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UNITÀ 17 LA CHIESA DIALOGA CON IL MONDO OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO UNITARIO Obiettivi formativi o Riconoscere la Chiesa come comunità di fede che testimonia il vangelo nella storia e dialoga con il mondo, con le diverse culture e religioni. Obiettivi specifici di apprendimento o Conoscenze Lo studente: - riconosce il ruolo della religione nella società e ne comprende la natura in prospettiva di un dialogo costruttivo fondato sul principio della libertà religiosa; - conosce le principali novità del Concilio ecumenico Vaticano II. - studia il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo, con riferimento ai totalitarismi del Novecento e al loro crollo, ai nuovi scenari religiosi, alla globalizzazione e migrazione dei popoli, alle nuove forme di comunicazione. o Abilità Lo studente individua, sul piano etico-religioso, le potenzialità e i rischi legati allo sviluppo economico, sociale e ambientale, alla globalizzazione e alla multiculturalità, alle nuove tecnologie e modalità di accesso al sapere. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo... L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto non ha liberato l’uomo e gli ha tolto la dignità. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore? (Benedetto XVI). La preoccupazione e la sofferenza del papa non gli impediscono di rilanciare la sfida evangelica alla modernità: dialogo e testimonianza dell’amore.

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UNITÀ 17LA CHIESA DIALOGA CON IL MONDO

OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO UNITARIO

Obiettivi formativio Riconoscere la Chiesa come comunità di fede che testimonia il vangelo nella storia e

dialoga con il mondo, con le diverse culture e religioni.

Obiettivi specifici di apprendimentoo Conoscenze

Lo studente:- riconosce il ruolo della religione nella società e ne comprende la natura in

prospettiva di un dialogo costruttivo fondato sul principio della libertà religiosa; - conosce le principali novità del Concilio ecumenico Vaticano II.- studia il rapporto della Chiesa con il mondo contemporaneo, con riferimento ai

totalitarismi del Novecento e al loro crollo, ai nuovi scenari religiosi, alla globalizzazione e migrazione dei popoli, alle nuove forme di comunicazione.

o AbilitàLo studente individua, sul piano etico-religioso, le potenzialità e i rischi legati allo sviluppo economico, sociale e ambientale, alla globalizzazione e alla multiculturalità, alle nuove tecnologie e modalità di accesso al sapere.

Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo... L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto non ha liberato l’uomo e gli ha tolto la dignità. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore? (Benedetto XVI).La preoccupazione e la sofferenza del papa non gli impediscono di rilanciare la sfida evangelica alla modernità: dialogo e testimonianza dell’amore. Il compito è ancora più arduo nella società complessa e in un contesto sociale dove gli atteggiamenti diffusi sono soggettivismo, diffidenza, conflitto, esclusione, indifferenza. Il fenomeno delle migrazioni crea dibattiti accesi e presa di posizioni contrapposte. Il processo di integrazione tra culture e religioni diverse anziché diventare occasione di crescita civile, solleva per molti molteplici sospetti e paure. L’ipocrisia dei benpensanti si alimenta di disserzioni erudite sulle responsabilità che competono perlopiù agli altri, individui o istituzioni. L’ iniziale sforzo di apertura di qualcuno, spesso scema all’insorgere di dubbi che mettono in crisi. “Quando perdiamo mi sento un fallito, quando vinciamo mi sento in colpa!” (Charlie Brown). È la contraddizione che spesso ci abita nel profondo quando volenterosamente vorremmo dialogare. C’è disappunto per le frequenti chiusure all’altro, ma di fronte al loro superamento ci assale una sorta di disagio per aver tradito la nostra identità personale o culturale. La necessità di aprirsi al mondo e di cambiare mentalità è pesantemente ostacolata dalla “globalizzazione dell’indifferenza” e dalla “dimenticanza dell’esperienza del piangere” (Papa Francesco). Occorre un riconversione profonda.

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Il rinnovamento della chiesao Il sogno di Giovanni XXIII o Il concilio Vaticano II

La chiesa nel mondoo Cristianesimo e pluralismoo L ’impegno politicoo Il dialogo interreligiosoo La convivialità delle differenzeo Una chiesa apertao Il dialogo planetario

oo La comunicazioneo Test sulle capacità di relazionarsio Le relazioni umaneo Comunicare nella diversità

- Compito unitario B1: - Compito unitario B2: Il dialogo con gli Ebrei- Compito unitario B3: Il dialogo tra cristiani (ecumenismo)- Compito unitario B4: La libertà religiosa- Compito unitario B5:

o L’etica delle comunicazioni sociali

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IL RINNOVAMENTO DELLA CHIESA

Che ne dici?

La situazione della Chiesa è conosciuta… Sintetizzando si può dire che l'Europa è scristianizzata, in Asia i cristiani sono una piccola minoranza ma capace di testimoniare l'annuncio di Cristo; l'Africa è cristianizzata ma soffre di tante situazioni di disagio: divisioni, guerre, fame, malattie, e per di più viene dimenticata dal Nord che punta sulla Cina ed India. L'America Latina è il continente cristiano per eccellenza ed è ancora il continente della speranza e del futuro. La Chiesa sostiene la fede dei semplici, la devozione popolare, la promozione umana (diritti dell'uomo, lotta contro la povertà, alfabetizzazione) spesso fino all'eroismo. La situazione in America del Nord e in Australia è molto evoluta dal punto di vista tecnologico ma a volte lasciano a desiderare l'antropologia cristiana dell'uomo e i valori più profondi del cristianesimo… Bisogna accogliere le sfide, non avere sfiducia nell’umanità, malgrado la complessità delle situazioni… Le etichette di “progressista” e "conservatore" sono superate. La Chiesa è conservatrice quando annuncia il Vangelo e il progetto cristiano di fede e di morale. Nessun papa, né cardinale, avrebbero potuto cambiare la sostanza del Vangelo… Bisogna dire che i valori cristiani sono autenticamente umani. Il cristianesimo valorizza la natura umana secondo il progetto primordiale di Dio (Card. Tarcisio Bertone).

La chiesa è conservatrice?Esiste nella chiesa un’autentica volontà di rinnovamento? Come si coglie? In quali documenti?

Il sogno di Giovanni XXIII

Nel contrastato panorama del Novecento emerge la figura di Giovanni XXIII, figlio di contadini diventato poi il “papa buono”, il pastore vigilante dal cuore dilatato, dagli occhi soavi, consapevole di errori, insidie e pericoli incombenti per la Chiesa e per il mondo. Si è detto di lui e lo ammise lui stesso: “Due occhi e un sorriso”, innocenza e bontà. “Riparatore di brecce, restauratore di rovine per abitarvi” (Is 58,12). “Un volto sorridente e due braccia spalancate ad accogliere il mondo intero” (Giovanni Paolo II). Il “Maestro inatteso” (Madeleine Delbrêl). Il discepolo che volle incarnare il metodo di Gesù: “Operare e insegnare” (At 1, 1). “Il vendemmiatore delle vigne della speranza. Il colono dell'aratro più profondo. Il Signore di genti senza frontiere” (poeta romagnolo). Ottimista sognatore, auspicava una “nuova Pentecoste” per la Chiesa… Accanto al mondo, nel mondo, con l’uomo e al servizio dell’uomo, per costruire la civiltà dell’amore.Uno degli eventi che maggiormente ha inciso sulla vita della Chiesa del Novecento è stato il Concilio Vaticano II (1962-65) con cui si può identificare il pontificato di Giovanni XXIII. A differenza dei precedenti concili, radunati per far fronte a necessità improrogabili per la vita della Chiesa (scismi, eresie, deviazioni, ecc.), il concilio voluto coraggiosamente da papa Roncalli nasceva dalla sua stessa concezione della Chiesa quale realtà viva e in divenire, segno profetico nel mondo: “Davanti a questo duplice spettacolo: un mondo che rivela un grande stato di indigenza spirituale e la Chiesa di Cristo, ancora così vibrante di vitalità, Noi, fin da quando salimmo al supremo pontificato, nonostante la nostra indegnità e per un tratto della Divina Provvidenza, sentimmo subito urgente il dovere di chiamare a raccolta i nostri figli, per dare alla Chiesa la possibilità di contribuire più efficacemente alla soluzione dei problemi dell'età moderna. Per questo motivo, accogliendo come venuta dall'alto una voce intima del nostro spirito, abbiamo ritenuto essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e al mondo il dono di un nuovo Concilio Ecumenico” (Bolla di indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 25 dicembre 1961). Nella sua visione si andava affacciando l’urgenza di ricondurre la Chiesa del nostro tempo alla

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purezza evangelica, per far uscire il cattolicesimo, anzi l’intero cristianesimo (da qui la convocazione a Roma e al concilio di «osservatori» laici e rappresentanti delle Chiese cristiane separate), con un impegno ed uno sforzo comune, da una lunga stagione storica che appariva ormai conclusa e priva di avvenire. Gradualmente Giovanni XXIII giunse al progetto di un concilio ecumenico, certamente inatteso e non del tutto gradito alla stessa curia romana, sembrando a taluni impresa disperata o rischiosa, ma che la robusta fede del papa riuscì a rendere possibile e fecondo.

RiflettiamoChe cosa sai di Giovanni XXIII?Quale affermazione su di lui ti colpisce maggiormente?Per quali ragioni indice il concilio?

Il concilio Vaticano II

Nella parte sinistra del documento alcune decorazioni didascaliche: entro un rettangolo ripartito a riquadri, rami d’ulivo, di grano e viticci, i simboli dei quattro evangelisti ai lati, lo stemma del papa al centro. Attorno al disegno, a partire dal margine sinistro esterno, i nomi dei precedenti concili ecumenici.

BOLLA D’INDIZIONE del Concilio Vaticano II (25 dicembre 1961)

Umanae salutis

Indetto da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, al suo annuncio seguirono tre anni di lavoro durante i quali una commissione preparatoria - consultando tutti i vescovi cattolici - definì gli argomenti da trattare durante le sessioni plenarie del Concilio.Il Concilio fu aperto ufficialmente l'11 ottobre 1962 da papa Giovanni XXIII all'interno della basilica di San Pietro in Vaticano. Alla morte di Giovanni XXIII (3 giugno 1963) fu continuato dal suo successore Paolo VI. Si svolse in nove sessioni, in quattro periodi, e terminò il 7 dicembre 1965. Promulgò quattro Costituzioni che contengono direttive per la vita della chiesa, nove Decreti che orientano nei diversi ambiti della vita quotidiana e tre Dichiarazioni che riguardano alcuni gravi e importanti problemi del mondo contemporaneo.

RiflettiamoQuali documenti del concilio conosci?

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Sai quali novità ha introdotto il Vaticano II?

Approfondimento (App 17.1) Documenti conciliari

La Chiesa oggi

Nella stagione conciliare è maturata nella Chiesa una più forte consapevolezza: la presenza continua ed efficace di Cristo. La Chiesa non nasconde i suoi limiti: “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa”. (J. Ratzinger, Via Crucis 2005). Pertanto si pone in un atteggiamento di ascolto, riconoscendo tutto ciò che di buono e di “genuinamente umano” proviene anche da esperienze diverse dalla propria e creando spazi comunicativi di dialogo e partecipazione, di confronto e di scambio. La Chiesa però non rinuncia alla missione di "madre e maestra" (Giovanni XXIII), a riconoscersi "esperta in umanità" (Paolo VI) e a essere nella società complessa e globalizzata, multietnica e multireligiosa “coscienza critica del mondo”.All’inizio del terzo millennio la Chiesa è consapevole di un nuovo passaggio di civiltà e ne sente la responsabilità. La scenario che si presenta non è più solo quello dell’Occidente, ma del mondo intero. Giovanni Paolo II lo intuì e compì dei gesti profetici: i viaggi fino agli estremi confini del mondo, la sfida ai moderni imperi del male, politici e culturali, gli incontri per la pace interreligiosa di Assisi e i “mea culpa” per i peccati del passato della cristianità.Oggi la Chiesa sente urgente la “questione antropologica” come il nuovo conflitto epocale sulla visione della vita e dell’uomo (dominio della scienza sull’uomo, dal concepimento alla morte, incapacità di distinguere il bene dal male). Per alcuni uomini di chiesa tale questione inciderà sul futuro del mondo in maniera più profonda e duratura dello stesso conflitto mondiale con il terrorismo. La grande sfida del nuovo millennio è appena incominciata.

RiflettiamoCome si pone la Chiesa nei confronti del mondo?Perché alla chiesa sta a cuore la “questione antropologica”?

Approfondimento (App 17.2) Giovani e chiesa

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LA CHIESA NEL MONDO

Che ne dici

Oggi siamo liberali, e perciò non c'è bisogno di rivolgersi al cristianesimo per giustificare i nostri diritti e libertà fondamentali. Siamo laici, e perciò possiamo considerare le fedi religiose come credenze private. Siamo moderni, e perciò crediamo che l'uomo debba farsi da sé, senza bisogno di guide che non derivino dalla sua propria ragione. Siamo figli della scienza, e perciò ci basta il sapere positivo, provato e dimostrato. In Europa stiamo per unificarci, e dunque dobbiamo evitare di dividerci menzionando il cristianesimo fra le radici dell'identità europea. In casa nostra stiamo integrando milioni di islamici, e dunque non possiamo chiedere conversioni di massa al cristianesimo. Dentro le nostre società occidentali stiamo attraversando la fase della massima espansione dei diritti, e dunque non possiamo consentire che la Chiesa interferisca e ne ostacoli il godimento (Marcello Pera).

Quali affermazioni condividi e quali no?La chiesa è un ostacolo all’integrazione europea?

Cristianesimo e pluralismo

Con il fenomeno della secolarizzazione il pensiero, l’arte, il diritto, la scienza, la cultura e la società in genere, sono stati sottratti all’influenza della religione per organizzarsi autonomamente. La religione, relegata nell’ambito del privato, non ha diritto di cittadinanza nella “città secolare”. Tale processo non ha tuttavia tolto visibilità sociale alla chiesa specialmente nell’ambito delle opere di carità e di assistenza. La riflessione di alcuni laici ha messo in evidenza la pregnanza culturale del cristianesimo: “Liberalismo e cristianesimo sono congeneri. Togliete al primo la fede del secondo, e anch'esso scomparirà». Il liberale è «cristiano per cultura». Per lui il «dono di Dio» è solo «un patrimonio di virtù, costumi, civiltà: la nostra». Differente dal «cristiano per fede» in Gesù Cristo, personalmente incontrato, seguito, amato (Marcello Pera).La chiesa, aprendosi al mondo, non si è arroccata su posizioni integralistiche e difensive, anzi, ha riconosciuto il pluralismo delle scelte religiose e politiche: “Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. La chiesa invita tutti i cristiani al duplice compito di animazione e innovazione per fare evolvere le strutture e adeguarle ai bisogni presenti… chiede uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro” (Paolo VI, Octogesima adveniens, 50).

RiflettiamoLa fede ha una rilevanza solo personale o anche sociale?Si può essere laici-liberali e “cristiani per cultura”?

L’impegno politico

La politica, “arte nobile e difficile” (Vaticano II, Gaudim et Spes), diventa “una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Paolo VI). È un mestiere difficile che richiede la coscienza dell’autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale e il riconoscimento della sua laicità; rifugge dalla tentazione, sempre in agguato, dell’integralismo: ridurre il messaggio cristiano a una ideologia sociale.È un servizio scomodo, sottoposto per sua natura alla lacerazione delle scelte difficili, alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, al disturbo delle contraddizioni e delle conflittualità sistematiche, al margine sempre più largo dell’errore.

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È un operare rischioso, sollecitato continuamente da molteplici tentazioni: clientelismo, vassallaggio dei sistemi correntizi, spartizione oscena del denaro pubblico, promozione degli affari privati, gestione dei bisogni sociali a scopo di potere.“È l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione intima con Dio. Perché è la guida dei popoli, una responsabilità immensa, un severissimo servizio” (Giorgio La Pira).È una forma di martirio: diventare “carne e sangue” sull’altare del bene comune.L’impegno politico del cristiano è però un dovere ineludibile: “È urgente che possa crescere, soprattutto tra i giovani, una nuova considerazione dell’impegno politico, e che credenti e non credenti insieme collaborino nella promozione di una società dove le ingiustizie possano essere superate e ogni persona venga accolta e possa contribuire al bene comune secondo la propria dignità e mettendo a frutto le proprie capacità” (Papa Francesco).

RiflettiamoChe cosa significa considerare la politica “un’arte nobile e difficile”?Come rendere la politica più credibile?È utopico pensare alla politica come servizio?

Il dialogo interreligioso

L'espressione dialogo interreligioso si riferisce all'interazione positiva e cooperativa fra persone o gruppi di persone appartenenti a differenti tradizioni religiose, basata sul presupposto del riconoscimento e del rispetto reciproco, senza però rinunciare alla propria fede. Un vero «dialogo interreligioso» pertanto non può esistere in senso stretto; si deve piuttosto parlare di «dialogo tra culture» per approfondire le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Non potendo mettere fra parentesi la propria fede, è possibile e necessario dialogare solo per una mutua correzione e un arricchimento vicendevole. Per rendere il dialogo più efficace e profondo, qualcuno suggerisce una presa di distanza dai fondamenti normativi della propria religione. Solo se si è “liberali”, affermano, si può dialogare, perché l'essere “ortodossi” costituisce quella pregiudiziale chiusura che impedisce il dispiegarsi della relazione dialogica verso l'altro in tutta la sua necessaria libertà e disponibilità. Altri invece obiettano vivacemente: solo uomini sinceramente religiosi e “affezionati” ai fondamenti della loro fede hanno la possibilità di “capirsi” più in profondità. Il dialogo presuppone identità definite per essere vero e sincero e non risolversi in vuota chiacchiera o superficiale convivialità. Solo chi è saldamente legato a qualcosa può entrare in un rapporto di reciproco arricchimento con “l'altro”. La valorizzazione della diversità è il presupposto per un’autentica e rispettosa unità. Ma non è poi così semplice.

RiflettiamoPerché non è possibile un dialogo interreligioso in senso stretto?Per dialogare efficacemente è meglio essere “liberali” o “ortodossi”?

Approfondimento Modelli di pluralismo religioso (App 17.3)L’ultima lettera (App 17.4)

La convivialità delle differenze

La diversità, contrario di uguaglianza e di somiglianza, nella natura genera quasi sempre attrazione. L’uomo, diverso dalla donna, avverte un forte desiderio, la cerca e, ottenuto il consenso, costruisce una solida relazione con lei. E viceversa per la donna. Nella cultura invece la differenza genera sospetto e diffidenza (verso lo straniero, il disabile…); ne viene la discriminazione e il pregiudizio. Perché questa contraddizione tra natura e cultura? La natura procede con automatismi istintivi che

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l’intelligenza umana integra con facilità e li orienta quasi sempre nella direzione desiderata. La cultura invece, tendenzialmente autoprotettiva, teme aggressioni e tende ad assumere posizioni eccessivamente difensive. La ragione, oscurata da queste paure, perde lucidità e non riesce a governare le reazioni istintive che fanno ritenere il diverso come un essere “non normale”, poiché si comporta in modo non conforme a quelli che sono considerati i propri canoni di vita. “Quando uno è turbato da un essere che non gli è familiare, allora può pensare di essere meglio di lui, prova un sentimento sia di superiorità sia d’inferiorità e lo rifiuta, non vuole sapere di averlo come vicino… Il razzista è colui che pensa che tutto ciò che è differente da lui lo minaccia nella sua tranquillità” (T. Ben Jelloun). Che fare? Bisogna costruire un “sistema di educazioni” che sappia promuovere il rispetto, il dialogo, l’accettazione, il confronto, la non-violenza e la pace.

RiflettiamoPerché

Approfondimento (App 17.5)Per un sistema di educazioni

Una chiesa aperta

La chiesa cattolica afferma che il mistero di Dio si è rivelato in pienezza nel Figlio di Dio, Gesù Cristo, ma riconosce in ogni religione qualcosa di vero e di santo, quale riflesso di un raggio del mistero di Dio (Concilio Vaticano II, Nostra aetate n. 2). Auspica altresì il dialogo interreligioso, “perché conduce all’amore e al rispetto reciproco, elimina, o almeno diminuisce, i pregiudizi tra i seguaci delle diverse religioni e promuove l’unità e l’amicizia tra i popoli” (Giovanni Paolo II). Il dialogo non è più una scelta, ma è un servizio necessario all'umanità. Per i seguaci delle tre maggiori religioni monoteistiche condividere la fede comune in Dio Creatore, Provvidenza e fine ultimo di ogni essere umano esige uno sforzo maggiore. “Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome di pace e un imperativo di pace” (Giovanni Paolo II, Novo Millennio ineunte, n. 55). Insieme è possibile educare i giovani alla pace e al rispetto reciproco e promuovere una sana pedagogia di pace, che venga impartita nella famiglia, nelle moschee, nelle sinagoghe, nelle chiese, nelle scuole e nelle università. Le religioni non fanno la guerra, ma, purtroppo, come la storia insegna, a volte la fanno i loro seguaci. La preghiera, il digiuno, le elemosine, la compassione per i deboli, i malati e i poveri, il rispetto per i genitori, la solidarietà nella famiglia e nella comunità religiosa sono alcuni valori condivisi che avvicinano. Anche il carattere sacro della vita umana, nonostante alcune differenze, è un valore comune. L’affermazione di Giovanni Paolo II:  “L'essere umano è la via della Chiesa”, potrebbe essere riformulata in prospettiva interreligiosa: “L'essere umano è la via di tutte le religioni”. Ogni settimana, il venerdì, il sabato e la domenica, milioni di uomini e di donne, indipendentemente dalla loro età, dalla loro cultura e dalla loro condizione sociale, si riuniscono in preghiera nelle moschee, nelle sinagoghe e nelle chiese. Riescono a vivere l'unità nella diversità. Questo patrimonio va messo a disposizione di tutta l'umanità. Il dialogo religioso nella prassi quotidiana deve pertanto essere sempre chiaro e sgombro da possibili equivoci. “Bisogna evitare di dare l’impressione che il dialogo consista nel trovare il più piccolo denominatore comune che rende tutti simili… In realtà questo dialogo richiama piuttosto l’esigenza della verità, che per i cristiani è Gesù Cristo, l’unico mediatore… Il dialogo non può realizzarsi se non al di fuori di ogni ambiguità. Bisogna guardare l’altro, ascoltarlo, stimarlo. Poi affermare la propria identità… Il dialogo interreligioso è sempre una chiamata ad affermare la propria identità… Ciò non ha come scopo la conversione, ma la conoscenza reciproca” (Card. Jean Louis Tauran). Tuttavia non va dimenticata la necessità del confronto, il coraggio di abitare il confine, di rendersi reciproca visita e arricchirsi gli uni gli altri.

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RiflettiamoLa chiesa è davvero aperta al dialogo?Come affronta il dialogo interreligioso?

Approfondimento (App 17.6)La convivialità trinitaria

Il dialogo planetario

Le relazioni umane sia personali che collettive sono costituite da un approccio diretto o mediante strumenti di comunicazione: i media, come i giornali, la televisione, il telefono, la radio, internet…. L’uso di tali strumenti, non essendo neutro, pone seri problemi etici e costituisce una delle grandi sfide di oggi. Ogni mezzo di comunicazione sociale infatti è utilizzato seguendo una “filosofia di fondo”, una certa idea di uomo che non va accolta passivamente, ma analizzata e valutata criticamente. Il rischio di una comunicazione a senso unico, che non rispetti il diritto delle persone a reagire e interagire con i messaggi ricevuti, è molto frequente. Oggi “esiste solo quello che passa alla tv”, poiché i media non si interessano di quella parte della realtà che “non fa notizia”; preferiscono lasciarla cadere nell’insignificanza e nell’oblio. L’imposizione di un problema avviene mediante l’enfatizzazione del fatto e la sua rilevanza sociale è determinata dai “livelli d’ascolto” e non invece dalla qualità dei valori in gioco. Vengono inoltre proposti modelli di comportamento conformistici e massificanti, controllati dalla cultura dominante e inquinati da interessi economici e da strumentalizzazioni ideologiche, che non garantiscono certo uguali diritti di parola a tutti. Ne risulta che i media non sono pienamente a servizio dell’uomo, del suo sviluppo integrale e della sua libertà, né sanno creare “comunione e progresso”. Per guarire i media dalla loro malattia e difendere l’uomo dal loro potere serve l’apporto dell’etica.Fortunatamente le costituzioni e le legislazioni civili riconoscono alla persona precisi diritti: - Il diritto di informazione:

o attivo (informare ed esprimere liberamente il proprio pensiero)o passivo (ricevere informazione pluralistica)

- Il diritto alla verità (informazione completa)o ciò che l’informatore è riuscito a raccogliereo le fonti da cui ha attinto la notiziao il punto di vista personale (veracità).

- Il diritto alla reputazione personale e istituzionale (rispetto della persona e della privacy ed eventuale rettifica e risarcimento danni).

La Chiesa cattolica si sente chiamata ad annunciare profeticamente il “vangelo” della comunicazione planetaria, poiché la vocazione profonda e propria dei media è quella di mettersi al servizio dell’uomo e della famiglia umana come “fattori di socializzazione”, finalizzati a “essere strumenti di fraternità e di comunione tra gli uomini”. Pensare i media solo in termini economici o ideologici, e non in senso antropologico pieno, orientandoli al bene della persona umana e della comunità, di ciascuno e di tutti, sarebbe riduttivo e pericoloso per l’umanità.

RiflettiamoEsiste un’informazione obiettiva?Quali contributi offre l’etica alle comunicazioni sociali?Come giudichi le relazioni virtuali sui social network?

Approfondimento La comunicazione (App 17.7)La chiesa e i media (App 17.8)

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IL DIALOGO CON GLI EBREI

COMPITO DI APPRENDIMENTO UNITARIO IN SITUAZIONE (B2)

Il dialogo interrotto

Il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha deciso «una pausa di riflessione» nei rapporti con le autorità cattoliche. Il dissenso nasce dalla nuova preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo secondo il rito antico, formulazione introdotta nel Messale il 6 febbraio 2007 da Benedetto XVI. Si invita a pregare per gli ebrei «affinché Dio e Signore nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini». E poi si pronuncia questa orazione: «Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi nella tua bontà che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore. Amen». A giudizio di alcuni ebrei è intollerabile che i cattolici preghino per la conversione di Israele alla fede in Gesù Cristo. Ancora più inquietante è la riproposizione di una preghiera che evoca fantasmi del passato non ancora dissolti, dominati da ostilità, incomprensioni e violenze contro gli ebrei. In un clima surriscaldato il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, sottolinea in una lettera il «fermo impegno della Chiesa cattolica, in particolare sulla scia del Concilio Vaticano II, nel promuovere e sviluppare relazioni con gli ebrei attraverso un dialogo caratterizzato da profondo rispetto, stima sincera e cordiale amicizia». Anche quando si trattano tematiche controverse che scatenano polemiche nell’opinione pubblica, non viene meno l’equilibrio e la reciproca stima e si mantiene un’atmosfera di collaborazione amichevole. È possibile a questo punto un autentico dialogo con gli ebrei? Come?Predisporre un articolo di commento da inserire nel giornalino (telematico) della scuola.

La storia del popolo ebreo è caratterizzata da due eventi terribilmente antitetici: il privilegio di essere “popolo eletto” con il quale Dio ha stabilito un’alleanza, caratterizzata dall’esodo e dalla terra promessa e il dramma storico della diaspora e delle persecuzioni che subì lungo i secoli fino all’orrore dei campi di sterminio nazisti. Oggi non si può parlare di dialogo con gli ebrei senza “fare memoria” della tragedia della shoah (distruzione) del popolo ebraico durante il nazismo: “ Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case,/ Voi che trovate tornando a sera/ Il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo/ Che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per un pezzo di pane/ Che muore per un sì o per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d'inverno./ Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/ Stando in casa andando per via, / Coricandovi alzandovi;/ Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi (Primo Levi, Se questo è un uomo). L’Olocausto/Shoah si riferisce alla persecuzione e all’annientamento sistematico degli ebrei europei da parte dei nazisti e dei loro collaboratori tra il 1933 e il 1945. Gli ebrei furono le vittime principali (sei milioni), ma furono pure uccisi zingari, handicappati, polacchi, omosessuali, Testimoni di Geova, prigionieri di guerra sovietici e dissidenti politici. Rispetto ai milioni di vittime della shoah solo gli ebrei furono sterminati per la semplice ragione di essere nati (“nel sangue dell’ebreo c’è il gene di una razza inferiore e maledetta!”). La shoah non fu un fenomeno riducibile alle ossessioni paranoiche di Hitler, ma collaborarono con lui i capi Nazisti (Eichmann, Speer, Goebbels, Borman, Hoess, Stangl etc), migliaia di poliziotti, di burocrati e di funzionari che non solo non si opposero, ma evitarono persino di porsi il problema. La shoah non sarebbe stata possibile senza il tacito consenso di molti commercianti, insofferenti della concorrenza dei commercianti ebrei, degli artigiani, schiacciati dalla crisi economica, dei modesti impiegati, dei disoccupati, dei funzionari dei vari governi “fantoccio” e di tanti tedeschi, polacchi, francesi

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comuni, fascisti italiani. Fu inoltre bandita colpevolmente l’idea che il male e la complicità si manifestano non solo nelle azioni criminose, ma anche attraverso l’inerzia e l’omissione. Molti distolsero lo sguardo agendo nella falsa illusione che non scegliendo avrebbero potuto rimanere indenni, altri tacitarono la propria coscienza, arrendendosi alla logica del male minore, altri si piegarono alle necessità materiali della vita quotidiana e ai pericoli imposti dalla guerra. La strada per Auschwitz fu senza dubbio cementata dall’odio e lastricata dall’indifferenza di troppi uomini: “Non è nemico solo chi ti uccide, ma anche chi è indifferente alla tua sorte”. Molti furono anche i cristiani che rimasero indifferenti, ma non mancarono quelli che si prodigarono e rischiarono la vita per salvarli, compreso il papa Pio XII (ne furono salvati tra i 700.000 e gli 850.000). Tuttavia pur tra reticenze e silenzi è grave e ingiusta l’accusa verso la Chiesa di aver appoggiato il regime nazista e la sistematica distruzione degli ebrei. Coscienti delle molteplici responsabilità, è maturata nella coscienza collettiva nazionale l’esigenza morale di non dimenticare. L’istituzione della Giornata della memoria del 27 gennaio ne è il segno più significativo. Per dialogare efficacemente con gli ebrei la chiesa ha incominciato a riconoscere le sue responsabilità. Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000 chiese perdono per “i peccati commessi nell’ambito dei rapporti con il popolo della prima Alleanza, Israele: disprezzo, atti di ostilità, silenzi”. Visitando il mausoleo di Yad Vashem, rassicurò il popolo ebreo che “la chiesa cattolica, spinta dalla legge evangelica della verità e dell’amore e non da considerazioni politiche, è profondamente attristata per l’odio, gli atti di persecuzione e le manifestazioni di antisemitismo, diretti contro gli ebrei dai cristiani in ogni tempo e in ogni luogo”. E poco dopo, davanti al muro delle lamentazioni, egli depose un messaggio in cui chiedeva perdono a Dio per le sofferenze inflitte nel corso della storia al popolo dell’Alleanza, impegnandosi a vivere in autentica fraternità con esso.Questi passi decisivi furono il risultato di una cammino lento e progressivo. La discriminazione generalizzata nei confronti degli ebrei, sfociata in ghettizzazioni, espulsioni o in tentativi di conversioni forzate che determinò l’antigiudaismo, ebbe origine dalla colpa attribuita al popolo ebraico di aver rifiutato e crocifisso Gesù e dalla conseguente accusa di deicidio. Con il Concilio Vaticano II ci fu un radicale cambiamento. Nella famosa visita alla Sinagoga di Roma del 1986 Giovani Paolo II sintetizzò in tre punti il contenuto del paragrafo 4 della dichiarazione Nostra Ætate riservata al popolo ebraico:

1. «la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l’Ebraismo “scrutando il suo proprio mistero”. La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori».

2. «agli ebrei, come popolo, non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettiva, per ciò “che è stato fatto nella passione di Gesù”. Non indistintamente agli ebrei di quel tempo, non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. È quindi inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica di misure discriminatorie o, peggio ancora, persecutorie. Il Signore giudicherà ciascuno “secondo le proprie opere”, gli ebrei come i cristiani (cf. Rm 2,6)».

3. «non è lecito dire, nonostante la coscienza che la Chiesa ha della propria identità, che gli ebrei sono “reprobi o maledetti”, come se ciò fosse insegnato, o potesse venire dedotto dalle Sacre Scritture, dell’Antico come del Nuovo Testamento. Anzi, aveva detto prima il Concilio, in questo stesso brano della Nostra Aetate, ma anche nella costituzione dogmatica Lumen gentium (Lumen gentium, 16), citando san Paolo nella lettera ai Romani (Rm 11,28-29), che gli ebrei “rimangono carissimi a Dio”, che li ha chiamati con una “vocazione irrevocabile”».

La Chiesa, riconoscendo di avere con Israele un legame speciale, non solo abolisce definitivamente ogni forma discriminazione, ma apre un dialogo profondo e fraterno. L’incontro simpatetico con il mondo ebraico fornisce poi al cristiano di oggi un mezzo preziosissimo per comprendere meglio

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l’identità di Gesù. Non essendo il cristianesimo soprattutto una dottrina, ma una persona, essa appartiene necessariamente ad un popolo e a una cultura. La conoscenza del popolo e della cultura di Gesù viene dunque a prendere un significato unico. La riflessione su antigiudaismo e antisemitismo assume perciò un significato che travalica quello di una doverosa purificazione della memoria: viene a “liberare” un settore della riflessione storico-teologica su Gesù che si trovava come congelato e bloccato in una pania residuale di pregiudizi infondati. La ricerca sull'ebraicità di Gesù poi, se non vuole arenarsi in erudizioni astratte, deve prendere atto che le verità vive che riguardano l'uomo devono essere cercate prima nei cuori di uomini viventi e quindi in una tradizione vivente di cui è sempre portatrice una comunità. L'ebraismo non vive nei suoi monumenti di pietra o letterari e nelle ricostruzioni raffinate degli eruditi, ma nella tradizione di un popolo che è ancora – provvidenzialmente – presente. Il “popolo testimone” dunque è importante non come muto e ignaro “bibliotecario” dei sacri testi, ma come portatore nella sua stessa tradizione e quindi nella sua stessa vita, di quell'identità ebraica che per i cristiani è assolutamente essenziale.

Il dialogo ecumenico tra cristiani

COMPITO DI APPRENDIMENTO UNITARIO IN SITUAZIONE (B3)

Rissa al Santo Sepolcro

I monaci di sei confessioni cristiane (greco-ortodossa, cattolica con i francescani, armeno-ortodossa, copta, siriana ed etiope) convivono con tensioni continue nel luogo dove secondo la tradizione si trova la tomba di Gesù. A Gerusalemme il passato non passa mai e le contese sono frequenti. Grande eco mediatico ha suscitato la violenta rissa tra i monaci armeni e i greco-ortodossi nel novembre 2008.«Lo "scandalo", sì. Ma ancor di più la "pena"…È per così dire doppiamente scandaloso. Perché c’è la contesa invece dell’unità, e perché l’istinto e la scelta della contesa non rispettano nemmeno il luogo del più alto "sacrificio" di Gesù. Lo scandalo è forte, come di una scena indecente. Della più grave indecenza. E cosa importa sapere se qualcuno aveva ragione. Che ragione è quella che porta ad "accapigliarsi" davanti al luogo dove Gesù ha patito la morte? Dei cristiani hanno dato questo scandalo, e i "media" hanno tolto ogni riparo possibile…Chi conosce quei "luoghi santi" – e non solo quelli cari alla cristianità – sa che possono crearsi certe situazioni di tensione, di "scomodità", di confusione. Ma il motivo per cui ci si reca in quei luoghi suggerisce il supplemento di "pazienza" necessaria. E dove anche verrebbe da reagire "sopra le righe", il rispetto e la coscienza del gesto che si sta compiendo frenano, correggono. Ma oltre allo scandalo resta la pena. Di vedere la cosa peggiore per un cristiano: Gesù ridotto a "monumento". Sì, di questo si è trattato. Perché se si arriva a litigare davanti al Suo "Sepolcro", è perché si considera quel posto come uno dei tanti monumenti. Importante, sì, ma un monumento. E non segno della Sua "Presenza" viva. È come se invece che trovarsi di fronte a un Cristo "vivo" si fossero trovati dinanzi a un Cristo "morto".A un "museo" cristiano. A un Cristo "pietrificato". E allora si poteva litigare…» ("Scazzottarsi" alla Sua "Presenza". Una "pena" che rompe il cuore - Davide Rondoni - "Avvenire", 11/11/’08).Quali sono i problemi che impediscono ai cristiani di costruire l’unità? Quali tentativi vengono fatti? Predisporre un articolo che spieghi i motivi della divisione tra i cristiani e i tentativi di unità da pubblicare sul giornalino (telematico) dell’istituto.

Il ristabilimento dell’unità tra tutti i cristiani è uno tra i principali intenti della Chiesa a partire dal Concilio Vaticano II. Il documento sull’ecumenismo ne traccia le linee fondamentali: “Da Cristo Signore la Chiesa infatti è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tale divisione contraddice apertamente

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alla volontà di Cristo, ed è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura” (Unitatis redintegratio, 1). Lo scandalo della divisione si è perpetuato nella storia anteponendo frequentemente interessi personali e compiendo scelte dettate dal rancore piuttosto che dalla volontà di confronto e di riconciliazione. Il dialogo diventa possibile solo quando si riconoscono i propri errori e si ha il coraggio di chiedere con umiltà e di offrire con generosità il perdono. La buona volontà non basta, servono scelte coraggiose.Pur affermando che “l’unica Chiesa sussiste nella Chiesa cattolica” (Lumen gentium, 8) viene precisato che “questa affermazione è da ritenersi conclusiva ma non esclusiva, in quanto elementi essenziali della comunione ecclesiale (Parola di Dio, giustificazione nel battesimo mediante la fede, vita della grazia, fede in Cristo e nella Trinità, speranza e carità) si trovano anche al di fuori dei confini visibili dalla Chiesa Cattolica” (Unitatis redintegratio, 3).La Chiesa cattolica dopo il Concilio istituì il Segretariato per l’unità dei cristiani (oggi Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani) con il compito di favorire il dialogo tra le diverse confessioni cristiani e di promuovere commissioni teologiche miste e bilaterali con le maggiori comunità cristiane. I primi risultati si ebbero nella disponibilità a un dialogo sincero e leale, ben espresso nel riconoscimento di “fratelli e sorelle” ai membri delle altre Chiese e di “Chiese sorelle” alle comunità ortodosse; vennero eliminatele rispettive scomuniche e per la prima volta dopo parecchi secoli,fu riconosciuto al romano Pontefice una supremazia d'autorità su tutti i vescovi dell'ecumene: è il primo Patriarca (nella visione ortodossa è sì primo, ma “tra pari”, Documento di Ravenna, 2007). La ricerca di unità ha avuto uno sviluppo parallelo con la nascita a Ginevra nel 1984 del Consiglio ecumenico delle Chiese, cui aderirono molte chiese protestanti e ortodosse. Oggi, su l'insieme dei 120 Consigli di Chiesa esistenti, La Chiesa cattolica è membro di 70 di essi, e partecipa con osservatori qualificati al Consiglio regionale di diverse Chiese. Il cammino ecumenico di riavvicinamento e di dialogo tra le confessioni cristiane continua non senza fatica. I cattolici hanno un atteggiamento positivo nei confronti del compito ecumenico. Desiderano conoscere di più le altre Chiese e Comunioni cristiane, e mostrano in generale la volontà di prendere parte ad eventi ecumenici ed incontri, specialmente per quanto riguarda la preghiera insieme per l'unità. L'ecumenismo spirituale - conversione della mente e del cuore a Cristo, preghiera insieme per l'unità - sta coagulando attorno a sé un'attenzione sempre maggiore. Esiste inoltre una diffusa condivisione dei luoghi di culto. Nel contempo permangono però parecchie difficoltà sia a livello teologico che pastorale. Persistenti atteggiamenti sono improntati a reciproca paura, sospetto e diffidenza. Altri cristiani nutrono il timore di essere assorbiti dalla Comunità cattolica più forte di loro, e viceversa i cattolici guardano con diffidenza a certi gruppi, che usano i mezzi di comunicazione e pubbliche campagne di opinione, per criticare le dottrine cattoliche o insistere su situazioni negative o scandalose per attaccare la Chiesa. Sebbene molto sia stato realizzato in termini di purificazione delle memorie storiche, alcune Chiese locali affermano che il ricordo di eventi del passato, siano essi remoti o più recenti, impediscono ancora o ostacolano le relazioni ecumeniche1. C’è molta strada da percorrere e numerosi ostacoli da superare, ma per chi crede la fiducia e la speranza, nonostante l’unità sia ancora una meta molto lontana, non può venire meno. Il cammino ecumenico si muove ora in una direzione più certa: dialogare non solo per individuare un massimo comune denominatore (ciò nasce da indifferenza confessionale e relativismo), ma per scoprire un’identità cattolica aperta e condivisa.

La libertà religiosa

COMPITO DI APPRENDIMENTO UNITARIO IN SITUAZIONE (B4)

Due posizioni controverse e contrastanti: Il velo e il crocifisso

1 Cfr. Presentazione di S.E. Mons. Brian Farrell, L'ecumenismo oggi: la situazione nella Chiesa cattolica. Esiti di un'inchiesta promossa dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, 2004.

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Come è possibile conciliare i principi della laicità dello stato e della libertà religiosa?Predisporre un articolo di commento da inserire nel giornalino (telematico) della scuola.

In Francia dal 2004 per legge «È vietato nelle scuole primarie e secondarie indossare simboli o indumenti che ostentino l'appartenenza religiosa». Qualsiasi segno religioso o politico «ostensibile» (velo islamico, kippah ebraica, croce cristiana) è proibito.

In Italia la Sentenza del Consiglio di Stato (13 febbraio 2006, n. 556) stabilisce: «Il crocifisso resta nelle aule scolastiche in quanto simbolo idoneo ad esprimere i valori civili che delineano la laicità nell’ordinamento dello Stato».

La libertà religiosa è il diritto delle persone e delle comunità a poter ricercare la verità su Dio e professare liberamente la loro fede, che deve essere garantita sia in privato che in pubblico, nel rispetto della propria coscienza e delle legittime esigenze dell'ordine pubblico, senza pressione psicologica, né coercizione fisica. Essa deriva dalla singolare dignità dell'uomo che, fra tutte le creature di questa terra, è l'unica in grado di stabilire una relazione libera e consapevole con il suo Creatore. “A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, dotate di ragione e di libera volontà sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione” (Dignitatis humanae, 2). La libertà religiosa pertanto non può essere ridotta al diritto di accedere senza impedimenti al supermarket delle religioni; significherebbe che tutte le religioni sono uguali. La verità su Dio è invece una realtà oggettiva che trascende le conoscenze umane e che esige una ricerca seria in cui la volontà sia esente da costrizioni e la ragione priva di pregiudizi.Il diritto alla libertà religiosa è stato riconosciuto dalle nazioni democratiche dopo un lungo cammino di confronto e di dialogo. Nella prima metà del secolo XX l’idea di libertà religiosa aveva connotazioni diverse per lo stato e per la chiesa cattolica. Per lo stato era motivata da concezioni liberali, orientate soprattutto a proteggere l’interesse privato dell’individuo nei confronti dello Stato, che a sua volta si dichiarava “neutrale” o “aconfessionale”. Per la chiesa poggiava sul principio della libertà della fede e sulla legittimità di annunciare il vangelo da parte della chiesa. Nella seconda metà del secolo XX, la dottrina giuridica laica e il magistero della chiesa cattolica - soprattutto nei due notissimi documenti di grande portata storica, uno civile (Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) e l’altro ecclesiastico (Concilio Vaticano II, Dignitatis humanæ) – collocarono la “libertà religiosa” in un medesimo concetto basilare: la “dignità della persona umana”, fondamento di tutti i “diritti universali della persona”.

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

Art. 18: Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Art. 7: Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Art. 8: Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.

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I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

REVISIONE DEL CONCORDATO

(L. 25 marzo 1985, n. 121 ovvero la "Ratifica ed esecuzione dell'Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede )Art. 1: La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese. (Modifica l’Art. 1 del Concordato: “L'Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell'art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato).

La libertà religiosa è purtroppo ben lontana dall'essere ovunque effettivamente assicurata: in alcuni casi essa è negata per motivi religiosi o ideologici; altre volte, pur riconosciuta sulla carta, viene ostacolata nei fatti dal potere politico oppure, in maniera più subdola, dal predominio culturale dell'agnosticismo e del relativismo. L’insufficiente tutela della libertà religiosa è dovuta in gran parte al fatto che tutti sono d’accordo nel rispettare il sentimento religioso degli individui, ma non tutti riconoscono esplicitamente la dimensione “sociale” delle religioni. Ridurre il “fatto religioso” alla sola dimensione personale e non riconoscere invece il suo valore sociale solleva alcune questioni di fondo.

1. Si può ancora sostenere, come nel 1948 e nel 1965, il carattere universale del concetto di persona umana e, pertanto, dei diritti - come quello della libertà religiosa - che derivano dalla medesima dignità della persona? La “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” - non legge internazionale, ma ideale comune per la cui realizzazione tutti i popoli e le nazioni devono sforzarsi - viene progressivamente svuotata di autorità morale e di forza vincolante a causa della crescente diffusione del pensiero individualistico-libertario. La libertà, disgiunta dalla verità, non riconosce alcun limite etico obiettivo alla condotta personale e sociale e, in ultima analisi, nemmeno ammette l’esistenza di valori universali moralmente e giuridicamente vincolanti, tra i quali il retto concetto di “libertà religiosa” e il giusto esercizio di questo diritto. In questi diritti inalienabili - tra cui il diritto alla libertà religiosa -, espressioni della coscienza e della cultura giuridica dell’umanità, faticosamente elaborati e comunemente riconosciuti dalle diverse culture umane, si riflettono invece le esigenze obiettive e i valori imprescindibili di una legge morale universale, che non ammette frontiere geografiche o condizionamenti riduttivi di ordine culturale, politico o ideologico. “Questi diritti ci ricordano anche - ha detto Giovanni Paolo II parlando nel 1995 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite - che non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo (…) La legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo, è quella sorta di «grammatica» che serve al mondo per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro (…) Sotto tale profilo, è motivo di seria preoccupazione il fatto che oggi alcuni neghino l’universalità dei diritti umani, così come negano che vi sia una natura umana condivisa da tutti”. Nel dire questo non sfuggiva a Giovanni Paolo II che culture differenti ed esperienze storiche particolari danno origine a forme istituzionali e giuridiche diverse, ma aggiunse: “una cosa è affermare un legittimo pluralismo di «forme di libertà», ed altra cosa è negare qualsiasi universalità o intelligibilità alla natura dell’uomo o all’esperienza umana”. Viene pertanto denunciato il rischio di oscurare in taluni settori il carattere univoco e universale della natura e dignità della persona umana e dei suoi conseguenti diritti inviolabili, la legittimità morale del Diritto e la necessaria retta tutela della libertà religiosa.

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2. Che esigenze univoche di giustizia dovrebbero esserci oggi negli ordinamenti statali perché sia reale la tutela di questo diritto, senza il quale non è possibile un vero dialogo tra le culture e tra le civiltà?La libertà religiosa, riconosciuta come diritto fondamentale in quasi tutte le Costituzioni nazionali, non trova però adeguata attuazione in parecchie di esse. A prescindere dal caso estremo delle nazioni in cui l’adozione civile della legge coranica - la “sharia” - porta all’abuso totalitario di negare la libertà di coscienza ai propri cittadini e in alcune nazioni, come in Arabia Saudita, addirittura a negare la libertà di professare pubblicamente la propria religione non islamica ai cittadini stranieri residenti nel paese, la limitazione della libertà religiosa è anche evidente - quantunque in forma più sottile - in alcuni altri Stati totalitari di segno opposto: quelli che dinnanzi alla questione religiosa adottano una ideologia ufficiale di secolarismo ateo o antireligioso o di “totalitarismo laicista”. Basta pensare a coloro che considerano, con Marx, che la religione è “l’oppio del popolo” e, pertanto, deve essere repressa: più che con la violenza - metodo che genera “martiri” ed è controproducente - con misure restrittive che tendono alla pacifica estinzione delle istituzioni religiose. Nella Repubblica Popolare Cinese per esempio l’enunciazione nell’Art. 36 della Costituzione del 1982 di una libertà religiosa condizionata, porta a tre concrete limitazioni: l’impossibilità di un’Autorità religiosa sopranazionale con potestà di controllo; la proibizione dell’evangelizzazione e della catechesi fuori dei luoghi di culto; l’impossibilità dell’insegnamento religioso nei centri educativi di qualsiasi livello o in mezzi di comunicazione sociale. Tuttavia bisogna riconoscere che anche nei sistemi giuridici di paesi democratici sorgono problemi di insufficiente tutela della libertà religiosa. Ciò avviene soprattutto quando le espressioni “neutralità dello Stato” o “laicità dello Stato” sono interpretate o applicate in maniera discutibile. Quando la libertà religiosa viene concepita come una concessione dello Stato al cittadino e non come un’esigenza della dignità stessa della persona umana, il concetto di “laicità” si converte di fatto in “laicismo” e assume un atteggiamento di disprezzo delle credenze religiose, considerate freno al progresso sociale o allo sviluppo culturale. Lo Stato teoricamente “aconfessionale” diviene di fatto Stato “anticonfessionale”. Il principio della laicità, invece, “legittimo in sé stesso, se inteso come distinzione tra la comunità politica e le religioni” (cfr. Gaudium et spes, n. 76) comporta “il rispetto di tutte le credenze da parte dello Stato, che assicura il libero esercizio delle attività di culto, spirituali, culturali e caritative delle comunità dei credenti” (Giovanni Paolo II).

LIBERTÀ RELIGIOSA: PROPOSTE DELLA CHIESA CATTOLICA

1. Piano personale:- la libertà di aderire o meno alla fede cattolica e di diffonderla tra coloro che non la conoscono;- la libertà di compiere, individualmente o collettivamente, in privato o in pubblico, atti di culto, così

come di disporre dei necessari templi ed altri luoghi sacri;- la libertà dei genitori di educare i figli secondo le convinzioni religiose che ispirano le proprie vite,

così come la possibilità di farle frequentare le scuole ed altri mezzi di formazione — catechesi, ecc. — che li assicurino la desiderata educazione religiosa;

- la libertà dei credenti di godere di assistenza religiosa dovunque si trovino, in particolare nei luoghi di assistenza medica (ospedali e cliniche), ed in altre istituzioni officiali (caserme, carceri, ecc.);

- la libertà di non essere obbligati a compiere atti contrari alla propria fede, così come quella di non soffrire a causa della fede religiosa limitazioni di diritti o discriminazioni nei diversi aspetti della vita (studio, lavoro, carriera professionale, partecipazione in responsabilità civiche o sociali, ecc.).

- la libertà di poter scegliere il proprio stato, anche quello sacerdotale e religioso; il diritto al matrimonio e al conseguimento dei suoi fini.

2. Piano comunitario:- la libertà, per la Chiesa come tale e per le altre legittime confessioni religiose che ne abbiano

bisogno, di tenere una propria gerarchia interna , a livello anche internazionale e universale, così come i relativi ministri liberamente eletti per questa stessa gerarchia, secondo le proprie norme

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costituzionali;- la libertà dei Vescovi - nel caso della Chiesa Cattolica - e di altri superiori ecclesiastici ci esercitare

liberamente il proprio ministero in tutte le loro varie dimensioni istituzionali, e di comunicare con la Santa Sede, tra di loro e con i propri fedeli;

- la libertà di tenere centri di formazione religiosa e di studi ecclesiastici, nei quali possano essere liberamente accolti e formati i candidati al sacerdozio o ad altri ministeri;

- la libertà di ricevere e pubblicare libri a carattere religioso, teologico, liturgico, ascetico, ecc. e di usarli secondo le proprie necessità;

- la libertà de annunciare e comunicare l’insegnamento della fede e della morale cattoliche, anche in materia sociale, dentro e fuori dei luoghi di culto: con la predicazione e anche con l’uso dei mezzi di comunicazione sociale (stampa, radio, televisione, ecc.);

- la libertà di realizzare attività educative, di beneficenza e di assistenza, che permettano di mettere in pratica - anche in modo istituzionale - i precetti religiosi e la carità cristiana, specialmente con i fratelli più bisognosi.

3. Come armonizzare l’adempimento legale di tali esigenze con la prevenzione di possibili abusi e nel rispetto delle tradizioni culturali di ogni nazione?L’Art. 18 del “Patto internazionale sui diritti civili e politici”, del 19 dicembre 1966, applicato successivamente nelle legislazioni di molti paesi, prevede che l’esercizio del diritto alla libertà religiosa possa essere limitato per tutelare la sicurezza, l’ordine, la sanità pubblica, la morale pubblica, gli altrui diritti e le libertà fondamentali. Non vi è dubbio - sempre che i termini “sicurezza”, “ordine” e “sanità pubblica” siano rettamente intesi - sulla legittimità morale e giuridica di queste limitazioni al diritto della libertà religiosa. Ciò nonostante, la giustizia esige al contempo la necessaria attenzione e vigilanza, per evitare gli abusi di senso contrario, a cui potrebbero dar luogo condizionamenti di ordine ideologico-totalitario. Il riferimento va al totalitarismo religioso (Stato confessionale fondamentalista, che discrimina le religioni diverse da quella ufficiale) come al totalitarismo politico (marxista, razzista o laicista). Fu già significativo nel 1948 che la Dichiarazione Universale sui Diritti Umani risultasse approvata nell’Assemblea Generale dell’ONU per 48 voti a favorevoli, con l’astensione di otto Nazioni; e queste Nazioni erano: le sei del blocco sovietico (totalitarismo marxista), l’Arabia Saudita (totalitarismo islamico) e il Sudafrica, allora nel regime di “apartheid” (totalitarismo razzista). Oggi c’è la tendenza al totalitarismo ideologico anche nei paesi democratici. Il pericolo del totalitarismo laicista, coperto da un’apparente “neutralità” e “aconfessionalità”, si sta insinuando più o meno coscientemente nelle condotte di quelle Autorità civili, che confondono la giusta laicità dello Stato con il laicismo o l’agnosticismo militante, emanando leggi o perfino atti amministrativi lesivi della libertà religiosa. Basta che si neghi, ad esempio, la legittimità del Magistero ecclesiastico sui diritti fondamentali della persona - compreso il diritto alla vita della concezione alla morte naturale - sulle caratteristiche essenziali del matrimonio, sulla necessaria tutela giuridica della famiglia come istituzione naturale, ecc. In questo senso, ammoniva già nel 1991 l’Enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”.Non sarebbe, invece, abuso da parte dello Stato attribuire una speciale posizione giuridica alla religione più profondamente radicata nel paese, cristiana, musulmana o altra, sempre che simultaneamente sia riconosciuto e tutelato il diritto alla libertà di coscienza e di religione di tutti i cittadini. Assicurato questo principio di “uguaglianza”, non viene tradito il principio della laicità dello stato per ragioni di giustizia sociale. È legittimo infatti tutelare con speciale considerazione nelle sue leggi e regolamenti, i valori religiosi che sono professati dalla maggioranza dei cittadini e che appartengono al patrimonio storico, artistico e culturale della nazione.

Il velo musulmano Il crocifisso nei luoghi pubblici

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«Il velo è un obbligo divino per la donna musulmana. Se essa non lo applica, Dio la giudicherà per questa mancanza. Nessun musulmano, che sia governante o governato, ha il diritto di contravvenire a quest'obbligo. Ma quest'obbligo è valido se la donna musulmana vive in uno Stato musulmano. Ma se essa si trova in uno Stato non-musulmano (come la Francia per esempio) e che i loro responsabili vogliono adottare delle leggi che si oppongono al velo, è il loro diritto e non posso oppormi a loro. Quando la donna musulmana si conforma alle leggi di uno Stato non musulmano, essa è, dal punto di vista della shari'ah islamica, nella condizione di chi è obbligato (fî hukm al-mudtarr), e non porta dunque il peso (wizr) di questa situazione. Ciò è confermato dal versetto 173 del capitolo 2, detto della Vacca (al-Baqarah), che è un testo tardivo e dunque non abrogato da altri testi: “In verità vi sono state vietate le bestie morte, il sangue, la carne di porco e quello su cui sia stato invocato altro nome che quello di Allah. E chi vi sarà costretto, senza desiderio o intenzione, non farà peccato. Allah è perdonatore, misericordioso". La donna musulmana costretta dalla legge umana non può dunque temere il castigo divino…Non permetterei a un non-musulmano d'intervenire negli affari dei musulmani; allo stesso modo non mi permetterei di intervenire negli affari dei non-musulmani» (Sceikh Muhammad Sayyid Tantawi, la massima autorità dell'islam sunnita).

«Non possiamo oggi esimerci dal manifestare la nostra contrarietà ad una proposta che intende ridurre il simbolo religioso cristiano per eccellenza ad un mero “simbolo della civiltà e della cultura” dell’Italia e dell’Europa. La croce, lo ricorda San Paolo, è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i gentili” (1 Cor 1,23), ma è simbolo di salvezza per tutti i credenti che la venerano nei luoghi di culto riconoscendo in essa la manifestazione dell’amore divino. Volerla presentare nei termini di “simbolo culturale” del continente europeo, significa riesumare la logica di quell’antica e tragica commistione tra potere e croce che ha segnato il periodo del colonialismo europeo ai danni degli altri popoli. Un’alleanza dalla quale, grazie al Concilio Vaticano II, abbiamo preso decisamente le distanze: la croce, lo ribadiamo, è un simbolo religioso che interpella tutte le coscienze in tutti i tempi e la si abbraccia nella fede liberamente scelta… Ci sembrano, perciò, particolarmente deplorevoli quelle motivazioni che intendono evidenziare la funzione di “baluardo” della croce nei confronti di altre religioni e di “difesa” dell’identità cattolica del nostro paese. Si tratta chiaramente di un uso strumentale del simbolo religioso con motivazioni che contrastano con i principi della Costituzione italiana (Art. 3) e con il magistero del Concilio confluito nel documento sulla libertà religiosa il quale chiede che “ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica” affinché “si instaurino e consolidino relazioni di concordia e di pace” (Dignitatis Humanae 15d)» (Centro Saveriano di Animazione Missionaria di Brescia).

DISCUTIAMO INSIEMEMusulmano salva ragazzi ebrei

Hassan Askari e Walter Adler, il primo islamico, ebreo il secondo, si abbracciano contenti. Il 20enne Askari ha sfidato gli inossidabili cliché sui musulmani, rischiando di essere linciato per soccorrere quello che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto essere il suo arcinemico. L'incidente è avvenuto sulla linea Q della metropolitana di New York, quando Adler e la fidanzata Maria Parsheva, entrambi 23enni, stavano tornando a Brooklyn insieme a due amici, ebrei come loro, dopo aver celebrato Hannukkah, la Festa delle Luci ebraica che dura otto giorni. Un chiassoso gruppo di otto uomini e due donne seduti nella stessa carrozza si è messo ad urlare a squarciagola «Buon Natale», i quattro amici hanno risposto sorridendo «Happy Hannukkah». «L'hanno fatto in maniera cordiale », ha spiegato più tardi Askari, «per questo sono rimasto esterrefatto dalla loro reazione». «Gli ebrei hanno ammazzato Cristo proprio ad Hannukkah», ha replicato in coro la combriccola. Due di loro si sono tirati su la maglietta per mostrare l'enorme Gesù tatuato sul dorso. Sono volati pugni, calci e gli insulti «sporchi ebrei» e «puttane giudee». «Uno ha persino tirato fuori il coltello minacciando di ucciderci», dice la Parsheva. È a questo punto che Askari ha deciso di

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intervenire, consentendo ad Adler di sottrarsi alla mischia per azionare il freno d'emergenza e dare l'allarme. Quando il treno è arrivato alla fermata successiva, la polizia ha fatto irruzione nella carrozza arrestando gli aggressori. «Mi sono chiesto perché nessun altro abbia alzato un dito», spiega adesso Adler, «Hassan è un eroe». «Mi sono limitato a fare ciò che mi ordinava la mia coscienza», minimizza il ragazzo musulmano, che non avendo assicurazione non si è neppure potuto far medicare al Pronto Soccorso, «i miei genitori mi hanno allevato così» (Musulmano salva ragazzi ebrei. New York trova l'eroe di Natale - Alessandra Farkas - Corriere della Sera 13/12/ 2007).

Perché accadono fatti come questi?Quando la “coscienza” è in grado di sgretolare le barriere culturali e religiose che separano le persone?Come avresti agito tu al posto di Hassan?