La vera innovazionequindi è che, d’ora in poi, ci sarà un votoanche per questa materia e quindi si puòsperare che non resti lettera morta, lasciataalla buona o cattiva volontà degli insegnanti.Ho qualche fondato dubbio che la stradaimboccata dal Ministro sia quella giusta,però non si può negare che il problema di undeficit educativo in questo ambito esista evada affrontato.L’educazione civica non ha una grandetradizione nella scuola italiana. Le ragionisono molte: da un lato, dopo il 1945, sivoleva lasciare alle spalle l’uso che dellascuola aveva fatto il fascismo al fine diindottrinare le giovani generazioni; dall’altro,non si voleva intaccare il monopolio che laChiesa aveva acquisito nel campodell’educazione morale; infine, si temeva chele spaccature ideologiche ereditate dalpassato avrebbero potuto riprodursi nelleclassi, creando ostacoli al buonfunzionamento dei rapporti tra insegnanti,allievi e famiglie. Così, mentre i programmiprevedevano, e prevedono, che l’educazionecivica venisse insegnata parallelamente ocome completamento dell’insegnamentodella storia, di fatto, nella maggior parte deicasi, rimaneva, e rimane, lettera morta,

oppure si limita a qualche commento deltesto della Costituzione repubblicana.Qualche insegnante intraprendente cogliel’occasione per introdurre un po’ dieducazione ambientale, qualche altro dieducazione sanitaria, o di educazionestradale.Nel complesso, salvo lodevoli eccezioni,l’educazione civica è largamente assentedalla scuola italiana. Ogni tanto, sull’ondadell’allarme suscitato dai fenomeni dibullismo, si eleva qualche voce cherivendica almeno un’ora alla settimana dieducazione civica in tutti gli ordini discuola, ma, prima della recente mossa delMinistro, alle parole non erano mai seguiteazioni concrete.Non credo però che l’ora aggiunta sia ilmodo giusto di affrontare la questione.Primo, è riduttivo pensare che l’educazionecivica (uso per il momento ancora questotermine) si esaurisca nello studio del testodella Costituzione. È vero che questo testo sipresta ad essere analizzato nei suoi princìpie nei suoi presupposti e, quindi, apremolteplici piste di riflessione; tuttavia, è ilpunto di arrivo e non il punto di partenza diun percorso di formazione alla cittadinanza.Se l’abbinamento con l’insegnamento dellastoria ha un senso, lo ha alla fine delpercorso, negli anni terminali in cui siaffronta la storia contemporanea.Secondo, l’educazione civica deve esserepensata “verticalmente” dalla Scuolaprimaria alla secondaria superiore (lungo unarco di almeno dieci anni) e “unitariamente”,cioè in modo omogeneo per tutti gli ordini diScuola secondaria. Non necessariamenteperò deve essere una “materia” lungo tuttol’arco temporale del curricolo, quantopiuttosto una dimensione che attraversal’insieme delle materie e delle esperienzeche si fanno nella scuola.Terzo, la dimensione “valoriale” èineliminabile da un insegnamento

Alessandro Cavalli

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 6

Page 7: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

7

munduseditorialedell’educazione civica che non siaun’asettica enunciazione di princìpi giuridico-istituzionali. La didattica dei “valori” richiedeun’elaborazione anche a livello teorico chefinora è rimasta sostanzialmente estraneaalla cultura scolastica del nostro Paese. Sitratta di affrontare il problema di comeintrodurre nella pratica scolastica, quindi,nell’insegnamento di tutte le materie e nonin una materia aggiuntiva, temi di eticapubblica e di etica applicata.Propongo di chiamare questa dimensione“educazione civile” per evitare confusioni conla vicenda (fallimentare) dell’“educazionecivica”. L’educazione civile inizia nella Scuolaprimaria, forse addirittura nella Scuoladell’infanzia e nasce con il concetto di“regola”. I bambini, anche piccoli, imparanopresto che senza regole condivise non èpossibile neppure giocare e crescendodovrebbero rendersi conto, cioè imparare,che le regole sono costitutive anche dellaconvivenza civile in generale. Spesso peròimparano anche che è vantaggioso violare leregole, soprattutto quando molti altri lerispettano e il prezzo della violazione è bassoo inesistente. È il problema del free rider,cioè di chi trae beneficio dal fatto che “glialtri” rispettano le regole mentre lui letrasgredisce; classico esempio il crumiro nelcaso di sciopero o l’evasore fiscale che usa iservizi pubblici senza pagarne il costo. Ingenere è la famiglia che “addestra” i proprirampolli a diventare free rider, vale a dire, a“fare i furbi”. Ma non solo, spesso sono glistessi allenatori che addestrano i loro piccoliatleti a fare fallo all’avversario senza farsivedere dall’arbitro. Ovviamente, non tutte lefamiglie e non tutti gli allenatori operano inquesto modo, ma, a giudicare dal numerodei furbi in circolazione, la quota non deveessere così esigua.Che cosa fa e che cosa dovrebbe fare lascuola? Talvolta diventa essa stessa unagente complice di questa educazione al

free riding, ad esempio, tutte le volte in cui“lascia correre” o “fa finta di non vedere” letrasgressioni o, ancora, le vede e non lesanziona, sia dei propri studenti, ma anche,talvolta, dei propri docenti. Una regola la cuiviolazione non viene sanzionata è una regolache non verrà mai “fatta propria”, cioèinteriorizzata, diventa semplicemente una“non regola”. Ad esempio, il fatto che copiaredurante le verifiche sia una pratica non sololargamente diffusa, ma anche ampiamentetollerata è una delle ragioni per le quali nelnostro Paese è così difficile (dai concorsiuniversitari all’assunzione dei netturbini)applicare criteri meritocratici. Ricordo conriconoscenza, e quasi con venerazione, unprofessore dell’Università dove ho studiatoche un giorno affisse alla bacheca fuori dellaporta del suo studio l’elenco degli studentiper i quali aveva ricevuto unaraccomandazione. Assicuro che non lo hadovuto fare una seconda volta. Purtroppo,però, il suo esempio non è stato imitato daisuoi colleghi.L’educazione civile quindi deve partire dallaScuola primaria, riguarda i comportamentiquotidiani, non un singolo insegnante, matutti gli insegnanti (e anche il personale nondocente). Riguarda il rispetto reciproco trapari, la dignità di ciascuno, il rispetto delledifferenze, il rispetto reciproco tra insegnantee allievi, il rispetto degli arredi scolastici (lascuola è un “bene collettivo”) e tante altrecose ancora. Tanto per incominciare, invecedi mettere un’ora di educazione civica intutte le scuole, propongo preliminarmente dimettere un corso, obbligatorio, di “eticapubblica” in tutte le SSIS, in modo che tutti ifuturi insegnanti si rendano contodell’importanza che i loro comportamentihanno nella formazione delle regole dellaconvivenza civile. Già, peccato che neglistessi giorni lo stesso Ministro abbiaannunciato che le SSIS sono destinate ascomparire.

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 7

Page 8: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

8

Mundus QuestioniL’attenzione di tutti è puntatasull’educazione civica. «Mundus» apreil dibattito con il suo editoriale e ilforum, curato da Alessandro Cavalli.Cristiano Giorda, dell’AIIG(Associazione Italiana Insegnanti diGeografia), ci presenta la difficilesituazione dell’insegnamento dellageografia mentre Gaetano Grecoprosegue il tema della formazionedegli insegnanti di storia, avviato giànel primo numero. Tre corrispondenzedall’estero – Iraq, Austria e Francia –e il Corrimano tutto centrato su temiitaliani completano questa rubrica.

Mundus RicercheFra le questioni sensibilidell’insegnamento c’è sicuramentel’Olocausto: ce ne parla PaoloJedlowski, uno studioso che si èinteressato particolarmente allostudio della memoria collettiva.Insegnanti di didattica della storia inFrancia e Olanda, Maria Grever e

Nicole Tutiaux-Guillon confrontano leconoscenze storiche di ragazzifrancesi, olandesi e inglesi e di figli diimmigrati, con qualche sorpresa per illettore. Si comincia a parlare in Italiadella questione del canone: in Olandaè un tema affrontato ormai da alcunianni. Ce lo spiega Huub Kurstjens,del CITO (l’istituto di valutazione degliapprendimenti). Infine Gianni DiPietro mostra come è nato ilprogramma di storia italiano.

Mundus Dossier«Mundus» prosegue nella suaproposta sulle grandi periodizzazionidell’umanità. Nel primo numero ilDossier ha riguardato il Neolitico;nel terzo si parlerà di rivoluzionetelematica. In questo numero il temaproposto è quellodell’industrializzazione. TommasoDetti ci mostra come esso debbaessere totalmente rivisto, inun’ottica di mondializzazione. PaoloCiriacono ci invita a guardare

In questo numero

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 8

Page 9: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

9

dall’altra parte del mondo, allastraordinaria industrializzazionegiapponese. Due contributi di PaoloMalanima mettonol’industrializzazione nella prospettivadi lungo periodo. Il Dossier ècompletato da una carrellata sualcuni esempi di archeologiaindustriale italiana.

Mundus LaboratorioQuattro approcci diversiall’insegnamento della storia. Internete le tecnologie sono trasformate instrumenti didattici da Enrica Salvatori,medievista dell’Università di Pisa.Simona Bani mostra come si possastudiare storia realizzando undocumentario, mentre Alessia Cecconidel Centro di Documentazione StoricoEtnografica costruisce un interocurricolo a partire dai materiali di unmuseo. Manuela Bocchino èun’insegnante, anch’essa toscana,che propone una strada intrigante perraccontare il passato.

Mundus Panorama, Biblioteca e StruttureIl convegno sul Mediterraneo, svoltosia Palermo nel marzo del 2008, èstata la prima iniziativa diaggiornamento organizzata da«Mundus». A questa segue unaselezione di iniziative che mostranouna varietà di interventi,dall’archeologia allo studio deimanuali, all’utilizzazione didattica diInternet, in un intervento di SergeNoiret dell’Istituto Europeo di Firenze.La violenza è uno dei temi sensibili,sulla cui importanza didattica moltistudiosi ormai insistono con decisio-ne. Se ne parla nella rubricaBiblioteca, con recensioni di libri digeografia, storia, archeologia e unarassegna di fumetti, utilizzabili perl’insegnamento del Novecento, curatada Elena Musci.Clio ’92, la notissima associazione diinsegnanti e ricercatori in didatticadella storia, è presentata in Strutturedal suo stesso fondatore, Ivo Mattozzi.

me

mq

mr

md

ml

mp

mb

ms

1_MUN_I_001-009_p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 9

Page 10: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

* In forma modificata,questo articolo com-pare come parte del li-bro di A. Salza, Niente.Come si vive quandomanca tutto. Antro-pologia della povertàestrema, Sperling &Kupfer, Milano 2009.Tutti i siti citati nel te-

sto sono stati riapertie verificati il 31 agosto2008.1. M. J. Dockery, Lostin Translation. Viet-nam: a Combat Advi-sor’s Story, Ballantine,New York 2003, Ap-pendice C, pag. 239.2. Yamamoto Tsune-

tomo (1659-1719), Ha-gakure; Hagakure.The Book of the Sa-murai, selezione etrad. inglese di W. ScottWilson, Kodansha, To-kyo 1979, pag. 38(trad. it. di L. Soletta,Hagakure. Il CodiceSegreto dei Samurai,

Einaudi, Torino 2001).3. Il concetto di guer-ra come errore di si-stema è proposto inmodo non convenzio-nale in C. Hedges, WarIs a Force that GivesUs Meaning, Anchor,New York 2002 (trad.it. di M. G. Cavallo, Il fa-

scino oscuro dellaguerra, Laterza, Roma-Bari 2004); cfr. anchehttp://www.thirdworldtraveler.com/War_Peace/War_Gives_Meaning.html.4. M. Junod, Le Troi-sième Combattant,Verlagsanstalt Ringier

& Cie, Zofingen 1947(trad. it. di D. Vanni, Ilterzo combattente.Dall’iprite di Abissi-nia alla bomba ato-mica di Hiroshima,FrancoAngeli Editore,Milano 2006).5. G. Packer, Knowingthe Enemy. Can Social

La guerra è un errore di sistema3. Lo so inquanto antropologo per la risoluzione dei con-flitti. Seguendo l’antica definizione attribuita al-la Croce Rossa, secondo me l’antropologo sulcampo della guerra deve diventare un «terzocombattente»4. Suo compito è operare attivamen-te per costruire la pace e prevenire il conflitto,non semplicemente stare a guardare. Nel miolavoro tengo d’occhio le fluttuazioni della mi-seria, ascolto le tensioni tra le persone, analiz-zo i livelli di rancore, controllo gli abusi ambien-

tali, osservo le interazioni aggressive, conto i fu-cili, mi immischio nei fatti altrui, provo a demo-lire i pregiudizi, organizzo banchetti tra gruppiostili, mi impegno in riduzioni di minaccia, pre-paro vie di fuga, valuto le aree e le proceduredi ingaggio, interpreto le modalità di disingag-gio sociale, mi sforzo di sorridere. A quel pun-to devo sabotare, corrompere, disinformare, tra-dire. Una simile operazione demolisce le rego-le dell’antropologia. Chi se ne frega.

Personalmente sono così scemo da immi-schiarmi nelle guerre degli altri. Il problema èsapere da che parte stare. Secondo la teoria delterzo combattente, opero nell’ombra, per contomio. Alcuni antropologi, invece, stanno sceglien-do un modello nuovo di ricerca: l’inserimentonell’esercito. Il concetto di antropologo embed-ded si deve al capitano David Kilcullen dell’eser-cito australiano, esperto in controinsurrezioni eantropologo5. Nel 2004, su invito del vicesegre-tario alla difesa Usa, Paul Wolfowitz, Kilcullencontribuì a definire il concetto di «guerra irrego-lare»6. Al contrario della guerra “tradizionale”, chesi concentra sulla sconfitta di forze militari nemi-che, la guerra irregolare attacca la legittimità delpotere politico di riferimento. In tal senso è daconsiderarsi asimmetrica7 ed è tipica delle popo-lazioni povere. La guerra al terrorismo diventacosì una strategia di controinsurrezione globalecontro i poveri. Kilcullen pone un requisito a tut-te le operazioni: «Conosci la gente, la topografia,l’economia, la storia, la religione e la cultura. Co-

Alberto Salza

«Embedded»Terreno umano*

«Mantieni il tuo senso dell’umorismo.Scoprirai che anche i Vietnamiti hanno il senso dell’umorismo.»

(Istruzione iniziale della sezione Dos and Don’ts del manuale per il

consigliere militare, U.S. Army, 19621)

Il codice del samurai dice: «C’è una cosache va imparata dal temporale. Quando ti

imbatti in una pioggia improvvisa, tucerchi di non bagnarti e cominci a correre

per la via. Ma, facendo così o passandosotto i tetti aggettanti, ti bagni comunque.

Se sei risoluto dal principio, non avraiperplessità anche se comunque ti

bagnerai lo stesso. Questa comprensionesi estende a tutte le cose»2. La guerra ti

bagna, come pisciarsi addosso nel letto.

10

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 10

Page 11: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Scientists Redefinethe “War on Terror?,in «The New Yorker»,18 dicembre 2006;http://www.newyorker.com/archive/2006/12/18/061218fa_fact2.6. M. Mancuso, Irre-gular Warfare Road-map, in «Special Ope-

rations Technology»,10 ottobre 2006;http://www.special-operations-technology.com/article.cfm?DocID=1699; per unostudio sulla guerra ir-regolare, cfr. IrregularWarfare Special Stu-dy, in http://merln.

ndu.edu/archive/DigitalColletions/IrregWarfareSpecialStudy.pdf.7. Una serie di artico-li a riguardo è scarica-bile da http://www.comw.org/rma/fulltext/asymmetric.html.8. Small Unit Leade-r’s Guide to Counte-

rinsurgency, in UnitedStates Marine Corps,2006; www.expose-the-war-profiteers.org/archive/government/2006-1/20060600.pdf.9. Il programma è delForeign Military Stu-dies Office (FMSO) e

U.S. Army Training &Doctrine Command(TRADOC) a Fort Lea-venworth, Kansas; cfr.anche Packer, Kno-wing the Enemy. CanSocial Scientists Rede-fine the “War on Ter-ror? cit.10. Se siete interessa-

ti, potete scrivere alWexford Group Inter-national, CACI co., goliath.ecnext.com/jobs_C-CI,%20International,con la domanda per ilposto di «Human Ter-rain System HumanTerrain Collection Ma-nager».

mundusquestioni

nosci ogni villaggio, strada, campo, etnia, auto-rità tribale e i vecchi rancori. Il tuo compito èquello di diventare l’esperto mondiale sul distret-to in cui operi»8. Si tratta di ottenere una cono-scenza granulare del terreno in cui si opera. Que-sto include anche le persone: il terreno umano.

Per «vincere i cuori e le menti» (motto natodurante la guerra del Vietnam), non devi ren-dere i locali simili a te, come hanno sempre cre-duto negli eserciti, ma nel far sì che le personeaccettino il fatto che star dalla tua parte sia nelloro interesse. Ci vuole un po’ di coercizione,però. Secondo Kilcullen, «l’effetto gratitudinedura fino al tramonto. A quel punto saltano fuo-

ri gli insorti e dicono agli abitanti del villaggio:“Siete dalla nostra parte, no? Altrimenti vi am-mazziamo”. Se il tuo nemico è disposto ad ap-plicare forza letale per portare la popolazionedalla sua parte e tu no, alla fine tu perderai».

Così è nato il progetto del Pentagono Cul-tural Operations Research Human Terrain, di-retto dal colonnello in pensione Steve Fonda-caro9, detto anche Human Terrain System (HTS).Il «terreno umano» è definito come l’insieme del-le caratteristiche sociali, etniche, economiche epolitiche delle popolazioni coinvolte dal con-flitto. Alla bisogna assumono antropologi10. Perun momento ci ho pensato su.

Soldati iracheni eamericani duranteun rastrellamentonei pressi diBagdad nel giugnodel 2004.

11

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 11

Page 12: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Alberto Salza«Embedded» Terreno umano

Nel 2006, a Quallaafe in Ogaden, Busuri,il mio interprete somalo mi raccontò di averabbattuto da ragazzino gli elicotteri americania Mogadishu, il 3 ottobre del 1993: BlackHawk Down, ricordate?11 «Ma come ti è venu-to in mente?», chiesi.

«Gli elicotteri sorvolavano il nostro quartie-re tutti i giorni», ri-spose. «Una vibra-zione tremenda.Poi, una domenica,eravamo in cortile amangiare il nostropiatto nazionale, glispaghetti: l’elicotte-ro ci buttò sabbianel sugo. Prendem-

mo i kalashnikov e cominciammo a sparare»12.La missione americana in Somalia terminò

quando apparvero in TV le immagini dei pi-loti morti trascinati per le periferie di Mogadi-shu. Poco più in là, davanti a un ponte sgan-gherato che spalanca la via per l’invasione del-la Somalia, venni avvicinato da un sottufficia-le delle U.S. Special Forces (riconobbi sullaspalla l’insegna con daga e tre fulmini; dove-va essere azzurra e gialla, ma era tutta marro-ne). «Guardi qua», mi disse disgustato, «ho an-fibi da montagna derivati da quelli da giungla;la divisa a pixel di computer è mimetizzata peril deserto; e dovrei andare a combattere den-tro Mogadishu. Ho armi così potenti che po-trei abbattere un condominio. Solo che ci sa-rò anch’io, dentro». Il sottufficiale voleva il mioconsiglio per capire meglio i pastori nomadi.«Abbiamo un sacco di addestramento, ma noncapiamo nulla», aveva detto13. Rifiutai con lascusa che, se mi avessero visto parlare con lui

11. M. Bowden, BlackHawk Down, Bantam,New York 1999 (trad.it. di P. Valpolini, Falconero, Rizzoli, Milano1999); per commentiall’operazione cfr.http://bunker.altervista.org/falco.html; peruna visione diretta dal

campo di battaglia diMogadishu cfr. TheBattle of Mogadishu.Firsthand Accountsfrom the Men of TaskForce Ranger, a curadi M. Eversmann e D.Schilling, Ballantine,New York 2004.12. A. Salza, Rapporto

per le attività del pro-getto Support to thetraditional social sy-stem of Somali noma-dic pastoralists in theSomali Regional Sta-te of Ethiopia, Comita-to di CollaborazioneMedica, European Ini-tiative for Democracy

and Human Rights del-la Commissione Euro-pea, 2006, Budget line19 04 03.13. Lo storico medie-vista Patrick J. Geary,dell’UCLA, avvicinatodalle U.S. Special For-ces all’inizio dellaguerra in Afghanistan

del 2001, ha avutoidentica informazione(com. pers.); Gearyvenne coinvolto «perfornire un quadro di ri-ferimento sugli statimedievali, dato chel’amministrazione rite-neva fosse ancora talel’Afghanistan».

14. L. Beyerstein, Pen-tagon’s New Programto Embed Anthropolo-gists with CombatBrigades Raises ManyConcerns, «In These Ti-mes», 30 novembre2007;http://www.inthesetimes.com/article/3433/anthropologists_

L’antropologoAlberto Salza inOgaden.

Il «terreno umano» èdefinito come l’insieme

delle caratteristichesociali, etniche,

economiche e politichedelle popolazioni

coinvolte dal conflitto.

12

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 12

Page 13: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

SCUOLA DI GUERRAAntonio Pietra

cosa fatta: dopo lungo e ingiustificato oblio, il 4novembre, giorno del trionfo della Nazione in armi nel

primo conflitto mondiale, verrà rievocato in alcune scuolesecondarie. Grazie all’intervento di alcuni alti ufficiali delleForze Armate, congiuntamente deciso dai ministri La Russa eGelmini, alcuni studenti potranno salvaguardare la memoriadi uno dei pochi successi militari italiani del Novecento.Mentre scriviamo, non si sa molto sugli scopi di questainiziativa e del taglio che i militari vorranno dare ai lorointerventi. Porteranno l’attenzione degli allievi sui sacrificisostenuti dal Paese, oppure rievocheranno la tesi anticadel completamento del processo risorgimentale resopossibile dalla vittoria? Oppure, ancora, prospetteranno unparallelo tra il ruolo giocato dalle forze armate italiane inquel drammatico frangente e quello rivestito oggi dallemedesime come esportatrici di pace e democrazia aiquattro angoli del mondo? O invece, sceglieranno una linea

È

tecnica, e più professionale, illustrando magari i dettaglidell’impiego dell’artiglieria e delle diverse armi impiegateai primi del secolo scorso?Pur in assenza di informazioni precise su questa iniziativa,che dopo le prime proteste è stata prontamentederubricata a «idea o proposta di festa laica» («Il secolod’Italia», 4 novembre 2008, p. 6), occorre riflettere fin daora sui suoi obiettivi. I militari, va da sé, non sono storici(nella loro maggioranza naturalmente), non sonoinsegnanti di storia; ma non sono nemmeno (senza ironia)testimoni di quell’evento. L’idea, perciò, che il solo fatto diesercitare la professione delle armi li metta in grado dirammemorare un evento passato, sia pur bellico, nonappare dotata di molto senso.

corrimano mq

13

per più di dieci secondi, i somali mi avrebbe-ro sgozzato.

Mi aveva però colpito l’dea che, attraversola comprensione, si potesse salvare la vita aqualche poveraccio durante i conflitti a bassaintensità. Integrare l’addestramento militarecon la perizia culturale: ricerca in prima linea.Affascinante. Il sistema assegna una squadradi cinque antropologi (esperti nell’intelligen-ce militare, un ossimoro) alle brigate di primalinea in Afghanistan e Iraq, con la funzione diconsiglieri culturali per i comandanti di briga-ta14. Le domande sono sempre le stesse di ognicontatto-conflitto. «Chi è ‘sta gente? Chi coman-da qui? Chi, esattamente, ci sta sparando ad-dosso per ammazzarci?». Le informazioni ven-gono elaborate dal Dipartimento della Difesae da una serie di reti accademiche. Il program-ma è iniziato nel 2006 con sei squadre HTS sulcampo. Presto si arriverà a coprire altre ventibrigate. Pare che le unità dotate di HTS sianomeno impegnate in kinetic operations (‘azio-ni armate’) rispetto a chi non ce l’ha: ben 60%in meno15. «Se li conosci li eviti»: i Taleban co-me l’Aids. Per il 2008 il budget è stato rimpol-pato con 40 milioni di dollari extra. Ci credo-no, al Pentagono.

Il nuovo mantra è la strategia del genera-le Petraeus, comandante in capo in Iraq. Nelmanuale di controinsurrezione Counterinsur-gency Field Manual16 il generale afferma: «Al-cune delle armi migliori non sparano». Nientedi nuovo sotto il sole. Il capitano David Galu-la, di origine tunisina e uscito dall’accademiamilitare di Saint-Cyr, fu inviato nel 1956 sulfronte algerino (regione di Aissa Mimun, in Ka-bilia), con il 45° battaglione di Fanteria Colo-niale. Il capitano, per primo, sperimentò ini-

on_the_front_lines/15. D. Rohde, ArmyEnlists AnthropologyIn War Zones, in «NewYork Times», 5 ottobre2007;http://query.nytimes.com/gst/fullpage.html?res=9d04e3d81130f936a35753c1a9619c8b63.

16. The U.S. Army andMarine Corps Counte-rinsurgency Field Ma-nual (FM 3-24 e MCWP3-33.5), The Universityof Chicago Press, Chica-go 2007; scaricabil einhttp://www.usgcoin.org/library/doctrine/COIN-FM3-24.pdf.

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 13

Page 14: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Alberto Salza«Embedded» Terreno umano

ziative di carattere sociale, culturale e politi-co, mettendo in secondo piano le iniziativemilitari. Appoggiò le donne, protesse i mode-rati dal Fronte di Liberazione Algerino, vietòla tortura, costruì scuole e dispensari, integròle forze locali nello sforzo di mantenere l’Al-geria ai francesi. Nel 1964 pubblicò Counter-Insurgency Warfare: Theory and Practice. Dalì Petraeus trasse il suo motto: «Non ti apri lastrada fuori da un’insurrezione ammazzandotutti»17.

Marcus Griffin, il primo antropologo a ser-vire in Iraq, dice del suo lavoro:

Facciamo ricerca su come la povertà ele obbligazioni sociali di reciprocità intera-giscano nella società irachena. Tali infor-mazioni aiutano il generale di brigata a ca-pire perché alcune persone si sentano inobbligo di aiutare gli insorti. Con la ridu-zione degli aiuti a coloro che intendonodestabilizzare l’Iraq, diminuiranno le per-dite civili. Il mio primo scopo è evitarespargimenti di sangue18.

Il programma contiene evidenti problemietici, come riconosciuto dall’American Anthro-

17. A. Hermann, Howto Win in Iraq - andHow to Lose, in «Com-mentary Magazine»,aprile 2007 http://www.commentarymagazine.com/viewarticle.cfm/how-to-win-in-iraq-and-how-to-lose-10856.18. D. Glenn, Anthro-

pologists in a War Zo-ne: Scholars DebateTheir Role, in «Chroni-cle of Higher Educa-tion», Kansas, 30 no-vembre 2007; chronicle.com/chronicle/v54/5414guide.htm.19. Per un dibattitogenerale si consulti An-

thropologist go to warAND Revolt of the an-thropologists nel sitohttp://fabiusmaximus.wordpress.com/anthropology-war/20. Beyerstein, Penta-gon’s New Programto Embed Anthropolo-gists with Combat

Brigades Raises ManyConcerns cit.21. Rohde, Army En-lists Anthropology InWar Zonescit; cfr. anchehttp://www.cultureby.com/trilogy/2007/10/montgomery-mcfa.html.22. J. Ellul, Contre lesviolents, Centurion,

Parigi 1972.23. Duck Soup, 1933,regia di L. McCarey,scritto da B. Kalmar eH. Ruby, interpretatatoda Harpo, Groucho,Chico e Zeppo Marx(vers. it., La guerralampo dei fratelliMarx).

Una guida localeinsieme ai soldatidella coalizionedurante unaperlustrazione neipressi di Peshawar,in Afghanistan.

14

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 14

Page 15: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

D’altro canto, gli studenti non hanno bisognoche vengano loro proposti momenti dacommemorare, in quantità, peraltro, che si stapericolosamente infittendo. La loro formazionerichiede attività condotte con metodologie estrumenti adeguati. Devono essere ricordatiloro i 10 milioni di soldati europei morti e i 3milioni di dispersi, si deve trovare il modo dichiarire le conseguenze demografiche,politiche e psicologiche di tale carneficina. Sideve spiegare il perché di quella carneficina, e gli allievi dovrebbero essere avviati a unadiscussione critica, magari sullabrutalizzazione della guerra, una di quellequestioni «socialmente vive», al confine frastoria ed educazione civica (come ci haricordato nel primo numero di «Mundus»Charles Heimberg, pp. 53-61). La Primaguerra mondiale (e non la vittoria degli Alleati)deve essere collocata dagli studenti nel suocorretto ruolo di spartiacque epocale, affinchéessi possano crearsi una mappa efficace dellanostra modernità.Gli insegnanti, e non i militari, sanno comemuoversi in un terreno nel quale si lavora persviluppare una consapevolezza storica chenon sia costruita su momenti edificanti e suidentità collettive fasulle. La stampa dei giornisuccessivi alla promulgazione di questainiziativa si è soffermata sui problemi storici esulle questioni memoriali (con interventi, fragli altri, di Mario Isnenghi e Maria Ferretti),relative alla Prima guerra mondiale: ma non cisono notizie su come essa si sia svolta nellescuole e a quali attività concrete abbia datoluogo (a parte la notizia dell’alzabandieracontestato in una scuola di VillafrancaPadovana, inopinatamente giunta agli onoridelle cronache nazionali). Ma potrebbe essereinteressante (soprattutto per questa rivista)avere notizie e capire quali immagini e giudizistorici siano stati veicolati nelle scuole dairappresentati delle Forze Armate.

mqpological Association (AAA)19. I punti princi-pali sono quattro: qualora fosse inserito inun’unità combattente, l’antropologo (talvoltaarmato e in uniforme) non potrebbe dire aisuoi intervistati chi è o cosa sta facendo (unimperativo della ricerca sul campo), in quan-to opera in un “ambiente non permissivo”; ilconsenso informato volontario, caposaldo del-la ricerca, potrebbe essere molto difficile daottenere; le informazioni raccolte consentireb-bero al comandante di brigata di trasformarealcune persone in bersagli da uccidere; talemodello di operazione potrebbe danneggiarel’immagine degli antropologi in tutte le altrezone sensibili del pianeta, mettendone a re-pentaglio l’operatività e forse la vita (già og-gi, molti antropologi, soprattutto americani,sono considerati delle spie)20. La dottoressaMontgomery McFate, consigliere scientifico delprogramma, afferma: «Mi si accusa di militariz-zare l’antropologia; in realtà stiamo antropo-logizzando i militari»21. Gli stessi problemi de-ontologici devono affrontare gli antropologisempre più embedded nei progetti di svilup-po? È lecito pilotare il cambiamento verso mo-delli di vita che noi riteniamo più “umani”,senza neanche preoccuparci di ottenere il con-senso delle popolazioni coinvolte? A chi muo-re di fame, è lecito dare qualunque cosa damangiare? La nostra non è l’era della violen-za; è l’era della consapevolezza della violen-za22. Il terreno umano è come quello geogra-fico: le stesse mappe possono servire a costrui-re un ponte o a farlo saltare in aria.

A volte, sul campo, sento la voce di Grou-cho Marx: «Lei è un uomo coraggioso! Vada esfondi le linee nemiche, e ricordi: mentre sta làfuori, rischiando la pelle in mezzo alle pallotto-le, noi saremo qui, pensando a quanto lei siaidiota!»23.

15

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 15

Page 16: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

La sperimentazione di una nuova discipli-na «Educazione alla cittadinanza» si avvierà nel2009, durerà un anno, e sarà realizzata dallescuole che ne faranno richiesta. Dovrebbe met-tere in grado il Ministero di individuare gli ele-menti fondamentali di questa disciplina e i suoiaspetti normativi. Questo progetto, che si at-tiva all’interno della legge 53/2003 (meglio co-nosciuta come riforma Moratti) pone diversiinterrogativi, sul numero delle ore assegnatealla nuova disciplina e sulle discipline che, gio-

coforza, dovranno perderle, sul titolare delnuovo insegnamento. Ma apre anche una que-stione culturale e didattica di fondo, sui con-tenuti e sugli scopi di questa nuova materia.«Mundus», che ha dedicato al tema l’editorialedi questo secondo numero, avvia il dibattito esi augura che possa essere solo l’inizio di unadiscussione che coinvolga a fondo gli inse-gnanti, e non resti confinata nelle sale dei con-vegni, o peggio ancora, nelle stanze ministe-riali.

Forum a cura di Alessandro Cavalli

L’occasionedemocratica

dell’educazione alla cittadinanza

Alessandro CavalliQuando frequentavo il liceo, negli anni Cin-

quanta, l’insegnamento della storia arrivava al-la Prima guerra mondiale. In realtà, almeno nelricordo che ho di quell’insegnamento, la guer-ra mondiale era vista in un’ottica ancora risor-gimentale, era l’ultima guerra di indipendenza,la guerra per la liberazione delle terre irreden-te di Trento e Trieste. Di “mondiale” c’era unpo’ poco. Sui quaranta anni successivi regnavainvece rigoroso silenzio. I docenti di storia cheho avuto erano tutti filosofi e ne ho un ricordo

meraviglioso, soprattutto perché erano filosofipiuttosto che docenti di storia della filosofia. Lastoria si capiva che la insegnavano per dovere,i loro veri interessi erano altrove. Il fatto chel’insegnamento si fosse fermato al 1918 venivagiustificato dall’esigenza di «un certo distacco»;la storia recente solleva ancora passioni, incen-dia gli animi. È meglio lasciare un po’ di tem-po in modo che la tempesta si acquieti. A po-steriori, possiamo anche capire. L’Italia uscivaallora da quella che, in seguito, sarebbe statagiudicata una «guerra civile» e non solo una

L’educazione alla cittadinanza: un intreccio di conoscenze e di valori

16

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 16

Page 17: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mq«guerra di liberazione» dall’invasore. E le guer-re civili sono difficili da trattare didatticamente.Appartengo quindi a quelle coorti che, almenoper quanto riguarda l’esperienza scolastica, so-no state vittime di un grande processo di “rimo-zione”: se abbiamo imparato qualcosa del fasci-smo, dei totalitarismi e dei movimenti di resi-stenza, della guerra e della ricostruzione, lo dob-biamo ad altre “agenzie di socializzazione” di-verse dalla scuola: per alcuni la famiglia, per al-tri i partiti e i movimenti. La rimozione è dura-ta almeno fino alla fine degli anni Sessanta, an-che se si è dovuta aspettare la famosa circolareBerlinguer del 1998 per riconoscere alla storiacontemporanea uno spazio ufficiale nei pro-grammi scolastici. A dire il vero, si sarebbe po-tuto sfruttare lo spazio dell’educazione civicache dell’insegnamento della storia era una sor-ta di appendice, ma nella maggior parte dei ca-si questa opportunità non è stata utilizzata.

Non c’è dubbio che più ci avviciniamo alpresente, più cresce l’interesse degli studenti.Essi avvertono, magari non del tutto consape-volmente, l’esigenza di orientarsi nel presente,nel mondo in cui sono destinati a vivere, e cer-cano qualche chiave di lettura che consenta lo-ro di muoversi in modo sensato, vale a dire ditrovare un senso alla loro presenza qui ed ora.Può l’insegnamento della storia recente coprirequesta esigenza? La risposta è: sì, ma solo in par-te e per due ragioni.

La prima è che non si può capire qualcosa delmondo contemporaneo senza le scienze socialie, quindi, il problema è come costruire un inse-gnamento in cui storia e scienze sociali si integri-no senza farsi concorrenza. Problema grosso chedovremo affrontare in modo più approfondito inun’altra occasione su questa rivista. La secondaragione è che non si possono affrontare a scuo-la le tematiche del presente senza tirare in ballodimensioni squisitamente valoriali. E quando siparla di “valori” si aprono subito due fronti: daun lato, il rapporto con l’insegnamento della re-ligione al quale lo Stato ha appaltato l’educazio-ne morale, dall’altro, il rapporto con le ideologie

che, per quanto in crisi, comportano sempre il ri-schio di indottrinamento (che con adolescenticonfina col plagio proprio nel caso di insegnan-ti eccezionali dotati di capacità carismatiche). So-no problemi seri e non possiamo eluderli, se nonvogliamo che la scuola resti per molti giovaniun’esperienza “priva di significato”, dove non c’èspazio per affrontare i temi della propria presen-za nel mondo attuale. Nell’universo dei valori c’èsempre qualche irriducibile componente di sog-gettività. I “miei valori” (del mio gruppo, della miaparte) non sono necessariamente i “tuoi valori”,o i “suoi valori” o i “loro valori”. Anche la mafiaha i “suoi” valori e anche la società dei consumi,le minoranze o le maggioranze etniche, politiche,religiose e altro ancora.

Alla trasmissione di quali valori la scuola de-ve impegnarsi? È possibile identificare un insie-me di valori suffi-cientemente stabilinel tempo e condivi-si da una maggioran-za sufficientementeampia, nei quali lanostra società si rico-nosce? Credo che sipossa rispondere po-sitivamente a questadomanda: i valorisanciti nella dichiara-zione universale deidiritti umani sono unbuon catalogo dal quale partire. Ma il problemanon è questo. Il contenuto dei valori resta sem-pre controverso, soggetto a interpretazioni anchecontrastanti. Chi è in grado di definire in modocondiviso che cosa vuol dire libertà, giustizia, pa-ce, dignità della persona ecc.? Il problema è chenell’educazione debbono esserci degli spazi do-ve i giovani possano imparare ad argomentareintorno ai valori, degli spazi, quindi, dove la ri-flessione sui valori non sia interdetta, ma inco-raggiata, dove si acquisisca la competenza a ela-borare delle idee e a esprimerle e, nello stessotempo, ad ascoltare e discutere quelle degli altri.

Alla trasmissione di quali valorila scuola deveimpegnarsi? I valori sanciti nella dichiarazioneuniversale dei dirittiumani sono un buoncatalogo dal qualepartire

17

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 17

Page 18: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Forum a cura di Alessandro CavalliL’occasione democratica dell’educazione alla cittadinanza

Questi spazi ricadono solo in parte nell’am-bito di materie di studio. È utile distinguere tra

curricolo palese ecurricolo nascosto.Per quanto riguardail curricolo palese, lastoria in primis, maanche la filosofia, lescienze umane e so-ciali, la letteratura so-no direttamente in-vestite. Ma, in realtà,

l’educazione civile è – e deve essere – presentein tutte le materie, in quello che si usa chiama-re il curricolo nascosto.

Faccio un solo esempio. La matematica èla materia dove più che in altre è possibile ela-borare strumenti “oggettivi” di valutazione de-gli apprendimenti. L’insegnante di matematica

si trova in una posizione privilegiata per con-nettere i voti alle prestazioni, quindi, per ap-plicare concretamente il principio fondamen-tale della giustizia distributiva (o, se vogliamo,di un’interpretazione particolare della giustiziadistributiva), vale a dire che le ricompense de-vono essere commisurate ai meriti. Tutte le vol-te che un insegnante, per ignavia, incompeten-za, disattenzione o altro, distribuisce voti sen-za chiarire esplicitamente i criteri che li con-nettono alle prestazioni, ovvero tollera che glialunni copino durante le prove di verifica, in-ferisce un duro colpo al valore della giustiziae al principio meritocratico. Oppure, ogni vol-ta che un insegnante si dichiara ammalato (ma-gari esibendo anche un certificato medico fal-so) per utilizzare un ponte tra giorni di vacan-za, dà ai propri alunni una bella lezione di“educazione civica”.

Giuseppe DeianaIl decreto ministeriale che ha introdotto la di-

sciplina denominata «Cittadinanza e Costituzione»ha suscitato negli insegnanti almeno tre reazioni:in alcuni, sconcerto per la mancanza di un pro-gramma concreto: si tratta per lo più dei docentidiligenti e realisti, sempre pronti ad applicarequanto disposto dall’alto. In altri, invece, ha pro-dotto indifferenza, vedendo nel nuovo dispositi-vo nient’altro che “aria fritta”, o “minestra riscal-data”, somministrata secondo il principio che «tut-to cambi perché tutto resti come prima». Sono gliinsegnanti disillusi e disorientati dal continuo fa-re e disfare, che ha prodotto negli ultimi quindi-ci anni troppe riforme senza una vera riforma. In-fatti, l’abolizione dell’educazione civica è avvenu-ta con la riforma Moratti/commissione Bertagnache, nelle Indicazioni nazionali, ha introdottosei educazioni sotto il denominatore comune di«Educazione alla convivenza civile». Questa rifor-ma è stata sospesa (non abrogata) dal ministroFioroni, la cui commissione Ceruti, nelle Indica-

zioni per il curricolo ha tentato, senza riuscirci(per la caduta del governo Prodi), di modificarel’impianto mantenendo delle educazioni solo quel-la denominata «Cittadinanza». Ora, la Gelmini, conil decreto ministeriale del 28 agosto 2008, ha ul-teriormente scombussolato le carte scegliendouna sorta di via di mezzo tra la tradizione (Costi-tuzione come nucleo centrale dell’educazione ci-vica) e l’innovazione (cultura della Cittadinanza)nella direzione di una – a suo dire – «riforma delbuon senso». Una scelta che viene contestata daun terzo gruppo di docenti, quelli critici e preoc-cupati dell’operazione conservatrice – per non di-re reazionaria – sottesa alla “minuteria pedagogi-ca” e all’“operazione cosmetica” proposte all’in-segna del «merito» e del «rigore» per ritrovare la“scuola perduta”. Ma il richiamo al rigore e al me-rito, senza adeguate risorse finanziarie, non bastase non per riproporre “valori accantonati” nell’in-capacità di prospettare una scuola del futuro insintonia, ad esempio, con la Strategia di Lisbonae l’esigenza dell’economia della conoscenza.

La politica della Ministra e il lavoro degli insegnanti

siamo davanti ad unascuola “zoppa”, cioè

deficitaria in relazionealla formazione dellapersona e soprattutto

alla “costruzione del cittadino”

18

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 18

Page 19: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqUn segmento della scuola capace di rappor-

tarsi al futuro poteva essere anche quello costi-tuito da una nuova soluzione al problema del-l’educazione civile dei bambini, dei ragazzi edei giovani. Infatti, due sono e restano le fun-zioni essenziali della scuola pubblica: trasmet-tere conoscenze contenutisticamente aggiorna-te ed epistemologicamente fondate (capitale in-tellettuale) e far maturare una coscienza etico-civile attraverso la cultura dei valori (capitalesociale). Ora, la seconda finalità è assolutamen-te carente, o quasi assente, per cui siamo (ma-gari senza rendercene conto) davanti ad unascuola “zoppa”, cioè deficitaria in relazione al-la formazione della persona e soprattutto alla“costruzione del cittadino”. Tra le altre cause, ilfallimento dell’educazione civica ne è una pla-teale conferma. Secondo i risultati di una appo-sita ricerca sociologica di Marcello Dei, solamen-te il 25% degli insegnanti ha svolto e svolge re-golarmente o saltuariamente il programma dieducazione civica. Esso è stato introdotto comeappendice della storia nel 1958; è stato poi con-fermato e aggiornato nel 1996, sotto il ministroLombardi, mantenendo al centro la cultura co-stituzionale aperta ai temi della cittadinanza eu-ropea (istituita nel 1992 con il Trattato di Maa-stricht): il tutto per almeno due ore al mese ob-bligatoriamente. La nuova impostazione, dun-que, si è mossa nella direzione giusta perchénel 2001 la conferenza intergovernativa di Lae-ken ha posto il traguardo di una Costituzioneeuropea. Questa è stata varata dai capi di Statoe di governo a Roma nel 2004, ma non è stataratificata nel 2005 a causa dell’esito negativo delreferendum in Francia e in Olanda. Anche la ra-tifica del sostitutivo Trattato di Lisbona è inciam-pata nel «no» irlandese del 2008, mettendo in lu-ce la crisi del processo unitario dell’Unione eu-ropea sotto l’aspetto politico-istituzionale, nelquadro di un diffuso euroscetticismo.

La motivazione principale che gli insegnan-ti adducono per giustificare il mancato svolgi-mento dell’educazione civica è costituita dallacarenza di tempo, in quanto questo viene as-

sorbito integralmente dall’insegnamento dellastoria entro uno spazio orario che, salvo pocheeccezioni, è costitui-to da due ore setti-manali (sulla carta enon nella realtà). Adire il vero, le moti-vazioni sono piùprofonde e consisto-no essenzialmentenel fatto che i do-centi non hanno unapreparazione speci-fica e adeguata asvolgere una materiacome l’educazione civica che è complessa e nonha uno specifico e chiaro statuto epistemologi-co. Ora, in queste condizioni, è più che giustoe sensato abolire l’educazione civica che è sta-ta ridotta a “Cenerentola” delle materie currico-lari. È il caso di dire: l’educazione civica è mor-ta! Evviva l’educazione civica! O meglio, evvival’educazione civile, per segnare un distacco an-che linguistico dal passato inglorioso.

In altre parole, se l’educazione civile nonesistesse bisognerebbe inventarla. A questo pun-to, una domanda: la scelta, calata dall’alto, delministro Gelmini va in questa direzione? Rispon-derei: sì e no. Intanto, va segnalata la confusio-ne normativa conseguente a una decisione fret-tolosa, ma ideologicamente motivata: far vede-re che la scuola funziona se si rispetta l’efficien-za e il rigore (in linea con «i valori della nuovadestra populista», secondo il giudizio di GianEnrico Rusconi).

In realtà, nel provvedimento del Consigliodei Ministri del 28 agosto 2008 si fa riferimentoalla decisione di introdurre «in via sperimenta-le, nelle scuole dell’infanzia e del primo e se-condo ciclo, la disciplina denominata “Cittadi-nanza e Costituzione”, finalizzata ad una presadi coscienza sui comportamenti collettivi e so-cialmente responsabili». Nella Gazzetta Ufficia-le del 1° settembre 2008, però, il testo risultamodificato in questo modo:

i docenti non hannouna preparazionespecifica e adeguata a svolgere una materiacome l’educazionecivica che è complessae non ha uno specificoe chiaro statutoepistemologico

19

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 19

Page 20: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Forum a cura di Alessandro CavalliL’occasione democratica dell’educazione alla cittadinanza

A decorrere dall’inizio dell’anno scola-stico 2008/2009, oltre a una sperimentazio-

ne nazionale (…)sono attivate azio-ni di sensibilizza-zione e di forma-zione del persona-le finalizzate all’ac-quisizione nel pri-mo e nel secondociclo di istruzione

delle conoscenze e delle competenze rela-tive a «Cittadinanza e Costituzione», nell’am-bito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previ-sto per le stesse. Iniziative analoghe sonoattivate nella scuola dell’infanzia (…) entroi limiti delle risorse umane, strumentali e fi-nanziarie disponibili a legislazione vigente.

In soldoni, quindi: come prima, niente ma-teria curricolare automona con voto proprio; nelnuovo anno scolastico, salvo qualche sperimen-tazione autorizzata (in barba all’autonomia), so-lo «sensibilizzazione e formazione» dei docenti.Tutto qui: si tratta dell’educazione civica camuf-fata. Cambia solo la denominazione, nel segnodella continuità sostanziale.

Tuttavia, l’iniziativa del giovane ministro del-la Pubblica Istruzione (secondo Rusconi detta-ta da «irresponsabilità e dilettantismo») poneun’esigenza più che giusta: quella di non limi-tare il compito della scuola pubblica all’istruzio-ne per potenziare il fattore educazione. In que-sto senso, la proposta impositiva della Gelminiha una parziale validità: quella di mettere al cen-tro della formazione giovanile la cultura dellacittadinanza costituzionale. Essa, però, non dàuna soluzione complessiva e organica, prenden-do ad esempio il caso dell’Inghilterra e dellaSpagna dove, rispettivamente, nel 2003 e nel2007, è stata introdotta una disciplina chiamata«Cittadinanza». Ora, nella società globale in cuii giovani si trovano a vivere, la cittadinanza hamolteplici dimensioni.

Secondo un ordine logico si possono distin-guere in tre piani. Innanzitutto, le cittadinanze dibase: quella costituzionale (incentrata sui valoridella Costituzione), quella politica (convergentesullo Stato di diritto) e quella sociale (Stato so-ciale, diritti sociali ecc.); inoltre, le cittadinanzeterritoriali: quella locale (urbana e regionale: cit-tadini milanesi e lombardi, pugliesi e baresi ecc.);quella nazionale (cittadini italiani); quella euro-pea (cittadini europei) e quella mondiale (citta-dini del mondo); infine, le nuove cittadinanze,espressione della “svolta epocale”: quella multi-mediale (segnata dai legami “virtuali” tra le per-sone) e quella naturale (caratterizzata dai rappor-ti biologici, nel quadro di una concezione bio-centrica che pone in termini nuovi le relazionitra gli esseri viventi, uomini, animali e mondovegetale). Non mancano altre dimensioni.

Questa mi pare una soluzione proponibile og-gi in termini più propriamente innovativi, soprat-tutto se si legge la realtà attraverso il «paradigmadella complessità» (Edgar Morin) come asse del-la formazione intellettuale e morale delle nuovee future generazioni. In questo senso, la culturadella cittadinanza non dovrebbe costituire unamateria autonoma, ma un sapere trasversale a tut-te le discipline del curricolo. Infatti, ogni discipli-na possiede una propria specificità epistemologi-ca (che deve essere fatta oggetto di conoscenzacome costruzione del capitale intellettuale) a cuicorrisponde una dimensione etico-civile (che co-stituisce il nucleo di un’educazione valoriale chedà spessore alla cultura della cittadinanza, o cul-tura dell’etica pubblica, come accrescimento delcapitale sociale), da proporre con metodo razio-nale e critico, come argomentazione pubblica suivalori della convivenza civile, finalizzata a conso-lidare il senso di responsabilità verso sé stessi,verso gli altri e verso il mondo inteso anche co-me pianeta. Punti di riferimento essenziali sono:i valori presenti nella prima parte della nostra Co-stituzione; quelli indicati dalla Carta di Nizza del2000; quelli condensati nella Dichiarazione uni-versale dei diritti dell’uomo del 1948 (di cui ricor-re il 60° anniversario); quelli inoltre (per lo più

la cultura dellacittadinanza non

dovrebbe costituire unamateria autonoma, ma unsapere trasversale a tuttele discipline del curricolo

20

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 20

Page 21: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqsconosciuti) come la Carta della Terra del 2000;la Convenzione di Oviedo del 1997 (in riferimen-to soprattutto alla cittadinanza naturale) ecc.

Da quest’impostazione segue la necessità diseparare la cultura della cittadinanza dalla disci-plina storica, per quanto anche (ma non solo)la storia presenti nella sua globalità una forteconnotazione etico-civile, riferita non solo al“presente come storia”, con tutti i rischi dovutiall’uso pubblico della storia, oggi particolarmen-te evidenti e pericolosi (giudizi su fascismo, co-munismo ecc.). Nulla traspare di questo ripen-samento nella scelte del neoministro, che è spin-to dalla preoccupazione di fare in fretta, con pi-glio decisionista, autoritario e populista. Ma gliobblighi calati dall’alto vengono spesso accoltidai cittadini, e dagli insegnanti nel nostro caso,nella forma burocratica e non nella sostanzacondivisa e motivante. Meglio avrebbe fatto laGelmini a nominare una commissione di studio-si esperti e di insegnanti competenti.

Comunque, lavorare a scuola sulla cultura

della cittadinanza, rapportata alla Costituzione,non è cosa da poco: se fatto con serietà cultu-rale e professionalepuò costituire unabuona base per tra-sformare soprattuttoi giovani in “cittadinivirtuosi”, per ridurrenella società italianail «deficit di etica pu-blica», per ribaltare ilcinismo in civismo,secondo l’insegna-mento di NorbertoBobbio per il quale«il fondamento diuna buona repubbli-ca, prima ancora del-le buone leggi, è la virtù dei cittadini». Un mo-do concreto per affrontare la crisi culturale del-la scuola e, più in generale, dello Stato e dellasocietà, a partire dalle nuove generazioni.

nella società globale in cui i giovani si trovano a vivere, la cittadinanzaha molteplici dimensioni.Innanzitutto, le cittadinanze di base;inoltre, le cittadinanzeterritoriali; infine, le nuove cittadinanze,espressione della “svolta epocale”

Fabio FioreLa questione (annosa) dell’educazione civica

non può essere risolta nei termini di un appren-dimento astratto di princìpi e norme costituzio-nali, ma va riconfigurata nei termini (sociali epragmatici) di una “educazione civile”: di una for-mazione alla “legalità costituzionale” (per dirla inbreve, diritti e doveri di ciascuno verso ciascunaltro) costruita su pratiche e comportamenti ade-guati alla cittadinanza democratica – anziché percanali esclusivamente verbali – ed esercitati ognigiorno, a tutti i livelli della vita scolastica, in mo-do reciproco e condiviso. Di conseguenza, laquestione non può più essere affidata al solo in-segnamento della storia – la cui tradizionale fun-zione civile è oggi peraltro messa in crisi – ma atutti gli insegnamenti, nessuno escluso. E a tuttigli attori dell’istituzione educativa.

Il pregio, tra gli altri, della proposta di unaeducazione civile sta a mio avviso nel tentativo

di leggere l’odierna crisi educativa come un pro-blema civico o civile di autonomia e responsa-bilità, di maturazione di risorse e competenzeessenziali per una cultura democratica, e nonnei termini efficientistici – oggi dominanti – del-la deriva e della perdita (di controllo su e di ef-ficacia dei processi).

Provo a spiegarmi. Stando anche alla miaesperienza, legata in prevalenza ai licei delnord-ovest (e pertanto: sino a che punto gene-ralizzabile?), cresce il bisogno di leggere i varimomenti della vita scolastica (routine di classe,intervalli, uscite, trasmigrazione interne versolaboratori o palestre, ore buche e persino i mi-nuti vuoti dei cambi d’ora), quasi esclusivamen-te in termini di sorveglianza e di “ordine pub-blico”, come se la controllabilità dei ragazzi fos-se perennemente a rischio, mentre le respon-sabilità dei controllori restano puramente for-mali (si risolvono in definitiva nella presenza o

La scuola deve uscire dallo stato di minorità

21

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 21

Page 22: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Forum a cura di Alessandro CavalliL’occasione democratica dell’educazione alla cittadinanza

assenza dei docenti nei punti e nei momenti “arischio”).

Di qui, un apparente paradosso. Da un la-to, l’istituzione sembra farsi educativamentepiù rigida (procedure e libretti di giustificazio-ne, firme e controfirme, lunghe diatribe sui vo-ti di condotta i cui parametri restano peraltrotendenzialmente impliciti); dall’altro e in pa-rallelo, cresce la sua inclinazione profonda al-la micro-negoziazione incessante e ai continuislittamenti affettivi (nell’implementare e far ri-spettare le regole, nel valutare esiti, nel ripar-tire gli oneri, nel giustificarli davanti alle fami-glie ecc.). Di fronte a climi scolastici segnatida disinteresse e apatia piuttosto che da disor-dine e anarchia, da un farsi opaco del manda-to e da una generale perdita di senso, primaancora che da trasgressione e anomia (standosempre alla mia esperienza), la scuola tendea riprendere la sua faccia feroce, salvo poicontinuare a cercare inevitabili compensazio-ni e aggiustamenti negli interstizi e nelle po-rosità del quotidiano.

Un nuovo modello di educazione civile de-ve liberarci da questa stretta di sorveglian-za/affettività. Deve essere costruito su concetticome autonomia, responsabilità, autorevolezza

e/o autorità demo-cratica. Cose ben piùdifficili da pensarsi eancor più da otte-nersi, ma senza lequali una cittadinan-za democratica è im-pensabile.

A volerlo riassu-mere molto in breve,si potrebbe dire che

educare alla cittadinanza nella scuola è innan-zitutto un impegno a uscire da quello stato diminorità che la scuola deve imputare a se stes-sa. Lo stato di minorità si insinua in tutti gliaspetti del lavoro scolastico, anche quelli intrin-secamente cognitivi, non solo normativi. Mino-rizzare è, infatti, molte cose:

– è semplificare tutto e ancora semplificare,perché tanto gli allievi sono stupidi, non ciarrivano, non gliene potrebbe importare dimeno. In realtà, tutti gli allievi sono sensibi-li a un sapere esperto. La questione è inter-rogarsi sui nostri modi di trasmetterlo, sullaloro validità ed efficacia. Non si tratta di ri-durre ma di decostruire (la ricerca discipli-nare) per ricostruire (sul piano didattico);

– è sottrarsi all’obbligo di argomentare, spiega-re, giustificare, laddove invece occorre argo-mentare tutto (voti, programma, scelte ecc.);è esigere, nel contempo, che si studi in mo-do argomentato e riflessivo: chi si limita achiedere la riproduzione degli appunti di le-zione incentiva la condizione di minorità;

– è ignorare i consumi e i problemi culturalidei destinatari (nella società multischermo);è evitare anche solo di porsi il problema ditracciare ponti (didattici, educativi) fra cul-ture: accettare la separatezza e l’autoreferen-zialità della cultura scolastica incentiva lacondizione di minorità;

– è pensare la valutazione in termini solo con-clusivi e certificativi (o ancor peggio: comeautomatismo); non cercare di creare terrenofertile alle capacità di autovalutazione deisoggetti incentiva la condizione di minorità.Infine, qualche osservazione sulla questio-

ne dell’autorità. Recenti ricerche confermanoche la fiducia nell’istituzione è essenziale per laformazione del senso civico, e che tale fiducia,come la stessa efficacia della trasmissione edu-cativa, è in gran parte affidata ad alcuni dispo-sitivi di socializzazione, quali il clima della clas-se, lo stile educativo, le relazioni di autorità, ilcosiddetto curriculum nascosto (le pratiche e icomportamenti tenuti dai professori di fronte al-le regole e alla loro trasgressione, indipenden-temente dai contenuti e dagli insegnamenti pre-dicati in maniera esplicita). In particolare, pareassodato che una leadership autorevole sia con-dizione necessaria per la creazione di fiducia esenso civico, mentre autoritarismo e lassismo laminerebbero alle radici.

Un nuovo modello dieducazione civile deve

essere costruito suconcetti come autonomia,

responsabilità,autorevolezza e/o

autorità democratica

22

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 22

Page 23: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqEppure ci sono molti esempi nella scuola di

leadership autorevole; il problema è che non ba-sta il carisma delle persone per ottenere il cari-sma dell’istituzione in quanto tale: se i ragazzisono disposti a riconoscere l’uno non è dettoche, contestualmente, riconoscano l’altro. La fi-ducia nelle persone non si traduce – necessaria-mente – in fiducia nell’istituzione: il passaggionon è automatico, va costruito. Che cosa favo-risce questa transizione, e che cosa, invece, lasfavorisce? Quali fattori vi incidono (abitudinidei docenti, strutture organizzative, metodologiedidattiche, contenuti disciplinari, (s)valutazionedelle credenziali educative, attese familiari, po-

litiche culturali dei media, politiche organizzati-ve degli apparati), con quale ruolo, quale peso?Da ciò si evince dun-que che, con buonapace delle semplifica-zioni mediatiche e disenso comune, la ma-teria civile è oggi piùche mai educativa-mente complessa einveste molte e varie-gate responsabilità, lacui posta in gioco è lacittadinanza.

Antonio BrusaI governi che si sono succeduti nei primi die-

ci anni del nuovo millennio hanno quasi tuttiistituito gruppi di lavoro sul tema dell’educazio-ne civica. Luciano Corradini ne è stato l’anima-tore. L’ultima relazione pubblicata risale al mi-nistro Fioroni (aprile 2007). Essa ruota intornoall’idea che il riferimento essenziale di questoinsegnamento sia la Costituzione, chiamata conqualche enfasi pedagogica «mappa del tesorodell’educazione». Possiamo considerare questal’ipotesi minimale della disciplina: da accettar-si, credo, se significa che la Costituzione ne èla fonte ispiratrice; ma sicuramente da conside-rarsi asfittica se volesse dire che la Costituzionesarà letta e commentata in tutti gli ordini e gra-di di scuola, e che in questo consista l’educa-zione alla cittadinanza. Ma, quali che siano leobiezioni, il modello di Corradini può aiutarciper iniziare a delimitare il campo del dibattito.Al versante opposto potremmo considerare ilmodello proposto da Michael Walzer, secondoil quale la disciplina dovrebbe essere articolatalungo tre filoni: la scienza politica pratica dellademocrazia; la storia delle istituzioni, dalla Gre-cia ad oggi; la teoria politica della democrazia.È una proposta limitata alle sole scuole supe-riori, e probabilmente con lo svantaggio di es-

sere fortemente connotata dal punto di vistascientifico (lo studioso di Princeton è un filoso-fo della politica).

Mi sembra che le Nuove Indicazioni per laScuola primaria e secondaria di primo gradopossano dar luogo a un terzo modello di riferi-mento, nel quale l’educazione civica sia salda-mente inserita nell’area degli studi geo-storico-sociali. In quel testo (che il lettore potrà rileg-gere nel primo numero di «Mundus», pp. 27-34)ci sono cinque filoni all’interno dei quali si puòarticolare il nuovo insegnamento. Il primo è si-curamente costituito dal versante più strettamen-te giuridico (i diritti nazionali, internazionali eumani, i princìpi fondamentali della Costituzio-ne, l’ordinamento dello Stato italiano). Il secon-do è centrato sulla conoscenza del Novecento:a questo periodo appartengono vicende (nazio-nali e mondiali) la cui conoscenza è decisiva in«vista del raggiungimento degli obiettivi di cit-tadinanza, della capacità di orientarsi nel mon-do attuale e di progettare il futuro»: è appena ilcaso di ricordare che la stessa Costituzione an-drebbe studiata nel suo contesto storico. Il ter-zo aspetto è invece relativo al modo di guarda-re la storia, tutta la storia: una scienza aperta almondo, agli altri, capace di far cogliere le con-nessioni fra gli individui, i gruppi umani, capa-

Quattro modelli, per incominciare a discutere

educare allacittadinanza nella scuola è innanzitutto un impegno a uscire da quello stato di minorità che la scuola deveimputare a se stessa

23

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 23

Page 24: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Forum a cura di Alessandro CavalliL’occasione democratica dell’educazione alla cittadinanza

ce di fornire a tutti, quali che siano le religionio le etnie di appartenenza, quadri di riferimen-to comuni. Il quarto, a mio modo di vedere fon-damentale, riguarda le «questioni socialmentevive», quelle che «premono sulla nostra coscien-za»: dalla memoria, alle contese identitarie, allaguerra e alla violenza, alla riconciliazione, alrapporto con gli altri (ce ne ha parlato CharlesHeimberg nel primo numero di «Mundus», pp.53-61). E c’è, infine, il nesso inscindibile fra geo-grafia ed educazione civica: «fare geografia ascuola vuol dire formare cittadini del mondoconsapevoli, autono-mi, responsabili ecritici, che sappianoconvivere con il lo-ro ambiente e sap-piano modificarlo inmodo creativo e so-stenibile, guardandoal futuro».

Questo modelloha il vantaggio dimettere a valore le ri-sorse esistenti (sia intermini di personale,sia in termini di pro-grammi). Ha dei “bu-chi”: non considera, ad esempio, gli importantis-simi aspetti economici dell’educazione civica. Varielaborata per le scuole superiori e resa efficacerispetto ad un problema reale, messo in eviden-za dalla totalità delle inchieste: e che cioè “l’edu-cazione civica”, in fin dei conti, in Italia non si fa.

A questo punto, mi rendo conto che stoesorcizzando il “ricettario contro il bullismo”:ma non posso far finta di non pensare che que-sto sia un modello possibile nel futuro della

scuola, con il suo sfrangiamento in mille rivoli– dall’educazione sessuale a quella stradale – ,che essendo tutti di estremo appeal presso ilgrande pubblico, saranno inevitabilmente tenu-ti in gran conto dal Ministero. Sarà questo, inultimo, il quarto modello, a chiudere metafori-camente il nostro campo di discussione.

Gli argomenti non mancano, perciò, se si av-vierà la sperimentazione, e con essa un dibatti-to vivo nelle scuole. Anche questa discussione,a ben vedere, ha molto a che fare con l’educa-zione civica. È l’idea che ci suggerisce MichaelWalzer, quando ci ricorda che questa disciplinaè abbastanza sui generis, perché non contem-pla solo il passaggio alle giovani generazioni diconoscenze e di saper fare specifici (le capaci-tà critiche che abbiamo preso in considerazio-ne sopra), ma la stessa «riproduzione della po-litica democratica». Dice lo studioso:

Pensate alla cittadinanza come a un in-carico politico. Quelli che occupano l’inca-rico adesso dovrebbero insegnare alla ge-nerazione successiva quello che credono diaver imparato. Un compito difficile e alea-torio, al punto che dobbiamo dimostrare ainostri ragazzi che veramente crediamo neivalori che rendono possibile la democrazia.

Credere in questi valori potrebbe voler direanimare un dibattito civile e serio. Sarà, questo,il modo migliore per insegnare, già dall’annoventuro, l’educazione civica, prima ancora chequesta venga istituita ufficialmente. Sarà, ancheper la Ministra, l’occasione per dimostrare, aprofessori e allievi, di credervi. Questo, effetti-vamente, sarebbe un bel modo di nascere, peruna educazione civica finalmente efficace.

questa disciplinaè abbastanza suigeneris, perché noncontempla solo il passaggio allegiovani generazioni di conoscenze e disaper fare specifici […],ma la stessa«riproduzione dellapolitica democratica»

24

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 24

Page 25: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mq

! Per quasi quarant’anni l’educazione ci-vica nella scuola italiana è stata regola-ta dal DPR n. 585 del 13 giugno 1958, cheprevedeva che ad essa fossero dedicatein tutti gli ordini di scuola due ore men-sili nell’ambito dell’insegnamento di sto-ria. Il DM del 9 febbraio 1979 aveva spe-cificato i programmi per la Scuola mediainferiore e in esso anche quello di edu-cazione civica, mantenuto nell’insegna-mento storico-geografico, senza peraltroindicarne la presenza quantitativa nelpiano orario. Una svolta, almeno a livel-lo di aspettative, fu data nel 1995 dall’al-lora ministro Giancarlo Lombardi, cheistituì un Comitato di studio ad hoc pre-sieduto dal sottosegretario Luciano Cor-radini. Il Comitato produsse un approfon-dito documento sulla base del quale ilMinistro emanò prima una Direttiva Mi-nisteriale (8 febbraio 1996), poi un Decre-to Ministeriale (29 aprile 1996) che, abro-gando quello del 1958, definiva i pro-grammi e affidava ai consigli di classe ladeterminazione dello spazio temporaledella disciplina. Riflessioni sul dibattitoin questa fase, nonché i documenti prin-cipali, sono reperibili in L. Corradini, G.Refrigeri (a cura di), Educazione civica ecultura costituzionale: la via italiana al-la cittadinanza europea, Il Mulino, Bolo-gna 1999.

! I contributi di riflessione e i dibattiti pub-blici sul tema dell’educazione alla citta-dinanza sono comunque piuttosto scar-si. Si vedano però: A. Cavalli, G. Deiana,Educare alla cittadinanza democratica.Etica civile e giovani nella scuola dell’au-tonomia, Carocci, Roma 1999; Corradiniet al., Educazione alla convivenza civile.Educare, istruire, formare nella scuola

italiana, Armando, Roma 2003; G. Deia-na, Insegnare etica pubblica, Erickson,Trento 2003.

! Neppure l’indagine internazionale condot-ta dallo IEA (International Association forthe Evaluation of Educational Achieve-ment) in 28 paesi (tra i quali l’Italia) sul-l’educazione civica ha avuto da noi eco eattenzione (cfr.:http://www.iea.nl/cived.html). Alcune indagini sugli orientamen-ti e atteggiamenti dei giovani ai temidella civicness hanno prodotto un qua-dro abbastanza preoccupante del “biso-gno” di educazione civile: R. Cartocci,Diventare grandi in tempi di cinismo, IlMulino, Bologna 2003; L. Sciolla, M.D’Agati, La cittadinanza a scuola. Fidu-cia, impegno pubblico e valori civili, Ro-senberg & Sellier, Torino 2006. La lectiomagistralis, tenuta da Michael Walzerper l’inaugurazione del Master in CivicEducation di Asti, la si può parzialmen-te leggere nell’articolo Cittadini non sinasce si diventa, in «La Stampa», 23 ot-tobre 2008, p. 48.

! Altri utili documenti si trovano in rete: ilDocumento di sintesi prodotto dal grup-po di lavoro sull’educazione alla cittadi-nanza (12/4/2007) di Luciano Corradini:http://www.edscuola.it/archivio/comprensivi/cittadinanza.htm; il testo della con-venzione su questo tema, fra Ministeroe Ismli, curato particolarmente da Mau-rizio Gusso:http://www.italialiberazione.-it/it/cittaprogetti.php ; la relazione con-clusiva di François Audigier (e altri) sultema delle competenze, gruppo di lavo-ro coordinato da Nora Salvatori:http://www.edscuola.com/archivio/antologia/scuolacitta/audigier.pdf

Per discutere sull’educazione alla cittadinanza

25

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 25

Page 26: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1. Nicolas Sarkozy, Di-scorso a Tolosa, 12aprile 2007.2. Cfr. il sito di Jean Vé-

ronis: www.up. univ-mrs.fr/veronis/Discours2007, realizzato du-rante la campagna pre-

sidenziale del 2007.3. Comment NicolasSarkozy écrit l’histoi-re de France, a cura di

L. de Cock et al., Ago-ne, Marseille 2008, In-troduzione, p. 15. Il vo-lume, pubblicato in

una collana del Comi-té de vigilance faceaux usages publics del’histoire (CVUH), si

presenta come unpicccolo dizionario te-matico da cui proven-gono i testi qui citati.

Il presidente della Repubblica francese Ni-colas Sarkozy – e prima di lui il ministro e can-didato Nicolas Sarkozy – ha senza dubbio in-tensificato questo uso e questa capacità di ri-maneggiare il passato e di sottomettere la sto-ria alla sua volontà.

Il Fronte Po-polare, oggi, nonappartiene al Par-tito Socialista, piùdi quanto il ricor-do di Guy Mô-quet, il giovanemembro della Re-sistenza, fucilato a17 anni e mezzo,non appartenga alPartito Comunista.Egli è morto perla Francia, non

per il comunismo. Egli non appartiene alcomunismo. E, se chiedo che la lettera di

Guy Môquet sia letta ogni anno a tutti i li-ceali francesi, non è perché lui era comu-nista, ma perché aveva 17 anni, perché eracoraggioso e ha dato la sua vita per il no-stro paese. Ecco la lezione di storia, chevogliamo dare alla sinistra di oggi.

È vero, non sono socialista, ma quelloche ha fatto la sinistra di un tempo, che cre-deva al lavoro, che credeva all’educazione,che credeva al merito, che credeva alla li-bertà di coscienza, che credeva alla mora-le, che credeva all’individuo, io lo vogliofare a mia volta.

Quei valori della sinistra di un tempo,ho voluto che la destra repubblicana, cheli aveva troppo trascurati, li riprendesse asua volta, proprio nel momento in cui lasinistra li sta abbandonando1.

In democrazia l’uso pubblico della storia haeffetti positivi e negativi. Può incoraggiare unamemoria collettiva, fondata su valori di ricono-scimento e di apertura, ma può anche servirealle ideologie segregazioniste. E rischia, sfortu-natamente, di essere preda privilegiata della de-magogia e del populismo, come si vede in mol-ti esempi europei.

Di questa demagogia, Nicolas Sarkozy cene ha dato sopra uno splendido esempio. Manon è il solo. La sua campagna elettorale è sta-ta attentamente studiata, e tutti i suoi discorsirepertoriati con cura in un sito web2. Gli au-

Charles Heimberg

Le manipolazionidel passato di Nicolas Sarkozy

La storia delle democrazie è sempre statasegnata dalla propaganda politica e

dall’uso che le personalità pubblichehanno fatto del passato, della storia edella memoria, a servizio dei loro più

immediati interessi.

In democrazia l’usopubblico della storia ha

effetti positivi e negativi.Può incoraggiare una

memoria collettiva,fondata su valori diriconoscimento e di

apertura, ma può ancheservire alle ideologie

segregazioniste

26

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 26

Page 27: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

GARIBALDI. REVISIONISMI FERRAGOSTANI DI UN MITO RISORGIMENTALEFrancesco Buscemi

a mattina del 1 agosto 2008, i siciliani hanno potuto leggeresulle pagine locali di «Repubblica» il nuovo programma

culturale e urbanistico del presidente autonomista della RegioneSicilia, Raffaele Lombardo: «abbattere i simboli di un’imposturachiamata Unità d’Italia»1. Più che un programma, in realtà, è statauna chiamata alle armi in sostegno del sindaco di Capod’Orlando, Roberto Vincenzo Sindoni, che aveva preso a picconatela targa della piazza intitolata a Garibaldi. Non sarà solo l’eroe deiDue Mondi ad essere colpito, ha assicurato Lombardo: «Dopo latarga di Garibaldi, adesso bisogna cancellare Cavour ilpiemontese, qualche siciliano come Crispi che fece sparare sulpopolo e Nino Bixio, il carnefice di Bronte»2. Con queste battute èiniziata una polemica che ha infiammato le già torride giornated’agosto siciliano. Molti esponenti del mondo accademico, infatti,hanno reagito alla provocazione di Lombardo firmando undocumento pubblicato pochi giorni dopo; e per tutto il mese, poi,alcuni tra gli storici siciliani più illustri hanno preso una posizionepubblica sulla questione, da Francesco Renda a Salvatore Lupo,

L

corrimano mqtori di un libro collettivo, consacrato di recen-te all’uso pubblico della storia del candidatoSarkozy, sottolineano che «questa strumenta-lizzazione è una strategia in tre tappe: solle-vare un polverone, lusingare (per sviarla) l’at-tenzione dell’elettorato e definire con incisivi-tà una ben determinata concezione dell’iden-tità nazionale»3. In questo modo, mettendo lemani sulle eredità storiche e reinterpretando-ne i simboli, questa utilizzazione del passatorende evidente a tutti la necessità che i citta-dini, che sono il vero obbiettivo di questi di-scorsi e di queste manipolazioni, conoscanomeglio la storia, in tutta la sua complessità enella pluralità dei suoi punti di vista.

Guy Môquet et Jean JaurèsL’affaire della lettera di Guy Môquet è fra

le più commentate. Come abbiamo visto, ilcandidato, una volta diventato presidente, hadeciso di fare leggere in tutti i licei questo te-sto straziante – la lettera ai suoi genitori di ungiovane resistente comunista condannato amorte dai nazisti –, decontestualizzandola, ne-gando la dimensione comunista dell’impegnodella vittima e occultando il fatto che questalettera era stata censurata in modo evidente,affinché ne restasse viva solo la carica affetti-va: così il documento è stato reinterpretato, avantaggio di una prospettiva nazionale che sivorrebbe consensuale: «Io attribuisco all’amo-re della patria un valore più grande che al pa-triottismo di partito», così ha esclamato il can-didato della destra francese (p. 134). Gli inse-gnanti, fortunatamente, hanno contestato ingran numero questa manipolazione. Il “pathos”e la “comunione con il presidente” hanno fat-to cilecca (p. 136). Ma, da dopo di allora, so-no venuti fuori ben altri guasti.

Ho voluto affermare che la destra re-pubblicana odierna non era l’erede delladestra antisemita, antidreyfusarda, reazio-naria o petainista della III Repubblica, ma

1. «la Repubblica», sezione Palermo, 1 agosto 2008, p. 2.2. Ibidem.

27

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 27

Page 28: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Charles HeimbergLe manipolazioni del passato di Nicolas Sarkozy

che, invece, era l’erede del Gaullismo, del-la democrazia cristiana e del liberalismo.Allo stesso modo, ho voluto dire che nonriconoscevo l’eredità di Jaurès, di Blum odi Camus nella sinistra di oggi.

Ho voluto dire che la destra di oggiaveva lo stesso diritto di rivendicare l’ere-dità delle conquiste sociali del Fronte Po-polare e del Consiglio Nazionale della Re-sistenza che la destra di oggi.

Ho voluto dire che, quando leggo quel-lo che Jaurès ha detto sull’educazione, quel-lo che ha detto sulla storia di Francia, quel-lo che ha detto sulla nazione, mi sentol’erede di un Jaurés, che appartiene a tuttii francesi.

Ho voluto dire che quando vedo neidocumentari dell’epoca lo sguardo di queifigli di operai che nel 1936 scoprivano ilmare, grazie alle vacanze gratuite e senti-vano per la prima volta pronunciare la pa-rola “vacanze”, io mi sento, come tutti ifrancesi, l’erede di Léon Blum4.

Non è bastato, dunque, che la memoria diJean Jaurès sia stata oggetto di ogni genere di con-tesa, in seno alle diverse componenti del movi-mento operaio. Ecco che un uomo politico di de-stra, con un gioco di frasette citate al di fuori diogni contesto, tenta di recuperare a suo vantag-gio l’opera di Jaurès. Come osserva Blaise Wilfert-Portal, per Sarkozy non si tratta mai «del Jaurèsdegli scioperi di Carmaux, del Jaurès dell’Interna-zionale Socialista, del Jaurès per il quale “la na-zione porta la guerra in seno, come le nuvole latempesta”, del teorico e interprete di Marx, del-l’instancabile difensore della riduzione dei tempidi lavoro, del promotore delle tasse, come fonda-mento della redistribuzione e della giustizia socia-le» (p. 107). Con questo esempio, ci si trova al cen-tro di questo processo di rovesciamenti, che ca-ratterizza l’uso che il presidente francese fa dellastoria. Quanto a Léon Blum, al Fronte Popolare eal Consiglio Nazionale della Resistenza, la loroconcezione politica è talmente distante dalla po-litica conservatrice del presidente francese, che lacattiva fede e l’imbroglio si manifestano da soli.

Manipolazioni che ricordano vecchiemanipolazioni e ne invocano di nuove

L’uso che Nicolas Sarkozy fa del concetto ditotalitarismo è ugualmente rivelatore di questemanipolazioni di cui è così amante. Stando allesue dichiarazioni, in effetti, «la Repubblica non sidefinisce solamente a partire dai suoi nemici –l’assolutismo, il clericalismo, l’antidreyfusismo, ilcollettivismo o il totalitarismo – ma anche per isuoi alleati»5. Questa lista di “ismi”, che associale grandi battaglie repubblicane del Novecentoalla lotta dei conservatori contro tutte le politi-che di solidarietà in campo sociale, è abbastan-za edificante. E lo è di più se si completa questacitazione con un’affermazione che il candidatoSarkozy ha ripetuto più volte: «Voglio essere ilpresidente di una Francia che difende ovunquei diritti dell’uomo e il diritto dei popoli a dispor-re di loro stessi. Di una Francia che combatte ledittature e combatte il totalitarismo, questa tiran-nia nella quali il tiranno non ha volto, perché è

4. Nicolas Sarkozy, Di-scorso a Tours, del 10aprile 2007.5. Discorso del 12 ot-

tobre 2006 a Poitiers.6. In S. Combe, Com-ment Nicolas Sarkozycit.p. 183.

Guy Môquet (soprala bicicletta) e suofratello Sergedavanti alla lorocasa a Parigi nelgiugno del 1939.Militanteantifascista fufucilato a solidiciassette anni dainazisti.

28

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 28

Page 29: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

passando per il più possibilista Giuseppe Barone, docente distoria contemporanea a Catania.Ci sembra, questo, un significativo caso di teatralizzazione mediaticadi revisionismo amatoriale. Che il revisionismo sia uno deifondamenti della ricerca storica è ormai ampiamente riconosciuto;da anni, poi, le figure del Risorgimento italiano sono statedemitizzate, analizzate nel dettaglio per scoprirne le contraddizioni,le invenzioni, la pesante armatura retorica di cui erano corazzate. Glistorici e le storiche sanno perfettamente che i conti con la storianon si fanno a colpi di piccone o con interviste che faccianosensazione; hanno imparato che la ricerca storica è un gioco dipazienza, un intenso e appassionante esercizio di studio.Dalla nuova ondata di “sicilianismo” possiamo ricavareprincipalmente due considerazioni. In primo luogo, non c’è bisogno diessere troppo maliziosi per collegare l’improvviso interesse per lastoria dei politici italiani, da nord a sud, alla discussione sulfederalismo fiscale di questi ultimi mesi. Attaccare il Risorgimentocome simbolo di unità nazionale non vuol dire soltanto preparare lastrada alla creazione di nuovi miti regionali, indispensabili perché sirafforzino le identità locali – come pure è auspicato dai fautori dellariforma. Richiamare i danni procurati dall’Unità alle popolazioniregionali, infatti, è il primo passo per la rivendicazione di risarcimenti,di riparazioni di cui lo Stato centrale dovrà farsi carico per espiare ilpeccato unitario. Per il caso siciliano siamo di fronte alla solitaleggenda del Mezzogiorno paese ricco, ma sventurato per aver avutogoverni corrotti, alla melodrammatica epopea di un popoloperennemente sotto il giogo straniero, dagli arabi ai piemontesi. Lavia italiana al federalismo, insomma, passa anche attraverso il sensocomune storico. Se questo è l’aspetto politico più rilevante, però, dalpunto di vista culturale si registra un danno non minore.Approfittando della maggiore visibilità di cui godono rispetto aglistorici professionisti, i divulgatori del sicilianismo possono continuarea diffondere il mito del Sud “regalo di Garibaldi all’Italia”, soggetto auna perfida conquista militare. Restano fuori da questo racconto gliaspetti più intricati e intriganti del processo di unificazione italiano:l’enorme pervasività della retorica nazionale a tutti i livelli della vitadell’individuo; l’eccezionale carica emozionale evocata da figurecome Garibaldi, Vittorio Emanuele e perfino Pio IX; la diffusione delleidee nazionali attraverso l’arte e la letteratura, in grado di diffonderesul piano emotivo e simbolico l’ideale nazionale. Gli studi di AlbertoMario Banti, Lucy Riall, Paul Ginsborg, Silvana Patriarca, non voglionodifendere a tutti i costi le icone risorgimentali, ma si propongono dicapirne il successo, di valutarne la forza.Piacerebbe pensare, almeno, che da questa polemica d’agostonascano serie iniziative di confronto, non soltanto nel corso diquest’anno garibaldino, ma anche in occasione del prossimo150° anniversario dell’Unità d’Italia. Nel primo mese di governo,Lombardo ha mancato la data di consegna delle richieste difinanziamento per le celebrazioni, ma è pronto a dare battaglia:«Se ci sono ancora margini politici di movimento, li utilizzerò. Peravere anche solo una fetta di quel miliardo e 200 milioni di euro,sia chiaro, sono disposto pure a indossare la camicia rossa»3.Sulla corsa ai finanziamenti, almeno, il Risorgimento continua adunire l’Italia.

mqdovunque, anche dentro le teste delle persone»6.In questa costruzione intellettuale, il totalitarismosi trova, dunque, sempre rappresentato come lacausa suprema del soffocamento della libertà.Ma, da un altro lato, il totalitarismo non ha col-pito direttamente la Francia, perché, secondo l’au-tore, essa sarebbe stata completamente rispar-miata da questo fenomeno ideologico. Fatto chegli consente di ricamare sulle virtù dell’identitànazionale, e sul rifiuto di qualsiasi “pentimento”,di fronte ai rimproveri della memoria. Così, im-mancabili, ritornano a galla i famosi aspetti po-sitivi della colonizzazione, che un articolo dellalegge del 2005, abolito più tardi dal presidenteJacques Chirac, introdusse d’imperio nei program-mi francesi di insegnamento e di ricerca; allo stes-so modo ritornano «gli uomini e le donne di buo-na volontà, che hanno pensato in buona fede dioperare utilmente per un ideale di civilizzazioneal quale credevano»7. Ci si allontana, sicuramen-te, da qualsiasi rimessa in gioco dei riconosci-menti dei crimini del passato. Le vittime del co-lonialismo potranno apprezzare.

Gli africani dovrebbero entrare nella storia?

Nessuno, più degli africani, ha avuto mododi apprezzare il discorso che il presidente hapronunciato a Dakar, nel luglio 2007, nel qua-le ha affermato che «L’uomo africano [non era]affatto entrato nella storia». Un anno più tardi8,il suo consigliere speciale Henri Guaino tornasull’argomento e scrive:

«In nessun luogo si dice che gli Africa-ni non hanno una storia. Tutti ne hannouna. Ma il rapporto con la storia non è lostesso da un’epoca all’altra, da una civiliz-zazione all’altra. Nelle società contadine, iltempo ciclico la vince sul tempo lineare,che è quello della storia. Nelle società mo-derna è il contrario».

Dunque, è di una concezione della storia inte-ramente orientata verso il progresso, che si tratta.

7. Discorso del 7 feb-braio 2007 a Tolone.8. «Le Monde», 27 e28 luglio 2008. 3. «la Repubblica», sezione Palermo, 21 agosto 2008, p. 2.

29

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 29

Page 30: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Charles HeimbergLe manipolazioni del passato di Nicolas Sarkozy

L’uomo moderno è angosciato da unastoria di cui è autore e di cui non conosce

il seguito. Questaconcezione deltempo, che si di-spiega secondouna durata preci-sa e secondo unadirezione determi-nata, è stato spe-rimentata per laprima volta daRoma e dal Giu-daismo. Poi ci so-no voluti dei mil-lenni affinchél’Occidente inven-tasse l’ideologiadel progresso. Ciò

non vuol dire che nelle altre civiltà non cisiano stati dei progressi, delle invenzionicumulative. Ma l’ideologia del progresso,così come noi la conosciamo, fa parte del-l’eredità dell’Illuminismo.

I presupposti impliciti in queste poche ri-ghe sono numerosi, e inquietanti. Ci mostra-no immediatamente le certezze e la chiusa vi-

sione del mondo, che caratterizza l’entouragedel presidente Sarkozy. Il lavoro di Enzo Tra-verso sulla genealogia europea della violenzanazista9 ci ha tuttavia ricordato che la Shoahnon è stata solamente un problema specifica-tamente tedesco e che la violenza nazista èiscritta nella lunga durata della storia europea,per quanto non ne fosse una conseguenza ine-luttabile. Ha messo in evidenza che la violen-za e i crimini del nazismo appartengono tan-to a fondo alla cultura europea, da esserneuno dei prodotti possibili.

Ma le idee storiche del consigliere presi-denziale non ignorano soltanto una Shoah cheha lacerato l’Europa del XX secolo. Ci rivela-no ugualmente una concezione molto poveradella storia umana e della sua evoluzione. Cidanno a vedere una immagine del passato uni-laterale, eurocentrica, la cui linearità, orienta-ta unicamente verso il progresso, sembra pro-venire da una concezione ingenua e accecatadel mondo contemporaneo, così come noi loconosciamo. Certamente, in questo caso nonsi tratta che di un discorso di propaganda, checi fa comprendere meglio delle trovate chenon hanno nulla a che vedere con la storia.Ma il rifiuto dell’alterità è patente.

In fin dei conti, questa visione della storia,proprio perché vuole legittimare una primaziadell’Occidente, fino a giustificarne a posteriorii crimini e le pagine oscure, è assurda e danno-sa. Ma, sfortunatamente, i guasti dell’uso pub-blico del passato compiuti da Sarkozy non so-no ancora finiti.

Una Casa per rinchiudere la storianell’«Anima» della nazione?

Arriviamo dunque al progetto della Maisonde l’Histoire, o meglio della Maison des siè-cles et de l’histoire (‘Casa dei secoli e dellastoria’) secondo un’espressione di ispirazionenapoleonica, che potrebbe essere istituita nel-l’Hotel National des Invalides, ora allo studio,in seguito alla pubblicazione di un rapporto

9. E. Traverso, La vio-lence nazie, une gé-néalogie européenne,La Fabrique, Paris2002.10. H. Lemoine, Pour

la création d’un cen-tre de recherche et decollections perma-nentes dédié à l’hi-stoire civile et mili-taire de la France. Si

tratta di una versionedell’inizio 2008, con-sultata in aprile su In-ternet: lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/BRP/084000137/

11. Cfr. N. Offenstadt,L’«âme» de la Franceau musée, nell’edizio-ne partecipativa di«Mediapart» Usages etmésusages de l’histoi-

Un gruppo dipartigiani francesiin una immaginedel 14 settembre1944.

le idee storiche delconsigliere presidenziale

[…] ci danno a vedere unaimmagine del passato

unilaterale, eurocentrica,la cui linearità, orientata

unicamente verso ilprogresso, sembra

provenire da unaconcezione ingenua e

accecata del mondocontemporaneo

30

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 30

Page 31: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqdi Hervé Lemoine, conservatore del patrimo-nio10. Chiaramente incluso nelle iniziative me-moriali del capo di Stato, questo progetto par-te dalla constatazione della necessità del rin-novamento «del bisogno di storia della Repub-blica», ma anche della «perdita dei quadri di ri-ferimento […], in primo luogo del quadro cro-nologico, derivante dall’irruzione delle politi-che memoriali, [che] alimentano i turbamentie i dubbi dei francesi nei confronti della pro-pria storia» (p. 14). Si tratterebbe, né più némeno, voltando le spalle alla pluralità dellastoria, di «mettere in luce gli elementi costitu-tivi e singolari, nei due sensi del termine, diquest’anima», in questo caso, quella della na-zione francese (p. 14). Per lo storico NicolasOffenstadt, qui «si dimostra un essenzialismoimpressionante (la Francia in sé) che riportatutto ad una unità psicologica, che nasce dal-la fede e non dall’esercizio del lavoro storio-grafico. Per non parlare dell’uso di un voca-bolario psicologizzante, al quale gli storici han-no rinunciato da molto tempo»11. Ma questorapporto non cessa di gettarci nella costerna-zione: «La Francia ha una lunga storia – cosìconclude. La Francia è la casa dei secoli. Dia-mo dunque una “Casa della storia” alla Fran-cia» (p. 41). Nessun dubbio che con questoprogetto la storia eurocentrica, del tutto inca-pace di farci comprendere il mondo reale, haancora una lunga vita davanti a sé.

«Decostruire l’immaginario storico forgiatodalla Terza Repubblica e rileggere il passato,mi pare questo il cammino indispensabile diuna nuova francesità, nella quale ciascunosappia riconoscere l’altro in una storia comu-ne e plurale», così ha scritto Suzanne Citron,nella recente introduzione ad un suo vecchiolibro, appena ripubblicato12 (p. 16). Si era nel1987, e, allora, quel libro ci aveva svelato imeccanismi di costruzione della storia nazio-nale francese autocelebrativa, votata ad unaprospettiva identitaria, nella quale erano coin-volti anche i bambini delle colonie.

Questo libro, ora, ci è riproposto con un

aggiornamento ben fatto. Ci ricorda quei pro-gressi, nella scelta dei temi della storia scola-stica, che ci consentono di non occultare piùgli aspetti problematici della tratta dei negri,del regime di Vichy o della guerra di Algeria.Ma sottolinea che «il suo scopo iniziale, la mes-sa sotto accusa delle modalità complessive del-la costruzione e del contenuto di quel raccon-to chiamato “Storia di Francia” è più che maiattuale» (p. 13). Questa constatazione concer-ne in particolare la mania di far risalire l’iden-tità francese ai tempi più remoti. In effetti, «inuna Francia eterna la storia degli altri non esi-ste affatto» (p. 96).

Ha ancora valore una delle domande cen-trali del libro. Perché la nuova scuola delle«Annales», fondata da Marc Bloch e da LucienFebvre, non ha prodotto un nuovo modo diinsegnare la storia francese? Perché i progres-si della storiografia faticano tanto a entrare neicontenuti dell’insegnamento? Qui tocchiamo,senza alcun dubbio, uno degli aspetti fonda-mentali della riflessione sull’insegnamento del-la storia e sulla didattica. Come fare sì che gliallievi riescano a liberarsi dal senso comune,e riescano ad esercitare un pensiero critico,nutrito dalle domande della storia sul mondo,declinata in tutte le sue scale?

re, da consultare suwww.mediapart.fr/club/edition/usages-et-mesusages-de-l-histoire/article/220408/lame-de-la-france-au-musee.

12. S. Citron, Le my-the national. L’histoi-re de France revisitée(1987), L’Atelier, Paris2008.

Charles De Gaullevisita Algeri dopo ilputsch militare del13 maggio 1958.

31

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 31

Page 32: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Charles HeimbergLe manipolazioni del passato di Nicolas Sarkozy

Il presidentefrancese,Nicolas Sarkozy.

Suzanne Citron constata l’obsolescenza, perquanto riguarda la storia nazionale, della vec-chia cultura repubblicana, quella che data aprima del 1914. Mostra che è necessario pri-ma di tutto decostruire. E perciò invoca lo svi-luppo di una storia scolastica diversificata, diun altro rapporto col passato che ci apra anuove prospettive. E questo ci porterebbe apostulare una memoria collettiva più larga, piùinclusiva, che sappia riconoscere la pluralità.Ma come arrivarci, quando chi ha il compitodi curare gli affari dello Stato torna indietro al-le vecchie ricette di una storia identitaria, ri-piegata su se stessa?

Il pericoloso incanto dell’identità nazionale

Proprio per far fronte all’uso smodato che nefa Nicolas Sarkozy, lo storico Gérard Noiriel cipropone una riflessione utile sull’identità nazio-

nale, sulle sue utilizzazioni e sulle sue conseguen-ze13. Il principio della nazionalità, che ha trion-fato in Europa nel tornante dei secoli XVIII e XIX,si basava sulle nozioni di “mêmeté” (‘comunan-za’), ossia sull’idea che i membri di una stessanazione condividono caratteristiche comuni, esulla nozione di “ipséité” (‘ipseità’), ossia il fattoche i cittadini hanno chiara coscienza di questacomunanza, attraverso le loro tradizioni e la lo-ro memoria. La crescita dei nazionalismi della fi-ne del secolo XIX ha consacrato una “identità na-zionale” più chiusa e iscritta in una dinamica diconfronto con le altre nazioni. Da quel momen-to in poi ci si è dedicati prioritariamente alla con-servazione delle tradizioni identitarie, più che auna qualsiasi prospettiva rivoluzionaria.

La questione dell’identità nazionale ha sem-pre causato degli scontri fra destra e sinistra.Essenzialista e celebrativo del culto dei morti,il nazionalismo di un Maurice Barrès era an-che diretto contro i nemici esterni e interni, e

ammiccava ai pregiudizi raz-ziali e antisemiti. Prima di es-sere spazzato via dalla Gran-de Guerra, il patriottismo piùaperto di Jean Jaurès avevacercato di contribuire al pro-gresso dell’umanità.

Nel corso del Sessantotto, ildiscorso sulla sicurezza si è se-parato dal tema degli stranierie dalla nozione dell’identità na-zionale, allora per nulla di mo-da, se non per sostenere i di-ritti nazionali delle minoranze.Ma gli anni Ottanta hanno co-stituito un tornante. Su inizia-tiva di una destra intellettuale

32

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 32

Page 33: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqrimpannucciata, sostenuta massicciamente damedia in cerca di audience, l’identità nazionaleè tornata di moda, rimettendo i giovani immi-grati al centro del problema della sicurezza.

L’uso recente del tema dell’identità naziona-le non costituisce dunque una novità. Per GérardNoiriel, non ha fatto altro che rafforzare i proces-si di stigmatizzazione e una logica di divisione:“noi” e gli “altri”. Sono fenomeni che da moltotempo si stanno sviluppando sotto la spinta delFronte Nazionale. La grande differenza dei no-stri giorni, proprio mentre gli immigrati diminui-scono, è che questo uso perverso, simbolizzatodalla creazione, da parte di Nicolas Sarkozy, diun apposito Ministero dell’Immigrazione e del-l’Identità nazionale, lascia intendere che, d’ora inpoi, ci saranno immigrati buoni e meno buoni.

Gérard Noiriel mostra, dunque, che questoscontro, fra la concezione nazionale aperta ad unacomunità di destino planetaria e il nazionalismopoliziesco e stigmatizzante, ha una lunga durata:e questo ci spinge a conservarne la memoria.

Gli escamotages di Nicolas Sarkozy, fuori della Francia

Una delle riutilizzazioni più assurde e insen-sate di Nicolas Sarkozy riguarda lo storico MarcBloch. Come sottolinea lo stesso Gérard Noiriel,il cofondatore delle «Annales» non ha mai dife-so altro che il pensiero critico. Non ha mai op-tato per un consenso nazionale obbligato, so-stenendo che questo non va confuso, in nessunmodo, con quelle feste popolari, capaci di mo-bilitare il popolo intorno agli ideali democrati-ci. Ha sempre combattuto «per un insegnamen-to della storia libero dalla tirannia dell’evento edel tempo presente, a tutto vantaggio di uno

studio serio delle grandi civilizzazioni»14. Obbiet-tivi il cui raggiungimento è ancora, purtroppo,di grande attualità.

Le manifestazio-ni molteplici di ma-nipolazione dellastoria, da parte diNicolas Sarkozy, nonsi riducono a un fe-nomeno franco-fran-cese. Hanno effettianche al di fuori del-l’Esagono. Una voltaesaurito l’elenco de-gli spettacoli e dellecaricature, che di-stingue questa poli-tica culturale, questiusi perversi dellastoria e della memo-ria meritano di esse-re sottoposti adun’indagine compa-rata. In effetti, sonotrasferibili e possono ricordarci situazioni ana-loghe in altri paesi, in Italia, come in Spagna,ivi compresa la Svizzera, dove l’estrema destraha promosso un uso inquietante dell’identità na-zionale.

Di fronte alla pressione della demagogia po-pulista, alla storia non resta che affermarsi co-me scienza sociale, i cui apporti sono specificiper la comprensione del mondo. Perciò, è im-portante scoprire le manipolazioni che caratte-rizzano il discorso politico sul passato, e il loropervasivo uso mediatico. Da questo punto di vi-sta, Nicolas Sarkozy costituisce una fonte, a tut-ta vista, inesauribile.

13. G. Noiriel, À quoisert l’identité «natio-nale», Agone, Marseil-le 2007. Questo volu-me ha aperto la colla-na sopramenzionatadel CVUH.

L’uso recente del temadell’identità nazionalenon costituisce dunqueuna novità. […] La grandedifferenza dei nostrigiorni […] è che questouso perverso,simbolizzato dallacreazione […] di unapposito Ministerodell’Immigrazione edell’Identità nazionale,lascia intendere che,d’ora in poi, ci sarannoimmigrati buoni e meno buoni 33

14. G. Noiriel, MarcBloch, in CommentNicolas Sarkozy cit.,pp. 36-39.

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 33

Page 34: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1. Il sistema scolasti-co è strutturato sulmodello 4+4+(1), percui l’ottavo anno cor-risponde al terzo anno

della Scuola media in-feriore italiana.2. R. Krammer, C.Kühberger, E. Windi-schbauer et al., Die in

politischer Bildung zuerwerbenden Kompe-tenzen. Ein Kompeten-zstrukturmodell, Wien2008.

Questo curriculo presenta delle modifiche im-portanti rispetto al precedente, in particolare nel-l’ottavo anno1, dove sono state introdotte nuovetematiche di educazione civica (Politische Bil-dung), e specificatamente: i mass-media e le lo-ro conseguenze sulla politica; la messinscena del-la politica; la democrazia e le possibilità del suosviluppo; le forme della partecipazione politica.

L’impulso al cambiamento del curricolo distoria deriva dalla riforma del diritto di voto au-striaco emanata nel 2007. Con questa riformal’Austria è diventata l’unico paese dell’Unioneeuropea in cui i giovani di 16 anni possono par-tecipare alle elezioni politiche, e per questol’educazione civica ha assunto un ruolo decisi-vo nel sistema scolastico.

Il processo di riforma del curricolo è stato av-viato da una commissione di esperti provenien-ti dal mondo dell’università e della scuola, pre-sieduta da Reinhard Krammer (professore di Di-dattica della storia presso il Dipartimento di Sto-ria dell’Università di Salisburgo). Questa commis-sione, che non era influenzata politicamente dalgoverno, aveva il compito di costruire un model-lo delle competenze per l’educazione civica. I la-vori della commissione sono iniziati nell’autun-no 2007, quando non era ancora chiaro se l’edu-cazione civica sarebbe diventata una materia cur-riculare autonoma o soltanto un’appendice del-l’insegnamento della storia o della geografia, e sisono conclusi con la definizione di un modellodisciplinare ideale, pubblicato nel marzo 20082.

In risposta alla nuova situazione politica, si èsubito avvertita la necessità di introdurre l’educa-zione civica come materia autonoma nella scuolamedia. Secondo le decisioni ministeriali, tale inse-rimento non avrebbe dovuto incidere sul costodell’istruzione pubblica, cosicché l’educazione ci-vica è stata fatta rientrare nell’insegnamento di sto-ria, come già avveniva nella scuola superiore.

Una nuova commissione è stata quindi in-caricata di adattare il vecchio curriculo di sto-

Christoph Kühberger

Le competenzedisciplinari nel

nuovo curriculo austriaco di storiaed educazione civica

Come in tanti sistemi scolastici europei,anche in Austria si discute su quali

competenze dovrebbero essere acquisitenella scuola dell’obbligo. Il risultato è stato

un nuovo curricolo di storia ededucazione civica, che è entrato in vigore

nel settembre 2008.

34

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 34

Page 35: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqria alle nuove esigenze prodotte dall’introdu-zione dell’educazione civica. Alla commissio-ne, costituita da rappresentanti ministeriali e dadue esperti di didattica della storia e di educa-zione civica esterni al ministero (Elfriede Win-dischbauer e Christoph Kühberger), è apparsosubito evidente che in un curricolo combinatodi storia ed educazione civica non sarebbe sta-to sufficiente definire solo le competenze disci-plinari dell’educazione civica, quali risultavanodal lavoro fatto dalla commissione Krammer,ma che era necessario formulare anche le com-petenze disciplinari della storia, assenti nellaversione precedente del curricolo di storia. Lecompetenze di storia sono state redatte all’in-terno di un progetto scientifico internazionalesotto la guida di Waltraud Schreiber (professo-ressa di Didattica presso il Dipartimento di Sto-ria della Katholische Universität Eichstätt, inGermania), e in parte finanziato dal Ministeroaustriaco dell’Istruzione Pubblica (Bundesmini-sterium für Unterricht, Kultur und Kunst)3. Nel

nuovo curricolo, dunque, sono state definitenon solo le competenze disciplinari dell’educa-zione civica, ma anche quelle della storia.

La declinazione delle competenzedisciplinari di storia

Come nel curricolo italiano, anche nel nuo-vo curricolo austriaco di storia e scienza sociale/educazione civica (Geschichte und Sozialkun-de/ Politische Bildung), insegnata nella scuolamedia (Hauptschule) e nel liceo (Gymnasium),l’obiettivo è quello di fornire gli strumenti baseper lo sviluppo del pensiero critico negli alunni.

Le competenze disciplinari di storia indicatenel curricolo sono state concepite principalmen-te sulla base della teoria storiografica di Jörn Rü-sen, che definisce un ciclo ideale del pensare lastoria come ricostruzione del passato4. Questociclo è stato tradotto in termini didattici da An-dreas Körber e Wolfgang Hasberg con il seguen-te modello5.

3. www.feur-geschi-chtsbewusstsein.de4. J. Rüsen, HistorischeVernunft. Grundzügeeiner Historik I. DieGrundlagen der Ge-schichtswissenschaft,Göttingen 1983.5. W. Hasberg, A. Kör-ber, Geschichtsbewus-stsein dynamsch, inKörber (a cura di), Ge-schichte - Leben - Ler-nen. Bodo von Borrieszum 60. Geburtstag,Schwalbach/ Ts. 2003,S. 187, pp.179-202.

idee e posizionisul passato

1. (pre)conoscenze2. interpretazioni (giudizi fattuali)3. pre-giudizi

domanda storica

problema temporaledell’orientamento e dell’azione

metodologiadell’interrogazione/

del passato/della storia

“Ricostruzione”

“Decostruzione”

dubbio

sicurezza

orientamento/motivazione

conoscenza costruzionedelle altrui delle proprie

X Zidee e posizioni

sul passato

1. conoscenza2. interpretazioni (giudizi fattuali)3. giudizi di valore (critici)

al passatorivolgersi »

alla storia

35

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 35

Page 36: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Christoph KühbergerLe competenze disciplinari nel nuovo curriculo austriaco di storia ed educazione civica

L’obiettivo di questo modello è la «coscienzastorica riflessiva e autoriflessiva» (reflektiertes und

(selbst)reflektiertes Ge-schichtsbewustsein),intendendo per «ri-flessiva» l’osservazio-ne che il soggettocompie sulla storia, eper «autoriflessiva»l’osservazione che ilsoggetto fa del pro-prio approccio allastoria durante l’osser-vazione riflessiva, siasul piano emotivoche sul piano cogni-tivo6. Pertanto trecompetenze sono dicarattere procedurale(la competenza inter-rogativa, le compe-tenze metodologiche,la competenza del-

l’orientamento), mentre una quarta riflette suglistrumenti lessicali e concettuali.

Qui di seguito presento la declinazione del-le competenze7, che non vengono differenziatee graduate per i diversi cicli scolastici. Il nuovocurricolo austriaco, infatti, non fissa il livello acui devono essere apprese le competenze, giac-ché non si tratta di un curricolo basato su stan-dard come invece avviene in altri paesi europei.

Le competenze disciplinari di storia1. La competenza interrogativa (Fragekompe-

tenz) permette di capire che le domande chevengono rivolte al passato non sono assolu-te, ma soggettive e legate al presente nelquale vengono formulate.

2. Le competenze metodologiche (Methodenkom-petenz) sono necessarie per un uso autonomoe critico del passato e dei prodotti culturali chead esso fanno riferimento (per esempio film,documentari, saggi, test scolastici, fonti orali,

fumetti ecc.). L’obiettivo dell’uso riflessivo eautoriflessivo della storia è legato all’epistemo-logia propria della scienza storica. Le compe-tenze che gli alunni devono acquisire in que-sto campo sono dunque disciplinari, e cioè:• la competenza della ricostruzione (Re-

Konstruktion), che mette in grado di ri-costruire sulla base di fonti e di testi sto-riografici il passato. La ricostruzione fa sìche gli alunni capiscano un po’ meglio iproblemi degli storici, stimolando in lo-ro un atteggiamento critico verso i risul-tati della produzione storiografica;

• la competenza della decostruzione (De-Konstruktion), che consiste nella capaci-tà analitica di sviscerare le prospettive, lecondizioni generali e le intenzioni che in-fluenzano una narrazione, i modelli concui viene spiegato il passato e con cui vie-ne costruito il senso. L’insegnamento do-vrebbe dare la possibilità di acquisire unostrumento critico che permette la deco-struzione di una narrazione del passato.

3. La competenza dell’orientamento (Orientie-rungskompetenz) permette di usare le cono-scenze, le costruzioni e le competenze di-sciplinari apprese per capire meglio il pre-sente e i suoi fenomeni e problemi attuali.Pertanto la dimensione storica diventa im-portante per capire la situazione presente.La competenza dell’orientamento collega lecompetenze disciplinari della storia con quel-le dell’educazione civica (cfr. infra).

4. La competenza lessicale e concettuale (Sa-chkompetenz) è una competenza meta-co-gnitiva per usare strutture lessicali e concet-tuali relative alla storiografia in modo pro-duttivo, creativo e critico.

La declinazione delle competenzedisciplinari dell’educazione civica

Così come il modello delle competenze disci-plinari di storia, anche quello dell’educazione ci-vica definisce le competenze che sono prioritarie

6. A. Körber, W. Schrei-ber, A. Schöner (a curadi), Kompetenzen hi-storischen Denkens.

Ein Strukturmodellals Beitrag zur Kom-petenzorientierung inder Geschichtsdidak-

tik, Neuried 2007.7. cfr. Krammer, Para-digmenwechsel? Ge-schichte, Politische

Bildung und eine ne-ue Herausforderung:Globalgeschichte, in«Informationen zur Po-

litischen Bildung», 23,2005, pp. 42-54, qui p.50.8. Krammer, Kühber-

ger, Windischbauer etal., Die in politischerBildung cit.

L’obiettivo di questomodello è la «coscienza

storica riflessiva eautoriflessiva» […]

intendendo per«riflessiva»

l’osservazione che ilsoggetto compie sulla

storia, e per«autoriflessiva»

l’osservazione che ilsoggetto fa del proprio

approccio alla storiadurante l’osservazione

riflessiva36

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 36

Page 37: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

RADICI CRISTIANE E SCUOLA IN ALTO ADIGEMilena Cossetto

a Provincia di Bolzano, nell’ambito delle competenzespecifiche stabilite dallo Statuto di Autonomia del 1972, ha

approvato il 16 luglio 2008 la Legge Provinciale «Obiettiviformativi generali ed ordinamento della Scuola dell’infanzia e delprimo ciclo di istruzione». All’art. 1 definisce le caratteristiche delsistema educativo provinciale:

è finalizzato alla formazione della singola persona e allo sviluppo diatteggiamenti democratici e di competenze sociali, che permettono lapartecipazione alla convivenza civile […] nel rispetto dei ritmi dell’etàevolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuna e di ciascuno,anche nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori e in armoniacon i principi sanciti dalla Dichiarazione universale dei dirittidell’uomo, dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia,dalla Costituzione e dallo Statuto di Autonomia. La Provincia intendeadottare politiche indirizzate: allo sviluppo culturale, sociale edeconomico della popolazione; alla realizzazione di assetti sociali chegarantiscano la convivenza tra gruppi linguistici, nel rispetto dellerispettive peculiarità e tradizioni; alla diffusione e rafforzamento delpensiero della cultura europea fondata su radici cristiane; allaconoscenza della storia locale […].

Negli articoli successivi l’accenno alla «cultura europea fondata suradici cristiane» si stempera, dal momento che si proclama ilrispetto delle identità culturali, delle diversità, e si sottolinea laricchezza che deriva dalla pluralità culturale. La storia dell’AltoAdige-Südtirol è caratterizzata certamente dalla plurisecolare lottaper la difesa dell’identità territoriale e religiosa tirolese(testimonianza ne sono, ad esempio, la rivolta antinapoleonica diAndreas Hofer, lo scontro con il liberalismo asburgico di fineOttocento). E, sull’onda di questa storia di lungo periodo, sonostate promosse norme speciali, per garantire pari diritti alle linguee alle tradizioni culturali locali. Tuttavia, sembra che irappresentanti politici dei tre gruppi linguistici (tedesco, italiano,ladino ed il potenziale “quarto gruppo mistilingue”) pensino allaglobalizzazione e alla multiculturalità come una minaccia. Essesembrano far ricorso alla religione cattolica (più che alcristianesimo) come un collante per le comunità locali, capace –oltretutto – di mantenere l’Alto Adige fruibile da frotte di turisti invacanza, paghi di un paesaggio da favola. Hanno, di fatto, però,creato uno spazio “in affitto”, impermeabile a qualsiasi realescambio o “contaminazione culturale”.Manifestano un’idea di Europa in contrasto con quella promossadalle ricerche storiche, e sintetizzata, fra gli altri, da Jacques LeGoff, il quale dichiara esplicitamente che «c’è una cosaparticolarmente notevole in Europa, che bisogna assolutamentesalvaguardare andando avanti nella costruzione dell’unitàeuropea: l’unione nella diversità».In questa regione di confine, la scuola, e in particolare “l’ora distoria”, sono un autentico “territorio di frontiera”. Occorre evitareche diventino un “territorio di conquista” di politiche identitarie.

L

corrimano mqper la padronanza della materia8. L’obiettivo è laconsapevolezza politica riflessiva e (auto) rifles-siva che gli alunni apprendono attraverso opera-zioni esemplari in considerazione della loro espe-rienza personale e culturale. Di seguito elenco lecompetenze disciplinari dell’educazione civica:1. La competenza del giudizio (Urteilskompe-

tenz) permette allo scolaro di giudicare au-tonomamente e di analizzare i giudizi poli-tici espressi dagli altri. Le competenze par-ziali che rientrano nella competenza del giu-dizio sono la valutazione di giudizi, il pren-dere in considerazione le conseguenze deigiudizi, il tener conto delle prospettive e de-gli interessi che sottendono un giudizio ecc.

2. La competenza dell’azione (Handlungskom-petenz) è la capacità di gestire un conflittopolitico, di articolare la propria posizionepolitica, di capire e assimilare le posizionipolitiche degli altri e di collaborare alle so-luzioni di problemi della società. Ne fannoparte anche la tolleranza, la disposizione alcompromesso o il prendere contatto con isti-tuzioni civili o politiche.

3. Le competenze metodologiche (Methoden-kompetenz) sono necessarie per un uso au-tonomo e critico dei prodotti della cultura po-litica alla quale si partecipa e per sviscerarele prospettive, le condizioni generali e le in-tenzioni che influenzano il prodotto (ad esem-pio, i servizi su TV o radio, gli articoli sui gior-nali, un grafico a partire da dati tabellari ecc.).L’insegnamento dovrebbe dare sia la possibi-lità di acquisire strumenti critici che permet-tono le analisi di questi prodotti, sia la capa-cità per la costruzione di tali prodotti per po-ter partecipare alla cultura politica (lettere aldirettore, piccoli sondaggi su un argomentosocio-politico, discussioni ecc.).

4. La competenza lessicale e concettuale (Sa-chkompetenz) è una competenza meta-co-gnitiva per usare strutture lessicali e concet-tuali relative alla politica (ad esempio, poli-tics, polity, policy) in modo produttivo, crea-tivo e critico.

37

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 37

Page 38: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1. Fra le pubblicazio-ni a stampa più recen-ti ricordo: A. Brusa, Laformazione dei do-centi di storia fra let-teratura internazio-nale, esperienze italia-

ne e pavesi e Le didat-tiche difficili, in Id., A.Ferraresi, P. Lombardi(a cura di), Un’officinadella memoria. Per-corsi di formazionestorica a Pavia tra

scuola e università,Unicopli, Milano 2008,pp. 29-67 e 109-127;Che storia insegnoquest’anno. I nuoviorizzonti della storiae del suo insegnamen-

to,a cura di S. Presa,As-sessorato all’Istruzionee Cultura della Regio-ne Valle d’Aosta, Aosta2004; Clio ’92, Tesi sul-la didattica della sto-ria: http: //www.cli

o92.it/?area=2&menu=9; A. Gioia, L’insegna-mento della storia traricerca e didattica.Contesti, programmi,manuali, Rubbettino,Soveria Mannelli (CZ)

2005; G. Greco, A. Miri-zio, Una palestra perClio. Insegnare ad in-segnare la Storia nel-la Scuola Secondaria,UTET, Torino 2008; Ch.Heimberg, M. Vassallo,

Le riflessioni sull’esperienza delle SSISNon mi pare che, almeno per quanto con-

cerne la nostra disciplina, la storia, la ricostru-zione e la riflessione su questo recente passato(un passato peraltro ancora «presente» fino allaprimavera del 2009) evidenzino gravi ostacoli,perché negli ultimi anni si è venuta addensan-do tutta una serie d’interventi, sotto forma divoluminosi tomi, di compendiosi saggi in pub-blicazioni miscellanee o atti di convegni, di piùsnelli articoli o anche solo interviste, sia sullacarta stampata (vuoi nelle tradizionali riviste sto-riche generaliste, vuoi nelle più recenti impre-se editoriali come «Mundus»)1 sia su siti Internet,come nel caso di «Reti Medievali» o della rivistaelettronica «Storia e Futuro»2. Forse non è statauna stagione aurea, ma innegabilmente sonostati anni laboriosi e fruttuosi. Probabilmente, enon paia una contraddizione, questo fiorire d’ini-ziative è dipeso anche da una reazione, tardivama lungamente covata fra i cultori della storia,a quella sciagurata marginalità e subalternità acui la nostra disciplina è stata condannata oltreottanta anni or sono dalla riforma di GiovanniGentile. Una riforma mai troppo deprecata, al-

Gaetano Greco

Un possibile futuro

per la formazionedegli insegnantidi storia

La decennale esperienza dellaformazione iniziale dei nuovi docenti dellaScuola secondaria giunge mestamente ad

un punto critico in conseguenza dellachiusura delle SSIS con pochi tratti dipenna, aggiunti a un provvedimento

finanziario destinato a ben altre finalità esenza un dibattito pubblico che abbia

permesso di valutare consapevolmente imeriti e i demeriti, le carenze e i successi

dell’impresa condannata a morte.Sarebbe allora il caso di ripercorrere le

vicende di queste Scuole dispecializzazione nei diversi contesti locali

in cui hanno operato, per riflettere almenosull’eredità che possono ancora

trasmettere ed eventualmente anche perragionare sulla possibile continuazione

delle loro pratiche virtuose.

38

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 38

Page 39: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

GLI STORICI MODERNIPROPONGONO UN CURRICOLOPER LA SCUOLAWalter Panciera

a SISEM, Società italiana per la storia dell’etàmoderna, che conta circa 500 soci, ha avviato

una discussione sull’insegnamento della storiaall’interno del curriculum scolastico nazionale.L’insoddisfazione rispetto agli attuali livelli di uscitadegli studenti dopo la maturità e la dimostrata carenzadi cultura storica dei cittadini italiani sono fonte dipreoccupazione per specialisti e cultori. Da un lato,l’attuale insegnamento della storia non riesce a forniregli strumenti indispensabili per la comprensione el’analisi di una realtà politico-sociale assai complessa,che richiede forme consapevoli di partecipazione e dicittadinanza. Dall’altro, appare lontano l’obiettivodell’acquisizione di soddisfacenti prerequisiti per ilproseguimento degli studi in ambito universitario.Il centro della discussione si focalizza sulla propostaper la costruzione di un unico e coerente curriculumverticale di storia per la Scuola primaria e secondaria,allo scopo di sviluppare un dibattito culturale in vistadi nuove decisioni in sede politico-istituzionale.L’attuale situazione si presenta, infatti, scarsamentecoerente e frutto di giustapposizioni di tipo legislativonon coordinate tra loro. Innanzitutto, nel sistema invigore, le conoscenze richieste alla conclusionedell’obbligo, elevato nel 2007 a dieci anni di scuola,non coincidono in alcun modo con una coerentescansione dei programmi di studio. Inoltre, il recenteassetto del cosiddetto primo ciclo d’istruzione(Primaria e Secondaria inferiore) è sottoposto a unregime di tipo transitorio (Indicazioni Nazionali del2004, modificate poi in profondità nel 2007) e nonsoddisfa che in parte a basilari requisiti di coerenzametodologica e di scansione spazio-temporale. Infine, iprogrammi per la Scuola secondaria superiorepresentano un’imbarazzante e ingiustificata varietà, siaper quanto riguarda i contenuti, sia sotto il profilometodologico-didattico. In generale, i diversiprogrammi di storia risultano approvati in tempi diversi,senza coordinazione complessiva e in buona misurasenza un legame con i reali strumenti e le risorsedidattiche disponibili, nonché con il concreto tipo diformazione fornita ai docenti.L’intenzione della SISEM è quella di confrontarsi con lealtre associazioni di storici e di insegnanti di storia perprovare a formulare un canone di studi aggiornato,coerente e plausibile. Ci si propone anche di avanzareproposte sulla formazione iniziale e in itinere deidocenti, sulla elaborazione di nuovi strumenti didatticie su modalità meno episodiche di dialogo tra scuola euniversità.

L

corrimano mqmeno a mio parere, per l’arcaica gerarchia deisaperi che ha imposto al nostro Paese. Subal-ternità della storia all’italiano (inteso come let-teratura nazionale nei diversi secoli), nelle scuo-le secondarie di base e nelle scuole secondarieindirizzate alla formazione dei futuri tecnici-ese-cutori; subalternità alla filosofia (intesa comestoria dei filosofi messi in fila indiana nella li-nea del tempo), nelle scuole secondarie desti-nate a preparare la futura classe dirigente.

In un simile quadro culturale, sempre più de-teriorato dalla progressiva sfaldatura dei saperistorici richiesti ai futuri docenti di storia nella lo-ro formazione universitaria (secondo le annatedi laurea, tre esami disciplinari, due esami, unsolo esame, ma persino nessun esame!), l’istitu-zione delle SSIS ha offerto una grande occasio-ne di riscossa per i devoti di Clio (mi permettodi estendere ai colleghi questo auto-giudizio) e,qua e là, i titolari e i collaboratori degli insegna-menti di Fondamenti storico-epistemologici e Di-dattica della Storia e dei laboratori di Didatticadella Storia hanno provato con grande impegnoa ricucire la scissione, ormai pluridecennale, frala «storia-disciplina» e la «storia-materia» almenoper le nuove leve di docenti delle classi dell’in-dirizzo Linguistico-Letterario e dell’indirizzo diScienze Umane. Certo, gli approcci e i progetti

Insegnare Storia. Ri-flessioni e spunti di la-voro per la formazio-ne iniziale degli inse-gnanti, a cura di P. Ghe-da, Libreria Stampatori,Torino 2007; U. Baldoc-chi, S. Bucciarelli, S. Sodi(a cura di), Insegnarestoria. Riflessioni amargine di un’espe-rienza di formazione(2002), ETS, Pisa 20072;M. Liverani, A che servela storia, in «Mundus.Rivista di didattica dellastoria», I, 1, gennaio-giu-gno 2008, pp. 48-52; I.Mattozzi, Tra riordinodei licei e riforma del-la formazione degli in-segnanti: quale ruoloper gli storici?, in «So-cietà e Storia», XXX,115, 2007, pp. 167-180;W. Panciera,A. Zannini,

Didattica della Storia.Manuale per la forma-zione degli insegnan-ti, Le Monnier, Firenze2006; R. Spazzali, Lamediazione didatticatra “storia esperta” e“storia insegnata”, inS. Di Pasqua, B. Grassil-li, A. Storti (a cura di),La SSIS di Trieste si rac-conta. Esperienze e ri-flessioni intorno auna Scuola, EdizioniUniversità di Trieste,Trieste 2008, pp. 210-221; G. M. Varanini, L’in-segnamento della sto-ria nella scuola secon-daria: qualche appun-to con particolare rife-rimento al Medioevo,in «Società e Storia»,XXX, 115, 2007, pp.181-190; A. Zannini, In-segnare la storia o in-

segnare a insegnarla?Riflessioni da un’espe-rienza alla SSIS di Udi-ne, in «Società e Storia»,XXXVII, 104, 2004, pp.391-400; Id., La forma-zione dell’insegnantedi storia nelle SSIS, in«Mundus» cit., pp. 14-21; ma cfr. anche la se-zione Biblioteca allepp. 222 e sgg.2. Quest’ultima rivi-sta ha dedicato, grazieall’impegno di Rober-to Parisini, diversi nu-meri a un dibattito apiù voci su «Storiogra-fia e insegnamentodella storia. Vita e mi-racoli delle SSIS» (cfr.in questo stesso nu-mero l’intervento diP. Grossi, De profun-dis: la storia nelleSSIS, pp. 261-265).

39

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 39

Page 40: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Gaetano GrecoUn possibile futuro per la formazione degli insegnanti di storia

perseguiti da questi devoti di buona volontà ap-paiono quanto mai diversificati, ma forse è pos-sibile ricondurli a due percorsi principali, chepotremmo sintetizzare così: dalla didattica disci-plinare all’epistemologia disciplinare, o vicever-sa, da quest’ultima alla prima. I due percorsi so-no stati intrapresi prevalentemente sulla basedelle rispettive esperienze pregresse: sulla pri-ma strada hanno marciato coloro che, operan-do già da tempo nel campo della ricerca didat-tica in ambito storico, possedevano un ampio,solido e articolato bagaglio di conoscenze, diprogrammi e di progetti sulla didattica della sto-ria, mentre lungo la seconda hanno arrancatocoloro che, come il sottoscritto, provenendo daun’esperienza professionale ristretta alla ricercadi base e alla didattica universitaria, hanno mi-rato a costruire con i collaboratori del mondodella scuola e con gli allievi «sissini» una propo-sta didattico-disciplinare fondata prevalentemen-te sul canone epistemologico della disciplinastessa (il «discorso sul metodo»). Pur con tutti gliinnegabili limiti derivanti da un accentuato e per-sino esibito pragmatismo, persino questa secon-

da strada si è rivela-ta fruttuosa, sia neirisultati con gli allie-vi (in termini di pre-parazione all’inse-gnamento della «sto-ria-materia» e di su-peramento serenodelle prove di valu-tazione, esame diStato compreso), sianei confronti dei col-leghi accademici,che nei rari momen-ti di dibattito nonhanno trovato argo-

menti da contrapporre all’elaborazione di prati-che didattiche derivanti da un «sapere esperto»(e accademicamente garantito) della storia, unsapere fortemente ancorato ai suoi fondamentiepistemologici e alla sua stessa storia «interna».

Il Ministero lavora in segretoChe cosa accadrà di tutto ciò nel futuro

prossimo? Mai come ora «di doman non c’ècertezza», posta la segretezza che – al momen-to in cui scrivo queste note – ha blindato i la-vori della commissione istituita dalla Ministrasulla nuova formazione iniziale dei docentidella Scuola secondaria: una segretezza cheoffende fortemente i membri di una corpora-zione accademica usa da secoli allo scambio,alla comunicazione, alla discussione e al con-fronto. Ma i tempi e i costumi cambiano… Tut-tavia, è lecito esprimere qualche timore suquanto i sussurri provenienti dal Palazzo cifanno immaginare. Pare, infatti, che si vadaverso un sistema articolato su una Laurea Ma-gistrale quinquennale, più un anno di tiroci-nio nelle scuole (di fatto, un anno di supplen-ze sottopagate), per accedere poi a quelle li-ste regionali a cui attingeranno i dirigenti sco-lastici per la copertura delle cattedre vacanti.Questi scarni elementi sono poi resi ancorapiù indigeribili dalla revisione delle classi d’in-segnamento in direzione del loro accorpamen-to in un minor numero: in ambito umanistico-letterario, ciò potrebbe dar vita a un mostroche includa italiano, storia, geografia, educa-zione civica, latino, greco, filosofia e storia del-l’arte (senza escludere storia delle religioni,ma solo per i docenti muniti di apposita licen-za de fide et moribus, rilasciata dall’ordinariodiocesano locale). Mi auguro che una similestupidaggine non veda mai la luce, ma – dob-biamo pur riconoscerlo – negli anni passati, eanche sotto governi diversi dall’attuale, sonostate mantenute in vita classi d’insegnamentoprive di assi culturali unitari, tanto nel nostroambito (miscelando le filologie o la filosofiacon le discipline storico-geografiche), quantoin ambito scientifico (con veri mostri come leclassi 59 e 60). La conseguenza prevedibile diquesto combinato disposto sarà lo scatenamen-to di guerre accademiche per costruire i nuo-vi corsi di laurea magistrali per l’insegnamen-to con un’adeguata presenza, e conseguente

Pare che si vada verso unsistema articolato su una

Laurea Magistralequinquennale, più unanno di tirocinio nelle

scuole, per accedere poi aquelle liste regionali a

cui attingeranno idirigenti scolastici per lacopertura delle cattedre

vacanti

40

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 40

Page 41: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqvisibilità, delle rispettive materie: un’esigenzadi sopravvivenza, poiché, anche se negato aparole, è di tutta evidenza che, almeno nel ca-so delle Facoltà di Lettere e Filosofia, l’inse-gnamento rimane pur sempre il principalesbocco professionale dei propri laureati.

Come non temere, a questo punto, che lavittima sacrificale del nuovo processo di forma-zione e reclutamento del personale docente del-le scuole secondarie non sia proprio quella di-sciplina che nelle nostre moribonde SSIS ha ilnome ufficiale di Fondamenti storico-epistemo-logici di…? Semplicemente non ci sarà spazioper affiancare le didattiche delle discipline ai sa-peri disciplinari tradizionali (ai «contenuti»), giàcompressi dall’esiguità degli obblighi richiestidalla vigente normativa ministeriale come requi-siti indispensabili per l’insegnamento (12 CFUdi Letteratura italiana, cioè un vecchio esameannuale; 24 o 36 CFU di Storia, rispettivamenteper Lettere o per Storia e Filosofia).

Una frattura generazionaleIl danno per il sistema scolastico sarà enor-

me: come già accaduto nel passato, si creeràuna frattura generazionale. Se, da una parte,vanno in quiescenza tutti i docenti nati fra glianni Quaranta e i primi anni Cinquanta, con iloro saperi di vecchia acquisizione (ma taloracosì solidi, da potersi concedere il lusso di in-novarli e aggiornarli, come spesso è avvenutoin tutti questi anni), dall’altra parte, il persona-le docente rimasto presenta un carattere unita-rio e una forte differenziazione. Il carattere uni-tario consiste nell’aver frequentato l’Universitànei decenni della «perdita del canone», assor-bendo saperi frammentari e confusi attraversocorsi micro-iper-specialistici, rispondenti taloraagli interessi scientifici coltivati dai singoli do-centi universitari, ma più spesso a mode cultu-rali transeunti, se non addirittura al fenomenopatologico della moltiplicazione nominalisticadelle cattedre universitarie per sistemare paren-ti, allievi e amici. La differenza, invece, risiedenelle modalità d’assunzione: un lungo precaria-

to con stabilizzazione ope legis più o meno ca-muffate, oppure – per le nove annate di «sissi-ni» – un percorso diformazione profes-sionale che per l’im-pegno richiesto eper la polivalenzadegli oneri imposti èparagonabile, alme-no nel contesto ita-liano, solo all’adde-stramento in un bat-taglione d’assaltodella Legione Stra-niera. Nei prossimianni piomberà suqueste due diversecomponenti del cor-po docente una ter-za tipologia, certopiù giovane sul pia-no anagrafico, maassai «vecchia» sulpiano culturale: conpochi saperi fram-mentati (nessunos’illuda che, per quanto riguarda la storia, ver-rà richiesto l’intero curricolo diacronico, peresempio), con nessuna riflessione sull’epistemo-logia disciplinare, con il rifiuto nei confronti del-l’elaborazione e della sperimentazione di unadidattica specifica.

Il danno per la scuola italiana sarà enor-me, soprattutto nell’apprendimento-insegna-mento di quelle discipline che – come nel ca-so della storia – costituiscono nella tradizioneoccidentale un fondamento indispensabile perla formazione a una cittadinanza plurale e con-sapevole. Né mancheranno i rischi per gli aspi-ranti docenti. La mia esperienza ormai più chedecennale di esaminatore dei concorrenti al-l’ultimo concorso ordinario per le scuole se-condarie e degli allievi agli esami di Stato abi-litanti della SSIS e dei corsi abilitanti specialimi ha convinto del carattere affatto aleatorio

Nei prossimi annipiomberà su queste duediverse componentidel corpo docente unaterza tipologia, certopiù giovane sul pianoanagrafico, ma assai«vecchia» sul pianoculturale: con pochisaperi frammentati, con nessuna riflessionesull’epistemologiadisciplinare, con il rifiutonei confrontidell’elaborazione e della sperimentazione di una didattica specifica

41

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 41

Page 42: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Gaetano GrecoUn possibile futuro per la formazione degli insegnanti di storia

di qualsiasi forma di selezione, qualora nonsia preceduta da un’adeguata preparazione ca-librata sulle specifiche caratteristiche del lavo-ro che s’intende intraprendere. In altri termi-ni, a mio parere la necessità di un percorso diformazione iniziale incrocia tanto gli interessidella collettività, che non può fare a meno didocenti esperti per allevare le più giovani ge-nerazioni, quanto gli interessi individuali de-gli stessi aspiranti a ricoprire tale funzione conuna ragionevole aspettativa di successo, talealmeno da rendere sostenibile il proprio inve-stimento personalein questa prospetti-va professionale.Soprattutto nel no-stro settore, dovenon si può ricorrereai processi formati-vi fruiti nell’età del-l’adolescenza (inquell’età la storia èinsegnata per il 99%dei casi da docentiprivi di un apprez-zabile curricolo distudi storici), rima-ne indispensabileperseguire – anchein questi momentidi crisi – un proget-to di costruzione diun sapere storicoprofessionale, darealizzare tramite unpercorso d’impegnoformativo indirizza-to sia ai futuri do-centi di storia, sia aidocenti già in servi-zio: la formazioneiniziale, infatti, ha un avvenire davanti a sé so-lo a condizione che la s’intenda come una fa-se di un processo di continua crescita, di (au-to)formazione permanente.

Il «Dipartimento immateriale di Storia»Per avere una funzionalità efficace, un simi-

le percorso deve contare su un nucleo organiz-zativo e deve proporre iniziative spendibili an-che a livello istituzionale. Sul primo aspetto, ri-tengo necessario superare (non annullare!) lavariegata molteplicità di straordinarie esperien-ze che in tutti questi anni hanno sorretto la ri-cerca didattica: bisogna mirare alla costruzionediffusa di una cellula-base, alla quale si connet-tano tutte queste splendide esperienze locali otrasversali, ma che per la sua semplicità possaessere riprodotta su tutto il territorio. La mia pro-posta, che invito a discutere, ad articolare e acostruire concretamente, è quella di dar vita a«Dipartimenti di Storia immateriali», su base pro-vinciale o interprovinciale, afferenti istituzional-mente alle strutture accademiche preposte allaricerca storica (cioè ai diversi Dipartimenti uni-versitari, «materiali»). Non mi sfuggono le diffi-coltà e i rischi impliciti in questa aggregazione(non sottovaluto affatto il disinteresse o l’ostili-tà o le tentazioni egemoniche dei colleghi), maritengo che questo sia il prezzo da pagare siaper tentare di realizzare una rete in grado di co-prire tutto il territorio nazionale, sia per acqui-sire una garanzia scientifica di buon spessorenei confronti dei tanti gentiliani, che sono av-versi a simili operazioni «a prescindere». A que-sti Dipartimenti immateriali dovrebbero aderirei docenti dell’Università e della scuola interes-sati alla propria (auto)formazione permanente,a partire da quel bacino d’utenza già esistenteche è costituito dagli attuali abilitati, già allievidella SSIS, e potrebbero collegarsi, conservan-do la loro autonomia, tutte le associazioni giàoperanti nel settore. In accordo con le Univer-sità, e grazie alla loro copertura istituzionale,questi Dipartimenti immateriali potrebbero or-ganizzare e gestire concretamente dei masteruniversitari indirizzati alla formazione della fi-gura del docente di storia.

Oltre alla più generale spendibilità del lorotitolo in termini di punteggio e di requisito, que-sti master potrebbero mirare effettivamente a

La mia proposta, è quella di dar vita a «Dipartimenti diStoria immateriali», su base provinciale o interprovinciale,afferentiistituzionalmente allestrutture accademichepreposte alla ricercastorica. A questiDipartimentiimmaterialidovrebbero aderire i docentidell’Università e della scuolainteressati allapropria(auto)formazionepermanente

42

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 42

Page 43: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqpreparare i laureati ad affrontare con successole prove di selezione per l’accesso a quella ri-stretta cerchia degli eletti, alla quale sarà per-messo un anno di precariato sottopagato nellescuole, per conseguire successivamente l’abili-tazione all’insegnamento. Su questo specificoaspetto, riandando con la mente alla mia espe-rienza toscana, ritengo che si possano coagula-re gli interessi non necessariamente distanti del-le amministrazioni regionali e delle conferenzeregionali dei rettori: le une e le altre possonotrarre giovamento da un’attenuazione della con-correnzialità selvaggia (fondata su un malinte-so concetto di «merito»), che le nuove politicheministeriali innesteranno nel nostro sistema for-mativo, ponendo in conflitto questa con quellaUniversità, questa con quella macro-area sub-regionale. In tal modo, questi corsi di formazio-ne potrebbero essere sottratti, non con le catti-ve maniere o con l’ausilio di leggi auto-referen-ziali, ma proprio sulla base del tanto decantatomaggior «merito» adeguatamente certificato, al-le discutibili agenzie formative che fioriscono insimili occasioni, mentre potrebbero essere strut-turati e coordinati a livello regionale da partedegli Atenei coinvolti, tramite i rispettivi Dipar-timenti.

Rispetto alla giungla prossima ventura, que-sto processo formativo costituirebbe un salto diqualità di rilevanza olimpionica, perché potreb-be contare su un cuore, su un progetto cultura-le e professionale. Forse proprio perché vivo dadecenni con entusiasmo, passione e dedizionela mia funzione di docente di storia, sono la per-sona meno indicata a delineare in sintesi i ca-ratteri professionali della figura del docente distoria. Lascio volentieri ad altri il compito di ela-borare organicamente i tratti essenziali di unasapiente mediazione didattica in ambito stori-co, permettendomi però di insistere su un’esi-genza e di ripetere anche in questa sede l’invi-to, che ho rivolto in tanti anni d’insegnamentoai miei allievi, nei corsi universitari come nellaSSIS Toscana. Ho sempre avvertito e tuttora av-verto l’esigenza che la professione del docente

di storia richieda una consapevole e intenzio-nale attenzione nell’impastare continuamente isaperi e le compe-tenze scientifiche di-sciplinari, con il finedi guidare gli allievinella ri-costruzione enell’appropriazionedella «storia che cipiace», perché ci in-teressa e perché lasentiamo utile nelnostro vissuto, conlo sguardo rivoltosenza pudichi infin-gimenti anche aiproblemi sollevatidalla quotidianità. Inquesta faticosa ope-razione, non priva dirischi sul fronte diquel pubblico che giudica il nostro impegnotroppo spesso sulla base di pregiudizi ideologi-ci, possiamo affidarci alle opere culturali comeproficue collaboratrici dell’apprendimento del-la storia: dalle novelle ai romanzi, dai film allepitture o alle fotografie, dai fumetti ai cartonianimati, fino ai giochi di ruolo. Un uso saggio,ma intenso, di questi strumenti moltiplicherà si-curamente il successo del nostro insegnamen-to, perché consentirà agli allievi di immaginarela storia: e l’immaginazione costituisce un ele-mento strutturale per una memoria esperta.

Dall’altra parte, una formazione matura al-la professione di docente di storia attraverso ilmaster e i successivi corsi d’aggiornamento nonpuò rifuggire dalla riflessione approfondita suisuoi fondamenti storico-epistemologici, sullasua particolare ancorché complessa metodolo-gia scientifica, costruita e condivisa dagli spe-cialisti della ricerca: le fonti documentarie e letecniche della loro analisi filologica e critica, isoggetti storici individuali e collettivi, le situa-zioni e gli eventi e/o i processi nella loro du-plice dimensione spaziale e temporale, la mol-

la professione del docente di storiarichiede una consapevolee intenzionale attenzionenell’impastarecontinuamente i saperi e le competenzescientifiche disciplinari,con il fine di guidare gli allievi nellaricostruzione enell’appropriazione della «storia che ci piace»

43

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 43

Page 44: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Gaetano GrecoUn possibile futuro per la formazione degli insegnanti di storia

teplicità dei fattori e delle cause, il linguaggiospecifico con i suoi concetti e i suoi lemmi so-lo apparentemente immobili nel trascorrere del

tempo denso e pro-fondo, la compara-zione sincronica ediacronica, l’elabo-razione di leggi, dimodelli e di ipotesiinterpretative, la co-struzione di scenari,l’argomentazione, fi-no all’apertura anuove proposte me-todologiche come ilparadigma indizia-rio, la microstoria ela storia dei generi,la dimensione mon-

diale e quella regionale o locale ecc. Né saràinutile almeno introdurre alla conoscenza del-le storie particolari della storia intesa sia come«disciplina» (la storiografia), sia come «materia»scolastica (si pensi solo allo studio dei «pro-grammi» scolastici nella loro varietà tipologica:programmi per i corsi di studio, programmi pergli esami finali dei corsi, programmi per i con-corsi dei docenti).

Quanto lavoro rimane ancora da fare, dapoter fare, da voler fare… Se riusciremo a di-ventare un sistema, a organizzare e coordina-re le nostre reti locali in un insieme più am-pio di comunicazione e di collaborazione (gra-zie a Internet oggi è possibile), forse anchestavolta riusciremo a sopravvivere per trasmet-tere il testimone ai più giovani, proprio comei lontani colleghi della «Nuova Rivista Storica»lo hanno consegnato a noi.

una formazione maturaalla professione di

docente di storia non puòrifuggire dalla riflessione

approfondita sui suoifondamenti storico-

epistemologici, sulla suaparticolare ancorché

complessa metodologiascientifica, costruita e

condivisa daglispecialisti

44

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 44

Page 45: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mq

1. Tenta di risponderea questa esigenza l’im-pegno dell’AIIG - Asso-ciazione Italiana Inse-

gnanti di Geografia,che pubblica la rivista«Ambiente Società Ter-ritorio» ed è presente

con sedi locali in ogniregione e in molte pro-vince dove organizzaperiodicamente conve-

gni, corsi per docentied eventi culturali. Daalcuni anni l’AIIG hapoi sviluppato una se-

rie di iniziative per laformazione e l’aggior-namento attraverso In-ternet, il cui nodo di

raccordo è il sito webnazionale www.aiig.it

Vi è quindi la necessità di praticare forme diaggiornamento permanente durante tutta la car-riera scolastica1.

La formazione degli insegnanti di geografiarisente, fra l’altro, della decennale scissione trageografia fisica e geografia umana ed economi-ca. L’attenzione all’aspetto fisico, che ha carat-terizzato l’insegnamento di un’intera generazio-ne di docenti, è oggi trattato in modo più mar-ginale, ma non è del tutto scomparso dalle in-dicazioni ministeriali, dove viene consideratocome base per spiegare le relazioni uomo-am-biente. Mancano però dei corsi di base che pre-parino i futuri docenti, ad esempio, a riconosce-re il ruolo degli elementi del quadro ambienta-le, che pure sono fondamentali per insegnare aleggere i paesaggi e per comprendere vari aspet-ti delle relazioni uomo-ambiente relativi a temidi forte attualità, come lo sfruttamento e il con-trollo geopolitico delle risorse – l’acqua e il pe-trolio –, la sostenibilità ambientale, economicae sociale del territorio.

Questo filone dello studio geografico portaanche ad interrogarsi su come l’uomo pensa lanatura e su come si rapporta ad essa: come la

percepisce, come la rappresenta e come ne pro-getta attivamente la trasformazione (o la con-servazione): il discorso geografico arriva quin-di nel campo dell’etica e dell’educazione.

Un altro filone sul quale la preparazione de-gli insegnanti risente di una certa debolezza èla cartografia. La lettura e la costruzione di unacarta geografica, strumento principe della disci-plina, necessitano di uno studio rigoroso abbi-nato a specifiche esercitazioni. Solo in tal mo-do è possibile padroneggiare lo strumento intutte le sue versatili applicazioni, ad esempio lecarte tematiche, che sono fondamentali per sve-lare molti aspetti delle relazioni che concorro-no a definire l’identità territoriale e le diversepartizioni regionali. Alla cartografia si abbinaoggi una disponibilità sempre più ampia di do-cumenti iconici, in prevalenza di tipo fotografi-co, la cui lettura critica potrebbe diventare unadelle finalità centrali del metodo geografico. Lafacilità con cui attraverso Internet è possibile re-perire immagini di luoghi non è però ancoracompensata da una nuova riflessione sull’usodidattico delle immagini. L’aumento così espo-nenziale del materiale a disposizione degli in-segnanti necessita infatti di nuove metodologieanalitiche, utili a ripensare la funzione delle im-magini nella struttura comunicativa dei nuovimedia. Anche la scelta e l’interpretazione deidati statistici pongono delle difficoltà a molti in-segnanti. L’estrema complessità della rete di re-lazioni del mondo contemporaneo può esserefacilmente semplificata grazie all’astrazione stan-dardizzata dei dati statistici, meglio ancora sevisualizzati attraverso un grafico, una carta te-matica o un cartogramma. Negli ultimi anni, alivello mondiale, la produzione statistica è au-mentata notevolmente, rendendo questo stru-mento sempre più ricco e sfaccettato. Tale ric-chezza necessità però di una rinnovata capaci-

Cristiano Giorda

Sos geografia

Disciplina che ci parla del mondocontemporaneo e dei rapporti tra gliuomini, le comunità umane e il loro

pianeta, la geografia non può essereinsegnata senza una solida base. Gli

insegnanti che ne sono privi tendono poia “rifugiarsi” nel libro di testo, che spesso

orienta finanche la struttura dellaprogrammazione, perché non si sentonoin grado di padroneggiare a sufficienza i

vari aspetti del sapere geografico.

45

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 45

Page 46: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Cristiano GiordaSos geografia

tà sia nell’interpretare criticamente i dati, sia nelselezionarli tra fonti e modalità di visualizzazio-ne diverse.

Ma tutte queste considerazioni non posso-no prescindere dalla risposta che diamo a un’al-tra fondamentale domanda: quali sono i biso-gni degli alunni odierni nel campo della geo-grafia?

La risposta che diamo a questa domanda ciporta direttamente a ragionare sul valore forma-tivo della geografia, sulla sua utilità sociale, sulla

sua capacità di con-correre con un con-tributo forte allo svi-luppo del Paese e al-l’educazione dei suoicittadini.

Quando si appli-cano in ambito sco-lastico, i saperi scien-tifici non possonopiù sottrarsi alla ri-flessione sull’utilitàdelle loro conoscen-ze. E qui assistiamoal paradosso forsepiù evidente che ri-guarda la geografia.Da un lato, registria-mo un accordo una-

nime sull’utilità del sapere geografico, sulla suaindispensabilità per capire il mondo contempo-raneo e per orientarsi fra i suoi problemi e le suerelazioni che si sviluppano alle più diverse sca-le regionali. Luoghi, regioni, Stati, città, sembra-no essere i nodi fondamentali per dare ordine esenso alle orditure della rete di flussi e scambiche sono alla base delle relazioni tra società uma-ne e ambiente terrestre. Un sapere geografico

che è fondamentale, quindi, non solo per leg-gere il giornale o per fare un viaggio o per na-vigare su Internet, ma anche per comprenderei problemi ambientali e sociali (spesso stretta-mente interrelati), le questioni geopolitiche e ge-oeconomiche, gli incontri/scontri regionali fraculture ed etnie e tutti gli altri temi che riguar-dano la popolazione come lo sviluppo econo-mico, le migrazioni, la fame nel mondo, l’acces-so all’assistenza sanitaria, l’identità e le questio-ni di genere.

Dall’altro, l’insegnamento della geografiasembra essere visto “come se” tutto ciò non fos-se rilevante o non fosse di pertinenza della geo-grafia, ancora vista come semplice localizzazio-ne regionale, come collocazione spaziale di Sta-ti, città, fiumi e montagne.

Questo approccio, scientificamente e didat-ticamente scorretto, è probabilmente frutto didue fattori concomitanti: l’ignoranza della geo-grafia e dei suoi sviluppi recenti, cioè l’insuffi-ciente preparazione degli insegnanti, e la debo-lezza della geografia nel far conoscere i proprisviluppi al di fuori dall’ambito disciplinare e ac-cademico, cioè l’insufficiente disponibilità di ma-teriali e corsi per l’aggiornamento dei docenti.

Va però detto che le Nuove Indicazioni re-cepiscono in pieno la nuova considerazione del-la disciplina, e il piano di aggiornamento, finan-ziato dal ministro Fioroni, ha prodotto un buonnumero di corsi e di eventi di formazione ri-guardanti la Scuola primaria e la secondaria diprimo grado. La Scuola secondaria di secondogrado non è invece stata coinvolta, ed è in que-sto grado di scuola che sulla geografia (comedel resto sulla storia) gravano le incognite delNuovo Ministero: resterà il numero delle ore, overrà decurtato, magari per far spazio all’edu-cazione alla cittadinanza? Potrà continuare il pro-

Quali sono i bisogni deglialunni odierni nel campo

della geografia? La risposta che diamo a

questa domanda ci portadirettamente a ragionare

sul valore formativo dellageografia, sulla sua

utilità sociale, sulla suacapacità di concorrere

allo sviluppo del Paese eall’educazione dei suoi

cittadini

46

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 46

Page 47: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mqcesso di rinnovamento, anche attraverso lo svi-luppo di nuove Indicazioni e aggiornate prati-che didattiche? Domande e inquietudini di que-sto genere ci dicono che è utile focalizzare al-cuni elementi qualificanti dell’insegnamento, chepossano fungere da strumento critico per valu-tare e, si spera, per orientare le eventuali nuo-ve proposte del Ministero, il lavoro dei docen-ti e le proposte di formazione/aggiornamentonell’ottica di una più stretta interazione tra scuo-la e Università.

Va in questa direzione la Mozione approva-ta nell’ottobre 2008 a Trieste, durante i lavoridel 51° Convegno nazionale dell’AssociazioneItaliana Insegnanti di Geografia. Nel documen-to, si invita il Ministero a valorizzare il ruolo for-mativo della geografia intorno ai temi della glo-balizzazione, della sostenibilità, della geopoliti-ca, dell’identità e dell’orientamento culturale nelmondo contemporaneo, e a perseguire in tutticurricoli i seguenti obiettivi:1. Acquisire basi di conoscenza sull’ubicazio-

ne di fenomeni e luoghi adeguate a mette-re gli studenti in grado di contestualizzaregeograficamente gli eventi a scala locale, na-zionale e mondiale.

2. Comprendere alcune fra le più importanticaratteristiche del sistema fisico del pianetacome la formazione dei continenti e l’evo-luzione del rilievo, il clima, l’idrografia, i ter-remoti e le alluvioni.

3. Capire il significato dei modelli di localiz-zazione e distribuzione delle attività uma-ne e dei processi fisici; come mai i luoghisono legati ai flussi di popolazione, di ma-teriali e di informazioni e alle loro relazio-ni di tipo economico, sociale e politico;quali siano, ovunque nel mondo, i legamidi interdipendenza tra persone, luoghi e

ambienti; quali siano le relazioni tra econo-mia, attività umane e pianificazione del ter-ritorio.

4. Comprendere le principali relazioni tra uo-mo e ambiente, inclusi l’influenza delle con-dizioni ambientali sulle attività umane e i di-versi modi con cui società dalle diverse ri-sorse tecnologiche economiche e culturalihanno percepito, utilizzato, trasformato ecreato particolari ambienti.

5. Sviluppare il senso del luogo: la relazione diempatia verso la “personalità” di un luogo eil modo con cui è percepito da chi vi abita.

6. Acquisire conoscenza e comprensione deiprocessi umani e fisici che guidano il cam-biamento nei luoghi, nello spazio geografi-co e nell’ambiente, e sviluppare capacità diinterpretazione critica delle conseguenze delcambiamento.

7. Sviluppare la consapevolezza e la compren-sione delle diversità etniche, culturali, eco-nomiche e politiche delle società umane edella loro diversificazione geografica.

8. Acquisire e sviluppare la capacità di identi-ficare e indagare le questioni sociali, cultu-rali, politiche e geopolitiche relative ai luo-ghi, agli spazi e all’ambiente fisico.

9. Acquisire tecniche e sviluppare metodi ecompetenze necessari per l’indagine geo-grafica, come la costruzione e interpretazio-ne delle carte geografiche, l’applicazionedelle tecniche di ricerca sul terreno, l’utiliz-zo per la ricerca delle nuove tecnologie in-formatiche.

10. Sviluppare competenze intellettuali e socia-li inerenti alle questioni territoriali, compre-sa la capacità di osservazione, di analisi, diprogettazione, di rappresentazione e di co-municazione.

47

2_MUN_Q_010-047_p:Layout 1 2-07-2009 15:56 Pagina 47

Page 48: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

48

Una memoriad’Europa. Sullerappresentazionidell’Olocausto nel cinema europeo

1Paolo Jedlowski

Insegnamento della storia,pluralità culturale e coscienza storica2

Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon

Un canone per lastoria olandese:un dibattito senzafine?3

Huub Kurstjens

La formazione dei programmi distoria nelle scuolemedie italiane nel secolo XIX

4Gianni Di Pietro

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 48

Page 49: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

49

mundusricercheIl «Giorno della memoria», istituito inItalia da una legge del 2000, cade il27 gennaio, data dell’apertura deicancelli di Auschwitz. Diversamenteda altre date della memoria… p. 50

Il presente studio si basa suun’indagine condotta su studenti dietà compresa tra i 15 e i 18 anni intre regioni caratterizzate da unagrande eterogeneità etnica… p. 59

Il celebre storico olandese PieterGeyl (1887-1966) affermò una voltache la storia è «un dibattito senzafine». La stessa cosa si può dire aproposito della riforma… p. 74

In Italia, l’ingresso della storia neipiani di studio del grado medio diistruzione si verifica fra gli anniQuaranta e Sessanta del secolo XIX.Il fenomeno è parte… p. 89

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 49

Page 50: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

50

1. R. Siebert, Fragments of a Nega-tive Tradition, in «International Ye-arbook of Oral History», 1, 1992.2. Diversi paesi europei condivido-no la data del 27 gennaio. L’istituzio-ne di un giorno «per la memoria del-l’Olocausto e per la prevenzione dicrimini contro l’umanità» è stata au-spicata, fra l’altro, dai ministri del-l’Istruzione dei paesi europei a Stra-

sburgo nel 2002. Sul carattere auto-critico di questa memoria cfr., fra glialtri, E. Morin, Cultura e barbarie eu-ropee, Raffaele Cortina Editore, Mila-no 2006: sottolinearlo non significanegare che l’Europa abbia contribui-to a generare istituzioni, conoscenze,aspirazioni e ideali di cui può andarfiera, ma per essere fedele a tutto ciònon può occultare la barbarie che vi

si è accompagnata. Sui margini di scel-ta che comporta la formazione di unamemoria pubblica europea cfr. G. Na-mer, Memorie d’Europa, Rubbettino,Soveria Mannelli 1993; per la nozio-ne di memoria pubblica cfr. M. Ram-pazi, A. L. Tota (a cura di), La memo-ria pubblica, UTET, Torino 2007.3. P. Sorlin, Cinema e identità eu-ropea, La Nuova Italia, Firenze 2001.

4. C. Gaetani, Il cinema e la Sho-ah, Le Mani, Genova 2006; per lascelta e il commento dei film citatimi baserò in parte su questo lavoro.5. Questa periodizzazione corri-sponde a grandi linee a quella cheha portato l’Olocausto – al di là delcinema, ma nell’insieme dei discor-si che attraversano la sfera pubbli-ca – a configurarsi progressivamen-

Le vittime dello sterminio pianificato dal regime nazistafurono in somma prevalenza ebrei. Ma nei campi furonointernati e uccisi anche altri: militanti comunisti, omoses-suali, slavi e Rom: è per questo che nel titolo di questocontributo ho scelto di utilizzare il termine «Olocausto» –nonostante la sua evidente inadeguatezza, per l’assurdaidea di “sacrificio volontario” cui rimanda – invece del piùpreciso «Shoah», che però è riferibile soltanto agli ebrei.

Il cinema qui non sarà preso in considerazione nellasua specificità, né come arte né come industria. È piutto-sto inteso come un indicatore di attenzione. Il cinema con-tribuisce alla costruzione delle rappresentazioni median-te cui ciascuno di noi immagina la realtà. Indubbiamentenon lo fa al modo di uno specchio. Se mai come un pri-sma, un modo di rielaborarla. Ma, per il fatto di prestareattenzione a certi temi piuttosto che ad altri, contribuiscea renderli o meno visibili, rilevanti, oggetto di un’atten-zione comune. Nelle sue scelte, la cinematografia espri-me la sensibilità di un paese e di un momento storico, ein questo senso è documento, traccia per leggere la cul-tura di un paese o di un’epoca, ma d’altro canto contri-buisce a formare questa stessa sensibilità 3.

Parlare della rappresentazione dell’Olocausto nella ci-nematografia europea presenta alcune difficoltà. La primaè legata al fatto che un cinema propriamente europeo nonesiste: esistono cinematografie nazionali. A tutt’oggi soloil 10% dei film prodotti nei principali paesi europei circo-la internazionalmente; la Ue ha intrapreso varie iniziativea sostegno di un cinema propriamente europeo, ma la si-tuazione è tutt’ora assai frammentaria. La seconda è cheè difficile separare nettamente il cinema europeo da quel-lo americano: fra le due sponde dell’Atlantico vi sono for-ti influenze reciproche; quanto al mercato, la metà dei filmche circolano in Europa sono di provenienza americana.

Un ulteriore problema riguarda la distinzione tra cine-ma propriamente detto e documentari. Immediatamentedopo la guerra gli Alleati girarono il documentario NaziConcentration Camps, mostrato come prova al processodi Norimberga nel 1948 (un altro documentario, Memoryof the Camps, fu girato all’epoca ma reso disponibile alpubblico solo nel 1982). Le rappresentazioni che abbia-

Una memoriad’Europa. Sullerappresenta-zionidell’Olocaustonel cinemaeuropeoIl «Giorno della memoria», istituito in Italia da una legge del 2000, cade il 27 gennaio, data dell’apertura dei cancelli diAuschwitz. Diversamente da altredate della memoria istituzionale, è una data che non celebraalcunché e non rivendica nulla:ricorda i campi di sterminio e lo fa con dolore. Si richiama auna «tradizione negativa»1. È una memoria pubblicaautocritica. È una data dellamemoria europea: allo sterminio di milioni di cittadini dei paesid’Europa contribuirono governi eabitanti di diverse nazioni; la civiltàin cui fu possibile è la nostra2.

1Paolo Jedlowski

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 50

Page 51: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

51

te come un nodo centrale delle rap-presentazioni del Novecento: cfr. E.Traverso, Auschwitz e gli intellet-tuali. La Shoah nella cultura deldopoguerra, Il Mulino, Bologna2004; Id., Le memorie di Auschwitz.Commemorazioni e uso pubblicodella storia, in Shoah. Percorsi del-la memoria, Cronopio, Napoli2006.

6. È impossibile qui sviluppare ilpunto, ma credo vada osservatoche, al di là della plausibilità del-l’alternativa, questo atteggiamen-to condivide forse una certa re-sponsabilità riguardo alla carenzadi elaborazione dell’antisemitismonei paesi dell’ex-blocco sovietico:una carenza che certo non riguar-da gli autori citati, ma che in que-

sti paesi sembra marcata. Europadell’Est ed Europa dell’Ovest han-no con il passato rapporti diversi,che sono ancora largamente da te-matizzare.7. Va comunque ricordato, per unatteggiamento del tutto diverso, l’in-glese La guerra segreta di Suor Ka-tryn, di Ralph Thomas (1960), doveuna suora cattolica si fa portatrice

di un messaggio ecumenico.8. Eccezioni analoghe sono presen-ti nel cinema americano. Fra questeIl diario di Anna Frank di Stevens,tratto dallo spettacolo messo in sce-na a Broadway sulla base del libroe trasposto in film nel 1959, e Vin-citori e vinti di Kramer, del 1961,spettacolare ricostruzione del pro-cesso di Norimberga.

errato, quello che sarà a lungo un topos dell’immaginariosullo sterminio: il fumo che esce dai camini dei forni cre-matori. Stilisticamente, i film polacchi sono pienamenterealisti. Un collaboratore di Munk girerà nel 2000 un filmsulla realizzazione di La passeggera, rammentando quan-to per gli attori e la troupe fosse stato tremendo girare, fratracce di morte che emergevano a ogni passo, mentre ilvento faceva risuonare i fili spinati.

I film polacchi hanno un risvolto politico. L’Olocaustoè stato perpetrato dai nazisti, ma gli Alleati non appaionocome i suoi veri antagonisti. La vera alternativa è il comu-nismo sovietico6. La stessa idea compare in due film ita-

liani dello stesso periodo, Kapò diPontecorvo (1960) e L’oro di Roma diCarlo Lizzani (1961).

Fra le altre eccezioni ricordo L’ebreoerrante (1948) di Alessandrini. È un filminquietante. È vero che il protagonistaè un giovane Vittorio Gassman, un at-tore “bello” che non possiede alcuntratto che lo riporti allo stereotipo del-l’ebreo diffuso durante il fascismo e ilnazismo: ma il trucco a cui è sottopo-sto ricorda sinistramente proprio que-sto stereotipo. E soprattutto è sciagu-rata la trama: in questa, che si dipanaa partire dai tempi di Cristo, l’ebreo èperseguitato perché deve espiare le sue

colpe. È lui che ha peccato. La Shoah appare così come unparadossale rito di purificazione. In modo del tutto ininten-zionale, il film denuncia tanto le responsabilità storiche del-l’antigiudaismo cristiano quanto le difficoltà della cultura cat-tolica italiana del tempo ad affrontare il problema7.

Si tratta comunque di eccezioni8. Lo sterminio resta alungo un argomento difficile da trattare: se non è propria-mente rimosso, è sicuramente poco presente in tutti i di-scorsi che attraversano la sfera pubblica, cinema compreso.

Il «ritorno del rimosso»È possibile che già il processo Eichmann, celebratosi inIsraele nel 1960 e successivamente molto coperto dalla

mo dei campi – le file delle baracche, i fili spinati – di-pendono largamente da queste immagini, riprodotte poiin molti film. D’altro canto, è difficile catalogare esatta-mente fra i documentari quello girato nel 1956 da AlainResnais, affermato e sofisticato regista di fiction, così co-me è difficile catalogare Shoah di Lanzamann e molti al-tri lavori recenti. Su questo tema, la produzione di docu-mentari e di film si intreccia quasi inestricabilmente.

Ma alcuni tratti della storia della cinematografia europeasono rintracciabili. Recentemente, Claudio Gaetani ha pub-blicato su Il cinema e la Shoah un pregevole studio4. Ne esco-no la conferma e un’articolazione di periodizzazioni riguar-do ai rapporti fra l’Olocausto e la cultu-ra europea già avanzate da altri, che ri-formulerei come segue. Gli anni Cin-quanta e Sessanta sono gli anni del si-lenzio; poi, fra gli anni Settanta e Ottan-ta, potremmo parlare di un ritorno delrimosso; negli anni Ottanta si avvia quel-la che potremmo chiamare la stagionedelle testimonianze, intrecciata con losforzo di integrare l’Olocausto nella sto-ria d’Europa; per gli ultimi due decen-ni si può parlare di un consolidamentoe di un’articolazione del tema5. Nelleprossime pagine fornirò qualche esem-pio per ciascuna di queste fasi. Ovvia-mente non è un discorso esaustivo. Puòforse contribuire, tuttavia, a illustrare alcuni aspetti dei pro-cessi di formazione delle rappresentazioni collettive del pas-sato e del rapporto fra cinema e sfera pubblica.

Gli «anni del silenzio»Fino agli inizi degli anni Settanta, l’Olocausto è raramen-te un tema trattato dal cinema.

Come documenta Gaetani, tuttavia, vi sono alcune ec-cezioni. Fra queste, due film polacchi, Ostatni Etap (‘L’ul-tima tappa’, 1948) di Wanda Jakubowska, e La passegge-ra di Andrzej Munk (1963). Entrambi sono stati girati adAuschwitz. La Jakubowska vi era stata internata. Fra l’al-tro, nel suo film compare per la prima volta, se non vado

Lo sterminio resta a lungo un

argomento difficileda trattare: se non è

propriamente rimosso,è sicuramente pocopresente in tutti i

discorsi cheattraversano la sfera

pubblica, cinemacompreso

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 51

Page 52: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

52

9. Gaetani, Il cinema e la Shoahcit, p. 63.10. È il nesso strumentale, sia det-to qui per inciso, che rende politica-mente comprensibile l’altrettantostrumentale «negazionismo» dell’Olo-causto proposto recentemente da al-

cuni nei paesi medio-orientali. Del re-sto, so di insegnanti nelle banlieuxparigine che per lo stesso motivohanno difficoltà a spiegare lo stermi-nio degli ebrei ai giovani figli di im-migrati arabi. Nonostante esuli dal te-ma di questo contributo, per un ten-

tativo di mettere a confronto le me-morie della Shoah e della Nakbah (la‘catastrofe’ dei palestinesi, la perditadella loro terra) come memorie ca-paci di istituire un dialogo fra “comu-nità di sofferenza” vorrei citare I. Pap-pe, Violenza e memoria in Israele,

in A. Triulzi (a cura di), Dopo la vio-lenza. Costruzioni di memoria nelmondo contemporaneo, L’Ancoradel Mediterraneo, Napoli 2005.11. P. Brunetta (a cura di), Storiadel cinema mondiale, vol. I, L’Eu-ropa, Einaudi, Torino 1999; M. Co-

esce legittimato e con questo il sostegno allo Stato israe-liano10.

In Europa non compaiono discorsi che legittimino ilsionismo. Ma, quanto alla presenza di un pubblico dispo-nibile a vedere film che riguardino l’Olocausto, la situa-zione ora è la stessa. Se Holocaust ebbe risonanza fu an-che perché il tema era maturo.

In Germania, in particolare, il cinema della Neue Wel-le aveva avviato fin dal decennio precedente una rifles-sione profonda sulla rimozione del nazismo e dell’Olo-causto e sulla continuità di alcuni aspetti della società con-temporanea con quella eredità11. Era legato alla genera-zione dei movimenti del Sessantotto, ed esprimeva unatensione presente solo in alcuni settori della società, maaveva aperto la strada.

Non era una strada in discesa. Nel 1977 erano usciticontemporaneamente Hitler - Un film dalla Germania diSyberberg e Hitler, una carriera di Fest e Herrendoerfer.Due film molto diversi. Il primo, lungo sette ore, aveva ache fare con l’elaborazione del lutto secondo una prospet-tiva che doveva molto alle riflessioni dei movimenti gio-vanili del decennio precedente. Alle sue spalle vi era lalezione di Adorno: il passato nazista e l’Olocausto vannoconservati nella memoria perché le condizioni sociali cheli avevano resi possibili sono ancora con noi12. È una que-stione di elaborazione ma anche di vigilanza. Il secondo,che ebbe un successo infinitamente maggiore, intendevaessere una disamina dei motivi del consenso che circon-dò Hitler (specialmente nei termini della fascinazione chela sua demagogia aveva modo di suscitare), ma sortival’effetto di una certa minimizzazione dell’Olocausto.

Il confronto sofferto con il passato nazista convive ineffetti in Germania con tensioni opposte, spinte dal desi-derio di una parte della società di “scrollarsi di dosso”,semplicemente, il passato. Sono di quegli anni anche i pri-mi tentativi di alcuni storici di giustificare il nazismo co-me reazione al “pericolo rosso” e i primi confronti fra la-ger hitleriani e gulag sovietici tesi a relativizzare i crimininazisti.

In ogni caso, come si vede, Holocaust arriva su un ter-reno già arato. Anche l’Italia del resto, attraverso alcunidei suoi autori più impegnati, aveva già avviato la suaesplorazione per tempo. Nel 1970 era uscito Il giardinodei Finzi Contini, di Vittorio De Sica. I più complessi (e

stampa internazionale, abbia contribuito al cambiamento:diventava difficile attribuire l’orrore nazista a una follia,trattarlo come un monstrum estraneo alla civilizzazionein cui era stato possibile. D’altro canto, non lo si potevatacere.

Nella sua ricostruzione, Claudio Gaetani attribuisce pe-rò il cambiamento soprattutto all’influenza, un po’ poste-riore, della miniserie americana Holocaust.

Holocaust fu realizzato nel 1978 per la NBC dallo stes-so regista che l’anno prima aveva realizzato il serial Ra-dici sulla storia dello schiavismo. È unanimemente consi-derato un prodotto mediocre. Elie Wiesel scrisse che tra-sformava «un problema ontologico in soap opera»9. Ma eb-be il pregio di suscitare un enorme interesse popolare. Latrattazione favoriva l’identificazione del pubblico con levittime, suscitando la sensazione di una persecuzione in-spiegabile. Sfiorava temi importanti: fra questi, la caratte-rizzazione degli stessi nazisti non tanto come criminali in-vasati, quanto come uomini mediocri alla ricerca di op-portunità di carriera. È vero che questi temi li sfiorava sol-tanto. Ma sia negli Stati Uniti che in Germania, dove futrasmesso nonostante la forte opposizione dei partiti didestra, Holocaust generò un’ondata di dibattiti televisivi,programmi di approfondimento, richieste di informazio-ne. Indubbiamente favorì una nuova presenza del temanella sfera pubblica, e contribuì a rendere possibile – an-che commmercialmente – altri film.

Se la NBC produsse Holocaust era però anche perchépoteva contare su un pubblico che, in un certo senso, loaspettava: vale a dire su una parte della popolazione che,formatasi nel clima culturale e nei movimenti sociali deidue decenni precedenti, era disponibile a manifestare at-traverso la fruizione di film come questi la propria oppo-sizione ad ogni razzismo ed era disponibile a interrogar-si su come l’Olocausto fosse stato possibile. È un pubbli-co fatto anche dei figli, ora cresciuti, di ebrei che duran-te il nazismo si erano rifugiati negli Stati Uniti. Una ge-nerazione che era cresciuta contestando i propri genito-ri si ferma ora a chiedersi cosa questi abbiano vissuto,come sia stato possibile, a soppesarne le responsabilità.Del resto, molti ebrei sono ora registi affermati, hannopeso nelle scelte delle industrie della cultura. E anche lasituazione internazionale ha la sua rilevanza: in Holocaustil protagonista fugge infine in Palestina, il sionismo ne

1Paolo Jedlowski • Una memoria d’Europa. Sulle rappresentazioni dell’Olocausto nel cinema europeo

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 52

Page 53: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

53

mand, R. Menarini, Il cinema euro-peo, Laterza, Roma-Bari 2006.12. Th. W. Adorno, Che cosa signi-fica elaborazione del passato, inId., Contro l’antisemitismo, Mani-festolibri, Roma 1994.13. La storia del cinema sull’Olo-

causto sembra qui elaborare rifles-sioni come quelle avviate da Han-nah Arendt in La banalità del ma-le, Feltrinelli, Milano 1999; per unaanalisi del modo in cui in cui Arendtè passata dall’idea della Shoah co-me «male assoluto» a quella della «ba-

nalità del male» cfr. A. Moscati, Nonsarebbe mai dovuto accadere. Dalmale radicale al male banale, inShoah. Percorsi della memoria cit.È inoltre parallela tanto a riflessionipresenti nella sociologia (cfr., adesempio, Z. Bauman, Modernità e

Olocausto, Il Mulino, Bologna 1992),quanto allo sviluppo di un filone diricerche storiografiche che va da R.Hilberg, La distruzione degli Ebreid’Europa, Einaudi, Torino 1995, finoa Ch. Browing, Uomini comuni, Ei-naudi, Torino 2004.

Ma ora anche i nazisti cominciano a non essere piùrappresentati macchiettisticamente. Lo stereotipo dell’SSsanguinario, folle e sessualmente perverso lascia posto ainterrogazioni articolate su che tipo di uomini e di donnefossero quelli che avevano sostenuto il regime. Non vie-ne meno la condanna, tutt’altro, ma non si cede a sempli-ficazioni. Sono atteggiamenti paralleli a quelli che si affer-mano nella storiografia. Ci si chiede quale sia stato il po-sto dell’Olocausto nella storia d’Europa, rinunciando a ri-sposte tranquillizzanti.

In questo quadro si colloca l’opera di Edgar Reitz, Hei-mat. Apparso nel 1984 (ma nel 1992 e nel 2004 usciran-no anche Heimat2 e Heimat3), il lavoro di Reitz, che sibasa su una documentazione ricchissima, si compone di

undici film, realizzati per la televisio-ne. Per quanto sia nato con dichiara-to riferimento all’americano Holocaust,quasi per fornirvi una risposta euro-pea, non è un lavoro dedicato espli-citamente all’Olocausto. Rispetto aquesto, ciò che è messo in scena so-no soprattutto i processi di rimozio-ne. In questo senso, però, è forsel’opera più importante sulla memoriaeuropea del Novecento.

La cosa più straordinaria dell’ope-razione di Reitz è esattamente quel-la di non mostrare l’Olocausto come“straordinario”. Pur restando unevento di eccezionale portata, unevento a cui non è possibile acco-starsi senza provare sgomento, l’Olo-causto è stato perpetrato in seno al-

la nostra civiltà, da persone a noi molto vicine, con lacomplicità o con la condiscedenza di molti. Ha trovatoposto dentro la vita ordinaria. Può anche essere consi-derato un unicum o come il «male assoluto», ma in ognicaso non è estraneo alla nostra storia13. E parte della no-stra storia è il modo in cui lo ricordiamo.

Heimat è la storia di una famiglia tedesca lungo l’ar-co del Novecento. Rispecchia il passo lento delle trasfor-mazioni della quotidianità. Credo di non forzare l’inter-pretazione dicendo che è un’opera che riguarda la crisidell’esperienza nel Novecento europeo e la sua ricompo-

controversi: ma sarebbe il caso di rivederli) film di Lilia-na Cavani e di Pasolini, Il portiere di notte e Salò, sono,rispettivamente, del 1974 e del 1975.

L’onda lunga del Sessantotto non ha provocato inItalia una riflessione sull’esperienza fascista altrettantoprofonda di quanto è avvenuto in Germania, ma unacerta riflessione sul fascismo è presente nel cinema: co-me nel Conformista di Bertolucci, del 1970, o, dello stes-so autore, in Novecento, del 1976; o ancora nel bellissi-mo Una giornata particolare, di Ettore Scola, del 1977:non un film sull’Olocausto, ma una delle più profonderievocazioni del fascismo in Italia, osservato attraversogli occhi di una donna e di un omosessuale, le cui con-fessioni si intrecciano con le roboanti dichiarazioni che,alla radio, descrivono una parata.

Una «storia d’Europa»A questo punto, gli ebrei hanno smes-so da tempo di essere rappresentaticon immagini stereotipate. Se mai,vengono identificati attraverso la mes-sa in scena di alcune peculiarità cul-turali o dei loro luoghi di culto. Ma inverità il cinema europeo in genere harinunciato a caratterizzazioni delle vit-time in quanto specificamente ebree:si tratta di esseri umani, uguali aglispettatori. A qualcuno potrà sembra-re discutibile, nel senso che vi è unasottovalutazione della specificità cul-turale dell’ebraismo, ma è una sceltacorrispondente al sentire di una indi-stinguibilità sostanziale degli ebrei in società dove da tem-po l’assimilazione è stata conclusa, e dove le differenzereligiose e culturali sono circoscritte come questioni pri-vate, in modo da sentire che ciò che era accaduto agliebrei avrebbe potuto accadere a chiunque. La persecuzio-ne, la perdita progressiva di ogni diritto, la depredazionedegli averi e la deportazione appaiono così in alcuni filmquasi come un macchinario kafkiano. Come nel Mr. Kleindi Losey (1976), generano crisi d’identità, smarrimento: unvortice incomprensibile che annichila relazioni sociali epercezione del sé prima di condurre alla morte.

gli ebrei hannosmesso da tempo diessere rappresentati

con immaginistereotipate. […] Il

cinema ha rinunciatoa caratterizzazioni

delle vittime inquanto

specificamente ebree:si tratta di esseri

umani, uguali aglispettatori

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 53

Page 54: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

54

14. P. Jedlowski, Se la narrativa èdimora. Attraverso Heimat: espe-rienza, memoria e sfera pubblicaeuropea, Bollati Boringhieri, Torinoin corso di preparazione.15. Fra l’altro, è stata foriera di cri-tiche la scelta di praticare una storiadel quotidiano. La paura espressa daalcuni fu che Heimat mettesse capoa una sorta di “normalizzazione” delregime nazista grazie all’attenzioneprestata agli aspetti dell’esistenza

che potevano riprodursi relativamen-te indisturbati. Non c’è nulla perònella Alltagsgeschichte che diminui-sca la centralità dell’Olocausto o de-gli aspetti criminosi del nazionalso-cialismo: piuttosto, si tratta di meto-di di narrazione che meglio di altriaiutano a capire come furono possi-bili. Cfr. Browing, German Memory,Judicial Interrogation and Histori-cal Reconstruction, in S. Friedländer(a cura di), Probing the Limits of Re-

presentation, Cambridge UniversityPress, Cambridge 1992.16. Cfr. M. Hansen (a cura di), Dos-sier on Heimat, in «New GermanCritique», 36, 1985.17. Vorrei fare ancora un esempio.Per comprenderlo va ricordato che ilnesso fra i diversi film di cui Heimatè composto è fornito dalla voce fuo-ri campo di Glasisch, uno dei compri-mari della vicenda narrata, che iniziaogni nuovo episodio commentando

fotografie corrispondenti a fotogram-mi significativi dei film precedenti. Ilpunto saliente qui è l’introduzione al-l’ottavo film, che succede a quelli de-dicati al periodo nazista e alla guerra.Lo descrive bene Matteo Galli, chesull’opera di Reitz ha scritto un libroprezioso: «Passando in rassegna comeal solito i personaggi della famiglia Si-mon attraverso le fotografie […], Gla-sisch, il narratore, arriva a parlare diPauline, scorrendone varie foto e rac-

E questo è tutto: i vetrai avranno molto lavoro. E i duetornano alle loro vicende.

La scena corrisponde a un momento in cui i personag-gi avrebbero potuto prendere coscienza di ciò che acca-deva. I vandali sarebbero presto diventati squadristi. Agliebrei non si sarebbero soltanto rotte le finestre. Ma i no-stri personaggi girano il capo. È una scena immersa nel-la quotidianità di chi viveva in Germania fra le due guer-re e la descrive per come poteva essere vissuta: vista nel1984, urla come una sirena di allarme17.

La presa d’atto dell’Olocausto avverrà solo con la gene-razione successiva a quella di questi personaggi. Saranno igiovani degli anni Sessanta, soprattutto nelle città universi-tarie, a farsene carico. E il tema, infatti, compare in Heimat2(Die Zweite Heimat), il ciclo successivo (uscito nel 1992, mamesso in lavorazione già dal 1985). Questo è centrato suglianni Sessanta e su un gruppo di studenti che vivono a Mo-naco. Ora la memoria dell’Olocausto si impone in tutta lasua forza. In un episodio il giovane Reinhard, promessa del-la nuova cinematografia, ascolta a lungo il racconto di Esther,figlia di ebrei sterminati nella cui villa egli inconsapevolmen-te ha abitato, credendola di proprietà di tedeschi i quali, inverità, se ne erano impossessati grazie alla deportazione deiproprietari legittimi. Il racconto di Esther occupa quasi l’in-tero episodio. Reinhard vorrebbe farne un film; si ritira ascriverne la sceneggiatura sulle rive di un lago. Ma, quan-do gli amici lo vanno a trovare, è scomparso. Uscito di pri-ma mattina con la barca, si è inabissato nelle acque del la-go. Non ha retto a ciò che si era proposto di raccontare.

La «stagione delle testimonianze»Negli anni Ottanta sono maturi e affermati professionalmen-te in Europa registi che avevano avuto esperienza del nazi-fascismo, direttamente o indirettamente, nella propria adole-scenza. Nei loro film, la messa in scena delle persecuzioni sideclina così a volte come una riflessione, per quanto indiret-ta, sulla propria autobiografia: come nel caso di L’ultimo me-trò di Truffaut (1980) o in Arrivederci ragazzi di Louis Malle(1987), per esempio. Pur senza rinunciare ad essere fiction,

sizione mediante la narrazione14. A metà del secolo, talecrisi corrisponde specificamente a una cesura della me-moria, cioè alla difficoltà di rendere conto del passato na-zista. La cura non consiste tanto in un’ammissione di col-pa, quanto nella capacità autocritica di riconoscere que-sto passato all’interno della nostra storia, investigando lesue continuità con il prima e il poi, e, al contempo, rico-noscendo i meccanismi stessi della rimozione.

Di Heimat a suo tempo si è molto discusso15. Per al-cuni, Reitz non ha rappresentato l’Olocausto abbastan-za. Dunque, avrebbe mancato proprio nella rappresen-tazione cruciale. A parere di costoro, avrebbe finito pereludere nuovamente il problema, favorendo al contra-rio, per l’attenzione che prestava alle sofferenze del po-polo tedesco durante e dopo la guerra, una sorta di re-visionismo16.

A parte il fatto che raccontare le sofferenze degli stes-si tedeschi non significa necessariamente negare le soffe-renze degli altri, è stato qui all’opera un certo fraintendi-mento. È vero che Reitz indaga poco la genesi dell’Olo-causto. Ma Heimat è un racconto centrato su una famigliatedesca in un contesto rurale, e in questo racconto l’Olo-causto non può comparire che come effettivamente com-pare: indirettamente. Ciò che i personaggi vivono com-prende bensì diversi segni di ciò che il regime nazista si-gnificava, ma questi segni venivano costantemente rimos-si: ed è questo ciò che il racconto può e vuole mostrare.

Una scena esemplare in proposito è quella in cui, nelprimo episodio, una delle protagoniste è in una cittadinavicina al proprio paesello e si ferma presso la vetrina diun orologiaio. Un gruppo di vandali compare alle sue spal-le e getta sassi sulle finestre di un appartamento.

«Diamogli una lezione!», gridano.La donna è ferita da un vetro; l’orologiaio la vede e

accorre in suo aiuto: incomincia fra i due un corteggia-mento che, più tardi, si concluderà con le nozze. L’uomocommenta la sassaiola:

«Vede, sopra di me abita un ebreo. In paese ne abbia-mo qualcuno. Ognuno avrà quattro o cinque finestre. Sifaccia il conto di quanti vetri si sono già rotti…».

1Paolo Jedlowski • Una memoria d’Europa. Sulle rappresentazioni dell’Olocausto nel cinema europeo

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 54

Page 55: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

55

contandone le vicissitudini negli an-ni del nazismo. L’ultima foto della se-rie coincide esattamente con una del-le inquadrature del film precedente,quella in cui la donna, seduta sul di-vano con la tappezzeria a strisce nelsalotto della villa Simon – un figlio ingrembo e l’altro accanto a lei – ave-va appreso da Wilfried Wiegand [ungiovane parente che aveva fatto par-te delle SS], con incredulità, della co-siddetta “soluzione finale”. Ebbene

questo fermo-immagine è così com-mentato da Glasisch: ‘Qui ha appenasaputo che suo marito è disperso inRussia’.» (M. Galli, Edgar Reitz, Il Ca-storo, Milano 2005, p. 165). Come inaltre occasioni, qui Reitz mostra co-me funziona il processo di trasmissio-ne della memoria: l’archiviazione del-l’immagine avviene assieme a un at-to di falsificazione. Ciò è mostrato at-traverso un gioco narrativo sofistica-to: il pubblico è chiamato infatti a

prendere le distanze dal patto di com-plicità che il narratore propone, poi-ché è il narratore stesso a mistificarepalesemente la storia. Difficile, direi,sollecitare altrettanto efficacementeuna presa di coscienza che riguardatanto il passato quanto resistenze emeccanismi di copertura.18. Cfr. a riguardo Sorlin, Cinemae identità europea cit., cap. 6.19. S. de Beauvoir, La memoriadell’orrore, in C. Lanzmann, Sho-

ah, Rizzoli, Milano 1987, p. 8.20. Gaetani, Il cinema e la Shoahcit., p. 178.21. G. Didi-Huberman, Immaginimalgrado tutto, Raffaello CortinaEditore, Milano 2005, p. 41. Sul giu-dizio cfr. anche A. Wiewiorka, Dépor-tation et génocide, Plon, Paris 1992:l’«indicibilità» di Auschwitz è statasoprattutto una «inaudibilità» dei rac-conti a riguardo, una deficienza deldestinatario più che del testimone.

mento musicale, nessun filmato di repertorio. Solo i voltidelle persone e le loro voci, oggi.

Simone de Beauvoir, nell’introduzione al volume cheriporta le interviste realizzate da Lanzmann, scrive che ve-dendo il film si era trovata a «confondere il passato e ilpresente»19. Non è strano. Nella memoria il passato è pre-sente. D’altro canto, la Shoah non è esattamente il passa-to, e non solo per chi ne è stato vittima: qui ricordare èun’azione politica.

Nel film di Lanzmann vengono intervistati anche alcu-ni carnefici. In questo caso, eccezionalmente, avviene chea volte essi siano filmati senza sapere di esserlo: le lorodichiarazioni sono agghiaccianti, mostrano una continui-

tà con il regime hitleriano praticamen-te intoccata. Lanzmann li filma di na-scosto: vuole «ucciderli con la mac-china da presa»20. L’indegnità è mes-sa in scena.

«Consolidamento» e «articolazioni»In generale, la morte nei campi disterminio si presta male alla rappre-sentazione cinematografica. Si trattadi raccontare vicende e esperienze dicarattere estremo. Per certi versi ir-rappresentabili. Sono d’accordo conDidi-Huberman nella diffidenza ver-so espressioni come «irrappresenta-

bile», «indicibile» o «inimmaginabile»: sono termini «in ge-nere bene intenzionati e apparentemente filosofici, ma inrealtà pigri»21. Ma rendere conto dell’Olocausto richiederispetto per la memoria delle vittime; d’altro canto, la mes-sa in scena brutale di eventi angosciosi a volte può sor-tire effetti controproducenti: lo spettatore se ne può ri-trarre; la rimozione o quanto meno un certo allontana-mento possono essere indotti controintenzionalmente dal-l’insostenibilità delle immagini. L’Olocausto finisce cosìdi frequente, e giustamente a mio avviso, per essere evo-

il cinema si avvicina alla testimonianza. Ciò vale anche suquestioni controverse e capaci di toccare interessi consolida-ti, come nel caso di La barca è piena (1980) dello svizzeroImhoof, dedicato alla posizione della Confederazione elveti-ca e al comportamento dei suoi cittadini nei confronti degliebrei che vi cercavano rifugio nel corso del conflitto.

È anche vero del resto che i film storici in Europa ave-vano già dagli anni Sessanta conosciuto una significativa tor-sione: da opere tese a descrivere il passato “così com’è sta-to” (o quanto meno come il pubblico ne ha presumibilmen-te nozione), si passa a rappresentazioni più complesse, a“indagini in corso”: la possibilità di fornire versioni diversedello stesso evento entra a far parte della rappresentazionestorica, ci si apre alla contradditto-rietà dei ricordi, al riconoscimentodelle reticenze, all’incertezza e al-l’interrogazione18.

Se ciò è vero in generale, quan-to alla rappresentazione dell’Olo-causto significa fare i conti col fat-to che la memoria di una costella-zione di eventi traumatici comequelli relativi all’Olocausto è con-tradittoria, reticente e parziale;l’evento è inconcluso. Si tratta ditenere viva sia la memoria che lavolontà di farsi domande. Di rac-cogliere testimonianze.

Il frutto più straordinario diquesta stagione del cinema euro-peo è Shoah di Claude Lanzmann, apparso nel 1985. Dif-ficile dire se sia un film o un documentario. Riguarda di-chiaratamente la «soluzione finale». Lo sterminio degli ebreiè affrontato attraverso il ricordo di chi l’ha vissuto. Sulloschermo, si susseguono testimoni diretti che, semplice-mente, raccontano. Alcuni ebrei sopravvissuti, contadinipolacchi che vivevano vicino ai campi, ferrovieri e buro-crati che si erano occupati della deportazione. A tratti leparole sono accompagnate da immagini attuali dei luoghievocati: città, treni, resti dei campi. Nessun accompagna-

L’Olocausto finisce così di frequente […]

per essere evocato piùche rappresentato: nelle storie che il

cinema narra, è spesso un «fuori campo» che «attraversa

l’attesa del futuro e,soprattutto, il tempo

della memoria»

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 55

Page 56: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

56

22. F. Marineo, Olocausto, in Enci-clopedia del cinema, Garzanti, Mi-lano 2005.23. Cfr., fra gli altri, R. Silverstone,Perché studiare i media?, Il Muli-no, Bologna 2002.24. Cfr. anche Jedlowski, Media ememoria, in Rampazi, Tota (a curadi), Il linguaggio del passato. Me-moria collettiva, mass media e di-scorso pubblico, Carocci, Roma2005.25. Fra le articolazioni citerei an-

che la nuova capacità del cinema,nei diversi contesti nazionali euro-pei, di indagare passati traumatici eprocessi di rimozione anche riguar-do a temi diversi dall’Olocausto, co-me quelli riguardanti il passato co-loniale. Un buon esempio a riguar-do è il francese Niente da nascon-dere (Caché) di Haneke, a proposi-to della memoria della guerra alge-rina (premiato fra l’altro come mi-glior film europeo dall’EuropeanFilm Academy nel 2005). Questa

tendenza è però più modesta diquanto si potrebbe auspicare. Co-me ha notato Traverso, gli ebrei so-no «vittime con cui ci identifichia-mo volentieri, perché sono comenoi, fanno parte del mondo occi-dentale nel quale sono ormai per-fettamente integrati» (Le memoriedi Auschwitz cit., p. 51): il caso del-le vittime dei crimini coloniali è evi-dentemente diverso.26. Vi appartiene a tal punto chealcuni parlano oggi in proposito di

una vera e propria «saturazione del-la memoria» (R. Robin, La mémoi-re saturée, Stock, Paris 2003). Quan-to al cinema, non sono sicuro chepresenti il tema con frequenza taleda convalidare questa espressione(che è legittima però in altri conte-sti, specie riguardo a commemora-zioni ufficiali cui corrispondono avolte partecipazioni piuttosto ipo-crite: sul punto mi permetto di ri-mandare anche al mio I paradossidella commemorazione, in Memo-

Ma la stagione più recente è segnata dal lavoro di Spiel-berg, Schindler’s List, apparso nel 1993. Questo si staglia dalpunto di vista tecnico e da quello della sua diffusione. Comee più che nel caso di altri film americani, se non la sua pro-duzione, la sua fruizione è parte anche della storia europea.

Spielberg, americano di origini ebree, ha messo a fruttoun lavoro di ricerca imponente, unito a una perizia di filmmaker e ad una disponibilità di mezzi fuori dal comune. Adalcuni Schindler’s List è forse sembrato fin troppo spettaco-lare, o troppo incline a sfruttare cliché narrativi di impattosicuro, ma se le generazioni più recenti sanno qualcosa del-la Shoah, se con eccezioni in fin dei conti abbastanza rareritengono che sì, effettivamente qualcosa del genere deveessere successo, è anche grazie a film come questi23.

Il cinema è fiction, non è storio-grafia; ma contribuisce a creare l’im-magine del passato che il pubblico dàper scontata24. Di questo Spielberg èconsapevole: il suo film esce negli an-ni in cui i testimoni diretti dell’Olo-causto stanno cominciando, per ra-gioni anagrafiche, a venire meno. Esi affermano movimenti che, in modilarvati o brutali, tendono a promuo-verne un oblio definitivo. Si trattadunque di incidere sull’immaginario,di stabilizzare una memoria comuneche si imponga come indiscutibile. La

stessa scelta di centrare il racconto su un eroe “buono”(per quanto abbia aperto la strada a qualche dubbia au-toassoluzione) serve ad attirare lo spettatore, a far sì cheaccetti la consapevolezza storica di ciò che è accaduto.

Dopo Schindler’s List potremmo citare in Europa Il pia-nista di Roman Polanski, del 2002, o film eccezionali comeTrain de vie di Radu Mihaileanu (1998) e La vita è bella diRoberto Benigni (1997). La scelta è ampia. Quanto al filmdi Benigni, qualcuno si è sentito offeso dal fatto che attor-no all’Olocausto ci potesse essere qualcosa da ridere. Mal’orrore non lo si può rappresentare direttamente, se non al-tro per rispetto, e per meglio preservare la possibilità di av-

cato più che rappresentato: nelle storie che il cinema nar-ra, è spesso un «fuori campo» che «attraversa l’attesa delfuturo e, soprattutto, il tempo della memoria»22.

Il cinema europeo non ha quasi mai realizzato sull’Olo-causto film “spettacolari”. Un po’ diverso è il cinema statu-nitense. Cabaret di Bob Fosse e Julia di Zinnemann, film diforte impatto emotivo, con star e accurate scenografie, era-no usciti già negli anni Settanta; La scelta di Sofia, di Paku-la, nei primi anni Ottanta. Ma, a dire il vero, non erano man-cate operazioni meno spettacolari ma forse ancora più in-teressanti per il nostro tema. A riguardo vorrei citare TalkShow di Oliver Stone, del 1988, un film meno noto e pro-babilmente anche meno riuscito di altri, ma indicativo. Latrama si sviluppa attorno a un conduttore di talk show ra-diofonici. Nel corso del suo program-ma, in diretta col pubblico, inizia a ri-cevere minacce telefoniche da neona-zisti. I discorsi di costoro sono signifi-cativi: se da un lato gli chiedono se nonpensi che quelle sull’Olocausto non sia-no «tutte bugie», dall’altro lo insultanoin quanto ebreo, e negli insulti lo ac-comunano a «negri, femministe e fro-ci». Il punto qui è che Stone segnala siala presenza nella società contempora-nea di gruppi che si ispirano ancora alnazismo, sia come l’odio verso gli ebreisi accomuni a quello verso molti altrigruppi: l’oggetto dell’odio è in effetti variabile (di lì a pocole stesse persone odieranno gli «arabi» allo stesso modo),mentre a essere costante è la logica, quella del capro espia-torio sul quale i «piccoli bianchi» riversano le proprie frustra-zioni e su cui sfogano la propria violenza. Alla fine del film,il conduttore viene ucciso. Un destino che l’America ha ri-servato, fuori dalla fiction, a molti americani antirazzisti. Conciò, il film non toglie all’Olocausto nulla della sua specifici-tà e del suo carattere immane, ma lega l’antisemitismo allagrande famiglia dei razzismi e ne mostra la contemporanei-tà. Di nuovo, non si tratta del passato. E il campo delle vit-time potenziali si allarga tragicamente.

1Paolo Jedlowski • Una memoria d’Europa. Sulle rappresentazioni dell’Olocausto nel cinema europeo

L’Olocausto fa ora parte di una

“grande narrazione”in cui l’Europademocratica si

riconosce. […] si puòparlare di un

“genere”, del tuttotransnazionale

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 56

Page 57: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

57

ria, esperienza e modernità, Fran-coAngeli Edizioni, Milano 2002). Al-meno in certi lavori, sembra anzicercare strategie narrative che pro-vano consapevolmente ad aggirarequesta «saturazione»: La vita è bel-la e Train de vie appartengono amio avviso a questa categoria. È ve-ro in ogni caso che la tendenza aconsiderare il nazismo come la “le-gittimità negativa” dell’Occidenteliberale ha qualcosa di ambiguo: co-me ricorda ancora Traverso, ricolle-

gandosi ad autori come Arendt,Adorno e Marcuse, il punto è che«bisognerebbe interrogarsi sul rap-porto della Shoah con il processodi civilizzazione» (Traverso, Le me-morie di Auschwitz cit., p. 54). Ciòriporta alla questione della «banali-tà» o della «normalità» del male: for-se non a caso ripresa in uno dei piùrecenti film documentario sull’ar-gomento, Uno specialista. Ritrattodi un criminale moderno di Sivan(1999), centrato sulla figura di Ei-

chmann come «burocrate della mor-te». D’altro canto, ricorderei che nonmancano voci che trattano la me-moria dell’Olocausto non come unlutto passibile di elaborazione, macome un incubo da cui non è in al-cun modo possibile uscire: cfr. inproposito, il cupo Europa di Larsvon Trier (1991).27. F. Jameson, Il postmoderno, ola logica culturale del tardo ca-pitalismo, Garzanti, Milano 1989,p. 45.

28. Namer, Mémoire et societé,Klincksieck, Paris1987.29. Quello della Holland è un filmimportante anche per un altropunto, che qui posso solo accen-nare: mette infatti a confronto i re-gimi nazista e sovietico, ma nondal punto di vista dei campi diconcentramento, bensì da quellodei processi di socializzazione cuisottopongono i giovani: a questoriguardo, i totalitarismi appaionoidentici.

ordinario Maus di Art Spiegelman?). O, ancora, per il tea-tro (ma in questo caso sarebbe più difficile reperire i ma-teriali). Il cinema è tuttavia il medium narrativo che rag-giunge il pubblico più numeroso (anche in virtù dei pas-saggi televisivi, quando non si tratti poi, come in alcunidei casi che abbiamo esaminato, di film prodotti diretta-mente per la televisione).

Produttori e registi che si sono impegnati in questo “ge-nere” non lo hanno fatto per ragioni commerciali (anchese, ovviamente, hanno dovuto fare dei conti economici):motivi di carattere etico oppure politico sono molto piùpresenti che in altri filoni della cinematografia. In un cer-to senso, produttori e registi sono stati «imprenditori dellamemoria»28: hanno assunto cioè il ruolo di attori sociali im-pegnati a promuovere certe rappresentazioni del passatoe ad influenzare così la formazione della memoria collet-tiva. Naturalmente, lo hanno fatto in relazione a gruppi so-ciali più ampi, di cui hanno interpretato le esigenze o acui hanno inteso indirizzare le proprie sollecitazioni.

In ogni caso, sia sul piano della conoscenza storica,sia su quello della rappresentazione cinematografica,qualcosa resta ancora da fare. Intanto, è necessario in-globare nella storia che raccontiamo la conoscenza diciò che è avvenuto nei paesi dell’Europa dell’Est, e deimodi in cui è ricordato. Non è automatico: in Europa siparlano decine di lingue, e l’apertura delle frontiere si-gnifica poco per l’effettiva conoscenza reciproca di sto-rie, memorie e produzioni culturali.

In secondo luogo, nei campi furono sterminati milio-ni di ebrei, ma al loro fianco morirono oppositori poli-tici del regime nazista, slavi, zingari e omosessuali. Lapresenza di comunisti nei campi è stata documentata erappresentata (nei film di Lizzani o di Pontecorvo, ricor-diamo, i militanti comunisti erano raffigurati come gliunici plausibili oppositori dell’abiezione nazista). Moltomeno quella di altri.

La persecuzione degli omosessuali, in particolare, af-fiora solo raramente nella cinematografia sull’Olocausto.Ve ne sono tracce nel già citato Una giornata particolaredi Scola, in Europa Europa di Agniezska Holland29, in La

vertirlo. Benigni con le sue beffe e con la fantasia porta lospettatore fino al punto in cui, ormai immedesimato nel gio-co della narrazione, non si difende più, e accetta di riceve-re il pugno allo stomaco che la Storia gli ha già riservato,ma di cui, altrimenti, fa di tutto per non prendere atto.

Negli ultimi due decenni le immagini dei campi di con-centramento sono diventate un simbolo dell’orrore pres-socché universalmente riconoscibile, come tale richiama-to a volte anche in film che con l’Olocausto non hannoniente a che fare. Quanto ai film sull’Olocausto, si sonomoltiplicati, esplorandone aspetti diversi, investigandonele articolazioni, cercando tracce delle resistenze che al na-zismo si opposero (come in Rosenstrasse di Margarethevon Trotta), interrogandosi sui sopravvissuti (come in Latregua di Rosi) e cercando volta a volta nuovi linguaggi,anche in una rinnovata relazione fra produzione di docu-mentari, registrazioni di testimonianze e film veri e pro-pri, sia in Europa che in Nord America (dove un ruolo de-cisivo è stato svolto dalla Survivors of the Shoah VisualHistory Foundation di Spielberg)25.

L’Olocausto fa ora parte di una “grande narrazione” incui l’Europa democratica si riconosce26. Il consolidamen-to del tema è tale che si può addirittura parlare di un “ge-nere”, del tutto transnazionale. Ma, se è tale, non si trattadi un genere codificato secondo una logica commerciale:piuttosto, di una tradizione di investigazioni su una partedella nostra storia che ci interroga e che sollecita prese diposizione morali.

È un genere che convive a fianco di altri, tra film diintrattenimento e film che affrontano aspetti diversi dellarealtà sociale attuale. Contemporaneo al fiorire dell’este-tica postmoderna, sembra che sia un genere in cui que-sta non ha mai attecchito: se quest’ultima è descrivibilecome un sintomo del «declino della storicità» e «della pos-sibilità vissuta di esperire la storia in modo attivo»27, parese mai una reazione speculare alla forza del sintomo.

Un lavoro analogo a quello qui tratteggiato potrebbeessere fatto per la letteratura (i titoli da prendere in con-siderazione sarebbero molti di più) o per il fumetto, il“fratello minore” del cinema (come dimenticare lo stra-

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 57

Page 58: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

58

30. Almeno in Italia, è il pubblicostesso a essere ancora poco ricet-tivo sul tema. È possibile che inquesto conti la posizione delle al-te gerarchie della Chiesa cattoli-ca. Papa Wojtila ha chiesto scusapiangendo agli ebrei per l’antigiu-daismo cristiano e cattolico a Ge-rusalemme, davanti al Muro delPianto, riconoscendo la sua re-

sponsabilità storica nel favorirel’antisemitismo e la stessa Shoah.Ma è difficile dire quanti anni an-cora bisognerà aspettare che unpapa chieda scusa agli omosessua-li per la discriminazione cui le ge-rarchie cattoliche continuano a in-vitare, una discriminazione cheeticamente ripugna a chi è con-vinto della uguale dignità e degli

uguali diritti di ogni essere uma-no, esattamente tanto quanto ri-pugna il razzismo.31. M. Ovadia, Filmare l’indicibi-le, in Gaetani, Il cinema e la Shoahcit., p. 10.32. Ibidem.33. Didi-Huberman, Immaginimalgrado tutto cit., pp. 219 e sgg.34. S. Krakauer, Film: ritorno alla

realtà fisica, Il Saggiatore, Milano1962, p. 435.35. Ibid.36. Arendt, Le tecniche della scien-za sociale e lo studio dei campi diconcentramento, in L’immaginedell’inferno, Editori Riuniti, Roma2001. Cfr. anche G. Agamben, Mez-zi senza fine, Bollati Boringhieri,Torino 1996.

fossimo messi di fronte a ciò che fu il farsi reale del-la Shoah nello scorrere di quel tempo non potremmosopravvivere a lungo32.

La citazione della Medusa compare anche nelle ultimepagine di Immagini malgrado tutto di Didi-Huberman33.Qui è ripresa a sua volta da un testo di Krakauer. Ram-mentando la storia di Perseo e dello scudo grazie al qua-le poté affrontare la Medusa, senza guardarla direttamen-te negli occhi, Krakauer scriveva:

La morale del mito è natural-mente che noi non vediamo, enon possiamo vedere, le cose ve-ramente orride perché la paura ciparalizza e ci rende ciechi; potre-mo sapere che aspetto hanno sol-tanto guardando immagini che neriproducono l’aspetto34.

Il cinema serve anche a questo. Così come può servirea raccogliere la conoscenza e il coraggio per eseguire ciòche il mito ancora consiglia: perché

il mito indica anche che le immagini sullo scudo osullo schermo sono mezzi rivolti ad un fine: debbo-no permettere o indurre lo spettatore a decapitarel’orrenda cosa che vede rispecchiata35.

Quello che avvenne in mezzo all’Europa negli anniTrenta e Quaranta del secolo appena trascorso è un abis-so. È stato scritto che costringe a ripensare l’antropologia,o tutte le scienze umane36. Ma la mediazione narrativa ciconsente di rammentarlo e insieme di non precipitarvi,grazie al filo comune che nella narrazione si tesse. Perquanto sia stato l’emergere di ciò che è inumano, narran-dolo affermiamo la nostra umanità.

finestra di fronte di Ozpetek. Solo molto recentemente,nel 2000, il film documentario anglo-tedesco Paragraph175, di Epstein e Friedman, basato sulla ricerca storica diKlaus Müller, rende loro giustizia30.

ConclusioniRappresentare pienamente l’esperienza della Shoah e del-l’Olocausto è impossibile. Non si tratta solo del fatto cheogni rappresentazione, in ogni caso, è per l’appunto rap-presentazione, è un artefatto, ed espe-rirla non significa compiere l’esperien-za rappresentata. Questo lo sa ogniregista, e grazie a questa consapevo-lezza può manipolare le immagini inmodo da farle alludere nel modo piùefficace, per il tempo e per il pubbli-co a cui sono destinate, all’esperien-za cui vuole rimandare. Ma il puntoè che ciò a cui la rappresentazione al-lude, in questo caso, è pressoché insostenibile.

E tuttavia film come quelli che ho rammentato sononecessari. Come ha scritto Moni Ovadia, lo sono perchèrispondono alla

urgenza di un essere umano nato nel mondo dallecui viscere è uscito quel crimine di misurarsi con ciòche l’evento significa per lui, quali pensieri, qualiemozioni e quali risonanze abbia con la sua vita31.

E sono necessari anche in un altro senso. Si tratta, scri-ve ancora Ovadia,

di interporre fra gli uomini e il volto della Medusa lapietas di un narrare artistico che ci consenta di guar-darla senza venire pietrificati. Se qualcuno ci doves-se condurre davanti a una porta, ce la aprisse e noi

1Paolo Jedlowski • Una memoria d’Europa. Sulle rappresentazioni dell’Olocausto nel cinema europeo

Rappresentarepienamente

l’esperienza dellaShoah e

dell’Olocausto è impossibile

“”

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 58

Page 59: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

59

* Intervento tenuto al convegno in-ternazionale «Giornate di Studio sul-le didattiche della storia e della geo-grafia», organizzato dall’IUFM diCampagne-Ardenne, Reims, 23-24ottobre 2006.1. Il Consiglio Scientifico Olande-se per la Politica governativa (WRR,Wetenschappelijke Raad voor hetRegeringsbeleid) è un organismo in-dipendente che fornisce consulen-za al governo dei Paesi Bassi su di-verse questioni, molto spesso in unaprospettiva a lungo termine. Questaricerca, diretta da Maria Grever e Ke-es Ribbens in collaborazione con Ter-ry Haydn e Nicole Tutiaux-Guillon,è poi legata a un progetto più vasto«Paradossi della de-canonizzazione»,finanziato dal Consiglio ScientificoOlandese e centrato sullo studio delcome e quando alcune versioni del-la storia sono divenute “canoniche”,mentre altre sono state marginaliz-zate. I due progetti sono sviluppatidal Dipartimento di Storia dell’Uni-

versità «Erasmus» di Rotterdam. Unringraziamento speciale va a KeesRibbens per l’interpretazione dellerisposte alle domande 4 e 6.2. Ci teniamo a chiarire che le iden-tità cosiddette etniche, così comele identità nazionali altro non sonoche costruzioni sociali.3. M. Angvik, B. von Borries (a cu-ra di), Youth and history, a compa-rative European survey on histori-cal consciousness and political at-titudes among adolescents, KörberStiftung, Hamburg 1997; N. Tutiaux-Guillon, M.J. Mousseau, Les jeunes etl’histoire, identités, mémoires, con-science historique, INRP, Paris 1998.4. Ringraziamo Terry Haydn e Ke-es Ribbens per il loro contributo.Cfr. anche M. Grever, T. Haydn, K.Ribbens, Identity and school histo-ry: the perspective of young peoplefrom the Netherlands and En-gland, intervento all’European Con-ference on Educational Research,Ginevra, 13 Settembre 2006.

mersi in questi termini: in che misura le differenze cul-turali (nazionali ed etniche2) influiscono sugli atteggia-menti nei confronti della storia e sulla sua comprensio-ne? Si tratta dello stesso obiettivo di un’indagine condot-ta circa dieci anni fa3 e intitolata «I giovani e la storia»;speriamo ora che questa ricerca possa far luce sulle in-terazioni tra identità sociale e cultura storica negli ado-lescenti all’inizio del XXI secolo. Uno degli scopi di que-sto studio è quello di stabilire il ruolo delle identità “na-zionali” nel processo dinamico di formazione dell’iden-tità nelle società multiculturali. Affronteremo anche laquestione delle risorse alle quali i giovani ricorrono perla comprensione della storia, anche in funzione della lo-ro appartenenza socio-culturale4.

Poiché la collaborazione di ricercatori attivi in conte-sti sociali e scientifici tra loro diversi ha permesso di con-frontare interrogativi e interpretazioni differenti sui risul-tati dell’indagine, presenteremo senz’altro qualche risul-tato empirico, ma daremo tuttavia un posto di rilievo al-le questioni teoriche.

Il contesto dell’indagineL’indagine è stata condotta tramite un questionario sottopo-sto a 635 adolescenti di età compresa tra i 15 e i 18 anniche seguivano tutti un corso di storia, obbligatorio o facol-tativo. Le 14 domande poste sono quasi tutte chiuse o se-mi-chiuse; presenteremo tuttavia anche i risultati francesiper l’unica domanda aperta. Il questionario esplora l’inte-resse degli studenti per le diverse sfaccettature della storia,

Insegnamentodella storia,pluralitàculturale ecoscienzastorica:approcciteorici ericercaempirica*

Il presente studio si basa suun’indagine condotta su studenti di età compresa tra i 15 e i 18 anniin tre regioni caratterizzate da unagrande eterogeneità etnica:Rotterdam, Londra e alcune cittàfrancesi del Nord Pas de Calais(Lille città, Hénin-Beaumont,Maubeuge). L’indagine, di cui presenteremo qui solo alcuni dei risul-tati, fa parte di un grande progetto finanziato dal Consi-glio Scientifico Olandese (CNL) per la politica governati-va e intitolato «L’identità nazionale nel contesto: un pas-sato comune per l’Olanda?»; il progetto ha come obietti-vo lo studio del significato delle identità sociali degli stu-denti in un ambiente multiculturale in relazione al loro in-teresse per la storia

1

La scelta dell’Olanda, dell’Inghilterra e della Franciaha permesso di sfruttare sia le differenze tra le discipli-ne scolastiche che quelle di contesto, specialmente intermini di integrazione degli immigrati, di modelli poli-tici e d’identità. La questione centrale potrebbe riassu-

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 59

Page 60: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

60

5. Originariamente avevamo 678questionari riempiti, 43 erano peròda considerarsi “irregolari”.6. In realtà non si tratta di un fattonuovo: quartieri abitati prevalente-mente da “stranieri” sono un carat-tere costante delle città europee, a

volte con una popolazione stabile,come nel caso degli ebrei. Purtutta-via questo fenomeno oggi viene co-struito socialmente come qualcosadi nuovo, che riguarda l’Europa, do-po essersi manifestato negli Usa, eviene pensato come “ghetti”.

7. R.D. Putnam, Bowling alone. Thecollapse and revival of Americancommunity, Simon & Schuster,New York 2000.8. C. Renaudo, L’ethnicité dans lacite, jeux et enjeux de la caracté-risation ethnique, L’Harmattan, Pa-

ris 1999; B. Moulin, La ville et sesfrontières: de la ségrégation socia-le à l’ethnicisation des rapports so-ciaux, éd. Karthala, Paris 2001.9. Cfr. le numerose opere sul temadel patrimonio, come ad esempio,Patrimoine et passions identiai-

cietà». Il fenomeno è in parte dovuto all’individualismoimperante, e tuttavia in molti paesi la responsabilità vie-ne attribuita anche all’immigrazione, o per via del nume-ro crescente (reale o presunto) degli immigrati, oppure acausa della loro diversità, anch’essa avvertita in crescita.In questo contributo terremo seriamente conto della sup-posta frattura tra immigrati e autoctoni con il fine di met-terla alla prova attraverso l’indagine sugli atteggiamenti ri-spetto al passato e alla storia nelle scuole.

In Europa, da circa 20/30 anni, sono giunti numerosiimmigrati, tra cui anche molti rifugiati; alcuni paesi chenon avevano conosciuto fino ad allora una forte immigra-zione sono divenuti paesi di approdo.

Le differenze nell’origine si traducono nella segrega-zione tra quartieri di immigrati equartieri a maggioranza autoctona,ma anche in differenziazioni etniche– ben visibili nelle grandi città – al-l’interno dei quartieri di immigrati6.I mass-media hanno dato rilievo aquesta situazione durante le tensio-ni a Parigi, Berlino, Londra e Bruxel-les, talora amplificando i tratti etni-ci a discapito degli altri fattori socia-li. Questa situazione è tipica, in par-ticolare, di alcune ex-potenze colo-niali come il Regno Unito, l’Olandae la Francia. Altro fenomeno ben no-to ai sociologi è quello delle classiagiate che, quando nel vicinato si

viene ad impiantare una popolazione economicamentee culturalmente povera, si trasferiscono altrove. Vistoche la gente ha in ogni caso bisogno di un senso di si-curezza e di coesione, i quartieri dove si stabilisconoimmigrati non occidentali tendono ad instaurare una re-te di solidarietà piuttosto esclusiva. Questa dinamicacontribuisce alla segregazione tra quartieri e all’isola-mento dei quartieri di immigrati, considerati come “et-nici”. Nonostante i gruppi vulnerabili siano capaci dicreare delle reti di solidarietà (bonding), tuttavia essinon riescono ad allacciare contatti con i gruppi socialidella cultura dominante (bridging)7. Da qui il fatto che,indipendentemente dalle situazioni locali, la parola chia-ve della retorica politica in molti Stati è diventata «coe-

il tipo di storia che pensano essere appropriato nelle scuo-le, la loro opinione sui fini della storia scolastica e della sto-ria in generale, e infine la definizione che essi danno dellapropria identità5. L’obiettivo è quello di incrociare i diversidati – nonostante ciò rappresenti solo l’inizio dell’analisi –al fine di valutare la pertinenza delle ipotesi (cfr. infra) e diqualche risposta empirica alla questione delle relazioni traidentità e comprensione della storia. Dopo uno studio pi-lota del 2005 condotto in Olanda e in Inghilterra, tra feb-braio e marzo del 2006 è stata distribuita una versione rivi-sta del questionario nelle scuole delle regioni urbane del-l’Olanda, dell’Inghilterra e del Nord della Francia che si pre-sumeva potessero accogliere in misura maggiore studentidi appartenenze etniche diverse. I risultati sono stati analiz-zati in gran parte grazie al programmaSPSS, e in modo empirico per le rispo-ste francesi alla domanda aperta. L’in-dagine è stata condotta in 5 scuole se-condarie di Rotterdam (294 risposte),3 scuole secondarie della Londra me-tropolitana (148 risposte) e 4 licei diLille, Mauberge e Hénin-Beaumont(199 risposte). Gli studenti di Rotter-dam rappresentano 42 nazionalità di-chiarate (Corea, Congo, Surinam, Ma-rocco, Turchia ecc.), gli studenti di Lon-dra ne rappresentano 30 e quelli delNord Pas de Calais solo 15; quest’ulti-mo indice, particolarmente basso separagonato agli altri, può essere attri-buibile a vari fattori: la regione scelta (alcune zone della Pa-rigi metropolitana avrebbero offerto sicuramente un tassopiù elevato), l’importanza dei matrimoni misti che permet-tono ai figli degli immigrati di acquisire la nazionalità fran-cese, il fatto che in Francia la naturalizzazione degli stranie-ri è più facile rispetto agli altri Stati presi in considerazione,o la storicità del fenomeno dell’immigrazione in Francia.

La presentazione del contesto chiarirà i presupposti ei fini dell’indagine.

Il contesto socialeDa più di 10 anni la scuola in Europa si trova a doversiconfrontare con il fenomeno spesso definito come «allen-tamento del legame sociale» o «frammentazione della so-

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

L’esigenza di risalire alle“origini” e di

attestare la propria“autenticità”

rimanda sì al piaceree all’interesse storico,

ma genera ancherelazioni oscure eossessive con il

passato

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 60

Page 61: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

61

res, entretiens du patrimoine, Fa-yard, Paris 1997.10. D. Lowenthal, The heritagecrusade and the spoils of history,Cambridge University Press, Cam-bridge 1998.11. Grever, Nationale identiteit en

historisch besef. De grenzen van decanon in de postmoderne samen-leving, in «Tijdschrift voor geschie-denis», 120, 2, 2006, pp. 160-177.12. F. Lorcerie, L’école et le défiethnique, INRP-esf, Paris 2003.13. A. McClintock, Imperial lea-

ther. Race, gender and sexuality inthe colonial contest, Routledge,New York 1995.14. Il termine in questione è for-mato secondo le regole del verlan,sorta di idioletto tipicamente fran-cese che inverte l’ordine delle silla-

be di alcune parole. La parola inquestione è arabe cioè ‘arabo’, e de-signa essenzialmente, ma non solo,gli immigrati di provenienza nord-africana. Il termine si applica ancheper designare l’universo culturalead esso legato [N.d.T.].

– che tende sempre più spesso ad avere il sopravventosulle altre – viene operata in base alle relazioni, ai com-portamenti e ai processi sociali espressi dai simboli, dal-l’abbigliamento, dai rituali ed eventualmente dai conflit-ti11; essa si basa in gran parte su una sorta di «convin-zione etnica», ovvero sulla percezione che gli individuihanno di appartenere, o che gli altri appartengano, auna comunità d’origine, indipendentemente dall’esisten-za oggettiva della comunità in questione12. Questo pro-cesso è analogo a quello che ha portato, dal XIX seco-lo agli anni Sessanta del XX, a considerare le classi la-voratrici o quelle rurali come classi svantaggiate e infe-riori, o a qualificare gli ebrei in paesi cristiani come “raz-za inferiore” o anche a disprezzare i cattolici in paesi

protestanti, e più in generale a de-nigrare ogni minoranza13. Tale pro-cesso fa parte della definizione di sé(del proprio/propri gruppo/gruppid’appartenenza) e dell’altro, e puònutrirsi di uno specifico rapportocon il passato, il proprio e quello de-gli altri.

Oggi in Europa i bianchi occiden-tali, quelli che in Nord America ven-gono definiti «caucasici», raramentesi percepiscono come un gruppo et-nico. Si sentono “al di là” dell’etnici-tà, riservandola solo agli altri grup-

pi, e in particolare ai non occidentali. Implicitamente es-si si pongono come detentori di un’universalità alla qua-le le minoranze “etniche” non hanno accesso. La secon-da o terza generazione di immigrati può anche parlarecorrentemente olandese, francese o inglese, saranno sem-pre considerati come turchi, algerini o marocchini. Gliimmigrati riprendono queste etichette, talvolta distorcen-dole, per classificare le persone in base alla cultura o al-la posizione sociale, o addirittura inventano a loro voltadelle vere e proprie categorizzazioni “etniche” (basti pen-sare all’uso del termine beur14 in Francia). Nella quoti-dianità, il processo può portare ad una stigmatizzazionee ad una segregazione imposta o rivendicata. Il proble-ma dell’integrazione è allo stesso tempo una preoccupa-zione universitaria e una questione pubblica. Da una par-te si perora la causa dell’integrazione strutturale, soste-

sione sociale». La constatazione di questo fatto ci ha por-tato a preferire strutture urbane in zone a popolazionemista e, più specificamente, a prendere in particolareconsiderazione gli istituti professionali e tecnici al finedi poter massimizzare la percentuale di studenti immi-grati, o figli di immigrati, rispetto alle proporzioni na-zionali.

La frammentazione della società civile legata alla cre-scente mobilità delle popolazioni, alla disoccupazione,alle trasformazioni della famiglia e, per quanto riguar-da Olanda e Regno Unito, al processo di secolarizzazio-ne avvenuto nella seconda metà del XX secolo, generaun sentimento di alienazione lasciando invariata la ne-cessità del sentimento di appartenenza. È possibile chequesto indebolimento della rete so-ciale sia il motivo del successo, percitare un esempio, delle partite dicalcio, o anche dello sviluppo diquel fenomeno che i sociologi chia-mano «trialismo»8, ma si tratta solo disurrogati. Negli ultimi decenni le co-munità e le nazioni hanno messosempre più l’accento sulle proprieidentità, in particolare tramite la ri-vendicazione di un “passato comu-ne”. La storia recente dei Balcani, oi dibattiti sulla schiavitù in Franciasono esempi di ferite ancora aperte.Per concretizzare le “radici” di questo o quel gruppo, sifa ricorso ad ogni sorta di patrimonio, lo si trasforma,lo si sopprime o lo si inventa9. L’esigenza di risalire al-le “origini” e di attestare la propria “autenticità” riman-da sì al piacere e all’interesse storico, ma genera anche– secondo l’accurata descrizione fatta da David Lowen-thal – relazioni oscure e ossessive con il passato10. Que-sto sforzo di appropriazione del patrimonio genera con-temporaneamente coesione ed esclusione. È per questomotivo che ci è sembrato interessante poter confronta-re le identità dichiarate dagli studenti e i significati cheessi attribuiscono al passato.

Il bisogno di strutture sociali salde va di pari passocon la tendenza a etichettare le persone in base alla lo-ro identità etnica, e spesso facendo ricorso a motivazio-ni radicate nel passato. Questa categorizzazione etnica

Negli ultimi decenni le comunitàe le nazioni hannomesso sempre più

l’accento sulleproprie identità, in

particolare tramite larivendicazione di un“passato comune”

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 61

Page 62: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

62

15. E. Bleich, Re-imagined commu-nities? Education policies and natio-nal belonging in Britain and Fran-ce, in A. Favell, A. Geddes (a cura di),The politics of belonging: migrantsand minorities in contemporary Eu-rope, Aldershot, 1999, pp. 60-75.16. Per la situazione in Francia cfr.Tutiaux-Guillon, Teaching and le-arning history a matter of identi-ty, in K. Pellens et al., Historical con-

sciousness and history teaching ina globalizing society, Peter Lang,Frankfurt am Main 2001, pp.169-174; Ead. (a cura di), L’Europe entreprojet politique et objet scolaire,INRP, Paris 2000.17. Il termine inglese canon, co-me anche il suo equivalente france-se, rinviano alla duplice idea di nor-ma e sacralizzazione; non è esatta-mente equivalente al termine «vul-

gata», secondo la definizione diChervel, nel senso che la sua costru-zione non è necessariamente il ri-sultato di «un consenso tra attori so-ciali» sui contenuti dell’insegnamen-to. Tra l’altro non lo si considera quitanto come uno dei componentiche definiscono la perennizzazionedi una disciplina scolastica, quantopiuttosto come l’effetto di un pro-getto politico normativo sui conte-

nuti. Infine, il suo uso rinvia di fre-quente a quello che in Francia sichiama «versione nazionale». In que-sto stesso numero, in merito al ca-none olandese, cfr. Huub Kurstjens,Un canone per la storia olandese:un dibattito senza fine?, pp. 74-88.18. P. Seixas, Historical understan-ding among adolescents in a mul-ticultural setting, in «CurriculumInquiry», 23, 3, 1993, pp. 301-327.

grati (non occidentali) e creare coesione sociale16. InOlanda (e anche altrove) ciò si traduce nell’intenzionedi proclamare un vero e proprio canone17 per l’insegna-mento della storia, definendo ciò che gli insegnanti de-vono insegnare e ciò che gli studenti devono appren-dere. Imporre una versione canonica (nazionale) puòoffrire un ancoraggio sociale agli immigrati, ma portadavvero alla comprensione del passato e alla coesione?L’indagine propone agli adolescenti di esprimersi su co-sa vorrebbero che fosse insegnato nell’ora di storia: ciòha permesso un paragone con quelli che sono i conte-nuti ufficiali dei programmi e, nello stesso tempo, unconfronto tra i vari gruppi di adolescenti. Nello specifi-co, in alcune domande si chiedeva ai ragazzi di pren-dere posizione rispetto all’interesse e alla pertinenza diuna “versione nazionale”.

Si è chiesto, per esempio, se fossero o no d’accordocon le seguenti affermazioni (naturalmente il paese indi-cato dipende dal luogo dell’indagine) presentate nelle va-rie domande:– «Mi sento legato alla storia della Francia?»– «La Francia conserva il suo carattere attraverso i seco-

li?»– «La mia storia è comune a quella degli altri abitanti del-

la Francia?»– «Avere una storia comune crea dei legami?»– «Ognuno dovrebbe conoscere la storia del paese nel

quale vive?»– «L’insegnamento della storia dovrebbe rendere fieri di

essere francesi?»– «Chi vuole essere un vero francese deve conoscere la

storia della Francia?» ecc.Il fine è quello di misurare non tanto l’apprendimen-

to, quanto piuttosto l’atteggiamento di fronte a questa ver-sione ufficiale nazionale, che è stata recentemente impo-sta o rinvigorita.

Un’altra questione, ovviamente legata alla preceden-te, è quella delle eventuali differenze tra la trasmissio-ne della memoria all’interno delle famiglie – in partico-lare relativamente ai paesi d’origine dei genitori e deinonni e all’emigrazione stessa – e i riferimenti storici

nendo che se la gente lavora e ha un reddito i problemisi risolvono; dall’altra l’accento viene messo sull’integra-zione culturale e si accusano i politici di sottovalutare ladifferenza culturale degli immigrati non occidentali, chenon si adeguano alle norme culturali occidentali e nonimparano la lingua. Di fatto l’influenza della cultura, ein particolare del rapporto con il passato, sono stati alungo ignorati dai politici in Olanda e in Inghilterra, maanche in Francia dove tali questioni sono state pensatesolo in termini di assimilazione e scolarizzazione. Que-st’indagine non vuole misurare il grado di integrazionedei “figli dell’immigrazione”; essa mira piuttosto a iden-tificare convergenze e divergenze tra ragazzi autoctonie alloctoni relativamente alla cultura storica. L’indaginequantitativa è solo una prima tappa.

Questioni di didatticaLa fine del XIX secolo ha visto la maggior parte dei go-verni occidentali adottare una politica di “nazionalizza-zione” della popolazione, nella quale la scuola ha avu-to un ruolo fondamentale nell’inculcare una norma lin-guistica comune e una cultura storica condivisa. Cen-t’anni dopo, i governi occidentali – di destra come di si-nistra – fanno mostra di un rinnovato interesse per lepolitiche scolastiche. Queste politiche dovrebbero teo-ricamente far fronte ad una globalizzazione accusata didissolvere le identità nazionali e rappresentare una ri-sposta all’arrivo di numerosi immigrati non occidentali.Si possono osservare due atteggiamenti: alcuni paesi ten-tano di rafforzare l’identità nazionale spingendo all’as-similazione delle minoranze culturali (posizione tradi-zionale in Francia e adottata di recente anche in Olan-da); altri tentano invece di ripensare la nazione (è la viabritannica)15. L’evoluzione dei contenuti di storia nellescuole viene ovviamente influenzata da questi atteggia-menti. Molti governi che in passato intervenivano benpoco nella definizione dei programmi scolastici, fannoora dei tentativi, peraltro senza precedenti dal 1945, dicontrollare l’insegnamento della storia. Si presupponeche la trasmissione di un passato nazionale alle nuovegenerazioni possa permettere l’integrazione degli immi-

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 62

Page 63: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mrimmigrati, la storia delle famiglie, la storia dei luoghidove si vive e le risposte alla domanda aperta sugli av-venimenti storici.

Infine, le risposte alla domanda aperta («Potete citareun avvenimento storico, un problema, un fattore di pro-gresso che ha avuto un impatto sulla vostra vita? – Se sì,descrivetelo brevemente, spiegando in che modo ha in-fluenzato la vostra vita») forniscono qualche indizio sullacoscienza storica: gli adolescenti considerano rilevante perla propria vita e per la propria persona ciò che viene ap-preso in classe? Come lo esprimono in poche parole? (inquesto caso prenderemo in considerazione solo le rispo-ste francesi). L’espressione «coscienza storica» in questocaso rimanda più che altro ad un modo di collocarsi neltempo e di pensare la propria vita nella storia, e non tan-to all’esibizione di un’identità che si nutre del passato; no-nostante ciò, terremo comunque conto delle variabili so-ciologiche per valutare la loro efficacia nella caratterizza-zione dei gruppi di risposte diverse.

della cultura del paese nel quale gli adolescenti vivono,compresi quelli che vengono trasmessi dalla scuola. Lostorico Peter Seixas ha notato che i ragazzi alloctoni han-no più difficoltà nel fare riferimento alle date e agli av-venimenti che sono invece familiari ai ragazzi olandesi,tedeschi o francesi autoctoni18. Quali sono gli effetti diqueste differenze sull’apprendimento della storia e sulmodo in cui gli insegnanti sollecitano i ragazzi di cultu-ra familiare non occidentale? L’indagine non si proponedi rispondere a questa domanda, ma può offrire la pos-sibilità di confrontare e sfumare le constatazioni. In ef-fetti, con l’immigrazione, le culture d’origine evolvonoe le culture degli adolescenti si rivelano spesso comeun misto di elementi mutuati dalla cultura giovanile oc-cidentale/mondiale, dalla cultura locale, dalle diverseculture d’immigrazione e dalla cultura della società cheli accoglie. Ciò può tradursi, per gli adolescenti, nel-l’adozione di posizioni a volte meno distanti di quantosi possa immaginare su questioni come la storia degli

L’INTERESSE PER I DIVERSI TIPI DI STORIA PROPOSTIRiposte degli adolescenti olandesi autoctoni © Grever/Ribbens

Tipi di Storia OrdineLa storia dell’Olanda 1

La storia della mia famiglia 2

La storia del mondo 3

La storia dell’Europa 4

La storia del villaggio, della città o della regione nella quale vivo 5

La storia del villaggio, della città o della regione nella quale sono nato/a 6

La storia della regione dalla quale vengono i miei genitori 7

La storia della mia filosofia dell’esistenza (non religiosa) 8

La storia del paese dal quale vengono i miei genitori 9*La storia della mia religione 9*

L’INTERESSE PER I DIVERSI TIPI DI STORIA PROPOSTIRisposte di un gruppo di adolescenti olandesi alloctoni (origine Antille e Surinam): © Grever/Ribbens

Tipi di Storia OrdineLa storia della mia famiglia 1

La storia del paese dal quale vengono i miei genitori 2

La storia del villaggio, della città o della regione nella quale sono nato/a 3

La storia della mia religione 4

La storia della regione dalla quale vengono i miei genitori 5

La storia del mondo 6

La storia del villaggio, della città o della regione nella quale vivo 7

La storia dell’Olanda 8

La storia dell’Europa 9

La storia della mia filosofia dell’esistenza (non religiosa) 10

63

Tabella 1

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 63

Page 64: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

l’interesse intrinseco di una tale indagine e i suoi limiti peril tema che ci interessa. Senza considerare poi che nonabbiamo ancora i risultati francesi…

Forniamo ora un altro esempio, che permette di mo-strare la complessità del problema: un insieme di 30 itemrelativi al significato della storia, in termini cognitivi e af-fettivi, può essere ridotto a un insieme di 16 voci (17 nelcaso britannico, nel quale si fa la distinzione tra Gran Bre-tagna e Inghilterra) nel quale le risposte del tipo «non so»ammontano a meno del 33,3%. Se riduciamo le 5 catego-rie iniziali della scala d’adesione a 3 (d’accordo e comple-tamente d’accordo/non so/per nulla d’accordo e non d’ac-cordo) si ottengono i seguenti risultati, ordinati rispettiva-mente per paese di residenza e per categorie autocto-ni/alloctoni.

La Tab. 3 mostra, in ordine decrescente, le percentuali diconsenso degli autoctoni nei 3 paesi. Il colore grigio indica irisultati concordanti; quello arancio i discordanti. Abbiamoindicato con una sottolineatura un risultato nel quale il cam-pione francese è in una posizione particolarmente singolare.

La Tab. 4 è costruita secondo lo stesso principio pergli allievi alloctoni.

Qualche risultato empirico

La pertinenza dei criteri etno-culturali e nazionaliFermo restando che la storia della filosofia dell’esistenza èsicuramente un tema tutto olandese, le differenze sono par-ticolarmente nette per quello che riguarda la storia nazio-nale e quella dell’Europa, ma anche per la storia delle re-gioni d’origine dell’adolescente o della sua famiglia. Il pa-ragone con i risultati britannici permette di evidenziare al-cune convergenze (la storia della religione), di identifica-re delle varianti nazionali (la storia del mondo, la storiadella famiglia) e di sottolineare nuovamente gli scarti traautoctoni e alloctoni, nonostante tali scarti non siano ana-loghi (vedi le prime tre voci; cfr. Tab. 1 p. 63 e Tab. 2).

I risultati sono decisamente intriganti. Come spiegare,ad esempio, che i giovani dei due campioni britannici met-tono ai primi posti gli stessi item, nei quali la storia mon-diale si accompagna a quella nazionale, mentre i giovanidel campione olandese si trovano d’accordo solo riguar-do alla storia della famiglia che, invece, interessa poco ai“britannici”? Effetto dell’insegnamento? Effetto dell’integra-zione? Possiamo senza dubbio constatare in questo caso

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

L’INTERESSE PER I DIVERSI TIPI DI STORIA PROPOSTIRisposte degli adolescenti britannici autoctoni © Grever/Ribbens

Tipi di Storia OrdineLa storia del mondo 1La storia della Gran Bretagna 2La storia dell’Inghilterra 3La storia dell’Europa 4La storia della mia famiglia 5La storia del villaggio, della città o della regione nella quale vivo 6La storia della regione dalla quale vengono i miei genitori 7La storia del villaggio, della città o della regione nella quale sono nato/a 8La storia del paese dal quale vengono i miei genitori 9La storia della mia religione 10

L’INTERESSE PER I DIVERSI TIPI DI STORIA PROPOSTIRisposte degli adolescenti alloctoni british indians (indiani, bengalesi, pakistani) © Grever/Ribbens

Tipi di Storia OrdineLa storia del mondo 1La storia dell’Inghilterra 2La storia della Gran Bretagna 3/4La storia del paese dal quale vengono i miei genitori 3/4La storia della mia religione 5La storia del villaggio, della città o della regione nella quale sono nato/a 6La storia della mia famiglia 7La storia della regione dalla quale vengono i miei genitori 8La storia del villaggio, della città o della regione nella quale vivo 9La storia dell’Europa 10

64Tabella 2

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:58 Pagina 64

Page 65: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mrRisposte degli allievi autoctoni © Grever/Ribbens

media % NL E F Affermazioni

1 87,3% 85,4% 87,9% 88,5% È importante avere una conoscenza storica

2 83,1% 78,4% 84,8% 86,1% È importante avere una conoscenza della storia di F/NL/GB

3 73,4% 76,4% 72,7% 71,2%Anche le pagine buie del passato nazionale dovrebbero essere in-segnate durante l’ora di storia

4 68,0% 56,8% 66,7% 80,4% La tratta degli schiavi è una pagina buia della storia di F/NL/GB

5 62,8% 51,1% 72,7% 64,5% È conoscendo la storia che capisco meglio la società in F/NL/GB

6 58,0% 55,1% 51,6% 67,4% In linea di massima sono fiero della storia della mia famiglia

7 53,9% 41,6% 62,5% 57,6% Anche la storia degli immigrati fa parte della storia di F/NL/GB

8 50,3% 49,4% 36,4% 65,2% Avere una storia comune crea dei legami

9 47,5% 49,4% 51,5% 41,7% In linea di massima sono fiero della storia di F/NL/GB

10 39,6% 43,8% 42,4% 32,6%Chi vuol essere un vero F/NL/GB deve conoscere la storia diF/NL/GB

11 35,1% 31,5% 39,4% 34,5% Mi sento legato alla storia di F/NL/GB

30,3% — 30,3% — Mi sento legato alla storia della Gran Bretagna

12 30,9% 34,8% 30,3% 27,5% Mi piace più la storia d’Europa che quella di F/NL/GB

13 29,6% 33,7% 24,2% 30,9% In linea di massima sono fiero della storia d’Europa

14 29,1% 26,1% 18,8% 42,3% Mi sento legato ai miei antenati

15 21,6% 14,6% 27,3% 23,0% La storia mi permette di conoscermi meglio

16 10,0% 7,9% 9,1% 12,9% La storia mi mostra ciò che Dio desidera per i popoli e per il mondo

Risposte degli allievi alloctoni © Grever/Ribbens

media % NL E F Affermazioni

1 88,4% 82,5% 84,8% 94,9% È importante avere una conoscenza storica

2 73,8% 71,5% 68,5% 81,4% In linea di massima sono fiero della storia della mia famiglia

3 70,7% 59,1% 71,6% 81,4% È importante avere una conoscenza della storia di F/NDL/GB

4 66,9% 63,0% 66,4% 71,2% La tratta degli schiavi è una pagina buia della storia di F/NDL/GB

5 64,6% 66,8% 64,4% 62,7%Anche le pagine buie del passato nazionale dovrebbero essere in-segnate durante l’ora di storia

6 62,1% 52,8% 52,6% 81,0% Anche la storia degli immigrati fa parte della storia di F/NDL/GB

7 56,1% 46,2% 61,0% 61,0% È conoscendo la storia che capisco meglio la società in F/NDL/GB

8 49,4% 55,2% 43,9% 49,2% Avere una storia comune crea dei legami

9 40,6% 51,4% 38,2% 32,2% Mi piace più la storia d’Europa che quella di F/NDL/GB

10 33,1% 40,0% 26,3% 33,9% Mi sento legato ai miei antenati

11 31,8% 26,4% 40,1% 28,8% La storia mi permette di conoscermi meglio

12 28,6% 21,3% 30,5% 33,9% In linea di massima sono fiero della storia di F/NDL/GB

13 28,4% 26,1% 34,6% 24,6%Chi vuol essere un vero F/NL/GB deve conoscere la storia diF/NL/GB

25,4% — 25,4% — Mi sento legato alla storia della Gran Bretagna

14 24,3% 13,7% 23,7% 35,6% Mi sento legato alla storia di F/NDL/GB

15 24,2% 22,4% 24,8% 25,4% In linea di massima sono fiero della storia d’Europa

16 22,5% 18,0% 17,3% 32,3% La storia mi mostra ciò che Dio desidera per i popoli e per il mondo

65

Tabella 4

Tabella 3

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 65

Page 66: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

te sull’insieme del campione uno scarto impressionante –perché massiccio e convergente – nell’atteggiamento neiconfronti della storia nazionale, e in secondo luogo neiconfronti della storia della famiglia e del ruolo di Dio nel-la storia (la distinzione arancio/grigio = divergen-za/convergenza corrisponde a uno scarto > 10%).

Nel campione francese, gli scarti si sono assestati sul10% anche se, in effetti, lo scarto statisticamente significa-tivo è superiore (Tab. 6).

Colpisce molto, a livello comparativo, che non ci siascarto tra alloctoni e autoctoni sulla questione della sto-ria nazionale tranne che sulla questione dell’integrazionedella storia degli immigrati come parte della storia di Fran-cia. Bisogna vedere in ciò il successo del modello assimi-lazionista? I giovani che vivono in Francia, e i cui riferi-menti culturali differiscono da quelli della cultura scola-stica, non necessariamente reclamano l’apertura dell’inse-gnamento – e in particolare dell’insegnamento della sto-ria – alla loro cultura “d’origine”. Molti adolescenti opta-no per una conformità discreta alla cultura scolastica fran-cese per poter andar bene a scuola, per proteggersi op-pure per integrarsi più efficacemente. Una storia che li

Queste tabelle mettono in evidenza delle differenzetra i campioni nazionali (autoctoni o alloctoni che siano)che possono caratterizzare ognuno dei tre paesi o unosolo rispetto agli altri due. Per quello che riguarda gli au-toctoni, le divergenze sono particolarmente nette su duepunti: l’integrazione degli “altri” e forse del loro punto divista nella storia scolastica (item 1, 4, 7, 10) e il ruolo del-la storia nella creazione del legame sociale (item 5, 8).Gli item per i quali le divergenze sono nette tra i tre cam-pioni alloctoni non sono numerose, ma sono fondamen-tali: si tratta del rapporto con la storia della società d’ac-coglienza e del ruolo della storia nella creazione del le-game sociale. Tenuto conto di queste importanti diver-genze, sarebbe necessario proseguire l’indagine con unaricerca, stavolta però qualitativa, su storia e legame so-ciale nell’adolescenza, soprattutto visto che si trattereb-be in questo caso di una finalità politica oggi particolar-mente urgente.

Questi risultati confermano o no le affermazioni pre-sentate inizialmente sulle differenze tra autoctoni e alloc-toni per quello che riguarda il passato? Un paragone del-le medie per ogni item (Tab. 5) fa apparire effettivamen-

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

INSIEME DELLE RISPOSTE NEI 3 PAESI

Media delle

risposte “autoctone” %

Media delle

risposte “alloctone” %

Affermazioni

87,3% 88,4% È importante avere una conoscenza storica

83,1% 70,7% È importante avere una conoscenza della storia di F/NDL/GB

73,4% 64,6%Anche le pagine buie del passato nazionale dovrebbero essere insegnate duran-te l’ora di storia

68,0% 66,9% La tratta degli schiavi è una pagina buia della storia di F/NDL/GB

62,8% 56,1% È conoscendo la storia che capisco meglio la società in F/NDL/GB

58,0% 73,8% In linea di massima sono fiero della storia della mia famiglia

53,9% 62,1% Anche la storia degli immigrati fa parte della storia di F/NDL/GB

50,3% 49,4% Avere una storia comune crea dei legami

47,5% 28,6% In linea di massima sono fiero della storia di F/NDL/GB

39,6% 28,4% Chi vuol essere un vero F/NL/GB deve conoscere la storia di F/NL/GB

35,1% 24,3% Mi sento legato alla storia di F/NDL/GB

30,3% 25,4% Mi sento legato alla storia della Gran Bretagna

30,9% 40,6% Mi piace più la storia d’Europa che quella di F/NDL/GB

29,6% 24,2% In linea di massima sono fiero della storia d’Europa

29,1% 33,1% Mi sento legato ai miei antenati

21,6% 31,8% La storia mi permette di conoscermi meglio

10,0% 22,5% La storia mi mostra ciò che Dio desidera per i popoli e per il mondo

66Tabella 5

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 66

Page 67: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

19. Lorcerie, L’école et le défi ethni-que cit.20. Non abbiamo ancora a dispo-

sizione l’incrocio del dato con quel-lo delle identità dichiarate dagli ado-lescenti.

te scelto, un avvenimento storico e poi, ovviamente, qua-le avvenimento avrebbero scelto. Ma l’interesse era, an-che e soprattutto, per il legame immediato, spontaneo, equindi evidente per l’adolescente, tra l’avvenimento e lapropria vita. Riconosciamo in questo elemento uno deitratti caratteristici della coscienza storica, e cioè la capa-cità di pensare la propria vita in relazione con la storia, dipensare sé stessi nella storia. La domanda era complessa.Ed è per questo che non si può fornire un’interpretazio-ne alle non-risposte. Si tratta di allievi che hanno scarta-to una domanda incomprensibile? Oppure di allievi chenon avevano una risposta immediata? L’analisi presentatasi limita quindi ai 102 allievi francesi che hanno fornitoeffettivamente una risposta. Si tratta di 45 studentesse (dicui 10 hanno risposto «no») e 57 studenti (di cui 14 «no»);78 di loro (vale a dire il 39% del totale dell’indagine) han-no fornito dunque una risposta positiva. E, tuttavia, 9 frastudenti e studentesse hanno risposto menzionando unavvenimento personale, privato (l’incontro con la propriaragazza, un successo scolastico, il divorzio dei genitori…).In totale, quindi, solo il 34,6% ha fornito alla domanda,così com’è posta, una risposta significativa.

personalizzasse troppo, li isolerebbe19. Anche la percen-tuale di quelli che dichiarano di sentirsi legati alla storiadella Francia è alta (o bassa, dipende!) in entrambi i grup-pi, e persino un terzo degli alloctoni si dicono fieri dellastoria della Francia. In questo caso la “versione naziona-le” – che, tra l’altro, è più un fatto di cultura francese chedi cultura scolastica – sembra essere efficace. Al contra-rio, la differenza è assolutamente evidente tra una visio-ne laica (autoctona) e una visione religiosa (alloctona) del-la storia: come non evocare, allora, i dibattiti sulla laicitànella scuola? Come non notare, inoltre, lo scarto conside-revole tra la disciplina scolastica totalmente secolarizzatae l’interpretazione che un terzo degli adolescenti allocto-ni vi sovrimpone20? Ecco ancora un’altra eventuale pistadi ricerca qualitativa sulla comprensione del “fatto religio-so”, certamente, ma anche della storia politica e sociale.

Avvenimento e coscienza storicaLa formulazione della domanda numero 5 faceva riferi-mento al termine «avvenimento» ma anche ad altri termi-ni («problema», «progresso»): il punto era comprendere inche modo gli allievi avrebbero inteso, e poi effettivamen-

RISPOSTE DEGLI ALLIEVI DEL CAMPIONE FRANCESE

Autoctoni Alloctoni Affermazioni

88,5% 94,9% È importante avere una conoscenza storica

86,1% 81,4% È importante avere una conoscenza della storia di F

71,2% 62,7% Anche le pagine buie del passato nazionale dovrebbero essere insegnate durante l’ora di storia

80,4% 71,2% La tratta degli schiavi è una pagina buia della storia di F

64,5% 61,0% È conoscendo la storia che capisco meglio la società in F

67,4% 81,4% In linea di massima sono fiero della storia della mia famiglia

57,6% 81,0% Anche la storia degli immigrati fa parte della storia di F

65,2% 49,2% Avere una storia comune crea dei legami

41,7% 33,9% In linea di massima sono fiero della storia di F

32,6% 24,6% Chi vuol essere un vero F deve conoscere la storia di F

34,5% 35,6% Mi sento legato alla storia di F/NDL/GB

27,5% 32,2% Mi piace più la storia d’Europa che quella di F

30,9% 25,4% In linea di massima sono fiero della storia d’Europa

42,3% 33,9% Mi sento legato ai miei antenati

23,0% 28,8% La storia mi permette di conoscermi meglio

12,9% 32,3% La storia mi mostra ciò che Dio desidera per i popoli e per il mondo

67Tabella 6

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 67

Page 68: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

68

21. Lo stesso dato appariva nel1995 e venne attribuito ad un cer-to esotismo storico.22. Una constatazione analoga, ri-

guardante però la memorizzazione,era stata fatta in occasione delle ri-cerche precedenti, cfr. F. Audigier,Contribution à l’étude de la cau-

fatti che possiamo definire «storici» o «mediatici» (non sem-pre gli allievi li distinguono correttamente), 45 – cioè il65,2% delle risposte – rimandano alla violenza o alla mor-te. Due avvenimenti dominano questa lista: gli attentatidell’11 settembre (12 menzioni, 17,3% delle risposte) e laSeconda guerra mondiale (16 menzioni, 23,1% delle rispo-ste). Nei tre paesi, dunque, gli studenti che menzionanola guerra e la violenza sono molto numerosi. L’impattosulla vita degli adolescenti sembra commisurarsi alla dram-maticità22.

I fatti o gli avvenimenti menzionati sono in gran par-te quelli che hanno goduto di una notevole copertura me-diatica (Seconda guerra mondiale inclusa, tenuto contodel numero di trasmissioni andate in onda nel 2005/2006

sulla fine della guerra e sull’aperturadei campi di concentramento): que-sta spiegazione è probabile per l’84%delle risposte, certa per il 57,9%. A se-guire abbiamo gli avvenimenti chevengono insegnati a scuola, special-mente in seconda superiore, che rap-presentano il 57,9% dei casi. La con-temporaneità ai fatti o agli avvenimen-ti non è l’unico criterio di scelta; es-so vale tuttavia nel 52,1% dei casi. Èevidente che queste tre categorie siintersecano: il nazismo è sia insegna-to a scuola che mediatizzato, la guer-ra in Iraq è contemporanea ma anchemediatizzata, il passaggio all’Euro co-pre addirittura tutte le tre categorie.Se proprio vogliamo riassumere, pos-siamo dire che gli avvenimenti più

menzionati sono o vissuti e mediatizzati (l’11 settembre)o insegnati e mediatizzati (la Shoah, la guerra mondiale,il nazismo); ma sono anche avvenimenti eccezionalmen-te violenti. Non tenteremo di investigare ulteriormente lecause di questo fenomeno. Gli avvenimenti che si sareb-bero potuti ritenere più profondamente radicati nella me-moria di famiglia (le miniere, l’immigrazione, la guerrad’Algeria…) rappresentano una minoranza esigua delle ri-sposte: 11,5% al massimo. Sarebbe interessante, tenutoconto delle differenze negli atteggiamenti delle popola-zioni alloctone del campione totale di questa indagine,vedere se le stesse percentuali si riscontrano nei Paesi Bas-si e in Inghilterra.

Fermiamoci un momento su questa constatazione ge-nerale. Nell’indagine «I giovani e la storia», condotta nel1995 su studenti e studentesse leggermente più giovani(15 anni), il 36% dei giovani erano d’accordo nell’affer-mare che la propria vita poteva intendersi come parte delcambiamento storico. La domanda, benché diversa, ave-va anch’essa come obiettivo la relazione tra vita persona-le e storia; è notevole quindi che le percentuali siano co-sì simili. Allo stesso modo, il 23,5% di coloro che rispon-dono al questionario nel 2006 dice di non individuare al-cun avvenimento che abbia avuto un impatto sulla pro-pria vita (senza differenze significative tra maschi e fem-mine): è un caso che questa percentuale sia molto similea quella dei cosiddetti «estranei alla storia» presenti in ugualmisura in tutte le indagini fatte negliultimi 15 anni?

Per quello che riguarda gli avve-nimenti scelti, le risposte sono appa-rentemente molto diversificate, dagliattentati dell’11 settembre alla chiusu-ra delle miniere, dai diritti delle don-ne all’Europa, dallo tsunami alla finedell’Unione Sovietica. Nonostante ciò,è possibile individuare alcune ideedominanti.

La maggioranza assoluta sceglieavvenimenti del XX secolo: 2 rispostesolamente evocano le crociate e ilprogresso del Rinascimento (effettodel programma di primo anno dellesuperiori?), il restante 97% delle rispo-ste riguarda il XX secolo, e più preci-samente il periodo che va dalla Se-conda guerra mondiale ai giorni nostri. È ovviamente le-gittimo vedere in queste percentuali l’effetto del program-ma di storia di secondo anno e delle varie commemora-zioni, ma spesso è proprio il “tempo presente” dei lorononni e dei loro genitori a suscitare il loro interesse: nel1995 il 70% degli studenti e delle studentesse dichiarava-no di interessarsi molto o moltissimo al periodo successi-vo al 1945 (Tutiaux-Guillon, Mousseau, 1998). Il questio-nario del 2006 indica un interesse marcato, nei 3 paesi,per la storia antica21 e per il XX secolo.

La maggior parte degli avvenimenti menzionati (com-presi anche i casi in cui gli studenti abbiano evocato av-venimenti privati) sono violenti, per non dire traumatici:in termini personali abbiamo decessi, incidenti e divorzi;in termini storici troviamo gli attentati dell’11 settembre,la Shoah o più generalmente la Seconda guerra mondia-le, la guerra d’Algeria, diversi avvenimenti del conflittoisraelo-palestinese, la guerra in Iraq ecc. In totale, per i

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

gli avvenimenti più menzionati sono

o vissuti emediatizzati

(l’11 settembre)o insegnati emediatizzati

(la Shoah, la guerramondiale, il

nazismo); ma sonoanche avvenimenti

eccezionalmenteviolenti

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 68

Page 69: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

69

salité et des productions des élèvesen histoire et en géographie, INRP,Paris 1996.23. C. Pugeault-Cicchelli, V. Cicchel-

li, T. Raqi, Ce que nous savons desjeunes, PUF, Paris 2004.

dagine: forse la storia trasmessa dalla memoria e dai mass-media alimenta la loro relazione sensibile con il passatopiù di quanto non faccia la storia scolastica? Quali sono,allora, i vettori e i supporti della cultura storica degli ado-lescenti, e che posto ha in tutto questo la scuola?

Le ultime differenze riguardano gli studenti dei licei ri-spetto a quelli degli istituti tecnici e professionali. Solodue scarti sembrano essere indicativi: i progressi tecnolo-gici sono menzionati solo da studenti dei licei (con unasola eccezione); l’effetto del livello di vita non sembra es-sere decisivo visti gli oggetti menzionati (televisione, au-tomobile, cellulare) con l’unica eccezione, forse, di infor-matica e internet. Gli studenti dei licei menzionano ancheun po’ più spesso degli altri la Seconda guerra mondiale

e la Shoah (18% contro 10%). Sonodifferenze non facili da interpretare.

La domanda aperta richiedeva an-che di spiegare brevemente la loro ri-sposta. Ciò ha permesso di tracciarealcune piste verso altre interpretazio-ni: il ruolo dei valori, il legame espli-cito con la propria vita, eventualiespressioni dell’identità. Tuttavia leinterpretazioni sono state prudenti,poiché le risposte erano molto brevi(comprensibilmente, visto il tempoconcesso per ogni domanda), gli ar-gomenti addotti erano molto diversie di solito veniva fornita una solaspiegazione: probabilmente si tratta-va della spiegazione più evidente perl’adolescente, oppure dell’unica dici-

bile nel contesto scolastico, o magari di quella più perso-nale. Le spiegazioni che valorizzano in primis il comfortpersonale, specialmente in relazione ai progressi tecnolo-gici o all’Europa, sono qui state scartate: non ci sembra-no essere significative di una coscienza storica. In totale,solo 42 risposte sono state prese in considerazione. Lamaggior parte delle risposte (32) sono ben formulate intermini di coinvolgimento personale; le altre sono più ge-neriche e talvolta scolastiche. Gli studenti e le studentes-se hanno fornito delle spiegazioni che possiamo classifi-care in maniera diversa. Il 72% delle risposte fanno riferi-mento ad alcuni valori: la tolleranza, l’anti-razzismo (56%dei valori espressi), la pace, la giustizia e persino la gioiadi vivere. Quasi la metà delle risposte esprimono un’emo-zione (inquietudine, paura, orrore o compassione) o, piùsemplicemente, testimoniano uno choc subito: vi si sen-te l’eco degli avvenimenti violenti o traumatici menziona-ti. Più interessante in termini di coscienza storica è il fat-to che 23 risposte (circa il 72%) stabiliscono una relazio-

Le scelte rispondono forse a criteri sociologici? In al-cuni casi, la risposta a questa domanda è decisamente af-fermativa: le sole 4 menzioni di diritti civici delle donnecome avvenimento (o progresso) che segna la vita del-l’adolescente vengono dalle ragazze. Ma le ragazze evo-cano anche più spesso dei ragazzi la Shoah (su 8 menzio-ni, 6 vengono dalle ragazze) e la guerra d’Algeria (4 men-zioni su 5). Le loro risposte disperse, infatti, sembrano es-sere determinate dall’emozione e dalla denuncia dellamancanza di rispetto dell’altro molto più di quanto nonlo siano quelle dei ragazzi. Le risposte dei ragazzi invecemettono al primo posto i progressi tecnici (10 menzioni,di diverso tipo, contro 1 sola delle ragazze!) e, per quel-lo che riguarda le risposte disperse, l’attualità politica in-ternazionale. Queste differenze sonoassolutamente tipiche delle differen-ze tra ragazzi e ragazze nell’adole-scenza anche secondo alcune inchie-ste di sociologia politica23.

Distinguere i figli di genitori alloc-toni dai figli di una famiglia francesenon è cosa facile. Da una parte, lecoppie miste sembrano essere moltonumerose – almeno secondo le di-chiarazioni dei giovani – dall’altra lefamiglie francesi possono essere talida molte generazioni o essere il frut-to di una naturalizzazione recente e,quindi, non presentare reali differen-ze dalle famiglie di stranieri stabilitisiin Francia qualche decennio fa. Nel-l’inchiesta, solo 27 adolescenti vengo-no considerati alloctoni, cioè figli di due genitori entram-bi non nati in Francia. Il numero così esiguo invita allaprudenza dal momento che esso introduce una forte va-riabile individuale. Ci sono poi anche altre questioni checi danno da pensare. Alcuni avvenimenti non sono maimenzionati dai giovani nati da genitori stranieri: il pro-gresso tecnologico, la Seconda guerra mondiale e la Sho-ah (con una sola eccezione) o anche gli avvenimenti ri-guardanti l’Europa (con una sola eccezione). In propor-zione, l’11 settembre e la guerra d’Algeria vengono evo-cati molto più spesso da questo gruppo di giovani. Pos-siamo notare anche che essi sono, in proporzione, più nu-merosi a rispondere alla domanda in termini di vita pri-vata (25% contro 6%). Sarà necessario proseguire nell’in-

23 risposte […]stabiliscono una

relazione tral’adolescente e ilpassato, o sottoforma di lezioneinsegnata dalla

storia, o sotto formadi legame stabilito

tra la propria vita […]e un avvenimento

storico

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 69

Page 70: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

70

24. J. Fontanabona, J.F. Themines,L’innovation en histoire-géogra-phie, analyses didactiques, INRP,Saint-Fons 2005.25. Per la definizione di canone

storico cfr. Grever, Ribbens, De hi-storische canon onder de loep, in«Kleio», 2004.26. H. Arendt, Between past andfuture. Eight exercises in political

thought, New York 1977; cfr. ancheGrever, Nationale identiteit cit.27. J. Assmann, Das kulturelle Ge-dächtnis. Schrift, Erinnerung undpolitische Identität in frühen Ho-

chkulturen, München 1992; Id.,Collective Memory and Culturalidentity, in «New German Criti-que», 65, 1995. Assmann non uti-lizza il termine di «memoria cultu-

lescenza: le motivazioni che si esprimono in termini dicomprensione del mondo sono espresse solo da 4 stu-denti… Sarà necessario riprendere l’analisi relativa aglieventi che appartengono alla storia “insegnata”, porta-re avanti quest’analisi sulla base di interviste e, proba-bilmente, così come Thémines l’ha fatto per la geogra-fia, costruire anche per la storia un’analisi in termini dirapporto disciplinare con il mondo24.

Nuovi interrogativi teorici e prospettive di ricerca

La questione del canone storicoVisto che il rapporto con il tempo, elemento sul quale sifonda la coscienza storica, si definisce grazie all’insiemedelle nozioni storiche apprese e che le nazioni, e gli Sta-ti nazionali in modo particolare, sono grandi produttoridi questi racconti che legittimano l’identità di un grup-po, il suo stabilirsi durevolmente su un territorio, la suaesistenza e i suoi valori, ne consegue che la coscienzastorica è strettamente legata all’identità nazionale. Mol-

to probabilmente la mancanza di co-scienza storica – oggi tanto deplora-ta – è dovuta al declino dell’identitànazionale, una struttura sociale cheha funzionato per generazioni comemodello narrativo. Gli Stati nazionesono diventati vulnerabili, le lorofrontiere porose e contestate. Im-provvisamente le pratiche della tra-

smissione culturale e dell’educazione storica – fondatesulle medesime basi – si sono indebolite. A partire daglianni Sessanta, gli intellettuali e alcuni insegnanti hannodenunciato questa prospettiva e, soprattutto, l’influenzache questa prospettiva aveva sull’insegnamento. Le cri-tiche vengono oggi riprese: come può un modello nar-rativo bianco-europeo-maschile (o virile se si vuole) es-sere adatto ad una popolazione scolastica molto più ete-rogenea, con numero sempre crescente di ragazze pre-senti nella Scuola secondaria, con degli studenti i cui ge-nitori e nonni sono immigrati non occidentali? Il cano-ne25 storico genera integrazione oppure esclusione e dis-senso? Bisogna qui senz’altro fare la distinzione tra queiracconti canonici che si riducono ad una mitizzazione

ne tra l’adolescente e il passato, o sotto forma di lezioneinsegnata dalla storia, o sotto forma di legame stabilito trala propria vita – o quella della propria famiglia – e un av-venimento storico: queste sono le risposte più vicine aquella che potremmo definire «coscienza storica».

Per quanto che riguarda le risposte espresse in ter-mini di coinvolgimento personale, se si fa un confron-to per sessi si nota che esse sono prevalentemente for-nite dalle ragazze (i 2/3 di queste risposte), mentre sesi fa un confronto per indirizzi scolastici, questo tipo dirisposte viene fornito soprattutto dagli studenti degli isti-tuti tecnici e professionali (da questi vengono infatti cir-ca la metà di questo tipo di risposte, ovvero una per-centuale superiore alla loro presenza nel campione). Se,infine, si tenta un confronto sulla base dell’origine di-chiarata, gli studenti alloctoni risultano un po’ più pre-senti degli altri. Le stesse percentuali, anche più accen-tuate, si ritrovano qualora si isolino le motivazioni cheesplicitano gli effetti degli avvenimenti storici o media-tici sulla vita dell’adolescente o su quella della sua fa-miglia (12 risposte), o quando si prendano in conside-razione le motivazioni a base emotiva. La sproporzionetra ragazze e ragazzi e tra licei e isti-tuti tecnici e professionali si riscon-tra anche se si prendono in conside-razione le risposte del tipo «la storiaci insegna che…» e le motivazionibasate su valori. Per queste due ca-tegorie la distinzione tra alloctoni eautoctoni non è rilevante. Le possi-bilità interpretative sono molteplici:migliore comprensione delle aspettative, minore confor-mità alle abitudini scolastiche, piacere nell’esporre lapropria opinione… o coscienza storica più esplicita?

Queste constatazioni, seppure limitate, ci pongonoqualche interrogativo. Da una parte ci costringono a ri-considerare le ipotesi di partenza: sono davvero i crite-ri nazionali e/o etnici ad essere i più rilevanti rispettoalla coscienza storica e dell’atteggiamento di fronte allastoria? Non occorrerebbe almeno allargare ad altre ca-tegorie come il genere, la relazione con la scuola e al-tre variabili sociali? D’altra parte è d’obbligo prendereatto del fatto che rispetto alle finalità disciplinari dellastoria insegnata ritroviamo qui un solo valore, cioè latolleranza, che sappiamo essere un valore forte dell’ado-

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

Il canone storicogenera integrazioneoppure esclusione e

dissenso?

“”

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 70

Page 71: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

71

rale». Egli distingue una memoriabasata essenzialmente sulla comu-nicazione quotidiana sul passatoe sul suo senso, da una memoriabasata su un insieme di testi, im-

magini e rituali specifici di ognisocietà nelle varie epoche e di cuila conservazione permette di sta-bilizzare e trasmettere la rappre-sentazione che questa società da

di sé stessa. Il concetto di «memo-ria culturale» è stato esplicitamen-te elaborato da G. Oesterle, Erin-nerung, Gedächtnis, Wissen. Stu-dien zur kulturwissenschaftli-

chen Gedächtnisforschung, Göt-tingen 2005.28. Cfr. L. Valensi, N. Wachtel, Mé-moires juives, Gallimard-Julliard, Pa-ris 1986.

Memoria culturale e cultura scolastica in storiaC’è un concetto relativamente recente – ripreso anchedai dibattiti storiografici in Germania27 – che può rive-larsi pertinente per ulteriori analisi, ed è quello delle«memorie culturali». Questo concetto mette in relazioneidentità e coscienza storica: l’identità culturale, costrui-ta dall’educazione familiare e dalle pratiche sociali, im-plica una concezione particolare del passato, del pre-sente e del futuro. Il concetto di memorie culturali ri-manda al modo in cui una comunità ricorda, articolan-do un passato comune (percepito) tramite codici cultu-rali riconosciuti (rituali, testi, cibo, religione, canti, mo-numenti). Gli esseri umani, educati in famiglie, religio-ni o nazioni con trascorsi diversi e talvolta intrecciati,costruiscono tramite e all’interno di queste la propria (ole proprie) identità, e sono portatori, a loro volta, del-l’identità delle comunità alle quali appartengono. Il ca-so dei figli degli immigrati è particolarmente comples-so. Da una parte, non è raro che il gruppo “migrante” ele famiglie coltivino (per rassicurarsi e conservare no-nostante tutto un contesto sociale coerente) il ricordodella loro famiglia d’origine attraverso una memoria vi-va e, progressivamente, attraverso una trasmissione de-liberata (tradizioni rivendicate, feste, commemorazioni,comportamenti, abiti, racconti formalizzati…), ma que-sta memoria è a sua volta sottoposta all’influenza delnuovo contesto del paese di accoglienza: non è un qual-cosa del passato che gli individui “conservano”, è unacreazione specifica28. I gruppi di emigranti originari diuno stesso paese hanno memorie culturali diverse a se-conda del contesto culturale del paese d’accoglienza.Gli immigrati devono spesso confrontarsi in questi pae-si con dei codici culturali e delle tradizioni che essi noncomprendono (a volte addirittura neanche le percepi-scono) e che quindi reinterpretano; è il caso di coloroche non sono riusciti a integrarsi in una cultura profes-sionale. D’altra parte, però, i loro figli – non fosse altroche per via della scolarizzazione – sono messi a con-fronto e integrati in una cultura che è quella del paesed’accoglienza, che entra in risonanza o in dissonanza(talvolta anche in conflitto) con la memoria culturaledelle proprie origini familiari. Ciascuno costruisce il pro-prio sincretismo e allo stesso tempo la propria identità.Da qui discendono le numerose varianti offerte dal rap-porto con la memoria familiare dei vari figli di una stes-

della nazione, e nei quali la questione principale è la na-scita dello Stato-nazione, e quelli che, come il raccontocanonico francese, fanno spazio anche al progresso mon-diale e a valori politici universali. Non che uno sia cat-tivo e l’altro buono – intendiamoci – è solo che le po-tenzialità di apertura o di chiusura di uno e dell’altro pos-sono variare anche di molto. Ad ogni modo questa èquanto meno una pista possibile per interpretare gli scar-ti tra il campione “immigrato” francese e quello delle al-tre regioni.

Allo stesso tempo, il processo sociale nel quale deigruppi entrano in competizione per la trasmissione diun’eredità specifica o di un capitale culturale – processodal quale risulta la determinazione di un canone storico– è un processo necessario. Senza una tradizione ben an-corata siamo incapaci di trasmettere le esperienze e le co-noscenze dalle quali discendono i criteri di giudizio. Se-condo Hanna Arendt, un quadro di riferimento prestabi-lito è necessario per la memoria26. Se la società aboliscele tradizioni, la coscienza storica e l’azione densa di si-gnificato sono impossibili. L’assenza di orientamento tem-porale appesantisce il processo di identificazione – cioèle scelte che gli individui operano riguardo a chi e comeidentificarsi – e quindi ostacola la comprensione di sé. Cisi può dunque interrogare – anche se per quanto ne sap-piamo non è stata fatta nessuna ricerca in merito – su ciòche fonda l’identità dei giovani che non si riconosconoin un qualche passato e che non vedono nella storia in-segnata nient’altro che una materia scolastica senza nes-suna finalità.

Tutto ciò non depone a favore dell’esistenza di uncanone storico e ancora meno a favore di una sua im-posizione. Ma anche se le nostre scelte didattiche cispingessero ulteriormente nella direzione di proposte dicontenuti e pluralità di versioni, di interpretazioni esupporti per l’insegnamento della storia, ciò non cam-bierebbe il fatto che si tratterebbe pur sempre di scel-te fatte dalle scuole o dagli insegnanti. Potrebbero an-che portare ad una vulgata consensuale che si andreb-be a sostituire così al canone ufficiale. Anche se la scel-ta testimoniasse di un’ampia diversificazione, la que-stione della costruzione delle identità e delle coscien-ze storiche in un tale contesto rimarrebbe irrisolta; untale curriculum andrebbe nel senso dell’integrazione odell’esclusione?

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 71

Page 72: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

29. Cfr. D. Lepoutre, Souvenirs desfamilles immigrées, Odile Jacob,Paris 2005.30. W. Kansteiner, Finding meaningin memory, in «History and Theory»,41, 2002, pp.163-178; Grever, BeyondPetrified History. Gender and Col-lective Memories, in «Museumsblatt.

Mitteilungen aus dem Museumswe-sen Baden-Württembergs», 34, apri-le 2003, pp. 5-7.31. M. de Certeau, L’invention duquotidien (1980), tomo I, Arts defaire, Gallimard, Paris 1990.32. Lorcerie, L’école et le défi ethni-que cit.

33. J.F. Themines, Géographicité etprofessionnalité enseignante, Ap-proche didactique de la complexi-té des pratiques et des discours dela géographie scolaire du secondai-re, tesi per l’abilitazione a direttoredi ricerca discussa presso l’Univer-sità di Caen nel 2005; Fontanabona,

Themines, L’innovation en histoire-géographie cit.34. N. Lautier, Entrez dans l’histoi-re, Presses universitaires du septen-trion, Villeneuve d’Ascq 1997.35. Grever, Canon mag geschiede-nis niet monopoliseren, in «de Gel-derlander», 17 ottobre 2006.

72

pria cultura. Il legame esplicito con l’identità – se si faaffidamento ai soli risultati francesi – è debole: più difrequente la memoria familiare, e soprattutto quella deinonni, è quella che conta: solo in due casi, infatti, vie-ne rivendicata una sola identità (uno si dice europeo,l’altro musulmano). Una delle domande che sorge, quin-di, è quella della reale adeguatezza di concetti che ri-guardano la società globale, e in particolare i gruppi adul-ti di questa società, quando si tratti di riflettere sulle iden-tità plurime, mobili e in divenire degli adolescenti32.

Coscienza storica e rapporto disciplinare con il mondo per ciò che riguarda la storiaThémines nell’analizzare la geografia scolastica e le suefunzioni premette che gli studenti vanno considerati co-me soggetti che cercano di dare un senso alla loro espe-rienza del mondo facendo o meno riferimento alla geo-grafia scolastica, ai suoi contenuti, ai suoi ragionamenti,ai suoi oggetti e situazioni di lavoro. La speranza è legit-tima rispetto alle finalità di questa disciplina, e in parti-colare rispetto a quello che sostengono gli insegnanti: lageografia scolastica fornisce delle rappresentazioni delmondo. Queste rappresentazioni, costruite nella culturascolastica e grazie alla cultura scolastica, si incontranocon delle conoscenze non scolastiche (o non esclusiva-mente scolastiche). È evidente che tutto ciò si potrebbeapplicare senza grandi variazioni alla storia. Tale presup-posto, infatti, definisce il rapporto disciplinare con il mon-do come un processo attraverso il quale si formano ne-gli studenti delle competenze nel mettere in relazione leconoscenze sul mondo, sull’apprendimento e sui motividell’apprendimento, nel contesto e in relazione con unadisciplina. Queste relazioni possono essere stabili o con-tingenti, coerenti o fragili, omogenee o meno, ma per-mettono, se contestualizzate, di interpretare le diversesituazioni. Insomma, il rapporto disciplinare con il mon-do risulterebbe dalla costruzione di rappresentazioni le-gittime del mondo (e quindi, per quello che ci riguarda,anche della sua storicità) in relazione con un contesto diriferimento disciplinare33. Senza approfondire per il mo-

sa famiglia29. La produzione della memoria culturale èun processo sociale complesso che coinvolge sia i pro-duttori sia i consumatori di memoria come portatori diinteressi specifici che orientano la produzione e, soprat-tutto, il processo di appropriazione30. Secondo la formu-la proposta da Michel de Certeau31, c’è uso e riciclo del-le memorie collettive nell’appropriazione singola e col-lettiva. Questo fenomeno può a sua volta influenzare lacultura inglobante.

Questo processo generale può verificarsi anche nella cul-tura scolastica se chi concepisce i programmi e i manuali hal’intento di proporre una cultura scolastica (storica, in que-sto caso) volta all’integrazione dei contenuti culturali, dei sim-boli, dei racconti appartenenti alle culture o alla storia degliimmigrati; se ciò non avviene, può instaurarsi una distanzaconsiderevole tra memorie culturali (come le abbiamo defi-nite sopra) e cultura scolastica.

Le culture influenzano, consciamente o inconscia-mente, le percezioni e la comprensione del mondo incui si vive. Se è vero che la costruzione delle identitàpersonali e collettive è strettamente legata a un orienta-mento temporale e a una visione del passato, non dob-biamo allora sottostimare la confusione degli immigratiprivati dei loro punti di riferimento familiare. Inoltre, og-gigiorno, soprattutto nelle grandi città occidentali, con-vivono immigrati provenienti da paesi diversi (a Rotter-dam, per fare un esempio, vivono più di 135 nazionali-tà diverse) e, quindi, portatori di molteplici memorie cul-turali. Il confronto con la cultura occidentale è dunqueintersecato dal confronto in parallelo con una moltitudi-ne di memorie culturali, il che tende a complicare e aconfondere la situazione. Le poche analisi a nostra di-sposizione in Francia propendono a favore delle costru-zioni individuali degli adolescenti più che al peso delleappartenenze collettive. Occorrerebbe identificare il lo-ro inserirsi in una memoria culturale (forse in più me-morie culturali) e allo stesso tempo in una cultura sco-lastica. Al momento l’indagine sugli studenti ci permet-te solo, nel migliore dei casi, di rintracciare l’accettazio-ne o meno della cultura storica scolastica come loro pro-

2Maria Grever - Nicole Tutiaux-Guillon • Insegnamento della storia, pluralità culturale e coscienza storica

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 72

Page 73: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

73

da la storia, siamo forse di fronte ad una componen-te del loro rapporto disciplinare con il mondo? Op-pure si tratta di un elemento estraneo alla loro con-cezione di disciplina scolastica? In questo problemaritroviamo ovviamente la questione del «pensiero cal-do» di Moscovici ripreso da Lautier34. Questo pensie-ro sembra nutrirsi di mass media e di avvenimentibrutali, violenti, studiati in classe. Non c’è inquietu-dine nell’aver di fronte il primato di questo tipo diavvenimenti? Che coscienza storica è quella nellaquale l’impatto sulla propria vita – per positivo chepossa essere – è soprattutto quello dell’orrore?».

– Infine, e la domanda è volutamente ampia: «È pos-sibile rendere conto delle differenze tra adolescentiche abbiamo riscontrato in questa indagine non so-lo attraverso le variabili sociologiche e identitarie(abbiamo visto in qualche esempio i loro limiti) maanche attraverso le differenze tra le varie discipline

scolastiche, non per quello che es-se trasmettono in termini di riferi-menti diversi, ma per i modi in cuiesse organizzano discorsi, pratiche,finalità e in cui questo si attualizzain ogni classe in modo diverso perinfluenzare i rapporti disciplinari de-gli adolescenti con il passato?».

Anche se prendere in considera-zione le diverse memorie culturalinelle classi è difficile per gli inse-gnanti di storia (soprattutto se sonoabituati a insegnare una vulgata – ocanone – e avvezzi a un insegna-mento “maestro-centrico”) ciò può

aprire delle prospettive positive. Discutere gli avveni-menti storici secondo diversi punti di vista, scientifici ememoriali, può permettere di approfondire la compren-sione del passato e la riflessione sulla realtà storica fa-vorendo inoltre l’apertura agli altri35. Si tratta, insomma,di trovare il modo di sostituire al canto piatto del mae-stro una polifonia interculturale.

mento la riflessione teorica possiamo, a partire da que-sto concetto, interrogarci sull’influenza dell’insegnamen-to della storia sulla coscienza storica senza riferirci esclu-sivamente ai contenuti o, in linea con la riflessione pre-cedente, senza fare riferimento unicamente alla versio-ne canonica della storia nazionale. Da una parte, ciòspinge a prendere in considerazione la globalità delle si-tuazioni scolastiche insieme alle pratiche e alle legittima-zioni; dall’altra, invece, invita a considerare le interazio-ni tra cultura scolastica e le altre culture non tanto nelleprescrizioni ma nella loro attuazione da parte degli al-lievi e degli insegnanti; in ogni caso, ciò ci esorta a con-siderare lo studente come soggetto, come attore che co-struisce le proprie significazioni, in modo personale econtestualizzato.

Alcuni aspetti dei risultati precedenti ci sembrano po-ter essere interrogati in questo modo, senza peraltro ap-profondire il rapporto teorico tra coscienza storica, cultu-ra e rapporto disciplinare con il mon-do. Soprattutto, dobbiamo limitarci aqualche indizio, a qualche pista, an-che tenendo conto del carattere estre-mamente sommario di un’indaginebasata su un questionario.– «Sulla base di quali dati gli studen-

ti che non trovano un interesse nel-la storia o che sono incapaci diidentificare un avvenimento stori-co (anche nell’accezione mediati-ca del termine) che abbia avuto unimpatto sulla propria vita, possonocomprendere il mondo nel qualevivono, l’attualità che gli viene con-tinuamente imposta? Quale dispositivo d’indagine puòpermetterci di affrontare le relazioni che essi instaura-no tra la disciplina scolastica e il mondo – ammesso chele instaurino?».

– «Abbiamo constatato che in una percentuale non tra-scurabile degli adolescenti i valori e le emozioni gio-cano un ruolo fondamentale; per quello che riguar-

Discutere gliavvenimenti storici

secondo diversi puntidi vista […] puòpermettere di

approfondire lacomprensione del

passato e lariflessione sulla

realtà storica

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 73

Page 74: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

74

* Desidero ringraziare Stefan Boome Willem Kurstjens per i loro com-menti, riguardanti sia il contenutoche lo stile di questo articolo.1. Fino alla fine del XX secolo lapopolazione olandese era caratte-rizzata da una suddivisione in di-versi gruppi rigidamente separati,

sia di tipo religioso (cattolici eprotestanti) sia di tipo politico(socialisti e liberali). Ciascuno diquesti segmenti della società ave-va associazioni, giornali, scuole,canali radio-televisivi, sindacatiecc., ben distinti da quelli degli al-tri gruppi.

2. Piet de Rooy (1944) ha studiatoStoria nelle Università di Utrechte di Amsterdam. Ha poi lavoratonel Dipartimento di Pedagogia edi Scienze politiche, e dal 1997 nelDipartimento di Storia. I suoi cam-pi di ricerca: storia dei Paesi Bassinel secoli XIX e XX; storia del-

l’educazione; storia culturale delXIX secolo (teoria dell’evoluzio-ne, razzismo, storia della medici-na). Ha anche presideuto un comi-tato che ha redatto l’elenco dei 50eventi fondamentali della storia diAmsterdam (cfr. http://nl.wikipedia.org/wiki/Piet_de_Rooy).

nato fino a scomparire. Le cause di ciò vanno ricercate neirapidi mutamenti sociali, nell’inarrestabile processo di glo-balizzazione, nei nuovi modi di vedere la storia, e anchenelle pressioni esercitate da vari movimenti di emancipa-zione. Non ci si è dunque più accontentati della storia po-litico-istituzionale, presentata in ordine cronologico secon-do la tradizionale prospettiva eurocentrica, e inevitabilmen-te maschilistica e sciovinistica. Si è cominciato a pensareche, ad esempio, la storia socio-economica e la storia del-le mentalità meritassero uno spazio maggiore. I curricolisono cambiati rapidamente e gli argomenti degli esami so-no divenuti sempre più esotici. Inoltre, l’insegnamento del-la storia è stato strumentalizzato in misura sempre crescen-te da gruppi di interesse e condizionato da questioni di at-tualità. Si è richiesta, perciò, una maggiore attenzione allastoria delle donne, dell’ambiente, del Terzo Mondo, non-ché alla storia dell’integrazione europea (ma con scarsosuccesso, a giudicare dalla bocciatura della Costituzioneeuropea da parte degli olandesi nel 2005). I diversi argo-menti venivano presentati in modo talmente approfondi-to che gli studenti sapevano molto su temi quali la perse-cuzione delle streghe nel Medioevo in Europa, ma moltopoco sui mutamenti di carattere generale, sugli scenari difondo e sui singoli eventi di quella stessa epoca storica. Altermine della Scuola secondaria gli studenti manifestava-no un’imbarazzante mancanza di consapevolezza dei di-versi periodi della storia e una scarsa capacità di colloca-re singoli eventi e mutamenti nel loro contesto storico. Nonconoscevano più la differenza fra Carlo Magno e Carlo V,né gli obiettivi per i quali questi sovrani avevano lottato,né il contesto da cui provenivano, né il periodo in cui era-no vissuti, o addirittura non erano neppure in grado di di-re chi dei due era vissuto prima dell’altro.

Insieme all’introduzione di un approccio tematico al-l’insegnamento della storia, venne richiesta anche unamaggiore attenzione per l’insegnamento delle competen-ze tipiche dello storico. Le conoscenze in sé stesse nonerano più ritenute sufficienti; esse dovevano servire auno scopo. Le conoscenze e le competenze proprie del-la storia dovevano essere socialmente rilevanti e signifi-cative e, preferibilmente, utili anche per altre discipline.Si osservava inoltre che nella nostra società secolarizza-ta e individualistica, caratterizzata da una popolazione

Un canoneper la storiaolandese: un dibattitosenza fine?*

Il celebre storico olandese PieterGeyl (1887-1966) affermò una voltache la storia è «un dibattito senzafine». La stessa cosa si può dire aproposito della riformadell’insegnamento della storiain Olanda, attualmente in fase di elaborazione. Tradizionalmente, un diploma universitario era una buonagaranzia della competenza degli insegnanti di storia e, diconseguenza, della qualità dell’insegnamento di questa di-sciplina. Mezzo secolo fa non c’era quasi nessun disaccor-do sul curricolo di storia. Gli storici di professione si basa-vano su un “canone implicito”, dato per scontato: essi era-no in generale d’accordo sui contenuti del curricolo, conqualche differenza a seconda della loro estrazione socialee della loro appartenenza politica1. Quali sono allora i cam-biamenti nella società e nell’insegnamento della storia chehanno richiesto l’elaborazione di un “canone esplicito”?

La frammentazione dell’insegnamentodella storiaAttualmente, nell’insegnamento della storia olandese, la vi-sione del passato è divenuta frammentaria: i fatti storicihanno perso coerenza e il loro profilo generale si è appan-

3Huub Kurstjens

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 74

Page 75: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mralunni fino ai 12 anni), acquistando poi una sempre mag-giore familiarità con le dieci epoche nel corso della pri-ma fase dell’istruzione secondaria (tra i 12 e i 14 anni) eapprofondendone ulteriormente lo studio durante la se-conda fase dell’istruzione secondaria (tra i 14 e i 17/18 an-ni). L’idea di fondo è che lo studio ripetuto di un’epoca ela sua descrizione, associata a un’immagine, faranno sì chei contenuti rimangano bene impressi nella mente deglistudenti. Si ritiene che il modo migliore per sviluppare lacoscienza storica sia quello di utilizzare una varietà di ap-procci e di competenze all’interno di uno schema gene-rale al quale fare costante riferimento.

Secondo la Commissione, sarà più facile che gli stu-denti riescano a padroneggiare contenuti spesso diffici-li e poco attraenti, se potranno riconnetterli a quanto

hanno già appreso in una fase pre-cedente del loro percorso scolastico.È detto espressamente, tuttavia, chegli studenti non devono imparare amemoria nozioni isolate, ad esempiodate o nomi di personaggi storici. Siritiene che ciò non sia utile e che si-mili nozioni siano apprezzabili solose contribuiscono ad orientare me-glio lo studente, aiutandolo a chiari-re gli aspetti generali che caratteriz-zano un certo periodo storico. Diconseguenza, la Commissione si èastenuta dal fornire liste di eventi,personaggi storici ecc.

La Commissione ha sostenuto inoltre che qualsiasi se-lezione sarebbe stata avventata e arbitraria. Le caratteristi-che generali di un periodo dovrebbero essere presentate

eterogenea e dalla caduta delle tradizionali barriere di ti-po religioso o socio-politico, il sentimento di una comu-ne identità rischiava sempre più di scomparire. Una co-mune cornice storica di riferimento avrebbe potuto con-tribuire a risolvere la crisi di identità dalla quale il pae-se era afflitto. In altre parole, era arrivato il momento dielaborare e proporre agli studenti una visione d’insiemedegli eventi storici.

Le «dieci epoche storiche» della Commissione de RooyNel 2001 la Commissione de Rooy, così denominata dalnome del suo presidente, Piet de Rooy2, professore del-l’Università di Amsterdam, presentò una relazione al Mi-nistero dell’Educazione, nella qualesuggeriva di dividere la storia in «die-ci epoche», opportunamente defini-te e separate da date precise, in mo-do tale da mettere a fuoco il profilocronologico fondamentale della sto-ria dell’Europa occidentale, conun’attenzione particolare per i Pae-si Bassi. La scelta di dieci epoche eraconcepita come uno strumento di-dattico che avrebbe permesso aglistudenti di comprendere il passatocon maggiore facilità.

Ogni epoca, infatti, è distinta daun’immagine emblematica (Fig. 1) ecomprende «aspetti caratteristici» ad essa peculiari.

Si prevede che gli studenti incontrino questo schemauna prima volta durante l’istruzione primaria (rivolta ad

Figura 1

lo studio ripetuto di un’epoca e la sua descrizione,

associata aun’immagine,

faranno sì che icontenuti rimangano

bene impressi nella mente

degli studenti

75

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 75

Page 76: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

76

3. The condition of Dutch educa-tion; a report by the EducationCouncil, The Hague 2005, p. 13.4. Citazione tratta dalla lettera del-la Commissione al Comitato per l’ela-

borazione di un canone olandese (26maggio 2005, p. 2), indirizzata al suopresidente Prof. F. P. van Oostrom.5. Frits van Oostrom (1953) ha stu-diato neerlandese all’Università di

rafforzare l’identità nazionale? In che modo, ad esem-pio, un ragazzo turco o marocchino potrà riconoscersiin una visione della storia e del mondo così distante ecosì chiaramente diversa dalla propria?

Il canone proposto dalla Commissione van OostromCiò che in particolare mancava nella proposta della Com-missione de Rooy fu messo in evidenza da una relazio-ne pubblicata nel gennaio 2005 dal Consiglio olandeseper l’Istruzione, il più importante organismo consultivodel Ministero dell’Educazione. Esso affermava che erastata prestata troppa scarsa attenzione a un “canone” cheesprimesse l’identità olandese. Da questo punto di vista,secondo il Consiglio per l’Istruzione, hanno fondamen-tale importanza «quelle preziose componenti della no-stra cultura e della nostra storia che noi vogliamo tra-smettere alle nuove generazioni per mezzo dell’istruzio-ne. Il canone è importante per la società nel suo insie-me e non soltanto per una élite»3. Il canone dovrebbe es-sere di supporto alla socializzazione degli studenti, che

è uno dei compiti fondamentali del-l’istruzione, specialmente consideran-do gli attuali problemi di integrazio-ne sociale. Il Consiglio sostenevache, data l’elevata percentuale di ra-gazzi di origine straniera, sarebbe be-ne assicurarsi che la cultura e la sto-ria olandese siano assimilate da tut-ti gli studenti in modo adeguato.Queste raccomandazioni, natural-mente, risentivano del disagio pro-vocato nella società olandese dall’as-sassinio di due eminenti personalità,quali il politico Pim Fortuyn, uccisonel maggio del 2002, e il regista ci-nematografico Theo van Gogh, ucci-so nel novembre del 2004. La nazio-ne olandese rischiava di essere sem-pre più divisa al proprio interno: latensione sociale era altissima.

Il ministro dell’Educazione si dichiarava allora con-vinto che «se i giovani nei Paesi Bassi condividerannoalmeno la parte essenziale del canone, questo contribui-

graficamente, ma senza alcuna immagine specifica. In que-sto modo, uno studente potrà imparare la Riforma prote-stante studiando Lutero o Calvino, mentre un altro la im-parerà studiando Zwingli, Erasmo o altri riformatori. I ca-si di studio sono soltanto punti partenza per imparare qual-che aspetto generale di un dato periodo, niente di più eniente di meno.

Questo approccio è stato poi accettato dal Parlamen-to olandese e dal Ministero dell’Educazione ed è statorecepito in una legge sull’istruzione primaria e sulla pri-ma fase dell’istruzione secondaria. Per quanto riguardala seconda fase dell’istruzione secondaria, questo ap-proccio dovrebbe portare entro pochi anni ad una rifor-ma degli esami finali, che verrebbero gestiti centralmen-te dal Ministero.

Critiche della suddivisione in dieci epocheLe raccomandazioni della Commissione de Rooy sonostate oggetto di non poche critiche. È possibile che ladivisione in dieci epoche sia un efficace strumento di-dattico, ma essa ha ricevuto molteobiezioni da parte del mondo acca-demico. Molti storici l’hanno ritenu-ta del tutto arbitraria, o addiritturainaccettabile. Si potrebbe tuttaviapassar sopra a questo genere di cri-tiche in considerazione dei probabi-li benefici che questo nuovo approc-cio potrebbe avere sugli studenti checercano di padroneggiare questa ma-teria, e anche in ragione del fattoche altre periodizzazioni continua-no ad essere utilizzate.

Ben diverso è il discorso relativoagli aspetti caratteristici di ciascunaepoca storica. Sono veramente tipi-ci di una certa epoca? Sono coeren-ti e omogenei fra di loro? È possibi-le, partendo da questa periodizza-zione, studiare i mutamenti di lungoperiodo? Ed è proprio vero che non ha importanza qua-le specifico caso di studio venga utilizzato per caratte-rizzare un dato periodo? Colombo e Lutero non rappre-sentano meglio di Olivier van Noort o Johannes Hus ilperiodo dei grandi esploratori e dei grandi riformatori(1500-1660)? E l’enfasi posta sulla storia dell’Europa oc-cidentale non può causare un atteggiamento eurocen-trico con l’aggravante di presentare gli stereotipi di unastoria scritta da “maschi bianchi”, che per di più mira a

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

Il canone dovrebbe esseredi supporto alla

socializzazione deglistudenti, che è uno

dei compitifondamentali

dell’istruzione,specialmente

considerando gliattuali problemi di

integrazione sociale

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 76

Page 77: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

Utrecht. Ha insegnato letteratura ne-erlandese dell’età romantica nelleUniversità di Leida (1982-2001) edi Utrecht (dal 2002). Ha presiedu-to la Royal Netherlands Academy of

Arts and Sciences (2005-2008). Perulteriori notizie, cfr. http://www.fritsvanoostrom.nl/ e http://nl.wikipedia.org/wiki/Frits_van_Oostrom.6. Boulahrouz è un famoso gioca-

tore di calcio olandese di originemarocchina; Beatrice è la regina deiPaesi Bassi.7. The Dutch canon, The Hague2006, parte A, pp 23f.

8. Per la versione olandese, cfr.www.entoen.nu; per la versione in-glese, cfr. http://www.entoen.nu/default.aspx?lan=e.

ventata talmente importante che la sua trasmissioneagli studenti delle scuole non ha bisogno di speci-fiche giustificazioni7.

Tutto ciò implica una importante differenza nell’ap-proccio delle due commissioni: mentre per la Commissio-ne de Rooy il tema cruciale era quello della consapevo-lezza storica, per la Commissione van Oostrom il temacruciale è quello delle conoscenze “canoniche”.

Il canone: presentazione, strategia didattica, contenuti

PresentazioneIl canone è stato rappresentato graficamente sia su unatavola, nella forma di un manifesto, sia nel sito web adesso dedicato8. In questa presentazione, esso risulta com-posto da una serie di 50 finestre, disposte cronologica-mente sulla linea del tempo (cfr. Fig. 2, p. 78).

La principale funzione della tavola è quella di unsupporto didattico: essa ha lo scopo di imprimere nellamente dello studente le immagini del canone (e la lorosuccessione nel tempo) e di stimolare la sua curiosità ela sua immaginazione. La tavola dovrebbe rimanere ap-pesa alla parete della classe, chiaramente visibile in ognimomento, in modo da essere un buon punto di riferi-mento durante le lezioni riguardanti il canone. Quest’ul-timo è articolato in quattro livelli: anzitutto, ciascunadelle 50 finestre viene presentata con l’aiuto di un bre-ve «Racconto», che spiega il significato da attribuire aquel particolare elemento del canone. Successivamentesono indicate varie possibilità di ampliare l’argomento,le cosiddette «Diramazioni», le quali suggeriscono temiche possono essere proposti come ampliamento del-l’orizzonte conoscitivo, o possono essere studiati più ap-profonditamente. A queste Diramazioni sono state ag-giunte due ulteriori sezioni: «Il presente e il passato» e«Dentro il tesoro». La prima contiene suggerimenti perconfrontare il passato con il presente, la seconda perriempire il tesoro (una scatola di oggetti didattici) conelementi che rendano “tangibile” il passato. Infine vi so-no i «Riferimenti», che forniscono ulteriori informazionicirca un argomento (tra le quali indicazioni per appro-fondimenti, bibliografia e siti web).

rà all’integrazione sociale e alla formazione di buoni cit-tadini»4. Sostenuto da un ampio consenso nella classepolitica e nella società, il Ministro decise di istituire unacommissione con il compito di esaminare i contenuti delcanone della storia olandese e di elaborare una propo-sta circa il modo di calarlo nella pratica educativa. Ladecisione del Ministro fu anche sollecitata dalla sua con-vinzione che i giovani di oggi manchino di una adegua-ta conoscenza della storia e della cultura olandese. Nonsoltanto era diminuita la conoscenza dei fatti storici, mail più delle volte anche la conoscenza della cronologiarisultava carente. Questo era dovuto a molteplici cause:da un lato, i cambiamenti avvenuti nel campo dellescienze storiche; dall’altro, la mancanza di insegnantibravi e adeguatamente qualificati.

La Commissione van Oostrom – così chiamata dal no-me del suo presidente, il professor F. P. van Oostrom5 del-l’Università di Utrecht – lavorò dal giugno del 2005 al set-tembre del 2006 alla stesura della sua relazione e alla ela-borazione del canone olandese. Nella relazione definitivafu subito chiarito che il canone e l’identità olandese nondovevano essere confusi l’uno con l’altra:

Il canone può riflettere la memoria collettiva diuna nazione, ma mai la sua identità. (…) Nella re-altà internazionale, multiculturale nella quale oggiviviamo il concetto di “identità nazionale” è ingan-nevole, o addirittura pericoloso. (…) Ciò che impor-ta qui è che questo è il canone del paese dove tut-ti noi viviamo insieme. In questo senso, il canonepuò dare un grande contributo all’educazione allacittadinanza. La conoscenza e la comprensione delmodo in cui questo paese si è sviluppato, delle co-se notevoli che esso ha prodotto, dei princìpi cheha difeso o ha respinto, costituiscono una finalitàeducativa utile e formativa e forniscono alla socie-tà una cornice di riferimento che migliorerà la co-municazione reciproca e l’atteggiamento con il qua-le gli olandesi vanno in giro per il mondo. In altreparole, questo è il canone di Boulahrouz e di Bea-trice6. (…) Quello che soprattutto ci interessa è ilvalore del canone in se stesso, non come presuntasoluzione di un particolare problema, ma come vei-colo di prim’ordine per la conoscenza della storiadella cultura olandese, che negli ultimi anni è di-

77

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 77

Page 78: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

78

l’effetto positivo del riconoscimento e della revisione diargomenti già noti, si aggiungerebbe, man mano che glistudenti crescono, una trattazione più approfondita e unarricchimento delle 50 finestre. Per quanto riguarda l’istru-zione primaria ciò significa: trattazione in termini concre-ti e in forma di racconto con l’aiuto di immagini che dan-no agli studenti un valido punto d’appoggio, chiare indi-cazioni cronologiche (ma senza ficcare a forza le datenella testa degli studenti!), presentazione interessante,

Strategia didatticaLa Commissione ha optato per un canone interdiscipli-nare. Questo implica la possibilità di stabilire collegamen-ti tra discipline quali lingua olandese, geografia, econo-mia storia e cultura, arte. Il canone dovrebbe essere pre-sentato due volte nel corso della carriera scolastica: unaprima volta durante l’ultima fase dell’istruzione primaria(tra gli 8 e i 12 anni) e una seconda volta nella prima fa-se dell’istruzione secondaria (tra i 12 e i 14/15 anni). Al-

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

Le tombe megalitiche (3000 a.C. ca.) / I primi agricoltoriIl limes romano (47 d.C.-400 ca.) / Ai confini del mondo romanoWillibrord (658-739) / La diffusione del cristianesimoCarlo Magno (742-814) / L’imperatore della Terra dove tramonta ilSoleHebban olla vogala (1100 ca.) / La lingua olandese messa periscrittoFloris V (1254-1296) / Un conte olandese e i nobili scontentiLa lega anseatica (1356-1450 ca.) / Le città commerciali neiPaesi BassiErasmo (1469?-1536) / Un umanista internazionaleCarlo V (1500-1558) / I Paesi Bassi come unità amministrativaIl «Beeldenstorm» (un’esplosione di violenza iconoclasta) (1566)/ Il conflitto religiosoGuglielmo d’Orange (1533-1584) / Da nobile ribelle a «padredella patria»La Repubblica (1588-1795) / Un fenomeno politico unicoLa Compagnia Olandese delle Indie Orientali (VOC) (1602-1799)/ L’espansione OltremareIl polder di Beemster (1612) / I Paesi Bassi e l’acquaL’anello dei canali (1613-1662) / Lo sviluppo urbano nel XVIIsecoloUgo Grozio (1583-1645) / Un pioniere del diritto internazionalemodernoLa Statenbijbel (la traduzione autorizzata della Bibbia) (1637) /Il Libro dei LibriRembrandt (1606?-1669) / I grandi pittoriL’Atlas Maior di Blaeu (1662) / La costruzione di una mappa delmondoMichiel de Ruyter (1607-1676) / Gli eroi del mare e l’espansionemarittima della RepubblicaChristiaan Huygens (1629-1695) / La scienza nel Secolo d’oroSpinoza (1632-1677) / Alla ricerca della veritàLa schiavitù (1637 circa-1863) / Traffico d’uomini e lavoro forzatonel Nuovo Mondo

Residenze rurali (XVII e XVIII secolo) / Una vita agiataEise Eisinga (1744-1828) / L’Illuminismo nei Paesi Bassi

Figura 2. Gli elementi del canone

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 78

Page 79: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

79

9. http://www.onderwijsraad.nl/uploads/pdf/engelse_samenvatting_sven.pdf(Recommendation 2: ‘Il canone come espressione della nostra identità’).

tica ed economica, al canone culturale di altri paesi, informe adatte ai giovani “più maturi” e alle particolari ca-ratteristiche dei discenti come individui e come gruppo.

ContenutiGli argomenti compresi nel canone sono il frutto di unarigorosa selezione. Di conseguenza, ciascun argomentopuò essere trattato come merita, e viene al tempo stessoevitata una eccessiva dispersione tematica. La sfida prin-cipale non è tanto se questi argomenti saranno o menotrattati (in ogni caso essi sono presenti nella maggior par-te dei libri di testo), ma “come” saranno trattati. Essi do-vrebbero essere la base di partenza per ogni ulteriore for-ma di apprendimento e di esperienza per l’intera vita deldiscente. Con questo approccio si è tornati all’insegna-mento per temi, ma con una importante differenza: i te-mi sono ora inseriti in un quadro nazionale.

La storia del canone olandesein sintesiGennaio 2005: il Consiglio olandese per l’Istruzione9 dà ilsuo pare al Ministero dell’Educazione sulla costruzionedel canone.

Agosto 2005: viene nominata la Commissione per lo svi-luppo del canone olandese presiduta da Frits van Oostrom.

Ottobre 2006: presentazione della prima versione delcanone e del sito web www.entoen.nu

Luglio 2007: presentazione della versione finale del ca-none, che il governo decide di inserire negli obiettivi cen-trali dell’istruzione.

2008/2009: campagna di informazione sul canone, co-me la «carovana del canone» attraverso ogni provincia.

Agosto 2009: il canone diverrà parte effettiva degliobiettivi centrali per l’istruzione primaria (8-12 anni) e se-condaria di primo grado (12-14 anni).

Critiche e difesa del canoneNon appena la Commissione van Oostrom ebbe pubbli-cato la sua relazione, il canone – come era già accadutoper le dieci epoche storiche – ricevette non solo consen-si, ma anche un gran numero di critiche, provenienti spe-cialmente dal mondo accademico e dagli insegnanti. Insintesi questi sono stati i commenti negativi:– Dopo le divisioni sperimentate dalla società olandese

negli ultimi anni, il canone viene utilizzato per pro-muovere la coesione sociale.

suggestiva (il canone deve essere “vivo”) e incentrata suiluoghi più vicini e familiari (con racconti riguardanti iPaesi Bassi in generale, ma con la possibilità di effettua-re collegamenti con la storia locale). Per quanto riguar-da l’istruzione secondaria si potrebbe pensare di amplia-re, espandere e arricchire questi materiali, proponendouno studio più approfondito, istituendo un maggior nu-mero di collegamenti, e prestando maggiore attenzioneai protagonisti impersonali e ai processi, alla storia poli-

I patrioti (1780-1795) / Conflitto politico e modernizzazione dellaRepubblicaNapoleone Bonaparte (1769-1821) / Il periodo franceseIl re Guglielmo I (1772-1843) / Il Regno dei Paesi Bassi e delBelgioLa prima ferrovia (1839) / Un’accelerazioneLa Costituzione (1848) / Regole fondamentali e princìpi digovernoMax Havelaar (1860) / Scandalo nelle Indie OrientaliLa lotta contro il lavoro minorile (XIX secolo) / Via dalle fabbriche,di nuovo a scuolaVincent van Gogh (1853-1890) / L’artista modernoAletta Jacobs (1854-1929) / L’emancipazione delle donneLa Prima guerra mondiale (1914-1918) / Guerra e neutralitàDe Stijl (1917-1931) / Una rivoluzione nel designGli anni della crisi (1929-1940) / La società durante la DepressioneLa Seconda guerra mondiale (1940-1945) / Occupazione eliberazioneAnna Frank (1929-1945) / La persecuzione degli ebreiIndonesia (1945-1949) / Una colonia lotta per la libertàWillem Drees (1886-1988) / Lo Stato socialeLa grande inondazione (1° febbraio 1953) / Il pericolo dell’acquaLa televisione (dal 1948 fino ad oggi) / L’ascesa dei mass mediaIl porto di Rotterdam (dal 1880 circa fino ad oggi) / Una porta sulmondoAnnie M.G. Schmidt (1911-1995) / In lotta contro lo spiritoborghese di una nazioneSuriname e le Antille olandesi (dal 1945 fino ad oggi) / Ladecolonizzazione a OccidenteSrebrenica (1995) / I dilemmi del peacekeepingLa diversità nei Paesi Bassi (dal 1945 fino ad oggi) / La societàmulticulturaleUn deposito di gas naturale (1959-2030?) / Una risorsa finitaL’Europa (dal 1945 fino ad oggi) / Olandesi ed Europei

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 79

Page 80: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

80

10. Questo è il giudizio del Prof.Willem Frijhoff, docente di storia(della cultura) contemporanea pres-so l’Università Libera di Amsterdam.

A lui deve essere attribuita anche laseguente affermazione: «Potremo di-chiarare che l’integrazione naziona-le ha avuto pieno successo quando

un immigrato proveniente dalla Tur-chia o dal Marocco o un suo discen-dente considereranno Gugliemod’Orange come il padre fondatore

della loro patria», in «GeschiedenisMagazine», 1, genn.-febb. 2007, p. 45.11. Citazione tratta da un articolodello scrittore olandese di origini

ore di insegnamento, o addirittura sono state del tut-to abolite.

– Il canone non rappresenta affatto un’imposizione, mavuole essere piuttosto uno stimolo e una fonte di ispi-razione per gli insegnanti.

– Il canone non è statico: infatti, verrà periodicamenteaggiornato.

– È stato il governo a chiedere l’elaborazione di un ca-none della storia olandese, e una logica prosecuzionedi questo lavoro sarebbe l’elaborazione di un canonedella storia internazionale.

– Il canone non riguarda soltanto lastoria come materia. La sua im-portanza sta invece nel fatto cheesso identifica il bagaglio minimodelle conoscenze storiche, cultu-rali, economiche e geograficheche ogni cittadino deve portarecon sé in giro per i Paesi Bassi,per l’Europa e per il resto delmondo.

– L’esistenza di un canone non rap-presenta una violazione del dirit-to delle scuole di stabilire i pro-pri curricoli in modo autonomo;non vi è alcun rischio di una pe-dagogia di Stato.

– Anche i figli degli immigrati trarranno beneficio dal ca-none: «coloro che hanno tagliato i ponti alle loro spal-le per costruirsi una nuova vita in un altro paese, nonpossono che trarre beneficio da una conoscenza ap-profondita del paese che li ospita»11.

– L’apprendimento del canone fornisce all’intera popo-lazione un punto di riferimento, e in questo non c’èproprio niente di male.

La situazione attualeLa pubblicazione del canone olandese e le analisi di cuiè stato oggetto hanno messo in evidenza che occorreprestare maggiore attenzione alla conoscenza storicasia nelle scuole sia negli istituti per la formazione de-gli insegnanti. La proposta è stata oggetto di molti ser-vizi sui giornali nazionali, e nonostante le critiche so-pra menzionate, è stata accolta con grande entusiasmoda settori assai consistenti dell’opinione pubblica. L’en-

– L’interpretazione del passato è schiacciata su un’unicaprospettiva. Non ne viene fuori una storia “viva”, mauna storia mummificata.

– Il racconto che sta dietro alle 50 finestre è una fictionche “inventa la tradizione” dei 2000 anni della storiaolandese.

– Il canone è stato imposto dall’alto dalle autorità. Que-sta è una forma di indottrinamento e di pedagogiadi Stato.

– Il canone è scritto secondo la prospettiva dello «Statonazionale del XIX secolo e della borghesia liberale, dicultura accademica e di tradizio-ne protestante: è incentrato sul-l’Olanda, sulla classe media, sulmondo urbano, è estetizzante emoralistico»10.

– Il canone ha un orizzonte (trop-po) ristretto: non presta quasinessuna attenzione alla storia in-ternazionale.

– Per quanto riguarda la strategiadidattica, il canone è inadeguatoperché comprende troppi ap-procci differenti e poco coerentitra loro.

– Il canone manca di un filo con-duttore che colleghi le varie parti.

– La selezione delle 50 finestre è arbitraria, non è sta-ta giustificata e non è stata elaborata in modo equi-librato.Queste sono invece le argomentazioni con le quali il

canone è stato difeso:– La proposta ha riportato al centro del dibattito la que-

stione dei contenuti da insegnare; il rapporto fra co-noscenze e competenze era divenuto assai squilibra-to, a tutto danno delle conoscenze fattuali.

– Una maggiore attenzione ai contenuti didattici fa tor-nare la materia nella mani degli insegnanti.

– Il canone rafforza la posizione delle scienze socialisia nell’istruzione primaria che nella secondaria. Nel-la Scuola secondaria circa il 60% degli studenti olan-desi frequenta corsi di istruzione professionale, neiquali le scienze sociali in generale, e la storia in par-ticolare, sono stati sempre più assorbiti all’internodi curricoli più ampi, e si sono confusi con altre di-scipline, oppure hanno subito una riduzione nelle

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

La pubblicazione del canone può

fornire un validocontributo allasoluzione del

problemarappresentato

dall’indebolimentodelle conoscenze

storiche

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 80

Page 81: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

81

none non corrispondono alle 49 caratteristiche della Com-missione de Rooy. Ad alcune caratteristiche corrispondo-no diverse finestre, ad altre nessuna. Inoltre, alcuni ele-menti del canone non possono essere ricondotti a nessu-na delle caratteristiche distintive delle dieci epoche. Stan-do ai suoi critici, il canone non è niente di più che unaserie sconnessa di eventi scarsamente coerenti tra loro sulpiano cronologico.

In effetti, questa è esattamente l’impressione che si haguardando il manifesto del canone: una lunga e sinuosalinea del tempo senza alcuna distinzione in periodi. Que-

sto non aiuterà a sviluppare la consa-pevolezza del tempo storico e dellacronologia, uno degli obiettivi fonda-mentali delle dieci epoche della Com-missione de Rooy. È per questo mo-tivo che il manifesto del canone è sta-to aspramente criticato dagli esperti dididattica (oltre che per il fatto che lalinea del tempo si snoda alternativa-mente da sinistra a destra e da destraa sinistra).

In effetti, le 50 finestre non sugge-riscono soltanto alcuni contenuti, maanche un metodo di insegnamento: gliinsegnanti sono invitati a prendere le50 finestre come punti di partenza per-ché esse costituiscono il principio del-l’impostazione metodologica. Le die-ci epoche di de Rooy suggeriscono,invece, di partire dalle diverse epo-

che storiche e dalle loro caratteristiche, e di trovare in se-guito le esemplificazioni appropriate – per esempio nelcanone. Di conseguenza, c’è il rischio che, nella praticaeffettiva dell’insegnamento della storia, ci si trovi di fron-te alla sovrapposizione di due princìpi e di due metodo-logie differenti. L’incertezza che ne deriva nelle scuole,negli istituti di formazione per gli insegnanti e nell’edito-ria scolastica è già molto evidente. Usare il canone comeunico principio non è una soluzione praticabile, perchéesso si occupa esclusivamente dei Paesi Bassi. Non è ac-cettabile che nei programmi per gli esami finali della Scuo-la secondaria la disciplina venga circoscritta alla sola sto-ria olandese. Le dieci epoche, invece, offrono senz’altrola possibilità di includere nei programmi scolastici anchela storia internazionale.

tusiasmo è stato suscitato da questi fattori:– Il riconoscimento, sia da parte degli studenti che da

parte degli insegnanti, che vi è il rischio di perdere ilproprio patrimonio storico e culturale.

– La presentazione della storia tramite racconti e imma-gini.

– La possibilità di realizzare un gran numero di appro-fondimenti.La relazione che accompagna il canone sostiene che

è necessario innalzare la qualità dei corsi di formazioneper gli insegnanti e migliorare il livello delle conoscenzee delle capacità didattiche degli inse-gnanti. La pubblicazione del canonepuò fornire un valido contributo allasoluzione del problema rappresenta-to dall’indebolimento delle conoscen-ze storiche.

Il canone fa nascere tuttavia un al-tro problema. Era stato richiesto chesia i curricoli della Scuola primaria siaquelli della secondaria fossero strut-turati in base alle dieci epoche stori-che stabilite dalla Commissione deRooy. Come il canone, anche le die-ci epoche storiche hanno lo scopo didefinire le conoscenze storiche fon-damentali, e le definiscono infatti intermini di «aspetti caratteristici» dei va-ri periodi. Gli aspetti caratteristici so-no in tutto 49 e comprendono, adesempio, la «rivoluzione industriale» el’«imperialismo», per il XIX secolo; «gli anni della crisi» e«la guerra fredda», per il XX secolo. Gli obiettivi didattici12

sono formulati in base a queste caratteristiche generali enon fanno riferimento a specifici fatti storici. Per la Com-missione la selezione di fatti storici specifici andava lascia-ta alle scuole e agli insegnanti. Essi sono liberi di sceglie-re casi di studio tratti dalla storia olandese o dalla storiadi altri paesi.

Lo schema generale delle dieci epoche non specificaquali fatti storici gli studenti dovrebbero conoscere, men-tre il canone olandese elenca una serie di eventi specifi-ci. Questi ultimi potrebbero essere utilizzati per illustrarele caratteristiche generali delle dieci epoche storiche del-la Commissione de Rooy. Ma la soluzione del problemanon è affatto così semplice. Infatti, le 50 finestre del ca-

marocchine Abdelkader Benali, in«Volkskrant», 21 ottobre 2006.12. Gli obiettivi didattici sono stan-dard minimi relativi alle conoscen-

ze, alla comprensione, alle abilitàe agli atteggiamenti che le autori-tà preposte all’istruzione giudica-no irrinunciabili e raggiungibili

per una determinata popolazionedi studenti.

Usare il canone come unico principionon è una soluzionepraticabile, perché

esso si occupaesclusivamente deiPaesi Bassi. […] Le

dieci epoche, invece,offrono senz’altro la

possibilità diincludere nei

programmi scolasticianche la storiainternazionale

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 81

Page 82: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

82

me pure materiali didattici sviluppati dall’Istituto olan-dese per lo sviluppo del curricolo (Netherlands Insti-tute for Curriculum Development22) e materiali audio-visivi per la rete educativa della televisione nazionale(canonclips23).Il dibattito in corso riguarda proprio se il governo può

e deve imporre i contenuti di un canone storico e cultu-rale in ogni scuola del paese e a tutti gli studenti olande-si, indipendentemente dal loro retroterra culturale. È dun-que un dibattito sull’identità, e si tratta pertanto di un di-battito scottante, divampato dopo gli assassini di Pym For-tuyn, politico carismatico con un grande seguito, uccisoil 26 maggio 2002 da un militante no-global, e Theo vanGogh, regista provocatore e di grande successo, ucciso il

2 novembre 2004 da un musulmanoolandese. Ci si chiede: Non è forsenecessario che tutti gli olandesi, com-presi gli immigrati, conoscano le ra-dici di questo paese, cioè la sua sto-ria? Non è forse vero che la storia èla materia più significativa e impor-tante per unire i cittadini e far capireloro le radici e il loro ruolo nella so-cietà?

Ma qual è stato il contributo deglistorici in questo dibattito? Gli storici,secondo i loro critici, scrivono libritroppo specialistici, pieni di erudizio-ne e in un linguaggio incomprensibi-le per la gente “normale”. E al tempo

stesso si aggiunge che gli olandesi sono stati privati dellaconoscenza del loro passato, mentre ne hanno un gran-de bisogno.

Per molti anni nel dibattito sull’insegnamento della sto-ria si è enfatizzato il suo carattere educativo, invece che icontenuti. Nei manuali, fin dagli anni Ottanta del secoloscorso, l’approccio cronologico è stato sostituito da quel-lo tematico. Queste due tendenze, insieme al bisogno diuna conoscenza più solida e approfondita in un momen-to di confusione sociale, hanno prodotto per reazione larichiesta di una generale conoscenza della storia, e in par-ticolare di un canone storico. Ci si è chiesto: Chi siamo?

Alcune osservazioniIl Ministero dell’Educazione ha recentemente stabilito chea partire dal 2009/2010 il canone diventerà obbligatorioper tutti gli studenti di 8-14 anni. Il curricolo nazionale e imanuali verranno modificati di conseguenza. Inoltre il go-verno ha deciso di istituire un nuovo Museo storico nazio-nale, impostato appunto sul canone13. Questo museo do-vrà dare una visione della storia olandese sul modello del-la tedesca Haus der Geschichte di Bonn e Lipsia14. Dopoun concorso pubblico fra le varie città del paese, il gover-no ha deciso di costruire il museo ad Arnhem (nella par-te orientale del paese), insieme ad altri musei nazionali. Ilcosto della costruzione del museo è stimato in 50 milionidi euro. Il museo dovrebbe essere inaugurato nel 2011, edopo di allora il governo prevede diinvestire 12 milioni di euro l’anno perla gestione.

A partire da questa idea di un ca-none storico e culturale, altri canoniverranno sviluppati. Fra le proposteci sono le seguenti:– canoni tematici, come il cinema

olandese, la musica classica, il cri-stianesimo (sia cattolico che pro-testante), la storia dell’acqua, l’oc-cupazione durante la Secondaguerra mondiale, il femminismo,l’istruzione, il lavoro sociale, la fo-tografia, e altri ancora15;

– canoni basati sulle scienze natu-rali (bètacanon) e sulle scienze sociali (gammaca-non)16;

– canoni di storia regionale o locale (alcune città, comeAmsterdam e Arnhem17, hanno già fatto un canone del-la propria storia) ma anche di storia europea18 e mon-diale19;

– vari tipi di test e quiz (molto inventivi e originali, mabasati su approcci molto diversi fra di loro e comun-que non destinati a prove ufficiali d’esame20);

– supporti didattici di vario tipo: uno «Scrigno del teso-ro del canone» contenente ogni genere di oggetti dicarattere storico, film (canonmovies21), e così via, co-

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

La pubblicazione del canone può

fornire un validocontributo allasoluzione del

problemarappresentato

dall’indebolimentodelle conoscenze

storiche

13. Cfr. il sito http://www.nationaalhistorischmuseum.nl/14. http://www.hdg.de/ and http://www.hdg.de/index.php?id=4719&L=115. http://www.digischool.nl/gs/community/canon.htm16. http://extra.volkskrant.nl/betacanon/ e http://www.volkskrant.nl/binnenland/article545261.ece/Na_

Begrave_ta-_komt_Gammacanon17. http://www.canonvanamsterdam.nl/ and http://www.arneym.nl/canonarnhem/index.html18. http://www.nrc.nl:80/binnenland/article1067726.ece/Historie_Europa_te_vangen_in_canon19. Il famoso storico olandese Wes-seling ha contriuito al dibattito stilan-do una canone di storia mondiale:

http://www.nrc.nl/scholieren/geschiedenis/article102697.ece20. Alcuni esempi di test, quiz egiochi agli URL: http://www.canonquizvannederland.nl/http://www.vroegeroflater.nl/Vroeger_of_later_content.htmlhttp://www.cito.nl/over_cito/pers/nieuws/eind_fr_canontoets.htm21. http://histoforum.digischool.nl

/lesmateriaal/canonfilms.htm22. http://www.slo.nl/organisatie/international/23. http://www.verledenvannederland.nl/index.php?page=3; and http://histoforum.digischool.nl/lesmateriaal/canonfilms.htm

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 82

Page 83: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

83

le. Ad esempio, il canone prescrive che bisogna conosce-re qualcosa sulla schiavitù (un elemento negativo dellanostra storia) oppure di Rembrandt (un elemento di cuiandare orgogliosi), ma non dice chiaramente che cosa inproposito. Secondo alcuni, questo è un fatto positivo per-ché in tal modo si evita il rischio di un indottrinamento diStato. Secondo altri, invece, è un peccato che non ci siaancora un quadro fondamentale di riferimento in base alquale insegnare e apprendere la storia. Ne abbiamo di-scusso a lungo e ora possiamo dire che il cerchio si è chiu-so. Come dice Pieter Geyl, che ho parafrasato all’inizio diquesto saggio: «la storia è un dibattito senza fine».

Che dire, infine, del dibattito sull’insegnamento dellastoria, fra le dieci epoche storiche e il «canone delle 50 fi-nestre che apre il passato attraverso delle storie»? Direi cheè stata trovata una vera soluzione all’olandese: è stata rea-lizzata la fusione delle specifiche indicazioni del canonecon quelle delle dieci epoche storiche. È una soluzioneche non ha soddisfatto tutti, ma è un buon esempio di untipico valore olandese: la politica del compromesso (il«poldermodel»).

Il dibattito sul curriculo di storia olandese si radicalizzaIl 30 ottobre 2008, ventitré storici hanno inviato una let-tera aperta al Parlamento olandese dichiarando la lorocontrarietà all’imposizione di un canone nazionale olan-dese nell’insegnamento della storia. Il governo olandeseintende rendere obbligatorio tale canone inserendolo ne-gli obiettivi didattici relativi alla storia, sia nella Scuola pri-maria sia nella Scuola secondaria di primo grado. Prestoil Parlamento olandese dovrà decidere se adottare o me-no la proposta del governo di imporre un canone dellastoria olandese agli alunni compresi tra gli 8 e i 14 anni.I ventitré storici protestano energicamente contro tale pro-posta. Non era mai accaduto – essi affermano – che il go-verno olandese interferisse, dando indicazioni così preci-se, con la libertà delle scuole di costruire autonomamen-te il proprio curricolo. Non soltanto la scelta dei 50 argo-menti che compongono il canone è discutibile (secondolo storico Piet de Rooy si tratta di «un sacco di 50 patate,scelte a caso»), ma essa si basa su uno schema didatticonon ben progettato. Ci sono quattro considerazioni in ba-se alle quali il canone dovrebbe essere respinto e sullequali il Parlamento olandese dovrebbe riflettere:1) In origine il canone non era stato pensato soltanto per

la storia, ma anche per altre materie, come la geogra-fia, l’olandese e le arti figurative. Ora, invece, il gover-no propone di aggiungere il canone agli obiettivi es-senziali relativi alle dieci epoche storiche, già indica-

Quali sono i valori fondamentali degli olandesi? Quali iloro caratteri? Tutte queste domande sono diventate an-cora più urgenti a causa della crescente presenza degliimmigrati. La società multiculturale è diventata, agli occhidi alcuni, un vero e proprio dramma multiculturale. Se noichiediamo agli immigrati di integrarsi, allora dobbiamochiederci in primo luogo in che cosa essi debbono inte-grarsi, quali sono i valori e le tradizioni della storia e del-la cultura olandese che essi debbono assimilare.

Dopo la Seconda guerra mondiale il nazionalismo èsempre stato connotato negativamente nel dibattito olan-dese. Era opinione comune che in una società aperta nonpuò esserci posto per sentimenti di superiorità (“occiden-tale”), soprattutto nel caso dell’Olanda, che è diventata ciòche è adesso, uno degli Stati più ricchi del mondo, pro-prio grazie a una lunga storia di rapporti commerciali conl’estero. Ma nei decenni successivi la paura ha preso sem-pre più piede: paura del terrorismo, paura degli stranierie degli immigrati, paura dell’impatto con “strane” religio-ni, paura di perdere i valori olandesi. In sostanza, pauradi perdere la propria identità (quale che sia). Una nazio-ne nota in tutto il mondo per la sua storia fatta di com-merci e di mentalità liberale, per la sua tolleranza e la suaospitalità, è diventata improvvisamente una nazione im-paurita che è ripiegata su se stessa alla ricerca della pro-pria identità, della propria storia, di qualcosa che possaunirla di nuovo.

Per diventare più orgogliosi di se stessi, gli olandesihanno cercato di inventare un nuovo tipo di nazionalismo:un’idea chiara e sicura di ciò che essa rappresenta, dei va-lori e delle tradizioni che unirono la nazione nel passatoe le diedero gloria. Alcuni politici oggi credono di aver tro-vato un’identità immutabile che nasce dalla nostra storia eche ci rende orgogliosi.

Ma non è forse compito di ogni storico studiare criti-camente il passato, invece di usarlo per scopi politici? Èper questo motivo che di per sé l’idea di stilare un cano-ne non è necessariamente sbagliata. Un canone non do-vrebbe essere strumento del nazionalismo, ma uno stru-mento per spiegare la storia ad un vasto pubblico, un pub-blico che di solito si mostra indifferente proprio alla sto-ria. Pertanto, la storia dovrebbe essere resa accessibile at-traverso una visione critica del passato e, al tempo stes-so, attraverso una valorizzazione degli eroi.

La parola chiave è “empatia”: ma l’empatia è un sen-timento che può essere usato in maniera distorta se nonè bilanciato da una conoscenza critica.

E da questa considerazione scaturiscono le mie con-clusioni. I 50 temi che formano il canone storico e cultu-rale rappresentano soltanto delle storie. Aprono delle fi-nestre sul passato ma senza dare una conoscenza fattua-

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 83

Page 84: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

84

vere che i 50 argomenti devono essere insegnati, ma nondice in che modo occorre insegnarli. Gli argomenti non so-no stati pensati soltanto per la storia, ma anche per altrematerie. Tutti insieme, essi rappresentano la storia dei Pae-si Bassi. Gli esperti di didattica considerano questo approc-cio, tendente a superare i confini tra le discipline, comeuno strumento assai valido, rivolto a contrastare la suddi-visione delle conoscenze in compartimenti stagni nella te-sta degli alunni. Il canone non è concepito come un cur-ricolo di storia: nel canone c’è qualcosa di più che nellastoria e nella storia c’è qualcosa di più che nel canone. Ledieci epoche storiche sono state concepite come uno stru-mento per aiutare gli alunni ad impossessarsi della crono-logia: il canone è complementare ad esse. Prescrivere un

bagaglio minimo di conoscenze stori-che è utile e aiuta a comprendere lastoria.

Questo approccio – continuano imembri della Commissione – è soste-nuto con forza dagli insegnanti dellaScuola primaria e delle scuole profes-sionali. È sostenuto inoltre da unaCommissione parlamentare che ha stu-diato il sistema scolastico nei Paesi Bas-si: il governo non deve occuparsi dicome si insegna nelle scuole, ma de-ve prescrivere che cosa insegnare. Cer-tamente sarebbe stato meglio non in-

trodurre nella pratica scolastica due diversi approcci in ra-pida successione uno dopo l’altro, ma così facendo: si èdefinitivamente colmata una lacuna nell’insegnamento del-la storia; si è riacceso l’interesse per la storia non soltantotra gli alunni, ma più in generale tra i cittadini olandesi; di-verse commissioni governative e parlamentari hanno loda-to l’approccio espresso dal canone. La conclusione dellaCommissione è pertanto la seguente: consideriamo il cano-ne non come un problema, ma come un’opportunità.

La seconda presa di posizione è stata quella dell’asso-ciazione olandese degli insegnanti di storia (VGN). Essa os-serva anzitutto che il governo olandese ha assegnato a dueCommissioni due compiti diversi, e ciò ha portato alla for-mulazione di due proposte differenti e per certi aspetti con-trastanti: l’una prevede conoscenze di carattere generalesenza entrare nel merito di eventi o nozioni specifiche, l’al-tra prescrive indicazioni molto dettagliate. L’associazionedegli insegnanti sostiene che, se si guarda all’effettiva pra-tica didattica, occorre riconoscere che gli insegnanti hannobisogno di una maggiore padronanza degli aspetti caratte-ristici. Gli argomenti del canone vengono incontro a que-sta esigenza, anche se sono incentrati soprattutto sulla sto-ria olandese. Ma quest’ultimo aspetto non pone alcun pro-

te come quadro di riferimento nel curricolo di storiaper la Scuola primaria e secondaria nel 2005 e nel 2006.Così facendo il governo suggerisce che si tratta, in ef-fetti, di un canone relativo alla storia, piuttosto che al-la cultura del paese. Ciò comporta anche il fatto cheil programma di storia è sovrabbondante e poco equi-librato.

2) Il canone non è per nulla coerente o, quantomeno, èscarsamente compatibile con la struttura dei program-mi di storia in vigore, in forma obbligatoria, basati sul-le dieci epoche. Questa incongruenza è già stata rile-vata dagli insegnanti.

3) Il canone non si basa su presupposti didattici coerenti.A volte la scelta di un argomento del canone è basatasu considerazioni relative al conte-nuto, a volte su considerazioni di-dattiche. Pertanto il canone rappre-senta una debole base per un pro-gramma di insegnamento. Questoè il risultato inevitabile di un inter-vento troppo minuzioso del gover-no sui contenuti del curricolo distoria, e porta a compromessi chein definitiva non soddisferannonessuno. In un paese libero e de-mocratico come sono i Paesi Bas-si, il governo non dovrebbe inter-ferire fino a questo punto nellescelte riguardanti i contenuti. Pertanto sarebbe meglioimporre per legge soltanto delle linee guida: le dieciepoche storiche e i loro «aspetti caratteristici».

4) Le dieci epoche storiche sono entrate nell’uso didatti-co, nelle scuole olandesi, soltanto a partire dal 2005 edal 2006. Un ulteriore cambiamento sarà consideratoeccessivo dalle scuole e sarà visto come una sgraditainterferenza da parte del governo.Questa lettera aperta è stata sottoscritta principalmen-

te da storici e da formatori di insegnanti in contesto uni-versitario. Ciò che unisce i firmatari non è tanto il loro ac-cordo circa i presupposti teorici delle dieci epoche stori-che e degli aspetti caratteristici (vi sono tra loro anche per-sone che si oppongono fermamente a questo approccio),ma l’opposizione al canone in quanto principio regolato-re basato su una prescrizione troppo dettagliata dei con-tenuti dell’insegnamento.

Ci sono state due importanti prese di posizione riguar-do a questa lettera aperta. Anzitutto vi è stata quella dellaCommissione che ha elaborato il canone. Essa ha afferma-to che proprio perché è così dettagliato il canone è moltoutile per gli alunni, soprattutto per quelli della Scuola pri-maria e delle scuole professionali. Esso si limita a prescri-

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

Le dieci epochestoriche sono stateconcepite come uno

strumento per aiutaregli alunni ad

impossessarsi della cronologia:

il canone ècomplementare

ad esse

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 84

Page 85: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

85

blema per quanto riguarda gli alunni della Scuola primaria,perché essi si concentreranno di più sulla storia europea emondiale quando frequenteranno la Scuola secondaria. Inol-tre, vi sarebbe in tal modo la garanzia che nella Scuola pri-maria la storia sarà veramente insegnata, mentre attualmen-te le scuole sono libere di riempire gli aspetti caratteristicidelle dieci epoche come meglio credono. Oltre ad aver sti-molato la produzione di una grande quantità di materialididattici, la rinnovata attenzione per i contenuti della sto-ria non può che tornare utile e servire da incoraggiamen-to per l’insegnamento della storia nella Scuola primaria. Pergli alunni tra i 12 e i 14 anni, che frequentano i primi dueanni della Scuola secondaria, la situazione è più problema-tica. Sarà difficile mettere in pratica il canone nell’ambitodi una materia composita come «orientamento nel mondo».L’approccio è per lo più tematico e non cronologico. Nonsi risolverà questo problema col mettere in pratica il cano-ne. Inoltre, nelle poche ore disponibili all’interno dell’ora-rio scolastico settimanale, non è possibile insegnare allostesso tempo le dieci epoche storiche, i 50 argomenti delcanone e le nozioni preliminari di altre materie. Che cosarimarrà delle competenze e delle conoscenze attinenti allastoria dopo i quattordici anni, considerando che, passataquesta età, oltre la metà degli alunni olandesi non studiapiù la storia? Pertanto, l’associazione degli insegnanti di sto-ria chiede con forza che nella nuova legge sia sottolineatal’importanza delle dieci epoche storiche e che, laddove èpossibile, gli elementi del canone siano utilizzati per pre-cisare meglio gli aspetti caratteristici.

La conclusione è per ora la seguente. Vi sono opinionimolto diverse sul definire il curricolo di storia mediante unalegge. Da una parte, una legge presenta un aspetto positi-vo perché produce un’attenzione assai maggiore per la sto-ria come materia scolastica. Dall’altra parte, essa divide ilmondo degli storici e degli insegnanti di storia. Tutti con-cordano sul fatto che la storia dovrebbe essere insegnatadi più e in modo più organico, ma rimane aperta la que-stione di cosa e come si dovrebbe insegnare. Per dirla inmodo chiaro: il governo olandese deve limitarsi a prescri-vere lo studio delle caratteristiche generali del nazionalso-cialismo, o deve anche richiedere che si insegni chi era Hi-tler? Se la legge indicherà fatti e nozioni specifiche, le scuo-le dovranno prestarvi attenzione, altrimenti potranno muo-versi liberamente. Per rafforzare il ruolo e i contenuti del-la storia nella Scuola primaria e nelle scuole professionali,indicazioni più precise e dettagliate sarebbero una benedi-zione. In ogni caso, ci si continua a domandare se le scel-te che sono state fatte, come pure il metodo didattico e icontenuti, dovrebbero essere imposti dal governo oppureno, e se una tale imposizione porterebbe nell’insieme a unmiglioramento nell’insegnamento della storia.

Bibliografia, istituzioni, siti web

! Verleden, heden en toekomst(relazione della Commissioneper l’insegnamento della storiae delle scienze sociali, presie-duta dal Prof. Dr. P. de Rooy -Enschede 2001).

! IVGD (Instituut voor Geschie-denisdidactiek - ‘Istituto di di-dattica della storia’) – sito web,in olandese: http://www.ivgd.nl/indexnl.htm; in inglese:http://www.ivgd.nl/indexen.htm). Alcune citazioni alla fine diquest’articolo sono state preseda una lettera d’informazionedell’ IVGD che fa riferimento auna relazione della Commissio-ne sul canone dell’aprile 2007:Canon en geschiedenisonder-wijs - het probleem en de oplos-sing.

! De stand van educatief Neder-land (relazione del Consiglioper l’Istruzione - The Hague2005).

! Entoen.nu, de canon van Ne-derland (relazione della Com-missione per l’elaborazione delcanone olandese, presiedutadal Prof. F. P. van Oostrom -The Hague 2006 - sito web, inolandese: www. entoen.nu; ininglese: http://www.entoen.nu/default.aspx?lan=e).

! M. Grever, E. Jonker, K. Rib-bens, S. Stuurman, Controver-sies around the canon, Assen2006.

! «Kleio», rivista dell’associazio-ne degli insegnanti di storia neiPaesi Bassi (vari numeri uscitinegli 2001-2007); sito web, sol-tanto in olandese: http://www.vgnkleio.nl/.

! CITO, Institute for Test Deve-lopment (Il CITO è una dellepiù importanti agenzie al mon-do che si occupa di valutazionedegli apprendimenti dal 1968);per la versione olandese cfr.:http://www.citogroep.nl/index.htm; per quella inglese:http://www.citogroep.nl/com_index.htm.

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 85

Page 86: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

86

Sezione A: Coscienza storica

1 Il candidato è in grado di:"disporre ordinatamente sia gli eventi della sua storia

personale, sia i fenomeni, gli eventi e i personaggistorici utilizzando la linea del tempo, o qualche altraforma di rappresentazione grafica della cronologia,applicando gli indicatori e le classificazioni cronologicheseguenti: anni, secoli, periodi [ossia suddivisioni deltempo] ed età [ossia sistemi cronologici];

" spiegare, utilizzando esempi tratti dalla periodizzazioneproposta più avanti (obiettivo di apprendimento n. 2), ebasandosi sia sulle epoche storiche occidentali sia suquelle di un’altra cultura / su molti esempi diversi disistemi di epoche storiche e di sistemi diperiodizzazione, che le periodizzazioni hanno carattereinterpretativo e dipendono (in parte) dal punto di vistaadottato o dagli interrogativi ai quali si vuol fornire unarisposta.

2 Il candidato è in grado di elencare le seguenti epochestoriche nel corretto ordine cronologico, incluse le dateche indicano i loro limiti temporali, e di utilizzare questeultime come quadro di riferimento:" l’epoca dei cacciatori e raccoglitori (fino al 3000 a.C.)

/ Preistoria;" l’epoca dei Greci e dei Romani (3000 a.C.- 500 d.C.)

/ Antichità;" l’epoca dei monaci e dei cavalieri (500-1000) / Alto

Medioevo;" l’epoca delle città e degli Stati (1000- 1500) / Basso

e Tardo Medioevo;" l’epoca degli esploratori e dei riformatori (1500-1600)

/ Rinascimento / XVI secolo;" l’epoca dei reggenti e dei sovrani (1600-1700) /

Secolo d’oro/ XVII secolo;" l’epoca delle parrucche e delle rivoluzioni (1700-

1800)/ Età dell’Illuminismo/ XVIII secolo;" l’epoca dei cittadini e delle macchine a vapore

(1800-1900) / Età della Rivoluzione Industriale / XIXsecolo;

" l’epoca delle guerre mondiali (1900-1950) / primametà del XX secolo;

" l’epoca della televisione e del computer (dal 1950 inavanti) / seconda metà del XX secolo.

3 Il candidato è in grado di:" collocare le epoche storiche menzionate nell’obiettivo

di apprendimento n. 2 all’interno dei seguenti periodi:Preistoria, Antichità, Medioevo, Età moderna, Etàcontemporanea.

" spiegare perché questa suddivisione in epoche e in etàrappresenti la visione della storia tipica della culturaoccidentale e illustrare i limiti e gli inconvenienti diquesta prospettiva.

4 Il candidato è in grado di:"descrivere il rapporto tra continuità e cambiamento

negli sviluppi storici;" indicare la rilevanza degli eventi, dei fenomeni e dei

mutamenti storici per il mondo di oggi;" distinguere tra diversi tipi di mutamento storico;" indicare, distinguendo tra le continuità di più lunga e

di più breve durata, in che modo aspetti risalenti aperiodi diversi della storia passata possanomanifestarsi contemporaneamente in uno stessoperiodo (contemporaneità del non contemporaneo).

5 Il candidato è in grado di:" formulare un problema e una ipotesi esplicativa ad

esso corrispondente;" raccogliere materiali che possano contribuire alla

soluzione di un problema ed estrapolare da essiinformazioni pertinenti.

6 Il candidato è in grado di:" fornire spiegazioni di eventi, fenomeni e mutamenti storici,

con riferimento a una particolare questione storiografica;"distinguere fra diversi tipi di cause.

7 Nel formulare giudizi sul passato, il candidato è ingrado di considerare:" la distinzione tra fatti e opinioni;

Programma dell’esame di storia nelle Scuole secondarie dei Paesi Bassi*

* Questo programma è destinato alle Scuole secondarie della categoria «VWO» (Voorbereidend wetenschappelijk onderwijs, assimilabile al li-ceo classico, dai 12 ai 18 anni) e «HAVO» (Hoger algemeen voortgezet onderwijs, assimilabile agli istituti tecnici, dai 12 ai 17 anni), che prepa-rano gli studenti all’istruzione superiore. I brani in corsivo si riferiscono soltanto ai programmi delle scuole della categoria «VWO». Tutto il restoè compreso nei programmi di entrambe le categorie di scuole.

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 86

Page 87: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

87

" il fatto che i giudizi formulati tanto nel passato quantonel presente (compresi gli stessi giudizi del candidato),sono il prodotto di un tempo e di un luogo particolare;

" il ruolo svolto dai valori, nel passato e nel presente;" l’importanza di sostenere il proprio punto di vista con

argomentazioni appropriate.

Sezione B: Conoscenza Orientativa

8 Per ciascuna delle epoche storiche menzionatenell’obiettivo di apprendimento n. 2, il candidato è ingrado di:"menzionare le caratteristiche indicate più avanti per

ciascun periodo;" indicare in modo pertinente a titolo di esempio, per

ciascuna delle caratteristiche, un evento, un fenomeno,un cambiamento, oppure degli atteggiamenti o modi dipensare di una persona, e utilizzare questo esempioper spiegare la caratteristica in esame;

" spiegare in che modo la conoscenza dell’epoca storicain esame può influire sulla visione della realtà odierna;

" spiegare in che modo il significato attribuito allediverse epoche storiche dipenda in parte dal tempo,dalla posizione e dalle circostanze, a partire dai qualici si relaziona al passato.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 1:" il modo di vivere dei cacciatori e raccoglitori;" l’emergere dell’agricoltura e delle società agricole;" l’emergere delle prime società urbane.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 2:" lo sviluppo del pensiero scientifico e la riflessione

teorica sulla politica e sulla cittadinanza nelle città-Stato della Grecia antica;

" le forme classiche della cultura materiale presso iGreci e i Romani;

" l’espansione dell’Impero romano, mediante il quale lacultura greco-romana si diffuse in Europa;

" l’incontro e lo scontro tra la cultura greco-romana e leculture germaniche dell’Europa nord-occidentale;

" lo sviluppo del giudaismo e del cristianesimo comeprime religioni monoteistiche.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 3:" la diffusione del cristianesimo attraverso l’Europa;" la nascita e la diffusione dell’Islam;

" la quasi completa decadenza, nell’Europa occidentale,della società urbana e l’affermazione di una societàagricola auto-sufficiente, organizzata in forme dicontrollo basate sul servaggio;

" l’emergere dei rapporti feudali nell’amministrazione.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 4:" la crescita del commercio e dell’artigianato, che fornì

la base per una rinascita della società urbana;" l’emergere di una cittadinanza urbana e di una

crescente autonomia delle città;" il conflitto, all’interno del mondo cristiano, sulla

questione se l’autorità spirituale o quella secolaredovesse avere il primato;

" l’espansione del mondo cristiano con le crociate;" la nascita di Stati nazionali e centralizzati.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 5:"gli inizi dell’espansione dell’Europa Oltremare;" il cambiamento nella visione del mondo e nella

rappresentazione dell’uomo nel Rinascimento e gli inizidi un nuovo interesse per la scienza;

" la rinnovata attenzione per l’eredità dell’antichità classica;" la Riforma protestante e la conseguente scissione

della Chiesa cristiana nell’Europa occidentale;" il conflitto nei Paesi Bassi e la conseguente fondazione

di uno Stato indipendente.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 6:" la lotta dei sovrani per ottenere il potere assoluto;" la speciale posizione della Repubblica dei Paesi Bassi sul

piano politico e la sua fioritura economica e culturale;" i rapporti commerciali su scala mondiale, il capitalismo

commerciale e gli inizi di un’economia mondiale;" la rivoluzione scientifica.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 7:" l’ottimismo della ragione e il pensiero illuministico

applicati a tutti i campi della società: religione,politica, economia e rapporti sociali;

" la sopravvivenza dell’ancien régime e i tentativi deisovrani di dare al governo monarchico una formamoderna e illuminata (assolutismo illuminato);

" l’estensione del dominio dell’Europa Oltremare, inparticolare la fondazione di colonie di piantagione e ilcommercio transatlantico degli schiavi ad esse

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 87

Page 88: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

88

3Huub Kurstjens • Un canone per la storia olandese: un dibattito senza fine?

collegato, e l’emergere del movimento abolizionista;" le rivoluzioni democratiche nei paesi occidentali, con le

conseguenti discussioni sulle costituzioni, i dirittifondamentali e la cittadinanza.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 8:" la rivoluzione industriale nel mondo occidentale, da cui

nasce la società industriale;" il dibattito sulla «questione sociale»;" l’imperialismo moderno nato dall’industrializzazione;" l’emergere dei movimenti di emancipazione;" la progressiva affermazione della democrazia, con un

crescente numero di uomini e di donne chepartecipano all’attività politica;

" l’emergere di movimenti sociali e politici: il liberalismo,il nazionalismo, il socialismo, il confessionalismo e ilfemminismo.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 9:" il ruolo dei moderni strumenti di propaganda e di

comunicazione e le varie forme di organizzazione dellemasse;

" la realizzazione pratica delle ideologie totalitarie,comunismo e fascismo/nazismo;

" la crisi del capitalismo mondiale;" lo scoppio di due guerre mondiali;" il razzismo e le pratiche discriminatorie, con i

genocidi che ne sono scaturiti, in particolare controgli ebrei;

" l’occupazione tedesca dei Paesi Bassi;" le distruzioni su una scala senza precedenti causate

dalle armi di distruzione di massa e il coinvolgimentodella popolazione civile nelle guerre;

"diverse forme di resistenza contro l’imperialismodell’Europa occidentale.

Queste sono le caratteristiche dell’epoca n. 10:" la divisione del mondo in due blocchi ideologici

impegnati in una corsa al riarmo e la conseguenteminaccia di una guerra atomica;

" la decolonizzazione, che ha posto fine all’egemoniaoccidentale nel mondo;

" l’unificazione dell’Europa;" il crescente benessere nel mondo occidentale, che vi

ha portato radicali mutamenti socio-culturali a partiredagli anni Sessanta del Novecento;

" lo sviluppo di società multiformi e multiculturali.

Sezione C: Tematiche

[Le tematiche menzionate dovrebbero far parte dell’esameche si svolge nelle singole scuole ed è organizzatoindipendentemente da ciascuna di esse, mentre le sezioniA e B sono parte dell’esame scritto a livello nazionale]

9 Il candidato, nell’ambito di una cornice tematicadenominata «Storia dello Stato costituzionale e dellademocrazia parlamentare», è in grado di:" indicare la connessione tra l’emergere dei diritti civili e

politici in alcune epoche storiche e le caratteristichegenerali di quelle epoche;

" far riferimento ad importanti pensatori e alle loro ideeriguardo ai rapporti tra lo Stato e i suoi cittadini;

" spiegare quali fattori hanno influito sullo sviluppo diuno Stato costituzionale nei Paesi Bassi e quali sonostati i protagonisti di questo sviluppo;

" spiegare quali fattori hanno influito sullo sviluppo dellademocrazia parlamentare nei Paesi Bassi a partire dal1795;

"descrivere la nascita dei più importanti movimenti epartiti politici a partire dal 1848.

10 Il candidato, nell’ambito di due/cinque delle cornicitematiche specificamente indicate, è in grado di:"utilizzare una specifica cornice tematica e gli obiettivi

di apprendimento compresi nella Sezione A, fornire unarisposta motivata a domande riguardanti tale tematica;

"descrivere i cambiamenti di lungo periodo, in base asituazioni (o ad un confronto tra situazioni) di epochedifferenti.

Fonte: http://www.ivgd.nl/indexen.htm

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 88

Page 89: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

89

1. Per la prima parte soprattutto,resta valido il riferimento a G. DiPietro, La storia nelle scuole me-die italiane dalla fine del Sette-cento all’età della destra, in «So-cietà e storia», 6, 1979, pp. 725-761,con un vasto apparato critico; Id.,Per una storia dell’insegnamen-to della storia, in Storia e proces-si di conoscenza, Loscher, Torino1980, pp. 20-108, dove si descrivo-no le numerose variabili che inter-vengono nel determinare un mo-dello di insegnamento della storia;Id., Da strumento ideologico a di-

sciplina formativa. I programmidi storia nell’Italia contempora-nea, Bruno Mondadori, Milano1991, che affronta il problema inuna prospettiva di lungo periodoe riproduce gran parte dei docu-menti alla base di questo articolo.Più recenti gli utilissimi lavori diA. Ascenzi, L’insegnamento dellastoria nelle scuole italiane dal-l’età dei Lumi all’unificazionenazionale, in H. A. Cavallera (a cu-ra di), Marco Gatti e la riformadella scuola. Atti del Convegno in-ternazionale (Manduria, 9-10 no-

vembre 2000), Manduria-Bari-Ro-ma, Lacaita Editore, 2003, pp. 217-237; Id., Memoria storica e iden-tità nazionale. L’insegnamentodella storia nelle scuole italianedalla legge Casati a fine secolo,in «Annali della Facoltà di Letteree Filosofia dell’Università degli Stu-di di Macerata», XXXV, 2002, pp. 9-63; Id., Da plebe a popolo: l’inse-gnamento della storia naziona-le nelle scuole elementari dallaLegge Casati alla fine del secoloXIX, in R. Sani, A. Tedde (a cura di),Maestri e istruzione popolare in

Italia tra Otto e Novecento. Inter-pretazioni, prospettive di ricerca,esperienze in Sardegna, Vita ePensiero, Milano 2003, pp. 119-194; e soprattutto Tra educazio-ne etico-civile e costruzione del-l’identità nazionale. L’insegna-mento della storia nelle scuoleitaliane dell’Ottocento, Vita e Pen-siero, Milano 2004, p. 625. Un re-centissimo profilo della storia del-la scuola secondaria in Italia èquello di A. Santoni Rugiu, La lun-ga storia della scuola seconda-ria, Carocci, Roma 2007.

ricoperto dai collegi della Compagnia di Gesù o da istitu-zioni affini. Ispirati alla Ratio Studiorum, il testo base delmetodo educativo dei gesuiti elaborato fra il 1594 e il 1599,essi non sono dappertutto rigidamente uniformi nella du-rata e, diversamente da oggi, non distinguono con preci-sione i confini dell’istruzione media da quella elementa-re e universitaria. Al di là di differenze di terminologia nel-la denominazione dei periodi di studio, tutti propongonoun percorso graduato di approccio alle lingue classiche(soprattutto latina, ma anche greca). Questo ha i suoi gra-dini nella successione di anni di grammatica (3 o 4, dettianche di latinità inferiore), umanità e/o retorica (di solito2, detti anche di latinità superiore), filosofia (di solito 2).Il fatto di essere destinati quasi esclusivamente all’appren-dimento delle lingue classiche rende possibile, per que-sto tipo di collegi, l’organizzazione secondo il sistema chia-mato delle classi: un docente unico insegna un gradinoannuale del percorso di cultura classica a un gruppo distudenti, che durante l’anno scolastico hanno a che faresolo con lui. Il modello di pratica didattica è incentratosulla lezione frontale, anche nella forma della dettaturasia di un testo sia di un commento ad esso. Si tratta di unsistema molto economico, funzionale alle risorse tecnolo-giche dell’epoca. All’occorrenza, possono essere sufficien-ti una sola copia del libro per il docente e materiali mini-mi di scrittura per gli studenti. In ogni caso, questo siste-ma confina gli studenti in una dimensione di passività odi attività puramente meccanica.

In questa istruzione media lo studio esclusivo di lati-no e greco è il passo propedeutico obbligatorio per en-trare all’università. Sono insegnati rudimenti di altre ma-terie, ma sempre attraverso il latino o il greco e, soprat-tutto, in funzione di strumento per la comprensione deitesti nelle due lingue classiche. Questo capita anche al-l’insegnamento della storia, che non ha autonomia comedisciplina. Esso costituisce un aspetto dell’educazione let-teraria e si esaurisce nella lettura parziale di alcuni stori-ci latini e nel commento erudito ai classici. Pertanto, si li-

La formazionedei programmidi storia nellescuole medieitaliane nelsecolo XIXIn Italia, l’ingresso della storia neipiani di studio del grado medio diistruzione si verifica fra gli anniQuaranta e Sessanta del secoloXIX. Il fenomeno è parte di uncambiamento profondo del mododi intendere e di organizzare quellache per noi è una parte essenzialedegli attuali sistemi scolastici. Percapire nella sua complessità ilprocesso e facilitare il compito allettore, occorre tornare un po’indietro nel tempo, al prezzo diqualche inevitabile schematismo1.

Prologo: il metodo dei gesuitiDopo la Controriforma, negli antichi Stati italiani il ruolooggi occupato dal grado medio di istruzione è per lo più

4Gianni Di Pietro

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 89

Page 90: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

90

2. Per gli aspetti piemontesi, cfr.G.P. Romagnani, Storiografia e po-litica culturale nel Piemonte diCarlo Alberto, Deputazione subal-pina di storia patria, Torino 1985;

Deputazione, Accademia delleScienze, Archivi e Università: unapolitica per la storia, in I due pri-mi secoli della Accademia delleScienze di Torino. Realtà accade-

mica piemontese dal Settecentoallo Stato unitario, Accademiadelle Scienze di Torino, Torino,1985, pp.163-188.3. Cfr. M. C. Morandini, Da Bon-

compagni a Casati: la costruzio-ne del sistema scolastico nazio-nale (1848-1861), in L. Pazzaglia,R. Sani (a cura di), Scuola e socie-tà nell’Italia unita, Brescia 2001;

proposte, in entrambi i tipi di scuola prevale un’organiz-zazione dei contenuti culturali per singole discipline (trale quali la storia), che vanno insegnate contemporanea-mente nel corso dell’anno scolastico. Il consolidato prin-cipio dell’organizzazione didattica per classi, con inse-gnante unico, si rivela inadeguato di fronte all’esigenzadi differenziare gli insegnamenti da proporre. Come po-trebbe un professore di latino impartire in modo com-petente anche l’insegnamento di matematica, letteraturanazionale, storia medievale e moderna? Si delinea, dun-que, il principio di organizzazione chiamato dei corsi, incui ogni materia è affidata a un insegnante specifico. Inquesto modo, gli allievi di una classe assistono alle le-zioni di diversi insegnanti. Ognuno di questi, a sua vol-ta, insegna la sua materia in più classi successive, chevengono appunto ad essere coordinate in un corso. Que-sta scelta rappresenta un grande progresso rispetto allastruttura didattica mutuata dai collegi, ed è, in embrio-ne, l’organizzazione didattica del nostro grado medio diistruzione.

La storia diventa una materia specificaL’esordio della storia nelle scuole medie italiane avvienein questo contesto. Esso è reso possibile dall’importanzaassunta dagli studi storici nel dibattito culturale durante iprimi decenni del secolo XIX, e dalla convinzione dell’uti-lità del suo studio2, maturata nel corso dello stesso perio-do. Ma è un fenomeno all’inizio piuttosto timido. Vistol’esito dell’alleanza anti-austriaca, della guerra d’indipen-denza, dei governi rivoluzionari, la ventata di rinnovamen-to del 1846-48 sostanzialmente fallisce in quasi tutti gli Sta-ti italiani, dove i progetti non hanno il tempo di essererealizzati o di consolidarsi. Solo nel Regno di Sardegna,con la sopravvivenza dello Statuto albertino, restano in vi-gore due provvedimenti firmati dal ministro per l’Istruzio-ne Boncompagni, unico tentativo andato effettivamentein porto di riorganizzare l’istruzione del grado medio3. IlRegio decreto (d’ora in poi R.D.) del 4 ottobre 1848, So-vrane disposizioni per la fondazione di Collegi-convittinazionali di educazione istituisce un numero esiguo (ap-pena cinque) di queste strutture, nelle quali all’insegna-mento del latino dovrebbe accompagnarsi quello di lin-gua e letteratura nazionale e altre materie, fra cui storia.Soltanto questi si affiancano alle almeno 231 istituzioniche a diverso titolo impartiscono l’istruzione classica nel

mita all’età antica. Assume un carattere frammentario-mne-monico-nozionistico in supporto alla lettura dei testi lati-ni e greci, sotto forma di antichità romane e greche. Quan-do è lettura parziale di storici antichi, consiste il più del-le volte in una serie di ritratti di personaggi ispirati allebiografie parallele di Plutarco o ai profili dei grandi con-dottieri di Eutropio, ed ha un’impronta moraleggiante eretorica.

Nel corso del XVIII secolo gli Stati italiani tentano diprendere il controllo del sistema formativo (prima o do-po la soppressione della Compagnia di Gesù). I model-li di scuola media realizzati in Italia vengono in partelaicizzati ma ereditano, dal punto di vista culturale e pe-dagogico, il modello dei collegi gesuitici, con organiz-zazione in classi e centralità delle lingue classiche. Maanche l’idea di un grado medio d’istruzione reinventa-to viene intuita proprio durante il Settecento. Il nuovoschema organizzativo presenta due novità. Altre disci-pline (lingua e letteratura nazionale, rudimenti di mate-matica) vengono insegnate dentro le tradizionali scuo-le classiche. Inoltre, un ramo tecnico, che prepari ad unimpiego, affianca quello tradizionale in cui si studianolatino e greco in funzione di preparazione all’universi-tà. In parte questo modello è tradotto in pratica neglianni della rivoluzione francese e dell’esperienza napo-leonica.

La Restaurazione, con qualche eccezione, porta allariesumazione della struttura gesuitica con le sue classi digrammatica, umanità e retorica, filosofia, e sembra arre-stare la ricerca di un modello diverso di istruzione me-dia. Ma questa, come un fiume carsico ingrossatosi nelsottosuolo, riemerge prepotentemente nel biennio 1846-48. La concessione degli Statuti e l’abolizione della cen-sura creano le condizioni per un più libero dibattito. L’af-fermarsi del riformismo sembra aprire spazi considere-voli alla possibilità di cambiare effettivamente le struttu-re scolastiche esistenti. Le rivoluzioni, poi, danno luogoa governi che si preoccupano anche dell’istruzione me-dia. Le proposte di riforma di questo grado di istruzio-ne in tutti i principali Stati italiani riprendono i fili delleinnovazioni proposte nel Settecento. A loro volta, essesi caratterizzano per due aspetti comuni: la richiesta diammodernare l’istruzione classica con l’introduzione alsuo interno di nuove discipline; l’esigenza di affiancaread essa un settore tecnico finalizzato all’impiego e nonalla prosecuzione degli studi all’università. Secondo le

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 90

Page 91: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

91

Ead, Scuola e nazione. Maestri eistruzione popolare nella costru-zione dello Stato unitario (1848-1861), Vita e Pensiero, Milano2003.

4. Il dato è riportato in L. Parola,V. Botta, Del pubblico insegna-mento in Germania. Studii, Tipo-grafia di G. Favale e C., Torino1851, p. 349.

5. Cfr. G. Chiosso, L’educazionedel popolo nei giornali piemon-tesi per la scuola, in Id. (a curadi), Scuola e stampa nel Risorgi-mento. Giornali e riviste per

l’educazione prima dell’Unità,FrancoAngeli Edizioni, Milano1989, pp. 25-61.

balterna dell’insegnamento storico nella gerarchia dellediscipline, la mancata identificazione di suoi compiti spe-cifici, la subordinazione dell’istituzione del nuovo inse-gnamento a particolari condizioni, favorisce negli anni im-mediatamente successivi l’elusione del dettato della leg-ge circa l’istituzione del corso di «storia e geografia». Inol-tre, la storia sacra, il cui insegnamento in Piemonte ha giàuna tradizione durante gli anni di grammatica, conquistanella pratica didattica corrente ben 2 dei 3 anni che il Pia-no degli studi attribuisce alla parte antica.

I primi sviluppi e l’invenzione dei programmiTuttavia, il regime costituzionale dello Statuto albertino,garantendo la presenza di un organismo rappresentativoe la libera espressione delle idee, favorisce l’affermarsi dimodi originali di fare politica scolastica. La dialettica par-lamentare rende più difficile l’adozione di provvedimen-ti globali, ma le scelte si alimentano attraverso i dibattitidi un vivace ambiente intellettuale, molto attento ai pro-blemi dell’istruzione, e di una fiorente pubblicistica poli-tico-pedagogica, che garantiscono controllo e stimolo algoverno5.

Così, una lunga e ripetuta serie di interventi parzialidelinea una scuola del grado medio dal volto nuovo. Inquesto settore, il superamento del limite dei provvedimen-ti Boncompagni del 1848 avviene in due fasi.

La prima, nel 1851-52, fra la svolta determinata dalleleggi Siccardi negli equilibri politici e il delinearsi di unasaldatura di centro-destra e centro-sinistra, trova espres-sione in alcuni provvedimenti che riguardano aspetti par-ticolari dell’organizzazione interna della scuola classica.Li firma il ministro Luigi Carlo Farini, che è medico e sto-rico: originario dello Stato pontificio, ha pubblicato unaStoria dello Stato Romano dall’anno 1815 al 1850.

La seconda fase, tra il settembre del 1855 e il novem-bre del 1858, coincide con il rafforzamento della posizio-ne politica di Cavour, il definitivo consolidamento del re-gime liberale, il deciso orientarsi della monarchia sabaudaverso un programma unitario e nazionale. Ne è responsa-bile Giovanni Lanza, uomo di centro-sinistra, rimasto perpiù di tre anni alla guida del Ministero della Pubblica Istru-zione. Lanza non pratica gli studi storici, ma prima di lui,ministro per tre anni è stato lo storico Luigi Cibrario. Au-tore dei due tomi Economia politica del Medioevo (1839),

Regno di Sardegna4. Dunque, i nuovi corsi, che vengonochiamati «scuole secondarie», rappresentano una realtàmarginale nell’universo delle scuole esistenti, che restanonella quasi totalità legate agli schemi organizzativi mutua-ti dalla Ratio studiorum. Inoltre, il decreto introduce i cor-si «speciali» (l’embrione di un settore tecnico), accanto aquelli classici, solamente in tre dei nuovi istituti, e per dipiù «in via di esperimento», mostrando scarsa apertura ver-so l’istruzione non finalizzata all’ingresso nell’università.Infine, il testo Boncompagni distingue gli insegnamenti in«principali» e «accessori». Fra i primi, i tradizionali argo-menti di cultura greco-latina (e gli elementi letterari e fi-losofici ad essa affiancati); fra i secondi, le “nuove disci-pline” (tra le quali storia, matematica, letteratura naziona-le, una lingua straniera). La diffidenza nei confronti delrinnovamento della cultura scolastica e dei nuovi princì-pi di organizzazione richiesti da essa è evidente. Fino al-la metà del decennio successivo il sistema dell’organizza-zione didattica per classi non viene di fatto intaccato, so-prattutto nel corso classico, ma anche in quello speciale.

Nella scuola del grado medio, dunque, l’apertura neiconfronti della storia risulta all’inizio meno incisiva rispet-to all’Università torinese. Qui re Carlo Alberto, primo sulterritorio italiano, ha creato nel 1846 una cattedra di Sto-ria d’Italia, il cui concorso è stato vinto da Ercole Ricot-ti, grazie a un’opera intitolata Storia delle compagnie diventura in Italia. Questi è, oltre e prima che storico, in-gegnere e ufficiale del genio militare, e con i suoi interes-si di ricerca (storia militare, storia della dinastia di Savo-ia) e la sua opera divulgativa avrà un ruolo importante neldestino dell’insegnamento della storia. Per ora, il provve-dimento di Boncompagni prevede un corso quinquenna-le di «storia e geografia» comune al settore tecnico e a quel-lo classico (che viene chiamato «secondario» in omaggioal ruolo privilegiato che la tradizione gli conferisce). Loconfina però fra gli insegnamenti «accessori».

Il Piano degli studi del 9 ottobre 1848, nel determina-re i programmi di insegnamento, si limita a stabilirne laripartizione sull’arco dei cinque anni e a definirne lo spa-zio orario. Per storia, esso attribuisce ben tre anni alla par-te antica e solo due a quelle medievale e moderna. Evitainvece di dare indicazioni sulle caratteristiche di un inse-gnamento in gran parte nuovo, che perciò si rivela di par-ticolare difficoltà per docenti abituati ad avere a che farecon grammatica latina e greca. La ritrosia dei professori amisurarsi sul nuovo terreno, la posizione nettamente su-

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 91

Page 92: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

92

6. L’intervento sull’organizzazionedelle scuole secondarie (R.D. 1048del 12 settembre 1855, Ordinamen-to regolare ed uniforme delle scuo-le secondarie, in Collezione celeri-fera delle leggi, decreti, circolari(d’ora in poi C.C.) 1855, pp. 753-756)ha lo scopo principale, come dichia-ra già il nome del provvedimento ecome scrive la relazione che lo in-

troduce, di porre fine a quella «gran-dissima dissomiglianza fra i collegidelle diverse provincie» circa la «so-stanza» e la «forma» dell’insegnamen-to venutasi a determinare dal 1840in poi (la relazione precede il prov-vedimento). Quello sulle «scuole spe-ciali» (R.D. 1840 del 7 settembre1856, Nuovo ordinamento dellescuole speciali primarie e seconda-

rie, in «Gazzetta piemontese. Gior-nale ufficiale del regno» (d’ora in poi«G.P.G.U.R.»), n. 224, 13 settembre1856; R.D. 12 ottobre 1856, Regola-mento e programmi per le scuolespeciali, in «G.P.G.U.R.», supplimen-to al n. 260, 25 ottobre 1856), è ispi-rato da una logica simile, volendo asua volta superare la «tanta disformi-tà nell’indirizzo e nella durata del-

l’insegnamento» che è tale «da far te-mere che alla lunga s’abbia a ingene-rar confusione, e che il frutto dellescuole professionali non abbia a ve-nir meno allo scopo, per cui questevengono istituite» (Circolare del Mi-nistero della Istruzione Pubblica aisignori provveditori agli studi, Av-vertenze pel migliore ordinamen-to delle scuole tecniche e speciali,

terventi rapidi e ripetuti. Mentre nei collegi il programmadi studio si identificava con lo svolgimento di testi sceltiin base a criteri e procedure non trasparenti, l’adozionedel metodo del concorso a libera partecipazione per la re-dazione dei manuali scolastici garantisce ora la decisionepubblica di una commissione. Si introduce così una for-ma di giudizio motivato, discutibile, controllabile, critica-bile. Almeno in via di principio, la molteplicità di propo-ste di strumenti didattici che può provenire dall’editoriaprivata segna la fine della forma di autoritarismo implici-

ta nell’indicazione di un libro di testoobbligatorio da parte della branca delpotere esecutivo preposta alla guidadell’istruzione. Inoltre, il fatto che gliinsegnanti possano utilizzare per i lo-ro corsi libri diversi da quelli vincito-ri del pubblico concorso crea unanuova situazione in cui non ci sonopiù posizioni garantite come predo-minanti. Può nascere un mercato edi-toriale scolastico, e si pongono le con-dizioni per la trasformazione del librodi testo da strumento dell’insegnanteper dettare la sua lezione a mezzodello studente per studiarla a casa.

I riflessi che l’introduzione deiprogrammi e la disponibilità di piùproposte editoriali hanno sugli spazidi libertà degli insegnanti sono signi-ficativi. In passato i libri di testo ob-

bligatori hanno imposto, di fatto, un cammino precosti-tuito in partenza alle lezioni, e da esso gli insegnanti nonhanno potuto discostarsi. Come testimonia Domenico Ber-ti, uno dei maggiori protagonisti del dibattito e delle rifor-me scolastiche nel Piemonte degli anni Cinquanta, nellasituazione precedente «nessun maestro doveva proporre,come leggiadramente si esprime l’ottimo Franzini, partidi suo cervello»7. Ora, l’introduzione dei programmi, unostrumento meno vincolante di un libro di testo, e la pos-sibilità per gli autori di scrivere, pur ispirandosi ai conte-nuti stabiliti dal Ministero, testi di diverso orientamento,

molto attento alla storia di commerci e legislazione finan-ziaria, storico della monarchia di Savoia (di cui alla fineapproda a sostenere l’origine italiana) e della città di Tori-no, egli ha lavorato intensamente al piano di riforma del-l’istruzione. Ma nell’iter parlamentare i suoi progetti di leg-gi organiche su diversi aspetti del sistema educativo nonhanno avuto fortuna. Probabilmente anche per questo, Lan-za punta invece a interventi parziali, introdotti mediantelo strumento del Regio decreto o addirittura della circola-re. Lo spirito generale dell’attività del nuovo Ministro nelcampo dell’istruzione del grado me-dio è quello di superare le grandi dif-ferenze che caratterizzano le diversestrutture che impartiscono l’istruzionechiamata «secondaria» e quella chia-mata «speciale»6. Nella parte del ramoclassico, che Boncompagni ha solo ini-ziato timidamente a rinnovare e con-tinua a essere chiamato «scuola secon-daria», corsi principali e corsi accesso-ri vengono equiparati. La «scuola spe-ciale» precisa la sua identità: viene rior-ganizzata in corso inferiore triennalee corso superiore biennale, esce da unruolo troppo subalterno, aumenta ilnumero degli istituti. La «scuola nor-male», destinata alla formazione deimaestri, viene reimpostata in corsobiennale, per il conseguimento dellapatente di maestro per le elementariinferiori, e in corso triennale, per quello della patente perle elementari superiori. Essa sostituisce le scuole di meto-do della durata di soli quattro mesi e diventa così, di fat-to, il terzo canale dell’istruzione media.

In tutti i tre rami l’uso di determinare i contenuti cul-turali e l’impostazione didattica attraverso i programmi vie-ne prendendo il posto dell’imposizione pura e semplicedi determinati manuali scolastici. I programmi sono stru-menti di intervento più veloci e flessibili rispetto alla re-dazione di nuovi libri di testo. Potendo essere scollegatida una riforma globale, garantiscono la possibilità di in-

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

l’introduzione dei programmi, […]

e la possibilità per gliautori di scrivere […]

testi di diversoorientamento,

cominciano a metterein primo piano

la responsabilità di scelta

dell’insegnante, e gli aprono spazi

nuovi, primaimpensati

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 92

Page 93: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

93

in C.C., 1855, pp. 1052-1055).7. Manuale del cittadino degli Sta-ti Sardi compilato da B. Benvenu-ti e A. Menghini e per l’insegna-mento pubblico dal professore D.Berti Deputato al Parlamento, Ti-pografia Economica, Torino 1852,p. 317. Goffredo Franzini è un pro-fessore di eloquenza che compilaun’istruzione in cui precisa mate-

rie e metodo di insegnamento pergli anni di grammatica e umanità eretorica nella scuola piemontese.L’istruzione è pubblicata in appen-dice alle Costituzioni dell’Univer-sità nel Regno sardo.8. Ministero del culto e della pub-blica istruzione, Progetto di un pia-no di organizzazione dei Ginna-si e delle Scuole pubbliche nell’Im-

pero Austriaco, Imperiale stampe-ria di Corte e di Stato, Vienna 1850.9. «Lo studio della storia, importan-te in qualsiasi condizione pubblica eprivata, ha una speciale importanzanegli Stati retti a libertà. Essa avvia in-fatti a quella vita civile alla quale cia-scun cittadino più o meno diretta-mente partecipa. […]. Non si trala-scierà occasione, sempreché si pre-

senti opportuna, d’insinuare nei gio-vani sensi di virtù pubblica e privata,e di rispetto alle istituzioni politichee religiose»: Istruzione del 10 ottobre1855 del Ministero della pubblicaistruzione ai signori professori del-le scuole secondarie, Insegnamentodella letteratura italiana e latina,della storia e geografia, e della filo-sofia razionale, in C.C., 1856, p. 200.

sai più particolareggiata rispetto a quelli di un contestoeuropeo pur largamente presente; l’enfasi su passati epi-sodi di grandezza militare o di lotta contro lo straniero.Il modello didattico resta però ancora quello della le-zione nei collegi, con l’insegnante che detta la sua le-zione seguendo la falsariga del programma fornito dalMinistero.

La svolta: la storia come strumento di educazione ideologicaFra il 1855 e il 1858 si afferma una nuova coscienza delruolo e dell’uso scolastico della storia. La dimensione diun orientamento ideologico, solo implicito nei criteri diselezione degli avvenimenti, e le timidezze presenti inquesta stessa operazione vengono superate. Nel Regnosabaudo la storia come materia scolastica del grado me-dio acquisisce apertamente, accanto all’aspetto di cono-scenza “disinteressata” (spesso solo apparentemente) delpassato, un compito ideologico-politico. È la scelta diuna strada radicalmente diversa rispetto a quella propo-sta dal Piano austriaco, secondo il quale l’«esposizioneoggettiva dello sviluppo degli Stati, della loro costituzio-ne e cultura» deve diventare il mezzo adatto non solo adassicurare una onesta informazione sul passato e sul pre-sente, ma anche e soprattutto a «bandire ogni arrogantee superficiale cicaleccio». Un’Istruzione del 1855 ai pro-fessori delle «scuole secondarie» individua un legameesplicito fra l’insegnamento della storia e le forme di or-ganizzazione statale vigenti in Piemonte, ripensando intermini politico-ideologici la tradizionale funzione di edu-cazione morale della historia magistra9. Nel 1856 unaIstruzione per gli insegnamenti delle scuole speciali, do-po aver ribadito che «questo insegnamento deve essereparticolarmente diretto all’educazione civile degli allie-vi», lo collega organicamente al programma politico del-la monarchia sabauda e del gruppo liberale-moderato10.

La storia come disciplina scolastica del grado mediod’istruzione viene così chiamata a formare negli studentiun fondamentale substrato di valutazioni e di orientamen-ti nel giudicare uomini ed eventi. Questo avviene organiz-

cominciano a mettere in primo piano la responsabilità discelta dell’insegnante, e gli aprono spazi nuovi, prima im-pensati.

La normativa per l’insegnamento della storia evolveseguendo un ritmo analogo. Tra il 1852 e il 1853 i testiministeriali, riguardanti esclusivamente la scuola classi-ca, confermano un’impostazione tutta événementielle,attribuiscono un’importanza ancora maggiore alla parteantica – prolungandone la trattazione fino al primo an-no di umanità – e tentano di collegare più strettamentel’insegnamento storico a quello stilistico negli anni digrammatica, stabilendo che i «piccoli quadri storici» espo-sti dal professore debbano diventare «altrettanti sogget-ti di composizione». La novità maggiore è l’emanazionedel programma di storia per «l’esame di magistero», laprova che decide dell’ammissione all’università. È redat-to in forma estremamente dettagliata, forse per fornirealmeno una traccia a insegnanti di grammatica latina egreca in grande difficoltà con le parti medievale e mo-derna del nuovo insegnamento. Esso si presenta comeun’enciclopedia della conoscenza storica, e allinea unamole enorme di fatti e di personaggi, lasciando qua e làintravedere l’influenza dei settori di studio praticati daErcole Ricotti e da Luigi Cibrario e l’eco delle loro ope-re. Le implicazioni ideologiche della trattazione sonotrascurate in modo che sembra prevalere una dimensio-ne di assoluta oggettività, simile a quella esplicitamen-te scelta dal Progetto di un piano d’organizzazione deiGinnasi e delle Scuole tecniche nell’Impero Austriaco,pubblicato in lingua italiana nel 18508. In realtà, il pro-filo storico dettagliato (che sostituisce la semplice indi-cazione dei limiti e delle partizioni contenuta nel Pia-no di studi del 1848) sottende, usando non dichiaraticriteri di selezione degli avvenimenti, alcune linee di let-tura del passato abbastanza evidenti: la menzione co-stante dei sovrani di Casa Savoia e il silenzio sulle dina-stie regnanti negli altri Stati italiani, le cui vicende inquanto organizzazioni statali sono peraltro seguite concontinuità; la centralità dei grandi personaggi o dei gran-di avvenimenti di carattere politico-militare; il privile-giamento degli avvenimenti italiani, trattati in forma as-

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 93

Page 94: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

94

10. «Si è creduto che, meglio d’unastoria universale, troppo difficilead insegnarsi e ad apprendersi, po-tesse giovare per dette classi (quel-le delle «scuole speciali» primarie)quella della nostra nazione. Il qua-le divisamento fu consigliato an-cora più dal pensiero che da siffat-te lezioni abbiano i giovani ad im-parare a conoscere le vicende del-l’Italia antica e moderna, a trarreda esse utili esempi di amor di pa-tria, e ad informarsi al più elevatosentimento della nazionalità e del-la dignità civile. Noteranno i pro-

fessori, come nel programma siasifatta più larga parte agli avveni-menti del Piemonte e della sua di-nastia, parendo conveniente chesi dovesse assecondare l’istinto ilquale conduce il giovane a cerca-re di conoscere con più viva cu-riosità le cose di casa sua. Il cheera tanto più naturale, dappoichéle sorti dei principi nostri, i qualicontano le più antiche origini edhanno un passato ricco di tanteglorie, andarono spesso associatea quelle dell’intiera nazione, aven-do i più alti fra essi coltivata sem-

pre con amore l’idea della gran-dezza e dell’indipendenza italiana,e volti costantemente i loro cona-ti a procacciar l’una e l’altra, sem-pre quando ne sorgesse propizial’occasione. E ciò appunto potràmeglio apprendere agli alunni co-me la patria nostra non si restrin-ga entro i confini di uno Stato, masì veramente dove si parla nostrafavella, e dove hanno comuni connoi i voti e le speranze»: Istruzio-ne per gli insegnamenti dellescuole speciali del 1° dicembre1856, in «G.P.G.U.R.», n. 311, 24 di-

cembre 1856, § 20. Una parte del-le istruzioni è contenuta nel sup-plimento al n. 11.11. C. Balbo, Pensieri sulla storiad’Italia. Studi, Le Monnier, Firenze1858, p. 49.12. Compendio della storia dellaR. Casa di Savoia, G. Marietti, Tori-no 1854. cfr. Decreto del ministrodella Istruzione Pubblica, Catalogodei libri prescritti per uso dellepubbliche scuole elementari e se-condarie nell’anno scolastico1855-1856, in C.C., 1855, p. 774.13. E. Ricotti, Compendio di sto-

sfugge in parte a questo ridimensionamento perché vie-ne assunta come il primo capitolo, eccezionalmente gran-de e glorioso, sotto il profilo militare e civile, della storiad’Italia. Nei corsi superiori conquistano maggiore impor-tanza la storia medievale e moderna e, all’interno di que-ste, la storia nazionale.

Verso storie diverse in scuole diverseAspetto importante della nuova disciplina è la differenzia-zione nella qualità e nella complessità, caratteristiche checambiano in relazione al tipo di scuola. Nel corso di gram-matica una contrazione a due e poi a un anno dello spa-

zio riservato alla storia sacra permet-te di introdurre dapprima al terzo eultimo anno (con 4 ore su 25) la trat-tazione di un Compendio della storiadella Real Casa di Savoia12 e poi, nel-l’ultimo biennio, con lo stesso orario,quella di un Compendio di storia pa-tria di Ercole Ricotti, titolare della cat-tedra di storia d’Italia all’Università to-rinese13. La storia antica, in cui la par-te dedicata al popolo ebreo viene for-temente ridimensionata, scivola nelbiennio di retorica con 3 ore settima-nali su 22,5. Le parti medievale e mo-derna vengono spostate al biennio difilosofia perché possano essere stu-diate «coll’aiuto delle filosofiche disci-pline»14, sempre con 3 ore settimana-li, ma questa volta su sole 15,5. Nel

triennio di grammatica è previsto l’uso dei libri di testo;non sono però più obbligatori e devono servire soprattut-to da guida all’insegnante nel dettare le sue lezioni. Neicorsi di retorica e filosofia i professori devono compilareessi stessi un «sunto» sulla base di un nuovo programma

zando la trattazione intorno ad alcune linee di lettura pro-fondamente legate alle scelte maturate nel corso di queglianni dal gruppo dirigente liberale-moderato e dalla monar-chia sabauda. Tali linee, sovrapponendosi al tradizionaleimpianto erudito e dando unità alla frammentarietà degliavvenimenti e dei personaggi, vengono a costituire, perusare un’espressione di Cesare Balbo, «que’ sommi capiche, rimanendo eliminati i particolari, cioè i novecento no-vantanove millesimi della storia, nella memoria di tutti ser-vono quasi di segnale all’opinione nazionale, che regge poigli uomini di Stato e di governo»11. La storia diventa mezzodi formazione per future classi dirigenti e futuri ceti inter-medi di alcuni orientamenti politici fondamentali, di piùlunga persistenza rispetto alle fluttua-zioni di opinione sui problemi speci-fici e contingenti della vita politica diogni giorno. Si rivela, pertanto, all’in-terno di una scuola media in espan-sione, elemento di costruzione dei pre-supposti di una mentalità destinata aresistere nel tempo e a costituire unasorta di humus per la ricezione dellelinee operative proposte, di volta involta, dal potere politico.

Di conseguenza, si verificano an-che una diversa distribuzione dellamateria nell’economia dei piani di stu-dio e una modifica degli equilibri tra-dizionali fra le parti che costituisconoil corso completo della disciplina. Lastoria antica, e in misura maggiorequella sacra (fino ad allora in posizio-ne privilegiata con il programma dei primi due anni digrammatica dedicato esclusivamente ad essa, contro la let-tera dei Piani di studi di Boncompagni), vedono diminui-te importanza e presenza a vantaggio della storia patria edei periodi cronologicamente più vicini. La storia romana

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

La storia comedisciplina scolastica

del grado mediod’istruzione viene

così chiamata aformare neglistudenti un

fondamentalesubstrato di

valutazioni e diorientamenti nelgiudicare uomini

ed eventi

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 94

Page 95: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

95

ria patria, Stamperia reale, Torino1857. Decreto del ministro dellaIstruzione Pubblica del 29 settem-bre 1857, Libri di testo per le scuo-le secondarie, in «G.P.G.U.R.», n.237, 7 ottobre 1857, art. 2.14. La citazione è tratta dall’impor-tante Relazione del ministro del-l’istruzione pubblica a S.M. inudienza del 4 settembre 1855, in«G.P.G.U.R.», n. 222, 12 settembre1855. Il brano suona così: «La im-portanza poi degli studi storici eletterari e la necessità di corrobo-rarli coll’aiuto delle filosofiche di-

scipline ha indotto il referente aporre, ch’essi vengano continuatinon solamente nel primo, ma an-cora nel secondo anno di filosofia.Così la scienza del pensiero e quel-la della parola cammineranno dipari passo, e le menti dei giovani,fatte avvezze a ragionare, appren-deranno meglio la convenienza ela pratica delle dottrine storiche eletterarie».15. Al vaglio dell’esperienza, i ri-sultati di tale sistema non furonoeccellenti, perché gli insegnanti sirivelarono molto al di sotto delle

aspettative, come testimonianoinequivocabilmente la Circolare n.15 del Ministero dell’istruzionepubblica ai signori provveditoriagli studi (11 aprile 1856), in C.C.,1857, pp. 490-491 e la Circolare n.24 del Ministero dell’IstruzionePubblica ai signori professori di fi-losofia razionale, di rettorica, sto-ria e geografia (23 dicembre1856), pp. 491-492, intitolate ri-spettivamente Esame dei sunti difilosofia razionale, di storia, let-teratura e geografia e Giudizioemesso sovra i sunti di filosofia

razionale, di rettorica, storia egeografia.16. 7,5 ore nel primo e secondoanno (su 23,5 e 24,5) e 6 nel terzo(su 25,5 complessive).17. Sulle 14 ore della sezione com-merciale e sulle 19,5 della sezioneindustriale al primo anno, e, rispet-tivamente, sulle 20 e sulle 22,5 nel-l’ultimo anno.18. G. Boccardo, Manuale di sto-ria del commercio, delle industriee della economia politica,Tipogra-fia scolastica di Sebastiano Francoe f. e C., Torino 1858.

loro lezioni anche sulla base di altri testi.Nella «scuola normale» (biennale, per il consegui-

mento della patente di maestro per le elementari infe-riori, e triennale, per quello della patente per le ele-mentari superiori) la storia patria è oggetto di una trat-tazione estremamente semplificata e succinta al secon-do anno, leggermente più complessa al terzo. Entram-bi i programmi sono redatti con gli stessi criteri segui-ti per il corso inferiore delle «scuole speciali» e ne rical-cano l’impostazione generale, pur nell’ambito di un pro-filo storico più lacunoso. Lo scopo principale che essiintendono raggiungere sembra quello di preparare i fu-turi maestri ad insegnare la “storia racconto” presentefin dal 1856 nei programmi delle scuole elementari su-periori.

Il lascito piemontese alla scuola del Regno d’ItaliaSi sono così delineati alcuni tratti fondamentali della nuo-va scuola media, destinati a una vita assai lunga: la strut-tura a “canne d’organo”, con il grado superiore organiz-zato in tre scuole distinte e di diversa durata, secondo ilprincipio che la preparazione ad una posizione più altanella società richiede un periodo di istruzione più lungoe improntato alla cultura umanistica; l’organizzazione cul-turale fondata su una pluralità di discipline che sostitui-scono la monocorde cultura classica; la “contemporanei-tà” degli insegnamenti; l’avvio del superamento del siste-ma delle classi e il coordinamento di un certo numero diqueste nell’ambito dei corsi; la soluzione dei problemi de-rivanti dalla presenza di numerose materie attraverso l’im-posizione di orari vincolanti; la conservazione della pre-minenza dell’insegnamento letterario pur nell’ulteriore re-stringimento del suo spazio orario all’interno del ramoclassico; la collocazione subalterna delle materie di cultu-ra generale nel settore tecnico; l’adozione della lezione

che, redatto a sua volta in forma molto analitica, accen-tua – rispetto a quello precedentemente in vigore – le li-nee di lettura evidenziate sopra. I «sunti», di cui il Ministe-ro non sarà molto soddisfatto, devono costituire la tracciadelle lezioni che gli insegnanti sono tenuti a dettare aglialunni15. In ogni caso, il modello didattico non cambia:perno dell’insegnamento resta la dettatura della lezione,ma con un contributo più attivo ed incisivo da parte del-l’insegnante, almeno nelle intenzioni del legislatore.

Nel corso inferiore delle «scuole speciali» la storia pa-tria è materia d’insegnamento in tutti e 3 gli anni, affi-data allo stesso insegnante incaricato di italiano e geo-grafia. Tale insegnamento ha meno di un terzo delle oreattribuite alle tre materie16. Il programma, emanato nel-l’ottobre del 1856, consiste in una mera elencazione dipersonaggi e avvenimenti, con una netta prevalenza deiprimi rispetto ai secondi. Dall’ottobre dell’anno succes-sivo anche qui viene indicato come testo da trattare nelsecondo e nel terzo anno il Compendio di storia patriadi Ricotti. È significativo che l’unico elemento in comu-ne fra i gradi inferiori di scuola classica e scuola tecni-ca sia legato alla storia nazionale e ad uno strumentorealizzato da Ercole Ricotti. Nel corso superiore il pro-gramma, abbandonata l’ottica politico-diplomatica pro-posta nelle «scuole secondarie», organizza un profilo distoria del commercio, delle industrie, delle invenzioni edelle scoperte, con l’intento di avvicinare l’ottica dellatrattazione al carattere dell’istituto. Si tratta di un ambi-to di studi cui in Piemonte si era dedicato Luigi Cibra-rio. Dall’anno scolastico 1858-59 la parte riservata allastoria con le 6 ore in comune con lettere e geografia17

deve avere per oggetto la trattazione del Manuale distoria del commercio, delle industrie e dell’economia po-litica, ampio libro di Gerolamo Boccardo18 che ha vin-to il regolare concorso. Tuttavia, una circolare ministe-riale ribadisce che questo strumento è solo consigliatoe che gli insegnanti possono continuare a condurre le

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 95

Page 96: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

96

19. Due dei ministri di maggiorepersonalità e autori degli interven-ti più innovativi sui programmi distoria, Michele Amari e MicheleCoppino, reagiranno con vigore al-

la riduzione dello studio della sto-ria a semplice esercizio mnemoni-co. Di Michele Amari cfr. la Relazio-ne fatta dal ministro dell’istruzio-ne pubblica a S.M. in udienza del

29 ottobre 1863, in «Gazzetta uffi-ciale del regno d’Italia» (d’ora inpoi «G.U.R.I.»), supplimento al n.279, 25 novembre 1863. Di Miche-le Coppino cfr. Relazione fatta dal

ministro della pubblica istruzio-ne a S.M. in data 10 ottobre 1867,in «G.U.R.I.», n. 291, 24 ottobre1867.

zione a seconda del tipo d’istituto e del “grado” dellascuola; l’impianto fondamentalmente narrativo; la suc-cessione cronologica dal passato al presente e la dimen-sione del continuum ininterrotto; il legame privilegiatocon l’ideologia politica; la pretesa di ricostruzione esclu-siva ed unica del passato; il carattere oggettivo e il ri-fiuto delle discussioni di tipo storiografico; la tendenzaa dar vita a stereotipi e ad una pratica di apprendimen-to esclusivamente mnemonica19.

Nel corso normale una circolare del settembre del1860 conferma orari e programmi già in vigore nel Re-gno di Sardegna. Nelle altre scuole, i programmi ema-

nati dal ministro Terenzio Mamiani– filosofo, già professore nell’Acca-demia militare di Torino e, dal 1857,insegnante di Filosofia della storiaprima nell’Ateneo torinese e poi inquello romano – rinnovano la distri-buzione della storia. Nel ramo clas-sico l’insegnamento storico vero eproprio inizia in quarta e quinta gin-nasiale con la trattazione della par-te antica (nel primo triennio, il gin-nasio inferiore, al suo posto ci sono«nozioni di antichità romane», in pri-ma e seconda, e «nozioni di antichi-tà greche», in terza). Esso accentual’importanza delle parti medievale emoderna distribuendole sull’arco deitre anni del liceo. Per quanto riguar-da il settore tecnico, nel triennio in-feriore viene prevista invece la «sto-ria popolare d’Italia» dalle origini al1860, mentre si pone «geografia e

storia d’Europa» dalla caduta dell’Impero romano d’Oc-cidente «ai giorni nostri», nel primo biennio dell’istituto,il corso superiore.

Le altre caratteristiche ricalcano, almeno nella sostan-za, soluzioni già invalse nello Stato sabaudo. La storia hauna collocazione di secondo piano rispetto al tipo di cul-tura che caratterizza ogni settore d’istruzione in cui è orapresente. Nel ginnasio e nel liceo essa ha un 13,2% e un15,9% dell’orario complessivo, contro il 61,9% e il 36,2%delle materie letterarie. Nella scuola tecnica e nell’istitu-to tecnico, essa finisce per avere meno di un terzo del-

frontale come strumento principe per la “consegna” di unaquantità di contenuti aumentata di molto con l’introduzio-ne di nuove discipline.

La legge Casati del 13 dicembre del 1859 recepisce eperfeziona queste scelte che avrebbero segnato l’assettostrutturale del sistema scolastico italiano fin oltre la metàdel XX secolo e l’organizzazione didattica delle scuole delgrado medio, senza modificazioni di sostanza, fino ai gior-ni nostri. Secondo il testo, tre sono le scuole destinate al-la fascia d’età coperta dall’istruzione media: il corso clas-sico, articolato ora in «ginnasio» quinquennale (la denomi-nazione ricalca quella prussiana e austriaca) e «liceo» trien-nale; il corso tecnico (prima chiama-to «scuola speciale»), diviso in scuola«tecnica» e «istituto tecnico» triennali;il «corso normale» biennale o trienna-le (la struttura di formazione dei mae-stri che in seguito sarebbe stata chia-mata istituto magistrale).

I primi regolamenti e le prime re-dazioni dei programmi risolvono iproblemi posti dalla necessità di farespazio a un complesso quadro di di-scipline con l’imposizione di orari ri-gidamente vincolanti e la riduzione diogni materia ad un quadro oggettivodi nozioni acquisibili in tempi ragio-nevolmente brevi. La pratica didatti-ca viene così costretta in una rete ri-gidamente determinata e diventanoinevitabili l’impostazione puramenteripetitiva degli insegnamenti e la ri-duzione a stereotipi della cultura sco-lastica del grado medio. In questoorizzonte, la lezione frontale continua ad essere, sul pia-no degli orizzonti mentali prima ancora che per gli indub-bi vantaggi, una scelta obbligata, con la forza dell’inevita-bilità che caratterizza ogni mancanza reale di alternativa.

Anche l’insegnamento storico precisa molte di quel-le caratteristiche che sono sopravvissute fino ai nostrigiorni: la subalternità verso materie letterarie e filosofi-che nel settore liceale, tecniche e professionali nel set-tore tecnico; il carattere enciclopedico; il conseguentedestino a incontrare sempre maggiori difficoltà ad esse-re inserito in un numero limitato di ore; la differenzia-

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

l’insegnamentostorico precisa molte

di quellecaratteristiche chesono sopravvissutefino ai nostri giorni:

[…] l’impiantofondamentalmente

narrativo; lasuccessione

cronologica dalpassato al presente e la dimensione del

continuumininterrotto

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 96

Page 97: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

97

zato da pretese di assoluta neutralità viene sostituito daun quadro dichiaratamente orientato sul piano ideologi-co; ma, nello stesso tempo, questo profilo è presentatocome sostanzialmente oggettivo, impermeabile ai dubbie alle discussioni della ricerca storica. Tende ad accredi-tare la pretesa di essere l’unica ricostruzione possibile delpassato e, perciò, appare fatalmente destinato a rimanerearretrato rispetto allo spostamento in avanti delle frontie-re della ricerca storica. Abbastanza paradossalmente, dun-que, il risultato finale è un profilo storico ideologicamen-te molto orientato che si presenta, però, come caratteriz-zato dall’assoluta oggettività.

L’orientamento politico e ideolo-gico dei primi programmi di storiarisente del particolare momento sto-rico. Esso, come mostra soprattuttoquello per il liceo classico, riflette,per un verso, il ruolo di guida assun-to dalla monarchia sabauda e dalgruppo liberale-moderato nella rea-lizzazione del processo unitario, perun altro, la situazione contingente,caratterizzata dal non completo rag-giungimento dell’indipendenza e del-l’unità, e dalla necessità di creareuna tradizione che neutralizzi i par-ticolarismi municipalistici. Le lineedi lettura del passato d’Italia rispon-dono pertanto a precise istanze pra-tiche. Si propone una «biografia na-

zionale», in cui con un’insistenza quasi ossessiva si chie-de di valutare momenti, avvenimenti, personaggi alla lu-ce dell’influenza da essi esercitata «sopra le condizionipolitiche e nazionali degli italiani» o delle «conseguen-ze per la libertà e l’indipendenza d’Italia» (secondo unritmo e una preoccupazione che avevano caratterizzatoin maniera esemplare un’opera assai diffusa, il Somma-rio della storia d’Italia di Cesare Balbo). La preoccupa-zione di mettere ben in rilievo le origini italiane di Ca-sa Savoia, e di mostrare questa assai per tempo legataa una “missione nazionale”, intende legittimare la posi-zione di preminenza ormai raggiunta di fatto dalla mo-narchia sabauda nell’ambito della Penisola. Alcuni argo-menti di studio rivelano la duplice preoccupazione didiffondere presso i giovani le idee liberali nella loro ver-sione moderata, da una parte, e di mantenere l’educa-zione della gioventù nell’ambito dei valori del regimestatutario, instaurato nel 1848, dall’altra: perciò si cita-no la rivoluzione inglese del 1648, la guerra di indipen-denza americana, la «progressiva prevalenza in Europadelle idee innovatrici» nel XVIII secolo. In particolare,

lo spazio orario in comune con italiano e geografia (pa-ri, nella prima, al 28,2%, e nei quattro tipi del secondo,a valori oscillanti fra il 22 e il 27,5%) ed è perciò confi-nata in un ruolo secondario rispetto alle lettere e ancorpiù subalterno rispetto alle materie caratterizzanti. Nellescuole normali vengono confermati orari e programmivigenti in Piemonte.

La diversa posizione della storia nei piani di studiodelle tre scuole e le differenze del monte orario a essaattribuito fra scuola e scuola continuano ad implicareuna trattazione differenziata della materia. Il più com-plesso modello storico del ginnasio-liceo subisce un im-poverimento nell’istituto tecnico, ri-sulta ulteriormente semplificato nel-la scuola tecnica e ancor di più inquella normale. Le diversità nella re-dazione dei programmi rende evi-dente questa disparità. Il program-ma del ginnasio-liceo è analitico edettagliato, tendente alla completez-za enciclopedica, percorso in modoesplicito da forti tensioni unificanti.Quello delle scuole tecniche è unasecca elencazione di personaggi eavvenimenti, frammentaria ed episo-dica, a impostazione biografico-nar-rativa. Esso tende a garantire l’acqui-sizione di schemi ideologici non tra-mite l’uso delle facoltà razionali, mapiuttosto attraverso la proposta allecomponenti emotive dei pre-adolescenti di personaggi-simbolo di grande suggestione, in grado di incarnare deimodelli di comportamento. Infine, assai schematico ap-pare il programma dell’istituto tecnico. Quello delle scuo-le normali, rimasto immutato, conferma le caratteristi-che precedentemente esaminate e continua a essere inlinea con le scelte per le scuole tecniche.

L’accentuazione della funzione ideologica nel 1859-60Riflettendo l’intrinseca «politicità» che Croce ha dimostra-to essere stato il tratto comune delle due maggiori corren-ti della storiografia risorgimentale (quella neoguelfa e quel-la neoghibellina), la storia mantiene nel grado mediod’istruzione una preminente funzione ideologica. Tendea trascurare il collegamento con il dibattito storiograficoe mantiene, invece, un rapporto privilegiato con alcunecoordinate dell’ideologia dominante, tanto nei presuppo-sti del senso comune storiografico quanto nel gruppo po-litico al potere. Un profilo storico oggettivo e caratteriz-

L’orientamentopolitico e ideologicodei primi programmidi storia […] riflette il

ruolo di guidaassunto dalla

monarchia sabauda e dal gruppo liberale-

moderato nellarealizzazione del

processo unitario

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 97

Page 98: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

98

20. Cfr. I. Porciani, Fare gli italia-ni, in M. Flacke (a cura di), Mythender Nationen: eine europaeischenPanorama, Koehler and Amelang,Munchen-Berlin 2001, pp. 199-222;Id., Il libro di testo come oggettodi ricerca: i manuali scolasticinell’italia postunitaria, in Storiadella scuola e storia d’Italia, Ba-ri 1982, pp. 237-271. Sono da ve-dere U. Levra, Fare gli Italiani. Me-moria e celebrazione del Risor-gimento, Torino 1992, e il volumedi S. Soldani, G. Turi, (a cura di), Fa-re gli italiani. Scuola e cultura

nell’Italia contemporanea. La na-scita dello Stato nazionale, Il Mu-lino, Bologna 1993. Cfr. anche ilpiù recente A. Ascenzi, I manua-li di storia nelle scuole italianedel secondo Ottocento, in G. Chios-so (a cura di), TESEO. Tipografi eeditori scolastico-educativi del-l’Ottocento, Editrice Bibliografica,Milano 2003, p. LXXXI-XCV (in col-laborazione con R. Sani).21. Il Ministro dedicava solo un ac-cenno alle disfunzioni prodotte dal-le «differenze o piuttosto disformità»sul piano burocratico- amministrati-

vo, cioè al «danno manifesto» prodot-to «ai giovani, i quali per qualsiasi ca-gione sono necessitati di passareda uno ad altro istituto, in questao quella provincia». Con maggioreincisività si soffermava sui riflessiideologici e politici della mancan-za di soluzioni omogenee su tuttoil territorio del Regno: «Non è perfermo conducevole al fine a cui ilGoverno con ogni cura intende diunificare le forze vive della nazio-ne, il mantenere più a lungo tantee cosi sensibili discrepanze negliistituti che sono destinati a educa-

re i sentimenti più nobili dell’uo-mo, e dove è riposta tanta partedelle nostre gloriose tradizioni»,Relazione fatta dal ministro del-l’istruzione pubblica a S.M. inudienza del 29 ottobre 1863, in«G.U.R.I.», supplimento al n. 279,25 novembre 1863.22. Nel 1861, scuole normali; 1863,ginnasio-liceo; 1864, istituti tecnici;1867, ginnasio-liceo, scuole norma-li, scuole tecniche; 1871, 1876, 1877,istituti tecnici.23. Nel 1864, 1871 e, almeno par-zialmente, nel 1876-77.

gica. Facilitato dall’assenza di un rapporto cosciente e po-sitivo con la ricerca storiografica, l’anacronismo diventamodo frequente di leggere e proporre il passato. Così ilprogramma del liceo classico interpreta i fenomeni veri-ficatisi in Italia nel corso dell’XI secolo come «manifesta-zioni di risvegliata nazionalità», presenta gli avvenimentisuccessivi alla dieta di Roncaglia in termini di «guerra d’in-dipendenza», individua già agli inizi del secolo XV «unprimo conato d’unione della Lombardia al Piemonte», sta-bilisce uno strettissimo collegamento fra le aspirazioni diCasa Savoia e l’indipendenza italiana fin dagli albori del-l’età moderna20.

Curricoli tormentati per il nuovo RegnoInsieme con la legge Casati, i primi programmi, emanatinegli ultimi mesi del 1860, entrano in vigore nei territoridel Regno di Sardegna e nella Lombardia. L’ampliamentoterritoriale dell’anno seguente e l’affermazione del centra-lismo sul piano amministrativo implicano un camminoprogressivo verso l’uniformità delle soluzioni e l’elimina-zione delle sacche di autonomia create dai governi prov-visori nelle regioni annesse. Il modello centralistico si im-pone anche nell’organizzazione della vita didattica e cul-turale della scuola. L’allargamento dell’area di applicazio-ne dei programmi, oltre che a ragioni di ordine ammini-strativo, è dovuto a motivi di ordine politico-ideologico,come riconosce nel 1863 il ministro Michele Amari, al mo-mento di presentare al Re, per l’approvazione, i nuovi pro-grammi per i licei21.

In questo contesto generale vanno inquadrate le altredue direttive che ispirano, fra il 1861 e il 1877, l’attivitàdegli esecutivi nell’ambito della politica della storia: l’or-ganizzazione degli studi e il loro contenuto.

La prima direttiva riguarda le partizioni della mate-ria negli anni di corso: la storia viene distribuita in mo-

la rivoluzione francese viene proposta secondo un’otti-ca moderata (si parla di «trapasso dalla libertà assenna-ta alla libertà eccessiva» e ci si chiede «cagioni e effettidel regno della demagogia» in Francia); il consolato diBonaparte invece viene presentato come «ordinatore eriparatore». La messa in risalto di una tradizione milita-re italiana (dalle imprese guerriere degli antichi Roma-ni alle compagnie di ventura guidate da celebri capita-ni indigeni, dalle lotte dei Comuni contro gli imperato-ri alle vittorie conseguite dai sovrani piemontesi nel cor-so dell’età moderna) vuole contribuire, come scrive ilMinistro nella relazione che accompagna i programmi,a quella «educazione supremamente virile» che «la natu-ra dei tempi e il risorgimento d’Italia» continuano ad esi-gere. Le condanne morali contro l’Austria obbedisconoalla logica di tener desta la tensione contro lo stranieroattraverso il ricordo delle sue pesanti responsabilità nel-le sventure della patria.

A queste stesse tensioni ideali rimandano i criteriin base ai quali viene operata la selezione degli avve-nimenti e dei personaggi degni di essere conosciuti nelprogramma di storia della scuola tecnica; e quello perl’istituto tecnico lascia trasparire dietro formulazionigeneriche una problematica sostanzialmente analoga;inoltre, sottende una filosofia della storia che valutacome assolutamente progressivo sul piano della civil-tà l’orientamento generale dello sviluppo storico in etàmoderna.

Né il legame con la realtà politica del momento siesaurisce in questo. Sotto il peso di avvenimenti sentiticome straordinari (la guerra vittoriosa contro l’Austria, laconquista della Lombardia, il concreto e positivo avviodei processi di realizzazione dell’unità e dell’indipenden-za), e per l’urgenza di compiti eccezionalmente impegna-tivi (l’unità da completare, la piena indipendenza da rag-giungere), le stesse esigenze di corretta informazione edi rispetto dei fatti cedono il passo alla tensione ideolo-

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 98

Page 99: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

99

quale la redazione di nuovi programmi23 si colloca sem-pre nel contesto di una riforma globale del settore, pas-sato nel frattempo alle dipendenze del Ministero diAgricoltura, Industria e Commercio. Nel 1864 la storiaè presente con un programma articolato in due parti,una di «storia particolare d’Italia», l’altra di «cenni di sto-ria generale d’Europa», la quale ingloba anche quei«cenni di storia del commercio e delle industrie» com-presi nel 1860 nel programma di «economia politica».Dà così vita a un’ottica complessa, aperta oltre che al-la politica e alle istituzioni anche alla vita economica,alle classi sociali, al diritto, alle scoperte. Insieme congeografia, con la quale divide l’orario, è insegnamen-to comune nei primi tre anni di tutte le sezioni; la pe-riodizzazione viene lasciata alla libera scelta dell’inse-gnante. Nel 1871 l’insegnamento storico viene invececonsiderato separatamente: esso è presente, nel bien-nio comune di tutte le sezioni, con un monte orariodell’8,3%; nel biennio specialistico delle sole sezionifisico-matematica e commerciale, rispettivamente, conl’8 e il 7,5% delle ore disponibili. Di conseguenza so-lo in queste ultime due la disciplina viene svolta in mo-do organico fino alle parti medievale e moderna, men-tre nelle altre la trattazione si arresta, con il secondoanno, alla caduta dell’Impero romano d’Occidente. Nel1876 la storia viene invece collocata nei primi tre an-ni di tutte le sezioni con 3 ore settimanali, che costi-

do non omogeneo nei vari tipi di scuola, e talora in for-ma contraddittoria all’interno di uno stesso ramo di istru-zione. In 16 anni vengono emanate 7 nuove redazionidi programmi22. La scuola tecnica è quella in cui si ve-rificano meno variazioni: a parte un leggero aumentod’orario che, nel 1867, porta l’insegnamento di linguaitaliana-storia-geografia al 29,3% delle ore disponibili,nell’impostazione e nella stessa periodizzazione dell’in-segnamento storico vengono sostanzialmente confer-mate le soluzioni del 1860. Nella «scuola normale»,l’estensione dell’insegnamento della disciplina anche alprimo anno, promossa nel 1867 (prima era limitata sol-tanto al secondo), e per giunta con un aumento di ora-rio, doveva rivelarsi, alla luce degli sviluppi successivi,il primo passo sulla strada del progressivo aumento del-l’importanza della storia nella formazione dei maestri.Nel ginnasio-liceo vengono sperimentate due soluzio-ni tra loro profondamente diverse. Nel 1863 la materiaviene distribuita su tutti gli otto anni di corso, con lasuddivisione della storia in cinque parti all’interno del-l’intero corso ginnasiale. Nel 1867, soppresso l’insegna-mento storico nei primi tre anni, esso viene invece con-centrato negli ultimi due del corso ginnasiale e nei pri-mi due del corso liceale, con un monte orario che pas-sa, rispettivamente, al 18,2% e al 16,1% del totale com-plessivo.

Più complicato il discorso per l’istituto tecnico, nel

L’uso di emanare programmi come strumento diregolamentazione della vita culturale e didattica dellascuola si afferma in un primo tempo nel ramo classicocon il R.D. del 1° febbraio 1852, Regolamento eprogrammi per gli esami di magistero, in «G.P.G.U.R.», n.30-31-32-33-35-36-37-38-40-42,4/5/6/7/10/11/12/13/16/18 febbraio 1852). Essoviene esteso nel 1853 alle scuole di metodo riformatecon il R.D. n. 1599 del 21 agosto 1853, Approvazione delregolamento delle scuole pei maestri delle scuoleelementari e speciali, in C.C., 1853, pp. 820-837;Programmi per le scuole magistrali inferiori e superiori,annessi al Regolamento, ibid., pp. 837-842. Le tappedella generalizzazione di tale uso sono le seguenti:Decreto del ministro dell’Istruzione Pubblica del 3 ottobre1855, Programmi per le scuole secondarie, in C.C., 1856,p. 66-79; R.D. n. 1496 del 6 marzo 1856, Regolamento eprogrammi per gli esami di magistero, in «G.P.G.U.R.»,

supplimento al n. 74, 26 marzo 1856; R.D. 12 ottobre1856, Regolamento e programmi per le scuole speciali, in«G.P.G.U.R.», supplimento 1 al n. 260, 25 ottobre 1856;R.D. del 19 dicembre 1858, Approvazione dei programmiper le scuole normali e magistrali delle allieve maestre, inC.C., 1858, pp. 1127 sgg. La legge Casati, estendendo aldi fuori dello Stato sabaudo una soluzione di tecnicaamministrativo-legislativa collaudata in Piemonte neldecennio precedente, sottraeva definitivamente alcontrollo del legislativo e a quello dell’opinione pubblica eriservava esclusivamente al potere discrezionaledell’esecutivo compiti di importanza fondamentale nelladirezione ideologico-culturale e nell’organizzazione dellapratica didattica: il ministro della Pubblica Istruzione sivedeva riconosciuto il potere di determinare medianteregolamento «l’ordine, la misura e l’indirizzo» secondo iquali i vari insegnamenti dovevano «essere dati» (art.192); quindi, anche i programmi.

L’adozione dei programmi come strumento per regolamentare la vita culturale e didattica della scuola del grado medio

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 99

Page 100: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

100

24. Cfr. V. Cuoco, Rapporto al reGioacchino Murat e progetto di de-creto per l’organizzazione dellapubblica istruzione, in Collezionedelle leggi, dei decreti e di altri at-

ti riguardanti la pubblica istruzio-ne promulgati nel già reame diNapoli dall’anno 1806 in poi,Stamperia del Fibreno, Napoli 1861-63, I, pp. 118-120 e 207-208. Nel se-

negativo, da respingere. Nello stesso senso, i program-mi di storia per gli istituti tecnici del 1864, pur firmatida un ministro diverso da quello dell’Istruzione, per laprima volta nel grado superiore dell’istruzione tecnicaprevedono la presenza in posizione privilegiata, conuno spazio a sé, di una parte dedicata alla storia nazio-nale.

Ma la storia come disciplina scolastica viene per-dendo alcuni degli aspetti legati alla situazione ecce-zionale del 1860. I programmi De Sanctis per le scuo-le normali, mentre introducono con maggiore ricchez-za momenti e autori della cultura letteraria italiana, ri-ducono la presenza dei sovrani della dinastia sabaudae recepiscono anche qualche impostazione nettamen-te ghibellina. Nel 1863 dai programmi per la scuola

classica, firmati da Michele Ama-ri, cadono gli anacronismi piùplateali, si attenua lo stretto le-game fra Casa Savoia e l’indipen-denza e l’unità italiane in etàmoderna, scompaiono le con-danne morali contro l’Austria.Queste scelte appaiono in sinto-nia con la personalità del Mini-stro. Questi, infatti, storico di ori-gine siciliana, dopo la pubblica-zione nel 1842 dell’opera Laguerra del Vespro, che lo ha fat-to dichiarare persona sgraditanel Regno delle Due Sicilie, èemigrato a Parigi, ha imparato lalingua araba e cominciato a stu-diare la Sicilia musulmana, pub-blicando opere di grande rilie-

vo. Rimasto estraneo all’impostazione ideologica e al-le tematiche delle due maggiori correnti della storio-grafia risorgimentale, rispetto a queste si è rivelato as-sai più attento agli aspetti scientifici che non a quellipolitico-ideologici del lavoro storico. Nel 1864 i pro-grammi per gli istituti tecnici recepiscono quasi tuttigli orientamenti revisionistici proposti l’anno prima daMichele Amari nel liceo classico. Soprattutto, questoorientamento emerge nei programmi emanati nel 1867dal ministro Michele Coppino, l’uomo politico piemon-

tuiscono il 5,9% dell’orario complessivo nella sezionefisico-matematica e una parte oscillante tra il 6 e il 6,9%nelle altre tre sezioni. La materia, oggetto di una iden-tica trattazione in tutte le sezioni, si estende dall’anti-chità ai «nostri giorni», ma la parte antica è fortementeridotta e la ripartizione cronologica favorisce una mag-giore enfasi sulle parti medievale e moderna. Nel 1877il programma riattribuisce una maggiore importanza al-la parte antica, secondo la richiesta pressoché unani-me degli insegnanti che hanno risposto a un’inchiestaministeriale svolta tramite questionario. Rimane inve-ce invariato il monte ore, per quanto l’orario comples-sivo delle lezioni venga ridotto.

La revisione degli stereotipirisorgimentaliIl secondo filone di intervento ri-guarda la revisione dell’impostazio-ne ideologica generale. Esso è lega-to in parte alla personalità dei mi-nistri, in parte all’evoluzione gene-rale della vita del nuovo Stato. Il di-segno generale di educazione poli-tica rimane immutato nelle sue li-nee di fondo: formazione all’amoredi una patria unita e indipendente;alla fedeltà alla monarchia che haguidato il riscatto; ai valori del grup-po liberale-moderato. In questa di-rezione, i programmi emanati nel1861 dal grande critico e storico del-la letteratura Francesco De Sanctisper le scuole normali cercano la massima efficacia. Perun verso, essi optano per una più radicale riduzionedella storia, al secondo anno, a racconto e biografia,approfondendo una scelta già chiaramente impostatain Piemonte al tempo di Lanza. Probabilmente questadecisione è presa anche per impulso dello stesso Mi-nistro, che certo conosceva il tentativo di definire le ca-ratteristiche di una «storia de’ giovinetti», operato a Na-poli da Vincenzo Cuoco nel 1809: egli, infatti, avevagià avuto una esperienza di riformatore scolastico a Na-poli nel 184824. Per un altro verso, sempre con lo sco-po di raggiungere la massima efficacia sul piano edu-cativo, i programmi di De Sanctis generalizzano la tec-nica di contrapporre personaggi animati da atteggia-menti opposti rispetto alle fortune d’Italia (come CarloVIII e Pier Capponi), in modo da considerare quasi sem-pre abbinati un modello positivo, da accettare, e uno

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

Il disegno generale di educazione

politica rimaneimmutato […]:

formazione all’amore di una patria unita

e indipendente; alla fedeltà alla

monarchia che haguidato il riscatto;

ai valori del gruppo

liberale-moderato

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 100

Page 101: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

101

condo volume della stessa opera, inun’appendice alle pp. 29 e sgg. e 41e sgg., sono riportati due progettidi legge del 1848-49 dedicati, rispet-tivamente, a scuole normali prima-

rie e alla riforma dell’insegnamen-to secondario; essi furono prepara-ti da una Commissione provvisoriadi pubblica istruzione di cui facevaparte anche Francesco De Sanctis.

seconda del tipo di scuola viene precisata nell’imposta-zione didattica e nell’orientamento ideologico, facendoemergere le motivazioni politico-sociali che sono sotte-se alle differenze contenutistico-didattico-valoriali e chele giustificano. Nella scuola classica l’insegnamento sto-rico deve consistere «nella concatenata esposizione deifatti ammessi dalla critica, nell’indicarne le cause imme-diate o remote, gli effetti, le relazioni». Incentrato su «ar-mi» e «leggi», «espressione felice del bello» e «ardimento-se indagini del vero», esso deve «educare gli animi allascuola severa delle grandi virtù, dei grandi errori», insi-nuare «disprezzo ed aborrimento alla colpa, ammirazio-ne alla virtù», insegnare a «serbare […] affetti alle causegiuste anche infelici, non a tributare coi volghi plausoal successo», rendere «divoti ai principii di sociale giu-

stizia», finalmente abituare gli stu-denti «per la conoscenza del passa-to alla comprensione della societàpresente del cui bene vogliono di-ventare primari operatori o nelleprofessioni liberali o negli uffizi go-vernativi». Nella scuola tecnica latrattazione va limitata «alla succes-sione dei fatti principalissimi» ed in-centrata intorno alle figure dei per-sonaggi. «Aiuto di memoria e d’intel-ligenza» ed «efficacia morale dell’in-segnamento» vengono dichiarate mo-tivazioni alla base di queste due im-postazioni, esplicitando i presuppo-

sti di una strada che era stata percorsa già nel Piemon-te sabaudo, e che i programmi De Sanctis avevano re-so più evidente. Aperta alla considerazione dei «progres-si delle arti», delle «invenzioni» e delle «scoperte», soprat-tutto quando queste sono state «frutto della costanza edello sforzo individuale, anziché dello splendido aiutodi principi e mecenati», essa deve «avviare gli uomini al-l’acquisto di nozioni e di cognizioni giovevoli al lorostato futuro d’industria, di artefici, di commercianti, diagricoltori» e «soccorrere in modo pratico ad una decen-te istruzione politica», non solo in senso patriottico maanche verso l’accettazione del proprio ruolo, subalter-no ma non per questo privo di grande importanza egrande dignità, nella società.

tese che dieci anni dopo avrebbe varato una storica ri-forma della scuola elementare, rendendola obbligato-ria e gratuita. I programmi Coppino rappresentano l’in-tervento di direzione politico-ideologica e didattico-culturale più significativo del primo decennio della vi-ta unitaria per almeno quattro aspetti. Le scelte sonodichiaratamente consapevoli: realizzare «una semplici-tà maggiore nella materia degli studi, e nell’ordine lo-ro» e ridefinire quantità, qualità, contenuti in più stret-ta relazione al fine specifico di ciascuna scuola. Le te-matiche affrontate sono complesse e vanno dagli ora-ri all’orientamento ideologico, dalla ridefinizione deicurricula agli strumenti della pratica didattica. Sono in-teressate tutte le scuole: ginnasio, liceo, scuole norma-li e lo spezzone di istruzione tecnica rimasto sotto ilMinistero della Pubblica Istruzione,cioè le scuole tecniche. L’area diapplicazione è più ampia di ogniprecedente intervento perchè ri-guarda tutto il territorio del Regno,comprese le province appena an-nesse in seguito alla terza guerrad’indipendenza. All’indomani dellaterza guerra di indipendenza e del-le sconfitte di Lissa e Custoza vis-sute come umilianti, il compito di«confortare l’amor di patria per laconoscenza più esplicita delle na-zionali vicende» viene ripensato conuna notevole accentuazione dellalezione revisionistica dei programmi Amari e con untono nettamente antiretorico. «Parlando di storia patria,gli insegnanti devono guardarsi dal giudicare gli uo-mini e le cose passate colle opinioni e, peggio, collepassioni del presente», astenersi «dal triste vezzo di lo-di e di vituperii prestabiliti a scrittori, a capitani, a prin-cipi, a papi, lodi e vituperii che rassomigliano troppoal fremito dello schiavo», far sentire invece «alla liberagenerazione […] la dura ma salvatrice parola, che sel’Italia in passato fu serva, debole, dispregiata, la col-pa primiera fu degli Italiani: perché i popoli, se nonhanno sempre il governo che bramano, hanno pursempre il governo che si meritano».

La differenza di modello di insegnamento storico a

realizzare «unasemplicità maggiorenella materia deglistudi, e nell’ordine

loro» e ridefinirequantità, qualità,contenuti in piùstretta relazione

al fine specifico diciascuna scuola

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 101

Page 102: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

102

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

"R.D. del 9 ottobre 1848, Approvazione del regolamentointerno e del piano di studii pei convitti nazionali, inC.C., 1848, pp. 1153-1162; Piano di studii, ibid., pp.1162-1172 e, in particolare per l’insegnamento storico,p. 1165, pp. 1166-1167, p. 1168. Il Piano di studiianche in «G.P.G.U.R.», n. 289, 7 novembre 1848, conuna lacuna probabilmente dovuta a un errore di stampa.

"R.D. 1 febbraio 1852, Regolamento e programmi pergli esami di magistero,in «G.P.G.U.R.», nn. 30-31-32-33-35-36-37-38-40-42,4/5/6/7/10/11/12/13/16/18 febbraio 1852. Iprogrammi di storia per gli esami di magistero sonopubblicati anche in «G.P.G.U.R.», n. 38 e 40, 13 e 16febbraio 1852.

"R.D. n. 1599 del 21 agosto 1853, Approvazione delregolamento delle scuole pei maestri delle scuoleelementari e speciali, in C.C., 1853, pp. 820-837;Programmi per le scuole magistrali inferiori e superiori,annessi al Regolamento, ibid., pp. 837-842.

"Decreto del ministro dell’Istruzione Pubblica del 3ottobre 1855, Programmi per le scuole secondarie, inC.C., 1856, p. 66-79.

"R.D. n. 1496 del 6 marzo 1856, Regolamento eprogrammi per gli esami di magistero,in «G.P.G.U.R.»,supplimento al n. 74, 26 marzo 1856.

"R.D. 12 ottobre 1856, Regolamento e programmi perle scuole speciali, in «G.P.G.U.R.», supplimento 1 al n.260, 25 ottobre 1856.

"R.D. 19 dicembre 1858, Approvazione dei programmiper le scuole normali e magistrali delle allievemaestre, in C.C., 1858, p. 1127 sgg. Questi ultimifurono firmati dal nuovo ministro C. Cadorna,succeduto a Giovanni Lanza.

"Circolare n. 88 del 29 settembre 1860 del Ministerodell’Istruzione Pubblica ai consigli direttivi, ai direttoried agl’insegnanti delle scuole normali per allievimaestri ed allieve maestre, Variazioni da introdursinegl’insegnamenti praticati nelle scuole normali, inC.C., 1860, pp. 1583-1584.

"Decreto luogotenenziale n. 4414 del 14 novembre1860, Approvazione dei programmi per gli esame finalidel corso ginnasiale, in «G.U.R.I.», n. 280, 24novembre 1860; Decreto luogotenenziale. n. 4463 del

17 novembre 1860, Approvazione dei programmi pergli esami del corso liceale, in «G.U.R.I.», n. 297 e 298,14 e 15 dicembre 1860.

"Decreto Luogotenenziale n. 4464 del 24 novembre1860, Approvazione dei programmi d’esame per lescuole tecniche e per gli istituti tecnici, e programmid’esame per le scuole tecniche e per gli istituti tecnici, in«G.U.R.I.», supplimento al n. 301, 19 dicembre 1860.

"R.D. n. 315 del 9 novembre 1861, Approvazione delregolamento e dei programmi per le scuole magistralie normali e per gli esami di patente dei Maestri e delleMaestre, in «G.U.R.I.», supplimento al n. 294, 4dicembre 1861.

"R.D. n. 1530 del 29 ottobre 1863, Approvazione deiprogrammi per le pubbliche scuole secondarieclassiche del regno, in «G.U.R.I.», supplimento al n.279, 25 novembre 1863.

"Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio,Insegnamento professionale e industriale, s.e., s.I.,1864. I programmi di storia alle pp. 136-142.

" Istruzioni e programmi per l’insegnamento della storianella scuola classica, in «G.U.R.I., supplimento 1 al n.291, 24 ottobre 1867.

" Istruzioni e programmi per l’insegnamento dellageografia e della storia nelle scuole tecniche, in«G.U.R.I.», supplimento 1 al n. 291, 24 ottobre 1867.

" Istruzioni e programmi per l’insegnamento della linguaitaliana, della geografia e della storia nelle scuolenormali e magistrali, in «G.U.R.I.», supplimento 1 al n.291, 24 ottobre 1867.

"Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio,Programmi degli istituti tecnici, Tipografia Claudiana,Roma 1871, pp. 27-34.

"R.D. n. 511 del 5 novembre 1876. Programmi per gliinsegnamenti di ciascuna sezione degli istituti tecnici,in Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio,L’ordinamento e i programmi di studio negli istitutitecnici, Tipografia Eredi Botta, Roma 1878.

"Circolare n. 151 del 26 ottobre 1877. Programmi pergli insegnamenti di ciascuna sezione degli istitutitecnici, in Ministero di Agricoltura, Industria eCommercio, L’ordinamento e i programmi di studionegli istituti tecnici, Tipografia Eredi Botta, Roma 1878.

Dai programmi di storia del Piemonte sabaudo a quelli dell’Italia liberale

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 102

Page 103: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

103

25. Cfr. G. Ricuperati, L’insegna-mento della storia dall’età dellasinistra ad oggi, in «Società e sto-ria», 6, 1979, pp. 763-792. Di Pietro,Potere politico e insegnamento

della storia in Italia dalla finedell’Ottocento alla caduta del fa-scismo. I. I dibattiti dell’età giolit-tiana e i tentativi di riforma delprimo dopoguerra, in «Quaderni

dell’Istituto per la Storia della Re-sistenza in Provincia di Alessan-dria», I, 2, 1978, pp. 19-53. Id., Dal-la Riforma Gentile alla svolta del1930, in «Quaderni dell’Istituto per

la Storia della Resistenza in Provin-cia di Alessandria», II, 3, 1979, pp.27-112.

continua a seguire la vicenda di Casa Savoia, ma permetterne in luce il costante inserimento nel grande gio-co politico-diplomatico europeo durante l’età moderna.La rivendicazione di una tradizione in tal senso sembravoler legittimare ora, nell’orientamento di chi studia sto-ria nei corsi superiori degli istituti tecnici, il ruolo cui ilnuovo Stato e la dinastia cominciano ad aspirare in po-litica estera: entrare con piena dignità e con pieno di-ritto nel novero delle grandi potenze europee.

Le Avvertenze del 1877 confermano lo stretto legamedella storia con l’insegnamento geografico. Molto signi-ficativamente, considerano però solo una delle due di-mensioni in cui quest’ultimo era stato presente nel testodel 1871, quella politico-diplomatica, e presentano ve-nature già vagamente espansionistico-coloniali: uno stu-dio della geografia che ha lo scopo di «seguire […] il cam-mino dei popoli e le vie delle loro emigrazioni e dei lo-ro commerci, segnando le dimore, il crescere o decre-scere dei loro regni». Contemporaneamente, il program-ma dà rilievo assai maggiore alle guerre e ai personaggiche non alla lotta politica o alle istituzioni. La formazio-ne patriottica comincia così a collegarsi con l’aspirazio-ne a una politica di potenza. In questa direzione, nazio-nalismo, prima, e fascismo, poi, troveranno un terrenomolto ben preparato25.

Le nuove preoccupazioni ideologicheIl programma di storia per gli istituti tecnici del 1871, aun anno dalla conquista e dalla proclamazione di Romacapitale del nuovo Regno, segna sul piano politico-ideo-logico la conclusione di questo processo di assestamen-to e, nello stesso tempo, apre a nuove suggestioni. Ilcammino risorgimentale-unitario è quasi concluso e ilruolo della monarchia piemontese in esso non è più indiscussione. L’Italia come Stato unitario è una realtà e ilruolo dei Savoia nella costruzione di esso, e poi alla suaguida, è un dato ormai indiscutibile. Pertanto, gli ana-cronismi risorgimentali e la rivendicazione di una pre-occupazione costante da parte dei Savoia per unità e in-dipendenza della patria italiana non hanno più utilitàpolitico-ideologica immediata. Nel nuovo contesto, l’in-segnamento della storia rimane strettamente collegato aquello di geografia. Questa, per un verso, deve chiari-re «coll’aiuto dei fatti e dei confronti [ …] quale sia equanta l’influenza del clima sull’uomo, sulla società, sul-le istituzioni, sulle industrie, sul commercio delle nazio-ni», per un altro, diventa studio dell’evoluzione dei con-fini nel corso del tempo. Il programma di storia sembracogliere soprattutto questa seconda dimensione: perciò,sposta l’accento dalla vita economica agli avvenimentipolitico-diplomatico-militari. Il profilo storico proposto

3_MUN_R_048-103_p:Layout 1 2-07-2009 15:59 Pagina 103

Page 104: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

97

zato da pretese di assoluta neutralità viene sostituito daun quadro dichiaratamente orientato sul piano ideologi-co; ma, nello stesso tempo, questo profilo è presentatocome sostanzialmente oggettivo, impermeabile ai dubbie alle discussioni della ricerca storica. Tende ad accredi-tare la pretesa di essere l’unica ricostruzione possibile delpassato e, perciò, appare fatalmente destinato a rimanerearretrato rispetto allo spostamento in avanti delle frontie-re della ricerca storica. Abbastanza paradossalmente, dun-que, il risultato finale è un profilo storico ideologicamen-te molto orientato che si presenta, però, come caratteriz-zato dall’assoluta oggettività.

L’orientamento politico e ideolo-gico dei primi programmi di storiarisente del particolare momento sto-rico. Esso, come mostra soprattuttoquello per il liceo classico, riflette,per un verso, il ruolo di guida assun-to dalla monarchia sabauda e dalgruppo liberale-moderato nella rea-lizzazione del processo unitario, perun altro, la situazione contingente,caratterizzata dal non completo rag-giungimento dell’indipendenza e del-l’unità, e dalla necessità di creareuna tradizione che neutralizzi i par-ticolarismi municipalistici. Le lineedi lettura del passato d’Italia rispon-dono pertanto a precise istanze pra-tiche. Si propone una «biografia na-

zionale», in cui con un’insistenza quasi ossessiva si chie-de di valutare momenti, avvenimenti, personaggi alla lu-ce dell’influenza da essi esercitata «sopra le condizionipolitiche e nazionali degli italiani» o delle «conseguen-ze per la libertà e l’indipendenza d’Italia» (secondo unritmo e una preoccupazione che avevano caratterizzatoin maniera esemplare un’opera assai diffusa, il Somma-rio della storia d’Italia di Cesare Balbo). La preoccupa-zione di mettere ben in rilievo le origini italiane di Ca-sa Savoia, e di mostrare questa assai per tempo legataa una “missione nazionale”, intende legittimare la posi-zione di preminenza ormai raggiunta di fatto dalla mo-narchia sabauda nell’ambito della Penisola. Alcuni argo-menti di studio rivelano la duplice preoccupazione didiffondere presso i giovani le idee liberali nella loro ver-sione moderata, da una parte, e di mantenere l’educa-zione della gioventù nell’ambito dei valori del regimestatutario, instaurato nel 1848, dall’altra: perciò si cita-no la rivoluzione inglese del 1648, la guerra di indipen-denza americana, la «progressiva prevalenza in Europadelle idee innovatrici» nel XVIII secolo. In particolare,

lo spazio orario in comune con italiano e geografia (pa-ri, nella prima, al 28,2%, e nei quattro tipi del secondo,a valori oscillanti fra il 22 e il 27,5%) ed è perciò confi-nata in un ruolo secondario rispetto alle lettere e ancorpiù subalterno rispetto alle materie caratterizzanti. Nellescuole normali vengono confermati orari e programmivigenti in Piemonte.

La diversa posizione della storia nei piani di studiodelle tre scuole e le differenze del monte orario a essaattribuito fra scuola e scuola continuano ad implicareuna trattazione differenziata della materia. Il più com-plesso modello storico del ginnasio-liceo subisce un im-poverimento nell’istituto tecnico, ri-sulta ulteriormente semplificato nel-la scuola tecnica e ancor di più inquella normale. Le diversità nella re-dazione dei programmi rende evi-dente questa disparità. Il program-ma del ginnasio-liceo è analitico edettagliato, tendente alla completez-za enciclopedica, percorso in modoesplicito da forti tensioni unificanti.Quello delle scuole tecniche è unasecca elencazione di personaggi eavvenimenti, frammentaria ed episo-dica, a impostazione biografico-nar-rativa. Esso tende a garantire l’acqui-sizione di schemi ideologici non tra-mite l’uso delle facoltà razionali, mapiuttosto attraverso la proposta allecomponenti emotive dei pre-adolescenti di personaggi-simbolo di grande suggestione, in grado di incarnare deimodelli di comportamento. Infine, assai schematico ap-pare il programma dell’istituto tecnico. Quello delle scuo-le normali, rimasto immutato, conferma le caratteristi-che precedentemente esaminate e continua a essere inlinea con le scelte per le scuole tecniche.

L’accentuazione della funzione ideologica nel 1859-60Riflettendo l’intrinseca «politicità» che Croce ha dimostra-to essere stato il tratto comune delle due maggiori corren-ti della storiografia risorgimentale (quella neoguelfa e quel-la neoghibellina), la storia mantiene nel grado mediod’istruzione una preminente funzione ideologica. Tendea trascurare il collegamento con il dibattito storiograficoe mantiene, invece, un rapporto privilegiato con alcunecoordinate dell’ideologia dominante, tanto nei presuppo-sti del senso comune storiografico quanto nel gruppo po-litico al potere. Un profilo storico oggettivo e caratteriz-

L’orientamentopolitico e ideologicodei primi programmidi storia […] riflette il

ruolo di guidaassunto dalla

monarchia sabauda e dal gruppo liberale-

moderato nellarealizzazione del

processo unitario

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 97

Page 105: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

98

20. Cfr. I. Porciani, Fare gli italia-ni, in M. Flacke (a cura di), Mythender Nationen: eine europaeischenPanorama, Koehler and Amelang,Munchen-Berlin 2001, pp. 199-222;Id., Il libro di testo come oggettodi ricerca: i manuali scolasticinell’italia postunitaria, in Storiadella scuola e storia d’Italia, Ba-ri 1982, pp. 237-271. Sono da ve-dere U. Levra, Fare gli Italiani. Me-moria e celebrazione del Risor-gimento, Torino 1992, e il volumedi S. Soldani, G. Turi, (a cura di), Fa-re gli italiani. Scuola e cultura

nell’Italia contemporanea. La na-scita dello Stato nazionale, Il Mu-lino, Bologna 1993. Cfr. anche ilpiù recente A. Ascenzi, I manua-li di storia nelle scuole italianedel secondo Ottocento, in G. Chios-so (a cura di), TESEO. Tipografi eeditori scolastico-educativi del-l’Ottocento, Editrice Bibliografica,Milano 2003, p. LXXXI-XCV (in col-laborazione con R. Sani).21. Il Ministro dedicava solo un ac-cenno alle disfunzioni prodotte dal-le «differenze o piuttosto disformità»sul piano burocratico- amministrati-

vo, cioè al «danno manifesto» prodot-to «ai giovani, i quali per qualsiasi ca-gione sono necessitati di passareda uno ad altro istituto, in questao quella provincia». Con maggioreincisività si soffermava sui riflessiideologici e politici della mancan-za di soluzioni omogenee su tuttoil territorio del Regno: «Non è perfermo conducevole al fine a cui ilGoverno con ogni cura intende diunificare le forze vive della nazio-ne, il mantenere più a lungo tantee cosi sensibili discrepanze negliistituti che sono destinati a educa-

re i sentimenti più nobili dell’uo-mo, e dove è riposta tanta partedelle nostre gloriose tradizioni»,Relazione fatta dal ministro del-l’istruzione pubblica a S.M. inudienza del 29 ottobre 1863, in«G.U.R.I.», supplimento al n. 279,25 novembre 1863.22. Nel 1861, scuole normali; 1863,ginnasio-liceo; 1864, istituti tecnici;1867, ginnasio-liceo, scuole norma-li, scuole tecniche; 1871, 1876, 1877,istituti tecnici.23. Nel 1864, 1871 e, almeno par-zialmente, nel 1876-77.

gica. Facilitato dall’assenza di un rapporto cosciente e po-sitivo con la ricerca storiografica, l’anacronismo diventamodo frequente di leggere e proporre il passato. Così ilprogramma del liceo classico interpreta i fenomeni veri-ficatisi in Italia nel corso dell’XI secolo come «manifesta-zioni di risvegliata nazionalità», presenta gli avvenimentisuccessivi alla dieta di Roncaglia in termini di «guerra d’in-dipendenza», individua già agli inizi del secolo XV «unprimo conato d’unione della Lombardia al Piemonte», sta-bilisce uno strettissimo collegamento fra le aspirazioni diCasa Savoia e l’indipendenza italiana fin dagli albori del-l’età moderna20.

Curricoli tormentati per il nuovo RegnoInsieme con la legge Casati, i primi programmi, emanatinegli ultimi mesi del 1860, entrano in vigore nei territoridel Regno di Sardegna e nella Lombardia. L’ampliamentoterritoriale dell’anno seguente e l’affermazione del centra-lismo sul piano amministrativo implicano un camminoprogressivo verso l’uniformità delle soluzioni e l’elimina-zione delle sacche di autonomia create dai governi prov-visori nelle regioni annesse. Il modello centralistico si im-pone anche nell’organizzazione della vita didattica e cul-turale della scuola. L’allargamento dell’area di applicazio-ne dei programmi, oltre che a ragioni di ordine ammini-strativo, è dovuto a motivi di ordine politico-ideologico,come riconosce nel 1863 il ministro Michele Amari, al mo-mento di presentare al Re, per l’approvazione, i nuovi pro-grammi per i licei21.

In questo contesto generale vanno inquadrate le altredue direttive che ispirano, fra il 1861 e il 1877, l’attivitàdegli esecutivi nell’ambito della politica della storia: l’or-ganizzazione degli studi e il loro contenuto.

La prima direttiva riguarda le partizioni della mate-ria negli anni di corso: la storia viene distribuita in mo-

la rivoluzione francese viene proposta secondo un’otti-ca moderata (si parla di «trapasso dalla libertà assenna-ta alla libertà eccessiva» e ci si chiede «cagioni e effettidel regno della demagogia» in Francia); il consolato diBonaparte invece viene presentato come «ordinatore eriparatore». La messa in risalto di una tradizione milita-re italiana (dalle imprese guerriere degli antichi Roma-ni alle compagnie di ventura guidate da celebri capita-ni indigeni, dalle lotte dei Comuni contro gli imperato-ri alle vittorie conseguite dai sovrani piemontesi nel cor-so dell’età moderna) vuole contribuire, come scrive ilMinistro nella relazione che accompagna i programmi,a quella «educazione supremamente virile» che «la natu-ra dei tempi e il risorgimento d’Italia» continuano ad esi-gere. Le condanne morali contro l’Austria obbedisconoalla logica di tener desta la tensione contro lo stranieroattraverso il ricordo delle sue pesanti responsabilità nel-le sventure della patria.

A queste stesse tensioni ideali rimandano i criteriin base ai quali viene operata la selezione degli avve-nimenti e dei personaggi degni di essere conosciuti nelprogramma di storia della scuola tecnica; e quello perl’istituto tecnico lascia trasparire dietro formulazionigeneriche una problematica sostanzialmente analoga;inoltre, sottende una filosofia della storia che valutacome assolutamente progressivo sul piano della civil-tà l’orientamento generale dello sviluppo storico in etàmoderna.

Né il legame con la realtà politica del momento siesaurisce in questo. Sotto il peso di avvenimenti sentiticome straordinari (la guerra vittoriosa contro l’Austria, laconquista della Lombardia, il concreto e positivo avviodei processi di realizzazione dell’unità e dell’indipenden-za), e per l’urgenza di compiti eccezionalmente impegna-tivi (l’unità da completare, la piena indipendenza da rag-giungere), le stesse esigenze di corretta informazione edi rispetto dei fatti cedono il passo alla tensione ideolo-

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 98

Page 106: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

99

quale la redazione di nuovi programmi23 si colloca sem-pre nel contesto di una riforma globale del settore, pas-sato nel frattempo alle dipendenze del Ministero diAgricoltura, Industria e Commercio. Nel 1864 la storiaè presente con un programma articolato in due parti,una di «storia particolare d’Italia», l’altra di «cenni di sto-ria generale d’Europa», la quale ingloba anche quei«cenni di storia del commercio e delle industrie» com-presi nel 1860 nel programma di «economia politica».Dà così vita a un’ottica complessa, aperta oltre che al-la politica e alle istituzioni anche alla vita economica,alle classi sociali, al diritto, alle scoperte. Insieme congeografia, con la quale divide l’orario, è insegnamen-to comune nei primi tre anni di tutte le sezioni; la pe-riodizzazione viene lasciata alla libera scelta dell’inse-gnante. Nel 1871 l’insegnamento storico viene invececonsiderato separatamente: esso è presente, nel bien-nio comune di tutte le sezioni, con un monte orariodell’8,3%; nel biennio specialistico delle sole sezionifisico-matematica e commerciale, rispettivamente, conl’8 e il 7,5% delle ore disponibili. Di conseguenza so-lo in queste ultime due la disciplina viene svolta in mo-do organico fino alle parti medievale e moderna, men-tre nelle altre la trattazione si arresta, con il secondoanno, alla caduta dell’Impero romano d’Occidente. Nel1876 la storia viene invece collocata nei primi tre an-ni di tutte le sezioni con 3 ore settimanali, che costi-

do non omogeneo nei vari tipi di scuola, e talora in for-ma contraddittoria all’interno di uno stesso ramo di istru-zione. In 16 anni vengono emanate 7 nuove redazionidi programmi22. La scuola tecnica è quella in cui si ve-rificano meno variazioni: a parte un leggero aumentod’orario che, nel 1867, porta l’insegnamento di linguaitaliana-storia-geografia al 29,3% delle ore disponibili,nell’impostazione e nella stessa periodizzazione dell’in-segnamento storico vengono sostanzialmente confer-mate le soluzioni del 1860. Nella «scuola normale»,l’estensione dell’insegnamento della disciplina anche alprimo anno, promossa nel 1867 (prima era limitata sol-tanto al secondo), e per giunta con un aumento di ora-rio, doveva rivelarsi, alla luce degli sviluppi successivi,il primo passo sulla strada del progressivo aumento del-l’importanza della storia nella formazione dei maestri.Nel ginnasio-liceo vengono sperimentate due soluzio-ni tra loro profondamente diverse. Nel 1863 la materiaviene distribuita su tutti gli otto anni di corso, con lasuddivisione della storia in cinque parti all’interno del-l’intero corso ginnasiale. Nel 1867, soppresso l’insegna-mento storico nei primi tre anni, esso viene invece con-centrato negli ultimi due del corso ginnasiale e nei pri-mi due del corso liceale, con un monte orario che pas-sa, rispettivamente, al 18,2% e al 16,1% del totale com-plessivo.

Più complicato il discorso per l’istituto tecnico, nel

L’uso di emanare programmi come strumento diregolamentazione della vita culturale e didattica dellascuola si afferma in un primo tempo nel ramo classicocon il R.D. del 1° febbraio 1852, Regolamento eprogrammi per gli esami di magistero, in «G.P.G.U.R.», n.30-31-32-33-35-36-37-38-40-42,4/5/6/7/10/11/12/13/16/18 febbraio 1852). Essoviene esteso nel 1853 alle scuole di metodo riformatecon il R.D. n. 1599 del 21 agosto 1853, Approvazione delregolamento delle scuole pei maestri delle scuoleelementari e speciali, in C.C., 1853, pp. 820-837;Programmi per le scuole magistrali inferiori e superiori,annessi al Regolamento, ibid., pp. 837-842. Le tappedella generalizzazione di tale uso sono le seguenti:Decreto del ministro dell’Istruzione Pubblica del 3 ottobre1855, Programmi per le scuole secondarie, in C.C., 1856,p. 66-79; R.D. n. 1496 del 6 marzo 1856, Regolamento eprogrammi per gli esami di magistero, in «G.P.G.U.R.»,

supplimento al n. 74, 26 marzo 1856; R.D. 12 ottobre1856, Regolamento e programmi per le scuole speciali, in«G.P.G.U.R.», supplimento 1 al n. 260, 25 ottobre 1856;R.D. del 19 dicembre 1858, Approvazione dei programmiper le scuole normali e magistrali delle allieve maestre, inC.C., 1858, pp. 1127 sgg. La legge Casati, estendendo aldi fuori dello Stato sabaudo una soluzione di tecnicaamministrativo-legislativa collaudata in Piemonte neldecennio precedente, sottraeva definitivamente alcontrollo del legislativo e a quello dell’opinione pubblica eriservava esclusivamente al potere discrezionaledell’esecutivo compiti di importanza fondamentale nelladirezione ideologico-culturale e nell’organizzazione dellapratica didattica: il ministro della Pubblica Istruzione sivedeva riconosciuto il potere di determinare medianteregolamento «l’ordine, la misura e l’indirizzo» secondo iquali i vari insegnamenti dovevano «essere dati» (art.192); quindi, anche i programmi.

L’adozione dei programmi come strumento per regolamentare la vita culturale e didattica della scuola del grado medio

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 99

Page 107: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

100

24. Cfr. V. Cuoco, Rapporto al reGioacchino Murat e progetto di de-creto per l’organizzazione dellapubblica istruzione, in Collezionedelle leggi, dei decreti e di altri at-

ti riguardanti la pubblica istruzio-ne promulgati nel già reame diNapoli dall’anno 1806 in poi,Stamperia del Fibreno, Napoli 1861-63, I, pp. 118-120 e 207-208. Nel se-

negativo, da respingere. Nello stesso senso, i program-mi di storia per gli istituti tecnici del 1864, pur firmatida un ministro diverso da quello dell’Istruzione, per laprima volta nel grado superiore dell’istruzione tecnicaprevedono la presenza in posizione privilegiata, conuno spazio a sé, di una parte dedicata alla storia nazio-nale.

Ma la storia come disciplina scolastica viene per-dendo alcuni degli aspetti legati alla situazione ecce-zionale del 1860. I programmi De Sanctis per le scuo-le normali, mentre introducono con maggiore ricchez-za momenti e autori della cultura letteraria italiana, ri-ducono la presenza dei sovrani della dinastia sabaudae recepiscono anche qualche impostazione nettamen-te ghibellina. Nel 1863 dai programmi per la scuola

classica, firmati da Michele Ama-ri, cadono gli anacronismi piùplateali, si attenua lo stretto le-game fra Casa Savoia e l’indipen-denza e l’unità italiane in etàmoderna, scompaiono le con-danne morali contro l’Austria.Queste scelte appaiono in sinto-nia con la personalità del Mini-stro. Questi, infatti, storico di ori-gine siciliana, dopo la pubblica-zione nel 1842 dell’opera Laguerra del Vespro, che lo ha fat-to dichiarare persona sgraditanel Regno delle Due Sicilie, èemigrato a Parigi, ha imparato lalingua araba e cominciato a stu-diare la Sicilia musulmana, pub-blicando opere di grande rilie-

vo. Rimasto estraneo all’impostazione ideologica e al-le tematiche delle due maggiori correnti della storio-grafia risorgimentale, rispetto a queste si è rivelato as-sai più attento agli aspetti scientifici che non a quellipolitico-ideologici del lavoro storico. Nel 1864 i pro-grammi per gli istituti tecnici recepiscono quasi tuttigli orientamenti revisionistici proposti l’anno prima daMichele Amari nel liceo classico. Soprattutto, questoorientamento emerge nei programmi emanati nel 1867dal ministro Michele Coppino, l’uomo politico piemon-

tuiscono il 5,9% dell’orario complessivo nella sezionefisico-matematica e una parte oscillante tra il 6 e il 6,9%nelle altre tre sezioni. La materia, oggetto di una iden-tica trattazione in tutte le sezioni, si estende dall’anti-chità ai «nostri giorni», ma la parte antica è fortementeridotta e la ripartizione cronologica favorisce una mag-giore enfasi sulle parti medievale e moderna. Nel 1877il programma riattribuisce una maggiore importanza al-la parte antica, secondo la richiesta pressoché unani-me degli insegnanti che hanno risposto a un’inchiestaministeriale svolta tramite questionario. Rimane inve-ce invariato il monte ore, per quanto l’orario comples-sivo delle lezioni venga ridotto.

La revisione degli stereotipirisorgimentaliIl secondo filone di intervento ri-guarda la revisione dell’impostazio-ne ideologica generale. Esso è lega-to in parte alla personalità dei mi-nistri, in parte all’evoluzione gene-rale della vita del nuovo Stato. Il di-segno generale di educazione poli-tica rimane immutato nelle sue li-nee di fondo: formazione all’amoredi una patria unita e indipendente;alla fedeltà alla monarchia che haguidato il riscatto; ai valori del grup-po liberale-moderato. In questa di-rezione, i programmi emanati nel1861 dal grande critico e storico del-la letteratura Francesco De Sanctisper le scuole normali cercano la massima efficacia. Perun verso, essi optano per una più radicale riduzionedella storia, al secondo anno, a racconto e biografia,approfondendo una scelta già chiaramente impostatain Piemonte al tempo di Lanza. Probabilmente questadecisione è presa anche per impulso dello stesso Mi-nistro, che certo conosceva il tentativo di definire le ca-ratteristiche di una «storia de’ giovinetti», operato a Na-poli da Vincenzo Cuoco nel 1809: egli, infatti, avevagià avuto una esperienza di riformatore scolastico a Na-poli nel 184824. Per un altro verso, sempre con lo sco-po di raggiungere la massima efficacia sul piano edu-cativo, i programmi di De Sanctis generalizzano la tec-nica di contrapporre personaggi animati da atteggia-menti opposti rispetto alle fortune d’Italia (come CarloVIII e Pier Capponi), in modo da considerare quasi sem-pre abbinati un modello positivo, da accettare, e uno

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

Il disegno generale di educazione

politica rimaneimmutato […]:

formazione all’amore di una patria unita

e indipendente; alla fedeltà alla

monarchia che haguidato il riscatto;

ai valori del gruppo

liberale-moderato

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 100

Page 108: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

101

condo volume della stessa opera, inun’appendice alle pp. 29 e sgg. e 41e sgg., sono riportati due progettidi legge del 1848-49 dedicati, rispet-tivamente, a scuole normali prima-

rie e alla riforma dell’insegnamen-to secondario; essi furono prepara-ti da una Commissione provvisoriadi pubblica istruzione di cui facevaparte anche Francesco De Sanctis.

seconda del tipo di scuola viene precisata nell’imposta-zione didattica e nell’orientamento ideologico, facendoemergere le motivazioni politico-sociali che sono sotte-se alle differenze contenutistico-didattico-valoriali e chele giustificano. Nella scuola classica l’insegnamento sto-rico deve consistere «nella concatenata esposizione deifatti ammessi dalla critica, nell’indicarne le cause imme-diate o remote, gli effetti, le relazioni». Incentrato su «ar-mi» e «leggi», «espressione felice del bello» e «ardimento-se indagini del vero», esso deve «educare gli animi allascuola severa delle grandi virtù, dei grandi errori», insi-nuare «disprezzo ed aborrimento alla colpa, ammirazio-ne alla virtù», insegnare a «serbare […] affetti alle causegiuste anche infelici, non a tributare coi volghi plausoal successo», rendere «divoti ai principii di sociale giu-

stizia», finalmente abituare gli stu-denti «per la conoscenza del passa-to alla comprensione della societàpresente del cui bene vogliono di-ventare primari operatori o nelleprofessioni liberali o negli uffizi go-vernativi». Nella scuola tecnica latrattazione va limitata «alla succes-sione dei fatti principalissimi» ed in-centrata intorno alle figure dei per-sonaggi. «Aiuto di memoria e d’intel-ligenza» ed «efficacia morale dell’in-segnamento» vengono dichiarate mo-tivazioni alla base di queste due im-postazioni, esplicitando i presuppo-

sti di una strada che era stata percorsa già nel Piemon-te sabaudo, e che i programmi De Sanctis avevano re-so più evidente. Aperta alla considerazione dei «progres-si delle arti», delle «invenzioni» e delle «scoperte», soprat-tutto quando queste sono state «frutto della costanza edello sforzo individuale, anziché dello splendido aiutodi principi e mecenati», essa deve «avviare gli uomini al-l’acquisto di nozioni e di cognizioni giovevoli al lorostato futuro d’industria, di artefici, di commercianti, diagricoltori» e «soccorrere in modo pratico ad una decen-te istruzione politica», non solo in senso patriottico maanche verso l’accettazione del proprio ruolo, subalter-no ma non per questo privo di grande importanza egrande dignità, nella società.

tese che dieci anni dopo avrebbe varato una storica ri-forma della scuola elementare, rendendola obbligato-ria e gratuita. I programmi Coppino rappresentano l’in-tervento di direzione politico-ideologica e didattico-culturale più significativo del primo decennio della vi-ta unitaria per almeno quattro aspetti. Le scelte sonodichiaratamente consapevoli: realizzare «una semplici-tà maggiore nella materia degli studi, e nell’ordine lo-ro» e ridefinire quantità, qualità, contenuti in più stret-ta relazione al fine specifico di ciascuna scuola. Le te-matiche affrontate sono complesse e vanno dagli ora-ri all’orientamento ideologico, dalla ridefinizione deicurricula agli strumenti della pratica didattica. Sono in-teressate tutte le scuole: ginnasio, liceo, scuole norma-li e lo spezzone di istruzione tecnica rimasto sotto ilMinistero della Pubblica Istruzione,cioè le scuole tecniche. L’area diapplicazione è più ampia di ogniprecedente intervento perchè ri-guarda tutto il territorio del Regno,comprese le province appena an-nesse in seguito alla terza guerrad’indipendenza. All’indomani dellaterza guerra di indipendenza e del-le sconfitte di Lissa e Custoza vis-sute come umilianti, il compito di«confortare l’amor di patria per laconoscenza più esplicita delle na-zionali vicende» viene ripensato conuna notevole accentuazione dellalezione revisionistica dei programmi Amari e con untono nettamente antiretorico. «Parlando di storia patria,gli insegnanti devono guardarsi dal giudicare gli uo-mini e le cose passate colle opinioni e, peggio, collepassioni del presente», astenersi «dal triste vezzo di lo-di e di vituperii prestabiliti a scrittori, a capitani, a prin-cipi, a papi, lodi e vituperii che rassomigliano troppoal fremito dello schiavo», far sentire invece «alla liberagenerazione […] la dura ma salvatrice parola, che sel’Italia in passato fu serva, debole, dispregiata, la col-pa primiera fu degli Italiani: perché i popoli, se nonhanno sempre il governo che bramano, hanno pursempre il governo che si meritano».

La differenza di modello di insegnamento storico a

realizzare «unasemplicità maggiorenella materia deglistudi, e nell’ordine

loro» e ridefinirequantità, qualità,contenuti in piùstretta relazione

al fine specifico diciascuna scuola

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 101

Page 109: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

102

4Gianni Di Pietro • La formazione dei programmi di storia nelle scuole medie italiane nel secolo XIX

"R.D. del 9 ottobre 1848, Approvazione del regolamentointerno e del piano di studii pei convitti nazionali, inC.C., 1848, pp. 1153-1162; Piano di studii, ibid., pp.1162-1172 e, in particolare per l’insegnamento storico,p. 1165, pp. 1166-1167, p. 1168. Il Piano di studiianche in «G.P.G.U.R.», n. 289, 7 novembre 1848, conuna lacuna probabilmente dovuta a un errore di stampa.

"R.D. 1 febbraio 1852, Regolamento e programmi pergli esami di magistero,in «G.P.G.U.R.», nn. 30-31-32-33-35-36-37-38-40-42,4/5/6/7/10/11/12/13/16/18 febbraio 1852. Iprogrammi di storia per gli esami di magistero sonopubblicati anche in «G.P.G.U.R.», n. 38 e 40, 13 e 16febbraio 1852.

"R.D. n. 1599 del 21 agosto 1853, Approvazione delregolamento delle scuole pei maestri delle scuoleelementari e speciali, in C.C., 1853, pp. 820-837;Programmi per le scuole magistrali inferiori e superiori,annessi al Regolamento, ibid., pp. 837-842.

"Decreto del ministro dell’Istruzione Pubblica del 3ottobre 1855, Programmi per le scuole secondarie, inC.C., 1856, p. 66-79.

"R.D. n. 1496 del 6 marzo 1856, Regolamento eprogrammi per gli esami di magistero,in «G.P.G.U.R.»,supplimento al n. 74, 26 marzo 1856.

"R.D. 12 ottobre 1856, Regolamento e programmi perle scuole speciali, in «G.P.G.U.R.», supplimento 1 al n.260, 25 ottobre 1856.

"R.D. 19 dicembre 1858, Approvazione dei programmiper le scuole normali e magistrali delle allievemaestre, in C.C., 1858, p. 1127 sgg. Questi ultimifurono firmati dal nuovo ministro C. Cadorna,succeduto a Giovanni Lanza.

"Circolare n. 88 del 29 settembre 1860 del Ministerodell’Istruzione Pubblica ai consigli direttivi, ai direttoried agl’insegnanti delle scuole normali per allievimaestri ed allieve maestre, Variazioni da introdursinegl’insegnamenti praticati nelle scuole normali, inC.C., 1860, pp. 1583-1584.

"Decreto luogotenenziale n. 4414 del 14 novembre1860, Approvazione dei programmi per gli esame finalidel corso ginnasiale, in «G.U.R.I.», n. 280, 24novembre 1860; Decreto luogotenenziale. n. 4463 del

17 novembre 1860, Approvazione dei programmi pergli esami del corso liceale, in «G.U.R.I.», n. 297 e 298,14 e 15 dicembre 1860.

"Decreto Luogotenenziale n. 4464 del 24 novembre1860, Approvazione dei programmi d’esame per lescuole tecniche e per gli istituti tecnici, e programmid’esame per le scuole tecniche e per gli istituti tecnici, in«G.U.R.I.», supplimento al n. 301, 19 dicembre 1860.

"R.D. n. 315 del 9 novembre 1861, Approvazione delregolamento e dei programmi per le scuole magistralie normali e per gli esami di patente dei Maestri e delleMaestre, in «G.U.R.I.», supplimento al n. 294, 4dicembre 1861.

"R.D. n. 1530 del 29 ottobre 1863, Approvazione deiprogrammi per le pubbliche scuole secondarieclassiche del regno, in «G.U.R.I.», supplimento al n.279, 25 novembre 1863.

"Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio,Insegnamento professionale e industriale, s.e., s.I.,1864. I programmi di storia alle pp. 136-142.

" Istruzioni e programmi per l’insegnamento della storianella scuola classica, in «G.U.R.I., supplimento 1 al n.291, 24 ottobre 1867.

" Istruzioni e programmi per l’insegnamento dellageografia e della storia nelle scuole tecniche, in«G.U.R.I.», supplimento 1 al n. 291, 24 ottobre 1867.

" Istruzioni e programmi per l’insegnamento della linguaitaliana, della geografia e della storia nelle scuolenormali e magistrali, in «G.U.R.I.», supplimento 1 al n.291, 24 ottobre 1867.

"Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio,Programmi degli istituti tecnici, Tipografia Claudiana,Roma 1871, pp. 27-34.

"R.D. n. 511 del 5 novembre 1876. Programmi per gliinsegnamenti di ciascuna sezione degli istituti tecnici,in Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio,L’ordinamento e i programmi di studio negli istitutitecnici, Tipografia Eredi Botta, Roma 1878.

"Circolare n. 151 del 26 ottobre 1877. Programmi pergli insegnamenti di ciascuna sezione degli istitutitecnici, in Ministero di Agricoltura, Industria eCommercio, L’ordinamento e i programmi di studionegli istituti tecnici, Tipografia Eredi Botta, Roma 1878.

Dai programmi di storia del Piemonte sabaudo a quelli dell’Italia liberale

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 102

Page 110: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mr

103

25. Cfr. G. Ricuperati, L’insegna-mento della storia dall’età dellasinistra ad oggi, in «Società e sto-ria», 6, 1979, pp. 763-792. Di Pietro,Potere politico e insegnamento

della storia in Italia dalla finedell’Ottocento alla caduta del fa-scismo. I. I dibattiti dell’età giolit-tiana e i tentativi di riforma delprimo dopoguerra, in «Quaderni

dell’Istituto per la Storia della Re-sistenza in Provincia di Alessan-dria», I, 2, 1978, pp. 19-53. Id., Dal-la Riforma Gentile alla svolta del1930, in «Quaderni dell’Istituto per

la Storia della Resistenza in Provin-cia di Alessandria», II, 3, 1979, pp.27-112.

continua a seguire la vicenda di Casa Savoia, ma permetterne in luce il costante inserimento nel grande gio-co politico-diplomatico europeo durante l’età moderna.La rivendicazione di una tradizione in tal senso sembravoler legittimare ora, nell’orientamento di chi studia sto-ria nei corsi superiori degli istituti tecnici, il ruolo cui ilnuovo Stato e la dinastia cominciano ad aspirare in po-litica estera: entrare con piena dignità e con pieno di-ritto nel novero delle grandi potenze europee.

Le Avvertenze del 1877 confermano lo stretto legamedella storia con l’insegnamento geografico. Molto signi-ficativamente, considerano però solo una delle due di-mensioni in cui quest’ultimo era stato presente nel testodel 1871, quella politico-diplomatica, e presentano ve-nature già vagamente espansionistico-coloniali: uno stu-dio della geografia che ha lo scopo di «seguire […] il cam-mino dei popoli e le vie delle loro emigrazioni e dei lo-ro commerci, segnando le dimore, il crescere o decre-scere dei loro regni». Contemporaneamente, il program-ma dà rilievo assai maggiore alle guerre e ai personaggiche non alla lotta politica o alle istituzioni. La formazio-ne patriottica comincia così a collegarsi con l’aspirazio-ne a una politica di potenza. In questa direzione, nazio-nalismo, prima, e fascismo, poi, troveranno un terrenomolto ben preparato25.

Le nuove preoccupazioni ideologicheIl programma di storia per gli istituti tecnici del 1871, aun anno dalla conquista e dalla proclamazione di Romacapitale del nuovo Regno, segna sul piano politico-ideo-logico la conclusione di questo processo di assestamen-to e, nello stesso tempo, apre a nuove suggestioni. Ilcammino risorgimentale-unitario è quasi concluso e ilruolo della monarchia piemontese in esso non è più indiscussione. L’Italia come Stato unitario è una realtà e ilruolo dei Savoia nella costruzione di esso, e poi alla suaguida, è un dato ormai indiscutibile. Pertanto, gli ana-cronismi risorgimentali e la rivendicazione di una pre-occupazione costante da parte dei Savoia per unità e in-dipendenza della patria italiana non hanno più utilitàpolitico-ideologica immediata. Nel nuovo contesto, l’in-segnamento della storia rimane strettamente collegato aquello di geografia. Questa, per un verso, deve chiari-re «coll’aiuto dei fatti e dei confronti [ …] quale sia equanta l’influenza del clima sull’uomo, sulla società, sul-le istituzioni, sulle industrie, sul commercio delle nazio-ni», per un altro, diventa studio dell’evoluzione dei con-fini nel corso del tempo. Il programma di storia sembracogliere soprattutto questa seconda dimensione: perciò,sposta l’accento dalla vita economica agli avvenimentipolitico-diplomatico-militari. Il profilo storico proposto

3_MUN_R_097-103(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:01 Pagina 103

Page 111: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

104

La rivoluzioneindustrialeLa rivoluzioneindustriale

a cura di Luigi Cajani

La transizione neolitica, la rivoluzione industriale, icomplessi processi di trasformazione che comprendiamosotto la sigla “globalizzazione” sono tre momenti cheperiodizzano la storia umana. Perciò, sonofondamentali – nel senso letterale del termine – anchedal punto di vista della formazione. La rivoluzioneindustriale, fino a poco tempo fa, era stata studiatacome uno snodo essenziale della storia europea, il“trampolino di lancio” della sua supremazia mondiale,ma anche la naturale conseguenza della sua superioritàculturale.Oggi, sullo sfondo della planetarizzazione, poneproblemi diversi e nuovi: perché accade in Europa e nonin Cina, in India o in Giappone? È possibile inserirequesto fenomeno in una prospettiva di lungo periodomondiale, e non soltanto europea? A lungo considerata“simbolo della modernità”, l’industria riempie le nostrecittà dei suoi relitti. E una nuova disciplina,l’archeologia industriale, ci racconta una modernità dialtri tempi, ormai definitivamente passata.

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:02 Pagina 104

Page 112: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

105

mundusdossierL’ampliamento degli orizzonti storiografici

1 Tommaso DettiLa rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

2 Salvatore CiriaconoLa rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

3 Paolo MalanimaCrescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

4 Paolo MalanimaLa transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

I luoghi dell’industrializzazione italiana

5 Pietro Umberto FogaleL’industria a Bolzano 1848-1948

6 Franco GhiginiDove l’uomo lavorò il ferro. Il sistema museale della Valle Trompia

7 Luigi CortesiIl villaggio operaio di Crespi d’Adda

Dalla fabbrica al museo

8 Gabriella GnettiLa centrale Montemartini di Roma

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:02 Pagina 105

Page 113: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Luigi Cajani

La rivoluzione industriale non è pa rivoluzione industriale non è piùquella di un tempo. Trent’anni fa sene studiavano soprattutto gli aspettitecnologici, economici e sociali:l’attenzione si concentrava

sull’accumulazione originaria del capitale, sullenuove macchine, sulle condizioni della classeoperaia, sul pauperismo e i sistemi di assistenza. Esoprattutto l’orizzonte geografico era limitatoall’Inghilterra, seguita poi dal resto dell’Europa edagli Usa: che si trattasse di un fenomeno europeo,con la sua appendice nordamericana, era unatranquilla ovvietà. Lo si considerava la tappanecessaria di un cammino di progresso scientifico etecnologico, unico al mondo, iniziato con ilRinascimento. Oggi, la prima cosa che colpisce chisi avvicina a questo tema storiografico è proprio ilmutare dell’orizzonte geografico, per l’entrata inscena di un nuovo attore: la Cina. Nuove ricerche,legate anche al recente forte sviluppo dellastoriografia cinese, mostrano che nell’Impero Qingsi erano sviluppate molte di quelle condizioni, qualimercato dei capitali, libertà della forza lavoro,invenzioni e macchine, che sembravano esserestate appannaggio della sola Inghilterra. Di qui ladomanda: perché allora proprio in Inghilterra? Qualialtri fattori, oltre a quelli che sembravano costituireun manifest destiny europeo, sono entrati in gioconella nascita di quella rivoluzione industriale che haportato alla supremazia dell’Europa eall’affermazione del suo modello di sviluppo? Forsela fortuita e fortunata circostanza di avere adisposizione risorse, all’interno, come il carbone, eall’estero, come le Americhe, che hanno permessodi superare una crisi strutturale. Il quadrointerpretativo della rivoluzione industriale si èdunque fatto più complesso e si è sviluppato inun’ottica comparativa. Questa fondamentaleevoluzione dello sguardo storiografico vienericostruita da Tommaso Detti nell’articolo Larivoluzione industriale dall’Europa al mondo, che

Lapre la prima parte di questo dossier, dedicata allerecenti acquisizioni della ricerca. Detti mette in lucea questo proposito il persistente eurocentrismo chedomina la storiografia italiana, un ostacolo contro ilquale si è scontrato il tentativo di introduzione diuna visione mondiale dell’insegnamento della storiafatto nel 2001 dalla Commissione De Mauro. Ad uncontesto non europeo è dedicato anche l’articolo diSalvatore Ciriacono, La rivoluzione industriale inGiappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji.Protagonista da tempo riconosciuto dellarivoluzione industriale, il Giappone non ne ha peròmai messo in discussione la centralità europea,forse perché entrato tardivamente sulla scena econsiderato, almeno nella manualistica, unfenomeno di imitazione. Il che già non sarebbeirrilevante, se solo si riflettesse sulle differenze esulle somiglianze nelle condizioni di partenza.Ciriacono mette qui in luce comel’industrializzazione del Giappone abbia radicianche nella struttura economica della tarda epocaTokugawa, radici la cui influenza si è mantenuta alungo in epoca Meiji.Ma l’innovazione storiografica non riguarda soltantol’orizzonte geografico, bensì anche alcuni aspetti delrapporto fra macchine e nuove forme di energia, daun lato, e ambiente, dall’altro. Negli ultimi annil’ambiente è balzato alla ribalta, anchenell’insegnamento scolastico. Il cambiamentoclimatico globale è diventato uno dei temimaggiormente all’attenzione dell’opinione pubblicae della politica internazionale, e il ruolodell’inquinamento di origine industriale ha datoluogo a forti controversie, in particolare legate alprotocollo di Kyoto, che impone misure di riduzionedei gas serra tali da influire sui sistemi economicistatali. La climatologia storica è quasi diventata dimoda, anche grazie a Al Gore e al suo film-documentario An Inconvenient Truth, del 2006, eormai la hockey-stick curve, quella curva a forma dibastone da hockey su ghiaccio che descrive il balzo

106

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:02 Pagina 106

Page 114: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

nell’incremento della concentrazione di anidridecarbonica nell’atmosfera a partire dall’inizio dellarivoluzione industriale, sta entrando a far parte delleconoscenze diffuse dalla scuola. Fra parentesi, laclimatologia storica ha delle grandi potenzialità sulpiano didattico, perché attraverso un progettointerdisciplinare fra storia, geografia e scienzeconsente di costruire una visione complessa delrapporto fra ambiente ed esseri umani, e diampliare l’approccio fondamentalmente politico-culturale che ancora domina l’insegnamento dellastoria. I due articoli di Paolo Malanima, Crescita ematurità e La transizione energetica in Europa, chechiudono questa prima parte del dossier, illustranoappunto due nuovi filoni di ricerca, il primo sullaproduttività del lavoro e il secondo sulla produzionedi energia. Entrambi trattano il problema su un arcodi tempo plurimillenario, che parte dalla rivoluzioneneolitica, a cui è stato dedicato il dossier apparsosul primo numero di Mundus. Viene così stabilito uncollegamento fra questi due dossier, che affrontanodue momenti periodizzanti forti, probabilmente i piùforti, della storia dell’Umanità, e vogliono suggerireuno dei fili conduttori di una programmazionedidattica.La seconda parte del dossier è anch’essa dedicataa un nuovo aspetto della rivoluzione industriale,che solo in tempi relativamente recenti si èimposto all’attenzione degli storici e degliinsegnanti: l’archeologia industriale. Ormai i sitiprotetti e restaurati si stanno moltiplicando congrande velocità, alcuni sono anche stati inseritidall’UNESCO nella lista del Patrimoniodell’Umanità, il che sancisce il riconoscimento delloro valore culturale. A livello internazionale, patriadell’archeologia industriale è la Gran Bretagna,dove nel 1973 è stato fondato l’InternationalCommittee for the Conservation of the IndustrialHeritage, che si occupa dello sviluppo di questosettore di ricerca, e di cui esiste dal 1997 unasezione italiana, l’Associazione italiana per il

patrimonio archeologico industriale. Vengono quipresentati quattro siti italiani, scelti per la diversitàdelle loro caratteristiche, e che offrono moltisuggerimenti per l’inserimento di altri siti analoghiin progetti didattici sull’industrializzazione. Il primoarticolo riguarda il tessuto industriale di Bolzano, erappresenta un modello classico di approccio ailuoghi dell’insediamento industriale di una città,con particolare attenzione agli aspetti politico-economici. Il secondo articolo riguarda un’industriaspecifica, quella del ferro, in una delle zone piùsignificative in Italia, la Val Trompia, dove essa èstata fiorente per secoli, il che consente fra l’altroun confronto fra età preindustriale ed etàindustriale. Segue poi un articolo su uno dei piùimportanti villaggi industriali, quello di Crespid’Adda, che fra l’altro fa parte dal 1995 dei sitidell’UNESCO, e dove il centro dell’interesse èrappresentato dall’esperimento sociale. Chiude lasezione un articolo sulla centrale elettricaMontemartini di Roma, centro di grande interessesul piano tecnologico, ma soprattutto sbalorditivoe affascinante sul piano estetico. Accanto allemacchine sono infatti esposti un gran numero direperti archeologici dell’antichità romana, cheproducono un effetto unico attraverso uncontrasto molteplice di forme, di materiali e disimboli: la bellezza e la funzionalità, il marmo e laghisa, il motore e la divinità, l’industria e l’arte.Questa esperienza unica, che abbiamo scelto diillustrare con un ampio apparato iconografico perfarvi partecipare in qualche modo il lettore che nonabbia la possibilità di recarsi a Roma, puòsuggerire, al di là del suo contesto specifico, datodal contrasto, una riflessione e una ricerca sulrapporto, questa volta di continuità, fra rivoluzioneindustriale e arti figurative. Un progettointerdisciplinare fra storia e storia dell’artepotrebbe infatti studiare in che modo le macchine,la velocità, la visione dall’alto consentita dagli aereisi riflettono soprattutto nella pittura dell’epoca.

md

è più quella di una volta

107

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 107

Page 115: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

La rivoluzione industrialedall’Europa al mondoProvincializzare la rivoluzione industrialeAlla metà degli anni Novanta, essendomi capitato di scrivere il capitolo sulla rivo-luzione industriale di un libro di testo per i licei1, ne proposi una lettura che oggidefinirei molto tradizionale. Al quesito «perché in Inghilterra e non altrove?» ri-sposi ponendo in primo piano le innovazioni tecnologiche e il passaggio da un’eco-nomia «organica» a una «a base minerale»2, non senza rinviare a una lunga serie difattori canonici: insularità, “libere” istituzioni, urbanizzazione, sviluppo agrario, di-namismo del mercato interno ed estero, supremazia navale ecc. L’«altrove» delladomanda, però, era costituito soltanto da altre aree europee e che non vi sussistes-sero i medesimi “prerequisiti” era dato quasi per scontato. Quanto al resto del mon-do, esso compariva unicamente perché la Gran Bretagna possedeva un impero escambiava manufatti, materie prime e schiavi con l’Asia e con l’America.

Quel capitolo non era un’eccezione: tuttora, al contrario, nei manuali del no-stro Paese le narrazioni della rivoluzione industriale si riferiscono spesso alla so-la Europa nord-occidentale (se non alla sola Inghilterra) e ne propongono im-magini desunte per lo più dagli studi degli anni Sessanta del Novecento, trascu-rando quelli più recenti. Perché? A mio parere essenzialmente per due motivi.

Il primo risiede nel radicato eurocentrismo della storiografia italiana, il secon-do nella relativa incomunicabilità che vi è diffusa non solo tra storia economica estoria “generale”, ma anche tra storia medievale, moderna e contemporanea. L’unoha prodotto un singolare paradosso: anche quando è considerata una cesura fon-damentale nella storia dell’intera umanità, sovente la rivoluzione industriale vieneletta in un’ottica esclusivamente europea, ciò che – in assenza di riferimenti ad al-tre aree del globo – la sua localizzazione geografica non basta a giustificare. L’altroha fatto sì che le ricerche degli ultimi decenni avessero scarsi echi fuori dalla cer-chia degli specialisti3 e, soprattutto, non si tenesse abbastanza conto degli studi suiprecedenti di lungo periodo del fenomeno. Persino classici come quelli di Braudele Wallerstein4 sono stati più spesso citati che analizzati criticamente.

Se questa diagnosi è fondata, la necessità di «provincializzare la rivoluzioneindustriale»5 è del tutto evidente. Per farlo occorre, da un lato, aprire le paratìeche separano i sottosettori della storiografia italiana, adottando una dimensio-ne temporale di lungo periodo, dall’altro, assumere un punto di vista basato sulpresente anziché sul passato, collocando il fenomeno in una dimensione spazia-le planetaria. Ignorare il resto del mondo o dare per acquisite senza verifica ideericevute come quelle sul modo di produzione e sul dispotismo asiatici era giàdiscutibile almeno da quando fu pubblicato Il miracolo europeo di Eric Jones6;i processi di globalizzazione degli ultimi decenni rendono un approccio del ge-nere del tutto improponibile.

Rivoluzione o evoluzionePrima di passare in rassegna alcune interpretazioni volte a ricontestualizza-re la rivoluzione industriale, è dunque il caso di fare almeno un cenno al di-battito degli anni Ottanta-Novanta, se non altro per le sue implicazioni in ta-le prospettiva. Ad essere messa in forse fu la nozione stessa di rivoluzione in-dustriale in quanto mutamento non soltanto radicale, ma anche molto rapi-do. Basandosi su analisi macroeconomiche e sofisticati modelli quantitativi,

1. Cfr. T. Detti, N. Gallerano, G. Gozzini, G. Greco,G. Piccinni, La società moderna e contempora-nea, vol. III. L’età delle rivoluzioni e della borghe-sia, Bruno Mondadori, Milano 1997, pp. 10-29.2. Cfr., rispettivamente, D. S. Landes, Prometeoliberato. Trasformazioni tecnologiche e svilup-po industriale nell’Europa occidentale dal1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino 1978 (ed.or. The Unbound Prometheus. TechnologicalChange and Industrial Development in We-stern Europe from 1750 to the Present, Cam-bridge University Press, Cambridge 1969) e E.A. Wrigley, La rivoluzione industriale in In-ghilterra. Continuità, caso e cambiamento, IlMulino, Bologna 1992 (ed. or. Continuity, Chan-ce and Change. The Character of the IndustrialRevolution in England, Cambridge UniversityPress, Cambridge-New York 1988).3. In molti casi, peraltro, a ciò ha contribuitoanche il loro taglio, che le rende difficilmenteutilizzabili da parte di chi non possegga cono-scenze non proprio banali in fatto di teorie eco-nomiche e metodi quantitativi.4. Cfr. F. Braudel, Civiltà materiale, economiae capitalismo (secoli XV-XVIII), 3 voll., Einaudi, To-rino 1981-1982 (ed. or. Civilisation materielle,économie et capitalisme (XVe-XVIIIe siècle), A. Co-lin, Paris 1979); Immanuel Wallerstein, Il siste-ma mondiale dell’economia moderna, 2 voll.,Bologna 19782-1982 (ed. or. The Modern World-System, Academic Press, New York 1974-1980).5. Così P. K. O’Brien, Provincializing the FirstIndustrial Revolution, Global Economic HistoryNetwork Working Paper n. 17/06, 2006,http://www.lse.ac.uk/ collections/economicHistory/GEHN/GEHNPDF/WorkingPaper17-POB.pdf. Ringrazio l’autore per avermi permesso dicitare questo saggio, in via di pubblicazione inRe-conceptualizing the Industrial Revolution, acura di J. Horn et al., MIT Press, Boston.

l’ampliamento degli orizzonti sto rio

1Tommaso Detti

108

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 108

Page 116: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdsto riografici

Fig. 1 Produzione industriale, popolazione e produzione industriale pro capite in GranBretagna, 1700-1870.Fonti: N. F. R. Crafts, S. J. Leybourne, T. C. Mills,Trends and Cycles in British IndustrialProduction, 1700-1913, in «Journal of the RoyalStatistical Society», CLII, 1, 1989, pp. 43-60, qui p.58; E. A. Wrigley, R. S. Schofield, The PopulationHistory of England, 1541-1871: AReconstruction, Harvard University Press,Cambridge (Mass.) 1981, pp. 533-535. Unanalogo istogramma, ma a scala logaritmica, è inR. V. Jackson, Rates of Industrial Growth Duringthe Industrial Revolution, in «The EconomicHistory Review», XLV, 1, 1992, pp. 1-23, qui p. 5.Commento all’immagine: per renderecomparabili l’indice della produzione industrialecalcolato da Crafts, Leybourne e Mills (che tra il1700 e il 1870 sale da 1,82 a 40,20) e i dati sullapopolazione (che nello stesso periodo passa da5.026.877 a 21.239.824 persone), i valori inizialidi entrambe le serie sono stati fatti = 100. Lostesso dicasi per la produzione pro capite,ottenuta dividendo il primo dato per il secondo.L’istogramma mostra come la produzione,quadruplicata in circa 120 anni dal 1700,impieghi poi appena 20 anni per moltiplicarsi dialtre 5 volte. Significativo è infine il dato dellaproduzione pro capite, la cui crescita risultainferiore a quella della popolazione nel primoquarantennio dell’Ottocento, per superarlasoltanto dopo il 1840.

alcuni studiosi sostennero che fino al 1830 la crescita della Gran Bretagnaera stata più lenta di quanto si pensasse (Fig. 1) e vi fu chi propose di ridefi-nirla come un’evoluzione, invece che una rivoluzione. Altri obiettarono chei dati aggregati occultano la realtà di uno sviluppo impetuoso ma settoriale,i cui effetti – a quel livello – non possono essere visibili che a distanza di tem-po7. Tolte alcune posizioni estreme8, peraltro, le interpretazioni “revisioniste”di quella fase accreditarono sì l’immagine di uno sviluppo più lento e diste-so nel tempo, ma non negarono l’“unicità” della rivoluzione industriale e lasua importanza «in quanto discontinuità storica»9.

6. Cfr. E. L. Jones, Il miracolo europeo. Am-biente, economia e geopolitica nella storiaeuropea e asiatica, Il Mulino, Bologna 1984(ed. or. The European Miracle. Environments,Economics and Geopolitics in the History ofEurope and Asia, Cambridge University Press,Cambridge 1981). Il confronto tra grandi im-peri asiatici e sistema degli Stati europei eraperaltro un punto chiave della sua interpre-tazione.7. Per una panoramica cfr. J. Mokyr, Leggerela rivoluzione industriale, Il Mulino, Bologna1997 (ed. or. Editor’s Introduction: The New

Economic History and the Industrial Revo-lution, in Id. (a cura di), The British IndustrialRevolution: an Economic Perspective, We-stview Press, Boulder 1993. Una versione ag-giornata è alle pp. 1-127 dell’ed. 19992, anchein http://faculty.wcas.northwestern.edu/~jmokyr/monster. pdf) e Landes, La favola del ca-vallo morto ovvero la rivoluzione industria-le rivisitata, Donzelli, Roma 1994 (ed. or. TheFable of the Dead Horse: or The IndustrialRevolution Revisited, ivi), che allude aun’espressione di Jones, Growth Recurring.Economic Change in World History, Claren-

don Press, Oxford 1988, p. 19, per il quale«l’interpretazione tradizionale è come un ca-vallo morto che non ne vuole sapere di cade-re al suolo».8. Come quelle espresse a più riprese da Ron-do Cameron (cfr. ad es. La révolution indu-strielle manquée, in «Social Science History»,XIV, 4, 1990, pp. 559-565).9. Così ad es. N. F. R. Crafts, C. Knick Harley,Output Growth and the British Industrial Re-volution: A Restatement of the Crafts-HarleyView, in «The Economic History Review», XLV, 4,1992, pp. 703-730, qui pp. 704, 721.

109

1

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 109

Page 117: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Tuttora aperto, quel dibattito ha comunque favorito una ricontestualizzazio-ne del fenomeno, tradizionalmente situato nel 1760-1830 e opposto alla relati-va immobilità dell’economia preindustriale10. Se allora lo sviluppo inglese fu re-lativamente lento, in sostanza, almeno per alcuni quella fase cessa di apparirecome l’inizio del moderno sviluppo accelerato e autosostenuto11 (postdatabileagli anni 1820-1830 e seguenti) e può essere ricondotto entro un contesto prein-dustriale di lungo periodo12, divenendo comparabile con altri episodi di cresci-ta economica coevi o precedenti. Prescindendo dalle opinioni in campo, que-sto mutamento di prospettiva ha fatto sì che filoni di ricerca e di dibattito soloin parte collegati, come quelli sulla rivoluzione industriale, la protoindustria, losviluppo del capitalismo nell’Europa moderna e l’ascesa dell’Occidente trovas-sero crescenti punti di connessione e di unificazione.

Efflorescenze e rivoluzione industrioseFrattanto il dispiegarsi dei processi di globalizzazione contemporanei ha solle-citato lo sviluppo di studi su altre aree del pianeta, e in particolare dell’Asia, chesono state messe a confronto con il vecchio continente. Si è così ridotta quellache Braudel chiamò la «diseguaglianza “storiografica” fra l’Europa e il resto delmondo» e si sono poste alcune importanti premesse per «recidere il nodo gor-diano della storia del mondo, ossia la genesi della superiorità europea»13, facen-do uscire il problema della rivoluzione industriale dal suo originario eurocen-trismo per ricondurlo ad una dimensione di storia globale. La stessa tradizionedella world history, centrata da William McNeill sulle connessioni e gli scambitra popoli, si è arricchita in tal modo di un approccio comparativo14 (Fig. 2).

Per confrontare – tra loro e con l’Inghilterra pre-1830 – le fasi di significativa

10. Cfr. tra gli altri J. L. Van Zanden, The GreatConvergence from a West-European Perspec-tive. Some Thoughts and Hypotheses, in Confe-rence: European Miracle, «Itinerario», XXIV, n. 3-4, 2000, pp. 9-28, qui pp. 10 ss.11. Cfr. S. Kuznets, Economic Growth: Rate,Structure and Spread, Yale University Press,New Haven 1966.12. Criticando l’equivalente inglese del con-cetto di età moderna per il suo teleologismo erichiamandosi a Wrigley, J. A. Goldstone, TheProblem of the “Early Modern” World, in «Jour-nal of the Economic and Social History of theOrient», XLI, 3, 1998, pp. 249-284, ha propostodi parlare di una fase caratterizzata dallo svilup-po di «economie organiche avanzate», estesa pe-raltro anche a epoche precedenti.13. Braudel, I giochi dello scambio, Einaudi,Torino 1981 (ed. or. Civilisation matérielle cit.:Les jeux de l’éxchange), p. 105, che aggiunge:«avendo inventato il mestiere di storico, l’Euro-pa se n’è avvalsa a proprio vantaggio».14. Cfr. O’Brien, Historiographical Traditionsand Modern Imperatives for the Restorationof Global History, in «Journal of Global Histo-ry», 1, 2006, pp. 3-39, qui pp. 4-7. Oltre al clas-sico W. H. McNeill, The Rise of the West: a Hi-story of the Human Community, Universityof Chicago Press, Chicago 1963, tra i contribu-ti più recenti si veda W. H. McNeill, J. R.McNeill, The Human Web. A Bird’s-Eye View

l’ampliamento degli orizzonti sto rio1 • Tommaso Detti • La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

Fig. 2 Europa e Cina a confronto.Fonte: C. H. Shiue, W. Keller, Markets in China and Europe on the Eve of the Industrial Revolution, in «The American Economic Review», XCVII, 4, 2007, pp. 1189-1216, qui p. 1195.

1102

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 110

Page 118: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

md

crescita economica susseguitesi in epoche e luoghi diversi, sono stati anche elabo-rati concetti relativamente nuovi, come quelli di «rivoluzione industriosa» ed «ef-florescenza». Coniato da Akira Hayami per il Giappone del XVII secolo, il primo èstato riproposto da Jan De Vries per definire le nuove forme di produzione fami-liare che estesero il mercato dei beni, del lavoro e dei capitali in larga parte dell’Eu-ropa nord-occidentale e nell’America coloniale, precedendo e preparando la rivo-luzione industriale15. Il secondo è stato suggerito da Jack Goldstone per designaregli episodi di crescita ricorrenti nel corso della storia mondiale, evitando la dico-tomia tra una presunta stagnazione “premoderna” e lo sviluppo moderno. A diffe-renza di De Vries, Goldstone ravvisa efflorescenze anche dopo l’industrializzazio-ne e non le ritiene preparatorie16. A sua volta Kaoru Sugihara vede nella rivoluzio-ne industriosa un peculiare modello di sviluppo del Giappone e dell’Asia orienta-le, destinato a ibridarsi dopo la metà del XX secolo con quello occidentale, dandocosì luogo all’impetuosa crescita di quell’area negli ultimi decenni. Un’interpreta-zione, questa, che è stata recentemente ripresa e sviluppata da Giovanni Arrighi17.

A prescindere da tali implicazioni sulla storia più recente, che richiederebbe-ro un’analisi a parte, l’ampliamento spazio-temporale del campo dell’indagine el’elaborazione di categorie comparative hanno prodotto anzitutto un’importan-te innovazione metodologica. A lungo i confronti operati tra the West and theRest si sono fondati su un approccio al tempo stesso eccezionalista e normativo:l’ascesa dell’Europa e la rivoluzione industriale sono state ricondotte a peculiari-tà di diversa natura (ma in ultima analisi a fattori culturali di antichissima data) ene sono state considerate come esiti in qualche modo necessari18. La storia delresto del mondo è stata così valutata per differenza rispetto a quella europea e almodello di sviluppo occidentale, per lo più in termini di arretratezza e di ritardo.

of World History, Norton, New York-London2003.15. Cfr. J. De Vries, The Industrial Revolutionand the Industrious Revolution, in «The Jour-nal of Economic History», LIV, 2, 1994, pp. 249-270. Non essendo tradotto in inglese, il saggio diHayami ha avuto scarsi echi in Occidente: cfr. D.L. Howell, Proto-Industrial Origins of Japane-se Capitalism, in «The Journal of Asian Studies»,LI, 2, 1992, pp. 269-286; J. Lee, Trade and Eco-nomy in Preindustrial East Asia, c. 1500-c.1800: East Asia in the Age of Global Integra-tion, ivi, LVIII, 1, 1999, pp. 2-26.16. Cfr. Goldstone, Efflorescences and Econo-mic Growth in World History: Rethinking the“Rise of the West” and the Industrial Revolu-tion, in «Journal of World History», XIII, 2, 2002,pp. 323-389. Anche Hayami non giudica la rivo-luzione industriosa come una fase preparato-ria. Differenze analoghe erano già riscontrabilitra F. Mendels, Protoindustrialization, the FirstPhase of the Industrialization Process, in «Jour-nal of Economic History», XXXII, 1, 1972, pp. 241-261, e P. Kriedte, H. Medick, J. Schlumbohm, L’in-dustrializzazione prima dell’indu -strializzazione, Il Mulino, Bologna 1984 (ed.or. Industrialisierung vor der Industrialisie-rung: gewerbliche Warenproduktion auf demLand in der Formationsperiode des Kapitali-smus, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen1977).17. Cfr. K. Sugihara, The East Asian Path ofEconomic Development: A Longterm Perspec-tive, in The Resurgence of East Asia. 500, 150and 50 Year Perspective, a cura di G. Arrighi, T.Hamashita, M. Selden, Routledge, London-NewYork 2003, pp. 78-123; Id., The State and theIndustrious Revolution in Tokugawa Japan,Global Economic History Network Working Pa-per n. 2/04, 2004 http://www.lse.ac.uk/collec -tions/economicHistory/GEHN/GEHNPDF/WorkingPaper02KS.pdf; Id., The Second Noel ButlinLecture. Labour-Intensive Industrialization inGlobal History, in «Australian Economic HistoryReview», XLVII, 2, 2007, pp. 121-154; Arrighi,Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventu-nesimo secolo, Feltrinelli, Milano 2008 (ed. or.Adam Smith in Beijing. Lineages of the Twen-ty-First Century, Verso, London-New York 2007).18. La versione più recente e autorevole diquesta tradizione è quella di Landes, La ricchez-za e la povertà delle nazioni. Perché alcunesono così ricche e altre così povere, Garzanti,Milano 20022 (ed. or. The Wealth and Poverty ofNations. Why Some Are so Rich and Some soPoor, Norton, New York 19992), per il quale «ne-gli ultimi mille anni l’Europa (l’Occidente) èstato il principale propulsore di sviluppo e mo-dernità» (p. 11). Fra i tanti critici di quest’operacfr. J. Goody, Capitalismo e modernità. Il gran-de dibattito, Cortina, Milano 2005 (ed. or. Ca-pitalism and Modernity. The Great Debate,2004), pp. 32-60.

sto riografici

Andrea Pisano, La tessitura, 1334-1336. Firenze, Campanile di Giotto.

111

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 111

Page 119: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Un “revisionismo” comparativoAssai diverse le procedure seguite negli ultimi anni da alcuni studiosi “revisio-nisti” ascrivibili a quella che è stata chiamata «California school»19: R. Bin Wonge Kenneth Pomeranz, ad esempio, hanno ribaltato l’usuale punto di vista guar-dando all’Europa da una prospettiva cinese e proponendo una comparazione«reciproca», «a doppio senso di marcia»20, che ha molto arricchito il quadro del-le conoscenze, complicandolo in proporzione.

Ne sono emerse quelle che lo stesso Pomeranz ha chiamato «sorprenden-ti similitudini» tra reddito pro capite, produzione manifatturiera, disponibili-tà di capitali e ampiezza dei mercati delle più avanzate aree europee e asia-tiche fino alla metà del Settecento e oltre. I confronti più puntuali sono sta-ti operati tra l’Inghilterra e altre zone meglio comparabili, come il delta delfiume Yangzi in Cina o l’Olanda del 1570-1670, ma non sono mancati parago-ni meno stringenti con realtà assai più ampie e composite, talora molto di-stanti nel tempo: dall’Europa nord-occidentale dell’Alto Medioevo alla Cinadei Song, dei Ming e dei Qing, all’India del Settecento. Qua e là, lungo la sto-ria mondiale, si sono così scoperti (o riscoperti) periodi di espansione deicommerci, unità produttive familiari orientate al mercato, specializzazione edivisione del lavoro, innovazioni tecnologiche, urbanizzazione, aumenti del-la produttività agraria e non, crescite del prodotto lordo, incrementi demo-grafici associati per un certo lasso di tempo a standard di vita stabili o persi-no ascendenti, e infine culture e istituzioni sociali e statali non sfavorevoli atutto il resto.

Presenti di volta in volta in tutto o in parte, in misure e combinazioni va-riabili, tali fenomeni sono stati diversamente interpretati sia nel loro insieme,sia per quanto riguarda le caratteristiche e il rilievo dei singoli episodi di svi-luppo ai quali hanno dato luogo. Anche sulla natura e sui limiti di queste ri-voluzioni industriose si registrano differenze d’opinione non trascurabili: sem-plificando un po’, tra chi come ho accennato vi ravvisa modelli diversi dallarivoluzione industriale, bloccati dall’espansione economica, commerciale emilitare dell’Occidente nel XIX secolo21, e chi le riconduce a forme di cresci-ta smithiana fondate sullo sviluppo del mercato e della divisione del lavoro22.Se in entrambi i casi si tratta di sviluppi labour-intensive, fondati cioè su uncrescente impiego di manodopera, nel secondo siamo di fronte a performan-ces più o meno corpose e durature, ma comunque a termine. Da Malthus inpoi il loro limite è stato individuato nei freni derivanti dal divario tra svilup-po economico e demografico, tuttora considerati la norma nell’intera storiamondiale fino al XVIII secolo compreso23. In verità la visione classica delle “trap-pole malthusiane” come fasi di declino dovute a crisi di sussistenza più o me-no drammatiche è stata articolata e le è stata affiancata la nozione di «trappo-la di equilibrio di alto livello»24 (in sostanza una situazione stazionaria). Alme-no in linea generale, però, il risultato non cambia: sia la crescita della Gran Bre-tagna e di altri paesi europei prima del XIX secolo, sia quelle riscontrate in al-cuni paesi asiatici rimangono fenomeni dai limiti, se non invalicabili, storica-mente mai superati.

Tra Europa e AsiaIn quest’ottica la domanda «perché l’Inghilterra?» deve dunque essere riformu-lata, non limitandosi a interrogarsi sulle peculiarità di più o meno lungo perio-do che dettero luogo alla rivoluzione industriale: perché lì una fase di crescitanon inconsueta fu seguita da un inedito tipo di sviluppo moderno e ciò nonaccadde in altre situazioni comparabili, europee ed extraeuropee? O, se si pre-

19. Cfr. Goldstone, The Rise of the West – OrNot? A Revision to Socio-Economic History, in«Sociological Theory», XVIII, 2, 2000, pp. 175-194;D. Ma, Growth, Institutions and Knowledge: AReview and Reflection on the Historiographyof 18th-20th Century China, in «Australian Eco-nomic History Review», XLIV, 3, 2004, pp. 259-277; V. H. Beonio Brocchieri, Modernità e rivo-luzione industriale in Europa e Asia nella pro-spettiva della «California School», in «Società estoria», XXX, 119, 2008, pp. 101-127.20. Cfr. R. Bin Wong, China Transformed: Hi-storical Change and the Limits of EuropeanExperience, Cornell University Press, Ithaca(N.Y.) 1997, p. 282; K. Pomeranz, La grande di-vergenza. La Cina, l’Europa e la nascita del-l’economia mondiale moderna, Il Mulino, Bo-logna 2004 (ed. or. The Great Divergence: Euro-pe, China, and the Making of the ModernWorld Economy, Princeton University Press,Princeton 2000), pp. 8-9.21. Con l’eccezione del Giappone post-1868,ritenuto protagonista di una rivoluzione indu-striosa caratterizzata da produzione su piccolascala e ad alta intensità di manodopera: oltre alcit. Sugihara, cfr. M. Tanimoto, From PeasantEconomy to Urban Agglomeration: the Tran-sformation of “Labour-intensive Industriali-zation” in Modern Japan, Center for Internatio-nal Research on the Japanese Economy, Discus-sion Paper F-516, 2007, http://www.e.u-to-kyo.ac.jp/cirje/research /dp/2007/2007cf516.pdf. Ma cfr. anche XIII Economic History Con-gress, Buenos Aires 2002, Session 25. Labour-intensive Industrialisation in Global History:Asian Experiences and Comparative Perspec-tives, http://eh.net/XIIICongress/English/ in-dex.html (Congress Papers).22. Tra questi Wong e Pomeranz, ma in realtà ilquadro delle interpretazioni è più ampio e sfu-mato: De Vries, Economic Growth Before andAfter the Industrial Revolution. A Modest Pro-posal, in Early Modern Capitalism. Economicand Social Change in Europe, 1400-1800, acura di M. Prak, Routledge, London 2001, pp.177-194, e Goldstone, Efflorescences cit., p. 323,parlano ad es. di sviluppi sia smithiani, siaschumpeteriani; altri, riguardo alla Cina, di di-namiche smithiane e boserupiane (cfr. E. Bose-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio1 • Tommaso Detti • La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

112

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 112

Page 120: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdferisce, perché l’Inghilterra (l’Europa) non si comportò come le altre parti delmondo?

A questo interrogativo Pomeranz risponde attribuendo la differenza tra ilpercorso della Gran Bretagna e quelli di altre aree eurasiatiche, e in particolaredel delta dello Yangzi (Fig. 3), al carbone fossile e alla colonizzazione del NuovoMondo. Il primo le permise di superare i limiti ecologici delle economie “orga-niche” imboccando uno sviluppo ad alto consumo energetico; la seconda, assie-me a un commercio sostenuto dalle armi, le fornì un’enorme riserva delle risor-se di cui scarseggiava e uno sbocco per quelle che aveva in eccesso, come lapopolazione25.

Le sue tesi appaiono suffragate da numerosi studi e proprio di recente il ruo-lo decisivo del carbone è stato ribadito dallo stesso Wrigley. Questi anticipa tut-tavia al XVII-XVIII secolo la divergenza dell’Inghilterra, interpretandone l’industria-lizzazione come «il culmine del processo evolutivo di una serie di eventi»26. EPatrick O’Brien, per il quale le importazioni americane divennero rilevanti solodopo la metà dell’Ottocento, avverte giustamente che occorre distinguere la ri-voluzione industriale dalla grande divergenza: la seconda non può spiegare laprima, che la precedette e ne segnò l’inizio27.

rup, The Conditions of Agricultural Growth.The Economics of Agrarian Change under Po-pulation Pressure, Allen & Unwin, London1965, per cui la pressione demografica dà luo-go a una crescita “estensiva” basata sul massi-mo sfruttamento delle risorse, stimolando an-che l’innovazione tecnologica).23. Cfr. ad es. G. Clark, A Farewell to Alms. ABrief Economic History of the World, Prince-ton University Press, Princeton-Oxford 2007,specie pp. 17-189.24. Il concetto fu elaborato negli anni Settantaper la Cina: cfr. M. Elvin, The High-Level Equili-brium Trap: The Causes of the Decline in theTraditional Chinese Textile Industries, in Econo-mic Organization in Chinese Society, a cura diW. E. Willmott, Stanford University Press, Stan-ford 1972, pp. 137-172; Id., Why China Failedto Create an Endogenous Industrial Capita-lism: A Critique of Max Weber’s Explanation, in«Theory and Society», XIII, 3, 1984, pp. 379-391.25. Cfr. Pomeranz, La grande divergenza cit.;Id., Political Economy and Ecology on the Eveof Industrialization: Europe, China, and theGlobal Conjunture, in «The American HistoricalReview», CVII, 2, 2002, pp. 425-446.26. Wrigley, The Divergence of England: TheGrowth of the English Economy in the Sevente-enth and Eighteenth Centuries, in «Transactionsof the Royal Historical Society», s. VI, X, 2000, pp.117-141, qui pp. 119, 132. P. Clark, D. Jacks, Coaland the Industrial Revolution, 1700–1869, in«European Review of Economic History», XI, 1,2007, pp. 39-72: la produzione di carbone aumen-tò invece per effetto di fattori esterni all’indu-stria, come la crescita della popolazione, del mer-cato e dei redditi, svolgendo un ruolo trascurabi-le nella rivoluzione industriale. Cfr. anche Crafts,Productivity Growth in the Industrial Revolu-tion: A New Growth Accounting Perspective, in«The Journal of Economic History», LXIV, 2004,pp. 521-535, qui p. 531: il vapore, scrive Crafts, sidiffuse lentamente e fino al 1830 fu irrilevanteper il grosso dell’economia inglese.27. O’Brien, The Divergence Debate: Europeand China 1368-1846, in Transnationale Ge-schichte. Themen, Tendenzen und Theorien, acura di G. Budde, S. Conrad, O. Janz, Vandenho-eck & Ruprecht, Göttingen 2006, pp. 68-82, quipp. 79-80.

sto riografici

Fig. 3 Il Delta dello Yangzi nel 1820.Fonte: P. C. C. Huang, The Peasant Family andRural Development in the Yangzi Delta,1350-1988, Stanford University Press, Stanford1990, p. 24. Il cerchio indica l’area dell’odiernaShanghai.

113

3

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 113

Page 121: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Si torna così alla fase precedente. Davvero, fino al XIX secolo, le più avanzatearee europee e asiatiche erano più o meno alla pari? Manco a dirlo, oltre a chi pro-pone un’immagine assai dinamica dell’economia e della società del delta delloYangzi28, c’è chi vi ravvisa una «crescita (della produzione) senza sviluppo (nellaproduttività del lavoro)», ovvero una situazione «involutiva». Così Philip Huang,che riguardo al carbone accusa Pomeranz di mettere il carro davanti ai buoi: il mi-nerale, che pure abbondava nel nord della Cina e sarebbe stato facile far affluirenel delta grazie allo sviluppo dei trasporti fluviali, non spiega a suo avviso il ritar-do del paese sulla via dell’industrializzazione; piuttosto, «è la mancanza di una do-manda industriale che spiega il mancato sviluppo dell’estrazione del carbone inCina»29. Quanto ai mercati, quelli dell’Europa occidentale e quelli cinesi intornoal 1780 si sono sì confermati comparabili, ma anche di recente la performancedei mercati inglesi è stata ritenuta migliore di tutte le altre30.

Render conto dei molteplici fattori variamente interpretati a sostegno dellediverse interpretazioni sarebbe lungo: dalle scelte del potere politico ai caratte-ri dell’agricoltura e all’andamento dei commerci, dai comportamenti riprodut-tivi alla mobilità delle donne, l’impiego delle quali è stato considerato decisivonella rivoluzione industriale31 ecc. Sta di fatto che anche per quanto riguarda glistandard di vita le cifre sui salari reali e sui redditi delle famiglie rurali varianocosì sensibilmente, da far dubitare della piena attendibilità dei dati relativi ai pae-si asiatici, che si direbbero ancora bisognosi di integrazioni e accurate verifi-che32.

28. Cfr. ad es. B. Li, Agricultural Developmentin Jiangnan, 1620–1850, St. Martin’s Press,New York 1998 e, su altre sue opere più recen-ti non tradotte, Ma, Growth, Institutions andKnowledge cit.29. Huang, Development or Involution in Ei-ghteenth-Century Britain and China? A Re-view of Kenneth Pomeranz’s The Great Diver-gence: China, Europe, and the Making of theModern World Economy, in «The Journal ofAsian Studies», LXI, 2, 2002, pp. 501-538, qui pp.512, 533. Ma cfr. la replica di Pomeranz, Beyondthe East-West Binary: Resituating Develop-ment Paths in the Eighteenth-Century World,ivi, pp. 539-590. Huang si basa sul suo The Pea-sant Family and Rural Development in theYangzi Delta, 1350-1988, Stanford UniversityPress, Stanford 1990.30. Cfr. C. H. Shiue, W. Keller, Markets in Chinaand Europe on the Eve of the Industrial Revo-lution, in «The American Economic Review»,

l’ampliamento degli orizzonti sto rio1 • Tommaso Detti • La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

Telaio del ’600, Museo all’aperto di Finsterau, Bassa Baviera.

114

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 114

Page 122: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdNon meno mosso è infine il panorama degli studi e delle interpretazioni ri-

guardo ad altri paesi. Per l’India l’immagine delle manifatture tessili e della pro-duttività agricola offerta da Prasannan Parthasarathi33 è giudicata, ad esempio,«superottimistica» da Christopher Bayly, il quale pure non si annovera affatto trai “pessimisti”. A suo parere i commerci, le innovazioni e le comunicazioni socia-li vi erano meno sviluppati rispetto non solo all’Europa, ma anche alla Cina e alGiappone, senza contare che quelle indiane erano «città abitate da borghesi enon “città borghesi”», l’incidenza delle carestie ecc.34 All’estremo opposto si col-loca se mai il Giappone, dove crebbero sia la divisione del lavoro e la produtti-vità, sia i redditi e i consumi. La scarsità di risorse contribuì tuttavia a far sì chele innovazioni tecnologiche fossero volte «più ad aumentare l’utilizzazione del-la forza lavoro, che a risparmiarla» e dopo il 1750 si assisté a un relativo declinodei centri urbani e del commercio estero. Secondo Janet Hunter, in ogni caso,fino al 1850 si notano pochi segni della divergenza giapponese sopraggiunta nelsecondo Ottocento35.

I “revisionismi” degli ultimi decenni, in definitiva, hanno svolto un ruolo mol-to importante, demolendo gli stereotipi e i miti che da tempo immemorabilecircondavano la storia dei paesi asiatici e ricollocando la rivoluzione industria-le nel contesto spazio-temporale che le è proprio: quello della storia del mon-do. L’apertura di nuovi orizzonti che ne è derivata, tuttavia, ha reso il dibattitostoriografico più aperto che mai. Come non sembra improprio postdatare di al-cuni decenni l’inizio del moderno sviluppo accelerato e autosostenuto, land-saving e labour-saving, a tecnologia e consumi energetici entrambi elevati, co-sì è verosimile che la divergenza della Gran Bretagna debba essere anticipata dialtrettanto36. Ciò confermerebbe le recenti interpretazioni che hanno visto nel-la rivoluzione industriale non un improvviso take-off, né l’esito già scritto nellepremesse di un eccezionalismo europeo di lunghissimo periodo, ma lo sbocconon necessario di precedenti sviluppi “industriosi”.

L’espansione europea, la tecnologia, la conoscenzaSul perché tale sbocco non si sia verificato in altri paesi che conobbero svilup-pi comparabili a quello delle più avanzate aree dell’Europa nord-occidentale edella stessa Inghilterra, con ogni probabilità la discussione è destinata a prose-guire a lungo. Non sembra tuttavia contestabile che a partire dal XVI secolo l’Eu-ropa abbia tratto un vantaggio decisivo dalla propria espansione navale, milita-re e commerciale, a fronte della scelta della Cina (già all’avanguardia sul pianoproduttivo e tecnologico) di non battere una strada analoga. Il blocco dei viag-gi transoceanici alla metà del XV secolo consentì alla Cina una forte espansionedei suoi commerci in Asia, ma la chiuse in una dinamica di “equilibri di alto li-vello” e agevolò la conquista di un’egemonia mondiale da parte dell’Europa. Ilcontrollo dei mari, i traffici intercontinentali e la colonizzazione del Nuovo Mon-do non spiegano la grande divergenza ma, assieme alle guerre condotte dalloStato degli Hannover nel periodo 1756-1815 e ai suoi massicci investimenti nel-la marina, trainarono la potenza economica britannica e le fornirono i capitalioccorrenti allo sviluppo moderno37.

La disponibilità di capitali, l’alto costo del lavoro e quello contenuto di unafonte d’energia come il carbone rinviano a un punto chiave della tradizione in-terpretativa sulla rivoluzione industriale: la tecnologia. Lo sciame di innovazio-ni che si concentra in questa breve fase storica è stato giudicato eccezionaleper quantità e qualità rispetto ad altre epoche e altri paesi, cosicché il suo ruo-lo nell’industrializzazione inglese ed europea è stato ancora ribadito38. Più chesulle innovazioni in sé, gli studi recenti hanno peraltro insistito su quella che

XCVII, 4, 2007, pp. 1189-1216. Tra i critici di Po-meranz cfr. anche P. Parthasarathi, The Great Di-vergence, in «Past and Present»,176, 2002, pp.275-293; R. Brenner, C. Isett, England’s Diver-gence from China’s Yangzi Delta: Property Re-lations, Microeconomics, and Patterns of De-velopment, in «The Journal of Asian Studies»,LXI, 2, 2002, pp. 609-662.31. Cfr. M. Berg, P. Hudson, Rehabilitating theIndustrial Revolution, in «The Economic Hi-story Review», XLV, 1, 1992, pp. 24-50; Berg, WhatDifference Did Women’s Work Make to the In-dustrial Revolution, in «History Workshop», 35,1993, pp. 22-44; Goldstone, Gender, Work, andCulture: Why the Industrial Revolution CameEarly to England but Late to China, in «Socio-logical Perspectives», XXXIX, 1, 1996, pp. 1-21.32. Su questo come su altri punti toccati inquesta rassegna rinvio ai capp. 1-2 del libro cheGiovanni Gozzini sta scrivendo su Globalizza-zione e ineguaglianza, ringraziandolo per aver-meli fatti leggere in anteprima e utilizzare libe-ramente, oltre che per i suoi suggerimenti.33. Cfr. Parthasarathi, Rethinking Wages andCompetitiveness in the Eighteenth Century:Britain and South India, in «Past and Present»,158, 1998, pp. 79-109; Id., The Transition to aColonial Economy: Weavers, Merchants andKings in South India, Cambridge UniversityPress, Cambridge 2000.34. C. A. Bayly, South Asia and the “Great Di-vergence”, in «Itinerario», XXIV, 3-4, 2000, pp. 89-103 (citazioni alle pp. 92, 96). Ma cfr. ora i primicapp. di Id., La nascita del mondo moderno,1780-1914, Einaudi, Torino 2007 (ed. or. TheBirth of the Modern World, 1780-1914: GlobalConnections and Comparisons, Blackwell, Mal-den, Mass. 2004).35. J. Hunter, The Roots of Divergence? SomeComments on Japan in the “Axial Age”, 1750-1850, in «Itinerario», XXIV, 3-4, 2000, pp. 75-88, ci-tazione a p. 82.36. O anche di più: secondo S. Broadwerry, B.Gupta, The Early Modern Great Divergence:Wages, Prices and Economic Development inEurope and Asia, 1500-1800, in «The Econo-mic History Review», LIX, 1, 2006, pp. 2-31, nel-l’intera età moderna le più avanzate aree asiati-che erano simili a quelle «stagnanti» dell’Europacentro-meridionale e orientale, piuttosto che aquelle nord-occidentali in via di sviluppo.37. Cfr. R. V. Jackson, Government Expenditu-re and British Economic Growth in the Eighte-enth Century: Some Problems of Measure-ment, in «The Economic History Review», XLIII,2, 1990, pp. 217-235; P. H. H. Vries, GoverningGrowth: A Comparative Analysis of the Roleof the State in the Rise of the West, in «Journalof World History», XIII, 1, 2002, pp. 67-138; O’-Brien, Provincializing cit.38. Cfr. ad es. Vries, Via Peking Back to Man-chester: Britain, the Industrial Revolution, andChina, CNWS-Leiden University Press, Leiden2003.

sto riografici

115

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 115

Page 123: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

39. Cfr. Mokyr, I doni di Atena. Le origini sto-riche dell’economia della conoscenza, Il Muli-no, Bologna 2004 (ed. or. The Gifts of Athena.Historical Origins of the Knowledge Econo-my, Princeton University Press, Princeton2002); Id., The Intellectual Origins of the Mo-dern Economic Growth, in «The Journal of Eco-nomic History», LXV, 2, 2005, pp. 285-351.40. Cfr. Berg, The Genesis of “Useful Knowled-ge”, in «History of Science», XLV, 2, 2007, pp. 123-133 e la bibliografia ivi cit.41. Cfr. E. Buringh, V. Zanden, Charting the“Rise of the West”: Manuscripts and PrintedBooks in Europe. A Long-term Perspectivefrom the Sixth Through Eighteenth Centuriese V. Zanden, Common Workmen, Philosophersand the Birth of the European KnowledgeEconomy, Working Papers accessibili dahttp:// www.iisg.nl/staff/jvz.php. Per un qua-dro aggiornato di questi studi, oltre agli altrimateriali ivi pubblicati, si vedano quelli di cor-redo al corso di dottorato tenuto da Van Zan-den alla Universitat de Barcelona, aprile 2008,http:// www.ub.es/histeco/doctorat/ progvan-zanden. pdf42. Per una gustosa ricostruzione divulgativa diquesto percorso cfr. D. Warsh, La conoscenzae la ricchezza delle nazioni. Una storia del-l’indagine economica, Feltrinelli, Milano 2007(ed. or. Knowledge and the Wealth of Nations.A Story of Economic Discovery, Norton, NewYork 2006).43. Cfr. P. Malanima, Energy Crisis and Growth1650–1850: the European Deviation in aComparative Perspective, in «Journal of GlobalHistory», 1, 2006, pp. 101–121. Il peggioramen-to del tenore di vita durante la rivoluzione indu-

Joel Mokyr ha definito useful knowledge: un ambiente culturale ricettivo, nu-trito di cultura laica d’élite ma largamente diffuso nella società e veicolo delladiffusione delle innovazioni39. Le tesi di Mokyr, per il quale l’ascesa dell’Euro-pa derivò da una «knowledge revolution» dovuta al pensiero scientifico da Ba-cone in poi e alla cultura dell’Illuminismo, sono state criticate per non aver col-locato il problema in un contesto globale fondato su comparazioni con l’Asia40,ma il rilievo di tali fenomeni non sembra sottovalutabile. Secondo Eltjo Buringhe Jan Van Zanden, la produzione e la domanda di libri, ad esempio, erano mol-to più sviluppate in Europa che in Cina e in Giappone. Una valutazione, que-sta, estesa da Van Zanden ad altri aspetti dell’elaborazione e dello scambio diuseful knowledge (ivi compreso il ruolo delle istituzioni), che differenziavanol’Occidente europeo dal resto dell’Eurasia sin dal Basso Medioevo41.

Si potrebbe continuare a lungo. Ancor più della pertinenza dell’una o del-l’altra interpretazione, tuttavia, di questo campo di studi in eterno fermento è ilcaso di sottolineare la costante rispondenza alle sollecitazioni del presente. Co-me lo sviluppo dei paesi asiatici ha stimolato la ricerca sulla loro storia e un con-fronto tra questa e quella europea, così c’è da chiedersi se il revisionismo evo-luzionista degli anni Ottanta non sia in qualche modo riconducibile alla fase dicrisi aperta dallo shock petrolifero del 1973 o quanto il concetto di rivoluzioneindustriosa debba a modelli di crescita contemporanei, come quelli basati suidistretti industriali. È certo, in ogni caso, che il dibattito sulla rivoluzione indu-striale ha sempre rispecchiato abbastanza da presso l’andamento di quello tragli economisti, dai classici rendimenti decrescenti su su fino all’economia dellaconoscenza42.

Energia, demografia, selezione naturaleAllo stesso modo l’emergere della questione ambientale ha suscitato nuove in-dagini sul collo di bottiglia delle economie preindustriali costituito dall’energia,che hanno tenuto nel debito conto anche i fattori climatici. Da questo punto divista, secondo Paolo Malanima, la prospettiva risulta meno ottimistica di quan-to appaia ponendo la useful knowledge al centro della scena: la Cina, dove i con-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio1 • Tommaso Detti • La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

Laminatoio in una fonderia di fine Ottocentoa Dortmund in Germania.

116

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 116

Page 124: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

striale, oggetto di memorabili dibattiti negli an-ni Sessanta del Novecento, trova così non sol-tanto una conferma, ma anche ulteriori motiva-zioni. Secondo J. Komlos, The Industrial Revo-lution as the Escape from the MalthusianTrap, Ludwig-Maximilians-Universität München,Discussion Paper in Economics 2003-13, pp. 35,http://epub.ub.uni-muenchen.de/57/1/indrev-jeeh.pdf, prima dello sviluppo moderno le so-cietà europee fronteggiarono la trappola mal-thusiana con una riduzione dei minimi nutriti-vi che scongiurò gravi crisi di sussistenza, manon passò senza conseguenze sulla struttura fi-sica e sull’altezza della popolazione.44. Cfr. M. Kremer, Population Growth andTechnological Change: One Million B.C. to1990, in «The Quarterly Journal of Economics»,CVIII, 3, 1993, pp. 681-716. Da notare che temianaloghi, ma con in più una specifica attenzio-ne alla geografia, all’ecologia e agli scambi traciviltà, ricorrono in J. Diamond, Armi, acciaioe malattie. Breve storia del mondo negli ulti-mi tredicimila anni, introduzione di L. e F. Ca-valli-Sforza, Einaudi, Torino 1998 (ed. or. Guns,Germs, and Steel. The Fates of Human Socie-ties, Norton, New-York-London 1997). A p. 208si legge ad es.: «Una popolazione più numero-sa significa più società, più competizione e piùinventori».45. Cfr. Clark, The Great Escape: The IndustrialRevolution in Theory and in History, 2003, p.77, http://www.econ.ucdavis.edu/faculty/gclark/ papers/IR2003.pdf, qui pp. 33, 39.46. Cfr. O. Galor, O. Moav, Natural Selectionand the Origin of Economic Growth, in «TheQuarterly Journal of Economics», CXVII, 4, 2002,pp. 1133-1191, qui pp. 1182-1183.

mdsumi energetici erano più bassi e la produttività dei suoli più alta, reagì all’incre-mento demografico intensificando il lavoro e comprimendo il tenore di vita. Re-sa più vulnerabile da una situazione diametralmente opposta, fra il 1750 e il 1820l’Europa nord-occidentale soffrì una grave crisi energetica dovuta sia alla cresci-ta della popolazione, sia a un abbassamento delle temperature, alla quale rispo-se attingendo a fonti d’energia minerali e imboccando la strada dello sviluppomoderno43.

Tra gli economisti, d’altronde, la demografia ha recentemente goduto di par-ticolare attenzione proprio in rapporto al problema della conoscenza. Nel 1993Michael Kremer ha proposto un modello matematico per provare la correlazio-ne tra popolazione e innovazione tecnologica da un milione di anni a questaparte: a popolazione più ampia, in sostanza, cambiamento tecnologico e incre-mento demografico più veloci44. Fra gli storici che si sono confrontati con il suomodello, Gregory Clark ha obiettato che la sola popolazione non può produrreun salto come quello verificatosi intorno al 1800 nello sviluppo tecnologico, ri-ferendosi a un’altra teoria elaborata da Oded Galor e Omer Moav, che al nessopopolazione-tecnologia hanno sostituito il driver costituito dalla selezione na-turale «attraverso la trasmissione di geni o di fattori culturali di certi individuiin epoca malthusiana»45. Alle innumerevoli variabili dell’analisi della crescita eco-nomica si sono così aggiunti anche Darwin e la genetica di popolazione.

Il modello di Galor e Moav non risponde tuttavia al problema dei tempi del-la transizione dei vari paesi allo sviluppo moderno, che rinvia a «eventi storicifortuiti» e a fattori geografici, culturali, sociali e istituzionali46. Chi risponde inquest’ottica alla domanda «perché l’Inghilterra e non la Cina o il Giappone?» èappunto Clark, adducendo sia la straordinaria stabilità istituzionale della primaa partire dal XIII secolo, sia il più lento sviluppo economico degli altri nel XVII-XVIII e imputando quest’ultimo non solo a un incremento demografico assai so-stenuto, ma anche a una bassa fecondità delle élites. In Inghilterra, dove la cre-scita della popolazione fu più lenta e la selezione darwiniana più severa, una fe-condità e tassi di sopravvivenza elevati assicurarono invece ai ceti ricchi e col-ti un “vantaggio riproduttivo”: i loro figli in eccesso alimentarono una mobilità

sto riografici

Una fonderia industriale negli anni Venti aBochum in Germania.

117

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 117

Page 125: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

sociale discendente, che infine rese più “borghese” la società e la predispose cul-turalmente allo sviluppo moderno47. Inutile dire che le sue tesi sono già al cen-tro di un acceso dibattito48.

La grande cesuraIn attesa delle prossime puntate di questo serial, mi sono chiesto quali provvi-sorie conclusioni potessi tirare dalla mia rassegna, tornando anche a rileggerequel capitolo sulla rivoluzione industriale che avevo scritto una quindicina dianni fa. Ne ho tratto l’impressione di un percorso a spirale, lungo le cui volte so-no tornati spesso a riproporsi temi da lungo tempo presenti nella letteratura,dalle origini ad Ashton, a Hobsbawm, a Deane, a Landes ecc. Ad ogni passaggio,tuttavia, i termini dei problemi si sono arricchiti di contenuti e significati nuo-vi. Un vero e proprio salto di qualità è stato infine prodotto dagli studi degli ul-timi decenni, che hanno decisamente rinnovato l’intera questione perché l’han-no ricollocata in un contesto di lungo periodo e in una dimensione spaziale pla-netaria: ne hanno fatto, in altre parole, un capitolo della storia del mondo.

Resta il fatto che il puzzle della rivoluzione industriale è ancora lontano daricomporsi. Oggi come in passato nessuna proposta interpretativa sembra ingrado di tenere assieme se non in parte la lunga e variegata serie dei fattori che

l’ampliamento degli orizzonti sto rio1 • Tommaso Detti • La rivoluzione industriale dall’Europa al mondo

In questo dipinto viene rappresentata unafonderia artigianale degli inizidell’Ottocento.

47. Cfr. Clark, A Farewell to Alms cit., pp. 259-271; Id., Genetically Capitalist? The Malthu-sian Era, Institutions and the Formation ofModern Preferences, 2007, pp. 60 http://www.econ.ucdavis.edu/faculty/gclark/papers/Ca-pitalism%20Genes.pdf48. Cfr. ad es. R. M. Solow, Survival of the Ri-chest?, in «The New York Review of Books»,LIV,18, 22 novembre 2007, pp. 38-41; Samuel Bo-wles, Genetically Capitalist?, in «Science», 318,27 aprile 2008, pp. 394-396; le recensioni di Har-ley in «The Economic History Review», LXI, 2,2008, pp. 537–539 e Pomeranz in «The Ameri-can Historical Review», CXIII, 3, 2008, pp. 775-779 (cfr. anche http: //www.humanities.uci.edu/history/pomeranz/AHRreviewofFarewelltoAlms); e il Symposium on Gregory Clark’s AFarewell to Alms, in «European Review of Eco-nomic History», XII, 2, 2008, pp. 137-199 (inter-venti di Deirdre N. McCloskey, Hans-Joachim

118

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 118

Page 126: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdconcorsero a darle luogo: un po’ come se di una ricetta si conoscessero tutti (oquasi tutti) gli ingredienti, ma non le dosi di ciascuno di essi. Il risultato è cheper spiegarla si direbbe inevitabile ricorrere a una buona dose di descrittivismo.È tutto da dimostrare, d’altronde, che in questo come in altri campi la multicau-salità e la provvisorietà delle interpretazioni costituiscano un limite della ricer-ca storica e non il contrario.

A giustificare l’incessante susseguirsi di nuovi studi sulla rivoluzione indu-striale basterebbe in ogni caso una sola, semplice considerazione: comunque losi legga, questo fenomeno si conferma sempre più come la cesura storica fon-damentale della storia dell’umanità. Per molti versi, infatti, neppure i profondimutamenti dell’epoca neolitica reggono il confronto. Sebbene l’immagine diuna economia preindustriale malthusiana sostanzialmente stagnante non sia chela drastica semplificazione “binaria”49 di una realtà ben più complessa, fatta diricorrenti periodi di sviluppo in svariate parti del globo, sta di fatto che fino alXIX secolo il reddito pro capite della comunità umana non sembra aver mai su-perato se non di poco un decimo di quello attuale50. Solo da allora la situazioneè radicalmente mutata, sia pure ai prezzi elevatissimi pagati dalla maggioranzadella popolazione mondiale per la grande divergenza. In estrema sintesi, è quan-to mostra la Fig. 4, che perciò ho scelto di utilizzare a mo’ di conclusione.

Voth, George Grantham, Karl Gunnar Perssone replica dell’autore). Cfr. anche Clark, The In-dicted and the Wealthy: Surnames, Reproduc-tive Success, Genetic Selection and Social Classin Pre-Industrial England, May 2008, http://www.econ.ucdavis.edu/faculty/gclark/Farewell%20to%20Alms/ Clark%20-Sur-names. pdf.49. «La crescita in storia, secondo Max Har-twell, è binaria: zero e uno»: così Jones, Patternsof Growth in History, in Capitalism in Con-text: Essays on Economic Development andCultural Change in Honor of R. M. Hartwell, acura di John A. James, M. Thomas, University ofChicago Press, Chicago 1994, p. 15.50. Si tratta naturalmente di stime di larga mas-sima. Qui mi riferisco a quelle di A. Maddison,World Population, GDP and Per Capita GDP, 1-2003 AD (agosto 2007), http://www.ggdc.net/maddison/

sto riografici

Fig. 4 Il PIL pro capite di alcune aree delmondo dall’anno 1 al 2003.Fonte: Elaborazione dell’Autore da Maddison,World Population cit. Dati in $ internazionaliGeary-Khamis 1990.Commento all’immagine: oltre alladivergenza ottocentesca dell’Occidente, lecurve del prodotto interno lordo pro capiteindicano chiaramente l’ampiezza della forbiceapertasi tra esso, il Giappone e le altre aree delmondo nel corso del XX secolo. Sono inoltreben leggibili, in particolare, la più lenta crescitadell’America Latina e dell’Unione Sovietica apartire dalla fine dell’Ottocento, gli effetti dellacrisi dell’Urss a partire dagli anni Settanta delNovecento e infine l’ascesa dell’India esoprattutto della Cina nello stesso periodo.

119

4

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 119

Page 127: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

La rivoluzione industriale inGiappone: dal periodo Edoalla restaurazione MeijiLa restaurazione Meiji, una svolta epocale?L’affermazione del Giappone come grande potenza industriale (la seconda sinoa questi decenni, forieri peraltro di grandi trasformazioni, durante i quali si co-stituirà quasi sicuramente una diversa gerarchia economica a livello globale, conl’arrivo sulla scena internazionale degli altri colossi asiatici, quali l’India e la Ci-na) rappresenta un topos classico della storiografia nipponica, e non solo di que-sta. Tale dibattito è venuto sviluppandosi in misura crescente – sembra legitti-mo affermarlo – parallelamente alla stessa crescita del Paese del Sol Levante, trala fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Si è venuti a chiedersi in altri termini, do-po la cosiddetta «rivoluzione» Meiji del 1868, quali fossero i caratteri originalidell’industrializzazione giapponese, in quale misura essa fosse stata indotta dal-la rivoluzione politica che aveva portato alla fine dello shogunato e alla restau-razione del potere dell’imperatore. La realtà storica induceva in effetti a chie-dersi se fosse stato l’abbattimento di quella sorta di ancien régime asiatico, va-le a dire la fine nel 1868 del lungo predominio della dinastia dei Tokugawa nel-la conduzione della politica e dell’economia del paese, attraverso il ruolo istitu-zionale dello shogun, a permettere al Giappone di sviluppare un’industria mo-derna e sfuggire al predominio dell’Occidente. Ed è vero che le condizioni so-ciali ed economiche del paese nella seconda metà dell’Ottocento apparivanoin forte ritardo rispetto agli standard occidentali, sicuramente rispetto alla GranBretagna, la Germania, la Francia. Poiché sul finire del XIX secolo il Giapponeincominciava a guadagnare terreno in termini di crescita e di sviluppo di alcu-ni settori industriali (vedremo in seguito quali), la storiografia tradizionale ave-va indicato nella restaurazione Meiji il momento di svolta degli indirizzi di poli-tica economica del paese, la quale avrebbe permesso al Giappone moderno diseguire le orme dell’industrializzazione occidentale. Quest’ultima, a sua voltas’identificava con il sistema di fabbrica, i grandi agglomerati industriali, oggettod’investimenti massicci, sia pubblici che privati, in grado di concentrare e di im-piegare migliaia di operai all’interno della fabbrica stessa.

Tale visione appare ora in parte rigida, in parte astratta, in quanto, da un la-to, fortemente condizionata dalla stessa letteratura e interpretazione tradiziona-le della rivoluzione industriale, dall’altro, dal travisamento del significato pro-fondo del periodo storico precedente, quello che si definisce periodo Edo.

La chiusura del paese (sakoku). Una revisioneIl fatto è che la storiografia, indotta a registrare l’affermazione della grande in-dustria nelle varie regioni del mondo, è stata incline a dimenticare la vitalità epersino l’importanza di alcune produzioni sviluppatesi nell’ambito di un certotessuto industriale, che è stato definito, volta a volta, area o nebulosa protoindu-striale o ancora distretto industriale. Certo tali realtà non sono apparse robustee “rivoluzionarie” quanto i grandi agglomerati industriali, ma non per questo pos-sono essere considerate prive di significato economico, e soprattutto non me-no originali per quanto concerne le diverse vie che l’industrializzazione è ve-nuta ad assumere.

l’ampliamento degli orizzonti sto rio

2Salvatore Ciriacono

Bibliografia sommaria • Storia economicaCambridge, 6/II, La rivoluzione industriale ei suoi sviluppi, a cura di H. J. Habbakuk, M.Postan, Einaudi, Torino 1974, pp. 941-971;R. Caroli, F. Gatti, Storia del Giappone,Laterza, Roma-Bari 2004; S. Ciriacono, LaRivoluzione industriale. Dallaprotoindustrializzazione alla produzioneflessibile, Bruno Mondadori, Milano 2000;Id., Scambi commerciali e produzione dibeni di lusso nel Giappone del periodoEdo. Una lettura storiografica, in «QuaderniStorici», 2, 2007, pp. 591-621; TheCambridge history of Japan, V, TheNineteenth century, a cura di M. B. Jansen,Cambridge University Press, Cambridge1989, pp. 569-617; The economic historyof Japan: 1600-1990, vol.1, Emergence ofeconomic society in Japan, 1600-1859, acura di A. Hayami, O. Saitô e R.P. Toby,Oxford University Press, Oxford 2004; H.Kleinschmidt, Geschichte derinternationalen Beziehungen, Reclam,Stuttgart 1998; D. Landes, La ricchezza ela povertà delle nazioni. Perché alcunesono così ricche e altre così povere,Garzanti, Milano 1999; T. Morris-Suzuki, Thetechnological transformation of Japan: fromthe seventeenth to the twenty-first century,Cambridge University Press, Cambridge1994; M. Tanimoto (a cura di), The Role oftradition in Japan’s industrialization.Another path to industrialization, OxfordUniversity Press, Oxford 2006; W.M. Tsutsui(a cura di), A Companion to JapaneseHistory, Blackwell, Oxford 2007; C. Zanier,Accumulazione e sviluppo economico inGiappone. Dalla fine del XVI secolo alla finedel XIX secolo, Einaudi, Torino 1975.

120

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 120

Page 128: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdA fianco del settore agricolo tradi-

zionale e dell’industria moderna checonquistava il mondo, una terza via siesprimeva attraverso la continuità di unaproduzione industriale di medio livello,in grado di operare nell’ambito di nic-chie di mercato di carattere specialisti-co. Attraverso il “modello” protoindu-stria (vale a dire quella serie di studi ini-ziati con F. Mendels, P. Kriedte, H. Medicke J. Schlumbohm, i quali si erano posti ilproblema della continuità storica tra l’in-dustria rurale e il sistema di fabbrica, latransizione, o la mancata transizione, dalputting-out-system al factory system),si è guardato non solo all’Europa ma siè esteso lo sguardo anche agli altri con-tinenti, Asia compresa. E nell’ambito del-la storiografia sul Giappone, si sono in-dividuati alcuni settori protoindustrialivitali nel passato – e che avrebbero con-tinuato ad esserlo anche dopo l’introdu-zione delle macchine moderne –, i qua-li avevano dato luogo alla produzione dicarta, seta, cotone, ceramica, coltelli, percitare solo alcuni prodotti. Non diversa-mente dall’Inghilterra, ma anche daquanto avveniva in altri paesi, come laFrancia o l’Italia, si è ritenuto legittimointrodurre anche nel caso giapponesela definizione di «produzione flessibile»(Sabel-Zeitlin, 1997) o di «toy trades» (M.Berg) quali sono stati proposti per inter-pretare il caso francese, inglese e ancheitaliano. Tale sistema produttivo, in effetti, se da un lato si identificava con i postu-lati della protoindustria, dall’altro si correlava al sistema di fabbrica grazie all’esi-stenza di tutta una serie di workshops che operavano in sintonia con gli insedia-menti industriali di maggiori dimensioni, presentando tali manifatture un’elevataspecializzazione rispetto alla divisione del lavoro, non sempre attenta alla qualitàdel prodotto, quale si dispiegava nella fabbrica moderna.

Per quanto concerne il caso giapponese di per sé, lo studio analitico delle ca-ratteristiche sociali ed economiche del paese nei secoli precedenti la rivoluzio-ne industriale ha messo d’altra parte in discussione l’immagine di un paese chiu-so in sé stesso, arretrato, feudale e ripiegato sulla sola dimensione agricola, osti-le a ogni influenza esterna, condizioni che si sarebbero aggravate nel momentoin cui si sarebbe trovato esposto alla concorrenza internazionale, a seguito del-l’apertura del commercio con l’Occidente. Al contrario la storiografia più recen-te ha sottolineato aspetti che andavano in senso contrario rispetto a tale inter-pretazione. Si è sottolineato il rapido sviluppo demografico nelle campagne enon meno nelle città giapponesi a partire dal XVII secolo, per quanto tale incre-mento demografico avrebbe assunto proporzioni minori durante il secolo suc-cessivo. Si è messa in evidenza l’introduzione di tecniche agricole innovative, che

sto riografici

121

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 121

Page 129: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

avrebbero permesso un notevole innalzamento della produttività agricola, e diconseguenza la possibilità di incrementare la ricchezza nazionale. Quest’ultimasi realizzava e si innnestava a una rete urbana articolata, caratterizzata da consu-mi di beni di lusso del tutto degni di essere confrontati con quelli di tipo occi-dentale (una consumption revolution asiatica dunque). Si affermava un sistemadi potere certo incentrato nella figura dello shogun – un «governatore» dalle ca-ratteristiche militari e ancora pesantemente feudali –, il quale esercitava il pote-re in nome dell’imperatore, che continuava a risiedere nell’antica capitale Kyoto,mentre l’azione di governo si sarebbe sviluppata a Edo (Tokyo), la città che rac-coglieva l’eredità, soprattutto in termini sociali ed economici, di Kyoto. Non sideve tuttavia dimenticare che tale dimensione istituzionale, più vicina a formefeudali tradizionali che a un sistema parlamentare-federale anglo-olandese, nonimpedì e anzi permise l’affermazione di un forte potere centrale. Al contemposi formava un mercato interno; si controllava una feudalità riottosa, che sino al-l’avvento dei Tokugawa aveva condannato il paese nel corso del XVI secolo aguerre intestine senza fine. Si costituivano strutture amministrative e finanziarie;un format militare, sempre più finalizzato ad assicurare la pace all’interno piut-tosto che a intraprendere conquiste all’esterno. Si realizzavano in altri terminiquelle premesse che nell’esperienza occidentale hanno sotteso la «formazionedello Stato moderno». Come è stato riassunto in modo esemplare da uno storicogiapponese, Akira Hayami, se il Giappone non avesse realizzato tutto questo nelperiodo Edo, non sarebbe stato in grado, nella seconda metà del XIX secolo, direagire in modo adeguato all’Occidente che incontrava nel momento in cui que-st’ultimo conosceva una rivoluzione industriale e possedeva un’indubbia supe-riorità militare ed economica. La circostanza sostanziale è che una «economiza-tion» della «Edo society» si è andata sviluppando già durante il periodo dei Toku-gawa, permettendo in seguito al Giappone di diventare una potenza economicanon solo per una rapida occidentalizzazione, che il paese intraprese nella secon-da metà del XIX secolo (conscio della necessità di assimilare «la lezione indottadalle tecniche e dall’incremento della produttività legate alla rivoluzione indu-striale»), ma proprio per il percorso che il Giappone aveva intrapreso nel perio-do precedente. Non è un caso che l’«Otsuka School» (un indirizzo storiograficoche ha preso l’abbrivio da uno storico giapponese dell’Università di Tokyo) hainsistito sull’originalità dello sviluppo socio-economico del Giappone, difficil-mente confrontabile con alcun altro processo storico (Harald Kleinschmidt).

Un aspetto non meno controverso e intrigante è costituito dal giudizio stori-co che si deve attribuire ai rapporti che il Giappone ha intrattenuto da semprecon il mondo esterno. Si è parlato di un nazionalismo di fondo del Giappone, odel fatto che il paese non abbia mai fatto i conti con la sua storia (Francesco Gat-ti). Tuttavia esiste un’altra interpretazione, più recente e altrettanto fondata, cheha puntualizzato come la cosiddetta «chiusura» del paese (sakoku), iniziata ai pri-mi anni del XVII secolo, con l’espulsione dei commercianti e dei missionari spa-gnoli e portoghesi dal paese a seguito dei decreti del 1625 e 1638, non abbia rap-presentato un completo rifiuto di mantenere contatti e rapporti economici congli altri paesi. Il commercio e l’apporto delle conoscenze tecnologiche dalla Cinaal Giappone non conobbero infatti alcuna interruzione, mentre i rapporti com-merciali con la Corea si sarebbero svolti attraverso alcuni porti nelle isole meri-dionali dell’arcipelago. Ancora, com’è ben noto, gli olandesi continuarono a risie-dere nei porti giapponesi, dapprima a Hirado, in seguito, dal 1641, solo nell’isolot-to di Deshima, a Nagasaki, unica presenza europea nel paese. Il fatto è che a diffe-renza degli spagnoli e dei portoghesi gli olandesi non erano visti come una mi-naccia all’autorità dell’imperatore e dello shogun, in quanto non apparivano por-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio2 • Salvatore Ciriacono • La rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

Dall’alto in basso.– Telaio semplice messo in movimento dallastessa tessitrice, ca. 1695 (izaribata).– Telaio verticale (takabata).– Telaio a stiramento, ca. 1770(karabikibata).Fonte: Toshihiko Kikuchi, Zufu Edo jidai nogijutsu (Illustrazioni della tecnologia delperiodo Edo), Tokyo (1925), 1988, vol. 2, pp.404, 409, 415.

Nella pagina accanto, dall’alto in basso.– Lavoratrici domestiche impegnate nelladipanatura e torcitura della seta.– Strumenti per la filatura della seta.– Fucina artigianale (separazionedell’argento dal rame).Fonte: Edo kagaku koten sôsho (Annaliscientifici del periodo Edo), Tokyo, 1978, vol.13, pp. 225 e 226; vol. 15, p. 45; vol. 1, p. 243.

122

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 122

Page 130: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdtatori di alcuna missione evangelizzatrice ma solo desiderosi di commerciare erealizzare dei facili profitti (sebbene questi si rivelassero particolarmente difficilinel contesto giapponese). È innegabile che il commercio fosse sottoposto a unarigida tutela, ma tali provvedimenti (divieto ai commercianti giapponesi di recar-si all’estero, di navigare in alto mare, di costruire vascelli oltre un certo tonnellag-gio, concentrando tutti i commercianti stranieri a Deshima) sono ora interpretatipiù come una politica assertiva e conscia dei risultati che poteva produrre nel-l’ambito delle attività economiche interne che come una chiusura miope al com-mercio internazionale. In effetti, sino a tutto il periodo Genroku (1688-1704), ilGiappone permise che entrassero nel paese oltre che filati di seta e seta greggia,provenienti in misura massiccia dalla Cina, anche zucchero, spezie, piante medi-cinali, materie tintorie, lenti, occhiali, materiali da scrittura, direttamente importa-ti dagli olandesi e acquistati con monete d’oro e d’argento, tanto che le autoritàgiapponesi cominciarono a preoccuparsi per questa continua emorragia di me-talli preziosi, a fronte di miniere di argento che si stavano esaurendo.

Se è vero, infatti, che tale flusso commerciale sarebbe rimasto importante pertutto il XVII secolo, costituendo un’essenziale fonte di beni di lusso e di materieprime necessarie alle manifatture locali, è anche vero che nel corso del secolo suc-cessivo si assistette all’erosione progressiva di ognuno di questi rami commercia-li, parallelamente all’incremento della produzione interna di beni e materie pri-me, proponendosi il governo innanzitutto di migliorare la bilancia dei pagamen-ti. Non è un caso quindi che nel corso del XVIII secolo, parallelamente al raffor-zamento di molti settori produttivi e all’espansione di un solido mercato interno,il Giappone incrementasse la percentuale del proprio commercio estero e si af-fermasse come produttore di beni di lusso e di carattere artigianale (oltre che diprodotti alimentari ed ittici in particolare, apprezzati dalla cucina cinese).

D’altro canto, non erano andate nella stessa direzione le politiche mercanti-listiche e tardo-mercantilistiche in Europa, mirando a ridurre le importazioni ea incrementare le esportazioni di carattere nazionale? Forse il mercantilismogiapponese apparve ancor più aggressivo, essendosi proposto non solo di pa-reggiare la bilancia commerciale, come facevano parallelamente molti paesi eu-ropei, ma di ridurre, sino ad eliminarlo il commercio di quei beni che potevanoessere prodotti in casa.

Dalla società tradizionale a una società dei consumi. Il periodo EdoVero è che l’agricoltura giapponese, come del resto quella europea, continuava arappresentare la struttura portante dello shogunato, pur avendo conosciuto nelcorso del XVII secolo un forte sviluppo, sia in termini di produttività sia di con-quista di terre incolte. Nel corso del XVII secolo si è calcolato che il valore totaledel commercio estero giapponese rappresentasse meno dell’1,5% del valore del-la produzione agricola interna. Tuttavia questo non deve far dimenticare che l’eco-nomia nel suo insieme assumeva degli indirizzi meno tradizionali, divergenti ri-spetto al passato, riflettendosi tale trend sull’evoluzione della stessa società. In ef-fetti l’espansione dell’agricoltura, parallelamente all’avvio di un’economia di ca-rattere monetario, aveva condotto a una diversa stratificazione sociale all’internodei villaggi e delle comunità rurali, nell’ambito dei quali i commercianti, gli arti-giani e i prestatori di denaro cominciarono a svolgere un ruolo sempre più impor-tante. Il settore manifatturiero assunse delle forme articolate, specializzandosi a li-vello regionale. Se alcune aree fornivano alimenti di prima necessità (pesce, tè, sa-kè, riso, soia, miso [pasta], zucchero, olii vegetali) altre si specializzavano nella pro-duzione dell’indaco, della cera. La produzione di cotone era altrettanto importan-

sto riografici

123

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 123

Page 131: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

te e trovava nella regione centrale del Kinai (Osaka, Kyoto) un’area di elezione,sebbene altri distretti cominciassero nel corso del XVIII secolo a produrlo. Altrearee (innanzitutto quella attorno a Kyoto) producevano ancora seta greggia e la-vorata, o carta, come la vallata di Shimoina. La trasformazione delle città in centridi scambio non solo di beni di prima necessità, come il riso, ma progressivamen-te anche di altri prodotti, inclusi quelli propriamente di lusso, impresse uno svi-luppo demografico impetuoso, non ultimo quello della capitale Edo. Erano peral-tro tutti i mercati regionali ad apparire in forte dinamismo e ad essere sottopostia una crescente domanda da parte del sistema urbano, sviluppandosi un circolovirtuoso fra i produttori rurali, sempre più integrati in un’economia di mercato, ele città. La popolazione giapponese nel suo insieme passava da ca. 12 milioni, nel1600, a più di 31 milioni, nel 1720. Nel 1700 cinque città contavano fra i 100.000e il milione di abitanti (Edo, Osaka, Kyoto, Nagoya, Kanazawa).

È vero che tale sviluppo non coincideva più né con l’apparato istituzionaledello shogunato né con la rigida divisione delle attività economiche svolte nel-l’ambito della società, la quale si trasformava rapidamente. L’articolazione pro-duttiva venne a collidere con la divisione stessa della società giapponese porta-ta avanti dai Tokugawa, la quale poggiava sulle quattro classi sociali tradizionali:in ordine di importanza, i guerrieri (shi), gli agricoltori (no), gli artigiani (ko) e imercanti (sho). Questi ultimi erano stati considerati tradizionalmente quasi unasorta di speculatori, ed erano stati posti deliberatamente all’ultimo posto dellagerarchia sociale. Tuttavia, per quanto gli interventi dei Tokugawa si ispirassero aquesto ordine ideale, le trasformazioni economiche e sociali, e in misura crescen-te le difficoltà finanziarie, spingevano verso assetti sociali e istituzionali diversie, talvolta, opposti. Inoltre, l’incremento dei consumi urbani, i quali andavano dipari passo con gli sviluppi di una cultura raffinata, incentrata nell’artigianato do-mestico, attenta alla dimensione artistica e a un rituale che ereditava le formesimboliche del potere aristocratico-feudale, impresse delle caratteristiche inaspet-tate a tale mondo dei consumi. I commercianti non solo guadagnarono spazio ef-fettivo nell’economia nel suo insieme (sconfiggendo le numerose leggi suntua-rie emanate nel corso del XVII e XVIII secolo) ma trovarono anche una giustifi-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio2 • Salvatore Ciriacono • La rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

La manifattura serica Tsukiji, 1870.Fonte: T. Morris-Suzuki, The technologicaltransformation of Japan: from theseventeenth to the twenty-first century,Cambridge, 1994, p. 76.

124

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 124

Page 132: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdcazione teorica da parte del pensiero economico. La ricerca del profitto era oraaccettata, pur nell’ambito dell’ordine sociale dei Tokugawa e della morale confu-ciana tradizionale, la quale si proponeva però di trovare un punto d’incontro conla realtà storica. I commercianti erano visti con occhi diversi in quanto realizza-vano un legittimo guadagno acquistando nei luoghi di produzione quei beni cheerano richiesti altrove. Non dovevano invece speculare, pena la condanna socia-le, né sulla qualità dei prodotti, che doveva essere assicurata, né rifiutando agli ar-tigiani e ai contadini la giusta mercede del loro lavoro. Agli stessi samurai si inco-minciò a chiedere di adattarsi a questi nuovi ideali socio-economici, abbandonan-do il loro tradizionale disprezzo per il commercio e imitando le attività, ragione-volmente speculative, degli stessi mercanti.

Ora, è vero che il quadro sociale, rispetto a questi indubbi stimoli di caratte-re economico, non mutò radicalmente, ma è anche vero che l’importante cetodei samurai, soprattutto i più poveri e di rango inferiore, spinti ai margini dellaburocrazia statale, incominciarono a sviluppare, se non il commercio, almeno learti e i consumi di carattere culturale, come il teatro, la musica, la letteratura. Siè formulata l’ipotesi che i samurai stessi divenissero un tramite importante nel-la trasmissione di conoscenze scientifiche provenienti dai paesi esteri, come laCina e l’Olanda. È anche vero, peraltro, che il XVIII secolo fu alla fin fine un se-colo di trasformazioni incompiute e di tentativi di modernizzazione in un qua-dro istituzionale tradizionale. In caso contrario non capiremmo né la stagnazio-ne socio-economica che contraddistinse il XVIII secolo, rispetto al XVII secolo,né la stessa restaurazione Meiji.

Prodotti di lusso e religione. L’eredità cineseUn altro aspetto nell’interpretazione del caso giapponese è quello che con-cerne il ruolo svolto dalla religione. Per alcuni storici la morale neo-confucia-na, nella sua variabile giapponese che andò configurandosi nel periodo deiTokugawa, avrebbe permeato lo spirito di sacrificio nel lavoro e la fedeltà al-l’imperatore, virtù fondamentali nello spiegare il successo economico delpaese. Akira Hayami intravede anche nell’arcipelago giapponese un’etica del

sto riografici

A sinistra, una grande fabbrica (elettrica)giapponese (di Shibaura).A destra, filatoio meccanico ruotante(garabô).Fonte: T. Morris-Suzuki, The technologicaltransformation of Japan cit., pp. 109 e 90.

125

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 125

Page 133: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

lavoro simile all’etica protestante di Max Weber, laddove datore di lavoro eoperaio appaiono legati da un comune senso della responsabilità e della fe-deltà, oltre che dalla volontà di soddisfare una domanda di beni di consumosimile a quella che ha caratterizzato parte del mondo rurale dell’Europa delSei e Settecento. Il dibattito resta tuttora aperto, in quanto a questa interpre-tazione se n’è opposta una pressoché contraria, la quale ha posto l’accentosul fatto che non sarebbe stato tanto il neo-confucianesimo a permeare l’ethosgiapponese quanto esattamente il suo contrario, giacché i Tokugawa aderiro-no a tale ideologia e ispirazione religiosa perché funzionale alla politica e al-l’organizzazione sociale seguita da essi stessi. Secondo Herman Ooms, il neo-confucianesimo giapponese sarebbe stato persino inadeguato nel legittima-re il ruolo rispettivo dell’imperatore e dello shogun. Non a caso l’ideologiaTokugawa avrebbe cercato di porre lo shogun in cima alla gerarchia politicadel paese. In effetti, quel che appare indubbio nel contesto giapponese è chele forme economiche assunte dalla società stessa non possono essere studia-te senza rimandare a variabili politiche, religiose e mentali che debbono es-sere analizzate nella loro unità.

Altrettanto necessario è il confronto con quella «consumption revolution»che ha caratterizzato l’Occidente europeo nel corso del XVII e del XVIII se-colo. Se è vero che il Giappone dei Tokugawa, e soprattutto la sua capitaleEdo, incrementavano i loro consumi non meno dell’Occidente europeo, sem-bra che si debba evidenziare una qualche differenza fra quei beni di consu-mo che hanno caratterizzato l’espansione europea e quelli che, invece, sonopresenti nel mercato asiatico, e giapponese in particolare. E un primo aspet-to è quello che concerne la valenza economica e geografica dei prodotti dilusso riproducibili in una determinata area, condizionati in primis dall’esi-stenza o meno di determinate materie prime. Se, infatti, l’espansione atlanti-ca permise l’arrivo di derrate coloniali come il tabacco, lo zucchero, il caffè,il cacao, allargandone progressivamente il consumo a fasce di consumatorisempre più ampio, costituendo questo processo la linea discriminante trapaesi attardati economicamente e paesi che anticipavano la “modernità”, nelcaso del Giappone del periodo Edo si assisteva a qualche divergenza nelladiffusione di tali prodotti. Tuttavia, se in Giappone tabacco, zucchero, caffè,cacao, birra, latte conoscevano una diffusione meno ampia rispetto all’Euro-pa moderna, e restavano prodotti esotici e di lusso, altre produzioni conob-bero un’affermazione crescente e giunsero ad alimentare una consistentecorrente di esportazioni. Una produzione fine di oggetti metallici, in lacca, diceramica e porcellana, di tessuti di cotone e di seta, di oggetti in legno, di car-ta di qualità, di candele, di vetro artistico venne a caratterizzare l’economiadel “lusso” giapponese, risultando essa non solo originale ma anche in gradodi esercitare un influsso crescente sulla stessa industria giapponese, oltre chesulla cultura europea, nel corso del XVIII e XIX secolo (un argomento che ciporterebbe troppo lontani in questo contesto).

Un capitolo a sé stante è quello che ha caratterizzato l’industria serica giap-ponese, per il peso che essa ha avuto dapprima nei rapporti con la Cina (dal-la quale attinse a lungo le tecniche e la seta greggia, almeno sino alla fine delXVII secolo), per l’importanza che essa avrebbe mantenuto durante l’indu-strializzazione dell’Otto e Novecento, per il ruolo vitale svolto nell’ambito del-le esportazioni giapponesi verso i mercati europei, non ultimo quello italia-no. Durante il periodo Edo il setificio sarebbe stato influenzato notevolmen-te dalla domanda del cerimoniale della corte imperiale a Kyoto nonché deglialtri consumatori nella complessa articolazione della società giapponese. La

l’ampliamento degli orizzonti sto rio2 • Salvatore Ciriacono • La rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

Raccolta e disposizione delle uova del bacoda seta. Separazione delle crisalidi.Istruzione tecnica delle lavoratricidomestiche.Fonte: Edo kagaku koten sôsho cit., vol. 13,pp. 191, 192, 193 e 194.

126

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 126

Page 134: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdqualità dei tessuti giapponesi già in questi secoli reggeva il confronto, e in mol-ti casi si rivelava persino di maggiore raffinatezza rispetto ai tessuti serici eu-ropei, lionesi o italiani che fossero. Non è un caso quindi che fosse il distret-to di Nishijn a Kyoto a diventare un centro serico fondamentale nel Giappo-ne dei Tokugawa, continuando ad esserlo sino a tempi più recenti. A conclu-sione di questo processo, agli inizi del XX secolo, il Giappone sarebbe divenu-to, grazie agli investimenti, le innovazioni e il radicamento nel territorio, unodei principali paesi esportatori di filati, e il settore serico uno dei più impor-tanti dell’economia nazionale.

Il confronto con il know-how cinese è essenziale se si vogliono seguire glisviluppi dell’industria manifatturiera giapponese, in particolare di quelle pro-duzioni in cui si sarebbe dispiegata un’autonoma originalità tecnologica e diprecisione, la quale ha indubbiamente influenzato l’intero apparato produtti-vo durante l’avvio del sistema di fabbrica. Il confronto Cina-Giappone si este-se dunque a tutta una serie di prodotti, dalla lavorazione della porcellana allalacca, dall’avorio alla carta, dalle armi al mobilio e agli oggetti artistici. Lenta-mente, approfittando della debolezza istituzionale e politico-economica con-seguente al delicato passaggio in Cina dalla dinastia Ming a quella dei Quing,a metà XVII secolo, il Giappone sembrò raccogliere l’eredità cinese in molteproduzioni, che possiamo considerare di lusso sino a tutto il XVIII secolo, mache estenderanno sicuramente il loro mercato nei decenni a divenire. Conqualche buona ragione il Giappone era destinato a occupare quel ruolo di “im-pero di mezzo” che era stato della Cina sino a quel momento. Se, ad esempio,la porcellana cinese continuava ad essere apprezzata, e forse anche più rispet-to a quella giapponese, le lacche cinesi nel corso del XVIII secolo persero diimportanza presso i collezionisti più esigenti in favore di quelle giapponesi.E se il termine china si era imposto nel mondo del commercio come sinoni-mo di porcellana, la “lacca giapponese” divenne ben presto sinonimo di ogniforma di lacca. Inoltre, come evidenziava una fonte inglese non sospetta, il Di-zionario universale di Malachy Postlethwayt, l’arcipelago giapponese pote-va vantare un buon numero di prodotti di qualità: seta, riso, cotone, porcella-ne, lacca, oro, argento, rame, ferro, tè (molto costoso rispetto alle altre qualitàdi tè asiatico), erbe medicinali, radici, gomma, prodotti genuini, «senza le adul-terazioni perpetrate dai Cinesi». La chiusura e il rigido controllo a cui eranosottoposti gli europei (nel 1790 solamente una nave olandese approdò a Na-gasaki nell’arco di un anno, contro le due del periodo precedente) venivanotemperati dal fatto che non vi si pagavano diritti doganali. Gli europei dove-vano solo preoccuparsi «di comportarsi con la stessa correttezza e onestà chesono soliti praticare i giapponesi». Un’osservazione che ci appare emblemati-ca e persino profetica per quanto concerne le pratiche commerciali dei pae-si asiatici con il mondo esterno.

Il ruolo dell’artigiano e della “produzione flessibile”È certo in ogni caso che il sistema di fabbrica e una produzione di massa, nelcorso del XIX secolo, avrebbero alterato le regole del gioco, in termini di capa-cità produttive e di offerta di beni nei confronti dei consumatori. Da un lato,cioè, lo spettro di prodotti di riferimento sarebbe risultato più ampio e artico-lato, abbattendo la società industriale, pur con molti limiti, regole e gerarchie so-ciali tradizionali. Dall’altro, sarebbe stato lo stesso sistema di fabbrica e l’impie-go di macchine sempre più complesse e perfezionate a permettere un innalza-mento qualitativo dei prodotti di massa, che si avvicineranno gradualmente aquelli propriamente di lusso. Le ricerche e le categorie interpretative preceden-

sto riografici

Bagno freddo delle uova del baco da seta.Raccolta delle foglie di gelso, nutrimento eselezione del baco.Fonte: Edo kagaku koten sôsho cit., vol. 13,pp. 195, 200, 201 e 208.

127

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 127

Page 135: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

temente richiamate di «produzione flessibile» e di «toy industry» hanno messoin evidenza come a fianco della catena di montaggio abbiano continuato ad ope-rare produzioni semi-industriali e artigianali, che pur approfittando dei muta-menti tecnologici ed energetici in corso, hanno portato avanti con la loro tradi-zione di buon gusto e qualità anche la produzione di serie. Nel caso giappone-se vorremmo vedere tutto questo: guardando al sistema industriale che vennea svilupparsi dopo l’arrivo dell’ammiraglio Matthew Calbraith Perry, nel 1853,e l’apertura forzosa del paese al commercio internazionale, nell’ottica della con-tinuità con il passato e di una tradizione artigianale che si sarebbe trasferita eavrebbe permeato la catena di montaggio. Vero è che il XVIII secolo, sotto il pro-filo economico, aveva rappresentato più una sorta di stagnazione che la conti-nuazione di quella formidabile espansione che aveva caratterizzato il secolo pre-cedente, una congiuntura evidenziata, tra l’altro, dal rallentamento della stessacrescita demografica (a differenza di quanto stava avvenendo in Cina, come sievince dai lavori di Kenneth Pomeranz). Le serie demografiche avevano registra-to una popolazione che alla fine del Settecento non superava quella dell’iniziodel secolo (secondo alcune stime sarebbe stata persino minore, essendo scesaa 28 milioni ca. contro i 30 dell’inizio del secolo). Sembrava persino inevitabileche il Giappone fosse destinato ad essere superato nel corso della prima metàdel XIX secolo (una circostanza del resto condivisa da molti altri Stati), soprat-tutto in termini quantitativi, dal sistema industriale europeo, inglese e degli al-tri second e third comers, evidenziando le proprie contraddizioni interne di vec-chia data. In effetti, le vicende politiche che portarono alla “restaurazione” del-l’antico potere imperiale riflettevano la reazione della società all’incapacità del-lo shogunato a difendere adeguatamente gli interessi del paese rispetto a un Oc-cidente sempre più invadente. Non si deve dimenticare che l’accettazione di unsistema di fabbrica occidentale e la volontà di misurarsi ad armi pari con l’Oc-cidente aveva fatto seguito a una politica economica, quale venne perseguitanella prima metà del XIX secolo, ancor più conservatrice e chiusa dei secoli pre-cedenti, evidenziata fra l’altro dai decreti che furono emanati nel 1825 (essi ban-divano ogni bastimento che si fosse avvicinato alle coste giapponesi, navi ingle-si e russe incluse, queste ultime sempre più presenti e aggressive nelle acqueterritoriali giapponesi).

Gli aspetti politici e ideologici peraltro andarono di passo con le caratteri-stiche dell’industrializzazione nipponica e rimanevano legate al path preceden-te, per quanto gli sviluppi risultassero indubbi e anche notevoli. Certamente agliinizi del secolo le condizioni del Giappone non erano molto diverse da quelledi molti paesi asiatici, e anche europei. La popolazione, calcolata nell’ordine dei30-34 milioni, cresceva lentamente nel corso del XIX secolo; l’80-85% viveva neivillaggi e operava nel settore agricolo, sebbene il lavoro a domicilio e la specia-lizzazione manifatturiera in molti distretti protoindustriali riducessero con tut-ta probabilità la percentuale della popolazione contadina. Sicuramente tale strut-tura produttiva assicurava il fabbisogno alimentare dell’intero arcipelago, riccofra l’altro di prodotti ittici, mentre le piante industriali si correlavano alla pro-duzione di cotone, olio di semi, canapa, tabacco, indaco, cera vegetale, seta greg-gia, carta. Il commercio locale, i trasporti e la costruzione assumevano anch’es-si un aspetto articolato e decentrato a livello locale. La popolazione dei villag-gi, nei momenti morti delle attività agricole tradizionali, si spostava e si allonta-nava anche per parecchi mesi in altre aree dove le occasioni di impiego nellemanifatture assicuravano un’integrazione al reddito agricolo. In ogni caso il si-stema di tassazione, e anche di divisione tradizionale della società, rimaneva for-temente legata alla struttura di villaggio, per quanto l’elevato numero degli abi-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio2 • Salvatore Ciriacono • La rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

128

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 128

Page 136: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdtanti delle tre maggiori città, Edo, Kyoto e Osaka (ca. 2 milioni di persone), ilnon trascurabile tasso di urbanizzazione generale (all’incirca il 17% della popo-lazione totale), e i conspicuous consumption in crescita rappresentassero unaspetto non trascurabile di una realtà composita.

Dall’industria tradizionale alla rivoluzione industriale:«a very original path»La tendenza, in effetti, era quella del superamento del regime di villaggio che ave-va assicurato sino ad allora, da un lato, il sostentamento della propria popolazio-ne, dall’altro, il pagamento di una rendita feudale al signorotto locale, percettoredelle imposte da trasferire al daimyo e, quindi, allo shogun. L’evoluzione, in altritermini, sarebbe stata quella della creazione di uno strato di coltivatori che ope-ravano nell’ambito del mercato, negli interstizi del quale si veniva sviluppandoun settore commerciale e protoindustriale di un qualche successo. Attorno al1830, un mercato nazionale prendeva corpo, lentamente e indubitabilmente, no-nostante le difficoltà finanziarie, l’elevato tasso d’inflazione e le continue svalu-tazioni della moneta (che si susseguiranno sino alla rivoluzione Meiji del 1868),l’insufficiente sistema di approvvigionamento delle città maggiori (a causa del-l’incremento del prezzo del riso si registrarono in questo periodo persino dellerivolte urbane, come quella sanguinosa del 1837, ricordata da Claudio Zanier).Cotone, seta, indaco, cera, tè, saké, stoviglie, terraglie, ferramenta, stuoie, laccasfuggivano progressivamente al rigido sistema di controllo imposto sino ad allo-ra da parte dello shogunato e creavano un loro mercato indipendente e concor-renziale rispetto al primo, risultando più competitivi in termini economici deglistessi prodotti agricoli. Occorrerà, in effetti, tenere presente il punto di arrivo del-l’evoluzione dell’economia e della natura dell’industrializzazione giapponese qua-le sarà possibile registrare alla fine delXIX secolo, allorquando la produzionedi beni e servizi si sarebbe incremen-tata di quattro volte, la proporzione delsettore industriale nell’ambito della pro-duzione totale si sarebbe almeno dupli-cata, mentre il contributo dell’agricol-tura si sarebbe dimezzato rispetto alprodotto nazionale lordo. Sul finire delsecolo gran parte delle infrastrutturenecessarie allo sviluppo industriale delpaese (quali i trasporti, le comunicazio-ni, i porti, le istituzioni finanziarie) ave-va preso corpo, ed era stato realizzatoun numero – modesto ma significativo– di grandi industrie quale struttura por-tante del susseguente sviluppo indu-striale. Come conclude Sydney Craw-cour, l’Ottocento fu un secolo di sicu-re trasformazioni economiche, e realiz-zate a un tasso crescente per quantolento. In effetti, se fra il 1872 e il 1900il numero degli occupati totale crebbeda 21,4 a 24,4 milioni, quello degli oc-cupati in agricoltura scese soltanto da17,3 a 16,4 milioni. Il fatto è che l’inte-

sto riografici

Dipanatura e torcitura della seta.Fonte: Edo kagaku koten sôsho cit., vol. 13, p. 228.

129

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 129

Page 137: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

grazione tra agricoltura, industria domestica e industria rimase ancora molto for-te, così come quello della piccola manifattura presente nella struttura di villag-gio. Una riprova è data dal peso dell’industria alimentare tradizionale (produzio-ne di sakè, miso, salsa di soia), la quale era destinata a svolgere un ruolo trainan-te sull’intero processo industriale, in misura maggiore dello stesso settore tessi-le, rappresentando dal 1877 al 1900 il 40% della crescita totale contro il 35% deltessile (Ryoshin Minami).

Innegabile risultava in questo processo il ruolo del governo centrale, il qua-le deliberatamente utilizzava l’apporto della tecnologia occidentale, per quan-to tale transfer tecnologico fosse stato avviato anche prima della rivoluzioneMeiji. In effetti, fra il 1853 e il 1868, stabilimenti manifatturieri di tipo occiden-tale erano stati creati su impulso diretto del governo (bakufu), il quale fece al-lestire cantieri, fabbriche d’armi, stabilimenti per la filatura del cotone, miniere(G.C. Allen). Dopo la restaurazione Meiji gli sforzi per ammodernare il paese di-vennero ancora più intensi, adottandosi il sistema di fabbrica nei gangli vitalidell’economia. Furono favoriti i viaggi all’estero di tecnici e ingegneri giappo-nesi, e al contempo si ricorse all’impiego di personale straniero al fine di istrui-re la forza-lavoro giapponese. Gli stessi samurai parteciparono a questa opera diemancipazione del paese, favorita da una classe politica che si faceva carico di-rettamente dei risultati economici e politici, nonché internazionali (all’insegnadel confronto con l’Occidente). L’istruzione tecnica e la formazione di base del-la popolazione giapponese, un servizio di leva generalizzato, l’introduzione diun sistema bancario moderno, e così quello postale, telegrafico, ferroviario, ma-rittimo furono perseguiti con coerenza. L’approvvigionamento energetico, ap-profittandosi paradossalmente del ritardo accumulato rispetto al plotone di te-sta delle nazioni maggiormente industrializzate, si sviluppò puntando sul setto-re elettrico (passando il paese in tal modo alla seconda fase della rivoluzione in-dustriale), prima ancora di aver sfruttato completamente il vapore (lo sfrutta-mento dell’energia idrica aveva sempre costituito un momento di debolezza nel-le manifatture giapponesi, a causa dei conflitti d’acqua con il settore agricolo).Il governo stesso partecipò con tutto il suo peso alla creazione di una base in-dustriale sufficientemente forte per sottendere il progetto generale, continuan-do perciò la strategia che si era delineata già nel periodo precedente. Negli an-ni Ottanta, peraltro, i grandi agglomerati industriali ad alta concentrazione ope-raia e forti investimenti di capitale erano poco numerosi e avevano investito isoli settori ritenuti strategici, come l’industria degli armamenti, le costruzioninavali, le ferrovie, le infrastrutture. Si sviluppava in ogni caso l’industria cotonie-ra (evidentemente la concorrenza dei filati inglesi spingeva obbligatoriamentein quella direzione) e quella serica. La prima conosceva una indubbia accelera-zione dopo il 1880, sebbene i fusi ancora nel 1893 non superassero nel com-plesso le 400.000 unità (distribuiti in opifici in cui si contavano al massimo 2.000fusi, contro i 10.000 e più concentrati nella fabbriche occidentali). D’altro can-to, la spinta a una crescente privatizzazione del settore cotoniero (lo Stato ce-dette a imprenditori privati, vicini all’entourage governativo, numerosi opifici acondizioni estremamente vantaggiose) faceva registrare un notevole passo inavanti. Tra il 1886 e il 1894 trentatré nuovi opifici entrarono in funzione, men-tre la produzione, dal 1886 al 1897, vedeva crescere il valore dei propri filati diquattordici volte, passando da 12 a 176 milioni di yen. Come riassume efficace-mente David Landes, se nel 1899 gli opifici nipponici producevano circa 161milioni di kg di filato, nel 1913 si erano raggiunti i 305 milioni.

L’effetto di tutto ciò fu la possibilità di passare dalle importazioni alle espor-tazioni. Nel 1866, circa il 62 % dei filati consumati in Giappone proveniva dal-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio2 • Salvatore Ciriacono • La rivoluzione industriale in Giappone: dal periodo Edo alla restaurazione Meiji

Telai serici a stiramento.Fonte: Toshihiko Kikuchi, Zufu Edo jidai nogijutsu cit., pp. 389 e 415.

130

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 130

Page 138: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdl’estero; nel 1902 tale percentuale era vicina allo zero. Nel 1913 un quarto del-le esportazioni di filato di cotone del mondo provenivano dal Giappone, e i nip-ponici – insieme all’India, ma in misura ancora maggiore – erano diventati unagrande minaccia per la Gran Bretagna nei mercati terzi.

La tessitura, scarsamente meccanizzata all’inizio, seguì a ruota, per quanto aqualche distanza. La produzione di seta greggia si quadruplicava anch’essa fra il1868 e i primi anni Novanta, alimentando una sostenuta corrente di esportazioni.

Pure in questo settore, tuttavia, in particolar modo nella trattura, si operavaa livello domestico o in piccole manifatture. Del resto era in opifici privati, pre-valentemente di piccole dimensioni, che si producevano cemento, vetro, birra,carta, stoviglie, prodotti chimici. L’estrazione del carbone e la siderurgia rimar-ranno a lungo al di sotto agli standard europei (nel 1936 la produzione carbo-nifera nipponica ammonterà ai soli due quinti di quella inglese), sebbene il ri-corso alle tecniche occidentali fosse stato determinante.

Il peso della tradizione artigianale, della piccola manifattura di campagnache impiegava pochi operai, la permanenza dello stesso lavoro a domicilio ri-manevano dunque diffusi nel paese e caratterizzavano la via dell’industrializ-zazione giapponese. Ancora nel 1920 una rilevazione considerata abbastanzasicura (le statistiche della seconda metà dell’Ottocento rimasero a lungo poconumerose e affidabili) dipingeva una classe operaia distribuita più nella picco-la e media manifattura che nel grande complesso industriale. Come calcola Ma-sayuki Tanimoto, in 45.806 “industrie” gli addetti erano ca. 4.560.000, ma benil 62,9% era occupato in piccole manifatture che non superavano i 5 operai. Seconsideriamo che in Francia in quel torno di tempo la percentuale degli addet-ti in fabbriche che impiegavano da 1 a 5 operai non superava il 37%, e che ne-gli Stati Uniti tale percentuale era del 33%, dobbiamo concludere, da un lato,che si deve riflettere su cosa abbia significato nella realtà storica la fabbricamoderna (in termini di concentrazione operaia, sicuramente limitata agli albo-ri dell’industrializzazione), dall’altro, che il peso della tradizione nel caso giap-ponese, il legame delle manifatture con l’assetto agrario e sociale non eranoaspetti secondari nel modello di sviluppo del paese. Nei decenni successivi, al-lorquando la grande industria, l’affermazione del paese nell’area del Pacifico,la competizione nei mercati asiatici muteranno in profondità gli assetti socialied economici al loro interno, quei samurai e commercianti divenuti imprendi-tori e capitani d’industria non dimenticheranno il loro ruolo ben preciso e i lo-ro compiti nella società giapponese (finalità talvolta venate da accenti nazio-nalistici, ma anche attente al perseguimento del bene comune, non essendo di-menticati i precetti della morale confuciana). Come del resto non si dovrà sot-tovalutare l’apporto della forza-lavoro giapponese alla crescita economica delpaese, nonché lo spirito di sacrificio nei confronti della nazione e dell’impera-tore (il ruolo di quest’ultimo sempre più importante e crescente dopo la re-staurazione Meiji). Aspetti che si espressero a lungo con un’intensità di lavorosenza confronto con l’evoluzione europea e occidentale, con l’accettazione disalari estremamente bassi, con uno sfruttamento del lavoro femminile ora bendocumentato (sarebbe stato minore l’impiego del lavoro infantile, per ragioniistituzionali e politiche, nel senso che i ragazzi nonostante tutto rappresenta-vano il nerbo della nazione), con un regime alimentare mediocre. Occorre indefinitiva tenere ben presenti questi aspetti culturali, ideologici e mentali, daconiugare egualmente con gli altri fattori che contraddistinguono lo sviluppoindustriale di un paese: le materie prime, le risorse, una manodopera abbon-dante, un management motivato, colto, operoso, se ci si vuole avvicinare allacomprensione della «sfinge» – come è stata definita – giapponese.

sto riografici

Lavorazione di attrezzi agricoli nellemanifatture di campagna.Fonte: Toshihiko Kikuchi, Zufu Edo jidai nogijutsu cit., p. 521.

131

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 131

Page 139: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Crescita e maturità. La produttività del lavoronelle economie agrarietradizionali*PremessaA una prima fase di crescita delle società agrarie, fra il 4000 e il 3000 a.C., seguìuna lunga epoca di stazionarietà del sistema tecnico. La produttività del lavoronon registrò aumenti sensibili, ma piuttosto cicli di crescita e di declino fino al-l’inizio del XIX secolo.

La teoria della crescita ci aiuta a capire il ruolo svolto dalle tecniche, dai ca-pitali e dalle risorse naturali nel rapporto popolazione-ambiente. I limiti del si-stema tecnico hanno costituito gli ostacoli principali all’aumento della produt-tività delle civiltà agrarie pre-moderne.

Per circa 10.000 anni, e cioè dall’epoca della rivoluzione del Neolitico, in-torno all’8000 a.C., sino all’inizio del XIX secolo d.C., l’agri coltura fu l’attivitàeconomica prevalente. Nel XVI secolo essa occupava una parte limitata dellasuperficie del globo (Fig. 1). A quell’epoca, le società agrarie comprendevano,tuttavia, circa l’80% della popolazione mondiale1. Ai loro margini continuaronoad esistere sempre popolazioni di cacciatori e di allevatori, considerate come“barbare” nelle civiltà agrarie. Esse abitavano le superfici meno adatte alla colti-vazione dei cereali, come le montagne, i deserti, i boschi, le pianure aride e leregioni fredde. Costituirono sempre una minaccia per le civiltà agrarie.

Nelle pagine seguenti, si rivolgerà l’attenzione a un aspetto d’importanzacentrale delle società agrarie tradizionali, sotto il profilo economico, e cioè al-la produttività del lavoro: il valore della produzione totale dell’economia divi-so per il numero dei lavoratori. Essa rappresenta la capacità di produrre di ognilavoratore. Se aumenta, e se il numero dei lavoratori e le ore lavorate non dimi-nuiscono, cresce il prodotto pro capite, che costituisce il principale indicatoredel benessere economico di una società.

Dopo un breve riferimento agli ultimi due secoli, si esamineranno i caratteri del-la produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali e si cercherà, infine, difornire una spiegazione della loro lunga stabilità, prima della crescita moderna.

La crescita moderna della produttivitàPer crescita moderna s’intende quel processo di aumento del prodotto pro ca-pite e, dunque, del benessere materiale, che ha avuto luogo a partire dai primidecenni dell’Ottocento e che continua ancora oggi.

Nei paesi dell’Europa occidentale, il prodotto pro capite è aumentato, negliultimi due secoli, di 14-15 volte. La produttività per ora lavorata è aumentata dipiù di 20 volte. Al tempo stesso sono diminuiti il numero dei lavoratori sul com-plesso della popolazione e il numero delle ore lavorate. Le curve dell’andamen-to della produttività del lavoro in alcuni paesi europei fra il 1870 e la fine delXX secolo mostrano bene il trend in forte ascesa (Fig. 2). Le somiglianze nellatendenza di fondo, come si vede, sono più numerose delle diversità.

* Versione ampliata e rivista di: P. Malanima, Wa-chstum und Reife. Die Arbeitsproduktivität inden traditionellen Agrarwirtschaften, in M.Cerman, I. Steffelbauer, S. Tost (a cura di), Agrar-revolutionen. Verhältnisse in der Landwir-tchaft von Neolithikum zur Globalisierung,StudienVerlag, Wien-Innsbuch-Bozen, 20081. J. N. Biraben, Essai sur l’évolution du nom-bre des hommes, in «Population», 34, 1969.2. Si vedrà più avanti che le cose non stannoproprio così.

l’ampliamento degli orizzonti sto rio

3Paolo Malanima

132

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 132

Page 140: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdLe cause fondamentali della recente crescita della produttività del lavoro so-

no due:– il progresso nelle tecniche produttive e, in particolare, l’uso di macchine in

grado di trasformare il calore prodotto dalle fonti energetiche combustibiliin movimento, cioè in lavoro utile. Il macchinismo è il carattere distintivodelle economie moderne. Esso segna la nascita dell’economia moderna e ladistingue dalle economie del passato;

– l’aumento delle risorse che cooperano col lavoro dell’uomo, come diceva-no gli economisti classici inglesi, e che lo rendono più efficiente, ovvero icapitali. Dato che le risorse naturali sono limitate (non possono essere mo-dificate, secondo la loro visione)2, l’aumento ha riguardato le risorse prodot-te dagli uomini, e cioè i beni capitali: strumenti, macchine, edifici… Fra que-sti beni capitali sono comprese le conoscenze tecniche; quelle che taloravengono definite come capitale umano.In sintesi potremmo dire che la comparsa di congegni meccanici in gra-

do di compiere un lavoro utile, e cioè produrre i beni che gli uomini consu-mano per sopravvivere o per produrre altri beni, costituisce la radice dellacrescita moderna. La crescita moderna dipende, dunque, da progresso tecnicoe formazione del capitale.

Il grafico precedente comincia nel 1870. Possiamo chiederci se l’aumentodella produttività del lavoro rappresenti la continuazione di una tendenza versol’alto già esistente in precedenza. A questa domanda possiamo dare una rispostanegativa: la crescita rapida della produttività del lavoro è un fenomeno recente.Dal momento che il prodotto per ora lavorata si trovava, all’inizio della nostra se-rie, a un livello basso, è difficile pensare che esso potesse essere, nei secoli pre-cedenti, molto al di sotto di esso e che la tendenza verso l’alto possa, dunque, es-sere iniziata molto prima. Nelle economie agrarie del passato, almeno nei secolipiù vicini a noi e meglio documentati, non erano mancate epoche di progressotecnico. Esso era stato di solito di breve durata e non aveva elevato stabilmentela capacità di produrre beni e servizi. Vedremo, però, che, in epoche più lontane,si erano avuti progressi anche consistenti nella produttività del lavoro.

L’Europa: Medioevo ed età modernaPurtroppo le conoscenze quantitative sull’andamento della produttività nelleeconomie tradizionali si riferiscono a un’epoca relativamente recente – più omeno ai secoli dal tardo Medioevo in poi – e a un continente, l’Europa. Per le

sto riografici

Fig. 1 Le superfici agricole nel mondo nelXVI secolo (in nero).Fig. 2 La produttività del lavoro in 12 paesieuropei 1870-1992 (prodotto per oralavorata). I paesi a cui si riferisce il graficosono: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia,Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi,Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito.Fonte: A. Maddison, Maonitoring the WorldEconomy 1820-1992, OECD, Paris 1995: Tab. 2-7(a).

133

1 2

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 133

Page 141: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

l’ampliamento degli orizzonti sto rio3 • Paolo Malanima • Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Fig. 3 Il salario reale medio nell’edilizia inEuropa 1500-1850 (1500-50=100).Fonte: La media rappresentata nel grafico èbasata sui dati (rivisti) di R.C. Allen, The GreatDivergence in European Wages and Pricesfrom the Middle Ages to the First World War,in «Explorations in Economic History», 38,2001, pp. 411-47.

Fig. 4 I salari reali nell’edilizia in 13 cittàeuropee 1500-1850 (1550-50=100) (lacurva più spessa è la media, giàrappresentata nella Fig. 2). Le città sono:Anversa, Amsterdam, Londra, Parigi,Strasburgo, Augusta, Monaco, Vienna,Valencia, Firenze, Cracovia, Lwów, Istanbul.Fonte: Allen, The Great Divergence cit. PerFirenze i salari sono quelli in Malanima,L’economia italiana. Dalla crescita medievalealla crescita contemporanea, Il Mulino,Bologna 2002, App. IV; i dati per Istanbul sonoripresi da S. Pamuk, Real Wages and Standardsof Living in the Ottoman Empire, 1489-1914,in «Journal of Economic History», 62, 2000, pp.293-321.

Fig. 5 Salari reali in Europa e popolazione1500-1850.Fonte: La curva dei salari è la stessa della Fig.1. I dati sulla popolazione europea sono quelliaggiornati in Malanima, Pre-modern EuropeanEconomy (in corso di stampa).

epoche precedenti e per altre regioni del mondo dobbiamo utilizzare informa-zioni scarse e quasi sempre indirette. Sulla base di queste conoscenze è, comun-que, possibile comporre un mosaico e individuare gli elementi fondamentali delquadro d’insieme. Soffermiamoci, dapprima, sull’Europa e sul periodo fra il tar-do Medioevo e la prima metà dell’Ottocento. Andremo poi indietro nel tempo.

Per questi secoli, dati importanti, anche se indiretti, sulla produttività del la-voro ci vengono forniti dai salari reali; sia quelli in agricoltura che quelli, assaimeglio documentati, nell’industria (Fig. 3).

Salari alti testimoniano un’elevata produttività del lavoro. Questo graficoindica che, almeno a partire dall’inizio del Cinquecento, si verificò, su scalaeuropea, una caduta della produttività del lavoro. Il declino fu forte nel XVIsecolo; nel XVII ci fu un’interruzione prima e una ripresa poi (che comunquenon consentì di ritornare ai livelli del passato); nel Settecento la tendenza ver-so il basso riprese. Intorno al 1800, il salario reale nell’edilizia era inferiore aquello del 1500 di un 20-25%. Solo nella prima metà dell’Ottocento notiamol’avvio di una crescita, che, come si è già visto, si rafforzò più tardi. In Europa,non in tutte le regioni la tendenza fu uniforme. Lo vediamo dall’andamentodei salari nell’edilizia in 13 città europee fra 1500 e 1850 (Fig. 4).

Nonostante le differenze che notiamo in questo fascio di curve, l’elementocomune è il trend verso il basso, prima della ripresa della metà dell’Ottocento.La curva che denota una maggiore stabilità è quella relativa a Londra (la più al-ta nel 1750-1800).

In particolare Wilhelm Abel, già negli anni Trenta, sottolineò la relazione cheesiste fra andamento dei salari in Europa – e, dunque, della produttività del la-voro – e andamento della popolazione dal tardo Medioevo in poi3. Se riportia-mo nello stesso grafico salari e popolazione europea fra 1500 e 1850 la relazio-ne risulta evidente (Fig. 5).

Si può notare come l’aumento della popolazione euro-pea, da 83 milioni nel 1500 a 107 nel 1600, sia accompa-gnato da una caduta dei salari. Nel XVII secolo, la popola-zione ristagnò o diminuì in numerose regioni del continen-te. I salari aumentarono. Nel Settecento la popolazione au-mentò di nuovo, di più del 60%. I salari caddero raggiun-gendo i livelli più bassi dal tardo Medioevo in poi. Solo dal1800, mentre la popolazione aumentava, anche i salari au-mentarono. Stime della produttività del lavoro in agricoltu-ra confermano le informazioni che si possono trarre dal-l’andamento dei salari4.

134

3

4 5

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 134

Page 142: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdSi può, dunque, sintetizzare questo andamento dei salari – e della produtti-

vità del lavoro – dicendo che:– almeno dal 1500 in poi esiste una relazione inversa salari-popolazione (quan-

do la popolazione cresce i salari reali diminuiscono);– dal 1800 in poi, con la crescita moderna, vi è una relazione diretta salari-po-

polazione (i salari crescono, mentre cresce anche la popolazione).La relazione prima inversa e poi diretta fra salari e popolazione risulta chia-

ramente nel caso dell’Italia. Essa può essere rappresentata da due parabole. In-sieme esse descrivono una sorta di U (cfr. Fig. 6, p. 136).

Le spiegazioni classica e neoclassicaSecondo la visione degli economisti classici inglesi, e in particolare di Ricardoe di Malthus, la tendenza della produttività a diminuire dipende dal fatto che ilfattore di produzione essenziale, la terra, la risorsa naturale di base di tutte leeconomie agrarie, è limitata, di fronte alla popolazione che, invece, ha tenden-za a crescere. Quando un fattore di produzione, come il lavoro, aumenta per l’au-mento di popolazione, di mentre le risorse naturali non aumentano, il rendimen-to di ogni lavoratore tenderà a diminuire. La produttività del lavoro cadrà, e conessa cadrà anche il prodotto pro capite. Gli economisti classici inglesi non rite-nevano che il progresso tecnico, soprattutto quello in agricoltura, potesse mo-dificare durevolmente questa relazione.

sto riografici

3. W. Abel, Congiuntura agraria e crisi agra-rie (19662), Einaudi, Torino 1976.4. R. C. Allen, Economic Structure and Agri-cultural Productivity in Europe, 1300-1800,in «European Review of Economic History», 4,2000, pp. 1-26.

Attrezzi agricoli del Neolitico.

Fratelli Limbourg, Les très riches heures duDuc de Berry, ottobre, 1412-1416. Chantilly,Museo Condé.

135

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 135

Page 143: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

l’ampliamento degli orizzonti sto rio3 • Paolo Malanima • Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Fig. 6 La relazione salari-popolazione inItalia nel 1320-1860 e 1870-1990 (datidecennali).Fonte: Malanima, Wages, Productivity andWorking Time in Italy (1270-1913), in«Journal of European Economic History», 36,2007, pp. 127-71.

Gli sviluppi successivi della teoria economica, e soprattutto quelli della se-conda metà del Novecento, hanno rielaborato – ma non rinnegato – le rela-zioni classiche, permettendo di collocarle in una prospettiva più ampia. Perillustrare come questi sviluppi consentano d’illuminare meglio anche le eco-nomie pre-moderne, possiamo prendere avvio dalla funzione di produzioneseguente:

Y = AF (L, K, R)

Essa ci dice che il prodotto aggregato (Y) è funzione (F) dei fattori di pro-duzione – il lavoro (L), il capitale (K) e le risorse naturali (R) – oltre che dellatecnica (A). Per cogliere come la produttività del lavoro dipenda dalle risorsenaturali e dalle risorse prodotte – i beni capitali – conviene dividere sia la varia-bile dipendente che le variabili indipendenti per il lavoro. Abbiamo, dunque:

Y—L

= AF ( K—L

, R—L )

Nell’equazione così ottenuta, denominata anche come forma intensiva del-la funzione di produzione, il prodotto per lavoratore (Y/L), e cioè la produtti-vità del lavoro, dipende (F) sia dal capitale per lavoratore (K/L), che dalle risor-se naturali per lavoratore (R/L), che anche dalle capacità tecniche (A). La dimi-nuzione delle risorse per lavoratore, quando aumenta il denominatore del rap-porto (R/L), ha l’effetto di ridurre la variabile dipendente (Y/L), se, però, le al-tre variabili rimangono costanti. Questa tendenza può essere controbilanciatada un aumento del capitale (K), al numeratore del capitale per lavoratore (K/L).Se sia le risorse che il capitale per lavoratore diminuiscono, un progresso delleconoscenze tecniche (A) può, tuttavia, avere come effetto un aumento della pro-duttività del lavoro, se è in grado di rendere più efficiente lo sfruttamento siadelle risorse naturali che dei capitali.

È opportuno, a questo punto, esaminare le diverse variabili in gioco. Si co-mincerà con la popolazione e il lavoro (L); si continuerà con le tecniche (A),le risorse naturali (R) e il capitale (K). Sulla base di questo esame, sarà possi-bile, poi, analizzare le loro interdipendenze.

136

6

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 136

Page 144: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdLa popolazione e il lavoro(L)Le tendenze di lungo periodo della po-polazione sono ben note. La successi-va tabella riassume l’andamento dal Pa-leolitico medio fino a metà Ottocento.

La popolazione mondiale crebbepochissimo nei 4 milioni di anni pri-ma della nascita dell’agricoltura. Era,infatti, ancora di solo 1 milione 100.000anni fa e di 5 verso il 10.000 a.C. Conl’avvento dell’agricoltura, verso l’8000a.C., essa registrò un aumento consi-derevole (Tab. 1).

Nelle società agricole esistono con-dizioni propizie alla crescita demogra-fica, quali la residenza stabile delle fa-miglie, il bisogno di braccia per la col-tivazione della terra, che spinge ad ave-re più figli, e forse anche l’alimenta-zione basata in larga prevalenza suicarboidrati. Le condizioni non sono,invece, favorevoli nelle civiltà basatesulla caccia e, più di recente, in quel-le moderne, basate sull’industria e iservizi (nelle quali, per di più, sono dif-fuse pratiche anticoncezionali). Lapressione demografica crescente co-stituisce un carattere distintivo delmondo agricolo pre-moderno. Questa pressione demografica è stata, comun-que, bloccata da malattie o carestie in alcune epoche5. Si possono ricordare lacaduta del III secolo d.C., quella in età tardo-medievale, fra 1348 e 1450 circa,e quella durante il XVII secolo. Queste cadute, causate da epidemie, riguarda-

sto riografici

5. W. H. McNeill, La peste nella storia. Epide-mie, morbi e contagio dall’antichità all’etàcontemporanea (1976), Einaudi, Torino 1981.

Fratelli Limbourg, Les très riches heures duDuc de Berry, marzo, 1412-1416. Chantilly,Museo Condé.

Mondo Europa

100.000 a.C. 1

10.000 a.C. 5

1 d.C. 250 43

1000 250 43

1340 440 87

1650 600 105

1750 770 143

1850 1.240 275

Fonte: J. Cohen Quante persone possono vivere sulla Terra? (1995), Il Mulino, Bologna 1998,App. 2 (per la popolazione mondiale); Malanima, Pre-modern European Economy cit. (per lapopolazione europea).

Tabella 1. Popolazione mondiale da 100.000 anni fa fino al 1850 d.C. (milioni).

137

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 137

Page 145: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

rono, pur con differente intensità, tutte le regioni del mondo. Più frequenti, mameno catastrofiche, sono sempre state le cadute causate dalle carestie (che nonsolo determinavano un aumento delle morti, ma anche una diminuzione dellenascite).

Nelle passate società agricole, la popolazione fra i 15 e i 65 anni costituivacirca il 60-65% del totale6. Di questa quota di popolazione, il 40-70% era occu-pato in agricoltura. Nel complesso, dunque, fra il 30 e il 50% della popolazionetotale era impegnata nel lavoro agricolo. Una quota limitata viveva, in queste ci-viltà, nelle città: circa il 10%7. Si trattava dei governanti, militari, sacerdoti, arti-giani, servitori…

Possiamo, dunque, stimare che circa la metà della popolazione fosse occu-pata in attività agricole. Sia l’impegno nel lavoro agricolo che il numero dei la-voratori potevano variare, anche notevolmente, da un anno all’altro: erano ele-vati quando i raccolti erano scarsi; si riducevano quando erano abbondanti. Lonotava già Adam Smith, quando scriveva: «nelle annate di bassi prezzi, si ritieneche i lavoratori siano in generale più pigri, mentre in quelle di prezzi elevati so-no più industriosi dell’ordinario»8. È stato notato più volte, come nelle societàagrarie esistano tempi liberi da ogni lavoro e individui sottoccupati. È un carat-tere, questo, che dipende in larga misura dalla discontinuità nel tempo del lavo-ro agricolo, sottoposto alle stagioni e alle condizioni atmosferiche; a differenzadel lavoro industriale, che è continuo e non soggetto a variazioni.

Il sistema tecnico (A)Un sistema può essere definito come un complesso di elementi interagenti. Es-so è basato sulla coerenza delle relazioni fra gli elementi che lo compongono.Una volta costituito, tende a mantenere il suo equilibrio interno finché pressio-ni esterne al sistema non ne compromettano la stabilità. Segue la transizione aun sistema diverso9. Un sistema tecnico non rappresenta un’ec ce zione.

La fase costitutiva del sistema tecnico delle società agricole tradizionali siverificò fra il 4000 e il 3000 a.C., per quanto diversi elementi si fossero formatilentamente nei quattro millenni precedenti. Gordon Childe definì questo perio-do come «l’epoca più feconda in fruttuose invenzioni e scoperte di qualunqueperiodo della storia umana» prima della rivoluzione industriale e del passaggioa un sistema tecnico diverso10 (Fig. 7).

La crescita moderna, che ancora continua, è basata, come si è visto, sul mac-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio3 • Paolo Malanima • Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Fig. 7 Le aree di originedell’addomesticamento di piante e animali(in nero).Fonte: W. F. Bodmer, L.L. Cavalli Sforza,Genetica evoluzione uomo (1976),Mondadori, Milano 1977, III, Figura 1. 11.

138

7

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 138

Page 146: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdchinismo e sulla capacità delle macchine di trasformare il calore dei combusti-bili in lavoro utile11. La crescita dei sistemi agricoli fra il 4000 e il 3000 a.C. eb-be anch’essa, alla sua base, un’innovazione fondamentale nel campo dell’ener-gia: l’addome sticamento e l’utilizzazione degli animali da lavoro – il bue, l’asi-no, il cavallo, il cammello – per lavori agricoli e trasporti. Mentre l’unico sussi-dio energetico dell’uomo del Mesolitico, all’origine cioè dell’attività agricola,era solo costituito dalla capacità di generare il fuoco, fra il 4000 e il 3000 a.C.,l’uomo divenne capace di utilizzare il lavoro degli animali. La sua dotazione dienergia, che fino ad allora era costituita dal cibo e dal fuoco, e che poteva cor-rispondere a circa 4-5.000 calorie al giorno, con l’utilizzazione degli animali au-mentò del 50-100%12.

Le innovazioni decisive in quest’epoca furono volte ad uno sfruttamento piùefficiente dell’energia dell’uomo, dei combustibili usati per generare il fuoco edegli animali. Si possono ricordare la ruota, la lavorazione dei metalli, la cerami-ca, l’aratro e diversi strumenti agricoli, e la barca a vela, che aggiunse al bagaglioenergetico lo sfruttamento di un’energia non organica – come invece erano ilcibo e i combustibili: quella del vento.

La produttività del lavoro aumentò decisamente in questo millennio. Lo di-mostrano due fatti importanti riguardanti la demografia:– la crescita complessiva della popolazione, stimata da alcuni demografi, for-

se esagerando, di ben 10 volte: da 15 milioni nel 4000 a.C. a 150 nel 300013.Essa fu, comunque, assai rilevante secondo tutte le valutazioni;

– la rivoluzione urbana del Neolitico, e cioè la formazione delle prime cittàin Mesopotamia, poi in Egitto, in India e Cina. Quando si formano o cresco-no di dimensione i centri urbani, ciò significa che il lavoro agricolo è diven-tato più produttivo, capace, cioè, di mantenere non solo la popolazione im-pegnata nell’agricoltura, ma anche una parte della popolazione che non svol-ge attività agricola. Quanto più rilevante è questa popolazione, tanto mag-giore deve essere la produttività del lavoro in agricoltura.Progressi di tipo tecnico ci furono anche nei millenni successivi. Rispetto a

quelli realizzati fra il 4000 e il 3000 a.C. questi progressi furono, tutto somma-to, modesti, soprattutto nel settore agricolo. Nei settori dell’industria e dei tra-sporti, l’evoluzione tecnica fu sempre più rapida. La base agricola del sistemadelle società agricole tradizionali, invece, non subì modifiche decisive.

Un nuovo sistema tecnico si costituì quando si cominciarono a usare su am-pia scala i combustibili fossili per alimentare congegni meccanici14. Questo ac-cadde 5-6 millenni dopo la rivoluzione agraria del Neolitico. In questi 5-6 mil-lenni, e cioè fino all’epoca del macchinismo, la dotazione pro capite di energia,che esprime la capacità di compiere lavoro degli uomini, rimase fra le 5 e le10.000 calorie pro capite giornaliere nei climi temperati. Più elevata fu nei cli-mi freddi. Raramente superò le 20.000 calorie. Oggi, nei paesi avanzati, è supe-riore alle 100.000, e in alcuni casi anche alle 200.000.

Alla fase creativa della rivoluzione del Neolitico, seguì una lunga epoca me-no creativa, in cui la popolazione cresceva più rapidamente del progresso tec-nico, e specialmente del progresso tecnico nel settore decisivo dell’attivitàeconomica, quello agricolo. Dalla fase della crescita si passò, dunque, alla fa-se della maturità dei sistemi agricoli. La diffusione, tuttavia, delle conoscen-ze agricole implicava sempre un aumento della produttività del lavoro là do-ve queste conoscenze si affermavano. Anche dopo il 3000 a.C., dunque, si eb-bero aumenti della produttività nelle regioni investite dalla transizione all’agri-col tura. Varie onde successive di aumento della produttività del lavoro inte-ressarono anche in seguito diverse parti del mondo.

sto riografici

6. A. J. Coale, P. Demeny, Regional Model LifeTables and Stable Populations, AcademicPress, New York-London 1983.7. P. Bairoch, Cities and Economic Develop-ment from the Dawn of History to the Pre-sent, University of Chicago Press, Chicago 1988.8. A. Smith, An Inquiry Into the Nature andCauses of the Wealth of Nations, EncyclopediaBritannica, Chicago-London-Toronto-Geneva1952.9. L. Von Bertalanffy, Teoria generale dei siste-mi (1967), Mondadori, Milano 2004.10. G. Childe, Il progresso nel mondo antico(1942), Einaudi, Torino 1979, Cap. IV; Id., L’uo-mo crea se stesso (1936), Einaudi, Torino 1952.11. H. Popitz, Verso una società artificiale(1995), Editori Riuniti, Roma 1996.12. P. Malanima, Energia e crescita nell’Euro-pa preindustriale, La Nuova Italia Scientifica,Roma 1996.13. J. Vallin, La popolazione mondiale (1986),Il Mulino, Bologna 1994.14. C. M. Cipolla, Uomini tecniche economie,Feltrinelli, Milano 1962; E. A. Wrigley, La rivo-luzione industriale in Inghilterra (1988), IlMulino, Bologna 1992.

139

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 139

Page 147: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Le risorse naturali: estensione e intensificazione (R)Un modo di accrescere la produttività del lavoro, oltre al progresso tecnico, con-siste nell’aumento della terra per lavoratore (R/L nella nostra equazione). Losfruttamento delle risorse naturali da parte dei lavoratori può essere distinto indue diverse forme: quella estensiva e quella intensiva.

Lo sfruttamento estensivo di più risorse consiste nell’allarga mento delle su-perfici coltivate a nuovi suoli, nell’abbattimento delle foreste, nella conversio-ne dei prati in arativi. L’estensione delle coltivazioni avviene quasi sempre sot-to la spinta dell’aumento demografico. A partire dalle prime aree in cui si eraaffermata, e cioè nel Vicino Oriente verso l’8000 a.C., l’agricoltura si diffuse ver-so l’Europa alla velocità di 1 km. all’anno15 (Fig. 8). In tutto il mondo un allarga-mento delle superfici coltivate si verificò sempre quando la popolazione aumen-tava. Si può parlare, in questi casi, dal punto di vista economico, di una crescitaestensiva: una crescita, cioè, che comportava un aumento del prodotto aggrega-to, ma non del prodotto pro capite. Era il preludio di una flessione nella produt-tività del lavoro.

Un secondo modo per accrescere le risorse naturali a disposizione consistenell’aumento dello sfruttamento dei terreni già coltivati. In questo caso si parla

anche d’intensificazione agricola, nelsenso che il prodotto per unità di su-perficie aumenta16. Questo avviene, perlo più, con una riduzione del riposodel terreno necessario per rigenerar-ne la fertilità. Lo sfruttamento saltua-rio della terra viene sostituito dallosfruttamento annuale di una metà del-la terra (rotazione biennale), oppuredi due terzi (rotazione triennale), op-pure di porzioni sempre più ampie, fi-no allo sfruttamento dei suoli con di-verse coltivazioni nelle differenti sta-gioni dell’anno.

La diffusione di cereali e altri pro-dotti vegetali da una regione del mon-do all’altra favorì sempre questa inten-sificazione nello sfruttamento della ter-ra. Due casi importanti furono quellidella patata e del mais dalle Americheverso l’Europa e anche verso la Cinadal XVI secolo in poi17. Con questi duenuovi vegetali, su ogni terreno si pro-duceva una quantità di calorie assai su-periore che in precedenza.

L’intensificazione delle colture fuquasi sempre accompagnata dall’inten-sificazione del lavoro, che significa im-pegno maggiore della famiglia conta-dina nei lavori agricoli: più membri del-la famiglia lavorano – donne e bambi-ni – e per più ore al giorno. All’aumen-to della popolazione si è costretti a di-ventare più industriosi – come già no-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio3 • Paolo Malanima • Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Fig. 8 La diffusione dell’agricoltura in Europa (date a.C.).Fonte: W.F. Bodmer, L.L. Cavalli Sforza,Genetica, evoluzione, uomo cit., III, Fig. 1.12.

Fig. 9 L’andamento delle temperaturenell’emisfero settentrionale dal 200 d.C. al 2000.Fonte: M.E. Mann, R.S. Bradley, M.K. Hughes,Northern Hemisphere Temperatures Duringthe Past Millennium: Inferences,Uncertainties, and Limitations, in«Geophysical Research Letters», 26, 1999.Mann, Jones (2003) (serie di dati disponibile inWorld Data Center for Paleoclimatology. DataContribution Series #2003-051. NOAA/NGDCPaleoclimatology Program, Boulder CO, USA).

140

8

9

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 140

Page 148: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdtava Adam Smith nel brano citato in precedenza – per far fronte al fabbisognomaggiore.

Mentre nella prima fase della transizione agricola la conquista di nuovi suo-li si accompagnò a un sostenuto progresso tecnico, in seguito prevalsero sem-pre l’estensione delle coltivazioni e l’intensi ficazione del lavoro agricolo per farfronte alla pressione demografica. Se nella prima fase della transizione all’agri-coltura si ebbe un aumento della produttività del lavoro, in seguito i progressiin estensione e l’intensificazione furono una risposta alla pressione demografi-ca, ma non valsero ad elevare la produttività del lavoro. Caso mai ne impediro-no una maggiore caduta sotto la spinta della pressione demografica crescente.

Sarebbe tuttavia un errore considerare le risorse naturali come date e immo-dificabili. Da una parte il lavoro degli uomini può modificarne sia l’estensioneche la produttività. Dall’altra i cambiamenti climatici possono influenzarne, an-che notevolmente, la disponibilità, indipendentemente dagli sforzi degli uomi-ni. Sappiamo che una grande variazione nel clima, come la fine delle grandi gla-ciazioni, secondo l’opinione di storici e climatologi, influì o determinò l’avviodell’agricoltura all’epoca della cosiddetta rivoluzione neolitica. In seguito, negliultimi 6000 anni, i cambiamenti sono stati di carattere più modesto: le variazio-ni, nel lungo periodo, non si sono mai discostate che di 1-2 gradi dalle medie de-gli ultimi 2000 anni. Essi hanno, comunque, inciso decisamente sull’entità dellesuperfici coltivabili.

Oggi i paleoclimatologi hanno ricostruito l’anda mento delle temperatureper periodi assai lunghi di tempo. Conosciamo, più o meno bene, quanto è ac-caduto nelle temperature negli ultimi 2000 anni. La curva delle temperature inun periodo così lungo di tempo mostra una notevole correlazione con l’anda-mento della popolazione (Fig. 9). Sappiamo che la popolazione diminuì in tut-to il mondo dal III secolo d.C. in poi (che fu un periodo di diminuzione delletemperature); che vi fu espansione durante i secoli centrali del Medioevo, dalIX secolo all’inizio del XIV (durante l’epoca che viene indicata come l’Opti-mum Climatico Medievale); che l’inizio della cosiddetta Piccola Età Glacia-le (dalla fine del XIII secolo al Sette-Ottocento) corrispose a un periodo di fles-sione demografica, pur con alti e bassi; che da allora la popolazione riprese acrescere, mentre anche le temperature aumentavano. Dal momento che que-ste tendenze della popolazione si manifestarono allo stesso tempo in tutte le

sto riografici

15. W.F. Bodmer, L.L. Cavalli Sforza, Geneticaevoluzione uomo, Mondadori, Milano 1977.16. E. Boserup, The Conditions of Agricultu-ral Growth, Earthscan, London 1993.17. A. Crosby, Lo scambio colombiano. Le con-seguenze biologiche e culturali del 1492(1972), Einaudi, Torino 1992.

Copia ottocentesca di una miniatura di unmanoscritto medievale che raffigura degliuomini che arano e una scritta in anticoanglosassone che dice: «Dio spinge l’aratroe ci manda il grano».

141

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 141

Page 149: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

regioni del mondo, sembra logico pensare che abbia agito su queste fluttuazio-ni qualche causa comune e, fra queste, l’andamento del clima risulta come lapiù ragionevole ipotesi. Temperature più elevate consentono di coltivare ter-reni situati a un’altitudine più elevata, permettono una più rapida maturazionedei prodotti vegetali e, a quanto è stato suggerito, riducono l’incidenza dellecarestie18.

Gli economisti classici del Sette-Ottocento, quando parlavano del rapportofra popolazione e risorse, consideravano le risorse naturali come un elementocostante e solo la popolazione come una variabile. Sappiamo oggi che non è co-sì e che anche la disponibilità di risorse naturali è soggetta a variazioni indipen-denti dagli sforzi degli uomini.

Il capitale (K)Spesso si è fatto dipendere il basso livello della produttività nel mondo agricolodel passato dal basso livello d’investimento. La produttività dei sistemi agricoli –si dice – rimase bassa perché la formazione del capitale era limitata; e la forma-zione del capitale era limitata perché i gruppi sociali superiori preferivano spen-

dere in maniera improduttiva piuttostoche investire. È vero tutto questo?

Il potenziale risparmio, nelle socie-tà agricole del passato, non era cosìbasso come talora si sostiene. È plau-sibile ritenere che il 95% della societàconsumasse tutto il proprio redditosenza possibilità di risparmio. Era laparte povera delle società del tempo.Anche ammettendo che il 5% più ric-co, che deteneva di circa il 25% delprodotto aggregato, consumasse assaidi più, in termini pro capite, del restodella popolazione, il risparmio poten-ziale poteva essere compreso fra il 10e il 15%. L’economista Simon Kuznets,scrisse che, alla domanda se nelle ci-viltà agrarie del passato la formazionedel capitale fosse «inferiore in manie-ra significativa a quella documentataalle origini della crescita moderna, siesiterebbe a dare una risposta defini-tiva»19.

Per quale motivo, dunque, perma-ne negli storici la convinzione che laformazione del capitale nelle econo-mie agrarie del passato fosse assai mo-desta? A questa domanda si possonodare due risposte, che si completanol’una con l’altra:– innanzitutto, la durata fisica del ca-pitale fisso nelle economie agricole delpassato era assai breve a causa dellecaratteristiche stesse dei capitali, e cioèdei materiali, facilmente deperibili, di

l’ampliamento degli orizzonti sto rio3 • Paolo Malanima • Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Breviario Grimani, marzo, fd. 4v, 1520 ca.Venezia, Biblioteca Marciana.

142

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 142

Page 150: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdcui gli impianti e le costruzioni erano fatte, e a causa delle avversità climati-che e naturali. Gran parte del risparmio che si formava veniva utilizzato, dun-que, per far fronte al deprezzamento e non per accrescere il capitale fisso;

– la formazione del capitale è, inoltre, stimolata dal rendimento degli investi-menti. Se il rendimento è basso, gli incentivi ad investire sono limitati. Que-sti incentivi dipendono, a loro volta, dal dinamismo del progresso nelle tec-niche produttive. Se, in un’economia agraria matura, il progresso tecnico èlimitato, anche gli incentivi ad investire sono limitati. La formazione del ri-sparmio prenderà piuttosto la strada della costruzione di immobili: palazzi,ville, chiese, edifici pubblici. Anche le costruzioni edilizie sono una formad’investimento e fanno, dunque, parte del capitale fisso. Si tratta, però, di unaforma d’investimento la cui produttività è modesta o inesistente del tutto;comunque assai inferiore a quella in impianti e attrezzature che rendono piùproduttivo il lavoro.Nelle civiltà agricole, dunque, la produttività non era bassa perché si costrui-

vano chiese e palazzi, ma si costruivano chiese e palazzi perché la produttivitàera bassa.

I cicli delle economie agrarieAbbiamo esaminato finora il processo di produzione considerando le varia-bili che determinano il prodotto, che vanno dal lavoro (L), alle tecniche (A),ai mezzi materiali (R e K) che cooperano col lavoro, fino al prodotto finito(Fig. 10).

Siamo ora in grado di valutare l’interdipendenza fra le diverse variabili cheabbiamo esaminato finora.

Per cogliere il funzionamento complessivo possiamo servirci del grafico suc-cessivo (Fig. 11), in cui sono riprese in modo semplificato le variabili della fun-zione di produzione che abbiamo già esaminato in precedenza.

Nel grafico non compaiono le risorse naturali (R). Dal momento che le ri-sorse naturali sono sempre, in realtà, modificate dal lavoro dell’uomo e dagli in-vestimenti del passato, possiamo, per semplificare, considerarle a tutti gli effet-ti come una forma di capitale. K rappresenta, dunque, K+R. Un cambiamento ri-spetto all’equazione precedente è anche l’inversione di K/L il capitale per lavo-ratore, in L/K, e cioè i lavoratori per unità di capitale.

Sull’asse delle ascisse è rappresentato il numero di lavoratori per unità dicapitale (che comprende anche le risorse). Possiamo pensare al numero degliabitanti di un villaggio rispetto ai terreni agricoli, fabbricati, attrezzi, bestiamedi cui essi sono proprietari. Assumiamo che L sia una proporzione costantedella popolazione. Se L aumenta rispetto a K, il valore del rapporto L/K au-menta e ci si sposta verso destra (i membri del villaggio diventano sempre piùnumerosi rispetto a terreni, fabbricati…). Sull’asse delle ordinate è rappresen-tato il prodotto per lavoratore o produttività del lavoro (Y/L). La retta S, oriz-zontale rispetto all’asse delle ascisse, rappresenta il livello della sussistenza, ola parte del prodotto del lavoro che serve a far fronte alle necessità elemen-tari del lavoratore. La curva indica, dunque, l’andamento del prodotto del la-voro all’aumentare del numero dei lavoratori (e della popolazione) rispetto alcapitale e alle risorse.

Come si vede, nei pressi dell’origine degli assi la produttività del lavoroaumenta. Possiamo pensare a un nuovo insediamento – un nuovo villaggio– nel quale si cominciano a utilizzare le tecniche e le conoscenze della ri-voluzione agricola. All’inizio la produttività del lavoro cresce. Con l’aumen-tare, però, del rapporto L/K, mentre ci si sposta verso la destra, il prodotto

sto riografici

18. Cfr. le osservazioni di P. Galloway, Long-Term Fluctuations in Climate and Populationin the Preindustrial Era, in «Population andDevelopment Review», 12, 1986, pp. 1-24.19. S. Kuznets, Capital Formation in ModernEconomic Growth (and Some Implicationsfor the Past), in Troisième conférence interna-tionale d’histoire économique (Münich 1965),Paris-La Haye I, p. 33.

Fig. 10 Rappresentazione schematica del processo produttivo.Fig. 11 La produttività del lavoro comefunzione del lavoro e del capitale.

143

10

11

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 143

Page 151: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

per lavoratore comincia a declinare. È l’effetto dei rendimenti decrescentidel lavoro all’aumentare dei lavoratori rispetto alle risorse e beni capitali.In A, il prodotto del lavoro è ancora superiore al livello della sussistenza (S).Il reddito medio elevato stimola l’espansione demografica. Lo è ancora in B.Non lo è più in C, dove il prodotto del lavoro è solo capace di far fronte al-la semplice sussistenza del lavoratore. Se si tiene conto delle variazioni fre-quenti del livello dei raccolti, che spostano verso il basso o verso l’alto lacurva del prodotto per lavoratore e la fanno oscillare intorno al livello me-dio, allora vediamo come il prodotto per lavoratore possa scendere facilmen-te al di sotto della sussistenza stessa. La carestia provoca un aumento dellamortalità e una diminuzione della natalità. Il risultato del rapporto L/K di-minuisce. Il sistema produttivo si sposta di nuovo verso sinistra, dove il li-vello della produttività del lavoro è ben al di sopra della sussistenza. Essen-do il prodotto del lavoro superiore alla sussistenza, la popolazione avrà ten-denza ad aumentare di nuovo. Ci si sposterà di nuovo verso destra, conun’oscillazione ciclica. La pressione della popolazione manterrà tutto il si-stema produttivo in prossimità dei punti B e C; in prossimità, cioè della sem-plice sussistenza.

Come si può uscire da questa oscillazione ciclica? Se ne può uscire con mag-giore capitale o maggiori risorse? In realtà maggiore capitale o maggiori risor-se possono spostare temporaneamente il sistema verso la sinistra, in conseguen-za dell’aumento del denominatore nel rapporto L/K. E a sinistra il prodotto dellavoro è più alto. Ma il prodotto più alto incoraggia di nuovo l’aumento demo-grafico. Un cambiamento deciso può verificarsi solo con uno spostamento, checontinui nel tempo, della curva del prodotto del lavoro verso destra, verso lacurva tratteggiata (nella direzione indicata dalla freccia). E ciò può avvenire inseguito al superamento del sistema tecnico, come accadde nel primo Ottocen-to nei paesi dell’Europa occidentale. In altre parti del mondo, ad esempio in Ci-na, i cicli delle società agricole tradizionali continuarono assai più a lungo. In

l’ampliamento degli orizzonti sto rio3 • Paolo Malanima • Crescita e maturità. La produttività del lavoro nelle economie agrarie tradizionali

Bufali al lavoro in una risaia in Cambogia.

144

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 144

Page 152: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdsto riografici

Aratura con un aratro trainato da cavalli;Fahrenwolde, Germania, 2008.

Europa occidentale si passò, prima che altrove, dai cicli pre-moderni alla cresci-ta moderna. Se il progresso tecnico provoca uno spostamento continuo dellacurva verso destra s’imbocca la strada dello sviluppo sostenuto; che non signi-fica, però, sviluppo eterno e senza interruzioni.

ConclusioniSi è visto come nei 5-6.000 anni in cui le civiltà agrarie dominarono come siste-mi di organizzazione della vita associata, si possano individuare due lunghe fa-si, che potremmo denominare della crescita e della maturità. Nella fase dellacrescita, che si verificò nel Vicino Oriente, in Egitto e Cina fra il 4000 e il 3000a.C., si ebbero cambiamenti tecnici notevoli, che aumentarono la dotazione dienergia pro capite e la produttività del lavoro. Con la diffusione della civiltà agri-cole, periodi di crescita si verificarono anche in seguito, là dove si venivano af-fermando società agricole che sostituivano le economie della caccia, della rac-colta e dell’allevamento esistenti fino ad allora. Ovunque, a questa fase di avan-zamento tecnico, seguì la maturità dei sistemi agricoli. Durante questa secon-da fase, la pressione demografica dette luogo a cicli di espansione e di declinoaccompagnati dall’estensione degli arativi e intensificazione nell’uso della ter-ra. La stabilità tecnica del settore primario costituì l’ostacolo maggiore all’au-mento della produttività del lavoro. Questa fase della maturità durò in Europasino all’inizio dell’Ottocento. In altre parti del mondo durò ancora più a lungo.

Oggi, gli economisti sono soliti dividere la storia in due epoche fondamen-tali: quella della stagnazione malthusiana a partire dalle origini dell’uomo, 5-4 milioni di anni fa, e quella della crescita moderna, dall’inizio del XIX secoloin poi. Si tratta di una semplificazione eccessiva. Quando lo storico guarda allungo periodo scopre che epoche di crescita vi furono nelle civiltà del passato.Nel 4000 o 3000 a.C. non c’erano economisti. Se ci fossero stati non avrebberopotuto anch’essi considerare la loro epoca come l’età della crescita moderna, odella crescita sostenuta, come si dice oggi?

145

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 145

Page 153: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggiPremessaI cambiamenti decisivi avvenuti nell’economia europea degli ultimi due secolivengono spesso indicati dagli storici con le espressioni di crescita moderna odi modernizzazione dell’economia. Alcuni elementi centrali di questa trasfor-mazione possono essere riassunti con poche cifre essenziali:– aumento della popolazione: da meno di 200 milioni di abitanti nell’intero

continente nel 1800 a 730 nel 2000, con una crescita di 3,5-4 volte;– aumento del prodotto pro capite: da circa 1.000 dollari internazionali del

1990 all’inizio dell’Ottocento a 16.000 nel 2000, con un aumento di circa16 volte1;

– aumento del prodotto aggregato: nell’insieme del continente, in due seco-li, la capacità di produrre è aumentata di 50-60 volte.Crescita e energia. Un presupposto indispensabile della modernizzazione

economica è stato il progresso delle conoscenze tecniche e in particolare diquelle nel settore dello sfruttamento delle risorse energetiche. Se definiamol’energia, sotto il profilo economico, come la capacità di compiere lavoro uti-le per soddisfare i bisogni e i desideri degli uomini, questa capacità è aumen-tata decisamente. Per quanto il cambiamento nel sistema energetico non costi-tuisca, da solo, una condizione sufficiente della crescita economica, esso costi-tuisce, tuttavia, una condizione necessaria, nel senso che, senza di esso, il pro-cesso della crescita moderna, che ancora continua, non avrebbe potuto aver luo-

go. In altri termini: il forte aumento del numero degli uomi-ni e del loro potere d’acquisto non avrebbe potuto esseresostenuto senza un aumento nella capacità di trasformarei materiali dell’ambiente in beni e servizi; e questa capaci-tà è, appunto, fornita dal sistema energetico.

La modernizzazione dell’economia è iniziata in Europa,e dall’Europa si è diffusa in altre parti del mondo. Il cambia-mento nel sistema energetico ha accompagnato questa dif-fusione negli ultimi due secoli. Possiamo farci un’idea del-l’entità del cambiamento avvenuto nel campo dell’energiacon un semplice calcolo. Si stima che circa 90-100 miliardidi uomini siano vissuti sulla Terra da 5 milioni di anni fa adoggi. Gli ultimi 200 anni rappresentano solo lo 0,004% nel-la storia dell’umanità dalle origini. Ebbene, in questi ultimidue secoli, in cui è vissuto circa il 20% dell’umanità, è stataconsumata una quantità di energia 3-5 volte superiore a quel-la consumata dai 70-80 miliardi di uomini vissuti in prece-denza, e cioè nel 99,996% della storia della specie uomo2.

L’obiettivo delle pagine seguenti è quello di delineare icambiamenti essenziali avvenuti negli ultimi due secoli, du-rante la transizione energetica; un’espressione, questa, checomprende la trasformazione nell’entità dei consumi, nel-le fonti sfruttate, nei modi dello sfruttamento. Si conclude-rà questa ricostruzione con le prospettive del cambiamen-to energetico nel prossimo futuro.

l’ampliamento degli orizzonti sto rio

4Paolo Malanima

Sotto, schema della macchina a vapore diNewcomen del 1712.Nella pagina accanto, schema dellamacchina a vapore di Watt del 1788, similea quella di Newcomen ma con qualchedifferenza, come ad esempio il sistema diraffreddamento, che permetteva un notevolerisparmio di energia.

146

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 146

Page 154: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdPrima della transizioneLe fonti. Alla vigilia della crescita moderna, e cioè nelle economie agrarie euro-pee prima dell’Ottocento, i bisogni fondamentali di movimento, calore, illumi-nazione, venivano soddisfatti da tre fonti fondamentali3. La prima, quella origi-naria, era costituita dal cibo, che apportava una quantità di calorie4 – fra le 1.500e le 2.500 al giorno – non molto diversa da quella disponibile oggi. Con consu-mi stabilmente inferiori alle 1500 calorie, la popolazione non avrebbe potutosopravvivere e riprodursi. Consumi superiori alle 2500 calorie non erano con-sentiti dalle conoscenze tecniche in agricoltura.

La fonte più importante in termini quantitativi era rappresentata dalla legna,e, in misura trascurabile, guardando all’Europa nel suo insieme, da altri combu-stibili come la torba e il carbon fossile. Lo sfruttamento della legna col fuocoaveva costituito un cambiamento decisivo nella storia dell’umanità, che con que-sta conoscenza tecnica aveva superato decisamente le capacità degli altri ani-mali. La conoscenza del fuoco si era sviluppata fra 1 milione e mezzo milionedi anni fa. Dal momento che la legna secca fornisce circa 3.000 calorie al kg eche nell’Europa medievale e moderna si consumavano in media 3 kg al giornoper persona, includendo gli usi industriali, il consumo pro capite derivante daquesta fonte era di 9.000 calorie. Le differenze nei consumi fra il Nord e il Suderano, ovviamente, assai forti a causa delle differenze di temperatura. Mentre inScandinavia il consumo medio al giorno poteva arrivare a poco meno di 10 kg,nel Mezzogiorno d’Italia o nel Sud della Spagna, si superava di poco 1 kg.

La terza fonte di energia, sviluppatasi su ampia scala soltanto a partire dalmillennio fra il 4000 e il 3000 a.C., era costituita dal cibo per gli animali usati inagricoltura e nei trasporti. Lo sfruttamento della forza animale si diffuse con lanascita delle grandi civiltà agrarie del Vicino Oriente e dell’Africa settentriona-le, dell’India, della Cina. Un animale da lavoro o da trasporto come il bue, il ca-vallo, l’asino, più piccoli di dimensioni di quelli attuali, con-sumava sulle 20.000 calorie al giorno. Quanti fossero gli ani-mali da lavoro in rapporto con la popolazione non è datodi sapere per le epoche antiche. Se si accetta, per l’Europain età moderna, il rapporto di un animale ogni 4-5 personee suddividiamo, dunque, il cibo consumato da ogni anima-le per 4 o 5, come se si trattasse del combustibile per unamacchina, arriviamo a un consumo per persona di 5.000 o4.000 calorie al giorno.

Due fonti affermatesi più tardi, quella del vento per levele (già sfruttata nel tardo Mesolitico) e poi per i mulini(dal VII secolo d.C.) e quella dell’acqua (usata per i mulinigià dal III secolo a.C., a quanto sembra da recenti studi5) co-stituirono sempre, in termini quantitativi, un apporto mol-to modesto. Raramente fu superato l’1-2% nel totale dei con-sumi. Le macchine usate per sfruttare queste fonti di ener-gia costituirono un contributo tecnico assai rilevante, perquanto il loro sfruttamento non consentisse di superare i li-miti delle economie agrarie tradizionali.

Il livello dei consumi. È possibile precisare quale fosseil livello dei consumi di energia delle popolazioni europeedi antico regime e quali fossero le differenze fra le diverseregioni del continente? Qual era la composizione del bilan-cio energetico? Qual era la differenza fra il livello dei con-sumi in Europa e nelle altre civiltà agrarie?

1. In dollari internazionali del 1990 a parità di po-tere d’acquisto (PPA) sono espresse le serie elabo-rate da A. Maddison nei suoi lavori: The World Eco-nomy. A Millennial Perspective, OECD, Paris 2001,e The World Economy. Historical Statistics, OECD,Paris 2003, da cui sono riprese le cifre citate. A que-ste opere rimando per le spiegazioni sulla monetausata per le comparazioni internazionali.2. Il calcolo è basato sulla stima di una speranzadi vita alla nascita (o vita media) di 20 anni (datal’elevata mortalità infantile), per gli 80 miliardid’individui dalle origini dell’umanità al 1800, e suun loro consumo medio di energia di 6.000 kcalal giorno. Per i 20 miliardi di abitanti vissuti dal1800 a oggi ho assunto una speranza di vita di 40anni e un consumo medio di 40.000 kcal al gior-no. È evidente che si tratta di una stima grossola-na, ma utile per definire un ordine di grandezza.3. Per i calcoli successivi rimando a P. Malani-ma, Energia e crescita nell’Europa preindu-striale, Nuova Italia Scientifica, Roma 1996.4. Qui e in seguito per caloria s’intende la chi-localoria, abbreviata in Cal o kcal (che corri-sponde a 1000 piccole calorie). La piccola calo-ria è la quantità di calore necessaria ad elevareda 14,5°C a 15,5°C 1 grammo d’acqua alla pres-sione normale. 10.000.000 di kcal corrispondo-no a 42 Gigajoule.5. A. Wilson, Machines, Power and the AncientEconomy, in «Journal of Roman Studies», 92,2002, pp. 1-32. L’opinione prevalente fino aqualche anno fa era che il mulino fosse stato in-ventato nel I secolo a.C.

sto riografici

147

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 147

Page 155: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Abbiamo dati meno incerti per lavigilia della transizione energetica;vale a dire attorno al 1800 (Tab. 1).Considerando soltanto le fonti tradi-zionali6, il ventaglio dei valori del con-sumo era molto vario e andava da 15Gigajoule a persona all’anno nei pae-si mediterranei (più o meno 10.000calorie al giorno), fino a 50 in Scan-dinavia (30.000 calorie al giorno). Algiorno d’oggi, il consumo annuo neipaesi dell’Europa occidentale è di170 Gj all’anno. Questo ampio venta-glio dipendeva soprattutto dalle dif-ferenze di temperatura fra le diverseregioni d’Europa e, di conseguenza,dal consumo di legna. Nel 1800 la me-dia del consumo energetico in Euro-pa occidentale, con l’esclusione delcarbon fossile, che cominciava ad es-sere utilizzato, era di 20 Gj all’anno;che corrisponde a 13.000 calorie perpersona al giorno.

l’ampliamento degli orizzonti sto rio4 • Paolo Malanima • La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

6. Si esclude, cioè, il consumo di carbon fossi-le dell’Inghilterra, che, invece, è incluso nel da-to presentato nella Tab. 1.

Gj all’anno kcal al giorno

Svezia 47,3 30.850

Inghilterra (e Galles) 60,0 39.140

Paesi Bassi 25,8 16.830

Francia 19,5 12.720

Portogallo 18,8 12.263

Italia 17,4 11.350

Spagna 14,8 9.650

Nota: 10.000.000 kcal = 42 Gigajoule.Fonti: Questi dati e gli altri citati in queste pagine sono basati su una ricerca in corso del gruppoLong-term Energy Growth (LEG). In particolare, i dati per la Svezia sono stati elaborati da A.Kander, per l’Inghilterra da P. Warde, per i Paesi Bassi e Francia da B. Gales, per l’Italia da P.Malanima, per la Spagna da M. Rubio, per il Portogallo da S. Enriques. I criteri seguiti nellapreparazione di queste serie, che includono sempre le energie tradizionali, sono spiegati nei lavoridi Malanima, Energia e crescita cit. e Energy Consumption in Italy in the 19th and 20th Centuries,ISSM-CNR, Napoli 2006, di A. Kander, Economic Growth, Energy Consumption and CO2 Emissionsin Sweden 1800-2000, Lund University, Lund 2002, e P. Warde, Energy Consumption in Englandand Wales 1560-2000, ISSM-CNR, Napoli 2007.

Una pompa idraulica a vapore usata allafine del ’700 per aspirare acqua dalleminiere, Wanlockhead, Scozia.

Tabella 1. Consumo pro capite di energia in sei paesi europei nel 1800 (inGj all’anno e kcal al giorno)

148

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 148

Page 156: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdPer quanto riguarda la composi-

zione del bilancio energetico, al pri-mo posto si trovavano i combustibili,rappresentati quasi esclusivamentedalla legna da ardere, che costituivapiù del 50% del consumo totale dienergia nei paesi del Sud e arrivava apiù del 70% nelle regioni fredde del-l’Europa del Nord. La seconda fonteera rappresentata dal cibo degli ani-mali da lavoro (considerato come ilcombustibile di una macchina suddi-viso fra la popolazione che li adope-rava) e la terza dagli alimenti per gliuomini. Il vento, per le vele e i muli-ni, e l’acqua, per i mulini da frumen-to e per i congegni utilizzati nell’in-dustria, rappresentavano meno del2%. Un’eccezione era costituita daiPaesi Bassi dove lo sfruttamento delvento corrispondeva al 20% del tota-le7. Questa composizione risulta con-fermata dai dati relativi alla metà del

7. Come si vede nella Tab. 2, tuttavia, alla metàdell’Ottocento, in seguito all’aumento del con-sumo di energia in Olanda e all’introduzionemassiccia del carbon fossile, la composizionedel bilancio energetico era cambiata e il pesorelativo del vento era minore che mezzo seco-lo prima.8. Malanima, Energy Crisis and Growth 1650-1850. The European Deviation in a Compa-rative Perspective, in «Journal of Global Histo-ry», I, 1, 2006, pp. 101-21.

sto riografici

Svezia Paesi Bassi Italia* Spagna

Cibo (per uomini e animali) 25 38 41 50

Legna 73 11 51 46

Acqua e vento < 1 10 1 2

Combustibili fossili 2 41 7 2

* 1861.Fonte: B. Gales, A. Kander, P. Malanima, M. Rubio, North versus South. Energy Transition and EnergyIntensity in Europe over 200 Years, in «European Review of Economic History», 11, 2007, pp. 215-49.

Macchina agricola a vapore del 1906.

secolo; quando cioè, la transizione energetica era già cominciata (Tab. 2).L’Europa e le altre civiltà. Quanto alla differenza fra il consumo energetico

dell’Europa e quello delle altre civiltà agrarie della stessa epoca, è possibile avan-zare l’ipotesi che in Europa esso fosse superiore per due ragioni8:1. la civiltà agraria europea era più settentrionale rispetto alle altre (cinese, in-

diana, quelle del Sudamerica…) e di conseguenza il consumo di legna era inmedia più elevato;

2. l’agricoltura secca europea (non basata, cioè, sull’irrigazione) utilizzava glianimali da lavoro molto più delle altre civiltà agrarie (sappiamo che, nelle al-tre regioni del mondo, tutto il lavoro agricolo veniva compiuto ben più da-gli uomini che dagli animali).Tutto considerato, la civiltà agraria europea era caratterizzata da un’intensi-

tà energetica relativamente elevata.

Tabella 2. Composizione del consumo di energia nel 1850 in Svezia, PaesiBassi, Italia e Spagna (%).

149

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 149

Page 157: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

I caratteri del sistema energetico tradizionaleIl sistema energetico di antico regime era contraddistinto da:1. utilizzo di fonti vegetali, e quindi rinnovabili;2. sfruttamento di convertitori principalmente biologici;3. rendimento modesto.

Esaminiamo questi tre caratteri.Fonti rinnovabili. Tutte le fonti tradizionali di energia erano rinnovabili. Ad

esclusione dell’acqua e del vento, esse erano di tipo vegetale e dipendevano dal-la luce del Sole e dalla capacità fotosintetica dei vegetali. Rappresentavano, perquesto motivo, una riserva illimitata di energia. La conseguenza negativa del ca-rattere vegetale delle civiltà agrarie di antico regime è che esse dipendevanofortemente dai cambiamenti climatici di breve e lungo periodo, che potevanoridurre drasticamente o accrescere la base energetica. Inoltre, era difficile e la-borioso ampliare in modo considerevole questa base, date le conoscenze tecni-che e dato che essa dipendeva dalla disponibilità di terra, che è limitata. Per que-sta ragione le civiltà agrarie del passato erano povere di energia.

Convertitori biologici. Un’altra caratteristica di questo sistema energetico èche esso si fondava su convertitori biologici di energia molto più che su con-vertitori meccanici. Alla base del sistema vi era, infatti, l’ossidazione dei compo-sti del carbonio attraverso il metabolismo degli uomini e degli animali e attra-verso il fuoco (che è una forma di ossidazione rapida del carbonio contenutonella legna). Questo sistema energetico non era in grado di trasformare il calo-re del fuoco in movimento ordinato o lavoro9. Queste civiltà erano prive della«forza motrice del fuoco», di cui scrisse Sadi Carnot nel 1824, riflettendo sullamacchina a vapore che si andava diffondendo in Europa10.

Rendimento e potenza. Una conseguenza importante della presenza diconvertitori esclusivamente biologici dell’energia era il rendimento ridotto(vale a dire, un basso rapporto tra l’energia utile risultante da una trasforma-zione e l’energia totale impiegata). Per tutti gli esseri animali, gran parte del-l’energia utilizzata come nutrimento viene impiegata per la sopravvivenza etrasformata in calore. Solo una piccola parte dell’energia introdotta è trasfor-mata in lavoro meccanico e usata, di conseguenza, per fini economici. Nel ca-

so dell’uomo il rendimento è del 20%,mentre per gli animali adoperati inagricoltura non oltrepassa abitual-mente il 10%. Per quanto riguarda lalegna, il calore utilizzato dagli uomi-ni era una parte molto ridotta del ca-lore prodotto durante la combustio-ne. Esso poteva variare, ma assai rara-mente oltrepassava il 25% ed era, nel-la maggior parte dei casi, di gran lun-ga inferiore. Il rendimento dei muli-ni ad acqua e a vento era più eleva-to, come in tutti i casi in cui non sideve produrre lavoro attraverso unaconversione preliminare in calore.Questo rendimento, tuttavia, non an-dava oltre il 35-40%. Considerandoche l’efficienza maggiore veniva ot-tenuta dalla forma di conversione –del l’acqua e del vento – che era d’im-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio4 • Paolo Malanima • La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

Locomotiva a vapore della finedell’Ottocento.

150

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 150

Page 158: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdportanza trascurabile all’in ter no del sistema energetico del passato, la con-clusione alla quale giungiamo è che il rendimento medio di tutti i converti-tori era attorno al 20%11.

Anche la potenza, ovvero la quantità massima d’energia che può essere libe-rata in un secondo da una macchina (biologica o meccanica), era molto ridot-ta. Un mulino ad acqua aveva in media la potenza di 3-5 cavalli-vapore. Un mu-lino a vento poteva raggiungere i 10-15. Oggi, con una centrale nucleare, si puòarrivare ad una potenza di 2 milioni di cavalli-vapore12.

Alle origini della transizioneLa crescita della popolazione. Il sistema di energia delle civiltà agricole tra-dizionali, fondato, come si è visto, sull’impiego di fonti vegetali e sulla con-versione biologica, si poteva adattare con molta difficoltà e lentezza all’au -mento della domanda. Il passaggio da questo sistema a un sistema energeti-co diverso, fra Sette e Ottocento, dipese, prima di tutto, dall’aumento delladomanda di fonti energetiche, che derivò dalla crescita della popolazione apartire dalla fine del XVII secolo. Attorno al 1650, la popolazione dell’Euro-pa non era molto superiore a quella del 1300: poco più di 100 milioni. Essaraggiunse, tuttavia, circa 190 milioni nel 1800 e 314 milioni nel 1870. Malgra-do l’estensione delle superfici coltivate e l’introduzione del mais e della pa-tata, che avevano un rendimento ben superiore a quello del frumento e per-mettevano di nutrire un numero assai maggiore di individui, la prima fase diquesta crescita fu caratterizzata da un aumento dei prezzi, in particolar mo-do dei prodotti agricoli. Seguì un peggioramento delle condizioni di vita del-la maggioranza della popolazione, ovvero dei ceti sociali inferiori, che forma-vano il 90% della popolazione, come risulta evidente dalla diminuzione deisalari reali nella seconda metà del XVIII secolo13.

Questo peggioramento nella disponibilità di fonti energetiche si manifestòanche attraverso l’abbassamento della statura di qualche centimetro per le per-sone nate tra il 1750 e il 1820-30. Come conseguenza del dissodamento delleforeste per aumentare le superfici coltivate, la crescita dei prezzi agricoli fu piùforte nel caso della legna. La pressione della popolazione sulla terra, che era labase del sistema energetico, ha spintogli storici a parlare di una «crisi ecolo-gica» della civiltà agraria europea14, co-sì come di quelle di altre parti del mon-do e in particolare di quella cinese delmedesimo periodo. Il sistema energe-tico tradizionale si rivelava incapacedi sostenere la crescita demografica,come mostra chiaramente la diminu-zione, pressoché in tutti i paesi d’Eu-ropa, della produzione agricola pro ca-pite, che rappresenta bene la quantitàdelle fonti energetiche tradizionali15.

Bisogni e tecniche. La crescita deibisogni, tuttavia, sebbene importantecome stimolo per l’innovazione, puòanche non essere seguita da un cam-biamento tecnico. Perché si verifichiun cambiamento tecnico, è necessarioche essa si combini con la conoscen-

9. Lavoro ha qui il significato economico e nonquello della fisica.10. S. Carnot, Réflexions sur la puissance mo-trice du feu (1824), Vrin, Paris 1978.11. Malanima, Energia e crescita cit.12. E. Cook, Man, Energy, Society, W.H. Free-man, San Francisco 1976, p. 29.13. Cfr. sul tema R.C. Allen, The Great Divergen-ce in European Wages and Prices from the Mid-dle Ages to the First World War, in «Explorationsin Economic History», 38, 2001, pp. 411-47.14. K. Pomeranz, The Great Divergence. Euro-pe, China, and the Making of the ModernWorld Economy, Princeton University Press,Princeton 2000.15. R. C. Allen, Economic Structure and Agri-cultural Productivity in Europe, 1300-1800,in «European Review of Economic History», 4,2000, pp. 1-26.

sto riografici

Mulino ad acqua a Braine-le-Château in Belgio.

151

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 151

Page 159: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

za di nuovi processi, fatto che, in molti casi, è semplicemente accidentale. Nelcaso dell’Europa, la carenza di fonti di energia tradizionali per abitante si com-binò con la conoscenza di un combustibile, il carbon fossile, che veniva utiliz-zato già nell’antichità e nel Medioevo e il cui impiego si era particolarmente dif-fuso in Inghilterra a partire dal XVI secolo. Esso rappresentava il 15% del con-sumo totale di energia dell’isola nel 1600, era il 32% nel 1650, quasi la metà nel1750, il 77% nel 180016. Era conosciuto nelle altre regioni d’Europa del Centroe del Nord, ma poco utilizzato.

Le fonti fossili di energia e il macchinismoCarbone, petrolio, gas. Il carbon fossile era anch’esso un composto del carbonioe, per questo motivo, organico come la legna e gli alimenti. Si trattava, tuttavia, diun composto che si era mineralizzato 300 milioni di anni addietro, nell’Era carbo-nifera. I depositi di questo minerale rappresentavano una sorta di Sylva subterra-nea, come vennero definiti dal giurista tedesco Johan Philipp Bunting17. Il vantag-gio maggiore era il prezzo molto più basso di quello della legna o del carbone dilegna, a parità di potere calorico. Con la diffusione del carbon fossile in Inghilter-ra, e successivamente in Belgio, Francia, Germania e negli altri paesi del continen-te, cominciò l’era dei combustibili minerali e non riproducibili. L’utilizzo delle fon-ti vegetali e rinnovabili di energia, nel loro insieme, andò diminuendo, inizialmen-te in termini relativi e successivamente anche in termini assoluti (Fig. 1).

l’ampliamento degli orizzonti sto rio4 • Paolo Malanima • La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

16. P. Warde, Energy Consumption in En-gland and Wales, Roma 2007.17. R.P. Sieferle, The Subterranean Forest.Energy Systems and the Industrial Revolu-tion, The White Horse Press, Cambridge 2001.

Fig. 1 Il consumo di fonti moderne e di fontitradizionali di energia in Europa occidentaledal 1800 al 2000 (in nero l’area delle fontimoderne).Fig. 2 Prezzo internazionale del petrolio indollari del 1999 al barile dal 1861 al 2000.

152

1

2

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 152

Page 160: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdAveva inizio la fase fossile del sistema d’energia, che continua a dominare

ancora oggi. All’utilizzo del carbon fossile, si aggiunse, alla fine del XIX secolo,l’uso del petrolio e, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, quello del gasnaturale (il metano). In realtà, la transizione energetica comportò non il passag-gio da un’economia organica a un’economia non organica, come ha suggeri-to A. Wrigley in numerosi suoi studi18, ma quello da un’economia organica ve-getale a un’economia organica minerale.

Con il passaggio al carbon fossile, l’Europa poteva contare, per l’ap prov -vigionamento di fonti energetiche, sui giacimenti esistenti nel continente (so-prattutto al Nord), mentre col petrolio e col gas naturale non fu più possibileper la popolazione europea basarsi sulla produzione interna. Alla fase dell’indi -pendenza energetica seguì la fase della dipendenza.

I prezzi dell’energia. Il passaggio all’impiego su vasta scala dei combustibi-li fossili di energia fu la conseguenza della crescita dei prezzi delle fonti ener-getiche tradizionali. Il passaggio dal carbon fossile al petrolio e dal petrolio algas naturale dipese anch’esso dalla ricerca di fonti di energia meno costose. Tut-te queste fonti fossili di energia erano assai meno care di quelle tradizionali. Seconsideriamo i movimenti dei prezzi delle fonti energetiche nel lungo periodo,scopriamo, infatti, che mai nella storia dell’umanità le fonti di energia sono sta-te così a basso prezzo come nel XIX e XX secolo (almeno fino alle crisi del pe-trolio negli anni Settanta del Novecento). Lo si vede bene, se assumiamo il prez-zo del petrolio come indicativo del prezzo delle fonti energetiche moderne(Fig.2)19. In particolare, si nota come un livello assai basso sia stato raggiunto frail 1950 e il 1973, che sono anni di crescita assai sostenuta dell’eco nomia euro-pea. La disponibilità di risorse energetiche a buon mercato ha costituito uno deifondamenti della crescita moderna.

Il macchinismo. La transizione energetica è dunque caratterizzata dalla gran-de quantità disponibile di nuove fonti di energia. Se il carbone e gli altri combu-stibili fossili fossero stati ancora utilizzati nei modi tradizionali, vale a dire per ilriscaldamento domestico e per la fusione dei metalli, o nelle numerose industrieche li usavano solo come fonti di calore, la transizione energetica, con la cresci-ta economica ad essa associata, non avrebbe avuto luogo. Ancor più importantedella disponibilità di combustibili diversi dalla legna, fu il passaggio dai conver-titori biologici di energia alle macchine termiche, ovvero alle macchine capacidi convertire la potenza termica dei combustibili in movimento ordinato.

La transizione energetica segnò il passaggio al macchinismo. La capacità di la-voro, in senso economico, della specie umana veniva enormemente accresciutae, con essa, la capacità di soddisfare i bisogni e i desideri. La storia della macchinaa vapore si sviluppa a partire dagli esperimenti di Auguste Papin nel XVII secolo,passando per la macchina di Thomas Newcomen del 1712, fino ad arrivare allamacchina a vapore di James Watt posteriore al 1775, che aprì l’impiego del vapo-re all’industria e ai trasporti via mare e via terra. Un progresso importante fu, inseguito, rappresentato dalla macchina a combustione interna, progettata dall’in-ventore belga Jean Joseph Étienne Lenoir nel 1860 e perfezionata da Nikolaus Ot-to nel 1876. Un notevole sviluppo tecnico nel settore dell’energia fu costituitopiù tardi, alla fine del XIX secolo, dall’inven zione e diffusione dell’elettricità. L’elet-tricità non costituiva la scoperta di una nuova fonte. Essa è infatti una fonte secon-daria di energia e non primaria, poiché non produce direttamente lavoro, ma èsoltanto un’interme diaria tra una fonte di energia (del carbon fossile, del petrolio,del gas, dell’acqua, del vento, dell’atomo) e i consumatori di energia utile. Essa rap-presentò, tuttavia, un elemento essenziale per la diffusione capillare delle nuovefonti primarie di energia nelle industrie, nei trasporti e nelle abitazioni.

sto riografici

La macchina di Boulton e Watt del 1788 cheserviva a mantenere costante la velocità diuna macchina a vapore.

Macchina a vapore tedesca del 1864.

18. Rimando soprattutto a E. A. Wrigley, Conti-nuity, Chance and Change. The Character ofthe Industrial Revolution in England, Cam-bridge University Press, Cambridge 1988.19. La fonte del grafico è costituita dalla seriepresentata in www.eia.doe.gov/emeu/intern -ational/petroleum.htm.

153

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 153

Page 161: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

La geografia dell’energia. Mentre nell’Ottocento i paesi che erano cresciu-ti di più erano quelli che avevano carbone, nel Novecento le cose sono cambia-te e si è rotta la relazione fra disponibilità di energia e crescita. Su scala mondia-le, poco meno del 50% del petrolio prodotto nell’ultimo decennio del XX seco-lo era concentrato, in ordine d’importanza, in Arabia Saudita, negli Usa, negli Sta-ti della federazione russa, in Iran e in Messico. Non tutti questi paesi erano svi-luppati sotto il profilo economico. Nello stesso periodo, facendo uguale a 100il consumo di energia dei paesi avanzati, quello dei paesi in via di sviluppo erapari a 38, quello dell’Africa subsahariana a 20 e quello dei paesi meno avanzatia 5. Alla fine del Novecento, il 25% della popolazione mondiale consumava il75% del totale dell’energia impiegata ogni anno. L’abitante di un paese avanza-to consumava 10 volte più energia dell’abi tante di un paese povero.

Il trend dei consumiI consumi. Da un punto di vista quantitativo, in Europa occidentale il consumopro capite di energia, nel 1800, era di 23 Gj (includendo il carbon fossile). Essosi mantenne a questi livelli fino al 1840; raggiunse 67 Gj nel 1900, 76 nel 1950

l’ampliamento degli orizzonti sto rio4 • Paolo Malanima • La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

Fig. 3 Il consumo di energia pro capite inEuropa occidentale dal 1800 al 2000 (in Gjall’anno).Fig. 4 Consumo pro capite di energia inInghilterra e in Italia dal 1700 al 2000(in Gj).

154

3

4

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 154

Page 162: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mded era di 170 nel 2000 (includendosempre anche le fonti tradizionali).

La crescita è stata considerevole(Fig. 3). Si possono cogliere le seguen-ti 4 epoche:– 1800-1914: crescita sensibile (so-

prattutto dal 1840 in poi);– 1920-1940: dopo la caduta duran-

te la Prima guerra mondiale si hauna ripresa, ma nel corso della cri-si economica degli anni Trenta siha una nuova riduzione, seguitada una caduta negli anni della Se-conda guerra mondiale. Nel com-plesso, in questo periodo si ha sta-bilità;

– 1950-1973: fortissima crescita dal1950 al 1973. La crescita è interrot-ta dal 1973 al 1980 e viene seguitada una ripresa che è, comunque, meno forte di quella dei due decenni se-guiti alla Guerra mondiale.Due percorsi della transizione. I valori medi nascondono, tuttavia, le diver-

se strade seguite dalle economie europee. Queste diverse strade sono ben esem-plificate dall’In ghilterra e dall’Italia, un paese ricco di fonti fossili di energia eun paese povero di fonti moderne (Fig. 4)20. Tutti gli altri paesi europei si trova-no in una posizione intermedia fra i due estremi dell’Inghilterra e dell’Italia, conun andamento dei consumi più simile a quello dell’Italia che a quello dell’In-ghilterra (che rappresenta l’eccezione piuttosto che la norma).

Le differenze fra i consumi di energia pro capite in Inghilterra e Italia sonoancora modeste all’inizio del Settecento. Si approfondiscono durante il Sette-cento e l’Ottocento, all’epoca dell’industrializzazione. L’Italia, pur importandocarbon fossile già almeno dal 1820, accresce i suoi consumi solo dall’epoca delsuo sviluppo moderno, che comincia intorno al 1880. Solo, però, dopo la Secon-da guerra mondiale, compie il salto a un livello decisamente superiore, avvici-

20. La Fig. 4 è basata su Malanima, Energy Cri-sis cit. e su Warde, Energy Consumption cit.

sto riografici

Fig. 5 La produttività dell’energia in Europaoccidentale dal 1820 al 2000 (dollari int.1990 pro capite divisi per consumo procapite di energia in Gj).

Mulini a vento nella zona della Mancia inSpagna.

155

5

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 155

Page 163: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

nandosi di nuovo all’Inghilterra. La differenza sensibile, che ancor oggi perma-ne rispetto all’Inghilterra, dipende dalle differenze di temperatura e dalla mino-re intensità energetica dell’industria italiana; che, anche in conseguenza dellapovertà di fonti moderne di energia, ha sempre puntato sull’industria leggera,anziché su quella pesante.

La produttività dell’energia. La crescita dei consumi di energia negli ul-timi due secoli risulta ancora più considerevole se esaminiamo la crescita del-l’energia utile della quale hanno potuto disporre gli europei. Il macchinismoha determinato, infatti, un aumento nel rendimento energetico dal 20 al 30-40%. Per produrre una unità di prodotto lordo, nell’anno 2000 veniva impie-gata la metà dell’energia che era necessaria nel 1800 (cfr. Fig. 5, p. 155). Laproduttività dell’energia, che è costituita dal rapporto fra il prodotto in ter-mini reali e l’energia consumata21, rivela una lieve caduta nella prima fase: si-no alla fine dell’Ottocento. Essa è causata dall’utilizzazione, soprattutto in In-ghilterra, di macchine a vapore ancora poco efficienti. Si ha, in seguito, dal-l’inizio del Novecento, un aumento della produttività, che s’interrom pe ne-gli anni Sessanta a causa dei prezzi molto bassi delle fonti energetiche (chenon inducevano al risparmio) e alla diffusione dell’automobile e di tanti elet-trodomestici nelle case degli europei, oltre che di macchine ad alto consu-mo nell’industria. La produttività dell’energia aumenta di nuovo quando iprezzi crescenti delle fonti fossili, dopo il 1973, inducono a un consumo piùefficiente. La tendenza all’aumento della produttività dell’energia continuaancor oggi.

L’energia di ieri e di domaniSi è visto come la transizione abbia comportato cambiamenti decisivi: dallefonti tradizionali alle fonti moderne, dalla conversione biologica alla conver-sione meccanica, dall’indipendenza energetica alla dipendenza, da fonti costo-se a fonti a buon mercato… Vi è tuttavia un aspetto comune ai sistemi ener-getici prima e dopo la transizione al quale di solito non si presta attenzione:sebbene diverse, le fonti energetiche moderne sono tutte fonti organiche, ov-

l’ampliamento degli orizzonti sto rio4 • Paolo Malanima • La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi

21. La produttività dell’energia è rappresenta-ta dal reciproco dell’intensità energetica (ener-gia consumata divisa per il prodotto), che vienespesso adoperata nelle ricerche sul tema del-l’energia.

Centrale elettrica in Bulgaria.

156

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 156

Page 164: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdvero composti del carbonio, così come le fonti utilizzate nel passato. Dalle sueorigini, l’umanità è vissuta grazie a fonti organiche di energia; ha legato il suodestino agli atomi di carbonio. Possiamo dunque dire che l’economia dalle ori-gini dell’uomo fino al presente è stata un’economia organica. La transizioneavvenuta negli ultimi due secoli ha solo comportato, come si è visto, il passag-gio da un sistema di energia organico di tipo vegetale a un sistema di ener-gia organico di tipo minerale. Fra le fonti oggi sfruttate, solo quelle del ven-to, dell’acqua, del Sole, e quella nucleare, sono fonti di energia non organi-che22. Nel consumo mondiale di energia esse rappresentano, nel complesso,meno del 10%. Secondo le proiezioni, nel 2030 esse costituiranno ancora me-no del 10%23. L’energia nucleare, sfruttata per produrre energia per scopi pa-cifici da circa mezzo secolo, sarebbe, secondo le stesse proiezioni, in aumen-to in termini assoluti, ma in diminuzione in termini relativi, dal 6,3 % del 2005al 4,8 del 2030.

Le prospettive sul futuro dell’energia nei prossimi decenni non sono rosee.Al giorno d’oggi gli europei, così come gli altri abitanti del Mondo, si trovanocostretti a cambiare la loro base energetica organica. Da un lato, il consumo cre-scente di combustibili organici comporta, infatti, una crescita dell’emissione nel-l’atmosfera di CO2 tale che sta cominciando a manifestare effetti pericolosi sul-l’evo luzione del clima. Dall’altro lato, i combustibili organici di tipo mineralenon sono riproducibili e verranno esauriti; come un tesoro trovato per caso sot-to terra e che stiamo sperperando in fretta. Ci sono dubbi su quando questo te-soro si esaurirà, ma nessuno ha dubbi sul fatto che esso si esaurirà. Ciò signifi-ca che le civiltà future non potranno essere ancora civiltà organiche come quel-le del passato. Si dovrà intraprendere una transizione ben più decisiva di quel-la cominciata due secoli fa, se si vorrà mantenere il livello di vita ormai raggiun-to. Essa dovrà consistere nel passaggio da un sistema energetico organico auno inorganico (non basato, cioè, sui composti del carbonio). Al momento nes-suno può prevedere con certezza quale strada verrà imboccata. Una possibilitàè la fine della crescita. L’altra possibilità è quella di una nuova transizione ener-getica, su basi assai diverse da quella del passato.

22. Anche le biomasse, di cui oggi si parla spes-so, sono naturalmente fonti organiche.23. Queste stime e proiezioni sono riprese daAIE, World Energy Outlook, AIE, Paris 2007. Siveda, sulle proiezioni dei consumi di energia, ilvolume di A. Clô, Il rebus energetico, Il Mulino,Bologna 2008.

sto riografici

Centrale eolica a Caen in Francia.

157

4_MUN_D_104-157_p:Layout 1 2-07-2009 16:03 Pagina 157

Page 165: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

L’industria a Bolzano 1848-1948PremessaAlcuni anni fa il Comune di Bolzano1 ha iniziato un progetto di mappaturadei principali luoghi storici della città. Il progetto «I luoghi della memo-ria/Historische Staetten und Objekte», che per la parte didattica si avvale del-la collaborazione del Lab*doc storia/Geschichte2, vuole essere una raccoltasistematica di luoghi significativi della città che vengono messi in evidenzaattraverso percorsi tematici. Fino ad oggi sono state pubblicate sei cartinecon altrettanti percorsi, e quello che qui di seguito presentiamo è il «Percor-so nell’industrializzazione», che mi ha visto direttamente coinvolto nella fa-se di studio e progettazione. La ricerca che abbiamo svolto ha preso in esa-me lo sviluppo dell’industria a Bolzano dalle origini, che risalgono alla finedel XVIII secolo, alla Seconda guerra mondiale. Abbiamo cercato di ricostruir-ne lo sviluppo puntando l’attenzione sulle aziende che hanno lasciato trac-ce più o meno evidenti sul territorio cittadino. Non ci siamo però limitati aisoli opifici; l’industria, infatti, necessita di infrastrutture, di case per gli ope-rai che finiscono con il costituire interi quartieri, di scuole che formino tec-nici e operai. La ricerca ha portato alla compilazione di una serie di schede,introdotte da una premessa, e ricostruisce lo sviluppo del tessuto “industria-le” nel suo significato più ampio, e cioè un insieme di «luoghi della memoria»per la città e per l’immaginario dei suoi abitanti. Le schede, complete di da-ti bibliografici e archivistici, sono a disposizione di ricercatori, insegnanti,studenti e interessati e possono essere consultate nel data-base dell’ArchivioStorico del Comune di Bolzano; i «luoghi della memoria» più rappresentativisono invece entrati a far parte del percorso tematico.

1. Assessorato alla Cultura. Ufficio Servizi mu-seali e storico-artistici.2. Il Lab*doc storia/Geschichte dell’Intenden-za scolastica di Bolzano pubblica la rivista diStoria e didattica della storia «StoriaE», consulta-bile sul sito http://www.emscuola.org/labdocstoria/storiae/default.htm. Si tratta di materialidi lavoro, documenti, fonti, repertori bibliogra-fici, proposte didattiche, supporti metodologi-ci, prospettive di formazione e aggiornamento,confronto su esperienze e iniziative in relazioneallo studio e all’insegnamento della storia a scuo-la, e in particolare della storia del territorio tra levalli dell’Inn e dell’Adige, in una prospettiva lo-cale, nazionale, europea e internazionale.3. A. Mura, H. Obermair, I percorsi nei luoghidella memoria, in «StoriaE», 2, settembre 2004,p. 46.4. Cfr. R. Petri, Storia di Bolzano, Il Poligrafo,Padova 1989.5. Cfr. C. Gatterer, In lotta contro Roma. Cit-tadini, minoranze e autonomie in Italia(19681), Praxis3, Bolzano 1994, p. 641.6. K.T. Hoeniger, Origini e sviluppo dell’eco-nomia industriale nell’Alto Adige fino al1891, Saturnia, Trento 1956.

i luoghi dell’industrializzazione ita

5Pietro Umberto Fogale

158

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:06 Pagina 158

Page 166: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdOsservare la città facendo attenzione ai particolari, osservare la stratificazione

della realtà cittadina è per tutti i fruitori dei percorsi il punto di partenza per un ap-proccio più attento e curioso all’ambiente in cui ci muoviamo quotidianamente, ilprimo impulso per un approfondimento storico3.

Le 3 fasi dello sviluppo industriale di BolzanoIl tema dell’industrializzazione si rivela una chiave di lettura molto inte-

ressante per l’analisi del territorio perché ci permette di osservare lo svilup-po urbanistico, sociale ed economico di Bolzano durante il periodo di cresci-ta più intenso che la città abbia finora conosciuto, da metà Ottocento alla Se-conda guerra mondiale. In questo periodo, in particolare nella prima metàdel Novecento, Bolzano allargò il proprio territorio inglobando i comuni li-mitrofi di Dodiciville (1911) e Gries (1925)4. La popolazione passò dai ca.30.000 abitanti del 1910 ai 67.500 del 19395. Nel suo sviluppo industriale siriconoscono tre momenti distinti:1. il passaggio dall’artigianato/industria domestica all’industria, con la nasci-

ta delle prime fabbriche, tra la fine del XVIII secolo e la Prima guerra mon-diale;

2. la nascita della Zona industriale, fortemente voluta dal regime fascista, tra1934 e 1940;

3. il periodo dal dopoguerra ad oggi.Di queste tre fasi, una in particolare ha monopolizzato l’attenzione della

letteratura storiografica: la Zona industriale, a causa delle sue implicazionistorico-politiche e sociali. Ad essa, infatti, sono dedicate la grande maggio-ranza delle pubblicazioni, mentre per il periodo precedente un saggio scrit-to da Karl Theodor Hoeniger6, nel 1956, in occasione di una ricerca comples-siva sul mondo economico-industriale della regione Trentino Alto Adige, egli Statistischer Bericht der Handels & Gewerbe-Kammer in Bozen, pubbli-cati nella seconda metà dell’Ottocento, rimangono testi imprescindibili perla ricerca.

ne italiana

Pianta e prospetto della fabbrica di pastealimentari Gregori. Secondo lo StatistischerBericht fino alla nascita di questostabilimento, nel 1869 l’attività eraesercitata da diversi laboratori artigiani.Poi il commerciante Gregori intraprese una nuova attività, mettendo in piedi unlaboratorio attrezzato con macchinari ed essiccatori.Fonte: Archivio Storico Città di Bolzano, per gentile concessione.

159

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:06 Pagina 159

Page 167: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Seguire la parabola dell’industria a Bolzano significa anche, forse più chealtrove, confrontarsi costantemente con più piani storici: quello locale, dovel’industria è collocata, e quello europeo, in cui l’industria agisce e viene rego-lamentata. L’Impero asburgico, prima, e il Regno d’Italia, poi, costituirono lecornici statali in cui le aziende si svilupparono o fallirono. La città odierna èil risultato di questo incontro-scontro-confronto che prosegue tutt’oggi, unasorta di passato che non passa, ma che si manifesta e dà vita anche a nuove einaspettate forme.

Oltre alle schede sulle aziende e alla cartina con il percorso, abbiamo predi-sposto per gli insegnanti anche delle indicazioni su temi e problemi ancora aper-ti che possono aiutarli a sviluppare alcuni aspetti legati al tema dell’industria,facendo uso di materiali fotografici, mappe catastali, piante degli edifici e degliopifici e documenti conservati presso l’Archivio storico del Comune.

La trasformazione del territorio di Bolzano tra Otto e Novecento: suggerimenti didattici per la Scuola secondaria di primo gradoRiconoscere i mutamenti e le trasformazioni della città, ricostruire gli effetti chequesti hanno avuto sulla società locale è l’obiettivo che ci proponiamo di rag-giungere attraverso il percorso, che suggeriamo di affrontare in bicicletta, vistele distanze da coprire. Il movimento, la visita sul campo, l’utilizzo delle proprierisorse sensoriali e dell’immaginazione costituiscono gli strumenti con cui noie i nostri scolari e scolare possiamo tentare di ricostruire la dinamica che si in-staura tra il “nuovo” e l’“antico”.

Il punto di partenza è il centro della città, piazza Walther. Il percorso sisviluppa a spirale, attorno al centro cittadino, mettendo in luce quali sonostati gli assi dell’espansione urbana degli ultimi due secoli. Della prima fasedello sviluppo non restano molte tracce; molti siti non sono più presenti sulterritorio perché inglobati dallo sviluppo dell’edilizia residenziale nei perio-

i luoghi dell’industrializzazione ita5 • Pietro Umberto Fogale • L’industria a Bolzano 1848-1948

160

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:06 Pagina 160

Page 168: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mddi successivi. La maggior parte delle industrie che si affermano in città in que-sta fase sono prevalentemente legate alla trasformazione di prodotti locali: èil caso delle fabbriche di conserve Ringler (1856) e Tschurschentaler (1872),della distilleria Mumelter (1884), dei mulini Roessler (1775), della conceriadella famiglia Oberrauch (1865), della ditta Fratelli Feltrinelli Holzhandlung(1875-1914), che prima di dedicarsi all’editoria furono grandi commerciantidi legnami, dello stabilimento per la produzione del gas illuminante (1860),che venne soppiantato alcuni decenni dopo, nel 1898, a seguito della diffu-sione dell’energia elettrica prodotta e distribuita dalle Etschwerke/Aziendaelettrica Merano-Bolzano; da non dimenticare, infine, il cotonificio S. Anto-nio, una fabbrica tessile che, nata nel 1848, proseguì la sua attività sino aglianni Novanta del secolo scorso.

La seconda fase dell’industrializzazione è legata allo sviluppo della Zona in-dustriale, anche se i primi interventi furono effettuati negli anni Venti con losfruttamento delle risorse idriche della provincia per convogliare la correnteverso le industrie dell’Italia del Nord. Nel 1934 vennero emanati i primi decre-ti istitutivi della Zona industriale, che divenne operativa a partire dal 1937.

Si lascia a questo punto la città asburgica e si attraversa la città “nuova”,dove incontriamo per primo l’Istituto tecnico industriale (1938-1939), conla sua monumentale facciata in marmo, e poi i quartieri operai, tra cui quel-lo delle «semirurali». Il quartiere, esteso su un area di 20 ettari e compostoda 328 casette a due piani con un appezzamento di terra da destinare a or-to, sebbene sia quasi completamente scomparso in seguito alla demolizionedegli anni Settanta per far posto a nuovi insediamenti a più alta densità abi-tativa, simboleggia un pezzo interessante di storia della città. In questo spa-zio, lontano dal centro rappresentativo della città, si venne creando un mi-crocosmo sociale e linguistico particolare, dovuto alla presenza di immigra-ti provenienti da diverse regioni italiane per lavorare nelle fabbriche dellaZona industriale.

ne italiana

Prospetto e pianta della sede della dittaFratelli Feltrinelli Holzhandlung, aperta aBolzano il 9 gennaio 1875 che aveva sedenel comune di Dodiciville, dove fecero anchecostruire un imponente edificio adibito aduffici ed abitazioni in quello che era in vialedella stazione. La Feltrinelli operò a Bolzanonel settore del commercio del legname sinoal 1914, il 19 dicembre la filiale vennesciolta, probabilmente per via della guerraimminente.Fonte: Archivio Storico Città di Bolzano, pergentile concessione.

161

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:06 Pagina 161

Page 169: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Il percorso entra quindi nel cuore della Zona industriale, dove sull’attuale viaVolta si affacciano gli ingressi monumentali delle principali industrie. In base al-la politica dell’autarchia, e del loro possibile utilizzo bellico, vennero privilegia-te le industrie pesanti: la Magnesio, l’INA (Industria Nazionale Alluminio del grup-po Montecatini, che possedeva in Alto Adige anche alcune centrali idroelettri-che), la Lancia, le carrozzerie Viberti e le acciaierie. Alcune di queste grandi fab-briche non esistono più, sostituite da microaziende artigiane, attività commercia-li, ludiche o di servizi – come il nuovo quartiere fieristico – e vari uffici pubbli-ci, tanto che oggi non si dovrebbe più parlare di Zona industriale bensì artigia-nale, una realtà in costante mutamento, sempre più parte integrante della città.

Temi e problemi: suggerimenti didattici per la Scuolasecondaria di secondo gradoOltre a svolgere il percorso vi sono due temi che, a nostro giudizio, possono es-sere approfonditi: il primo è legato alla nascita dell’industria; il secondo alla Zo-na industriale. Entrambi questi temi partono dalla realtà locale ma sono in stret-ta relazione con la storia europea e mondiale. Trasversalmente sono anche pre-senti il tema del lavoro e dell’interdipendenza dei mercati (“globalizzazione”)che, seppure in forme limitate, il cotonificio S. Antonio sfrutta e subisce fin dal-la sua nascita, nel 1848.

Le industrie nell’Impero asburgicoNell’accezione moderna l’industria è un processo organizzato di trasformazio-ne di materie prime e semilavorati in merci, mediante l’impiego di macchine,lavoro salariato e l’utilizzo di capitali finanziari. Nell’industria la macchina ten-de a sostituire completamente l’uomo.

Agli albori dell’industrializzazione, nell’Impero asburgico l’organizzazionedel lavoro e della produzione erano ancora principalmente regolati dalle corpo-razioni. Il concetto di “industria”, inteso nel senso di attività-operosità, veniva ge-nericamente esteso a tutte le attività produttive organizzate; risultava dunquedifficoltoso inquadrare i cambiamenti in corso all’interno dei vecchi schemi diclassificazione, nonostante qui l’industrializzazione procedesse piuttosto lenta-mente se paragonata con quanto avveniva contemporaneamente in Inghilterra.

i luoghi dell’industrializzazione ita5 • Pietro Umberto Fogale • L’industria a Bolzano 1848-1948

La ditta Masonite Feltrinelli. Nel 1937 la Feltrinelli ritorna a Bolzano per unafabbrica di masonite, un nuovo materialericavato dal legno e utilizzato nell’industriaedilizia.Fonte: «Atesia Augusta. Rassegna mensiledell’Alto Adige», maggio 1940.

162

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 162

Page 170: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdLe cose cominciarono a cambiare intorno alla metà del XVIII secolo, e pre-

cisamente nel 1755, quando si introdusse la distinzione tra le attività industria-li di Polizeigewerbe e di Kommerzialgewerbe: le prime producevano per la co-munità locale; le seconde, nonostante gli ostacoli posti dagli ordinamenti cor-porativi, cercavano di raggiungere un’importanza sovraregionale, introducendonuove forme di organizzazione e produzione. A queste imprese, che partivanoda una base artigianale, ma che si andavano sviluppando in forme nuove, si co-minciò a dare il nome di industrie7.

Fino alla metà del XIX secolo la differenza principale tra imprese artigianee manifatture rimase di natura essenzialmente giuridica: le imprese artigiane era-no regolate dagli ordinamenti corporativi; le manifatture, o fabbriche, invece,erano costituite sulla base di un privilegio di corte che le liberava dalle regolecorporative. Le cosiddette privilegierte Fabricken (‘fabbriche privilegiate’) go-devano, di fatto, del monopolio della produzione di un determinato gruppo dimerci, potevano insediare una filiale in ogni capoluogo di provincia e potevanoliberamente accedere al mercato per vendere i propri prodotti. Le manifatturenon avevano limiti alle loro possibilità di espansione, non avevano vincoli nelcercare di aumentare la produttività lavorativa e la serie delle merci prodotte,nella ricerca di nuovi mercati e nel miglioramento della loro dotazione mecca-nica. In principio, dunque, “fabbrica” era solo un termine giuridico per indicareuna forma di impresa privilegiata, da cui nel corso del tempo si sarebbero svi-luppate “fabbriche” nel senso moderno del termine.

Nel 1859, per cercare di attrarre capitali nelle attività artigianali, venne de-cretata la liberalizzazione delle attività artigianali, la nuova Gewerbeordnung(‘Ordinamento dei mestieri’), che consentì la libertà d’impresa. Fu così che ilconcetto di privilegierte fabrik cominciò a perdere d’importanza. Le impreseartigiane si distinsero tra frei Gewerbe e konzessionirte Gewerbe: le prime po-tevano essere condotte da quanti possedevano i capitali necessari; le secondeerano imprese condotte da chi aveva concluso la formazione come maestro ar-tigiano. Nel 1883 questo nuovo ordinamento entrò definitivamente in vigore, ead esso si aggiunse un Decreto del Ministero del Commercio di Vienna in cui sispecificava che «possono considerarsi fabbriche tutte quelle imprese dove laproduzione avviene in locali chiusi, con almeno 20 persone impiegate fuori dacasa loro, dove l’impiego di macchinari e la divisione del lavoro costituisconola regola, e dove il proprietario non partecipa al lavoro manuale»8.

Tra le fabbriche attive a Bolzano sin dal 1770 ne troviamo una molto parti-colare, nata grazie al lascito di un ricco bolzanino, la Freiwillige Arbeitshaus9

(‘Casa del lavoro volontario’), che si occupava di procurare un lavoro a quellepersone che a causa di problemi fisici o psichici erano impossibilitate a guada-gnarsi il salario con un lavoro comune. Si trattava di un’istituzione assistenzialeche, attraverso il lavoro volontario e non coatto, si poneva il fine di dare e inse-gnare una lavoro. Fabbrica di coperte di lana, stabilimento tessile, tintoria, fab-brica di scope di saggina e varie altre mercanzie: tutto ciò è stata la FreiwilligeArbeitshaus, condotta per oltre un secolo, fino al 1898, tra alterne fortune, co-me una manifattura. Successivamente si è orientata sempre più verso l’assisten-za, con lo scopo precipuo di cercare un lavoro alle persone disoccupate. La fon-dazione prosegue ancora oggi la sua attività come laboratorio protetto.

Diverso il discorso per il cotonificio S. Antonio, una fabbrica tessile che, na-ta nel 1848, proseguì la sua attività sino agli anni Novanta del secolo scorso: laprima fabbrica intesa nel senso moderno del termine. Ricostruirne la storia si-gnifica ripercorre anche le principali vicende storiche europee e mondiali. Ilcotonificio, infatti, acquistando la materia prima sui mercati americani e india-

7. K. M. Brousek, Die Großindustrie Böhmens1848-1918, Oldelnburg, München 1987, p.14.8. H. Alexander, Geschichte der Tiroler Indu-strie Aspekte einer wechselvollen Entwic-klung, Haymon Verlag, Innsbruck 1992, p. 21.9. Cfr. G. Pantozzi, Le istituzioni storiche del-l’assistenza bolzanina, Città di Bolzano, Asses-sorato alle Politiche Sociali, Assessorato alla Cul-tura, Bolzano 2001.

ne italiana

163

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 163

Page 171: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ni, e collocando la sua produzione sui mercati a sud e a nord del Tirolo, era par-ticolarmente sensibile alle situazioni di crisi dei mercati mondiali. Le vicendedel cotonificio risentirono dell’instabilità dovuta alle guerre che funestaronol’Europa fino alla fine dell’Ottocento: in particolare, l’annessione del Veneto alRegno d’Italia, nel 1866, comportò per il cotonificio la perdita degli ultimi mer-cati meridionali, e per sopravvivere dovette cercare nuovi sbocchi commercia-li. Anche la guerra civile americana creò notevoli difficoltà alla neonata indu-stria, «ostacolando l’acquisto delle materie prime, i cui prezzi subirono sbalzi in-credibili rendendo irregolare e difficile la vendita»10.

Poche altre aziende completavano il quadro industriale cittadino che, comenel resto del Tirolo meridionale, procedette molto lentamente, frenato da incom-prensioni e resistenze.

Nel 1855 venne introdotta una regolamentazione che rappresentava il pri-mo passo verso un moderno diritto del lavoro: vennero vietati il lavoro per i ra-gazzi al di sotto dei 14 anni, i lavori pesanti per i ragazzi al di sotto dei 16 anni,il lavoro notturno per le donne e ragazzi (anche se con eccezioni), il lavoro do-menicale. La giornata lavorativa venne fissata a 11 ore e divenne necessario chie-dere l’autorizzazione al Comune per poter far svolgere ai propri operai, in par-ticolari periodi, delle ore di lavoro straordinario.

La Zona industrialeLa costruzione e la presenza della Zona industriale fu, e in parte è ancora, un te-ma molto scottante nell’immaginario collettivo altoatesino. Con l’avvento delfascismo, infatti, iniziò in Alto Adige una politica di snazionalizzazione della po-polazione di lingua tedesca che passò anche attraverso l’immigrazione di miglia-ia di italiani che trovarono lavoro nella Zona industriale. Affrontare il tema del-l’industria è, quindi, una questione assai delicata perché si finisce inevitabilmen-te con il toccare temi e problemi storici legati all’eredità del fascismo, non an-cora risolti all’interno della società locale.

Nell’analisi della letteratura relativa alla Zona industriale, che osservata con gliocchi dell’economia costituisce il vero momento di industrializzazione dell’AltoAdige, si evidenziano due interpretazioni. La prima tende a inquadrare la Zona in-dustriale (nascita e sviluppo) all’interno dell’economia complessiva dell’epocache, sia pur senza trascurarne le implicazioni politiche, mette più o meno velata-mente l’accento sulla modernizzazione che l’industria ha imposto a questa terradal carattere prettamente «agricolo e conservatore». La seconda vede nella Zonaindustriale la fine dell’Eden sudtirolese: l’arrivo di migliaia di operai italiani vieneinterpretato come una chiara e netta volontà di italianizzare la provincia.

Per uscire dall’impasse vorrei fare mie le considerazioni con cui lo storicoAndrea Bonoldi chiude un suo intervento sulla storia della Camera di Commer-cio tra le due guerre:

in generale, per una corretta interpretazione dell’evoluzione dell’economiasudtirolese tra le due guerre, si deve in ogni caso tener conto di una serie com-plessa di fattori. Su una situazione di partenza caratterizzata da una strutturaproduttiva in equilibrio, ma sostanzialmente arretrata e conservatrice, venne-ro ad incidere importanti condizionamenti esogeni, come le due guerre mon-diali e, nel mezzo, la crisi economica internazionale dei primi anni Trenta, co-me pure le iniziative di un regime in cui la volontà di controllo, nazionalismoesasperato e tendenze modernizzatici si intrecciano strettamente e non sen-za ambiguità. La strada da fare per giungere ad un bilancio equilibrato e argo-mentato della storia economica di questo periodo sembra comunque lunga11.

10. Cfr. 100 anni di Cotonificio di Bolzano, in«Bollettino Ufficiale e notiziario economico del-la camera di Commercio, Industria e Agricoltu-ra Bolzano», 10, 1948.11. A. Bonoldi, Dalla Rappresentanza degliinteressi locali ai superiori fini della nazio-ne. La Camera di Commercio tra le due guer-re, in «Storia e Regione/Geschichte und Re-gion», 1, 2001, p. 63.

i luoghi dell’industrializzazione ita5 • Pietro Umberto Fogale • L’industria a Bolzano 1848-1948

164

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 164

Page 172: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdDove l’uomo lavorò il ferro.Il sistema museale della Valle Trompia

In Valle Trompia la plurisecolare tradizione metallurgica

è testimoniata da imponenti monumenti di archeologia industriale.

Oggi rifunzionalizzati a sedi museali, costituiscono la preziosa opportunità

per promuovere una rinnovata comprensione della storia locale.

Con una posizione mediana nella fascia settentrionale della provincia di Brescia,la Valle Trompia declina per circa quaranta chilometri dal massiccio centrale del-le Prealpi bresciane. A definirla è un arco montuoso dalla concavità a mezzo-giorno che accoglie un fondovalle generalmente poco esteso, diramato in baci-ni montani secondari e percorso dal fiume Mella.

La morfologia territoriale, caratterizzata dalla mancanza di un valido sboccoa settentrione e dall’apertura diretta sulla piana della città, se da un lato deter-mina nel corso dei secoli l’esclusione dalle importanti correnti di traffico versonord, dall’altro permette una fruttuosa interazione con Brescia e, soprattutto,con l’asse storico che collega Milano a Venezia.

Una terra dedita alla metallurgiaPur in un contesto alpino che rimanda a consuetudini agricole e pastorali, sindall’antichità la Valle Trompia manifesta una specifica vocazione alla metallur-gia, foriera di una privilegiata economia monetaria. L’introito della vendita degliapprezzati prodotti ferrosi, prevalentemente esportati, permette di sopperire aidisagi di una produzione agraria insufficiente e preserva la Valle dal diffuso de-stino montano a un’autarchia rurale, ragione abituale di endemica povertà. Persecoli è caratteristica una filiera produttiva che va dall’estrazione dei mineraliferrosi alla lavorazione minuta del metallo: gli impianti minerari, a scavare lemontagne dell’alta Valle; i forni di prima fusione, ubicati nel fondovalle per sfrut-tare l’energia idrica del fiume e alimentati dal carbone di legna degli estesi bo-schi cedui; le fucine e fucinette con magli ad acqua, per la lavorazione in manu-fatti, distribuite numerose in media Valle.

Le specificità produttive locali, fra cui spicca quella armiera di Gardone ValTrompia, si rinnovano durante il lungo dominio della Serenissima e si mantengo-no negli anni dell’occupazione francese, in quelli del Regno Lombardo-Veneto edella permanenza austriaca, consolidandosi poi nell’Italia unitaria. La seconda me-tà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento sono segnati dalla dirimentetrasformazione industriale, incoraggiata da uno spiccato dinamismo imprendito-riale, da una disponibilità di qualificate maestranze e dalla posizione strategica del-la Valle: pur mantenendo una fitta trama produttiva di tipo artigianale e preindu-striale, l’economia triumplina accetta la sfida dei grandi investimenti esterni e del-le necessarie modernizzazioni. L’attività mineraria, non potendo reggere la con-correnza internazionale, nel Novecento è peraltro costretta in una situazione dicostante crisi, esaurendosi negli anni Novanta. La siderurgia montana subisce undestino simile, con epilogo molto più rapido: da fine Ottocento i forni di prima fu-sione dell’alta Valle sono obbligati a soggiacere a un impari confronto con le no-

ne italiana

6Franco Ghigini

165

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 165

Page 173: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

vità tecnologiche, come pure con unaconcorrenza che utilizza carboni fossi-li e inficia un’economia basata sull’age-vole approvvigionamento di carbone dilegna. Le nuove concezioni produttive,basate su un’integrazione di tipo capi-talistico fra siderurgia e meccanica, tro-vano invece modo di affermarsi preco-cemente in media Valle, con una pre-senza industriale continuamente rilan-ciata durante il secolo scorso, rilevanteanche a livello nazionale. È un’evoluzio-ne che procura trasformazioni profon-de sia in ambito sociale, con una mar-cata crescita demografica e la creazio-ne di una corposa fascia operaia, sia nelpaesaggio urbano: il fondovalle vieneoccupato progressivamente da falanste-ri industriali, alcuni recentemente di-smessi e abbattuti, ed edificato sino acomporre oggi la cosiddetta “città linea-re”, che da Brescia raggiunge ormai iComuni più meridionali di alta Valle.

Un percorso museale fra monumenti di archeologia industrialeQuando, in particolare negli ultimi due decenni del secolo scorso, l’impegno diricercatori, gruppi amatoriali e, non ultimi, sensibili insegnanti degli istituti sco-lastici sollecita una più decisa valorizzazione della storia locale e delle sue “cul-ture del lavoro”, a segnalarsi come esemplare opportunità sono proprio i mo-numenti di archeologia industriale: le costruzioni sotterranee, audaci applica-

zioni di ingegneria mineraria; gli anti-chi edifici, un tempo forni fusori e fu-cine; gli opifici novecenteschi dellaprorompente industrializzazione.

La Comunità Montana di ValleTrompia avvia così, d’intesa con i Co-muni della Valle, la rifunzionalizzazio-ne museale di alcuni luoghi storici,capitolo eminente di un procedimen-to che interpreta l’intero territoriocome risorsa di conoscenze storichee culturali da tutelare. In poco menodi dieci anni vengono creati, a curadel Sistema Museale di Valle Trompiae dell’Agenzia Parco Minerario del-l’Alta Valle Trompia, sette siti musea-li, due percorsi naturalistico-etnogra-fici e tre itinerari tematici di caratte-re storico-artistico ed etnografico.

Scendendo dall’alta Valle lungo ilpercorso museale che, segnato da mo-

i luoghi dell’industrializzazione ita6 • Franco Ghigini • Dove l’uomo lavorò il ferro. Il sistema museale della Valle Trompia

Sopra, la cartina della Val Trompia con i sitimuseali.Sotto, la miniera S. Aloisio, Tassara di Collio.

166

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 166

Page 174: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdnumenti di archeologia industriale, compone la «Via del ferro e delle minie-re in Valle Trompia», nel Comune di Collio richiama l’attenzione per l’impo-nenza degli edifici esterni la Miniera S. Aloisio Tassara. Dismessa nel 1985, èla più estesa e ricca concessione mineraria triumplina di siderite, sviluppan-dosi nelle viscere montane lungo chilometri di gallerie, collegate da fornellie rimonte. Alla fine dell’Ottocento acquisita dalla Società Terni, passa nel 1936alla Società Tassara che ne determina il periodo di massima produttività. Aseguito della ristrutturazione conservativa degli edifici e del consolidamen-to di alcuni tratti di galleria, è oggi visitabile con l’originale formula escursio-nistica «Miniera Avventura». Si tratta di un percorso acrobatico in altezza, ilprimo in Europa dedicato a un sito minerario, che si snoda in affascinanti sce-nari sotterranei e fra architetture in cemento, attrezzato con scale, ponti ti-betani sospesi, passerelle e funi. Ad esso correlato è il «Trekking minerario»che premette di apprezzare la geologia del sottosuolo percorrendo quattrochilometri di gallerie.

In una valle secondaria in destra orografica, nel Comune di Pezzaze in loca-lità Stese, si trova il complesso del Museo «Le Miniere». Luogo di lavoro ancoravivo nella memoria comunitaria, la Miniera Marzoli viene attivata dalla SocietàTerni nel 1886, passando nel 1934 alla ditta Fratelli Marzoli, per chiudere nel1972 dopo un breve periodo di gestione da parte del Consorzio Minerario Ba-risella di Schilpario. Un intervento di rifunzionalizzazione museale permette divisitarla, entrando nella montagna con un trenino che percorre la galleria di car-reggio. Si offre così la possibilità della scoperta multisensoriale di un suggesti-vo ambiente in cui il lento lavorio della natura, manifesto in concrezioni multi-colori e in cristalli che brillano alla luce delle lampade, si compenetra con i se-gni dell’uomo. A raccontare la coltivazione dei banchi di minerale, la tecnica didisposizione degli esplosivi per ottenere l’opportuno distacco della roccia, il la-voro manuale con piccone, punte e mazze o, più recentemente, con perforatri-ci, sono la teoria di cunicoli, slarghi e travature, gli attrezzi di lavoro e i macchi-nari, le originali soluzioni scenografiche con manichini ed effetti acustici e visi-vi. Nell’adiacente edificio esterno, le sale espositive de «Il mondo dei minatorie l’arte del ferro» illustrano le peculia-rità geologiche, lavorative ed etnogra-fiche della tradizione mineraria locale.

Raggiunto l’abitato di Tavernolesul Mella, si incontra il Museo «Il For-no». Monumento di archeologia in-dustriale di rinomanza internaziona-le in quanto fra le pochissime, impor-tanti, testimonianze europee di side-rurgia da carbone di legna ancora in-tegre, è uno storico edificio costrui-to intorno a una grande torre per lafusione del minerale di ferro in ghi-sa. L’impianto, altamente significati-vo della storia economica triumpli-na, è documentato già nel Quattro-cento e tappa di due viaggi che Leo-nardo Da Vinci compie in Valle Trom-pia per prendere visione dei metodilocali di estrazione e lavorazione delferro. Nonostante il tentativo di mo-

ne italiana

Sopra e sotto, visita al Museo «Le Miniere»di Pezzaze.

167

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 167

Page 175: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

dernizzazione della Società Stabilimenti Glisenti, che acquista il forno nel1872, l’attività si esaurisce all’inizio del Novecento. Un laborioso interven-to di restauro recupera la poderosa struttura su tre piani, consentendo oggila coinvolgente lettura diacronica dei procedimenti lavorativi: il carico diminerale e carbone dalla bocca di alimentazione del canecchio sotto il col-mo del tetto; la fusione, resa più efficace dalle trombe idroeoliche a cadutad’acqua di cui restano evidenti tracce; il lavoro del pestaloppe al maglio perrompere e recuperare le scorie dei pezzi di ghisa.

Percorrendo la media Valle, è possibile visitare, nel Comune di Sarezzo inlocalità Valgobbia, il Museo «I Magli». La fucina, già documentata nel Quattro-cento, viene acquistata nel 1879 dalla famiglia artigiana Sanzogni che la con-duce durante il secolo dell’industrializzazione, mantenendo sino al 1984 unaproduzione di coltri, versoi e vomeri di aratri. Un ampio spazio lavorativo, og-getto come le grandi ruote idrauliche e l’intero complesso di un accurato re-stauro conservativo, accoglie, nel rispetto della più recente organizzazioneproduttiva, i tre magli, i due forni per il riscaldamento dei pezzi da forgiare,la trancia, la pressa a bilanciere e gli innumerevoli attrezzi. Pannelli illustrati-vi, redatti con il contributo degli ultimi lavoranti, dettagliano le lavorazioni ele parti costitutive dei macchinari, nominate anche nel ricco vocabolario dia-lettale. La collezione di attrezzi è oggetto di una catalogazione secondo i cri-teri regionali SIRBeC (Sistema Informativo dei Beni Culturali), la prima inLombardia.

i luoghi dell’industrializzazione ita6 • Franco Ghigini • Dove l’uomo lavorò il ferro. Il sistema museale della Valle Trompia

Museo «I Magli» di Sarezzo. Testa di uno deimagli restaurati e lo schema completo.

168

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 168

Page 176: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdTappa conclusiva è il Museo «Il Maglio Averoldi». Benché ubicato nel Co-

mune di Ome, non ascrivibile alla territorialità triumplina, risulta passaggioassolutamente coerente alla «Via del ferro e delle miniere in Valle Trompia»in quanto esplicativo delle tecniche di lavorazione minuta. Nel piccolo bor-go in località Grotta rivive una bottega artigiana, testimonianza di una tradi-zione di mulini e magli ad acqua che sino alla metà del secolo scorso carat-terizza il luogo. Documentata nel 1566, la fucina attraversa i secoli (da fineOttocento condotta dalla famiglia Averoldi) con una produzione di attrezziagricoli funzionale alla richiesta locale. Il restauro conservativo permette diapprezzare l’economia conclusa di una piccola bottega artigiana: gli attrezzi,i macchinari, il maglio tornato a funzionare e rinnovare, con il forte rumoredei colpi e lo scrosciare dell’acqua, l’atmosfera della fucina. L’intervento mu-seale è capitolo di un restauro in corso d’opera programmato sull’intero bor-go, per dare anche sede alla prestigiosa collezione storico-artistica della Fon-dazione Pietro Malossi.

Un servizio di visite guidate aiuta a muoversi con cognizione in tutti questiluoghi storici. Precipua attenzione è rivolta alla fruizione scolastica, con una di-dattica museale modulata in proposte laboratoriali: ispirate alla metodologiahands-on del conoscere attraverso il fare, intendono la struttura, la storia e letecnologie del monumento di archeologia industriale come “materiali” perun’esperienza creativa con attività pratiche e, nel caso della Fucina Ludotecadel Ferro presso il Museo «I Magli», ludiche.

ne italiana

169

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 169

Page 177: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

L’intervento museale e il territorioVa segnalato che la creazione dei siti museali triumplini è il risultato, oltre chedell’applicazione di specifiche competenze di studiosi e progettisti, del fonda-mentale contributo conoscitivo di minatori, operai, tecnici che in questi luoghidi lavoro hanno passato la vita, come pure della partecipazione delle comunitàlocali che hanno messo a disposizione la propria memoria e leggono nei “mo-numenti ritrovati” l’occasione per un’evolutiva esperienza identitaria.

I musei sono pertanto non solo lo strumento per una promozione turisticadella Valle, ma anche la preziosa opportunità per stimolare e rinnovare una piùviva comprensione della storia locale. L’impegno è spiccatamente multidiscipli-nare: lo svolgimento di campagne di ricerca storico-etnografica; la tesaurizzazio-ne delle competenze locali di studiosi, appassionati, collezionisti; il coinvolgi-mento degli istituti scolastici; la divulgazione e la fruizione critica in pubblichemanifestazioni e produzioni bibliografiche e multimediali.

Al fine di sistematizzare questo procedimento e formalizzarlo in comporta-menti di buona prassi, nel passato biennio la Comunità Montana di Valle Trom-pia, d’intesa con la Regione Lombardia, ha ideato e condotto un intervento nel-l’ambito del progetto europeo «Iron Route – La via dei metalli», complementa-re all’avviata catalogazione delle collezioni museali. Riservando attenzione an-che ai documenti fotografico/iconografici e orali, esso affronta vari livelli di in-dagine territoriale: la mappatura di istituzioni, associazioni, gruppi, tecnici, lavo-ranti, studiosi e appassionati, titolari di competenze e conoscenze storico-etno-grafiche; la rilevazione, l’inventariazione e la catalogazione dei repertori docu-mentari più significativi. Tale intervento, oltre a determinare l’acquisizione diuna cospicua documentazione, in particolare di pregevoli fotografie storiche,permette di sperimentare criteri metodologici e concretizzare strumenti ope-rativi con cui informare prossime indagini.

i luoghi dell’industrializzazione ita6 • Franco Ghigini • Dove l’uomo lavorò il ferro. Il sistema museale della Valle Trompia

Museo «Il Forno» di Tavernole.

170

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 170

Page 178: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdL’intervento museale e la ricerca didatticaVa infine sottolineata l’interazione fra siti museali della «Via del ferro» triumpli-na e istituti scolastici. La rifunzionalizzazione museale di monumenti di archeo-logia industriale risulta efficacemente induttiva a considerare i luoghi di lavoro,abitualmente elusi da una sensibilità riservata anzitutto ai beni di pertinenza sto-rico-artistica, come siti significativi della cultura locale. È l’invito, neppure trop-po implicito, rivolto a insegnanti e alunni affinché soffermino lo sguardo sugliangoli meno “nobili” del paese per scoprire che in un mulino, un’officina, unostabilimento dismesso, una centrale idroelettrica abbandonata c’è una storia dasvelare: proprio i luoghi delle consuetudini più feriali, sottoposti a immemoritrasformazioni o insindacabili demolizioni poiché destinati a una prosaica fun-zione d’uso, possono ben spiegare come e perché una comunità si trasforma.

In proposito, la diffusa e per certi versi pertinente convinzione che i monu-menti di archeologia industriale siano documenti che raccontano se stessi, “au-tosufficienti” nell’esplicare la storia che li appartiene, va indubbiamente correda-ta da una considerazione, valida a maggior ragione in relazione all’approccio di-dattico. Lo stimolo all’esplorazione di un luogo “misterioso” per rintracciare, at-traverso l’esperienza del guardare, toccare e misurare, i sensi di una vita scom-parsa deve essere lo spunto per un più coinvolgente e ricco percorso conosciti-vo, da applicare necessariamente a un variegato spettro documentario. I segni dicultura materiale, da intendere sia nell’edificio che negli attrezzi e macchinaridelle lavorazioni, vanno comparati con i riscontri di altre fonti documentarie: ar-chivistiche, bibliografiche, fotografico/iconografiche e, soprattutto, orali. I raccon-ti di lavoranti e i ricordi della comunità locale, infatti, sono spesso documenti dav-vero propulsivi, la voce narrante che invita e conduce alla scoperta di un luogo.

Considerando la scuola come soggetto che, pur con autonomia progettualee obiettivi esclusivi, è interessato attore di ricerche storiche, si può quindi evin-cere un possibile, virtuoso rapporto biunivoco con gli altri servizi culturali, av-viato già in questi anni fra Sistema Integrato (Archivi/Biblioteche/Musei) dellaComunità Montana di Valle Trompia e Dipartimento di Studio del Territorio, larete scolastica dedicata alla ricerca storica locale e agli studi ambientali: la scuo-la offre esperienze, documenti e conoscenze e ne richiede la valorizzazione(quante sono le ricerche scolastiche oggi dimenticate nei cassetti!); i servizi isti-tuzionali archivistico, bibliotecario e museale sono il provveduto ausilio per se-gnalare le risorse documentarie del territorio e accedervi; i periodici corsi diaggiornamento per insegnanti sono l’occasione di un confronto metodologicofra storici, etnografi, operatori museali e operatori della scuola.

Muri, torri, ciminiere e poderose architetture, immobili e silenti, in questomodo possono tornare a parlarci compiutamente e manifestarsi testimonianzevive nonostante la società odierna, nella sua tumultuosa evoluzione, ci scoraggia rinnovarne la memoria.

ne italiana

Informazioni

Sistema Museale di Valle Trompiac/o Complesso Conventuale di Santa Maria degli AngeliVia S. Francesco d’Assisi 25063 Gardone V.T. (BS)Coordinatore: Alice Podestini tel. 030 8337494 [email protected] Servizi Educativi: Monica Bonomelli tel 030 [email protected]/musei

171

4_MUN_D_158-171_p:Layout 1 2-07-2009 16:07 Pagina 171

Page 179: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

172

Il villaggio operaio di Crespi d’AddaPremessaCrespi d’Adda, in provincia di Bergamo, è annoverato, a ragione, tra i più inte-ressanti esempi del fenomeno socio-industriale dei villaggi operai, e non soloin Italia. Quantunque interrotto nella sua attuazione, è tuttavia più che sufficien-temente delineato, si è conservato pressoché integralmente, e nel suo genere siprospetta come una delle realizzazioni più significative al mondo.

Negli ultimi vent’anni questo singolare complesso ottocentesco di fabbricae abitazioni è assurto a vasta notorietà. Con deliberazione del 6 dicembre 1995l’Unesco ha riconosciuto il «Villaggio Operaio» di Crespi d’Adda meritevole d’es-sere inserito nel patrimonio mondiale della cultura. Per l’Italia fu la prima voltache venne attribuito un riconoscimento così alto nel settore dell’industria: per-tanto ora anche un sito italiano si annovera tra i nomi famosi iscritti nella WorldHeritage Liste: le Saline Reali di Arc-et-Senans in Francia (1982), il museo diffu-so d’archeologia industriale di Iron Bridge in Gran Bretagna (1986), le minieredi Rammelsberg in Germania (1992) e le forge di Engelsberg in Svezia (1993).È ben vero che il nuovo “patentino” non arrivò del tutto inatteso: a motivo del-le sue peculiarità architettoniche, storiche e sociali, il vil laggio in questi anni havisto moltiplicarsi in forma esponenzia le l’interesse culturale delle scuole, del-le università e persino dei visitatori spontanei. Nel corso dell’anno scolastico2007-2008 una stima prudenziale valuta in almeno 30.000 gli studenti organiz-zati didatticamente che hanno visitato Crespi d’Adda.

1. Le vicende1.1 L’idea imprenditorialeRagione e anima del villaggio fu l’opificio: un cotonificio, dilatato nel tempo,che nel periodo di massima espansione vide ingaggiata una maestranza di benquattromila lavoratori.

Il villaggio operaio si colloca in quella parte della pianura bergamasca chevien denominata l’Isola, all’apice della sua estrema punta meridionale, ove il fiu-me Brembo conferisce le sue acque nell’Adda. La località, un bassopiano pres-soché incolto costituito da depositi alluvionali dei due corsi d’acqua, venne in-dividuata e scelta a motivo della possibilità di sfruttare l’energia prodotta dalleacque dell’Adda, opportunamente disciplinate.

La famiglia Crespi, attiva nell’imprenditoria tessile sin dal XVIII secolo, realizzò,negli anni tra il 1877 e il 1928, una cittadella operaia ideale qui, sulla riva sinistradell’Adda. Era quella l’epoca dei grandi industriali illuminati, al tempo stesso padro-ni e filantropi, ispirati a una dottrina sociale che li vedeva impegnati a tutelare la vi-ta dei propri operai, dentro e fuori la fabbrica, colmando in tal modo i ritardi dellalegislazione sociale da parte dello Stato. L’idea era di inserire i dipendenti nel pro-cesso di evoluzione e progresso, alla luce di un umanesimo ridisegnato sulle nuo-ve realtà che scienza e tecnica andavano delineando. Affinché ciò potesse avveni-re occorreva dare, insieme al lavoro, una casa decorosa, con orto e giardino, e for-nire servizi sociali: scuola, chiesa, ambulatorio, bagni pubblici, lavatoi, teatro, cam-po sportivo, cooperativa di consumo; in tal modo il complesso insediativo diveni-va una aggregazione privilegiata, all’interno di un ambiente armonioso, a misurad’uomo, punto di raccordo tra il mondo rurale e mondo industriale che avanzava.

i luoghi dell’industrializzazione ita

7Luigi Cortesi

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 172

Page 180: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

md

1.2 La famiglia Crespi nel tessilePromotore, nel 1878, ne fu Cristoforo Benigno Crespi (Busto Arsizio 1833-Mila-no 1920), con il quale collaborò in modo determinante nella seconda fase, os-sia dal 1889, il suo primogenito, Silvio Benigno (Milano 1868-1944), ecceziona-le figura di imprenditore e uomo politico. Silvio Crespi sarà infatti tra i fonda-tori della Associazione Cotoniera Italiana e suo primo presidente, deputato, mi-nistro degli Approvvigionamenti civili e militari dopo Caporetto, rappresentan-te dell’Italia nelle trattative di pace a Parigi, senatore a vita.

I Crespi era no originari da Busto Arsizio (Varese), dove da decenni la famiglia eser-citava la piccola imprenditoria tessile. Nella seconda metà dell’Ottocento, il bacinodell’O lona era ormai saturato di opifici e perciò essi, come altri imprenditori del Gal-laratese (Ponti, Candiani, Tosi, Turati, Lualdi, Sioli, Dell’Acqua ecc.), ricercavano locali-tà vicine a corsi d’acqua ove, sfruttando la risorsa offerta dalla natura, fosse agevoleinstallare macchinari di recente concezione, azionati dalla forza idraulica di tipo mec-canico. Siamo in epoca antecedente all’adozione dell’energia elettrica, la quale, inve-ce, mediante la conduzione con elettrodotti, potrà consentire l’installazione di fab-briche anche in luoghi distanti dalla fonte primaria dell’energia necessaria.

Cristoforo Benigno Crespi, sotto la ragione sociale dell’azienda fami liare «Be-nigno Crespi» (in cui operavano gli interessi del padre Antonio e dei cinque fra-telli), aveva riattivato nel 1864 e gestito per alcuni anni il cotonificio Sioli-Del-l’Acqua, a Vaprio d’Adda (Milano), a soli tre chilometri dal sito dove più tardi sor-gerà il nostro villaggio operaio. Dopo quello di Vaprio avviò, sempre in societàcon il padre e i fratelli, un altro cotonificio a Vigevano (1867) e ancora uno aGhemme (Novara), nel 1872. Apriva personalmente a Milano, in via Meravigli,un polo per il commercio di cotoni sodi e prodotti lavorati, che ebbe ottima for-tuna espansiva ed economica. Attese le nuove possibilità finanziarie, Cristofororitorna col pensiero all’Adda e alla zona che aveva già studiato fin da quandogestiva il vicinissimo stabilimento di Vaprio.

ne italiana

Sopra, Crespi sull’Adda in una fotografiaaerea del 1906.Sotto, Cristoforo Benigno Crespi all’età di 59anni, in un dipinto di Roberto Fontana del 1892 (collezione degli eredi).

173

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 173

Page 181: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1.3 Il cotonificioA partire dal 1876 l’idea prende con-sistenza: acquista un’area di 85 perti-che lungo l’Adda; chiede ed ottiene dalgoverno la concessione per 90 anni diderivare acqua dal fiume per 700 ca-valli dinamici (dietro un corrispettivoannuo di lire 3.064 da pagare all’era-rio) e, conseguentemente, progetta erealizza una paratia sul fiume, di fron-te alla località di Concesa, e il canaleadduttore, lungo 1025 metri e largo da12 a 22. Procede quindi all’edificazio-ne dello stabilimento, una filatura delcotone, a cui attende un’équipe di in-gegneri, mentre la definizione architet -tonica (vorrebbe uno stabilimento an-che “bello”) viene affidata all’e strosoarchitetto Angelo Colla di Milano. Su-perate difficoltà di vario genere, lo sta-bilimento poté essere avviato il 25 lu-glio 1878 (giorno dedicato a san Cri-stoforo, suo onomastico e anche, nel-la religiosità popolare, il santo protet-tore contro l’invadenza perniciosa del-le acque). Le macchine, cinquemila fu-si selfacting di marca inglese (Platt Bro-thers Ld. di Oldham) mossi dall’ener-gia idraulica trasmessa agli impianti dagrossi canapi, incominciarono a gira-re, e il piccolo Silvio Crespi di dieci an-ni, primogenito dell’imprenditore, get-tava la prima manciata di cotone nel-la caricatrice, dando inizio alla produ-

zione. Quasi subito i fusi verranno raddoppiati, dando lavoro a 300 operai.Da quel momento prese avvio la crescita imponente, allora imprevedibile,

di quella realtà che noi abbiamo sotto gli occhi: uno sviluppo protrattosi, conandamento alterno, per quasi un cinquantennio. La crescita si interruppe bru-scamente, e definitivamente, con la crisi economica del 1929, e il progetto delvillaggio, purtroppo, non poté concludersi né allora e neppure in seguito.

1.3.1 Le prime case operaie plurifamiliariContestualmente alla fabbrica sorsero tre case operaie plurifamiliari, a trepiani, popolarmente battezzate «i palazzotti». Fu questa una necessità per da-re sistemazione abitativa sia agli operai qualificati, invogliati a venire da Bu-sto e da Vigevano, sia a quelli che, la sciando i campi, venivano sfrattati anchedalle tradizionali abitazioni annesse ai poderi. Sorse anche una mensa e uno“stallo”. Si ottenne dal comune di Canonica d’Adda – attestata la distanza ela scomodità delle comunicazioni col paese – la licenza per una rivendita disale e tabacchi e per un’osteria; si convenne col medesimo Comune ancheper una scuoletta elementare (all’inizio due stanze in un’abitazione) e per-sino un asilo nido.

i luoghi dell’industrializzazione ita7 • Luigi Cortesi • Il villaggio operaio di Crespi d’Adda

174

In alto, saggio ginnico del 1940-1941 dei bambini di Crespi.In basso, lo spaccio della cooperativa dei lavoratori di Crespi (1921).

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 174

Page 182: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdTuttavia, la spinta decisiva si ebbe un decennio più tardi, dopo che con leg-

ge 11.04.1889 (G.U. 3.5.1889, n. 103) il villaggio operaio venne escorporato dalComune di Canonica d’Adda oltre Brembo e aggregato al più prossimo Capria-te d’Adda e altresì le fortune dell’azienda permettevano investimenti più consi-stenti nel settore costruttivo. Fu allora che prese corpo l’idea di un vero e pro-prio villaggio operaio. Venne tracciata una strada rettilinea da e per Capriate(l’attuale Via Crespi), innestata sulla nuova provinciale Bergamo-Milano, in pro-spettiva d’un collegamento con la linea del tramway Bergamo-Monza che attra-versava Capriate. Abbandonata allora, perché superata, l’idea della costruzionedi altri casamenti a tre piani, venne variato il modulo abitativo e si incominciòa costruire «casette igieniche e a conveniente costo». L’idea del padre entusia-smò Silvio Benigno Crespi, il primogenito dell’imprenditore, che ne voleva com-pletare l’opera.

1.4 Verso il villaggio integraleIl primitivo impianto urbanistico generale era elementare: due strade parallele allostabilimento, orientate nord/sud, intersecate ortogonalmente da vie minori (1889).

Con l’aumento della quota di popolazione residente, venne costruita lascuola (1890), la chiesa (1891-93), si raddoppiò l’opificio, affiancando alla fi-latura il reparto di tessitura (inaugurato personalmente dalla regina Marghe-rita il 14 novembre 1894) e completando, quattro anni dopo, il processo pro-duttivo verticale con il reparto tintoria, candeg gio e mercerizzazione (1898).Venne trasformata la centrale idro dinamica in centrale idroelettrica e ancheil paese – primo in Italia – venne illuminato col «sistema Edison». Sorsero an-che la villa padronale, ossia “il castello” (1894), l’ospedaletto, i bagni pubbli-ci, le palazzine del medico e del sacerdote, e fu bandito tramite l’accademiadi Brera il concorso per il cimitero. Si passa insomma dalla frazioncina indu-striale al villaggio operaio vero e proprio: il decennio 1889-1899 fu, in effet-ti, quello più dinamico e decisivo per l’idea e la realizzazione del “villaggioideale” autosufficiente. Per tutto ciò venne adottato un nuovo e definitivoprogetto urbanistico, elaborato dall’ingegnere Pietro Brunati (Albese/Como1854-1933) e dall’architetto Ernesto Pirovano (Milano 1866-1934).

Dall’inizio del Novecento fino alla vigilia della Prima guerra mondiale ilritmo sarà meno frenetico ma comunque abbastanza caratterizzante: sorgo-no le «case degli impiegati», viene tradotto concretamente il progetto del ci-mitero (1905-1908) e persino posatoun “omaggio” al fondatore, ossia quel-l’erma in bronzo, opera dello sculto-re Donato Barcaglia, fuso e collocatoallora al punto-cardine del tracciatourbanistico (25 luglio 1903, XXV difondazione dell’opificio). Venne co-struita altresì a Trezzo, sulla spondadestra dell’Adda (1906), la grandecentrale idroelettrica Benigno Crespi(ora Centrale Taccani), con progetta-zione architettonica di Gaetano Mo-retti, che valse ad elettrificare tutta lazona e non solo il cotonificio.

Come accennato, è di questo pe-riodo quello studio urbanistico gene-rale e definitivo del vil laggio (un reti-

ne italiana

Macchine pettinatrici nel processo di filaturadel cotonificio di Crespi.

175

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 175

Page 183: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

colo stradale rigorosamente ortogona-le, con l’inserzione di un settore semi-circolare sul lato maggiore del rettan-golo) che ora abbiamo sott’occhio; ilpieno sviluppo sul terreno, tuttavia,non appare prima del 1912 e si vedràcon certezza solamente dopo il 1918.Le prime strutture che rientrano inquesto nuovo disegno urbanistico so-no le cosiddette «baracche» (1919).

Nell’immediato primo dopoguerrail ritmo costruttivo riprende con unacerta vivacità: s’ingrandisce lo stabili-mento, sorgono i villini dei dirigenti,gli impianti sportivi, i nuovi uffici di-rezionali, la cascina meridionale e,buon ultimo, il Dopolavoro (1928).

1.5 La Grande crisi e l’uscita dei CrespiLa Grande crisi del 1929 a Crespi d’Adda ebbe una ripercussione pesantissi-ma: avvenne una svolta definitiva a carico dell’assetto proprietario e il bloc-co del progresso realizzativo. La famiglia Crespi, che dopo la morte di Cristo-foro (1920) aveva concentrato nelle proprie mani la direzione tecnica e com-merciale dell’opificio, allora fu costretta a lasciare l’impresa, perdendo tut to.La crisi, in verità, era in atto almeno dal 1926, e però Mussolini, con la politi-ca di difesa a oltranza della lira alla famosa quota 90 sulla sterlina, arrecavaulteriore grave pregiudizio economico soprattutto a chi, come Crespi d’Ad-da, lavorava prevalentemente per l’esporta zione. Occorre dire tuttavia che,al dato oggettivo e alla congiuntura sfavorevole, i Crespi assommarono gros-si errori imprenditoriali: l’orgoglio di non ridurre le maestranze, contro ognievidenza e logica; l’assunzione diretta della direzione sia tecnica che com-merciale, mettendo imprudentemente in disparte collaboratori validi; l’alto

tenore di vita con di sattenzioni alleesigenze dell’impresa; l’accumulo esa-gerato di scorte della materia prima– il cotone – per l’allettamento deiprezzi in ribasso; la grossa esposizio-ne debitoria con le banche. E così,sullo scorcio del 1930, tutto vennetrasferito nelle mani della Banca Com-merciale Italiana.

Per superare la crisi, in realtà, erastata attuata una gigantesca concen-trazione di cotonifici, ugualmente tut-ti debitori con la Banca Commercia-le Italiana, posti sotto la denomina-zione di Stabilimenti Tessili I taliani(STI) con alla presidenza lo stesso Sil-vio Crespi; e tut tavia, non solo la mi-sura risultò inefficace, ma la bancastessa finì nel baratro, salvata solo dal-la nascita dell’IRI. E quando quest’ul-

i luoghi dell’industrializzazione ita7 • Luigi Cortesi • Il villaggio operaio di Crespi d’Adda

176

Sopra, veduta di Crespi d’Adda nel 1928,con al centro la Chiesa.Sotto, Crespi d’Adda oggi.

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 176

Page 184: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

md

177

tima decise lo smobilizzo delle proprie partecipazioni nel settore tessile, co-tonificio e villaggio Crespi furono appannaggio di Bruno Canto (1885-1957),sostenuto da alcuni finanzieri veneziani (1937).

1.6 Modernizzazione d’impronta fascistaHo indugiato sull’uscita dei Crespi e l’avvento della nuova pro prietà perché,per tale ragione, il “disegno” complessivo del villaggio si interruppe definiti-vamente, ed avvenne invece con il nuovo proprietario una operazione d’im-magine destinata a produrre traccia stabile e se gni discutibili. Canto, infatti, sistudiò di far dimenticare i Crespi nel nome quando, a un certo punto dell’esal-tazione fascista (1941), venne cambiata persino la denominazione del vil lag-gio, che diventò Tessilia.

Con “l’epoca Canto” (il ventennio 1937-1957) avvennero quei rimaneggia-menti che si prefig gevano di “aggiornare” l’immagine del villaggio: vengono“modernizzate” le case, scalpellando il cotto dai contorni delle finestre, dal sot-totetto e dai marcapiani, e vengono tinteggiate con i colori nazionali, per filealternate, di rosso e di verde, mentre il bianco va sul contorno delle finestre eal sottotetto; vengono costruiti, addossandoli al retro di ogni casetta, nuovi ser-vizi igienici (con richiamo allo stile littorio) e demolite le piccole dépendan-ces già adibite a pollaio; vengono messi a dimora alberi ovunque possibile,marciapiedi compresi (con poco riguardo alle prospettive architettoniche);viene demolita, presso l’edificio scolastico, la vetusta Cascina Sala e sul sitovengono costruite due casette. Sono gli ultimi interventi a Crespi che, nel do-poguerra, caduto qui ogni slancio evolutivo e mentre tutto il Paese va versouno sviluppo epocale, è assillato unicamente dal non facile pro blema della so-pravvivenza.

2. Il taglio culturaleL’attenzione “culturale” al villaggio operaio paradigmatico di Crespi d’Adda pre-se avvio poco più d’una ventina d’anni fa, quando in Italia giunsero gli echi del-l’interesse anglosassone per l’archeologia industriale, proposta anche in ambi-to universitario dai lavori di K. Hudson (1963; 1967; 1971), M. Rix (1967), R. A.Buchanan (1968) e altri. Da noi, dopo i lavori a carattere introduttivo di F. Borsi(1978) e di A. e M. Negri (pure del 1978), esplicitamente Elisa e Leonardo Ma-riani Travi – in poche ma ben congegnate paginette – richiamavano l’attenzio-ne su Crespi d’Adda e Schio (1979). Due anni appresso usciva un lavoro a piùmani sui Villaggi operai in Italia (1981): la seconda parte del saggio – con icontributi di Rossana Bossaglia, Ulderico Bernardi e Marco Lorandi – è dedica-ta a Crespi d’Adda1.

Le tematiche preminenti e più interessanti su Crespi riguardano gli aspettistorico, socio-industriale e urbanistico-architettonico.

Vi accenno qui brevemente.

2.1 Sollecitazione storicaSul piano storiografico, il “fenomeno Crespi” va innanzitutto inquadrato

nei fermenti dell’economia post-unitaria che hanno stimolato e permesso ilpassaggio dall’artigianato alla industrializzazione in Italia, in particolare nel-le tre regioni del Nord: Piemonte, Lombardia e Veneto. Il quadro complessi-vo sembra comune ad altre regioni, e tuttavia è diversificato, in parte, da al-cune peculiari caratteristiche, indotte dalla esperienza storica propria. Van-no verificati alcuni elementi: l’ambiente geografico (insediamenti industrialinelle valli o in prossimità di corsi d’acqua, unica fonte di energia continua e

1. I villaggi operai in Italia – La Val Padanae Crespi d’Adda, Einaudi, Torino 1981; la II par-te, Il caso Crespi d’Adda, è il primo tentativodi inquadramento interpretativo “mirato”, e ri-sulta essere tuttora il più apprezzabile. Tale ricer-ca andrebbe ormai aggiornata sulla base dei da-ti storicamente provati e acquisiti; vi sono, in-fatti, nel contesto di quell’ottimo lavoro, ancheaffermazioni improprie, come: «Crespi trae lasua fisionomia unitaria dall’essere stato fin dal-l’origine programmato con meticolosa chiarez-za; dall’essere stato subito pensato, per esplici-ta intenzione, pratico-ideologica, del fondatore,come un’isola, un luogo ideale che, utilizzandole caratteristiche topografiche della zona, po-tesse svilupparsi al riparo di prementi solleci-tazioni esterne, secondo una logica autonoma:si potrebbe dire, metaforicamente, come un’ar-nia armoniosa; dell’essere insomma, in qualchemodo, un luogo astratto» (Bossaglia, p. 111).

ne italiana

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 177

Page 185: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

178

rinnovabile); lo spirito imprenditoriale e la propensione al rischio; la capita-lizzazione dell’impresa (capitali privati, azionari, mutui bancari…); la tecno-logia e la professionalità (nelle risorse territoriali o con aperture alle realiz-zazioni dei paesi più avanzati e l’inclinazione ad importare macchinari e per-sonale straniero); la politica economica del Paese (il liberismo dei primi tem-pi dopo l’Unità e il protezionismo, più o meno accentuato, per settori pro-duttivi e tempi, in seguito adottato).

Nel caso dei Crespi, come del resto di altri imprenditori, è interessante pren-dere atto e approfondire il percorso che li ha traghettati dall’impresa artigiana-le alla vera e propria industria e, per più, di grandi dimensioni. Occorre osserva-re che mentre in materia vi sono studi e pubblicazioni di carattere generale, in-teressanti e per certi aspetti persino esaustivi, per quanto attiene Crespi d’Ad-da fino a poco tempo fa la base storica era superficiale e sostanzialmente ancheconfusa. Roberto Romano2 mi pare il solo che, prima della nostra recente pub-blicazione, avesse approfondito, sulla scorta dei diari privati di Benigno Crespi(nipote del fondatore e teste operante nell’impresa) e una buona ricerca stori-ca, l’iniziativa imprenditoriale dei Crespi; cio nonostante persino lui non è rite-nuto esente da ogni critica: «Per lo meno riduttivo il modello di imprenditoria-lità passiva a casuale attribuita ai Crespi» – ha scritto in proposito Alberto Co-va3. Se, dunque, un professionista della ricerca presenta smagliature d’analisi, bi-sogna convenire che la puntualizzazione storica su Crespi d’Adda esigeva ulte-riore accuratezza d’indagine diretta e, particolarmente, postulava un necessa rioe preciso riferimento al contesto degli eventi4.

2.2 Sollecitazioni socialiNon sono mancate valutazioni negative dell’aspet-to socio-industriale dell’esperienza Crespi5. Si è par-lato di operaio sfruttato e di padrone sfruttatore, edi ostentazione di ricchezza e potere del faccen-diere danaroso. Le caratteristiche geografiche delsito di Crespi d’Adda, racchiuso tra due fiumi e conuna sola strada di accesso, hanno anche fatto na-scere l’idea del controllo asfissiante sulle personenello spirito del paternalismo ottocentesco. L’esa-me dei documenti e delle testimonianze evidenzia-no invece il tentativo (riuscito?) di far collimare lenon raramente antitetiche esigenze economiche,psicologiche e morali fra i prestatori d’opera e ildatore di lavoro. Solo una sufficiente conoscenzadei dati e la loro puntuale verifica ha consentito distabilire quanto vi possa essere in comune conl’ideologia paternalistica e quanto invece costitui-sce la differenza, ad esempio, tra i Crespi e Alessan-dro Rossi (1819-1898), il celebrato fondatore degliopifici Lanerossi di Schio, Piovene Rocchette e Pie-ve Belvicino nel vicentino6. Il valore testimonialee culturale di Crespi si evidenzia nella rappresen-tazione esemplare del duplice sforzo di adeguarsiprontamente ai tempi e alle tecnologie, anzi di an-ticiparli qualora possibile, e di allargare il genericoconcetto di interesse dell’azienda alla vita comples-siva del lavoratore7.

i luoghi dell’industrializzazione ita7 • Luigi Cortesi • Il villaggio operaio di Crespi d’Adda

2. R. Romano, I Crespi – Origini, fortuna e tra-monto di una dinastia lombarda, FrancoAn-geli Edizioni, Milano 1985.3. A. Moioli, A. Cova, A. Carera, L. Trezzi, Un si-stema manifatturiero aperto al mercato, Il Po-lifilo, Milano 1988, Collana Storia dell’industrialombarda, vol. I, p. 237.4. Per quanto sia antipatico citare se stessi, nonposso non segnalare, a proposito della storia edella descrizione di Crespi d’Adda, la mia pub-blicazione: Crespi d’Adda, villaggio ideale dellavoro, Grafica e Arte, Bergamo 20053.5. U. Bernardi, Ricerca sociologica sul villag-gio operaio di Crespi d’Adda, in I villaggi ope-rai cit., pp. 127-186.6. Cfr. G. Baglioni, La costruzione di un pater-nalismo organico nel pensiero di un impren-ditore d’eccezione: Alessandro Rossi, in Id.,L’ideologia della borghesia industriale nel-l’Italia liberale, Einaudi, Torino 1974.7. S. B. Crespi, Dei mezzi di prevenire gli infor-tuni e garantire la vita e la salute degli operainell’industria del cotone in Italia, Hoepli, Mi-lano 1894.8. R. Bossaglia, Crespi d’Adda: l’invenzione,l’idea, il monumento, in I villaggi operai cit.,pp. 111-126; M. Lorandi, Crespi e la tipologiadel villaggio operaio, ivi, pp. 187-199.

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 178

Page 186: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

md2.3 Sollecitazione ambientale e urbanisticaL’aspetto sul quale si è soffermata la ricerca sul villaggio operaio di Crespi, nelpresente e nel passato, è tuttavia prevalentemente quello attinente la configu-razione urbanistica e architettonica del microcosmo crespese8.

Il disegno planimetrico di Crespi – rimasto però in buona parte incompiu-to – è il risultato di tre momenti – o fasi – che potremmo connotare in succes-sione come: pragmatica, razionalista, idealista.

La prima fase (1877-87), eminentemente pragmatica, per la quale non si cono-sce la paternità del progetto (se si esclude l’apporto architettonico di Angelo Col-la per l’opificio), vede sorgere lo stabilimento (la cui facciata primitiva era rivoltaa occidente, verso l’Adda, all’opposto di quanto realizzato con ampliamenti e ri-strutturazioni in seguito), i tre palazzotti per l’abitazione degli operai e le due pa-lazzine per la direzione, uffici e alloggio dell’imprenditore durante le sue presen-ze. Sembra tuttavia già abbastanza palese (vedi l’allineamento e l’orientamento deipa lazzotti) la predisposizione ad una crescita intravista e pianificata.

La seconda fase (1889-1908) è la più attiva, determinante, e vede sorgere, conil nuovo reparto per la tessitura, anche tutti gli edifici più significativi: casette ope-raie, scuola, chiesa, ca stello, case del medico e del prete, ospedaletto, cimitero. Loschema urbanistico, giocato sul razionalismo geometrico, è attribuibile all’inge-gnere Pietro Brunati con probabili apporti del Pirovano. La nuova rettilinea stra-da, proveniente dall’innesto a Capriate sulla statale Bergamo-Monza e conclusacon lo scenografico e patetico fondale del cimitero dominato dalla cappella fune-raria (abitualmente chiamata «il mausoleo»), funge da bisettrice tra il comparto

ne italiana

Sotto, la villa padronale, a foggia di castellomedievale.Nella pagina accanto, interno della Chiesa,decorato nel 1894-95 da Luigi Cavenaghi. Ilcoro angelico nel catino fu dipinto da CarloPrada nel 1921.

179

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 179

Page 187: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

180

produttivo ed il reparto abitativo. Un altro asse, orto gonale rispetto a questa, inne-stato sulla mediana dell’opificio (al punto di raccordo dei due reparti di filatura etessitura e sicuramente aggiuntivo al progetto Brunati e, perciò, attribuibile al Pi-rovano), dall’opificio porta verso il futuro piazzale della cooperativa. Da qui l’oc-chio vede con rispettoso timore il simbolo del lavoro, cioè l’imponente ciminie-ra e gli uffici direzionali: prelude dunque al disegno definitivo del villaggio. All’in-tersezione delle coordinate venne collocata l’erma del fondatore (1903).

Il terzo momento, connotato dall’idealismo entusiastico della vittoria (1918-1928), è quello che vede costituirsi l’impianto definitivo del villaggio medianteapporti ulteriori dell’architetto Ernesto Pirovano. L’abbozzo dell’asse ortogona-le dei futuri «cancelli rossi» diviene, nella planimetria, il più importante e cen-trale al preventivato sviluppo. Con il caratteristico modulo curvilineo, centratosulla prospettiva di convoglio ideale e reale allo stabilimento, vengono abboz-zate, all’estremità meridionale, altre figure geometriche in verticale su un pun-to ideale di convergenza (Piazza Piemonte), destinate a circoscrivere le villettedei dirigenti. Una fase che, tuttavia, sul piano realizzativo, ha visto muovere po-chi passi ed essere poi definitivamente troncata dalla crisi economica e dall’usci-ta dei Crespi dall’impresa (1930).

Va aggiunto comunque che, sotto l’aspetto urbanistico, il villaggio è stra-ordinariamente ben inserito nelle caratteristiche morfologiche del territo-rio. Esso è articolato in due settori ben distinti, quello produttivo e quelloinsediativo, tagliati in linea retta, da nord a sud, da una strada rettilinea didue chilometri (da Capriate al cimitero). Sulla destra vi è la fabbrica, diste-sa lungo la riva sinistra dell’Adda, annunciata in lontananza per le sue altis-sime ciminiere; nella parte opposta della strada principale si distendono lecase operaie, di ispirazione inglese, allineate ordinatamente lungo vie ad in-tersezione ortogonale; a sud vi è il gruppo di ville più tarde degli impiegatie – incantevoli – quelle dei dirigenti. Anche il Dopolavoro, la chiesa e la scuo-la, affiancate in successione, fronteggiano la fabbrica, mentre le case del me-dico e del prete stanno sulla ripa collinare.

2.4 Carattere dellaprogettualità urbanisticaIl discorso stilistico, a sua volta, va rap-portato, onde consentire una letturacriticamente obbiettiva all’epoca, ai fer-menti e ai gusti della metropoli lom-barda, nonché alle tendenze culturalidei Crespi (Cristoforo era ritenuto an-che «uomo non privo di cultura»). Daquesto punto di vista Crespi d’Adda èun’antologia dell’eclettismo. Sottol’aspetto architettonico, infatti, a Cre-spi si annovera notevole diversità distili, con quella propensione alla varie-tà e al sincretismo che caratterizzaro-no l’oscillazione ottocentesca fra clas-sicismo e romanticismo.

La villa padronale è riproposta diuno squillante castello trecentesco,intonato con voce moderna sulle no-te del castello visconteo di Trezzo. La

i luoghi dell’industrializzazione ita7 • Luigi Cortesi • Il villaggio operaio di Crespi d’Adda

Edificio del reparto tessitura.

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 180

Page 188: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdchiesa, ossequente alle origini buste-si dei Crespi, è replica esatta della ri-nascimentale S. Maria di Piazza in Bu-sto Arsizio; le altre costruzioni sonodi gusto neomedievale, caro al roman-ticismo lombardo, con preziosismi de-corativi in cotto e finiture in ferro bat-tuto (ora quasi scomparso perché re-quisito nel periodo bellico). Persinol’opificio, con i suoi shed (tettoie) chesi ripetono in un’affascinante prospet-tiva lungo la via principale, non hatrascurato di fregiarsi di motivi lom-bardi, fra il gotico e il romanico, qua-si a deprecare le monotonie disuma-nizzanti di certe fabbriche e le inna-turali costrizioni della vita operaia. Einfine il cimitero, testimonianza tipi-ca d’arte funeraria ispirata alle anti-che arti orientali. La sua cappella, qua-si un mausoleo, in ceppo dell’Adda(puddinga) e conglomerato cementizio (artefatta imitazione delle puddin-ghe), contiene nell’ipogeo le tombe Crespi, mentre l’esedra sembra abbrac-ciare e tutelare le sepolture operaie, in prevalenza piccole croci cementiziedisposte ordinatamente nel prato all’inglese.

Globalmente possiamo afferma re che prevalse, quasi in antitesi alla geli-da impersonalità dell’architettura industriale che avanzava, la tendenza a rap-presentare il romanticismo, con le sue ostentate libertà di scelta e i suoi ri-chiami al romanico, al gotico lombardo, all’esoterismo orientale (sembra discorgere tocchi da liberomuratorismo) e, infine, al Liberty e all’Art Déco. Nonsi trattò però di mero indugio sul revival, ma – specialmente nelle casetteoperaie e nell’opificio – di una reazione alla negativa impressione di talunicontesti industriali di Manchester e Londra. Scriveva il giovane ed entusiastaSilvio Crespi (1894):

La grande industria è contraria alla natura umana […] L’uomo, creatura es-senzialmente libera, amante dell’aria e di luce, è co stretto invece dalla civiltà(vedi contraddizioni in termini!) ad accomunarsi con altri suoi simili, fino adiventare un semplice organo di una macchina enorme, a servire soltanto co-me ingranaggio […] La responsabilità degli imprenditori è dunque incalcola-bile, come immensa la latitudine del loro dovere, il quale consiste nel conci-liare la necessità dell’industria colle esigenze della natura umana […]

Qualunque possa essere il giudizio sulla scelta degli stili, resta il fatto in-discutibile di un monumento unico e irripetibile; di una testimonianza docu-mentaria di indiscusso valore; di un in dubbio patrimonio culturale, anche seancora inadeguatamente decifrato.

In conclusione: Crespi d’Adda, realtà o metafora? Quesito, a quanto pare, nonozioso, in considerazione dell’orientamento che si riscontra tra coloro che ap-profondiscono il tema. Comunque sia, il villaggio operaio di Crespi d’Adda hacostituito un polo di lavoro e di progresso, mai smentito da nessuno, rimanen-do – per qualcuno – il disegno realizzato dell’utopia.

ne italiana

Il cimitero con la cappella-mausoleo.

181

4_MUN_D_172-181_p:Layout 1 2-07-2009 16:12 Pagina 181

Page 189: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

La Centrale Montemartini di RomaLa storiaCon i Musei Capitolini, fa parte del Sistema Musei Civici di Roma un insiemeestremamente diversificato di luoghi espositivi e siti archeologici di grande va-lore artistico e storico, nei quali è possibile godere un’offerta culturale diversi-ficata grazie alle collezioni permanenti ospitate e ai numerosi eventi e mostretemporanee.

Tra questi una struttura particolare, con una funzione originaria di tutt’altrogenere rispetto all’attuale: la Centrale Montemartini, il primo impianto pubbli-co di produzione di elettricità a Roma, sorto agli inizi del Novecento sulla ViaOstiense, tra i Mercati Generali e la sponda sinistra del Tevere.

Attualmente, in una straordinaria ambientazione di archeologia industriale,la Centrale ospita un’esposizione permanente di capolavori della scultura anti-ca, provenienti dalla collezione dei Musei Capitolini, e preziosi manufatti rinve-nuti negli scavi di fine Ottocento e degli anni Trenta del XX secolo.

Intitolata alla memoria dell’Assessore ai Servizi Tecnologici del Comune di Ro-ma, Giovanni Montemartini (Montù Beccaria, 1867 - Roma, 1913), la sua storia hainizio il 1° luglio del 1912 e corre parallela a quella dell’Azienda Elettrica Munici-pale, l’attuale Acea. L’area scelta per l’edificazione, vicina al fiume per la disponi-bilità permanente d’acqua, era fuori della cinta daziale e quindi non soggetta a im-poste sul combustibile. Tecnologicamente all’avanguardia con macchinari produt-tivi modernissimi – motori diesel e turbo-alternatore a vapore forniti dalla dittaTosi – la Centrale è arrivata a sviluppare una potenza di 16.000 kW, grazie all’ag-giunta, nel 1924, di turbine a vapore e, nel 1933, di due grandi motori diesel.

Dopo la definitiva interruzione della produzione di energia elettrica – avvenu-ta a partire dal 1963 – sono sopraggiunti per questo impianto anni di decadenza,smontaggio delle macchine e riuso degli ambienti, fino al restauro e alla nuova de-stinazione a spazio per servizi direzionali e culturali. Sono stati conservati il cor-po centrale del complesso, comprendente la Sala Macchine e la Sala caldaie, e ri-collocati i grandi motori diesel, una turbina a vapore del 1917 e altri macchinari,con un significativo intervento di salvaguardia dell’archeologia industriale dellacittà. In seguito, nel 1997, in occasione della ristrutturazione di ampi settori dei

dalla fabbrica al museo

8Gabriella Gnetti

Bibliografia sommaria • Per ulterioriinformazioni sulla Centrale Montemartinicfr. Comune di Roma, Assessorato allePolitiche Culturali Sovrintendenza ai BeniCulturali, Zètema Progetto Cultura, Centrale Montemartini, Mondadori Electa, Milano 2006.

Centrale Termoelettrica GiovanniMontemartini, vista dalla sponda opposta del Tevere, 1924 circa. In fondo a sinistra, il Gazometro.

182

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 182

Page 190: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdMusei Capitolini, centinaia di sculturevennero da lì trasferite in alcuni ambien-ti dell’ex centrale elettrica Montemar-tini ed organizzate in una mostra dal ti-tolo «Le macchine e gli dèi». Questa si-stemazione, che sarebbe dovuta esseretemporanea, divenne permanente nel2005, quando solo parte delle operepervenute è tornata alla sede origina-ria, in Campidoglio, e la Centrale è di-venuta sede museale permanente.

La centrale oggiAtrioAttualmente il nuovo polo espositivoè dunque uno straordinario esempio diaccostamento tra due mondi opposti,archeologia classica e archeologia in-dustriale, immediatamente evidente findall’ampio corridoio dell’Atrio del Mu-seo, al piano terreno. Qui, tra le altebombole ad aria compressa – utilizza-te per l’avviamento dei motori Dieseldella sovrastante Sala Macchine – alcu-ni pannelli didattici narrano la storiadella Centrale, con foto d’epoca e dise-gni tecnici, e quella dell’allestimentodel museo. Incontriamo così le imma-gini di Giovanni Montemartini, dellaCentrale vista dal Tevere (ca. 1924), laplanimetria del complesso della Centrale nel 1933, l’interno della Sala macchinee il “caricamento del carbone” (ca. 1950). Possiamo vedere quali fossero le con-dizioni e gli ambienti di lavoro dell’epoca attraverso gli scatti «Operai al lavoronella Sala Caldaie» e «Operai al lavoro nella Sala Macchine» (ca. 1960).

Altri pannelli raccontano le varie fasi dell’allestimento del Museo, dall’imbal-laggio delle opere nei Musei Capitolini al trasporto nelle sale della Centrale, tut-ti scatti risalenti al 1997.

In particolare, per lo spostamento di molte sculture di grandi dimensioni edi peso notevole – quali il «Torso di combattente» e la «Testa colossale da LargoArgentina» – si sono dovuti adoperare accorgimenti tecnici speciali, come cas-se e imballaggi specifici. Altrettanto dicasi per il montaggio di altre opere, qua-li il frontone del tempio di Apollo Sosiano nella Sala Macchine.

Sala ColonneProseguendo oltre l’Atrio, sempre al piano terra della Centrale, incontriamo la Sa-la Colonne, un grande salone con numerosi pilastri in cemento armato di soste-gno alle tre caldaie del piano superiore. Nel soffitto sono visibili le tramogge perle scorie del carbone, che erano recuperate tramite uno sportello, raccolte con icarrelli e caricate sui camion comunali del Servizio Giardini per essere usate nel-le ville e nei parchi romani per il drenaggio del terreno. Qui sono esposti alcuniesempi dei ricchi corredi funerari della Necropoli Esquilina, tra cui la «Cassa concoperchio a doppio spiovente» di peperino, risalente a fine VI-inizio V secolo a.C.

In alto, Centrale Termoelettrica GiovanniMontemartini, 1950 circa. TurboalternatoreTosi Ansaldo di 20.000 kW.Sotto, la Centrale Termoelettrica GiovanniMontemartini e operai al lavoro, 1960 circa.

183

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 183

Page 191: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Quando la Centrale Montemartini produceva elettricità

dalla fabbrica al museo8 • Gabriella Gnetti • La Centrale Montemartini di Roma

La Centrale Montemartini era unimpianto di trasformazione dell’energiameccanica in energia elettrica tramiteuna combustione, utile cioè a produrreelettricità per una città medio-grande.Due sistemi di produzione erano attiviall’interno del complesso: i motori diesel,a combustione interna, e le turbine avapore, che sfruttavano il prodotto di unacombustione esterna. Due cicli diproduzione che operavano a secondadelle necessità svolgendo ognunofunzioni diverse.Ai motori diesel era riservata laproduzione in ore di particolare necessitàenergetica della città, come quellepomeridiane della stagione fredda.Funzionavano per un massimo di quattroore, dopo le quali avevano bisogno diessere depurati. La combustione dellanafta sulla testata dei cilindri producevail moto degli stantuffi che venivatrasformato, tramite le bielle, nel motorotante dell’albero motore. Si mettevacosì in moto l’alternatore, formato da unrotore mobile con magneti e da unostatore con rocchetti di materialeconduttore. I magneti, muovendosi,

inducevano nei rocchetti lo spostamentodi elettroni e, quindi, la corrente elettrica.Il ciclo vapore funzionava invece tramite ilcarbone gettato dentro due grossetramogge dal cui fondo partivano nastritrasportatori conducenti al coal bunkernella Sala Caldaie. Da qui, tramite altretramogge, il carbone scendeva nellacamera di combustione dopo esserestato livellato da una sorta di ghigliottinaregolabile. Nel forno il carbone bruciavaa più di 400° C e si consumava incenere e scorie, raccolte e trasportate inpiccoli vagoni nella Sala Colonne. Lescorie erano raccolte nell’angolo sud-estdella Sala e poi scaricate dai camion delServizio Giardini. La combustione delcarbone trasformava l’acqua in vaporealla pressione di 45 atmosfere, il qualeveniva mandato in Sala Macchine peralimentare tre turbine. All’interno diqueste turbine il vapore provocava ilmovimento delle palette che, a loro volta,facevano ruotare l’albero motore.Nel progetto di recupero della Centrale,dopo la fine del suo ciclo produttivo, si èmirato a preservare la Sala Macchine, laSala Caldaie e i locali sottostanti, mentre

gli edifici lungo il prospetto est delcomplesso sono stati adibiti ad uffici. Lastruttura ha conservato, quindi, al pianoterra, il condensatore della turbina n. 6, ledue batterie di bombole ad ariacompressa per l’accensione dei motoridiesel e il compressore di riserva Pignone.Nella Sala Macchine sono stati preservatiinvece i due enormi motori diesel e iquadri di manovra, i cassoni per la nafta, ilcarroponte e il basamento deiturboalternatori. Le decorazioni sono statecompletamente restaurate, il mosaico delpavimento in parte rimosso e sono rimasteal loro posto anche due centrifughe per lapurificazione dei liquidi e la scala dimetallo che collega i vari piani.Nella Sala Caldaie è stata conservata erestaurata una sola caldaia delle treoriginarie, della quale sono state resevisibili le parti meccaniche con l’enormecamera di combustione. Per quantoriguarda l’esterno della Centrale, duelampioni in ghisa – la cui decorazione fuideata da Duilio Cambellotti su disegnodi Mariano Coppedè – sono staticollocati nel piazzale di fronte allafacciata principale.

CentraleTermoelettricaGiovanniMontemartini,interno della SalaMacchine, 1950circa. Si vedono leturbine a vaporenumerate sullacassadell’alternatore.

184

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 184

Page 192: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdQuesto vastissimo sepolcreto – utilizzato dalla fine del IX secolo a.C. per tuttal’età repubblicana – è stato esplorato alla fine dell’800 rilevando preziosi ogget-ti di importazione che testimoniano lo sviluppo degli scambi commerciali di Ro-ma con l’Etruria e la Grecia in età arcaica. Altra interessante opera è un eccezio-nale frammento di affresco proveniente dalla tomba dei Fabii e risalente alla pri-ma metà del III secolo a.C., che rappresenta scene militari riferibili alle guerresannitiche narrate secondo lo stile della pittura trionfale romana.

Sempre da ambito funerario, sono esposti in questa Sala arredi di materialepregiato e alta qualità artistica, come i resti di un letto in osso con scene dell’in-fanzia di Dioniso – conservati insieme alle ceneri del defunto in un’urna di ala-bastro, proveniente sempre dall’Esquilino – e un letto funerario in bronzo daAmiterno, con raffinati intarsi in rame e argento. Sono oggetti preziosi che fan-no probabilmente parte di bottini di guerra – importati dalla Grecia a partiredal II secolo a.C. – che influenzarono il gusto delle classi più agiate di Roma.

Andando avanti nella visita della Sala, incontriamo frammenti di sculture inpeperino quali la «Statua di Orfeo tra gli animali», la «Statua femminile con duebambini» e la «Testa di barbaro», tutti oggetti risalenti al II secolo a.C. Sono ope-re ritrovate presso la Basilica di San Lorenzo – dove erano riutilizzate in una mu-ratura rinascimentale – accuratamente lavorate riprendendo modelli ellenisticidi scuola pergamena di fine III-inizi II secolo a.C.

Provengono invece da abitazioni private i rivestimenti in bronzo con cui èstata ricostruita la cosiddetta «Lettiga capitolina», letto da parata di fine I secoloa.C.-inizio I secolo d.C., e il mosaico policromo con animali marini bordato dagirali d’acanto (fine II-inizi I secolo a.C.).

Infine, in una lunga galleria è allineata una serie di ritratti del I secolo a.C.che riproducono rappresentanti di diverse classi sociali. Troviamo così schiaviaffrancati, esponenti della piccola borghesia, la statua del cosiddetto «TogatoBarberini» che regge le immagini degli antenati, e tra i ritratti di personaggi illu-stri, quelli di Cesare, Augusto e Agrippa.

Sala MacchineEsaurita la ricca proposta del primopiano, una scala di ferro conduce allaSala Macchine, dove si è accolti da duecolossali motori Diesel completamen-te restaurati. Ciascun albero motoremisura oltre 20 metri ed è formato datre pezzi del peso complessivo di 81tonnellate. Installati il 21 aprile 1933,alla presenza di Benito Mussolini, i mo-tori a due tempi avevano una poten-za totale pari a 15.000 HP e furono co-struiti dalla Ditta Franco Tosi di Legna-no. Tra questi eccezionali pezzi di an-tiquariato industriale (nella Sala è po-sta anche una turbina a vapore), costi-tuisce un incredibile contrasto una se-rie di sculture di varia provenienza,copie fedeli di famosi originali dell’ar-te greca e opere rielaborate da model-li greci secondo il gusto dei commit-tenti romani.

Sopra, statua nella Sala Macchine.Sotto, visione panoramica della SalaCaldaie.

185

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 185

Page 193: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Tra queste, due statue femminili in pietra scura di grande qualità artisticaprovenienti dall’area dell’Ospedale Militare sul Celio, rinvenute alla fine dell’Ot-tocento all’interno di muri tardo-antichi dove erano riutilizzate in minuti fram-menti. Sono la statua femminile acefala nota come «Vittoria dei Simmaci», da ori-ginale di età ellenistica, che rappresenta la dea con panneggio in bigio antico,e la statua di orante in basanite, del I secolo d.C., raffigurante Agrippina Minorecome offerente, probabilmente situata nel tempio del Divo Claudio sul Celio.

Altre aree archeologiche di Roma hanno apportato il loro contributo in que-sta Sala: il Campidoglio, cuore religioso della città antica, presente con alcuni re-sti dei monumenti sacri e civili eretti nelle sue vicinanze e frammenti di grandistatue di culto femminili, ricollegabili ad alcuni dei numerosi edifici di culto chesorgevano sul colle. Sono: la testa colossale di Ercole della metà II secolo a.C.;la statua di Aristogitone, copia del I secolo a.C. da originale greco del V secoloa.C.; il «monumento di Bocco», fregio con scudo e trofei del I secolo a.C.

Dall’Area Sacra di Largo Argentina provengono invece i frammenti di un colos-sale acrolito femminile (statua di culto di uno dei quattro templi di età repubblica-na che occupano il centro dell’area) di circa 8 metri di altezza e una statua di Musaseduta, che doveva invece decorare la scena del vicino teatro di Pompeo (101 a.C.).

Al giardino di Villa Rivaldi si riferisce gran parte della decorazione scultorea.Era questa una sontuosa residenza privata – costruita alla metà del I sec. d.C. erestaurata tra la metà del II e la prima metà del III sec. d.C. – messa in luce du-rante gli scavi per l’apertura di Via dei Fori Imperiali. È presente in questa salauna galleria di ritratti di imperatori, imperatrici e illustri personaggi provenien-te da questa ricca residenza e splendide copie e rielaborazioni romane di origi-nali greci, a testimonianza dell’importanza degli abitanti della Villa. Sono: la te-sta di Apollo ‘Tipo Kassel’ da originale bronzeo (460-455 a.C.) attribuito a Fidia;

dalla fabbrica al museo8 • Gabriella Gnetti • La Centrale Montemartini di Roma

Il motore diesel con ritratti provenienti da unadomus scoperta a Villa Rivaldi e statua diAchille che sostiene Pentesilea morente.

186

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 186

Page 194: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdla statua di Antinoo di età adrianea; la statua di Icaro, da originale del V secoloa.C.; un «Ritratto femminile» della fine II-prima metà III secolo d.C.

Dopo aver percorso tutta la Sala, nella parete di fondo risaltano le sculturemarmoree che decoravano il frontone del tempio di Apollo Sosiano, edificio diculto i cui resti sono tuttora visibili vicino al Teatro di Marcello. Sono splendidioriginali greci portati a Roma in età augustea che raffigurano la battaglia tra Gre-ci e Amazzoni con Eracle e Teseo alla presenza di Atena e Nike.

Sono esposti i fregi con processione trionfale e scene di combattimento el’ipotesi ricostruttiva di un’edicola, ed è stato in parte ricomposto anche un pic-colo monumento circolare dall’area tra il tempio e il teatro di Marcello, forseidentificabile con un bacino d’acqua lustrale ricordato dalle fonti.

Sala CaldaieAttigua alla Sala Macchine, e in comunicazione con essa, l’altro ambiente del pri-mo piano della Centrale è denominato Sala Caldaie per la presenza di una gran-de caldaia a vapore, unica sopravvissuta delle tre originarie. Con il suo intrecciodi tubi, mattoni e passerelle in metallo occupa dal pavimento al soffitto uno deilati minori dell’ampio salone rettangolare di oltre 1000 mq.

Qui sono esposte opere provenienti soprattutto da complessi residenzialicome gli Horti Sallustiani, forse il più celebre fra i grandi parchi di Roma anti-ca, comprendente tre grandi terrazze verdi in corrispondenza dell’attuale quar-tiere Ludovisi. Nati per volontà dello storico Sallustio, furono lasciati in ereditàa Tiberio nel 21 d.C. e rimasero di proprietà imperiale sino al V secolo. L’ecce-zionale abbondanza dei rinvenimenti scultorei riscontrata in questa area è do-cumentata, nella Sala, da alcune sculture originali greche di altissima qualità, co-me la statua marmorea di Amazzone inginocchiata, decorazione frontonale deltempio di Apollo Daphnephóros a Eretria, databile a fine VI secolo a.C. Si pos-sono ammirare inoltre fregi a girali di acanto con sfingi della prima età augusteache, insieme al frammento di una colossale statua di Apollo, alludono alla vitto-ria di Augusto ad Azio su Antonio e Cleopatra e sull’Egitto.

Dagli Horti Liciniani – grande residenza appartenuta alla potente famiglia ari-stocratica dei Licinii nei pressi dell’attuale Stazione Termini – provengono invecela magnifica statua marmorea della Musa Polimnia (da originale di età ellenistica)e quelle di due personaggi (fine IV-inizio V secolo a.C.) che danno l’avvio alle ga-re del circo, identificabili probabilmente con magistrati di rilievo della Roma del-la fine del IV sec. d.C., Quinto Aurelio Simmaco e suo figlio Memmio Simmaco.

Dai paraggi, vicinanze chiesa di S. Bibiana, provengono i resti di un grandemosaico policromo (inizio IV secolo d.C.) con scene di caccia e di cattura dianimali selvatici destinati a spettacoli circensi.

Nel corso degli scavi per la realizzazione del Traforo sotto al Quirinale, agliinizi del 1900, sono emersi i resti di una casa al cui interno sono stati ritrovatielementi della decorazione scultorea: statue, busti, lastre a rilievo, ritratti. La di-mora, pavimentata in mosaico e in marmo, è stata attribuita al prefetto del pre-torio di Settimio Severo, Fulvio Plauziano, in base alle iscrizioni leggibili sullecondutture in piombo dell’acqua. Da questo sito provengono due busti in mar-mo, uno maschile della metà III secolo d.C., l’altro femminile, il busto di Lucil-la. Stessa provenienza ha un rilievo con maschere teatrali.

La vasca di fontana decorata con girali di acanto e tralci di vite, della secon-da metà del I secolo a.C., è giunta in questa sala dagli Horti dell’Esquilino (odier-na zona tra piazza Dante e via Ariosto). La maggior parte delle sculture qui rin-venute durante gli scavi ottocenteschi erano in frantumi, riutilizzati come ma-teriale da costruzione nelle murature di edifici tardoantichi.

Statua di Atena Lemnia.

187

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 187

Page 195: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Altre Domus, di Via Cavour e di Porta San Lorenzo, sono i luoghi di prove-nienza di notevoli statue esposte nella Sala caldaie: due di Pothos (copia di etàadrianea da originale del IV secolo a.C.), una di satiro in riposo di età adrianea,un’altra di generale romano in nudità eroica. Dalla Domus di San Lorenzo pro-vengono i resti di un gruppo di satiri in lotta contro i giganti e altre sculture divalore decorativo.

Infine, nel settore dedicato all’arte funeraria sono esposti il monumento sepol-crale del giovanissimo poeta Sulpicio Massimo, vincitore di una gara musicale nel94 d.C., e il cippo del ricco calzolaio Giulio Elio Iulo, raffigurato in nudità eroica(ultimo ventennio del I secolo d.C.). Sono inoltre illustrate le fasi principali dellavasta necropoli nei pressi della Basilica di S. Paolo fuori le mura (in uso dalla finedella tarda età repubblicana al IV secolo d.C. e in parte ancora visibile), con ritrat-ti di defunti, altari funerari, urne cinerarie, cippi sepolcrali e sarcofagi.

La didatticaQuesto particolare spazio museale dall’iniziale carattere temporaneo, nel 2005, inoccasione del rientro di una parte delle sculture in Campidoglio alla conclusionedei lavori di ristrutturazione, è stato confermato come sede permanente. Nei suoispazi, il lavoro di accostamento di opere provenienti da uno stesso contesto con-sente anche di ripristinare il vincolo tra il museo e il tessuto urbano antico circo-stante. La Centrale stessa è inserita all’interno di un più ampio progetto di riqua-lificazione della zona Ostiense-Marconi, che prevede la riconversione in polo cul-turale dell’area comprendente la Montemartini, il Mattatoio, il Gazometro, le strut-ture portuali, l’ex Mira Lanza e gli ex Mercati Generali, con il definitivo assetto del-le sedi universitarie di Roma Tre e la realizzazione della Città della Scienza.

In questo contesto, il Comune di Roma Sovraintendenza ai Beni Culturali incollaborazione con Zètema Progetto Cultura organizza per gli istituti scolastici,elementari e superiori, visite guidate sia al Museo sia al quartiere, con diversemodalità a seconda delle età dei partecipanti. Per i più piccoli – Scuola dell’in-fanzia e primo ciclo delle elementari – la conoscenza della Centrale è stimola-ta tramite visite interattive, «Gli Dèi e le Macchine», in cui i bambini, aiutati da-

gli operatori, scoprono tracce della sto-ria del Museo con una “caccia ai carti-gli” nascosti tra le statue e le valvoledei motori. Per gli studenti delle me-die e delle superiori è compito degliarcheologi presentare la Centrale e lasua magnifica collezione.

Più specificamente, per la terzaclasse delle medie inferiori e per lescuole superiori sono proposte due ti-pologie diverse di visite. La prima, «Dal-la Centrale Termoelettrica al Museo Ar-cheologico, storia e fenomenologia delriuso e riqualificazione architettonica»,ha il fine di illustrare la duplice offer-ta del Museo, quella relativa al patrimo-nio archeo-industriale (ciclo produtti-vo, macchina, edificio), e quella dellecollezioni archeologiche: la Sala Calda-ie con i suoi enormi tubi e le meravi-gliose statue degli horti e delle ville

dalla fabbrica al museo8 • Gabriella Gnetti • La Centrale Montemartini di Roma

Statua di Igea, a sinistra e statua di Hestia,a destra, davanti al quadro di manovra del motore diesel.

188

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 188

Page 196: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

md

A destra, parte di una statua di Antinooraffigurato come Apollo.A sinistra, statua in basonite di AgrippinaMinore raffigurata come orante.

d’epoca imperiale; la Sala Macchine con i meccanismi di trasformazione del-l’energia termica e le stupende decorazioni; la Sala Colonne con i pannelli de-scrittivi di altre macchine (bombole con aria compressa per accensione diesel,centrifughe per la depurazione dei liquidi, condensatore della turbina) e i diver-si aspetti della produzione artistica di Roma repubblicana con ritrattistica, mo-menti di vita privata, arte funeraria.

Nell’altra visita, «La Centrale Montemartini e il patrimonio di archeologia in-dustriale del territorio Ostiense», dopo una prima parte all’interno del Museo, leclassi lasciano la Centrale, percorrendo la via Ostiense verso Piramide. Viene pre-so in esame dunque il tessuto urbanistico del quartiere di più antica industrializ-zazione della città di Roma, caratterizzato da una consistente presenza di emer-genze archeologiche e di archeologia industriale. Una parte della città non piùperiferica che vede la presenza di luoghi ricchi di memoria storica – i MercatiGenerali, l’Officina del Gas e il grande Gazometro in via del Commercio – e divalore architettonico – gli ex Magazzini Generali di Tullio Passerelli, oggi IstitutoSuperiore Antincendi –, fino ad arrivare sulle sponde del fiume Tevere, seguendoi lacerti dei binari, raccordo tra le industrie e la stazione da cui provenivano lematerie prime. Un punto d’osservazione generale sugli edifici e le strutture cheancora oggi caratterizzano l’area come singolare universo post-industriale nellacittà di Roma – Ponte di Ferro, ex Mulini Biondi, ex Mira Lanza, ex Granaio del-l’Urbe, Dogana Fluviale, ex Capitaneria del Porto Fluviale.

Il contesto urbanisticoFin dal 1870 il quartiere Ostiense fu riconosciuto territorio idoneo allo sviluppo diattività industriali. La grande area entro le mura aureliane – delimitata a ovest dalfiume Tevere e ad est dalle vie Marmorata e Ostiense – occupata prevalentementeda vigne e scarsamente abitata, si prestava molto bene alla realizzazione di un in-sediamento industriale. Anche il Tevere poteva diventare, con la ferrovia e la viaOstiense, una fondamentale via di comunicazione. A partire dal 1909, con la poli-tica industriale della giunta Nathan, la zona iniziò ad assumere la connotazione diprima vera area industriale di Roma. Nel 1911 venne realizzata la nuova stazione

189

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 189

Page 197: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

dalla fabbrica al museo8 • Gabriella Gnetti • La Centrale Montemartini di Roma

di Roma Trastevere e l’attuale Ponte dell’Industria venne riconvertito per il traffi-co veicolare. Negli anni Venti il potenziamento industriale del quartiere si attuò conl’Azienda Elettrica Municipale, lo Stabilimento del Gas, la costruzione dei MercatiGenerali e del Consorzio Agrario e si insediarono ulteriori attività, come la SocietàColla e Concimi – poi Mira Lanza – che, partendo dall’impiego di scarti della ma-cellazione, produrrà candele e saponi da bucato. Gli edifici di questa fabbrica ven-nero costruiti su un’area di circa 9 ettari compresa fra via Papareschi, via di PietraPapa e il fiume. Sono corpi a prevalente sviluppo orizzontale, su uno o due livelli,organizzati in capannoni distinti secondo le esigenze produttive, con spazi per ma-gazzini e depositi, generalmente edificati in muratura con coperture a due falde sucapriate lignee. I fronti dei diversi corpi si caratterizzano per la serialità dei pro-spetti, ritmati dal succedersi delle aperture e da partiti di semplici paraste. Ubicatinei pressi di viale Marconi, sono stati abbandonati nei primi anni Cinquanta, e inseguito sono stati adibiti a sede dei magazzini della ditta Rancati, società di attrez-zistica teatrale e cinematografica. Nel 1999, dalla ristrutturazione di alcuni ex ca-pannoni, l’amministrazione comunale di Roma ha voluto ricavare una struttura, ilTeatro India di Roma, allo scopo di rendere funzionale a fini culturali e conservarela memoria dell’architettura industriale dell’area. Il teatro offre altresì una secondasede al Teatro di Roma – dopo quella storica del Teatro Argentina – ed è una strut-tura molto semplice, con posti per gli spettatori sistemati su gradoni.

Anche l’importante complesso dei Magazzini Generali nacque nei primi an-ni del secolo scorso: alla loro progettazione, commissionata nel 1909 dal Comu-ne di Roma all’ingegner Tullio Passarelli, fece seguito la realizzazione, compiutanegli anni immediatamente successivi. Gli edifici si conservano ancora oggi indiscrete condizioni, e su un’area di circa 24.000 mq si articolano secondo unoschema simmetrico lungo un asse perpendicolare al Tevere. Una palazzina postaal centro del muro di cinta è l’unico edificio recante tracce di una decorazioneclassicheggiante, bugnato rustico e volute che, all’attico, incorniciano la grandescritta «Magazzini Generali». All’interno dell’area recintata, ai lati di un ampio piaz-

zale, due bassi capannoni simmetricisono adibiti alla sistemazione delle mer-ci destinate al carico. Oltre il piazzalesorgono i due edifici principali di cin-que piani, che si compongono di duecorpi affiancati e contrapposti tra loro.Sono affacciati a una sorta di corte lon-gitudinale comune, servita da un carroponte a struttura reticolare metallicache si estende fino a due pontili sullabanchina del Tevere, direttamente rag-giunta dai binari che portavano i vago-ni merci provenienti dalla vicina stazio-ne Ostiense. Gli edifici sono costruiticon strutture intelaiate di cemento ar-mato, con tamponature in muratura mi-sta di tufo e mattoni “alla romana”. I Ma-gazzini Generali sono attualmente diproprietà del Ministero degli Interni evengono utilizzati come scuola per ilcorpo dei Vigili del Fuoco, dopo esse-re stati restaurati e adattati alle nuoveesigenze.

Fregio della decorazione interna del Tempiodi Apollo Sosiano.

190

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 190

Page 198: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mdLa storia degli ex Mercati Generali è

più complessa. Nonostante l’approvazio-ne della Commissione dell’IspettoratoEdilizio del 1912 e l’avvio della costruzio-ne l’anno successivo, i lavori procedette-ro molto lentamente, anche a causa de-gli eventi bellici. Il primo lotto venne con-cluso solo nel 1922. La realizzazione si di-scostò dal progetto iniziale con alcunemodifiche all’assetto funzionale e, soprat-tutto, con una semplificazione dell’appa-rato decorativo liberty. Nel 1924 venneampliato il progetto con un padiglioneper gli erbaggi e un altro per la venditadel pesce e, ancora nel 1942, vennero re-datti progetti per la modifica e l’ammo-dernamento delle strutture, rimasti peròinattuati. In quegli stessi anni furono de-moliti stucchi e decorazioni che ornava-no il fronte sulla via Ostiense. Si tratta diuna vasta area, di circa 85.000 mq, sul la-to sinistro di via Ostiense, che ha ospita-to dagli anni Venti del ’900 fino a pochianni fa i mercati generali della Capitale.Quando nacquero, queste strutture do-vevano fornire un mercato cittadino dicirca 600.000 abitanti, ampliatosi fino agli oltre 4 milioni in epoche più recenti. Ilgrande complesso ha conservato il suo fascino peculiare per molti decenni, con va-sti padiglioni pieni di merci di ogni genere riposte in file di cassette colorate.

Altra silhouette peculiare del quartiere Ostiense è il grande Gazometro, vi-sibile a chilometri di distanza da varie zone della città. È alto 90 metri e forma-to alla base da pannelli di lamiera di ferro uniti da bulloni. Anche la struttura amaglia reticolare e la copertura, su guide scorrevoli, sono in ferro. La sostituzio-ne del gas di città con il metano – che non passa più per i gazometri ma provie-ne dalla Russia e dall’Algeria tramite un complesso sistema di tubature – ha re-so obsoleti questi impianti fin dagli anni Ottanta del Novecento.

Un altro elemento distintivo della zona è il Ponte dell’Industria, anch’essorealizzato in ferro. Collega via del Porto Fluviale con via Pacinotti, e un tempoera ferroviario e mobile per consentire il passaggio delle imbarcazioni sul Teve-re. Nel 1911 fu trasformato in ponte stradale e, ad oggi, appare ancora costitui-to dai piloni originari al di sotto di due campate maggiori, di circa 45 metri, e diuna centrale, più piccola, di circa 15 metri. La travatura metallica non è più quel-la originaria, sostituita nel 1924.

Vittoria dei Simmaci.

DoveRoma, Musei Capitolini - Centrale Montemartini (Via Ostiense, 106)Organizzazione e Servizi Museali Zètema Progetto Culturawww.centralemontemartini.orgwww.museiincomuneroma.itwww.zetema.it

Informazioni

191

4_MUN_D_182-191_p:Layout 1 2-07-2009 16:13 Pagina 191

Page 199: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

192

ria.unive.it/_RM/didattica/corsi/salvatori2.html7. Per una definizione sin-tetica di podcast cfr.http://it.wikipedia.org/wiki/Podcast. Per l’uso nella di-dattica scolastica cfr. A.

Pian, Podcast a scuola, Edi-dablog, 2008. Dal punto divista della sociologia dellacomunicazione i contribu-ti sono scarsi. Si trovanocomunque articoli sui quo-tidiani e riviste on-line, co-

me R. Venturini, Hi-tech:Godcasting: la parola diDio diventa portatile, in«Apogeonline», 2005,http://www.apogeonline.com/webzine/2005/10/18/18/200510181801. Si legga

comunque anche T. Boni-ni, La radio nella rete. Sto-ria, estetica, usi sociali, Ge-nova 2006. Ovviamente sipossono trovare numerosiaccenni al podcasting invari generi di pubblicazio-

1

Analisi del podcasting didattico e dell’uso diSecond Life a livello universitario, con la de-scrizione di alcuni esempi concreti per l’inse-gnamento a distanza, per la divulgazione del-le conoscenze storiche e per una didatticacoinvolgente.

Il «podcasting» e la sua diffusioneIl podcasting1 si è ormai affermato come unodei principali sistemi di comunicazione inter-ni alla Rete, al punto dall’essere adottato inmaniera crescente anche da altri media, pri-mi fra tutti le emittenti radiofoniche – nazio-nali e private – che sovente lo offrono comeservizio «aggiuntivo» alla normale messa inonda su frequenza. Nella Rete si trovano at-tualmente migliaia di podcast, quasi sempregratuiti, riguardanti gli argomenti più dispa-rati: dal cinema alla scienza, dalla religione(il termine in questo caso è godcasting!2) al-la storia, dalla politica alla medicina e cosìvia, attraverso l’intera tassonomia del sapereumano3. Facilmente confezionabile, dato chenon richiede l’acquisto di un’attrezzatura co-stosa, né il possesso di elevate capacità in-formatiche, il podcast è quindi diventato uno

«Podcasting» e «Second Life»:dall’ascolto alla creazione in alcuni corsiuniversitari di storiaEnrica Salvatori*

strumento di comunicazione potente e diffu-so, al pari dei blog4 e dei siti che consentonola condivisione dei video (come YouTube5).In particolare le sue caratteristiche lo rendo-no uno strumento estremamente utile alla di-dattica, sia a distanza che in presenza, e, piùin generale, alla diffusione verso l’esternodelle capacità formative e divulgative dellestrutture educative di ogni ordine e grado.Forte della mia esperienza ormai triennale dipodcaster, rivolta sia al largo pubblico sia aglistudenti universitari6, ho ritenuto utile illu-strare quanto personalmente elaborato sul-l’uso di questo strumento a livello universi-tario.

Che cos’è un «podcasting»didatticoPrima di entrare nel pieno del tema è tuttavianecessario spiegare cos’è un podcast didat-tico7.Si tratta di una realtà in parte vecchia, inquanto è, in concreto, una registrazione audioo anche video della lezione, come un tempogli studenti ottenevano ponendo semplice-mente sulla cattedra il proprio registratoreportatile. Del tutto paragonabili sono anchele lezioni video-registrate dall’Università Te-lematica UNINETTUNO, che vengono quoti-dianamente trasmesse sui canali televisivitradizionali e satellitari8, con la sola differen-za che in questo secondo caso le lezioni sonoappositamente pensate per un pubblico di-stante.Le novità forti del podcasting superano tutta-via la parte nota: parlo del mezzo attraversocui il podcast è diffuso e il modo con cui èconfezionato e pubblicato. È tramite Internet,infatti, che si può venire a conoscenza del-l’esistenza di un determinato podcast, ascol-tarlo e poi decidere, tramite specifici pro-grammi detti «aggregatori», di abbonarsi al-la trasmissione e di essere quindi avvisati au-

* Per contattare l’autorescrivere a: [email protected]. Neologismo nato dal-l’unione delle parole: iPod– il popolare riproduttoredi file audio mp3 di Apple– e broadcasting, trasmis-sione di informazioni daun sistema trasmittente adun insieme di sistemi rice-venti non definito a priori.2. http://en.wikipedia.org/wiki/Godcasting3. Un esempio di classifi-cazione lo si trova nellabarra laterale sinistra diiTunes Store, il negoziovirtuale della Apple.4. http://it.wikipedia.org/wiki/Blog; a stampa G.Granieri, Blog generation,Laterza, Roma-Bari 2005;N. Siciliani de Cumis, Ca-ri studenti, faccio blog…magari insegno: per unadidattica della pedagogiagenerale 2006-2007, Nuo-va Cultura, Roma 2006.Cfr. anche il portale Edida-blog, http://www.edida -blog.it/, promosso dal Mi-nistero della PubblicaIstruzione.5. http://it.youtube.com/6. E. Salvatori, Didatticadella storia e nuove tecno-logie: opportunità, proble-mi e scenari plausibili nel-le Università italiane, in«Reti medievali - Didatti-ca», 2008, http://www.sto -

Fig. 1 Schermata del corso di Storia Medievale

2007-2008 con evidenziate le aree del podcaste del materiale didattico.

5_MUN_L_192(CMYK)_p:Layout 1 2-07-2009 16:14 Pagina 192

Page 200: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

193

ni dedicati alla Rete.8. http://www.uninettu -no.it9. Lettore che consentel’ascolto di audio in un for-mato compresso; mp3 èinfatti il nome di un algo-

ritmo di compressione au-dio in grado di ridurre laquantità di dati richiestiper riprodurre un suono,http://it.wikipedia.org/wiki/MP310. Istruzioni per creare

un podcast si trovano unpo’ ovunque nella Rete. Astampa rimando a A. Ven-turi, Come si fa un pod-cast, Tecniche Nuove, Mi-lano 2006; M.W. Geoghe-gan, Podcast solutions:

the complete guide to pod-casting, Berkeley 2005.11. Acronimo per HyperText Mark-Up Language,ossia linguaggio di mar-catura per ipertesti, è unlinguaggio di formattazio-

munduslaboratoriotomaticamente quando è disponibile un nuo-vo episodio/lezione. In sostanza, ogni voltache il docente mette in rete una registrazione,l’aggregatore avvisa lo studente abbonato, ilquale – se lo vuole – scaricherà il file audiosul suo computer e ascolterà la lezione sulcomputer stesso, oppure su un lettore porta-tile mp39 o su un telefonino predisposto.Dal lato studente il mutamento è palese: ilpodcast permette di recuperare la lezionepersa o utile da riascoltare, di essere avvisa-to dell’esistenza di una nuova lezione e di po-terne usufruire a suo comodo, scaricandola adomicilio. A fronte di un’estrema comoditàdell’utente, l’insegnante non affronta un la-voro aggiuntivo particolarmente gravoso. Co-struire un podcast, specialmente un audio-podcast, è infatti un’operazione relativamen-te semplice10. Le nozioni e le capacità neces-sarie per il suo confezionamento non richie-dono particolari abilità informatiche, né l’ac-quisto di materiali costosi o ingombranti: lalezione viene infatti registrata o su un regi-stratore mp3 o su un computer dotato di mi-crofono e poi messa on-line. Quest’ultima

operazione può essere fatta manualmente op-pure in maniera automatica: nel primo caso ènecessario saper maneggiare il linguaggioHTML11; nel secondo il docente deve avere adisposizione una piattaforma o un applicati-vo predisposti a catturare e organizzare inpodcast i file audio12.

L’insegnamento a distanzaCredo appaia evidente, dopo questa descri-zione sintetica, che la soluzione podcastpuò apparire come una specie di «uovo diColombo» per la didattica universitaria a di-stanza. Infatti replica per un utente ester-no quanto il docente spiega a lezione e,quindi, costituisce una «formattazione di-gitale della tradizione», che può essere co-munque arricchita dalla presenza on-line dialtri materiali – testi o immagini – utilizza-ti in aula. [Fig. 1]Al di là della banalità del sistema, che benpoco innova a livello didattico, si deve sot-tolineare la grande opportunità che essorappresenta per gli studenti-lavoratori, glistudenti-carcerati o per i non-frequentanti

ne usato per descrivere idocumenti ipertestuali di-sponibili nel World WideWeb.12. Servizio prestato adesempio dalla piattaformaper l’e-learning Moodleche ho avuto la possibilitàdi utilizzare in questi an-ni. Il sito ufficiale èhttp://moodle.org. L’imple-mentazione per il podcastdenominata Podcast Ge-nerator è stata elaborata erilasciata gratuitamenteda Alberto Betella del-l’Università di Bergamohttp://podcastgen.sourceforge.net/. Nell’a.a. 2006-2007 ho portato avantipresso il CISIAU (CentroInterdipartimentale per ilSistema Informatico del-l’Area Umanistica) del-l’Università di Pisa un pro-getto per la diffusione del-l’e-learning in ambitoumanistico, che ha porta-to all’apertura di una piat-taforma per l’insegnamen-to a distanza, http://moo -dle.humnet.unipi.it, attual-mente in uso. Le necessi-tà tecniche e finanziarieovviamente mutano sel’iniziativa viene presanon da un singolo docen-te, ma da un centro o di-partimento o addiritturaateneo e se si privilegia ilpodcast video.

Fig. 1

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 193

Page 201: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

o, viceversa, a coloro chesi imbarazzano davanti aun microfono o che co-munque interrompono lacontinuità del discorso conesempi, incisi, pause olunghe digressioni. Sono

tutte caratteristiche nonnocive alla didattica tradi-zionale, ma potenzialmen-te dannose se si pensa al-lo studente non frequen-tante, che si limita adascoltare senza poter lega-

re il discorso alle espres-sioni del viso, ai movimen-ti e alle azioni compiutedal docente in aula.15. Cfr. P. Greco, L’univer-sità italiana e la «terzamissione», in «l’Unità», 12

marzo 2007, http://www.unita.it/view.asp?IDcon -tent=64304; H. Etzkowitz,A. Webster, Ch. Gebhardt,B. R. Cantisano Terra, Thefuture of the universityand the university of the

1 «Podcasting» e «Second Life»: dall’ascolto alla creazione in alcuni corsi universitari di storia

194

in genere13. In particolare l’audio podcastappare più che indicato per le lezioni cheprevedono maggior spazio alla lettu-ra/spiegazione e un uso ridotto di immagi-ni, formule e dimostrazioni pratiche. In que-st’ultimo caso esistono tuttavia altre stradepercorribili: i video podcast, che necessita-no ovviamente di una telecamera collegataal computer, o la creazione di file in cui l’au-dio è sincronizzato con la proiezione di im-magini o slide14.

La «terza missione»L’innovazione diventa però maggiore se sipensa all’apertura verso l’esterno che tale so-luzione comporta. Chiaramente le lezioni viapodcast possono essere riservate ai soli stu-denti iscritti, ma possono anche essere lascia-te di pubblico dominio per rispondere in ma-niera libera e gratuita alla domanda genera-le di istruzione continua (lifelong learning)proveniente dalla società civile. Mi riferiscoalla crescente richiesta di formazione che pro-viene agli atenei da parte di persone che nonhanno alcuna intenzione di ottenere una lau-rea triennale o magistrale, ma solo la neces-sità o il desiderio di aggiornarsi su determina-te discipline per ragioni di lavoro o di cresci-ta culturale. Lezioni, seminari, conferenze,presentazioni possono, tramite il podcasting,uscire dai recinti degli atenei, dei dipartimen-ti e degli istituti di ricerca e raggiungere unpubblico molto più vasto, contribuendo inquesto modo alla crescita culturale della so-cietà.Tale pratica rientrerebbe quindi nella cosìdetta «terza missione» (o third mission othird stream) che – a giudizio di molti – l’uni-versità dovrebbe affiancare ai due compiti ca-nonici della formazione e della ricerca: la dif-fusione fuori dalle sue mura delle conoscen-ze prodotte15.L’esperienza personale, da questi due pun-

ti di vista – servizio agli studenti non fre-quentanti e apertura verso l’esterno –, è sta-ta densa di soddisfazioni. Da tre anni ormaiconsento l’ascolto delle mie lezioni di storiamedievale via podcast a chiunque lo desi-deri. A livello interno la scelta ha avuto co-me diretta conseguenza la crescita esponen-ziale delle richieste di afferire al corso daparte degli studenti lavoratori, i quali, dopola conclusione dell’esame, hanno dichiaratodi trovare il servizio di podcasting estrema-mente utile per lo studio e la comprensionedel manuale e degli altri testi in program-ma. Contemporaneamente ho ricevuto deci-ne e decine di ringraziamenti da parte distudenti e semplici appassionati, esterni al-l’Università di Pisa, che avevano ascoltatol’intero corso – 60 ore di lezione! – per mi-gliorare la propria preparazione in vista diun esame da sostenere in altra sede o sem-plicemente per accrescere le proprie cono-scenze nella materia. [Fig. 2]Ci tengo ad aggiungere che la risposta daparte degli studenti frequentanti è stata al-trettanto positiva. Lungi da spingerli ad ab-bandonare l’aula, la possibilità di poter ac-cedere alla lezione registrata ha rappresen-

13. Si deve purtroppo rile-vare come nella maggiorparte degli atenei italianil’apertura «teorica» versogli studenti lavoratori siain realtà scoraggiata dalfatto che non è previstaper costoro nessuna ridu-zione delle tasse universi-tarie, anche se il loro uti-lizzo delle strutture uni-versitarie è giocoforza ri-dotto. Tale ingiustizia po-trebbe essere sanata pro-prio offrendo in cambiodelle tasse un funzionaleservizio di educazione adistanza a chi, pur lavo-rando, voglia utilmente ot-tenere una formazioneadeguata.14. Da elaborare con unsoftware di montaggio vi-deo, il che implica, com’ècomprensibile, un lavorodi post-produzione di uncerto rilievo. Si deve peròrilevare che l’uso della le-zione in podcasting ha al-cune importanti controin-dicazioni. In primo luogonon è adatta a docenti chenella lezione tradizionaleavviano serrati confrontidialettici con gli studenti

Fig. 2 Elenco di podcast didattici messi in rete

dalla scrivente.

Fig. 2

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 194

Page 202: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

195

tato per i frequentanti un utile servizio peril ripasso e lo studio della materia. In parti-colare è stata apprezzata la possibilità diriascoltare le parti del corso in cui si spiega-vano documenti, testi e immagini, durantele quali la scrittura degli appunti poteva co-noscere pause o provocare fraintendimen-ti. [Fig. 3]L’esperienza positiva a livello didattico miha spinto a tentare anche la strada del pod-casting espressamente pensato per il gran-de pubblico: un ciclo di interventi riguar-dante personaggi ed eventi del passato let-ti in maniera critica e attraverso visioni sto-riografiche divergenti, al fine di far perce-pire, da un lato, l’importanza della cono-scenza storica, dall’altra, i rischi che deri-vano dall’accettazione acritica di una solalettura del passato. Da questi presuppostiè nato nel 2006 Historycast16, il primo pod-cast italiano di storia, che trasmette più omeno ogni due mesi puntate della durata di30 minuti ciascuna e che vanta un’audiencedi tutto rispetto, con una media di 12.000 apuntata17. In maniera inaspettata tra i nu-merosi abbonati a Historycast si registrauna buona percentuale proprio di studenti,

sia delle superiori sia universitari, a dimo-strazione che il mezzo ha una forza di pe-netrazione elevata tra le nuove generazioni,magari non ancora digital native, ma certopiù abituate alla visione e all’ascolto che al-la lettura18.Data l’evidente utilità in ambito didattico, so-no ormai numerosissime le università, in par-ticolare inglesi e statunitensi, che offrono unservizio di podcasting. Fornire numeri e sta-tistiche da questo punto di vista è pratica-mente impossibile, ma una rapida indaginesulla Rete rivela che esistono – a livello uni-versitario – sostanzialmente due modalità di«presenza».Nella prima l’ateneo mette a disposizione delgrande pubblico le lezioni e le conferenze chesi svolgono al suo interno e che la direzioneritiene adatte a far uscire «fuori» dal campus.Di norma si tratta di seminari, incontri, conve-gni e conferenze, presenti in formato solo au-dio o anche video19. [Fig. 4]Nel secondo caso l’ateneo mette a disposi-zione anche le lezioni dei docenti, ovviamen-te di coloro che desiderano aderire al servi-zio, e altre comunicazioni di utilità comune,come ad esempio la presentazione dell’uni-

future: evolution of ivorytower to entrepreneurialparadigm, in «ResearchPolicy», 29, 2000, pp. 313-330,http://www.norfa.no/_img/etzkowitz.pdf16. http://www.history

cast.org17. Historycast è arrivatonel settembre 2008 alla 19°puntata: 1-I protocolli deiSavi di Sion; 2-Il conte Ugo-lino; 3-Sacco e Vanzetti; 4-I Vangeli apocrifi; 5-Mu-

hammad Alì; 6-La conqui-sta del mondo; 7-Re Artù;8-Dalla Terra alla Luna; 9-Giulio Cesare; 10-La PesteNera; 11-Charles Darwin;12-L’orologio di Ben Hur;13-La Santa Inquisizione;

14-Walt Disney; 15-GliEtruschi; 16-Le Repubbli-che Marinare; 17-Dracula;18-Pericle; 19-I Giusti. Gliepisodi contengono musi-che distribuite tramite li-cenza Creative Commons:

www.creativecommons.it/.I montaggio dei file e la cu-ra redazionale sono di Mar-co Della Croce. I contatti alsito, gli unici monitorabiliper area geografica, rivela-no un utenza residente peril 65% in Italia, per il 4% inSvizzera e a scendere Re-gno Unito, Olanda, Germa-nia, Francia, FederazioneRussa, Brasile, Irlanda, Is-landa, Argentina, Belgio,Messico, Austria, Giappo-ne, Turchia, Canada, Fin-landia, Repubblica Domini-cana, Repubblica Ceca, Mo-naco, Polonia, Svezia, Spa-gna, San Marino, Grecia.18. Non esistono ovvia-mente strumenti per moni-torare l’utenza a questo li-vello. La percezione dellabuona diffusione di Histo-rycast tra i giovani vienedalle lettere pervenutemi edalla citazione del podcastin diversi siti scolastici.19. Uno degli esempi mi-gliori da questo punto divista viene da Buniverse ilpodcast della Boston Uni-versity, http://www.bu.edu/today/buniverse/index.shtml

Fig. 3 Esempio del podcast del corso di Storia

medievale 2007-2008.

Fig. 4 Il podcast BUniverse della Boston

University.

Fig. 3 Fig. 4

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 195

Page 203: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1 «Podcasting» e «Second Life»: dall’ascolto alla creazione in alcuni corsi universitari di storia

196

versità, i consigli per le matricole, la descri-zione dei musei e delle biblioteche ecc.Esemplificativo da questo punto di vista èquanto offre la Pennsylvania State Univer-sity20, che ha sviluppato il settore al puntodi organizzare visivamente i suoi numerosipodcast in aree tematiche differenti, dimo-strando in questa maniera una predilezionechiara per questo strumento al fine di favo-rire l’apprendimento interno e la divulgazio-ne esterna. [Fig.5]In sostanza il podcast risulta particolarmenteadatto per la diffusione di materiale non stret-tamente didattico, ma comunque prodotto alivello universitario. Mi riferisco ai seminarie alle conferenze che giornalmente vengonoorganizzati nei dipartimenti e nei centri di ri-cerca universitari a corredo delle attività diricerca e di dottorato21. Con un investimentonon certo ingente da parte dei dipartimenti odalle facoltà o ancora degli stessi atenei, è in-

Fig. 5

Fig. 5 Il ricco servizio di podcasting della

Pennsylvania State University.

fatti relativamente semplice consentire aun’utenza più ampia l’ascolto dei seminari or-ganizzati internamente, a tutto vantaggiodell’aggiornamento degli studiosi e della di-stribuzione di cultura tra gli appassionati22.

«iTunes»Per rispondere alla crescente offerta di pod-cast da parte delle strutture universitarie,iTunes Store, il portale-negozio virtuale mes-so a disposizione dalla Apple, ha aperto nelmaggio 2007 un settore dedicato, iTunesU23. Si tratta di un mini-portale tematico, ca-ratterizzato appunto da contenuti forniti gra-tuitamente dai college e università: lezionidei corsi, lezioni di lingua, dimostrazioni inlaboratorio, highlights sportivi e tour deicampus.Collegandosi a iTunes U24, vi si cercherà inu-tilmente i simboli degli atenei italiani. At-tualmente (settembre 2008) le sole universi-tà europee che hanno aderito al servizio so-no infatti la Open University e la London Glo-bal University del Regno Unito e il TrinityCollege di Dublino, a fronte di una strutturaneozelandese, 2 canadesi, 6 australiane e 92americane tra cui i prestigiosi MIT, Yale eStanford. Ovviamente non è detto che l’as-senza da iTunes U significhi la non esisten-za di altri podcast universitari. Anzi nella ca-tegoria «Istruzione» di iTunes Store è possi-bile trovare numerosissimi altri podcast tra-smessi da istituti di tutto il mondo, anche ita-liani25. Tuttavia, nel caso nazionale si trattamolto spesso di iniziative portate avanti inmaniera episodica e solitaria da parte di di-partimenti, o di centri o molto più di frequen-te di singoli docenti – e non da parte intereuniversità o istituti di scuola secondaria su-periore. Il dato è interessante perché indicacome in Italia il podcasting sia ancora lonta-no dall’essere accettato da parte del corpodocente.

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 196

Page 204: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

197

Da trasposizione digitale della tradizione, ilpodcast può però trasformarsi in uno stru-mento didattico molto più innovativo e percerti versi efficace: accade quando a crearlonon è il docente ma gli studenti.Provo a spiegare portando l’esempio deipercorsi didattici personalmente sperimen-tati negli ultimi due anni. Nell’anno accade-mico 2006-2007 all’interno del corso di In-troduzioni agli studi storici B (opzionale peril corso di laurea di Informatica Umanistica)ho introdotto agli studenti la problematicadelle Crociate e li ho portati, con una seriedi incontri di tipo seminariale, a elaboraredelle mini-relazioni, scritte per essere siapubblicate che recitate, su i vari aspetti delfenomeno storico, introducendovi anche pa-ralleli e confronti con la modernità. Questiinterventi dovevano essere poi registrati,mixati con musiche e altri contributi audio –con l’aiuto di un collaboratore alla didatti-ca – per poi essere offerti al grande pubbli-co via podcast.

«Second Life»Nell’anno successivo gli studenti hanno la-vorato sulla figura di Galileo Galilei. In que-sto caso hanno partecipato non solo alla

produzione dei file audio, ma anche allascelta dei temi, alla discussione sui libri daleggere e sulle chiavi di lettura che doveva-no o potevano essere evidenziate. Gli au-dio, montati in maniera professionale, sonoattualmente ascoltabili sia via web26, sia inSecond Life, il mondo virtuale in cui il corsodi laurea di Informatica Umanistica ha re-centemente costruito, in collaborazione col

20. http://podcasts.psu.edu/21. Un esempio concretoè dato dai seminari diSignum, organizzati dallaScuo la Normale Superiore diPisa, http://www.signum.sns.it/index.php?id=1169.Altra esperienza estrema-mente interessante è quel-la promossa dalla Casa Edi-trice Laterza con il rilasciovia podcast delle «Lezionidi Storia» tenute all’Audi-torium della Musica di Ro-ma nel corso del 2006-2007da docenti universitariesperti della disciplina,http://www.auditorium.com/eventi/4788278, prose -guita poi negli anni succes-sivi, http://www.laterza.

it/pod-nuove-lezioni.asp22. Si sta tentando taleesperimento all’Universitàdegli Studi della Tuscia suiniziativa di Gino Roncaglia,che così dichiara: «Una uni-versità non è solo la sede dilezioni formali e organizza-te, ma anche l’occasioneper incontri, dibattiti, inizia-tive culturali diverse, ma-gari con la partecipazionedi ospiti di rilievo esterni al-lo staff docente dell’ateneo.[…] Lo scopo dei nostripodcast è quello di aprire leaule dell’università ancheall’esterno, e di offrire a tut-ti, indipendentemente dal-la loro età, dalla loro localiz-zazione geografica e dallaloro situazione personale e

professionale, delle occasio-ni di formazione, di appro-fondimento culturale, di ri-flessione», http://merzspace.net/unipodcast/23. http://www.apple.com/education/itunesu_mobilelearning/itunesu.html>. Sipuò leggere a questo pro-posito l’intervista a Fabri-zio Rimoldi, responsabileeducation di Apple Italia,su «Unimagazine» delmarzo 2006, http://www.unimagazine.it/index.php/it/nazionale/prima_pagina/attualita/1461_itunes_u_intervista_a_fabrizio_rimoldi. Informazioni più recen-ti ai seguenti siti Apple:http://www.apple.com/education/itunesu_mobile-

learning/landing.html?cid=ITS-ITUMAIN080829-CN4X9; BBC News, UK uni-versity lectures on iTunes,http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/education/7431918.stm; The Guardian(Education) UK universityoffers downloadable lectu-res, http://education.guardian.co.uk/hi gher/news/story/0,,2283508,00.html;Macworld UK UK, Irishuni versities debut on iTu-nes U http://www.macworld.co.uk/news/index.cfm?newsid=2152724. Presente nella barralaterale sinistra di iTunes.25. L’uso che qui si fa diiTunes Store è puramentestrumentale e non ha al-

cun intento pubblicitario.Il negozio virtuale è infat-ti unico nel suo genere perservizi e informazioni of-ferti. Dato il successo mon-diale i podcast più rilevan-ti normalmente vi sonopresenti e quindi è un’ot-tima base di partenza perricerche sul fenomeno delpodcasting. Ovviamentealtre indagini possono es-sere condotte con i moto-ri di ricerca disponibili inRete e altri dati posso es-sere aggiunti tramite i si-ti collettori di podcast. Perl’Italia cfr. Audiocast,http://www.audiocast.it/podlist26. http://www.illaboratoriodigalileogalilei.it/audio.html

Fig. 6 Il laboratorio di Galileo Galilei in SecondLife.

Fig. 6

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 197

Page 205: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

1 «Podcasting» e «Second Life»: dall’ascolto alla creazione in alcuni corsi universitari di storia

198

Centre for Computing in the Humanities delKing’s College di Londra, una serie di edifi-ci storici tra cui il Laboratorio di Galilei. [cfr.Fig. 6, p. 197]L’organizzazione di questo corso – com’è fa-cilmente comprensibile – ha comportato unnotevole lavoro di preparazione e di collega-mento interdisciplinare con altri corsi, tra cuiGrafica 3D e Audio digitale. E gli sforzi sonostati premiati: attualmente in Second Life,nell’isola Digital Humanities, è possibile vi-sitare un Laboratorio galileiano interamenterealizzato da studenti, in cui oggetti interat-tivi permettono di scaricare testi, libri, imma-gini e soprattutto lezioni audio, tutte incen-trate sulla vita, le opere e gli esperimenti delgrande scienziato toscano27. [Fig. 7a-b].Dal punto di vista didattico, sia nel primo chenel secondo corso, gli studenti hanno trovatonella prospettiva di fare, costruire, elaborareun prodotto fatto per essere ascoltato e usu-fruito «fuori» dell’ateneo, uno stimolo poten-tissimo non solo allo studio, ma alla buonaespressione formale di quanto appreso. Nel-

la scelta di costruire un podcast si è preferitopuntare didatticamente al «saper fare» pri-ma che al «sapere». Alla fine si sono ottenu-ti buoni risultati anche a livello della cono-scenza dell’argomento prescelto, a fronte diun notevole impegno di studio prestato qua-si spontaneamente, un’accresciuta attitudi-ne alla critica, alla discussione e alla chiaraespressione del proprio pensiero, tutti obiet-tivi non facilmente raggiungibili tramite la le-zione tradizionale.Si può obiettare, e con buona ragione, chequesti risultati si possono ottenere facendoprodurre agli studenti altri contributi non ne-cessariamente digitali: tuttavia, la possibilitàdi «pubblicare» in tempo reale quanto realiz-zato su una piattaforma accessibile a tutti for-nisce una spinta potente alla realizzazione, edi conseguenza all’impegno.Il mondo digitale, proprio per la sua apertura,per la sua accessibilità e per la crescente fa-cilità d’uso, può diventare didatticamente illuogo in cui si passa utilmente dall’ascolto al-la creazione allo scopo di apprendere.

27. http://slurl.com/secondlife/Digital%20 Humanities/132/72/32. Per infor-mazioni sul progetto cfr.

http://iu.di.unipi.it/wiki/index.php/Il_Laboratorio_di_Galileo

Fig. 7a-b Il laboratorio di Galileo Galilei in

Second Life, interno.

Fig. 7a Fig. 7b

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 198

Page 206: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

199

2

Un documentario storico può essere realizza-to con soluzioni diverse: come testo copertoda immagini, con l’intervento di testimoni (in-terviste), sceneggiato con la presenza di atto-ri o anche con la mescolanza dei generi. Perognuno dei casi si presentano realizzazionispecifiche, si forniscono indicazioni concretee si propongono riflessioni sui problemi di-dattici ed epistemologici posti da questomezzo.

Un vecchio strumento di comunicazione diventa una nuova strada didatticaLa parola «documentario» ha evocato per an-ni, nelle scuole, l’idea di informazione corri-spondente a una piatta lezione frontale. Nel-l’ultimo decennio, d’altra parte, due constata-zioni devono indurre a passare dal rassegna-to pessimismo alla ricerca di espedienti chemettano in contatto la scuola con produzionivideo nate all’esterno dei progetti formativi.La prima è il successo di trasmissioni comequelle proposte da History Channel: moltocriticate dagli storici professionali, hanno in-dubbiamente gravi limiti di aggiornamento, e

Passato sullo schermo. Nuova vitadidattica dei documentaristorici

Simona Bani

tuttavia hanno dimostrato di saper aggancia-re l’attenzione di quote di pubblico normal-mente scoraggiate dalla pagina scritta. La se-conda è la comprovata efficacia della presen-za, in mostre e anche in musei, di video – nonnecessariamente interattivi – che si presenta-no in sostanza come documentari ma hannola funzione di lanciare segnali visivi-esplica-tivi che arricchiscono di stimoli il classico per-corso fra oggetti e didascalie.Senza le pretese tipiche della vera inchiesta,qualche esperimento può già confermare unabuona accoglienza, nelle classi, di prodotti vi-deo che non hanno inizialmente finalità di-dattiche: come se si rivelasse utile, nell’inte-razione fra studenti e insegnanti, “leggere”,commentare insieme e, se necessario, retti-ficare immagini animate rispetto alle qualientrambe le parti hanno una funzione attiva:gli insegnanti riservano per sé la traduzionein termini didattici del documentario non sco-lastico; gli studenti si sentono più liberi nel-la loro potenzialità di giudizio rispetto a unprodotto non pensato espressamente per lo-ro, e in quanto tale lontano da ogni sacraliz-zazione e da ogni fissità “da manuale”.È un po’ come se la scuola si aprisse alla so-cietà dell’immagine senza diluirsi in essa. At-traverso un simile percorso il documentariorisulta avere una nuova vita: l’operazione di-dattica fa superare l’idea del documentario-lezione, per sostituirvi una procedura in cui lalezione si appoggia a materiali video, di cui sipossono commentare sia i contenuti sia – equesta è una variante preziosa – i contesti incui sono normalmente usati (una meta turi-stico-culturale, un museo, una mostra, persi-no un festival cinematografico). E senza dub-bio i ragazzi memorizzano più facilmente iconcetti che sono loro proposti all’interno difilmati o che a questi si appoggiano.Da queste considerazioni nasce l’utilità di clas-sificare per tipi i prodotti video inseribili sotto

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 199

Page 207: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

2 Passato sullo schermo. Nuova vita didattica dei documentari storici

200

la generica definizione di «documentari» e difornire, per ogni tipo, suggerimenti tecnici:perché non è da escludere che un’operazionedidattica efficace possa anche essere proget-tare e realizzare in ambito scolastico un docu-mentario che riduca al minimo i consueti di-fetti amatoriali, e possa essere proposto, adesempio, a un ente culturale esterno alla scuo-la. Ma, prima di andare avanti, occorre sgom-brare il campo da un equivoco: per uno stu-dente “vedere” non dà maggiori possibilità diaccertamento del “leggere”. Certamente puòrendere più gratificante e piacevole l’appren-dimento e, sotto la guida di insegnanti esper-ti, può anche, come si è appena considerato,indurre a qualche buona lezione di critica del-le fonti e soprattutto delle “nuove” fonti.

La voce narrantePer il Museo del viaggio della Valle di Susaho realizzato un documentario dal titolo Luo-ghi di transito e luoghi di sosta del viandan-

te medievale che analizza il territorio, indivi-dua i valichi e i passaggi di mercanti, soldatie pellegrini. Il video, proiettato su un grandeschermo, corrisponde alla parte introduttivadella visita al museo. La durata è di 15 minu-ti: il tempo massimo di attenzione che si puòimporre a un visitatore che in piedi si accin-ge alla visita.Con una ricerca di approfondimento su per-corsi ed edifici medievali, e con la consulen-za di storici e storici dell’arte, ho scritto untesto di tre pagine che condensava le infor-mazioni sui tracciati, sulla cronologia deiviaggi e sui luoghi di interesse storico-pae-saggistico oggetto di illustrazione. Dal testoho ricavato un piano delle riprese in cui hoelencato tutte le immagini che mi sarebberostate necessarie per coprire il parlato. Si trat-tava di documentare i valichi, le strade, gliospizi, le chiese. Ma anche di trovare imma-gini di pellegrini e altri viandanti, oggetti diviaggio, rappresentazioni di cibi, animali, ac-

In qualsiasi ipotesi la prima fase è la stesura di unoschema (soggetto) che risponda agli scopi che ci siprefigge, progettandolo o con sequenza cronologica ocon impianto tematico per argomenti paralleli. Loschema è fondamentale perché consente di individuareun asse espositivo, con un inizio e una fine, da cui sipossono snodare interventi esplicativi e diapprofondimento: se si parte dalle domande a cui sivuole dare una risposta si ha più chiara l’idea delsoggetto da scrivere.Dallo schema si procede per la stesura del testo dicommento che accompagna le immagini. Il testo deveessere sobrio e chiaro e deve seguire le linee indicatedallo schema con gli incisi individuati nella primastesura. È molto importante che il rapporto fra testo eimmagini approssimativamente corrisponda a cinqueminuti per una pagina scritta, perché la lettura deveessere calma e contemplare qualche pausa.Nel caso, non da escludere, di un documentario copertosolo da immagini fisse si deve calcolare che ognuna diqueste deve durare dai tre ai cinque secondi al massimo:

è il tempo giusto per l’interpretazione dell’immagine, eoltre questa durata potrebbe verificarsi un pericoloso“sganciamento” della concentrazione. Il cavalletto non èun’opzione: la telecamera deve sempre essere montatasul cavalletto anche se l’operazione richiede più tempo.Immagini ondeggianti rendono scadente e pocoprofessionale il prodotto.Per togliere staticità al documentario si devono “lavorare”le immagini in fase di ripresa: zoomare (passare da uncampo lungo a uno corto o, viceversa, aprendo ochiudendo l’obiettivo) dal totale ai dettagli; panoramicare(termine gergale con cui si indica l’operazione dimovimento della telecamera, dopo aver fissato ilcavalletto in modo da consentire solo gli spostamentiorizzontali, da destra a sinistra, o viceversa);panoramicare e poi zoomare, far vivere le riproduzioniseguendo i movimenti che vi sono riprodotti (se abbiamoun affresco che rappresenta un momento di vita agresteseguire il movimento della persona rappresentata – adesempio un contadino che ara un campo – passare daltotale alla mano e proseguire puntando sull’aratro e sul

Come progettare e realizzare un documentario

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 200

Page 208: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

201

qua e monti, in generale natura nelle parti incui i secoli non hanno potuto cambiarla.Ho visitato chiese e cappelle campestri, mo-nasteri e canoniche alla ricerca delle imma-gini che servivano al mio scopo. Ho ripresofontane e case medievali, ho cercato stazionidi cambio di cavalli, punti di riscossione dipedaggi, tratti lastricati con pietre (di epocaromana, per sottolineare la differenza rispet-to ai modesti sterrati successivi). Alberi, cie-li che preannunciano bel tempo o pioggia, se-gnali fondamentali per un viaggiatore d’altritempi. Gole adatte agli agguati dei briganti,percorsi di pellegrinaggio e luoghi di acco-glienza per nobili e altri per poveri, ricoveriper la cura di malattie, luoghi di preghiera.Quando il materiale è risultato sufficiente hoiniziato il montaggio, in questo caso rigoro-samente didascalico, volto a seguire fedel-mente il testo. Per quanto si sia fatto un accu-mulo di immagini e di riprese ne mancheràsempre qualcuna che dia più ritmo al filmato:

solco in sequenza, non interrompendo la ripresa). Leimmagini devono essere fedeli al testo. Una granderisorsa è rappresentata da affreschi, bassorilievi, sculture,dipinti, fotografie e riproduzioni. Allo stesso modorisultano interessanti da mostrare documenti originali,monete e sigilli, creando anche su questi un effetto dimovimento in virtù del tipo di ripresa.Nel caso l’argomento preveda rapporti storia-territorio (e,su diversa scala e in diversi modi, è sempre auspicabile)è necessario realizzare carte geografiche esplicative cheindichino i percorsi e i centri di interesse. Possono essereanimate realizzando riprese in successione, in paralleloalla progressione grafica del percorso, o seguendo con latelecamera il percorso dopo aver dato un’immaginecomplessiva del totale. La ripresa in diretta di parti delpaesaggio corrispondenti al territorio rompe la monotoniadelle immagini rielaborate (cioè artistiche, o cartografiche,o frutto di riprese esplicative) e aiuta ad attirare l’occhiosullo spazio della descrizione. Tutte le informazioni devonoessere integrate da schemi e tabelle con nomi, date eluoghi che saranno così più facilmente memorizzati.

Il montaggio del materiale va realizzato basandosi conmolto rigore sul testo letto. Il testo deve dettare i tempi eil numero di interventi visivi: basta un minimo passaggioin cui manchi la sensazione di interdipendenza perprovocare un effetto di sciatteria e far deviare l’attenzione(l’attenzione è sempre attratta dai difetti e dalleincongruenze, anche piccole).È altrettanto importante pensare a una colonna musicaleche accompagni il filmato, meglio se articolata in piùbrani da mandare in successione (l’eventuale ripetizionedi un brano – non in sequenza – deve corrispondere auna logica sintattica, deve cioè accompagnare unaripresa d’argomento, un approfondimento di tema giàtrattato, un ritorno su un luogo già visitato dalle riprese).La musica deve essere maggiormente avvertibile sui titolidi testa e di coda: per il resto deve essere un sottofondolievissimo (o addirittura assente) che aumenta di volumeper essere ben percepita soltanto nelle pause della vocenarrante. Deve essere riferita al tempo storico deldocumentario e non cantata, con l’unica eccezione per ititoli, in cui la parola non disturberebbe.

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 201

Page 209: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

2 Passato sullo schermo. Nuova vita didattica dei documentari storici

202

allora l’inserimento di un animale, di un al-bero mosso dal vento, di una pioggia o di unanevicata, con in sottofondo i loro rumori natu-rali aiutano ad alleggerire la visione.Può essere utile, in un museo, in una mostra(e, in generale, in qualunque operazione di-dattica) un gioco di citazioni reciproche fra ilprodotto video principale e altro materialed’appoggio. Nel caso specifico, ad esempio,ho fatto realizzare da un bravo artigiano spe-cializzato un plastico (in legno a venature evi-denti, anche per sottolineare una certa coe-renza rispetto ai tempi rappresentati) che ri-produce il territorio con l’illustrazione dellevie di transito, delle montagne come ostaco-li da superare, dei fiumi come confini o comerisorse, degli ospizi per l’accoglienza: l’occhiodel visitatore può così cercare nel plastico lacollocazione spaziale del luogo che sta osser-vando nel video.

L’intervistaUn documentario storico può essere basatosu interviste a testimoni e studiosi. Anche inquesto caso le interviste devono essere inparte coperte da immagini relative al parlato.Si deve vedere inizialmente il testimone che,

anche se accuratamente presentato all’iniziodall’intervistatore, deve avere un «sottopan-cia» (scritta in basso sullo schermo) con il no-me e il ruolo. Ogni volta che l’intervistato tor-na in primo piano si deve rimettere il sotto-pancia identificativo, sia nel caso di testimo-ne unico sia, a maggior ragione, se i testimo-ni sono numerosi. È fastidioso per lo spetta-tore doversi interrogare su chi sta parlandoperché non si è fatto in tempo a memorizza-re un nome o la corrispondenza tra un volto eun nome.Per il Valsusa Filmfest ho realizzato con unacollega scrittrice, Chiara Sasso, il documen-tario Maestre di montagna. Lo scopo eraquello di conservare e trasmettere memoriarielaborata e comunicabile attraverso i ricor-di sul loro primo incarico di maestre oggi ot-tanta-novantenni. La nozione di “rielabora-zione” rientra ovviamente nella necessità ditaratura come fonte orale ben presente a chisi ponga problemi di metodologia storica. Se-lezionate in alcune valli dell’arco alpino occi-dentale cinque maestre che rispondevano al-le nostre esigenze, le abbiamo contattate, sia-mo andate a parlare con loro per conoscerle eper farci conoscere, le abbiamo ascoltate eabbiamo chiesto loro di metterci a disposizio-ne i loro album dei ricordi.Preso l’appuntamento per l’intervista ci sia-mo organizzate con uno schema di domandeche fosse sempre uguale, in modo che le ri-sposte, categorizzabili, potessero accomunar-le nel tema e distiguerle per gli specifici itine-rari biografici. Per ognuna è stato necessariomettere a disposizione mezza giornata. I rac-conti erano ricchi di storie: ragazze che a 19anni avevano conosciuto solo la casa e il col-legio erano mandate in quelle scuole di mon-tagna, per la prima volta sole e prive di capa-cità di cucinare o di amministrare la propriaquotidianità. Tutte ricordavano come unagrande avventura il percorso compiuto la pri-

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 202

Page 210: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

203

ma volta per raggiungere la scuola negli an-ni Trenta e Quaranta del Novecento: ore dicammino per arrivare in baite semi-isolate incui dovevano innanzitutto organizzarsi perriscaldare, accendere la stufa, procurare la le-gna. Provvedevano al cibo scendendo a valleuna volta alla settimana. Portavano nella loroabitazione (vicina alla scuola e talora con es-sa coincidente) le provviste, consistenti qua-si sempre soltanto in patate e formaggio, per-ché altro non sapevano fare: testimonianzaimportante di “differenza” di quelle giovaniintellettuali rispetto alle altre donne della me-desima generazione.Il montaggio è stato poi particolarmente lun-go perché è difficile tagliare quando ci si ap-passiona agli argomenti: gli episodi o dram-matici o gustosi – raccontati con una linguaitaliana perfetta e ricercata – erano tanti equasi nessuno meritava di essere scartato.Non solo la lingua, ma anche il sistema di va-lori di cui le maestre risultano portatrici, costi-tuiscono testimonianza straordinaria sia permettere a fuoco un periodo specifico della sto-ria italiana, sia per sottolineare elementi dipermanenza della vita quotidiana pur nellatransizione tra il fascismo e l’età postbellica,

sia per sottolineare la “distanza” tra la conce-zione e la funzione della scuola elementaredi oggi e di oltre mezzo secolo fa. Quelle gio-vani donne, coltissime e abituate a pagarecon il sacrificio la loro differenza rispetto allecoetanee meno emancipate, ne risultanooscure ma efficaci preparatrici della culturadi base dell’Italia repubblicana. Nel documen-tario si crea anche, come risultato seconda-rio e automatico, un interessante cortocircui-to vissuto dalle medesime maestre: testimo-ni di un’Italia completamente pre-televisivache, di fronte a una telecamera, diventanoprotagoniste proprio di una comunicazionedi tipo televisivo. Le coperture sono state fa-cilitate dalle fotografie degli alunni, dellascuola, dei ricordi. Alla fine il documentario èrisultato di un’ora circa.

Il «docufilm»Se si vuole realizzare il documentario con unasceneggiatura e con le regole della fiction(cioè quello che gergalmente si definisce «do-cufilm») con la presenza di attori, professio-nisti e non, le cose si fanno più complicate e icosti diventano elevati. Il testo deve prevede-re i dialoghi. I personaggi devono ovviamen-

Un’intervista richiede tempo. Bisogna contattare iltestimone con largo anticipo rispetto al giorno dellaregistrazione, proponendogli in anteprima le domandecoerenti con il progetto, invitarlo a ricordare particolarianche curiosi e soprattutto originali. Gli si domanda seha immagini che documentino la sua storia e diprepararle per metterle a disposizione il giornodell’intervista.Il testimone deve essere messo a suo agio. Quasisempre dà il meglio di sé a fine registrazione e amicrofoni spenti. La telecamera intimidisce, e spessoquello che ci si aspettava di registrare non coincide conquanto è stato detto. Il lavoro preliminare dà lapossibilità di sapere che cosa manca. Le registrazionisono lunghe e ci vuole un buon lavoro di montaggio per

estrapolare le notizie che si è cercato di farcomunicare. Da un’ora di intervista si ricavano 15-20minuti al massimo di cosiddetto «buono». A finidivulgativi e didattici è bene abbandonare ipotesipretenziose di “cinema verità”: si appuntano i passaggiinteressanti, li si manipola usando altri pezzidell’intervista per rendere il discorso incisivo e fluido.Quest’operazione comporta che l’immagine deltestimone abbia visivamente dei salti. È qui che siinterviene con le coperture, consone al discorso(fotografie, disegni ecc.). Tra un argomento e l’altro, sesi è avuta l’accortezza di riprendere il testimone mentrenon parla, sorride o ascolta, lo si può inserire con unamusica di sottofondo per una durata non superiore alminuto.

Come realizzare un’intervista

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 203

Page 211: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

2 Passato sullo schermo. Nuova vita didattica dei documentari storici

204

te vestire costumi d’epoca e anche l’ambien-tazione deve essere filologicamente attendibi-le e rispondente ai dati storici: in questo tipodi prodotto – più modesto rispetto ai grandifilm ma con finalità molto specifiche – non èconsentita alcuna attualizzazione, nessuna li-bertà del tipo di quelle che si trovano nel-l’adattamento teatrale dei classici. Solitamen-te la presa diretta risulta fastidiosa e il dop-piaggio è fattibile solo da professionisti.Per il Museo del Risorgimento di Torino horealizzato il docufilm Voci e volti del Parla-mento subalpino. Nella sede del Museo, Pa-lazzo Carignano, c’è ancora l’originale dellagrande Aula in cui si riunivano i primi parla-mentari italiani. L’Aula è monumento storicoper cui non vi si può accedere, e i visitatoripossono ammirarla solo dall’alto e da lontano,attraverso un oblò posto su un corridoio a me-tà del percorso museale.Lo scopo del docufilm è di rappresentare l’Au-la come quando era vissuta, con le sedute incorso, e di proporre fuori dell’Aula il filmato inmodo che il visitatore, visto l’ambiente dal-l’esterno, possa anche riviverlo, animato, all’in-terno. Parte integrante della visita al Museo èla visione del filmato, trasmesso a ciclo conti-

nuo in una postazione non lontana dall’oblò.Con permessi speciali, supervisione di Vigilidel fuoco e ogni tipo di accorgimento di sicu-rezza, per tre giorni l’Aula del Parlamento su-balpino è stata messa a disposizione mia edella troupe, allo scopo di dare quel senso di“presenza” anche a tutti i visitatori che nonpossono godere del medesimo privilegio.Uno storico del Risorgimento, docente univer-sitario e collaboratore del Museo (Umberto Le-vra), mi ha consegnato la trascrizione di tuttele sedute del Parlamento così come erano sta-te annotate dal segretario di allora (che nonometteva nemmeno le esclamazioni del pub-blico). Insieme abbiamo deciso di rappresen-tare tre momenti significativi (corrispondentia tre dibattiti parlamentari) e selezionato ipassi per riprodurre fedelmente le parole de-gli interventi. Individuati i testi, selezionati glioratori che avrebbero parlato, elencato le fi-gure di contorno significative (segretario, pre-sidente, parlamentari della maggioranza edell’opposizione spesso citatissimi nei manua-li scolastici) abbiamo proceduto a fare il ca-sting (convocazione di attori per i ruoli princi-pali, comparse con qualche battuta, figuranti)per scegliere in totale un centinaio di persone.Il nostro riferimento per la scelta degli attoriera la somiglianza con il parlamentare che do-veva impersonare (il personaggio principale,Camillo Benso di Cavour, è stato interpretatoda Mario Brusa, attore teatrale e uno dei prin-cipali doppiatori italiani). Ogni attore selezio-nato ha portato una sua fotografia e le misureutili per la scelta dei costumi. Presso un gran-de distributore di costumi e oggetti teatrali ab-biamo noleggiato gli abiti e gli accessori (unostudio apposito è stato fatto dal costumistache si è documentato presso gli archivi). I tredibattiti parlamentari, e quindi le tre sessioni,erano in stagioni diverse per cui cambiando lastagione cambiavano gli abiti. L’arredo è statocompletato con penne, fogli, campanello, re-

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 204

Page 212: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

205

gistri ecc. Le riprese sono durate tre giorni in-teri (è stata ovviamente un’avventura “gover-nare” cento persone, indicando a ognuna ilruolo e il posto da ricoprire, oltre a istruire gliattori sulla recitazione e l’impostazione).Questo genere di piccolo filmato con dialoghicomporta le riprese di campo e controcampoche richiedono alcuni accorgimenti: se duepersone dialogano, di una si vede la nuca edell’altra il volto (campo); se l’altra risponde,si vede il viso di quello di cui si vedeva la nu-ca e il viso dell’altro (con attenzione ai movi-menti, che devono essere coerenti con il pun-to in cui il montaggio ha eseguito gli stacchi).Ma la procedura non è così rigida perché laprospettiva cinematografica richiede piccoliritocchi e a ogni cambiamento si deve cam-biare l’impostazione delle luci. Il montaggioha richiesto due mesi. Il lavoro ha ottenutouna buona accoglienza, contribuendo all’in-cremento dei visitatori del Museo. In un se-condo tempo è stato sottotitolato per i visita-tori stranieri.

Qualche conclusione, fra didatticaed epistemologiaPer giungere a qualche riflessione conclusivapartiamo dalle funzioni originarie dei tre vi-deo. Luoghi di transito e luoghi di sosta delviandante medievale è il tipico prodotto mul-

timediale che esercita “supplenza” rispettoa un museo dalle risorse limitate e povero dioggetti. In un certo senso è supplenza anchequella del prodotto più ambizioso, Voci e vol-ti del Parlamento subalpino: non solo sosti-tuisce la visita all’interno di locali protetti eosservabili unicamente da lontano, ma ani-ma anche quei locali, li riconduce alla lorofunzione originaria, consente allo spettatoredi immergersi nel clima e negli ambienti del-la seconda metà dell’Ottocento. Maestre dimontagna fa parte di un programma moltovasto del Valsusa Filmfest, volto a costruireun magazzino della memoria del Novecento,che attraverso testimoni diretti (ex partigiani,lavoratori, sindaci, personaggi con vite em-blematiche o singolari), da un lato, operi unatrasmissione di immagini e voci alle genera-zioni future, dall’altro, ne renda immediata-mente fruibili i contenuti attraverso una co-struzione non puramente “archiviante”.Tre funzioni diverse, dunque, per cui sonostate adottate tre tipologie documentaristi-che e filmiche ben differenziate. La funzioneaccessoria, cui già ho accennato in apertura,è certamente quella classica delle immaginiin movimento nelle operazioni divulgative edidattiche: quella di attira-attenzione (o an-che di aiuta-memoria, inteso nel senso tecni-co che attribuiscono alla definizione gli an-

Il carattere al tempo stesso elementare e tecnico diqueste brevi indicazioni impone che si aggiungaancora qualche informazione concreta. Nel bagaglio diun aspirante documentarista non devono mancare leluci e i microfoni. Per le riprese di interni un farettodirezionato verso il soffitto può essere sufficiente; incaso di intervista è meglio averne due. Il microfonodella telecamera è sufficiente per l’ambiente ma perregistrare una voce è necessario avere un microfono aparte. Si può scegliere il radiomicrofono, che sicolloca addosso all’intervistato, o il cosidetto “gelato”,che è il microfono che si tiene con la mano:quest’ultimo ha il difetto di creare imbarazzo nelle

persone, che possono perdere concentrazione, ma puòessere efficace nel caso di domande a esperti odocenti, perché ne sottolinea il ruolo diverso – dicommentatori e non di testimoni – senza creare disagiin chi è più abituato a trovarsi davanti a unintervistatore e a una telecamera.Per ogni tipo di documentario è utile avere un amicofidato (un insegnante in questo senso ha lecaratteristiche ideali) a cui far guardare il prodotto primadi dare per concluso il lavoro. Ore e ore di sala dimontaggio annebbiano la mente all’autore: una personaesterna, che vede per la prima volta il filmato, è davveroquasi sempre in grado di suggerire migliorie.

Gli strumenti

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 205

Page 213: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

2 Passato sullo schermo. Nuova vita didattica dei documentari storici

206

tropologi culturali). Come “accorgimento”possono dunque servire a insegnare il Me-dioevo, il Risorgimento e la transizione dal fa-scismo al dopoguerra, operando anche comesottolineatura di contenuti: la vivace mobili-tà degli uomini in un Medioevo non tutto“buio”; la dialettica fra liberali e conservato-ri nella politica iniziale del Regno d’Italia;l’esistenza di una vita civile che è riuscita anon soccombere al fascismo e alla guerra eche, nella sua normalità, ha mantenuto un si-stema di valori da cui la Resistenza, prima, ela ricostruzione, poi, hanno tratto linfa.Tener conto, infine, dei tre tipi di costruzionedocumentaristica, con l’aiuto anche di que-ste poche pagine, conduce a un’utilità acces-soria ma non secondaria, quella di una sortadi disvelamento: i documentari non sono do-cumenti ‘puri’, sono prodotti con una regia euna finalità. Sono esito di una manipolazio-ne, e con qualche sorpresa si può constatareche il prodotto filologicamente più rispettosodel passato è proprio la fiction sul Parlamen-to subalpino, con i suoi discorsi che si atten-gono scrupolosamente ai verbali e l’ambien-tazione accuratamente ricostruita. Ma anchequi, attenzione: quando mai un verbale ri-spetta davvero ciò che si è detto in una riu-nione?I racconti delle Maestre in questo senso sonopiù autentici, fra molti anni si potranno an-cora raccogliere dalle loro voci e dall’espres-sione dei loro volti episodi che parleranno, al-le generazioni future, in modo diverso da co-me parlano ai loro coetanei o a noi che siamo“posteri prossimi”. Tuttavia è un’autenticitàinevitabilmente intaccata dai tagli, dalle se-quenze decise da chi il documentario l’ha rea-lizzato, dalle immagini portate a corredo chenon provengono tutte dagli album delle mae-stre, ma integrano, completano, sviluppano. IlViandante medievale è invece un tipico stru-mento di divulgazione storica alta: non finge

Filmografia dei documentari citati! Luoghi di transito e luoghi di sosta del viandan-

te medievale: Museo del viaggio, Villar Foc-chiardo, Cascina Roland (Comunità MontanaBassa Valle di Susa e Val Cenischia), www.cmbvallesusa.it, [email protected]

! Maestre di montagna: Valsusa Filmfest, Condo-ve (Torino), www.valsusafilmfest.it, ufficiostam-pa @valsusafilmfest.it

! Voci e volti del Parlamento subalpino: Museo Na-zionale del Risorgimento, Palazzo Carignano, To-rino, www.regione.piemonte.it/cultura/risorgi -mento, [email protected]

Bibliografia! Marc Ferro, Cinéma et histoire. Le cinèma,

agent et source de l’histoire, Denoël Gonthier,Paris 1977.

! Aldo Viganò, Storia del cinema storico in centofilm, Le Mani, Genova 1997.

! A proposito del film documentario, Roma,www.aamod.it, 1998 (Archivio audiovisivo delmovimento operaio e democratico, Annali, I).

! David Forgacs, L’industrializzazione della cultu-ra italiana (1880-2000), Il Mulino, Bologna 2000.

! Il documentario nel panorama audiovisivo ita-liano di oggi e di domani: idee, proposte e solu-zioni in uno scenario in piena evoluzione, a cu-ra di Doc/It (Associazione Documentaristi Italia-ni), Bologna 2001, www.documentaristi.it.

! The Persistence of History. Cinema television,and the Modern Event, a cura di V. Sobchack,Routledge, New York-London 1996 (per le discu-tibili posizioni dei decostruzionisti che neganol’accertabilità dei fatti storici, e che quindi credo-no nei film come una normale forma di trasmis-sione dei saperi sul passato).

nulla ma non si presenta neppure come docu-mento, bensì come rielaborazione. A suo mo-do rimarrà come testimonianza del livello de-gli aggiornamenti storiografici raggiunti frasecondo e terzo millennio, e di quali sono, at-tualmente, i livelli di comunicabilità di que-gli aggiornamenti.

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 206

Page 214: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

207

* Centro di Documenta-zione Storico Etnograficadella Val di Bisenzio, pro-vincia di Prato.1. Nel corso dell’a.s.2007/08 il Laboratorio Di-dattico C.D.S.E. ha sceltodi coinvolgere, per una

gestione più capillare deipercorsi, solo i due Istitu-ti Comprensivi della Valdi Bisenzio, per un totaledi 13 plessi. Le classi chehanno aderito sono state35; 66 le attività di visitae laboratorio realizzate. I

percorsi del C.D.S.E. sonofinanziati dagli enti loca-li e dai due Istituti Com-prensivi coinvolti; solo inalcuni casi e in misuraminima (dai 2 agli 8 euroin un anno scolastico)hanno gravato sugli alun-

ni. Per quanto riguardal’educazione permanen-te, le edizioni di Sentieridell’Arte hanno registra-to, volta per volta, la mas-sima adesione consentita(30 partecipanti ciascu-no); alle Notti dell’Ar-

cheologia hanno parteci-pato circa 25-30 persone;Porte Aperte al Centroper la didattica ha vistol’affluenza di circa 80 per-sone tra genitori e bam-bini.

3

La microstoria di un territorio, visto come am-biente in divenire e prima cellula di fenomenie relazioni a carattere storico, geografico, so-ciale, si presta in molti casi all’elaborazione dibuone pratiche scolastiche, volte a stimolareconsapevolezza e rispetto per il patrimoniostorico-ambientale. Documentando, nella me-todologia e nella pratica, l’esperienza condot-ta dal Laboratorio didattico del C.D.S.E Val Bi-senzio (PO), sono mostrati alcuni dei possibiliutilizzi che il territorio offre in campo didattico.

Le impronte della storia nel territorio: una breve premessaIl Centro di Documentazione Storico-Etnogra-fica (C.D.S.E.) della Val Bisenzio (PO), paralle-lamente all’attività di ricerca, documentazio-ne e archivio di memoria antropologica, findagli anni Ottanta ha costituito un Laborato-rio didattico permanente, elaborando meto-di e materiali (dispense, pubblicazioni, mo-stre), articolati in percorsi di conoscenza delpatrimonio storico locale. Nel corso dell’ulti-mo anno scolastico (2007/08) il Laboratoriodidattico si è evoluto per quanto attiene a

Educare al patrimonio. Il Laboratoriodel Centro diDocumentazioneStoricoEtnografica*Alessia Cecconi

mezzi (strumentazione e materiale didattico),nell’apertura a discipline complementari allostudio della storia, nell’attenzione dedicata aparallelismi con contesti geograficamente eculturalmente distanti1.Nell’ottica di una sinergia tra ricerca, docu-mentazione del territorio e didattica, ilC.D.S.E. ha promosso una metodologia di stu-dio impostata sull’alternanza tra micro e ma-crostoria. Non è questa la sede per affronta-re il complesso dibattito sulla pratica storio-grafica della microstoria, sui suoi esponenti eprotagonisti, metodi, ricerche e riferimenticulturali. Vale la pena, tuttavia, accennare co-me siano ben note le degenerazioni dell’ec-cessivo localismo, che possono sfociare nelmigliore dei casi in erudizione campanilisticao dilettantismo e, nelle distorsioni più sini-stre, in pericolose accentuazioni dei processiidentitari o in chiusure anacronistiche versole crescenti problematiche interculturali.L’approccio microstorico praticato dalC.D.S.E. si propone quindi di arginare talipossibili degenerazioni: la curvatura territo-riale conferita ai percorsi didattici del Labora-torio si pone come ponte (prendendo a pre-stito la felice espressione dell’antropologo C.

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 207

Page 215: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

3 Educare al patrimonio. Il Laboratorio del C.D.S.E.

208

Geertz), tra «mondo globale» e «mondi loca-li», come un’esplorazione su un territorio cheè rete stratificata di segni e significati, dovesi intrecciano e sovrappongono progressiva-mente le impronte dell’uomo.Epoche storiche lontanissime diventano rea-li se, affacciandosi dalla finestra di scuola, siracconta che un tempo la Val Bisenzio era in-vasa dalle acque: fossili di vermi che striscia-vano su fondali sabbiosi, ritrovati nel boscosopra casa, possono testimoniarlo. Il raccon-to affascinante, tuttavia, non è finito e puòdiventare un trampolino di lancio: la conca diPrato, Firenze, Pistoia era un unico e grandelago. In Africa, contemporaneamente, l’Ho-mo erectus tracciava i suoi sentieri.

Lavorare sulla contemporaneità di fenomenipartendo dalle evidenze del territorio, fami-liare ma non conosciuto, è un esercizio prati-cabile nelle varie epoche storiche: il continuoparallelismo tra macro e microstoria, tra segnidel territorio vicino e tracce di una culturalontana, stimola una consapevolezza del pa-trimonio, ma di respiro più globale, consape-vole della sincronia.Lo studio e l’analisi del territorio si presta an-che a considerazioni rilevanti sul concetto diconservazione, bene culturale, museo. Soprat-tutto nei percorsi rivolti alla Scuola primaria, ipiccoli musei o i monumenti storici più signi-ficativi della provincia di Prato sono conside-rati il primo step verso un’educazione al patri-monio, al rispetto del bene storico-culturale eambientale. Quesiti sul perché esistono i mu-sei, su cosa si conserva al loro interno, sul va-lore della didascalia, sulla necessità di non de-teriorare un bosco come i resti di una fortezzamedievale, trovano prime, agili risposte in uncontesto diretto e familiare. Risposte che, sup-portate dallo spirito di recherche dei segnidella storia, delle impronte dell’uomo nel ter-ritorio, possono essere applicate da subito inaltri contesti storici e geografici.

Alunni, insegnanti, storici:protagonisti e fasi operativedell’attività didatticaIl Laboratorio didattico del C.D.S.E. si rivolgeprincipalmente agli Istituti Comprensivi delterritorio della provincia di Prato. Attenzioneè dedicata all’elaborazione di percorsi secon-do un’ottica di «curricolo verticale», accom-pagnando insegnanti e alunni dalla Scuoladell’infanzia alla secondaria di primo grado.Particolare cura è data alle classi terminali einiziali di un ciclo, in quanto le attività pro-poste cercano rispettivamente un raccordocon quelle dell’anno successivo o precedente.I percorsi di educazione ambientale e al patri-

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 208

Page 216: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

209

monio sono strutturati in più fasi, ciascuna se-guita attentamente dal coordinatore del Labo-ratorio didattico e dal gruppo di esperti nellevarie discipline (archeologi, storici, storici del-l’arte, artisti, guide ambientali) e in uno scam-bio continuo con gli insegnanti, che permettedi arrivare ad una co-programmazione e co-progettazione degli interventi sul territorio2.Schematizzando, le fasi operative sono le se-guenti:Fase 1: Il coordinatore del Laboratorio incon-tra ciascun docente che aderisce al progetto,adattando il percorso scelto alla programma-zione della classe. Di ogni classe viene redat-ta una scheda con numero complessivo dialunni, studenti diversamente abili, studenti

stranieri di prima o di seconda generazione.Un progetto a parte è elaborato per le scuoleche presentano la pluriclasse: in questo casoi percorsi diventano più a carattere tematico,con una forte connessione tra discipline sto-riche, geografiche e naturalistiche.Fase 2: Colloqui/aggiornamento con gli inse-gnanti divisi per classi trasversali: il coordina-tore approfondisce, di volta in volta, un temadi microstoria, raccordato con gli eventi del-la macrostoria. Dispense di approfondimentosu storia e patrimonio culturale del territorio,corredate da tavole sinottiche sulla contem-poraneità di eventi in altri contesti territoria-li più ampi (Italia, Europa, altri continenti) so-no consegnate ai partecipanti. Per ogni tema

2. Si coglie qui l’occasio-ne per ringraziare tutti gliinsegnanti degli Istituticomprensivi «L.Bartolini»(Vaiano) e «S. Pertini»(Vernio) che hanno colla-borato e collaborano con

passione per elaborare ipercorsi didattici, mo-strando un desiderio co-stante di aggiornamentoe di proporre agli alunnistimoli ed esperienzesempre nuove.

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 209

Page 217: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

3 Educare al patrimonio. Il Laboratorio del C.D.S.E.

210

è elaborata, insieme ai docenti, una schedadidattica, utile all’introduzione del percorsonelle varie classi.Fase 3: Nel corso dell’anno, gli esperti incon-trano le classi con visite nel territorio e labora-tori, nei quali sono coinvolte le discipline sto-rico-artistiche e tecniche, le prime viste comesussidio fondamentale per lo studio della sto-ria e le seconde come strumento complemen-tare alle nozioni date. Dal 2007 è stato attiva-to un «Centro per la didattica» (Centro Visitedi Schignano, Comune di Vaiano, Area protet-ta del Monteferrato), sede dei laboratori. Talecentro (ex-scuola elementare pedemontana,ristrutturata e riqualificata) è attrezzato conmateriali, cartelloni didattici e plastici del ter-ritorio, teche espositive e una piccola bibliote-ca con pubblicazioni di interesse storico, geo-grafico e naturalistico. Nel giardino del Centroè stato costruito un forno in argilla secondo ilmodello dei forni dell’età dei Metalli.Fase 4: Concluse visite e laboratori, continua,a richiesta, l’attività di consulenza e monito-

raggio. Nella fase conclusiva dell’a.s. sono or-ganizzati momenti di esposizione dei lavorisvolti e incontri con i genitori.

I percorsi nel territorio: dalla Scuola dell’infanzia alla secondaria di primo gradoI percorsi presentati sono ovviamente calatinel contesto locale di riferimento, ma si pon-gono come possibili paradigmi che, nellastruttura e metodologia di base, possono es-sere adottati in altri contesti territoriali. Il la-boratorio per la Scuola dell’infanzia ha unabrevissima parte introduttivo-metodologica,seguita dalla realizzazione pratica di un ma-nufatto; quelli per la Scuola primaria sonostrutturati con una prima parte di lezionefrontale, con videoproiezioni e presentazionedi fonti storiche “da toccare”, e una secondacon un’attività pratica legata al percorso sto-rico scelto. Nei percorsi per la Scuola secon-daria le attività pratico-laboratoriali sono pre-senti solo nella prima classe: prevalgono visi-

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 210

Page 218: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

211

te e lavoro diretto sulle fonti (reperti, docu-menti, foto) condotto individualmente o a pic-coli gruppi.

Scuola dell’infanzia (4-5 anni) e Prima clas-se della Scuola primaria: Mosaicando congli alberi del boscoAll’interno di un percorso sugli alberi del ter-ritorio e la loro trasformazione nel corso del-le stagioni, ogni classe ricrea con la tecnicadel mosaico (mattonelle colorate su tavole dicompensato) un albero del bosco.

Seconda classe: Dal bosco al museoIl percorso ha come obiettivi il consolida-mento di concetti propedeutici allo studiodella storia (come quelli di trasformazione esuccessione cronologica) e l’introduzione aitemi della conservazione e tutela del patri-monio storico. Nei primi laboratori l’espertopresenta le tecniche della pittura, affresco,scultura e plastica, iniziando dai materialinaturali di partenza (rocce, terra, pigmenti,

acqua, uovo, olio) e mostrandone diretta-mente la trasformazione in manufatti arti-stici “straordinari”; a seguire, i bambini sicimentano nelle varie tecniche. La spiega-zione è affiancata dalla proiezione delle ope-re d’arte conservate nel piccolo Museo del-la Badia di Vaiano (PO), spunto per conside-razioni sulla funzione dei musei. L’incontrofinale avviene presso il Museo della Badia,con caccia al tesoro degli oggetti straordi-nari mostrati nei laboratori: ogni bambinosegna su una scheda le varie opere ricono-sciute, il materiale di partenza e la tecnica direalizzazione; l’esperto precisa il significa-to dei nuovi termini introdotti e il compitodei musei.

Terza classe: Scoprendo la PreistoriaIl percorso inizia con un incontro sui grandieventi che caratterizzano il Pleistocene e, pa-rallelamente, sulle contemporanee trasforma-zioni geofisiche di Italia, Toscana e Val Bisen-zio; si prosegue mostrando alcuni esemplari

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 211

Page 219: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

3 Educare al patrimonio. Il Laboratorio del C.D.S.E.

212

di fossili lontani e del territorio; infine, par-tendo da un resto organico attuale (dente, os-so, conchiglia) è ricreato dagli alunni un mo-dello di fossile. A seguire, escursione sugge-stiva sulla vetta panoramica di una collina vi-cina, dalla cui sommità l’archeologo mostrala conca della piana di Prato-Pistoia e la primaparte della Val Bisenzio, un tempo occupateda un grande lago pleistocenico.I successivi incontri affrontano l’ominazionenel mondo e nel territorio: trattando il Paleo-litico, dopo un’introduzione sulla glaciazionee sulla litica (mostrando copie di punte, buli-ni, raschiatoi), i bambini visitano la cava didiaspro (Area Protetta del Monteferrato, PO)utilizzata dal Neanderthal. Per l’età dei Metal-li, il laboratorio è dedicato alla peculiarità de-gli insediamenti in Appennino nell’età delBronzo e all’utilizzo della ceramica: a seguire,

riproduzione di vasellame ceramico da partedei bambini (con riferimento alle tecniche delperiodo), cotto poi nel forno “preistorico” delCentro didattico.

Quarta classe: Supporti di scrittura, carta eciviltà fluvialiIl percorso approfondisce i temi, antichi edattuali, della scrittura e dei relativi supporti,dalla nascita e dall’utilizzo nelle civiltà fluvia-li all’invenzione della carta in Cina; segue unapprofondimento sulla Stele di Rosetta, inco-raggiando i bambini a scrivere, su una tavo-letta di argilla fresca, il loro nome in italiano,geroglifico (semplificato) e greco. L’incontrosuccessivo è una sorta di laboratorio del tem-po presente connesso alla precedente lezio-ne, sulla preparazione della carta in epocamoderna, sull’importanza del riciclaggio e

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 212

Page 220: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

213

sulla storia delle cartiere della Val Bisenzio(mostrando foto e documenti); a seguire ognibambino realizza un foglio di carta riciclatada mostrare ai genitori.

Quinta classe: I sentieri degli antichiIl percorso è dedicato alla viabilità in epocaetrusca-romana: le vie percorse dagli uomininell’antichità e le modalità costruttive dellestrade romane. Le visite sul territorio rico-struiscono un ideale percorso che da Volter-ra, passando per l’attuale territorio pratese,arrivava a Misa-Marzabotto: i bambini, dopoaver visitato le tombe di Comeana (PO), untempo centro etrusco, ripercorrono a piedi unbreve tratto dell’antica strada che passavadalla Val Bisenzio; giungono quindi a un va-lico montano dell’Appennino Tosco-Emilia-no, nelle cui vicinanze si trovano i Sassi Inci-si delle Limentre, testimonianza di antichefrequentazioni e percorrenze (Preistoria, Etru-schi, Romani, Alto e Basso Medioevo). Nel la-boratorio finale è costruito un plastico del-l’antica strada etrusco-romana che toccava iluoghi oggetto delle visite, con l’indicazionedelle evidenze archeologiche e dell’antica to-ponomastica.

Prima media: Evidenze medievali tra scavie archeologia di superficieIl territorio della Val Bisenzio conserva moltetracce del Medioevo: necropoli altomedieva-li, badie, pievi, rocche e fortificazioni. Parten-do direttamente dalle visite alle evidenze piùaffascinanti (tombe longobarde della Badiadi Vaiano, Rocca Cerbaia e di Vernio, PO) so-no condotti due laboratori che aprono a te-matiche più generali: nel primo, dopo avermostrato video e immagini degli scavi nel ter-ritorio, viene introdotto il lavoro dell’archeolo-go e la metodologia dello scavo, seguita dauno scavo didattico da parte dei ragazzi; nelsecondo, sono introdotte le tecniche costrut-

tive di epoca medievale ed è realizzato unplastico con il sistema di fortificazioni presen-ti nel territorio.

Seconda media: Epoca moderna: ville nelcontado e viaggi d’esplorazioneIl percorso approfondisce la presenza dei Me-dici e dei Sassetti nel territorio toscano e larelazione tra le due famiglie, con visite a Fi-renze, alle ville rinascimentali di Poggio a Ca-iano e del Mulinaccio (Vaiano, PO). Parallela-mente viene condotto uno studio sulle fontidirette (descrizioni fisico-caratteriali di Loren-zo il Magnifico, testamento di Francesco Sas-setti, affresco in Santa Trinità a Firenze con iritratti di Lorenzo e Francesco) per ricostrui-re i personaggi che animarono tali luoghi. Af-frontando, nella macrostoria, il tema dellegrandi esplorazioni, sono introdotte le lettere

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 213

Page 221: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

3 Educare al patrimonio. Il Laboratorio del C.D.S.E.

214

di Filippo Sassetti, discendente di Francesco,grande viaggiatore e corrispondente deiGranduchi a Goa e Cochin. Alcune di questelettere furono scritte dalla villa del Mulinac-cio, altre dai territori asiatici, nelle quali spie-ga usanze, piante e animali di queste terrelontane e affascinanti.

Terza media: Immagini e racconti tra Otto-cento e NovecentoNell’ultimo anno sono utilizzate direttamentele risorse archivistiche del C.D.S.E. (archiviofotografico e testimonianze orali) come fontiimmediate su cui lavorare, affrontando, pa-rallelamente, i vari temi nel libro di testo (tra-sformazioni sociali, vita nelle fabbriche, mani-festazioni politiche, periodo fascista, ricostru-zione post-bellica). Particolarmente interes-sante è il percorso sulla Seconda guerra mon-diale, dove si alternano foto e documenti dimacrostoria alle immagini e ai racconti dei

bombardamenti nella Val Bisenzio; il percor-so si conclude con la visita al tratto di LineaGotica passante dai comuni di Cantagallo eVernio (PO).

Educazione permanente:continuare ad appassionareSe i percorsi didattici sull’educazione al patri-monio particolare e universale si limitasseroalla sola utenza scolastica, le impronte dellastoria rischierebbero di svanire, come sullasabbia, dalla mente di molti bambini, andandoa cementarsi solo negli studenti più ricettivi.Dal momento che la scuola non è un «ospeda-le che cura i sani, ignorando i malati», occor-re porsi nella stessa ottica per quanto riguar-da l’educazione permanente. Perciò, è utilecontinuare ad accompagnare i ragazzi fuoridall’obbligo scolastico, con l’obiettivo di ali-mentare anche le flebili fiamme di interessenate dai percorsi sul territorio e coinvolgere e

Il C.D.S.E., nato nel 1983, è una convenzione tra i trecomuni della Val di Bisenzio (Vaiano, Vernio e Cantagallo)in provincia di Prato. Dal 1997 è un C.R.E.D. (Centrorisorse educative e didattiche) della rete regionale,specializzato in ricerca territoriale e documentazione perla didattica, con una particolare competenza nell’ambitodella memoria storica e sociale.Il Laboratorio didattico del C.D.S.E. progetta e sviluppapercorsi sulla storia del territorio, rivolti alla Scuoladell’infanzia, primaria, secondaria inferiore, e agli adulti.Il C.D.S.E. si avvale di:"Un archivio fotografico storico (circa 8000 immagini) di

iconografia locale, arricchito da importanti riproduzionidi fondi privati che hanno per oggetto varie realtà geo-storiche (Mediterraneo e Grecia, America del Nord,Africa e Russia), nonché archivi di fonti orali e unasezione emeroteca.

"Un archivio in progress di materiali didattici e

pubblicazioni sulla storia del territorio (nel corso diventi anni sono stati prodotti circa un centinaio travolumi e contributi).

"Un Centro per la didattica (ex scuola pedemontanaristrutturata e attrezzata con materiali e cartellonididattici, piccolo museo e biblioteca), punto dipartenza per le visite guidate e sede dei laboratorisvolti con le classi.

"Un gruppo di esperti specializzati nel territorio(archeologi, storici, storici dell’arte, artisti, guideambientali) che conduce visite e laboratori e uncoordinatore generale che segue nel corso dell’anno losviluppo di ogni singolo percorso.

Per informazioni: [email protected](coordinatrice del Laboratorio didattico)www.comune.prato.it/cdse/

Il Centro di documentazione Storico Etnografica della Val di Bisenzio (C.D.S.E.)

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 214

Page 222: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

215

appassionare un’utenza adulta, spesso lon-tana da un’educazione al patrimonio storico.Questo obiettivo comporta la ricerca di vieprivilegiate di interesse, di modalità e temidivulgativi o di fascino: da queste considera-zioni sono nate alcune esperienze, realizza-te in collaborazione con gli enti locali, che quisintetizziamo.Sentieri dell’Arte: corso propedeutico di sto-ria dell’arte rivolto agli adulti, attivo dal 2007.Il corso, in collaborazione con la Biblioteca «F.Basaglia» del Comune di Vaiano (PO), si arti-cola in un ciclo di lezioni serali sulla storiadell’arte: ogni incontro focalizza un precisomovimento, opere e protagonisti; nell’ultimaparte si apre una finestra sul patrimonio sto-rico-artistico del territorio limitrofo. Interval-late alle lezioni vi sono visite guidate sul ter-ritorio e in città più o meno lontane. Al ter-mine di ogni lezione, un’incursione nella sa-la consultazione della biblioteca permette di

mostrare i libri inerenti il tema della serata,incoraggiandone prestito e lettura.Porte aperte al Centro per la didattica: inoccasione della Giornata Europea dei Parchi(24 maggio 2008) è stato dedicato un pome-riggio ai genitori delle classi coinvolte nel La-boratorio C.D.S.E., presentando i percorsisvolti con i lavori prodotti durante l’anno (pla-stici, cartelloni, manufatti, quaderni) e alle-stendo tre laboratori storico-artistici aperti adadulti e bambini, attivi tutto il giorno.Trekking archeologico notturno: inserita al-l’interno delle Notti dell’Archeologia (pro-gramma di manifestazioni promosso ogni lu-glio dalla Regione Toscana), l’iniziativa, rivol-ta agli adulti, ha proposto un itinerario sulmodello dei percorsi didattici per la Scuolaprimaria, con camminata serale alla scopertadelle trasformazioni del territorio nell’antichi-tà, cena e dimostrazione di archeologia spe-rimentale al Centro per la didattica.

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 215

Page 223: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

216

1. A. Brusa, L. Bresil, La-boratorio 1, Ed. Scolasti-che Bruno Mondadori,Milano 1994. Una delleultime versioni è Bresil, ILaboratori di accoglienzae il “tesoretto”, in Guida

per l’insegnante, allega-to a A. Brusa et al., Ilnuovo racconto dellegrandi trasformazioni,Ed. Scolastiche BrunoMondadori, Milano 2005,pp. 116 ss.

4

Molti docenti si pongono il problema di arri-vare alla fine della scuola dell’obbligo con stu-denti non disgustati dallo studio della storiae disposti a studiarla ancora. Come interessa-re gli studenti alla storia? Il lavoro che pre-sento cerca di rispondere a questa domanda,e suggerisce una strada che parte dall’inte-resse e la passione che suscitano i misteri e leindagini poliziesche. Questi sentimenti, chesono alla base di fortunate serie cinemato-grafiche e televisive (da Indiana Jones aQuark o Blu Notte), possono darci dei sugge-rimenti. Ed essere, a mio modo di vedere, an-che la base per strategie didattiche coinvol-genti.

A scuola, fra storici e detectivePer svelare un mistero occorre riempire deivuoti, ed è qui che si può inserire l’indaginestorica. Se vengono motivati dalla curiosità,molti ragazzi si rivelano infaticabili: possonoleggere pagine e pagine, analizzare figure,tabulare dati, misurare distanze, ripulire sof-fitte e cantine alla ricerca di un dettaglio uti-le o di un indizio. Nulla di nuovo, in fin deiconti. Si tratta del problem solving (una dellefondamentali «competenze per la vita», or-

La scommessadel «giallo»

Manuela Bocchino

mai per le scuole di tutta Europa). Qui si pro-pone di studiarne l’incrocio con le competen-ze caratteristiche del mestiere dello storico,che è possibile inserire in una programma-zione della scuola di base. Lo storico-detecti-ve, infatti, muove da un mistero e compieoperazioni cognitive, che appartengono a en-trambi i “mestieri”, attraverso varie fasi:# Individua il problema mettendo a fuoco un

interrogativo (ad esempio, chi vinse dav-vero nella battaglia di Qadesh?).

# Lo scompone in aspetti significativi tenen-do conto dei dati del contesto. Seleziona einterroga i documenti a disposizione, tra-sforma le tracce in fonti, produce inferenze,rileva mutamenti e permanenze. Organiz-za le conoscenze ottenute temporalmentee spazialmente.

# Interpreta documenti e indizi, ricava dedu-zioni, ricorrendo anche alla sua enciclope-dia personale per sviluppare uno o più pia-ni di soluzione.

# Prova a utilizzare la proposta risolutiva pro-ducendo spiegazioni e analizzando critica-mente i dati e le informazioni.

# Esamina i risultati e valuta se la soluzioneè accettabile. In caso contrario ricominciada capo.

Si tratta della competenza indagativa di cuitutti, soprattutto i bambini, sono dotati, mache può alterarsi – se non è adeguatamentestimolata – ed essere sostituita da un pensie-ro condizionato e ripetitivo.Vediamo ora qualche applicazione pratica.

I segreti della valigiaIl tesoretto è un gioco abbastanza diffuso nel-le scuole, a partire dalle sue prime formula-zioni degli anni Ottanta1. Ce ne sono moltevarianti. In quella che suggerisco, l’insegnan-te porta a scuola una vecchia valigia piena dioggetti e racconta di averla trovata nella sof-

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 216

Page 224: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

217

fitta di un’amica che traslocava. La sfida stanello scoprire chi era il proprietario della va-ligia, perché ha conservato proprio quegli og-getti, che significato avevano per lui, quale èstata la sua vita. Affinché il gioco funzioni oc-corre però che la valigia sia “confezionata”con alcuni accorgimenti. Infatti, non si devetrascurare il grande potenziale cognitivo, co-stituito dalla competenza emozionale che, so-prattutto nell’età dello sviluppo, permette lacostruzione del pensiero attraverso alcune fa-si: sensibilizzazione, coinvolgimento, affezio-ne, soddisfazione, presa a carico. Ecco quin-di che gli oggetti dovranno, oltre che crearesuspence, suscitare emozioni.Si parte con l’osservazione e la classificazio-ne degli oggetti secondo una tabella, per ar-rivare alla loro interrogazione e contestualiz-zazione. I ragazzi, a piccoli gruppi, ricavanotutte le informazioni certe dai documenti chelo consentono, poi passano a fare ipotesi econgetture sugli altri. Alla fine cercano di rac-contare una storia coerente con i dati a di-sposizione. Se i vari gruppi hanno lavoratoautonomamente, in una specie di gara, il pun-teggio più alto andrà a chi è riuscito a costrui-re una storia inserendo il più alto numero dioggetti. A questo punto si rendono conto checi sono molte “storie” possibili, e che anchegli storici, basandosi a volte su documentiche non forniscono dati certi, ricostruisconouna «Storia» che può sempre venire sconfes-sata da ritrovamenti successivi.Prendiamo ora in considerazione l’aspettoemotivo dell’attività. Se il contenuto della va-ligia è sufficientemente suggestivo i ragazzivorranno andare più a fondo, saperne di più.La prima volta che proposi questo laboratoriola classe si era talmente appassionata alle vi-cende del proprietario della valigia che do-vetti proprio sforzarmi di restare seria quan-do un paio di ragazze venne a dirmi che sta-vano telefonando a tutti i «Minora» dell’elen-

co di Milano in cerca di notizie sui signoriGiuseppina e Domenico (dove avevo per l’ap-punto trovato il cognome del personaggio dascoprire). Dopodiché non solo non ebbi più ilcoraggio di confessare che si trattava di unfalso, ma decisi di sfruttare il loro entusiasmoper passare dal laboratorio di storia a quellodi italiano. Decidemmo di scrivere una sce-neggiatura e realizzare uno spettacolo. E poi-ché le date certe andavano dal 1918 al 1987,furono i ragazzi stessi a sentire l’esigenza didocumentarsi sull’epoca storica. Per fare unesempio, dovendo mettere in scena una fe-sta di compleanno dell’estate 1930 (da unadelle fotografie si capiva che il protagonistacompiva 12 anni), fu necessario scoprire cosasi mangiava, che giochi si facevano, cosa siregalava, che musica si ascoltava. Riporto diseguito alcune annotazioni dei ragazzi dalquaderno degli «appunti di regia» e alcunebattute della sceneggiatura, per far capire

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 217

Page 225: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

4 La scommessa del «giallo»

218

quanto è necessaria la conoscenza della sto-ria per rendere verosimili anche le scene piùbanali.

«Trovare qualcosa che mangiavano ai com-pleanni. Trovare musica nazista per scena del1937 (a Berlino). Parlare tedesco. Trovare si-gla Carosello e “Morti di Reggio Emilia”. Cer-care cassette anni ’80-’87. Chiedere a Gius-sani (il collega di Musica)».

MAMMA Dai prendete un po’ di limonata chevi rinfrescateDOMENICO Non avevi fatto anche i biscotti dicioccolata?MAMMA Eccoli. E ho trovato anche cioccolatavera… non quella autarchica

E non ci volle molto perché i ragazzi scopris-sero che tutti i manuali di storia di terza me-dia presenti a scuola non erano sufficienti a

fornirci le informazioni che ci servivano. Co-sì passammo ai filmati dell’Istituto Luce, aivecchi film in bianco e nero (considerati consdegno fino a quel momento), e scoprimmoil pozzo senza fondo della memoria degli an-ziani. E poiché il nostro Sig. Domenico Mino-ra aveva lasciato nella valigia anche un ar-chetto di violino e uno spartito della Tosca diGiacomo Puccini, venne abbastanza facilepensare che si trattasse di un musicista. Machi poteva immaginare che una classe di un-dicenni dell’hinterland milanese avrebbeascoltato e riascoltato il quintetto La trota diFranz Schubert, imparato a memoria E luce-an le stelle, cantato con passione Non ti scor-dar di me, chiesto di essere portati alla Scala,solo per rendere credibili i personaggi dellaloro storia?

Santa Croce, un quartiere fra realtàe letteraturaNoi eravamo contenti del nostro Quartiere. Posto al

limite del centro della città, si estendeva fino alle

prime case della periferia, là dove cominciava la

via Aretina, coi suoi orti e la strada ferrata, le prime

case borghesi, e i villini.[…] Operai, e più propria-

mente falegnami, calzolai, maniscalchi, meccanici,

mosaicisti. E bettole, botteghe affumicate e lucen-

ti caffè novecento. La strada. Firenze. Quartiere di

S. Croce. (V. Pratolini, Il Quartiere, Ed. Vallecchi,

Firenze 1943).

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 218

Page 226: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

219

Prima di parlare di questa esperienza, che –come vedremo – mette in campo competenzedisciplinari di storia, geografia e italiano, oc-corre precisare che si tratta del quartiere do-ve è ubicata la nostra scuola e dove abita lamaggior parte degli alunni. L’attività iniziacon la lettura, da parte dell’insegnante, delprimo capitolo del romanzo, ambientato neglianni Trenta. I ragazzi prendono appunti su

strade e edifici nominati e, a gruppi, su me-stieri, giochi e passatempi, abbigliamento, ci-bi, arredi e oggetti di uso quotidiano. Vienepoi distribuita una mappa del quartiere sucui cercano le strade e gli edifici citati.Primo problema da risolvere: perché alcunevie non si trovano? Perché il protagonistauscendo dal Cinema di piazza Beccaria (cheesiste ancora ma in un altro edificio) dice di

Chi non ha sognato almeno una volta di riuscire arisolvere un difficile caso poliziesco o un misteroapparentemente irrisolvibile? È questa la sfida chepresentano i giochi conosciuti come mistery. Fra i piùnoti ricordiamo Cluedo, gioco da tavolo che riproducel’atmosfera dei gialli, in cui i giocatori devono individuareil nome dell’assassino raccogliendo indizi e scartandofalse piste. Negli ultimi anni nuove esperienze ludichehanno fatto compagnia a Cluedo, nel campo sia deigiochi di società che di quelli didattici.Una classe particolare di giochi è costituita dai murderparty, situazioni “con delitto” da drammatizzare erisolvere, il cui principio di intrattenimento (ma ancheeducativo!) è basato sull’interpretazione dei ruoli e sulconfronto fra posizioni diverse, oltre che sulla capacitàdi risolvere un enigma. Queste attività si trovano, conregole, trama e schede dei personaggi, in siti Web e inlibri, ma ne esiste anche una versione rappresentata ateatro in forma interattiva, o una realizzata in suggestiveambientazioni (talvolta in costume), perché storicamentecollocate, durante weekend ludici. I murder party, infine,hanno spazio anche nella formazione aziendale. Incampo scolastico, la possibilità di gareggiare con icompagni per risolvere un mistero può invogliare i piùriottosi alla lettura di numerosi documenti e, nel caso digiochi svolti all’aria aperta, a camminare senzarisparmiarsi pur di rintracciare nuovi indizi. Nei misterycon sfondo storico il giocatore deve possedere oacquisire informazioni legate al contesto storico-culturale. A volte, questi giochi possono anche essere –essi stessi – il prodotto finale di un percorso didatticocompiuto in classe, come quelli presenti sul sito History

Resource: si tratta di ipertesti che permettonoapprofondimenti successivi rispetto al raccontodell’enigma. In Principi nella torre, per esempio, ilgiocatore può leggere i punti di vista di alcunipersonaggi coinvolti, le ipotesi degli storici, conoscere lerelazioni fra i soggetti descritti e averne una brevissimabiografia. I principi del titolo sono Edoardo V e suofratello Riccardo, figli di Elisabetta Woodville e di EnricoIV d’Inghilterra, fatti rinchiudere nella torre di Londradallo zio Riccardo, duca di Gloucester. Torre da cui nonusciranno vivi. Si trattò di un assassinio? Se sì, chi fu ilmandante? Attraverso alcune linee guida, gli autoriaiutano i giocatori a focalizzare l’attenzione sul contestostorico e sulle informazioni importanti per poter fareipotesi su quello che resta, a tutt’oggi, uno degli irrisoltigialli della storia.

Riferimenti sul Web:www.murderparty.it (tutto quello che occorre sapere suimurder party)http://www.lagunaweb.gdr.net/gioco/index.html (suigiochi di comitato)http://centres.exeter.ac.uk/historyresource/resources/ICTresources.htm (sezione del sito History Resource congiochi investigativi a sfondo storico, realizzati da studenti,in inglese).www.rill.it/?q=node/136 (articolo in cui si parla, fra glialtri, del gioco-escursione ambientato nel federicianoCastel del Monte, in Puglia)Su www.facebook.com è possibile iscriversi a un gruppo,GIO.CO., dedicato ai Giochi di Comitato, giochi diinterpretazione fra cui abbondano i mistery.

Mistery per la storia [a cura di Elena Musci]

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 219

Page 227: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

4 La scommessa del «giallo»

220

Il romanzo giallo è uno snodo quasi naturaledi attività pluridisciplinari. Dalla storia(argomento di questo laboratorio) ai videogiochi, e quindi alla riflessione sui newmedia, al cinema, al teatro, alla letteratura.Può essere perciò interessante impararedalla viva voce degli autori i segreti di questogenere. Angela Prudenzi ha curatoun’antologia di interviste (da Camilleri aLucarelli a Fruttero), che il docente puòutilizzare, per sé o direttamente per laclasse. Si trova nella collana video, curatada Giovanna Taviani, Viaggio nel genereattraverso i suoi protagonisti, G.B. PalumboEditore, Palermo 2007.

Il giallo è un genere utile

imboccare la via Aretina? Si discutono le va-rie ipotesi e proposte di soluzione e si con-clude che è necessario andare a vedere. Vie-ne organizzata un’uscita, e per perlustraremeglio la zona ci si divide in quattro gruppi(con l’aiuto di colleghi e tirocinanti). Ad ognicapogruppo viene consegnata una mappacon un percorso segnato e un compito vago:trovare indizi che possano esserci utili. I quat-tro percorsi sono diversi ma hanno un puntoin comune: via de’ Pepi, dove al n. 25 abitavaValerio, protagonista e io narrante del roman-

zo. L’obiettivo è far loro verificare che il n. 25non esiste, si salta dal 19 al 31.

Secondo problema: perché questo buco nellanumerazione? Al rientro ogni gruppo relazio-na sulle scoperte fatte e sul metodo usato. Ri-guardo al primo quesito sono state trovate alcu-ne risposte: le strade avevano altri nomi; alcu-ni edifici (in particolare il carcere, il circolo rio-nale, l’ospedale, il cinema, il deposito delle car-rozze) hanno cambiato destinazione d’uso; dialtri non c’è traccia, come del resto della casa di

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 220

Page 228: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

ml

221

Valerio. Riguardo al metodo di indagine raccon-tano di aver cercato targhe e lapidi, di averchiesto a negozianti “anziani”. Andando avan-ti con la lettura del romanzo aumentano i dub-bi e le incongruenze ma anche la voglia di risol-vere i misteri. Nessuno ha a disposizione non-ni o bisnonni originari del quartiere ma ecco ar-rivare in aiuto provvidenziali vicini di casa del-l’età giusta. Le notizie che cominciano ad arri-vare sono spesso contraddittorie e il mistero siinfittisce. Occorre tornare a vedere, ma stavol-ta muniti di un questionario e di criteri precisiper la scelta delle persone da intervistare. Civiene in aiuto una pubblicazione del Comune diFirenze con l’elenco degli «Esercizi storici». Co-sì prendiamo contatto con la pasticcera Nen-cioni, il falegname Cipriani, il vetraio Grifoni, ilrestauratore Bandinelli. Raccontano storie “co-muni”, come quelle dei personaggi di Pratolini,ma ci danno l’idea di abitudini e tradizioni tra-scorse. E hanno tutte dei punti in comune: laguerra, la Liberazione, l’alluvione. E il “risana-mento” che nel 1936 sconvolse il cuore delquartiere. A conferma dei ricordi degli anzianiarrivano le ultime pagine del romanzo: Valerioè militare e riceve lettere da casa

Da mio padre […] quello che mi preoccupa è la sto-

ria del risanamento. Pare che vogliano buttar giù la

nostra casa […]

Da Giorgio […] stanno risanando il Quartiere, but-

tano giù le case per ricostruirle più belle, dove noi

non potremo mai abitare coi fitti che verranno a co-

stare.[…]

Da mio padre […] Caro Nano, via de’ Pepi e via del-

l’Ulivo te le puoi scordare. Non esistono più […] di

via Pietrapiana è rimasta solo la parte dei numeri

pari che ha di fronte i dispari di via dell’Agnolo.

[…]

Fino a questo momento neanche chi, fra i ra-gazzi, abita in via de’ Pepi e percorre questastrada ogni giorno, si era reso conto che alcu-ni edifici (le Poste, il Catasto) sono decisa-mente diversi dagli altri, appartengono adun’altra epoca. E ora capisco perché il Mae-stro di Pietralata portava i suoi alunni a visi-tare il Colosseo. Ma di una cosa però siamotutti un po’ più consapevoli: che Firenze nonè una città “storica” per i suoi palazzi e lesue chiese, ma perché ogni città «in quantotale è un concentrato di storia nella sua inte-rezza».

5_MUN_L_192-221_p:Layout 1 2-07-2009 16:15 Pagina 221

Page 229: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

222

La storiografia didattica del Mediterraneo

«Mundus» si ripropone difavorire la transizione da una«didattica militante» – a cuibeninteso la scuolatantissimo deve – a una

«didattica storiograficamente accreditata» emetodologicamente scaltrita. Queste parole,peraltro riportate nell’editoriale del primonumero della rivista, hanno chiuso ilconvegno «Mediterraneo: il Mare in Mezzo alMondo», svoltosi a Palermo dal 6 all’8 marzo2008. Convegno che è servito a moltepliciscopi: presentare al pubblico la rivista; fare unpunto su storia e scuola con un esameponderato delle Nuove Indicazioni elaboratedalla Commissione Ceruti; offrire a una vastaplatea di insegnanti un’idea precisadell’odierno stato dell’arte sia nella ricercastoriografica sia in quella didattica.Il tema del convegno è stato affrontato da unapluralità di prospettive: quella di storiamondiale di Jeremy Bentley, che ha analizzatointerpretazioni e connessioni storiografiche inrelazione sia al Mediterraneo in sé, sia alla suacollocazione nel mondo; quella medievisticadi Giuseppe Sergi, che ha registrato gli scartitra senso comune e ricerca storiograficapartendo da Maometto e Carlo Magno diHenry Pirenne, e di Pietro Corrao, che si èinvece concentrato sui «Regni mediterranei»;quella di storia economica del modernistaBiagio Salvemini, che ha sviluppato il temadel Mediterraneo moderno fra luoghi comunie ricerca storica; dalla prospettiva di didattica

della storia di Mostafa Hassani Idrissi, che ciha mostrato come nella scuola marocchina lariva nord del Mediterraneo sia stata vista nelcorso del tempo dalla riva sud, e di RafaelValls, che ha sviluppato un’analoga tematicama sul versante opposto, e cioè la didatticadella storia del Mediterraneo in Spagna; quelladi letteratura comparata di Nora Moll, che haperseguito la figura letteraria di Ulisse «DalMediterraneo ai Carabi», e di Armando Gnisci,che ha dispiegato tutto il potenziale, ad untempo evocativo e perturbante, della metaforadel “Mare in mezzo al Mondo” («IlMediterraneo dei conflitti, fra storia ecultura»); quella contemporaneistica diSalvatore Lupo, con riferimenti incisivi alMediterraneo inospitale e crudeledell’immigrazione via mare («Isolecontemporanee»), e di geografia umana diVincenzo Guarrasi, che ha circoscritto lanozione di «geografia del contatto culturale».Gli interventi di Luigi Cajani («Introduzione») eAntonio Brusa («I vantaggi di insegnare ilMediterraneo») hanno aperto e chiuso i lavori.Un programma molto fitto ma con un precisofilo conduttore: una comune concezione delMediterraneo e dei suoi possibili usi storici,ben riassunta nell’invito di Jeremy Bentley anon considerare «il bacino del Mediterraneocome una regione legata soprattuttoall’esperienza storica europea», e diconseguenza la stessa società europea comeun che di «unico ed eccezionale», storicamentecomprensibile «senza far riferimento a unmondo più vasto», bensì ad ampliare la nostravisione storica, da un lato, facendo propria

Fabio Fiore, Luigi Tinè

Mediterraneo: il Mare in mezzo al Mondo

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 222

Page 230: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

223

munduspanorama«l’idea del bacino del Mediterraneo come zonadi scambio tra culture, dai tempi più antichisino ad oggi», dall’altro, riconoscendo chequesto «non è mai stato un mondo a sé stante,ma ha sempre avuto rapporti con realtà piùampie, alcune delle quali hanno avutoun’influenza decisiva sullo sviluppo storicodella stessa regione mediterranea». Questo filoconduttore si è così dipanato nei variinterventi, sino alle conclusioni di Brusa, cheriassume il vantaggio principale di insegnare ilMediterraneo proprio nella possibilità dicostruire una cornice significativa per le storieche si insegnano tradizionalmente (i Fenici, iGreci, i Romani ecc); e, al tempo stesso, farcapire che queste fanno parte di una storiapiù vasta e complessa, che il Mediterraneoinsomma non divide e separa ma unisce emette in relazione.Per quanto riguarda gli aspetti piùsquisitamente didattici, due sono i nodiemersi con forza nel corso del convegno: ladefinizione della didattica come storiografia«essoterica» (Luigi Cajani) o «percettiva»(Giuseppe Sergi); la tensione tra il cosainsegnare e il come insegnare che è al fondodelle relazioni di Mostafa Hassani Idrissi e diRafael Valls. Su ambo i lati, vi è una fortesensibilità per le vicende legate agli usi dellastoria, il riconoscimento dell’interdipendenzafra la comunità degli storici di professione e ilvasto pubblico, nonché del peso che ilcontesto ha nel determinare non solol’educazione storica ma la stessa funzionalitàdella pratica storiografica.Sul primo versante, la tesi di Luigi Cajani èche la didattica della storia non sia qualcosadi estraneo o esterno alla ricerca storica masua componente essenziale e integrante. Se lastoria degli specialisti esprime l’aspetto«esoterico» della storia, la didattica della storiane è quello «essoterico», si rivolge all’esterno,guarda al grande pubblico, è interessata allacircolazione più ampia del discorso storico, econsente agli storici di comprendere l’impatto

e il condizionamento sociali della disciplina,ai didatti di definire i bersagli (stereotipi,pregiudizi, clichè) su cui puntare. In direzioneanaloga si muove Giuseppe Sergi, quandoinvita gli storici a reagire alle semplificazioniindebite del passato, a riconoscere che unastoriografia ampiamente superata per lacomunità scientifica può continuare a formarein profondità la percezione comune dellastoria (è il caso di Maometto e Carlo Magno diPirenne, al cui smontaggio è dedicata buonaparte della relazione), vuoi per il fascino chele spiegazioni monocausali continuano aesercitare sul grande pubblico e sui nonspecialisti, vuoi per una persistenteinclinazione alla ricerca delle origini (delcapitalismo, dei Comuni, dello Stato modernoecc.), con grave danno per l’impresa storicanel suo complesso. Non è forse casuale chesiano proprio questi due interventi aesprimersi apertamente sulle Indicazioninazionali: Cajani, per sottolineare comequeste tentino di recuperare lo spirito dellariforma del 2001 contro le derive identitarie(«le radici nazionali e europee») della riformaMoratti; Sergi per approvare il tentativo di nonattribuire alla storia responsabilità spurie edeccessive e di evitare un esageratoappiattimento sul presente, ma anche perammonire da ogni confusione tra storia ememoria storica, e da una interpretazionedella complessità generale e/o genericaanziché specificamente orientata sul passato.Sul secondo versante, dopo un’analisiparticolareggiata dell’impatto che le treprincipali riforme dell’insegnamento dellastoria in Marocco (1970, 1987, 2002) hannoavuto sulla percezione marocchinadell’Europa – percezione fortementeambivalente, di segno positivo quandoconsidera l’Europa di per sé, negativo quandola considera in rapporto agli Altri –, HassaniIdrissi conclude la sua relazione osservandoche i manuali marocchini di ultimagenerazione sono pedagogicamente più

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 223

Page 231: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Fabio Fiore, Luigi TinèMediterraneo: il Mare in mezzo al Mondo

224

adeguati, più attenti a lasciare agli studenti lapossibilità di costruire autonomamente laconoscenza, mentre quelli più antichitendevano a fornire una narrazione storicaconchiusa e un prodotto storico finito. Enondimeno, manuali vecchi e nuovi tendonoa costruirsi su una conoscenzastoriograficamente non aggiornata, suconoscenze notevolmente stereotipate erigide, specie sul lato della medievistica. Leriforme del 2002 si sono preoccupate più delcome insegnare che del cosa insegnare;hanno cercato di fare dell’innovazione con delmateriale datato. Colmare questo divario è ilcompito della didattica della storiamarocchina dei prossimi anni. Anche Valls,dopo un’analisi dei modelli storiografici edidattici succedutisi in Spagna in relazione almondo islamico – in buona sostanza due,nazional-cattolico e liberal-positivista –conclude sull’ultima generazione di manualicon un bilancio in apparenza affatto specularea quello tracciato da Hassani Idrissi per ilMarocco. Da un lato, i manuali recenti hannoai suoi occhi senz’altro migliorato in modosignificativo la trattazione dell’Islam comefenomeno storico, sociale, culturale, politico ereligioso, in direzione di una immagine piùequilibrata, meglio integrata nel complessodella storia. Dall’altro, tale aumento anchequalitativo dell’informazione – tranne rareeccezioni – non è però accompagnato da unacapacità sufficientemente diffusa di sollecitaregli alunni alla critica e al coinvolgimento. Ilche riguarda non solo l’Islam ma la gran partedei temi storici. La causa? La difficilecoesistenza fra la grande quantità diinformazioni che un manuale contiene e lanecessità di spingere gli alunni a porsidomande circa atteggiamenti e valutazionipersonali in relazione agli argomenti trattati,cosa che accade di rado. Per dirla con CharlesHeimberg, manca o scarseggia la capacità dimediare le questioni «socialmente vive», di farinteragire l’apprendimento della storia con ciò

che nella cultura circostante è dibattuto escottante. Si prenda ad esempio, sottolineaValls, il problema degli stereotipi e deipregiudizi: non basta che queste conoscenzesbagliate siano espunte dai manuali, comeormai in gran parte accade, ma èimprescindibile che siano affrontate in modorazionale, per far toccare con mano agli allievila loro stortura e inconsistenza.In conclusione, due rapide osservazioni e uninterrogativo. La prima è sul “clima” delconvegno, sulla partecipazione non cosìconsueta di un pubblico particolarmentevivace e attento, segno ulteriore – ve ne fossestato il bisogno – che i buoni convegni agliinsegnanti servono. La seconda è sulleIndicazioni. A pochi mesi di distanza dallaloro promulgazione, sembrano giàappartenere ad un passato remoto.L’interrogativo è: possiamo oggi mantenerel’assetto da queste aperto, o ci si deveattendere repentini ritorni alle identità?Ma il convegno, almeno quello, rimane,perché costituirà il cuore del Dossier cheverrà pubblicato nel numero 4 di «Mundus».

F. F.

Per un buon laboratorio di storia: diffidate dalle imitazioni

Il Mediterraneo, non più oggettoparcellizzato di studio per specialisti ericercatori: storici, geografi, antropologi,letterati; non più consueto “sfondo”geografico all’insegnamento delle

discipline scolastiche, ma soggetto storicounitario che racchiude una trama complessadi relazioni ambientali, economiche eculturali. Questo il tema, il filo conduttore didue convegni organizzati dalla Casa EditricePalumbo e dalla Rete del Sapere “LaboratorioStoria”, che si sono svolti a Palermo il 24-26ottobre 2007 («La storia attraente: laboratori e

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 224

Page 232: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

225

visioni del mondo») e il 6-8 marzo 2008(«Mediterraneo: il Mare in Mezzo al Mondo»),con il coordinamento scientifico di AntonioBrusa e la partecipazioni di esperti italiani estranieri.Nel corso dei due meeting si è realizzato uninteressante, e per molti versi inedito, incontroravvicinato della ricerca storica, geografica eletteraria con la didattica. È stata infattil’occasione per la galassia di ricercatori,docenti, reti di scuole e associazioni – tra cuiClio ‘92, Historia Ludens, il Landis, il Cidi –impegnati da anni nella ricerca e nellasperimentazione nel campo della didatticadella storia, di “misurarsi” su un tema specifico,proponendo un vasto e articolato repertorio dilaboratori che hanno fiancheggiato e integratole relazioni degli esperti.In tutto, considerando ambedue i convegni,sono stati ben quaranta i laboratori a cuiinsegnanti di ogni grado scolastico hannopartecipato numerosi, evidenziando, ancheper l’interesse mostrato, una domanda diinnovazione didattica cresciuta negli anniparallelamente alla quantità e alla qualitàdell’offerta. Una ulteriore dimostrazione delfatto che il laboratorio di storia, comeproposta didattica, stia uscendo finalmente dauna dimensione puramente sperimentale e di“nicchia”, appannaggio di poche e qualificateavanguardie di docenti, per entrare a pienotitolo nel repertorio consolidato degliinsegnanti di storia, i quali, ormai, hanno adisposizione un ampio ventaglio di proposte acui poter attingere.Non a caso, la caratteristica che forse più èbalzata agli occhi nella doppia rassegnapalermitana è stata proprio quelladell’abbondanza e della pluralità di attività edesperienze che ha messo in campo, in gradodi intercettare alcune delle questioni piùdibattute intorno al rinnovamentodell’insegnamento della storia. A cominciareda quella, fondamentale, della efficaciadidattica dell’innovazione. Il laboratorio di

storia, certamente, ha superato la prova,accreditandosi come strumento valido a tutti ilivelli scolastici: flessibile, adattabile ai suoifruitori, alle loro esigenze, ai diversi livelli diapprendimento. Capace di essere campo diapplicazione di conoscenze, ma ancheopportunità per acquisire un sapere iniziale,con una valenza altamente motivante ecoinvolgente per gli alunni. In grado diutilizzare una varietà di strumenti: documentiscritti, fonti iconografiche, carte geografiche,giochi. Tutti elementi che concorrono allacostruzione di un curriculo di storia ricco diopportunità metodologiche e didattiche.Il risultato più interessante è però emerso dalconfronto tra le esperienze, e consente di fareuna sorta di bilancio del percorso di ricercaportato avanti in questi anni. All’interno dellamolteplicità di proposte e di applicazioni dellaboratorio di storia, infatti, sono rintracciabilielementi comuni, che indicano anche il sensodi una direzione di marcia verso cui si staindirizzando l’attività di ricerca e innovazione.Ne segnaliamo quattro che ci sembrano i piùsignificativi.Il primo è il legame stretto tra la ricercastorica e il laboratorio didattico. Il fatto, cioè,che quest’ultimo non sia frutto di una sceltacasuale, finalizzata soltanto ad un puroesercizio cognitivo da parte dell’alunno, mauna opzione scientificamente legittimata, equindi un’opportunità di conoscenza storicasignificativa. Il laboratorio si configura,dunque, come “traduzione didattica” di untema o di un problema accreditato dal puntodi vista storico o storiografico. E con unastruttura metodologica, validata dal fatto di farriferimento a procedure largamente in usonella ricerca storica.Il secondo elemento è la capacità dellaboratorio, non solo di toccare una pluralitàdi temi, tutti riconducibili a problematiche ditipo storico, ma anche di realizzaresignificativi legami e integrazioni con altrediscipline. A partire dalla “sorella” geografia,

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 225

Page 233: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Fabio Fiore, Luigi TinèMediterraneo: il Mare in mezzo al Mondo

226

per continuare con l’archeologia, la storiadell’arte, il cinema, gli studi sociali,l’antropologia, la tecnologia, in particolarequella informatica.Il terzo elemento presenta il laboratorio distoria come trait-d’union tra la scuola e il suoterritorio di appartenenza, dal momento cheattinge molti dei suoi contenuti proprio dalpatrimonio artistico e monumentale, dallastoria locale e regionale, senza diventare perquesto manifestazione di un localismo fine ase stesso o peggio di folclorismo superficiale.Al contrario, il laboratorio, utilizzando la storialocale e le risorse del territorio come variabileed “esempio”, come contestualizzazione diprocessi e fenomeni storici generali, ne scopree ne esalta proprio la sua dimensione globale.Il quarto elemento è rappresentato dalletipologie laboratoriali che hanno ormai profilidefiniti e procedure standardizzate. Illaboratorio di documenti, innanzitutto:simulazione del lavoro dello storico, percorsodi scoperta e di risoluzione di problemi storicimediante l’interrogazione e l’interpretazionedi documenti e fonti. Poi il gioco di storianelle sue diverse varietà: esperienza simulatadi una realtà (storica) da “vivere” comeesperienza ludica, prova da superare,utilizzando gli strumenti della conoscenza, leproprie capacità personali, e, come accadeanche nella vita reale, con un po’ di fortuna.Infine il laboratorio delle conoscenze e deiconcetti, che consente un allargamento deiconfini del laboratorio di storia fin dentro ilterritorio, fino a poco tempo fa, esclusivodella “lezione frontale”. È il risultato fecondo

dell’incontro avvenuto tra didattica della storiae alcuni modelli pedagogici (costruttivismo,apprendimento per modelli, per citarne soloalcuni). In questa versione, il laboratorio distoria si presenta come “officina”, come“cantiere” in cui docenti e studenti lavorano la“materia prima”, cioè il racconto storico delmanuale, con strumenti didattici appropriatiper la “costruzione” di concetti e diconoscenze significative.In conclusione, possiamo dire che, viste daPalermo, appaiono davvero assai sfocate einconsistenti le critiche mosse al laboratorio distoria, già all’indomani della elaborazione deiProgrammi del ministro De Mauro. Del resto ifatti sono testardi, e l’esperienza dei docenti siè incaricata di validare la bontà del prodotto,smentendo chi parlava di apprendimento di“serie B”. Naturalmente il pericolo dellabanalizzazione è sempre dietro l’angolo. Delresto incontri come quelli di Palermo servonoanche ai docenti per imparare a riconoscere ea guardarsi dal “taroccamento” didattico eculturale che è nato intorno al laboratorio, dalvuoto sproloquio sulla “metodologialaboratoriale”, dalle burocratiche “schede dilavoro operative”, dalle elucubrazioni su“attività centrate su compito” e viadiscorrendo, di cui la scuola è stata inondatasoprattutto negli anni della riforma Moratti.Per questo bisogna diffidare dalle imitazioni,soprattutto quando la vulgata sul laboratoriosi traveste in proposte editoriali patinate eaccattivanti, in semplificazioni ammiccanti, mavuote di contenuti.

L. T.

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 226

Page 234: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

227

L’Istituto Storico Italiano per ilMedioevo ha organizzato, il 14marzo 2008, una Giornata di Studisui manuali di storia medievale perla scuola secondaria. L’evento è

stato organizzato con il patrocinio dell’UfficioScolastico Regionale del Lazio su un progettoproposto dalla Scuola Nazionale di StudiMedievali annessa all’Istituto, la quale sipropone come tramite tra il mondo dellaricerca e la scuola, come rimarcatodall’Introduzione ai lavori del Prof. MassimoMiglio, Presidente dell’Istituto Storico. Allaconsueta attività di ricerca e di edizione dellefonti, compito primario della Scuola, si èaffiancato un nuovo impegno volto allaformazione degli insegnanti della scuolasecondaria, una virata importante che ha resopossibile anche lo svolgimento di questaprima Giornata di Studi.L’interesse di questo evento è statoaccresciuto dalla compresenza di ricercatori,docenti universitari e di scuola secondaria chehanno potuto aggiornarsi sui nuovi indirizzistoriografici e, contestualmente, porre i propriinterrogativi e le proprie proposte a coloroche scrivono i testi in adozione nelle scuole.La finalità dell’incontro voleva essere unconfronto per ridurre il gap che a volte esistetra le esigenze dei docenti, degli autori deimanuali e quelle redazionali delle caseeditrici, problema che è emerso in tutte lerelazioni e nei successivi interventi.Un’esigenza forte di collaborazione tra lediverse figure professionali, legate allaproduzione e all’insegnamento della storia, è

stata espressa da Onorato Grassi,rappresentante dell’Agenzia Nazionale per loSviluppo dell’Autonomia Scolastica (ex Indire,di Firenze). Questa Agenzia vuole essere, perl’appunto, uno strumento di raccordo tra lestrutture ministeriali e le scuole: si propone difavorire i rapporti tra gli istituti di ricerca e gliinsegnanti. Grassi ha sottolineato l’importanzadella formazione e dell’aggiornamento. Hapoi auspicato che il metodo dell’indaginestorica, che deve essere posseduto daidocenti, confluisca anche nei manuali, i qualitroppo spesso consegnano agli insegnanti eagli alunni solo risultati preconfezionati,ingenerando frequentemente distacco edisinteresse per la materia.I manuali cercano costantemente di adeguarsialle direttive ministeriali e alle esigenze deidocenti, così Antonio Brusa (Università degliStudi di Bari) ha ripreso questo tema, facendonotare come il libro di testo attraversi tutti icambiamenti e i processi di trasformazionedegli ultimi anni. Brusa ha ricordato alcunipassaggi fondamentali che hanno provocatomodifiche sostanziali nella manualistica. Neglianni Sessanta si intervenne per rendere piùcomprensibile il testo grazie all’inserimento dititolazioni, sommari e immagini. Nei tempisuccessivi, il manuale ha vissuto poi una forte“esplosione” caratterizzata, da una parte, dallapresenza sempre più visibile di storie disocietà extraeuropee, dall’altra, dall’ingressoin forze dei portati della storiografia sociale. Ilproblema del manuale coinvolge anche ilrapporto tra lo storico e la società. Questostrumento è uno specchio della storiografia

Chiara Di Fruscia

Il Medioevo con il manuale

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 227

Page 235: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Chiara Di FrusciaIl Medioevo con il manuale

228

del periodo, ma anche delle esigenze e dellerichieste dei fruitori. L’inserimento diimmagini, tabelle, schede di approfondimentoè dunque il risultato delle richieste di studentie insegnanti.Il problema della vulgata è stato affrontatodall’editore Alessandro Laterza, che ha portatoall’uditorio il contributo dell’editoria italiana.Più che soffermarsi sui cambiamenti grafici edidattici del manuale inteso come oggetto,egli ha segnalato il problema del contenuto,dell’attenzione alle proposte storiograficheche si modificano e che devono essererecepite nei manuali, anche se in manierasemplificata e mai banalizzata.Carla Frova (Università di Roma «La Sapienza»)ha ripreso questo tema, notando come spessoi manuali abbiano resistito alle innovazionidella ricerca, perpetuando talvolta stereotipidella più antica storiografia. Ancora una voltal’interesse si è spostato sulla figura e sul ruolodel docente, e in particolare sulla formazionenelle SSIS.La centralità dell’insegnante come mediatoreè stata ribadita nuovamente da FrancescoSenatore (Università degli Studi di Napoli«Federico II»), il quale ha affermato chel’unico cliente del manuale è troppo spesso ildocente, che percepisce il testo come unostrumento di aggiornamento in grado difornire anche un modello da seguire nelladidattica. Oggi le conoscenze si dividono traconoscenze fattuali (il “sapere”) e conoscenzeprocedurali (il “saper fare”). I manuali si sonoquindi specializzati sempre piùnell’inserimento di schede ed esercizi. Ilparatesto, tuttavia, ha spesso il difetto di non

essere perfettamente omogeneo con il testo,e ciò rischia di creare confusione. I manualisi sono oramai uniformati su un modello che,con una metafora, Senatore ha chiamato del«kit auto-installante»: il ragazzo legge, guardale immagini e dovrebbe poi saper operare inautonomia. Tuttavia, la consapevolezza che sideve avere è che il “saper fare” non puòessere applicabile indistintamente alle variematerie. Per la storia medievale occorretenere conto della specificità dei documenti edei materiali di studio; inoltre si devedenunciare la contrazione dei tempi adisposizione.Dei programmi e del curricolo ha datoun’ampia descrizione Angelo Panvini delMinistero della Pubblica Istruzione. IlMinistero si propone di recepire gli assiculturali intorno ai quali costruire i percorsi.In questo senso la valenza della storia nelcurricolo dell’alunno è funzionale ad unacostruzione del diritto alla cittadinanza attiva,obiettivo che ci si propone tenendo benpresenti le otto competenze chiave di Lisbona.L’asse storico-sociale è uno dei quattrointorno ai quali si cerca di raggruppare il“sapere” necessario per il raggiungimento diqueste competenze.I temi fin qui affrontati sono stati poi oggettodi una discussione che ha coinvolto gli autoridei manuali presenti alla Giornata (AntonioBrusa, Chiara Frugoni, Giuliano Milani,Francesco Senatore, Giovanni Vitolo), gliallievi della Scuola Storica e i docenti discuola secondaria (Franca Allegrezza, FulvioDelle Donne, Valeria De Fraja, AmedeoFeniello, Claudia Gnocchi, Marino Zabbia).

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 228

Page 236: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

229

Moltissime le idee appuntate sultaccuino, gli spunti e leoccasioni di scambio raccolti aPavia il 4 e 5 aprile 2008durante due giornate di studio

sulla didattica della storia antica («Educareall’antico. Esperienze, metodi, prospettive»).Tra i diversi contributi, spicca l’esperienzarealizzata nel Museo di Storia Naturale eArcheologia di Montebelluna (TV) dove, perl’allestimento della mostra «Il fuoco diVulcano. Le età dei metalli», è stata utilizzatauna tecnica, già usata in molti paesieuropei: la comunicazione attraversol’applicazione del metodo di Kolb, cheprevede un modo di apprendimentoassolutamente soggettivo (pragmatico,riflessivo ecc…). Con questa tecnicaespositiva, la mostra diventa interattiva esperimentale, e permette di analizzarel’oggetto esposto – i metalli – in modocompleto, dalla tecnica di realizzazione allaconsistenza del materiale. Altrettantointeressanti i lavori di didattica museale e ilaboratori di archeologia applicata allastoria, fra i quali la bella idea dei MuseiCivici di Reggio Emilia di lavorare con icolori, partendo dal presupposto che ilpassato per i bimbi sia in bianco e nero, odi ricostruire con i bambini gli amuletiegiziani, i vasi etruschi, le pitturepompeiane e – persino – di “intavolare” unpercorso gastronomico sulle orme diCristoforo Colombo, preparando e poi

gustando i cibi prodotti a seguito delloscambio colombiano.Nel bilancio finale si sottolineano alcuniaspetti fondamentali: la passione dei relatori,lo scambio delle idee, il confronto tra leesperienze e, non da ultimo, il feliceconnubio tra due discipline – la storia el’archeologia – troppo spesso erroneamenteintese come avversarie su un campo nelquale la battaglia è in realtà più checomune.Con una rapidità spettacolare, inoltre,Stefano Maggi, dell’Università di Pavia,promotore del convegno, è riuscito anche acurare e pubblicare gli Atti. La loro ricchezza(trentatré interventi) ci permette diapprezzare la portata del movimentodidattico che si sta creando intornoall’insegnamento del mondo antico (Educareall’antico. Esperienze, Metodi, prospettive,Aracne, Roma 2008). Il testo si apre con unintervento di Livio Zerbini, dell’Università diFerrara (dove è attivo un Master in Didatticadell’Antico), che inaugura la sezione sullaformazione. La parte centrale del volume ècostituita da un panorama di esperienzeveramente impressionante: da Ancona aRoma, a Torino, ai numerosi musei emiliani,veneti e lombardi, i contributi didatticimostrano come si sia decisamente superata lafase “arcaica”, della didattica ostensiva,unicamente basata sulle visite guidate.L’attrezzatura didattica è varia e non di radomolto sofisticata: simulazioni, giochi,

Laura Rizzo

Educare all’antico.Esperienze,

metodi, prospettive

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 229

Page 237: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Laura RizzoEducare all’antico. Esperienze, metodi, prospettive

230

storytelling, percorsi attrezzati e laboratorifanno ormai parte della tecnologia espositivae formativa di molte realtà museali italiane.Infine, a chiudere il volume, storici,archeologi e pedagogisti discutono dididattica, di educazione e tuteladell’ambiente, di musei e scuola.Il Cridact è l’acronimo del Centrointeruniversitario che a Pavia raggruppadocenti e insegnanti sensibili alla questione

dell’insegnamento delle discipline dell’antichità.È l’ente che ha organizzato questo incontro,giunto al suo secondo appuntamento, e che(riforme e tagli permettendo) si propone diproseguire in questa sua opera di studi e didivulgazione. Sono ormai molti, infatti, glistudiosi e gli insegnanti che hanno superato lostadio del “lamento rituale” sull’ignoranza dellecose antiche, e si stanno fattivamenterimboccando le maniche.

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 230

Page 238: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

231

Alcuni aspetti della grande mostra su«Roma e i Barbari» allestita aPalazzo Grassi (Venezia, gennaio-luglio 2008) colpisconoimmediatamente: l’ambizione del

tema trattato, l’imponenza dell’allestimento eil poderoso catalogo, che apre diversequestioni e accende molte curiosità.Procediamo con ordine. Il progetto curato daJean Jacques Aillagon, con il coordinamentoscientifico di Umberto Roberto e Yann Rivièree un prestigioso staff di studiosi, ha contatocifre impressionanti tra pezzi esposti e anni distoria da raccontare. Obiettivo della mostra:non solo quello di narrare circa un millennio,prendendo le mosse dall’età dell’Impero pergiungere al rinascimento carolingio, ma,soprattutto, rappresentare in modopoliticamente corretto la figura del cosiddetto“barbaro”.Inteso da sempre come rozzo, sterminatore,personaggio incolto e senza scrupoli, ilbarbaro, che invece grazie alla primigeniaaccezione greca è «colui che parla una linguadiversa», in origine non ha niente di negativo,così come ricorda Aillagon alla presentazionedella mostra nell’atrio di Palazzo Grassi. Lamostra opta per il racconto di una osmosi.Una lunga integrazione che, inevitabilmente, acolpi di battaglie e scontri armati, ha vistosoprattutto l’Europa occidentale (o almeno sutale regione si concentra maggiormente lamostra) diventare teatro di grandi “incontri”

tra i Romani e i Barbari. Sono millesettecento ipezzi esposti, alcuni di grande rilevanza. Siparte dal basso, dal piano inferiore, dovestatue e sarcofagi – tra cui quello del“Portonaccio” dal Museo Romano di PalazzoMassimo – celebrano la gloria di Roma suiBarbari e si continua salendo la grandescalinata che porta al primo piano. Quil’esposizione segue il cammino compiutodall’Impero romano: il busto in oro di MarcoAurelio ritrovato in Svizzera, forse utilizzatoper celebrare il culto imperiale; i ritrattimarmorei di Antonino Pio e Settimio Severolasciati nelle terre di conquista come segno disottomissione dei popoli alla potenza romana;il cammeo di Nancy celebrante l’apoteosi diCaracalla; la Tavola Claudiana, incisa inbronzo, che riporta il testo del discorsopronunciato dall’imperatore al Senato (48d.C.) per chiedere la partecipazione dei Gallialla vita politica romana. E ancora: le insegnedel potere attribuibili forse a Massenzio,rinvenute durante gli scavi condotti sotto ilPalatino e costituite da una decina di scettricon relative sfere da parata in calcedonio eoricalco; e due sarcofagi, l’uno (da Tolosa) colcoperchio recante la Croce inalberata diCostantino, l’altro (dei Dioscuri, da Arles) incui elementi pagani e cristiani sono affiancati.Molti sono, inoltre, gli oggetti chetestimoniano il sincretismo tra la religioneromana e i preesistenti culti indigeni: ilcolossale piede bronzeo di Clermont-Ferrand,

Laura Rizzo

Barbari reali e Barbari inventati.

Una mostra a Venezia

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 231

Page 239: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Laura RizzoBarbari reali e Barbari inventati. Una mostra a Venezia

232

forse pertinente ad una statua di Giove;l’Erma di Ermes in marmo nero dal Museo diTunisi; il gallico Toro tricorne da Cutry,simbolo di fertilità (o l’emblema del dio Frö)(o Freyer) ricavato da un sasso e allusivo allafertilità, grazie al fallo tenuto nella mano,appartenente al pantheon germanico etollerato nell’Impero.Tutt’altra impostazione ha la seconda sezionedella mostra, posta anche fisicamente lontanadalla prima.Secondo piano: a ciascuna sala è affidata latrattazione di un popolo che andrà a stanziarsinei territori prima appartenenti all’Imperoromano. E così sfilano veloci gli Unni, gliOstrogoti, i Franchi, i Vandali, gli Avari. Leultime sale, invece, fermano l’attenzione suaspetti di cultura e vita materiale: le armi, ilmondo femminile, i documenti. Si chiude conCarlo Magno.La sensazione che si ha una volta usciti è digrande pienezza visiva, e la cosa,paradossalmente, costituisce proprio il limitestesso della mostra: ori, suppellettili, vasi,statue, sarcofagi, armi, ornamenti, riempionogli occhi del visitatore in un’ora e mezzo dipercorso, impedendogli di soffermarel’attenzione su qualcosa in particolare. Lascelta, poi, di non utilizzare pannelli didatticiper mostrare informazioni, curiosità,inquadramenti culturali e, soprattutto,coordinate storiche e cronologiche, rende iltutto più difficile. Indispensabile, dunque, lapresenza della guida che, pur se moltocompetente, impone inevitabilmente deiritmi di cammino più veloci, una scelta dipezzi da commentare, senza lasciare tempo

alla riflessione, all’osservazione attenta dellevetrine, allo stupore. Si galoppaspeditamente e mille anni di storia ingurgitatiin poco tempo diventano troppi anche pergli addetti ai lavori. Ecco perché quello cheresta negli occhi è la magnificenza. Troppopoco, si converrà, per una macchina cosìgrande che, pur se cammina su binari benoliati da tempo e si appoggia ad unatradizione consolidata di mostre per il grandepubblico, resta sempre e comunque unagrande esposizione per specialisti. Ma ilproblema delle mostre, in Italia, è annoso ela didattica troppo spesso considerata unadiminutio, uno svilimento del latoscientifico.I problemi messi in campo da questa mostra edi cui occorrerebbe discutere anche con unpubblico di non specialisti, in realtà, sonotanti e sono visualizzati nel doppio registrodella mostra: da una parte, nella primasezione, la storia dei rapporti e delleintegrazioni; dall’altra, nella seconda, la storiadei popoli barbari (forse sulla scia dellatradizione espositiva di Palazzo Grassi: i Maya,i Fenici, i Greci d’Occidente, e delle mostreetniche in auge recentemente, su Longobardi,Balti, Veneti ecc).Aillagon, nel suo contributo all’interno delcatalogo, esordisce così:

L’incontro tra l’Impero romano, vasto imperomediterraneo, e i popoli venuti dal Nord edall’Est che formarono il flusso di quelle chesono state spesso chiamate “le invasionibarbariche”, costituisce uno degli episodi dellastoria europea che ha maggiormente segnato la

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 232

Page 240: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

233

personalità culturale, religiosa e politica delcontinente. La mostra «Roma e i Barbari. Lanascita di un nuovo mondo» si propone quindidi evocare l’intensità e l’importanza di questasequenza, inquadrando tuttavia in unaprospettiva più completa i particolari di unastoria molto vasta, poiché occupa lo spazio diun intero millennio – il primo millennio dopoCristo – nel corso del quale si è costruitoquell’originale edificio di riferimenti e di valoriche va sotto il nome di civiltà europea.

E ancora, commenta: «scopo precipuo èmettere in evidenza l’ibridazione tra le radicigreco-romane e le radici germaniche da cuiha origine la cultura europea».Occorre, a questo punto, rivedere qualcosa. Ilpunto di vista secondo cui le popolazionibarbariche siano progenitrici delle moderneciviltà è da tempo ipotesi smontata easpramente criticata da molti medievisti. Nonsolo: attribuire identità etnica al mondobarbarico è impresa altrettanto discutibile. Lacosa che stupisce, infatti, è che l’impianto,l’impostazione della mostra continui aperpetuare e veicolare, senza qualcheavvertimento critico, un’idea che appartiene alsenso comune: l’esistenza di due mondidistinti, quello romano e quello barbarico:dove per mondo barbarico si intende uninsieme di popolazioni perfettamente definitenei loro usi, costumi, etnie, lingue, e permondo romano un universo chiuso eimpermeabile. Infranto, appunto, dalleinvasioni barbariche. Ma l’esistenza di“popoli”, nel senso che noi diamo a questaparola, non c’è, come sostiene Stefano

Gasparri, uno dei medievisti i cui contributichiudono il catalogo: «Le gentes barbarichesono viste innanzituto come realtàpolietniche, fluide, continuamente aperte anuovi influssi: fra questi, quello provenienteda Roma è senza dubbio fondamentale, moltopiù di quello che proveniva dalle “forestedella Germania”» (Tardoantico e Medioevo:metodologie di ricerca e modelli interpretativi,in Il Medioevo (secoli V-XV), VIII, Popoli,poteri, dinamiche, a cura di S. Carocci, Roma2006, pp. 27-61).

Perché, allora, costruire un percorso che sichiude con i “popoli barbari”? Perché aderiread un modello discusso e (politicamente,oltre scientificamente) rischioso? Perchéinvestire grandi quantità di denaro senzaavere il coraggio di investire nelle ideenuove e affascinanti prodotte recentementedalla ricerca storica? Spiccano, nelle ultimepagine del catalogo, due articoli proprio diStefano Gasparri e di Walther Pohl, fra glistorici maggiormente critici verso questaimpostazione etnostorica, dai qualiricaviamo due citazioni che potrebberorimettere in discussione l’intero impianto diPalazzo Grassi: «il fatto che i popoli siano unrisultato di processi storici, nel corso deiquali essi continuano a modificarsi, oggi èun concetto indiscusso a livello scientifico,sebbene non del tutto noto al grandepubblico». E, di conseguenza: «la ricerca dicaratteristiche, culturali, o politiche, checonsentano un collegamento alla “reale”identità del popolo è errata quindi giàdall’approccio» (p. 599).

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 233

Page 241: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

CRAHM dell’Universi-tà di Caen, rappresen-tato da Pierre Bau-duin; dell’École Natio-nale des Chartes, rap-presentata da MarcSmith; dell’IRHT, rap-

presentato da PaulBertrand in collabora-zione con l’École Fran-çaise di Roma (Mari-lyn Nicoud). Reti Me-dievali e l’Università diFirenze (Andrea Zorzi)

sono stati i partner ita-liani. Il portale di sto-ria medievale franceseMénestrel, con Christi-ne Ducourtieux e Pier-re Portet, ha pubblica-to le informazioni su

ogni atelier e promuo-ve i suoi documenti dilavoro.4. I precedenti eranostati: atelier n.1, Del’archive à l’open ar-chive; atelier n. 2, L’hi-

storien, le texte et l’or-dinateur; atelier n. 3,L’informatique et lespériodes historiques;atelier n. 4, L’informa-tique et l’utilisationdes statistiques par

234

1. T. Detti, G. Lauricel-la, Una storia piatta?Il digitale, Internet e ilmestiere di storico, in«Contemporanea», 1,gennaio 2007, pp.3-23.2. ATHIS, URI: http://www.menestrel.fr/spip.php?rubrique6193. Le ricerche effet-tuate hanno visto lacollaborazione delCentre d’Histoire So-ciale du XXe siècle,rappresentato da Phi-lippe Rygiel; del

Chiunque si affacci allo studio dellastoria, oggi, utilizza ancheincoscientemente alcuni elementi distoria digitale. Tutti gli storici, chesiano o meno accademici, scaricano

e condividono informazioni in rete edinteragiscono con i suoi contenuti. A quindicianni dalla nascita del web, è possibile fare ilconto dei punti di forza e delle debolezzedella storia digitale1, per quanto l’evoluzionecontinua della rete esiga un aggiornamento edun monitoraggio costante.Lo “storico digitale” non si limita a presentareil passato in rete. Egli usa le tecnologieinformatiche e Internet in un processovirtuoso di informazione e comunicazione e,inoltre, crea, preserva e conserva le fontidigitali. Questa figura professionale non è piùun esotico personaggio, lontano dai cardinitradizionali di Clio.In Francia, per monitorare questi cambiamentie interrogarsi sulle varie sfaccettature dellastoria digitale e sui nuovi sviluppi delrapporto tra storia e informatica umanistica,l’Agence Nationale pour la Recherche hafinanziato alcuni atelier chiamati ATHIS2,organizzati dal LAMOP, il Laboratoire demédiévistique Occidentale de Paris, sotto ladirezione scientifica di Jean-Philippe Genet.Lo scopo del programma triennale,cominciato nel 2006 e che si chiuderà conuna conferenza presso l’Ecole Française diRoma nel dicembre 2008 e con lapubblicazione degli Atti, non è limitato allastoria stricto sensu, confrontata con le nuovetecnologie, ma è aperto anche ad altre

discipline, oltre le frontiere dell’informaticastorica, come l’economia, l’archeologia e lalinguistica. Questi seminari hanno esaminatole forme dell’edizione elettronica, dellaproduzione e dell’uso dei dati informatici distoria nonché della produzione e dell’utilizzodei programmi informatici a disposizionedegli storici3.Il sesto ed ultimo seminario ATHIS, intitolato«Histoire, informatique, pédagogie»4, si ètenuto a Porquerolles, un’isoletta posta difronte a Hyères, nel sud della Francia, dal 15al 18 maggio 2008. Questo incontro ha avutocome oggetto i cambiamenti avvenuti nelladidattica della storia con l’uso di nuovetecnologie; i curricula didattici necessari performare uno storico digitale che possadominare l’uso delle tecnologie informatichee, infine, la valutazione di nuovi metodi perinsegnare la storia, usando le potenzialitàdelle nuove tecnologie anche con alcuneapplicazioni informatiche tipiche del Web 2.05.Uno degli aspetti più originali di questoatelier, è stato quello di interrogarsi sullenuove figure professionali di “InformaticiUmanisti” (IU), sorte di recente in Francia, esugli sbocchi professionali degli storici“digitali”, ovvero di quegli storici che hannoricevuto un’adeguata formazione ininformatica umanistica.Introducento l’atelier, Jean-Philippe Genet,professore di storia medievale alla Sorbonne,e uno dei fondatori dell’AHC (Association forHistory and Computing) negli anni Ottanta,nonché l’inventore del concetto di “meta-fonte”, fondamentale per la storia digitale, ha

Serge Noiret

Lo storico digitale tra formazione e didattica

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 234

Page 242: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

235

parlato delle volontà e delle scelte “politiche”necessarie, sia a livello nazionale sia a livelloeuropeo, per favorire lo sviluppo dellaformazione informatica degli storici. Hasostenuto che, al contrario, la creazione dioggetti digitali come le biblioteche digitali e lemeta-fonti, dipende maggiormente dagliinvestimenti economici (basti ricordare i costiingenti del progetto di accesso digitale adaltissima risoluzione dei manoscritti medievalidella cattedrale di Colonia, presentato daManfred Thaller, durante il terzo atelier ATHISa Firenze). I metodi di insegnamento aglistorici delle nuove tecnologie investono ancheil confronto tra modello pedagogicocontinentale e anglo-sassone. Quest’ultimo siispira maggiormente al mercato e vienefinanziato in modo molto più sostanzioso neicentri di eccellenza. Qui le nuove tecnologievengono integrate sistematicamente neicurricula pedagogici.

Un curriculum di formazione per lo storico digitale?È infatti risaputo come manchi ancora, inmolti paesi europei e certamente in Italia, uncurriculum di studi specifico in IU e in storiadigitale, a corredo della formazioneuniversitaria tradizionale. Quali sono gliingredienti giusti di una corretta formazione instoria digitale: la conoscenza critica della rete,le potenzialità dell’Information andComunication Technology (ICT) el’informatica umanistica di storia?Nel corso del sesto incontro ATHIS, moltisono stati gli interventi dedicati all’analisi dellenuove potenzialità dell’insegnamento edell’apprendimento all’Università (e-learning/e-teaching), con metodi tradizionaliintegrati all’informatica umanistica 6. Si èinsistito sul fatto che per usare questi metodi,bisogna avere prima ricevuto una formazioneadeguata. Perciò, alcuni interventi si sonodedicati al contenuto di un curriculum di

Scienze della comunicazione edell’informazione (ICT) combinato all’IU7.Hanno ipotizzato strategie di preparazionedegli storici all’uso delle nuove tecnologie ehanno parlato di nuova formazione e di nuoviruoli pedagogici, adattati ai cambiamenti delletecnologie stesse; hanno, poi, cercato diindividuare nuovi ruoli e nuove figureprofessionali, per sostenere e promuovereuna doppia formazione in ICT e in IU. Infine,alcune relazioni hanno affrontato anche ilproblema dell’uso della matematica e deimetodi statistici nella formazione dello storicodigitale8. Queste conoscenze costituiscono unnodo fondamentale, come ben si comprendese si pensa alla storia dell’informatica storica,la quale si basava a suo tempo essenzialmentesui metodi quantitativi9.È sufficiente fornire elementi di conoscenze diquella che i francesi chiamano la bureautique(i software di base usati per organizzare etrattare l’informazione, da Microsoft Office aiBrowsers ecc.), o sarebbe meglio offrire uninsegnamento più direttamente collegato allediscipline storiche ed umanistiche, checomprenda metodi di programmazione e diprogettazione di banche dati, e prepari quindiall’uso di programmi per il trattamento dellestatistiche micro e macro, e insegni arealizzare dei siti web strutturati? In quel casosi dovrebbero sviluppare delle capacità cheintegrino ad un livello superiore e piùapprofondito le specifiche necessitàdisciplinari degli storici, ricorrendoall’informatica applicata alle disciplinestoriche.Come accade nelle università e nei centri perlo studio dei nuovi media digitali negli Usa ein Inghilterra, è ormai essenziale poterindividuare metodi e canali pedagogici peraiutare gli storici a costruire banche datiaccessibili nei siti web. Bisogna individuare isostegni di cui essi necessitano nelleuniversità, nei centri di calcolo e nellebiblioteche. Inoltre, è essenziale comprendere

les historiens; ateliern. 5, L’historien, l’espa-ce et l’ordinateur. Ilprogramma dell’ateliern. 6 e parte degli inter-venti sono disponibiliall’URI: http://www.

menestrel.fr/spip.php?rubrique964.5. S. Noiret, Des usa-ges pédagogiques deWikipedia, «socialnetwork» avant leWeb 2.0; E. Salvatori,

Podcasting e SecondLife nell’insegnamen-to della storia: consi-derazioni sul saperfare e il sapere.6. E. Castex, Forma-tion ouverte et à di-

stance au service dela formation des hi-storiens.7. A. Brusa, Insegna-mento storico e tecno-logie; G. R. Passerind’Entrèves, Le fond et

la forme: ce que les TI-CE ont changé à lamanière de faire uncours d’histoire; J. Ale-rini, A. Dallo, B. De-ruelle, S. Lamassé, En-seignement et besoins

de l’informatique ap-pliquée à l’histoire: laperception des étu-diants d’histoire.8. C. Zalc, La placedes statistiques: au-tour d’un manueld’initiation à l’analy-se des données.9. Noiret, Informati-ca, Storia e Storiogra-fia: la storia irrime-diabilmente si fa digi-tale, in «Memoria e Ri-cerca», 28, giugno-set-tembre 2008.

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 235

Page 243: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Serge NoiretLo storico digitale tra formazione e didattica

236

quali conoscenze nell’ambito delle scienzedell’informazione e delle comunicazioni (ICT)e quali strumenti informatici siano necessariper preparare gli storici alla creazione, all’usoe alla conservazione delle fonti e delle meta-fonti digitali nelle biblioteche digitali. Questiproblemi, che riguardano in realtà laformazione in IU nei corsi di laurea, fannoanche riflettere, a monte, sulla necessità difornire rudimenti di IU e di avviare percorsi distoria digitale anche nella scuola superiore enei primi anni di università10.

Formare alla selezione criticadei contenuti di reteL’atelier di Porquerolles ha anche fornitol’occasione per un’ampia riflessione circa laformazione critica necessaria nel campo dellaselezione dell’informazione e delladocumentazione digitale, che prepari allavalutazione dell’informazione digitale con unsostegno didattico sia nell’ambito dellebiblioteche accademiche che nei corsiuniversitari di formazione all’IU11.Alcuni connotati di base di una formazionevalida per tutti, sono la capacità diapprofondire, la competenza di selezione e dianalisi critica dei contenuti dei siti web.Questi ultimi, infatti, sono inutili se lo storiconon è preparato ad usarne i contenuti digitalicon una formazione appropriata12. Inoltre, lefonti digitali vanno differenziate e comparateper poter valutare l’informazione offerta neisingoli siti; si devono anche operare dellescelte critiche, per evidenziare i differentipunti di vista delle varie fonti informative.Infine, bisogna formare gli studenti adistinguere i diversi tipi di informazionepresenti in rete: informazione strutturata,informazione senza particolare struttura einformazione mista. In questa attività, ci siconfronta con studenti di storia cheprovengono da realtà differenti, anche dellostesso paese, e posseggono dei livelli di

preparazione alla storia digitale eterogenei,come dimostra chiaramente l’esperienzadell’Istituto Universitario Europeo di Firenze,che ha studenti di dottorato provenienti datutti i paesi dell’Unione europea.Perché questo tipo di formazione critica allarete è oggi di importanza fondamentale? Nelweb, e soprattutto nella concezione del web2.0, l’autorialità, già scossa con l’avvento diInternet, non possiede più una rilevanzaessenziale: e questo rende ancora più difficileil lavoro degli storici, abituati come sono adattribuire una paternità a testi e fonti utilizzati.Inoltre, i contenuti di diversi media vengonoconfusi all’interno della rete stessa, dopo aversubito il processo di digitalizzazione: tutti imedia vengono così integrati nel web, eriuscire a distinguerli criticamente e valutare leloro specificità diventa sempre più complesso.Di conseguenza è fondamentale saperindividuare diversi livelli di critica, applicabiliai diversi media13. Per di più, i nuovi contestidei network sociali stanno generandoaspettative e condotte nuove in rete eproducono nuove ideologie e nuovicomportamenti collettivi, che vannointerpretati con metodi adeguati. Infine, nonvi è più l’idea che gli studenti debbanolavorare con un corpus ben delimitato di fontie di testi, in quanto la rete frammental’informazione in “pezzi distinti” disponibili indiversi siti web, non sempre scientifici.

Strutture per la formazione in storia digitaleSi pone così – nel campo della IU – ilproblema dell’organizzazione istituzionaledell’insegnamento di nuove conoscenze. InFrancia, le strutture di supporto e diformazione alle nuove tecnologie (TICE:Technologies de l’Information et de laCommunication pour l’Enseignement)preparano gli studenti a confrontarsi conl’epoca digitale, nell’intento di rimuovere le

diant dans sa recher-che documentaire; M.Smith, Informatique etinitiation de l’histo-rien aux documentsoriginaux; M. Lamé, Laformation des anti-

quisants à l’informa-tique; M. Cocaud, L’en-seignement des mé-thodes informatiquesaux historiens: biland’une expérience; A.Zorzi, L’esegesi delle ri-

sorse digitali per la ri-cerca storica: alcuneesperienze didattiche.12. A. Criscione, S.Noiret, C. Spagnolo,S.Vitali (a cura di), LaStoria a(l) tempo di

Internet: indagine suisiti italiani di storiacontemporanea,(2001-2003), PátronEditore, Bologna 2004.13. Noiret, Visionidella brutalità nelle

fotografie di rete, in S.Lusini (a cura di), Lacultura fotografica inItalia oggi. A 20 an-ni dalla fondazionedi AFT. Rivista di Sto-ria e Fotografia, Ar-

10. D. Letouzey, Leweb: un outil pour en-seigner l’histoire dansle secondaire.11. C. Ducourtieux,Initier les étudiants àl’usage scientifiqued’internet; H. Le Men,Internet et évaluationde l’information: inté-rêt de la notion de tra-duction pour une pé-dagogie de l’informa-tique; B. Michel, De lajuxtaposition à l’inté-gration des ressourcesdocumentaires élec-troniques ou com-ment guider l’étu-

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 236

Page 244: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

237

barriere ancora esistenti (digital divide),mediante un’istruzione appropriata ai diversilivelli di formazione alla storia digitale.Inoltre, sette centri regionali specializzati,chiamati URFIST (Unité Régionale deFormation et de Promotion pour l’InformationScientifique et Technique)14 sono stati creatiper insegnare metodi di Information retrieval,di validazione delle risorse di rete e persviluppare attività di formazione nell’ambitodell’IU. Gli URFIST preparano i futuriinsegnanti di storia, ma anche gli stessiaccademici ad insegnare a loro volta le basicritiche della storia digitale e, se possibile, adavviare gli studenti all’IU15.L’educazione a distanza alla storia digitale sifa anche nella rete stessa, per esempio, con ilportale dell’Université Ouverte desHumanités16 che usa tecnologie di rete perinsegnare l’Information retrieval in ambitoumanistico. Il portale è stato creato perinsegnare a usare criticamente le risorse direte, nuovi strumenti digitali e nuove tecnichedigitali per umanisti e storici17.

Nuove figure professionali: i «passeurs»Nel 1992, Gianni C. Donno, storico leccesedel movimento operaio, pubblicava un saggiosu Informatica e ricerca storica, nel qualesottolineava un dato fondamentale delrapporto tra storici e computer, ovvero che il«pensare storico» era del tutto diverso dal«pensare informatico»18. L’atelier diPorquerolles si è di fatto soffermato sulproblema dei soggetti che debbono offrirequesto nuovo tipo di formazione, che attingea un “pensare duplice”, o meglio, al pensarel’informatica dal punto di vista degli storici.Si tratta, dunque, di nuovi specialisti, di figureprofessionali diverse da quelle già esistentinelle biblioteche e nei dipartimenti di storia?E, se è questo il caso, si debbono crearenuove professioni? O si tratta piuttosto di

fornire semplicemente nuove tecniche, inaggiunta alla formazione tradizionale, senzainventare nuovi tipi di insegnanti? O è meglioappoggiarsi ai docenti meglio preparati, inmodo che forniscano i rudimenti di storiadigitale? La risposta corretta pare essere laprima: bisogna individuare nuove professioni.I nuovi percorsi di formazione, forniti dallestrutture francesi indicate sopra, mettono incampo nuove conoscenze tecniche, nuovepratiche digitali, per poter insegnare le quali,vi è la necessità di creare nuove figureprofessionali integrate nelle istituzioniculturali, pubbliche e private. Queste nuoveprofessioni devono essere in grado di offrireun insegnamento usando piattaforme di rete,di permettere la strutturazione di nuoveattività amministrative per organizzare i corsi elo stesso curriculum educativo, e, infine, dipromuovere presso gli storici attività tecnicheed informatiche nel campo dell’ICT.Queste nuove figure professionali prendonoin Francia il nome di passeurs, ovveropersone professionalmente qualificate, ingrado di interconnettere il lavoro degli storicicon quello degli informatici19. I passeursmettono insieme i loro due modi di pensareantitetici e permettono di “traghettare” leconoscenze rispettive degli storici e degliinformatici. Essi parlano il linguaggio degliinformatici e degli ingegneri e quello specificodegli umanisti e degli storici. Tale doppiapadronanza è necessaria per risolvere iproblemi epistemologici posti da questaconvivenza. I passeurs sono storici diprofessione che praticano l’IU senza essereesclusivamente informatici. Essi sono capacidi usare sia concetti e metodi storiografici siametodi e concetti informatici.Tuttavia, la base dell’incontro non è quelladella tecnica in sé, ma deriva soprattutto dallenecessità professionali degli storici e dallerisposte alle loro domande epistemologiche. Ipasseurs scoprono e promuovono nuovimetodi storiografici usando la storia digitale e

chivio Fotografico To-scano-Comune di Pra-to, Prato 2007, pp. 88-106.14. URL: http://urfist.u-bordeaux4.fr/reseau.html

15. La missione degliURFIST: formare il per-sonale delle bibliote-che e il pubblico uni-versitario (insegnantie studenti avanzati) al-l’informazione scienti-

fica e tecnica e, più ingenerale, sensibilizzar-li all’uso delle tecnolo-gie dell’informazione,cfr. Google Custom Se-arch all’URI: http://www.google.com/coo

p/cse?cx=009587160018223562155:i0li6vrbf-i16. URL: http://www.uoh.fr/17. Un altro portaleche permette una for-

mazione a distanza simi-le, Theleme-Techniquespour l’Historien en Li-gne: Études, Manuels,Exercices alla Sorbona,URL: http://theleme.enc.sorbonne.fr/

18. G. C. Donno: In-formatica e ricercastorica. L’archivio perla storia del movi-mento sindacale e al-tri studi, Lacaita, Man-duria 1992, p.13.19. Sulla categoria diintermediario cultura-le-traduttore cfr. D.Cooper-Richet, J.Y.Mollier, A. Silem (a cu-ra di), Passeurs cultu-rels dans le mondedes médias et de l’édi-tion en Europe (XIXeet XXe siècles), Pres-ses de l’Ensibb, Villeur-banne 2005.

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 237

Page 245: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

Serge NoiretLo storico digitale tra formazione e didattica

238

il computer e aiutano gli storici a servirsene. Iloro ambiti di lavoro sono certamente i centridi calcolo universitari e i dipartimenti di storia,ma anche le biblioteche, gli archivi e altreistituzioni specializzate nel campo umanistico.

Oltre pregi e difetti della storia digitaleNel 2004, dopo 10 anni di sviluppo del web,Dan Cohen, storico “digitale” del Center forHistory and New Media della George MasonUniversity, si chiedeva «how can we maximizethe web’s advantages and minimize itsdisadvantages to create the best forms ofonline history?».Rispondendo a questo interrogativo, èdiventato lampante, oggi, quanto il web siastraordinario nel far convergere più soggetti,indipendentemente dal luogo fisico in cui sitrovano, permettendo processi comunicativisincronici e a-sincronici. La rete facilitaenormemente la collaborazione, la capacità diincamerare e di condividere informazioni edati insieme alla possibilità di caricare e ditrasmettere ingenti quantità di documenti.Inoltre l’informazione può essere codificata, inmodo che sia accessibile alla ricerca e altrattamento computerizzato, rimuovendo lebarriere che impediscono la pubblicazione

tradizionale, facilitandone la traduzione, lacostante revisione e l’aggiornamento.Per contro, si deve sempre rammentarel’instabilità e la precarietà dell’informazione, ladifficoltà di presentare dei testi facilmenteaccessibili alla lettura usando il computer –sopratutto se comparati alle forme tradizionalidi pubblicazione dei testi – e, infine, l’enormedifficoltà di discernere tra la “zavorra” el’informazione scientifica nel web, didistinguere, in poche parole, the good fromthe bad20.Il seminario di Porquerolles è certamenteandato oltre le considerazioni, in parte datate,di Cohen sul piano di un’euristica applicataalla storia digitale. Ha fatto il punto suiprogressi degli ultimi anni in Francia e inItalia, nell’ambito delle scienzedell’informazione e della comunicazione, suimetodi pedagogici e sulle figure professionalinuove per una migliore formazione allaselezione e la valutazione criticadell’informazione di rete. E, nel lorosusseguirsi, gli atelier ATHIS hannoeffettivamente rilevato quanto la storia abbiapermeato l’intera rete digitale, in formediverse, anche a seconda dei periodi storiciconsiderati. Vi è più chiarezza oggi su qualisiano i punti di forza della storia digitale equali siano le nuove sfide.

20. D. J. Cohen, Histo-ry and the Second De-cade of the Web, in «Re-thinking History», VIII,2, giugno 2004, pp.293-301, qui, p. 295.

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 238

Page 246: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

239

Il tema proposto quest’anno per l’edizioneitaliana del Concorso Eustory (perun’illustrazione dell’iniziativa, cfr.«Mundus», 1, gennaio-giugno 2008, pp.210-212) era «Luoghi della memoria di

ieri e di oggi». Un tema sufficientementegenerale per poter essere interpretato neimodi più diversi, adattato alle esigenze dellaclasse e declinato a seconda dellaprogettazione specifica dell’insegnamentodella storia. Alla Fondazione per la Scuoladella Compagnia di San Paolo, che haorganizzato il concorso, sono pervenuti 19lavori da tutta Italia sia pure con unaprevalenza delle scuole delle regioni delNord. Va subito detto che nessuno dei lavoripresentati ha fatto esplicito riferimentonell’impostazione della ricerca alla letteraturastoriografica specifica, in particolare ai lavoridi Pierre Nora o di Mario Isnenghi. Unsegnale che tra cultura storiografica e culturascolastica la comunicazione non è propriointensa.L’aspetto, forse non sorprendente masignificativo, è che tra i lavori presentati ben 3su 4 hanno riguardato eventi locali legati allaSeconda guerra mondiale, alla Resistenza, allaShoah, alle stragi nazi-fasciste. Che su unterritorio così ricco di tracce lasciate da diversimillenni di storia, come il territorio italiano, ilriferimento del tutto prevalente sia al periodo

1943-46 è probabilmente riconducibile adiverse ragioni: primo, è il periodo sul qualesono ancora vive le memorie famigliari siadegli studenti sia degli insegnanti; secondo,ad esso fanno riferimento le “celebrazioni” del«Giorno della memoria»; terzo, è spessoripreso dai media ed è stato ancherecentemente al centro di riferimentiretrospettivi nel dibattito politico. Ovviamente,nulla di male, purché non sia il segnale, dopotanti anni di silenzio, di un ripiegamentoeccessivo sul passato recente. Ad ogni modo,assai positivo il fatto che la storia locale nonvenga vista in una dimensione localistica, macome il teatro di eventi e situazioni di portatapiù ampia.I lavori ai quali è stato assegnato un premioprovengono dal ITC «Gentili» di Macerata (lamemoria dei reduci dei campi di deportazionee lavoro in Germania durante la Secondaguerra mondiale), dall’IPSIA «Odero» diGenova Sestri Ponente (i luoghi del Ponentegenovese che ricordano la guerra partigiana)e dall’IISS «Amaldi» di Orbassano Torino (unatestimonianza e una storia di vita daMathausen agli anni dell’emigrazione neldopoguerra). Oltre al premio alla scuola, unarappresentanza dei vincitori parteciperà a unseminario internazionale dei premiati deglianaloghi concorsi degli altri paesi aderenti aEustory.

Alessandro Cavalli

Il Concorso Eustory 2008

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 239

Page 247: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

240

1. La storia nelle In-dicazioni per il curri-colo della scuola pri-maria del 2007. Un

panorama di com-menti, in «Mundus», 1,gennaio-giugno 2008,pp. 27-45.

La complessità della società globaleevidenzia la necessità di nuovistrumenti con cui leggerne i molteplicielementi. Essa impone unaridefinizione delle conoscenze

scolastiche e chiama direttamente in causa laquestione del canone. Ci insegna che lacostruzione di una nuova cittadinanza e di unnuovo umanesimo non è esclusivoappannaggio della pedagogia, ma investe lestesse discipline di insegnamento. Per questomotivo, la pedagogia interculturale non puòridursi al problema immediato di far fronte aiproblemi dell’immigrazione, né riguardasoltanto il tema dell’accoglienza e dell’italianocome Lingua 2, ma pone con forza laquestione della trasformazione sia dellediscipline, sia del loro insegnamento, e implicala revisione di obiettivi, contenuti e metodididattici, anche della storia e della geografia.Di questi temi si è dibattuto a Villa Barucchella,Sant’Elpidio (AP), nei giorni 28-29-30 agosto2008, nell’ambito del secondo SeminarioNazionale sulla revisione dei curricoli in chiaveinterculturale promosso da CVM (ComunitàVolontari per il Mondo), dalle ONG(Organizzazioni Non Governative) italiane incollaborazione con l’ANSAS (ex IRRE Marche)e diversi studiosi, italiani e stranieri.La revisione dei curricoli: un tema centraleanche a Sud del Mediterraneo. I manualimarocchini, ha spiegato Mostafà HassaniIdrissi (Università di Rabat), riflettono una

conoscenza notevolmente stereotipatadell’Europa. Infatti, nel Maghreb, non sembramolto presente la preoccupazione di riscriverela storia, liberandola da opzioni etnocentriche,dal momento che i riformatori si sonopreoccupati più del “come” insegnare che di“cosa” insegnare.In Italia, invece, come ha raccontato AntonioBrusa (Università di Bari), il problema dellarevisione dell’insegnamento si è aperto con lariforma De Mauro e si è sviluppato conandamento oscillante tra la legge n. 53 del2003 e il DL del settembre 20071. La leggelegata alla riforma Moratti insiste sullaperformatività sociale della storia, il cuiapprendimento deve produrre “senso diappartenenza” all’Italia e all’Europa e unacultura condivisa volta alla costruzione diun’identità giudaico-cristiana, inun’impostazione dichiaratamente eurocentrica.Il decreto Fioroni, dal canto suo, affermaesplicitamente che «non tutta la storia» èfungibile nel tritacarne della programmazionedidattica. Il piano di riferimento generale èuna storia mondiale a maglie larghissime,mentre per gli argomenti di dimensioneregionale (la storia del Mediterraneo,dell’Europa, d’Italia) si suggerisce diprivilegiare gli intrecci e gli scambi nonché dimoltiplicare i punti di vista secondo i criteriproposti dalla storiografia degli «sguardiincrociati». Con il recente governo si aprononuove incognite, ma gli scenari di un

Giovanna Cipollari

L’insegnamento dellastoria e della geografia in chiave interculturale

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 240

Page 248: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

241

prossimo futuro sollecitano le reti di scuole, leassociazioni di docenti e ricercatori asostenere questo processo di revisioneculturale, lavorando negli spazi aperti dallalegge n. 59/97 sull’Autonomia scolastica.In Svizzera, come ha mostrato CharlesHeimberg (Università di Ginevra), il mitodell’origine della nazione ha creato una storiaimmaginaria che fa risalire al 1291 la nascitadella Confederazione elvetica: in realtà questarimonta appena al Sonderbund del 1847, altermine di una sanguinosa, quanto rimossa,guerra civile. Tale mito evidenzia unatradizione comunitaria conservatrice,nostalgica dell’organizzazione politica esociale del passato, e immagina un consensointerno, fondato sulla convivenza delle culturedei quattro bacini centro-europei. Infine,individua un nemico: le agitazioni socialiprodotte dal movimento operaio delNovecento, considerate estranee allatradizione genuina svizzera.Tutti hanno ribadito l’importanza di una storiamondiale, critica, aperta, che sappiadistinguere storia e memoria: taleimpostazione non deriva da una sceltaideologica, ma è insita nella “natura” dellastoria, che non può essere imprigionata dauna impossibile dichiarazione di “autoctonia”:lo sappiamo bene, fin dalla lezione di MarcelDetienne. Fa parte, ormai, dellaconsapevolezza diffusa, il fatto che non esistaun’identità pura perché siamo tutti meticci o –lo sosteneva Edouard Glissant – creoli.La declinazione interculturale della geografiasi concretizza nella nuova percezione dellospazio, non più considerato come un “dato”oggettivo, ma metaforico e problematico:questo è il senso del contributo di CristianoGiorda (Università di Torino). Lo spazio noncome “misura”, ma come “percezione” delladistanza, insegna a pensare in termini ditranscalarità, riconoscendo le relazioni e iflussi che legano luoghi e persone dal localeal globale. Per questo motivo, il primo passo

consiste nell’osservare il proprio spazio di vitaper scoprirvi gli intrecci e le relazionimulticulturali che lo caratterizzano. Così lageografia, quale scienza dello spazio e dellasocietà, prolunga la riflessione sull’identitàterritoriale con le sue dimensioni politiche eculturali, legandole al concetto di cittadinanza.François Audigier (Università di Ginevra) haconfrontato i curricoli di quattro diversi paesi.La Francia privilegia una suddivisione delmondo in Stati e unità politiche, secondo unmodello concentrico in cui il locale è inseritoin diverse scale; Ginevra definisce unapproccio che parte dalla formazione deiconcetti e dalla capacità di problematizzare elascia grande libertà agli insegnanti nellascelta degli argomenti da studiare; il Québecmette al centro del curricolo il concetto diterritorio, declinandolo secondo differentiscale e differenti contenuti (urbani, rurali…);l’Inghilterra, privilegiando degli esempi“nazionali”, presenta una geografia perproblemi, dove lo spazio è una dimensionetra attori potenzialmente in conflitto.Numerosi laboratori di didattica interattiva,con particolare attenzione verso le praticheludiche e del problem solving, sono staticoordinati da esperti provenienti dal mondodelle ONG o da Associazioni professionaliscientificamente qualificate. A conferma che laproposta è percorribile, un workshop, gestitodai docenti della rete interculturale dellascuola marchigiana, ha presentato le UdA(Unità di Apprendimento) di storia e geografiarealizzate nell’anno scolastico 2007-2008 sullabase di una Ricerca-Azione coordinata daCVM (a cui ha collaborato, fra gli altri, CatiaBrunelli dell’Istituto di Geografiadell’Università di Urbino). Le UdArappresentano “buone pratiche” didatticheinnovative: la rete è a disposizione degliinsegnanti che desiderano farne oggetto disperimentazione(http://lnx.lisalab.net/intercultura e/owww.cvm.an.it).

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 241

Page 249: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

242

«Comunicare la Storia Naturaledell’uomo»: è questo il titolo delconvegno svoltosi a Firenze neigiorni 11 e 12 settembre 2008,organizzato dal Museo di Storia

Naturale dell’Università di Firenze edall’Associazione Nazionale Musei Scientificicon la collaborazione dell’Istituto Italiano diAntropologia. Il convegno, sostenuto anchedalla Regione Toscana, ha visto lapartecipazione di numerosi docenti, musei eistituzioni coinvolti a diverso titolo nelladivulgazione dell’evoluzione umana,argomento di fondamentale importanza percomprendere le nostre origini e gliadattamenti fisico-culturali che hannointeressato la specie umana nel corso deltempo.Scopo dell’incontro era quello di focalizzarel’attenzione sulle metodologie didatticheimpiegate dai soggetti impegnati nelladivulgazione, in modo da poter creare unoscambio di informazioni al fine di farcomprendere correttamente al pubblico nonspecialistico nozioni apparentementecomplesse come quelle evolutive.È indubbio, infatti, che la storia dell’uomo,pur suscitando un elevato interesse, vengapercepita attraverso pregiudizi e influenzatada luoghi comuni ormai radicatinell’immaginario collettivo che ne deformanoil reale significato. Purtroppo ciò si riscontra a

vari livelli: TV, radio, giornali, ma anchescienziati poco professionali che pubblicanoarticoli equivoci, conferenze organizzate dagruppi pseudo-scientifici ecc.Un ruolo fondamentale per una correttaformazione spetta alla scuola, ma anche inquesto caso sono molte le difficoltà, acominciare dai programmi ministeriali cherestringono lo spazio dedicato alla Preistoria,soprattutto nel biennio delle secondariesuperiori. Per quanto riguarda la Scuolaprimaria, invece, le Indicazioni nazionali delministro Fioroni permettono di studiare laPreistoria in qualsiasi momento, dalla primaalla quarta classe elementare, attribuendo adessa tutto il tempo che l’insegnante ritieneopportuno dedicargli. Di contro, l’insegnantedi storia del biennio delle superiori dispone ditroppo poco tempo per poter affrontarel’argomento in maniera corretta ed esaustivaper gli adolescenti, con il rischio di unasemplificazione che dà luogo a un elenco dibanalità ormai superate. I manuali di storiache affrontano la Preistoria in maniera correttasono davvero pochi: alcuni presentano gravilacune e ovvietà, sia nel racconto sianell’apparato iconografico, contribuendo agenerare confusione sull’argomento e atrasmettere concetti errati.Nel corso del convegno le associazioni dididattica che operano nelle scuole hannomesso in evidenza sia le carenze dei

Lucio Milani, Jacopo Moggi Cecchi

Raccontare la storiadella nostra evoluzione

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 242

Page 250: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mp

243

programmi ministeriali sia la preparazioneinadeguata degli insegnanti verso i temievoluzionistici, affrontatati nei corsi di storiapiuttosto che in quelli di scienze. Diversirelatori, infatti, hanno sottolineatol’impreparazione della società italiana arecepire correttamente questo tipo diinformazioni a causa del grandecondizionamento esercitato dalle correnti anti-evoluzioniste nel corso delle generazioni; equesto malgrado la voglia di riscoprire lenostre origini sia molto forte, come dimostral’elevato afflusso di pubblico alle mostresull’evoluzione umana tenutesi in moltelocalità. Degna di nota è «La scimmia nuda»,organizzata dal Museo Tridentino di ScienzeNaturali, che per la sua strutturazioneinterattiva rappresenta un modello vincentenel campo della comunicazione scientifica.I musei naturalistici di Milano, Torino, Ferrara, imusei universitari di Roma e di Bologna, ealtre importanti istituzioni museali si sonoavvicendati durante i due giorni di convegnosia per illustrare le proprie iniziative nel campodella didattica, sia per presentare laristrutturazione delle sale espositive dedicatealla storia naturale dell’uomo, operazionequesta resa indispensabile dalle recentiscoperte in campo paleo-antropologico chehanno modificato non poco le vecchie teorie earricchito le collezioni di nuovi reperti fossili. Atale proposito è da segnalare il nuovo progettosull’evoluzione umana che sarà realizzato dallaSezione di Antropologia del Museo di StoriaNaturale dell’Università di Firenze.Da più parti si è poi ribadito comel’insegnamento dell’evoluzione umana nonpossa fare a meno della didattica tecnico-pratica, aspetto ben evidenziato, ad esempio,dalle attività del Centro Studi sul Quaternariodi Sansepolcro: occorre, infatti, creare un

legame emotivo che porti il visitatore (adultoo bambino) a sperimentare le acquisizionifisiche e tecnologiche che hannocaratterizzato la vita dei nostri antenatiattraverso espedienti dinamici e materialitoccabili, da cui si evinca l’influenza dellevariazioni ambientali sul percorso anatomico eculturale umano. Tali esperienze hannoinoltre dimostrato come sia possibileinsegnare l’evoluzione umana anche apersone portatrici di handicap, come i non-vedenti, abbattendo il divieto museale del«non toccare» e creando un rapporto di fiduciatra gli operatori specializzati e gli stessi non-vedenti, i quali, messi in condizioneappropriate, possono comprendere i temievolutivi umani al pari dei vedenti.L’ultima sessione del convegno è stataoccupata dal dibattito tra scienziati egiornalisti, i quali hanno riflettuto sui gapesistenti tra la ricerca e la divulgazione,giungendo alla conclusione che, malgrado siaimpossibile attribuire tutte le mancanze aduna delle parti, è necessaria una più strettacollaborazione tra di esse per veicolare ilmessaggio nel miglior modo possibile e farlogiungere a tutti i livelli di pubblico. Alcuneimportanti trasmissioni televisive di primaserata stanno a dimostrare che questa cosa èpossibile.Il 2009 celebrerà il centenario della nascita diCharles Darwin, padre dell’evoluzionismo, ein occasione di questa ricorrenza sarannomolte le iniziative a livello planetario cheavranno come tema centrale la biologiaevoluzionistica. È in programma, ad esempio,una mostra contemporanea in varie città delmondo (Roma e Milano per quanto riguardal’Italia) che, auspichiamo, contribuisca allacorretta diffusione dell’evoluzione biologica,in attesa di tempi migliori.

6_MUN_P_222-243_p:Layout 1 2-07-2009 16:16 Pagina 243

Page 251: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

244

1. P. Vidal-Nacquet, Les assassins de la mémoire, La Dé-couverte, Paris 1991, p. 168. Ricavo questa citazione da D.El Kenz, Le massacre, objet d’histoire, Gallimard, Paris 2005,che ripercorre la storia che normalmente si insegna, da Su-mer fino ai giorni nostri, spiegando come questa è costella-ta di carneficine, e mostrando in che modo si possono stu-diare.

di carta. Questa violenza, a lungo bandita dal-la scuola (occorrerà studiare i modi e le cau-se di questa reticenza), ora può diventare og-getto di insegnamento. Ci sono dei rischi, dacui guardarsi: che se ne faccia un uso me-schino (ideologico o spettacolare che sia).Ma ci sono anche dei “guadagni conoscitivi”a cui puntare: che cosa si apprende, in più, re-stituendo il fatto bellico alla sua dimensioneviolenta? Quali problemi conviene impostarein classe? E come farlo?È un nuovo terreno di discussione didattica.Per aprirlo, «Mundus» ha scelto un’opera col-lettiva, Teaching the Violent Past. History Edu-cation and Reconciliation, e ha chiesto a unasociologa e a un professore di liceo di rac-contarcela, dal loro punto di vista.

Antonio Brusa

I problemi della ricerca

L a riflessione su finalità, contenuti e meto-di della formazione scolastica è spesso

ostacolata dalla discrasia esistente fra le at-tese del mondo esterno – genitori, politici,mass media, opinione pubblica in generale –e le concrete opportunità che la scuola ha ditrasmettere conoscenza, orientare ai valori,plasmare atteggiamenti e comportamenti.Questa discrasia diventa particolarmente evi-dente e problematica quando si considera ilruolo che l’insegnamento della storia, in par-ticolare di quella contemporanea, assumenelle società odierne. Nella misura in cui, co-me osserva Alessandro Cavalli, «l’insegnamen-to della storia è sempre orientato al tipo di“cittadino” che è richiesto da chi di volta involta detiene il potere politico e interpreta leesigenze della comunità»2, oggi, si tratta dicapire «quale tipo di cittadino» corrispondaalle «esigenze» di comunità che si confronta-no con le incertezze di un’epoca di transizio-ne. È una transizione connessa ai mutamen-ti che, nella seconda metà del Novecento,hanno ridefinito gli assetti geopolitici della pri-ma modernità, proponendo un ripensamentoprofondo del rapporto tra il cittadino e lo Sta-to, tra criteri dell’appartenenza e diritti/doveri

2. A. Cavalli, Insegnare la storia contemporanea in Europa,Il Mulino, Bologna 2005, p. 15.

di cittadinanza. Con il processo di decoloniz-zazione, ad esempio, sono nati nuovi Stati,che devono costruire ex novo il senso di ap-partenenza nazionale, trovando un denomi-natore comune capace di unificare – nel con-senso verso le neonate istituzioni – gruppi edentità differenziate, frequentemente attraver-sate da tensioni identitarie, rinfocolate da an-tichi contrasti etnico-tribali. In altre situazioni,si sono sviluppati germi di integrazioni regio-nali – di cui l’Unione europea rappresental’esempio più avanzato – che propongono for-me di cittadinanza fondate su appartenenzeplurime, sul dialogo interculturale, sul princi-pio dell’inclusione. In tutto il mondo, sono ap-parse laceranti divisioni durante la guerrafredda, seguite da un processo di pacificazio-ne denso di problemi e nuove tensioni, inter-ne ed esterne ai confini statuali. È cresciutal’interdipendenza mondiale, grazie alla globa-lizzazione, che ha favorito nuove forme di mo-bilità di individui e gruppi, allargato i confinidegli orizzonti quotidiani, aperto varchi all’af-fermazione del pluralismo culturale, in conte-sti statuali tradizionalmente fondati sull’ap-partenenza nazionale esclusiva.Il problema principale in tutte queste situa-zioni nuove consiste nel costruire la conviven-za pacifica, salvaguardando la vocazione plu-ralistica che si va facendo strada nelle diver-se comunità politico-istituzionali. Si tratta di“decostruire” la tradizionale logica dell’alteri-tà, sostituendo il dialogo al confronto e orien-tando i giovani a una promessa di futuro con-divisa. Nell’attuale fase di transizione, tuttociò è ostacolato dall’ingombrante presenza diun passato dominato da conflitti, violenze, so-praffazione, fra le stesse entità che oggi sonochiamate a convivere nel rispetto delle reci-proche differenze. Sino a che non si trova ilmodo di fare i conti con questo passato, nonè neppure possibile costruire il futuro, ricono-scendo che le ragioni per vivere insieme sonomolto più importanti di quelle che alimenta-no le divisioni.La sfida più ardua per l’insegnamento dellastoria, oggi, riguarda precisamente questoproblema ed è complicato dai dilemmi chela scuola deve affrontare, a fronte dei segna-li ambigui e delle attese ambivalenti che leprovengono dal contesto politico-sociale in

Insegnare il passato violento

Sono piene di guerre le pagine dei libri distoria che ricordiamo e che insegniamo.

Qualche volta ci sembrano guerre di carta, ta-vole da gioco dove si scontrano re, nazioni,Stati ed eserciti. Ogni guerra con le sue cau-se, le sue fasi e i suoi immancabili effetti;qualcuno vince, segue un trattato di pace o siricomincia. A partire dalla fine del secolo scor-so, però, quelle stesse pagine hanno comin-ciato a ospitare i meno comodi massacri. Eratempo: «Non c’è niente di più comune, nien-te di più tristemente banale, nella storia, cheil massacro», scrive Pierre Vidal-Nacquet1. Pro-babilmente, ad aprire la strada è stato il ge-nocidio degli ebrei, con il suo carico insop-portabile di atrocità. Poi i vari Libri neri – delcomunismo, del colonialismo o della Chiesa– in una gara (anche questa, a suo modo,atroce) di contabilità funerea. Forse, anche,l’interesse della storiografia per il corpo hapermesso di considerare la tortura, gli odori,la sofferenza come “oggetti di storia”. Frutto diquesti studi è la consapevolezza acuta che icampi di battaglia non profumano di gloria,ma esalano il lezzo della putrefazione; cheuccidere “brutalizza” non solo i soldati; che,terminata la carneficina, anche il dolore e ildesiderio di vendetta dei sopravvissuti fannola storia. La storiografia ci avverte che le guer-re, nelle nostre aule, non possono essere più

E. A. Cole (a cura di), Teaching theViolent Past. History Education andReconciliation, Rowman & LittlefieldPubl., Lanham (Maryland) 2007, pp.345, " 90.00.

1

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 244

Page 252: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

245

cui è inserita. Da un lato, ci si aspetta che laformazione scolastica sappia suscitare nei fu-turi cittadini il lealismo verso la propria co-munità politica, attraverso l’evocazione di unpassato condiviso e di cui essere fieri. Dal-l’altro lato, a questa istituzione si chiede diformare nei giovani una coscienza critica, su-scettibile di rendere accettabile, “normale”,ai loro occhi il fatto che, entro una stessa co-munità politica sussistano differenti, legittimi,modi di rapportarsi al passato, in funzionedella specifica fisionomia dei molteplici “altri”che la abitano.Alla difficoltà di ripensare i testi di storia, cer-cando un adeguato equilibrio fra questi dueordini di attese, si connette un problema an-cor più delicato e complesso, sul quale attiral’attenzione la raccolta di saggi curata da Eli-zabeth A. Cole, Teaching the Violent Past. Hi-story Education and Reconciliation. Non èpossibile decostruire la logica dell’alterità, sucui le generazioni precedenti hanno fondato lapropria identità politico-civile e giustificato letensioni, i conflitti, le violenze del passato, secontestualmente non si avvia un processo diriconciliazione tra quanti, considerandosi reci-procamente “altro”, si sono combattuti comenemici. La riconciliazione implica il rifiuto del-la cultura del “silenzio”, grazie alla quale, nel-la storia degli Stati nazionali otto-novecente-schi, le zone d’ombra – tutto ciò che potesseincrinare nei cittadini l’orgoglio di appartene-re ad una nazione di “giusti” e di eroi – sonostate sistematicamente rimosse dalla memo-ria delle collettività e relegate nell’oblio daimanuali di storia. Il fatto di riportare alla lucequeste zone d’ombra, per ricostruire alcunielementi cruciali di verità storica, va di paripasso con il riconoscimento del diritto ad ave-re “giustizia”, dovuto alle vittime di violenzapolitica e/o di una sistematica negazioneidentitaria.Nella misura in cui è in gioco l’affermazionedella giustizia, la scuola non può essere nél’unico, né il principale attore in gioco. È uncompito che chiama in causa molteplici re-sponsabilità e deve essere sostenuto da unavolontà diffusa nella comunità. Ne consegueche non è sufficiente, come molti tendonosemplicisticamente a pensare, una revisionedei libri e delle modalità di insegnamento del-

la storia, per suscitare nei giovani la culturadel dialogo e della convivenza pacifica. A mag-gior ragione, l’impegno degli educatori in talsenso rischia di essere totalmente vanificatoquando i segnali che giungono dal mondoesterno – istituzioni politiche, mass media, or-ganizzazioni della società civile, famiglie ecc.– vanno nel senso della rimozione, della giu-stificazione, o addirittura della riproposizionedi antiche divisioni. La scuola, invece, assumeun ruolo cruciale nell’affiancare e sostenerel’impegno alla riconciliazione, quando essoinizia concretamente a prendere vita nel cor-po sociale. In primo luogo, può offrire un am-biente relazionale in grado di aiutare i giova-ni a metabolizzare la difficile consapevolezzadi essere gli eredi di chi in passato è statovittima o carnefice, oppressore od oppresso.In secondo luogo, attraverso l’insegnamentodella storia, essa realizza la sua missione prin-cipale nel processo di riconciliazione: quelladi sostenerlo entro il “tempo lungo” di cui ne-cessita, un tempo che copre l’arco di più ge-nerazioni ed è costantemente minacciato dalrischio dell’oblio.Uno degli aspetti più interessanti di Teachingthe Violent Past consiste nel fatto di metterea fuoco questi elementi di complessità, ana-lizzando la varietà di situazioni in cui prendecorpo la riflessione sul ruolo della formazionestorica nell’educazione alla pace e al rispettodei diritti umani, ed evidenziando le responsa-bilità dei numerosi attori coinvolti.Il libro, preceduto da una chiarificatrice intro-duzione della curatrice sulla multidimensio-nalità del concetto di «riconciliazione», e se-guito da un’importante post-fazione di AudreyR. Chapman sulla giustizia nelle fasi di transi-zione, raccoglie l’esito di una ricerca protrat-tasi per cinque anni, in realtà diversificate.L’indagine, promossa dal Carnegie Council forEthics in International Affairs, raccoglie novecase studies che riguardano, rispettivamen-te: il modo in cui talune realtà europee si con-frontano con la necessità di superare profon-de divisioni politico-ideologiche maturate nelrecente passato (Germania riunificata, Irlan-da del Nord, Spagna post-franchista); l’in-fluenza del contesto politico internazionalenella difficile pacificazione fra Stati e popoliconfinanti in alcune regioni extra-europee (Co-

rea del Nord e Corea del Sud; India e Paki-stan); l’irrisolta questione del ruolo del Giap-pone nel secondo conflitto mondiale entro ildibattito, riaccesosi recentemente in quel pae-se, sull’identità nazionale e la sua posizione ri-spetto agli equilibri del Sud-est asiatico; l’im-portanza assunta, nel processo di democratiz-zazione in corso in Guatemala, dal riconosci-mento delle violenze perpetrate nel periododella dittatura; le tensioni generate dalle ri-vendicazioni identitarie degli aborigeni nel Ca-nada britannico contemporaneo; l’ambiguorapporto con il passato comunista nella Rus-sia di Putin.In tutti questi casi, i co-autori presentanoun’analisi a più livelli: sul contenuto dei ma-nuali di storia; sugli orientamenti didatticidegli insegnanti e – come nel caso dellaSpagna – sul tipo di coinvolgimento degli al-lievi nell’interpretazione della storia contem-poranea; sulla natura e l’intensità dell’impe-gno istituzionale nel processo di riconciliazio-ne; sull’uso pubblico della memoria e dellastoria, che prevale, in momenti diversi, nellecomunità analizzate.Numerosissimi sono gli spunti di riflessionegenerati dalla ricerca, di cui questo libro offreuna sintesi articolata, sia sul piano teoricoche su quello della rilevanza empirica. Unalettura di grande interesse per tutti coloro chesi interrogano sulle proprie responsabilità, co-me educatori e come cittadini, nella costruzio-ne di una prospettiva di pace per le future ge-nerazioni.

Marita Rampazi

L’utilizzazione didattica

Teaching the Violent Past offre ai docentila possibilità di operare una ricognizione

sulle modalità di insegnamento della storia inalcuni dei più significativi contesti educativid’Europa e del mondo. In particolare, affron-ta la questione della normalizzazione dei rap-porti tra Stati (o etnie) compromessi o a ri-schio di disarticolazione, in conseguenza diconflitti violenti. Ma anche gli allievi potreb-bero rendersi conto – leggendo parti sceltedi questo libro – dell’importanza che l’inse-gnamento della storia assume in ambiti diparticolare rilevanza, quali la tenuta sociale di

mundusbiblioteca

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 245

Page 253: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

246

una nazione e i suoi rapporti internazionali.Infatti, una parte consistente del tema dellariconciliazione è connessa con l’impostazio-ne dei curricoli e con l’indicazione delle stra-tegie didattiche, e conseguentemente con lascrittura e l’utilizzazione stessa dei manualiscolastici. Capire quanto queste scelte sia-no importanti significa per lo studente ren-dersi conto del valore dell’insegnamento del-la storia, non soltanto sul piano ideale deivalori e delle aspirazioni, ma anche su quel-lo concreto e reale dei rapporti internaziona-li nel mondo attuale.Accanto a questo tipo di fruizione didatticase ne colloca un altro che potrebbe risultareugualmente coinvolgente per gli studenti. Iltesto propone vari, e spesso divergenti, ap-procci interpretativi alle questioni trattate, efa uso di valutazioni di studiosi tra loro contra-stanti. Un ventaglio così variegato di opinioniconsente al professore di disporre di un buonsupporto per la discussione e il confronto inclasse. Il libro fornisce, infatti, le argomenta-zioni a sostegno delle diverse teorie: occorrespiegarne il significato, i presupposti ideologi-ci e gli obiettivi ad esse collegati. A questopunto, si può lanciare la discussione, invitan-do i ragazzi a esporre il loro punto di vista.Questa discussione sarà preliminare alla let-tura di passi scelti del libro, dai quali gli allie-vi potranno ricavare ulteriori argomenti cherafforzano o indeboliscono i diversi punti divista. Vi sono molte questioni, capaci di susci-tare interesse, per la loro rilevanza e la loroattualità, come ad esempio il contrasto cino-giapponese, i problemi dell’unificazione tede-sca, le tensioni all’interno dell’ex Urss. Il di-battito potrebbe essere seguito da una rela-zione scritta (sul tema della didattica contro-versiale «Mundus» è già intervenuto, nel primonumero, presentando le strategie di Teach, cfr.pp. 222-23).Un ulteriore spunto di interesse offerto dal li-bro deriva dai riferimenti alla situazione del-l’Italia. Si tratta della più volte sottolineatadistanza che separa il concetto di riconcilia-zione, inteso in senso giuridico e politico, dal-l’accezione religiosa (particolarmente quellacristiana), che è prossima al concetto di per-dono. La linea di discrimine è costituita dal-l’attuazione, nel primo caso, di provvedimen-

ti che, in vario modo, intervengono a favoredelle vittime (pubbliche ammissioni di col-pa, pagamento di indennità come risarcimen-to a vario titolo, impegni formati al pieno ri-conoscimento di diritti prima misconosciuti)e che vengono, pertanto, percepiti dalla co-munità internazionale (o da quella naziona-le) come effettivi e attendibili cambiamentidi linea politica, nonché come espressionedi reale giustizia. È quanto avvenuto nella sto-ria della Germania del dopoguerra (si pensialla preghiera in ginocchio di Willy Brandt nelghetto di Varsavia), in parte e con molte resi-stenze in Giappone (dove sopravvive ancorail mito di un imperialismo orientale inteso co-me doverosa risposta a quello occidentale),e quasi per nulla in Spagna, dove, per indica-re la riconciliazione-compromesso del post-franchismo, si ricorre all’eloquente parono-masia: «amnistia-amnesia». Queste scelteoperative, distanti dalla sensibilità cristianadella remissione della colpa, per amore delprossimo, sembrano porre le premesse diuna futura armonia sociale, che è irrealizza-bile, invece, ove permangano ragioni di diffi-denza, insoddisfazione o risentimento da par-te delle vittime.Il tema affrontato da questo libro è didatti-camente collegabile all’attualità italiana e aquelle tendenze storiografiche e di pervasi-vo uso pubblico della storia che vorrebberoarchiviare di fatto la centralità della Resi-stenza e dell’antifascismo nel processo dicostruzione della Repubblica, e che finisco-no per porre sullo stesso piano le parti incausa, in nome di una presunta “buona fe-de”. Apprendiamo da Teaching the ViolentPast che anche in Italia il raggiungimento diuna convivenza civile e democratica non puòche fondarsi sulla limpida e precisa indivi-duazione degli errori e sulla conseguenteammissione di responsabilità di chi li hacommessi.Poiché il testo è in inglese, è ovvio che unasua utilizzazione non può che essere propostaper classi linguisticamente molto competen-ti. Una sua traduzione, corredata da un inter-vento specifico sull’Italia, potrebbe ampliare lesue possibilità di impiego effettivo nelle clas-si italiane.

Andrea Losito

Storia di carta e storia reale. I fumetti el’insegnamentodella storiacontemporanea

Che le immagini siano uno strumento effi-cace per raccontare eventi ed emozioni,

speranze e auspici è cosa già nota, fin dal Pa-leolitico. Che i fumetti siano uno strumento de-gno ed efficace per raccontare la contempora-neità sembra averlo riscoperto un pubblico sem-pre più vasto, creando il successo di quella cheormai viene riconosciuta come «arte sequen-ziale»1. Che i fumetti possano essere utili inclasse, nell’insegnamento della storia, è, inve-ce, un’idea davvero ancora poco diffusa.Piuttosto rare, infatti, sono le esperienze docu-mentate di questo tipo, nonostante alcune me-ritorie iniziative ministeriali come il progetto«Banchi di Nuvole», lanciato nel 2005 dal Mi-nistero della Pubblica Istruzione2 per sensibiliz-zare i docenti all’uso didattico dei fumetti. Tut-tavia, tale iniziativa ha focalizzato l’attenzionesul processo di produzione più che sull’uso deiprodotti esistenti, come dimostra il progetto distoria locale «7 Aprile 1944»3, attivato dal CSAdi Treviso presso alcune scuole superiori che sisono cimentate nel realizzare racconti a fumet-ti ambientati nella Treviso del dopo-bombe4.

I criteri della ricercaPer poter ragionare sulle possibilità didattichedi questo medium non solo in termini di produ-zione ma anche di uso didattico, si sono raccol-ti i fumetti “potenzialmente utili”, e di questa

2

1. W. Eisner, Fumetto & arte sequenziale, Pavesio Produc-tion, Milano 2005.2. Per i dettagli si veda il sito www.banchidinuvole.org.3. In questa data la città subì un rovinoso bombardamen-to da parte degli alleati.4. http://www.retestoria.it/pages/ita/templates/t1.asp?codice=945. I risultati sono stati poi pubblicati dalla Casa Editri-ce Canova di Treviso nel libro Storie dal 7 aprile, raccontarela memoria a fumetti, che contiene sei storie sull’evento.

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 246

Page 254: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

247

ricerca si presentano in questa sede alcuniesempi a partire dalla storia contemporanea.Non sono stati presi in considerazione gli or-mai numerosi racconti ambientati durante laShoah (richiedono indubbiamente una tratta-zione a parte) e i fumetti in cui la storia appa-re come semplice “rumore di fondo” che si ma-nifesta negli abiti o negli elementi scenografi-ci delle vicende, come, per esempio, le nume-rose parodie Disney o quei fumetti, diventatianche cartoni animati, che abitano il mondodei bambini. Di questa produzione, in cui l’av-ventura e l’invenzione prevalgono sulla ricostru-zione storica, si presenta soltanto Corto Mal-tese, personaggio le cui vicende si intreccianoe si alimentano di una storia dettagliata nelleambientazioni, ma spesso piegata a fini narra-tivi, e piena di personaggi storici reali presen-tati però in contesti inventati5.Un’osservazione, comunque, va fatta e puòessere utile per iniziare a parlare di uso di-dattico dei fumetti: le storie di questo genere,quando sono destinate ai più piccoli, sonoper lo più ambientate in un passato percepi-to come remoto (e quindi tendenzialmentefavolistico), piuttosto che nella contempora-neità6. Ciò crea il paradosso che i fumetti cheriguardano la storia contemporanea siano perlo più appannaggio di adulti o al massimo diadolescenti, come se in Occidente vi sia «uncerto disagio nel narrare ai ragazzi storie incui sia presente la storia»7. Paradosso: per-

5. Per una cronologia della vita di Corto Maltese sul web:http://www.ubcfumetti.com/enciclopedia/?15364&pag=1.6. Conferma questa affermazione, anche se in modo indi-retto, il saggio di M. Sanfilippo, La storia in edicola. Appun-ti per una ricerca, in «MEMORIA E RICERCA», 26, 2007, Fran-coAngeli Edizioni, Milano, scaricabile all’indirizzohttp://www.francoangeli.it/Riviste/Scheda_Riviste.asp?IDArticolo=32251&Tipo=Articolo%20PDF. L’autore compie un’ana-lisi dell’offerta di riviste, gadget e allegati riguardanti la sto-ria in edicola in Italia, dagli anni Sessanta ad oggi, e cita ifumetti sulla storia contemporanea solo quando parla diquelli diffusi negli anni Sessanta, ambientati nella Prima enella Seconda guerra mondiale con particolare riferimentoalla produzione statunitense, e del lavoro di Hugo Pratt. Inol-tre, se pensiamo ai fumetti a tema storico distribuiti recen-temente col quotidiano «la Repubblica» siamo per lo più difronte a opere indirizzate a un pubblico adulto.7. M. Pellitteri, Rileggere la storia con Goldrake e Lady Oscar.Ethos e riflessione storica nel fumetto e nell’animazionegiapponesi, in La storia dei ragazzi, «Storia e problemi con-temporanei», 44, gennaio-aprile 2007, CLUEB, Bologna, p.33. In questo articolo Marco Pellitteri propone un utile con-fronto fra la realtà occidentale e quella giapponese, appro-fondendo il rapporto fra storia e manga e anime giappone-si, diffusi sia in Oriente che da noi.

ché, in contrasto con questo dato, fatica ascomparire il pregiudizio secondo il quale ilfumetto è “cosa da ragazzini”. Fra i testi re-censiti, infatti, quelli adatti a un pubblico gio-vanissimo sono pochi: il racconto autobiogra-fico dell’iraniana Marjane Satrapi, Persepo-lis, che, sia per la linearità del tratto sia per lacaratterizzazione della protagonista, sollecitauna comprensione e un’empatia immediateanche da parte di bambini occidentali e unapprofondimento di alcuni fra i nodi sociali eculturali del mondo contemporaneo, tanto daessere utilizzato come libro di lettura di clas-se in diverse realtà francesi8; le opere di Ser-gio Staino, che è riuscito a trattare i temi del-la Resistenza partendo da testimonianze diret-te, in modo semplice ma nello stesso tempocoinvolgente9. Sarebbe invece adatto ad unpubblico infantile, per il tipo e la qualità deidisegni, L’orgoglio di Baghdad, storia metafo-rica sulla perdita del senso causata dallaguerra, ispirata alla fuga dallo zoo, duranteun attacco americano alla città nel 2003, diquattro leoni che si ritrovano spauriti e attoni-ti in una Baghdad distrutta e apparentemen-te abitata solo da militari e animali in lottafra di loro. Purtroppo, per quanto i disegni sia-no accattivanti e gradevoli anche per un pub-blico non adulto (indubbiamente si crea unimplicito collegamento, nella mente del let-tore, al Re leone disneyano), la storia, che siconclude con l’uccisione dei leoni da partedi soldati americani, è poco adatta ai più pic-coli, a causa dei toni duri e privi di speranza.

Raccontare con le immaginiIn realtà il rapporto fra parola scritta e imma-gine disegnata ha dentro di sè potenzialitàenormi, poiché è in grado di rendere in modoparticolarmente efficace le ambientazioni sto-riche, che più che venire descritte si fanno vi-ve agli occhi del lettore. Si pensi all’effettod’amplificazione che le immagini operano suiracconti di Joe Sacco, “reporter a fumetti” dialcune drammatiche guerre recenti.

8. E. Stramboulis, Se l’immagine è in sequenza animata, inLa storia dei ragazzi, cit., p. 172.9. Si tratta di due libri, uno pubblicato per il comune di Fal-conara Marittima, basato sulle ricostruzione storica del fe-nomeno della Resistenza nella provincia di Ancona, e l’altroper «l’Unità», su un eccidio nazista nella memoria di un par-tigiano sopravvissuto all’evento.

Uno degli elementi che dà valore aggiunto airacconti per immagini è la possibilità che l’au-tore ha di muoversi su più livelli all’internodello stesso codice comunicativo: per raccon-tare di una piazza affollata e di scene movi-mentate, un autore come Sacco non utilizzasolo il disegno, poiché nello stesso tempo gio-ca con le dimensioni e il numero delle vignet-te, per esempio, affollandone la pagina, per-mettendo al lettore di percepire un concetto,intuendolo nel colpo d’occhio, prima ancorache attraverso la comprensione razionale deltesto.Altri esempi, fra quelli proposti nella biblio-grafia, sono i lavori di Staino che, per distin-guere gli eventi del presente da quelli ricor-dati e avvenuti durante il secondo conflittomondiale, realizza i disegni ambientati al gior-no d’oggi sovrapponendoli alle fotografie deiluoghi in cui gli eventi si sono effettivamentesvolti, e inserisce all’interno di alcune vignet-te fotografie di manifesti o di elementi storicireali10; oppure Art Spiegelman11 che, per rap-presentare la perdita del senso del mondoche gli si presenta dinanzi all’indomani dell’at-tentato alle Torri Gemelle, fonde diversi stili evolti dell’universo americano del fumetto eche, accostando le singole vignette in modoirregolare, attraverso un procedere sincopa-to, trasmette l’instabilità di quei momentidrammatici. In Siberia, invece, le sensazionidi angoscia e claustrofobia che il protagonistaprova negli ultimi anni di vita dell’Unione So-vietica vengono trasmesse dal tratto della ma-tita che sfrutta le sfumature del grigio per ren-dere appieno la crudeltà e la violenza dei vol-ti, deformati dall’alcol e dall’ignoranza.Non sono prodotti realizzati per un consumocompulsivo ed effimero. Il fumetto, infatti, èun medium lento che porta dentro di sé unarielaborazione personale dell’autore. A dimo-strazione di ciò, molte delle opere qui presen-tate hanno avuto bisogno anche di anni di in-cubazione per trovare il giusto rapporto fra ri-

10. Come si può vedere sul sito dell’autore (http://www.sergiostaino.it), nella sezione relativa ai due libri pro-posti, laddove sono visionabili alcune pagine.11. Lo stesso autore, vincitore dello Special Award del pre-mio Pulitzer nel 1992 per Maus, ci aveva mostrato in que-sta sua opera un uso metaforico del linguaggio del fumettotipizzando per animali i personaggi (topi sono gli ebrei de-stinati ad essere ingabbiati, gatti gli sfuggenti e cinici nazi-sti ecc…).

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 247

Page 255: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

248

cerca storica, rielaborazione personale edequilibrio narrativo: tre anni e mezzo per Pale-stina12, dossier a fumetti sulla prima intifadapalestinese; cinque per Berlin, affresco sullacapitale tedesca durante la Repubblica diWeimar; molti di più per la conclusione di NoPasaràn, racconto legato alla guerra civile diSpagna. Ma è proprio quando questo equili-brio è presente che l’opera acquista valore.Un risultato differente si ha invece in quelleopere in cui l’evidente intento didascalico pre-vale sulla trama. Per esempio, i fumetti realiz-zati non per raccontare storie intrecciate allastoria, ma la storia stessa, come quelli curatida Enzo Biagi13, o la Storia della liberazione diRoma14 realizzata dalla Scuola Romana delFumetto. In questi casi, se pure con risultatidifferenti, il medium, ritenuto accattivante giàdi suo, perde proprio alcune caratteristichelegate all’avventura o alla caratterizzazione in-teriore dei personaggi che lo rendono piace-vole e appassionante. Questi fumetti sono de-finiti “didattici” nel senso che sono realizzatiper insegnare qualcosa attraverso i contenu-ti proposti.Numerose esperienze15 mostrano che nel lin-guaggio comune “l’uso didattico” del fumettoconsiste per lo più nella lettura di un’operaritenuta di per sé educativa e – in virtù dellafamiliarità che il pubblico giovane ha con que-sto medium – automaticamente efficace.Sempre in questo tipo di lavoro, ma con trat-ti grafici e narrativi adatti a un pubblico giova-ne e con un buon equilibrio fra racconto e in-tento didattico, si colloca il fumetto olandeseA family secret, realizzato per raccontare airagazzi di oggi gli eventi più significativi dellaSeconda guerra mondiale16 e le vicende del-

12. Così racconta Sacco il suo lavoro: «Mi comporto da croni-sta: prendo appunti, scatto foto, faccio interviste, raccolgo in-formazioni. Una volta tornato a casa traduco tutto in fumetto».13. Cfr. a questo proposito R. Farné, Iconologia didattica.Le immagini per l’educazione dall’Orbis Pictus a SesameStreet, Zanichelli, Bologna 2002.14. Il fumetto è realizzato «per sollecitare l’uso della me-moria» – come scrive Walter Veltroni nella sua Prefazione –e ricordare ai più giovani, con la forza delle immagini, le vi-cende di Roma dichiarata città aperta.15. Cfr. l’articolo all’indirizzo http://www.komix.it/page.php?idArt=7765 in cui si parla di fumetti «contro il razzismo» e«per la pace» o l’enorme diffusione di fumetti commissiona-ti dalle amministrazioni sulla storia della propria città o supersonaggi o eventi locali importanti.16. Per approfondimenti cfr. l’indirizzo http://www.annefrank.org/content.asp?PID=679&LID=2.

l’Olanda in guerra. Il fumetto, pubblicato indiverse lingue dalla casa-museo di AnneFrank, è stato un primo tentativo cui è segui-to il meglio strutturato The search, che puntala sua attenzione sulle vicende degli ebrei nel-l’Olanda occupata e che è accompagnato damateriale didattico strutturato.A metà strada fra queste posizioni si trovano lesempre più diffuse opere di traduzione a fu-metti di fatti di cronaca e di storia recente, in-dirizzate ad un pubblico più maturo ed arricchi-te da apparati di riferimento e schede stori-che riassuntive, di cui si segnalano solo pochiesempi della casa editrice BeccoGiallo17, del-le edizioni Alet (di cui si presentano le schededi Siberia, Studenti contro il potere e 9/11) oil lavoro di Emanuele Fucecchi sulla storia del-la Seconda Repubblica, che è possibile vede-re in versione animata sul sito della trasmissio-ne Tetris (www.la7.it/tetris) e su YouTube cer-cando video con il nome dell’autore.Gli esempi più affascinanti e coinvolgenti di in-contro fra storia e arte narrativa a fumetti so-no, però, quelli in cui gli autori abbandonanogli intenti nomenclativi e sistematizzatori e de-cidono di parlare della propria esperienza di-retta o di riportare testimonianze raccolte dafonti primarie, dove la vicenda viene raccon-tata con uno storytelling che miscela il reso-conto documentato, l’intreccio narrativo veroe proprio e uno stile visuale incisivo18. Non èun caso che diversi studiosi abbiano assimi-lato questi lavori ai romanzi storici19, in cui ilverosimile assume un ruolo fondamentale.Per esempio, in No pasaràn la ricostruzionestorica è ineccepibile e non tralascia nessundettaglio come le divise, i mobili, o i manife-sti, mentre verosimile è il protagonista che re-

17. Di questa Casa Editrice, oltre ai titoli presentati, ve nesono diversi altri che toccano temi come la strage di Bolo-gna, il sequestro Moro, il delitto Pasolini o anche il terremo-to del Friuli. Per il catalogo cfr. il sito web http://www.beccogiallo.it.18. Pellitteri, Rileggere la storia con Goldrake e Lady Oscarcit., p. 33.19. G. C. Cucciolini, La storia a fumetti. Visualizzazione edivulgazione storica nella narrazione per immagini, in Impa-rare la storia. Letture e immagini per una didattica nellascuola dell’obbligo, Comune di Lugo, Edizioni Analisi, Bolo-gna 1989, citato da Farnè, Iconologia ditattica cit., p.276;ma cfr. anche l’introduzione de Il fucile e la rosa, laddove siavvisa il lettore che ha di fronte una storia reale ed episodieffettivamente accaduti, rivisitati tuttavia immaginando si-tuazioni non completamente documentabili ma verosimili,con una certa libertà creativa.

sta caratterizzato da un forte senso di auten-ticità e che finisce per funzionare per il letto-re come una sorta di lente di ingrandimentoche permette di assumere un punto di vista20.Il concetto di verosimile entra in gioco anchequando si tratta di biografie, come precisal’autore di Carnera: «le cose che ho raccon-tato ripercorrendo l’epopea di una storiasportiva assolutamente documentata, quan-do non sono vere, sono verosimili e fanno ca-pire il grande impatto, oggi si direbbe media-tico, di un personaggio che può essere con-siderato uno dei primi sportivi moderni». Piùspostata verso l’impianto drammaturgico èl’esperienza della miniserie Volto nascosto,concepita come romanzo popolare a punta-te, o serial televisivo conclusivo, con vicendeintessute di storia (l’esperienza coloniale ita-liana) e di vita vissuta (amori contrastati, ge-losie…), col fine dichiarato di far appassiona-re a persone e situazioni, e di far riflettere sulcontesto storico.Si pensi, infine, a come questo tipo di narra-zione permetta un felice incontro fa storia ememoria (tutto da approfondire), e al forteimpatto emotivo che essa suscita, perché sinutre di emozioni non sopite che hanno fortiricadute nel presente. Come nell’immagina-ria intervista in cui Davide Toffolo rielabora eripresenta il pensiero di Pasolini, oppure nelfumetto In Italia sono tutti maschi, in cui l’au-tore si confronta col tema dell’omosessualitàe del confino durante il fascismo, oppure nel-la ricostruzione dell’esperienza del nonnomorto durante la Prima guerra mondiale, Lagrande guerra, storia di nessuno, dove il let-tore ben presto intuisce che riportare alla lu-ce una storia è fare i conti con tutto il doloreche i ricordi possono provocare.

Proposte di lavoroSi è già detto di come le esperienze scolasti-che scarseggino; tuttavia, possiamo immagi-nare alcune modalità di impiego didattico diquesta produzione fumettistica.Proprio lo sviluppo per certi aspetti letterariodi molte di queste proposte (non dimentichia-mo che si tratta quasi sempre di graphic novel,ovvero di romanzi grafici), alcune esperienze

20. Stramboulis, Se l’immagine è in sequenza animata cit.,p. 177.

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 248

Page 256: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

249

fatte su cartoni animati21 e piste di lavoro giàesistenti22, hanno suggerito una possibile stra-da che parte dalla ricerca all’interno del rac-conto di quattro differenti elementi: ciò che èstoricamente “vero” o documentato; ciò chepotrebbe esserlo e quindi è “verosimile”; ciòche è evidentemente legato alle dinamiche nar-rative e che si può indicare come “l’avventu-ra”; ciò che è falso nel senso del non storica-mente plausibile (“l’implausibile”) e che è lega-to al fantastico, a stereotipi e ad anacronismi.Cercare all’interno di un racconto gli aspettiche caratterizzano questi quattro diversi ele-menti della narrazione potrebbe essere unatraccia di lavoro interessante, che guiderà gliallievi in un percorso dalla “storia di carta” al-la “storia reale”. Non si tratta di un semplicegioco di riconoscimento di «Vero» o «Falso» incui distinguere ciò che è storicamente docu-mentato da ciò che non è plausibile, sia nelleimmagini che nel racconto. Infatti, la specifici-tà di questo lavoro dovrebbe consistere nellacapacità di dimostrazione. Perché si accetta-no aspetti della storia come veri? Per qualemotivo si dà un giudizio di verosimiglianza enon di implausibilità ad aspetti della storia chesono dimostrati come non accaduti? A partireda questi interrogativi è possibile attivare inclasse ragionamenti e discussioni complessesull’argomento di studio, e, conseguentemen-te, ritorni sul manuale o ricerche sulla lettera-tura specifica più analitiche e approfondite.Se consideriamo un testo come quello di CortoMaltese23, il lavoro potrebbe essere più sempli-ce rispetto ad altri che si propongono come fe-deli ricostruzioni di fonti autobiografiche. Le do-mande di partenza potrebbero essere: quali so-no gli elementi propri dell’avventura? (Corto cheincontra la bella e affascinante spia tedescasposata al militare inglese, i rischi che il protago-

21. In modo particolare mi riferisco a una sperimentazio-ne di laboratorio su cartoni animati e Preistoria e uno suAsterix portati avanti da maestre della provincia di Bari e Po-tenza.22. In modo particolare ho tenuto presente, del già citatoFarné, Iconologia didattica, il paragrafo La ri-creazione delpassato a fumetti, p. 269-286, e l’ultimo capitolo di G. Mar-rone, Il fumetto fra pedagogia e racconto. Manuale di didat-tica dei comics a scuola e in biblioteca, Tunuè, Latina 2005.23. Mi riferisco qui a Sogno di un mattino di mezzo inver-no. La storia è anche presente nella parte finale del filmd’animazione di Corto Maltese Sotto la bandiera dell’oro di-stribuito da ELLEU/RAITRADE e disponibile in DCD.

nista corre mettendo in gioco la propria vita);quali gli elementi che il disegnatore avrà dovu-to immaginare anche se è partito da fonti stori-che? (in primis, quelli legati alla costruzione delpersonaggio, romantico e coraggioso); qualiquelli sicuramente inventati, legati al fantastico?(gli spiriti della tradizione inglese, le loro intenzio-ni e l’interazione con gli uomini); cosa, infine, èstoricamente fondato? (lo scenario della Primaguerra mondiale, la potenza navale tedesca, ledivise militari, l’esistenza di Stonehenge).Un altro modo di lavorare potrebbe prevede-re la lettura e l’analisi di storie diverse sullostesso tema (per esempio, il modo in cui laguerra causa la perdita delle certezze acqui-site) o lo stesso contesto storico (per esem-pio, il secondo conflitto mondiale), in modotale che il confronto agevoli i ragazzi nell’indi-viduazione degli elementi che interessano e,nello stesso tempo, dia loro modo di analizza-re più facilmente le peculiarità dello stile gra-fico e narrativo degli autori.Su questo punto, poi, sarebbe possibile realiz-zare un laboratorio che abbia fra i suoi materia-li quelle immagini e fotografie che hanno even-tualmente dato vita alle scenografie del fumet-to – come nel caso degli scatti di Robert Capaper Solo andata, ambientato dopo lo sbarco al-leato in Sicilia, e No Pasaràn, ambientato nellaSpagna della guerra civile –, cartine su cui se-gnare gli spostamenti dei protagonisti e deglieserciti, schede storiche su cui cercare la con-ferma alle corrispondenze cronologiche ecc.Le idee sono tante e la sfida è davvero tuttada raccogliere.

La Prima guerra mondiale

"H. Pratt, Corto Maltese. Sogno di unmattino di mezzo inverno, LizardEdizioni, Roma 2005.

Corto Maltese incarna l’eroe disincantato eromantico, il marinaio dallo spirito nomade eavventuriero, che, in divisa da capitano, orec-chino d’oro all’orecchio sinistro e berretto intesta, viaggia in ogni angolo del mondo.In questi suoi viaggi, iniziati in Cina durante larivolta dei Boxer, Corto vive situazioni in cuistoria e avventura si confondono, e di questicontesti l’autore cura ogni dettaglio per dareidentità storica e verosimiglianza al suo eroe,pur regalandogli alcune avventure oniriche.Così, per esempio, in Sogno di un mattino dimezzo inverno, ambientato durante la Primaguerra mondiale, Hugo Pratt ci mostra spiritidelle leggende inglesi, come la fata Morga-na, il mago Merlino, Oberon e altri, aiutareCorto Maltese a sventare un’invasione dell’In-ghilterra da parte della Germania.

"A. Di Virgilio, D. Pascutti, La grandeguerra. Storia di nessuno. Cronaca afumetti, BeccoGiallo, Padova 2008.

La Grande Guerra è scritto da Alessandro DiVirgilio e disegnato da Davide Pascutti. Il pre-testo narrativo è il ritrovamento delle strug-genti e sgrammaticate lettere scritte dal Car-so dal fante Corrado Degli Esposti alla mo-glie incinta e lontana, da parte del nipote maiconosciuto. Poiché Degli Esposti è un cogno-me che indica la paternità ignota, il fante vie-ne ribattezzato “Nessuno” dai commilitoni, edè proprio come “Nessuno” che viene seppel-lito da una donna sconosciuta che lo ha as-sistito nella fase della demenza post-bellica.Nello stesso tempo, nella famiglia legittima ilsuo ricordo è stato rimosso e anche per loroCorrado è diventato “Nessuno”. In questa sto-ria ricostruire le vicende del passato è fare iconti con il proprio presente.

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 249

Page 257: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

250

Il testo è arricchito da un’antologia di letteree stralci di diari di soldati.

Primo dopoguerra e Seconda guerra mondiale

"J. Lutes, Berlin, la città delle pietre, vol. I,Coconino Press, Bologna 2003.

È una Berlino piena di conflitti quella dise-gnata dell’americano Jason Lutes, un ampioaffresco che ritrae la capitale tedesca neglianni Trenta, colta e piena di contraddizioni,con i suoi intellettuali, i comunisti e i priminazionalsocialisti, gli artisti, i tanti poveri e isempre più numerosi antisemiti (che spessofanno parte dei tanti poveri). In definitiva è lastoria di questa città attraverso volti e storieindividuali che si inseriscono in una dimen-sione collettiva.Dinanzi a questo affresco storico, politico,sociale e artistico il lettore è avvolto e coin-volto senza bisogno di didascalie o di dia-loghi pieni di riferimenti. Colpisce la capa-cità dell’autore di trasmettere attraverso leimmagini, in una forma immeditata e sem-plice, i risultati dei cinque anni di minuzio-se ricerche storiche che sono alla base dellibro.

"D. Toffolo, Carnera, la montagna checammina, Coconino Press, Bologna2007.

Carnera è una biografia romanzata a fumetti,«un piccolo film tascabile» come lo definisceil suo autore, l’italiano Davide Toffolo, che rac-conta le vicende del pugile friulano dalla par-tenza dal suo paese d’origine alla conquistadel titolo mondiale, a New York, nel giugno del1933.La storia che Toffolo ci racconta è quelladi un uomo semplice che, grazie alle suedoti fisiche, vive il sogno americano del-l’affermazione personale e che può, graziead essa, comprare una bella casa ai proprigenitori, senza mai dimenticare il caloredel «popolo italiano che in lui ritrova l’an-tico spirito di combattente romano itali-co».

"G. Manfredi, Volto Nascosto, SergioBonelli Editore, 2007-2008.

Volto Nascosto è una miniserie storica di14 albi creata da Gianfranco Manfredi,ambientata tra Roma e l’Etiopia, tra il1889 e il 1896, sullo sfondo della primaguerra coloniale italiana. I protagonisti so-no quattro: Volto Nascosto, profeta-guer-riero che indossa una maschera d’argento,braccio destro della Regina d’Etiopia Tai-tù; Ugo Pastore, giovane romano alla ricer-ca di un ufficiale suo caro amico, dispersoin Etiopia; il suddetto ufficiale, Vittorio DeCesari, nobile, bello e coraggioso; MatildeSereni, un’affascinante e ricca gentildon-na romana. Il mondo di Volto Nascosto èambientato tra grandi battaglie, assalti, ra-pimenti e la vita dei militari prigionieri.Spesso nella fase introduttiva dell’albol’autore distingue, nelle vicende narrate,gli elementi puramente narrativi da quellifedelmente storici.

"E. Guibert, La Guerra di Alan, vol. 1,Coconino Press, Bologna 2008.

Il testo è una versione disegnata dei ricordidi Alan Ingram Cope, un veterano americanodella Seconda guerra mondiale sbarcato inFrancia nel giorno del suo ventesimo comple-anno.Nella Prefazione, Emmanuel Guibert avvertedi non aver voluto compiere una ricostruzionestorica, ma di aver voluto dare vita ai ricordi diuna persona; e infatti in questo racconto glianeddoti e le emozioni sono più importantidel quadro generale. Dalla notizia del bom-bardamento di Pearl Harbor ai lunghi mesi diaddestramento militare, fino alla partenza peril fronte francese, il primo volume di que-st’opera è fatto di paura e risate, amicizia enostalgia, attraverso numerosi rimandi fra ilpassato e quello che sarebbe accaduto suc-cessivamente ai personaggi coinvolti. Non lastoria della Grande Guerra, ma una storia nel-la Grande Guerra.

"P. Macola, Sola andata, Coconino Press,Bologna 2005.

Sola andata è un diario di guerra basato suiricordi del soldato italiano Giorgio Chiesura

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 250

Page 258: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

251

dello sbarco degli alleati e della rotta del-l’esercito italiano nell’estate del 1943 (il dia-rio è stato pubblicato da Sellerio con il titolodi Sicilia 1943). Giorgio raggiunge la Siciliaall’indomani dello sbarco alleato ed è costret-to, con l’esercito, ad una ritirata improvvisatae disorganizzata. La percezione della guerracome inutile e assurda spinge il protagonistaa consegnarsi ai tedeschi dopo la nascita del-la Repubblica di Salò. Per questa sua scelta,egli verrà internato in diversi campi per di-ciannove mesi, prima di far ritorno a casa.Giorgio non ama la violenza e non ha maisparato a nessuno: è una persona “comune”che affida al suo diario la dolente e amaradescrizione di una guerra fallita. Nei disegnidei paesaggi siciliani è evidente lo studio del-le foto di Robert Capa.

"L. de Santis, S. Colaone, In Italia sonotutti maschi. Una graphic novel sulconfino degli omosessuali durante ilfascismo, Kappa Edizioni, Bologna2008.

In Italia sono tutti maschi è un romanzo afumetti che, attraverso il racconto di una dif-ficile intervista lunga un viaggio da Salernoalle isole Tremiti, mette in tavola il rapporto frastoria e memoria. L’opera, infatti, non è soloun espediente per raccontare, attraverso i ri-cordi del “femminiello Ninella”, il confino du-rante il fascismo degli omosessuali nell’iso-la di San Domino delle Tremiti, ma la difficol-tà di portare alla luce e di elaborare un cer-to passato che ha ancora ricadute sul pre-sente.

"S. Staino, G. Carino, Il fucile e la rosa.Episodi della Resistenza Marchigiana nel

ricordo di un protagonista, Comune diFalconara Marittima, Stampa 2005.

Il racconto è giocato sul rapporto tra situazio-ni distanti nel tempo, collegate dal ricordo diun ex partigiano e dal casuale ritrovamentodi un piccolo deposito di armi da lui nascostesubito dopo la Resistenza. Quest’episodio ser-ve come base per una serie di flash-back re-lativi a episodi della guerra partigiana nellazona di Ancona: la situazione dall’8 settembrefino all’occupazione tedesca; la scelta atten-dista assunta nella riunione di Invernale diCessapalombo; l’eccidio nazifascista del 22marzo a Montalto; lo scontro di Monastero,in cui i partigiani ebbero la meglio.

"S. Staino, Montemaggio. Una storiapartigiana, supplemento a «l’Unità», 29ottobre 2003.

"(scheda rielaborata da:http://www.unisinforma.net)

Il libro narra gli eventi legati all’eccidio di Mon-temaggio, la fucilazione di 19 giovani parti-giani nelle zone tra Colle Val d’Elsa e Volterra,in provincia di Siena, nell’ottobre del 1943. Ilracconto si basa sulla testimonianza dell’uni-co sopravissuto, Vittorio Meoni, che ne è an-che il protagonista principale.

Sergio Staino ha definito il suo «un lavoro dimemoria storica». «Nel mio libro – scrive – iprotagonisti, quei 19 giovani partigiani di Ca-sa Giubileo, si comportano come i ragazzi dioggi, con le paure e le aspettative dei giova-ni, con ideali di libertà e giustizia, con un di-verso contatto, però, con la natura, la vita dipaese, con una diversa qualità e quantità dirapporti».

"S. Mezzavilla, E. Barison, A. Fossa (a curadi), Storie dal 7 aprile, raccontare lamemoria a fumetti, Canova SocietàLibraria Editrice, Treviso 2005.

Il libro nasce dal progetto di didattica dellastoria «Storie dal 7 aprile» curato dal CSA diTreviso, ed è formato da sei storie create dastudenti delle scuole superiori che racconta-no il dramma del bombardamento di Trevisodel 7 aprile 1944.«Il fumetto è terreno di emozioni – spiega Ste-fano Mezzavilla – gli studenti hanno lavoratoper tirare fuori i drammi vissuti. Attraverso lememorie e le testimonianze. Le sei storie rac-contate si soffermano su quello che è acca-duto nelle coscienze, il malessere». Sono na-te così strisce in bianco e nero i cui protago-nisti sono personaggi realmente esistiti, co-me il fotografo Gilmo Gobbi, oppure sono sta-ti inventati.

"A. Laprovitera, D. Pascutti, Il maestro,Tunué 2008.

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 251

Page 259: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

252

In un paesino della provincia italiana, la Se-conda guerra mondiale sconvolge la vita ditutti, e in particolare quella di un maestro discuola elementare, il quale, attraverso la poe-sia, cerca di dare coraggio e speranza ai suoigiovani alunni. In questo scenario, la poesia ela guerra fanno da sfondo controverso anchealla sua difficile storia d’amore con Maria.

"E. Heuvel, A family secret, Anne FrankHouse/Resistance Museum Friesland,2005.

Il racconto illustrato è quello che la nonnaHelena fa al disinformato nipote, descriven-dogli la storia della propria famiglia a parti-re da alcuni documenti ritrovati in soffitta.Prendono così vita, in un’accattivante vestegrafica, le vicende olandesi di questo perio-do, dalle forme di collaborazionismo, più omeno partecipi, con i nazisti, alla resistenzaorganizzata e alla situazione degli ebrei, dal-la realtà delle colonie delle Indie Orientalidurante e dopo l’occupazione giapponese,alla fine della guerra e alla difficoltà della ri-presa.

"V. Giardino, No Pasaràn, Lizard Edizioni,Roma 2000 (vol. I)-2002 (vol. II)-2008(vol. III).

Sono stati necessari tre volumi per racconta-re questa avventura di Max Fridman, agiatocommerciante di tabacco, ebreo di originefrancese, che vive a Ginevra con la figlia ado-lescente e che parte per la Spagna alla ricer-ca di un amico disperso nelle vicende dellaguerra civile spagnola. La ricerca che Fridmancompie, nelle vesti di fotoreporter, permettedi attraversare le sorti della guerra con-viven-do i timori, le speranze, i disagi e le difficoltàdi quei momenti.Il lavoro di Vittorio Giardino è ricco di cartine,disegni e delle foto di Robert Capa, oltre cheimpregnato dei racconti di chi quella guerra l’-ha vissuta in prima persona.

"Á. de la Calle, Modotti, voll. 2, 001Edizioni, 2007-2008.

"http://www.mangaforever.net/pdf/print.php?ind=reviews&id=348

Due volumi per raccontare l’avventurosa vitadi Tina Modotti, emigrante italiana di SanFrancisco, diventata fotografa, stella di Holly-wood (del cinema muto), modella di fotogra-fi e pittori. Amante di artisti e politici di rilievo,nonché militante comunista a sua volta, com-battente delle Brigate Internazionali in Spa-gna, la Modotti fu anche amica di Pablo Ne-ruda, Antonio Machado, Robert Capa ed ErnstHemingway.Durante la narrazione biografica, Ángel de laCalle inserisce varie digressioni con cui ci rac-conta come ha vissuto le varie fasi di docu-mentazione e le fonti che l’hanno portato arealizzare questo libro.

"Scuola Romana del Fumetto, La lotta perla liberazione di Roma. 8 settembre1943-4 giugno 1944, Introduzione di W.

Veltroni, Edizioni Anicia, Roma stampa2006.

Le vicende storiche presentate nel libro sonoripercorse attraverso la narrazione delle sortidei due protagonisti che si sposano, lottano esperano con i partigiani e con la popolazioneromana, e alla fine, in perfetta sincronia conla liberazione d’Italia, danno alla luce unabimba per la quale scelgono il simbolico no-me di Libera.Il racconto è schiacciato fra le vicende perso-nali dei protagonisti e il contesto storico, in unveloce accavallarsi degli eventi più importanti.La narrazione non è sempre fluida e l’impres-sione che si ha è che le vicende personali sia-no solo un pretesto per narrare “le cose vera-mente importanti” dal punto di vista storico.

"G. C. Cuccolini, C. Dall’Orso (a cura di),DUX STRIP, Mussolini a fumetti, Il PennyEdizioni, Firenze 2002.

Non si tratta di un fumetto o di un romanzo,ma del catalogo di una mostra sulla presenzadi Mussolini nella stampa a fumetti italiana edestera fino ai giorni nostri. Le immagini sonosupportate da alcuni saggi che permettono dicontestualizzarle e di problematizzarle. Pococompare il duce nei fumetti fascisti mentre è

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 252

Page 260: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

253

molto più presente in quelli satirici, principal-mente stranieri. In Italia lo incontriamo soprat-tutto nel Dopoguerra all’interno delle diverse“storie illustrate”, da quelle curate da Enzo Bia-gi a quelle per le riviste per ragazzi come «Ilgiornalino» e «Il corriere dei piccoli», di cui Clau-dio Dell’Orso non manca di evidenziare la mag-giore o minore attinenza con la ricostruzionestorica e/o l’evidente intento didascalico.

Seconda metà del Novecento

"Baru-Thévenet, Verso l’America,Coconino Press, Bologna 2002.

Verso l’America è ambientato nel 1958 e rac-conta di Said Boudiaf, un giovane pugile di gran-dissimo talento che lasciò l’Algeria per cercarefortuna a Parigi, dove divenne un pugile famo-so, ma dove si trovò a fare i conti con la storiadel suo Paese e le lotte per la conquista del-l’indipendenza algerina. Il pugile dovette infattiscegliere se sostenere l’FLN (il Fronte di Libera-zione Nazionale algerino, che tra i suoi leaderannovera proprio il fratello di Said, Alì Boudiaf)o rinnegare le sue origini e la sua gente a favo-re del governo francese. Trovandosi schiacciatotra dinamiche più grandi di lui, Said avrebbevoluto solo boxare, ma ebbe un destino diverso.

"N. Maslov, Siberia, Alet edizioni, Padova2007.

Siberia è un racconto autobiografico in cui lavita dell’autore, Nicolaj Maslov, si interseca congli ultimi vent’anni di storia dell’Unione Sovie-tica: dalla propaganda martellante sui banchidi scuola, al servizio militare nell’Armata Ros-sa in Mongolia, al ritrovamento di fosse comu-ni in un gulag di Tomsk, all’apprendistato fru-strante di un’arte conformata e celebrativa, al-la drammatica esperienza in un ospedale psi-chiatrico (dove il protagonista viene rinchiusodopo la morte del fratello), fino all’incontrocon numerose esistenze devastate dall’alcolvissuto come unica fonte di salvezza.

"A. Breccia, E. Breccia, H. Oesterheld,Che. Un romanzo grafico rivoluzionario, acura di P. La Forgia, Prefazione di G. Fofi,Rizzoli, Milano 2007.

"(scheda rielaborata dahttp://www.24sette.it/sclibro.php?isbn=1701847;http://libreriarizzoli.corriere.it/libro/breccia_enrique_oesterheld_martin-che.aspx?ean=9788817018470

Questo romanzo a fumetti su Ernesto CheGuevara, uscito in Argentina nel 1968, a unanno dalla scomparsa del Che, racconta acapitoli alternati la spedizione in Bolivia che loportò alla morte (con disegni di Enrique Brec-cia) e le vicende biografiche (narrate dal pa-dre, Alberto Breccia). Le due dimensioni tem-porali si incrociano e intersecano di continuo,l’una, quella degli ultimi giorni, decompressae dettagliata, l’altra, quella biografica, dai rit-mi rapidi e quasi riassuntivi.Uscito a puntate su una rivista, nel 1968, epoi in un unico volume, venne messo al ban-do nel 1973. Nel 1976 gli autori, per sfuggi-re alle persecuzioni della neonata dittaturamilitare, distrussero tutte le copie in loro pos-

sesso, meno una che seppellirono in giardino.Solo nel 1987 il libro venne ristampato inSpagna, e poi, negli anni Novanta, in Italia.Che, secondo Goffredo Fofi, è «molto di piùche una bella biografia a fumetti dell’eroe ri-voluzionario, è una testimonianza di adesionemorale e politica ai suoi ideali».

"H. Pekar, G. Dumm, P. Buhle, Studenticontro il potere: la storia dell’SDS, ilmovimento studentesco protagonista del‘68 americano, traduzione a cura di F. Grillenzoni, Alet edizioni, Padova 2008.

"(scheda tratta da:http://www.aletedizioni.it/catalogo/dettagli.asp?ISBN=978-88-7520-047-3)

Le lotte e gli ideali di una generazione convin-ta che il contributo di ogni singola persona po-tesse davvero cambiare le sorti del mondo.Una documentata, appassionata e accessibi-le storia del movimento radicale americano,fondato negli anni Sessanta e all’origine di tut-ta la contestazione giovanile successiva. Lalotta contro la guerra, il razzismo, la discrimina-zione sessuale dominanti allora: dalla nascitadel movimento per la pace e i diritti civili allemanifestazioni di massa contro la guerra inVietnam. Un pezzo di storia americana ripropo-sto attraverso le testimonianze inedite e le graf-fianti immagini di chi ha vissuto quei giorni.

"M. Satrapi, Persepolis, Lizard Edizioni,Roma 2007.

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 253

Page 261: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

254

Persepolis è un fumetto realizzato dalla ira-niana Marjane Satrapi nel 2000.L’opera si presenta sotto forma di autobiogra-fia romanzata, e delle autobiografie contienetutte le caratteristiche. L’infanzia e il progredi-re di un regime islamico sempre più oppri-mente, i ricordi di guerra, la difficoltà della vi-ta in Europa per un’esule islamica, ma anchevicende più strettamente personali e indivi-duali, come il matrimonio o la depressione,sono un esempio dei temi raccontati.Persepolis è, nelle intenzioni dichiarate dell’Au-trice, un fumetto per gli occidentali: tante, infat-ti, sono le spiegazioni fornite sulla vita quoti-diana – superflue per un lettore iraniano – sen-za che ciò ne svilisca le qualità narrative.

"D. Toffolo, Pasolini, Coconino Press,Bolgona 2005.

Pasolini è un’opera complessa: è la storia diun’intervista immaginaria; è una raccolta distralci di interviste e di testimonianze legate aPasolini quand’era ancora in vita; è il diariodel percorso immaginario che porta Toffolo,fisicamente, nei luoghi cari al poeta, intellet-tualmente, nel difficile rapporto di quest’ulti-mo con la società italiana.Questa irreale intervista è la strada che permet-te all’autore di confrontarsi con il pensiero delpoeta e di farlo nuovamente emergere, rivendi-cando la validità di una voce tanto controversa.

"J. Sacco, Palestina. Una nazioneoccupata, A. Mondadori, Milano 2006.

Il libro racconta l’inchiesta che il giornalistaamericano Joe Sacco realizzò tra la fine del1991 e l’inizio del 1992, quando trascorsedue mesi in Medio Oriente, tra Israele e i ter-ritori occupati. Una fotografia della prima in-tifada contro l’occupazione d’Israele, comelui stesso la definisce.Si tratta di un’opera che lascia il segno. L’au-tore è interno alle storie che racconta (e algrande affresco complessivo che prende for-ma): lo vediamo aggirarsi fra le persone, par-lare con adulti e bambini, stringere amicizie.È il racconto di un percorso di avvicinamentoad un mondo che egli stesso non riesce acomprendere con immediatezza, perché lui,come tanti di noi, «è cresciuto nei quartieriresidenziali di periferia, dove l’orrore lo trova-vi solo al cinema».

"J. Sacco, GoraÏde. Area protetta, Laguerra in Bosnia 1992-95, A. Mondadori,Milano 2006.

In quest’opera Joe Sacco racconta gli orrorivissuti dagli abitanti di GoraÏde durante unaguerra che ha visto l’attenzione dei mediaconcentrata sulla città di Sarajevo. Lo stile èlo stesso di Palestina: giornalistico, ma an-che drammaticamente coinvolgente ed em-patico. GoraÏde, piccola città della Bosniaorientale, rimase isolata all’interno dei terri-tori serbi durante la guerra: un’enclave mu-sulmana sottoposta alla pulizia etnica dei cet-nici. Le immagini raccontano drammi violen-ti: corpi smembrati, assassini di massa, stupri,una fame disperata, e una disperata voglia divivere. Ancora una volta l’autore è nella storiache descrive, con le persone che raccontanoe soffrono, che sognano un futuro e che glichiedono un paio di jeans da Sarajevo. An-cora una volta è il tentativo di Sacco di com-prendere come sia potuta accadere una cosasimile che avvince il lettore malgrado gli orro-ri che gli vengono mostrati.

Il tempo presente

"A. Spiegelman, L’Ombra delle Torri,Einaudi, Torino 2004.

"(scheda riadattata dahttp://www.hideout.it/index.php3?page=notizia&id=1181)

Arthur Spiegelman racconta in questo libro lasua esperienza di ebreo americano residente aNew York, laddove l’11 settembre 2001 sonoscomparse le Torri Gemelle. In quest’opera Spie-gelman dà vita ai suoi ricordi, al flusso incontrol-lato di paura e stupore e al caotico susseguirsidi pensieri che invase la sua mente. Inoltre lamortale consapevolezza di una lenta ma ineso-rabile fine del mondo manda a gambe all’ariasia il mondo delle vignette, sia quello politico esociale dell’America contemporanea. Al contra-rio di tante altre produzioni legate all’attentatodell’11 settembre, questo lavoro appare privodi artifici retorici e luoghi comuni.

"E. Colón, S. Jacobson, 9/11. Il rapportoillustrato sull’11 settembre, Alet edizioni,Padova 2006.

"(scheda tratta dalla quarta di copertina)

«Non è una drammatizzazione di quanto acca-duto, ma la storia di un’investigazione. Non èfiction, ma “graphic journalism”. Con il lin-guaggio del fumetto agile e accessibile a tut-ti, in particolare alle nuove generazioni, i due

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 254

Page 262: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

255

autori hanno segnato una svolta nella storiadel grande giornalismo d’inchiesta e di infor-mazione. Questi sono disegni che catturano illettore, conducendolo pian piano dentro ilventre molle e nero del conflitto globale odier-no e lasciandolo alla fine imbambolato esconvolto davanti alla barbarie del nostro tem-po. Ma di sicuro lasciandolo anche molto piùconsapevole su quanto è accaduto. Denso eilluminante come un saggio di qualità, velocecome un film d’azione, pieno di pathos comeun romanzo, 9/11. Il Rapporto illustrato sul-l’11 settembre, rivoluziona il modo attuale diraccontare la storia».Al libro è dedicato un mini-sito: http://www.aletedizioni.it/9-11/

"G. Delisle, Pyongyang, traduzione di A.De Ritis, Fusi orari, Roma 2006.

"(scheda tratta da:http://www.fusiorari.it/delisle.htm;

"http://www.novamag.it/dblog/articolo.asp?articolo=151)

Guy Delisle è un autore di fumetti canadeseche lavora nel campo dell’animazione e che,per motivi di lavoro, nel 2001 ha passato duemesi nella città nord-coreana di Pyongyang,osservando con i propri occhi la vita all’ombradella dittatura comunista che regna nel Pae-se. Il libro mostra la vita dell’autore – ogniospite straniero deve andare in giro accompa-gnato da una guida-interprete e da un autista– intrecciata con quelle delle persone chequesti incontra sul lavoro, in albergo, per stra-da (le rare volte che riesce ad ingannare lavigilanza dei suoi accompagnatori).La drammaticità delle condizioni di vita or-welliane dei nord-coreani è resa con un trat-to essenziale e con una levità del raccontoche consentono all’autore di essere diverten-

te ed ironico nel raccontare le contraddizioni,le singolarità, gli imbarazzi culturali nei quali siimbatte lo straniero catapultato in quello cheappare come un altro pianeta.

"B. K. Vaughan, N. Henrichon, L’orgoglio diBagdad, Planeta De Agostini, Barcellona2007.

Una favola amara e dal tragico finale è quellache ci viene regalata con questo libro che pren-de spunto da un episodio reale. Nella primave-ra del 2003, un piccolo branco di leoni scappòdallo zoo di Baghdad durante il bombardamen-to causato da un raid americano. Da questoepisodio si sviluppa la storia i cui protagonistisono quattro leoni (tre adulti e un cucciolo) chepersi, confusi, affamati e disorientati dall’im-provvisa libertà, vagano per le strade devastatedi Baghdad, fino a quando non saranno uccisidai soldati americani. La storia narrata è quel-la della perdita di senso causata dalla guerra,nel mondo degli animali come in quello degliuomini, e quella di un conflitto che il lettore per-cepisce chiaramente nelle devastazioni, nellearmi tecnologiche e nelle divise dei soldati.

"E. Fucecchi, Politik. Da Tangentopoli alduello finale. Storia della SecondaRepubblica, Sperling & Kupfer Editori,Milano 2007.

"(scheda tratta da:http://www.flashfumetto.it/produzioni/news_pagina/id-172)

Emanuele Fucecchi ha provato in questo volu-me a raccontare la storia politica italiana più re-cente attraverso i fumetti. Politik è un reporta-ge a fumetti sulla storia di questi anni: una gra-phic novel dalla tecnica originale, unita a unlavoro giornalistico, per passare al setaccio del-l’ultimo quindicennio di politica, miserie e pre-tese raffinatezze. Il lavoro non si propone comesatira, ma come una vera e propria narrazione“storica”, basata su fonti giornalistiche.

"G. Bardi, G. Gamberini, Dossier GenovaG8. Il rapporto illustrato della Procura diGenova sui fatti della scuola Diaz,BeccoGiallo, Padova 2008.

Questo lavoro pubblicato dalla casa editriceBeccoGiallo ricostruisce, basandosi sulla “Me-moria Illustrativa” redatta dalla Procura dellaRepubblica di Genova, le testimonianze, gli in-terrogatori, i filmati originali e le registrazionisonore presentate in sede processuale sui fat-ti avvenuti alla scuola Diaz durante il G8 del2001. Il filo narrativo è costruito attraverso ladettatura dei verbali, verosimile questa volta,da parte di un funzionario ad un agente, i cuipensieri si pongono come argine del buon sen-so all’assurdità dell’accaduto. Il volume è arric-chito da interviste, da una cronistoria e da unabibliografia di approfondimento.

"E. Biagi, La nuova storia del mondo afumetti. Dalla preistoria ai giorni nostri,A. Mondadori, Milano 2005.

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 255

Page 263: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

256

In questo testo Enzo Biagi racconta eventi epersonaggi significativi per la storia del mon-do. In realtà non siamo di fronte a fumetti, maad illustrazioni. Sfruttando il fumetto, Biagi haricostruito e narrato eventi di tutto il globo.L’impostazione è quella giornalistica e Biagispesso ricorre a finestre esterne rispetto alracconto illustrato in cui spiega, per esempio,l’importanza di personaggi come Michail Gor-bacëv o Mao Tse-tung, oppure racconta i suoiincontri con uomini importanti. Ogni capitoloè inoltre corredato da una cronologia e daidati principali dei paesi trattati nel racconto.

Elena Musci

Un mondo di «carta»e di «carte»: gli stereotipi della geografia nei sussidiari italiani

Partendo dalla considerazione che la scuo-la è uno dei luoghi più significativi di co-

struzione di una cultura condivisa, EnricoSquarcina nel suo bel saggio Un mondo dicarta e di carte analizza i libri di testo delleelementari dal punto di vista della geopoliti-ca critica, cioè di quella corrente di pensierogeopolitico venuta alla luce nei primi anni No-vanta del Novecento nel mondo anglosasso-ne. Mentre è diffusa la coscienza che la sto-ria, soprattutto nel racconto che se ne fa at-traverso i manuali scolastici, può essere stru-mento di condizionamento identitario (G. Pro-cacci, Carte d’identità, Carocci, FondazioneIstituto Gramsci, AM&D Edizioni, Roma 2005),molto meno si è coscienti del ruolo – altret-

E. Squarcina, Un mondo di carta e dicarte, Guerini scientifica, Milano 2007,pp. 200, " 20,00.

3

tanto importante – giocato dalla geografia, edalla geografia politica in particolare. È sottogli occhi di tutti che la geografia serve a dareuna visione del mondo, una visione cartogra-ficamente supportata, ma troppo spesso siscambia la carta geografica con qualcosa diuniversalmente condiviso, oggettivamente da-to, scientificamente neutro. «Geografia signi-fica potere», è l’affermazione con cui G. O.Tuathail inizia Critical Geopolitics (University ofMinnesota Press, Minneapolis 1996), un li-bro divenuto un classico della geografia poli-tica mondiale, in cui in vengono rielaboratein chiave decostruttivista le tesi espresse daLucio Gambi (Una geografia per la storia, Ei-naudi, Torino 1973), in Italia, e da Yves Laco-ste (La Géographie ca sert d’abord a faire laguerre, Maspero, Parigi 1976), in Francia.Non che la geografia sia meno innocente dialtre discipline, ma la sua veste cartografico-matematica, la misurazione dello spazio, ladescrizione di paesaggi, la regionalizzazione,contribuiscono a meglio nascondere il fattoche, alla pari delle altre, è “discorso narrativo”storicamente, politicamente e socialmenteconnotato. Così i libri di testo, o meglio i sus-sidiari delle scuole elementari analizzati daSquarcina, diventano strumenti di popular geo-politcs, cioè di costruzione di un ‘senso comu-ne geopolitico’, basato sui concetti di Stato,nazione, confini, capitali e punti cardinali. Attra-verso questa lente di analisi della sezione geo-grafica di un campione di 38 sussidiari, pub-blicati tra il 1989 e il 2003, l’autore si è postoil compito di mettere in risalto gli stereotipi dalpunto di vista concettuale, premettendo un in-quadramento storico sui mutamenti dei pro-grammi scolastici avvenuti nello stesso perio-do. I libri di testo diventano in questo modouna specie di pretesto per riflettere su comedefinizioni ricorrenti, accettate come dati di re-altà, siano invece precise prese di posizione, vi-sioni parziali di concetti o fenomeni. Ciò è chia-ro fin dalla presentazione della disciplina, cioèdalle definizioni che vengono date di geografiae di geografo: una scienza e uno scienziatocaratterizzate non tanto dall’oggetto di studioquanto da una compattezza e oggettività me-todologica, che la stessa ricerca geograficacontemporanea – molto variegata – pone indubbio. Si prosegue poi con l’analisi di come

sono trattati concetti come Stato e nazione,molto spesso usati come sinonimi, e senzamai fornirne una spiegazione in termini stori-ci, ma solo come elementi identitari: in tal mo-do si passa ai discenti l’idea che non esista, nésia mai esistita altra possibilità che quella del-lo Stato nazionale. Allo stesso modo si parla diconfini: in un testo del 2001 possiamo legge-re: «I confini fra gli Stati possono essere natu-rali oppure convenzionali, cioè stabiliti dagliuomini»: come dire che alcuni confini statalisono stabiliti per natura! Anche la regionaliz-zazione delle macroaree (continenti) è basataspesso sul raggruppamento degli Stati piutto-sto che su altri criteri, quasi a voler sottolinea-re come lo Stato (nazionale moderno) siaun’unità di base fondamentale, da cui diven-ta molto difficile prendere le distanze, a cui di-venta quasi impossibile trovare alternative. Unintero capitolo (pp. 85-109) è dedicato al-l’analisi della cartografia nei libri di testo, acome cioè la carta geografica venga «presen-tata come succedaneo della realtà», non per-mettendone una visione critica e senza forni-re alternative di rappresentazione cartografi-ca. Un altro capitolo si occupa direttamentedi come attraverso le categorie interpretativemetageografiche (i concetti di Nord e Sud delmondo, quelli di Oriente e Occidente) vengatrasmesso un discorso identitario falsamente“naturale”. Infine, il volume si conclude conun’approfondita analisi – a cura di F. Martega-ni – sull’uso della fotografia e degli apparatiiconografici. Da questi pochi esempi, e ripen-sando ai libri di testo che ci passano numero-si per le mani, si capisce come non si tratti dicasi isolati di stesura superficiale da parte diun particolare autore, ma di un fenomenocompatto di concordanza, di applicazione, ap-punto, di un “senso comune” gramscianamen-te inteso.Come lo stesso Squarcina denuncia nella Pre-fazione, manca un’analisi della qualità didat-tica, che avrebbe definitivamente completatol’argomento, ma che avrebbe richiesto, allostesso tempo, una doverosa connotazionestorica dei numerosi e importanti cambiamen-ti che in tale campo si sono avuti nel corsodegli ultimi vent’anni. Certamente la letturadi questo testo apre continuamente nuovi pro-blemi e nuovi interrogativi sia sui manuali de-

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 256

Page 264: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

257

gli altri ordini di scuole, sia su quelli di altripaesi, sia su quali mutamenti ancora hannointrodotto le diverse Indicazioni nazionali. L’im-portante è che il lavoro sia stato iniziato conchiarezza e rigore metodologico: un ottimopunto di partenza per proseguire nell’analisi.

Maria Teresa di Palma

Il mondo visto dal Sud

Guida del Mondo - Il Mondo visto dal Sud2007/08 invita il lettore a osservare la re-

altà planetaria in modo poliprospettico e con-testualmente sinottico, e lo incoraggia ad adot-tare un punto di vista assai meno centrato et-nicamente e culturalmente di quello assuntod’abitudine. È opera di un’équipe editoriale del-l’Instituto Tercer Mundo, supervisionata da AmirHamed, mentre all’edizione italiana, principal-mente curata dalla EMI, hanno contribuito unasignificativa compagine di organizzazioni nongovernative e di associazioni per lo sviluppoumano. Si propone come “guida alternativa”per affrontare un viaggio attraverso tutti i pae-si del mondo e per conoscerne le loro com-plesse realtà. E alternativa lo è davvero, in tut-te le sue parti e per diversi motivi.Il volume è diviso in tre macrounità intitolate,rispettivamente, «Temi globali», «Paesi delMondo» e «Tutto il mondo in cifre», ciascunadelle quali promuove un ampliamento dellaprospettiva d’analisi oltre che un vero e pro-prio decentramento cognitivo, spaziale, cul-turale. Il fruitore è invitato a sentirsi responsa-bile, parte integrante del sistema mondo ed ècostantemente obbligato a mantenere, neiconfronti dei contenuti dell’opera, un atteg-giamento coinvolto e mai passivo.

Guida del Mondo - Il Mondo visto dalSud 2007-08, EMI, Bologna 2007, pp.608, " 39,00.

4

La sezione «Temi globali» si concentra nellosmantellamento di alcuni alibi e stereotipi cheil mondo cosiddetto “sviluppato” si crea neiconfronti dei paesi in cui il progresso, la tecno-logia, il rispetto dei diritti umani faticano anco-ra a divenire caratteristiche strutturali della po-litica e della società. Tra le altre questioni vie-ne chiamata in causa quella degli aiuti uma-nitari, non sempre utili per coloro che li ricevo-no (spesso si tratta di azioni non preventivabi-li dai paesi beneficiari e, quindi, non impiega-bili al meglio nella progettazione territoriale fi-nalizzata al risanamento della situazione socio-economica e culturale), e, talvolta, poco disin-teressati per coloro i quali li concedono (comenel citato caso statunitense, dove contributiumanitari sono stati stanziati per rafforzare lecompagnie petrolifere di quei paesi a econo-mia povera, necessarie per affrancare gli Sta-ti Uniti dal ricatto mediorientale).Con toni analoghi, sul fronte del superamentodegli stereotipi, vengono esaminate le questio-ni del debito estero, della situazione delle don-ne e delle minoranze etniche, dell’accessibili-tà della comunicazione e della governance diinternet, del controllo sui governi di sinistradell’America Latina operato da paesi dotati dimaggior prestigio a livello internazionale.Una particolare attenzione merita la riflessio-ne introdotta sul cambiamento di significatoregistrato dal concetto di sicurezza, per il qua-le si è assistito al passaggio dell’accezione di«sicurezza di Stato» a quella di «sicurezzaumana». Questo è avvenuto soprattutto dopogli attentati terroristici degli ultimi anni, a se-guito dei quali quel sogno di invulnerabilitàtipico dei paesi-guida dell’economia mondia-le si è per sempre infranto, lasciando campoal dominio di una paura che non ha confini,né eserciti in grado di annientarlo.La seconda sezione, «Paesi del Mondo», ècomposta da un cospicuo numero di schedeillustrative degli Stati. Si configura comeun’unità molto densa di notizie, in cui l’adozio-ne di un punto di vista critico è favorita sen-sibilmente dalla qualità e dalla tipologia del-le notizie riportate.Ciascuna scheda presenta una parte discor-siva e una parte iconografica. Rientrano nel-la prima i dati essenziali (popolazione, super-ficie, capitale, moneta, lingua), l’approfondi-

mento storico, la sinossi riguardante l’ambien-te, la società, lo Stato e il box «In primo pia-no», destinato a ospitare aggiornamenti suquestioni ambientali e problemi legati al man-cato riconoscimento dei diritti umani. La par-te iconografica, invece, si compone di due ele-menti: tavole o grafici con dati riguardanti l’im-porto della spesa pubblica, l’uso della terra ei tassi di occupazione/disoccupazione; duecarte geografiche, finalizzate, rispettivamente,a fornire indicazioni sull’ubicazione del paesee sulla sua collocazione all’interno della re-gione geografica di appartenenza.Completano la scheda il nome del paesescritto anche in lingua locale e alcuni dati per-centuale significativi in termini di sviluppo so-stenibile, tra cui l’aspettativa di vita, il PNLprocapite, il rapporto tra tasso di alfabetismoe quello di analfabetismo, il tasso di diffusio-ne dell’HIV/AIDS, della mortalità infantile sot-to i 5 anni ecc.Il rigore dell’ordine alfabetico scelto come cri-terio di sistemazione delle schede contrastasensibilmente con la plasticità del profilo com-plessivo dello Stato che scaturisce dalla let-tura delle notizie reperibili dalle unità verbali eiconiche che le compongono. L’approfondi-mento storico iniziale, ad esempio, riporta in-formazioni tratte da fonti abitualmente malconsiderate e poco accreditate, quali le pub-blicazioni di centri di documentazione localiche danno voce anche alle testimonianze del-le minoranze etniche e linguistiche. Optare peruna siffatta impostazione significa offrire l’op-portunità di ampliare di secoli la conoscenzadella storia di un paese ed estendere sensibil-mente il numero dei suoi protagonisti, supe-rando lo stereotipo comune secondo il qualela storia di un territorio inizia solo dopo l’arri-vo degli europei e restituendo dignità a tuttequelle categorie sociali solitamente esclusedalla grande narrazione storica.Certo, lo spazio destinato ad ospitare la si-nossi – ambiente, società, Stato – è po’ sbilan-ciato in rapporto al dettaglio dei contenutiche, invece, propone l’unità di approfondi-mento storico. Tuttavia i box «In primo piano»permettono di integrare ampiamente le infor-mazioni geografiche e di farlo in modo pro-blematico, il che attribuisce al paese trattatoun certo dinamismo e gli conferisce una fi-

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 257

Page 265: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

258

sionomia plastica, cangiante, autentica, lonta-na da quella granitica tipica dei libri di testo.In questa nutrita sezione ogni cosa sembra ar-ticolarsi attorno all’idea di rispetto dell’altrui di-versità, di visione glocale, sistemica e trasver-sale, in un crescendo di apertura all’“altro” so-stenuto dalla costante messa in discussionedei propri paradigmi di riferimento, dal ripensa-mento del significato del concetto di «benesse-re», dallo spostamento del baricentro cultura-le in direzione della ricerca di una maggioreequità interregionale e intergenerazionale.L’ultima sezione, «Tutto il mondo in cifre», siconfigura come una ricca raccolta di dati sta-tistici inerenti vari indici di sviluppo umano,tra cui quelli demografici, economici, sanitario inerenti l’istruzione, le comunicazioni, il com-mercio, la situazione delle donne ecc. La scel-ta di indicatori risulta significativa nella misu-ra in cui si invita implicitamente il lettore a ri-flettere sul significato e sul valore puramenteeconomico che abitualmente vengono attri-buiti ai termini di «benessere» e di «svilup-po». Accostamenti, questi, pericolosi, fuorvian-ti e, tuttavia, assai resistenti, se si pensa cheattualmente la modalità di classificazione deipaesi del mondo più diffusa – e spesso adot-tata anche da studiosi di fama internaziona-le, magari pure sensibili alla questione inter-culturale – continua ad articolarsi attorno avariazioni della vecchia formula paesi svilup-pati/paesi non sviluppati (paesi in via di svi-luppo/paesi sviluppati; paesi ricchi/paesi po-veri; paesi a economia forte/paesi a econo-mia debole ecc.).Visto con lo sguardo di chi studia e insegnageografia per e nella scuola, il volume si pre-senta molto più ricco di un semplice strumen-to di consultazione. Usato come sussidio di-dattico, può offrire ai docenti un’ottima occasio-ne per proporre una geografia più viva, concre-ta, attuale e utile a vivere e ad orientarsi nellacomplessità del moderno. È anche attraversoattività programmate su materiali come quellipresenti nella Guida del mondo che la geogra-fia può ritrovare il suo prestigio in una scuolache non dovrebbe mai dimenticarne o trascu-rarne le potenzialità educative in rapporto allaformazione di cittadini dell’oggi e del futuro.

Catia Brunelli

Storie e racconti sul Mediterraneo

Cos’è il Mediterraneo? Qual è il caratterespecifico della «mediterraneità»? Esiste

un solo Mediterraneo o più Mediterranei? InMediterraneo. Immagini, storie e teorie daOmero a Braudel, Scipione Guarracino si in-terroga sul valore di un concetto che ha avu-to una lunga fortuna, abbracciando il model-lo interpretativo dello storico francese FernandBraudel ed elaborando un percorso evocativoricco di suggestioni letterarie, da Omero adAbram Yehoshua.Mediterraneo significa letteralmente ‘in mez-zo alle terre’. Stretto tra il Sud dell’Europa,l’Africa settentrionale, il Medio Oriente e l’AsiaMinore si presenta come un mare chiuso tra lemontagne e i deserti. Si tratta di un bacino diciviltà e di culture diverse in cui il primo ele-mento di unità, climatico e ambientale, è ca-ratterizzato da forti contrasti: mare/montagna,mare/deserto, mare/oceano. In quest’area for-mata da microregioni così diverse tra loro adeterminare l’unità spaziale è stata soprattut-to la «costruzione» umana e storica: il Mediter-raneo – ricorda Braudel – è quale lo fanno gliuomini, viaggiatori, mercanti, coloni e cittadini.Ciò che accomuna le popolazioni mediterra-nee è, infatti, una caratterizzazione ambienta-le che ha spinto gli abitanti di quest’area a di-venire uomini di mare. Sono stati l’emigrazio-ne e il commercio – vocazione primaria dellecittà mediterranee – a stimolare il caratteristi-co sviluppo urbano. L’urbanesimo legato agliscambi commerciali e il cosmopolitismo so-no due elementi che emergono chiaramentecome tipici del bacino mediterraneo. Più checome un’area omogenea, il Mediterraneo sipresenta articolato in microregioni molto di-verse tra loro, che intrattengono una fitta trama

S. Guarracino, Mediterraneo. Immagini,storie e teorie da Omero a Braudel,Bruno Mondadori, Milano 2007, pp.224, " 18,00.

5di relazioni di scambio. È proprio lo schemainterpretativo della «connettività» proposto da-gli storici inglesi Purcell e Horden che, secon-do l’autore, sarebbe in grado di spiegare unMediterraneo eteroclito e, al contempo, insie-me coerente. Non esiste allora una mediter-raneità in sé: si tratta di un carattere fluido, incontinuo mutamento, in cui gli elementi persi-stenti sono la relazione e l’incontro, lo scambioe il collegamento in un Mediterraneo pluraleed eterogeneo.Guarracino intraprende un percorso che dallessico passa attraverso considerazioni sulla«costruzione» storica del Mediterraneo, arri-vando infine ad analizzare il rapporto con l’Eu-ropa e l’intervento dei nazionalismi control’idea dell’unità mediterranea.

Maria Elisa Soldani

Il potere degli archivi

Già dal suo titolo, Il potere degli archi-vi. Usi del passato e difesa dei diritti

nella società contemporanea, il libro di Lin-da Giuva, Stefano Vitali e Isabella Zanni Ro-siello rimanda significativamente a due ele-menti chiave nella storia dell’organizzazio-ne degli archivi: da una parte, al rapportotra archivi e potere, con riferimento alle for-me della produzione e dell’organizzazionedocumentaria; dall’altra, al potere che gliarchivi detengono in quanto contenitori dimemoria, mediatori tra passato e presente.Gli archivi nascono con la vocazione di con-servare la memoria del potere e, quindi, leloro strategie di riorganizzazione sono sog-

L. Giuva, S. Vitali, I. Zanni Rosiello, Ilpotere degli archivi. Usi del passato edifesa dei diritti nella societàcontemporanea, Bruno Mondadori,Milano 2007, pp. 222, " 20.00.

6

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 258

Page 266: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

259

gette alla cultura e al modo di rappresentar-si delle istituzioni. Il potere politico e gli al-tri poteri presenti nella società sovrainten-dono la loro nascita e utilizzazione nel tem-po, segnandone l’organizzazione, il control-lo, la geografia. Il cambiamento delle tradi-zionali forme di legittimazione del poterepolitico, pertanto, ha avuto ed ha moltepli-ci ripercussioni sui modelli organizzativi de-gli archivi, sulle strategie e sulle finalità del-la loro attività conservativa.Insieme al rapporto tra archivi e potere èandato cambiando il potere degli archivi,inteso come loro capacità di rispondere al-le domande dei singoli e della collettività. Ilpotere degli archivi non è dunque soltantoculturale e simbolico: gli archivi possono di-venire «uno strumento per la difesa dei di-ritti dei cittadini e di vigilanza della regola-rità e funzionalità dei poteri pubblici e delloro operare al servizio della collettività».Questa prospettiva porta con sé delle im-plicazioni pratiche che rievocano temi tantodibattuti e attuali: il diritto all’informazionee l’accesso agli atti della pubblica ammini-strazione; la riduzione, entro i confini com-patibili di uno Stato democratico, del segre-to di Stato; la salvaguardia dei singoli e delloro diritto a difendersi dall’eccessivo accu-mulo delle informazioni che li riguardano,ovvero il rapporto tra accesso alle informa-zioni e privacy; l’efficienza dei sistemi di ar-chiviazione corrente e l’oculatezza nelle po-litiche di selezione documentaria e nellestrategie di adozione delle tecnologie digi-tali.Il volume è composto da tre contributi cherimandano, rispettivamente, a diverse proble-matiche: Isabella Zanni Rosiello affronta ilproblema del rapporto tra organizzazione ar-chivistica e ricerca storica; Stefano Vitali sot-tolinea la loro funzione nella definizione e nelconsolidamento di identità individuali e col-lettive; Linda Giuva pone l’accento sul rap-porto fra archivi e diritti dei cittadini. Questediverse prospettive esprimono l’intenzionedegli autori di far percepire lo spessore pro-blematico che sottende l’organizzazione ar-chivistica.

Maria Elisa Soldani

«Imago Temporis.Medium Aevum»:quando l’Universitàfa didattica

La rivista «Imago Temporis. Medium Aevum», inlingua inglese con testi a fronte in lingua origi-

nale, nasce nel 2007 all’interno della giovane Uni-versità di Lleida, in Catalogna, su iniziativa di ungruppo di medievisti che lavorano in ambiti di ri-cerca diversi, in uno spazio geografico aperto checoincide idealmente con quello mediterraneo esud-europeo.È strutturata in tre parti: la prima, dedicata allastoriografia; la seconda, ai nuovi apporti della ri-cerca; la terza, alla proposta di suggerimentipratici su come divulgare il passato medievaleattraverso la didattica e la museografia. Que-st’ultima parte, con due contributi dell’Univer-sità di Barcellona, costituisce una prova eviden-te di quanto sia sentito e diffuso a livello inter-nazionale l’interesse per la didattica della storia.In Enseñar historia, aprender istoria: un diálo-go a tres voces Teresa Vinyoles Vidal proponeuna riflessione sull’insegnamento della storianelle università, e in particolare sulla trasmissio-ne agli studenti delle conoscenze storiche, diun’efficace metodologia interpretativa e delleabilità specifiche della disciplina. Si tratta diun cambiamento pedagogico basato non piùsu un incremento degli strumenti tecnologicima su un rinnovamento dei contenuti, dei pro-grammi e non solo: riconoscendo che i pro-grammi sono troppo estesi, che gli insegnantidispongono di poco tempo e sono spesso af-fetti dal tedio della ripetizione dei contenuti,l’autrice sottolinea l’importanza del lavorod’équipe basato sul mantenimento, da partedei docenti, delle funzioni orientative e di valu-tazione e sul trasferimento agli allievi della re-sponsabilità di apprendere, responsabilità lega-

«Imago Temporis. Medium Aevum», 1,2007, abbonamento annuo " 50.00.

7ta al fatto che ‹‹pensare secondo un’ottica sto-rica più che una pratica intellettuale è un mo-do di vivere e di concepire il mondo, aiuta a ri-svegliare la coscienza e ad agire con coerenza››.Joan Santacana Mestre con il suo De la recercaa la posada en valor del patrimoni medieval: elprojecte de Calafell affronta invece il problemateorico del passaggio dalla ricerca storica allavalorizzazione del patrimonio archeologico e ar-chitettonico d’età medievale attraverso un casoconcreto, quello del castello di Calafell, un pic-colo villaggio della Spagna nord-orientale, tra lafine della tarda età romana e il Medioevo. Nellaprima parte illustra le fasi storiche fondamenta-li della cittadella iberica di Calafell: dall’impian-to romano del II sec. a.C. alle trasformazioni delterritorio alla fine del IV sec. d.C.; dall’incerta esi-stenza di una fortificazione di origine musulma-na tra i secoli VII e VIII alla funzione strategico-mi-litare di controllo del territorio di Barcellona; dal-la prima menzione scritta di Calafell, alle trasfor-mazioni sociali, archeologicamente documenta-te, del secolo XI. Nella seconda parte spiega inmodo dettagliato come costruire moduli icono-grafici in quattro lingue per rendere fruibile ai tu-risti la storia complessa del castello di Calafell,e quali difficoltà si possano superare grazie auna museografia didattica chiara e rigorosa.

Sabrina Santamato

Archeologiasperimentale,ovvero come«rendere visibile» il passato.

Un’indagine europea

Èvero solo a metà il detto notissimo: «lastoria studia il passato per comprendere

«Iber. Didactica de las CienciasSociales, Geographicas e Historicas», n.57, luglio-agosto 2008, " 21.00.

8

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 259

Page 267: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

260

il presente», ci ricorda Joan Santacana Me-stre in apertura del numero monografico chela rivista «Iber. Didactica de las Ciencias So-ciales, Geographicas e Historicas» ha dedica-to all’archeologia sperimentale. Se lo fossecompletamente – spiega lo storico – oggiavremmo sicuramente qualche barbarie pas-sata in meno. Perciò, è molto più credibile li-mitarsi a sostenere che nel nostro mondo nonesiste nulla che non possa essere capito unpo’ meglio se osservato alla luce del suo pas-sato. Proprio su questo punto, ma con unospettacolare rovesciamento dei tempi, si inne-stano le potenzialità, scientifiche e didattiche,dell’archeologia sperimentale, una disciplinail cui motto è: «studiare il presente per cono-scere il passato».L’archeologia sperimentale si sviluppa lungodue direttrici fondamentali. Da una parte, cer-ca di riprodurre il processo che ha generato ilresto archeologico, così come esiste oggi. Perottenere questo scopo, gli archeologi si dan-no a pratiche che agli ignari appaiono prive disenso: per esempio, ricostruiscono con meti-colosità una capanna dell’età del ferro, e poila incendiano. Ma, a fuoco spento, gli studio-si hanno l’opportunità di constatare il sistemadi crollo e i modi difformi con i quali i diversioggetti sono bruciati e hanno dato origine aresti, che possiamo utilmente mettere a con-fronto con quelli del passato. Dall’altra, gli ar-cheologi sperimentali cercano di riprodurregli oggetti come furono: una bifacciale, un fal-cetto, un’anfora, un volumen o un campo, col-tivato come nel Medioevo. E, durante questolavoro di rifacimento, studiano tutto ciò cheriguarda la costruzione e l’uso di quel deter-minato oggetto. In entrambi i casi, l’archeo-logia sperimentale porta alla luce dei dati chesono rinchiusi nel reperto storico ma che nonsi vedono: vuoi l’attività trasformatrice deltempo, vuoi la cultura coeva a quel resto delpassato. Esattamente da questa capacità di“rendere visibile l’invisibile” nasce l’efficaciadidattica dell’archeologia sperimentale.Nel primo numero di «Mundus», Massimo Ta-rantini e Mario Iannone ci hanno mostrato al-cuni centri italiani di archeologia sperimen-tale (cfr. Il Neolitico. La prima grande trasfor-mazione, pp. 74-165). Il lettore di «Iber»estenderà questa ricognizione a tutta l’Europa:

dalla Spagna e dalla Catalogna, all’Inghilter-ra, alla Francia, alla Svizzera fino ai numero-sissimi siti dell’area centro-nordeuropea, per-correndo l’intero arco cronologico, dalla Prei-storia al Medioevo. Scoprirà come, incrocian-dosi con le tecniche della simulazione e del-la didattica empatica, l’archeologia sperimen-tale sappia moltiplicare le sue potenzialità.Ce ne parla Carolina Martin Piñol, che illustra,fra le tante realizzazioni, quella del castello diGuédelon, in Borgogna, attualmente in rico-struzione con le medesime tecniche, con imateriali, gli strumenti e i ritmi di lavoro ef-fettivamente impiegati nel Medioevo. È unasimulazione in scala 1:1, che durerà 25 anni,fino a che il castello non verrà completato,nella quale archeologi e storici della culturamateriale verificano man mano le loro ipote-si di lavoro e, al tempo stesso, circa 60.000studenti ogni anno osservano e studiano, co-me dal vivo, aspetti di vita medievale(www.guedelon.fr).I numeri di questa didattica sono realmenteimpressionanti. I siti vichinghi scandinavi, adesempio, vantano fino a 800.000 visitatoriannuali. Ma non devono trarre in inganno. In-fatti, esauritisi gli entusiasmi iniziali degli an-ni Settanta e Ottanta del secolo scorso, latendenza delle visite punta verso il basso, seguardiamo il dato complessivo europeo. Sipercepisce un effetto di saturazione del pub-blico, e, passata la sensazione di novità, unaccenno di stanchezza di fronte ad uno spet-tacolo già visto. Fenomeni che hanno datonuovo vigore ai critici dell’approccio archeolo-gico sperimentale, sostenitori, in genere, del-la metodologia conservativa tradizionale.Che cosa è più utile: un sito ricostruito o unorestaurato? Ecco un tema intorno al quale sisvilupperebbe volentieri il tipico dibattito di-dattico dei media, fatto di ragionamenti apriori, ricordi personali e citazioni illustri. Cla-ra Masriera Esquerra lo ha trasformato in unaricerca scientifica. Ha, dapprima, analizzato isiti europei di archeologia ricostruttiva. Ha ipo-tizzato un fenomeno, il cui interesse travalicai confini di questa disciplina e investe per in-tero la didattica storica. Infatti, ha osservatoche in moltissimi siti sembra che si procedaper imitazione vicendevole e non per ricerca.È mai possibile – si chiede – che una capan-

na dell’età del bronzo sia identica dal Medi-terraneo al Baltico? La presenza di un unicomodello probabilmente dipende molto di piùdall’inadeguatezza degli studi, che da unapresunta sua diffusione in un territorio vastis-simo, per giunta in periodi storici per i qualinon possiamo dare per scontata una grandefacilità di comunicazione. Esempi di questogenere suggeriscono una buona spiegazionedella diminuzione del pubblico. Per di più, cimettono in allarme contro la “finta didattica”(che per il suo effetto perverso di svilimentodella proposta culturale originale andrebbeconsiderata come la peggior nemica della“buona didattica”), e ci rendono sempre piùconsapevoli dell’importanza decisiva della for-mazione dei professori di storia, ai quali è in-dispensabile fornire gli strumenti critici perorientarsi in un universo di proposte didattichedebordante e di qualità non sempre accetta-bile (su questo argomento intervengono J. An-tonio Quiròn Castello e Marc Loison).Ma Clara Masriera Esquerra si spinge oltre.Individua in un territorio circoscritto cinque si-ti protostorici, quattro “tradizionali” e uno “spe-rimentale”. Studia quindi numero, tipologia,cultura dei visitatori e li interroga, per valuta-re quanto abbiano appreso durante la loroescursione. Altre scoperte attirano la nostraattenzione: i fruitori dei siti classici hanno me-diamente una cultura superiore; la “massa”,invece, si dirige verso il sito ricostruito. Ma,mentre i primi sembrano scegliere il “rudere”per il suo aspetto affettivo, identitario (vi si ri-conoscono) ed elitario (la loro cultura è unmarchio di status); i secondi, per quanto diistruzione più elementare, sono attratti spes-so dalla curiosità. Mentre i primi lasciano ilsito, a volte “sapendone di meno” (proprio co-sì!), il guadagno conoscitivo dei secondi è in-dubbio. E, infine, quando si analizza il grado di“soddisfazione” dei visitatori, le loro rispostefanno riavvampare la discussione. Infatti, seper soddisfazione si intende il piacere, il diver-timento, l’aumento di conoscenze, la palma vasicuramente ai siti ricostruttivi. Se, invece, siintende il giudizio di utilità o di interesse, al-lora non si riscontrano differenze. La ricerca,conclude in modo pertinente la studiosa, de-ve continuare: per rivelare gli stereotipi del-l’attività ricostruttiva, non solo di quella proto-

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 260

Page 268: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

261

storica, per interpretare le ragioni dell’ostilitàdi molti archeologi nei confronti dell’archeolo-gia sperimentale, e per indagare compiuta-mente sulla diversa incidenza didattica diqueste modalità di studio e di racconto delpassato.

Antonio Brusa

Una proposta italiana

Nelle Prealpi trentine, a nord del Lago diGarda, si trova Fiavè, un sito archeologi-

co di età pre-protostorica dove scavi condot-ti a partire dal 1969 hanno messo in luce di-versi livelli di frequentazione, tra i quali spic-cano per importanza le palafitte dell’età delBronzo.In attesa della prevista realizzazione di strut-ture di valorizzazione, a Fiavè ogni estate,dal 1999, i Servizi Educativi della Soprin-tendenza Archeologica di Trento svolgono de-gli incontri di divulgazione il cui titolo – «Macome facevano a fare…?» – richiama la pra-tica dell’archeologia sperimentale e solleci-ta la curiosità verso abilità e tradizioni arti-gianali del passato, anche di un passato cheper quanto recente sembra distare anch’es-so anni luce.Proprio per rendere conto di queste esperien-ze, nel 2004, è nata la rivista «Archeoworks.Esperimenti ed esperienze di archeologia aFiavè e dintorni», giunta oggi, con grafica viva-ce e linguaggio agile, al suo quarto numero.Come suggerisce il sottotitolo, la rivista acco-glie esperienze di archeologia sperimentaleeffettuate anche in altre parti d’Italia. E alla di-mensione didattica ha affiancato quella del-la ricerca, poiché l’esperienza diretta di unatecnica antica ha una duplice ricaduta, siascientifica che didattica. Diversi saranno na-turalmente i protocolli e gli obiettivi della spe-

«Archeoworks. Esperimenti ed esperienzedi archeologia a Fiavè e dintorni», a curadella Soprintendenza per i BeniArcheologici della Provincia Autonoma diTrento (per ricevere «Archeoworks» e percontatti con la redazione scrivere [email protected]).

rimentazione, ma è necessario che i due am-biti comunichino costantemente tra loro, pe-na l’assenza di formazione e aggiornamentoper gli sperimentatori dediti alla divulgazione.«Archeoworks» è una rivista, ma non si trattadi una rivista di stampo erudito. Gli articoli,infatti, non sono troppo lunghi (non superanomai le tre pagine) e rendono conto sia di que-stioni pertinenti la ricerca, e specialmente uti-li sintesi aggiornate relative, ad esempio, al-l’arte del vasaio, alla metallurgia o all’uso del-le punte di freccia, sia di pratiche didattiche,offrendo di fatto una rassegna di esperienze diinsegnamento o divulgazione attraverso labo-ratori sperimentali. Di numero in numero sitrovano così una molteplicità di spunti e sug-gestioni, talora sorprendenti.È il caso, per citare un solo esempio, di unlaboratorio pluriennale svolto a Pozzuolo delFriuli (UD) dove, in un campo all’area aper-ta, adiacente allo scavo del sito neolitico diSammardenchia, gli studenti di più classi del-la Scuola elementare e media hanno condot-to, secondo tecniche e con strumenti del Neo-litico, una coltivazione sperimentale di cerea-li, seguendone tutte le fasi: dal dissodamen-to del terreno alla semina, dalle cure duran-te l’anno alla trebbiatura e alla battitura. Nonsolo: bambini e ragazzi hanno macinato par-te dei semi raccolti e setacciato la farina risul-tante, poi utilizzata per impastare un ottimopane, cotto su un forno a terra, anch’esso rea-lizzato nell’ambito delle attività sperimentali.La restante parte dei semi è stata invece ac-cantonata per la semina dell’anno successi-vo. I semi sono stati conservati dentro silosrealizzati per l’occasione, piccoli pozzi rivesti-ti di argilla prelevata in un vicino torrente efatta indurire al fuoco. Un gruppo di studentidelle scuole medie ha inoltre condotto lo stu-dio botanico dei semi, grazie alla collaborazio-ne del locale Istituto Professionale per l’Agri-coltura e l’Ambiente, mentre un altro grupposi è occupato di ricostruire l’evoluzione delpaesaggio determinata dall’avvento del Neo-litico.Questa esperienza, in sintesi, ha condotto iragazzi a comprendere saperi, fatiche e incer-tezze legati alla produzione agricola (il raccol-to della coltivazione sperimentale è stato inparte distrutto da una grandinata), a osser-

vare i cicli vegetali e altro ancora. Ad avvicinar-li, in altre parole, al contesto della produzioneprimaria realizzata con tecniche non industria-li. Un’esperienza, peraltro, che dalla storia ri-conduce alla quotidianità dell’alimentazione,della farina usata per la pasta o per i biscot-ti della colazione. E a proposito di colazione,sono senz’altro da segnalare due articoli de-dicati al latte, il cui titolo scherzoso è in lineacon lo stile informale di «Archeoworks» (Latte?Ah… Lunga conVerSazione. Casari e caseificinella preistoria a Fiavè e Latte… SecondaconVerSazione). In essi si racconta della sto-ria e delle pratiche di lavorazione del latte,partendo dalla Preistoria, e in particolare dairitrovamenti di Fiavè, senza però dimenticarel’attività ancora viva che si svolge nelle malghedel territorio alpino.Gli articoli oltre a offrire informazioni assai uti-li per percorsi didattici sull’argomento, solle-citano (come già nel caso di Pozzuolo) unariflessione sull’importanza di legare l’attivitàdidattica a tradizioni e attività ancora vive sulterritorio, la cui stessa esistenza è un’occa-sione per stimolare l’interesse di bambini eragazzi e per creare le premesse per un rap-porto con il proprio territorio. In questo senso,l’archeologia sperimentale si salda a quellache potremmo definire «etnografia sperimen-tale», creando un legame che può risultareassai fruttuoso per mettere a punto labora-tori e percorsi didattici che aiutino a coglierecontinuità e rotture nella lunga durata e a ra-dicare nel territorio alcune pratiche di inse-gnamento.

Massimo Tarantini

De profundis: la storia nelle SSIS

Un’inchiesta a futura memoria

All’indomani del provvedimento che ponefine alla vita delle SSIS, un particolare

merito va riconosciuto alla rivista «Storia e Fu-

9

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 261

Page 269: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

262

turo», che tramite l’iniziativa di Roberto Parisi-ni, dal numero di novembre 2007 a quello digiugno 2008, ha dato vita a un dibattito orga-nico sui corsi di didattica della storia attivatinelle SSIS, con il titolo felice di Vita e miraco-li della SSIS. E se dal 2003, l’anno della leg-ge Moratti che aveva sanzionato la fine del-l’esperienza delle Scuole di specializzazione,la SSIS è continuamente riemersa dalle pro-prie ceneri come l’«araba fenice» (per usarel’espressione di Giorgio Cavadi), proprio nelmomento in cui se ne intona a sorpresa il deprofundis, è utile contribuire al dibattito rias-sumendone le questioni principali e cercandodi aggiungere un tassello al pur ricco mosai-co della discussione attraverso la voce dellaSSIS Lazio, seppure espressa da un’esperien-za breve come la mia.All’interno del dibattito inaugurato da «Storiae Futuro» si alternano le voci differenti dei pro-tagonisti – tutti pionieri – che hanno costituitola novità unanimemente riconosciuta alle SSIS:docenti universitari e di scuola media superio-re che, in misura diversa, a seconda dell’orga-nizzazione regionale delle varie scuole, sonostati chiamati per la prima volta a tentare quelraccordo tra sapere esperto e sapere insegna-to necessario per realizzare la formazione deinuovi docenti di storia attraverso l’unione dicompetenze diverse dei due settori. In tutti gliinterventi, anche in quelli più critici, viene dun-que riconosciuta l’importanza di un’esperienzache si è collocata in quella «grigia terra di nes-suno che sta tra l’insegnamento universitarioe la pratica scolastica con il compito di costrui-re una partnership equilibrata» (Silvana AnnaBianchi,www.storiaefuturo.com/it/numero_16/didattica/3_storiografia-insegnamento-storia-ssis~ 1151. html), ricordando, al di là dell’indi-viduazione delle difficoltà e dei difetti riscon-trati (cfr. infra), che prima dell’istituzione delleSSIS la formazione dei docenti di storia avve-niva in modo del tutto informale, ignorava lequestioni didattiche e seguiva come unica scel-ta metodologica l’opzione lezione fronta-le/interrogazione: una «formazione riprodutti-va per inerzia», come ben sottolinea Paolo Ber-nardi nel suo intervento (www.storiaefuturo.com/it/numero_15/didattica/3_storiografia-inse-gnamento-storia~1116.html).Le questioni trattate nel dibattito sono mol-

te, tutte ruotanti intorno al ruolo che le SSIShanno rivestito in questi ultimi anni nell’ambi-to della formazione degli insegnanti di storia.Nonostante la frammentazione territorialee la mancanza di un’indagine sistematicadi confronto delle esperienze delle varieSSIS, che avrebbe senz’altro aiutato nelledelineazione di obiettivi comuni da perse-guire, rafforzando l’intero sistema della for-mazione iniziale, la descrizione di alcunebuone pratiche sperimentate e le conse-guenti riflessioni sulle difficoltà emerse osui successi raggiunti possono costituire,seppure tardivamente, un bagaglio comunedi esperienza da cui non si potrà prescinde-re in futuro.Nell’evidente impossibilità di riassumere tut-te le questioni emerse nel dibattito, mi limite-rò ad accennare alle più significative, per sof-fermarmi più estesamente su quelle che han-no fatto parte della mia esperienza come su-pervisore di tirocinio e conduttore di laborato-ri presso la SSIS Lazio.

Docenti “esperti” di storiaDopo il generale riconoscimento della SSIScome “valore aggiunto” per la formazione, at-traverso l’esperienza messa a frutto dalle va-rie realtà regionali, emerge l’analisi delle cri-ticità che investono alcune questioni fonda-mentali, a cominciare dalla constatazione del-la marginalità in cui si trova la storia all’inter-no del sistema costrittivo – e forse obsoleto –delle abilitazioni, che non favoriscono la for-mazione di un vero docente esperto della ma-teria. Questa, infatti, è relegata in una posi-zione subalterna rispetto all’Italiano nella clas-se di concorso 43/50, e alla Filosofia nella37, all’interno comunque di un sistema chevede egemone il modello del liceo classico,come ha osservato Gaetano Greco, che nelsuo intervento riporta invece la felice espe-rienza della SSIS Toscana in cui, proprio perl’impronta fortemente unitaria con cui è nata,si è raggiunto un maggior equilibrio in que-sto senso (www.storiaefuturo.com/it/ nume-ro_15/didattica/3_gaetano-greco~1110.html).Se da una parte, quindi, viene riconosciuta lanecessità di puntare alla creazione di un inse-gnante di storia “esperto”, dall’altra non sipuò ignorare la debole preparazione storica

degli studenti, i quali spesso approdano allaScuola di specializzazione con un bagaglioesiguo di esami di storia (da cui quasi sem-pre è esclusa la storia contemporanea), pos-siedono scarsa esperienza di ricerca nel cam-po specifico e modeste competenze metodo-logiche (Maria Vassallo e Silvana Anna Bian-chi, www.storiaefuturo.com/it/numero_16/didattica/3_storiografia-insegnamento-storia-ssis~1150.html).Tale realtà, evidenziata attraverso la sommi-nistrazione di questionari in entrata, compor-ta la necessità di attivare corsi di approfondi-mento/recupero delle conoscenze di baseche non dovrebbero però rientrare nell’iter del-la formazione, orientato piuttosto all’acquisi-zione di competenze didattiche e sperimenta-zioni/simulazioni laboratoriali su cui ogni SSISha fondato la propria specificità.

Sapere la storia, e saperla trasmettereLa riflessione sul profilo di uscita del nuovoinsegnante di storia costituisce una parte im-portante del dibattito comune, e non è man-cato chi ne ha individuato, con molta precisio-ne, le competenze, restringendole in massi-ma parte al solo campo disciplinare.(www.storiaefuturo.com/it/numero_15/didattica/3_gaetano-greco~1110.html).Se analizziamo lo schema curato da AchilleMirinzio, supervisore di tirocinio, riportato inAppendice all’articolo di Gaetano Greco, no-tiamo che vengono individuate con estremacoerenza tutte quelle competenze strettamen-te connesse alle conoscenze, le quali sono ri-conducibili, da una parte, a un “canone” con-diviso, frutto di una programmazione unitariatra le sedi della SSIS Toscana, dall’altra, aquelle specifiche del mestiere dello storico,nella convinzione, in parte condivisibile, dellanecessità di «ancorare l’insegnamento dellamateria scolastica alla disciplina scientifica:ovviamente ai suoi “contenuti”, ma anche alsuo “saper fare”, cioè a quelle sue compe-tenze operative che affondano le radici nel-l’epistemologia disciplinare, nei metodi e nel-le pratiche della ricerca storica». Vengono la-sciate in ombra le competenze didattico-pe-dagogiche che orientano invece l’attenzionesul discente, sui modi dell’apprendimento e

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 262

Page 270: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

263

sull’assenza di motivazione. In una società «li-quida» come la nostra, infatti, caratterizzatada un alto livello di frammentazione, plurali-smo e individualismo, il soggetto, soprattuttogiovane, è continuamente alla ricerca di unapropria identità, e alla scuola, sempre piùmulticulturale, si richiede, più che in passato,un aiuto in questo senso. Da qui nuove do-mande per il docente di storia – «come svilup-pare un’attitudine a pensare storicamente ca-pace di aiutare a riflettere sulla collocazionedi sé nello spazio e nel tempo, sulle diverseappartenenze, sul rapporto tra le singole tra-iettorie esistenziali e i processi sociali collet-tivi?» (www.storiaefuturo.com/it/numero_17/didattica/3_didattica-insegnamento-sto-ria-ssis~1171.html) – e, di conseguenza, lanecessità di ricorrere a competenze più allar-gate, considerando anche la dilatazione deiruoli all’interno della professione insegnanteche sia le trasformazioni della società, sia lariforma dell’autonomia richiedono.Il nuovo docente di storia, quindi, non potràpiù basarsi solo «sulla trasmissione direttadi conoscenze dal docente al discente, nellamancanza di consapevolezza dei meccani-smi cognitivi, sulla convinzione che la cono-scenza storica, comunque acquisita, abbiavalidità formativa»; i campi in cui egli dovràessere in grado di esercitare la sua profes-sionalità devono prevedere, oltre la capacitàdi relazionarsi in modo equilibrato con col-leghi, studenti e genitori, quella di progettaree guidare i processi di insegnamento e ap-prendimento valutandone gli esiti, e allargar-si fino a comprendere l’uso delle risorse for-mative del territorio (Maria Vassallo,www.storiaefuturo.com/it/numero_16/didattica/3_storiografia-insegnamento-storia-ssis~1150.html). Ciò è in linea con alcunetendenze dei paesi del Nord Europa, comead esempio l’Inghilterra dove, per incentiva-re una qualificazione maggiore degli inse-gnanti chiamati a rispondere alle sfide edu-cazionali del futuro, si sono individuati stan-dard nazionali basati su competenze profes-sionali che prevedono, accanto a quelle stret-tamente disciplinari, alcune caratteristichelegate alla capacità di relazionarsi con i gio-vani e di lavorare con i colleghi; di saper crea-re opportunità e ambiente favorevole per lo

sviluppo della capacità di apprendere deglistudenti, nonché di saperne valutare i bisogniformativi con l’obiettivo di poter permettere aognuno di raggiungere traguardi sempre piùalti (Professional Standards for Teachers,www.tda.gov.uk/standards). Oppure, se con-sideriamo più specificatamente i campi di ri-cerca su cui si fonda la formazione dei nuo-vi docenti di storia, vediamo che l’attenzio-ne verte, da una parte, sulla necessità dicreare un legame sempre più stretto tra ri-cerca e pratica, dall’altra, sulla valutazionedell’apprendimento e sulle caratteristiche ne-cessarie per diventare un insegnante effica-ce. Particolarmente interessante, infine, il set-tore di ricerca che si occupa delle opinionidegli studenti e dei loro pregiudizi in campostorico. Tutte le aree di ricerca sono tra lorocongiunte e trovano il loro punto di forza pro-prio sul funzionamento dell’apprendimento(www.nap.edu/catalog.php?record_id=10126), orientando di molto la formazione del do-cente in campo pedagogico, laddove nel no-stro sistema il rapporto tra l’area delle scien-ze dell’educazione e quella di indirizzo nonsempre è stato in grado di trovare la giustaarmonia.Lo sforzo di coerenza nel delineare la nuova fi-gura professionale, così come emerge dal di-battito, è dunque apprezzabile, se si conside-ra che alle SSIS si è richiesto di attuare unraccordo tra l’impianto scientifico della sto-ria accademica e quello metodologico-didat-tico della storia insegnata, rafforzando il le-game tra le due istituzioni – Università e Scuo-la secondaria – che in passato hanno soffer-to di incomunicabilità profonda, agendo spes-so come monadi autoreferenziali (Silvana An-na Bianchi, www.storiaefuturo.com/it/numero_16/didattica/3_storiografia-insegnamento-storia-ssis~1150.html).

Il sistema formativo integrato nel modello SSISLe questioni evidenziate perderebbero moltodel proprio senso se non fossero ricondotte aquelle attività di laboratorio che affiancano inmaniera imprescindibile gli insegnamenti teo-rici (di scienze della formazione e delle didat-tiche disciplinari), e che costituiscono il ne-cessario collegamento con il tirocinio attivo

all’interno del quale il docente in formazione,accompagnato e guidato da un tutor più an-ziano, il cosiddetto docente accogliente, hamodo di sperimentare in maniera concreta ein una situazione reale ciò che ha appreso at-traverso simulazioni.L’esperienza della SSIS di Bolzano, in cui leore di laboratorio sono pari a quelle delle le-zioni e in stretta combinazione con esse, vie-ne proposto da Maria Vassallo (www. storiae-futuro.com/it/numero_16/didattica/3_-storiografia-insegnamento-storia-ssis~1150.html) come modello di quel pro-cesso formativo integrato su cui le SSIS han-no puntato fin dalla nascita, e che costitui-sce il raccordo tra mondo accademico e mon-do della pratica professionale. Esperienze co-me questa, tuttavia, non sono la regola, stan-do a quanto emerge da un’indagine in corsocondotta dall’Associazione Clio ‘92 e riferitadalla stessa Vassallo, secondo la quale corsie laboratori tendono spesso ad andare cia-scuno per proprio conto.Inoltre, quando la simulazione cessa di esse-re tale e si confronta con la realtà della clas-se, i tempi della scuola e le metodologie de-gli insegnanti accoglienti, emergono discre-panze profonde: «nella realtà, molti ostacoli sifrappongono all’attuazione di un sistema co-sì integrato. Gli allievi delle Scuole di specia-lizzazione raramente riescono a sperimentarenelle classi in cui svolgono le attività di tiroci-nio i percorsi elaborati nei laboratori di didat-tica della storia e quando ciò avviene, il tem-po e l’organizzazione impongono tagli e modi-fiche sostanziali all’unità di apprendimento.In vista della stesura delle tesi finali, emergo-no le difficoltà che gli studenti hanno incon-trato nella realizzazione del tirocinio attivo».La dinamica circolare lezioni di didattica-labo-ratori-tirocinio troverebbe quindi il suo puntodi debolezza proprio nell’ultimo anello, quel-lo che invece rappresenta la maggiore novitàapportata dal sistema delle SSIS e che ci haavvicinato, in questi ultimi anni, alle altre re-altà europee.A questo proposito, l’esperienza da me con-dotta alla SSIS Lazio mi ha portato a consi-derazioni e a risultati in parte diversi. Se ècertamente vero che il trapasso dal laborato-rio alla classe porta con sé difficoltà nei ter-

mb

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 263

Page 271: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

264

mini di tagliare, ridurre, adeguare a una real-tà viva ciò che viene appreso a livello teorico,anche se sperimentato attraverso la praticadel laboratorio, tutti gli specializzandi di se-condo anno da me seguiti non solo sono riu-sciti a svolgere l’unità didattica ideata e spe-rimentata durante il corso dell’anno all’inter-no della progettazione formativa annuale, mala maggiore soddisfazione è stata ricavataproprio da quel lavoro di taglio, rimodulazio-ne e modifica del lavoro preparato per adat-tarlo alla situazione concreta e alla program-mazione dell’insegnante accogliente. E an-che laddove i risultati ottenuti si sono rivela-ti inferiori alle aspettative, nella stesura del-la tesi, gli specializzandi hanno utilizzato lapratica riflessiva usata all’interno degli incon-tri periodici di tirocinio assistito per indivi-duare gli eventuali errori commessi e propor-re essi stessi soluzioni o modifiche alternati-ve, dimostrando che la ricerca didattica traeparte del suo nutrimento dalla pratica pro-fessionale e, quindi, anche dai suoi insuc-cessi.Tutte le fasi del lavoro sono state fatte ogget-to di riflessione comune all’interno del tiroci-nio assistito in modo tale che si sono potutemettere a confronto le diverse versioni dellastessa unità didattica, costatando come unmedesimo argomento possa essere trattatocon strategie didattiche diverse e tagliato aseconda della situazione concreta in cui vie-ne proposto.Gli specializzandi, infine, per poter introdurrel’argomento, si sono basati sulle conoscenzepregresse degli allievi, andando ad agire an-che su quelle non direttamente derivanti dal-

l’apprendimento scolastico, e trovandosi spes-so a sperimentare quanto la didattica dellastoria oggi cerchi una propria collocazione tra«i modelli tradizionali di insegnamento, le for-me tradizionali di apprendimento e il canonetradizionale della disciplina storica», suben-done il disagio, come ben rileva Silvana AnnaBianchi (www.storiaefuturo.com/it/numero_16/didattica/3_storiografia-insegnamento-storia-ssis~1150.html).Eppure, proprio dai laboratori predisposti pergli allievi si sono avuti i risultati più sorpren-denti. Se si esaminano, infatti, le prove di ve-rifica e i relativi grafici delle valutazioni intrec-ciati a quelle della valutazione dell’ultimo qua-drimestre di ogni singolo allievo, notiamo cheproprio dalle unità didattiche che hanno pre-visto spazi laboratoriali costruiti sull’analisi di-retta delle fonti e con impianto scientifico ri-goroso si sono conseguiti i punteggi più alti. Adimostrazione di quanto ormai la mera tra-smissione del sapere secondo la metodologiatradizionale lezione frontale-interrogazionemostri i suoi limiti e, soprattutto, di quanto ilnesso ricerca-insegnamento, su cui si basala formazione nelle SSIS, si misuri da una par-te con la specificità del sapere storico, e dal-l’altra con i soggetti dell’apprendimento, ot-tenendo, pur con molte difficoltà, risultati po-sitivi (E. Guerra, www.storiaefuturo.com/it/numero_17/didattica/3_didattica-insegna-mento-storia-ssis~1171.html).

Tutoring e formazione permanenteI risultati non sarebbero stati tali senza lapresenza e l’aiuto del docente accogliente,che ancora oggi è una figura sottovaluta sia

all’interno del sistema formativo SSIS(www.storiaefuturo.com/it/numero_15/didattica/3_storiografia-insegnamento-storia~1116.html), sia nell’ambito della scuola, do-ve spesso gli stessi dirigenti non sostengonocon sufficiente convinzione di fronte al Col-legio dei docenti l’importanza formativa del-l’esperienza di tutoring, inibendo così il biso-gno formativo dei docenti più motivati. Il do-cente accogliente svolge invece il ruolo de-terminante di anello di congiunzione tra Uni-versità e istituzioni scolastiche convenziona-te: nel suo ruolo di tutor, infatti, prepara epredispone l’ambiente in cui il tirocinantesvolgerà la propria esperienza, modula la suaprogrammazione in funzione della personada accogliere, discute insieme al tirocinantele fasi dell’intervento proponendo a sua vol-ta modifiche o possibili alternative (MariaVassallo www.storiaefuturo.com/it/ nume-ro_16/didattica/3_storiografia-insegnamen-to-storia-ssis~1150.html). Tornando all’espe-rienza sopra descritta, gli specializzandi han-no tutti trovato ampia disponibilità da partedei tutor ad accogliere la proposta didatticaproveniente dall’Università e, proprio nei ca-si in cui la scelta metodologica propostaaveva maggiore carattere innovativo e di ri-cerca, la collaborazione è stata piena. A di-mostrazione di quanto sia vivo e sentito daparte di molti docenti, che spontaneamentee senza riconoscimento alcuno offrono il pro-prio bagaglio di esperienza professionale, ilbisogno di tenersi continuamente aggiorna-ti e non emarginati dall’Università.Nonostante l’importanza riconosciuta a que-sta figura, il nostro sistema non prevede la

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 264

Page 272: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

265

sua partecipazione al momento della valuta-zione finale del docente in formazione, conun evidente sbilanciamento a favore delleScuole di specializzazione. Emarginazione chelascia perplessi se si considera che solo il do-cente accogliente è in grado di osservare ilnuovo docente in azione e, quindi, di valuta-re quelle capacità di comunicazione e di rela-zione basilari per la trasmissione.A questo proposito è utile il confronto con al-tre realtà europee che hanno una più lungatradizione per quanto riguarda la formazionedegli insegnanti.La scorsa primavera ho passato tre settimanea Londra, presso l’Institute of Education(http://ioewebserver.ioe.ac.uk /ioe/index.html), all’interno del progetto RIMIPRODO1 (LaRicerca come strumento per il Miglioramen-to della PROfessionalità Docente: metodi eprassi a confronto), i cui destinatari erano pro-prio i supervisori di tirocinio.Nell’ambito di un sistema di formazione deinuovi insegnanti molto diverso dal nostro, inInghilterra il sistema del tutoring è una prati-ca standardizzata che diventa un vero e pro-prio metodo dell’insegnare a insegnare.Così come accade nelle nostre Scuole dispecializzazione, ai tutor d’istituto inglesi so-no affidati i tirocinanti, e a loro spetta an-che l’inserimento nelle scuole; il loro statusprofessionale, però, è riconosciuto in mododiverso. A differenza nostra, dove la figuraequivalente non entra quasi per niente nel-la valutazione del tirocinante, in Inghilterral’insegnante accogliente ha un ruolo impor-tante. Ogni lezione o azione didattica del ti-rocinante viene valutata dal tutor tramite

schede sintetiche relative ai tre campi basedegli standard nazionali degli insegnanti, agaranzia di una maggiore omogeneità nellavalutazione stessa:"Caratteristiche professionali (professional

attributes)."Conoscenze professionali (professional kno-

wledge and understanding)."Competenze professionali) (professional

skills).Accanto all’accogliente, il mentor è il refe-rente per la pedagogia della disciplina scel-ta dal tirocinante, e per questa funzione, go-de di un leggero sgravio di cattedra. Anchelui adopera schede di valutazione analoghe.Il tutto poi viene controllato dal dirigentescolastico e comparato con le valutazionedei tutor dell’istituto. In genere, sia il lavorodell’insegnante accogliente, sia quello delmentor di disciplina si basa su pratiche ri-flessive.Il mentor da me interpellato sull’efficacia diquesto metodo e sui rischi che ne potrebbe-ro derivare in sede di valutazione, sostieneche il lavoro basato sul confronto di schededi valutazione strutturate sulle competenzefunziona, a patto che ci sia un buon lavorodi coordinamento e raccordo tra tutti. Se inqualche caso le schede giornaliere divergo-no sui giudizi, il gruppo di lavoro che segueil tirocinante si riunisce e discute a proposi-to. Per considerare il tirocinante inadatto alruolo bisogna raccogliere molte prove, altri-menti si corre il rischio di essere accusatidi discriminazione. In questo modo la valu-tazione del tirocinante è il risultato di un la-voro comune, che dimostra una maggiore

integrazione tra i due poli nel processo for-mativo, mentre da noi il controllo dell’inte-ro processo è attuato dalla Scuola di spe-cializzazione.Al di là della bontà dei differenti modelli, cheè impossibile comparare a meno che non siconsiderino le rispettive tradizioni nel campodella formazione, nonché le differenti dinami-che che regolano il mercato del lavoro nei va-ri paesi, rimane il fatto che non è pensabileche il rapporto con il docente accogliente siaaffidato al caso o alla semplice disponibilitàdell’insegnante più motivato. Occorre sicura-mente rilanciare la formazione in ambito sco-lastico per estenderla a tutti gli anni della vi-ta lavorativa, essendo essa stessa una dimen-sione costitutiva della professione docente fi-no ad oggi purtroppo lasciata troppo spessoall’esigenza del singolo. E in fondo proprioquest’ultimo aspetto si può imputare alla vi-cenda della SSIS, quello di avere, se non igno-rato, almeno trascurato questa esigenza e dinon essersi proposta fin da subito come po-lo intermedio “esperto”nel settore più ampiodella formazione, in questo, sì, aprendosi aun confronto più dinamico con la maggiorparte dei paesi del Nord Europa. Forse ogginon ci troveremmo con la prospettiva di un ri-torno al passato o, con quanto si prevede nel-le lauree magistrali universitarie e con i labo-ratori e i tirocini gestiti dalle scuole, di nuovodi fronte a uno steccato profondo tra quei duemondi che, in questi ultimi dieci anni, l’espe-rienza pur difficoltosa delle SSIS ha contribui-to ad abbattere.

Pisana Grossi

mb

1. Progetto di mobilità nell’ambito del programma EuropeoLonglife Learning-Sub Programma.

7_MUN_B_244-265_p:Layout 1 2-07-2009 16:17 Pagina 265

Page 273: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

266

* Presidente dell’Associazione Clio ’92.

lio ’92 è stata costituita da ungruppo di insegnanti di sto-ria nel 1998. È un’associazio-

ne di insegnanti che attualmente (set-tembre 2008) conta 170 membri. Adessa sono associati anche 13 istitutiscolastici e 5 tra istituti museali e isti-tuti di ricerca. Il suo scopo è la ricer-ca in didattica della storia e nell’edu-cazione al patrimonio, in funzionedella formazione professionale. Nelsuo albo dei formatori sono iscritti 58insegnanti.Clio ’92 mette a disposizione del mon-do della scuola e dell’editoria le pro-prie risorse culturali e umane. Le so-cie e i soci dell’associazione, infatti,collaborano con le case editrici nellaproduzione di libri sulla didattica e dilibri di testo; con le redazioni di rivi-ste nella produzione di proposte di-dattiche; sono attivi nei corsi univer-sitari di formazione degli insegnanticome docenti o come supervisori; or-ganizzano e realizzano corsi di aggior-namento richiesti da istituti scolastici;animano reti di scuole.

La ricerca e la formazione: le ragioni socialiPer comprendere la ragione socialedi Clio ’92 occorre porre mente al pa-

Cnorama accademico italiano. Esso pe-nalizza la ricerca sulla didattica dellastoria: i governanti delle facoltà uma-nistiche ostacolano l’istituzione di cat-tedre, non pensano di organizzaredottorati, scoraggiano chi si dedica al-la ricerca in questo campo di studi.La ricerca in didattica della storia è af-fare personale di qualche appassio-nato, ma non trova nelle istituzioniaccademiche cittadinanza pari a quel-la delle altre discipline. La maggioran-za dei professori universitari di disci-pline storiche sono persuasi che l’es-senziale della formazione professio-nale sia la padronanza delle cono-scenze di storia generale e di quelleche essi propongono nello svolgimen-to dei corsi. Ai loro occhi le elabora-zioni di soluzioni ai problemi dell’in-segnamento e dell’apprendimentonon hanno bisogno di un settore spe-cifico di ricerca.Ma insegnanti riflessivi delle scuoleprimarie e secondarie sono interessa-ti alla ricerca e sanno di non poter su-perare gli ostacoli all’apprendimentocon le sole risorse offerte dalle cono-scenze. Sentono il bisogno di rifles-sioni sulle conoscenze e sui sistemidi sapere da insegnare, sulle proce-dure di trasposizione didattica di es-se, sulle abilità da promuovere, sulle

L’Associazione Clio ’92Ivo Mattozzi*

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 266

Page 274: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

267

mundusstruttureattività più efficaci da svolgere con lemodalità laboratoriali, sulla progres-sione di esse lungo i percorsi annua-li, sulle pratiche di valutazione…Gruppi di insegnanti che avevanosvolto ricerche sul curricolo di storiain rapporto all’applicazione dei pro-grammi delle elementari del 1985, eche avevano lavorato alla soluzionedei problemi dell’insegnamento dellastoria e alla formazione degli inse-gnanti nel corso della realizzazionedel “Progetto ’92” (riguardante l’isti-tuzione dell’area umanistica nell’istru-zione professionale), hanno provatola voglia e l’interesse a proseguire leloro attività di ricerca e si sono asso-ciati fondando Clio ’92, con un logonel quale la musa evoca la storia, e ilriferimento al ’92 evoca un orizzontedi rinnovamento profondo della sto-ria da insegnare e dei modi di inse-gnamento, come stava accadendo ne-gli istituti professionali.Dunque, l’associazione è la creaturadi una felice congiuntura di fermen-to culturale e professionale e della vo-lontà di insegnanti che avevano pre-so gusto alla ricerca e alla formazio-ne. Essa non ha avuto mai vocazionea diventare rappresentante di tutti gliinsegnanti di storia, secondo le tradi-zioni vive invece in altri paesi.La vocazione alla ricerca si coniugacon quella alla formazione professio-nale degli insegnanti.La ricerca e i suoi esiti sono messi alservizio dell’innovazione nell’insegna-mento e della formazione delle com-petenze dei docenti. L’associazionefavorisce la conoscenza delle espe-rienze e dei materiali didattici inno-vativi, tiene corsi di formazione perfuturi formatori e impegna i formato-ri a svolgere corsi di aggiornamento

che vengono caratterizzati dall’intrec-cio tra lezioni teoriche (poche) e at-tività laboratoriali (molte) e che sonoprogettati – generalmente – su misu-ra delle esigenze degli istituti scolasti-ci che ne fanno richiesta.Con le sue elaborazioni, le sue attivi-tà di formazione, i corsi di aggiorna-mento l’associazione supplisce alle as-senze e alle carenze dell’università.

I campi di ricerca e le proposteLa formazione delle abilità tempora-li, la trasposizione didattica dei testi edei metodi storiografici, il sapere sto-rico scolastico, il curricolo continua-tivo e verticale dalla Scuola dell’infan-zia all’Università, la formazione degliinsegnanti, la storia a scala locale, ladidattica dei beni culturali, l’educazio-ne al patrimonio, la didattica musea-le, la didattica laboratoriale, la colla-borazione disciplinare in funzione del-la formazione storica, la storia in di-mensione interculturale, l’uso dellamultimedialità nell’insegnamento enella formazione: questi sono i setto-ri sui quali, man mano, la ricerca si èdipanata e continua ad articolarsi al-l’interno dell’associazione.A proposito della storia da insegnare,l’analisi dei testi storiografici speciali-stici ha portato all’elaborazione di mo-delli nuovi di conoscenze storichescolastiche: descrizioni di quadri diciviltà, ricostruzioni di processi di tra-sformazione, analisi e argomentazio-ni di problemi e di spiegazioni di fat-ti storici. Sono state elaborate struttu-re discorsive per rendere le conoscen-ze significative e utilizzabili per i di-scenti ed è stata messa a punto la di-dattica relativa.

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 267

Page 275: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

268

Le ricerche dei vari settori convergo-no nell’elaborazione del curricolo distoria. La proposta di Clio ’92 è sinte-tizzata nella formula «curricolo delleoperazioni cognitive e delle conoscen-ze significative»: delinea la sequenzadi processi di insegnamento e di ap-prendimento che è dedicata a pro-muovere – continuativamente – le abi-lità cognitive e pratiche di organizza-zione delle informazioni e di uso del-le conoscenze storiche mentre formasaperi sistematici composti di cono-scenze differenziate nei diversi livelliscolastici. Nella prima fase, le cono-scenze del passato vissuto dalle ge-nerazioni dei bambini e degli adultiviventi e del passato locale; nella se-conda fase, le conoscenze riguardan-ti il passato del mondo sottoforma didescrizioni di civiltà; nella terza fase,le conoscenze riguardanti il diveniredel mondo e dell’umanità con la rico-struzione dei processi di trasformazio-ne; nell’ultimo livello, la conoscenzadi come gli storici elaborano proble-mi e ipotizzano spiegazioni e dannoluogo a controversie interpretative.

Punti di ancoraggioLa principale ambizione di Clio ’92 èdi rendere la storia insegnata forte-mente coerente con la migliore storiadegli esperti, convenientemente tra-sposta secondo le esigenze dell’ap-prendimento. A tal fine si è impegna-ta a criticare i testi manualistici e aproporre una nuova storia da insegna-

re, da costruire mediante un proces-so traspositivo delle strutture dei testistoriografici in tesi adatte agli alunni.Sono così nati esempi di testi scola-stici innovativi. Inoltre, ha elaboratola trasposizione delle procedure del-le ricerche specialistiche in ricerca sto-rico-didattica. Pertanto la storia a sca-la locale e la didattica dei beni cultu-rali sono tra i capisaldi della ricerca.Le posizioni sulla didattica generaledella storia sono manifestate nelle te-si pubblicate nel 2000 nel primo nu-mero della rivista «I Quaderni di Clio».Altre tesi riguardano l’insegnamentodella storia nella scuola elementare ela didattica della storia a scala locale.Recentemente è stato messo a puntoun volume con una serie di tesi sul-l’educazione al patrimonio. In quest’ul-timo caso le tesi sono anche correda-te da un apparato di riferimenti docu-mentari e bibliografici di grande inte-resse. Le tesi condensano una granquantità di elaborazioni e di ricerchee si presentano come un promemoriae un vademecum circa i problemi di-dattici e circa le soluzioni possibili, ad-ditano prospettive e punti di ancorag-gio delle attività e delle ricerche didat-tiche. Esse sono aggiornate nelle as-semblee nazionali dei soci che si ten-gono ogni anno e sono pubblicate nelsito dell’associazione www.clio92.it.

Una ricerca situata e socialeLo scopo preminente dell’associazio-ne è quello di dare impulso alla ricer-

L’Associazione Clio ’92

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 268

Page 276: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mS

269

ca teorica ed applicata sui problemidell’insegnamento e dell’apprendi-mento della storia e di offrire agli in-segnanti ricercatori il contesto per va-lorizzare le loro ricerche.La ricerca può essere applicata neiprocessi di insegnamento e di appren-dimento e riflessa nei materiali e neiresoconti delle esperienze.La ricerca può essere teorica e basa-ta sulla riflessione epistemologica emetodologica sulla storia, sulla psico-logia dell’apprendimento e dell’inse-gnamento, sulla pedagogia, sulla di-dattica disciplinare. In genere accadeche i ricercatori di un campo si per-mettano di ignorare le ricerche e i ri-sultati dell’altro campo, con detrimen-to della qualità e dell’incisività dellaricerca e dei suoi risultati.Al contrario, la società di insegnanti-ricercatori che è Clio ’92 si distingueperché i due versanti e i due campi diricerca si mettono in comunicazione.Clio ’92 ha attivato un circuito di ideenel quale ricercatori, sperimentatori,formatori possono far conoscere, con-frontare e arricchire i contenuti e lemetodologie del proprio lavoro, i ri-sultati del proprio agire intelligente eappassionato nell’insegnare la storianella Scuola primaria e secondaria, enei corsi di laurea all’Università.

Clio ’92 nella reteIl sito di Clio ’92 mette a disposizio-ne un ambiente informatico in cui laricerca viene documentata e messa a

disposizione dei soci. Alcune sezionisono solo strumentali: vi si possonotrovare bibliografie, sitografie, recen-sioni. Ma la sezione più interessanteè la sezione Strumenti che compren-de tanti materiali per la formazioneprofessionale. Si immagini una libre-ria personale in cui si desidera alli-neare e mettere a propria disposizio-ne – per la consultazione, la lettura elo studio, l’uso in situazioni formati-ve – gli scritti riguardanti il curricolodelle operazioni cognitive e delle co-noscenze significative, le bibliografie,gli schemi di lezioni, le tesi di laurea,le recensioni e i consigli di lettura ele segnalazioni di libri o di riviste odi articoli interessanti, i programmi dicorsi di aggiornamento, la presenta-zione di esperienze e di programma-zioni di singoli processi di insegna-mento e di curricoli. Questo è un so-gno, poiché ci sono scritti ormai in-trovabili, esperienze presentate soloin occasioni ristrette, programmi eschemi diffusi solo in alcuni corsi,programmazioni non messe a dispo-sizione… insomma materiali non di-sponibili. Ma è un sogno perché an-che se avessimo tutto a disposizione,probabilmente non avremmo la no-stra libreria sufficientemente capien-te oppure ci costerebbe metterla inordine catalogando e archiviando imateriali disponendoli sui ripiani edentro le cartelle. Il sogno può avve-rarsi grazie alla digitalizzazione deimateriali e alla loro immissione nel si-to: www.clio92.it

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 269

Page 277: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

270

L’Associazione Clio ’92

Le attività"Un’assemblea annuale: in cui si svolge un seminario

nazionale sui temi dell’insegnamento edell’apprendimento della storia.

"Scuola Estiva di Arcevia: vi si svolgono due corsi sulcurricolo di storia in rapporto al patrimonio culturale eal rapporto tra la storia e le altre discipline.

"Seminario di presentazione delle ricerche: vi sipresentano e si discutono i risultati delle ricerche digruppo o individuali svolti nell’anno precedente.

"Premio Rizzi biennale: un concorso per materialididattici per l’insegnamento della storia che si svolge aTreviso per onorare la memoria di Franco Rizzi, uno deifondatori dell’associazione.

"Corsi di aggiornamento: le formatrici e i formatoridell’associazione sono frequentemente impegnati incorsi richiesti da scuole di ogni ordine e grado.

"Collaborazione alle riviste di didattica e con gli istitutidi ricerca: formatrici e formatori di Clio ’92 sonoimpegnati nelle redazioni di riviste didattiche e nellaelaborazione di materiali didattici per gli istituti diricerca educativa come gli ex Irre e l’ex Indire.

L’editoria" Insegnare storia: un courseware in cdrom per

l’aggiornamento degli insegnanti di storia a cura di I.Mattozzi e G. Di Tonto. Il gruppo fondatoredell’associazione ha elaborato il corso ipermediale perconto del MPI e del Dipartimento di discipline storiche.

" «Il Bollettino di Clio»: è il periodico on-linedell’associazione: è scaricabile dal sito da parte di tuttii soci, e risponde al desiderio di far circolareinformazioni, idee, materiali che possono contribuire aformare la professionalità e la condivisione diprospettive rispetto all’insegnamento della storia. Nesono usciti e sono disponibili 23 numeri.

" «I Quaderni di Clio ’92»: è una rivista cartacea allaquale l’associazione affida il compito di approfondire

di volta in volta alcune tematiche monograficherelative all’insegnamento della storia, in Italia edall’estero.

"Clio e Chirone: libri che propongono riflessioni estrategie per l’efficacia dell’insegnamento dellastoria.

"Progetto Clio: edita dalla Polaris di Faenza, è unacollana di unità modulari per l’apprendimento dellastoria: sono il risultato della trasposizione didattica ditesti esperti. I moduli sono concepiti per guidarel’attività degli studenti nella costruzione del loro saperestorico attraverso una precisa strutturazione delleoperazioni cognitive che essi sono chiamati acompiere. L’apprendimento della storia così sitrasforma nel “saper fare storia”.

" I libri della Scuola Estiva di Arcevia: vi sono raccolti itesti delle relazioni svolte nei corsi.

" I video della Scuola Estiva di Arcevia: sono le raccoltein nastri e ora in dvd delle lezioni svolte nei corsi,grazie alle riprese e alla regia e al montaggio delCentro Audiovisivi Distrettuale di Arcevia.

"Educazione al patrimonio culturale, formazionestorica, altri saperi: è la collana che Clio ’92 cura perla FrancoAngeli Edizioni.

«I Quaderni di Clio ’92»" Storia e musica in laboratorio, 8, agosto 2007." L’insegnamento della storia con i quadri di civiltà, 7,

febbraio 2007." Torino: cinema, moda e costume nel primo Novecento,

6, gennaio 2006." Clio valutata, 5, marzo 2005." Insegnare storia con le situazioni-problema, 4, febbraio

2004." Laboratori per la storia, 3, marzo 2002." La didattica della storia in Francia e Spagna, 2,

dicembre 2000." Le tesi per la didattica della storia, 1, aprile 2000.

Le attività e l’editoria di Clio ’92

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 270

Page 278: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

mS

271

I libri della Scuola Estiva di Arcevia" Il fare e il far vedere nella storia insegnata, a cura di E.

Perillo e C. Santini, Polaris, Faenza 2004." Far sentire la storia, a cura di V. Guanci e C. Santini,

Polaris, Faenza 2005." Intrecci di storie. Patrimonio, storia e musica, a cura di S.

Rabuiti, C. Santini, L. Santopaolo, Polaris, Faenza 2006." Il museo nel curricolo di storia, a cura di C. Santini e

M. T. Rabitti, FrancoAngeli Edizioni, Milano 2008." Capire il ’900. La storia e le altre discipline, a cura di

C. Santini e V. Guanci, FrancoAngeli Edizioni, Milano2008.

Clio e Chirone" Oltre la solita storia, a cura dell’Associazione Clio ’92,

Polaris, Faenza 2000." Imparare storia in biblioteca, a cura di I. Mattozzi e L.

Santopaolo, Polaris, Faenza 2004." Insegnare storia con il cinema muto, a cura di M.

Vassallo, Polaris, Faenza 2006.

Progetto Clio1 Il mondo tra storia e attualità, di Vincenzo Guanci,

Maria Teresa Rabitti.2 La solita storia? Una proposta per avviare lo studio

della disciplina storica nel biennio, di Beatrice Cei,Ernesto Perillo.

3 Le visioni del mondo, di Germana Brioni, PaolaMistrali, Maria Teresa Rabitti, Dario Vascellaro.

4 Il mondo fra storia e futuro, di Paolo Bernardi.5 Le organizzazioni politiche e giuridiche, di Paolo

Bernardi.6 Lo sviluppo industriale nel mondo dell’Ottocento, di

Ivo Mattozzi.7 Conseguenze sociali dello sviluppo industriale

nell’Europa della seconda metà del XIX secolo, diFranco Rizzi.

8 Lo sviluppo industriale italiano fra il 1860 e il 1914,di Giuseppe Di Tonto.

9 Il sistema economico internazionale (1875-1914), diMaria Teresa Rabitti.

10 La crisi dello Stato liberale e l’avvento del fascismo initalia, di Vincenzo Guanci.

11 Il sistema economico internazionale tra il 1914 e il1939, di Bernardo Draghi.

12 La Seconda guerra mondiale, di Gabriele Bassani.13 Shoah e nazismo, di Ernesto Perillo.14 I movimenti sindacali nel XIX e XX secolo, di Dario

Vascellaro.15 Il potere, la legge e i diritti dell’uomo (sulle 3

rivoluzioni: inglese, americana e francese attraverso lequali si sono affermati i diritti di cittadinanza), diMarina Cortesi, Annalisa Zanoni.

Educazione al patrimonio culturale, formazionestorica, altri saperiNella collana sono usciti tre titoli:"A. Bortolotti, M. Calidoni, S. Mascheroni, I. Mattozzi, Per

l’educazione al patrimonio culturale. 22 tesi,FrancoAngeli Edizioni, Milano 2008.

" Il museo nel curricolo di storia, a cura di C. Santini eM.T. Rabitti, FrancoAngeli Edizioni, Milano 2008.

" Capire il ’900. La storia e le altre discipline, a cura diC. Santini e V. Guanci, FrancoAngeli Edizioni, Milano2008.

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 271

Page 279: 1 MUN I 001-009 p:Layout 1 2-07-2009 15:54 Pagina 1 rivista... · • Antonio Brusa Università di Bari Vicedirettore • Luigi Cajani Università «La Sapienza», Roma Vicedirettore

272

• Bani Simona Regista-documentarista

• Bocchino Manuela Docente Scuola secondaria superiore, Firenze

• Brunelli Catia Università di Urbino

• Brusa Antonio Università di Bari

• Buscemi Francesco Specializzando Scuola Normale Superiore di Pisa

• Cajani Luigi Università «La Sapienza», Roma

• Cavalli Alessandro Università di Pavia

• Cecconi Alessia Laboratorio Didattico CDSE Val di Bisenzio

• Cipollari Giovanna Esperta di Educazione Interculturale CVM(Comunità Volontari per il Mondo)

• Ciriacono Salvatore Università di Padova

• Cortesi Luigi Storico-scrittore, Crespi d’Adda

• Cossetto Milena Libera Università di Bolzano

• Deiana Giuseppe Docente Scuola secondaria superiore, Milano

• Detti Tommaso Università di Siena

• Di Fruscia Chiara Dottoranda Università del Salento

• di Palma Maria Teresa Docente Scuola secondaria superiore, Pavia

• Di Pietro Gianni Docente Scuola secondaria superiore, Pinerolo (TO)

• Fiore Fabio Docente Scuola secondaria superiore, Torino

• Fogale Pietro UmbertoDottorando Università di Innsbruck

• Ghigini Franco Consulente del Sistema Museale di Valle Trompia

• Giorda Cristiano Università di Torino

• Gnetti Gabriella Ufficio Stampa «Zètema Progetto Cultura», Roma

• Greco Gaetano Università di Siena

• Grever Maria Università «Erasmus», Rotterdam

• Grossi Pisana Docente Scuola secondaria superiore, Frascati (RM)

• Heimberg Charles Università di Ginevra

• Kühberger Christoph Università di Salisburgo, Austria

• Kurstjens Huub CITO (Istituto Nazionale Olandese per lal’Ideazione e lo Sviluppo di Test Scolastici)

• Jedlowsky Paolo Università «L’Orientale», Napoli

• Losito Andrea Docente Scuola secondaria superiore, Bari

• Malanima Paolo Istituto per la Storia del Mediterraneo, Napoli

• Mattozzi Ivo Università di Bologna e Associazione Clio ’92

• Milani Lucio Università di Firenze

• Moggi Cecchi Jacopo Università di Firenze

• Musci Elena Historia Ludens, Bari

• Noiret Serge Istituto Universitario Europeo, Firenze

• Panciera Walter Università di Padova

• Pietra Antonio Supervisore SILSIS, Università di Pavia

• Rampazi Marita Università di Pavia

• Rizzo Laura Dottore di ricerca, Università di Bari

• Salvatori Enrica Università di Pisa

• Salza Alberto Museo di Etnografia e Antropologiadell’Università di Torino e National Museums del Kenya

• Santamato Sabrina Docente Scuola secondaria superiore, Bari

• Soldani Maria Elisa Allieva Scuola Superiore di Studi Storici di San Marino

• Tarantini Massimo Università di Siena

• Tiné Luigi Docente Scuola secondaria inferiore, Palermo

• Tutiaux-Guillon Nicole Institut Universitaire de Formation des MaîtresNord Pas-de-Calais, Université d’Artois

Autori

8_MUN_S_266-272_p:Layout 1 2-07-2009 16:18 Pagina 272