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La vignetta di Roberta Crocifisso e... rimozioni! “Hanno tolto il crocifisso dal pronto soccorso del Gradenigo”, denuncia una lettera a Specchio dei Tempi insieme a tante altre lagnanze per i peg- gioramenti apportati dalla ristrutturazione. Anche da un ospedale, luogo di sofferenza, l’uomo della croce, icona della sofferenza, viene sfrattato. È già successo. Il crocifisso è stato tolto da tanti luoghi pubblici per non offendere i non credenti o i credenti di altre religioni, sempre più nume- rosi. Notizie così scatenano reazioni contrapposte, più viscerali che raziona- li. La croce, come il Natale, sono ridotti a stendardi, offensivi per alcu- ni, da brandire in difesa per altri. Dio, che si è fatto uomo come noi nel Natale e che è morto nella soffe- renza umana sulla Croce, sono i simboli della nostra identità cristiana. Dobbiamo salvaguardarli nella loro essenza. Noi, per primi, non dob- biamo snaturarli. Nessuno obbietta se di questo benedetto Natale, da qualche mese tra- scorso, si sono appropriati proprio tutti e se la settimana che lo precede è tutta una corsa fra acquisti, feste, recite, saggi di qualunque corso sportivo o musicale frequentato dai nostri bambini. Tanto che il conte- sto in cui avrebbe senso prepararsi all’atteso evento, cioè l’ambito reli- gioso, non trova più posto. Dalla novena al triduo; ma è ancora troppo. Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale. Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i simbo- li della nostra fede cristiana. Anzi, se noi per primi li abbiamo capiti, ci spingono a fare un passo avanti: riconoscere e rispettare anche i simboli religiosi degli altri. Non togliere, caso mai aggiungere. La “nuova cro- ciata” è quella della pace, a cui tutti siamo chiamati. Proprio tutti, anche quelli a cui non piace. Come ci ricorda continuamente papa Francesco, con parole e con gesti concreti Piera Amore Si chiamano Fiona e Cristiano, sono due studenti arrivati dalla Cina e vi- vono a Torino da qualche anno. Qui hanno incontrato don Giuseppe Chen, che è stato parte della comunità di Santa Monica fino al giugno scorso (e che sarà di nuovo con noi per un mese proprio in occasione del loro Battesi- mo). E qui, grazie a don Giuseppe e ad altri che li hanno accompagnati passo dopo passo, hanno deciso di di- ventare cristiani. Saranno battezzati dal Vescovo la notte di Pasqua in Cat- tedrale, ma avremo modo di incon- trarli nelle domeniche immediata- mente precedenti perché qui a Santa Monica celebreranno (insieme ad altri due ragazzi di origine africana prove- nienti dal Patrocinio) gli ultimi passi prima del Battesimo. La storia di questi ultimi anni di Fiona e Cristiano e il loro Battesimo sono un’occasione speciale per tutti noi (cristiani da tempo) di leggere la Pasqua in un modo vero e diverso dal solito, simo e farlo fruttare ogni giorno. È un bell’impegno, di quelli che tengono svegli e che fanno pensare, ma è an- che il modo più vero e profondo per far sì che ci sentiamo davvero figli di Dio e parte della Chiesa. Fiona e Cristiano arrivano da una ter- ra lontana, affascinante e complessa in cui i cristiani sono una minoranza reale e spesso ancora perseguitati; non sono degli eroi né dei personaggi speciali, sono persone belle e ricche di qualità come tante altre. Persone che hanno scelto Gesù Cristo e che hanno accettato di farsi aiutare nella loro scelta, confidando in quel Signo- re Gesù che ha sconfitto la morte. È questo dunque l’augurio più grande che facciamo a Fiona e Cristiano: che il loro Battesimo sia rinnovato ogni giorno nel nome di Cristo risorto. Ed è anche l’augurio che ci facciamo reci- procamente in questa Pasqua che ci apprestiamo a celebrare. don Daniele Grazia del Battesimo c’è nella nostra vita e diventa manifesta tutte le volte che scegliamo di vivere e di agire co- me cristiani nella vita quotidiana. Ogni volta che regoliamo i nostri rap- porti con gli altri, in famiglia, al lavo- ro, a scuola, sulla scia del Vangelo di Gesù. Ogni volta che non ci lasciamo prendere dalla corrente ma che ci la- sciamo guidare, oltre che dal “buon senso”, dalla Parola di Dio. La Pasqua che stiamo per celebrare ci aiuti a comprendere anche che faccia- mo parte di una Chiesa di battezzati in cui c’è posto per tutti e in cui c’è posto anche per la discussione e per la di- versità di opinioni e di scelte, ma in cui non può esserci mai ciò che è pro- fondamente contrario ai frutti del Bat- tesimo, vale a dire il disprezzo e l’o- dio, la divisione e l’indifferenza. Cristo è risorto una volta per tutte e noi siamo stati battezzati nella sua morte e resurrezione una volta per tut- te. Sta a noi, però, riprendere il Batte- perché la Pasqua è anche la festa del Battesimo. Ogni cristiano è tale per- ché è stato battezzato nell’acqua e in essa ha ricevuto lo Spirito di Dio, pro- messo e mandato da Cristo Signore ai suoi discepoli con la sua morte e Re- surrezione. A Pasqua celebriamo Cristo risorto e il Battesimo ci fa essere parte della sua vita e della sua Resurrezione. Non per caso una parte della celebrazione della Veglia Pasquale ruota proprio intorno all’acqua che viene benedetta e al “rinnovo” delle promesse battesi- mali. È l’occasione per sentirci sem- pre e di nuovo Figli del Padre e fratel- li in Cristo. Viene spontaneo chiedersi, in un mo- mento come questo, che cosa ne è del nostro Battesimo. Come lo viviamo? Come il fatto di essere battezzati se- gna le nostre scelte e il nostro cammi- no? Ad ognuno il compito di dare una risposta personale e diretta. Quello che è possibile dire per tutti è che la Per la rubrica “Una famiglia… per esempio”, in questo numero par- liamo di affido con una famiglia che sul tema ha molta esperienza. La parola a Tiziana e Piero. Affido significa accogliere in famiglia un bambino in difficoltà, per il pe- riodo che corrisponde alla durata del disagio: si attiva quando un minore non può rimanere nella propria famiglia d’origine e riceve accoglienza in un altro contesto familiare. Significativo lo slogan del Comune di Torino “Mi presti la tua famiglia? La mia è un po’ in difficoltà”. Durante l’affidamento rimane il legame fra il bimbo e la sua famiglia di origine: occorre quindi prevedere anche l’accoglienza completa e incondi- zionata dell’immagine e del desiderio che il bambino reca con sé della sua famiglia naturale, sia quando vi siano rapporti diretti, ma anche in assenza di questi. L’affido è un’opportunità aperta a molti: famiglie, coppie, anche singoli. Ci sono varie forme: residenziale, diurno, pronto intervento, brevi, lunghi. I requisiti per diventare genitori affidatari sono innanzitutto uno spazio nella propria vita nella propria casa per accogliere un’altra persona, la disponibilità affettiva e la volontà di accompagnare per un tratto di stra- da più o meno lungo un bambino o un ragazzo senza la pretesa di cambiar- lo. Il percorso per diventare famiglia affidataria è fatto di alcuni incontri con Servizi Sociali e psicologi, al termine del quale si può acquisire una sorta di idoneità. Noi siamo una famiglia di 4 persone: io, mia moglie e due figli naturali che oggi hanno più di vent’anni. Ci siamo avvicinati all’affido grazie ad un corso di formazione tenuto nel 2008 da alcune persone della Comunità Pa- pa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, una realtà che opera con- cretamente dal 1973 nel sostegno di persone che presentano particolari bi- sogni come i minori in affidamento. In realtà il “seme” dell’accoglienza era in noi già da molti anni, ma fino ad allora non avevamo avuto il coraggio e non ci sentivamo all’altezza di rea- lizzare tale sogno. Il titolo di quel corso (“Le cose belle prima si fanno, poi si pensano... insieme”) ci ha dato la spinta finale, abbiamo compreso che era giunto il momento di buttarci in questa avventura. Nel 2010 abbiamo fatto la nostra prima esperienza accogliendo un bimbo di 14 mesi: la tenerezza, la dolcezza che un piccolino porta in una casa dopo tanti anni (i nostri figli naturali sono ormai grandi) è indescrivibile. G. è ar- rivato da noi a Natale: è stato come accogliere un Gesù Bambino spaesato, impaurito, ma ricco di doni. La nostra casa si è riempita di persone che lo venivano a trovare e lui, dopo i primi giorni di ambientamento, sorrideva a tutti. Ha iniziato a camminare, a giocare, a scoprire il mondo esterno insie- me a noi. Quando è arrivata la sua famiglia definitiva che lo avrebbe adotta- to, l’incontro è stato pieno di emozioni contrastanti, ma anche di tanta gioia. È subito nato un bel feeling tra noi e loro, perché a tutti stava soprattutto a cuore il bene del bambino. Oggi continuiamo a vederci e a sentirci ed è nata una bella amicizia. Dopo alcuni mesi ci è stato proposto un “pronto inter- vento”, cioè una tipologia di affidamento rivolta a quei bambini che sono coinvolti in situazioni particolarmente gravi che richiedono un allontana- mento immediato. Ed ecco arrivare un bellissimo bambino di quasi sei an- ni. La storia di questo piccolo ci ha fatto veramente capire il significato del- la frase “un’infanzia rubata”: a lui l’infanzia era stata veramente sottratta e noi avevamo il dovere di restituirgliene almeno un po’. Il cammino non è sempre stato facile e a volte la forza e la pazienza sono venute meno, ma è stato proprio in quei momenti che una sua frase o un suo atteggiamento af- fettuoso ci hanno ridato l’entusiasmo e la voglia di credere che anche per lui ci potesse essere un futuro di speranza, di serenità e di amore. Negli anni successivi ci sono stati altri affidi, ognuno diverso, ognuno ric- co di fatiche, emozioni, frustrazioni e gioie. Un bimbo nigeriano di 3 anni: quando siamo andati a conoscerlo, presso la comunità di suore dove la polizia nell’urgenza lo aveva condotto, siamo usciti dicendoci la frase della famosa suora televisiva “che Dio ci aiuti”… S. era agitatissimo, scriveva sui muri, tirava pallonate ovunque, parlava e capiva poco l’italiano. Ma subito, appena arrivato nella nostra casa, forse nella tranquillità dell’ambiente di una famiglia, si è rivelato il vero S.: un bimbo buono, ubbidiente, tenerissimo. Una splendida neonata di 27 giorni ci ha regalato emozioni straordinarie, quasi dimenticate con figli ormai grandi. Un ragazzino brasiliano di 12 anni con poca voglia di studiare, ma socie- vole e allegro: anche se giunto da noi a fine aprile, è riuscito ad essere pro- mosso soprattutto grazie al costante aiuto nello studio da parte dei nostri fi- gli che davvero hanno saputo spronarlo a non “perdere un altro anno”. E infine una ragazza adolescente, che abbiamo avuto con noi fino a qual- che settimana fa. Ci ha colpito quando, durante una telefonata con il padre, ha detto “anche se tu dici che sono solo degli estranei, io nella mia vita non sono mai stata così serena come con questi estranei!”. Magia dell’af- fido! Questi, e tanti altri piccoli episodi, ci fanno dire che con l’affido non si risolvono i problemi, ma si contribuisce a far vivere un’infanzia e un’a- dolescenza un po’ più serena a tanti bambini e ragazzi. Pensiamo che tutte le famiglie “ordinarie” come la nostra possano vivere un’esperienza “straordinaria” come l’affido; è importante partire da una buona cono- scenza dell’argomento, oggi ci sono numerose iniziative di formazione che cercano di sensibilizzare le famiglie su questo tema, e poi metterci tut- to il proprio entusiasmo, un po’ di incoscienza e tanto amore.

2 Anno XV - Numero 1 - Marzo 2017 · Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale. Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i

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Page 1: 2 Anno XV - Numero 1 - Marzo 2017 · Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale. Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i

La vignetta di Roberta

Crocifisso e... rimozioni!“Hanno tolto il crocifisso dal pronto soccorso del Gradenigo”, denunciauna lettera a Specchio dei Tempi insieme a tante altre lagnanze per i peg-gioramenti apportati dalla ristrutturazione.Anche da un ospedale, luogo di sofferenza, l’uomo della croce, iconadella sofferenza, viene sfrattato. È già successo. Il crocifisso è stato tolto da tanti luoghi pubblici per nonoffendere i non credenti o i credenti di altre religioni, sempre più nume-rosi.Notizie così scatenano reazioni contrapposte, più viscerali che raziona-li. La croce, come il Natale, sono ridotti a stendardi, offensivi per alcu-ni, da brandire in difesa per altri.Dio, che si è fatto uomo come noi nel Natale e che è morto nella soffe-renza umana sulla Croce, sono i simboli della nostra identità cristiana.Dobbiamo salvaguardarli nella loro essenza. Noi, per primi, non dob-biamo snaturarli. Nessuno obbietta se di questo benedetto Natale, da qualche mese tra-scorso, si sono appropriati proprio tutti e se la settimana che lo precedeè tutta una corsa fra acquisti, feste, recite, saggi di qualunque corsosportivo o musicale frequentato dai nostri bambini. Tanto che il conte-sto in cui avrebbe senso prepararsi all’atteso evento, cioè l’ambito reli-gioso, non trova più posto. Dalla novena al triduo; ma è ancora troppo.Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale.Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i simbo-li della nostra fede cristiana. Anzi, se noi per primi li abbiamo capiti, cispingono a fare un passo avanti: riconoscere e rispettare anche i simbolireligiosi degli altri. Non togliere, caso mai aggiungere. La “nuova cro-ciata” è quella della pace, a cui tutti siamo chiamati. Proprio tutti, anchequelli a cui non piace. Come ci ricorda continuamente papa Francesco,con parole e con gesti concreti

Piera Amore

Si chiamano Fiona e Cristiano, sonodue studenti arrivati dalla Cina e vi-vono a Torino da qualche anno. Quihanno incontrato don Giuseppe Chen,che è stato parte della comunità diSanta Monica fino al giugno scorso (eche sarà di nuovo con noi per un meseproprio in occasione del loro Battesi-mo). E qui, grazie a don Giuseppe ead altri che li hanno accompagnatipasso dopo passo, hanno deciso di di-ventare cristiani. Saranno battezzatidal Vescovo la notte di Pasqua in Cat-tedrale, ma avremo modo di incon-trarli nelle domeniche immediata-mente precedenti perché qui a SantaMonica celebreranno (insieme ad altridue ragazzi di origine africana prove-nienti dal Patrocinio) gli ultimi passiprima del Battesimo.La storia di questi ultimi anni di Fionae Cristiano e il loro Battesimo sonoun’occasione speciale per tutti noi(cristiani da tempo) di leggere la Pasquain un modo vero e diverso dal solito,

simo e farlo fruttare ogni giorno. È unbell’impegno, di quelli che tengonosvegli e che fanno pensare, ma è an-che il modo più vero e profondo perfar sì che ci sentiamo davvero figli diDio e parte della Chiesa. Fiona e Cristiano arrivano da una ter-ra lontana, affascinante e complessain cui i cristiani sono una minoranzareale e spesso ancora perseguitati;non sono degli eroi né dei personaggispeciali, sono persone belle e ricchedi qualità come tante altre. Personeche hanno scelto Gesù Cristo e chehanno accettato di farsi aiutare nellaloro scelta, confidando in quel Signo-re Gesù che ha sconfitto la morte.È questo dunque l’augurio più grandeche facciamo a Fiona e Cristiano: cheil loro Battesimo sia rinnovato ognigiorno nel nome di Cristo risorto. Ed èanche l’augurio che ci facciamo reci-procamente in questa Pasqua che ciapprestiamo a celebrare.

don Daniele

Grazia del Battesimo c’è nella nostravita e diventa manifesta tutte le volteche scegliamo di vivere e di agire co-me cristiani nella vita quotidiana.Ogni volta che regoliamo i nostri rap-porti con gli altri, in famiglia, al lavo-ro, a scuola, sulla scia del Vangelo diGesù. Ogni volta che non ci lasciamoprendere dalla corrente ma che ci la-sciamo guidare, oltre che dal “buonsenso”, dalla Parola di Dio.La Pasqua che stiamo per celebrare ciaiuti a comprendere anche che faccia-mo parte di una Chiesa di battezzati incui c’è posto per tutti e in cui c’è postoanche per la discussione e per la di-versità di opinioni e di scelte, ma incui non può esserci mai ciò che è pro-fondamente contrario ai frutti del Bat-tesimo, vale a dire il disprezzo e l’o-dio, la divisione e l’indifferenza.Cristo è risorto una volta per tutte enoi siamo stati battezzati nella suamorte e resurrezione una volta per tut-te. Sta a noi, però, riprendere il Batte-

perché la Pasqua è anche la festa delBattesimo. Ogni cristiano è tale per-ché è stato battezzato nell’acqua e inessa ha ricevuto lo Spirito di Dio, pro-messo e mandato da Cristo Signore aisuoi discepoli con la sua morte e Re-surrezione.A Pasqua celebriamo Cristo risorto eil Battesimo ci fa essere parte dellasua vita e della sua Resurrezione. Nonper caso una parte della celebrazionedella Veglia Pasquale ruota propriointorno all’acqua che viene benedettae al “rinnovo” delle promesse battesi-mali. È l’occasione per sentirci sem-pre e di nuovo Figli del Padre e fratel-li in Cristo. Viene spontaneo chiedersi, in un mo-mento come questo, che cosa ne è delnostro Battesimo. Come lo viviamo?Come il fatto di essere battezzati se-gna le nostre scelte e il nostro cammi-no? Ad ognuno il compito di dare unarisposta personale e diretta. Quelloche è possibile dire per tutti è che la

Per la rubrica “Una famiglia… per esempio”, in questo numero par-liamo di affido con una famiglia che sul tema ha molta esperienza. Laparola a Tiziana e Piero.

Affido significa accogliere in famiglia un bambino in difficoltà, per il pe-riodo che corrisponde alla durata del disagio: si attiva quando un minorenon può rimanere nella propria famiglia d’origine e riceve accoglienza inun altro contesto familiare. Significativo lo slogan del Comune di Torino“Mi presti la tua famiglia? La mia è un po’ in difficoltà”.Durante l’affidamento rimane il legame fra il bimbo e la sua famiglia diorigine: occorre quindi prevedere anche l’accoglienza completa e incondi-zionata dell’immagine e del desiderio che il bambino reca con sé della suafamiglia naturale, sia quando vi siano rapporti diretti, ma anche in assenzadi questi. L’affido è un’opportunità aperta a molti: famiglie, coppie, anchesingoli. Ci sono varie forme: residenziale, diurno, pronto intervento, brevi,lunghi. I requisiti per diventare genitori affidatari sono innanzitutto unospazio nella propria vita nella propria casa per accogliere un’altra persona,la disponibilità affettiva e la volontà di accompagnare per un tratto di stra-da più o meno lungo un bambino o un ragazzo senza la pretesa di cambiar-lo. Il percorso per diventare famiglia affidataria è fatto di alcuni incontricon Servizi Sociali e psicologi, al termine del quale si può acquisire unasorta di idoneità.Noi siamo una famiglia di 4 persone: io, mia moglie e due figli naturali cheoggi hanno più di vent’anni. Ci siamo avvicinati all’affido grazie ad uncorso di formazione tenuto nel 2008 da alcune persone della Comunità Pa-pa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, una realtà che opera con-cretamente dal 1973 nel sostegno di persone che presentano particolari bi-sogni come i minori in affidamento. In realtà il “seme” dell’accoglienza era in noi già da molti anni, ma fino adallora non avevamo avuto il coraggio e non ci sentivamo all’altezza di rea-lizzare tale sogno. Il titolo di quel corso (“Le cose belle prima si fanno, poisi pensano... insieme”) ci ha dato la spinta finale, abbiamo compreso cheera giunto il momento di buttarci in questa avventura. Nel 2010 abbiamo fatto la nostra prima esperienza accogliendo un bimbodi 14 mesi: la tenerezza, la dolcezza che un piccolino porta in una casa dopotanti anni (i nostri figli naturali sono ormai grandi) è indescrivibile. G. è ar-rivato da noi a Natale: è stato come accogliere un Gesù Bambino spaesato,impaurito, ma ricco di doni. La nostra casa si è riempita di persone che lovenivano a trovare e lui, dopo i primi giorni di ambientamento, sorrideva atutti. Ha iniziato a camminare, a giocare, a scoprire il mondo esterno insie-me a noi. Quando è arrivata la sua famiglia definitiva che lo avrebbe adotta-to, l’incontro è stato pieno di emozioni contrastanti, ma anche di tanta gioia.È subito nato un bel feeling tra noi e loro, perché a tutti stava soprattutto acuore il bene del bambino. Oggi continuiamo a vederci e a sentirci ed è natauna bella amicizia. Dopo alcuni mesi ci è stato proposto un “pronto inter-vento”, cioè una tipologia di affidamento rivolta a quei bambini che sonocoinvolti in situazioni particolarmente gravi che richiedono un allontana-mento immediato. Ed ecco arrivare un bellissimo bambino di quasi sei an-ni. La storia di questo piccolo ci ha fatto veramente capire il significato del-la frase “un’infanzia rubata”: a lui l’infanzia era stata veramente sottratta enoi avevamo il dovere di restituirgliene almeno un po’. Il cammino non èsempre stato facile e a volte la forza e la pazienza sono venute meno, ma èstato proprio in quei momenti che una sua frase o un suo atteggiamento af-fettuoso ci hanno ridato l’entusiasmo e la voglia di credere che anche per luici potesse essere un futuro di speranza, di serenità e di amore.Negli anni successivi ci sono stati altri affidi, ognuno diverso, ognuno ric-co di fatiche, emozioni, frustrazioni e gioie. Un bimbo nigeriano di 3 anni: quando siamo andati a conoscerlo, presso lacomunità di suore dove la polizia nell’urgenza lo aveva condotto, siamousciti dicendoci la frase della famosa suora televisiva “che Dio ci aiuti”…S. era agitatissimo, scriveva sui muri, tirava pallonate ovunque, parlava ecapiva poco l’italiano. Ma subito, appena arrivato nella nostra casa, forsenella tranquillità dell’ambiente di una famiglia, si è rivelato il vero S.: unbimbo buono, ubbidiente, tenerissimo.Una splendida neonata di 27 giorni ci ha regalato emozioni straordinarie,quasi dimenticate con figli ormai grandi.Un ragazzino brasiliano di 12 anni con poca voglia di studiare, ma socie-vole e allegro: anche se giunto da noi a fine aprile, è riuscito ad essere pro-mosso soprattutto grazie al costante aiuto nello studio da parte dei nostri fi-gli che davvero hanno saputo spronarlo a non “perdere un altro anno”. E infine una ragazza adolescente, che abbiamo avuto con noi fino a qual-che settimana fa. Ci ha colpito quando, durante una telefonata con il padre,ha detto “anche se tu dici che sono solo degli estranei, io nella mia vitanon sono mai stata così serena come con questi estranei!”. Magia dell’af-fido! Questi, e tanti altri piccoli episodi, ci fanno dire che con l’affido nonsi risolvono i problemi, ma si contribuisce a far vivere un’infanzia e un’a-dolescenza un po’ più serena a tanti bambini e ragazzi. Pensiamo che tuttele famiglie “ordinarie” come la nostra possano vivere un’esperienza“straordinaria” come l’affido; è importante partire da una buona cono-scenza dell’argomento, oggi ci sono numerose iniziative di formazioneche cercano di sensibilizzare le famiglie su questo tema, e poi metterci tut-to il proprio entusiasmo, un po’ di incoscienza e tanto amore.

Page 2: 2 Anno XV - Numero 1 - Marzo 2017 · Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale. Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i

Grazie! È molto im-portante, per me, tro-vare spazio sulle pagi-ne de Il Ponte – e ingiorni così indicati –per rilanciare e condi-videre i buoni proposi-ti e le strategie e la vi-sione di una comunitàterritoriale che è edu-cante perché presente,genitoriale, amorevo-le, seria. Per racconta-re di un’esperienzascolastica straordina-ria nata pochi mesi fasul nostro territorio eche ha assunto in pocotempo un respiro na-zionale. Perché la scuola chedirigo – con gioia, dacinque anni, e che è amio avviso la più bellae viva che conosca edella quale mi nutroquotidianamente, la“Amedeo Peyron”,con i due allegri e im-pegnatissimi plessidelle elementari che sirinnovano di continuo e quello dellascuola media in via Valenza – ha atti-vato il primo Master Universitario disecondo livello sulla Scuola in Ospe-dale e l’istruzione domiciliare, peruna formazione specifica di quantidesiderano insegnare (bene) in conte-sti tanto particolari. La mia scuola, lo sanno in molti or-mai, è anche la Scuola Polo regionaleper la Scuola in Ospedale, e promuo-ve pertanto la tutela dei minori malaticome detentori di diritti, titolari di ga-ranzie. Quando i bambini si ammala-no, purtroppo, emergono i problemiancora cruciali legati alla ospedaliz-zazione infantile e giovanile: l’allon-tanamento dagli ambienti e le abitudi-ni e le relazioni abituali, attenuato so-lo parzialmente dalla presenza dei ge-nitori; lo smarrimento derivato dallaincomprensione dei linguaggi e deicomportamenti degli adulti e l’inizia-zione a esperienze del tutto nuove; lapaura della malattia, il dolore e l’an-goscia di fronte e misteriose e inquie-tanti procedure e strumenti medicisconosciuti. Il Master è nato lo scorso ottobre, conincredibile semplicità, dal confrontoin amicizia fra quanti con i bambini inospedale ci lavorano quotidianamentee dalle esigenze di un’alta formazio-ne, che abbiamo ammesso e condivi-so con grande schiettezza e onestà. Grazie alla disponibilità dimostratadall'ateneo torinese – e in particolaredal Dipartimento di Scienze Cliniche

e Biologiche del San Luigi di Orbas-sano e dal professor Stefano Geuna,che si è assunto la responsabilità didirezione del Master (1500 ore, 60crediti) – il corso mette a disposizio-ne dei corsisti la conoscenza deglistrumenti più utili a realizzare nuovimodelli didattici per gli studenti ri-coverati, o costretti a casa dalla ma-lattia. Una grossa fetta della formazione èdedicata alla medicina sociale e nar-rativa, come anche alla pedagogiadei genitori (metodologia ideata dalprofessor Riziero Zucchi e AugustaMoletto, e grazie alla quale i saperidella famiglia, le competenze e le co-noscenze dei genitori e la loro presain carico da parte delle altre agenzieeducative rendono più semplice e“sano” restaurare il patto educativofondato sulla fiducia e, nella scuola,riproporre l'alleanza fra adulti di ri-ferimento, genitori e docenti pergiungere a un welfare riflessivo fon-dato sulla cittadinanza attiva dellefamiglie). E, naturalmente, un quadro completodegli aspetti giuridici e normativi, egli insegnamenti medici e clinici, coni docenti universitari più accreditati. Ma è relativamente alla pedagogiache mi preme proporre una riflessio-ne. La scuola, e soprattutto la Scuolain Ospedale, è luogo strategico, elita-rio, di promozione della salute. È unluogo in cui si attuano strategie in gra-do di produrre un impatto significati-

vo sulla salute della collettività, e ri-chiede una competenza educativastraordinaria per un'esperienza (che sispera unica) per i bambini e gli adole-scenti i quali, in tale contesto di ma-lattia, si giocano tutta la qualità delleloro relazioni con l'esterno e il mondoadulto… oltre che con loro stessi e ildisagio, la sofferenza. In quale scuola si sperimenta più dicosì il fallimento rappresentato dallamalattia? Eppure solo chi si perde,chi si ammala, chi conosce la paura elo sbandamento, la sua vulnerabilità,la verità scabrosa del dolore fisico,l'inaccettabilità del corpo e dei pen-sieri (quando si ha a che fare con lamalattia e i disturbi mentali dei piùpiccoli) può davvero essere utile aglialtri, specie come educatore e inse-gnante. Errore e fallimento sono esperienzedecisive nella formazione della per-sonalità: nella Scuola in Ospedale ildolore e l’errore vivono in contestoche è solido, reale, e non è quello li-quido e virtuale al quale sempre piùla tecnologia ci sta abituando e confi-nando.Oggi, in generale, siamo poco capacidi rispetto, di gerarchie, di valori chenon siano oggetti di “consumo”, gra-zie a scorciatoie conoscitive superfi-cialmente condivise e a relazioni diblanda amicizia e conoscenze oriz-zontali, in cui spesso genitori e mae-stri si confondono in dimensioni di tu-tor e illustratori improvvisati, occa-sionali.In tutte le “altre” scuole, quelle ester-ne alle mura ospedaliere, trovo chesempre più si perdano i contorni dellaistituzionalizzazione, della crescitaformativa e coraggiosa di classi etero-genee (e quindi problematiche) e ci silascia fiaccare in progettualità occa-sionali e spersonalizzanti, in scambimuti eppure ossessivi che sono pro-prie ai “non luoghi”, nei quali prevalela logica dei piagnistei, della lamente-la istituzionalizzata e organizzata daiprofessionisti del risentimento. Il percorso che stiamo realizzandocon il Master Universitario consentedi sottolineare le potenzialità, ma an-che le criticità, del Servizio di Scuolain Ospedale in termini di “prevenzio-ne del rischio” costituito dalla malat-tia e dalla ospedalizzazione. Una con-dizione di rischio che integra sia lavulnerabilità del minore, sia la ri-schiosità della situazione. La prima fa riferimento alle conse-guenze legate allo stato di sofferenza(non solo fisica), alle paure e allamancanza di certezze del soggetto; laseconda si riferisce allo stato delle re-lazioni contestuali e dei diversi e nuo-vi sistemi di riferimento. In tal senso

risulta molto significativo il rfra la genitorialità (comprspesso in fase di regressione, d cia al ruolo) e la condizione edel minore (il volersi sostituir nitore, desiderare di sostenerlo La formazione degli insegna ciò è stato perfettamente in sostenitori del Master, come Rotary e la Fondazione Spec Tempi de La Stampa, che cred mamente insieme a noi nelle rni appena condivise e nei ris ricerca che saranno raggiun iscritti al Master – è aspetto cil docente deve saper promu competenze che consentono a re di fronteggiare la malattia e dalizzazione. Il contesto eddeve diventare, anche in ospe spazio di protezione che gauna continuità con altri conte cativi, che caratterizzavano la lità della vita. La scuola ospedaliera deve la riappropriazione di sé, vla possibilità di una progedella relazione genitore-figli volare la realizzazione fra il rio e il genitore (aiutando il far comprendere la possibil lutiva, che spesso il genitore pisce).

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I CONSIGLI DEL DOTTOR...Melanoma: conoscere

per non rischiareIn primo luogo è necessario chiarire che cosaè il melanoma: si tratta di un tumore moltoaggressivo, anzi è il più aggressivo tra i tumo-ri cutanei ed è caratterizzato da un’elevatamortalità se non viene riconosciuto e asporta-to tempestivamente. L’incidenza del melano-ma è aumentata in maniera elevata negli ulti-mi anni, ma fortunatamente la mortalità, purrimanendo purtroppo molto alta, è diminuita.SEDE / Il melanoma può svilupparsi in ognidistretto cutaneo, sia sulla pelle sana sia da unneo preesistente, in particolare da un neo giàpresente alla nascita. I maschi risultano piùcolpiti al dorso, le femmine agli arti inferiori:questo però è un dato statistico e logicamentenon ha valore assoluto.ASPETTO CLINICO / Questo tumore si

presenta generalmente come una macchiascura, brunastra o nerastra e nella fase inizia-le appare abbastanza simile ai comuni nei piùo meno frequenti sulla nostra cute. Nel corsodella sua evoluzione compaiono in un temporelativamente breve alcune modificazioniche scolasticamente vengono indicate con leprime 5 lettere dell’alfabeto: A, B, C, D, E.SOGGETTI A RISCHIO / Gli elementi cheespongono in modo particolare al rischio delmelanoma sono soprattutto: la familiarità perquesto tipo di neoplasia, il fototipo (cioè lacute chiara e con lentiggini, gli occhi azzurrio verdi, i capelli biondi o rossi), le forti scot-tature solari e il numero elevato di nei presen-ti sulla cute.PREVENZIONE / Innanzi tutto occorre

una visita specialistica per valutare la situa-zione in atto. Il dermatologo, oltre ad un con-trollo “a vista”, usufruisce di uno strumento –il dermatoscopio – che ingrandisce la lesionesospetta e consente di valutare la distribuzio-ne del colore nel suo contesto. Il paziente do-vrà effettuare un autoesame completo dellapropria cute (non dimenticando le zone geni-tali, le piante e gli spazi interdigitali dei piedi)almeno 2 o 3 volte all’anno. Il controllo der-matologico deve essere eseguito ogni due an-ni, ma più frequentemente nei soggetti con glielementi di rischio suaccennati.TERAPIA / È esclusivamente chirurgica econsiste nell’asportazione completa dellamacchia sospetta che sarà poi valutata conl’esame istologico. A questo proposito vorreiricordare che togliere un neo o una lesioneche sembri un neo non è affatto pericoloso.Questa credenza è assolutamente errata an-che se i nostri vecchi affermavano che “…inei non si toccano perché si rischia di sve-gliare il cane che dorme”. Ed è altrettanto er-rato temere che un neo sottoposto a traumi sipossa trasformare in melanoma. Il neo so-spetto comunque deve essere sempre aspor-tato: meglio togliere una lesione che all’esa-me istologico si rivelerà del tutto tranquillapiuttosto che lasciare in situ un melanoma.

Professor Gian Franco StraniLibero Docente presso l’Università di Torino

Primario Dermatologo Emerito Ospedale Mauriziano

MI PIACE... TI PIACE?La “città nascosta”

(con alcune iniziative da brivido)Vi piacerebbe visitare luoghi miste-riosi, scoprire curiosità inaspettate,atmosfere uniche, ritrovarvi in postiesclusivi lontani dal turismo di mas-sa? Allora state a casa! No, non of-fendetevi: non è un insulto e nemme-no la proposta di rintanarvi nel vo-stro nido. Al contrario: è un invito aduscire. È un modo per condividerecon voi – lettori de Il Ponte – la pos-sibilità di vivere esperienze originaliche offre la nostra città. Cultura e di-vertimento a Km 0 come va tanto dimoda oggigiorno. Abbiamo tutti ben presente quali so-no le ricchezze culturali ufficiali cheTorino offre al visitatore. Pochi im-maginano quante altre cose è possi-bile scoprire praticamente sotto casa.Parliamo di veri tesori più o menonascosti negli angoli più impensati,o anche solamente di piccoli segni –poco in evidenza ma ricchi di signifi-cato – che sfuggono al passante dis-tratto. Scoprirli è facile: esistono agenzieturistiche locali specializzate nellaorganizzazione di veri e propri tourin miniatura. Con tanto di guidacompetente e preparata, queste agen-zie offrono la qualità di un viaggioorganizzato concentrato in esperien-ze a tema della durata di poche ore.

Ci sono iniziative che ti conducononel mondo della magia oppure ti fan-no rivivere una particolare epocastorica. Ci sono iniziative da brividoper gli amanti del noir, altre tipo Si-gnora in giallo. Ci sono viaggi neglistili architettonici o nel sottosuolocittadino, quest’ultimo veramentericco di sorprese. Solitamente ci sisposta a piedi, ma talvolta sono pre-visti anche dei brevi tratti in bus. Intutti i casi la fatica è minima e la cu-riosità tanta.

Ovviamente non ci è possibile citarequesti tour operator, più che altro pernon rischiare di dimenticarne qual-cuno. Né vogliamo darvi indicazionitroppo precise per non rovinare lasorpresa a chi volesse concedersiun’esperienza del genere. Quello chepossiamo dirvi è che noi abbiamosperimentato alcune iniziative, orga-nizzate da agenzie diverse, e il risul-tato è sempre stato più che soddisfa-cente. Giusto per dare un piccolo spunto vi

proponiamo due assag-gini che magari vi incu-riosiscono ma che ci per-mettono di rimanereneutrali. Tutti sanno cosasignifica il detto “finireal fresco”. Vuol dire fini-re in prigione. Facile. Disicuro ben pochi im -maginano cosa significhiveramente pro vare que-sta sensazione sulla pro-pria pelle. Premesso chenon è nostra intenzioneistigarvi a delinquere, sevolete veramente capir-lo, pro vate ad entrare inuna cella delle “Nuove”!(noi l’abbiamo fatto inuno di questi contesti,

Page 3: 2 Anno XV - Numero 1 - Marzo 2017 · Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale. Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i

Grazie! È molto im-portante, per me, tro-vare spazio sulle pagi-ne de Il Ponte – e ingiorni così indicati –per rilanciare e condi-videre i buoni proposi-ti e le strategie e la vi-sione di una comunitàterritoriale che è edu-cante perché presente,genitoriale, amorevo-le, seria. Per racconta-re di un’esperienzascolastica straordina-ria nata pochi mesi fasul nostro territorio eche ha assunto in pocotempo un respiro na-zionale. Perché la scuola chedirigo – con gioia, dacinque anni, e che è amio avviso la più bellae viva che conosca edella quale mi nutroquotidianamente, la“Amedeo Peyron”,con i due allegri e im-pegnatissimi plessidelle elementari che sirinnovano di continuo e quello dellascuola media in via Valenza – ha atti-vato il primo Master Universitario disecondo livello sulla Scuola in Ospe-dale e l’istruzione domiciliare, peruna formazione specifica di quantidesiderano insegnare (bene) in conte-sti tanto particolari. La mia scuola, lo sanno in molti or-mai, è anche la Scuola Polo regionaleper la Scuola in Ospedale, e promuo-ve pertanto la tutela dei minori malaticome detentori di diritti, titolari di ga-ranzie. Quando i bambini si ammala-no, purtroppo, emergono i problemiancora cruciali legati alla ospedaliz-zazione infantile e giovanile: l’allon-tanamento dagli ambienti e le abitudi-ni e le relazioni abituali, attenuato so-lo parzialmente dalla presenza dei ge-nitori; lo smarrimento derivato dallaincomprensione dei linguaggi e deicomportamenti degli adulti e l’inizia-zione a esperienze del tutto nuove; lapaura della malattia, il dolore e l’an-goscia di fronte e misteriose e inquie-tanti procedure e strumenti medicisconosciuti. Il Master è nato lo scorso ottobre, conincredibile semplicità, dal confrontoin amicizia fra quanti con i bambini inospedale ci lavorano quotidianamentee dalle esigenze di un’alta formazio-ne, che abbiamo ammesso e condivi-so con grande schiettezza e onestà. Grazie alla disponibilità dimostratadall'ateneo torinese – e in particolaredal Dipartimento di Scienze Cliniche

e Biologiche del San Luigi di Orbas-sano e dal professor Stefano Geuna,che si è assunto la responsabilità didirezione del Master (1500 ore, 60crediti) – il corso mette a disposizio-ne dei corsisti la conoscenza deglistrumenti più utili a realizzare nuovimodelli didattici per gli studenti ri-coverati, o costretti a casa dalla ma-lattia. Una grossa fetta della formazione èdedicata alla medicina sociale e nar-rativa, come anche alla pedagogiadei genitori (metodologia ideata dalprofessor Riziero Zucchi e AugustaMoletto, e grazie alla quale i saperidella famiglia, le competenze e le co-noscenze dei genitori e la loro presain carico da parte delle altre agenzieeducative rendono più semplice e“sano” restaurare il patto educativofondato sulla fiducia e, nella scuola,riproporre l'alleanza fra adulti di ri-ferimento, genitori e docenti pergiungere a un welfare riflessivo fon-dato sulla cittadinanza attiva dellefamiglie). E, naturalmente, un quadro completodegli aspetti giuridici e normativi, egli insegnamenti medici e clinici, coni docenti universitari più accreditati. Ma è relativamente alla pedagogiache mi preme proporre una riflessio-ne. La scuola, e soprattutto la Scuolain Ospedale, è luogo strategico, elita-rio, di promozione della salute. È unluogo in cui si attuano strategie in gra-do di produrre un impatto significati-

vo sulla salute della collettività, e ri-chiede una competenza educativastraordinaria per un'esperienza (che sispera unica) per i bambini e gli adole-scenti i quali, in tale contesto di ma-lattia, si giocano tutta la qualità delleloro relazioni con l'esterno e il mondoadulto… oltre che con loro stessi e ildisagio, la sofferenza. In quale scuola si sperimenta più dicosì il fallimento rappresentato dallamalattia? Eppure solo chi si perde,chi si ammala, chi conosce la paura elo sbandamento, la sua vulnerabilità,la verità scabrosa del dolore fisico,l'inaccettabilità del corpo e dei pen-sieri (quando si ha a che fare con lamalattia e i disturbi mentali dei piùpiccoli) può davvero essere utile aglialtri, specie come educatore e inse-gnante. Errore e fallimento sono esperienzedecisive nella formazione della per-sonalità: nella Scuola in Ospedale ildolore e l’errore vivono in contestoche è solido, reale, e non è quello li-quido e virtuale al quale sempre piùla tecnologia ci sta abituando e confi-nando.Oggi, in generale, siamo poco capacidi rispetto, di gerarchie, di valori chenon siano oggetti di “consumo”, gra-zie a scorciatoie conoscitive superfi-cialmente condivise e a relazioni diblanda amicizia e conoscenze oriz-zontali, in cui spesso genitori e mae-stri si confondono in dimensioni di tu-tor e illustratori improvvisati, occa-sionali.In tutte le “altre” scuole, quelle ester-ne alle mura ospedaliere, trovo chesempre più si perdano i contorni dellaistituzionalizzazione, della crescitaformativa e coraggiosa di classi etero-genee (e quindi problematiche) e ci silascia fiaccare in progettualità occa-sionali e spersonalizzanti, in scambimuti eppure ossessivi che sono pro-prie ai “non luoghi”, nei quali prevalela logica dei piagnistei, della lamente-la istituzionalizzata e organizzata daiprofessionisti del risentimento. Il percorso che stiamo realizzandocon il Master Universitario consentedi sottolineare le potenzialità, ma an-che le criticità, del Servizio di Scuolain Ospedale in termini di “prevenzio-ne del rischio” costituito dalla malat-tia e dalla ospedalizzazione. Una con-dizione di rischio che integra sia lavulnerabilità del minore, sia la ri-schiosità della situazione. La prima fa riferimento alle conse-guenze legate allo stato di sofferenza(non solo fisica), alle paure e allamancanza di certezze del soggetto; laseconda si riferisce allo stato delle re-lazioni contestuali e dei diversi e nuo-vi sistemi di riferimento. In tal senso

risulta molto significativo il rapportofra la genitorialità (compromessa,spesso in fase di regressione, di rinun-cia al ruolo) e la condizione evolutivadel minore (il volersi sostituire al ge-nitore, desiderare di sostenerlo, ecc.). La formazione degli insegnanti – eciò è stato perfettamente inteso daisostenitori del Master, come il ClubRotary e la Fondazione Specchio deiTempi de La Stampa, che credono fer-mamente insieme a noi nelle riflessio-ni appena condivise e nei risultati diricerca che saranno raggiunti dagliiscritti al Master – è aspetto cruciale:il docente deve saper promuovere lecompetenze che consentono al mino-re di fronteggiare la malattia e l’ospe-dalizzazione. Il contesto educativodeve diventare, anche in ospedale, lospazio di protezione che garantisceuna continuità con altri contesti edu-cativi, che caratterizzavano la norma-lità della vita. La scuola ospedaliera deve favorirela riappropriazione di sé, veicolarela possibilità di una progettualitàdella relazione genitore-figlio e age-volare la realizzazione fra il sanita-rio e il genitore (aiutando il primo afar comprendere la possibilità evo-lutiva, che spesso il genitore perce-pisce).

D’altro lato, la presenza di una pato-logia nei bambini rappresenta ancheper i genitori una emozione di taleforza da pregiudicare la realizzazionedi solidi legami affettivi: il timore dinon riuscire a prendersi cura adegua-tamente dei figli può infatti condurli ainstaurare un rapporto di iper-prote-zione nei loro confronti o, al contra-rio, a rimanere in qualche modo di-stanti per difendersi dall’ansia. Il nostro Master sulla Scuola in Ospe-dale rappresenta una tappa decisiva,che valorizza l’impegno instancabiledel nostro territorio per la migliore in-clusione sociale degli studenti in dif-ficoltà. E oggi l’urgenza è proprioquella di raccontare e partecipare l’in-clusione e la sostenibilità: sociale,ambientale, economica, culturale. Inmaniera collegiale, proprio come danoi a scuola. Con la più candida e mite tolleranza(che è dono comune alle donne-mae-stre, specie della mia scuola!) e la piùsferzante e robusta autoironia (delladirigente scolastica…).

Prof.ssa Tiziana CatenazzoDirigente Scolastico Istituto

Comprensivo “Amedeo Peyron” e Dirigente Scuola Polo Regionale

per le sezioni ospedaliere delPiemonte

Anno XV - Numero 1 - Marzo 2017 3

MI PIACE... TI PIACE?La “città nascosta”

(con alcune iniziative da brivido)

La scomparsa di suor Francesca il 26 novembrescorso era avvenuta a giornale stampato e già in fa-se di distribuzione. Non ci era quindi stato possibiledare notizia della sua morte a tutte le persone chel’avevano conosciuta ed apprezzata. Don Daniele l’aveva però subito ricordata con unbellissimo “pensiero” nel box in prima pagina su LaSettimana di domenica 4 dicembre e Gian MarioMarengo aveva scritto un emozionante articolo,sempre nella prima pagina del nostro “foglio”, la do-menica successiva.Tutto questo però non ci bastava. E allora come Re-dazione de Il Ponte ci sembrava carino e doverosodare spazio a chi avesse voluto ricordare suorFrancesca con una frase, un aneddoto, un episo-dio, un sentimento. Ringraziamo quindi tutti coloroche hanno risposto al nostro invito e ci hanno invia-to i loro scritti che pubblichiamo con piacere e nonpoca tristezza in questo numero del giornale!

Mariateresa CANTINI Cara, carissima suor France-sca, quanti ricordi riaffiorano nella mia mente dei 35 anniche abbiamo trascorso camminando vicine! I miei primipassi negli incontri di catechismo, poi le vacanze in ValTroncea, assaporando, dopo la Santa Messa, le buonissi-me minestre di verdura che preparavate voi. Poi i giorni adAssisi: le immagini di quei pochi giorni le porto nel miocuore. Ed infine, la cartolina di auguri che mi hai mandatoa settembre “Cara Mariateresa, ho pregato per te”… Gra-zie! Anch’io oggi che non ci sei più, ma sei ben presentenel mio cuore, prego per te, anche se ti penso vicina al Si-gnore che tu hai tanto amato e servito.

ELISA e SANDRO Il Signore non era nel vento, nonera nel terremoto, non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sus-surro di una brezza leggera. Il sussurro che ti propone diintonare l’alleluia che conosce a memoria, che ti fa correg-gere l’elenco dei canti consolidati, che lotta con Marino ePiero per il tempo di “Tu sei la mia vita”. La brezza dellapresenza alle Lodi, degli auguri dell’onomastico, del tene-re da parte sciarpe e cappelli dimenticati in sacrestia. Labrezza della rinuncia alla parrucca. La brezza, ingredientesegreto di un’amicizia infinita. Leggera perché mai pesan-te, con noi da adolescenti confusi, con i bambini casinisti.Leggera perché il bagaglio accumulato negli anni fortificasenza gravare. Leggera, pure troppo alla fine, ma abba-stanza da poter approfittare di una migrazione di uccelliselvatici.

Edoardo FASSIO Ricordare suor Francesca con unepisodio o un aneddoto sarebbe la cosa più semplice delmondo perché ognuno dei nostri incontri (casuale o pro-grammato che fosse) andrebbe raccontato, tanto sonostati pieni di sincerità ed emozione. Ma in queste poche ri-ghe il ricordo più bello che serbo di lei, e che vorrei condi-videre con chi mi legge, è stata la sua passione per il San-to Rosario. Perché durante le sue recite non snocciolavamai solo una serie meccanica di Ave Maria, ma in lei c’eradevozione, fede, convinzione e tanto altro. Suor France-sca sapeva infatti coinvolgere, contagiare, educare chicon lei offriva questa preghiera alla Vergine Maria. E alloravorrei inviarle queste poche parole: “Grazie suor France-sca per tutto quello che ci hai regalato con discrezione eumiltà, ma soprattutto per aver recitato e fatto recitarequella splendida preghiera del Santo Rosario a migliaia emigliaia di persone”.

Cristina MEDDA Vorrei ricordare la nostra cara suorFrancesca con una frase di sant’Agostino: “Coloro cheamiamo e che abbiamo perduto non sono più vive dov’era-no ma sono ovunque noi siamo”. Ecco, suor Francesca, tuora sei dove noi siamo, sei nelle carezze che donavi aibambini, nei sorrisi che facevi a chiunque ti incontrasse, seinelle parole di testimonianza viva che hai donato tutti i gior-ni della tua vita terrena a tutti noi. Sei con noi a Santa Moni-ca, a Casa Amica; sei con noi perché ci hai amato tanto,rimproverandoci quando sbagliavamo il cammino e conso-landoci quando eravamo tristi. Ogni volta che entro in chie-sa ti vedo ancora seduta, vicino a suor Palmina, con il tuosorriso timido e la tua gentilezza. Voglio pensare che seipartita per un lungo viaggio, ma noi siamo con te perché ciporti nel cuore. Sicuramente tu sei con noi, viva in ogni mo-mento, parola o gesto che faremo in parrocchia, perché tusei dove noi siamo. Buon viaggio suor Francesca.

Carla PONZIO Parlo di 15-20 anni fa. Ogni mattina an-davo al lavoro in macchina, in direzione di piazza Bengasi,e in via Nizza la vedevo portare a spasso il suo cane. Ral-lentavo un po’ per guardarla. Era una signora mite che colguinzaglio seguiva le corse di un bastardino piccolo, viva-ce, qualunque. Sapevo che era suor Francesca e proprioper questo mi piaceva guardarla in quel gesto. Mi piacevache una donna di Chiesa fosse una donna normale, vesti-ta normale, e che tenesse in casa cioè in comunità un ani-male. Vent’anni fa la mentalità era diversa, c’era menosensibilità verso gli animali e ancor meno ce n’era, parloovviamente in generale, nella Chiesa. Ecco, suor France-sca in quel gesto anticipava tempi e modi. E a me piaceva.Poi so, per averla a lungo frequentata, delle tante sue virtù– non ultimo il senso dello humor –, della sua silenziosagenerosità e della coerenza della sua vita religiosa. È sta-ta certamente una santa e di questo il Signore le renderàgloria, ma io conservo volentieri l’immagine di lei in viaNizza col cane, della sua tenera umanità.

Romana MIRESSI Incontravo suor Francesca allamattina in chiesa e il suo sorriso, appena accennato magioioso, era il primo buongiorno che ricevevo. Grazie suor Francesca!

Lidia Irene BISON Ripensare ad un ricordo di suorFrancesca è difficile, era continuamente presente e dispo-nibile nella nostra Comunità. Però un piccolo pensiero misento di doverlo fare, come catechista. L’ho conosciuta

nel 1986, quando ho incominciato a fare servizio, e da su-bito mi sono sentita accompagnata. Agli incontri arrivavapreparata, ci dava indicazioni bibliche e anche di tecnica,aveva con noi tanta pazienza. Era sempre pronta a sosti-tuire ciascuna di noi nel momento del bisogno. E tutto que-sto con il sorriso, la dolcezza e la fermezza che l’hanno ca-ratterizzata. Grazie suor Francesca, ricordati delle cate-chiste di Santa Monica e prega per loro.

Luciana DEMARTINI Suor Francesca: per me una per-sona intelligente; e quando una persona è intelligente è an-che buona e disponibile. Lei era proprio così. Sono 40 anniche la conosco; sempre attenta alle necessità di tutti, dispo-nibile, con le parole giuste verso ciascuno, preziosa per itanti bambini che ha conosciuto, sorridente, positiva. Con imiei nipotini è stata sempre molto affettuosa e con la miamamma era dolcissima. Sensibile, capiva, non aveva biso-gno di parole, e mi diceva con un sorriso “tranquilla, avanticosì, il Signore c’è, ci pensa Lui”, sono le stesse cose che midiceva la mia mamma. Anche l’ultima volta che l’ho vista,ormai gravemente ammalata, non si è lamentata della suasituazione, ma mi ha chiesto notizie delle mie figlie e deimiei nipotini e come sempre ha avuto per me parole positivee incoraggianti. Mi mancherà, ma porto dentro di me tuttiquesti ricordi. Grazie suor Francesca, ti abbraccio!

Alma VIDOTTO Ho conosciuto suor Francesca nel1978, quando ho accompagnato mio figlio alla scuola ma-terna dove lei insegnava; capii subito che sarebbe stato inottime mani. Lei aveva una grazia e dolcezza particolari,sapeva essere “mamma” ed insegnante allo stesso tem-po. Passato del tempo sono entrata a far parte del gruppodelle persone referenti di Casa Amica e in quel periodoabbiamo condiviso il cammino con i malati residenti nellacasa. È stata un’esperienza molto forte, ma con lei vicinami sentivo sicura, perché svolgeva questo apostolato contanto amore e dedizione e riusciva a trasmetterlo anche ame. Quanti bei ricordi e belle parole si sono scritte in que-sti giorni su di lei! È il modo di dire grazie di tutti noi, ed an-ch’io dico: “Grazie suor Francesca! Da lassù veglia su dinoi e su Casa Amica che tanto hai amato”.

traddistingueva, disse ai bambini nel contesto di una spie-gazione che erano “i figli di Dio”. Gino, che anche alloraamava contraddire sempre tutto in ogni occasione, rispo-se che prima di essere figlio di Dio Davide era figlio suo.Suor Francesca, con il suo sorriso dolce dolce, risposeche Gino amava troppo Davide. Sapeva che era inutile ri-battere e con molta filosofia e buon gusto lasciò cadere lacosa. Quell’episodio fu uno dei tanti che in seguito mi fe-cero capire e apprezzare sempre di più suor Francesca.

Cinzia LORENZETTO Il ricordo più vivo che ho di suorFrancesca è il suo sorriso: dal sorriso con cui mi ha accol-ta tra le “sue” catechiste a quello che ci scambiavamo ognivolta che ci incontravamo, fino al sorriso che mi faceva,guardandomi negli occhi, ogni volta che ricevevo la comu-nione dalle sue mani... I sorrisi di suor Francesca eranocosì belli anche perché dietro ognuno di loro c’era un’at-tenzione speciale per chi le stava di fronte, non si dimenti-cava mai di nessuno, ricordava tutti nelle sue preghiere edi tutti chiedeva notizie, specialmente di chi faceva più fati-ca. Di lei porterò sempre nel cuore il modo discreto ma in-tenso con cui ci è stata vicina durante un periodo partico-larmente faticoso. Grazie di tutto suor Francesca… il tuosorriso non si è spento, è diventato ancora più luminoso econtinua a scaldare i cuori di chi ti vuole bene.

Giacomina MONTICONE Quando una persona ci la-scia, di lei ricordiamo le cose belle che vorremmo impara-re. Io di suor Francesca ricordo il suo passo leggero, miviene da dire ”felpato”, che è sempre arrivato al momentogiusto. Il suo tono di voce dolce ma sicuro, che ha tra-smesso serenità. La sua fede, che ci ha lasciato speranza.Sono contenta di aver partecipato con lei al pellegrinaggiodi don Massimiliano a Lourdes due mesi prima della suascomparsa. In quei giorni è stata bene, durante il viaggioin pullman ha recitato il Rosario, ha pregato alla Grotta edalla fiaccolata alzava il “flambeaux” verso il cielo cantandol’Ave Maria. A tavola, puntuale la telefonata di suor Palmi-na: “Come stai Francesca?”. “Sto bene”. “Mi dici la veri-tà?”. “Perché non dovrei dirti la verità. Va tutto bene, sonocontenta”. Ora però, cara suor Francesca, tocca a noi. Maancora una volta abbiamo bisogno del tuo aiuto affinché itanti chicchi che hai seminato nella Comunità di Santa Mo-nica trovino terreno fertile. Grazie!

LUCA e MARIA LAURA ti ricordano… L’abbiamo sa-puto in ritardo e ci è dispiaciuto. Ma col pensiero siamosempre vicino a te. Luca ti ricorda quando gli facevi l’asiloe io per la tua disponibilità e gentilezza amorosa. Ciaosuor Fantesca. Aiutaci da lassù.

Carlo POMPA Sento moltissimo la mancanza di suorFrancesca. Ringrazio il Signore per avermi dato la possi-bilità di conoscerla, frequentarla e condividere con lei mo-menti di preghiera in chiesa e nelle varie attività. Mi ha in-segnato molto con la sua calma e la sua dolcezza, rimarràper sempre vivo dentro di me il suo ricordo.

Patrizia CATULLO Ho incontrato suor Francesca 40anni fa, ma non ricordo l’occasione precisa. So solo cheera in via Tibone. La ricordo impegnatissima nella cate-chesi e poi inserita nell’attività liturgica. Sempre attiva,operosa, silenziosa. Poi gli anni sono passati, le situazionisono mutate: l’addio alla scuola materna, l’aumentare del-l’attività parrocchiale, ma soprattutto del servizio a CasaAmica che per anni – con suor Palmina e don Beppe – haseguito con dedizione e affetto a tempo pieno. Tanti sareb-bero i ricordi da far riaffiorare alla mente, gli aneddoti, leesperienze vissute insieme. Qui voglio solo ricordare suorFrancesca maestra di dignità umana. Nella sua malattianon l’ho mai sentita lamentarsi di nulla: ha continuato aservire e lo ha fatto fino alla fine. L’antivigilia della suascomparsa, all’ora di cena, ha chiesto di alzarsi: pensava-mo volesse mangiare qualcosa e invece, seduta a tavola,ha chiesto di ricevere il Signore. Poi è stata un momentoseduta, in silenzio, ed ha chiesto di farsi riaccompagnare aletto. È stata l’ultima volta che si è alzata e lo ha fatto perincontrare quel Signore che ha amato e servito fino aquando Lui l’ha voluta con sé.

Paola GAMONDI 0116967… pronto Francesca sonoPaola. Il mercoledì pomeriggio da ormai molti anni ave-vamo il nostro filo diretto. A una mia richiesta arrivavasempre una risposta precisa o un’indicazione o un con-siglio con voce serena e tranquillizzante. Dopo le 17.00,prima del rosario, la vedevo comparire in ufficio per riti-rare i fogli delle letture della domenica per l’AdorazioneEucaristica e allora scambiavamo due parole di aggior-namento su Casa Amica o sulla Comunità o sulla fami-glia, della quale si interessava sempre costantemente esinceramente. Il mercoledì, che mi ha comunicato la no-tizia della sua malattia, è stato un gran brutto momento,ma la sua determinazione a combattere il suo male e acontinuare la sua presenza nella Comunità è stato un al-tro esempio del suo carattere forte, nella sua dolcezza econ il suo sorriso. Grazie Francesca per esserci sempre stata.

Emilio ALLIA Cara suor Francesca, non siamo mai riu-sciti a passare dal più formale “lei” ad un più confidenziale“tu”: una sorta di riserbo vicendevole ce lo ha sempre im-pedito. Lo faccio ora, che tu sei tornata la dove tutti noi sia-mo stati pensati, nel seno del Padre. Donna e religiosa dalcarattere forte, con cui non sempre è stato facile andared’accordo. Tra le molteplici attività che ti hanno vista impe-gnata durante la lunga permanenza presso la nostra par-rocchia desidero ricordare quanto hai fatto per la “trasmis-sione della fede” agli altri, adulti o bambini, realizzandoquella trasmissione per contatto, da persona a persona,come una fiamma che si accende da un’altra fiamma. Pa-pa Francesco afferma che: «La trasmissione della fede…passa anche attraverso l’asse del tempo, di generazione

in generazione», e tu hai fatto in modo da rendere vivo epresente anche per noi e i nostri figli il Dio dei nostri padri,il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Con ilcontributo della tua opera, alla domanda di Gesù: “Ma il Fi-glio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.La risposta potrà essere ancora: “Sì”. Grazie!

GIGI Ringrazio di vero cuore suor Francesca per il beneche mi ha sempre voluto; in particolare ha continuato apensarmi e a pregare per me quando 9 mesi fa mi trovavoin ospedale (e lei era già ammalata). Che Dio la ricompen-si per tutto il bene che mi ha fatto e che so continua a fareda lassù; e io non smetterò di pregare per lei anche se nonne ha bisogno. Ti voglio bene!

Grazia MAGNO Mi piace ricordare suor Francesca conun episodio di tanti anni fa. Un ricordo che ancora adessoquando ci penso mi riempie di emozione e in un certo mo-do mi fa sorridere. Vi racconto quell’episodio. La nostra fa-miglia cominciava a frequentare Santa Monica in quantoDavide iniziava il percorso del catechismo che l’avrebbepreparato per ricevere la Prima Comunione. Un giorno, al-la fine della lezione, i bambini erano tutti in chiesa con i lo-ro genitori e suor Francesca, con la dolcezza che la con-

Ovviamente non ci è possibile citarequesti tour operator, più che altro pernon rischiare di dimenticarne qual-cuno. Né vogliamo darvi indicazionitroppo precise per non rovinare lasorpresa a chi volesse concedersiun’esperienza del genere. Quello chepossiamo dirvi è che noi abbiamosperimentato alcune iniziative, orga-nizzate da agenzie diverse, e il risul-tato è sempre stato più che soddisfa-cente. Giusto per dare un piccolo spunto vi

proponiamo due assag-gini che magari vi incu-riosiscono ma che ci per-mettono di rimanereneutrali. Tutti sanno cosasignifica il detto “finireal fresco”. Vuol dire fini-re in prigione. Facile. Disicuro ben pochi im -maginano cosa significhiveramente pro vare que-sta sensazione sulla pro-pria pelle. Premesso chenon è nostra intenzioneistigarvi a delinquere, sevolete veramente capir-lo, pro vate ad entrare inuna cella delle “Nuove”!(noi l’abbiamo fatto inuno di questi contesti,

ma il museo delle “Nuove” ha co-munque un suo orario fisso). Meglioancora: fatelo in piena estate quandofuori fa un caldo insopportabile. Vigarantiamo che “finire al fresco” nonera affatto piacevole e che le sensa-zioni che proverete saranno tutt’altroche scontate. Secondo spunto. Nella sacrestia del-la chiesa di San Domenico è conser-vato uno stendardo che venne issatosu una delle tre galee piemontesi cheparteciparono alla battaglia di Le-panto. Siamo nel ’500 e l’evento è ri-masto nei libri di storia. Non si trattadi una semplice bandiera, tutt’altro:è un arazzo enorme. Non esageriamodicendo che a casa nostra non ci sta-rebbe né appeso né disteso. A quantoci risulta questo angolino non è visi-tabile diversamente: è una delle tanteporte che si aprono solo in occasionedi queste iniziative. Insomma, chi volesse semplicemen-te trascorrere una serata un po’ diver-sa dal solito ha davvero molte occa-sioni per apprezzare sempre più que-sta splendida città in cui viviamo eche è casa nostra. Cercando su internet troverete facil-mente. Trovate, scegliete e divertitevi.

Antonella e Sebastiano Marocco

Page 4: 2 Anno XV - Numero 1 - Marzo 2017 · Non c’è più spazio per trasmettere il senso vero del nostro Natale. Per essere accoglienti, per davvero, non c’è bisogno di togliere i

spesso anziano e non cliente, che ri-torna più tardi per caricarti in macchi-na perché ti scaldi e mangi un panino.Non lo dici alla tua famiglia dove seifinita. Alle 2 di notte in costume con 5gradi, mentre i copertoni che bruci la-sciano segni nei polmoni e sulle gam-be che appoggi sul barile. Ai tuoi, rac-conti che fai la parrucchiera o la ba-dante, o la verità, in ogni caso i tuoisanno la verità, o la capiscono alla pri-ma busta di soldi che consente all’in-tera famiglia di non lavorare più,quando ti raccontano che, invece, il

tuo fratellino preferito sta studiandoper accedere all’università. Quandopensi di scappare, o tenerti i soldi perte, per provare un corso da cuoca, su-bito ti ricordano l’importanza del tuoaiuto o la paura per le minacce.Quando, dopo circa 2-3 anni, haiestinto il tuo debito, sei diventata Jes-sica, Sonia, Jennifer, Sofia. La tuapelle è distrutta. Vivi in Italia ma nonparli italiano. Sei protestante, vai inuna delle 40 chiese nigeriane in Tori-no, in cui i pastori sanno ma temono etacciono. Le uniche facce amiche so-no dell’ambiente. Se sei fortunata,sposi un cliente o il vecchio papagiro.Se sei intraprendente e avida, diventitu stessa madame e compri una ragaz-za a 2000 euro: a “Lampa Lampa” cen’è quante ne vuoi. Più probabilmen-te, rimani ancora in strada, con le tueamiche, la musica nelle cuffie, le cal-ze strappate, i soldi inviati a casa.Nessuna lo sceglie liberamente, nean-che quando lo sceglie.L’associazione Amici di Lazzaro la-vora in strada da anni, due notti a set-timana. Mercoledì una zona di Torinonord, venerdì Torino sud e cintura.Siamo 9 ragazzi, incontriamo in me-dia 30 ragazze per sera. Con un bic-chiere di te, una brioche, un volantinosui corsi d’italiano dell’associazionee uno che racconta la storia di una ra-gazza scappata dallo sfruttamento,parliamo con le sisters, le chiamiamocosì. Ci sono ragazze e signore cono-sciute da sempre, che da anni siedonosullo stesso muretto: Amici di Lazza-ro, perché ci abbracciamo, scherzia-mo, chiacchieriamo da amici, tra lagente della notte che in via Pianezzanon assomiglia a quella descritta daJovanotti, con enormi tir che procedo-no a passo d’uomo occupando intera-mente le vie laterali di via Pianezza ole macchine di tamarri ventenni che

fanno 10 volte la rotonda di via Alaper insultare e tirare uova su un grup-po di coetanee o la guardia giuratache, annoiata dal turno, si mette a spa-rare in aria spaventando a morte ungruppo di ragazze dell’età dei suoi fi-gli su Lungo Stura Lazio. Allorachiacchieriamo tra amiche, ascoltia-mo la musica delle cuffie insieme, ri-cordiamo che per qualunque cosa(scuola, problemi di salute o di docu-menti, fuga) possono chiamare (me-glio se di nascosto dalle altre) il gior-no successivo il numero di Paolo, ilpresidente. Dall’estate, il numero di ragazze instrada è aumentato, così il numero diquelle che chiedono di essere aiutate ascappare: Paolo organizza la fuga,contattando la polizia e creando unarete con altre associazioni che operanoin Nigeria, perché sia protetta anche lafamiglia della ragazza. Una sera, unvolontario si finge un cliente qualun-que, la ragazza sale in macchina e spa-risce. I primi giorni rimane nascosta,poi, insieme al Gruppo Abele, vienetrovata una comunità sicura, spesso aldi fuori del Piemonte. Dal momento incui arriva la richiesta di aiuto alla fugapassano settimane: sono stati tagliati ifondi, le ragazze sono tante.L’associazione, composta solo da ra-gazzi tra i 18 e i 35 anni, segue anchele ex vittime di tratta, offrendo cibo,opportunità di lavoro, ascolto, giorna-te di festa o preghiera, doposcuola per

i bambini di elementari e medie. Lascuola di italiano è aperta alle donnedi ogni nazionalità. Il martedì incon-tra i senza casa che vivono a PortaNuova. Ospita due ragazze appenauscite dallo sfruttamento, spesso daaltre città d’Europa, che ringranano lavita con un sostegno costante. Cosa puoi fare tu? Intanto tenere quei10 euro in tasca, perché non stai aiu-tando la ragazza, ma il sistema chesfrutta centinaia di ragazze (la poliziaha stimato che il 90% delle nigerianearrivate in Italia è vittima di tratta). Sehai meno di 35 anni, puoi parteciparealle missioni di Pasqua o di Natale,serate aperte a tutti, in cui si festeggiacon canti, balli e dolci davanti ad ungrande fuoco. Se hai più di 35 anni, puoi cambiare iltuo linguaggio e con questo il tuo pen-siero: da “puttana” a “vittima di trat-ta” passa una storia. Puoi sensibiliz-zarti sul tema, informarti e informare,ricordando che “la prostituzione è losfruttamento più antico del mondo”.Comunque tu viva la sessualità, puoiscegliere di pagare in seduzione, con-fidenza, rispetto, relazione parita-ria.  Puoi insegnare ai tuoi figli chenon tutto ha un prezzo e a restituire eriparare quello che non si è mai tolto oche non è mai stato proprio.

Elisa Testera[Associazione Amici di Lazzaro

[email protected]]

Anno XV - Numero 1 - Marzo 20174

IL PONTE è il giornale “quasibimestrale” della Parrocchia di Santa Monica, via Vado 9 – Torino

Sara Vecchioni - direttore responsabile

Enrico Periolo e Carla Ponzio coordinano i lavoriCollaborano alla redazione Grazia Alciati, don Massimiliano Canta, don Daniele D’Aria, Aldo Demartini, Roberto Di Lupo, Edoardo Fassio, Federica Fogliato,Maria Grazia Fontan, Cinzia Lorenzetto, Marco Montaldo, Roberta Oliboni, Maria Teresa Varaldae… tutti coloro che vorranno farsi avanti.Tiratura 2700 copie, distribuzione gratuita.Videoimpaginazione e Stampa: la fotocomposizione - Torino

Il giornale viene distribuito gratuitamente a tutti i parrocchiani. Sono gradite le offerte di sostegno.REGISTRAZIONE N. 5937 DEL 17-01-2006 AL TRIBUNALE DI TORINO

L’usanza di unire il riso cotto in bianco con il pesce op-pure la carne, come accade nella nostra ricetta, fu intro-dotta nel Cinquecento dagli arabi.

Ingredienti (per 4 persone). Riso g 320; 16 gamberi;mezzo scalogno; petto di pollo g 200; mezzo porro; unacarota; sedano g 50; brodo di pollo; burro 100 g; mezzo

bicchiere di vino bianco; parmigiano 50 g; olioextravergine di oliva; sale.Preparazione. Sgusciate i gamberi e tagliateli apezzetti. Tagliate il pollo a tocchetti. Lavate emondate le verdure. Tagliate il porro a rondelle eil sedano e la carota a dadini. Disponete le verdu-re, i gamberi e il pollo in una casseruola con un fi-lo d’olio, portate sul fuoco, lasciate rosolare, sala-te, coprite e continuate la cottura per 8 minuti.Tritate lo scalogno, lasciatelo appassire in unacasseruola con una noce di burro, unite il riso, la-sciatelo tostare, bagnate con il vino bianco, versa-te il brodo, salate e continuate la cottura per 18minuti. Mantecate il riso con un po’ di burro e ilparmigiano grattugiato, disponetelo in uno stam-po da zuccotto imburrato, sformatelo sul piatto daportata e servitelo con l’intingolo di pollo, verdu-re e gamberi.Tempo di preparazione. 40 minuti circa.

Alma Vidotto

Zuccotto di risocon gamberi e pollo

LA RICETTA DI...Abbiamo accoltoAnita DI SARIOFrancesco SCAZZONE

Abbiamo salutatosuor Francesca CERINOQuintilia SACCO ved. BALLA

Emilia ROCCA in GIACOSAMaria LENTI ved. ROBOTTIElisabetta SIMONELLIved. CAPOLICCHIO

Vittoria MUSI ved. CENAVincenzo CERABONAMarco MINERDIGiuseppe GRIECOFrancesco BONETTOAnita GUION in POMATIGiannina CORAINin RIZZONI

Giovanni SORGARELLOSilvio BARBANOGiovanna GILLI ved. GIULIANO

Maria LEONE ved. STARTARI

Eurosia BRESCIANIved. FANTOLINO

Brigida MALASPINAved. MALVICINI

Lucia BADARELLOved. BORELLO

DALL’ARCHIVIO

SO SOLO CHE SI CHIAMA CARLO...

E LO RINGRAZIO!

DALLA TERZA LETTERA DEL SuPERPRETE

ALLA SECONDA MOGLIE

A PROPOSITO DI “SINDACHESSE”...

E IL MODO DI RACCONTARLE!

(Questa lettera ci era purtroppo arrivata in Redazione poche ore dopo lachiusura dell’impaginazione del giornale pre-natalizio di dicembre e nonaveva più potuto trovare spazio. Ci era dispiaciuto moltissimo, ma siamo fe-lici di poterla pubblicare in questo numero pre-pasquale di marzo così co-m’era giunta a suo tempo, ringraziando di cuore Maria e associandoci neisuoi apprezzamenti a Carlo che tutti, non solo nella nostra comunità, cono-scono e ammirano da tempo).

-Cari amici della Redazione de Il Ponte,il Natale si avvicina e con esso lo scambio di auguri... e di preghiere.

Io ne ho una per voi: vorrei che attraverso il vostro giornale giungessero imiei auguri ad una persona speciale. Non conosco il suo cognome, so soloche si chiama Carlo.Tempo fa mi è stato presentato, ci siamo stretti la mano, ma è stato tutto mol-to fuggevole. Ora vorrei che tramite voi gli giungesse il mio grazie, pubbli-co, per il prezioso lavoro che fa. Sono sicura che non gli è stato imposto danessuno, che sia invece una sua libera scelta. Ma se il tratto di marciapiede che va da via Genova fino a via Nizza, e poitutta l’area antistante Santa Monica sono più puliti, è merito suo. Ha capitoche la città è la casa di tutti e va tenuta pulita colla stessa attenzione che si haper la propria abitazione. Non si buttano cicche per terra, bottiglie vuote sulpavimento, cartacce a casa propria!Per le strade del nostro quartiere invece si fa così, ma Carlo ha capito chequelle povere strade neglette sono anche un po’ casa sua e, ramazza alla ma-no, ne ha cura. Un grazie affettuoso e buon Natale.

Maria Origlia

-Gent.ma Redazione,rileggo in questi giorni l’articolo di Grazia Alciati sul numero 4 de Il

Ponte, e mi colpisce il contrasto fra la descrizione razionale del momento ela conclusione emozionale. Alciati rimprovera a Fassino non incapacità o disonestà, ma mancanza dicomunicazione e di immagine (“trasmettere vicinanza politica” ... occorre“un gesto anche simbolico di rinuncia” ... o di azioni per “riavvicinare lagente alla politica”); e così conclude in favore di Appendino senza nulla sa-per dire delle sue virtù. Tutt’altra impressione dà invece l’altro articolo, sempre sullo stesso nume-ro, che ci racconta di Valeria, sindaca di Cinaglio, e della reazione dei suoicittadini quando li riunisce per organizzare l’accoglienza ad un gruppetto diprofughi.Penso che in una società funzionante i cittadini devono porsi non come con-sumatori passivi, ma come produttori attivi di politica. La partecipazionenon si attende, ma si provoca lavorando dal basso. Cordialità!

Piero Borla

-Carissima signora Porta, ho risposto alla precedente missiva alla Re-dazione, inviata dalla signora Demartini, e mi trovo a rispondere an-

che a Lei. Fin qui, credo, nulla di criptico. Volevo far nuovamente presente che gli auguri a Santa Monica mi son statirichiesti e nessun altro è stato commentato, tuttavia eccoci qui!Sta diventando quasi una rubrica avvincente, ma diamogli un titolo tipo Derüberpriester (chiedo scusa per i puntini di dieresi sopra la lettera u, ma lagrammatica tedesca differisce dalla nostra) e magari, chissà, i lettori de IlPonte aspettano il prossimo numero per leggerci. Quindi: musica da avvin-cente serie tv poliziesca in sottofondo e iniziamo! Nelle puntate precedenti: l’ex viceparroco, su ripetuta richiesta di EdoardoFassio, scrive un contributo di augurio e ricordo della sua esperienza perl’anniversario di Santa Monica; la signora Demartini, non trovandosi d’ac-cordo con quella missiva, scrive che non ha capito niente della Comunità inoggetto; l’ex viceparroco risponde che l’ha capita molto bene, ma la veritàforse infastidisce e si preferisce attaccare; nell’ultima puntata è stata la si-gnora Porta a scrivere, ipotizzando residui contagiosi di follia lasciati nel-l’aria torinese dal filosofo Nietzsche, che provocherebbero atteggiamenti disuperuomo da parte dell’ex viceparroco, che però da qui diventa “il super-prete”, superbo, folle e tardo nel capire. Ed eccoci all’oggi!Intanto non nego il fatto che la sua missiva rasenti quasi l’offensivo – rasen-ti, dico – poiché prevarica leggermente il confine con la calunnia, ma pa-zienza, proverò a “super”are anche questo.Io non la giudico come persona o professionalmente, cosa che lei fa, tuttavia seil manifestare il mio pensiero urta così tanto la sensibilità di qualcuno, nonchiedetemi più di scrivere. E se teme di disorientare i lettori, Lei perché scrive? Inoltre la soddisfazione della divisione delle strade non è reciproca, la invitoa scrivere per ciò che la riguarda personalmente o familiarmente (può farsivoce dell’intera Comunità? non l’ho mai fatto io, non credo possa lei), poi-ché ho amato la vostra Parrocchia dedicandole tempo e fatica.In ultimo, se davvero sospetta che sia rimasta nell’aria della vostra cittàqualche impalpabile ed efficace sentore di superuomo (meglio oltreuomo, edevo dire ne ha considerato parzialmente e solo le accezioni negative delpensiero del filosofo) o di follia “nietzschana”, le rammento che a Torino civivete voi ed essendo esposti da più tempo proteggetevi assolutamente! Iovivo a Collegno che, peraltro, di pazzia ne ha conosciuta in abbondanza.La saluto cordialmente e con un sorriso sincero e schietto, restando semprein attesa di un, ahimè disatteso, contatto telefonico.

don Riccardo(Sarà questa l’ultima puntata del carteggio in questione nato tanto tempofa. Lasciamo l’ultima parola a don Riccardo e come Redazione prendiamola decisione di porre fine allo scambio di missive che, dicono in molti, è du-rato persin troppo).

Se hai 60 euro puoi permetterti unabionda di via Ormea. Con 10 euro,una nera vicino all’Iveco di Settimo.Ma non credere che il prezzo che pa-ghi copra le spese. Quanto costa unviaggio dalla Nigeria a Milano? 600euro, con Ryanair, con scalo ad Istan-bul; in un giorno sei in Italia. Settanta-mila euro, con un’organizzazione cri-minale internazionale, centinaia dipersone coinvolte, dallo sciamanoche compie il rito Wodoo alla mada-me che vive a Torino; sei in Italia do-po la traversata del deserto in Jeep, leviolenze di ogni tipo nell’attesa dellabarca verso Lampa Lampa, la fugaobbligata dalle comunità di prima ac-coglienza; nel caso in cui gli sfruttato-ri abbiano fretta e paghino bene, ilviaggio arriva a durare anche solo duesettimane. Non ho mai sentito nessu-na ragazza raccontare del viaggio inmodo diverso da quello con cui io de-scriverei la Torino-Bardonecchia e michiedo quante ne hanno passate dopoper ricordarlo in modo così neutro.La prima notte in strada non è neutraper nessuna. Quante lo scelgono libe-ramente, anziché faticare con un lavo-ro onesto? Facciamo un gioco: hai 17,18, 19 anni. Di certo non più di 22. Vi-vi a Benin City. Hai almeno 8 fratelli.Sei bella. Oppure sei malata, tipo chenon vedi da un occhio o hai un ritardomentale. Un’amica dell’amica di tuamamma dice che in Europa conosceuna signora che ha aperto un negozioda parrucchiera e ha bisogno di unadipendente. Ti paga lei il viaggio, tuperò devi promettere che le restituiraii soldi in modo solenne. Quasi quasifacciamo un rito Wodoo e un contrat-to siglato dal notaio, così ti è chiaroche se non restituisci i soldi muori tu ela tua famiglia (e sai che in Nigerianessuno indaga sugli omicidi dei po-veri). Oppure tua mamma non sa piùdove sbattere la testa e ti vende ai traf-ficanti in persona. Se preferisci, hai24 anni e due figli, ma tuo marito èscappato senza sposarti o è morto; al-lora molli i figli e credi alle bugie dellavoro da parrucchiera. Arrivi a Torino e solo a questo puntoscopri l’ammontare del tuo debito. Iltuo nome era Glory, Faith, Rita, Ais-ha, ma adesso ti chiamano Jessica,Sonia, Jennifer, Sofia. Inizialmentevivi insieme alla tua madame nigeria-na, che controlla altre 3-4 ragazze. Alei dovrai versare mensilmente unarata del debito. Puoi lavorare tutto ilgiorno o solo 2 ore, alla madame noninteressa. L’importante è il periodicoversamento dei soldi. Quando acqui-sti la fiducia della madame, vai a vi-vere con altre ragazze in via Stradellao a Porta Palazzo. Indossi una parruc-ca oppure te la cuciono, in modo chesembrino capelli da europea. Mettianche del fard rosa, per schiarirti lapelle. Decidi tu in quale zona lavora-re, te lo suggeriscono le tue amichepiù esperte, e ogni mese dovrai anchepagare l’affitto del metro quadro dimarciapiede ad un’organizzazione al-banese. Spesso ti porta a lavorare il“papagiro”, un signore molto solo,