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AUGUSTO BERTOCCHI 100 giorni permicro Pensieri in ordine sparso “Riportare nel diario un pensiero intelligente che abbiamo letto, qualcosa di interessante che abbiamo sentito, ci fa piacere. Ma se avessimo l’accortezza di riportarvi le osservazioni singolari, le opinioni originali, le battute di spirito contenute nei discorsi dei nostri amici, ci arricchiremmo moltissimo.” ( GOETHE ) “Viviamo in un'epoca dove le cose superflue sono le nostre uniche necessità.” ( Oscar Wilde )

100 giorni per micro Pensieri pensieri/Micro pensieri.pdf · Presentazione Siamo soliti ascoltare tantissime interviste a personaggi di ogni colore, innumerevoli dibattiti che sempre

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AUGUSTO BERTOCCHI

100 giorni per…

micro Pensieri in ordine sparso

“Riportare nel diario un pensiero intelligente che abbiamo letto, qualcosa di interessante che abbiamo sentito, ci fa piacere. Ma se avessimo l’accortezza di riportarvi le osservazioni singolari, le opinioni originali, le battute di spirito contenute nei discorsi dei nostri amici, ci arricchiremmo moltissimo.” ( GOETHE )

“Viviamo in un'epoca dove le cose superflue sono le nostre uniche necessità.”

( Oscar Wilde )

Presentazione

Siamo soliti ascoltare tantissime interviste a personaggi di ogni colore, innumerevoli

dibattiti che sempre più sembrano ad una spettacolo di gladiatori pronti a combattere sino

all’ultimo sangue, in attesa del “pollice verso“ per condannare a morte il proprio avversario;

siamo costretti a sorridere, inveire, partecipare, condannare, insultare, minacciare; siamo

portati all’esasperazione, al non poterne più, a dire “basta!” Oh, quanti spettacoli devastanti

e distruttivi!

Tutto ciò è democrazia? Ebbene, mio malgrado, debbo dare una risposta affermativa: un bel

sissignore, essendo sempre più convinto che è meglio una brutta democrazia che una bella

dittatura.

Mi è capitato, una sera, di ascoltare un’intervista fatta ad un notissimo uomo politico e

trasmessa da uno dei canali televisivi più popolari. Costui aveva scritto un libro e aveva

colto l’occasione per farne opportunamente una degna propaganda. Fui stupito dal suo

invito rivolto agli uditori ad esercitarsi a scrivere, senza timore e senza mai avere la pretesa

di pubblicare i propri scritti. Insomma scrivere per sé stessi con lo sguardo rivolto al mondo

della realtà e della fantasia per tenere costantemente la nostra mente in allenamento.

E’ incredibile quanto sia difficile mettere in ordine le proprie idee, quando siamo assillati

da snervanti confabulazioni silenziose che ci arrovellano il cervello durante i silenzi notturni

e diurni. La nostra autostima costantemente sotto attacco scatena pericolosi meccanismi di

difesa, molto spesso devastanti per noi stessi e per chi ci circonda.

Scrivere è un mezzo efficace per riequilibrare le proprie energie mentali che devono essere

incanalate verso una produzione di riflessioni concrete e positive senza indulgere ad alcuna

forma di autocommiserazione: uno sguardo, dunque, rivolto alla realtà.

1° giorno Nulla di speciale

Sono circa le sette del mattino. Mi risveglio senza troppi sbadigli. Non sono mai

appartenuto alla schiera di coloro che tra uno sbadiglio e l’altro chiedono di poter dormire

ancora cinque minuti. Mi considero fortunato perché, appena sceso dal letto, recupero

immediatamente tutte le mie energie come se il sonno fosse stato una semplice interruzione

della mia veglia perenne. Il cervello è già alle prese con il via vai dei pensieri rivolti ad

organizzare il programma della giornata. Vado in cucina per preparami la colazione che

consiste in un mezzo pane inzuppato in una tazza di caffelatte, e la solita frutta.

Apro la finestra per una boccata di aria fresca. Uno sguardo al cortile sottostante. Sento i

passerotti che cinguettano tra gli alberi del condominio, mentre osservo un vicino di casa

rincantucciato all'angolo della strada, in attesa che il suo cane abbia trovato la solita pianta o

il solito posto per soddisfare le proprie esigenze mattutine.

Il sole all'orizzonte esulta dopo essersi fatto precedere da luminosissimi bagliori rossastri

che incorniciano nubi che si rigenerarono in continue forme evanescenti. Mi emoziono

sempre di fronte alle cose semplici, proprio come un bambino che non si stanca mai dei suoi

giocattoli: il sole, il poveruomo, il cortile, il cane, i passerotti... ! Mia moglie si attarda

ancora un poco nel letto: ne approfitto per contemplare i fiori sul davanzale e per

controllarne il loro stato di salute; alcune foglie ingiallite pencolanti o assalite da

odiosissimi vermiciattoli denotano palesemente la loro precarietà.

Ecco i primi momenti di un una giornata di un uomo che non pretende nulla di speciale se

non il piacere e allo stesso tempo il coraggio di vivere la normale quotidianità.

Il sole ha già invaso l'orizzonte in tutto il suo splendore. La giornata si annuncia serena.

2° giorno

Un mondo pulito

Saltellava graziosamente la bambina vestita di rosa accanto alla mamma che la teneva

amorosamente per mano affinché non corresse il rischio di scendere dal marciapiede e

magari essere travolta da qualche inferocito automobilista in orario di punta. Un paio di

occhialini anch’essi rosa le incorniciavano il volto e le nascondevano in parte due occhioni

neri e vivaci.

“Mamma, mi dici sempre di essere ordinata e di non sporcarmi; ma guarda come è sporco

questo muro! Cosa vogliono dire questi disegni?” Chiedeva la bimba con insistenza. La

mamma diresse lo sguardo verso il punto indicato dalla sua innocente figlioletta e rimase

sconcertata nel vedere il muro imbrattato da sconcezze. Non sapendo come rispondere,

accelerò il passo, obbligando la piccola a saltellare più velocemente. Giunsero finalmente

alla scuola.

La mamma si congedò dalla figlia stampandole un bel bacione sulla fronte e

raccomandandole di fare la brava. L’innocenza di quella bambina mi suggerisce un senso di

pulizia e di freschezza. Troppo presto i fiori del giardino sfioriscono e cedono spazio

all’invasione delle erbacce che li soffocano. .

E’ un’utopia desiderare un mondo pulito? Basta leggere alcuni commenti pubblicati da

lettori di giornali on line o da blogghisti di ogni estrazione per rendersi conto che le

sconcezze e le volgarità diffuse in nome di una una presunta libertà di pensiero sono solo

un anticipo dell’immondizia che ormai dilaga incontrollata dovunque e comunque. Sono

tuttavia un inguaribile utopista e sognatore. Continuo quindi a sognare un mondo più pulito.

E’ un meccanismo di difesa sognare e sperare? Forse!

3° giorno Porte chiuse

Non intendo riferirmi all’opera teatrale “A porte chiuse” scritta da J.P.Sartre, né al celebre

film diretto dal regista Dino Risi.

La mia riflessione è molto più modesta e prende spunto da un annuncio scritto a grandi

lettere sulla porta di una casetta di un piccolo borgo disperso in una delle numerose valli

splendidamente invitanti ed accoglienti delle Alpi del Piemonte. “Porta stai aperta… Non ti

chiudere a nessuna persona onesta”. Scattai una foto a quella porta nel tentativo di

immortalarne la scritta che aveva per me un duplice significato: un invito ad entrare ma

soprattutto un invito ad essere onesti. L’onestà era l’unico requisito per essere accolti in

quella casa, indipendentemente dal colore, dalle precarie condizioni sociali o dalla diversa

professione di fede o di nazionalità.

Si deve ammettere che oggi accogliere una persona sconosciuta in casa presuppone una

buona dose di coraggio se non addirittura di incoscienza. Troppi fatti di cronaca narrano di

persone aggredite, derubate o addirittura violentate per essersi fidate ad aprire la porta ad

estranei malintenzionati. La prudenza e soprattutto la paura oggi ci obbliga a barricarci in

casa non solo a porte chiuse ma addirittura sprangate o protette da sofisticati sistemi di

antifurto con tanto di allarmi visivi e sonori.

Quanta solitudine! Questo è il risultato delle nostre paure e dell’insicurezza nella quale

troppo spesso siamo costretti a vivere.

“Non serve a niente una porta chiusa… la tristezza non può uscire e l’allegria non può

entrare!” scriveva Luis Sepulveda. Lo scrittore cileno ci invita, comunque, a sognare in un

mondo migliore, ad avere il coraggio di essere ottimisti e fiduciosi almeno verso coloro che

ci stanno accanto e condividono con noi la stessa sorte. _______________________________________________________________________________________________

4° giorno Inviata dalla schiera degli “eletti”

Una mattinata normale. La sua vita trascorreva tra molteplici impegni per il consueto

disbrigo dei problemi di famiglia e soprattutto per l’assistenza della madre molto anziana ed

ammalata. Quella mattina il mio amico si era recato nel paese vicino. Molto spesso, tra

divieti di sosta e nuove direzioni di marcia con relativi sensi unici si è in preda a dubbi e

incertezze nel dover scegliere la giusta direzione. Proprio mentre percorreva uno di questi

vicoli fu colto dal dubbio se girare a destra al primo o al secondo incrocio? Rallentò al

primo incrocio e mentre stava controllando se fosse la scelta giusta, esitando, si fermò per

qualche istante. Non si era accorto che un potente Suv, guidato dalla solita giovane signora

affaccendata e nervosa, lo stava seguendo. Istericamente la “signora” iniziò a suonare il

clacson come un perentorio ammonimento affinché si sbrigasse a lasciarle libera la strada.

Fortunatamente per lei, il mio amico, che è dotato di ironia e di un carattere conciliante, non

si perse d’animo e decise di dare una lezione di bon ton alla solita intollerante e impaziente

“signora”. Spense il motore, uscì con tutta tranquillità dall’auto, si diresse verso l’irrequieta

autista che ora appariva piuttosto preoccupata e impaurita.

“Scusi, gentile signora, le vorrei rivolgere una domanda. Si tranquillizzi, non ho intenzioni

aggressive.” Tentava in tal modo di rassicurarla. Lei allora abbassò un poco il finestrino,

quel tanto che gli permise di rivolgerle un brevissimo discorsetto: “Le devo confessare

signora, che io purtroppo non appartengo come lei alla schiera degli eletti e sono un comune

mortale che talvolta ha il diritto di dubitare e di avere qualche esitazione e incertezza. Mi

permetta quindi di arrivare a casa sano e salvo! Grazie e buona giornata!” Con calma tornò

alla sua auto, riavviò il motore, contento di aver dato una lezione di buone maniere ad una

signora piuttosto prepotente e alquanto boriosa.

5° giorno Il vizio della … “bastianite”

Volendo conoscere l’origine di “bastian contrario”, consultai un’enciclopedia trovandone

facilmente l’autentico significato spiegato da un prestigioso ricercatore della Crusca:“Per

quanto riguarda l'espressione bastian contrario siamo di fronte ad un meccanismo di

coniazione popolare basato sulla trasformazione da nome proprio a nome comune: il punto

di partenza è certamente il nome di un uomo, Bastiano, che, per la sua attitudine ostinata

ad essere contrario a tutto, diviene proverbialmente il simbolo di questo atteggiamento.” (Marco Biffi sul n.25 della “Crusca per voi”, ottobre 2002). Dunque è evidente che l’espressione bastian contrario equivale allo “spirito di

contraddizione”. Non mi riferisco ai soliti uomini politici che ormai dello spirito di

contraddizione ne fanno un’arte e soprattutto un’arma, ma le mie osservazioni sono rivolte a

quelle persone antipatiche che hanno il vizio di contraddire tutti e tutto. Si pensi alle

interminabili diatribe tra familiari, colleghi, amici, clienti, rappresentanti del potere religioso

e civile …! Insomma, in tali circostanze la pazienza e il controllo dei nervi sono

indispensabili. Chi di noi può negare di aver contraddetto spesso i propri amici o parenti?

Sarebbe un esercizio inutilmente retorico chiedersi se siano più le donne che gli uomini ad

essere affetti dalla sindrome della “bastianite”.

Essendo lo spirito di contraddizione una caratteristica puramente umana, per risultare

proficuo, dovrebbe essere mantenuto nei limiti del razionale e incanalato verso un’attenta

analisi dei problemi, evitando di disperdersi oziosamente in inutili e odiose osservazioni che

purtroppo sono tipiche degli ’“onnipresenti” bastian contrari.

Mi avevano fatto sorridere, tempo fa, le dichiarazioni di un consigliere comunale

proclamate a conclusione di un infuocato dibattito: “In linea di massima siamo d’accordo

con la proposta della maggioranza, ma siccome noi siamo all’opposizione, voteremo

contro”. Che dire? _______________________________________________________________________________________________

6° giorno I bambinoni

“Dove vai?” chiese la moglie al marito che stava uscendo di casa. “Vado al parco giochi a

far divertire quel bambino che è in me!” rispose sorridendo con ironia il coniuge.

Può sembrare una barzelletta ma ritengo che quella simpatica risposta racchiuda una grande

verità: in noi per tutta la vita permane la voglia di ritornare ad essere gioiosi e spensierati

come lo eravamo da bambini, alla ricerca di una innocenza che si è perduta con il trascorrere

del tempo e il sopraggiungere delle vicissitudini che la vita inevitabilmente ci offre.

Qualche antropologo sostiene che il risultato ultimo della lunga evoluzione dell’uomo, da

“homo erectus” a “homo sapiens”, sia l’”homo ludens”, ossia l’uomo che gioca. L’animale

che sa giocare è senza dubbio un animale intelligente.

Bello questo aforisma:”Voglio tornare bambino perché le ginocchia sbucciate fanno meno

male di un cuore infranto”

Nel Vangelo si legge:”In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i

bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18,1-5).

Sia l’aforisma sia l’esortazione del Vangelo sono un’occasione per riflettere sull’importanza

di coltivare in noi stessi quella voglia di amare e di guardare il mondo con gli occhi del

fanciullo, quel mondo amico e protettore che purtroppo spesso è abbruttito da uomini che

dimenticano la loro fanciullezza e che in nome di astruse velleità hanno dimostrato solo

arroganza e violenza, uniformandosi al modello del “macho”, con tanti muscoli e poco

cervello. Quelli in verità sono i bambinoni nel senso peggiorativo del termine, poiché del

bambino hanno solo mantenuto e magnificato l’irrefrenabile egocentrismo che li induce ad

essere sempre più pericolosi ed arroganti.

Quanti di questi bambinoni purtroppo riempiono le pagine dei giornali e i blog con le loro

intemperanze e con le loro esternazioni che fanno vergognare i nostri fanciulli. Sono

nauseato nel leggere, quasi quotidianamente, le violenze e le sevizie che sono perpetrate a

danno di tanti piccoli innocenti da uomini “maturi”.

Fa sempre riflettere il titolo del libro scritto da Primo Levi: “Se questo è un uomo.”

7° giorno I panchinari di paese

Ogni paese che si rispetti ospita e protegge i propri panchinari. Sono nella stragrande

maggioranza pensionati nullafacenti ed oziosi, male tollerati in casa da mogli o parenti che

li giudicano ciabattoni perditempo e fastidiosi, e che vengono puntualmente esortati con le

buone o le cattive ad uscire di casa con l’invito a fare una passeggiata salutare per il paese o

dove meglio preferiscono. L’importante che si tolgano dai piedi.

La solita panchina è la loro meta dove vanno ad occupare il solito posto con i soliti amici.

Guai a passare davanti a loro! Iddio vi protegga!

Appollaiati su quella panchina come pappagalli sul trespolo, tutto vedono e tutto sentono:

niente e nessuno sfugge ai loro sensi apparentemente sopiti ma in realtà sempre pronti a

captare ogni novità, a squadrare tutti coloro che purtroppo sono costretti a transitare davanti

alle loro antenne particolarmente sensibili: captano ogni impulso elettrico e sonoro,

registrano, discutono tra loro, ridacchiano, sospirano, sbadigliano. Vagliano ogni notizia ,

selezionano, commentano e infine “stampano” il bollettino della giornata a spese dei

malcapitati passanti.

La panchina che loro occupano si trova in un punto decisamente strategico: alla fine del

viale delle rimembranze, in prossimità di un triplice incrocio che si dirama verso il centro

del paese, verso la piazza e verso le scuole, la banca e le poste. All’altra estremità del viale

c’è la palazzina del Comune. Un posto ideale per stabilire la vedetta. Quale cittadino, infatti,

non ha occasione almeno una volta alla settimana di passare attraverso quelle “forche

caudine”? Volenti o nolenti ci si deve rassegnare a lasciarsi radiografare dai panchinari che

alla fine della giornata, soddisfatti, possono affermare orgogliosamente che non sono

indifferenti alle vicende socio-politiche e che ogni giorno dimostrano di interessarsi al bene

comune dei loro concittadini, informandosi di tutto e di tutti. Peccato che tornati a casa

devono invece fare i conti con le proprie mogli e i cari parenti che li accolgono con un

glaciale: “Ma sei già qui?” _______________________________________________________________________________________________

8°giorno La sindrome di Caino

L’umanità, subito dopo la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre iniziò a

delinquere: i loro figli si odiavano a tal punto che un giorno il primogenito Caino si avventò

contro il fratello Abele e lo uccise.

Il primo delitto che la Bibbia ci racconta è un fratricidio. Ma perché Caino ammazzò suo

fratello? Per gelosia! Dio, infatti, gradiva gli olocausti di Abele, e li preferiva a quelli del

fratello.

Romolo e Remo anch’essi erano due fratelli, eppure uno uccise l’altro. Il perché di un simile

delitto è da ricercare ancora nella gelosia e nell’invidia che si scatenano quando si tenta di

ottenere la supremazia del potere.

“Amor de fradelo, amor de cortelo” così il dialetto veneto traduce il noto proverbio ”Amore

tra fratelli è amor di coltelli”.

Che fine ha fatto il tanto decantato amor fraterno? Esistono moltissimi racconti, aneddoti,

film che esaltano l’amor fraterno che in alcune occasioni diventa addirittura eroico. Per

liberare e salvare il proprio fratello si organizzano crociate, ci si sfida a duello, si superano

difficoltà quasi insormontabili; insomma si è disposti a tutto pur di riabbracciare il proprio

fratello. E’ leggenda o realtà? Personalmente propendo per la prima ipotesi e non esito a

definire che l’esortazione divina “Amatevi fratelli, come io ho amato voi” sia stata

comandata proprio perché i fratelli non si amavano.

“Parenti serpenti” recita un altro proverbio ben noto a tutti. Possiamo sostenere dunque che

il rapporto tra fratelli in ogni angolo della terra è decisamente conflittuale o, nella migliore

delle ipotesi, paragonabile ad una continua tregua armata. Guai ad oltrepassare quei delicati

confini fisici o mentali che ognuno ha tracciato per sé: la guerra sarebbe inevitabilmente

dichiarata!

I cuccioli d’uomo presto superano l’infanzia ed altrettanto presto diventano adulti. I loro

giochi caratterizzati anche da piccoli soprusi si trasformano, in men che non si dica, in

pericolosi scontri sia fisici sia verbali. I conflitti si moltiplicano, si tracciano confini, si

inviano ultimatum e la guerra è una continua minaccia.

Avvocati e notai tutti i giorni assistono a penose e feroci diatribe tra fratelli quando , per

loro fortuna o sfortuna, devono spartirsi qualche eredità. Un solo esempio per tutti!

9° giorno I cinici erano filosofi greci

Sì, i cinici erano i seguaci della scuola filosofica fondata da Antistene e Diogene di Sinope

nel IV secolo a.C.

“Ideale dei cinici è il raggiungimento dell’autosufficienza dello spirito che considera ogni

bene esterno come “indifferente” e quindi tale che non possa smuovere l’animo dalla sua

assoluta apatia” (Enciclopedia Treccani on line). La “svergognatezza” cinica era considerata

un ideale da raggiungere per dare il massimo valore alla libertà individuale. Per ulteriori

notizie circa questo movimento filosofico rimando alla lettura di un buon libro di storia

della filosofia. Io mi limiterò a trarre alcune conclusioni per dimostrare che il cinismo nella

sua forma più immediata e popolare è sempre esistito e sempre esisterà. Che dire

dell’indifferenza che dilaga ai giorni nostri circa i gravi problemi che ci assillano:

inquinamento, violenze, guerre, fame nel mondo, mutamenti climatici, incidenti stradali, e

tutte quelle tragedie che, travestite da notizie, i nostri mass media ogni giorno ci

ammanniscono?

Alcuni anni fa, durante le mie ferie al mare, prima di recarmi in spiaggia, ero passato

davanti all’edicola; avevo acquistato il giornale ed esplorato velocemente le notizie più

importanti e poi mi ero diretto verso la solita spiaggia. Quella mattina, in prima pagina ,

erano state pubblicate alcune immagini scioccanti: un groviglio di macchine accartocciate ai

margini di un’autostrada e un titolo a caratteri cubitali: “Quattro morti e tre feriti

sull’Autostrada Torino - Savona”.

Prima di raggiungere mia moglie che mi stava attendendo, mi incontrai col bagnino al

quale riferii la tremenda notizia. Costui, con una indifferenza da far invidia ai seguaci dei

cinici, mi rispose: “Mio caro signore, ma di che si preoccupa? Essendo così tanti sulla faccia

della terra, chi vuole che se ne accorge di quattro in più o in meno?” Ammutolii, lo salutai e

mi diressi verso l’ombrellone dove mia moglie se ne stava beatamente in contemplazione di

un mare particolarmente luminoso sfrangiato da piccole onde che si riversavano sulla

spiaggia, spumeggiando.

10° giorno In autostrada

Appartengo fortunatamente alla schiera di coloro che in autostrada ci vanno poche volte

all’anno. Mi stupisco sempre della possibilità di marciare a velocità alquanto elevata che mi

permette di valutare bene il confort e le eccellenti prestazioni di sicurezza della mia auto.

Ma dopo il primo impatto positivo con la lunga scia di asfalto che mi invita irresistibilmente

a correre e a sfidare coloro che mi si affiancano, me ne accorgo che la mia vista si inchioda

sempre più costantemente su quel serpentone grigio che mi cattura e mi obbliga per ore a

concedermi poco o nulla, se non il controllo quasi isterico del contachilometri.

Improvvisamente un cane appare sulla corsia di emergenza ma che, impaurito, si ferma

fortunatamente al bordo dell’autostrada come inchiodato dal terrore nel vedere sfrecciare

quei mostri rumorosi e rombanti. Non ho mai saputo che fine abbia fatto quella povera

bestia.

Quel cane mi rimase impresso nella mente per tutta la giornata e mi riportò alla memoria

un altro episodio di cui sono stato protagonista il giorno in cui mi stavo dirigendo verso

Torino per inaugurare la mia auto nuova di zecca. Sfrecciavo tranquillo nella corsia di

sorpasso quando vidi un cane sbucare dalla siepe che cresceva sul muretto dello

spartitraffico, e saltare a pochi metri davanti a me pochi istanti prima che sopraggiungessi.

Per mia fortuna il cane si fermò, e potei così evitarlo. Anche allora non seppi che fine

avesse fatto quel cane o quale pauroso incidente abbia potuto causare. Ricordo solo che alla

prima piazzetta mi fermai per respirare a fondo e per permettere alle mie pulsazioni

cardiache di rallentare il loro ritmo. Ero scioccato al pensiero del rischio che avevo corso,

un rischio che poteva avere tragiche conseguenze per me e mia moglie che mi stava a

fianco. Ci guardammo a lungo in faccia nella speranza che i colori del viso tornassero alla

normalità. ______________________________________________________________________________________________

Primo intervallo

“Andare a teatro si assiste talvolta a spettacoli noiosi, costosi e deludenti; uno spettacolo garantito, invece, è quello che si può contemplare per strada o in una piazza, dove la commedia umana si svolge senza finzioni: affascinante ed effervescente!” _______________________________________________________________________________________________

11° giorno La dea-parola

Se fossi un pittore vorrei usare i colori della mia tavolozza per dipingere il duplice volto

surreale della dea-Parola, con colori luminosi sfumati da ombre audaci che esaltino la

maestosità della dea.

Una chioma di capelli morbidi e fluenti corona il suo primo volto e dona una seducente

dolcezza al suo sguardo melanconicamente riflessivo. Gli occhi chiari e penetranti ci fissano

con insistenza come se volesse scandagliare i nostri più reconditi pensieri. La sua mano

destra bianchissima, quasi esangue, indica un grande libro aperto collocato su un leggio di

squisita fattura in puro stile liberty.

Uno specchio dipinto alle sue spalle, ahimè, rivela l’altro volto di questa sconvolgente

figura mitologica: un volto istrionico di una donna avvezza ad affrontare cattiverie e

malignità, un volto che tradisce un’antica bellezza devastata dalle angosce e dalle

vicissitudini di una vita travagliata da grandi e tristissime delusioni. I capelli sono diradati e

scompigliati, gli occhi spenti in un volto ormai inespressivo. Profonde rughe impietose la

umiliano. Lo specchio, nonostante sia collocato in penombra riesce comunque a riflettere

distintamente il lato più oscuro e sconvolgente del secondo volto della dea.

Le pagine del libro sono bianche e vuote, e la penna pronta per scrivere qualsiasi discorso

che la fantasia inesauribile e prodigiosa della dea misteriosamente voglia comporre:

insomma un libro magico che non ha limiti né di tempo né di contenuti. Il Bene e il Male

formano un binomio inscindibile che la dea con il suo immenso potere domina e manipola,

condizionando la vita di tutti gli abitanti di questa terra.

12° giorno Parlare o no…?

Parlare o non parlare? Non è un dubbio shakespeariano ma la ragionevole domanda che

dobbiamo porci ogni qualvolta ci si offra l’occasione di esprimere il nostro pensiero.

Il Qohelet (3,1-15) ci ricorda che “c’è un tempo per ogni cosa” e quindi c’è un tempo per

parlare e un tempo per tacere.

L’aforisma di Molière “Uno stolto che non dice verbo non si distingue da un savio che

tace” ci invita a riflettere.

La parola introduce differenziazioni di cultura, di civiltà, di pensiero tra le nazioni, così

come tra gli stessi appartenenti ad una qualsiasi comunità. Il silenzio non sempre è

tollerabile soprattutto se denota l’assenza totale di un qualsiasi pensiero e quindi la

predisposizione ad accettare passivamente il pensiero altrui. Se all’aforisma molièriano

accostiamo l’aforisma di Edmund Burke “Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni

rimangano in silenzio” ricaviamo la certezza che il silenzio e la parola non possono mai

essere disgiunti fra loro.

La parola ci permette di esternare la nostra individualità, i nostri doni, la nostra dignità.

Dobbiamo, quindi, essere responsabilmente orgogliosi nel predisporre tutti mezzi necessari

per accrescere le nostre capacità di usare in modo proficuo e intelligente la parola.

Ricordo anni fa di aver seguito lo sceneggiato televisivo “At salut, Pader”. Narrava delle

esperienze di un sacerdote che svolgeva la sua opera educativa tra ragazzi cosiddetti

“difficili” ai quali rammentava spesso che le bestemmie si imparano subito ma che, per

parlare correttamente, occorrevano, invece, fatica e molti anni di studio. Solo se avessero

imparato a parlare dignitosamente avrebbero ottenuto qualcosa nella vita e si sarebbero

riscattati dal mondo di degrado in cui si trovavano.

La parola, dunque, deve essere usata nei modi e nei tempi opportuni; il silenzio, invece, è

necessario per riflettere e per ricercare contenuti e per approfondire la scienza più difficile

del mondo: conoscere sé stessi.

13° giorno I colori e i suoni della montagna

Dire che si resta affascinati dinnanzi alla maestosa bellezza dei nostri monti sembra

un’espressione scontata e poco originale. Eppure queste semplici parole esprimono tutta la

mia meraviglia e il mio stupore che si rinnovano ogniqualvolta torno ad Acceglio, l’ultimo

paese-baluardo della incantevole Valle Maira.

Poeti e pittori hanno gareggiato per offrire le più belle testimonianze di questo angolo di

paradiso, dove tutto ci ricorda che la cosa più affascinante del creato è proprio la natura che

ci dona spazi spettacolari ricolmi di vita.

Io stesso mi sono lasciato tentare, e avvolto dai suoni e dai silenzi di questa valle, ho scritto

alcune “pennellate” nel tentativo di fermare la luce che rischiarava i pendii della montagna. Amo gli immensi spazi colorati

dei nostri monti. ——————————————

Oh,montagne perennemente immobili

che sorreggete una vita multiforme e dispiegate colori

che suscitano serene e forti emozioni !

————————————— Un torrente montano:

una magia di suoni e di colori nel suo gioioso fluire.

——————————————

Raggi di sole al tramonto spezzati da rocce severe.

—————————————— Un campanile,

con equilibrata fermezza, ritaglia tra i monti uno spazio

di umana presenza.

14 giorno Lo smartphone

Nessun rimpianto per le vecchie cabine telefoniche agli angolie delle strade, che sono state

smantellate ed eliminate come tante batterie esauste. Il trionfo dello smartphone è

innegabile e si fanno pazzie per possederne uno di ultima generazione. Il nuovo avanza e

trionfa. Alla testa di questa cavalcata trionfale si colloca appunto il nostro affascinante

smartphone. Cosa si può fare con questo gioiello della tecnologia informatica è davvero

strepitoso e talvolta pazzesco, proprio nel senso che si commettono pazzie sia per averlo sia

per utilizzarlo. Si possono registrare e filmare eventi improvvisi, scioccanti ed anche

divertenti. E’ recente la notizia di un autista pazzo che si alza e balla mentre guida un

autobus; grazie allo smartphone l’episodio è stato immortalato; si è potuto in tal modo

giustificare l’urgenza della chiamata di un’autoambulanza per ricoverare d’urgenza l’autista

in un pronto soccorso di un ospedale psichiatrico. Questo gioiello, però, è usato talvolta con

troppa disinvoltura dagli adolescenti che oltre a chattare, ad esplorare il mondo del web, a

scattare selfie, lo utilizzano anche per eternare le loro imprese e bravate che poi vengono

pubblicate imprudentemente e sventatamente su vari social network. Possiamo immaginare

le conseguenze che ne derivano: lo sgretolarsi della propria privacy o l’essere derisi da

quegli amici nei quali si era riposta la massima fiducia. Per pochi scatti o autoscatti di

smartphone si demolisce per sempre la propria autostima e credibilità.

Anche la stampa inventata da Gutenberg fu considerata per molto tempo uno strumento

pericoloso. Si narra che un angelo sia apparso al grande inventore per tranquillizzarlo e per

garantirgli che lo strumento da lui inventato sarebbe stato purtroppo posto al servizio del

male ma sarebbe stato posto anche al servizio del bene. Non bisogna dunque aver paura

delle nuove tecnologie ma bensì del modo con cui esse sono impiegate. La prudenza è

sempre un obbligo.

15° giorno Niente di nuovo sotto il sole

Nella Bibbia si legge “Nihil novum sub sole” (Niente di nuovo sotto il sole).

Eppure molte novità si sono succedute da quando il testo fu scritto e parrebbe, quindi,

discutibile la notissima sentenza biblica citata. In verità l’uomo nella sua intima essenza non

è per nulla cambiato nonostante le novità tecnologiche ed ambientali siano apparse e

moltiplicate come tante meteore che sfavillano nel cielo il 10 agosto, nella notte di S

Lorenzo. Dagli inizi del creato, quando ci si riferisce all’uomo, si parla subito di

trasgressioni, di avidità, di delitti, di stridor di denti, di ambizioni folli, di dolore e sudore

della fronte per procurarsi il cibo, di odio fraterno, di gelosie. Là dove finisce la narrazione

della Bibbia, inizia la storia raccontata da graffiti, da dipinti sulle pareti delle grotte, da

geroglifici e, più tardi da regolari documenti scritti.

Orbene, tutti questi documenti sino ai giorni nostri ci narrano che la vita dell’uomo è

costellata lungo i secoli da tribolazioni, guerre, dolore, malattie, violenze di ogni genere

sino, addirittura al triste capitolo dell’olocausto dove la ferocia dell’uomo esplode in tutta la

sua virulenza demoniaca. Dopo millenni di storia l’uomo appare sempre la stessa belva

pronta ad avventarsi anche contro il proprio simile, a torturare e a minacciare l’avversario, a

distruggere e a farsi distruggere.

Sono passati millenni di storia da quando fu scritto che sotto il sole non c’è niente di

nuovo. Una profezia che purtroppo si è avverata e si è perpetuata sino ai giorni nostri. Che

senso possono assumere, di conseguenza, le belle ed innumerevoli invenzioni che hanno

portato un indiscusso benessere materiale, ma che non sono mai riuscite a cambiare la vera

natura dell’uomo, il quale continua ad ostentare gli stessi vizi e le stesse virtù sin dagli

albori della sua comparsa sulla terra?

16° giorno Non sparare sulla Croce Rossa

Sparare sulla Croce rossa è da sempre considerata una delle azioni più vili che si possano

perpetrare in tempo di guerra. Oggi il detto “Non sparate sulla croce rossa” è divenuto un

modo di dire per tentare di dissuadere chiunque dal prendere di mira obiettivi troppo facili

o dallo scagliarsi contro persone o istituzioni inermi o incapaci di difendersi.

Non dimenticherò mai quell’episodio increscioso nel quale fui coinvolto mio malgrado.

Una persona che ben conoscevo si lamentava con me perché un suo parente non gli pagava

la somma pattuita per il lavoro di imbiancatura del suo appartamento. Al mio invito a

pazientare poiché il poveretto era gravemente ammalato e versava in condizioni economiche

precarie, mi rispose stizzito che infierire contro di lui sarebbe stato come sparare sulla Croce

Rossa e si augurava che “crepasse presto” (sic), aggiungendo offese che qui non posso

trascrivere per un senso di pietà. Poco tempo dopo l’ammalato si aggravò e morì in povertà

e solitudine.

Non sono state sparate pallottole ma sicuramente le parole astiose pronunciate contro una

persona inerme e gravemente ammalata non solo hanno avuto l’effetto di una crudele

sparatoria sulla “Croce Rossa” ma addirittura di una cancellazione di ogni briciolo di

compassione e quindi di umanità.

Sono recenti i fatti di cronaca che ci sconvolgono e ci umiliano. Basta leggere alcuni titoli

per rendersi conto dei soprusi e della violenza che hanno subito alcuni ricoverati in case

cosiddette di riposo: “Nuoro, abusi e maltrattamenti su anziani in una casa di riposo”,

“Vasto, anziani legati e maltrattati in una casa di riposo”, “Viterbo, schiaffi e calci ad

anziani in una casa di riposo”. Se aggiungiamo inoltre alcune notizie che denunciano abusi e

maltrattamenti su bambini da parte di educatori o educatrici in alcune scuole materne, il

quadro dell’orrore che siamo costretti a contemplare ci descrive un mondo dove i vigliacchi

purtroppo sono sempre pericolosamente in agguato.

17° giorno Mal d’Africa

Tutti conoscono il notissimo gioco dello “yo yo”, la pallina che va su e giù .

Moltissimi hanno cantato e tuttora cantano la simpaticissima canzone “Cin cin, che bel, uè

uè uè. Avanti e indrè che bel divertimento, la vita è tutta qua!”

L’ironia , anzi il mio sarcasmo è rivolto verso quei sedicenti missionari che

opportunisticamente hanno trovato il modo di emergere dal loro anonimato o di evadere

dalla noia di una vita religiosa comunitaria mal vissuta e tollerata, andandosene

occasionalmente in terre cosiddette di missione dove, guarda caso, chiedono che vi siano

ancora le solite comodità, le solite garanzie, la solita pronta cassa che permetta loro di

prelevare denari in abbondanza da elargire in modo scriteriato ai poveri negretti. Potranno

vantarsi di essere dei benefattori generosi disposti a distribuire doni e caramelle a tutti i

bambini con i quali puntualmente si fanno fotografare, magari tenendone qualcuno in

braccio, per testimoniare che la loro presenza in mezzo a loro è preziosa e meritoria.

Riceveranno medaglie, saranno stimati e ricompensati per i loro meriti da amici, parenti,

benefattori, e da tutti quegli allocchi che hanno creduto che fossero davvero bene

intenzionati, seri e disinteressati. Questi religiosi almeno una volta all’anno pestano i piedi e

pretendono di avere il permesso di tornare in Africa. Ogni posto va bene! L’importante che

al ritorno in patria possano essere accolti e stimati come missionari che si sono donati ai

poveri e che magari hanno rischiato la vita per loro. Peccato, però, che perdano sempre

l’occasione di diventare martiri. Questi, in verità, sono dei “signori missionari”,

paragonabili ai chierici vaganti che non sanno mai cosa farsene davvero della loro vita e

che, come dice la canzone, vanno “avanti e indrè”, o su e giù come la pallina dello yo yo.

Si divertono, e per loro i poveri sono solo un pretesto per girovagare per il mondo ed

apparire come degli angeli benefici predestinati dalla Provvidenza ad alleviare le loro

miserie e sofferenze. Si comportano come dei turisti che vanno orgogliosi di proclamare

che sono nostalgicamente affascinati da quelle terre, e che inevitabilmente quando tornano

in Italia si pavoneggiano di essere “affetti dal mal d’Africa.” Basterebbe un po’ di onestà

intellettuale. Guarirebbero subito!

18° giorno Fanatici

Il fanatismo solitamente è definito come un’espressione esagerata del sentimento religioso

che porta ad eccessi e alla più rigida e maniaca intolleranza nei confronti di chi sostenga

idee diverse. Vi sono altre numerose manifestazioni di fanatismo diffuse in molti settori

della nostra società: dalla politica alla filosofia, dall’arte alla letteratura.

Possiamo comunque aggiungere che il fanatismo è pericoloso e devastante perché sconfina

sempre nell’irrazionalità.

Non mancano esempi tratti dal ricco repertorio della vita quotidiana per dimostrare che il

fanatismo non solo è irrazionale ma spesso raggiunge livelli da tragicommedia.

Mi ero recato a rendere omaggio alla salma di un defunto e per esprimere ai suoi parenti le

mie condoglianze, quando mi si avvicinò una sua nipote che bisbigliando mi rivolse alcune

parole di circostanza aggiungendo che era dispiaciuta per la morte improvvisa di suo zio,

preoccupata soprattutto per la sua vita ultraterrena che secondo lei non era garantita poiché ,

essendo morto improvvisamente di infarto, egli non aveva potuto né confessarsi nè

tantomeno conquistare il paradiso che avrebbe meritato solo attraverso la sofferenza di una

lunga agonia. La circostanza non mi permise ovviamente di sorridere né tantomeno di

rispondere a quelle scempiaggini. Lasciai cadere le braccia sconsolato da tanto fanatismo,

salutai e mi congedai.

Altro avvertimento a guardarmene dalle persone fanatiche, mi fu rivolto in modo bonario

da un prete, dotato di ironia e di saggezza. “Carissimo, stai attento a quelle pie donne che

sono più devote del Papa. Sono talmente maniache che se potessero riscriverebbero

addirittura il Vangelo.”

Ne sono convinto: il fanatismo è talmente devastante della ragione umana che ci

indurrebbe a rifiutare ogni forma di dialogo, e ad introdurre la legge del più forte per

rivivere le avventure dei primitivi abitanti delle caverne. ______________________________________________________________________________________________

19° giorno Originalità e semplicità

Ci si chiede spesse volte che cosa renda geniale un’opera d’arte e perché sia

universalmente riconosciuta come tale.

Le risposte sono molteplici ma, solo dopo una seria e pacata riflessione possiamo affermare

che un’opera d’arte per essere imperitura deve avere due caratteristiche essenziali: la

semplicità e l’originalità.

Se prendiamo in esame l’Inno alla gioia, che Beethoven ci ha donato, e che è stato

prescelto come inno europeo, possiamo convincerci che la semplicità e l’originalità sono

davvero indispensabili per creare un capolavoro che sia universalmente accettato ed

apprezzato. Le cinque note che il genio di Beethoven ha saputo magistralmente intrecciare,

generano un fascino di solenne armonia che denota l’originalità di questa musica

caratterizzata da una ineffabile semplicità ai limiti dell’estremo.

Che dire della celeberrima “Ave Maria” di Schubert, suonata e cantata nelle circostanze e

cerimonie più suggestive? Alcune persone mi hanno confidato che quando in chiesa sentono

diffondersi le note di questa melodia si commuovono sino alle lacrime. Il potere della

semplicità è ineffabile.

Stravinskij sosteneva c'è più musica nella conosciutissima aria “La donna è mobile” dal

“Rigoletto”, che in tutta la tetralogia wagneriana. Verdi ha dimostrato che la musica è

accolta prima dall’istinto e poi dalla ragione; infatti la musica è semplicità e immediatezza.

Quante variazioni sono state composte sulla celebre melodia popolare“Carnevale di

Venezia”! Piacque talmente tanto che compositori virtuosi del pianoforte e del violino quali

Paganini, Chopin e Lizt ne composero variazioni mirabili, sviluppandone il tema in modo

originale e addirittura virtuosistico.

Essere semplici non significa quindi esser banali, ma addirittura essere dotati di una grande

sapienza che, unitamente alle necessarie capacità di sintesi, può condurre ai vertici della

genialità.

20° giorno Il linguaggio giovanile

I giovani da sempre utilizzano una lingua segreta, un gergo, che non sempre è facilmente

comprensibile da chi è all'esterno del loro gruppo. I giovani hanno necessità di usare un

linguaggio che esprima la loro identità comunitaria.

La parola può essere creata o recepita collettivamente in modo generalizzato, ma anche

consapevolmente usata come parola d'appartenenza, di ordine, di ceto sociale, per

circoscrivere proprio il gruppo in cui ci si riconosce.

Per i giovani, utilizzare particolari termini serve anche a dimostrare che sono "al passo" con

le tendenze giovanili del momento. E' normale sentire utilizzare termini stranieri o

addirittura storpiature di parole.

Il linguaggio giovanile, come tutti gli altri linguaggi, è un ponte comunicativo che cerca di

valorizzare le molteplici varietà delle forme espressive. In ogni caso sono necessarie una

conoscenza e una utilizzazione precisa delle regole grammaticali e ortografiche per

raggiungere l’indispensabile competenza linguistica che ci permetta una corretta lettura

dello scritto e del parlato. Non è facile essere chiari e semplici...molte volte siamo

eccessivamente “criptici” in quello che ci sforziamo di comunicare. Molti sanno dire cose

complicate ma pochi hanno la capacità di esporre concetti complessi con un linguaggio

semplice e fruibile da tutti.

Anche una sola parola, una goccia versata nella vastità dell’oceano delle parole scritte e

pronunciate ogni giorno, può avere un grande valore perché può contribuire ad accrescere

in noi conoscenza e libertà di coscienza.

L'impoverimento della lingua dei giovani denunciato da molti adulti non sarebbe in corso.

Ci troveremmo piuttosto di fronte ad un'evoluzione innovativa e creativa della lingua. La

modifica delle norme linguistiche può persino contribuire a formare l'identità delle nuove

generazioni. Taluni sostengono con convinzione che il linguaggio dei giovani non decade

ma si evolve. Possiamo essere d’accordo!

Secondo intervallo

“Tramutare in veleno anche una semplice acqua zuccherata, è il malefico potere che hanno alcune persone sofferenti di un devastante complesso di inferiorità.”

21° giorno Giorno dopo giorno

Quante cose possono succedere quotidianamente, soprattutto se ogni nuovo giorno è diverso

dal precedente.

Chi avesse visto la lunga serie di episodi del fortunato e notissimo serial televisivo “I

Jefferson”, certamente ricorderà l’episodio in cui George Jefferson aveva deciso di smetterla

col lavoro e starsene a casa. Non sapendo come occupare il suo tempo libero, andava ad

importunare le due povere donne che lo servivano, la domestica Florence e la moglie

Louise. Florence spazientita dalla presenza continua ed ingombrante del suo petulante

padrone, alla fine , sconsolata e scoraggiata sospirava ripetendo: “Giorno dopo giorno,

giorno dopo giorno…!” Fino a quando avrebbe potuto sopportare l’invadente presenza di

quell’uomo che ormai era destinato a trascorrere i suoi giorni inchiodato in casa? Lamentele

continue! Era insomma una lagna insopportabile. Ovviamente l’episodio si snoda tra battute

e gag comiche e piacevolmente divertenti.

Ma tornando a noi, e prendendo in considerazione i fatti che si susseguono tra le nostre

mura domestiche, spesso la realtà si rivela meno divertente e talvolta drammatica. Giorno

dopo giorno la noia diventa sempre più devastante, l’irritabilità cresce e deborda in continui

battibecchi che, a lungo andare, portano ad offese sempre meno tollerabili. Giorno dopo

giorno la situazione degenera, la vita tra le mura domestiche diventa sempre più difficile.

Un muro di diffidenza resistente si erge a dividere quello spazio vitale che, col passare del

tempo diventa sempre più simile ad una gabbia.

Si potrà mai tornare alla normalità? Forse alla normalità, no, ma ad una situazione meno

conflittuale, sì. Proviamo a ricercare una qualsiasi occupazione che ci torni ad impegnare e

a farci sentire vitali e produttivi. Lo suggeriscono gli psicologi e tutti coloro che ci

consigliano come migliorare i nostri rapporti sociali. In questo caso, tentare è un dovere.

22° giorno L’uomo di cattiva lingua

“L’uomo di cattiva lingua

non rimanga stabile sulla terra.” (Salmi 140,12)

E’ nota la penitenza che un confessore molto saggio aveva dato ad un suo penitente che

aveva commesso un grave peccato di diffamazione più di una volta e a danno di molti. La

penitenza consisteva nel prendere un pollo, spennarlo e poi percorrere le strade del paese

spargendo qua e là tutte le penne che aveva strappato al bipede. Alla sera avrebbe dovuto

ripercorrere le stesse vie per raccogliere tutte le penne che aveva sparso.

Tornò dal confessore quel poveretto, lamentandosi e dichiarando che non gli era stato

possibile fare completamente la penitenza che gli era stata indicata; molte penne, infatti,

erano state disperse dal vento e quindi gliene erano rimaste molto poche da raccogliere.

“Hai capito ora? - lo redarguiva il prete - L’onore che tu hai tolto alle persone con le tue

calunnie non potrai più restituirlo perché il vento della calunnia ha disseminato dovunque il

danno causato dalla tua malalingua. Devi pentirti sinceramente e non commettere più simili

gravi peccati.”

Il versetto del salmo sopracitato per introdurre questa riflessione sul danno che causano le

cattive lingue, si rivela particolarmente severo verso coloro che non sanno dominare la

propria lingua al punto da essere considerati indegni di rimanere sulla faccia della terra.

Per difendersi dalle malelingue il consiglio migliore potrebbe essere quello che Catone il

Censore ci suggeriva più di duemila anni fa: “Non possiamo controllare le malelingue degli

altri; ma una vita retta ci consente di ignorarle.” Ancora una volta il pensiero tramandatoci

dai grandi esponenti della cultura classica si dimostra attuale e convincente.

23° giorno La gentilezza

“La gentilezza delle parole crea fiducia.

La gentilezza di pensieri crea profondità.

La gentilezza nel donare crea amore.” (Lao Tse)

Il filosofo Lao Tse fondatore del Taoismo è colui che scrisse anche quella stupenda

massima: “Fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce”.

E’ bene riflettere su questi aforismi che ci stimolano a scandagliare la nostra coscienza alla

ricerca dei sentimenti migliori e ci spronano ad essere ottimisti e attenti alle esigenze dei

nostri simili.

Ci suggeriscono la necessità di essere rispettosi del mondo che ci attornia e della terra che ci

ospita.

Ci invitano ad essere rispettosi delle leggi della natura che si manifesta così generosa

nell’elargire i suoi doni.

Alcuni confondono la gentilezza come un atto di debolezza che può appannare l’immagine

di quella forza virile che non ammette patteggiamenti con le buone maniere.

Gentilezza è il contrario di bullismo, di arroganza, di saccenteria, di turpiloquenza, di

bestemmia. La gentilezza non ha sesso, non ha riserve mentali, e soprattutto non è ambigua.

Se la gentilezza fosse solo femminile, se fosse riservata ai deboli e soprattutto se fosse

utilizzata per secondi fini, be’, allora ci dobbiamo rassegnare a riconoscere che la via da

percorrere per realizzare un mondo più civile e quindi migliore di quello violento in cui

stiamo vivendo, è ancora molto lunga.

Ho letto tempo fa un articolo pubblicato da un noto quotidiano che esaltava l’incredibile

potere della gentilezza, che si oppone alla brutalità, alla violenza e all’aggressività che oggi

da molti sono considerate le armi per ottenere successo, per diventare qualcuno. Se la

gentilezza non è falsa né ipocrita certamente ci aiuta ad accrescere reciprocamente la stima

verso tutti coloro che ci stanno accanto. La gentilezza ha il grande potere di unire, di

calmare e di convincere.

24° giorno Parole a senso unico

Chi nella propria vita non ha vissuto momenti di sconforto, di delusione e di rabbia dopo

essere stato insultato o umiliato da parole di derisione pronunciate da colleghi, da amici o

addirittura da parenti? L’orgoglio ferito e il risentimento che ne deriva fomentano desideri

di vendetta o di rivincita. Classica è l’espressione “Gliela farò pagare!”

L’astio ed il rancore sono le premesse per una guerra sorda dove l’inganno e la menzogna

sono considerate armi legittime pur di ferire e piegare l’avversario, in quello che è

considerato un diritto di rivincita per non apparire imbelli ed incapaci.

Non esistono legami di parentela che possano attenuare la ferocia e l’ostinazione con cui a

volte si tenta di portare a termine la propria vendetta. I genitori che talvolta, volutamente o

inconsciamente hanno offeso i loro figli con richiami volgari o umilianti, sono diventati

vittime dei figli stessi che, dimentichi del rapporto filiale, si scagliano con violenza contro

di loro, nel tentativo di riottenere la loro fiducia o semplicemente per sentirsi dire: “Scusa!

Abbiamo esagerato con te. Ti vogliamo bene!”

Se potessimo annullare l’effetto delle nostre parole, chissà in quante famiglie tornerebbe la

serenità, chissà quante coppie di giovani sposi rinnoverebbero il loro amore, chissà quanti

divorzi sarebbero evitati, chissà ...

Purtroppo, molte volte le parole scavano solchi incolmabili, steccati invalicabili e ferite

inguaribili che rendono la nostra vita dura, che fanno di questo mondo una trincea perenne

da cui è pressoché impossibile liberarsi.

Per nostra fortuna vi sono, però, parole che ci soccorrono, che ci confortano e che sanno

guarire le ferite del nostro animo. Le parole, dunque, possono essere spade, ma possono

anche essere un lenimento e un balsamo prodigioso.

25° giorno

L’arma più potente

Si dice che la parola è l’arma più potente che esista di cui gli uomini sono dotati. Può ferire

chiunque e andare dritta al cuore; è proprio come un proiettile sparato da un fucile di

precisione. Si deve dunque essere consapevoli che, prima di pronunciare parole offensive,

bisogna riflettere molto perché il destinatario delle nostre offese potrebbe morire dentro e

non rialzarsi mai più.

Conosco molte persone che non hanno mai perdonato ai loro genitori la colpa di averli

offesi con insulti rabbiosi quando erano ancora fanciulli. Forse una sculacciata sarebbe stata

perdonata e avrebbero ragionevolmente ammesso che era ben meritata a causa dei loro

continui capricci. Le sculacciate lasciano il segno sulla pelle, ma le parole lasciano il segno

nella mente. Il rossore dell’epidermide svanisce in poco tempo ma il segno registrato dalla

mente perdura per tutta la vita.

Accentuare il senso di colpa altrui con continui rimproveri dettati solo da un inconfessabile

gusto sadico di vedere soffrire gli altri è un atto di vigliaccheria che ancora una volta si attua

tramite l’uso sconsiderato della parola che in alcune circostanze raggiunge addirittura i

limiti della perfidia.

Ci si chiede come si possano mantenere buoni rapporti con amici sempre pronti alla critica

spietata. E che dire di quei parenti che non perdono occasione di rivolgere continui

rimproveri con parole che nulla hanno di educativo ma che denotano solo l’irrefrenabile

piacere di esercitare il loro autoritarismo? Nel mondo del lavoro come si possono intrecciare

buoni rapporti con colleghi che si comportano con arroganza e non conoscono il significato

della gentilezza e della buona educazione nell’uso delle parole?

La parola è talmente potente che così come da la vita all’intelligenza, così pure da la morte

all’unico essere sulla terra che ha il privilegio di usarla.

26° giorno Lei non sa chi sono io

Una volta era piuttosto frequente assistere a diverbi tra due persone dove il solito

“onnipotente” sbruffone chisciottesco si rivolgeva al suo interlocutore con la fatidica

dichiarazione “ Lei non sa chi sono io”.

“Non lo so, me lo dica lei” rispondevano alquanto sconcertati e talvolta un po’ sornioni

coloro che avevano avuto la sorte di imbattersi in quei prediletti dalla fortuna.

Un tale che avevo conosciuto in periodo di ferie, mi raccontò che un giorno, trovandosi su

un autobus di linea, ebbe l’occasione di assistere ad un gustosissimo diverbio tra due

persone.

Uno dei due, ritenendosi offeso perché ad ogni frenata del pullman il signore che stava alle

sue spalle spesse volte gli cadeva addosso, si rigirò stizzito, invitandolo a prestare maggior

attenzione.

Inevitabilmente si accese un botta e risposta che culminò con il fatidico avvertimento: “Ma

lei non sa chi sono io!” Immediata fu la reazione dell’altro. “Zitti, zitti tutti! Un attimo di

attenzione”. Quando finalmente il brusio si calmò e si fece silenzio emerse forte il richiamo:

“ Sentite! Mettetevi tutti in ascolto. Ora questo povero diavolo ci dirà chi è”.

Facile immaginare come la diatriba finisse in una sonora risata.

Chi non ricorda, inoltre, l’esilarante scena sul vagone letto tra Totò e il suo compagno di

cabina? C’è da sbellicarsi dalle risate. In un attimo di ira il malcapitato onorevole, che ebbe

la cattiva sorte di dividere la stessa cabina con l’irascibile e imprevedibile Totò, esplose con

il classico avvertimento: “Forse lei non sa che io sono onorevole” Tutti conosciamo la

risposta di Totò: “Onorevole, che?... Ma mi faccia ridere!”

Oggi forse nessuno si permette di ricorrere a simili battute ridicole, ma non dobbiamo

illuderci; certi personaggi,infatti, non hanno mai perso il vizio di sentirsi onnipotenti.

27 giorno Il rimprovero

Il rimprovero solitamente è considerato dai genitori un intervento necessario e dovuto per

educare i propri figli. Tutti gli educatori sono costantemente preoccupati a dettare regole o a

dare suggerimenti su come, perché e quando si debba fare un rimprovero .

Forse troppo spesso si abusa di questo mezzo “educativo”.

Un mio amico un giorno mi disse che il miglior rimprovero è l’esempio che si da ai propri

figli.

Ne sono pienamente convinto. Illustri psicologi e pedagoghi si sono cimentati a dare

indicazioni dettagliate e precise delle caratteristiche che un rimprovero deve avere perché

sia veramente efficace e ottenga risultati soddisfacenti. Certamente il rimprovero non è mai

indolore sia per chi lo fa sia per chi lo riceve. Penso inoltre che si debbano distinguere i

consueti rimproveri rivolti ai giovani educandi, dai rimproveri rivolti agli adulti. Se si

considera che il rimprovero presuppone l’accertamento di una colpa o una trasgressione, va

da sé che si stabilisce immediatamente un rapporto tra accusatore e accusato alla ricerca

della gravità del reato commesso e della pena che deve essere comminata. Si sa, i giudici

non sono mai stati particolarmente amati soprattutto da parte del condannato.

Se si ricercano i sinonimi di “rimprovero”, rimaniamo ancor più stupiti dalla connotazione

negativa che lo riveste: biasimo, ammonimento, lavata di capo, rabbuffo, (pop.) cazziata,

rampogna, rimbrotto, strapazzata, strigliata (Treccani.it).

A chi giova quindi il rimprovero? Forse solo a chi lo fa ma indubbiamente non a chi lo

subisce. Nessuno, infatti, lo accetta volentieri, tantomeno gli adulti che ferocemente

difendono i confini della loro autostima e non tollerano che chicchessia li oltrepassi

impunemente.

Sono sempre più convinto che il mio amico aveva ragione: il vero rimprovero si fa esibendo

sempre e a tutti un comportamento esemplare e irreprensibile.

28° giorno Per una questione di principio

“Avrò anche sbagliato , ma almeno io sono coerente”. Così parlano le persone che, pur

avendo fatto un errore o essendo palesemente dalla parte del torto, non hanno alcuna

intenzione di cambiare il loro atteggiamento. Quale atteggiamento mentale può indurli a

difendere ciò che l'evidenza dimostra essere sbagliato e a ripetere con pervicacia lo stesso

errore? Si tratta di un semplice ma fondamentale equivoco, per il quale si confonde la

coerenza con la rigidità, in nome di imprescindibili se non assurde "questioni di principio".

Ad esempio si continua a perseguire testardamente qualcosa per il solo fatto che tempo

prima lo si è deciso, ma senza tenere conto dei cambiamenti che nel frattempo possono

essere avvenuti fuori e dentro di sé. Oppure, dopo una discussione che ha portato alla crisi

di un rapporto, pur avendo capito di avere delle responsabilità, non si chiede scusa o non si

fa nulla per cercare un nuovo dialogo.

Si tratta di persone per le quali aggiornare anche solo parzialmente le proprie convinzioni,

rinunciare all'idea, all'opinione, al progetto originale o a qualche principio di riferimento,

equivale a sminuire se stessi e, inconsciamente, credono di tradire la loro identità. Nel

quotidiano, agli occhi di chi è sicuro, questa rigidità appare come determinazione,

atteggiamento vincente e forte consapevolezza di sé.

Restare aggrappati per orgoglio o questioni di principio a scelte errate, è un limite che

rovina la nostra esistenza; è necessario quindi liberarsi da questa rigidità. Cambiare idea non

è una sconfitta. Diventa più forte chi non s’aggrappa ai propri dogmi e sa essere cedevole.

Non dobbiamo tirare in ballo in una discussione la nostra rigidità come se fosse un valore,

chiamandola coerenza. La frase "Io almeno sono coerente" non porta a nulla, perché in

realtà significa: "Abbiamo perso entrambi, ma io sono più testardo di te". I dogmi

impediscono di agire e di pensare nel modo più adatto.

29° giorno Cosa hai capito della vita?

“Che cosa hai capito della vita?” fu la domanda rivolta, quasi a bruciapelo da un nipote a

suo nonno. Mi stupirono la semplicità della domanda ma soprattutto la difficoltà e la grande

esitazione che ebbe il nonno nel dare una risposta. La domanda infatti era imbarazzante e

addirittura provocatoria e intrigante. Come poteva il povero nonno in poche parole dire e

spiegare che cosa aveva capito della sua vita?

Non so quale sia stata la risposta che abbia dato a suo nipote.

Per dare una risposta sensata a tale domanda, credo che il nonno abbia dovuto chiedere una

pausa di riflessione e fare un esame di coscienza per valutare le opere buone o meno buone

compiute durante la sua non breve esistenza.

Penetrare nei meandri della propria esperienza è un po’ come avventurarsi in un labirinto

senza via d’uscita. Se la vita è stata vissuta in modo esemplare e lineare con coerenza e

fedeltà alle proprie convinzioni, la risposta dovrebbe essere facile e in breve tempo si

troverebbe la via d’uscita dal labirinto e dichiarare con autentica convinzione quale sia il

senso della nostra vita.

Per capire a fondo la nostra vita è indispensabile prima capire la vita di coloro che ci

stanno attorno, nei quali possiamo e dobbiamo specchiarci. Infatti che cosa potremmo capire

della vita se vivessimo soli sulla terra senza mai mettere a confronto le nostre esperienze

con quelle di qualcun altro?

La scienza più difficile è certamente la conoscenza di sé stessi. Troppi meccanismi mentali

legati al nostro orgoglio ci impediscono di conoscerci veramente e di riconoscerci per quelli

che siamo: soprattutto perché in verità non sappiamo e forse non sapremo mai chi

veramente siamo.

Povero nonno! Deve aver avuto una crisi di identità.

30° giorno

Non sprechiamo le briciole

Ho avuto il piacere di conoscere l’autore del libro “Gauteri pinse”. Il testo è il frutto di una

accurata e paziente ricerca delle testimonianze dell’arte pittorica rifusa nelle numerose

santelle che impreziosiscono i borghi delle nostre vallate. La ricerca indusse l’autore a

percorrere in lungo e in largo la Valle Maira nelle Alpi Cozie dove operò il pittore itinerante

Giuseppe Gauteri. La cultura popolare ha molteplici sfaccettature, una delle quali è

certamente l’arte profusa in affreschi semplici ma significativi sulle pareti delle case o

addirittura delle baite, sulle facciate delle chiese o edifici pubblici, e negli innumerevoli

piloni o santelle che invitano i passanti a fermarsi lungo le strade o i sentieri dei nostri

monti.

Nel libro ho colto due pensieri in particolare che sono l’anima e il significato della ricerca

e della puntigliosa catalogazione delle testimonianze ritrovate e del lavoro svolto.

Il primo pensiero è dell’autore stesso: “Se è destino che le testimonianze della fede dei

semplici debbano scomparire per sempre, se ne conservi almeno la memoria affinché non

tutto vada perduto”

Il secondo pensiero è tratto dalla presentazione del libro scritta da Giuseppe Guerini

(vescovo di Saluzzo): “Non sprechiamo le briciole... Per i nostri vecchi anche un pezzetto

di pane era sacro; al termine del pasto non si buttava via nulla, addirittura neanche le

briciole… Paragono questo prezioso archivio delle opere del pittore Giuseppe Gauteri al

gesto con cui le nostre nonne raccoglievano i pezzi di pane avanzato”.

Spesso ci lamentiamo e ci scoraggiamo di fronte al dilagare della violenza e della furia

iconoclasta che ancora oggi devasta e distrugge musei e opere d’arte, con un accanimento

demoniaco che ci vuole rubare anche l’anima e i ricordi delle bellezze che l’uomo ha saputo

produrre.

Per fortuna esistono ancora coloro che resistono e non si arrendono; il mio amico ne è un

fulgido esempio.

Terzo intervallo

“Talvolta siamo talmente preoccupati per le grandi controversie sociali che non percepiamo il dolore di chi ci sta vicino, e tantomeno ci preoccupiamo di prestare loro un valido aiuto; basterebbe un sorriso. una parola, una banalissima testimonianza d’affetto, un non so che...basterebbe un po’ di fantasia e di sensibilità ! Praticamente quasi nulla e quasi tutto!”

31° giorno

Eroi o … presuntuosi?

Troppe volte i telegiornali, nell’annunciare gravi fatti di cronaca esordiscono con notizie

scioccanti: tragedie in montagna, alpinisti travolti da valanghe, rocciatori esperti o

escursionisti che si erano avventurati temerariamente per sentieri pericolosi e che sono

caduti nei burroni.

Una lunga lista di sport cosiddetti “estremi” vengono barattati per grandi prove di coraggio

se non addirittura considerati eroici. Di eroico alcuni di loro hanno solo l’imbecillità

aggravata dalla presunzione di poter sfidare impunemente il pericolo.

Sembra che il delirio di gloria, spinto al limite di un malcelato desiderio di onnipotenza, li

induca a sfidare le leggi di natura quasi a volere dimostrare a tutti e a sé stessi che sono

imbattibili. Lo temerarietà dà a loro la forza necessaria per compiere quelle imprese che li

esaltano al punto di considerarsi esseri superiori e quindi dominatori. Non vi è presunzione

più stupida e dissennata come quella di mettere a repentaglio la propria vita. E’ una

presunzione che al massimo può giovare solo alle pompe funebri che dei cadaveri ne fanno

una questione di business.

Il vero eroismo lo si dimostra vivendo ogni giorno la banalissima normalità:

preoccupazioni, progetti, speranze, delusioni che si alternano a momenti di noia e talvolta di

entusiasmo che forgiano il nostro carattere e ci allenano ad affrontare con coraggio le

difficoltà della vita. É facile essere eroi per caso; è molto più difficile affrontare con

fermezza e forza d’animo i problemi che quotidianamente ci assillano.

Quando le lune di miele finiscono, insorgono spesso situazioni che rendono amara la vita.

Reagire e ricercare soluzioni coraggiose è l’unico atto eroico che davvero ci renderà

orgogliosi e ci impedirà di essere stupidamente spavaldi e presuntuosi.

32° giorno Quante parole inutili

Quante parole vuote e inutili...

Quante parole senza amore, senza volontà operante...

Quante promesse non mantenute...

Eppure le parole non sono mai inutili; magari potranno essere noiose, indisponenti,

pericolose, bugiarde, offensive, deprimenti. Le parole producono sempre un effetto sia su

chi le pronuncia sia su chi le ascolta. Talvolta le parole inutili sono un penoso tentativo di

superare l’imbarazzante silenzio che ci circonda o nel quale siamo piombati.

Se parliamo di parole inutili, inevitabilmente dobbiamo chiederci quando, come e

soprattutto a chi dobbiamo rivolgere parole utili. Non è una domanda banale! Chi, infatti,

non ha mai pronunciato parole inutili? Sarebbe come chiedersi chi nella vita non abbia mai

peccato. Sarebbe autorizzato a scagliare la prima pietra!

“Cogito ergo sum” (Cartesio). Il pensiero, buono o cattivo che esso sia, è dunque vitale per

l’uomo. Poiché le parole sono l’espressione diretta dei nostri pensieri, è logico e naturale

che i discorsi degli uomini siano spesso viziati da parole ritenute inutili e, proprio come i

silenzi, possono intervallare i nostri discorsi. Gli oggetti sono accompagnati dalle ombre,

così come il bianco e il nero, il vuoto e il pieno sono correlati tra loro.

Profonde emozioni possono essere suscitate dalle parole accompagnate dai silenzi. Le

parole sono un sostegno indispensabile dei nostri sentimenti e delle nostre più intime

aspirazioni. Essendo dunque la parola il principale mezzo per veicolare le nostre emozioni,

ci dobbiamo augurare di avere sempre la facoltà e la libertà di parlare piuttosto che relegarci

in silenzi mortificanti che ci isolano dal contesto sociale e ci condannano ad una solitudine

pericolosa.

33° giorno Una domanda banale

Quando si rivede una persona a cui siamo legati da rapporti di amicizia o di parentela ci

sembra sempre che troppo tempo sia passato dall'ultimo incontro. Sorge spontanea la

domanda “Come stai? Una domanda che in altre circostanze sarebbe banale e di routine può

diventare una domanda necessaria e significativa.

Quando si succedono eventi dolorosi o talmente devastanti che potrebbero abbattere un

“cedro del Libano”, si sente il bisogno di incontrare un volto amico a cui poter rivolgere la

più consueta delle domande :”Come stai?”.

Quanti anziani o persone sole arrivano a sera senza il conforto della presenza di qualcuno

che si interessi di loro. Quanto li aiuterebbe a risollevarsi dallo stato di depressione un

semplice sorriso accompagnato dalla banalissima domanda “Come stai?”

Ho letto numerosi aforismi che parlano della solitudine. I tentativi di definire la solitudine

variano dall’ironico al patetico; chi ne esalta i vantaggi, chi invece ne scandaglia gli aspetti

più devastanti e dannosi allo stato di salute psicofisica di chi, contro voglia, è costretto a

vivere come se il mondo fosse disabitato.

Sociologi, psicologi, assistenti sociali e tutta una folta schiera dei volontari si attivano

costantemente per intervenire, dare suggerimenti, per assistere non solo gli anziani lasciati

in solitudine ma anche tanti giovani disperati, senza amici che non riescono a risollevarsi

dallo stato di depressione che inesorabilmente li va distruggendo.

Eppure molti di questi sfortunati, ne sono certo, riuscirebbero a risollevarsi e a sorridere

solo se noi tutti fossimo meno distratti e se sapessimo rivolgere a loro la più cordiale e

semplice delle domande. “Come Stai?” Se la loro risposta fosse un bel sorriso, sarebbe

anche per noi una grande soddisfazione.

34° giorno Luoghi comuni e stereotipi

La psicologia definisce lo stereotipo un’idea preconcetta non basata sull’esperienza diretta e

difficilmente modificabile. Nel linguaggio comune lo stereotipo è definito un

comportamento convenzionale e ricorrente; schema fisso, luogo comune. (da “Dizionaro

della lingua italiana” di Sabatini Colletti)

Il luogo comune, secondo i latini, è null’altro che la piazza dove appunto le persone si

incontrano per parlare, osservare o per scambiarsi quattro chiacchiere. Le loro idee

condivise sono stigmatizzate in sentenze che si diffondono rapidamente e sono bene accolte

dalla maggioranza. Nasce il luogo comune che si riveste di verità, di una verità formulata

dal popolo con la presunzione di essere inconfutabile.

Elencare i principali luoghi comuni che sono in circolazione, sarebbe un’impresa titanica e

quindi impossibile perché ogni cultura si esprime in modi diversi.

Che dire dei luoghi comuni che circolano sugli italiani? Un popolo di santi, di navigatori e

di eroi. Qualche generoso bontempone ha aggiunto “di artisti, di poeti, di pensatori, di

scienziati…” Oggi si esalta il Made in Italy soprattutto nel campo della moda e del design

oltre che naturalmente nei prodotti agroalimentari. Insomma, non solo pizza e mandolino.

Quando il luogo comune è stato coniato per magnificare le virtù di un popolo, è ovvio che

ognuno propagandi il meglio di se stesso. Se il male comune è mezzo gaudio, è evidente che

il bene comune è un gaudio intero.

Dichiarare il meglio di noi stessi tramite luoghi comuni espressamente divulgati è un modo

come tanti per consolarci e per soddisfare la nostra graffiante autostima.

35° giorno Dare e ricevere

“Vuoi vivere felice? Viaggia con due borse, una per dare, l'altra per ricevere.” (Goethe)

“Cosa desideri dagli altri? Amore? Sostegno? Lealtà? Qualunque cosa desideri, donala tu

per primo”. (Swami Criyananda)

“Ol tô e ol da al mantè la maestà” ( Trad. “Il prendere e il dare mantengono il rispetto”).

(Proverbio bergamasco).

Questi aforismi e proverbi sono davvero illuminanti circa il valore dei doni, dati o ricevuti.

I doni possono essere talvolta addirittura pericolosi sia per l’offerente sia per il ricevente.

“Timeo Danaos et dona ferentes” (trad: Temo i Danai anche se portano doni). Così

Laocoonte esortava i Troiani a non introdurre entro le mura di Troia il cavallo donato dai

greci. (Eneide -Libro II, 49).

E’ innegabile che i doni spesso possono diventare un tentativo di corruzione per ottenere

favori o privilegi. Non è un caso che spesso vengano camuffati come un semplice pensiero.

Alcuni anni fa rimasi stupito quando un residente in Vaticano mi confessò che a Roma ed

anche in Vaticano stesso, si scambiavano ricchi regali pur di ottenere un favore che

l’offerente non solo si aspettava ma addirittura pretendeva. Il regalo ovviamente era

proporzionato al valore della richiesta. Quella consuetudine, aggiungeva, non era

occasionale o circoscritta, ma era una prassi molto diffusa e incredibilmente giustificata e

accettata da quasi tutti.

Saper dare senza nulla pretendere, forse, fa parte solo dei florilegi del pensiero francescano

o della nostra letteratura romantica. Non è necessario aver fatto degli studi approfonditi di

psicologia per capire che il legame instauratosi tra l’offerente e il ricevente è sempre molto

delicato e che in ogni momento potrebbe scattare il perfido meccanismo del ricatto e

dell’accusa di ingratitudine, con conseguenti devastazioni nei rapporti interpersonali.

36° giorno Ottimo ed abbondante

Capita spesso di sentire vecchi alpini che rimpiangono la gloriosa naia che condivisero con

bersaglieri o paracadutisti, insomma con tutti coloro che prestarono servizio militare presso

una delle numerosissime caserme sparse su tutto il territorio italiano.

La sorte purtroppo riservò anche a me l’occasione di vivere quell’esperienza che non oso

definire per non ferire il sentimento di molti convinti militaristi. Sono comunque un

testimone che non si allinea alla concezione romantica e tanto meno educativa della “naia”e

non ne rimpiango il rancio “ottimo ed abbondante”.

Non mi guardino in cagnesco tutti coloro che quando si intona “Signore delle cime” si

commuovono fino alle lacrime. Li capisco e devo confessare che quel canto commuove

anche me soprattutto quando penso alle sofferenze che molti soldati hanno dovuto subire in

guerra per non arretrare di fronte al nemico e che per difendere il proprio onore hanno

combattuto in condizioni estreme sino alla morte. Vittime inconsapevoli di una ferocia che

ha travolto nazioni e ha schierato fratelli contro fratelli. L’effetto catartico della guerra,

sostenuto da alcuni filosofi, non mi ha mai convinto e ho sempre considerato aberrante una

simile teoria.

“Ogni guerra - annotava Max Scheler nel novembre 1914- è ritorno all’origine creatrice

dalla quale nascono gli Stati; è sprofondamento nella potente sorgente di vita dalla quale

sgorgano le grandi linee del destino degli uomini”

Se la sfrontatezza di questa teoria è il frutto di ricerche filosofiche dobbiamo chiederci se

ha ancora un valore il significato etimologico stesso di filosofia, “amico della sapienza”.

I nostalgici delle caserme, volenti o nolenti, sono cultori di simili idiozie pseudofilosofiche

propagandate per aizzare i giovani alla violenza. La “potente sorgente di vita” è solo un

orrendo abisso di morte.

37° giorno Una questione di stile

La storia delle vicende umane ci insegna che si può dire tutto e il contrario di tutto. Gli

esempi si sprecano : dagli antichi sofisti agli attuali ciarlatani che, tutti i giorni seppure in

modo diverso, ci ammanniscono verità e frottole con la stessa disinvoltura, secondo le

opportunità e la direzione del vento.

Si vuole qui prendere in considerazione il modo come il messaggio viene veicolato dal

mittente al destinatario, al di là della valutazione dei contenuti degli innumerevoli scritti,

proclami, dichiarazioni, dialoghi, e di ogni altra forma di comunicazione.

Ci sono genitori, dotati di ottime capacità di persuasione che, senza ricorrere a minacce o a

ricatti, riescono ad ottenere quasi tutto dai loro figli. La loro gentilezza e il loro linguaggio

garbato, frutto di autocontrollo e soprattutto di una buona educazione, li rendono credibili e

quindi convincenti. Quei figli possono sentirsi giustamente orgogliosi e fortunati di avere

simili genitori.

A tutti noi sono capitate numerose occasioni di presenziare a riunioni di vario genere:

condominiali, sindacali, professionali, tra amici, colleghi, parenti e magari anche tra

sconosciuti. Sono incontri che talvolta degenerano in scontri.

Analizzare i motivi di riunioni terminate in un nulla di fatto è compito di coloro che le

hanno organizzate, ma certamente possiamo sostenere, senza timore di essere smentiti, che

la causa del loro fallimento è da ricercare nella mancanza di stile da parte dei presenti.

Incredibilmente dobbiamo constatare che quanto più i problemi sono banali tanto più si

scatena la confusione dovuta alle numerose proposte “intelligenti” avanzate dai soliti “utili

idioti” che irrompono sulla scena nei tempi e nei modi sbagliati.

Non tutti i problemi, di certo, si risolvono con le buone maniere; ma dobbiamo ammettere

che i rapporti tra le persone migliorerebbero sensibilmente con un po’ più di stile e di

dignità.

38° giorno L’insulto “politico”

Se si scorrono in Internet le pagine dedicate all’insulto “politico” si passa dal comico al

patetico con un pizzico di tragicomico che provoca un sussulto di indignazione di fronte alle

pesanti invettive che gli “onorevoli” si scagliano tra di loro con rabbia e violenza che

trasudano odio e disprezzo dell’avversario. Si è tentati di credere che gli “eletti” dal popolo

siano degli eroici paladini disposti a tutto e magari a donare la propria vita per difendere i

loro elettori affrontando anche il calvario delle percosse, degli sputi, delle derisioni,

rassegnandosi ad essere esposti alla pubblica gogna. Nulla di più falso!

La storia è piena di testimonianze di uomini politici che il giorno prima si dichiarano eterna

inimicizia e ostilità ma che, il giorno dopo, si prendono sottobraccio e non esitano a tentare

di convincere i loro elettori che i tempi sono cambiati e che per il bene del Paese sono

necessarie nuove alleanze anche con gli odiati avversari per costituire insieme un governo

che garantisca a tutti pace e un lungo periodo di benessere. É quasi inevitabile che ogni cosa

continui come prima e, probabilmente, anche peggio. Chi può negare che l’opportunismo

per costoro sia il primo comandamento?

Già all’epoca dei Romani serpeggiava l’odio e il disprezzo per chi governava. Si racconta

che una povera vecchietta, in cerca di serenità, si era rifugiata in un tempio dedicato a Giove

per pregarlo di concedere lunga vita all’imperatore. A coloro che stupiti le chiedevano

perché rivolgesse a Giove una simile supplica, mentre fuori la gente era in tumulto e urlava

morte all’imperatore, lei con calma rispose: “Come potete vedere, io sono molto vecchia e,

nella mia lunga esistenza, ho visto succedersi ben sei imperatori che, purtroppo, sono stati

uno peggiore dell’altro. Prego quindi che questo imperatore abbia lunga vita”. Quella

vecchietta aveva capito che l’odio e il disprezzo politico non solo non generavano benessere

ma confondevano la gente e originavano altri guai e sciagure.

39° giorno Due cose infinite

“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana… ma sul primo ho ancora dei

dubbi.” (Albert Einstein)

Davvero simpatica la sentenza del grande fisico, ideatore della teoria della relatività, il

quale, senza giri di parole condanna la stupidità dell’uomo sino a considerarla infinita, quasi

fosse una maledizione a cui non ci si può sottrarre. Dunque finché l’umanità continuerà a

sopravvivere su questo piccolo pianeta sarà irrimediabilmente condannata ad essere stupida.

Il mio pensiero ripercorre velocemente i punti salienti della storia dell’uomo dalle sue

origini a tutt’oggi alla ricerca di fatti che sono stati frutto non solo della stupidità ma

addirittura della pazzia del genere umano. E’ fin troppo facile individuare quegli eventi che

nel loro evolversi hanno causato inammissibili e ingiustificabili tragedie che hanno dato

ragione ad Albert Einstein. E come si può contestare la sua sentenza così dissacrante e

sprezzante nei confronti della stupidità dell’uomo quando noi prendiamo in considerazione

solo alcuni aspetti macroscopici quali la follia di Hitler sostenuta da milioni di persone, le

guerre che regolarmente sono tate combattute con ferocia animalesca in ogni parte del

globo, i campi di sterminio, i genocidi, le distruzioni di patrimoni artistici da parte di

fanatici sedicenti seguaci di Allah.

Ma senza scomodare la storia siamo ben consapevoli che la vita quotidiana è disseminata

di situazioni dove certamente l’intelligenza dell’uomo appare molto offuscata e discutibile.

Basta pensare ai rapporti tra colleghi, tra parenti e conoscenti, tra tutti coloro che ci stanno

attorno; se non sono loro che a volte ci rinfacciano la nostra stupidità, siamo noi che li

ripaghiamo con la nostra disistima e talvolta con il nostro disprezzo. Insomma la storia

diventa infinita appunto come l’universo e soprattutto come la stupidità umana.

40° giorno La vita è bella

Nonostante le numerose crisi sociali che si succedono con una certa frequenza, stiamo

vivendo un’epoca felice dove addirittura il lusso ormai non è solo appannaggio dei ricchi.

Certamente in tempi non troppo lontani la vita era costellata di molte e gravi difficoltà

dovute soprattutto al soddisfacimento dei bisogni primari del vivere quotidiano: il cibo, il

lavoro, la casa e la salute.

Il benessere, ai giorni nostri, è largamente diffuso; eppure la felicità dell’uomo non si è

evoluta in modo parallelo e, contro ogni aspettativa, il senso di precarietà e di infelicità sono

accresciuti in larghi strati della popolazione. Perché? La risposta data da alcuni studiosi sta

nel fatto che assieme al benessere sono accresciute pure le disuguaglianze sociali che

inesorabilmente favoriscono la diffusione del virus devastante dell’infelicità.

L’episodio che voglio raccontare testimonia che la vita è considerata ancora un bene

inestimabile da apprezzare incondizionatamente, da amare e vivere pienamente.

Era una tiepida giornata primaverile. In una stanza di un modesto appartamento sito in un

quartiere popolare giaceva immobile da alcuni anni un anziano ormai ridotto alla schiavitù

del letto; il soffitto era l’unica visione costante delle sue giornate e i soliti rumori casalinghi

gli assicuravano che era ancora in grado di percepire dei suoni. La finestra era aperta e la

stanza era inondata dal profumo della primavera e dalle voci gioiose dei bambini che

giocavano nel cortile sottostante. Inaspettatamente quel povero ammalato sorrise e,

rivolgendosi all’assistente sociale che era andato a trovarlo, flebilmente ma chiaramente

esclamò: “La vita è bella”. Non aggiunse altro ma continuò per alcuni minuti a sorridere.

Quando mi fu raccontato questo episodio, ammetto, provai una forte emozione.

Quarto intervallo

“ E’ vero che prima o poi la verità viene a galla, ma quando succede, talvolta essa emerge talmente mal ridotta da sembrare un autentico relitto difficilmente riconoscibile.”

41° giorno Rosso di sera ….

Richiamare alla mente i numerosi proverbi popolari che sin dall’infanzia abbiamo imparato

e ripetuto, suscita sempre un po’ di nostalgia come declamare le poesie che si imparavano a

memoria nei primi anni di scuola.

I vecchi proverbi che per molti secoli sono stati considerati fonte di saggezza e di

conoscenza del mondo circostante, simpaticamente arricchivano i discorsi di tante umili

persone che li sapevano scegliere e citare opportunamente per ogni circostanza, dal mondo

del lavoro alle variazioni climatiche, dallo stile di condotta al rispetto per l’ambiente in cui

viviamo. Arcinoto è il proverbio: “Rosso di sera , bel tempo si spera”. Non importa se il

giorno dopo il tempo facesse le bizze e magari diluviasse. Ci si poteva sempre consolare

dicendo che il proverbio era comunque valido perché non era una profezia ma solo una

speranza e un auspicio.

E come si potrebbe contestare la verità coniata in un altrettanto noto proverbio: “Tanto va la

gatta al lardo che ci lascia lo zampino”? Ne sanno qualcosa quei monelli che facevano

disperare la mamma rubando la marmellata o le caramelle: prima o poi ci avrebbero lasciato

lo “zampino”.

Il detto popolare è come una scintilla nella via del futuro che guida nel giudizio e

nell’operato di ciascuno. Anche se ormai il proverbio appartiene più al passato che al

presente, spesso rispolverarne qualcuno può risultare utile e divertente.

Il buon senso e l’arguzia sono considerate due caratteristiche fondamentali dei proverbi che

possono essere definiti delle brevi espressioni letterarie non prive di umorismo e di ironia

con le quali si trasmettono il frutto dell’esperienza e della saggezza di un popolo. Concludo

con un proverbio esemplare che invita a sapersi accontentare di quello che già si possiede, e

a condannare il peccato dell’avidità : “All’uccello ingordo gli crepa il gozzo”, oppure

“Bisogna accontentarsi di quello che passa il convento!”

42° giorno Essere sinceri conviene

Vi sono persone talmente indurite dal vizio di essere bugiardi da riuscire a convincere

addirittura sé stessi che le proprie affermazioni sono sempre la quintessenza della verità.

Goebbels, gerarca nazista, ministro della propaganda della follia hitleriana, perfidamente e

spudoratamente dichiarava: ”Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà

una verità”

Un capitolo intero dovrebbe essere riservato alla disinvoltura con cui molti uomini politici

illudono i loro elettori con promesse fasulle e menzogne farcite di proclami altisonanti

confezionati opportunamente per carpire la fiducia e il sostegno del popolo.

Il naso di Pinocchio che cresceva ogniqualvolta diceva una bugia è divenuto l’emblema dei

bugiardi. Senza dubbio nella nostra vita, più di una volta anche noi avremmo meritato di

essere condannati a vederci crescere il naso a dismisura.

Forse i veri bugiardi sono proprio coloro che affermano di essere sempre stati sinceri e che

sono pronti a giurare di non aver mai proferito una sola bugia in tutta la loro vita. Un bel

sorrisetto sarebbe il modo migliore di ripagarli per una simile confessione.

Le bugie dei piccoli sono considerate quasi sempre dei simpatici tentativi per guadagnarsi

attenzione e affetto, e quindi sono facilmente perdonate; si è meno disposti, però, a

perdonare le menzogne degli adulti ai quali irrimediabilmente si nega la nostra fiducia per il

resto della vita.

Considerando che per una bugia talvolta si paga con la perdita totale della nostra

credibilità, è davvero cosa opportuna ed intelligente essere il più possibile sinceri. Poiché le

bugie hanno le gambe corte, non potremmo andare molto lontano: presto o tardi saremmo

raggiunti e sbugiardati.

Dunque la sincerità conviene!

43° giorno La pazienza è la virtù dei forti

La pazienza, si è sempre dichiarato, è la virtù dei forti; ma è bensì vero che taluni si

rendono e si sono resi forti abusando della pazienza altrui.

Ho sempre avuto qualche perplessità nel considerare la pazienza come una virtù; la

considero piuttosto un comportamento virtuoso, alquanto opportunistico e un po’ vigliacco.

Basta solo pensare in quali circostanze o con chi dobbiamo esercitare la nostra pazienza e ci

accorgiamo ben presto che siamo vittime di obblighi, di regole, di divieti, di fronte ai quali

ci sentiamo impotenti e rassegnati. Questa impotenza e questa impossibilità di reagire viene

barattata per la virtù della pazienza; in verità stiamo sopportando situazioni talvolta dolorose

e umilianti, ingiustizie e vessazioni ingiustificate.

Molte persone hanno fatto carriera, hanno raggiunto traguardi di responsabilità e prestigio,

e tutto si può dire di loro, eccetto che siano pazienti e tolleranti. L’unica pazienza che

conoscono è proprio quella che impongono ai loro subalterni o ai loro colleghi. Al termine

del lavoro quando tornano a casa assumono lo stesso atteggiamento di prepotenza nei

confronti della moglie e dei figli i quali , “pazientemente” sopportano il loro padre e marito

padrone.

Perdere le staffe ogni tanto fa bene e soprattutto ci aiuta a scaricare lo stress accumulato da

lungo tempo. Troppe persone sono avvezze ad abusare della pazienza altrui e persistono nei

loro atteggiamenti arroganti e vessatori solo perché non ottengono risposte adeguatamente a

tono e proporzionate alla virulenza delle loro pretese.

Se essere pazienti significa invece essere calmi, allora tutte le considerazioni che si fanno

sulla virtù della pazienza cambiano radicalmente. Al prepotente, infatti, si può reagire con

forza ed intelligenza, pur mantenendosi calmi. Solo con la calma si possono sgonfiare i

palloni sempre pronti ad esplodere!

44° giorno Un tesoro da salvare

Il 14 agosto 1994, ad Acceglio, la sera della vigilia della festività dell’Assunta ci si

apprestava a sfilare in solenne processione, quando gli abitanti di quel pittoresco paese

dell’Alta Val Maira, rimasero inaspettatamente e felicemente sorpresi nel risentire

echeggiare nella loro chiesa le solenni e gioiose note dell’organo, di quel prezioso strumento

che, purtroppo per molti anni era rimasto muto e abbandonato all’incuria. Nonostante la

polvere e il tarlo avessero compiuto un’evidente devastazione l’organo appariva ancora una

meravigliosa creatura che, seppure segnata dagli anni, si dimostrava sufficientemente

robusta e in grado di rinnovare gli antichi splendori.

Ricordo con emozione che molte persone si erano fermate dopo la funzione religiosa per

complimentarsi con me perché avevo procurato loro una grande gioia nel far risentire quello

splendido capolavoro dell’arte organaria. Da allora tutti gli anni nei mesi estivi sono tornato

ad Acceglio dove ho sempre ritenuto che fosse un mio preciso compito far rivivere il

prezioso organo per trasmettere gioia e serenità ai fedeli presenti alla domenica in chiesa per

la Messa. Con il parroco si parlava spesso della necessità di tenere in vita un simile

inestimabile capolavoro che gli Accegliesi hanno la fortuna di possedere.

Il recupero materiale di un bene storico ed artistico appartenente alla cultura del paese è un

obbligo per tutti. Dobbiamo essere orgogliosi e desiderosi di far rivivere le tradizioni della

comunità e di esibire il proprio patrimonio artistico e culturale.

Negli anni ’50 i Salesiani, durante il periodo estivo, si recavano tutti i giorni in Parrocchia,

per la santa Messa; i canti corali erano sempre accompagnati dall’organo che in quei lontani

giorni, penso, abbia donato il meglio di sé stesso.

Oso sognare e sperare che un giorno sia restaurato e annoverato tra gli eventi culturali

programmati annualmente per far rivivere i tesori che sono conservati e custoditi nelle

nostre chiese. La Val Maira meriterebbe un simile dono!

45° giorno La difesa della propria identità

Quando si vuol misurare il grado di rispetto e di stima che intercorre fra parenti o amici, è

sufficiente esprimere un giudizio tanto semplice quanto perfido: “Mi sembri a Tizio”,

oppure “Mi sembri a Caio” o ad altri componenti del gruppo che non godono di particolare

simpatia e considerazione. Tizio e Caio potrebbero essere lo zio, il fratello, la suocera, un

rompiscatole qualsiasi, un parente o un conoscente odioso e antipatico.

Essere paragonati a qualcuno che non stimiamo è davvero umiliante per un duplice

motivo: il primo è dovuto al tentativo di infrangere e demolire la nostra identità di cui si è

immensamente gelosi; il secondo è l’intenzione di affibbiarci lo stesso difetto della persona

con cui ci si paragona. Una duplice offesa, quindi che ci induce a rispondere con astio e

rancore a colui che ha osato metterci sullo stesso livello di persone che non si stimiamo o

addirittura di persone che sono costantemente oggetto di derisione.

Perché spesse volte tra fratelli insorgono situazioni penose e pietose dove non si

risparmiano insulti e cattiverie che ottengono inevitabilmente il triste risultato del rifiutarsi

reciprocamente? La risposta non è semplice. Si può, comunque, sostenere che alla base di

tutto vi sia proprio il rifiuto di condividere delle somiglianze solo perché le leggi della

consanguineità e dell’ereditarietà le impongono. Il dubbio di sembrare ad un consanguineo

che consideriamo un mezzo idiota, scatena una reazione di ribellione, sino al punto di

sentirsi vergognati di appartenere allo stesso ceppo familiare.

Siamo talmente gelosi della nostra identità che non tolleriamo di sembrare ad alcuno,

tantomeno a persone che non apprezziamo, parenti compresi.

Mai, dunque, dire a chicchessia: “Mi sembri a…” Si otterrebbero, inevitabilmente, risposte

rabbiose e risentite.

46 ° giorno Banalità

Parlare di banalità potrebbe essere la prima e vera banalità. Eppure trovo che un pensiero e

un commento alle tante banalità che ci capita di vedere, sentire, fare o dire ogni giorno non

sia del tutto inutile.

Quanti discorsi dei nostri uomini politici sono rivolti alla “pancia” piuttosto che al

“cervello” dei loro elettori. Sappiamo bene che gli acidi gastrici ci mettono in condizione di

digerire un po’ di tutto; non dobbiamo scordarci che alla fin dei conti siamo animali

omnivori. E’ molto più difficile, invece, che il nostro cervello possa filtrare i messaggi che

gli arrivano e soprattutto che sia sempre in grado di fare delle scelte opportune per il

benessere intellettuale e culturale. Chi ha frequentato piazze, giardini o qualsiasi locale

pubblico, e si è avvicinato ai crocicchi di persone intente a discutere fra di loro, sicuramente

avrà sentito una serie interminabile di banalità che infarciscono i loro discorsi. Si va dal

patetico al melodrammatico con gradazioni di toni e di colori che potrebbero essere

opportunamente utilizzati per dipingere un quadro kitsch di indubbio cattivo gusto.

Tempo fa un notissimo comico italiano intervistato da un giornalista, alla domanda da

dove ricavasse gli spunti delle sue gag comiche, diede una risposta incredibilmente semplice

ed efficace: “Non faccio nulla di eccezionale; mi basta ascoltare ed osservare i

comportamenti delle persone nei luoghi più disparati ed ascoltare i loro discorsi. Alcuni li

trovo esilaranti e mi basta imitarli per creare delle comiche”

Far ridere, comunque, non è una cosa banale, anzi è molto seria e difficile tanto che il

poeta francese Jean de Santeuil nel sec. XVII scriveva: “Castigat ridendo mores” (Corregge

i costumi ridendo).

Da un film ho colto un’altra bella sentenza: “Le risate sono le mani di Dio su un mondo

travagliato”. Un motto simpatico e per nulla banale.

47° giorno Parlare in pubblico

Può capitare a tutti noi di dover intervenire in pubblico per esprimere un nostro pensiero,

per dare una nostra valutazione dei fatti. La prima preoccupazione è il superamento

dell’ansia e della timidezza che impedisce a molti di agire con naturalezza e disinvoltura.

Gli uditori, stranamente si dimostrano benevoli nei confronti di costoro, e ben disposti

all’ascolto, forse per incoraggiarli ed incitarli a proseguire nel loro intervento.

Il pubblico solitamente è meno disposto, invece, a tollerare le lungaggini dei discorsi

prolissi e ripetitivi, soprattutto di quegli oratori o predicatori che danno l’impressione di

essere dei saccenti antipatici che si sentono i depositari incontestati di verità nascoste ai

comuni mortali. Certi protagonisti logorroici incorreggibili dovrebbero essere un po’ più

umili e soprattutto essere consapevoli che tra gli ascoltatori vi sono persone più intelligenti

ed esperte di loro.

Parlare ad un pubblico di qualsiasi estrazione sociale o culturale che sia, richiede sempre il

massimo rispetto e una preparazione meticolosa nella scelta dei tempi, parole e modi che

permettano di catturare l’attenzione dei propri uditori nel modo più semplice possibile ed

efficace.

Circolava tempo fa una battuta circa il valore delle prediche e il loro prezzo. Si elencavano

tre tipologie di prediche, quelle da 25 denari, quelle da 50 e per ultime quelle da 100.

Quelle da 25 sono le prediche dove tutti capiscono, sia chi parla sia chi ascolta. Quelle da

50, dove capisce solo chi parla ma non chi ascolta. Quelle da 100, infine, sono le più costose

ma purtroppo le peggiori perché nessuno capisce, né chi parla né chi ascolta.

Ovviamente si consigliano sempre le prediche meno costose dove tutti possano capire ed

evitare che si debbano fare troppi sforzi per non addormentarsi.

48° giorno Il patrimonio genetico

Al patrimonio genetico, che noi tutti abbiamo ereditato, ormai vengono imputate la maggior

parte dei nostri vizi e virtù. Parlarne è un toccasana per coloro che vogliono scaricare le

proprie responsabilità o addirittura esaltare le proprie origini e potere così proclamare a tutti

da quale “nobile lignaggio” essi discendono.

Vi immaginate due innamorati che si interpellano reciprocamente sul proprio patrimonio

genetico, nella speranza di generare in futuro una prole sana, intelligente e affascinante?

A tal proposito si narra che una bella signora giovane e procace, ma un po’ sciocca, si fosse

incontrata con Albert Einstein durante un ricevimento. Affascinata dalla grande intelligenza

del famosissimo professore di fisica, gli si avvicinò per professargli la sua ammirazione,

giungendo a dire: “Se noi due ci sposassimo e avessimo dei figli sarebbe una cosa

meravigliosa: nascerebbero dotati della sua intelligenza e della mia bellezza”. Non tardò

Einstein a risponderle con una battuta davvero geniale: “Pensi, mia cara signora, se invece i

figli nascessero con la mia bellezza e la sua intelligenza. Poveri loro!”

Si deve ammettere che il patrimonio genetico combina molti scherzi dovuti alla casualità e

alla percentuale incerta con cui si trasmette. Quando leggiamo che le cattive abitudini dei

genitori passano geneticamente ai figli, scatta in noi un senso di impotenza di fronte

all’ineluttabile destino che ci ha assegnato genitori moralmente discutibili e non del tutto

irreprensibili. Insomma è proprio colpa del “genoma” e quindi del DNA che è ritenuto il

marchio d’identità di ogni individuo ed è responsabile della trasmissione dei caratteri

ereditari.

Rasegnamoci! Le leggi di natura ci assolvono o ci condannano senza appello. A noi

purtroppo resta il compito arduo di dover correggere i vizi ereditati.

49° giorno La crus col pa

Un proverbio bergamasco recita: “La crus col pa, l’è ö bel portà” (trad.“La croce quando c’è

il pane, si sopporta bene”).

In tempo di crisi purtroppo unitamente alla croce c’è pure la carenza di pane, e le tragedie si

moltiplicano impietosamente. Tutte le promesse e i discorsi fatti per attenuare il dolore e la

disperazione di numerose vittime dell’indigenza, spesso ottengono l’effetto di affondare il

coltello nella piaga.

Eppure ci sarebbe pane per tutti, ma le leggi ferree del mercato impongono la distruzione

del pane invenduto. La domanda e l’offerta sono gli unici parametri ai quali debbono

attenersi i commercianti per stabilire il prezzo e la quantità di vendita dei loro prodotti, pane

compreso. Se distribuissero gratis il pane invenduto, inevitabilmente abbasserebbero il

livello della domanda e di conseguenza anche il prezzo di vendita. Semplice, vero? Anzi,

banale!

La banalità dell’egoismo è il vero grave problema. Il rifiuto di intervenire per aiutare chi

vive nelle ristrettezze e nella miseria è simile ad un virus, il virus dell’indifferenza, che

devasta inesorabilmente i rapporti tra le persone, e ci costringe a vivere nel nostro piccolo

recinto. Mentre lo sguardo sul mondo è sempre più vasto, paradossalmente i rapporti con i

nostri simili si affievoliscono e le paure di affrontare chi ci sta attorno diventano sempre più

inquietanti. Si vedono solo gli effetti negativi della globalizzazione che è considerata la

causa delle tensioni internazionali, delle guerre e della diffusione di malattie sconosciute.

Rimangono inascoltati coloro che sognano e predicano un mondo più unito, dove la

giustizia sia fondata sul rispetto di tutti e sulla necessità di distribuire equamente i beni che

la natura elargisce generosamente e in tale abbondanza da poter sfamare quei milioni di

persone che ancora oggi muoiono di fame.

Alla croce della loro umiliazione non si aggiunga la disperazione della mancanza di pane

di cui tutti hanno diritto.

50° giorno Ufficio Complicazioni Affari Semplici

Vi sono persone abilissime nel complicare problemi semplici, ma totalmente incapaci di

affrontare problemi di una certa complessità.

“Tot capita tot sententiae” è il motto latino che ben definisce la varietà di atteggiamenti e

di pensiero diffusa tra gli uomini. Ce n’è per tutti i gusti: dall’intelligente all’ignorante, dal

pratico al teorico, dal logorroico all’asciutto di parole.

Vi è, comunque, una categoria di persone che mi ha sempre impressionato: sono coloro

che di fronte ad un problema semplice da risolvere non si danno pace finché non riescono a

complicarlo in modo tale da renderne impossibile la soluzione.

Chi ha frequentato qualche collegio docenti o consiglio di classe, mi darà sicuramente

ragione e magari mi citerà una lunga serie di esempi a dimostrazione della validità delle mie

impressioni. Si trascorrono ore ed ore a stilare obiettivi didattici corredati da altrettanti

sottobbiettivi con relativi test da sottoporre ai poveri sventurati alunni che dovranno

dimostrare di aver raggiunto quelle mete educative che i professori si sono prefissati.

Proprio in una di queste riunioni, un mio amico, un po’ burlone, aveva coniato una sigla

originale ed efficace: U.C.A.S (Ufficio Complicazioni Affari Semplici). Ovviamente la sigla

era riferita al Collegio Docenti e ai vari consigli di classe.

Anche in ambito familiare qualcuno riesce sempre a complicare situazioni piuttosto

semplici con interventi perditempo e lungaggini snervanti che portano a risultati deludenti,

provocando delle autentiche crisi di nervi. Ogni occasione è buona per avviare impietose

valutazioni critiche sull’operato altrui: marito contro la moglie, genitori contro i figli e

viceversa. La soluzione di un problema che poteva essere trovata in breve tempo, grazie alle

complicazioni dei soliti UCAS, è rimandata quasi sempre ed inesorabilmente alle Calende

greche.

Quinto intervallo

“Dover esternare i propri sentimenti è un’impresa che comporta il rischio di assumere toni patetici o noiosamente retorici o, ciò che è peggio, di sconfinare nell’autocommiserazione.”

51° giorno A livella

Oltre ad essere stato un attore comico impareggiabile, Totò ebbe anche il dono e la

sensibilità di comporre alcune poesie e canzoni che non si potranno mai dimenticare.

Anche i letterati più severi si sono convinti ad inserire la sua poesia “A livella” nel novero

delle grandi ed originali composizioni poetiche. Immaginarsi di assistere in un cimitero ad

un dialogo tra due morti, un povero netturbino ed un nobile marchese, offeso di essere stato

seppellito accanto ad un villano di bassa lega, ha permesso al poeta di ricordare in modo

simpatico che la morte non fa alcuna distinzione tra chi in vita ha ostentato ricchezza e

onori, e tra chi, invece è vissuto nell’indigenza e nella disperazione.

Quando penso alle tante maestose quanto inutili tombe di famiglie, inevitabilmente mi

torna alla mente l’ultima strofa della poesia che recita:

“Sti ppagliacciate ‘e fanno sulo e’ vive:

nuje simmo serie… appartenimmo à morte”

Parole semplici di un “grande” Totò.

Il volersi distinguere anche dopo la morte è una caratteristica di coloro che non accettano

l’idea che, loro malgrado, come tutti i poveri mortali, saranno ridotti in polvere che il vento

solleverà e disperderà ovunque. Eccoli, quindi, a predisporre tombe resistenti, magari in

cemento armato, abbellite da marmi pregiati su cui scolpire bassorilievi con la propria

effigie, per ricordare ai posteri che neppure il tempo potrà cancellarli dalla faccia della terra.

Illusi, non si rendono conto che in tal modo riusciranno solo a perpetuare la loro insulsa

megalomania.

In un cimitero la modestia dovrebbe essere rigorosamente osservata, per evitare che anche

dopo la morte si corra il rischio di essere ridicolizzati a causa di megatombe di pessimo

gusto, che costituiscono un insulto all’unica autentica giustizia che fortunatamente non fa

distinzioni per nessuno, ed emetterà per tutti, senza appello, un’unica estrema sentenza:

l’obbligo di lasciare per sempre questo mondo.

52° giorno Albero genealogico

Più di una volta ho letto la novella “La Roba” dove Verga descrive molto bene il travaglio

di Mazzarò, un povero umile contadino che riuscì ad appropriarsi di vastissimi

possedimenti, grazie alla sua astuzia e alla sua tenacia, a spese di un nobile inetto che

badava più allo stemma ereditato dai suoi antenati che ala gestione del proprio patrimonio.

Mazzarò non sapeva che farsene dello stemma nobiliare del barone, e fu l’unica cosa che gli

lasciò dopo averlo depredato di tutti i suoi terreni.

Ho conosciuto alcune persone che si sono comportate come quel nobile barone tanto

borioso quanto sciocco al punto da mettere in secondo ordine i propri interessi pur di esibire

le proprie origini privilegiate e blasonate. Hanno addirittura commissionato ad istituti

araldici una ricerca “storica” per sapere quali illustri antenati avessero dato origine al loro

albero genealogico.

E’ vero che tutti siamo, chi più chi meno, orgogliosi del nostro buon nome, ma illudersi di

accrescere il proprio valore esibendo una falsa documentazione dei nostri antenati,

propinataci da ricerche truffaldine dei numerosi istituti araldici, è tipico di fanatici illusi ed

esaltati.

Una domanda molto semplice pongo a questi presuntuosi: “Dove esibirete lo stemma

familiare che puntualmente vi sarà recapitato a casa vostra?” Magari sul portone di casa, o

addirittura lo farete scolpire all’entrata del vostro appartamento, o in un posto qualsiasi

purché in bella vista. Provo ad immaginare le sonore risate che farebbero i vicini di casa se

vedessero un simile obbrobrio.

Ho già visto le reazioni di alcuni figli quando il loro padre, orgogliosamente ma

ingenuamente, esibì come eredità un elegante volume finemente rilegato e decorato da

iscrizioni dorate e dallo stemma araldico. I più gentili si limitarono ad un sorrisetto di

compassione.

53° giorno Famiglia disintegrata

Capitava spesso che un’amica di mia madre venisse a casa nostra per confidarle le sue pene

e disavventure coniugali che io ero quasi costretto ad ascoltare mentre svolgevo i miei

compiti di scuola. Parlottavano tra di loro a bassa voce per non disturbarmi o forse perché io

non capissi; ma, purtroppo, grazie al mio udito eccellente, non mi sfuggiva una sola virgola

dei loro colloqui.

La signora che aveva avuto già sei figli, piagnucolava e si disperava perché suo marito la

tradiva spudoratamente con una “donnaccia” che abitava nella stessa via. Il marito era

certamente focoso ma, ahinoi, era il classico bambinone che si era sempre rifiutato di

prendersi le sue responsabilità e soprattutto si era sempre dimostrato incapace di educare i

propri figli con intelligenza e con premura, e di tenere saldo il timone alla guida della sua

famiglia. Praticamente quella povera signora non doveva accudire solo a sei ma a sette figli;

il settimo, ovviamente, era il marito che tra i suoi numerosi difetti annoverava quello più

grave: il vittimismo. Era sfrontato fino al punto di addossare le proprie colpe alla sventurata

consorte e tentava di giustificare la sua condotta puerile con scuse inaccettabili e impudenti

alla ricerca di una compassione che non avrebbe mai meritato.

Ogni tentativo che la povera donna faceva per riportare una sospirata normalità in

famiglia, era vanificato dalla testardaggine e soprattutto dalla capacità di mentire di suo

marito.

Poiché la devozione religiosa svolgeva un ruolo importante a quei tempi, il matrimonio era

considerato sacro e indissolubile. Si può immaginare quale fosse il travaglio per l’amica di

mia madre che era tutta chiesa, casa e famiglia! Numerosi confessori le suggerirono una

separazione legale, ma non li ascoltò. Alla fine prevalse la scelta di accettare le umiliazioni

che il marito le provocava pur di salvare capra e cavoli e, soprattutto, gli interessi della

famiglia, seppure disintegrata.

54° giorno Scripta manent

Il proverbio latino è categorico: “Scripta manent, verba autem volant” Gli scritti restano

mentre le parole volano e si disperdono nel nulla.

Oggi sia le parole sia gli scritti hanno una scarsa consistenza e credibilità al punto che non

solo si nega ciò che si è detto, ma addirittura si nega ciò che si è scritto e registrato. In

questo gioco al nascondino delle dichiarazioni dette o registrate in pubblico e soprattutto in

privato, si distinguono i nostri uomini politici che, con il massimo della faccia tosta,

ribaltano le insulsaggini dei loro proclami avventandosi contro giornalisti o nemici politici i

quali vengono accusati di aver male interpretato le loro parole e di averne travisato il senso.

Capita di aver sentito dichiarazioni, anche compromettenti, di parenti, amici o conoscenti

con la solita aggiunta: “Mi raccomando, non dirlo a nessuno! Lo dico solo a te!” Una

variante a queste esortazioni è quell’altro noto avvertimento:

“ Bada bene che qui lo dico e qui lo nego”.

A parte la vocazione al pettegolezzo che connota lo stile di vita di molti, resta in tutti noi il

dovere di infondere fiducia nei nostri interlocutori. Si possono vanificare i tentativi di

spettegolare con un mezzo molto semplice, ma concreto ed efficace: scrivere! Ogni scritto

obbliga sia lo scrivente sia il destinatario ad evitare compromessi o smentite. Le parole nel

tempo sfumano o si scolorano al punto che possono essere ambiguamente manipolate con

opportune dimenticanze o voluti “omissis”. La persona sincera non teme di mettere per

iscritto le sue dichiarazioni e i suoi giudizi perché ritiene che la verità non possa essere

opportunisticamente interpretata col variare delle circostanze. Già da piccoli ci esortavano a

stare attenti all’uso delle parole e soprattutto a chi e come rivolgerle. Oggi, come non mai, è

bene che i documenti siano sempre certificati dalla parola scritta. Si offrono credenziali di

maggiore serietà e minore opportunismo. È finita l’epoca in cui bastava una semplice

stretta di mano.

55° giorno Madre Terra

“Madre Terra ha una sua immensa generosità: lei, così potente, lei donna capace di dar

vita ai vulcani, agli oceani, alle montagne, ai dirupi, ai deserti, ha scelto di condividere con

noi, con l'umanità, una fragile sorte. Ha consentito che uomini e donne abitassero la sua

casa. E noi, spesso, siamo così altezzosi da voler dimenticare questo dono. Noi, ospiti di un

mistero.” (Andrea Semplici, giornalista).

Mi è sembrato doveroso dedicare un pensiero alla Madre Terra che in lingua quechua era

nominata Pacha Mama e che era adorata come una divinità dagli Inca e da altri popoli

abitanti dell’altipiano andino. È la dea della terra, dell’agri-coltura e della fertilità.

La sensibilità, che le popolazioni antiche dimostravano nel loro amore verso la terra, è per

noi oggi un severo richiamo ad essere più rispettosi di questo pianeta di cui siamo

“misteriosamente ospiti”. La madre terra ci ricorda continuamente che deve essere

rispettata, altrimenti saremo costretti a pagare a caro prezzo ogni offesa che essa riceverà.

Si condannano gli abusi edilizi, la cementificazione selvaggia, le discariche abusive, la

distruzione delle foreste, gli inquinamenti di ogni genere, ma troppo spesso le condanne si

limitano alle parole cosicché si moltiplicano le offese alla natura, al volto della madre terra

la quale si dimostra sempre più corrucciata e disposta a vendicarsi. E le vendette che si

scatenano non sono né leggere né insignificanti. No, di certo! Noi italiani, che ci

vantiamo di avere la nazione più bella del mondo, troppo spesso ci comportiamo da stupidi

e ingrati quando dimostriamo la nostra indifferenza verso la Terra che ci ha regalato con

tanta generosità splendidi panorami, acque limpide, laghi e mari incantevoli, le quattro

stagioni che nel loro alternarsi creano un gioioso dinamismo di colori e suoni. Inutile, poi,

disperarsi e piangere quando inesorabilmente la natura si ribella e si vendica degli oltraggi

subiti!

56° giorno Un monito categorico

Fui sorpreso tempo fa dalla dichiarazione di un vip della politica a commento dell’arresto di

un suo stretto collaboratore, un tuttofare maneggione di loschi affari e intrighi, ben noto a

tutti i suoi elettori che lo stimavano per la sua intelligenza e la sua disinvolta

amministrazione degli affari pubblici e privati. Orbene, freddo anzi gelido fu il commento:

“Sic transit gloria mundi” (trad. “Così passa la gloria del mondo”)

Si sa, l’amicizia tra uomini politici è sempre molto precaria e può svanire in brevissimo

tempo soprattutto quando la fortuna volge loro le spalle. Si potrebbero citare numerosi

esempi che hanno per protagonisti molti individui che, dopo essere stati abbandonati dalla

fortuna, furono pure abbandonati da parenti e amici. La gloria del mondo è una droga che

oscura la ragione e ci impedisce di godere delle cose più semplici e più belle della vita. Non

ci si deve meravigliare se nella ricerca spasmodica della gloria si è circondati da

opportunisti che si sperticano in lodi e falsi giuramenti di fedeltà. Al primo soffio di vento

contrario ti abbandonano al tuo triste destino e svaniscono come nebbia al sole.

La caducità delle cose umane è bene stigmatizzata dall’ammonimento che il cerimoniere

papale ripeteva per ben tre volte davanti al Pontefice neo eletto: “Sic transit gloria mundi” e

per sottolineare quanto fosse effimera la sua gloria, accendeva della stoppa posta su un’asta

che naturalmente si spegneva in un batter d’occhio.

Anche Alessandro Manzoni nella sua notissima ode “Il cinque maggio” si chiede se la

gloria di Napoleone fosse stata “vera gloria”. La risposta a simile domanda fu data dallo

stesso poeta quando nei versi successivi definisce la gloria napoleonica come la “gloria che

passò” . La sua avventura terminò, infatti, in un’isola deserta sperduta nell’Oceano.

Un monito per ricordare a tutti che gli onori non si abbinano solitamente alla felicità

dell’uomo.

57° giorno Foto emblematica

Una nostra vicina di casa sovente ci affidava in custodia la sua bellissima bambina, tutta

riccioli, con due vivaci occhioni stampati in un visino sempre sorridente e gioioso. La sua

allegria era contagiosa e non si poteva resistere alla sua vivacità. Sono trascorsi ormai più di

trent’anni e la piccola riccioli d’oro ora è una giovane signora felicemente sposata e in attesa

di un figlio.

Gli anni non hanno cancellato quel suo candore che ancora oggi manifesta nei suoi rapporti

con tutti; per questo sa farsi voler bene dagli amici, dai suoi parenti, da tutti coloro che

hanno occasione di incontrarla. È insomma una donna a cui nessuno vorrebbe fare un torto o

causare dei dispiaceri.

Eppure un giorno anche lei dovette constatare che il mondo non è sempre una favola

incantata e che, purtroppo, ci si deve rassegnare a convivere e sopportare una schiera di

balordi e di stupidi che una cosa sola sanno fare bene: esternare la loro innata

predisposizione all’idiozia!

Un giorno, infatti, lei dovette recarsi in ospedale per un controllo del sangue, per essere

rassicurata sul suo stato di salute in un momento così delicato come la gestazione di un

figlio. Arrivata nel reparto che le era stato indicato, ebbe l’amara sorpresa di ritrovarsi

l’ultima di una lunga fila di anziani, anch’essi in attesa di un controllo. Poiché si sentiva

poco bene, chiese gentilmente se l’avessero lasciata passare avanti, adducendo il motivo che

era incinta. La risposta che ottenne da un vecchiardo, è da inserire nel vade mecum del

cretino integrale: “Signora, cosa vuole? Non vede che anch’io son incinto e con me tutti i

qui presenti?”

Alla risposta villana seguì la classica risata di scherno. Il Tizio era convinto di aver dato una

risposta spiritosa degna di suscitare l’ilarità dei presenti. Peccato che nessuno abbia scattato

una primo piano a quell’individuo; avrebbe ottenuto a poco prezzo l’immagine simbolo

dell’idiota perfetto!

58° giorno In Svizzera

Anni fa ebbi la fortuna di essere ospitato da amici in un lindo paese della Svizzera, Wattwil,

a pochi Kilometri da Zurigo, equidistante da due laghi, il lago di Zurigo e il lago di

Costanza.

Siamo stati affascinati dalla generosità e dalla splendida accoglienza che i nostri amici ci

hanno riservato nei tre giorni in cui siamo stati loro ospiti.

Quando si è all’estero è inevitabile stabilire dei confronti tra gli stili di vita che sono

vistosamente diversi dal nostro. Solitamente si dice che “ogni mondo è paese” e quindi,

ovunque si vada, si scopre che i sentimenti umani, le debolezze come la nobiltà d’animo,

l’eroismo e la vigliaccheria, la saggezza e la stoltezza, la bontà e la perfidia sono uguali

dappertutto. È vero! Sono, comunque le piccole cose che spesso fanno la differenza. Cito un

esempio per tutti.

Dopo l’abbondante pranzo consumato in sana e festosa allegria, decidemmo di fare quattro

passi per le strade del paese. Che meraviglia! Vasi di fiori pendevano dai balconi quasi a

poterli toccare e ammirare da vicino. Erano ben curati, turgidi e belli. Inevitabilmente pensai

cosa sarebbe successo in Italia a quei vasi di fiori così pericolosamente a portata di mano.

Forse sarebbero scomparsi non solo i fiori ma il vaso intero ed anche la catenella a cui erano

appesi. Scacciai il cattivo pensiero per non rovinarmi il piacere della passeggiata tra quei

vicoli che sembravano predisposti a fare da modelli per pittori esigenti.

Continuando la nostra camminata ci ritrovammo a ripercorrere il viale che fiancheggiava il

fiume. Non una cartaccia, non un mozzicone di sigarette, non un sacchetto dell’immondizia

abbandonato dai soliti maleducati. Io e mia moglie eravamo incantati da tanta pulizia.

Il proverbiale ordine svizzero non era dunque una favola ma una confortante realtà!

59° giorno In collegio

Mancavano ancora tre mesi al compimento del suo decimo anno d’età. Un paese del

Piemonte, un collegio gestito da religiosi, un cancello che si rinchiudeva e tracciava

inesorabilmente l’ultimo confine tra il mondo della sua fanciullezza e un mondo sconosciuto

che lo terrorizzava. Ecco i ricordi e le immagini che ancora oggi, dopo tanti anni, lo turbano

e gli causano rancore e rabbia contro tutti coloro che, senza pietà avevano osato

“depositare” un fanciullo di nove anni in un collegio, deprivandolo improvvisamente del

suo diritto di essere cresciuto amorevolmente nella propria famiglia. Gli dissero che

l’avevano fatto per il suo bene. Solo bugie e maldestri tentativi di giustificare la loro

esecrabile e imperdonabile decisione. Abbandonato dai genitori, dai fratelli e dai suoi

compagni di giochi in un nuovo ambiente, lontano dalla casa dov’era nato e cresciuto, si

sentiva soffocare dalla nostalgia e dalla solitudine. Pianse per ore, nascosto in una toilette

perché non voleva farsi compatire da sconosciuti.

L’unica sua “colpa” fu quella di essersi sempre dimostrato buono ed obbediente e,

soprattutto, di aver sempre ottenuto dei buoni risultati a scuola. Il suggerimento che tutti

davano a sua madre, fu proprio quello di fargli continuare gli studi in un collegio,

ovviamente a condizione che fosse gestito da religiosi. Il suo destino era segnato: da allora

in poi i tutori e garanti della sua educazione culturale, civile, religiosa, sociale … dovevano

essere solo quei religiosi che erano stati suggeriti a sua madre dai curati di paese. I

sentimenti di pietà per un bambino che piangeva per farsi ascoltare, erano considerati un

segnale di debolezza e di incapacità di educare con vigore ed energia i propri figli. In un

momento di sconforto, pochi mesi prima di morire la madre confessò, sconsolata, che nella

sua vita aveva sbagliato tutto. Tutto, sicuramente no; ma l’avere rinchiuso in un collegio un

figlio di appena nove anni, certamente quello sì fu un grande errore!

60° giorno La conquista del potere

Sono stato sempre affascinato dagli scritti di Ignazio Silone di cui voglio citare una delle

sue frasi più semplici e belle: “La più grande aspirazione dell’uomo sulla terra dev’essere

anzitutto di diventare buono, onesto e sincero.”

Con questa premessa intendo sottolineare quanto Silone risplenda per la sua semplicità e la

sua grande onestà di intenti.

La sua ferma condanna di ogni forma di dittatura, rossa o nera che sia, rafforza nel lettore

il naturale istinto a ribellarsi a tutti coloro che tentano di conculcare o ledere la libertà che ci

appartiene di diritto. Non ci si dovrebbe mai sottomettere passivamente a coloro che, in

nome di una divisa civile, militare o religiosa che sia, pretendono di imporci degli obblighi

assurdi e talvolta umilianti.

Il suo romanzo“La scuola dei dittatori” offre molti spunti di riflessione per capire dove si

annida il pericolo della dittatura e, quindi, come prevenirla. Qual è l’iter di un dittatore?

Una delle caratteristiche degli aspiranti dittatori è, secondo Silone, la visibilità continua e

la capacità di questi personaggi di essere pressoché onnipresenti in ogni forma di

aggregazione sociale. Molte volte ho potuto constatare le veridicità di tale osservazione. Ho

partecipato a molte riunioni nella mia vita, da quelle imposte dall’esercizio della mia

professione a quelle di interesse sociale e politico. Partecipavo solo occasionalmente ad

assemblee comunali, sindacali, partitiche, ma, tutte le volte incontravo la stessa persona che,

seppur antipatica e non troppo loquace, era sempre presente a tutte le riunioni. Orbene, dopo

alcuni anni ebbi la sorpresa di vedere la sua foto in formato gigante stampata su un

manifesto in occasione delle elezioni comunali. Da non crederci: quell’insignificante ometto

fu eletto sindaco! La sua paziente onnipresenza fu premiata. La sedia del potere tanto

sospirata divenne per lui realtà. “Oh, quanto sono attuali gli scritti di Ignazio Silone!”

esclamai con un malcelato stupore.

Sesto intervallo

Il vero problema per un idiota è la ricerca disperata delle risorse necessarie che gli permettano di sopravvivere alle proprie idiozie.

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61° giorno I piacioni

Nel modo di relazionarsi con gli altri si può ottenere più o meno successo. Contano il

fascino, l’aspetto, l’intelligenza ma anche una capacità di conquista che dipende dal modo

con cui ci poniamo rispetto al prossimo. Si può essere inespressivi, affascinanti o adulatori

ma comunque tutti abbiamo in comune l’ambizione di farci accettare e di piacere alle

persone che ci stanno accanto.

Chi condanna i piacioni, quasi fossero gente superficiale e vanitosa, forse compie un

penoso tentativo di giustificare la propria manifesta antipatia e per dimostrare che lui,

contrariamente ai piacioni, è una persona seria tutta d’un pezzo, incorruttibile e scevro da

smancerie.

“Nessuno ha il diritto di essere antipatico”, diceva un mio amico; ben vengano, dunque, i

piacioni che, guarda caso, fanno rima con bonaccioni. In un mondo che si popola sempre

più di arrivisti e prepotenti incattiviti, bulli che con i loro atteggiamenti di supponenza, con

volto freddo e inespressivo vogliono farci credere di essere seri e severi, ripeto, ben vengano

i piacioni dei quali si ammira il modo di reagire con simpatia alle cattiverie che deturpano e

disgregano la vita in comune. Si devono apprezzare con convinzione gli sforzi legittimi che

essi fanno per essere simpatici ed accoglienti.

La connotazione negativa che solitamente si attribuisce al termine “piacioni” è per la

maggior parte dei casi profondamente ingiusta. Questa qualità, lo ribadisco con forza, è

assai positiva perché facilita i rapporti sociali e oltretutto permette di mettersi in gioco in

una società che si rinchiude sempre più in sé stessa ed è sempre più egocentrica.

Ai soliti rigoristi noiosi ed antipatici, che con i loro anatemi ci negano il diritto di godere

dei piaceri della vita, auguro che cresca sempre più il numero di coloro che tentano di farsi

accettare e di farsi ben volere. Bravi, piacioni!

62° giorno I villani

Rozzo e incivile sono i due sinonimi che meglio illustrano il significato di villano. A tutti

noi sicuramente è capitato più di una volta di assistere ad episodi disgustosi messi in scena

da villani inqualificabili. Ogni luogo, ogni circostanza sono validi per esternare la loro

maleducazione: sia in casa come nei luoghi pubblici, in treno, in autobus, per strada, a

scuola, in chiesa, in spiaggia, nei bar, insomma ovunque. Il villano è come la zecca: quando

meno te lo aspetti, te la ritrovi addosso. Si dice che gli italiani siano particolarmente inclini

ad atteggiamenti villani. Non ci consola constatare che è un vizio diffuso su tutto il pianeta;

gli incivili, infatti, sono come gli insetti, sparsi ovunque.

Sigmund Freud sosteneva che esistono tre cose impossibili al mondo, ma che sono

necessarie: educare, curare e governare. Educare al rispetto delle cose e delle persone che ci

circondano è doveroso e necessario, ma in verità troppo spesso è pressoché impossibile

ottenere risultati soddisfacenti.

Nessuno osi, infatti, richiamare o rimproverare un villano poiché le reazioni che otterrebbe,

sarebbero una sequela di villanie ancor più becere e rozze.

Stilare un arido elenco di esempi di villanie, oltre che inutile sarebbe particolarmente

insopportabile e irritante. Ognuno potrebbe raccontarci le proprie esperienze e il proprio

disgusto per essere stato, suo malgrado, testimone di episodi di inciviltà dove i protagonisti

sono i soliti maleducati che potrebbero vantarsi di aver gareggiato con le bestie per

dimostrare chi di loro fosse il vero animale.

Bellissima ed opportuna una citazione di Edmundo De Amicis: “L’educazione di un

popolo si giudica dal contegno ch’egli tien per la strada. Dove troverai la villania per le

strade, troverai la villania nelle case”!

63° giorno Cose da pazzi

Capita spesso di sentire qualcuno che sconsolatamente, allargando le braccia, esclami:

“Cose da pazzi!” I motivi per esprimere un simile stupore certamente non mancano. Se per

pazzia intendiamo assumere atteggiamenti o fare discorsi che oltrepassano quel confine

sottile tra normalità e anormalità, tra istinto e ragione, tra sogno e realtà, ebbene allora

siamo tutti un po’ pazzi. A tal proposito gli spagnoli ci hanno regalato un bel proverbio: “De

mùsico, de poeta y de loco todos tenemos un poco” (Di musicista, di poeta e di pazzo tutti

ne abbiamo un po’). Basta fare un piccolo esame di coscienza per constatare la veridicità di

questo proverbio. Chi di noi, infatti, nel corso della vita non ha commesso qualche pazzia?

L’alienazione mentale è il confine estremo e clinico della pazzia che causa gravissimi

problemi alle famiglie e ai medici specialisti che la devono affrontare e possibilmente

curare.

La mia riflessione si accentra, però, sulla forza prorompente che induce molti a scavalcare

il confortevole recinto della normalità, alla ricerca di novità di ogni genere, rischiando, se

necessario, anche la propria vita.

Penso a un San Francesco che abbandonò le agiatezze di una famiglia nobile e benestante

e, nudo, si avviò a vivere un’avventura che sconvolse le certezze di una chiesa ricca e

insensibile alle necessità dei poveri.

Don Bosco stesso affrontò innumerevoli ostacoli per la realizzazione della sua nuova opera

educatrice fra i giovani. Tentarono addirittura di farlo rinchiudere in un manicomio.

Aver sostenuto che l’uomo avrebbe potuto volare, o addirittura che sarebbe sbarcato sulla

luna o che avrebbe esplorato gli abissi del mare e le foreste impenetrabili, era una pazzia.

Oggi l’umanità può vantarsi di aver generato individui che hanno affrontato mille difficoltà

per dare un contributo preziosissimo ad ogni forma di progresso. Ingegno, fantasia e

coraggio: ecco le doti della pazzia utile e buona!

64° giorno Fantasmi

Chi ha paura dei fantasmi? Oggi, forse, neppure i bambini! Quanti desidererebbero che le

persone odiose e antipatiche o rompiscatole invadenti e asfissianti, fossero trasformate in

fantasmi con l’obbligo di andare ad abitare in una buia soffitta invasa da polvere e ragnatele.

Anni fa un conoscente mi consigliava saggiamente di considerare il vicino di casa,

particolarmente odioso, come se fosse un fantasma invisibile. Praticamente avrei dovuto

comportarmi come se non esistesse. Facile a dirsi, un po’ più difficile da mettere in pratica.

Inforcare un paio di occhiali scurissimi da sole per avere l’illusione di potersi riparare da un

eventuale incrocio di sguardi, non avrebbe comunque giustificato l’imbarazzante silenzio

qualora ci si fosse ritrovati in ascensore o su e giù per le scale.

Negare la risposta al suo saluto sarebbe stato un’ulteriore dichiarazione di guerra che

avrebbe peggiorato il difficile rapporto già devastato da un’insanabile antipatia. Si sarebbe

sentito autorizzato ad accusarmi di essere un villano maleducato.

Svariati sono gli stratagemmi che ci si deve inventare per evitare di incontrare questi

fantasmi in carne ed ossa. Un qualsiasi rumore che denoti la loro presenza sul pianerottolo,

si deve immediatamente interpretare come un divieto di uscire di casa. È consigliabile

rimanere nel proprio appartamento fino a cessato allarme ossia finchè si è sicuri che il

passaggio è libero. Se capita di intravvedersi per le vie del paese, è altrettanto consigliabile

cambiare strada. In breve ogni stratagemma è valido pur di evitare che gli incontri possano

tramutarsi in scontri: sarebbe come invitare i curiosi pettegoli a nozze, e offrire loro

un’ottima occasione per imbastire i soliti perfidi commenti.

Sì, i fantasmi, purtroppo, ci sono! In carne ed ossa, siatene certi! Sono, per giunta, alquanto

pericolosi e imprevedibili.

65° giorno Le devastazioni del tempo

Anche se la mitica Brigitte Bardot, in occasione del suo compleanno andava ripetendo che

se ne fregava dei suoi ottant’anni, in verità nessuno le ha creduto. L’età che avanza e che,

inevitabilmente ci avvia sul classico viale del tramonto, incute un po’ di paura a tutti,

soprattutto se le devastazioni del tempo sono visibilmente profonde e segnate sia nel corpo

che nell’anima.

Un giorno, passeggiando per le vie del paese incontrai un anziano che non vedevo da

tempo al quale rivolsi la classica domanda: “Oh, è da molti anni che non ci si vede. Come

sta?” Immediata fu la risposta: “Come vuole che stia? Sono vecchio e a chi dice che

invecchiare è bello rispondo che è una gran fregatura”. L’espressione dialettale da lui usata

era ancor più efficace e non ammetteva repliche. Infatti mi limitai a sorridere e mi congedai

da lui augurandole buona fortuna e tanto coraggio.

Una dichiarazione, ma di tutt’altro tono, ho avuto occasione di sentirmela rivolgere dal

mio oculista al quale avevo narrato quanto avevo sentito dal vecchio compaesano:

“Invecchiare sarà pure una fregatura – ribadì il medico con la sua solita ironia - ma è ancor

più una fregatura il non potere invecchiare”. Rimasi ammutolito dalla prontezza della sua

riposta che, con il suo ottimismo, opportunamente controbilanciava il pessimismo del

primo.

La vecchiaia è paragonabile all’ultimo tratto del sentiero che un alpinista deve percorrere

per raggiungere la vetta: è sempre più in salita, una salita che affatica e ci obbliga a respirare

affannosamente.

Chi ha deciso di darci la vita, inevitabilmente ci ha anche destinato alla morte. Come

misteriosamente siamo comparsi su questa terra, altrettanto misteriosamente dobbiamo

rassegnarci a svanire nella sua polvere.

Lo scorrere devastante del tempo non ammette repliche.

66° giorno In Venezuela

Nei sette anni della mia permanenza in Venezuela ho imparato a conoscere uno stile di vita

che mi ha sempre affascinato per la sua meravigliosa semplicità.

La gioia di vivere dei venezuelani, esplosiva e spumeggiante, è riconosciuta non solo in

America Latina ma ovunque, e da tutti coloro che hanno avuto la fortuna di visitare quel

paese dei Caraibi. La schiettezza dei nativi è immediata e il loro tono di voce, chiaro e

risonante, non ammette ambiguità.

Si può quindi ben capire quanto mi avesse fatto impressione quel silenzio e quel parlottare

sommesso che notai al mio rientro in patria, sull’autobus che mi riportava a casa. Mettere a

confronto il temperamento di un popolo giovane con quello di un popolo della vecchia

Europa sarebbe pretestuoso come se si volesse esaltare l’esuberanza giovanile contro la

quiete e la saggezza della vecchiaia.

Che dire dell’amore per il ritmo e la musica che in ogni occasione i venezuelani sanno

esternare con bravura istintiva? “Alma llanera” (“Anima della pianura”) è il canto e il ballo

simbolo degli abitanti delle sconfinate praterie, dove, allo stile dei cow boys, vivono a

guardia del bestiame allevato allo stato brado. I loro canti e i loro balli evocano il fascino

della natura nella sua struggente bellezza. I suoni dell’ “arpa criolla” (“arpa creola”) e di una

piccola chitarra, ritmati da una serie di originali strumenti a percussione, si diffondono

ovunque durante le feste paesane che ravvivano i colori e le bellezze delle tradizioni della

loro terra.

E che dire, inoltre, delle spiagge che si snodano in tutta la loro lucentezza e splendore a

coronare il confine con il mar dei Caraibi? Dall’oceano alle vette della Sierra Andina è tutto

un susseguirsi di spettacoli da sogno.

Non nego di provare, talvolta, una profonda nostalgia di quelle terre dove la natura ha

profuso con generosità bellezze di ogni genere e dove la gioia di vivere è contagiosa.

67° giorno L’arte di tenersi per mano

Navigando nel web sempre più sconfinato si può trovare veramente di tutto e per tutti i

gusti. Mi capitò un giorno di leggere come tenersi per mano. I suggerimenti pubblicati da

Wiki How erano basati addirittura su dieci passaggi per raggiungere il sospirato piacere di

farsi prendere per mano dall’amato.

La cosa è più seria, dunque, di quello che potrebbe apparire. Don Milani, infatti, suggeriva

la necessità di imparare a camminare insieme tenendosi per mano. La condivisione di ideali

e la ricerca dei percorsi da seguire per realizzarli comporta unità di intenti e disponibilità ad

accettare sacrifici per il bene dei compagni di viaggio con i quali, appunto, è doveroso

sentirsi vicini anche fisicamente, proprio come in una stretta di mano.

Quanto sia difficile perfezionare la difficile arte dello stare e camminare insieme, ne siamo

tutti consapevoli. Basti pensare a qualsiasi forma di aggregazione socio-familiare per avere

un’idea di quanto sia diffusa l’incapacità o la riluttanza a collaborare: in famiglia, nel

partito, tra colleghi e, talvolta, anche tra amici e conoscenti.

Il noto giornalista Corrado Augias nel programma televisivo “I visionari” da lui condotto,

considera visionari quegli uomini che con le loro opere o il loro pensiero hanno cambiato il

mondo: artisti, scienziati rivoluzionari, filosofi, politici, inventori e molti altri personaggi di

grande rilievo.

Tra i grandi “visionari” si collocano, a pieno titolo, Gandhi e Martin Luther King, che

hanno pagato a caro prezzo il loro sogno di poter rivoluzionare il mondo predicando la non

violenza convinti che il nostro pianeta è una casa comune dove è fondamentale il rispetto

reciproco e soprattutto dove è un obbligo imparare a vivere tutti insieme in stretto contatto

e, se necessario, tenendosi per mano.

68° giorno Voltagabbana

“Voltagabbana è colui che cambia facilmente idee e opinioni o muta il proprio

comportamento per trarne sempre il massimo vantaggio”. Una definizione semplice ma

esauriente poiché mette in evidenza come l’opportunismo sia la connotazione principale del

voltagabbana. In politica ormai cambiare idee e programmi con la massima disinvoltura, è

divenuta una consuetudine sempre meno esecrata e sempre più giustificata da

argomentazioni dialettiche degne dei sofisti greci.

Senza addentrarsi nelle alte sfere della politica “nostrana”, è bene limitarsi a prendere in

considerazione gli atteggiamenti più conosciuti e più frequenti dei normalissimi

voltagabbana che si annidano ovunque. Tutti costoro sono in buona compagnia con i

truffatori, gli imbroglioni e con tutti i bidonisti in genere. Come ci si può fidare di quegli

individui che in breve tempo cambiano abito e maschera, e sono abilissimi nell’arte del

trasformismo? Tutti noi rischiamo di essere truffati da questi camaleonti i quali, però,

devono essere consapevoli che le loro truffe hanno sempre un effetto boomerang: la

distruzione della loro credibilità per sempre.

I voltagabbana sono radicati in ogni strato sociale e distribuiti equamente su tutto il

territorio nazionale, in ogni direzione. Quando si pensa che le carnevalate o balli in

maschera da loro inscenati siano terminati, ecco improvvisamente ce li vediamo riapparire

nel tentativo di convincerci, con la solita indescrivibile faccia tosta, che tutto ciò che essi

hanno fatto, l’hanno fatto per il nostro bene. Poiché noi siamo persone educate, evitiamo di

dare a loro le risposte che si meriterebbero e gentilmente li invitiamo a lasciarci in pace,

proprio per evitare di doverli ringraziare per il “bene” che, come dicono, ci hanno fatto. Ci

sono persone, comunque, non disposte ad essere così gentili ma piuttosto inclini ad usare

maniere meno educate per obbligare i voltagabbana a starsene alla larga.

69° giorno Gli affari sono affari

Quando si parla di affari, le prime connotazioni che affiorano alla mente sono quelle

negative come “sporchi” e “loschi”.

Si dice che un affare, per essere considerato equo, debba soddisfare ambedue i contraenti

affinché nessuno possa sentirsi turlupinato. Eppure i professionisti delle “fregature” sono

sempre più numerosi e pieni di fantasia; combinare un losco affare è un motivo di vanto

poiché fa guadagnare molti soldi ed accumulare nuovi tasselli che permettono di completare

l’immagine consolante della loro “furbizia e intelligenza”.

Si ripete spesso che in affari, come in amore e in guerra tutto è lecito. Questa sicuramente è

una delle sentenze che gli stolti amano proferire, soprattutto se serve a giustificare la loro

incapacità di essere onesti.

Un’altra massima degna della precedente è la notissima “Gli affari sono affari” conosciuta

universalmente come titolo umoristico della commedia di Mirbeau.

Molti anni fa ho conosciuto una signora esponente dei vip del paese, la quale, grazie alle

ricchezze accumulate in qualità di brava commerciante in vini (che taluni malignamente

sostenevano fossero molto annacquati) era entrata a far parte del mondo ristretto degli

affaristi dai quali era apprezzata per la sua innata scaltrezza. Quando si trattava d’affari, non

ammetteva scrupoli di nessun genere neppure di fronte a persone bisognose di essere aiutate

per la loro precaria situazione economica. Era comunque una fervente cattolica, quasi al

limite del fanatismo. Mia madre, una volta, con molto garbo tentò di farla desistere dal suo

ostinato rifiuto a mostrarsi indulgente con un suo debitore che versava in gravi ristrettezze,

appellandosi alla sua coscienza di cattolica praticante. La risposta che ottenne fu a dir poco

cinica e lapidaria: “Mia cara signora, si ricordi che gli affari sono affari e la religione è

un’altra cosa”. Quel discorso, così poco evangelico, lasciò mia madre avvilita e senza

parole.

70° giorno Un libro per premio

Si è sempre detto che un libro è un amico, un tesoro, una testimonianza, un documento

prezioso e indispensabile per diffondere conoscenze e cultura a tutti i livelli. Nessuno osa

negare l’importanza che hanno i libri. Ben vengano dunque anche gli spot pubblicitari che

incitano i giovani ad apprezzare e ad appassionarsi alla lettura. Internet non può essere

considerato un’alternativa al libro ma bensì un suo valido alleato.

La scuola ha sempre attraversato crisi di identità non solo in Italia, ma nel mondo intero;

ciò nonostante, nessuno mai si è azzardato a proporre l’abolizione dei libri di testo o libri di

semplice consultazione.

Negli anni del dopoguerra, la povertà era piuttosto diffusa in tutta la nazione, ma le scuole

erano in costante aumento e si dovevano gestire classi con oltre una quarantina di ragazzi. I

maestri erano obbligati ad essere molto severi per garantire disciplina e ordine. Talvolta

alcuni di loro ricorrevano anche a mezzi “poco ortodossi” per farsi rispettare ma alcuni

sapevano ricorrere a semplici stratagemmi didattici che coinvolgevano gli alunni e li

stimolavano a partecipare attivamente nel difficile percorso educativo. Aver avuto un

insegnante nelle elementari che fosse dinamico e propositivo era una vera fortuna. Mi sono

sempre considerato fortunato di aver avuto un insegnante bravo che sapeva entusiasmare i

suoi alunni piuttosto che deprimerli con castighi odiosi e umilianti.

Ricordo in particolare il concorso che un giorno il nostro maestro organizzò per valutare chi

avesse studiato bene la lezione ed avesse svolto nel modo migliore i compiti assegnati. Per

premio era stato messo in palio un vecchio libro. Vinsi ed ottenni il premio. Più volte ho

letto quel libro che ancora oggi mi affascina e di cui ricordo perfino l’odore caratteristico

che emanava la carta ingiallita dal tempo.

Settimo intervallo

“E’ più facile dimenticare cinquant’anni di verità con una mezza bugia piuttosto che dimenticare cinquant’anni di bugie con una mezza verità.”

71° giorno Robe vecchie

È incredibile quante cose vecchie e inutili si accumulano in una casa: in cantina, in soffitta,

nel magazzino, in garage, insomma in ogni angolo o stanza vuota. Talvolta si giunge al

punto di ridurre la casa ad una piccola discarica di oggetti ingombranti di ogni genere:

vecchie biciclette, pentole e coperchi ammaccati, giradischi della nonna, scaldaletto e ferri

da stiro dei trisavoli, bauli e mobiletti invasi dalle tarme e dalla polvere, bottiglie sporche,

ferri arrugginiti di ogni tipo… e chi più ne ha più ne metta! Nei casi estremi si possono

raggiungere livelli che sono da considerarsi casi clinici di manie ossessivo compulsive come

quel poveretto che aveva raccolto di tutto, rifornendosi addirittura dalle discariche

comunali. La moglie, pochi giorni dopo la morte del marito dovette rivolgersi ad un’impresa

specializzata perché portassero via tutto ciò che il poveruomo aveva accumulato in tanti

anni. Le costò una cifra incredibile! Ovviamente questo è un caso da manuale di psichiatria.

In verità tutti noi siamo conservatori, chi più chi meno, e amiamo conservare e custodire

oggetti che ci ricordano il tempo della gioventù, delle allegre scampagnate, delle avventure,

delle persone care e degli amici o addirittura dei nostri primi anni di scuola. Un qualsiasi

vecchio oggetto conservato con cura ha il potere di farci rivive meravigliose sensazioni

quasi avesse anche il potere di fermare quel tempo che inesorabilmente ci sfugge. Il nostro

istinto di sopravvivenza è la causa del nostro istinto di conservazione. Più cose riusciamo a

conservare e più cresce in noi l’illusione di garantirci un pezzo di eternità. Se nel raccogliere

e conservare prevale, invece, il vizio di accumulare più roba possibile pur di soddisfare

inconsciamente l’istinto della propria cupidigia, allora è bene dimostrarsi intelligenti,

liberandosi, senza rimpianti, delle cose superflue e inutili, che puzzano davvero di

vecchiume e nulla più.

72° giorno Anticlericali ma non troppo

Storicamente l’anticlericalismo è definito come opposizione all’ingerenza del potere

ecclesiastico nella vita socio-culturale e politica di un paese. L’anticlericalismo oggi più

diffuso è rivolto soprattutto a condannare quei chierici che hanno barattato la loro vocazione

spirituale con gli interessi materiali, economici ed affaristici. La Chiesa cattolica nella sua

lunga storia è stata odiata e disprezzata soprattutto quando i fedeli non riconobbero più nelle

loro guide spirituali la rappresentanza dell’immagine divina ma bensì l’immagine

deteriorata dal potere temporale viziato dall’opportunismo e dalla superbia.

L’anticlericalismo attuale potremmo definirlo di tipo più soft ma non per questo meno

devastante e pericoloso. Oggi nella nostra vecchia Europa non esiste più la feroce

opposizione che per molti secoli aveva lacerato i rapporti con il Papato e i chierici in genere.

Il vero pericolo dei giorni nostri deve essere ricercato nella dilagante indifferenza che è la

peggior espressione dell’anticlericalismo.

Gli anticlericali “moderni” vivono all’ombra della croce e molto spesso si annidano nelle

sacrestie dove il pettegolezzo e le dicerie sono all’ordine del giorno. Sono anticlericali da

strapazzo; la loro serietà è inversamente proporzionale alla gravità dei problemi da

affrontare. Si accalorano per delle autentiche banalità e si piegano come canne al vento di

fronte a questioni importanti. Su una sola cosa si trovano d’accordo: mugugnare e criticare

le decisioni prese dai sacerdoti non appena essi si congedano dall’assemblea. Alla faccia

della lealtà!

Ho sempre riconosciuto la difficoltà di essere preti in gamba, oggi più che mai. Gli ostacoli

che devono superare sono molte volte insormontabili, soprattutto se anche la loro fede inizia

a vacillare. Lo sconforto miete numerose vittime anche tra “i chierici” soprattutto quando

l’accanimento anticlericale o l’indifferenza della gente li abbandona e li costringe alla

solitudine. Resistere per non cadere diventa un atto eroico.

73° giorno Vita in condominio

Per vivere a stretto contatto con qualcuno in un condominio è sempre indispensabile una

buona dose di tolleranza, soprattutto se il vicino pretende di avere qualche motivo in più

degli altri di far valere i propri “sacrosanti” diritti, con parole minacciose, odiose e irritanti.

La partecipazione ad una riunione condominiale crea uno stato d’ansia quasi palpabile,

soprattutto quando si deve sottoporre a votazione la propria proposta con il timore che

venga bocciata dalla maggioranza dei presenti. Le reazioni ad una eventuale bocciatura sono

simili ad autentiche dichiarazioni di guerra, con ultimatum ricattatori verso coloro che

hanno osato votare contro. Sarebbe inopportuno e poco edificante parlare di riunioni finite

in risse furibonde coronate da schiaffi, insulti e relative denunce alla magistratura per

aggressione e diffamazione; è bene, perciò, limitarsi a valutare le normali e consuete

riunioni a scadenza annuale.

Talvolta succede di essere stati amministrati da un incapace o pasticcione. In tal caso le

asce di guerra sono tutte unanimemente rivolte verso lo sventurato amministratore; una

volta tanto i condomini ritrovano un accordo da siglare con un patto di ferro inoppugnabile.

Sono state fatte svariate ricerche per individuare le cause più frequenti che scatenano

furibonde liti condominiali. Si va dagli odori ai rumori, dall’innaffiatura di piante al

rapporto con gli animali domestici, dal bucato in evidenza ai mozziconi di sigarette gettati

dalle finestre: insomma, una lunga lista di banalità. I tribunali rigurgitano di denunce e di

processi civili e penali originati dalla difficile e talvolta tragica convivenza in un

condominio. Alcuni si identificano sempre più spesso a quegli animali che delimitano il

proprio territorio con i loro odori e guai a chi osa oltrepassare quei “sacri” e odorosi confini

che essi hanno decretato invalicabili. Si fa di tutto per difendere la propria vita “privata” ma

non ci si accorge che sempre più spesso la vita è “deprivata” dal piacere di vivere insieme.

74° giorno Ricordi indelebili

Quanti ricordi frullano nella nostra mente in modo confuso ma che, in alcune circostanze,

emergono con particolare nitidezza. Il cervello umano, grazie al suo potere mirabile di

coordinare i nostri pensieri, seleziona i ricordi secondo il grado di emotività con cui

abbiamo vissuto le nostre esperienze e soprattutto seguendo le scelte operate in noi da

quella grande risorsa che è l’autostima. Solo i ricordi di importanti episodi, in cui abbiamo

vissuto forti emozioni, tornano alla mente con tutti i loro particolari e sono in grado di

entusiasmarci o deprimerci anche dopo molti anni. Il nostro ego, che valuta ogni azione o

pensiero, vigila, seleziona e tenta di cancellare tutto ciò che causa o abbia potuto causare

grandi sofferenze o avvilenti dispiaceri. Nelle conversazioni con amici o conoscenti è

scontato che nessuno ama parlare di episodi della propria vita che sono stati particolarmente

umilianti; piuttosto si tende sempre a magnificare quelle occasioni dove sono state

apprezzate le nostre qualità migliori, la nostra bravura, la nostra furbizia.

Chi non ricorda il primo grave castigo ricevuto, il primo giorno di scuola, le prime botte

date e ricevute, gli esami delle elementari, l’ingresso in collegio o in caserma, il sospirato

diploma , il primo innamoramento, la prima grande delusione e tanti altri momenti

importanti della vita?

Fortunatamente abbiamo anche la prerogativa di dimenticare e di relegare nell’oblio molti

avvenimenti che hanno fiaccato la nostra volontà e il nostro amore per la vita. Ricordare e

dimenticare sono due poteri apparentemente opposti l’uno all’altro: in realtà sono due

formidabili alleati che ci stimolano a dare un senso alla nostra vita. È doveroso ricordare le

cose belle per accrescere la nostra voglia di vivere, ma è una necessità dimenticare le cose

brutte che ci hanno rattristato per non sprofondare nella depressione e nell’apatia.

75° giorno Non è la grammatica ma il cuore che conta

Capita spesso che la TV ci riproponga i film di “Don Camillo”. Ne custodisco tutta la serie

che rivedo sempre con immutato piacere e divertimento. La fantasia di Guareschi riesce a

rendere vivacissima la sua narrazione introducendo frequenti e simpatici dialoghi tra don

Camillo e il Cristo che, dalla croce dell’altare, gli rivolge suggerimenti, raccomandazioni e

talvolta rimproveri.

Durante una di questi dialoghi, che i soliti bacchettoni hanno definito sacrileghi, don

Camillo si compiace nel deridere l’ignoranza di Peppone e dei suoi “compagni”,

sottolineando gli strafalcioni grammaticali disseminati nei loro manifesti e focosi proclami.

Ma Cristo risponde con un rimprovero davvero semplice ma efficace: “Ricordati, don

Camillo, che non è la grammatica ma il cuore che conta.”

Ho avuto occasione molte volte di ascoltare i sermoni di un prete buono, generoso e

sempre disponibile ad ascoltare i suoi parrocchiani. Le sue prediche erano davvero speciali,

poiché, sebbene con la grammatica avessero poca familiarità, inviavano messaggi semplici

che tutti erano in grado di capire ed apprezzare. Un giorno infatti mi sono permesso di

rivolgermi a lui per esprimere il mio parere circa i suoi sermoni: “Se si dovesse fare una

graduatoria delle prediche più corrette grammaticalmente , lei sarebbe sicuramente escluso

da qualsiasi riconoscimento, ma se si giudicasse l’efficacia o la passione con cui sa

trasmettere i suoi messaggi ai fedeli, lei vincerebbe senza dubbio il primo premio perché sa

parlare alla gente, non preoccupandosi molto delle regole grammaticali ma piuttosto

prestando una grande attenzione alle regole del cuore.”

Sorrise quel prete alla mia critica bonaria perché sapeva che anch’io mi stavo rivolgendo a

lui col cuore piuttosto che con le regole dettate dal perbenismo grammaticale.

76° giorno Finiti i soldi, finito l’amore

Se innamorarsi è piuttosto facile, non possiamo dire che sia altrettanto facile perseverare

nell’amore. Quanti giuramenti di fedeltà sono stati puntualmente stracciati dall’indifferenza

e, talora, dall’odio e dal disprezzo. Basta dare uno sguardo attorno a noi o basta leggere le

cronache giornaliere per rendersi conto di quanto sia attuale questa amara constatazione.

Cito un esempio per tutti. Una compaesana, amica di mia moglie, in un momento di

sconforto le raccontò, in tutta confidenza, i dispiaceri che dovette patire a causa di un suo

nipote che, nonostante fosse gravemente ammalato, fu abbandonato dalla sua convivente,

una ammaliante bionda slovacca, con la quale aveva condiviso una vita alquanto sfrenata

per oltre un decennio. Questa “splendida signora” non esitò, pochi giorni prima che morisse

il suo povero innamorato, a fare fagotto, chiamare un suo fratello dalla Slovacchia perché

venisse a prenderla e a prelevare l’automobile che le era stata donata dal suo ingenuo

convivente al quale già aveva sottratto una cospicua somma di denaro.

Il medico, al quale la nostra compaesana aveva narrato questa vigliaccata, e al quale

chiedeva un conforto e un consiglio, rispose in maniera molto laconica, citando il noto

proverbio “Sappiamo tutti che finiti i soldi, è finito l’amore.”

Una settimana dopo la vergognosa fuga della sua amante, il povero disgraziato e sfortunato

nipote morì in totale povertà, deprivato di tutto ma soprattutto deprivato anche dell’affetto

di tutti gli altri parenti.

Fu celebrato il funerale. Naturalmente la “straniera” non si fece viva. Ebbe, comunque, la

spudoratezza di fare una telefonata ma solo per chiedere il certificato di morte del suo

defunto amante; il documento le era indispensabile per ritirare il denaro che lui aveva

depositato presso una banca slovacca, e che aveva cointestato a lei. Qui terminò lo sfogo

dell’amica di mia moglie. Alcune lacrime le irrigarono il viso.

77° giorno Le parolacce

Addirittura il papa Francesco, rispondendo a dei bambini che gli chiedevano il suo giudizio

in merito alla pessima abitudine di dire parolacce, condannò in modo chiaro e semplice

quella che ormai è diventata una consuetudine nel modo di esprimersi non solo dei giovani

ma anche di tanti adulti che seguono la moda del giovanilismo. Ecco le sue testuali parole:

“No alle parolacce e a chi pensa che pronunciarle sia quasi un segno distintivo di libertà e

forza di carattere. Certe volte mi viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle

cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione.”

Ho letto recentemente una notizia che parlava del sistema molto semplice escogitato da

una professoressa per far desistere i suoi alunni dal dire parolacce o scurrilità in classe.

Aveva deciso di sostituire le note sul registro con le sanzioni per le parolacce: cinquanta

centesimi per le scurrilità e tre euro per le bestemmie. Il ricavato sarebbe stato devoluto in

beneficenza. Se sanzioni simili fossero applicate a livello planetario, sicuramente con il

ricavato si risolverebbe il problema della fame nel mondo.

Il vezzo sempre più dilagante di infarcire i discorsi politici con parole scurrili che feriscono

la sensibilità di molte persone educate al rispetto dei propri simili, dovunque e comunque,

non è un segnale confortante che ci permetta di sperare in un mondo migliore da tramandare

ai più giovani. Se si tenta di immaginare quale tipo di società siano in grado di creare questi

capipopolo, è piuttosto facile pensare ad un mondo destinato alla paralisi e, addirittura,

condannato a fare salti paurosi all’indietro. Parlare in modo volgare alla gente non significa

esprimere con chiarezza il proprio pensiero, ma solo dimostrare di essere degli imbonitori

che tentano di accaparrarsi la fiducia di poveri illusi ai quali si è fatto credere che le

parolacce siano quasi una necessità per dimostrare di essere sinceri e onesti.

78° giorno Faccia di tòlla

L’epiteto “faccia di tòlla” ha una sua attualità intramontabile. La tòlla è la latta, merce di

valore evidentemente inferiore all'oro. Ma in milanese "faccia de tòlla" vuol dire faccia

tosta, improntitudine e, talora, ardimento nel sostenere le proprie azioni e idee.

Anche i bergamaschi hanno inventato e diffuso un bel proverbio analogo a quello milanese:

“Val de piö la lapa che la sapa” (Vale di più la lingua che la zappa)

L'espressione viene usata sovente in senso scherzoso e indulgente, altre volte però la si usa

per condannare la sfacciataggine, la sfrontatezza o addirittura la spudoratezza.

Elencare le numerose sfumature della tipologia dei facce di tolla, sarebbe cosa arida e

inconcludente. Si dovranno tenere in considerazione solo gli esponenti più significativi di

una simile categoria: i bugiardi, i voltagabbana, i vittimisti, i bulli e i “bidonisti” ossia

coloro che vigliaccamente si dilettano a “bidonare” il prossimo. Tutti noi, sicuramente,

abbiamo avuto occasione di conoscere qualche esponente di una simile genìa, senza

distinzione di classe sociale, di professione, di livello culturale o di fede religiosa. Si

annidano dovunque, sono sempre in agguato, pericolosi e inaffidabili. Tra le facce di tolla,

una in particolare è da considerarsi particolarmente subdola e pericolosa: “il vittimista”. Le

lacrimose lamentele sulla propria “triste sorte” sono talmente insistenti da far sì che da

vittima riesca trasformarsi in carnefice contro gli stessi congiunti accusati di essere

indifferenti, creando in loro un senso di colpa che li piega e li umilia. Più il vittimista sa

fingere, più cresce il disagio di chi gli sta accanto e maggiori sono per lui le occasioni di

assoggettare chiunque al suo volere. Bella faccia di tolla!

79° giorno Animalisti

L’amore per gli animali, soprattutto per quelli cosiddetti di compagnia, è oggigiorno molto

diffuso nella nostra società sempre più ammalata di solitudine. Esiste addirittura la peto

terapia che si avvale della fedele compagnia degli animali per curare alcune forme gravi di

disturbi neuropsichici. L’animale, infatti, sa infondere simpatia e fiducia con quella

pazienza e amore che l’uomo spesso non sa donare. L’animale si accontenta di poco, alcuni

bocconi e qualche carezza, ma in compenso da tutto sé stesso ed anche la vita, se necessario,

per difendere il proprio padrone. Il cane non morde mai la mano di chi gli ha dato da

mangiare. Possiamo dire altrettanto dell’uomo? Maltrattare un animale, dunque, è un

autentico atto di vigliaccheria che giustamente deve essere perseguito dalla legge e

considerato un reato punibile, nei casi più gravi, anche con la carcerazione. Bene accetti

siano dunque gli animalisti che vigilano per evitare che vengano commessi abusi e reati

contro ogni creatura che vive sulla terra.

È opportuno comunque distinguere gli animalisti in due categorie: quelli che operano con

serietà e coerenza, e quelli che morbosamente e opportunisticamente considerano l’animale

come un normale giocattolo con cui trastullarsi e divertirsi. Che dire di quegli adulti che si

rivolgono al proprio cane con frasi tipo: “Vieni qui dal tuo papà”, “Vieni dalla tua mamma”,

“Amore!” e via con altre frasi insulse e degne neppure di essere pronunciate su un qualsiasi

pianeta della galassia abitato da extraterrestri mentecatti? Sbaciucchiarsi in pubblico

solitamente è disdicevole per tutti; immaginiamoci quando, senza alcun ritegno, gli

sbaciucchiamenti sono scambiati con un animale! Questi atteggiamenti non sono un segno

d’amore per gli animali ma solo una penosa dimostrazione che l’uomo, quando non sa

amare i propri simili, rivolge tutte le sue attenzioni a chi non lo contraddice, non lo offende

e, soprattutto, non lo accusa mai di essere un “poveretto”.

80° giorno Un lago alpino

Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo vissuto momenti belli ed esaltanti che tornano sovente

alla memoria procurandoci una sensazione di benessere e di una dolce nostalgia.

Ebbi occasione di vivere alcuni anni fa uno di questi momenti piacevoli , durante

un’escursione in montagna a circa tremila metri di quota. Dopo quasi due ore di dura e

faticosa salita, quasi d’improvviso mi apparve la splendida visione di un lago alpino

incastonato tra le nude rocce dei monti che lo coronavano. Rimasi immobile e attonito per

parecchi minuti a contemplare quella meraviglia della natura. La scenografia era da

mozzafiato: l’azzurro intenso del cielo, le cime dei monti macchiate dal candore della neve,

le ombre che si insinuavano tra fratture delle rocce, il vento che ricreava in continuazione

nuovi arabeschi sulla superficie del lago, e il sole che con i suoi bagliori regalmente

avvolgeva e colorava ogni cosa. Un immenso spuntone roccioso, quasi fosse una maestosa

torre a guardia di un simile gioiello, si ergeva ai bordi, a dominare ma soprattutto a

proteggere con gelosa severità quella bellezza che la natura aveva creato.

Dal valico alpino, affascinato da tanto splendore, scesi lentamente verso le sponde del lago

sottostante, bordato da un verde intenso simile ad un morbido tappeto invitante e

rassicurante che attenuava le asperità delle pietre rotolate dalle vette circostanti.

Interrompevo molte volte la mia discesa per soffermarmi ad abbracciare con la vista tutte le

meraviglie che quel panorama mi offriva: sensazioni uniche, che mai avevo provato in vita

mia, mi infondevano un’euforia tale da sentirmi quasi sconvolto da tanta bellezza.

Quando finalmente arrivai in prossimità della riva del lago, la mia euforia raggiunse il

culmine e mi distesi su quell’erba soffice, fresca ed accogliente, quasi volessi

immedesimarmi e immergermi in quello che mi appariva un sogno, un paradiso!

Ottavo intervallo

Ci si impegna maggiormente a giustificare i propri errori piuttosto che a trovare il modo di non commetterne altri.

81° giorno Bullo e bugiardo

I giudizi negativi e poco lusinghieri rivolti ai nostri simili ovviamente non ci

predispongono ad esprimere una valutazione serena ed equilibrata dei loro comportamenti.

Ciononostante sono indotto a fare una piccola riflessione sul fenomeno sempre più dilagante

del bullismo che odiosamente è sempre sostenuto da una sequela di menzogne.

Il bullo vive e si alimenta di bugie ed è tanto più subdolo quanto più è legato a forme di

fanatismo ed autoesaltazione. Il movente è la necessità di offrire un’immagine di sé stessi

che esca dagli schemi della normalità. Rendersi visibile in un mondo sempre più

globalizzato e anonimo, è un obiettivo affascinante per un bullo il quale, costi quel che

costi, è disposto a ricorrere anche alla violenza e alla menzogna per ritagliarsi momenti di

notorietà.

Ma i bulli più pericolosi sono quelli che opportunisticamente sfruttano il loro status

sociale, economico o religioso per soddisfare l’istinto di megalomania che li pervade. La

gente comune incautamente li ammira ed arriva sino al punto di additarli come esempio di

vita. “È una brava persona!– esclamano affascinati– È un uomo di fede! È un uomo tutto

d’un pezzo che fa sempre quello che vuole!...” Ovviamente questi giudizi sarebbero tutti

positivi se davvero rispecchiassero la vita privata dell’individuo preso in esame. Questo è

l’obiettivo del bullo: ottenere riconoscimenti e lodi sperticate per il proprio operato,

badando bene ad occultare la propria vita privata, non così esaltante né coerente con

l’immagine che egli opportunisticamente e con menzogne si è ritagliato per l’uso e il

consumo dei soliti incauti creduloni.

Pur di essere sempre sulla cresta dell’onda della notorietà il bullo è disposto a fare anche

del mecenatismo! Ovviamente non con i propri soldi ma con quelli sottratti in modo

disonesto e infido alle vittime dei suoi intrighi e sporchi affari.

Attenti ai bulli! Sono perfidamente bugiardi.

82° giorno Un detto africano

Durante una delle mie letture veloci ed esplorative mi sono soffermato a rileggere un detto

africano: “Il bambino diventa uomo quando non dice più “ E’ mio!” ma “E’ nostro!”.

L’efficacia di un simile insegnamento è innegabile e condanna ogni forma di egoismo.

Quando il bambino vive come se fosse al centro del mondo che gli gira attorno, è del tutto

normale, ma se da adulto persiste nell’ostentare un comportamento egocentrico, allora

significa che qualcosa s’è inceppato nella fase del suo sviluppo emotivo e razionale.

Nessuno pretende che non ci debba essere ombra di egoismo nei nostri comportamenti o

pensieri perché significherebbe vivere in un mondo ideale che contrasta fortemente con una

realtà quotidiana poco idilliaca. L’integrazione razziale, per citare un esempio di grande

attualità, sta diventando una dei problemi più gravi che i governanti di tutto il mondo

devono affrontare con urgenza e intelligenza ma soprattutto con la profonda convinzione

che il futuro dell’umanità sarà caratterizzato da un superamento dei confini nazionali che

favoriranno i rapporti fra diverse etnie e culture. Dovremo desistere dal sostenere ed

alimentare quegli egoismi che ci relegano a vivere nell’indifferenza e addirittura nell’ostilità

verso tutti coloro che consideriamo nemici solo perché sono ritenuti diversi da noi. Si pensa

che siano ladri e malfattori che vengono a deprivarci del nostro patrimonio, culturale o

monetario che sia. Il primo insegnamento che dovremmo dare ai nostri fanciulli sta proprio

nel far capire che mettere a disposizione i propri giocattoli con gli amichetti, è una splendida

occasione per vivere gioiosamente con loro. Solo insegnando ai figli a condividere con gli

altri ciò che si possiede, si crea la speranza che il futuro sia migliore e più giusto per tutti.

La conclusione di questo pensiero sgorga spontanea e logica: è un dovere irrinunciabile per

tutti anteporre l’altruista “nostro” all’egoista “mio”, se si aspira a diventare adulti.

83° giorno L’arte di essere simpatici

Essere antipatico non è certamente un obiettivo per nessuno, soprattutto se l’antipatia è

originata dall’incapacità di stabilire relazioni cordiali con il prossimo. Come ogni

espressione artistica è originata dall’innata capacità dell’uomo, così pure la simpatia, se

considerata un’arte, è principalmente un dono della natura impresso nel nostro patrimonio

genetico. Ma poiché i talenti ricevuti devono essere custoditi e moltiplicati, così pure l’arte

di essere simpatici deve essere perfezionata accuratamente.

Uno dei più noti suggerimenti per accrescere la nostra simpatia ci viene dato dai fratelli

Edmond e Jules de Goncourt: “Non parlare di te ad altri ma falli parlare di sé stessi: in

questo sta tutta l’arte di essere simpatici”. Anche se il suggerimento possa essere ritenuto

alquanto utilitaristico e un po’ ruffianesco, in verità è molto profondo ed efficace per un

duplice motivo: primo, perché definisce la simpatia un’arte e, secondo, perché sottolinea

l’importanza di non anteporre i nostri meriti e le nostre ambizioni a quelle degli altri,

ricorrendo spesso a sproloqui noiosi e insopportabili.

Se dovessimo individuare quale sia la caratteristica più evidente dell’arte della simpatia,

certamente dovremmo mettere al primo posto il sorriso. Sorridere a chi ci sta accanto

favorisce immediatamente la disponibilità ad intrattenere un dialogo sereno e fiducioso.

Quando non esistevano i grandi supermercati, dove ormai le “cassiere” possono

permettersi il lusso di essere antipatiche, i numerosi commercianti di paese gareggiavano tra

loro per dimostrarsi simpatici ed attirare così il maggior numero possibile di clienti. Le loro

armi principali erano indubbiamente il sorriso e la capacità di ascoltare i propri avventori.

Il suggerimento che tempo fa un mio amico rivolse ad un suo collega “Ricordati che non

hai il diritto di essere antipatico”, è sempre di attualità e da non dimenticare mai.

84° giorno Fatti e disfatti da soli

“Ammiro coloro che si sono “fatti” da soli ma certamente non invidio coloro che si sono

“disfatti” da soli” è la dichiarazione rilasciata da Gianni Agnelli in un’intervista condotta

da Jas Gawronski anni fa.

L’autoreferenzialità di una simile dichiarazione è del tutto evidente: onore e gloria per la

famiglia Agnelli che s’è fatta dal nulla! Il messaggio ha un sapore vagamente didattico e

rispecchia lo stile di vita un po’ western ed avventuroso, un po’ eroico ed aristocratico dei

capitani di ventura.

È lecito essere titubanti nell’accettare acriticamente ed “in toto” una simile dichiarazione;

la storia, infatti, ci insegna che molti uomini più o meno illustri si sono fatti da soli; ma è

altrettanto vero che molti di costoro non hanno avuto scrupoli nel ricorrere a qualsiasi

mezzo, sino alla menzogna e all’illegalità, pur di raggiungere ed accrescere il loro potere e

la loro ricchezza.

Si sente esclamare spesso e a ragione che non vi è nessuno più odioso di un “burino

arricchito”. Il totale disprezzo che costui dimostra per la cultura va a pari passo con il suo

tentativo di vanificare l’importanza di applicarsi nello studio e nella ricerca, adducendo

come fulgido esempio sé stesso e le sue innate capacità di arricchirsi senza bisogno né di

maestri né tantomeno di libri. Il burino arricchito è il classico e moderno esempio di “self

made man” che solitamente è dotato di una scarsa cultura se non calcio-automobilistica-

culinaria ma che, grazie alla sua attività di imprenditore con licenza media, va ostentando

con boria e farsesca spavalderia la sua ricchezza. Insomma, un fanfarone!

La famiglia Agnelli non si offenda né tutti coloro che fortunatamente e intelligentemente,

dopo anni di preparazione e di studio hanno contribuito ad elevare il benessere e il prestigio

di una nazione. Ho voluto solo dimostrare che non tutti si sono fatti da soli con intelligenza

e onestà.

85° giorno Due carte vincenti

Per vincere nella vita, l’uomo dispone di due carte vincenti: l’intelligenza e il coraggio. In

questi tristi momenti di crisi economica che molti paesi stanno attraversando, talvolta si

leggono notizie confortanti che inducono alla speranza e all’ottimismo. Non mancano

esempi di giovani e coraggiosi imprenditori che con intelligenza hanno escogitato sistemi

nuovi e produttivi per risollevare le sorti delle loro piccole o grandi aziende. I siti web che

diffondono questi esempi fortunatamente si stanno moltiplicando e conseguentemente

suggeriscono nuovi stratagemmi o iniziative per ricreare nuovi prodotti ed offrire maggiori

opportunità per combattere la disoccupazione giovanile. Si va dal mondo agricolo a quello

industriale dove le scommesse per superare la crisi sono sempre più audaci.

Il mio pensiero, comunque, si rivolge in modo particolare a quella moltitudine di persone

disoccupate, scoraggiate al punto da lasciarsi sopraffare dalla disperazione e dall’inerzia. La

caduta verso l’abisso dello sconforto e l’incapacità di ricercare rimedi alla loro condizione

di disagio genera una profonda sfiducia verso il mondo circostante e provoca un

offuscamento della ragione. A questo punto è evidente che non si può retoricamente e

arrogantemente pretendere da loro coraggio e intelligenza perché da soli non troverebbero

mai le forze necessarie per uscire dal tunnel della disperazione. Il consiglio che sentiamo

rivolgere a questa povera gente è sempre piuttosto farisaico e pilatesco: “Si faccia coraggio!

Vedrà che prima o poi le cose si aggiusteranno!” Ma appena si volta l’angolo ci si dimentica

di loro e li si abbandona ad una sventurata sorte. Contribuire concretamente e non solo a

parole a risolvere i problemi del prossimo, questa è la vera testimonianza di coraggio e

intelligenza che purtroppo sempre più spesso è sopraffatta dall’egoismo e dall’indifferenza.

86° giorno In montagna la disciplina è vita

Una decina di anni fa , durante le mie vacanze estive nel solito piccolo paese di montagna,

organizzai con mia moglie un’escursione ad un noto rifugio alpino delle Alpi Marittime. La

gioia di rivedere quel luogo impreziosito da un lago verde azzurro come i colori del cielo e

del tappeto erboso che vi si rispecchiavano, era una tentazione irresistibile. Non pago di

tanta bellezza, decisi di andare da solo alla ricerca di un altro lago a quota più elevata, senza

conoscere bene il percorso da seguire per raggiungerlo. Mi avviai a passo svelto verso un

sentiero che mi sembrava quello giusto e mentre salivo con fatica, mi imbattei in quattro

giovani tedeschi, due uomini e due donne. Fui subito sorpreso dal loro modo di marciare. Le

due donne davanti e i maschi dietro, rigidamente in fila indiana procedevano con passo

lento, regolare e costante. Li superai ansioso di raggiungere la meta al più presto. Purtroppo

non riuscii a trovare il giusto sentiero e quindi decisi di tornare indietro poiché avevo

lasciato sola mia moglie. Quale fu la mia sorpresa nel ritrovare ancora il gruppetto che stava

procedendo con la solita formazione disciplinata, uniti e seguendo il ritmo impresso dalle

due donne.

Fu per me inevitabile fare un confronto con un’escursione organizzata, anni prima, con tre

amici. “Se volete che venga con voi– replicai al loro invito- dovete accettare che io possa

segnare il passo per tutti, soprattutto in discesa, perché avendo problemi di dolori di schiena,

devo prestare molta attenzione al modo di marciare.” Accettarono! Ben presto comunque

dimenticarono la promessa fatta. Ad un certo punto mi ritrovai solo su un sentiero stretto,

pericoloso e a strapiombo. Per raggiungerli accelerai il passo e fatalmente inciampai

rischiando di cadere nel vuoto. Non so come abbia potuto salvarmi, però ricordo bene che

quando li raggiunsi, gli urlai in faccia la mia rabbia, come si meritavano, ricordando loro

che in montagna, per evitare disgrazie, la disciplina è un obbligo.

87° giorno Un tramonto di mezza estate

Me ne stavo beatamente seduto su un piccolo prato sottostante ad una cascata, in

contemplazione dell’affascinante tramonto che si ricreava tra i monti nei mesi estivi, nel

periodo delle le mie vacanze. La tentazione di descrivere quell’incantevole paesaggio fu

irresistibile. Eccone la testimonianza:

Le ombre del tramonto

si delineano nella vallata alpina;

gli ultimi raggi di un sole radente

vivificano ed esaltano le rocce

che nel loro silenzio ci urlano

la maestosità di una natura mutevole,

selvaggia e libera.

Una cascata d’acqua,

sfrangiata da candidi spruzzi

sferzati dal vento,

scende luminosa dall’alto

da un’aspra e dura roccia.

Un arcobaleno avvolge

la sua fluida discesa

verso la valle nei prati sottostanti.

Le ombre si espandono

preannunciando il declino del sole

che abbandona inesorabilmente il giorno.

Tre corvi neri tornano

con gran stridore, al loro nido,

quasi irridendo alla vita

che scorre tra il giorno e la notte.

I pini ricamano ancora sugli aspri pendii

disegni di incomparabile bellezza,

con toni forti e solenni di un verde scuro.

88° giorno I “perfettini”

I “perfettini” , detti anche “precisini”, sono sparsi un po’ dovunque e troppo spesso

irrompono nella scena di una normale conversazione con i toni tipici dei saccenti che

puntualizzano ogni argomento con osservazioni noiose e stucchevoli. La mancanza di buon

senso è una loro caratteristica. Sono un misto di ingenuità e di presunzione; ingenui perché

si illudono di poter migliorare il mondo con la loro supponente perfezione e quindi

presuntuosi perché non si rassegnano ad ammettere che le imperfezioni fanno parte della

natura la quale, proprio per i suoi difetti, talvolta è addirittura più piacevole, simpatica e

interessante.

Anche i “perfettini” appartengono ad ogni classe sociale, senza distinzioni di nazione o di

razza.

Chi ha avuto la sorte di sorbirsi per anni alcuni insegnanti precisini sa davvero cosa

significa la sopportazione e la pazienza. A loro non sfugge nulla, dalla piccolissima macchia

sul quaderno, alle virgole piazzate nel posto sbagliato, al modo di presentarsi in classe, alle

orecchiette sui libri, al modo di usare la penna da scrivere, e via di questo passo.

Ai “perfettini” oggigiorno si dovrebbero ascrivere anche tutti quei fanatici dello jogging

che, sempre alla stessa ora ogni giorno, vediamo correre con il bello o cattivo tempo lungo i

marciapiedi, per le vie principali del paese, nei parchi o giardini pubblici, lungo i cosiddetti

percorsi della salute. Sono fanaticamente illusi di poter modellare il proprio corpo come un

bronzo di Riace. Nessuno nega che ci si debba preoccupare della salute e del benessere

corporale, ma di fronte alle manie di perfezione dimostrate da certi “salutisti” è lecito

arricciare il naso e dissentire.

Forse la vera perfezione sta proprio nel raggiungere la consapevolezza che siamo

imperfetti e che, vivere la nostra vita secondo i canoni della banalissima normalità, è già di

per sé un grande trionfo che può soddisfare la nostra autostima.

89° giorno Te l’avevo detto

Uno dei commenti più odiosi e irritanti che dobbiamo sopportare è quello che ci viene

rinfacciato quando commettiamo un qualsiasi errore.

“Te l’avevo detto” ripete più volte la moglie, rivolgendosi con aria di rivincita al marito il

quale, non avendo ascoltato i suoi avvertimenti, ha commesso palesemente un grosso errore.

Rimarcare un errore commesso da altri, è tipico delle persone antipatiche e poco intelligenti

che, metaforicamente sono paragonabili a coloro che impietosamente affondano il coltello

nella piaga della loro “vittima” ed evidenziano i lati oscuri del proprio istinto vagamente

sadico.

Purtroppo certi errori sono regali che si fanno a tutti questi odiosi censori ai quali si offre

la ghiotta occasione di poter sbattere in faccia a chiunque le loro ineguagliabili capacità di

preveggenza. Costoro, infatti, vogliono farci credere di essere dotati di un particolare istinto

di intuizione che li preserva e li rende immuni da qualsiasi errore o imbroglio; si sentono dei

privilegiati e illuminati quando pronunciano le loro irrevocabili premonizioni. In realtà sono

i soliti insopportabili pettegoli ciarlatani che, dotati del facile “senno del poi”, tentano di

prendersi una rivincita rimarcando con enfasi un errore evidente che imprudentemente

abbiamo commesso e che, per essere spiegato, non richiede doti particolari di intuizione.

Cosa succederebbe se le parti si invertissero? Proviamo ad immaginare se per aver

ascoltato i consigli di qualcuno avessimo commesso un errore irreparabile. L’unica amara

consolazione sarebbe almeno la certezza che nessuno verrebbe a ripeterci con arroganza il

fatidico “Te l’avevo detto”. Come per incanto i classici censori da strapazzo si

eclisserebbero e svanirebbero come nebbia al sole. Poiché nessuno è infallibile, sarebbe una

buona norma tacere di fronte agli errori commessi dai nostri simili con la consapevolezza

che, prima o poi, non tutte le nostre scelte risultano azzeccate.

90° giorno La vida es sueño

Calderon de la Barca aveva stigmatizzato l’inutilità di false attese, per l’uomo distratto da

devastanti ansie, con l’apodigma “La vida es sueño y los sueños sueños son.” (La vita è un

sogno e i sogni sono solo sogni.)

Se potessimo “trascrivere” la nostra vita sotto forma di copione per uno spettacolo teatrale,

e potessimo assistere alla sua rappresentazione, certamente giudicheremmo il nostro passato

come un sogno svanito nell’oblio. Gli eventi tristi o gioiosi, che si sono succeduti con un

ritmo incalzante, assumerebbero una connotazione inesorabilmente fittizia.

Le sale cinematografiche o i teatri sono opportunamente strutturati per mettere lo

spettatore a suo completo agio, oscurando le persone e gli oggetti che lo circondano affinché

possa rivolgere tutta la sua attenzione unicamente allo spettacolo che scorre sullo schermo o

sulla scena. L’oscuramento della sala favorisce la concentrazione sino al punto che lo

spettatore si immedesima nelle vicende narrate che suscitano in lui alterne emozioni di gioia

o di dolore.

La nostra vita, in particolari momenti di riflessione, ci appare come una rappresentazione

teatrale. La nostra attenzione, favorita da particolari condizioni emotive, ci trasforma da

protagonisti a semplici spettatori, come se i nostri meccanismi mentali di rimozione o di

esaltazione ci convincessero che tutto è un sogno che prima o poi svanirà.

Le ansie, che rendono la nostra vita un groviglio inestricabile di sentimenti di frustrazione,

generano reazioni che variano da individuo ad individuo. Se talvolta ci considerassimo

spettatori più che attori della nostra vita, molti problemi svanirebbero proprio come nei

nostri sogni che, fatalmente, si rivelano essere solo sogni.

Nono intervallo

“Se il pensiero potesse materializzarsi, molti sarebbero ridotti a pelle ed ossa e, comunque, non correrebbero alcun rischio di diventare obesi.”

91°giorno Maestra di vita

Tito Livio, il più grande storico dell’età augustea, sosteneva che la storia è “magistra vitae”

(maestra di vita). Le sue “Storie” intendevano esaltare e proporre Roma come esempio per

tutti i popoli che essa aveva conquistato. Le sue figure di eroi e matrone presentate con

accenti epici, assurgono a simboli di valore e di virtù e le loro gesta vanno oltre il proprio

spazio temporale per assumere una dimensione ideale eterna. A prescindere dal trionfalismo

di Tito Livio, resta pur sempre la grande verità che la storia dovrebbe essere maestra di vita,

soprattutto quando ci ricorda le nefaste conseguenze di guerre combattute con ferocia

inaudita per motivi di orgoglio nazionale o semplicemente per difendere gli egoismi di

spietate dittature o di folli ideologie.

Da Caino in poi tutta la storia è costellata da guerre e tragedie, che, ad intervalli

implacabilmente regolari, insanguinano molte parti della terra. Si tramandano racconti di

massacri, di odi, di torture. Sono stati scritti copioni per films, dove si descrive

impietosamente la barbarie come uno stile di vita. Farisaicamente si finge di essere

sconvolti da simili bestialità ma poi ci si comporta come gli spettatori che affollavano gli

anfiteatri romani per assistere alle spietate lotte tra i gladiatori, dove il sangue e la morte

erano la turpe conclusione di simili spettacoli. Mostrare il “pollice verso”, che decretava una

condanna a morte liberatoria, era considerato un estremo atto di pietà.

Povera storia, maestra derisa e inascoltata! Che dire di coloro che ancora oggi

vergognosamente negano le atrocità commesse dai nazifascisti? Che dire di coloro che in

nome di Dio tagliano teste e diffondono il terrore tra innocenti, proprio come secoli fa

avveniva nelle Crociate? Che dire, infine di quei politici aristocratici e bugiardi che, pur di

ottenere voti, propongono di buttare a mare i miseri disperati che bussano alla nostra porta

nell’illusione di trovare un mondo migliore?

Povera storia sempre più derisa e messa all’angolo!

92° giorno Per un mondo migliore

L’uomo è sempre alla ricerca di un qualcosa che dia valore alla propria vita e che lo renda

orgoglioso di abitare su questa terra. Una delle invocazioni più ricorrenti cantate o recitate

nelle chiese cattoliche è la supplica: “A peste, fame et bello libera nos Domine” (Liberaci o

Signore dalla peste, dalla fame e dalla guerra). In queste semplici tre parole sono racchiuse

le immani tragedie che spesso devastano la terra. Se dalle pestilenze difficilmente ci

possiamo sottrarre, non altrettanto potremmo dire dalla fame e dalla guerra. L’uomo non è

ancora in grado di impedire il diffondersi delle pestilenze, ma potrebbe, grazie alla sua

intelligenza e alla sua volontà, risolvere il problema della fame nel mondo e soprattutto

scongiurare le guerre che mietono milioni di vittime. Purtroppo il virus della violenza che

devasta la mente dell’“homo sapiens, sapiens”, crea insanabili contrasti che scatenano

guerre e ingiustizie gravissime: la fame è la peggiore!

Martin Luther King dichiarava: “La più grande debolezza della violenza è che da vita

proprio a ciò che cerca di distruggere; invece di diminuire il male lo moltiplica. Con la

violenza puoi uccidere chi diffonde l’odio ma non uccidi l’odio.” Le parole del martire King

hanno tracciato un indiscusso confine tra “violenza” e “non violenza”, e si sono rivelate,

ahinoi, profetiche. “Uccidere l’odio” è il vero obiettivo da raggiungere per creare condizioni

di vita migliore per tutti.

È piuttosto frequente sentire parlare di un mondo migliore, e di ciò che si deve fare per

realizzarlo: riunione dei massimi plenipotenziari delle nazioni, delegati a prendere

importanti decisioni per scongiurare i pericoli delle guerre nel mondo, convocazione di

assemblee, riunioni di esperti a livelli nazionali ed internazionali, manifestazioni

pacifiche…! Ma siamo sicuri che dopo tutte queste iniziative il mondo possa avviarsi

davvero verso migliori condizioni di vita per tutti? La storia, maestra triste e sconsolata, ci

insegna che è molto difficile essere ottimisti a causa di un grave male che affligge

l’umanità: l’indifferenza di un egoismo colpevole, diffuso sempre più e dovunque.

93° giorno Gli amici

Parlare del valore dell’amicizia si rischia di essere melodrammatici o di dire cose banali e

ovvie. In verità l’argomento è più complesso di quello che appare. L’aforisma “Chi trova un

amico trova un tesoro” evidenzia simpaticamente quanto sia difficile trovare un amico così

come sia improbabile o addirittura impossibile trovare un tesoro. L’amicizia, intesa come

piena disponibilità disinteressata all’aiuto reciproco, è uno di quei concetti che

appartengono all’immaginario collettivo e che non hanno riscontro nella realtà.

Le parole di Jorge Luis Borges possono aiutarci a capire quale sia il vero senso

dell’amicizia: “Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po’ di sé

e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non

avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova

evidente che due anime non si incontrano per caso.”

•Le passioni e interessi condivisi sono sempre indispensabili perché possa nascere e

svilupparsi un rapporto amichevole ma soprattutto è indispensabile, oltre alla vicinanza

spirituale, la presenza fisica che possa costantemente garantirci fedeltà e lealtà.

Le amicizie virtuali propagandate dai numerosissimi social network, oggigiorno sono

diventate una moda assillante. Cosa pensare di quegli entusiasti di Face book che si vantano

di avere migliaia di amici? Non oso esprimere il mio pensiero né dare una risposta ad un

simile quesito perché rischierei di offendere la sensibilità di qualche lettore. Chi è avvezzo a

lasciarsi illudere è bene che non sia mai brutalmente risvegliato dal suo mondo di sogni;

potrebbe subire un trauma dannoso per il suo stato di salute mentale. Le vere amicizie sono

una realtà più concreta e seria che merita di essere apprezzata e custodita come un regalo

che la natura ci mette a disposizione per accrescere ed esternare i nostri doni.

94° giorno L’arte culinaria

Sono sempre più numerose le divulgazioni e i trattati sulla gastronomia che ormai è sata

elevata a livello di arte. Trovarsi davanti ad un televisore acceso e sfogliare nervosamente,

quasi istericamente, i vari canali alla ricerca di uno spettacolo soddisfacente, ci obbliga

inevitabilmente a fare uno “zapping” frenetico per approdare a qualcosa che soddisfi il

nostro interesse. La ricerca infine si conclude sconsolatamente di fronte alle solite gare

organizzate davanti ai fornelli che sono divenute un’occasione ghiotta dei palinsesti TV per

attirare l’attenzione dei poveri teledipendenti che, sempre più annoiati dai programmi messi

in onda, sono obbligati a scegliere il male minore costituito appunto da quegli spettacoli

che, senza pudore, parlano solo alla “pancia”, mettendo in bella mostra abbondanti e

colorate cibarie di ogni genere. Hanno poi la sfrontatezza di parlarci di dieta mediterranea,

la dieta riconosciuta la più salutare in tutto il mondo, che ci propone di scegliere gli alimenti

cosiddetti “poveri”. Si equipara lo sventurato spettatore al mitico Tantalo, torturandolo col

miraggio di tavole imbandite con una dovizia di piatti colmi di ogni ben di Dio e soprattutto

ricchi di calorie che farebbero inorridire i dietologi o nutrizionisti, che sono periodicamente

consultati alla ricerca di una dieta “personalizzata”.

In Italia e generalmente in tutti i paesi del benessere, la gastronomia è sempre più una

subdola tentatrice che ci sbandiera il lusso di essere dei buongustai e ci invita ad apprezzare

tutte le gioie della produzione dell’arte culinaria che varia come variano le tradizioni, il

folklore, la cultura delle nazioni. La battuta di Alessandro Dumas sintetizza ironicamente i

gusti differenti delle popolazioni europee: “Gli Inglesi non vivono che di roast beef e di

budino, gli Olandesi di carne cotta al forno, di patate e di formaggio, i Tedeschi di sauer-

kraut e di lardone affumicato, gli Spagnoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido, gli

Italiani di maccheroni!” Decisamente non c’e molta arte in tutto ciò, ma piuttosto c’è una

gran voglia di abbuffarsi.

95° giorno Sorpasso

Parlare di sorpasso ci richiama inevitabilmente il titolo di un film, considerato il

capolavoro del regista Dino Risi. Non di questo intendo parlare ma bensì di tutte quelle

connotazioni negative che sono implicite nella mania del sorpasso. È necessario prenderne

in considerazione i numerosi sinonimi per avere un panorama completo dell’argomento.

Sorpassare è sinonimo di oltrepassare, scavalcare, sgominare, sopravanzare, distaccare,

lasciare indietro, travalicare, eccedere, trascendere…andare oltre i limiti della convenienza e

della sopportazione (da “Treccani.it”). Quindi non è solo un argomento per il codice della

strada ma una valutazione dei nostri comportamenti in ogni luogo e in ogni circostanza.

Chi di noi non ha mai dovuto aspettare pazientemente in fila davanti ad un qualsiasi

sportello o alla cassa di un comunissimo supermercato? Non manca mai il solito furbastro

che tenta di compiere il classico “sorpasso” facendo imbufalire tutti i presenti. E che dire dei

soliti spavaldi che arrivano al punto di compiere il sorpasso su una normalissima strada di

città o di campagna, magnificando la loro audacia con gesti volgari ben noti? Si arriva al

punto che la persona offesa possa ingaggiare un’autentica corsa all’inseguimento dei bulli

per tentare di vendicarsi dell’oltraggio subito. Talvolta simili bravate si concludono nel

modo peggiore con vittime destinate all’ospedale o, nei casi estremi, addirittura all’obitorio.

Che cosa rende odioso il sorpasso? Appunto la mania di sopravanzare, di trascendere e

andare oltre i limiti della sopportazione scavalcando i diritti altrui. Le umiliazioni che il

prepotente causa alle sue vittime sono come la polvere da sparo che nel momento meno

opportuno può esplodere con conseguenze imprevedibili e devastanti. Il rispetto degli altri

passa anche attraverso la consapevolezza che dobbiamo avere dei nostri limiti, ed essere

davvero convinti che le prevaricazioni offendono sempre la dignità dei nostri simili.

96° giorno La strada

Un mondo sempre più globalizzato presuppone vie di comunicazione sempre più numerose

e scorrevoli. I Romani divennero famosi per la rete di vie che comunicavano Roma con le

città del loro impero esteso in ben tre continenti. Tratturi, sentieri, strade selciate, ponti si

incrociavano come una ragnatela e permettevano agli eserciti di spostarsi dovunque nel

minor tempo possibile. Oggi la rete stradale ha raggiunto un’espansione incredibile che

nessuno sino all’inizio del secolo scorso avrebbe potuto prevedere. Tutti i paesi d’Europa

ormai sono raggiungibili da strade più o meno larghe o strette. Non sono percorse come

tempo fa solo da eserciti o pellegrini ma da autoveicoli sempre più veloci e rombanti,

rallentati unicamente dall’incedere più lento dei grandi TIR o Pullman a due piani. Quando,

però, leggiamo il conto che questo progresso presenta ogni giorno solo in Italia, rimaniamo

sconcertati: circa seicento incidenti con una decina di morti e un migliaio di feriti. Alla fine

di un anno contiamo tante vittime quante ne può provocare un terremoto di forte intensità. Il

terremoto non possiamo né prevederlo né tanto meno impedirlo, ma gli incidenti stradali

potrebbero essere in buona parte evitati o quantomeno ridotti di numero. Ridurli

drasticamente è un compito che spetta a tutti senza attenuanti, con l’educazione e la

fermezza dovute. Se la strada per taluni è considerata alla stregua di un circuito dove ci si

può allenare per le gare di formula uno, o un parco giochi dove divertirsi spensieratamente,

si sappia allora che il pericolo è sempre in agguato e la strada si trasforma

inaspettatamente in una corsia preferenziale verso la tragedia.

Gli irresponsabili esistono a tutti i livelli e possono causare danni di ogni genere; ma

quando costoro sulla strada, alla guida di un’autovettura si lanceranno a forte e spericolata

velocità, senza esitazione saranno definiti degli autentici delinquenti che dovranno essere

condannati severamente. La strada non è un giocattolo ma è un’arma sempre carica, pronta a

sparare.

97° giorno Il Presepio

Rivivere la magia del Natale è sempre stata una tradizione alla quale, nonostante le

vicissitudini più o meno tristi della nostra vita, non vogliamo rinunciare proprio perché ci

permette di riassaporare i momenti più belli della nostra infanzia. Attendere la mezzanotte

per assistere alla collocazione di Gesù Bambino nella mangiatoia del Presepe, era

un’emozione intensa che ci procurava una gioia particolare. I pastori con le pecorelle, il

profumo del muschio, il ruscello in carta argentata, la grotta, la neve, le luci colorate e tutti

quegli stratagemmi originali per introdurre novità e bellezza, erano l’esaltazione della

semplicità. Piccole cose procuravano il piacere unico e sincero di rivivere quelle emozioni

semplici che hanno lasciato in noi segni indelebili. Il misto di sacro e profano che

rappresenta il presepio è senza dubbio la garanzia che la sua costruzione sarà rinnovata ad

ogni ricorrenza del Natale e sarà perpetuata attraverso i secoli. Rimane pur sempre il dubbio

se questa gioiosa tradizione potrà resistere ad un mondo sempre più globalizzato o sarà

proscritta dai futuri iconoclasti e messa nella lista nera di tutto ciò che deve essere distrutto

perché appartenente all’odiato periodo “oscurantista”!

Non è momento di profezie e, per nostra fortuna. i tempi e le latitudini in cui viviamo sono

rassicuranti. Possiamo sentirci fortunati e felici di rinnovare ogni anno la bella tradizione del

presepio alla cui costruzione dobbiamo metterci impegno, sfoggiando il meglio della nostra

fantasia e del nostro amore per le cose belle e semplici.

Albero di Natale o presepio? La preferenza per uno non significa l’esclusione dell’altro e,

quindi, ben venga anche l’albero, magari accanto al presepio come un completamento

naturale della calda atmosfera che si vuole ricreare per la gioia di tutta la famiglia durante le

feste natalizie.

98° giorno Canta che ti passa

I nostri nonni ci suggerivano di cantare quando eravamo assillati da preoccupazioni o da

pensieri negativi che ci torturavano e ci avvilivano: “Canta che ti passa!” era il consiglio

semplice ma efficace che ci davano. Più di una volta, percorrendo le strade del paese, si

sentivano le massaie cantare, chi con voce squillante e bene intonata e chi con voce rauca e

alquanto stonata, ma sempre con allegria, quasi volessero trasmettere a tutti la gioia di

vivere e un invito ad avere fiducia e a credere che ogni cosa prima o poi si sarebbe sistemata

per il meglio. Oggi le case sono silenziose, e nessuno oserebbe esibire le proprie capacità

canore in un caseggiato dove i rumori sono considerati una trasgressione al regolamento

condominiale. I tempi sono cambiati ma certamente le vicissitudini che assillano il genere

umano sono ancora di indiscussa attualità. Non si canta più per attenuare i dispiaceri

quotidiani, anzi si ricorre allo specialista al quale confidare i nostri stati d’animo nella

speranza che un confessore o un avvocato o addirittura un psichiatra possano ridarci quella

serenità e quella forza d’animo che ci permetta di affrontare e risolvere i problemi che ci

tormentano.

Lo scotto che dobbiamo pagare all’avanzata del benessere è spesso la diffidenza verso il

prossimo e la difficoltà a stabilire quelle necessarie relazioni sociali che favoriscono la

condivisione della nostra vita con gli altri. Sicuramente non è cantando che possiamo

risolveremmo i nostri problemi ma sapendo chiedere comprensione e collaborazione in

modo positivo senza noiosi piagnistei. Far buon viso a cattiva sorte aiuterebbe molto ad

abbattere quella barriera di diffidenza che ci impedisce di comunicare con le persone chi ci

stanno accanto. Il linguaggio universale della musica è capito da tutti e, se cantare è un

modo di esternare il proprio stato d’animo, possiamo comprendere quanto sia ancora di

attualità il suggerimento che ci davano i nostri nonni.

99° giorno Hobby

Trascorrere il proprio tempo libero sdraiati su un divano non è certamente la massima

aspirazione di chi, considerandosi devastato dal lavoro, si abbandona all’inerzia e ad un ozio

improduttivo. Costoro sono predestinati inevitabilmente ad essere le vittime

dell’avvilimento e della depressione. È fondamentale, invece, trascorrere i momenti di

svago facendo le cose che maggiormente ci aggradano convinti che non si tratta di cose

superflue ma di hobbies che mantengono la mente sveglia, acuiscono l’attenzione per i

dettagli e sviluppano la creatività.

Gli hobbies sono innumerevoli: c’è solo l’imbarazzo della scelta! La fantasia umana non

ha limiti e quindi l’uomo può inventarsi di tutto pur di tenersi in allenamento per migliorare

il proprio stato di salute psicofisica.

Internet ci propone numerosi siti dove sono stati compilati e pubblicati gli elenchi dei

passatempi più diffusi, più belli, più strani, più praticati al mondo; con grande stupore

scopriamo che tutti sono il frutto di una fantasia sconfinata ed esuberante.

Quanta tristezza infondono quei poveri pensionati “pantofolai” che si trascinano

stancamente da un lato all’altro della casa o che si sprofondano per ore in una poltrona

davanti ad un televisore tenuto acceso solo perché rompa il silenzio e la monotonia delle

loro lunghe giornate interminabili. Sopportano la noia, senza alcun rigurgito di orgoglio e di

fantasia.

Non si dovrebbe neppure pensare di andare in pensione con l’unico obiettivo di non fare

più nulla, ma piuttosto con la voglia di iniziare una nuova vita che permetta di dedicarsi a

tempo pieno, con gioioso entusiasmo, ai propri hobbies, per potersi mantenere sempre attivi

e allenati fisicamente e mentalmente, e soprattutto per rendersi ancora utili alla società.

100° giorno Il pellegrino

Ho scelto, a conclusione di questi cento giorni di pensieri in ordine sparso, una poesia che

scrissi quando ero studente. La ritengo emblematica per sottolineare l’ansia che per tutta la

vita ci accompagna alla ricerca, non di una chimera, ma di un ideale che possa dare un senso

alla nostra vita.

Nelle chiare pupille

d’un pellegrino errante

si specchiano raggi d’infinito.

Affanno, pena,

ansia di vivere,

ricerca dell’inafferrabile:

compagni d’un vagare senza meta.

Granelli di sabbia,

groviglio d’alghe

secche al sole,

una vela schiaffeggiata dal vento!

Aria impalpabile di mistero,

desiderio d’infinito...

Avanza, ansimando,

lungo il cammino

il viandante logoro e stanco.

Cerca affannosamente

qualcosa, qualcuno,

ombre di un desiderio vago

nell’incolmabile immensità.

In alto il sole,

sotto i piedi la sabbia,

nell’aria spruzzi d’acqua salmastra.

Che cosa cerchi pellegrino?

Perchè t’affanni?

Dissolversi nell’Universo

è il tuo sogno e la tua condanna.

“ Le idee sono nell’aria. Se hai il cervello pulito, arrivano a te.” (Roberto Benigni)

Ranica (Bergamo)

Settembre 2016